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A cento anni
dalla nascita
di Salvador Allende
Un protagonista
delle battaglie
per la democrazia e il progresso
CNEL,AULA DELLA BIBLIOTECA • ROMA • 28 LUGLIO 2008
CGIL NAZIONALE • FONDAZIONE GIUSEPPE DI VITTORIO
IN COLLABORAZIONE CON L’AMBASCIATA DEL CILE IN ITALIA
SOTTO L’ALTO PATRONATO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
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INDICE
PRESENTAZIONE
Uno spartiacque nella storia del Cile e del mondo
Nicoletta Rocchi
IL SALUTO
Così è maturato il seme della democrazia
Francesca Santoro
INTRODUZIONE
Una biografia complessa e straordinariamente ricca
Carlo Ghezzi
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INTERVENTI
Salvador Allende. Un modello per i giovani di ieri, di oggi
e di domani
Isabel Allende Bussi, Marco Calamai, Luis Fuentealba Reyes, Giuliano Vassalli 11
CONCLUSIONI
Dalla parte di chi aveva la ragione e non la forza
Guglielmo Epifani
a cura di Nana Corossacz
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PRESENTAZIONE
Uno spartiacque nella storia
del Cile e del mondo
Nicoletta Rocchi, segretaria confederale Cgil
R
icordo come fosse ieri il momento in cui, nel lontano 11 settembre 1973, appresi la notizia
dell’uccisione di Salvador Allende, presidente socialista del Cile, avvenuta nel
Palazzo della Moneda a Santiago, messo sotto assedio dai militari capeggiati
dal generale Pinochet.
Giovane e freschissima di studi,
quell’11 settembre ero all’Università a
Roma quando, come un fulmine, si
sparse la tragica notizia. Da giorni seguivamo con il fiato sospeso le notizie
che arrivavano da Santiago, dove era in
corso il colpo di stato, appoggiato dall’Amministrazione Nixon, contro il legittimo governo del presidente Allende,
socialista eletto democraticamente, che
si era asserragliato nel suo ufficio difendendolo, con le armi in pugno, in una
battaglia estrema e disperata.
Ancora adesso, dopo tanti anni, se ci ripenso, continuo ad avvertire lo stesso
brivido di dolore e di sdegno, la penosa
percezione di grave perdita, di irreparabile ingiustizia, che provai allora.
Ognuno di noi ha le sua figure di riferimento, i suoi miti. Nel mio pantheon,
Salvador Allende occupa un posto importantissimo, centrale, e credo che ciò
valga per tantissimi altri soprattutto
della mia generazione.
L’uomo che, con gli strumenti della de-
mocrazia, aveva guadagnato al suo paese la possibilità di diventare migliore, e
al suo popolo l’opportunità di conquistare uguaglianza e giustizia sociale, è e
resta un eroe universale. Un eroe straordinario e romantico, coraggioso e lucido
nel suo proposito di non rinnegare a nessun costo la sua fede, e consapevole di
rappresentare un esempio di coerenza
portata fino all’estremo sacrificio. La
lontananza di spazio già allora, e di
tempo ora, sono cancellate. Salvador Allende, gentile presidente del Cile, che
fronteggia stoicamente la morte per non
rinunciare alla libertà e alla dignità diventa da quel momento un simbolo per
tutti coloro che credono nei suoi stessi
ideali, in qualunque parte del mondo
essi vivano. Con determinazione egli
non rinuncia al sogno, fervidamente
perseguito in tutta una vita dedicata alla causa dell’emancipazione degli umili,
poveri e diseredati che, nel Cile, erano la
stragrande maggioranza della popolazione. E così facendo iscrive il suo nome
tra quelli di coloro che hanno portato
avanti la storia degli uomini.
Un socialista al potere in quella parte
delle Americhe, ancorché legittimato da
un voto popolare e deciso a governare
nell’ambito dei dettami costituzionali,
era troppo per i ferrei equilibri che regolavano le vicende politiche del mondo.
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E quel tragico 11 settembre del 1973 ha
segnato uno spartiacque nella storia non
solo cilena. Sono felice che, insieme a
numerosi altri paesi, l’Italia non abbia
mai riconosciuto il regime di Pinochet.
Sono orgogliosa che la Cgil abbia onorato il centenario della nascita di Salvador Allende con l’iniziativa di cui proponiamo, in questo opuscolo, gli atti. Ci
inchiniamo e rendiamo omaggio a un
grande uomo, un capo di Stato e di popolo che scelse la via democratica al socialismo e la percorse fino all’ultimo respiro.
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Presentazione
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IL SALUTO
Così è maturato
il seme della democrazia
Francesca Santoro, Cnel
È
prassi che un rappresentante
del Cnel rivolga un saluto in
alcune delle iniziative che vengono ospitate. Naturalmente rivolgo
a tutti un caloroso saluto, ma oggi è,
per l’istituzione che rappresento, un
onore ospitare questa iniziativa promossa dalla Cgil e dalla Fondazione
Di Vittorio, con la collaborazione
dell’Ambasciata del Cile, e sotto l’alto patronato della Presidenza della
Repubblica. Ed è un onore per me
essere qui con voi. Trovo particolarmente simbolico che la celebrazione
del centenario della nascita di Salvador Allende si svolga qui al Consiglio
Nazionale dell’Economia e del Lavoro, che è sede della rappresentanza
delle parti sociali, ed è un luogo preposto dalla nostra Costituzione a favorire e incrementare il dialogo e la
coesione sociale.
La coesione sociale, intesa come capacità di formulare politiche effettive
per ridurre le disuguaglianze sociali e
favorire l’inclusione, ha certamente
caratterizzato l’esperimento di profonda trasformazione sociale voluto
da Allende, e portato avanti durante il
governo di Unità popolare, sempre all’insegna della legalità. L’aspetto dell’apertura e del dialogo sociale va sempre sottolineato. Solo la forza brutale
delle armi è riuscita a interrompere
questa ricerca di consenso fra le parti
sociali e politiche.
La biografia politica e umana di Salvador Allende, il suo pensiero, il suo
operare politico e istituzionale ai più
alti livelli, saranno offerti alla nostra
riflessione dall’introduzione del presidente della Fondazione Di Vittorio,
Carlo Ghezzi, dagli importanti e prestigiosi interventi in programma e dalle conclusioni del segretario generale
della Cgil, Guglielmo Epifani. Io voglio solo svolgere alcune brevi considerazioni.
Credo si possa affermare che la democrazia di cui gode oggi il Cile, il rispetto dei diritti umani, lo sforzo per
il consolidamento dei diritti sociali, si
nutrono anche di quella esperienza,
che resta per tutti noi, insieme alla figura di Allende, un esempio indimenticabile. Ha scritto Garcia Marquez: “Il dramma accadde in Cile per
disgrazia dei cileni. Però passerà alla
storia come qualcosa che irrimediabilmente coinvolse tutti gli uomini
del tempo, destinato a rimanere per
sempre nelle nostre vite”. Salvador
Allende, eroe senza retorica e vocazione al martirio, come ha ribadito nel
lucido e appassionato messaggio al
popolo cileno, è stato protagonista di
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primo piano nella storia non solo del
Cile ma del mondo intero, per l’affermazione della democrazia e dei suoi
valori fondanti, la dignità dell’uomo,
la sua libertà e liberazione dal bisogno, lo stato di diritto. Per questi valori Allende sacrificò la vita, rifiutando il salvacondotto offertogli dai militari golpisti. Un sacrificio compiuto
come difesa estrema del mandato popolare ricevuto con libere elezioni.
Anche nella drammaticità della situazione in cui si trovava, nel pieno dell’assedio della Moneda, nell’ultimo
messaggio al popolo, scelse parole che
sappiano parlare al futuro: “La storia
non si ferma né con la repressione né
con il crimine. È possibile che ci
schiaccino, però il domani sarà del
popolo. L’umanità avanza per la conquista di una vita migliore”.
Oggi credo si debba cogliere se c’è – e
io ritengo ci sia – una relazione tra la
drammatica vicenda cilena e i cambiamenti intervenuti nel mondo, per valutare se l’esempio di Salvador Allende è in grado di parlare al nuovo mondo che si è manifestato dopo la sua
morte. Naturalmente mi riferisco alla
svolta epocale della globalizzazione
dell’economia e dei mercati, indotta
dall’innovazione tecnologica, che ha
certamente comportato opportunità
inedite e ha fatto entrare nuovi paesi
negli scenari mondiali ma che, in assenza di un governo politico mondiale, con il prevalere delle ragioni della
finanza e del mercato, ha accentuato
asimmetrie, ha accentuato povertà,
precarietà, incertezze del futuro, non
solo incertezze materiali. Ricordare,
tenere in vita, trasmettere alla nuove
generazioni la memoria di figure co-
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Il saluto
me quella di Salvador Allende, e di
esperienze drammatiche ed esaltanti
quale è stata quella cilena, è importante oggi come ieri, perché si segnino
delle certezze, degli esempi che devono essere e rimanere nella memoria
individuale e collettiva, perché si abbia coscienza che non è dato alcun
progresso umano senza un impegno
deciso e coerente per l’affermazione
della democrazia. Dunque, democrazia come traguardo umano che, anche
quando si realizza, non è data per
sempre ma va permanentemente rafforzata, rinnovata, difesa.
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INTRODUZIONE
Una biografia complessa
e straordinariamente ricca
Carlo Ghezzi, presidente Fondazione Di Vittorio
S
alvador Allende Gossens è nato a
Valparaíso il 26 giugno1908.
Sono dunque trascorsi da quell’evento cento anni. Di Allende tutti
ricordano la drammatica morte nel
Palazzo della Moneda a Santiago del
Cile il giorno 11 settembre 1973. Era
il presidente del suo paese dal 3 novembre 1970 fino alla sua destituzione violenta avvenuta a seguito di un
colpo di stato militare messo in atto
nel giorno della sua tragica scomparsa.
L’emozione che ancora dopo tanto
tempo scuote ogni democratico nel ricordo della sua tragica fine tocca ancora oggi tutti noi. La sua fine è rimasta impressa nell’immaginario collettivo e continua a suscitare nei confronti della sua figura sentimenti di ammirazione di risonanza mondiale. Ma,
pur tuttavia, non può mettere in ombra la complessa e straordinariamente
ricca biografia di Salvador Allende,
una biografia non sempre adeguatamente conosciuta.
Allende è stato l’uomo politico cileno
che ha incarnato più di altri la lunga
tradizione di lotte della sinistra di quel
paese per l’emancipazione del suo popolo, dei lavoratori, dei settori più diseredati e più umili del paese per liberarli dalla miseria, dall’ignoranza, dallo sfruttamento proponendo loro al
tempo stesso il sogno della costruzione di una società di uguali.
Allende è stato dunque un dirigente
che ha speso la propria vita per la causa del socialismo e della democrazia,
che ha caratterizzato il proprio operare con un’integrità morale, una coerenza e un’onestà specchiata e universalmente riconosciuta.
Era nato in un’importante famiglia di
Valparaiso, una famiglia espressione
delle professioni liberali che aveva visto molti suoi esponenti impegnati
nel corso di una lunga fase storica nello schieramento di orientamento democratico-radicale del Cile e che avevano ricoperto incarichi istituzionali
di prestigio nella sua città e nel paese.
Da ragazzo Salvador Allende aveva appreso i primi rudimenti sulla questione sociale e sui problemi delle classi
subalterne da un ciabattino anarchico,
un italiano emigrato in Cile di nome
Giovanni Demarchi, che lo aveva introdotto alla lettura di testi anarchici,
comunisti e socialisti.
Il giovane Allende, brillante studente
universitario, approda rapidamente al
marxismo e diviene ben presto, siamo
nel 1928, un leader studentesco prestigioso. In quel periodo si avvicina alla Massoneria nella quale sarà successivamente accolto con solennità, e
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nella quale militerà con costante impegno per tutta la vita, difendendo
questa sua appartenenza con passione
e con orgoglio.
Allende conosce presto anche il carcere perché arrestato e condannato nel
corso di manifestazioni indette per
contrastare il dittatore cileno Ibanez
del Campo.
Divenuto medico nel 1933 è tra i fondatori del Partito Socialista del Cile, è
eletto segretario provinciale del partito a Valparaiso e nel 1937 segretario
regionale.
Oratore raffinato, affascinante e arguto, sa costruire attorno a sé un ampio
consenso di massa al quale non sempre corrisponde un equivalente rapporto di forza nella struttura interna
del suo partito. Collocato costantemente tra i favorevoli all’unità con i
comunisti e con i radicali, sempre nel
1937, viene eletto per la prima volta
deputato.
Nell’ottobre del 1938 il Fronte Popolare guidato da Aguirre Cerda vince le
elezioni con il 50,5 per cento dei voti.
Salvador Allende diviene Ministro alla Salute e dedica tutte le sue energie a
promuovere una legislazione avanzata
attenta ai problemi della salute che riguardano in particolare i lavoratori, le
donne e i bambini.
In quegli anni si sposa con Hortensia
Bussi. Nel 1943 diviene segretario generale del Partito Socialista Cileno, nel
1945 è eletto senatore e nel 1951 è nominato Vice Presidente del Senato.
La sua militanza è sempre stata fortemente caratterizzata dall’impegno a
difendere ed estendere la democrazia e
nel dibattito della sinistra, in contrapposizione ai comunisti cileni che pro-
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Introduzione
pongono una politica di unità nazionale, è impegnato a sostenere la proposta dell’“unità popolare” quale prospettiva da proporre al paese.
In tale contesto nella battaglia politica
quotidiana i socialisti cileni si collocano frequentemente più a sinistra rispetto ai comunisti. Questi ultimi tuttavia, in ragione della loro collocazione internazionale e dei tratti di settarismo che contraddistinguevano la loro
prassi politica, continueranno a essere
considerati dalle forze conservatrici
come il principale avversario oltre che
una forza estranea agli interessi del Cile, mentre i socialisti, anche quando
appaiono più rivoluzionari ed estremisti di loro, sono diffusamente percepiti come appartenenti alla storia
del paese.
Allende, da sempre contrario alla dittatura del proletariato e all’esperienza
di regimi a partito unico, affermerà
sempre che il socialismo deve marciare parallelamente con la libertà e che
solo insieme garantiscono essi il pieno
esercizio dei diritti e una compiuta democrazia. Che una vera democrazia e
un’effettiva libertà si hanno innanzitutto nella realizzazione della democrazia economica, dove la base economico-sociale sia tale da garantire a tutti gli esseri umani la possibilità di un
integrale sviluppo della persona. Su
questo terreno si viene a identificare
un regime di eguaglianza sociale con il
socialismo. Allende auspica dunque
un sistema sociale che, attraverso riforme radicali e con il metodo democratico, trasformi lo Stato e le istituzioni sino ad arrivare a realizzare una
società nella quale il potere sia effettivamente nelle mani dei lavoratori.
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Nei travagli che contraddistinsero la
democrazia cilena e la dialettica, spesso assai aspra nella sinistra e nello stesso schieramento socialista che a più riprese si divide e si ricompone, Allende
si candida alle elezioni presidenziali
del 1952 a capo di una piccola coalizione di sinistra, il Fronte del Popolo,
formata dai comunisti (in quella fase
collocati fuori legge dal governo in carica) e da una parte dei socialisti. Per
la prima volta viene così candidato a
Presidente della Repubblica un esponente dichiaratamente marxista. Allende, con il 5,4 per cento dei voti,
perde in quel frangente una battaglia
impossibile, non certo la guerra.
Sempre più popolare tra i lavoratori,
viene regolarmente rieletto al Senato
e si ripresenta alle elezioni presidenziali del 1958 a capo del Fronte di
Azione Popolare, che aveva riunificato al proprio interno tutte le forze
della sinistra cilena. Giunge secondo
con il 28,8 per cento dei voti contro
il 31,6 del candidato della destra Jorge Alessandri, un Presidente che non
riuscirà a risolvere nessuno dei problemi del Cile.
Nel 1964 viene eletto presidente della
Repubblica del Cile il democristiano
Eduardo Frei con il 56 per cento dei
voti. Allende è secondo con il 39 per
cento e registra il consenso più alto
mai conseguito da una lista di sinistra
in tutta la storia dell’America Latina.
Anche la presidenza Frei, avviatasi con
un programma di innovative riforme
sociali, genera attese ma incontra ostacoli, solleva contrasti, scontri, delusioni. Allende si candida per la quarta
volta nel 1970, a capo di Unidad Popular, una coalizione composta oltre
che dai socialisti e dai comunisti anche dal Partito Radicale e dal Mapu,
un partito nato da una scissione a sinistra della Democrazia Cristiana cilena, e con l’appoggio esterno del Mir,
un piccolo movimento di orientamento castrista. Salvador Allende con
il 36,3 per cento dei voti contro il 35
di Alessandri, il candidato della Destra, e il 27,8 di Rodomiro Tomic, il
candidato della Democrazia Cristiana, è eletto Presidente del Cile.
Si insedia nella massima carica il 3 novembre di quell’anno riaffermando
l’impegno assunto con il suo popolo
per condurre un’azione di governo
che gli assegni il potere politico ed
economico. È la via cilena al socialismo che prevede in primo luogo radicali misure quali la riforma agraria,
l’aumento dei salari, la nazionalizzazione del rame, la riforma del sistema
sanitario e del sistema scolastico.
Non mi voglio soffermare su quest’ultima fase, quella più conosciuta della
vita di Allende, di uno dei pochi presidenti che, eletti democraticamente,
abbiano tentato la costruzione di una
società socialista nel rispetto della Costituzione, una fase chiusasi l’11 settembre del 1973 quando le forze armate cilene, guidate dal Generale Augusto Pinochet, misero in atto il golpe
che rappresentò uno spartiacque per
la storia non soltanto cilena.
Ricordo solo che in seguito al colpo di
stato in Cile, appoggiato dall’Amministrazione Usa guidata da Richard
Nixon e da Henry Kissinger, così come in numerosi paesi del mondo anche in Italia si sviluppò un forte movimento di solidarietà e furono proclamati scioperi in solidarietà con Allen-
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de e con il popolo cileno. Ricordo che
l’Italia non riconobbe mai il regime di
Pinochet. Ricordo anche l’appassionata discussione che da noi seguì la riuscita del golpe militare e le riflessioni
che ne scaturirono, riflessioni che segnarono il dibattito tra le forze politiche e che incisero notevolmente nello
sviluppo della stessa vita politica del
nostro paese.
Andando a concludere questa mia
breve introduzione ai lavori alla giornata di celebrazione e di studio che ha
avuto l’onore dell’Alto Patronato del
Presidente della Repubblica, Onorevole Giorgio Napolitano, che ringraziamo esprimendogli la nostra stima
di sempre e che abbiamo voluto organizzare in una sede prestigiosa quale
quella del Cnel che ci ha calorosamente accolti e che vogliamo anch’esso ringraziare vivamente, vorrei sottolineare che Salvador Allende è stato
non solo un grande uomo politico del
suo paese e delle sue battaglie democratiche, ma è stato un uomo che ha
saputo parlare molto al di là dei confini nazionali cileni, un tenace sostenitore delle idealità socialiste e della causa dell’emancipazione del lavoro, della
sua dignità e della sua centralità in
una società moderna.
Salvador Allende è un martire caduto per la causa del socialismo, abbattuto da sanguinari nemici della libertà e della democrazia dai quali il Cile
si è poi faticosamente liberato per
tornare finalmente a una libera convivenza civile che lo vede intensamente impegnato ad affrontare le
nuove sfide dell’oggi.
Per questo la Cgil e la Fondazione
Giuseppe Di Vittorio, con il prestigio-
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Introduzione
so contributo dell’Ambasciata del Cile in Italia, hanno voluto oggi ricordare Salvador Allende nel centesimo anniversario della sua nascita.
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INTERVENTI
Salvador Allende.
Un modello per i giovani
di ieri, di oggi e di domani
ISABEL ALLENDE BUSSI
Deputato del Parlamento cileno
C
on profonda emozione e gratitudine
verso la Confederazione generale italiana del lavoro sono oggi a Roma, a condividere la stima che le organizzazioni del
lavoro italiane nutrono per la figura di Salvador Allende e per i principi di libertà,
uguaglianza e giustizia sociale da lui impersonati.
Quest’omaggio, organizzato congiuntamente dalla Cgil – e voglio segnalare in particolare la partecipazione del
suo segretario generale Guglielmo
Epifani –, in rappresentanza di oltre 6
milioni di lavoratori affiliati, dalla
Fondazione Giuseppe Di Vittorio e
con la collaborazione dell’Ambasciata
del Cile in Italia, ha per titolo “A cent’anni dalla nascita di Salvador Allende: un protagonista della battaglia per
la democrazia e il progresso”, e dà
conto di come Salvador Allende è ancora qui con noi nel XXI secolo, non
solo per la memoria che di lui conserviamo, ma anche per le sue aspettative
nei confronti del futuro e per la sua
piena attualità.
Questi sono stati giorni di forti coinvolgimenti emotivi. Vediamo con orgoglio come il lascito di mio padre rimanga e di come rappresenti ancora
un esempio per milioni di abitanti del
pianeta, nei luoghi più lontani, dove si
ricorda con affetto e ammirazione il
suo impegno di coerente lottatore per
la giustizia sociale.
Cent’anni fa nasceva nel suo caro Cile Salvador Allende Gossens, chiamato a realizzare un profondo cambiamento storico e a dimostrare che l’essere umano può portare i suoi principi e i suoi desideri di giustizia fino alle estreme conseguenze, sacrificando
per essi la propria vita se necessario.
Da giovane sviluppò presto un inquieto interesse verso le problematiche sociali, nel suo ruolo di presidente del Centro Alunni del Liceo Eduardo de la Barra. Da universitario partecipò attivamente ai movimenti studenteschi, fu presidente del Centro di
Alunni di Medicina e vicepresidente
della Federazione degli Studenti dell’Università del Cile. In due occasioni
venne arrestato, e una volta confinato
per essersi opposto alla dittatura del
generale Ibáñez.
Da detenuto gli fu permesso di assistere al funerale di suo padre, in occasione del quale, al momento dell’estremo saluto, s’impegnò a dedicare la
vita al servizio della gente, sempre accanto al suo popolo, al quale voleva
un gran bene. Quando aveva 25 anni
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partecipò a Valparaiso alla fondazione
del Partito socialista, di cui riuscì a diventare segretario generale. Sempre a
Valparaiso iniziò la sua carriera al
Congresso dei Deputati, e venne eletto parlamentare nel 1937. Due anni
dopo sarebbe stato il ministro più giovane del governo del presidente Pedro
Aguirre Cerda, nel cosiddetto “Frente
Popular”. Fra il 1945 e il 1970 fu senatore, rappresentando diverse regioni e ricoprendo per diversi anni il ruolo di vicepresidente e presidente del
Senato, fino a quando fu eletto presidente della Repubblica nel 1970.
Le sue quattro campagne presidenziali ci hanno lasciato una testimonianza
di quanto fosse importante per Allende il dialogo, la vicinanza con il popolo, e di quanto bene conoscesse la realtà nazionale. È stato un uomo con
una profonda vocazione pubblica. Ha
dedicato la vita al servizio del paese,
cercando e sognando un mondo più
giusto, e tentando di costruire ciò a
cui più credeva: una società socialista
nella democrazia, nel pluralismo e
nella libertà.
Il programma di governo sviluppato
dal Unidad Popular, coalizione composta da socialisti, comunisti e altre
forze di sinistra, liberò speranze ed ebbe all’inizio l’appoggio di vasti strati
sociali. Questo programma fu applicato con grande coerenza, raggiungendo importanti risultati nel campo
della salute, della casa, dell’istruzione,
sul versante della redistribuzione del
reddito, della riforma agraria e del recupero delle risorse minerarie attraverso la loro nazionalizzazione.
Nell’ambito internazionale il governo
sostenne la dottrina del “pluralismo
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Interventi
ideologico”, che fu accolta in particolare dai paesi latinoamericani, con cui
il Cile mantenne eccellenti rapporti. Il
governo aderì al movimento dei paesi
non allineati e appoggiò l’indipendenza di tutti i paesi del Terzo Mondo in
lotta per la loro liberazione. Nonostante tutto, per aver intaccato i forti interessi della borghesia industriale,
finanziaria e agraria cilena, assieme
agli interessi delle imprese transnazionali e al governo degli Usa, tutte queste forze tramarono per porre fine al
governo del presidente Allende.
Questo, sommato ai nostri errori,
portò il paese a quel fatidico 11 settembre. Allende si scontrò con poteri
forti, i quali, anche se misero delle
barriere insormontabili alla realizzazione del suo sogno per trasformarlo
nella lunga notte nera della dittatura,
non riuscirono però a eclissare il suo
pensiero e la sua lezione storica.
Salvador Allende rappresenta una parte della nostra identità culturale di nazione. Ha addirittura acquisito una
dimensione universale per gli ideali di
giustizia da lui incarnati, per i principi che hanno orientato la sua vita e
per la profonda coerenza che lo ha caratterizzato. Hanno tentato di seppellire il suo ricordo, hanno tentato di
diffamarlo, di cancellarlo, di farlo cadere nell’oblio. Non ci sono riusciti.
Abbiamo vissuto un periodo nero nella storia del Cile, e la solidarietà internazionale è stata imprescindibile. Una
solidarietà di cui l’Italia costituisce un
esempio importante. Non posso non
ricordare che questo paese aprì la sua
Ambasciata in Cile per ricevere centinaia di miei compatrioti perseguitati
dalla dittatura militare, e che riprese i
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rapporti a livello diplomatico solo
quando recuperammo la democrazia.
Testimonianza della solidarietà italiana sono gli innumerevoli attestati del
suo popolo e delle sue organizzazioni
a favore della nostra lotta. Non posso
dimenticare che a Hortensia Bussi,
mia madre, è stato attribuito il titolo
di cittadina onoraria da diverse città
italiane.
Le sofferenze di molti cileni nell’esilio
furono alleviate in parte dalla generosa ospitalità che ci fu offerta in tutto il
mondo. Salvador Allende ci ha aperto
le porte ovunque. La sua immagine
simbolica si è trasformata in un legame con il paese perduto, con la memoria, con la necessità di recuperare la
verità e la democrazia.
Salvador Allende è stato un uomo coerente, dotato di un profondo senso
etico della politica e, quando le circostanze lo hanno richiesto, anche di
senso eroico. È stato un difensore della democrazia, che egli intendeva come un bene superiore, accettando le
sue imperfezioni, consapevole del fatto che, attraverso le sue istituzioni e le
sue norme, sarebbe stato possibile migliorarla, in presenza di un alto grado
di coscienza sociale. Sosteneva che la
società dev’essere plurale e che ogni
essere umano dev’essere libero e detentore di dignità e diritti.
La sua pratica politica ha dimostrato
un totale distacco dalle ortodossie. In
tutta la sua traiettoria, Salvador Allende è stato un pedagogo sociale. Con la
sua oratoria eloquente ha contribuito
a far conoscere la dura realtà cilena e
al formarsi di una coscienza critica capace di spingere per il suo cambiamento. Senza settarismo, è stato un
tenace costruttore dell’unità di vasti
settori della sinistra e progressisti, che
aspiravano a profonde trasformazioni
per una società più giusta.
Come uomo di lotta sociale e conoscitore delle profonde ingiustizie che
predominavano nel nostro paese, è
stato sempre accanto ai lavoratori ed è
stato sempre un ferreo difensore dei
loro diritti. Addirittura li ha ricordati
nelle sue ultime parole dalla Moneda,
quell’11 settembre: “Trabajadores de
mi patria. Tengo fe en Chile y su destino…” (“Lavoratori della mia patria. Ho fede nel Cile e nel suo destino…”).
Lo sguardo visionario di Salvador Allende verso la difesa della sovranità
nazionale e il ricupero delle ricchezze
basilari del nostro paese, lo portarono
– nel quadro di una riforma costituzionale – a promulgare la legge che
nazionalizzò il rame, principale risorsa
del Cile. L’11 luglio 1971, data della
nazionalizzazione del rame, rivolgendosi ai lavoratori affermò: “Qualcuno
ha detto e con ragione, scrivendo sui
muri di Parigi, e io l’ho ripetuto perché è importante non dimenticarlo:
´La rivoluzione comincia nelle persone prima ancora che nelle cose´. Questo è ciò di cui dovete avere coscienza
voi, lavoratori del rame, coscienza che
bisogna difendere il rame, una ricchezza che viene data ai cileni, lavorando di più, producendo di più; coscienza che nazionalizzare il rame farà
nascere nei confronti del Cile delle resistenze che dobbiamo vincere, con lo
sforzo e con il sacrificio”.
La nostra principale azienda pubblica
del rame, pur attestandosi appena al
35 per cento del totale prodotto nel
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paese, fra il 1971 e il 2007 ha ottenuto entrate superiori ai 50 mila milioni
di dollari che, in questi 18 anni di governi della concertazione, hanno consentito di finanziare politiche sociali
pensate per i settori più vulnerabili del
paese. Tra queste c’è da evidenziare la
recente riforma previdenziale, un impegno preso durante la campagna
elettorale dalla presidentessa Michelle
Bachelet, che oggi consente di garantire in modo graduale una pensione a
donne e uomini con più di 65 anni,
appartenenti al 60 per cento più povero del paese.
Non meno importante è stata la creazione dei Tribunali del Lavoro, che sono gradualmente in funzione dal
2007 e che hanno ridotto in misura
sostanziale i tempi delle sentenze, favorendo i lavoratori attraverso una
giustizia più specializzata, moderna e
con procedimenti orali.
Oggi, nel momento in cui l’Organizzazione internazionale del lavoro e la
Confederazione sindacale internazionale parlano di lavoro dignitoso come
dell’aspirazione di ogni persona ad accedere a un impiego produttivo, degno, sicuro e con protezione sociale,
vediamo da un lato la disoccupazione
mondiale aumentata a livelli senza
precedenti e, dall’altro, la precarizzazione e lo sfruttamento subito da milioni di immigranti costretti ad abbandonare i loro paesi in cerca di
un’opportunità di lavoro. In questo
contesto non posso non ricordare le
parole di Salvador Allende all’atto di
assumere la presidenza della Repubblica, il 5 novembre 1970, rivolgendosi al popolo cileno nello stadio nazionale: “Quella che abbiamo eredita-
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to è una società sacrificata dalla disoccupazione, un flagello che porta al
sussidio forzoso e alla marginalità strati crescenti della popolazione; che non
è il frutto del sovraffollamento, come
dicono alcuni, bensì è un fenomeno
che riguarda grandi masse di persone,
che testimoniano, con il loro tragico
destino, l’incapacità di garantire a tutti il diritto fondamentale al lavoro”.
Ma non solo. Il presidente Allende fece di tutto per sostenere la Central
Unitaria de Trabajadores-Cut nella
sua aspirazione a svolgere un ruolo da
protagonista nel processo di cambiamento che cominciava a prendere piede, e furono tante le volte in cui accompagnò i suoi rappresentanti nelle
commemorazioni del Primo Maggio.
Allende ha sempre sostenuto la necessità di un sindacato unito e forte, e per
questo oggi duole assistere, in piena
democrazia, al progressivo indebolimento del movimento sindacale.
È per tutti questi motivi che, di fronte alle sfide del mondo globalizzato, è
necessario, oggi più che mai, mettere
il lavoro dignitoso al centro delle politiche economiche e sociali. Oggi quasi la metà della popolazione del mondo vive con meno di 2 dollari al giorno. In troppi paesi il fatto di avere un
impiego non rappresenta alcuna garanzia di poter uscire della povertà. Le
disuguaglianze, che persistono in Cile,
ci obbligano a ripensare alle politiche
pubbliche che stiamo realizzando, per
essere più efficaci nell’inclusione e nell’uguaglianza delle opportunità.
Anche se in questi 18 anni di governi
democratici si sono registrati importanti progressi e risultati nel campo
della salute, della casa e dell’istruzio-
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ne, il Cile continua a essere uno dei
paesi con più disuguaglianze al mondo. Il nostro mercato del lavoro femminile è il più arretrato dell’America
Latina, e i nostri giovani raggiungono
livelli di disoccupazione superiori al
20 per cento.
Nel nostro paese la disoccupazione
sfiora l’8 per cento e, in considerazione dell’alta rotazione e della proliferazione di contratti precari, il sussidio di
cui disponiamo risulta insufficiente; è
un modello che andrebbe perfezionato e ampliato, come parte della sfida
lanciata dalla nostra presidentessa Bachelet per la creazione di una rete di
protezione sociale rivolta agli strati
più poveri.
Sul versante sindacale, solo il 12,8
per cento della nostra forza lavoro è
iscritta a un’organizzazione, e solo il
10,3 può contare su meccanismi di
contrattazione collettiva. Purtroppo,
come dicevamo, c’è da registrare un
sempre maggiore indebolimento e
una progressiva atomizzazione dell’attore sindacale, con la conseguente
marginalità nella negoziazione collettiva intesa quale strumento di regolazione dei rapporti di lavoro e quale
pilastro fondamentale della cultura
del dialogo sociale, capace di promuovere la partecipazione democratica e il raggiungimento di accordi
fra le parti sociali.
Una delle grandi sfide che abbiamo di
fronte nella nostra ritrovata democrazia è costituita dalla persistente disuguaglianza in campo salariale e dalle
carenze nell’ambito della previdenza
sociale e dalla precarietà del lavoro che
ancora sussistono. Solo un terzo dei
lavori merita la qualifica di dignitoso,
mentre la durata media dei contratti –
secondo stime relative all’utilizzo del
sussidio di disoccupazione, nell’arco
di tempo che va dal 2002 al 2006 –
non supera i 4 mesi, il che sta a significare una grande instabilità e una forte mobilità da un lavoro all’altro.
Per questo, riprendendo quanto detto
dal presidente Allende, è necessario
avere una forza sindacale più organizzata e più efficace, estendere la contrattazione collettiva e qualificare i dirigenti sindacali affinché si possa costituire un sindacalismo più moderno,
in grado di affrontare le complessità e
i cambiamenti del mercato del lavoro.
Dobbiamo impegnarci per una nuova
strategia di sviluppo sociale inclusiva,
che possa conciliare crescita economica sostenibile e giustizia sociale.
Il 26 giugno 2008, giorno della sua
nascita, è stato reso a Salvador Allende
un giusto omaggio nella Plaza de la
Constitución di Santiago del Cile, dove si trova oggi il suo monumento, di
fronte alla Moneda. Il pomeriggio di
quel giorno, nel Centro Cultural del
Palacio La Moneda, la presidentessa
della Repubblica Michelle Bachelet ha
inaugurato una grande esposizione
delle opere del Museo della Solidarietà “Homenaje y Memoria” (“Omaggio e Memoria”), espressione della solidarietà e della vicinanza degli artisti
del mondo agli ideali del presidente
Allende.
Celebrando questo centenario, facciamo in modo di celebrare i semi piantati da Allende e che sono germogliati. Il suo lascito, ancora attuale, ha a
che fare con il sogno di tutti quelli che
desiderano un Cile senza povertà e
senza esclusioni. Un paese senza dis-
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criminazioni, né abusi. Un paese con
opportunità per tutti, con protezione
e dignità per i lavoratori, dove ci sia
uguaglianza fra uomini e donne.
Voglio finire citando le parole di José
Saramago, Premio Nobel della letteratura e membro del Comitato internazionale Centenario della nascita del
presidente Allende: “Salvador Allende
rappresenta ciò che di meglio ha
espresso il XX secolo. I suoi valori, che
oggi vogliamo ricordare, continuano a
essere imprescindibili: solo gli stupidi
possono pensare di ignorarli. O quelli
molto cattivi, quelli che ritengono che
gli enunciati etici servano soltanto a
generare problemi e che è meglio vivere ignorando i principi, attenti solo
ai propri interessi personali e alle proprie piccole ambizioni. Salvador Allende era un uomo con dei principi.
Per questo, a cent’anni dalla sua nascita, lo ricordiamo come si ricordano i
momenti migliori e le emozioni più
profonde“.
Ringrazio voi, i lavoratori italiani rappresentati dalla Confederazione generale italiana del lavoro, per averlo ricordato oggi e per aver reso un meritato omaggio al presidente Allende.
Grazie per mantenere vivo il suo nome in Italia, in pieno XXI secolo.
MARCO CALAMAI
giornalista
R
icordare Salvador Allende nel centenario della sua nascita significa riflettere su una esperienza straordinaria di impegno umano e politico che ha profondamente segnato una generazione, quella di
molti di noi qui presenti, che negli anni
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Interventi
settanta, in Italia e altrove, si è impegnata
in prima persona nella lotta per gli ideali
della democrazia e della giustizia sociale.
Io stesso partecipai, prima nel 1976 e poi
ancora nel 1980, a due delicate missioni,
la prima per conto del Pci (si trattava di
aiutare i comunisti cileni clandestini dell’interno al partito che operava dall’esilio),
la seconda per conto della Cgil (insieme a
una delegazione sindacale e politica unitaria portammo il nostro saluto alla prima
manifestazione pubblica del sindacato cileno del 1° maggio). Ricordo oggi con
emozione, di fronte a Isabel Allende, figlia
del leader socialista, quei momenti di solidarietà internazionale e di partecipazione alla lotta dei compagni cileni e sottolineo le due parole prima citate, democrazia e giustizia sociale, poiché si tratta di
due elementi entrambi fortemente coniugati nell’opera del leader socialista cileno che oggi ricordiamo.
Salvador Allende è stato, lo sappiamo
bene, un personaggio chiave della
storia cilena del secolo scorso. E certo
non soltanto per la sua fine tragica,
vittima di una destra autoritaria che in
Cile come altrove (penso in particolare alla esperienza spagnola, il golpe del
generale Franco, un dittatore con tanti punti in comune con il generale Pinochet) ha interrotto con la violenza
delle armi un processo democratico
che si poneva come obiettivo di fondo
il superamento di profonde e antiche
disuguaglianze sociali. Salvador Allende era profondamente legato alla tradizione laica, socialista e democratica
cilena, un paese per molti aspetti unico nel panorama politico latino americano, fin da quando, durante le seconda metà dell’ottocento, si affermarono leggi di orientamento liberale di
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grande importanza come la proibizione della rielezione presidenziale; la
rappresentanza parlamentare di tipo
proporzionale che ha permesso l’espressione crescente del pluralismo
culturale e politico della società civile;
il voto a tutti gli uomini già nel 1885
(che sarà concesso anche alle donne
nel 1949); la piena libertà di culto; l’abolizione dei tribunali ecclesiastici.
Fu nella seconda metà dell’800 che
emersero le prime organizzazioni di
orientamento socialista. Come, negli
anni cinquanta, la Sociedad de la
Igualdad, circa tre deceni dopo, un
embrione di movimento operaio di
ispirazione socialista e anarchica che
fu certamente influenzato dalla Prima
Internazionale di Marx e Bakunin.
Una storia ricca di eventi che per molti aspetti appare particolarmente simile a quella europea dello stesso periodo. Ricordo, a questo proposito, la
strage, compiuta dai militari, dei lavoratori del salnitro a Santa Maria del
Iquique nel 1907 e, pochi anni dopo,
la nascita del Partito Operaio Socialista che diventerà successivamente il
partito comunista cileno.
Un percorso travagliato che continuerà a svilupparsi nel novecento. Negli
anni trenta, in particolare, con l’esperienza singolare dei cento giorni della
Repubblica socialista cilena nel 1932
e la successiva vittoria del Fronte Popolare (radicali, socialisti e comunisti
insieme) nel 1938 (in piena guerra civile spagnola). Gli anni trenta, così
come i successivi anni quaranta, sono
segnati in particolare da grandi lotte
popolari e da periodiche reazioni autoritarie da parte di una destra civile e
militare che, come in Spagna, ha co-
stantemente espresso una ideologia, la
“chilenidad”, molto vicina al “nacionalcatolicisimo” della destra spagnola.
Ideologia profondamente contraria ai
valori laici, repubblicani e socialisti
così presenti nella sinistra cilena come
in quella spagnola. Tra gli eventi più
significativi di questo periodo ricordo
ancora la costituzione della Ctc (Confederazione dei lavoratori cileni), il
movimento sindacale che anni più
tardi darà vita alla Cut, nonché la nascita, nel 1933, del partito socialista
cileno, risultato della fusione di diverse tendenze e organizzazioni prima divise di fronte al giudizio della esperienza sovietica e attraversate da un dibattito aspro, tra socialisti e comunisti
ma anche all’interno del partito socialista, che ancora una volta esprime
profonde analogie con quello del movimento operaio europeo tra le due
guerre mondiali.
Allende, il cui impegno politico inizia
alla fine degli anni trenta, ha svolto un
ruolo di primo piano nel partito socialista e nella vicenda politica cilena
negli anni cinquanta e sessanta. Ricordiamo due avvenimenti cruciali per
comprendere la natura e la dinamica
dei convulsi avvenimenti successivi: le
elezioni presidenziali del 1958, vinte
dal leader della destra Jorge Alessandri
e perse da Allende, candidato della sinistra per la seconda volta; le elezioni
presidenziali del 1964, vinte dal democristiano Frei con l’appoggio della
destra, alle quali il leader socialista
partecipa come candidato del Frap
(Fronte Rivoluzionario di Azione Popolare), alleanza tra socialisti, comunisti e radicali progressisti.
Il 1964 porta alla ribalta un dato di
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grande rilievo: l’esistenza in Cile di tre
blocchi politici e sociali, la sinistra, la
destra e il centro democristiano che
svolge un ruolo di cerniera tra i duopoli opposti, decisivo per lo sviluppo
politico del paese. Qui le somiglianze
con il mondo politico europeo riguardano in modo particolare la struttura
dei partiti nell’Italia del dopo guerra,
con una sinistra forte ma mai maggioritaria formata da socialisti e un forte
partito comunista e una Dc che gioca
un ruolo centrale, internamente divisa tra tendenze progressiste e componenti conservatrici. Nel 1964 la Dc di
Frei, fortemente sostenuta dall’amministrazione Usa che teme in America
latina nuove convulsioni contagiate
dalla rivoluzione cubana, dà vita a una
coalizione di centrodestra che ottiene
nelle elezioni dello stesso anno il 56
per cento dei suffragi. La sinistra di
Allende avanza ma si ferma al 36 per
cento dei voti.
Frei, favorito dalla politica Usa dell’Alleanza per il progresso, avvia un
programma riformatore che si propone il controllo delle risorse economiche fondamentali, in particolare le
miniere di rame, e di realizzare una significativa anche se limitata riforma
agraria. Frei è guidato dalla speranza
di fermare, con le riforme, la crescente protesta popolare. Così, nella seconda metà degli anni sessanta, il quadro politico cileno appare sempre più
legato alla dinamica dei rapporti interni alla Democrazia cristiana, forza
cerniera e quindi determinante della
dialettica politica. Il che spiega, certamente in parte, il grande interesse che
risveglia nell’Italia l’evoluzione della
vicenda cilena.
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Ma lo schema bipolare, come è noto,
non regge e la Dc si allontana dalla
destra conservatrice che aveva garantito la vittoria di Frei nelle presidenziali
del 1964. Nelle elezioni presidenziali
del 1970 Salvador Allende, il candidato della sinistra unita (l’Unione popolare formata da socialisti, comunisti,
radicali progressisti, i due Mapu e Izquierda cristiana ovvero le tre componenti che si sono staccate dalla Dc di
Frei ), ottiene, come nel 1964, il 36,2
per cento dei voti mentre il conservatore Jorge Alessandri è secondo a poca
distanza da Allende con il 35 per cento e Rodomiro Tomic, candidato della Dc ed esponente di punta dell’ala
sinistra del partito, è terzo con il 27,8
per cento. Ed è grazie al voto determinante della Dc di Tomic in Parlamento che Salvador Allende diviene Presidente del Cile.
Non è questa la sede per una riflessione approfondita della complessa e
drammatica esperienza di Unidad Popular nei mille giorni che precedettero il golpe. Ma alcuni punti credo che
vadano segnalati con forza. Il primo è
che l’ipotesi di una nuova Cuba nel
Cono Sud dell’America – paventata in
modo ossessivo dagli americani decisi a bloccare con ogni mezzo una
eventuale avanzata del comunismo in
un continente il cui controllo spettava, in coerenza con il rigido schema
bipolare delle guerra fredda, agli Stati
Uniti – non fu mai un obiettivo perseguito da Allende, socialista radicale
ma anche democratico convinto.
Malgrado ciò il complotto golpista,
perseguito con tenacia dalla destra
reazionaria – espressione dei grandi
interessi economici cileni e americani
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(le miniere di rame, la Itt, le grandi
banche, i latifondisti) – si mise in moto subito dopo l’elezione di Allende.
L’altro punto era l’estrema fragilità di
Unidad Popular che controllava l’esecutivo ma non il potere legislativo e
neanche quello giudiziario. Da qui la
gravità della mancata collaborazione
tra Unidad Popular e la Democrazia
Cristiana di fronte all’offensiva della
destra e alla minaccia di un intervento
militare contro il governo di Salvador
Allende. Non dimentichiamo, d’altra
parte, che nel 1970 e nel 1971, la Up
e la Dc cilena avevano due programmi sostanzialmente simili. Di questo
Allende fu consapevole, e quindi cercò in ogni modo di collaborare con la
Dc malgrado le spinte contrarie, che
pure erano ben presenti nella sua eterogenea coalizione e nello stesso partito socialista.
Salvador Allende non prese mai in
considerazione una scorciatoia di tipo
cubano per la quale oltre tutto, mancavano le condizioni data la cultura
dominante nelle Forze Armate, da
tempo strettamente legate a quelle
americane, come invece volevano alcuni gruppi ed esponenti della sinistra
che identificavano il moderato Frei
con tutta la Dc e non capirono o non
vollero capire che le riforme che facevano parte del programma di Up si
potevano imporre solo in un quadro
pluralista e democratico e quindi con
il consenso della stessa Dc, almeno di
una parte di essa.
L’esperienza cilena dei primi anni settanta dimostrò tante cose. Una in particolare. Che l’unica alternativa riformatrice al comunismo di stampo sovietico era possibile solo con il con-
senso largo delle forze sociali e politiche non identificabili con la destra
reazionaria e golpista. In altre parole:
il programma di governo di Unidad
Popular – che prevedeva non solo il
controllo pubblico dei settori chiave
dell’economia ma anche riforme istituzionali significative come la creazione di una unica Assemblea in alternativa al sistema bicamerale, il decentramento spinto dello Stato e nuove forme di partecipazione e di controllo
dal basso – poteva essere perseguito o
con il pieno accordo della Democrazia
Crisitiana, o almeno di una parte sostanziale della stessa, oppure con una
prova di forza che avrebbe rimesso in
discussione il tradizionale pluralismo
cileno.
Salvador Allende tentò la prima strada
fino all’ultimo. Ma si scontrò con il
disegno golpista, con le fratture ideologiche all’interno del suo schieramento, sfruttate cinicamente dalla destra, e si scontrò con i profondi contrasti nella Democrazia Cristiana.
La quale, malgrado la conferma di un
largo sostegno popolare a Unidad Popular (circa il 44 per cento dei voti),
nelle elezioni parlamentari del marzo
1973, confermò la svolta a destra del
partito che si era già consumata nel
1972. La Dc, abbandonando il suo
progetto di società che prevedeva un
“socialismo comunitario, pluralista e
democratico”, subì il golpe di Pinochet, considerato da un settore del
partito come il male minore nella speranza che sarebbe stata una parentesi
congiunturale.
Il sacrificio finale di Allende segnò tragicamente la sconfitta di un progetto
originale di socialismo nella libertà
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che non aveva precedenti in America
latina e che aveva suscitato, ovunque
nel mondo, enormi aspettative. Nel
Cile democratico la destra golpista è
stata isolata e la traumatica rottura tra
la sinistra tradizionale e la Dc è stata
superata. Oggi socialisti, democristiani e radicali governano insieme con
un primo ministro donna, Michelle
Bachelet. Una donna socialista, figlia
di un alto ufficiale torturato fino alla
morte dal regime per le sue idee democratiche. Un risultato storico per la
democrazia cilena, che è stato reso
possibile anche grazie all’impegno
unitario e al sacrificio personale di Salvador Allende.
Ma la sfida contro la povertà e le ingiustizie non è stata ancora vinta. Il
grande nodo, dopo il fallimento dell’utopia comunista, di come coniugare il pieno rispetto delle regole democratiche con il superamento della povertà e della emarginazione, è ancora
lì, di fronte a tutti noi, sia in Cile che
in altre vaste regioni del mondo. Anche per questo la riflessione su quanto
cercò di fare Salvador Allende negli
anni settanta del secolo scorso è più
che mai attuale. E certo non solo per
la sinistra cilena.
LUIS FUENTEALBA REYES
Cut Cile
I
l Programma di Unidad Popular contemplava la creazione di tre aree dell’economia: sociale, privata e mista. L’area
sociale era costituita dalle imprese statali
allora esistenti e prevedeva l’inserimento
al suo interno di un gruppo ridotto di società esercitanti in regime di monopolio
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Interventi
nel mercato o che avevano un’importanza strategica per lo sviluppo del paese. In
base alle sue prerogative legali, un organismo semiautonomo, la “Corporación de
Fomento de la Producción” (Corporazione di Promozione della Produzione) stabilì l’acquisto di azioni delle banche, affinché lo Stato potesse ampliare la sua partecipazione nel settore finanziario, passando dal 50 per cento che già aveva nel
1970 al 90 per cento della proprietà di istituti di credito.
All’inizio del governo Allende la disoccupazione riguardava il 9 per cento
della popolazione attiva. Era, in parte,
la conseguenza della crisi del sistema
industriale e, per altra parte, il risultato della campagna di destabilizzazione
economica ordita da Nixon e Kissinger per impedire l’ascesa del governo
di Unidad Popular.
Meno di tre anni dopo l’arrivo al governo di Allende, la disoccupazione
era diminuita notevolmente, fino ad
arrivare al 3 per cento, la quota più
bassa mai registrata da allora alla fine
del secolo. Un risultato che dimostrava come la disoccupazione di massa
non fosse un fenomeno senza vie d’uscita e che la sua soluzione dipendeva
innanzitutto dalle priorità che i governi decidevano di darsi.
Il governo Allende favorì la ripresa
economica, realizzò forti investimenti,
estese il credito alla produzione, promosse l’aumento delle rendite di alcuni settori d’importanza secondaria, si
oppose alla chiusura di molte imprese
e non permise licenziamenti di massa.
In poco tempo la produzione riprese
quota, raggiungendo la sua massima
capacità, e molte industrie dovettero
assumere nuovo personale e fare ricor-
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so a tre turni, per assecondare l’aumentata domanda.
Si fece ricorso a una politica di adeguamento delle retribuzioni rispetto
all’inflazione, al fine di difendere il loro potere d’acquisto e in alcuni casi di
aumentarlo. Si decise di incrementare
il salario minimo e gli assegni familiari. Le retribuzioni reali nel loro complesso aumentarono, anche se l’accelerazione dell’inflazione ridusse gli effetti degli incrementi. Ancora: fu garantita l’applicazione rigorosa dei diritti
sindacali e fu inaugurato un meccanismo inedito di contrattazione collettiva tripartita nei diversi settori della
produzione.
Il miglioramento del potere d’acquisto dei lavoratori consentì loro di soddisfare bisogni anche non primari. Gli
acquisti di elettrodomestici, come radio, televisori, fornelli e frigoriferi, aumentarono notevolmente.
Le pensioni beneficiarono delle misure generali di adeguamento, che avevano l’obiettivo di proteggerle dall’erosione dell’inflazione. Venne accolta
una richiesta, allora come oggi molto
sentita, vale a dire l’aumento delle
pensioni minime e la perequazione
delle pensioni di reversibilità.
Il programma per il superamento della denutrizione registrò risultati confortanti. Il consumo di calorie giornaliere arrivò a 2.070 nel 1971-72 e
quello di proteine a 74 pro capite, secondo una pubblicazione della Banca
Centrale del 1986, cifre mai raggiunte fino ad allora e che sono state superate solo nel pieno degli anni novanta.
Allende mise in pratica il “Programma
del Mezzo Litro di Latte Giornaliero”,
che venne consegnato gratuitamente
nei consultori medici e nelle scuole.
Per la prima volta fu stabilito il servizio odontoiatrico gratuito nelle scuole, un’esperienza mai più replicata in
seguito. Fu ampliata la presenza di
presidi sanitari nelle zone agricole,
mediante la costruzione di unità di
pronto soccorso e di servizi mobili.
Tra questi ultimi vale la pena ricordare il popolare “treno della salute”. Fu
stabilita anche la gratuità delle cure
nei policlinici e nei pronto soccorso. I
Comitati dei Condomini e i Centri
delle Madri furono invitati a partecipare alla direzione dei servizi pubblici
per la salute, dove ebbero la possibilità di rendere esplicite le loro richieste.
Molti consultori allungarono l’orario
giornaliero fino alle ore 21. Furono
organizzate campagne d’informazione
di massa per la prevenzione gratuita,
come nel caso del trattamento precoce delle malattie respiratorie, delle
diarree estive e della vaccinazione contro la poliomielite, che ebbe un grande successo. Al fine di rendere possibili i progressi nel settore della sanità,
lo stanziamento di bilancio fu aumentato significativamente, sia in volume di denaro, sia in riferimento al
Prodotto interno lordo.
I dati presi in esame dal Collegio degli
Architetti relativamente alla costruzione di case, un tema allora cruciale per
l’elevato deficit abitativo, hanno rivelato nel 1987 che gli indicatori medi
annuali durante il governo Allende
avevano superato di molto quanto
realizzato dai due governi precedenti e
ancora di più l’operato in materia della dittatura. Di fatto i programmi per
la casa furono tanto intensi da assorbire quasi per intero la capacità pro-
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duttiva del cemento, del legno e degli
altri materiali da costruzione.
Unidad Popular fissò al 20 per cento
delle retribuzioni il tetto massimo dei
pagamenti per il mutuo. Si cominciarono a costruire terme e alloggi estivi
a basso costo. L’assegnazione di nuovi
alloggi si svolse con la partecipazione
dei comitati dei senza casa.
Durante il governo di Salvador Allende le donne di sinistra portarono a
compimento una campagna di ampio
respiro nel campo dell’istruzione. Fu
emanata in quegli anni la legge
17.301, che creò la prima rete pubblica e gratuita di asili nido e di scuole
materne. Alla fine del 1973 frequentavano quegli istituti 80.000 bambini,
cifra che si ridusse drasticamente nei
due decenni successivi.
Sempre sotto il governo di Unidad
Popular fu realizzata una campagna di
alfabetizzazione di massa. Nelle scuole
elementari si registrò un forte aumento delle iscrizioni, mentre negli istituti pubblici furono distribuiti gratuitamente milioni di libri e furono potenziati i servizi per la distribuzione delle
colazioni e dei pranzi nelle scuole.
Non solo. Fu stabilita per la prima
volta un’assicurazione contro gli infortuni negli istituti, mentre si registrarono incrementi delle frequenze, in misura minore, nelle scuole medie e, con
risultati ancora più apprezzabili, nelle
scuole tecnico-professionali e in quelle serali. Le iscrizioni nelle scuole superiori registrarono un aumento spettacolare, pari a oltre l’80 per cento.
Per favorire l’ingresso dei lavoratori
nelle università fu predisposto un programma, frutto di una convenzione
Cut-Ute, che prevedeva borse di stu-
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Interventi
dio, corsi per adulti e iniziative di formazione nei posti di lavoro. E durante l’esperienza di Unidad Popular fu
anche stabilita, nell’ambito della riforma universitaria, l’elezione dei rettori
e delle altre autorità degli atenei, con
la partecipazione degli accademici, degli studenti e dei funzionari.
Con il sostegno del governo, si sviluppò un movimento di artisti, con presenze d’eccellenza, ma anche di massa
e popolare. Fra le sue espressioni più
importanti, sono da ricordare la musica sociale e popolare, con la partecipazione di autori e interpreti famosi nel
mondo; l’originale arte dei murali,
che ebbe la stimolante influenza di
Roberto Matta; la pubblicazione in altissime tirature e a bassi prezzi di libri
di letteratura nazionale e universale, a
carico dell’Editoriale dello Stato Quimantú; il nuovo cinema cileno, favorito dall’impresa statale Chile Films,
che promosse la produzione nazionale
di opere cinematografiche e garantì la
distribuzione commerciale.
I diritti umani furono rispettati, le libertà pubbliche garantite. L’opposizione poté continuare a svolgere il suo
ruolo, con i propri partiti politici e il
controllo di importanti mezzi di comunicazione, nonostante fra questi,
finanziati dalla Cia, ci fosse chi promuoveva il rovesciamento del governo. Si svolsero normalmente le elezioni per rinnovare gli enti locali e quelle
per il Parlamento. In queste ultime,
nel marzo del 1973, Unidad Popular
ottenne il 43,4 per cento dei voti,
confermandosi la prima forza politica
del paese (l’unico caso di un partito
nella storia cilena che, una volta giunto al governo, sia riuscito ad aumenta-
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re i voti), tre anni dopo la prima vittoria elettorale.
Allende rafforzò la sua politica volta
ad ampliare la democrazia e i diritti
umani, sociali ed economici. Fece varare l’emendamento che conferiva il
diritto di voto agli analfabeti e ai diciottenni. I diritti dei lavoratori furono ampliati.
Fu riconosciuto il diritto alla partecipazione dei lavoratori nella guida delle aziende del settore sociale e al controllo del buon funzionamento delle
aziende del settore privato.
La Centrale Unitaria dei Lavoratori
(Cut) fu riconosciuta legalmente e fu
consultata su tutte le scelte politiche
più importanti del governo, mentre
diversi suoi dirigenti furono nominati
ministri. La Cut arrivò a contare oltre
900 mila affiliati, il 30 per cento di
tutta la forza lavoro, numeri ancora
non superati trent’anni dopo. La Centrale mise in atto l’elezione diretta della propria dirigenza, mediante il voto
degli iscritti e con il coinvolgimento
di tutte le sue componenti ideologiche. Gli operai rappresentarono un
pilastro del governo. Gran parte di essi diede il suo voto ad Allende in occasione degli appuntamenti elettorali,
si riversò più volte in strada per difendere l’esecutivo di Unidad Popular e
spese ogni energia per aumentare la
produzione, risparmiare le risorse e
proteggere le industrie dal sabotaggio
dei padroni.
Salvador Allende promosse la prima
legge che riconobbe i diritti al popolo
mapuche. Il progetto originario fu
messo a punto consultando le organizzazioni indigene, anche se alla fine
la legge 17.717 risultò snaturata al
momento di essere approvata dal
Congresso. Il governo popolare, comunque, riuscì a consegnare 70 mila
ettari di terra alle comunità indigene,
contro i 1.400 ettari degli esecutivi
precedenti.
Oltre ai salariati agricoli, anche i contadini e le cooperative si organizzarono per essere coinvolti nei processi
produttivi e nelle politiche del governo. I centri delle madri, i consigli di
condomini, le federazioni studentesche giocarono un ruolo rilevante nella vita economica e politica del paese.
Per prima volta si organizzò un movimento di massa dei consumatori, attraverso i Comitati di rifornimento e
prezzi, che esercitavano il controllo
dei prezzi e collaboravano nella distribuzione dei prodotti essenziali. I Collegi dei Professionisti furono molto attivi, anche se alcuni di essi si opposero fortemente al governo. Allo stesso
tempo si sviluppò la partecipazione
attiva delle associazioni dei commercianti ambulanti, degli artigiani e dei
camionisti, anche se una gran parte
dei ceti medi si lasciò influenzare dall’opposizione.
In generale il governo di Allende lavorava per un ampliamento della democrazia, per una democrazia partecipativa, per l’indipendenza nazionale e
per la solidarietà con i popoli in lotta.
La politica internazionale del governo
di Unidad Popular rappresentò una
svolta profonda rispetto a tutti i governi precedenti. Per la prima volta gli
Stati Uniti persero il potere di condizionare la politica di un governo cileno. E neppure il Fondo Monetario Internazionale poté dettare le sue ricette
in materia economica.
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GIULIANO VASSALLI
presidente emerito della Corte
Costituzionale
S
ono particolarmente grato alla Cgil,
qui rappresentata dal suo segretario
generale Epifani, e alla Fondazione Di
Vittorio, presieduta da Carlo Ghezzi, per
questo invito in occasione del centenario
della nascita di Salvador Allende. L’appassionato discorso di Luis Fuentealba Reyes
mi porta a ringraziare prima di tutto gli
amici e i compagni cileni che sono voluti
intervenire in questa cerimonia romana.
Naturalmente, il primo saluto che mi viene spontaneo è all’onorevole Isabel Allende, che è qui presente fra noi, e che nella
sua vita travagliata, e importante per il suo
paese, ha dato prova della continuità rispetto al proprio padre, al suo sacrificio, al
suo messaggio. Accanto a lei, vorrei fare
un omaggio sincero alla madre Ortenzia
Bussi. E ricordo anche la zia Laura Allende, sorella di Salvador Allende, la sorella
minore Beatriz, vinte dal dolore lungamente sofferto. Le vicende della cerchia
dei familiari, ma anche quelle dei compagni, dei seguaci, del compañero presidente, sono state sempre seguite con attenzione qui in Italia, e non solo dai socialisti
o dagli ambienti di sinistra ma da tutti i
democratici sinceri.
Siamo grati di questa presenza di Isabel Allende. Suo padre è stato ricordato questa mattina, nella dimensione
che riguarda la sua attività politica e il
suo svolgimento fin dalla più giovane
età, dalle relazioni di Carlo Ghezzi e
di Marco Calamai. E non mi sentirei
di aggiungere nulla che possa fornire
un contributo migliore di quello da
loro portato con grande consapevolezza e conoscenza della materia. Vorrei
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Interventi
soltanto ricordare che furono proprio
le riforme sociali qui menzionate,
quella sanitaria, quella agraria e altre
ancora, a determinare la tragica caduta di Salvator Allende. Il suo sacrificio
è strettamente legato a quelle vittorie,
o a quei tentativi di successo, in una
linea di progresso sociale, di giustizia e
di libertà, di cui Salvator Allende rimane e resterà il simbolo non solo nel
suo paese ma in tutto il mondo. A determinare la sua caduta furono, appunto, proprio le riforme sociali da lui
tentate o da lui preannunciate, insieme naturalmente ai compagni delle
formazioni che lo sostenevano e lo
portarono all’elezione a presidente del
Cile nel 1970. Purtroppo nella cerchia
dei suoi avversari, come pure è stato
bene ricordato dagli oratori che mi
hanno preceduto, si è trovata in quel
determinato momento la Democrazia
Cristiana. Certamente l’esperienza di
Unidad Popular, sotto quel profilo,
non fu coronata da successo. Ma gli
avversari erano tanti, e in tutto il
mondo, e non si può dimenticare purtroppo il contributo alla caduta economica del regime di Allende dovuto
alla crisi determinata dalla disponibilità del rame, ai sospetti, così bene illustrati dagli oratori precedenti, relativi
alla considerazione del valore e del significato della sua opera politica, nonché all’avversione degli Stati Uniti.
Nel 1998, venticinque anni dopo
quei fatti, Magdalene Albright, capo
del dipartimento di Stato, ricorda che
fu un grande errore degli Stati Uniti
avere avuto quei timori, e soprattutto
non aver appoggiato ma avere contrastato l’ascesa e il consolidamento della
posizione di Allende. Riconoscimento
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molto tardivo, a dire il vero. Ma se si
rivedono i documenti di quella storia,
ci si accorge che il contributo negativo degli Stati Uniti, soprattutto da
parte di Kissinger, fu molto grave. Nel
1970, all’annunciarsi della vittoria democratica di Allende e della sua ascesa alla presidenza della Repubblica,
Kissinger tenne delle conferenze, in
particolar modo una conferenza a
Chicago nel 1970, nella quale – faceva capire – “non lasceremo passare
questa esperienza, non la tollereremo
oltre un certo limite”. Ci sono prove
schiaccianti, e sono prove di una storia molto dolorosa, che però vanno
onestamente ricordate.
Fatto sta che la Democrazia Cristiana
gli si pose contro, in quel momento
supremo, e si arrivò addirittura a un
compromesso fra il presidente Allende
e i militari. Tra quei militari si stagliò
la figura, possiamo dire la figura di un
figuro veramente detestabile nella storia del secolo scorso: Augusto Pinochet, che era diventato comandante
delle forze armate quando era vicino
ad Allende. Tutti ricordiamo le fotografie che ritraggono il generale Pinochet accanto al presidente Allende,
pochi giorni prima dell’infame tradimento compiuto. È una storia veramente drammatica, che non deve essere dimenticata. Fu un tradimento
mostruoso, certamente. Ma fu soprattutto un piombare nella peggiore barbarie nel cuore del ventesimo secolo.
Salvador Allende rimane una figura
assolutamente caratteristica e meritevole di considerazione umana e politica. Quella sua raffigurazione nel palazzo della Moneda, con l’elmetto in
testa e il fucile imbracciato, l’11 set-
tembre del 1973, è un’immagine che
ha colpito tutti, non solo i suoi sostenitori, i suoi amici, non solo coloro
che guardavano a lui con tanta simpatia, anche fuori dal Cile, ma ha colpito il mondo intero, perché era il simbolo di un uomo che si sacrificava fino al momento supremo, senza altri
compromessi. Si sacrificava per le proprie idee, guardando al destino del
proprio paese, della sua classe lavoratrice, della democrazia. E poi le sue
parole, pronunciate in discorsi che
immediatamente precedono la sua
scomparsa, sono la testimonianza di
un uomo politico pienamente consapevole dei rischi che correva, perseverando tuttavia nella sua meta, volta alla libertà, alla giustizia. In uno di quei
discorsi egli rappresentava addirittura
la possibilità del proprio assassinio,
quasi come una certezza.
Quindi, ogni volta che uno pensa alla
sua figura, è colto da un’emozione
profonda, ed è quella che ha portato
tanti a interessarsi successivamente di
quelle vicende. Io ho conosciuto e frequentato molti compagni e amici cileni anche qui in Italia, qui a Roma, e
ho adottato i cileni che passarono parte del proprio esilio a Roma. In modo
particolare mi è caro ricordare qui il
vicepresidente del Partito Radicale,
Benjamin Peplinski, il quale fu detenuto per due anni e mezzo, e fu passato per tutti gli internamenti possibili e immaginabili del territorio del Cile. Eravamo molto amici. Poi lo rividi
dopo il cambiamento di regime, alla
fine degli anni novanta, e forse ancora
nei primi di questo secolo. Era diventato ministro, e purtroppo è mancato
prematuramente. Scusate questa mia
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partecipazione alla sua memoria.
Ecco, la storia e la vita di Salvator Allende seguono nella mia mente un
duplice filone. Il primo è quello della
sua vita fino all’esito mortale dell’11
settembre 1973. Il secondo è quello di
una sua vita immortale, di una sua vita che si è proiettata, come un’ombra
protettiva, attraverso le infinite sofferenze dei suoi seguaci, dei suoi compagni, dei suoi familiari, ed è stata
sempre presente, anche dopo la morte
corporale. È la storia degli anni successivi al 1973, diciassette anni, perché l’allontanamento di Pinochet dalle cariche governative, anche dopo che
non era più presidente e che un plebiscito lo aveva condannato, è continuato fino al 1990.
Il 1990, tra l’altro, fu l’anno della traslazione delle spoglie di Salvador Allende nella tomba familiare. Solo allora ci furono grandi riconoscimenti,
anche di coloro che gli erano stati avversi, come il democristiano Patricio
Alwyn, che si trovò a essere presidente del Cile in quel periodo. Ebbene,
furono diciassette anni di sofferenze di
gran parte del popolo cileno. Furono
colpiti tutti i ceti, non soltanto i lavoratori, non soltanto i sospettati di essere persone di sinistra o aderenti a
Unidad Popular, non soltanto i numerosissimi studenti, perché bisogna
pure ricordare la profonda adesione
del mondo giovanile alle idee di Salvador Allende e alla bandiera di Unidad Popular. I giovani si sacrificarono
e furono sacrificati dalla persecuzione
di Augusto Pinochet. Ebbene, uomini
politici, intellettuali, contadini, operai
naturalmente, furono ricercati e perseguitati. La famosa carovana della
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Interventi
morte andò a scovare i suoi avversari
fino nel nord e nel sud estremo del
Cile. In quella contingenza si contarono 76 vittime scelte una per una tra i
dirigenti locali della provincia, sindacalisti naturalmente. Si tratta di una
cifra irrisoria se si pensa ai dati rievocati dalle varie statistiche compiute
dalle commissioni internazionali che
si sono occupate, con ogni possibile
diligenza, di questi problemi. Una di
queste – mi consentirete questi piccoli squarci e ricordi successivi alla morte di Salvador Allende, ma legati strettissimamente alla sua figura – fu appunto la Commission internacional
de investigacion de los crimines della
giunta militare in Cile. “Crimines”
perché la storia di quei 17 anni è
un’autentica storia criminale, che si
segna negli annali della vita internazionale con questo marchio. Intendiamoci, nessuno di noi è così ingenuo
da non sapere, o da chiudere gli occhi
sul fatto che dopo le rivoluzioni, dopo
i colpi di stato, avviene – è sempre avvenuta nella storia – la persecuzione
sistematica e terribile degli avversari
politici, veri o presunti. Però noi siamo nel 1973 e negli anni seguenti.
Siamo a duecento anni dalla rivoluzione francese, cinquant’anni dopo la
rivoluzione russa. Un mondo profondamente cambiato. Nella coscienza
universale erano penetrati a poco a
poco i concetti di intollerabilità del
crimine politico.
Ricordo i giuristi che, subito dopo la
Seconda guerra mondiale, elaborarono anche la categoria dell’oppressione
politica come una categoria degna di
stare a fianco dei delitti contro l’umanità. Così come si trovarono limiti al-
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la guerra, attraverso l’incriminazione
dei crimini di guerra, attraverso il ripudio e la non accettazione degli orrori di cui si profittava nello stato di
guerra, così, parallelamente, anche nei
colpi di Stato, anche nelle rivoluzioni,
si venivano affermando principi che
rendevano assolutamente intollerabile
questo ritorno indietro rappresentato
dalla situazione cilena di quei diciassette anni. Diciassette anni perché ci
furono persecuzioni gravissime ancora
negli anni 80. Ci fu una persecuzione
particolare dei contadini nel 1984,
soffocata nel sangue senza che questi
si aspettassero una reazione così terribile. Non abbiamo il tempo per rievocare qui questa storia criminale, che
però si riassume in alcune cifre attendibili: 8 mila morti in azioni; almeno
2 mila 400 uccisi o desaparecidos; 5
mila detenuti internati politici nel primo e nel secondo anno.
Debbo ricordare con particolare simpatia la presa di posizione dei paesi
nordici d’Europa, che furono particolarmente colpiti dalla considerazione
di quelle vicende che in quell’epoca,
dopo la seconda guerra mondiale, negli anni 70 del secolo, sembravano
impossibili e inaccettabili. La Commission internacional de investigacion
de los crimines della giunta militare in
Cile, di cui anch’io ho fatto parte, era
presieduta da un finlandese già ministro della Giustizia in Finlandia. Naturalmente c’era anche il rappresentante dell’Unione Sovietica, che era
un valorosissimo giurista, membro
dell’accademia delle scienze, che ha
mantenuto una significativa posizione
anche dopo il 1989. Queste commissioni dovevano operare, dovevano ac-
quisire dati, dovevano incontrare gli
esuli e i perseguitati, dovevano stabilire contatti di ogni specie. Per questo ci
riunivamo periodicamente. Ricordo
Copenhagen, Helsinki, e ricordo Città del Messico, dove nel febbraio 1975
si tenne la terza sessione della Commission internacional. Ci eravamo divisi i compiti e io feci una relazione
sugli arresti arbitrari. Fece una breve
relazione anche Guido Calvi, che era
stato a Santiago l’anno precedente, nel
1974, e partecipava attivamente. Dovevamo difendere entrambi Clodomiro Almeida. Poi però Almeida fu oggetto di uno scambio e il processo non
ebbe più luogo. Ciò che mi ha destato particolare emozione – scusate se
ne parlo ma tutto è collegato alla figura del presidente Allende – è stato vedere che in questo volume su cui appare anche un mio scritto c’è una bellissima relazione, scritta da Osvaldo
Letelier, che era stato ministro degli
Esteri e collaboratore di Allende, sugli
aspetti costituzionali, lo stato di guerra, il mutato stato di assedio nel 1974,
nell’anniversario dell’11 settembre.
Poi Osvaldo Letelier fu ucciso a Washington nel ’75, l’anno successivo a
questo incontro, perché il governo di
Pinochet perseguiva i propri avversari
anche fuori dai confini del Cile.
Non mancarono naturalmente gli attentati, come quello contro Carlos Altamirano, alcuni dei quali non andarono a segno.
Ripercorrendo le pagine di questo volume destano particolare impressione
il ricordo affettuoso e le testimonianze di molte vedove di vittime della dittatura di Pinochet, le quali erano state
a loro volta, assieme alle figlie e ai fi-
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gli, vittime di un internamento prolungato, ed erano passate attraverso
tutte le sofferenze che comporta un
internamento di anni, nelle condizioni in cui si svolgeva. In particolare c’è
il ricordo del generale Alberto Bachelet, il quale morì dopo pochi mesi di
detenzione. Era molto giovane, aveva
48 anni, ed era un validissimo generale. Ci sono qui i documenti e le narrazioni della moglie, Angela, e della figlia, Michelle Bachelet, alla quale va il
nostro pensiero perché, com’è stato ricordato, anch’essa, nella continuità
del padre, delle sue sofferenze e delle
idee continuamente coltivate attraverso l’esilio, è divenuta presidente del
Cile. Data anche la partecipazione
dell’ambasciata cilena all’organizzazione di questa seduta, non possiamo
non rivolgerle, da lontano, il nostro
omaggio devoto e gli auguri per il suo
grande paese. Grande paese perché il
Cile – adesso non è il momento di
parlarne, ma i giuristi lo sanno – ha
una tradizione speciale nell’America
Latina, che è una tradizione di libertà,
di costituzionalità, di giustizia,. Una
tradizione che poi fu così duramente
interrotta.
Non posso soffermarmi oltre sulle infinite cose che vorrei dire, ma la figura di Salvador Allende resta come
un’ombra di protezione verso tutti
coloro che hanno tanto sofferto, verso coloro che sono periti e coloro che,
fortunatamente, sono sopravvissuti.
È come un’ombra fraterna che si
proietta. Aveva solo 65 anni quando
perse la vita, e infatti celebriamo il
centenario della sua nascita. È come
un’ombra paterna, affettuosa, di chi
crede nella libertà, nel progresso civi-
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Interventi
le e sociale, un’ombra che si proietta
su tutti gli uomini di buona fede, su
tutti gli uomini amanti della giustizia
e della libertà.
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CONCLUSIONI
Dalla parte di chi aveva
la ragione e non la forza
Guglielmo Epifani, segretario generale Cgil
R
ingrazio i nostri amici, i compagni e gli ospiti che hanno
accolto l’invito a questo momento di riflessione e di celebrazione
della figura e dell’opera di Salvador
Allende, a cent’anni dalla sua nascita.
Un ringraziamento affettuoso va innanzitutto a Isabel Allende, alla figlia
del presidente, che ha voluto portare,
con la sua presenza, la testimonianza
di un rapporto molto profondo che
lei e la sua famiglia hanno avuto e
hanno con il nostro paese, con la sinistra e con i democratici, con il movimento sindacale italiano. Ringrazio
Giuliano Vassalli. Quando prima parlava delle torture di Pinochet non potevo non pensare che Giuliano è passato per il carcere di via Tasso. Nelle
sue parole vibrava lo sdegno di un uomo che ha attraversato, qualche decennio prima, la stessa dolorosissima e
disumana esperienza. Voglio ringraziare Giuliano Vassalli perché è una figura che, anche nel panorama politico
italiano di questi tempi, si staglia con
una sua forza, un rigore morale del
quale gli dobbiamo essere tutti molto
grati. E soprattutto gli devono essere
grate la democrazia italiana e la nostra
repubblica. Ringrazio Luis Fuentealba
Reyes, e colgo l’occasione per confermare i nostri vecchi, tradizionali, ma
anche i nuovi rapporti di amicizia e di
solidarietà con la Cut cilena, della
quale conosciamo bene non solo la
straordinaria storia ma anche le attuali difficoltà. Quelle difficoltà che, come tutte le grandi centrali confederali, oggi siamo chiamati ad affrontare
in tutto il mondo.
Ringrazio Marco Calamai, che è stato
il protagonista italiano di quelle vicende, la Fondazione Di Vittorio, e Carlo Ghezzi, per aver voluto organizzare
questo ricordo.
Per parte mia voglio fare solo tre considerazioni. È complicato aggiungere
altro alle cose già dette, soprattutto se
dette da persone che, di questa vicenda, sono state protagoniste dirette.
Prima considerazione. Ancora oggi
facciamo fatica a separare un’analisi
storica un po’ distaccata da quelle vicende e dalla figura di Salvador Allende. Non ci riusciamo, c’è poco da fare: prevale la passione, prevale l’emozione, il ricordo di quegli anni che si è
stagliato nelle nostre vite, nelle nostre
generazioni, o almeno nella nostra generazione media, con una forza e una
violenza che non ci fanno guardare a
quei fatti con il distacco necessario.
Mi ha molto colpito, ad esempio, una
riflessione che ho ritrovato nell’unico
libro dedicato a Salvador Allende che
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sia mai stato edito in Italia, un libro
dell’Ediesse, secondo la quale non riusciamo ad avere biografie su Salvador
Allende e ricostruzioni storiche di
quel periodo. Parlo per l’Italia ma,
ahinoi, vale anche per il Cile e per il
Sud America. La ragione è sempre la
stessa: quando devi misurarti con una
ricostruzione storica hai bisogno di
quel distacco che ancora oggi, malgrado siano passati molti decenni, non
siamo ancora in condizione di avere,
tanto forte è stata l’immedesimazione,
tanto forte è stato il simbolismo etico
di quella vicenda, di quella storia. E
forse è bene che sia così.
Va aggiunto però un dato. Quando ricostruiamo quella vicenda con la passione che ci accompagna, andando
anche a scandagliare nei nostri ricordi,
dobbiamo pur dire che era una vicenda inserita in anni straordinariamente
terribili e densi di novità nel panorama mondiale. Era la fine degli anni
60: si risvegliava un grande movimento operaio europeo, nasceva quello
studentesco; si sviluppava un grande
processo di liberazione, di giustizia e
di uguaglianza nel rapporto tra uomo
e donna; cresceva la libertà nelle nostre democrazie; la democrazia che entrava nei luoghi di lavoro e si riscopriva una dimensione collettiva, che superava qualsiasi ambito e dimensione
individuale; si rompevano vecchi
schemi, vecchie appartenenze. Però
furono anche anni segnati da una reazione fortissima a questi processi di liberazione: il nostro autunno caldo e la
strage di piazza Fontana, la morte di
Salvador Allende e i militari che entrano in Grecia, il fascismo, che noi
oggi vediamo come un fatto di cui te-
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Conclusioni
miamo sempre il risorgere ma come
un fatto storicamente consumato, e
che allora, invece, era presente in quasi tutti i paesi del Mediterraneo, ad eccezione dell’Italia; e ancora il Sud
America dove, di fronte ai grandi processi di liberazione, alle grandi illusioni della rivoluzione – gli anni di Che
Guevara, il castrismo che vince la sua
battaglia –, si avranno i grandi processi di oppressione che porteranno, prima in Cile e poi in Brasile e in Paraguay, a quella eclisse della democrazia,
a quell’affermarsi della dittatura che
segnarono per un ventennio la storia
di quei paesi e di quelle generazioni.
Noi abbiamo attraversato quella storia, ne siamo stati testimoni, ciascuno
a suo modo.
Anch’io ricordo quel giorno all’Adriano, quando Pietro Nenni commemorò la figura di Allende. Io ero allora un
giovane socialista e avevo poco più di
20 anni. E ricordo quando venne a
Roma Carlos Altamirano. Mi è rimasta stagliata la figura di quest’uomo
lungo, ammantato di leggenda, che
solo chi ha vissuto quegli anni può capire, di quest’uomo della sinistra socialista che sembrava, ed era, rappresentante coerente di un filone storico
e politico, che era stato sconfitto ma
manteneva una sua straordinaria attualità. Lo dico perché anch’io devo
mettere insieme il ricordo di quegli
anni, le mie emozioni e poi la riflessione storica, quella che mi porta a dire che, in realtà, una parte di quelle vicende – e forse non poteva che andare così – fu anche segnata da qualche
errore, da qualche contraddizione, da
qualche straordinario problema irrisolto. Sarebbe cambiata la storia se, ad
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esempio, i primi atti del governo Frei
– quelli dal ’64 al ’66, quando Frei
iniziò a misurarsi con la riforma agraria, con quella sanitaria, e con un primo processo di nazionalizzazione della proprietà delle miniere del rame attraverso un indennizzo da dare ai proprietari statunitensi – fossero stati più
sostenuti, anche dalle sinistre? E si potevano sostenere, con le sinistre di allora, queste cautissime, prime aperture riformatrici? Il non averlo fatto, e la
consunzione del governo di Frei alla
fine degli anni sessanta, non contribuivano a lasciare un Cile difficilmente governabile, già allora, per le sue
straordinarie contraddizioni sociali ed
economiche interne?
Quando Allende vinse con poco più
di un terzo dei voti, trentamila voti di
differenza tra lui e Alexandro, vi erano
tre blocchi sociali e storici consolidati:
quello di destra, legato in un rapporto
stretto alle grandi multinazionali e all’aristocrazia fondiaria, quello di centro, democristiano, dove si agitavano
già allora pulsioni e divisioni tra una
maggioranza che guardava a destra e
una minoranza che iniziava a guardare
con grande interesse al programma
che poi sarebbe stato quello di Unidad
Popular, e la sinistra che aveva poco
più di un terzo di voti e, per di più, al
proprio interno aveva almeno 4-5 filoni culturali e politici che si ritrovavano
nel programma ma non erano assolutamente omogenei: l’esperienza armata del Mir, l’esperienza dei comunisti
cileni, più moderati dei socialisti ma di
osservanza sovietica, e le correnti socialiste. E mi piace qui ricordare che
Salvador Allende non fu mai in maggioranza, nel suo partito. Fu sempre in
minoranza, a conferma di quanto
complesso sia stato il processo storico
e politico della sinistra cilena.
La seconda considerazione che voglio
fare è che, se si guarda alla biografia di
Salvador Allende, si scoprono nella
sua vita due fedeltà profonde. La prima, è stato ricordato, quella al suo
paese. La storia politica del Cile è fatta anche dalla storia delle grandi famiglie che ritornano: tra i presidenti di
prima e i presidenti di oggi voi ritroverete quasi sempre nomi che corrispondono, figli di..., parenti di..., perché così è fatta la storia del Cile, e
questo risale all’ottocento, quando il
Cile si liberò dalla secolare oppressione della Spagna.
Allende appartiene a una famiglia importante, non di primissimo rango all’inizio, ma in cui il padre, il nonno e
il bisnonno sono stati importanti. E
appartiene a quel filone culturale che
aveva combattuto contro la Spagna, e
ciò che la presenza spagnola ha significato per il Cile. Una famiglia profondamente laica, “radicale”. Da qui il
suo rapporto con la massoneria. Oggi
noi in Italia abbiamo un’idea diversa
della massoneria ma, in un paese come il Cile, la massoneria ha significato appartenenza a un movimento, a
un’organizzazione che combatteva il
privilegio del latifondo e l’interferenza
della Chiesa in tutte le parti della vita
civile del paese. Salvador Allende è figlio di questa storia. Lo è nelle sue coerenze, lo è nei momenti in cui la sua
vita, anche politica, è fatta di contraddizioni. Allende è sempre stato visto,
da amici e da avversari, come figlio e
protagonista di questa storia.
La seconda fedeltà è agli ideali. Sono
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ideali di fraternità derivati da quelli
della rivoluzione francese.
È stato detto che Allende è anche una
figura giacobina e in questo gioca anche un rapporto con alcuni forti valori della massoneria cilena. Allende
giunge al marxismo dopo, non prima,
e attraverso un incrocio con esperienze multiformi. Il movimento anarchico italiano ha un peso culturale anche
nella vicenda politica del Cile. In quegli anni, forse, Enrico Malatesta era
conosciuto in Cile più di quanto non
lo fosse in Italia.
Salvador Allende si forma in quella
temperie politica. Naturalmente quei
valori si riflettono nella sua vita. Allende non è un uomo di progetto,
non è uno studioso di programmi, è
sostanzialmente un grande uomo d’azione. Per questo si è parlato di giacobinismo a proposito di Salvador Allende, uomo straordinariamente capace di incarnare un rapporto con le
persone, e soprattutto con i diseredati, con gli umili che incontrò da giovane (perché per alcuni anni la sua famiglia visse nel nord del Cile) accanto
a una concentrazione di operai che lavoravano nelle miniere di salnitro, prima ancora che in quelle di rame. È
qui che Allende si forma ed entra in
rapporto con la questione sociale. Un
rapporto che poi ritrova col peregrinare della famiglia nel sud e nel centro
del Cile, a Valparaiso. A Santiago arriverà più tardi.
Allende ha chiaro il rapporto che lega
la difesa della democrazia e del pluralismo con quella dell’uguaglianza e del
riscatto dei diseredati, degli ultimi.
Ma voglio anche dire che, nella storia
di Allende, non c’è linearità neppure
32
Conclusioni
nell’idea e nel concetto di democrazia.
Per quasi tutta la vita la sua idea è simile a quella della democrazia liberale, con un contenuto di democrazia
sostanziale. Arriva però un momento
in cui, nel partito socialista cileno, entra il messaggio dell’identità marxista
leninista. La storia e lo sviluppo del
movimento socialista e della sinistra
cilena si sono nutriti anche di questa
complessità e di questa contraddizione. A questa fedeltà corrisponde un rigore morale straordinario. Io vedo qui
la caratteristica più forte di Salvador
Allende. Questa sì che gli deriva dalla
sua formazione, e ha fatto sì che la
moralità dei comportamenti e la coerenza con gli obiettivi guadagnassero
uno straordinario primato.
Riflettendo sulla storia del socialismo
italiano, userei un aggettivo che in
parte si è affacciato anche nella nostra
storia, con la corrente degli intransigenti. Allende era un intransigente,
un uomo dallo straordinario rigore,
duttile tatticamente, ma l’obiettivo e
la fedeltà a quell’obiettivo restavano
fondamentali. Con la sua coerenza di
uomo politico, e soprattutto con la
sua coerenza personale e umana, si
spiega un tentativo che poche volte è
riuscito nella storia. Il tentativo di un
uomo quattro volte candidato alla
presidenza, tre volte sconfitto, in minoranza nel suo partito ma capace di
tenere assieme i partiti e i movimenti
della coalizione. Lula è stato un altro
personaggio politico che, dopo aver
perso tante elezioni, ha avuto la forza
e la coerenza di rinnovarsi e di ritrovare poi, con la sua vittoria, un compimento al suo ruolo e alla sua azione.
Quando diventa presidente della Re-
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pubblica Allende eredita una situazione molto difficile. Giustamente si è
parlato di responsabilità esterne, di responsabilità americane, ma la difficoltà è soprattutto all’interno. L’azione di
riforma fondiaria lascia aperti due
problemi: da un lato i latifondisti, che
accusano anche il governo Frei di avere fatto espropri senza indennizzi, dall’altro una massa di contadini poveri,
alla ricerca di terra da lavorare. In quegli anni pesa l’eredità di una difficile
situazione economica, mentre la principale risorsa del Cile è sostanzialmente in mano alle compagnie nordamericane. Nazionalizzare una compagnia, oggi lo sappiamo, può essere necessario ma non sufficiente. Questo è
il caso, ad esempio, quando un governo espropria e tiene la proprietà di
una compagnia ma non ha la rete
commerciale, il controllo dei mercati,
tutto ciò che poi ti consente di valorizzare la risorsa di cui entra in possesso. In Cile si aggiunge a questa situazione il fronte esterno, perché Stati
Uniti, Fondo monetario e Banca
mondiale fanno mancare al paese i
crediti necessari per far funzionare l’estrazione del rame. Strangolato da
dentro e da fuori il Cile non può sopravvivere in questa condizione.
Questa fu un’analisi onesta di quegli
anni e di quelle vicende. Allende ha
pagato con la vita la coerenza al suo
disegno, la difesa intransigente dei
suoi valori, e ha pagato per il tradimento di molti, a cominciare da quello dei militari e delle persone di cui si
fidava. Ed è un tradimento che i militari fecero anche verso se stessi, uccidendo, prima e dopo, i comandanti
militari la cui fedeltà democratica si
sapeva più forte delle ragioni che altri
potevano imporre.
Ho già detto che erano anni molto
complessi. La divisione del mondo in
due, il ruolo e la suggestione che esercitò su Salvador Allende Fidel Castro,
forse l’uomo politico fuori dal Cile a
cui si sentì più legato; e ancora gli anni del Vietnam, la deriva che prese il
governo americano di allora, e che poi
Magdalene Albright ha riconosciuto
come un errore. Erano gli anni in cui
si visse in quella temperie e si consumò l’esperienza di governo di Salvador Allende.
La sua morte segna anche la nascita
del mito. Non a caso il nostro libro
parla di un uomo che la raffigurazione
popolare ha mostrato ed espresso in
tutti i modi. Un uomo con l’elmetto e
col mitra, che non si arrende, alla Moneda. La cosa che più colpisce è vedere un uomo in quella condizione,
consapevole che, col proprio sacrificio, getta un germe importante dalla
parte di coloro che avevano la ragione
e non la forza. Il suo ultimo discorso è
un discorso di fiducia nei confronti
del Cile del futuro. Qui sta davvero il
lascito che Allende consegna al Cile
democratico dopo il grande buio degli
anni della dittatura. E credo che il Cile democratico di oggi lo sappia, lo riconosca. Tutto il Cile, anche quella
parte che allora combatté Salvador Allende.
Il Cile democratico di oggi non sarebbe così senza l’atto di coraggio e di coerenza che Allende consumò su se
stesso. E guardate poi come – e questo
è il buffo di una vicenda che noi spesso riconduciamo ai grandi processi
collettivi – il sacrificio di una persona
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abbia caricato su di sé uno straordinario valore per il recupero della democrazia e della libertà di tutti, passati gli
anni bui della dittatura e del fascismo
cileno. Il Cile è rinato. Con tutti i problemi che Isabel ha ricordato, è pur
sempre un Cile democratico, è pur
sempre un Cile che, quando affronta i
problemi del precariato, della salute,
lo fa come lo fanno tutti i paesi democratici al mondo, come lo facciamo noi, che non abbiamo problemi
tanto diversi da quelli che affrontano i
nostri amici e compagni della Cut cilena. Se la globalizzazione ha un vantaggio è che ci rende tutti partecipi
agli stessi problemi: dove un po’ più
dove un po’ meno, l’agenda e la natura dei problemi da risolvere sono esattamente le stesse.
Infine Salvador Allende è stato un uomo che ha sempre investito nella funzione e nel ruolo del sindacato. La storia del Cile in tutto il novecento ha visto un allargamento degli spazi di democrazia alle condizioni di lavoro. Il
sindacato cileno è nato all’inizio del
novecento, come la Cgil. A fondarlo è
stato un tipografo, come spesso avveniva negli anni in cui i tipografi erano
un’aristocrazia operaia. Anche il fondatore del partito socialista spagnolo,
Iglesias, era un tipografo. E noi, all’atto della nascita della Cgil nel 1906,
avevamo un tipografo milanese nella
commissione esecutiva. Anche questo
ha accomunato le nostre storie.
Allende ha sempre lavorato per il riconoscimento della democrazia sindacale. Ci furono anni in Cile nei quali era
proibito organizzare sindacalmente i
lavoratori delle campagne, e c’erano
restrizioni fortissime alla sindacalizza-
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Conclusioni
zione che poi nel tempo furono superate. Allende fu un teorico dell’unità
del sindacato. Non a caso l’esperienza
della Centrale unica dei lavoratori cileni è sopravvissuta anche quando la
divisione tra le correnti politiche che
l’avevano alimentata era fortissima,
terribile. È sopravvissuta perché una
parte consistente – e in questo Allende fu decisivo – capì che un sindacato
unitario era lo strumento migliore per
difendere le ragioni dei lavoratori. E
fu per questo che, quando arrivò la
dittatura dopo la morte di Allende,
tanti sindacalisti trovarono qui da noi,
in Italia, un sostegno e una parola di
incoraggiamento. I rapporti tra noi e i
sindacalisti che operavano clandestinamente in Cile sono stati così stretti
anche negli anni bui. E quando, con
la democrazia, rinacque la Cut cilena,
è stata, per noi della Cgil, della Cisl e
della Uil, una giornata davvero indimenticabile, perché ricordavamo ciò
che era avvenuto tanti anni prima, in
Italia, con l’avvento del fascismo. La
prima cosa che fece il regime di Mussolini fu la chiusura del sindacato, la
distruzione delle nostri sedi, l’uccisione e la persecuzione dei nostri quadri.
E, quando tornò la democrazia e fu
scelta la repubblica, rinacque il sindacato libero e democratico.
Noi, avendo avuto questa storia alle
spalle, forse abbiamo potuto capire
più di tanti altri compagni e colleghi
dei sindacati europei ciò che hanno
passato il mondo del lavoro e la democrazia cilena. Ed è per questo che,
tra noi e i sindacati cileni, si è sviluppato naturalmente un rapporto che
ancora oggi dura a distanza di tanti
anni, e che ci fa sentire fratelli nel sen-
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so più pieno della parola, partecipi di
una storia che, lì in Cile e qui in Italia, è stata vissuta con la stessa emozione, con la stessa determinazione, la
stessa sincera volontà di condizionarne e di superarne gli esiti. Ogni volta
che andiamo in Cile, anche in questa
stagione, ogni volta che ci capita di fare confronti sulla riforma delle pensioni, del diritto del lavoro, ritroviamo
sempre il gusto di sentirci liberi nell’affrontare e risolvere i nostri problemi. Più deboli di una volta, perché oggi il sindacato è più debole per colpa
di una globalizzazione senza diritti,
ma è infinitamente libero come prima, libero e democratico, in grado di
essere quello che esattamente rappresentiamo. E in grado soprattutto, ancora oggi, di essere un elemento e uno
strumento fondamentale per qualsiasi
democrazia, per qualsiasi processo di
liberazione delle persone, e per qualsiasi prospettiva di dignità, di uguaglianza e di solidarietà tra le persone.
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Supplemento al n. 41/2008 di Rassegna Sindacale
Direttore responsabile Paolo Serventi Longhi
Chiuso in tipografia il 30 ottobre 2008
Stampa Grafica Romana, Roma
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A cento anni dalla nascita di Salvador Allende
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Centenario nascita Allende