AGOSETT 1:AGOSETT 1 7-09-2009 11:02 Pagina 1 Era in missione nella zona del monte Cristallo a Cortina quattro gli operatori rimasti vittime, unanime cordoglio BENVENUTO PRESIDENTE CADE LʼELICOTTERO DEL SUEM 118 a grande sciagura che s’è abL battuta sui quattro operatori del Suem di Pieve di Cadore in volo nella zona del monte Cristallo sopra Cortina, è dramma per l’intera popolazione bellunese che subito s’è raccolta attorno ai familiari delle vittime e ai loro colleghi, dimostrando al di fuori d’ogni dubbio il particolare affetto. Era il pomeriggio del 22 agosto quando “Falco”, l’elicottero del Soccorso di emergenza medica pilotato da Dario di Filip (49 anni, di Pieve d’Alpago) con a bordo il tecnico Mario Zago (42 anni di Belluno), il medico Fabrizio Spaziani (46 anni di Frosinone ma residente a Pieve di Cadore) e Stefano Da Forno (40 anni, originario di Pozzale e trasferitosi a Santa Giustina Bellunese) urtava con il rotore dei fili elettrici e si schiantava sulle ghiaie di Rio Gere. Tutti morti. Unanime il cordoglio, proclamato il lutto provinciale, immensa la parteci- pazione e commozione all’estremo saluto (5 mila persone ai funerali) tenutosi il 25 nella cattedrale di Belluno. I loro volti sono ormai noti a tutti, i loro nomi sono rieccheggiati in ogni pubblica manifestazione. Pur con animo affranto, al Servizio di Urgenza ed Emergenza si guarda ora al futuro, alle richieste della popolazione per cui lavorano, e un nuovo elicottero è già operativo. Bentornato “Falco”. RDC da Il Gazzettino “Ora si ricomincia Ci vogliono determinazione, coraggio e sostegno” intervista al dottor COSTOLA primario SUEM SERVIZIO A PAG. 6 Sono accorsi numerosi a Pieve di di Cadore i Veci del “Battaglion Cadore” A PAG. 8 Lʼannuale cerimonia a Cima Vallona A PAG. 5 Colori e luci del ʻ900 bellunese 1950-2000 Successo della mostra a San Vito rganizzata dal gruppo dei giovani imprenditori di Confindustria Belluno Dolomiti, dal comune sanvitese e dalla “bottega del quadro” di Feltre, la mostra “Colori e luci dal ‘900 bellunese, 1950 - 2000”, aperta per tutto il mese di agosto, si è proposta come rassegna di alto contenuto artistico e culturale. Ospitata nel palazzo delle scuole elementari è stata inaugurata con inter venti di Alberto Rossi, Andrea Fiori, Max Pachner, Marco Bortoluzzi e Antonella Alban. Tutti hanno espresso la soddisfazione per un obiettivo prestigioso raggiunto, quello di aver fatto vedere un secolo di attività, di impegni, di artisti in due distinti periodi ma legati uno all’altro: ne è uscita una mostra che ha inteso dare conto della intensa produ- O zione artistica del bellunese attraverso autori di alta e altissima rilevanza; le opere esposte sono state una ottantina, con i nomi più significativi della seconda metà del novecento: Ocri, Tomea, Cavinato, Buzzati, Simonetti, D’Ambros, Solero, per citarne solo alcuni. “E’ stata una rassegna destinata e riscuotere successo e a lasciare il segno”, è stato detto da più parti, ed è stato sottolineato che sono stati due i filoni culturalmente significativi della rassegna, quello della natura e quello dell’uomo, espressi da autori inconfondibilmente montanari. Dopo il successo del 2008 (più di 4000 i visitatori della mostra sul primo Novecento), la formula del 2009 ha riconfermato il progetto precedente, (segue a pag. 5) B.D.V. LE DOLOMITI PATRIMONIO UNESCO STRAORDINARIA RICCHEZZA Bagno di folla per il presidente della Repubblica Napolitano ad Auronzo ono qui per partecipare ad un evento memorabile S ha subito sottolineato il presidente Giorgio Napolitano nel suo discorso di saluto ad Auronzo - pur con un velo di tristezza per i valorosi operatori del SUEM che hanno sacrificato la loro vita nello svolgimento del servizio. E mentre ricorda le vittime dell’incidente di volo e rinnova la sua partecipe solidarietà al dolore dei familiari, la voce del presidente s’incrina. Poi un boato d’applausi. La visita del presidente della Repubblica è un avvenimento eccezionale fra queste montagne, e memorabile definisce lui stesso la motivazione della sua presenza, l’inserimento delle Dolomiti nel patrimonio mondiale dell’umanità per scelta dell’UNESCO. E la popolazione ha capito, ha gratificato Napolitano di un bagno di folla nelle strade del centro e in piazza Santa Giustina dove era stata allestita una grande struttura per gli invitati alla celebrazione ufficiale durante la quale s’è tenuto lo scoprimento di una targa (nella foto). RDC SERVIZI A PAG. 7 I MURALES VIVENTI DI CIBIANA A PAG. 19 Flash sulle tradizioni cadorine nel piccolo paese dei murales CADORINI LONTANI E CADORINI VICINI A “Non rimanete PAG.3 all’ombra del campanile, partecipate!” invita il presidente della Magnifica Comunità D’Andrea Pag 2_ok:APRILE 4-5 7-09-2009 11:05 Pagina 2 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 2 A POINT OF YOU mod. CHAMPION RACING SUNGLASSES SINCE 1956 8-9 AGOSETT 3:AGOSETT 3 8-9 7-09-2009 11:04 Pagina 1 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 3 A Zoppè di Cadore - Analisi dellʼattività svolta dalla Magnifica Il saluto del Presidente LA COMUNITAʼ DI CADORE Eʼ “IL CENTRO” CADORINI LONTANI E VICINI Zoppè per verificare le prospetA tive e i progetti di una comunità storica. L’incontro con i cadorini lonta- difficoltà di realizzare una convergenza adeguata di intenti. “La Magnifica, che ha sede a Pieve, deve tornare ad essere il centro degli interessi collettivi”, ha detto D’Andrea, “e i giovani che studiano e che conseguono un titolo devono avere le opportunità di restare tra le mura amiche, arricchendo i bacini di disponibilità a cui enti, associazioni e strutture potrebbero attingere a piene mani”. Gli ha fatto eco l’assessore Maria Giovanna Coletti: “La Magnifica organizza annualmente un festa di compiacimento e di augurio tutta loro, per i neo-laureati, anche se pochi hanno la possibilità di restare e di ni, annuale appuntamento con gli emigrati che rientrano per un periodo di riposo, ha perso le stucchevoli connotazioni nostalgiche ed ha acquistato ogni anno di più il sapore politico dell’analisi dell’attività svolta da un ente che riassume storia, cultura e tradizioni, la Magnifica Comunità, e del riconoscimento per la bravura dei giovani che studiano e che ottengono buoni risultati scolastici. Il presidente dello storico ente, Emanuele D’Andrea, ha colto anche quest’anno l’interessante opportunità non solo per stilare un consuntivo della presenza della Magnifica sul tessuto cadorino ma anche quella più stimolante di conferire un riconoscimento, in termini di borse di studio, agli studenti che si sono distinti a scuola per bravura e profitto. A Zoppè, il piccolo grazioso paese che ha ospitato le cerimonie di accoglienza degli ZOPPE’ emigrati rientrati DI CADORE in Cadore per le 9.8.2009 vacanze estive, il presidente ha tracIl presidente ciato un quadro in Emanuele chiaroscuro: l’ente D’Andrea e il prosegue nel suo sindaco Renzo impegno di far coBortolot noscere sempre consegnano le più e sempre me- borse di studio glio il Cadore e le (sotto) sue risorse, soUna scena di prattutto culturali, teatro allestito realizza alcuni da “La Fontana obiettivi di prestiConta” di gio, come il consoDomegge lidamento dei rapdi Cadore porti collaborativi mettere a frutto in casa la loro culcon i vicini di casa, Cortina in primis, tura e le loro conoscenze; ma anche investe nella promozione di alcuni se sono costretti ad andarsene, i gioprodotti culturali di largo consumo, vani devono poter conser vare intema, nello stesso tempo, registra l’ad- gro il patrimonio di ideali e di valori densamento di alcuni problemi che che la terra dei padri ha loro dato”. pesano e che fanno riferimento alla I giovani premiati con borsa di stu- dio sono stati Marco De Filippo Roia (Auronzo), Manuela De Carlo, Carlo Salvetti, Viviana Toffoli, Elisa Tarozzo e Alex Frescura (Calalzo), Roberto Zandanel (Cibiana), Silvia De Martin Pinter, Valentina Osta, Maria Martini Barzolai, Ludovico Martini Barzolai, Samantha Pinazza e Francesca Martini Barzolai (Comelico Superiore), Roberta De Martin Topranin (Cortina), Eugenio Zanderigo Apollonio (Lorenzago), Silvia Del Favero e Vittorio Lora (Lozzo), Gianluca Bertolani, Alessandro Cian, Dennis Da Corte, Silvia Piccin, Francesco Cian, Stefania Mattea e Angela Sposato (Pieve), Enrica De Lotto, Lorenzo De Lotto e Monica Giusti- Nellʼambito dellʼappuntamento con i Cadorini Lontani, consegnate alcune borse di studio a studenti meritevoli ra il 1609, giusto quattrocento anni fa, quando Galileo E riuscì a fabbricare in maniera abbastanza perfetta il cannocchiale, a seguito di notizie imprecise che gli erano na (San Vito), Riccardo Piazza (Vigo). Hanno espresso adesione e compiacimento per la riuscita dell’incontro anche Renato De Fanti dell’associazione emigranti bellunesi e Matteo Toscani, assessore provinciale. Bortolo De Vido DIANA E ATTEONE, CAPOLAVORO DI TIZIANO zianesco è stato acquistato per cinquanta milioni di sterline grazie a una sottoscrizione promossa dalla National Galler y di Londra e dalle National Galleries of Scotland, dopo una lunga trattativa segnata anche da vivaci polemiche politiche sull’opportunità di utilizzare fondi pubblici per acquistare un’opera d’arte in un periodo di grave crisi economica. La vendita è stata decisa un anno fa dal duca di Sutherland, uno dei maggiori proprietari terrieri di Scozia, collezionista importante e proprietario, tra l’altro, della Collezione Bridgwater, in cui sono inserite due tele dedicate a Diana: appunto, Diana e Atteone, e Diana e Callisto (anch’essa in vendita), che fanno parte di una serie di sette quadri raffiguranti scene mitologiche tratte dalle Metamorfosi di Ovidio e dipinte da Tiziano per Filippo II di Spagna, tra il 1556 e il 1559. In tanti si sono mobilitati perché resti custodito in un museo pubblico ti anni, è molto più legato al Cadore di chi ci vive. Perché è presto detto: vivere qui è svantaggioso, il tempo è inclemente, si vive in casa 8 -10 mesi l’anno. Il costo della vita è maggiore non solo per i] prezzo dei bisogni quotidiani, ma anche per il luogo dove si fa la spesa quotidiana, perché spesso nei paesi mancano i negozi e occorre andare altrove. Chi torna, torna in un luogo di vacanza o comunque di meritato riposo: non ha le difficoltà di chi lavora in montagna o, peggio, di chi cerca lavoro in montagna. Che dire? Che la battaglia per salvare i montanari e farli vivere dignitosamente nel proprio ambiente è perduta? Sì è perduta nella misura in cui ciascuno vive chiuso nel proprio comune o nella propria frazione di Comune, nella misura in cui gli Amministratori amministrano solamente il proprio Comune, la propria Comunità montana, o peggio la propria frazione, senza vivere insieme agli altri, senza cercarli, senza mettere insieme i propri problemi. La Magnifica Comunità esiste proprio per questo, per rappresentare l’unione dci cadorini non solo morale, ma anche materiale, fisica, ancor più oggi che le Comunità montane sono state ingiustamente delegittimate come enti inutili, togliendo alla montagna ancora una volta qualcosa che gli era stato dato quasi 40 anni fa. La Comunità deve tornare ad essere il centro degli interessi collettivi. Pieve deve essere una capitale, una capitale non di se stessa ma del Cadore, pronta a chiamare a raccolta tutti, e dico tutti, i cadorini al di là del Comune di appartenenza e del colore politico. Con questo auspicio: i cadorini lontani che hanno potuto raccogliere un bagaglio di conoscenza altrove in altre e spesso più feconde realtà sociali possano dare un impulso sostanzioso al territorio. Emanuele D’Andrea GALILEI E LA PROSA Acquistato di recente in Gran Bretagna da due grandi musei a più di sessant’anni in custoD dia alle Gallerie di Edimburgo, Diana e Atteone, il capolavoro ti- iprendo dal mio discorso dello scorso anno Cadorini R lontani o cadorini vicini? Spesso chi torna occasionalmente o stabilmente dopo mol- In tanti si sono mobilitati in Gran Bretagna, con una partecipazione minima di 25 sterline, per salvare da mani private il capolavoro tizianesco e far sì che resti custodito in un museo pubblico del Regno Unito continuando a essere visibile, secondo un calendario organizzato dalle rispettive Gallerie. In soli quattro mesi è stata raccolta la somma necessaria, con una vera e propria lotta contro il tempo, poiché se non si fosse raccolta la somma entro il 31 dicembre 2008, il quadro sarebbe potuto finire in qualsiasi parte del mondo nelle mani del maggior offerente e sottratto per sempre alla vista del pubblico. Per fortuna ciò non è avvenuto grazie alle donazioni possibili anche online www.nationalgallery.org.uk www.nationalgalleries.org . Ma la corsa non è finita: ora continua la campagna per raccogliere i fondi occorrenti per l’acquisto del secondo capolavoro, quello di Diana e Callisto. Centro Studi Tiziano e Cadore arrivate dall’Olanda: ciò significò per lui la fama non solo nel mondo degli studi, ma anche in quello delle corti; infatti egli lo presentò dapprima al Senato Veneto, e poi ne mandò copie anche presso molte altre corti, che in quel tempo erano i luoghi di accentramento degli studi più avanzati. Ricorre dunque quest’anno un anniversario di grande significato scientifico, celebrato con tutta una serie di eventi, qui da noi organizzati dal Museo dall’Occhiale di Pieve di Cadore e dalla Associazione astronomica Cortina. Al Museo si è aperta una mostra di particolare interesse, che sottolinea l’importanza di Galileo nella storia della scienza moderna, dovuta sì alle sue straordinarie scoperte ma anche al fatto che, a differenza di tutti i pensatori del suo tempo, egli elaborò un concetto di scienza rigorosamente distinto dalla metafisica. Per lui la scienza è pura, oggettiva, “meccanica”, estranea a qualsiasi problema riguardante la vita dello spirito, della quale deve piuttosto occuparsi la fede tradizionale. Tutto ciò è generalmente noto. Meno noto – anche se interessante è invece un altro aspetto della personalità di Galileo, e cioè quello letterario: perché non c’è forse scienziato che alla misura matematica delle proprie scoperte scientifiche abbia fatto corrispondere una prosa e uno stile di altrettanta esattezza e precisione, cosicché la sua prosa può essere ricordata come esempio ammirevole di originalità scientifica e artistica nello stesso tempo. Si ricordino in proposito alcune operette di carattere esclusivamente letterario, come le “Due lezioni” riguardanti l’Inferno di Dante, le “Considerazioni al Tasso” o le “Postille e correzioni...” all’Orlando Furioso: sono ad esempio passi famosi quelli che ci mostrano la irritazione di Galileo di fronte a certi artifici tasseschi, a certi preziosismi già baroccheggianti. Si tratta di considerazioni ispirate a un realismo fenomenico e psicologico, perché Galileo è stato anche un critico letterario molto acuto, ma non seppe mai superare quel realismo ,che era il fondamento delle sue scoperte di scienziato: un realismo che è qualcosa di più dell’atteggiamento derivante da una educazione letteraria, e che è invece il disporsi del suo stesso discorso scientifico, la formula di una mente scientifica, da cui derivano proprio il suo gusto di scrittore e il suo stile sempre così vicino alle cose, coerente allo svolgimento dialettico della scoperta e al suo immediato concretarsi in esposizione, o meglio in una definizione scrupolosamente aderente all’oggetto. In tutta la sua prosa circola quindi quello che si può indicare come uno spirito schiettamente rinascimentale, spirito di armoniosa proporzione, che unisce una moltitudine di riflessioni e osservazioni di grande varietà e vivacità; e Galileo non fu solo il capostipite di una discendenza di scienziati, ma anche di una folta schiera di letterati che avrà un posto di rilievo nella cultura del Seicento italiano, e non solo italiano. Grazie a lui e alla sua lezione di “oggettività” della scrittura, nascerà infatti quella scuola di prosa che sarà chiamata scientifica per la natura degli argomenti e il rigore della loro trattazione. Ennio Rossignoli AGOSETT 4-5:AGOSETT 4-5 7-09-2009 11:06 Pagina 2 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 4 8-9 Appuntamenti Estivi LʼARTE A DOMEGGE PERAROLO - LA CAMINADA DEI ZATER G na nutrita rappreU sentanza del gruppo “Fameja dei zater e Bella rievocazione storica A piedi da Codissago a Perarolo poi festa e mostra sul pojat foto RDC menadas del Piave di Codissago”, ha ripercorso quello che per i loro avi era solo l’inizio di una lunga giornata di lavoro che li portava a Perarolo per costruire le zattere che poi con maestria e rischio conducevano verso Venezia. Svegliarsi alle quattro di mattina e percorrere i 16 km che dividono Codissago da Perarolo a piedi, non è certamente una cosa da tutti. Invece così è stato domenica 2 agosto. La giornata è proseguita a Perarolo dapprima con la Santa Messa e poi con un’interessante mostra “Il pojat e il fuoco nascosto”, per rievocare la produzione del carbone, nonché giochi Cidolo e del Legname. Uno stand gastroper bambini, visite guidate al museo del nomico ha funzionato fino a tarda sera con musica in Piazza. La buona riuscita della manifestazione, che ha visto coinvolte tutte le Associazioni del paese, coordinate dalla neonata Pro Loco fa ben sperare ad un ampliamento delle attività da svolgersi in concomitanza con la rievocazione storica, giunta alla 2a edizione; molti vorrebbero diventasse una data fissa nel calendario delle manifestazioni estive. Il tema legato allo sfruttamento del legname infatti, che per secoli ha condizionato le sorti di queste popolazioni, può essere rivolto come formula di “attrazione” non solo locale ma anche per un pubblico più vasto grazie al meraviglioso contesto naturalistico in cui si svolge. Alta è stata la presenza dei giovani nel “motore” organizzativo, a loro viene rivolto lo sguardo per ben sperare nel futuro di questa festa che rafforza la propria identità storica strettamente legata a “la Piave”. Renzo Zangrando fondato nel 1953 DIRETTORE RESPONSABILE Renato De Carlo VICE DIRETTORE Livio Olivotto REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE Editrice Magnifica Comunità di Cadore Presidente Emanuele DʼAndrea Cancelliere Marco Genova Segreteria Annalisa Santato Palazzo della Comunità - Piazza Tiziano 32044 Pieve di Cadore tel. 0435.32262 fax 0435.32858 - EMail: [email protected] [email protected] Spedizione in abbonamento postale - Pubblicità inferiore al 40% Fotocomp.: Aquarello - Il Cadore - Stampa: Tipografia Tiziano Pieve di Cadore Reg.Tribunale di Belluno ordinanza del 5.4.1956 UNA COPIA € 2.10 - ARRETRATO: IL DOPPIO TARIFFE ABBONAMENTO ITALIA € 25,00 - ESTERO € 25,00 PAESI EXTRAEUROPEI € 34.00 SOSTENITORE € 50,00 - BENEMERITO da € 75,00 in sù COME ABBONARSI A MANO: Segreteria Magnifica Comunità di Cadore, Pieve di Cadore CONTO CORRENTE POSTALE: N. 12237327 intestato a “Il Cadore” - Piazza Tiziano - 32044 Pieve di Cadore (BL) ASSEGNO BANCARIO o VAGLIA POSTALE a: ”Il Cadore” Piazza Tiziano - 32044 Pieve di Cadore (BL) - Italia BONIFICO BANCARIO DALL’ITALIA presso: Unicredit Banca Spa di Pieve di Cadore (BL) UNCRITB1D41 Codice IBAN IT21I0200861230000000807811 intestato a “Magnifica Comunità di Cadore”, causale “abbonamento”. BONIFICO BANCARIO DALL’ESTERO presso: Unicredit Banca Spa di Pieve di Cadore (BL) - UNCRITB1M90 codice IBAN IT21I0200861230000000807811 intestato a “Magnifica Comunità di Cadore”, causale “abbonamento”. TARIFFE INSERZIONI (per un centimetro di altezza, base una colonna): 12 inserzioni mensili € 13,00; 6 inserzioni mensili € 10.20; a 4 colori e in ultima pagina tariffa doppia. IVA sempre esclusa. La Direzione e l’Editore non rispondono delle opinioni degli articolisti. Foto e articoli non pubblicati saranno restituiti solo a richiesta. Resp. trattamento dati (ex D.lgs 30.6.03 n.196): Renato De Carlo QUESTO NUMERO Eʼ STATO CHIUSO AL 30.8.2009 li appuntamenti con l’arte a Domegge di Cadore mancavano da tanto, forse troppo tempo. In questa languida estate domeggese si è finalmente assistito a una ripresa delle esposizioni, a cominciare dalla mostra di pittura di Franco Rossato, organizzata dal gruppo Arti Visive “Vittorio Veneto” in collaborazione con l’assessore alla cultura del comune di Domegge di Cadore e visitabile presso l’ex negozio Giacobbi di fronte al municipio. Negli incantevoli locali del bar Serenissima (recentemente inserito dalla giunta di Palazzo Balbi nell’elenco regionale dei locali storici del Veneto “per le pitture alle pareti, il bancone del bar, sedie e tavoli, lampade e lampadari”) si potevano invece ammirare le interessanti opere del pittore Francesco Petit. Una cornice ideale per accogliere i quadri di questo talentuoso artista cadorino di nascita, che dopo una vita trascorsa a Venezia, da qualche anno ha riportato i pennelli e il cuore tra le nostre montagne, trasferen- dosi definitivamente a Domegge. Nato infatti a Pieve di Cadore, si trasferisce da bambino a Venezia con la famiglia, dove è vissuto e ha lavorato fino al 2006 dedicandosi completamente alla pittura. Il suo percorso artistico si è sviluppato negli anni attraverso f o r m e espressive assai diverse e contrassegnate da una continua ricerca e sperimentazione, che hanno fatto di lui un artista eclettico, di forte impatto emotivo, con uno stile che si presenta sempre ricco di suggestioni e mai scontato, spaziando dall’astratto al figurativo. A Venezia ha tenuto per molti anni una bottega d’arte a Dorsoduro, preferendo un rap- Mostre di pittura si sono tenute da Francesco Petiti e dal gruppo Arti Visive Vittorio Veneto porto diretto con il pubblico piuttosto che i consueti spazi espositivi, pur avendo partecipato a diverse mostre sia in città che altrove. Francesco Petit è stato uno dei più giovani espositori alla Biennale, solo ciò sarebbe sufficiente a testimoniare e riassumere il valore artistico di questo pittore. Rina Barnabò A COSTALISSOIO MEETING REGOLE DELLA PROVINCIA eeting delle Regole della provin- brazione in piazza a S. Stefano di CadoM cia di Belluno a Costalissoio di re l’11 luglio del 1993: “…chiamate ad S. Stefano di Cadore lo scorso 6 agosto. essere garanti di una costante memoria Gli onori di casa sono stati fatti con un saluto di benvenuto da Valerio De Bettin Presidente della Regola di Costalissoio “Costa del Sole”, mentre l’avv. Elisa Tomasella, specializzata sulle Regole, ha trattato in una chiarissima ed interessante conferenza il tema della tutela dell’ambiente attraverso la gestione attiva dei beni regolieri. Posta una targa con le parole di PapaWojtyla, presentata unʼopera di Regianini E’ stata una grande festa, iniziata con lo scoprimento e la benedizione della targa ricordo, realizzata dal noto scultore Franco Fabiane, che riporta incisa una frase di Papa Wojtyla pronunciata proprio sulle Regole durante la cele- di quelle radici profonde che si alimentano alle sane tradizioni dei padri.” La targa è stata posta sulla parete esterna della sala della Regola e benedetta dal Vicario Foraneo del Comelico don Diego Soravia. Di seguito, è stata presentata un’opera emblematica del maestro pittore surrealista prof. Luigi Regianini, un dipinto (in foto) che raffigura le Regole esistenti “ab immemorabili” con la loro schiera d’antenati. Nell’opera, gli elementi base d’azione delle Regole: montagne, boschi, pascoli, fuoco; nel cielo terso lo stemma rappresentativo delle Regole del Cadore (che è poi quello della Magnifica Comunità di Cadore) con sotto la dicitura sorretta da due amorini classicheggianti, mentre nel centro si vedono le montagne dolomitiche che s’innalzano su boschi e prati verdeggianti, istoriate dalle figure degli antichi avi; sotto e in primo piano un grande fuoco-famiglia. Il maestro Regianini ha proprio in questo Museo un’interessante esposizione surrealista, che è stata visitata ed apprezzata dai presenti. Guido Buzzo AGOSETT 4-5:AGOSETT 4-5 8-9 7-09-2009 11:06 Pagina 3 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 nche una strada riA corda ora i Caduti di Cima Vallona: collega i due comuni di S. Stefano e San Nicolò di Comelico in un percorso suggestivo che si può percorrere a piedi o in bicicletta.. E’ stata inaugurata a Santo Stefano di Cadore dal sindaco neo eletto, Alessandra Buzzo, alla presenza dei familiari delle vittime: la sorella di Armando Piva, i fratelli di Olivo Dordi, la moglie e la figlia di Mario Di Lecce. C’era anche il Prefetto di Belluno, Provvidenza Raimondo, vera ispiratrice dell’iniziativa quando in occasione del 40mo anniversario invitò le amministrazioni comunali per un ricordo ancor più tangibile dei Caduti. Davanti a molte altre autorità civili e militari, alle rappresentanze alpine e delle altre associazioni combattentistiche, breve e suggestiva la cerimonia con le parole di Alessandra Buzzo che hanno invitato i giovani a conoscere gli errori del passato per non ripeterli. Al termine le note della canzone di Francesco Guccini dedicata alla strage e intitolata proprio Cima Vallona, sono risuonate per la prima volta nell’interpretazione di Martina Casanova: “Voglio saper se la mano assassina che ha mosso la terra, che ha messo la mina, sa stringere un’altra, se sa accarezzare, se quella d’un uomo può ancora sembrare”. La cerimonia è quindi proseguita, come tradizione, in località Cappella Tamai nel Comune di San Nicolò di Comelico. Ed anche qui una novità. Per la prima volta era presente in forma ufficiale la Provincia di Bolzano con il vicepresidente del Consiglio Mauro Minniti. “Per troppo tempo la Provincia di Bolzano ha taciuto sui tragici anni del terrorismo separatista. Oggi, anche se in ritardo, la mia presenza testimonia che finalmente qualcosa sta cambiando”. Minniti ha fatto riferimento ai segnali contraddittori che anche oggi testimoniano di una cultura di pace e di rispetto ancora da costruire. “Non sembra opportuno, in questo contesto, parlare di grazia. Specie per chi non si è mai pentito di ciò che ha fatto”. Queste parole sono state particolarmente apprezzate da tutte le autorità presenti. Oltre al consueto schieramento di labari, vessilli e gagliar- 5 detti era presente anche il labaro nazionale dell’Associazione paracadutisti d’Italia, scortato dal presidente Gianni Fantini. Dopo l’alzabandiera e il commovente momento dell’Onore ai Caduti, le allocuzioni ufficiali. Il sindaco Giancarlo Ianese ha rievocato i tragici momenti dell’attentato terroristico, facendo rivivere le sensazioni provate dalla popolazione comeliana profondamente ferita, che fin da subito si strinse accanto alle famiglie colpite. La vicinanza ai parenti è testimoniata dalla presenza praticamente costante a Cappella Tamai dei familiari di Armando Piva, Mario Di Lecce e Olivo Dordi. Anche la moglie del capitano Gentile, presente nelle ultime due cerimonie passate, ha fatto pervenire un messaggio di ringraziamento. Antonio Cason, a nome dell’Ana Cadore che organizza l’evento assieme ai gruppi locali - quest’anno era impegnato il Gruppo di Casamazzagno guidato da Aldo De Martin - ha richiamato i valori dell’Ana e il costante impegno associativo per non dimenticare e non far dimenticare. Analogamente il consigliere nazionale Ana Nino Geronazzo che ha portato il saluto di Corrado Perona, illustrando il nuovo impegno dell’Ana per la ricostruzione in Abruzzo. Il generale dei carabinieri Francesco Vacca, intervenuto in rappresentanza del ministro della difesa La Russa, ha rammentato l’impegno delle forze dell’ordine nella quotidiana battaglia contro l’illegalità, ampliando il ricordo a tutti i militi caduti nell’adempimento del dovere ed anche ai magistrati periti per mano terrorista. Infine il Prefetto di Belluno Provvidenza Raimondo che, complimentandosi con gli organizzatori della cerimonia, ha voluto stringersi ancora una volta accanto ai familiari delle vittime. “L’iniziativa di questa mattina a Santo Stefano di Cadore” ha detto il Prefetto “con l’intitolazione della via alle Vittime di Cima Vallona, è un altro segnale della sensibilità delle istituzioni e delle gente del Comelico verso quattro militi che resteranno per sempre nel cuore di tutti con il loro esempio e con il loro sacrificio”. Livio Olivotto COLORI E LUCI DEL ʻ900 dalla prima pagina con qualche integrazione: il periodo di esposizione è stato più lungo, in sala erano presenti sculture di autori notissimi (Moro, Soppelsa e Murer) e le opere erano di assoluto riscontro artistico. E’ stato anche ribadito che la mostra conferiva prestigio ad una terra straordinariamente bella e dolente come quella della provincia e di cui i quadri e le sculture erano i segni artistici più attendibili. Prezioso ed utilissimo il catalogo, curato B. De Vido con competenza da Antonella Alban, che ha guidato i visitatori della mostra: esso rifletteva, insieme alla perfetta riproduzione dei lavori, i dati biografici e storici degli autori, e offriva meditati spunti alla riflessione. Numerosissimi, come era da aspettarselo, i visitatori, giunti anche da lontano per non perdere una occasione unica di ammirare importanti quadri di collezioni private, raramente esposti al pubblico. COMELICO - Per i caduti del 1967, a Cappella Tamai autorità, rappresentanze combattentistiche e la presenza significativa di Mauro Minniti. Intitolata una strada ECCIDIO DI CIMA VALLONA UN SILENZIO FINALMENTE INTERROTTO AGOSETT 6-7:AGOSETT 6-7 7-09-2009 11:09 Pagina 2 6 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 ra il pomeriggio del 22 agosto quando E “Falco”, l’elicottero del Soccorso di emergenza medica in missione nella zona del monte Cristallo, sopra Cortina, si schiantava al suolo in un canalone, dopo essersi impigliato in cavi elettrici. Morivano il pilota Dario di Filip (49 anni, di Pieve d’Alpago), il tecnico Mario Zago (42 anni di Belluno), il medico Fabrizio Spaziani (46 anni di Frosinone ma residente a Pieve di Cadore) e Stefano Da Forno (40 anni, originario di Pozzale, compo- nente del Soccorso Alpino di Feltre). L’intera popolazione bellunese s’è subito raccolta attorno ai loro familiari e ai loro colleghi, dimostrando fin dall’inizio cordoglio e affetto, partecipando ai funerali tenutesi il 25 nella cattedrale di Belluno. I loro nomi sono stati scanditi in ogni pubblica manifestazione, compreso nella cerimonia di Auronzo dove alla presenza del presidente della Repubblica Napolitano è stato osservato un minuto di silenzio. Costola: “Indispensabili, erano dei veri professionisti” l ricordo di questi uomiI ni vittime di un ingiusto destino lo affidiamo al dottor Angelo Costola, iniziatore nel 1986 del SUEM 118 a Pieve di Cadore, servizio che è diventato il fiore all’occhiello della sanità regionale. “Che dire… Devo cominciare dal medico Fabrizio Spaziani che era uno stretto collaboratore del mio servizio ed era quello che più d’altri s’occupava dell’aspetto organizzativo della Centrale e dei problemi dell’Emergenza, tant’è che era lui che teneva i corsi per i medici volontari ed infermieri per la maxiemergenza, era lui ad aver organizzato la missione insieme a me per i terremotati dell’Abruzzo. Era un appassionato di questo lavoro, era cresciuto molto dal punto di vista clinico professionale di anestesista rianimatore, ma aveva questa propensione per la parte organizzativa dell’emergenza. Oltre che un caro amico, un fratello veramente. Pure gli altri hanno lavorato intensamente con noi: dal pilota Dario De Filip con noi credo da nove anni, aveva volato per circa 4800 ore, una esperienza di volo in ambiente ostile ricchissima; al tecnico dell’Elisoccorso Marco Zago, prima tecnico del soccorso alpino e poi tecnico areonautico con Elidolomiti, anche lui con grande esperienza del nostro territorio, delle montagne. Gente preparata, professionalizzata, gente che faceva 200/300 ore di volo all’anno. Non posso neanche lontanamente immaginare che non conoscessero quel percorso sul Cristallo fatto centinaia di volte, sia in estate che in inverno. Cosa sia successo non lo so, sappiamo soltanto il finale, ahimé tragico e drammatico. Stefano Da Forno altro professionista anche se proveniva dal volontariato, tecnico del Soccorso Alpino, era istruttore, persona preparata, capace. Dovete sapere che il tecnico dell’Elisoccorso viene selezionato tra i soccorritori del CNSAS con un corso rigorosissimo. Perché non basta essere bravi alpinisti, non basta essere brave guide, bisogna avere freddezza, perché si è appesi ad una corda sotto l’elicottero, si parla con il pilota attraverso un microfono e con il pilota si concorda a distanza di 25 o 100 metri l’avvicinamento per raggiungere la persona infortunata. Bravi come alpinisti, bravi come preparazione di base, bravi a muoversi su elicottero e su terreno, bravi a collaborare col medico che senza la loro presenza in certi interventi è impotente. Indispensabili.” ostegno massiccio da parS te della gente, ricorda il dottor Angelo Costola. “E’ stato massiccio, non solo nei giorni del funerale, un pellegrinaggio presso la centrale, presso l’obitorio, un nugolo di telegrammi e mail, abbiamo avuto un sostegno inimmaginabile. L’ho detto qualche sera fa: la nostra gente è difficile che parli, su 15.060 interventi credo che avremo avuto complessivamente 150 ringraziamenti, ma solo perché la gente è abituata a questo servizio, lo ritiene indispensabile ma normale. Solo ora si rende conto dei rischi che talvolta corriamo, che sono quotidiani. Questa dimostrazione d’affetto, veramente ci ha fatto piacere. Adesso però dobbiamo pendi stima e di sostegno eccezionale, sare alle persone per cui lavoriamo, alla popolazione.” Un grazie alle autorità, grande partecipazione ’ è stata partecipazione fin dal “C primo giorno della sciagura - ricorda il dottor Costola - a cominciare dal sindaco di Pieve di Cadore Maria Antonia Ciotti; ho ricevuto telegrammi da tutti i Comuni, c’era un pullulare di fasce tricolori all’interno della Cattedrale di Belluno, c’era il presidente della Provincia Bottacin; il presidente della Regione Galan è venuto in obitorio, il ministro dell’Ambiente Prestigiacomo è stata squisita, lo posso dire perché l’ho accompagnata al saluto con i familiari e lei ha trovato le parole giuste con tanta sensibilità per tutti. E che dire del Prefetto Delfina Provvidenza Raimondo che è stata sempre presente fin dalla fase più critica a Cortina e ha portato i saluti del Presidente della Repubblica a tutti i familiari. E tanti altri sono venuti a rendere omaggio alle vittime: l’assessore regionale alla Sanità Sandri, il segretario regionale alla sanità Ruscitti, ed infine il presidente della Regione Galan. Anche questo è stato un segno di stima e rispetto per gli operatori.” BENTORNATO “FALCO” foto rdc Era in missione nella zona del monte Cristallo a Cortina quattro gli operatori rimasti vittime, unanime cordoglio La riconoscenza della popolazione da Il Gazzettino CADE LʼELICOTTERO DEL 118 8-9 E’ diventato operativo il nuovo elicottero ra si riparte. Gli O operatori del SUEM e il dottor Costola sono determinati. “Abbiamo eseguito oggi (mattino del 28 agosto) un volo inaugurale con la mia presenza a bordo, proprio per fugare ogni dubbio, perché ahimé! gli errori sono sempre degli uomini, è improbabile che la macchina ci tradisca. Devo dire che da parte del personale, medici e infermieri, la disponibilità a partire è quasi totale. Purtroppo abbiamo un’unità preziosissima in meno (il medico Spaziani) ed un altro medico non fa turni dopo la tragica perdita in montagna del figlio; queste mancanze debbono essere in qualche modo supplite. E qui ho trovato la disponibilità di miei colleghi di Treviso, di Padova e di Verona. La copertura è pertanto assicurata. Il velivolo è un AUGUSTA GRAND motore potentissimo, preciso al mezzo che avevamo in dotazione prima, ha 800 ore, meno ore del precedente (che superava le 1200 ore); penso che resterà per un periodo fintantoché un nuovo elicottero verrà consegnato dall’Augusta alla I-NAER. Di certo la volontà è di ripartire. Nessuno ha intenzione di interrompere dopo 21 anni e 2 mesi l’attività di elisoccorso in provincia di Belluno. Certo, ci vogliono determinazione, coraggio, sostegno. Che non ci è mancato da parte della gente ed anche dalle autorità. Ed è fondamentale.” AGOSETT 6-7:AGOSETT 6-7 8-9 7-09-2009 11:09 Pagina 3 7 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 Ad Auronzo di Cadore una cerimonia di riflessione e dʼimpegno futuro L a visita del presidente della Repubblica è un avvenimento eccezionale fra queste montagne, e memorabile definisce lui stesso la motivazione della sua presenza, l’inserimento delle Dolomiti nel patrimonio mondiale dell’umanità per scelta dell’UNESCO. Che non fosse questa di Giorgio Napolitano una visita di sola cortesia lo si è visto subito, per la presenza alla cerimonia del ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, del direttore del Centro per il patrimonio mondiale Unesco Francesco Bandarin, del governatore del Veneto Giancarlo Galan, del presidente della Regione FriuliVenezia Giulia Renzo Tondo, del governatore del Trentino Lorenzo Dellai, del presidente della Provincia autonoma di Bolzano e presidente della Regione Alto Adige Luis Durnwalder. Questi i nomi di quanti hanno preso la parola (eccetto Tremonti), ma erano moltissime le autorità civili e militari presenti allo storico appuntamento, a cominciare dai nostrani, dal presidente della Provincia Giampaolo Bottacin, al senatore Maurizio Paniz, all’assessore regionale Oscar De Bona, al presidente della Magnifica Comunità Emanuele D’Andrea, al primario del Suem Angelo Costola, ai tanti sindaci e non da ultimo, al sindaco di Auronzo Bruno Zandegiacomo Orsolina che ha pubblicamente salutato e ringraziato il presidente della Repubblica. Numerose anche le testate giornalistiche e televisive accreditate. Piace Napolitano, per la sue misurate e spontanee parole, raccoglie applausi, ma fissa anche dei principi: ora le Dolomiti fanno parte del patrimonio dell’umanità e sono affiancate alle isole Eolie, a conferma dell’inscindibilità del nostro patrimonio di storia e di bellezza che fa grande la nostra Italia, da nord a sud. Ora su questo riconoscimento bisogna lavorare, ora contano i comportamenti di ciascuno per salvaguardare una ricchezza comune da trasmettere alle future generazioni, ora bisogna superare le divisioni regionali perché ormai le Dolomiti sono area di montagna aperta all’Europa. Questo riconoscimento è dunque un’opportunità nel mondo globalizzato, è anche una sfida sulle idee migliori, è una necessità per andare avanti. Staremo a vedere se il messaggio verrà recepito appieno e non si litigherà sulla sede della Fondazione (“ogni 2 anni cambi provincia”, propone il ministro Prestigiacomo), e si comporranno gli attriti coi potenti vicini (Durnwalder fischiato per il suo discorso, parte in tedesco). Renato De Carlo “BENVENUTO PRESIDENTE” Il riconoscimento UNESCO è una opportunità e una sfida Auronzo 25 agosto 2009 Foto Andrea e Luciano e Andrea Solero DOLOMITI PATRIMONIO MONDIALE Napolitano col ministro Prestigiacomo, i presidenti delle regioni Galan, Tondo, Dellai, Durnwalder, il sindaco di Auronzo Zandegiacomo (a sx) e il direttore Unesco Bandarin (a dx) TRA LA GENTE n velo di tristezza U aleggiava sulla cerimonia di martedì 25 agosto ad Auronzo. Per la popolazione locale e i numerosi turisti è stata un’attesa composta, rispettosa del dolore e del lutto per la tragedia che ha visto la morte di quattro operatori del Suem di Pieve di Cadore. Bandiere tricolori ai balconi e lungo la strada principale, completamente transennata nel tratto dal Municipio fino a Piazza S. Giustina. Il pubblico assiepato sui due lati della strada era composto da famiglie, giovani, bambini, anziani presenti per le ultime giornate di ferie e per una occasione particolare come la visita del presidente Giorgio Napolitano per la cerimonia dedicata alle Dolomiti, dichiarate dall’Unesco patrimonio dell’Umanità. Poco dopo le 11 giungeva l’auto presidenziale accompagnata da quattro motociclisti della scorta. Ne è sceso Giorgio Napolitano, accompagnato dalla consorte Clio, tra i calorosi applausi della gente. Dopo l’omaggio dei bambini delle scuole l’ingresso nella tensostrutttura colma di invitati per la cerimonia vera e propria che il folto pubblico ha potuto seguire dall’esterno grazie allo schermo gigante. Profonda commozione ha suscitato il ricordo delle quattre vittime del Suem per Carla Zandegiacomo le quali è stato chiesto in apertura di cerimonia un minuto di silenzio. Quindi il canto di vari coristi cadorini - una selezione di appartenenti ai cori del Cadore - diretti per l’occasione dal maestro Benedetto Fiori. Proprio “Signore delle Cime” di Bepi De Marzi è sembrata la preghiera più degna in memoria dei caduti. Il pubblico ha seguito poi con attenzione gli interventi delle autorità. La gente ha apprezzato le parole di Lorenzo Dellai, presidente della provincia autonoma di Trento, che ha chiesto alle istituzioni statali e comunitarie di fare di più per la montagna e per chi ci vive e ci lavora, specialmente nel settore primario. “La montagna senza gli allevatori, è come Venezia senza gondole” ha detto Dellai con una immagine molto ef ficace. “Bisogna fare di più per la montagna anche perchè il suo peso politico è praticamente nullo”. Quindi il presidente Giancarlo Galan Ornella Doriguzzi che ha voluto sottolineare il valore assoluto delle Dolomiti come vero e proprio simbolo di bellezza, ma anche di serietà e solidarietà della gente che in monta- Giancarlo Mattietto gna si ostina a vivere. “Da teatro di guerre fratricide a simbolo di pace e lavoro comune. Questa è la ricchezza delle Dolomiti” ha concluso tra gli applausi. Concorde l’opinione della popolazione auronzana sull’opportunità di svolgere ugualmente la cerimonia da tempo programmata e per la quale l’organizzazione è stata particolarmente complessa. Giancarlo Mattietto ne è convinto: “Sono davvero contento che la cerimonia si sia volta. Quello che è successo è un fatto tragico ed è giusto ricordare chi è morto compiendo il suo dovere dedicandogli la cerimonia. Le polemiche vanno lasciate da parte”. Ornella Doriguzzi: “Questa visita del presidente Napolitano è per noi una cosa bellissima. Era programmata da tanto tempo e non poteva certo essere annullata. Sono orgogliosa per questo riconoscimento che viene dato alle nostre montagne”. Ancora più decisa è Carla Zandegiacomo: “Nei giorni scorsi sono state fatte delle polemiche assurde e ingiustificate che non mi sono piaciute. Penso che nella decisione di qualche sindaco di non venire ad Auronzo in una occasione così importante e significativa, vi sia dell’invidia verso il nostro paese”. Livio Olivotto AGOSETT 8-9:AGOSETT 8-9 7-09-2009 11:12 Pagina 2 8 I “Veci del Cadore” sono accorsi ancor più numerosi ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 Pieve di Cadore VALORI ANTICHI E NUOVI DEL GLORIOSO “BATTAGLION CADORE” imane salda la disciplina alpina, ma il cuore è a Pieve R di Cadore col proprio disciolto Battaglion Cadore. L’avevano detto, l’hanno fatto. I Veci del Cadore unitamente alla Sezione Ana Cadore sono accorsi ancor più numerosi quest’anno, con le loro famiglie, hanno riempito la bella piazza Tiziano con una selva di vessilli e labari, e, deposta una corona ai caduti, sono scesi in lungo e ordinato corteo alla Caserma P. F. Calvi per i discorsi ufficiali. Mancava il picchetto d’onore del 7° Alpini, già da tanti anni non si vede più la fanfara, però lo spirito di queste penne nere è rimasto intatto nel ricordo dei commilitoni caduti nelle guerre, degli eroismi del Battaglione sul fronte di guerra greco, del cameratismo negli anni recenti passati nella caserma Calvi. “Il 7° Alpini è il nostro riferimento - ha detto il generale Bisignano, presidente dell’associazione - però chiediamo rispetto e vogliamo essere fedeli ai nostri principi”. E il sindaco Ciotti, forte del sentimento di tutta la popolazione: “Siete venuti qui a Pieve di Cadore, pur sapendo concomitante un’altra cerimonia importante a Belluno, noi come Cadore ci sentiamo più uniti e più forti”. Inutile sottacerlo, i Veci del Cadore e lo striscione della Sezione ANA Cadore non sono scesi a Belluno, peraltro strapiena di penne nere e di autorità civili e militari, per rivendicare il diritto d’esistere in un’era di globalizzazione che fa saltare ogni caposaldo. L’ultima domenica di agosto è stata, è e sarà la festa del Battaglion Cadore, il cui gagliardetto custodito alla fine dell’ultima guerra dal tenente Alfredo Molinari è conservato nella Caserma “Pier Fortunato Calvi”. Un appuntamento toccante anche per chi alpino non è stato. Di primo mattino la santa messa in suffragio ai caduti nella chiesa arcidiaconale, poi, tutti schierati in piazza Tiziano dove giunge anche la bandiera del Comune di Pieve decorata di medaglia d’oro al valor militare per i fatti del 1848, mentre sulle note del Piave e Trentatre la Banda di Dueville riscalda l’atmosfera. Lo speaker ten. col. Gianluigi Rinaldi commenta, ringrazia i partecipanti e le Sezioni alpini presenti, non da ultima la Sezione Abruzzi che ha voluto essere a Pieve per ringraziare il Cadore e gli alpini dell’aiuto offerto. Si susseguono gli applausi. “At tenti!” Viene reso onore ai caduti cadorini da parte delle autorità e dei Veci, posando una corona sotto la lapide del Palazzo della Comunità. Viene ricordato e reso omaggio all’equipaggio dell’elicottero del Suem precipitato sabato 22, e per loro, le note del Silenzio e gli applausi. E’ il momento della sfilata: al rullo dei tamburi e sulle note delle canzoni alpine, le penne nere dalla bala rossa lasciano piazza Tiziano e sfilano orgogliosamente, a file, fra una selva di vessilli, fino a Tai dove riprendono posizione nel cortile dell’amata Caserma Calvi per i discorsi di rito. Fra le quasi 1000 persone che qui s’assiepano (alpini, familiari, autorità civili e militari) c’è il col. Preti che viene dalla Sardegna e regge il glorioso gagliardetto del Battaglion Cadore, c’è il gen. Papini già comandante della caserma e della Brigata Cadore, c’è il presidente della Sezione Ana Cadore Antonio Cason, c’è il ten. col. Monaco che porta i saluti del comandante del 7° Raggimento Alpini. A seguire, il discorso del gen. Gianni Monti già comandante del Battaglione. “Ai caduti di tutte le guerre di Pieve di Cadore va il nostro primo pensiero, unitamente alla riconoscenza di aver anteposto il dovere ad ogni altra considerazione. Accomuniamo nel ricordo anche i Veci che con i loro racconti e i loro scritti hanno rese vive le vicende di guerra del Battaglione”. “Anche i non cadorini hanno imparato a conoscere e a stimare durante il servizio prestato lo spirito di corpo del Battaglione, così come il nome delle compagnie, 67ma, 68ma, 75ma, 167ma, C.C.. Vincolo morale che si eleva nel tempo”. Il saluto infine del gen. Romano Bisignano presidente dei “Veci del Cadore”. Questa è la nostra 53ma adunata, lo ricordo con una punta di polemica per rivendicare il diritto dell’associazione a riunirsi in questo giorno. Noi siamo qui per onorare i nostri caduti e rinverdire le tradizioni del nostro Battaglione Cadore.” Servizio di Renato De Carlo 53a adunata domenica 30 agosto 2009 8-9 AGOSETT 8-9:AGOSETT 8-9 8-9 7-09-2009 11:12 Pagina 3 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 9 Lettere & opinioni • Lettere & opinioni • Lettere & opinioni Lʼ “AGE DʼOR” DI GIOʼ LIVA E I SALUTI DELLA CREPALDI OLGA DE MASO HA LASCIATO CORDOGLIO PER TILDE DAL IL SUO CARO BORTOLETTO PONT VED. NICOLOʼDE SANDRE Carissimi tutti, ho ricevuto la rivista alcuni giorni fa. Speravo di venire in Italia, però non è possibile, in agosto dovrò… e poi si vedrà. Mio marito si diletta a fare della pittura senza pretenzione, però ad un concorso de “L’age d’or” ha esposto alcune cose che sono piaciute, le ho fotografate e ve le mando, se le mettete sul giornale sarà una cosa gradita a mia figlia e a Gentile Direttore, le invio questa mia con la triste notizia che è morta la mia sposa di 85 anni, 62 anni sempre assieme, abbiamo creato una famiglia degna dei nostri sacrifici. Non resta che chiedere a lei di mettere sul giornale Il Cadore la sua foto di quando Olga De Maso aveva 83 anni. Al funerale molta gente, mio figlio Luigino medico e Vittore che è avvocato e abita con me. Se fa questa gentilezza le sarei molto grato, a lei un forte abbraccio unito al personale del giornale. mia sorella di Calalzo. Mandiamo tanti auguri cordiali a tutti. Enrica Liva Crepaldi Laval - CANADA luglio 2009 Complimenti a Giò. Avrei voluto avere maggior spazio e qualche notizia in più per presentare questo suo hobby; spero lo si possa fare in seguito. Tanti auguri alla Signora Enrica che tutto si sia risolto e possa venire serena in Cadore a ritrovarsi coi familiari. Giò Liva festeggia con la moglie Enrica Crepaldi gli 84 anni il 20 giugno 2009 La mia Olga è morta davanti casa il giorno 7 di giugno alle ore 11 prima di mezzogiorno. Mille grazie Bortoletto Coletti Londrina - BRASILE giugno 2009 A lei caro Bortoletto e ai suoi familiari le condoglianze più affettuose.Ormai tutti conosciamo la sua sposa Olga De Maso, di Nebbiù. Sintetico e toccante il riassunto della vostra unione: CALALZO - Molta gente ha porto a Calalzo l’estremo “Abbiamo creato una famiglia degna dei nostri figli”. saluto a Tilde Dal Pont, la vedova di Nicolò De Sandre, E’ un bel traguardo e ne può mancata a 82 anni dopo alcuni mesi di sofferenze. Durante la cerimonia funebre ha parlato il parroco don essere fiero in questo moLorenzo Menia, ricordandone con parole appropriate la mento doloroso. figura e le benemerenze. Le ceneri sono state poste al cimitero di San Vito accanto al corpo del marito, l’indimenticabile Nicolò, mancato alcuni anni fa dopo una intensa vita di funzionario nelle Apt cadorine, in quella ampezzana e nella Magnifica Comunità di Cadore. COMUNICAZIONE Il direttore si scusa con quanti abbiano visto pubblicata la propria lettera in ritardo o non appaia su questo numero. Ciò è dovuto alla programmazione del giornale. AUGURI A EZIO E BEPPINA CADORINI LONTANI, SEMPRE PIUʼ LONTANI... Caro Direttore, mi hai chiesto perché non sono venuto alla manifestazione di Zoppè formalmente dedicata ai Cadorini lontani. Tanti auguri a Non sono venuto pur Ezio Da Corte essendo un’oriundo ane a Beppina ch’io, perché ho avuto la Serafini sensazione, che mi augudi Valle ro sbagliata, di non sentirdi Cadore la più come la festa nella che hanno quale i cadorini lontani festeggiato sono considerati protagoil 30 maggio nisti; ma soltanto spettatoil loro 45° ri di una manifestazione anniversario allargata d altre iniziative di matrimonio. della Magnifica Comuni- tà; iniziative tutte validissime ma… fuori luogo. Non sono certo poi che inviti personalizzati siano stati mandati per tempo a tantissimi cadorini che vivono fuori della Piccola Patria, in Italia e all’estero. Bastava scorrere la lista degli abbonati a Il Cadore per identificarli e contattarli. Non basta un tardivo comunicato stampa o altro per risolvere questo semplice problemino. Mortificante poi il fatto che gli uffici della Magnifica siano raggiun- gibili solo un’ora al giorno nei giorni della settimana, se non per e-mail. E’ comprensibile pertanto, che alla “Festa dei Cadorini lontani” partecipino sempre meno cadorini lontani, perché si sentono forse troppo lontani dal Palazzo e quasi degli estranei. Scusami per mio questo sfogo amaro, ma sarò felicissimo di essere smentito il prossimo anno con un robusto recupero della cadorinità di chi vive altrove. Tuo Emanuele De Polo cadorino “de fora” a Venezia Fa male leggere questo sfogo da Emanuele che, più d’ogni altro e per oltre dieci anni, dalla direzione de Il Cadore ha tessuto affettuosi e corrisposti rapporti con i tanti Cadorini sparsi nel Mondo e desiderosi di sentirsi partecipi fra la gente della loro originaria terra. Il presidente D’Andrea di sicuro leggerà e risponderà. Certamente bisognerà attivare canali preferenziali per gli ancora pochi, anziani, affezionati Cadorini lontani. AGOSETT 10-11:AGOSETT 10-11 7-09-2009 11:13 Pagina 2 10 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 8-9 Lettere & opinioni • Lettere & opinioni • Lettere & opinioni NENE LIDIA DI CIBIANA COMPIE 100 ANNI E FESTEGGIA CON IL SINDACO E NIPOTI Lidia De Zordo di Cibiana ha festeggiato lunedì 24 agosto i cent’anni mostrando una splendida forma fisica, solida memoria ed una spiccata arguzia. Attorniata dai nipoti Gianni, Nives, Adua e Antonia giunti anche da Pavia e dalla Germania per festeggiare la néne, a fianco del sindaco di Cibiana Guido De Zordo che non ha voluto mancare portandole un bel mazzo di fiori, Lidia ha tagliato la torta e voluto brindare “a tutti, perché tutti mi hanno voluto in questi anni molto bene”. Quale sarà il segreto di tanta longevità? “Ho lavorato tanto”, risponde. Nata a Brunico nel 1909 dove il padre Giovanni ave- va trovato occupazione, Lidia cominciò a 14 anni a guadagnarsi il pane dapprima in Italia poi in Germania ed infine a Cibiana dove lavorò alla FIOC per 20 anni. Essendo nubile, si dedicò ad allevare i nipoti ma anche a produrre “scarpet” che andava a vendere di persona a Cortina. Invecchiando e rimanendo sola, una decina d’anni fa circa decise di entrare in Casa di riposo a Tai di Cadore, dove ha trovato un’altra famiglia, sentendosi a proprio agio coccolata dall’intero personale. Non credeva di arrivare a questo traguardo, néne Lidia, però - dice - benvengano tanti altri compleanni così. SI FACCIA MANUTENZIONE SUI PONTI TOGLIENDO LE PIANTE NON SI SA MAI, LA FERROVIA POTREBBE TORNARE UTILE Poco tempo fa, un giornale riportava che la tratta ferroviara Padova Calalzo potrebbe essere soppressa per mancanza di personale. Lo scrivente, che abita a 10 metri dalla linea Ponte Nelle Alpi - Calalzo, è facilitato nell’osservare più volte i convogli che sferragliando transitano, riuscendo a contare all’interno delle carrozze le teste dei passeggeri. Mi chiedo: chissà quando e quale sarà il pretesto che questa povera linea verrà definitivamente soppressa!? Perché non a torto, i passeggeri sono veramente rari, eccetto a fine anno, Pasqua e ferragosto, superano di poco il numero delle dita delle mani. Vicino alla mia abitazione c’è la bellissima costruzione del ponte ferroviario che valica la profonda forra del torrente Valbona, un’opera alquanto imponente, ma che purtroppo è minata dalle piante arboree che vi crescono dalle fessure stesse del ponte e come si sa la lenta e continua forza della pianta, sgretola il manufatto con estrema facilità. Potrebbe essere questo il fenomeno che causa il pretesto di una possibile chiusura della linea ferroviaria? Se dovesse essere per motivo ecoGRANDE MAGAZZINO nomico lo potrei anche capire, E LABORATORIO SPECIALIZZATO IN: ma se la chiusura dovesse avvenire per il cedimento del manufatto a causa dalle radici, TENDAGGI magari poi seguito da una scu(Oltre 200 varianti sempre pron sa che la manutenzione costerebbe troppo, beh, sarebbe TAPPETI... veramente assurdo. Sono stato in Brasile e nella (Classici - Moderni - Rustici). cittadina di Tubarao c’è un mudel treno, un buon numero GRANDE MAGAZZINO IT seo L tra locomotive e vagoni, che A LORENZO tappezziere LORENZO tappezzie PERSIANI ETAPPETI LABORATORIO SPECIALIZZATO IN: QU TRAPUNTE PIUMINO TENDAGGI (Oltre 200 varianti sempre pronte). TAPPETI... Visitateci a Z RE P LOZZO DI CADORE ITÀ L A TAPPETI PERSIANI (Bl) QUZ O Z (Classici - Moderni - Rustici). RE P Visitateci a LOZZO ’ -DI CADORE (Belluno) A Telefono 0435.76058.I T Vicino al campo spo telefono L A 0435.76058 QU vicino al campo sportivo TRAPUNTE PIUMINO Consegnato un attestato di benemerenza dalla amministrazione di Pieve tra l’altro, vengono riparati e verniciati in una officina meccanica con disparate attrezzature, ma nonostante ciò sono messi a nuovo da volontari in pensione uniti dalla loro associazione. Eba 70 anni in Piazza Tiziano è aperto albene, il convoglio risistemato, la clientela l’elegante negozio “Palusbuffando vapore dal camino detti Calzature”, avviato da Antonio poi pasesce dall’officina museo pronto sato 40 anni fa a Carmelo Paludetti. Una perper la sua destinazione, che posona, Carmelo, capace, benvoluta e attiva nel trebbe essere un enorme parco, settore in cui è stato più volte presidente del oppure un tronco ferroviario locale Consorzio commercianti, nel Rotary dismesso. Esperienza già pratiClub Cadore e Cortina di cui è stato presicata. Il viaggio dura circa una dente, nel settore sociale dove si è prestato giornata e in carrozza si ascolta alle iniziative anche come sponsor. musica dal vivo con chitarra e fiMeritatissimo dunque l’attestato di benesarmonica dove si canta e si balmerenza conferito alla Ditta “Paludetti Calzala. Ad ogni stazione che presenture” dall’amministrazione comunale nella ta la sua caratteristica costruziopersona del sindaco Maria Antonia Ciotti, che ne, c’è una tappa di circa mezha scelto per la cerimonia una manifestazione z’ora, dove all’interno o sulla importante fra quelle dell’anno internazionapensilina sono allestiti dei banle dell’astronomia, presentata all’Auditorium chi per chi vuol fare delle compere, bere, assaggiare le specialità, fotografare, ecc... Quello che al momento desidero suggerire per la linea ferroviaria te quelle piante dai ponti; non si sa Ponte Nelle Alpi - Calalzo non è cer- mai, forse un domani la tratta potrebtamente la sua chiusura per copiare be ritornare utile proprio a scopo tunell’immediato l’iniziativa di uno Sta- ristico museale. to emergente, che sarebbe anche fatMilo Mazzucco tibile, ma almeno si disboschino tutOspitale D AGOSETT 10-11:AGOSETT 10-11 8-9 7-09-2009 11:13 Pagina 3 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 11 NEBBIUʼ - 1a EDIZIONE DEL PREMIO DI SCRITTURA FANTASTICA PER RAGAZZI Q ualcosa di nuovo si è aggiunto quest’anno alla tradizionale Sagra di Nebbiù, nato per l’idea dell’Ass. Turismo & Servizi Stampa, che ha fornito i premi consistenti in libri, e della Biblioteca dell’Ass. Pro Nebbiù, che ha curato il tutto: si tratta della prima edizione del Premio di Scrittura Fantastica per Ragazzi, dedicata appunto ai ragazzi delle Scuole Primarie e Secondarie, suddivisi i due gruppi: fino ai 10 anni e dagli 11 ai 15; il tema era: “Racconta la tua storia, narra la tua favola, inventa la tua leggenda. Dagli elaborati pervenuti alla Segreteria, non essendo tantissimi, la Giuria ha voluto riconoscere il primo premio ex equo a due coetanee di 10 anni: Jasmine Case di San Gregorio delle Alpi, e Camilla Costella di Pozzale di Cadore, rispettivamente per i racconti: «L’Orso e la bambina» e « Augusta e la Fatina ». La prima per il taglio “giornalistico” con una narrazione essenziale e scorrevole, la seconda per fantasia ed il finale inconsueto ed a sorpresa. A premiato le mini-scrittrici, l’ Assessore alla Cultura del Comune di Pieve, prof. Giovanna Coletti, che ha voluto evidenziare l’ottima qualità della loro narrazione, incoraggiandole a proseguire con l’auspicio che tanti altri ragazzi/e seguano il loro esempio semmai ci fosse un proseguo dell’iniziativa, con magari un II° Concorso che coinvolga, appunto, altri giovanissimi scrittori, iniziativa che l’Assessore non ha mancato di elogiare. Attestato e libri sono stati premi, tra cui quello con dedica personalizzata dell’autore: “ In parole povere” di Antonio Alberti, che è anche curatore della Biblioteca e del concorso; ed infine, le ragazze hanno provocato la fortuna, ottenendo 10 biglietti ciascuna legati alla grande pesca di beneficenza; biglietti offerti dalla Ass. Pro Nebbiù che è promotrice della Sagra medesima. Antonio Alberti Camilla Baldovin (a destra) e Jasmine Case vincitrici ex equo del premio I Ragazzi Raccontano AUGUSTA E LA FATINA M olti anni fa a Nebbiù una piccola bambina vestita di azzurro con una cesta di mele in mano e una bambolina nell’altra si diresse verso il Rù per osservare i girini. Mentre guardava con tenerezza quei piccoli esseri viventi una voce la interruppe: Aiuto, aiuto, qualcuno mi aiuti! La voce arrivava da un piccolo pesce rosso che si muoveva ansimante sulla terra ferma. Tu puoi parlare?! - chiese preoccupata la bambina osser vando l’animale con i suoi dolci occhi. Tutti gli animali possono parlare basta ascoltarli veramente. Comunque questa notte durante la tempesta sono stato trasportato a riva, ti prego rimettimi in acqua! La bimba lo prese in mano e lo posò delicatamente in acqua. Il pesce si fece un giretto sotto acqua e poi tornò a riva, fatto questo si illuminò una luce e al posto del pesce appar ve una piccola fatina: Ti ringrazio, allora come ti chiami? Io mi chiamo Augusta!- rispose la bambina sorridendo. Bene Augusta, per ringraziarti del tuo gesto gentile ti donerò la possibilità di avere tre desideri a tua disposizione. Ti serve qualcoa in questo momento? I 70 ANNI DELLA DITTA PALUDETTI CALZATURE COS.MO di Pieve di Cadore l’11 luglio. L’evento presentato quest’anno dal Museo dell’Occhiale di Pieve e dall’Associazione Astronomica di Cortina d’Ampezzo con mostre, conferenze, dibattiti, proiezioni cinematografiche, ha visto infatti interessato alla promozione il negozio “Paludetti Calzature”. Chiamato sul palco all’inizio della serata, Carmelo Paludetti ha voluto così ringraziare: “20 luglio 2009 anniversario dei 40 anni dallo ‘sbarco sulla luna’; gli americani con questa conquista hanno lasciato una impronta indelebile nella storia dell’umanità... 70 anni di commercio in Cadore della mia azienda avrà lasciato una impronta indelebile nel cuore dei cadorini? Lasciare una impronta significa: esserci, esistere, avere una identità, una riconoscibilità, un senso di appartenenza, delle radici profonde... 70 anni di attività commerciale, all’ indiriz- zo attuale ma che allora era il numero civico 39. Sì, perché già prima di quella data, mio padre Antonio, di San Giacomo di Veglia veniva in Cadore col suo carretto carico di scarpe, carretto trainato da due cavalli; faceva tutte le fiere paesane: Auronzo, Santo Stefano, Lorenzago, Domegge, Valle di Cadore, Pieve e . . . molti altri paesi del Cadore. Grandi eventi, accanto a piccoli eventi, ma anche i piccoli eventi assumono un significato profondo per chi li vive in prima persona, perché la passione e la dedizione che li contraddistingue e li sostiene, lungo gli anni, nel mio caso ben quaranta, è sempre la stessa. Ma ciò che di grande e di piccolo si fa, lo si fa assieme ad altre persone, ed è per questo che, oggi, desidero ringraziare, accanto a mia moglie e alla mia famiglia, tutti i clienti, per avermi consentito di raggiungere questo splendido traguardo. Grazie.” No ora non mi serve niente! rispose la bambina. Allora ti saluto! - salutò la fata e poi scomparve. Passarono molti anni e Augusta era ormai una persona adulta e dato che a quel tempo era molto complicato avere figli corse al fiume a trovare la fatina. Buon giorno è da tempo che non ci vediamo! esclamò lei. Mi dispiace è che ora ho un marito, Adamo, e sono adulta quindi molto impegnata! Hai bisogno di qualcosa? chiese la fata. Sinceramente sì - disse la ragazza, quindi chiuse gli occhi e esclamò: Vorrei avere molti bambini! Infatti negli anni seguenti ebbe otto bambini: Arturo, Angelo, Rina, Nelso, Bepi, Giovanni, Ornella e Francesco. Passarono gli anni e Augusta ritornò al fiume dalla fatina per esprimere un altro desiderio: Ora ho molti figli non mi manca niente ma vorrei che i miei bambini avessero la stessa fortuna che ho avuto io! Infatti in famiglia ora sono cinquanta!!! Passarono molti anni e ormai Augusta era diventata vecchia e stanca, si recò di nuovo al ruscello: Allora cosa desideri? - chiese la fata. Nulla - rispose -. Ho molti figli e nipoti, lontani e vicini, ma siamo lo stesso una famiglia unita! foto Albrizio di Camilla Baldovin Pozzale di Cadore Va elementare Ma allora cosa me ne farò del tuo ultimo desiderio? chiese la fatina. Donalo a chi ha più bisogno di me! - rispose Augusta allontanandosi. Infatti la fatina prese alla lettera quel discorso e lo regalò a una famiglia bisognosa. Ancora per molti anni la fatina e Augusta si videro al Rù mentre la donna lavava, la fatina raccontava, ma poi un giorno la fatina seppe da un cer vo che Augusta era malata. Volò subito a casa sua e la osservò dalla finestra: era seduta sulla poltrona piccola, magra e stanca. Allora la fatina esclamò: Per tutti questi anni hai vissuto gioie e dolori, allor io ti dono una delle morti migliori. Nella camera infatti entrò Ornella che prese in braccio Augusta per metterla a letto. Lei si addormentò proprio tra le braccia di sua figlia. Io so di tutto questo: della fata, dei desideri, della migliore delle morti perché in realtà Augusta è la mia bisnonna, la mamma del mio nonno Nelso. Per molti anni lei è stata la donna più vecchia, ma anche più forte di tutto Nebbiù. LA FATA DEL RU’ C’E’ ANCORA SI SENTE ANCHE NELLA NOTTE PIU’ NERA MA A ME NON FA PAURA PERCHE’ DELLA FAMIGLIA COSTELLA E’ UN’AMICA SICURA AGOSETT 12-13:AGOSETT 12-13 7-09-2009 11:15 Pagina 2 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 12 LA GRANDEZZA DEL CADORE G iovanni Sala Tuze, nato a Borca 1883 e morto nel 1965, era sposato con una signora di Merano da cui ebbe l’unico figlio Marzio, che vive in Germania. La famiglia Tuze era formata da sei fratelli: oltre a Giovanni c’erano Umberto, che gestiva un emporio di generi vari non alimentari; Olivo, ufficiale degli alpini; Ortensia, andata sposa a Brescia; Ardennia (1883), sposata a Vicenza e il suo gemello Oreste (1883-1962), a sua volta padre di: Ortensia jr (1927), Giovanni Battista “Tita” (1928), Olivo (11931), Ines (1934), Ardennia (1936), Umbertina (1937), Emma (1942). Giovanni s’era laureato in scienze forestali e combatté tutta la guerra volontario negli alpini. Fra i suoi meriti si ricorda che nel 1917, assieme al collega Gandolfi, aveva fondato La Trincea, seguendone i primi numeri fino a metà 1918 quando il giornale, diventato popolare fra i soldati del Piave, venne avocato dall’ufficio propaganda del comando supremo. Ma l’impresa che lo ha consegnato per sempre alla storia è la conquista del Passo della sentinella, sulla Cima Undici, con la perdita di un solo soldato. Una spedizione alpinistica-militare sul filo dei tremila metri che gli avrebbe meritato la medaglia d’oro. Le autorità l’assegnarono invece ad suo sottoposto, aspirante ufficiale, di nome Italo Lunelli. Ma era un volontario trentino, dunque un irredento e, per di più, in seguito protetto dal partito fascista. Giovanni Sala cui diedero invece la medaglia d’argento, si ribellò all’ingiustizia, iniziando una impervia <battaglia> per ristabilire la verità. C’era la testimonianza dei suoi soldati e ufficiali; parlavano le sue relazioni sul campo; aveva l’appoggio autorevole di Antonio Berti, scrittore e alpinista che conosceva i luoghi; persino gli storici di guerra austriaci elogiavano quell’azione unica in tutta la guerra, che non avevano assolutamente previsto e che aveva fatto loro perdere il prezioso , sul quale stavano in posizione ideale per la difesa gli austriaci. Inutilmente! PRIMO ANNO DI GUERRA - 1915 Raccontiamo la storia di questo valoroso di cui il Cadore deve sentirsi fiero, soprattutto perché comandante militare con minor perdita di vite umane. Eppure la politica lo ha tradito. Alla fine del primo anno di guerra 1915 anche il fronte del Comelico, dal Monte Croce alla Croda Rossa e alla Cima Undici, era esattamente il medesimo di sei mesi prima, allo scoppio delle ostilità. E, quasi al centro, continuava a resistere un passaggio chiave, sul quale si di Mario Ferruccio Belli Giovanni Sala LʼEROE TRADITO Era il segnale: dalle caverne gli alpini col capitano Sala scivolarono fino al Passo della Sentinella e lo conquistarono Nessuna riconoscenza per lʼeroe di Borca contrapponevano in posizione ideale gli austriaci, detto della Sentinella per un obelisco che tuttora lo caratterizza. Invano, e con molte perdite, l’esercito italiano aveva cercato di rompere quella barriera. In agosto s’era dissanguata una compagnia di fanteria; subito dopo ci aveva provato il battaglione alpini Finestrelle; in settembre ancora le fanterie. Alla fine di ottobre arrivò al comando del settore il generale Fabbri deciso a ritentare gli assalti durante la stagione invernale. Ispezionò più volte il fronte in compagnia del medico militare Berti e del capitano Sala, arrivando alla conclusione che il passo si poteva occupare calandosi dai 3000 e più metri di Cima Undici. Ma chi avrebbe osato tanto? Il generale Venturi, che a metà novembre lo sostituì, fece suo quel piano audace e incaricò il capitano Sala di procedere. Dal 9 al 25 gennaio 1916 Sala e suoi ufficiali ispezionarono segretamente la catena da entrambe i lati. Con il cannocchiale studiarono ogni canalone, le cenge, le gole, gli anfratti, le forcelle, sempre nella massima segretezza. Risalirono più volte Val Giralba, accertando che il punto di partenza per impossessarsi dell’immane balconata di roccia doveva essere la Cre- 8-9 sta Zsigmondi a quota 2850. Nell’estate precedente, per fortunata combinazione, il tenente De Zolt l’aveva già scalata, lasciando poco sotto la cresta un presidio di tre alpini in un baracchino. Sala decise di attrezzare quel percorso per operarvi anche in inverno. Da lassù l’avanzata sarebbe proseguita, lungo le creste fino alla Cima Undici che dai suoi 3100 metri e più sovrastava l’agognato passo. Lo si doveva percorrere con armi e carichi sia di giorno che di notte e senza che il nemico se ne accorgesse. Bisognava evitare che i cannoni della Croda Rossa, proprio di fronte, la neutralizzassero, ma pure guardarsi dai telescopi puntati dai Tre Scarperi. Sarebbe stata un’impresa alpinistica anche d’estate, immaginarsi con il gelo e la neve di quell’inverno! Era una sfida sia al senso, ancor più ai manuali militari. Dunque proprio adatta agli alpini e al loro coriaceo comandante Sala da Borca! GLI ALPINI CONQUISTANO IL PASSO DELLA SENTINELLA La dettagliata relazione, corredata da un primo lunghissimo elenco di materiali, fu sul tavolo del generale Venturi e, ancora prima della fine di gennaio 1916, arrivò l’approvazione. Subito cominciarono le carovane a dorso di mulo, e in spalla, per far arrivare sulla forcella Giralba baracche smontate, stufe, combustibile, corde metalliche, scalette, piccozze, ramponi, vestiario, viveri, esplosivi, tavolati di ogni misura e spessore, viveri in quantità, soprattutto grappa e vino. Il 30 gennaio 1916, in compagnia dell’aspirante Italo Lunelli, volontario trentino che i comandi gli avevano aggregato, Sala si trasferì con il suo piccolo comando sulla forcella, il punto più vicino alla Zsigmondy, e più sicuro dagli occhi curiosi degli austriaci. Pernottò nelle baracche dell’artiglieria, il giorno seguente si arrampicò sulla Zsigmondy e, dopo aver stabilito i collegamenti telefonici, iniziò i sopralluoghi. Il 12 febbraio il generale Venturi, allarmato per la quantità di materiale che la spedizione continuava a richiedere ai magazzini divisionali di Auronzo, inviò il capitano Gregori a verificare. Egli era un alpino e esplorò il percorso fino al punto più avanzato, una baracca detta <la mènsola>, a m 2990, alla base del torrione terminale di Cima Undici, dopo di che stese una relazione che incominciava “Non è possibile immaginare quali difficoltà siano state vinte …”. Il peggio, peraltro, doveva ancora arrivare. Il 21 febbraio il tempo si guastò. Per giorni infuriò la bufera alternata nevicate; era un succedersi di valanghe con isolamento dei posti avanzati e interruzione delle linee telefoniche. Soltanto il 28 febbraio il capitano Rossi, della 96 Cp, riuscì a stabilire un contatto telefonico con Cresta Zsigmondy, dove gli uomini erano allo stremo, scarsi persino di candele e di tabacco. Il 12 marzo 1916, dopo numerosi tentativi, Sala provò a calarsi in val Giralba, donde si fece portare ai comandi, mettendo in moto la macchina dei soccorsi e il ricambio del personale ammalato o congelato. A forza di corvées il materiale ed i viveri arrivarono finalmente anche nei casotti più sperduti. Il 20, i reparti erano in grado di riprendere l’avanzata. Il 23, l’alpino Menegus montava l’ultima ricovero a 3050 m, sulla forcella Da Basso, da cui si dominava Val Fiscalina. Il 26, Sala comunicava che i preparativi erano stati comple- tati e chiedeva teli bianchi mimetici. In aprile incominciò l’armamento della linea. Sul Popéra fu issato nottetempo un cannone da 65 puntato sulla Croda Rossa. Tutto il crinale, tanto faticosamente impadronito, fu collegato con i comandi a mezzo di telefoni ed eliografi. Dalla <mènsola>, che da più settimane non aveva abbandonato, Sala inviò il piano finale a Venturi, che lo approvò, avocandosene il comando. L’assalto sarebbe stato fatto da due squadre di venti uomini ciascuna, al comando dei tenenti De Poi e Iannetta. Il 16 aprile 1916 sul Popéra, ammantato di neve, l’artiglieria scatenò la tempesta. Era il segnale. Dalle caverne dove avevano trascorso la notte insonne, scivolarono verso l’ignoto 38 alpini, 2 ufficiali e il capitano Sala. La sorpresa fu totale. Intontiti dallo scoppio delle bombe a mano dei <diavoli vestiti di bianco> i difensori del passo della Sentinella si arrendevano, con la perdita di un solo uomo. Mai una conquista tanto brillante era stata pagata a così poco sangue. PREMI E MEDAGLIE Il resto è cronaca. Dopo i telegrammi di compiacimento degli alti comandi e i tentativi vani degli austriaci di riprendersi l’importante posizione, arrivarono i premi. Tutti gli <eroi>, che Sala chiamava <mascabroni>, ebbero l’avanzamento di carriera, agli ufficiali toccarono anche medaglie, fra cui quella d’argento a Sala e d’oro, appunto, a Lunelli (il quale aveva partecipato marginalmente all’azione conclusiva!). Conclusa la guerra iniziarono i diari. Ma fu soltanto nel 1931 che il generale Venturi a raccontò l’impresa del 7° e del 3° Alpini nel libro <La conquista del passo della Sentinella>; mentre G. Lorenzoni lo riprendeva ancora più dettagliatamente sul mensile del corpo. Nel 1933 Giovanni Sala, nel frattempo nominato comandante dell’accademia forestale di Vallombrosa, pubblicava <Guerra per Crode> che G. Fabbiani recensì su ASBFC, annotando, “Né l’uno né l’altro ce l’avevano raccontata con così abbondante materiale fotografico come ora hanno fatto Giovanni Sala, allora capitano degli alpini, e Antonio Berti, ufficiale medico, ora primario nell’ospedale di Vicenza. Il racconto, che precisa anche le persone partecipanti all’azione, ci rivela episodi eroici di oscuri combattenti ed è questo un gran merito della bella pubblicazione ”. A questo punto scattò la contro-campagna organizzata dalla Legione trentina dell’associazione volontari di guerra, con un opuscolo firmato dallo stesso Lunelli. Quasi tirati per i capelli, Berti e Sala pubblicavano la risposta <Postille al libro Guerra per Crode>. Apriti cielo! Il 28 ottobre 1933 Sala veniva convocato a Roma dal sottosegretario alla guerra, il quale gli comunicava <per ordine del capo del governo la controversia doveva immediatamente cessare>. Siccome sui giornali continuavano le polemiche il 1 dicembre 1933, il ministro Baistrocchi, per ordine del <duce>, emanava un comunicato ufficiale che troncava ogni discussione. Nel dopoguerra, ritrovata la libertà, Sala pubblicò <Crode contro crode>, con documenti e fotografie. Risultato? Nullo, a conferma di quanto il falso sia spesso preferito al vero. La coltre fascista aveva ormai reso verità le calunnie, purtroppo anche fra gli addetti, scrittori e giornalisti. Al centro del Popèra veniva intitolato un rifugio ad Antonio Berti, ma il secondo rifugio creato sul costone portava il nome non di Giovanni Sala bensì dell fratello Olivo! Peggio ancora, sui prati di Selvapiana sorgeva un terzo rifugio intestato a Italo Lunelli, gestito dalla guida Bepi Martini. Naturalmente i veti dello sciagurato ventennio continuano a colpire anche oggi. Giovanni Sala é stato dimenticato persino nel suo paese che ha dedicato una via non a lui ma ad Olivo. Nel 1959 aveva scritto quasi come commiato: “Solo il tempo, giudice incorruttibile, permette che la verità trionfi, se la si aiuta a trionfare”. E’ appunto questo che abbiamo voluto fare, raccontando la gloriosa conquista ai lettori del Cadore. AGOSETT 12-13:AGOSETT 12-13 8-9 7-09-2009 11:15 Pagina 3 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 iusto 200 anni fa, nella priG mavera del 1809, Napoleone sapeva estrarre per l’ennesima volta dal cilindro della sua ineffabile strategia la soluzione ad una difficilissima situazione militare. Neanche un mese prima sull’Isonzo l’Austria aveva presentato la dichiarazione di guerra ed il Viceré Eugenio era stato costretto a ritirarsi in tutta fretta sul Tagliamento, ma poi era bastata la battaglia dei 5 giorni per portare i soldati francesi sotto le mura di Vienna. E quando l’Arciduca Giovanni tentò di venire in soccorso alla capitale congiungendosi alle forze dell’Arciduca Carlo l’Armata d’Italia lo sconfisse a Conegliano ed ostacolò in ogni modo la sua ritirata dal Veneto. Il Bellunese venne quindi a trovarsi tra l’incudine ed il martello, scontando anzitutto le opposte esigenze di attaccanti e difensori, con tutto l’ineffabile rosario di requisizioni, incidenti e violenze. Il generale francese Rusca per Trento e la Valsugana puntò subito verso il Cadore per fiancheggiare il Principe Eugenio che inseguiva l’armata austriaca e la valle del Piave assistette alla ritirata del Gen. Schmidt con 4000 soldati e 200 cavalli imperiali. La retroguardia di questo corpo, comandata dal cap. Zuccari, con circa 400 uomini croati e tirolesi, il 10 maggio cercò di resistere a Perarolo, alla confluenza del Boite nel Piave, per dar modo al grosso di ritirarsi in tempo verso Ampezzo. Si accese un accanito 13 La battaglia degli austriaci a Perarolo nel 1809 contro i napoleonici SATIRA DURA SENZA PAURA Don Giuseppe De Vido non era certo un ammiratore di Napoleone e ben prima del 1809 aveva già messo in circolazione in Cadore due feroci satire contro il grande còrso scontro intorno al ponte di S. Rocco e alla fine lo stesso Zuccari, ferito ad una coscia, dovette risalire verso Damos e fuggire quindi verso Pieve di Cadore. La battaglia di Perarolo costò ai francesi 8 morti, poi sepolti a Perarolo, e 57 feriti, mentre gli austriaci ebbero, tra morti, feriti e prigionieri, 25 uomini fuori combattimento, cui però andrebbero aggiunti molti soldati gettati morti in acqua e un numero elevato di disertori. In quel bailamme restò coinvolto pure don Giuseppe De Vido, originario di S. Vito e Parroco di Perarolo dal 1779 fino alla morte, inter venuta nel 1826. Il nostro non era certo un ammiratore di Napoleone e ben prima del 1809 aveva già messo in circolazione in Cadore due feroci satire contro il grande còrso. Nella prima, di circa 400 versi, per lo più senari, ma anche quinari, rimati ABBC, racconta di un spaventoso sogno fatto, con Napoleone infermo che lo chiama al suo capezzale per un consulto: la diagnosi in verità è piuttosto semplice: “Provinzie e Regni / voi divoraste: / voi tracannaste / il sangue uman. / Ora un ammasso / chiudete in petto / sì maledetto / che non so dir.” Il rimedio? Liberarsi naturalmente, magari con l’aiuto di acqua tiepida, di un “vomitorio” e di un “cagatorio”: “E che l’Italia / con grand’affanni, / con gli urli strani / vomiterè. / E co’ un rabioso / dolor de panza / anca la Franza / vu cagarè”. Quali le colpe imputate a Napoleone? Di essere stato il carnefice di mezzo mondo, di aver fatto morire più d’un milione di persone, di aver escogitato “mile trapole” per arricchire se stesso ed i suoi intendenti, di aver emanato leggi contradditorie e confuse, che minacciavano i diritti della Chiesa e disprezzavano tutti i riti religiosi. Nella seconda composizione, noscenza sicura su di un determinato argomento. E questo argomento è il legname con alcune delle sue implicanze. Già il nome di taia, che sta per tronco, indica che solamente coloro che armeggiano nel bosco sanno riconoscere immediatamente quanto sto scrivendo. Ma se si prosegue con zochi da schei dove zochi sta per ceppi e schei per denaro, oppure per remi da mercanzia, scorza od anche tressi (che sono quei legni usati per le seggiole, i piuoli che servono a tenere unite le scranne), allora qualche spiegazione risulta essere del tutto utile perché si tratta ormai di nomi del tutto desueti. Ad esempio: il dessalvo. Nel Vocabolario ampezzano sta per disboscare radunando i tronchi e specifica che i legnami mercantili, una volta tagliati, restano al posto del taglio perché spesse volte impraticabile alle bestie da tiro. Nomi desueti nei lavori boschivi Eʼ ormai difficile districarsi tra taie, boai e risme Sul tardo autunno, quando il terreno diventa sdrucciolevole o per piogge cadute o per il primo gelo, allora i tronchi vengono radunati in luoghi opportuni per la condotta, facendoli scivolare giù per i canaloni ripidi. Due sono i comuni sistemi di dessalvo: i boai e le risme. Si usano i boai quando il tratto da percorrere è breve, diritto ed in forte pendenza; le risme, invece, quando il tratto è lungo, con svolte e minore pendenza. Il boai, sostanzialmente, è una cunetta naturalmente scavata, dall’alto al basso, sul dorso del monte, entro la quale vengono precipitate le taie. A furia di farle scivolare si scava sempre di più nel terreno e si finisce col servi- di circa 50 versi, per lo più novenari a rima baciata, si descrive l’attesa di Napoleone e dei suoi seguaci all’inferno, dove l’imperatore pagherà il fio delle tante maledizioni lanciategli: “Meledetti li Francesi / maledetti i Milanesi / maledetti i Bellunesi / tutti in fondo dell’inferno / maledetti in sempiterno”. Come si vede il nostro non aveva davvero peli sulla lingua, neanche nei confronti delle autorità della provincia di Belluno appena sorta, responsabili, secondo lui, di essere state fin troppo prone al volere dell’invasore. I francesi vennero a conoscenza di queste poesie e lo ricercarono, cosicché don Giuseppe fu costretto a fuggire da Perarolo e a nascondersi in un convento del Montello. Al ritorno degli austriaci era tornato a Perarolo e forse mai avrebbe immaginato che proprio preso il suo paese si sarebbe combattuta un’importante battaglia il 10 maggio 1809. Il De Vido, che aveva notevoli conoscenze mediche e chirurgiche, si prodigò assai per curare ed assistere in canonica i molti feriti francesi, tanto che il Rusca ne riferì a Napoleone, che non solo annullò la precedente condanna, ma nominò addirittura il De Vido vescovo onorario di Torcello. Si dice però che don Giuseppe, ricevuto il foglio di nomina mentre si trovava seduto in canonica accanto al fuoco, lo gettasse senza esitazione tra le fiamme. Coi francesi non voleva aver a che fare, anche se in verità seppe (segue a pag. 14) DEL TAGLIALEGNA IL LINGUAGGIO l discorso che farò sembrerà I ai più un linguaggio per iniziati, adatto cioè a chi ha una co- di Walter Musizza Giovanni De Donà re meglio allo scopo. Se poi vi è a portata di mano dell’acqua, la si getta sopra ed allora le taie... volano. La risma è un sistema alquanto più complesso perché più lunga dei boai e può essere paragonata ad un vero e proprio canale, fatto con le taie stesse. Quelle che formano la sponda sono esternamente fermate con paletti, quelle del letto sono fermate testa contro testa. Le lunghezza della taia (quattro metri) costituisce un segmento della risina la quale ne può contare anche qualche centinaio. Ecco la memoria sul contratto da farsi per la condotta delle taie tra la Regola di Calalzo e quella di Padola: “1°- La strada dovrà esser a peso della Regola idest tanto li danni che venissero fatti nel condurle dal Capitello più nei boschi di Padola, anzi dovrà essa Regola monirsi della licenza e permesso; 2°- Non saranno tenuti li compagni ad alcuna responsabilità per rotture di taglie nel condurle e altrimenti; 3° - Si ricerca se si abbia di separ le misure, se si abbia di cancellarle, o lasciarle in massa come vengono condotte. Li pagamenti saranno d’accordo fissati e stabiliti prima dei taglio cioè in marzo, e parte prima.” Una volta raccolte le taie, venivano spedite via acqua, tramite il Piave, a Venezia. Al trasporto ci pensavano i menadas i quali, come i loro compagni europei che usavano gli stessi mezzi (spagnoli, francesi, tedeschi, svedesi, finlandesi, austriaci), erano estremamente capaci ed idonei. E cosa si ricavava poi dalle taie? Si poteva scegliere tra: tolle, ponti, palancole, tavole da scandola, fetoni grossi, cantinelle, seurette, scorzi, sottoscorzi e scorzoni da fondamenta, refudo o armatura, colmetti, colmuzzi, sfiladette, moralli, montapiù, sbarre e zappoli. Con tutti questi tipi di legname poteva succedere che il marico (sindaco) di Pieve di Cadore, il signor Giuseppe fu Lodovico Genova, il 20 aprile 1797 inviasse un dispaccio urgente ai colleghi e capi carissimi del circondario perché ne era del tutto sprovvisto: “Mi può capitare da un momento all’altro, e forse di notte, quantità di soldati, come potrò somministrargli d’occorrenti legna, se sono affatto senza? Attendo due passa de legna, per valermi alle occorrenze non essendo così dolce di cuore di farmi gettar la testa a terra, ò di spedir un picchetto di soldati per vizza, per la mancanza della legna medesima.” Marcello Rosina AGOSETT 14-15:AGOSETT 14-15 7-09-2009 11:16 Pagina 2 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 14 8-9 A PESTE, FAME ET BELLO, LIBERA NOS DOMINE! ovantaquattro anni, N ma ancora vispa e intimamente contenta di poter raccontare a un ragazzo che ha tantissimi anni in meno, il suo Novecento, il suo «secolo breve» (J. Hobsbawm). Davanti a una tazza di tè e a una scatola di biscotti si lascia andare ai ricordi della sua giovinezza. Sembra quasi che le immagini, come fotografie d’epoca, sbiadite ma ancora vivide, vere, le passino davanti agli occhi, ormai bisognosi degli occhiali per mettere a fuoco le parole dei libri che ancora oggi ama leggere per passare le fredde giornate d’inverno. E’ Aida d’Incau, classe 1915: nel suo salotto di casa a San Vito, anche se lei è originaria di Sovramonte, emerge una storia diversa, più umana, di quella che si studia a scuola. E’ una storia vissuta. Riandiamo alla Seconda Guerra Mondiale (19301945). “La fame vera l’abbiamo sof ferta nel corso della Grande Guerra (19151918). Durante il secondo conflitto, grazie al cielo, a San Vito non abbiamo avuto patimenti di genere, perché tutti avevamo le bestie e non ce le hanno mai requisite, come fecero invece nel ’15-’18. Il pane nero, con la farina di segale, non piaceva a nessuno, però noi lo facevamo qui in casa… mia cognata era bravissima, riusciva a farlo buono! Avevamo ospitato alcuni tedeschi, venuti qui soprattutto dall’Italia centrale sulla via del rientro in Germania. Forse qualcuno del Comune aveva dato loro il nostro indirizzo, dicendo che potevano sistemarsi qua da noi. Mi avevano fatto vedere le fotografie delle loro case… case signorili… con i loro bambini e le loro mogli. E poi anche loro sono andati incontro alla guerra con la morte alle spalle. Ce n’erano anche all’albergo Roma, su La storia vissuta di Aida DʼIncau novantaquattrenne di San Vito Flash sugli anni bui dellʼultima guerra di Luca Dell’Osta a Costa, e si mettevano in comunicazione tra loro. Io ai tempi avevo quattro bambini, e dormivamo tutti in questa stanza (il salotto). Avevamo due divani e, sopra la stufa, uno spazio dove andare a distendersi. Il resto delle stanze erano occupate dai tedeschi: brave persone, tutti graduati, ufficiali. Avevano al seguito anche soldati semplici per guidare i camion, ma quelli di notte stavano a fare la guardia perché avevano paura dei partigiani.” Anche la Val Boite e l’Ampezzano erano sotto il Reich e i partigiani molto attivi. “Ne sono venuti quel giorno che i tedeschi stavano per partire per tornare in Germania. Due o tre di questi partigiani si erano piazzati qua sotto la nostra casa e avevano il fucile. I tedeschi, quando li hanno visti, hanno puntato contro di loro una mitraglia. E sparavano, eh… Mio marito è andato giù e ha detto: «Andate via, non vedete che hanno piazzato la mitraglia?». Loro allora si sono scusati, dicendo che erano venuti per proteggerci dai furti. Mah…” Scontri a fuoco per fortuna se ne sono visti pochi. “Grazie a Dio qui non ci sono stati scontri a fuoco, anche perché le truppe alleate sono arrivate pochi giorni dopo che i tedeschi se n’erano andati. Gli americani portavano farina bianca e altre cose che non vedevamo da anni: avevano anche del burro in barattolo, con sale dentro, che non era buono. Conoscevo un prete, del feltrino, al quale una mia sorella gli faceva da perpetua. Era venuto a San Vito a tro- varmi portandomi in regalo qualche barattolo di quel burro. Ma a noi non piaceva… eravamo abituati con il nostro burro, quello che facevamo noi!” Continuano i ricordi di Aida in quel di S. Vito di Cadore. “Eravamo tutti contenti perché era finalmente finita! Speravamo che tornasse chi era andato a combattere. Si era in primavera del 1945…, sai, a quei tempi c’erano i cessi alla vecchia, con le selle e il buco, e i liquami venivano buttati sui campi. Quando li abbiamo svuotati, pochi giorni dopo la fine della guerra, abbiamo trovato i gradi degli ufficiali tedeschi: se li erano staccati dalle divise e li avevano buttati nel cesso, oppure cercavano dei vestiti borghesi. Una famiglia che abitava qui nella nostra stessa casa aveva dato loro un po’ di roba vecchia del nonno che era morto.” Durante la guerra, c’era chi combatteva i tedeschi e anche chi li temeva. “C’era una brava famiglia di ebrei: erano marito e moglie con due bambini, scappati via da Cortina, perché a Cortina c’erano molti più tedeschi, e temevano d’essere deportati nei campi di concentramento. Una donna molto caritatevole ha dato loro le chiavi di una casa i cui padroni erano in America e si sono sistemati là. Però poi sono arrivati anche qui dei nazisti e allora questi ebrei hanno avuto di nuovo paura e se ne sono andati nella campagna trevigiana dove lei aveva delle conoscenze. Non ho più saputo se sono vivi o morti. Avevano due bellissimi bambini, Claudio ed Evelina. Erano Per i tuoi peccati di gola PASTICCERIA CAFFETTERIA L’AMORE PER LA PROPRIA TERRA NEL SEGNO DELL’ ACCOGLIENZA brave persone… una sera noi avevamo ammazzato il maiale e ho portato loro fegato e polmone, senza pensare alle loro usanze. Continuavano a ringraziarmi. In effetti gli ebrei non mangiano mai carne di maiale, ma parlando poi con uno di loro, che è anche diventato mio genero, ho saputo che quando ci si trova in quelle OSVALDO BOMBASSEI, UNO DEI PADRI DEL TURISMO IN CADORE svaldo Bombassei, auronzano, uno O dei padri del lancio turistico del Cadore. Figura dimenticata, come del resto tante altre. Correva il 22 dicembre 1910 ed il Cadore ne lamentava la precoce scomparsa, avvenuta a Padova, all’età di appena 58 anni. La Società Operaia di Auronzo, di cui era stato uno dei fondatori oltre che il secondo presidente, fu tra i primi a partecipare al lutto, evidenziando i meriti di “cittadino integerrimo, industriale, agricoltore, commerciante, ottimo in avvedutezza, operosità ed onestà”. La sua è l’emblematica storia dell’uomo che si era saputo costruire con le proprie mani. Illuminante quanto all’epoca scrisse ’Il Gazzettino’, tracciandone il profilo, con la messa in risalto degli ideali libertari di matrice mazziniana che il padre gli aveva trasmesso: “e liberale si conservò poi per sempre - precisava il quotidiano nell’articolo in cui par di scorgere la mano del direttore Giampietro Talamini - benchè disgustato dalle intemperanze e dalle violenze dei nuovi partiti”. Dopo la scuola media Bombassei aveva saldamente assunto le redini dell’azienda paterna. In pari tempo non trascurò di occuparsi della cosa pubblica. Si impegnò per il decollo della società Operaia, si battè per l’istituzione di una scuola di disegno e d’intaglio e fu attivo nel Consiglio Agrario. Tanto attivismo lo portò alla guida della Magnifica Comunità, di cui fu presidente nel triennio 1905-1908. “E fu sua gloria - sottolineava ancora ’Il Gazzettino’ l’aver contribuito alla conser vazione del rimanente patrimonio dell’antico opponendosi alle facili tendenze di alienazione e di divisione”. La notizia della sua scomparsa ebbe eco a livello regionale. Se ne occuparono vari giornali, tra cui ’Il Veneto’ osservando che il Cadore doveva riconoscere in lui il merito dell’impulso “che vi fu dato all’industria del legname, alla quale Bombassei applicò la lavorazione a mezzo dell’elettricità e trovò sbocco Dosoledo di Comelico Superiore (BL) - Borgata” Sacco Via Roma, 18 - Tel. 0435 68376 Oltre allʼimpulso che diede allʼindustria del legname, ideò e costruì un impianto idroelettrico fornendo Auronzo dellʼilluminazione di Bruno De Donà elettrica all’esterno. Fu anche attivo e provvido fautore dell’industria del forestiero in Cadore e con altri due soci costruì a Misurina il magnifico albergo che sorge sullo sfondo di quel lago Alpino”. Era il Grand Hotel Misurina, uno degli emblemi della villeggiatura montana di pregio che iniziava ad imporsi a livello nazionale. ’Il Gazzettino’ del 24 dicembre 1910 aggiunse dell’ altro. “Fu sua infatti l’idea di estendere nei grandi mercati il legname del Cadore e fu felice anche quando lo fece conoscere ed apprezzare all’estero approfittando dell’esposizione di Parigi dove l’industria del legname del Cadore ebbe ottimi premi. Ideò e costruì un impianto idroelettrico utilizzando una forza d’acqua che traversa il paese e fornì Auronzo della illuminazione elettrica quando ancora gli altri Comuni del Cadore ne erano privi”. Dal canto suo ‘L’Adriatico’ del 23 dicembre, menzionato che fu per lunghi anni consigliere ed assessore del Comune, tornava sui trascorsi libertari dell’industriale cadorino. “Fin dalla prima giovinezza aveva militato nel campo repubblicano, ma cresciuto in età, aveva temperati i primi impulsi dell’animo generoso, rimanendo pur sempre un buon liberale”. D’altro canto, bisognava pur giustificare l’ambita onorificenza di cavaliere della Corona d’Italia, che nel frattempo era comparsa sul petto dell’ex mazziniano. SATIRA DURA SENZA PAURA da pagina 13 Il dolce di produzione propria, la ricerca esclusiva di nuove mète del gusto. Prodotti che coniugano esperienza e innovazione confezionati artigianalmente per ritrovare i sapori di una volta Anche da asporto e su ordinazione In un ambiente confortevole potrai trascorrere momenti indimenticabili assaporando anche bevande di Tuo maggior gradimento circostanze si può mangiare.” Erano scarse le notizie di quello che succedeva nel mondo. “Qualcuno comprava i giornali, censurati, per il resto solo i “si dice”. Pensa che nello stesso giorno che è finita la guerra e i tedeschi se ne sono andati via, il due maggio, mio fratello è stato am- mazzato e io per un mese non lo seppi perché le poste non funzionavano. Era tornato a casa dopo lo scioglimento dell’esercito l’8 settembre.” Peggio la Prima Guerra Mondiale rispetto alla Seconda, ricorda Aida. “Almeno qui da noi a San Vito. Qui la valle è ampia, e quindi c’era possibilità di coltivare i campi e di avere il cibo. Man mano che si va verso Pieve però la gente stava peggio perché le valli lì sono più strette…” “A peste, fame et bello, libera me Domine!” Mormora la novantaquattrenne, prima dei ringraziamenti di rito. A casa, ci ripenso: Signore, liberami dalla malattia, dalla fame e dalla guerra. E capisco che quell’invocazione non era solamente di rito. Musizza - De Donà sfruttare in qualche modo il loro passaggio acquistando da un gruppo di soldati un pregevole apparato d’oro ancor oggi conservato in chiesa. Non sappiamo nemmeno oggi, a 200 anni da quei fatti, dire con certezza se l’arrivo dei francesi nel Bellunese abbia costituito per la nostra gente solo un doloroso pedaggio ad un esercito meramente invasore, o piuttosto la prima occasione per accedere ad una visione del mondo più giusta e moderna. Per il buon De Vido la visuale era forse limitata da troppi retaggi passatistici e pure clericali: per lui il giudizio storico era senza appello: “No xe più venerdì / no xe più festa / ma tutto resta / a tombolon”. Forse non era proprio così, ma certo è ammirevole il fatto che un uomo abbia saputo rifiutare la facile egida di un abito sacerdotale per gridare forte tutta la sua rabbia e tutto il suo pensiero. AGOSETT 14-15:AGOSETT 14-15 8-9 7-09-2009 11:16 Pagina 3 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 15 LʼANNOSA LITE SUI BENI PROMISCUI Regole e Comune di San Pietro di Cadore da 20 anni discutono sulla intestazione di proprietà di boschi 2a parte LA SENTENZA DI PRIMO GRADO DEL 2006 Con il cambio di amministrazione avvenuta nel 2004 e l’ingresso a Villa Poli di Silvano Pontil Scala, sembrava che la questione contesa potesse essere affrontata con serenità. La componente di minoranza consiliare rappresentata da Bruno Villi aveva avanzato all’assessore Renzi Pontil Scala una proposta di transazione dei beni tra Comune e Regole che fosse conveniente per entrambi i contendenti (si allega copia di quel documento). Ma per disinteresse o paura non se ne fece nulla. Fu il tribunale di Belluno a sorprendere tutti con una sentenza arrivata in tempi più rapidi del previsto, nella quale le ragioni delle 4 Regole vennero completamente riconosciute dal giudice, mentre le istanze del Comune furono del tutto disattese, anche per quanto riguardava il bosco di Söde, acquistato da privati nel 1905 e intestato al Comune di San Pietro. La sentenza, benvista o malvista, segnava un punto fermo. Una manifestazione esplicita del terzo potere dello Stato non è un parere di un esperto o di un avvocato: è un atto di pieno valore giuridico. Appellabile, certamente, ma comunque di valore giuridico incontestabile. Accettare la sentenza di primo grado poteva essere una scelta che il Comune di San Pietro faceva, senza che nessuno potesse contestarla nel merito. Invece il sindaco Pontil Scala decise di ricorrere in appello contro la sentenza, affermando che “era un atto dovuto”. Ma la successiva azione sua e degli avvocati che lo assistevano non fu orientata a sostenere le richieste del Comune per il riconoscimento di alcuni beni, bensì a trovare un accomodamento con le Regole, lasciando loro tutto ciò che già la sentenza di primo grado riconosceva e spacciando tale accordo al ribasso come “transazione”. Ma se il Comune di San Pietro riconosceva di fatto quanto già riconosciuto dal giudice del Tribunale di Belluno, perchè ricorrere in appello? “Per non rischiare di finire al fresco” confidava il sindaco Pontil Scala, rivelando così di voler “pararsi il culo” da eventuali ricorsi. LA TRANSAZIONE POST SENTENZA DI PRIMO GRADO La strada intrapresa da Silvano Pontil Scala e dalla sua amministrazione per tentare di venir fuori dalla questione in maniera indenne, è andata in porto con la collaborazione decisiva della Regione Veneto, che ha nominato un Commissario ad Acta per firmare l’accordo di cessione dei boschi intestati al Comune alle Regole (come dice la sentenza di 1° grado). La maggioranza del Consiglio comunale di San Pietro, dichiarandosi incompatibile a decidere sulla questione, ha rinunciato al dovere di tutelare gli interessi dell’Ente pubblico, delegando la chiusura dell’annosa vicenda ad un funzionario dell’Ufficio del Difensore Civico di Venezia. A nulla sono valsi i tentativi di riportare la questione nei binari della correttezza giuridica, tentata dai consiglieri di minoranza Gianfiore Pradetto Roman e Fabrizio De Villa. Sia il Tar del Veneto, che il Consiglio di Stato hanno sentenziato che per il Comune di San Pietro va bene così: chiusura di ogni contenzioso a favore delle Regole, e se c’era qualche centinaio di ettari di bosco acquistato dal Comune con regolare atto notarile agli inizi del Novecento, non serve formalizzarsi, su queste quisquiglie, meglio stendere il velo dell’indifferenza. Ora la tanto agognata “pax sanpetrina” dovrebbe aver tranquillizzato il mondo regoliero, che riteneva suo sacrosanto diritto veder riconosciuta l’antica proprietà dei beni intestati al Comune di San Pietro, e certamente avrà soddisfatto anche quella parte di cittadini non regolieri che, pur avendo constatato che il sindaco Pontil Scala stava lavorando per liberare il Solitaria a Salagona di Laggio, la chiesetta di Santa Margherita del XII secolo Stupendi gli affreschi bizantineggianti Comune di San Pietro da tutte le proprietà boschive, lo ha riconfermato per la seconda volta a capo del Comune. Lucio Eicher Clere ma di catechesi in tempi di scarsa alfabetizzazione, mentre quella inferiore si caratterizza per una decorazione di prevalente stilizzazione geometrica. Sulle pareti di Santa Margherita sono poi dipinti altri santi, un tempo assai venerati, come Martino e Cristoforo. Quest’ultimo venne martirizzato nel territorio dell’attuale Turchia, dove si era recato a predicare al tempo della persecuzione dell’imperatore Decio. Anche la sua vicenda terrena è pervasa da narrazioni favolose. Il santo, che viveva umilmente in riva a un fiume e trasportava i viandanti da una Santa Margherita LA PREZIOSA Edificata per volontà dei Caminesi, Signori in Cadore ’ immersa in una radura, ha l’aE spetto dimesso di una chiesetta abbandonata, di quelle che si possono incontrare nel silenzio di una passeggiata, o in qualche incrocio di strada fra case antiche. Poi, all’interno, si apre lo stupore, per l’incanto dell’atmosfera che vi si respira, ma anche per l’assillo di una domanda che si fa strada nel visitatore: come è possibile che tale gioiello sia così poco conosciuto, talvolta anche per la difficoltà ad accedervi? La parola meraviglia si addice, inevitabilmente, per la chiesetta di Santa Margherita, che sorge in territorio di Vigo, nell’antica borgata di Salagona, oggi prolungamento dell’abitato di Laggio. E’ la più antica fra quelle del Cadore giunte integre fino a noi. Si compone di un’unica aula rettangolare, contenente affreschi databili tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. La semplicità è estrema, ma l’atmosfera spirituale che vi si respira, una volta entrati, è intensa e assoluta. Vibrazioni sottili percorrono l’aria, come se il silenzio fosse accordato sulla scia di una musica invisibile. La piccola chiesa, edificata per volontà dei Caminesi, che avevano Signoria in Cadore, viene nominata per la prima volta nel 1205, mentre ad un secolo più tardi risale l’elenco dei beni di cui disponeva. E’ dedicata a Margherita di Antiochia, martirizzata al tempo della persecuzione di Diocleziano e considerata protettrice delle partorienti. La chiesa cattolica e quella ortodossa ne celebrano la memoria in luglio. La sua vicenda terrena è ricca di elementi altisonanti. Si racconta infatti che, affidata ad una balia che professava segretamente la fede, si fosse di Antonio riva all’altra, una notte sarebbe stato Chiades svegliato da un misterioso fanciullo, che lui si era caricato sulle spalle. Il peso del bambino aumentava sempre anche lei con- più, ma Cristoforo, sorreggendosi con vertita al cri- un lungo bastone, era riuscito a comstianesimo. Allontanata dal padre, l’a- pletare l’attraversamento del fiume. dolescente Margherita era stata posta Giunto sulla riva opposta, aveva avuto a pascolare un gregge. Insidiata da un la rivelazione che il misterioso bambipotente del luogo, lo aveva respinto, no altri non era che Gesù. Il santo, rafvenendo per questo incarcerata. Se- figurato a grandi dimensioni, come si condo una tradizione ricca di elemen- usava all’epoca, è ancor oggi consideti simbolici, in cella sarebbe stata visi- rato patrono dei viaggiatori. tata dal demonio sotto forma di drago, La chiesetta, salvatasi dall’incendio che l’avrebbe inghiottita. Ma lei era ri- che nel ‘500 aveva distrutto la borgata uscita prodigiosamente a liberarsi, di Salagona, sta lì, incredibilmente senza tuttavia poter sfuggire, dopo al- isolata, circondata da un gruppo di catre vicissitudini e peripezie, alla deca- se di epoca recente e dalla maestà delpitazione, il 20 luglio dell’anno 290. A la natura: nulla fa sospettare, dall’eMargherita, popolarissima nel Me- sterno, la ricchezza dei tesori d’arte e dioevo, apparteneva una delle voci di fede che conserva e quasi nasconche Giovanna d’Arco assicurava di de. Non manca un piccolo campanile udire prima di essere mandata sul ro- ligneo. Al centro della facciata un porgo. Le altre, secondo l’eroina france- toncino d’ingresso evoca quella che se, erano dell’arcangelo Michele e di dev’essere stata, un tempo, la partecisanta Caterina d’Alessandria, venera- pazione delle genti del posto, che si ta fra l’altro ad Auronzo nella chieset- estendeva negli spazi circostanti al ta a lei dedicata. piccolo edificio. All’interno, il soffitto Lo stupore che avvolge il visitatore, è a cassettoni in larice e risale presuappena entrato, è riferito essenzial- mibilmente al XVII secolo. mente agli affreschi che adornano le Fra i dipinti esistenti a Santa Marpareti. Sullo sfondo, al centro, spicca gherita uno raffigura il profeta biblila figura di Gesù giudice universa- co Daniele, colto mentre viene assile, con a fianco la Madonna, Gio- stito prodigiosamente dopo essere vanni Battista e San Pietro. Alle stato gettato nella fossa dei leoni. Fra due estremità sono visibili i momenti l’altro, sopra l’abitato di Laggio, su cruciali della vita di Santa Margheri- uno sperone roccioso, esiste una mita, prima libera dal drago e poi decapi- nuscola chiesetta a lui dedicata, ragtata. A fianco, sulla parete di destra, è giungibile dopo un’aspra salita e mevisibile una Natività di originale fasci- ta ogni 28 agosto di pellegrini e visitano, ispirata alla narrazione dei vangeli tori che, dopo aver assistito alla Mesapocrifi, con Maria che, dopo il parto, sa, sostano sull’erba antistante per appare coricata. Gli apostoli sono inve- consumare la colazione. ce allineati sulla parete di fondo. Il croL’edificio, documentato già nel XIV matismo degli affreschi bizantineg- secolo, era stato ricostruito un paio di gianti è nitido ed incisivo. Le opere so- volte, l’ultima delle quali a metà Ottono state realizzate da due distinti fre- cento. E il suo isolato chiarore spicca scanti. La parte superiore delle pareti anche da lontano, collocato com’è fra è dedicata alla descrizione delle verità il verde della vegetazione e la roccia. fondamentali della fede, autentica for- AGOSETT 16-17:AGOSETT 16-17 7-09-2009 11:18 Pagina 2 16 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 8-9 ARTE MODERNA IL CAMPANILE DI CORTINA E NON SOLO A DʼAMPEZZO HA LA SUA STORIA LORENZAGO APERTA Una splendida on “El cianpanín – storia del C campanile di Cortina d’Ampezzo”, 279 pagg., uscito lo scorso giugno, il nostro collaboratore Mario Ferruccio Belli arricchisce di un’altra perla la collana dedicata al suo paese d’adozione e composta da: “Storia di Cortina d’Ampezzo”, 1973, “Cortina d’Ampezzo, 1914-1918, dall’Austria all’Italia”, 1993, “Guida di Cortina, locus laetissimus”, 1997, “Storia di Cortina d’Ampezzo – Da Aquileia ai santi Filippo e Giacomo”, 2006. Se quest’ultimo costituisce la storia della comunità parrocchiale, oltre che della chiesa barocca, nel nuovo lavoro si percepisce la presenza fisica della comunità civile, tratteggiata con vigorosi scorci nel suo orgoglioso impegno di erigere la nuova torre campanaria. Non a caso ne è editrice quella Cooperativa di consumo che, come si sa, rappresenta la quintessenza della civiltà ampezzana, e lo stesso prodotto tipografico (Grafiche Antiga, Crocetta del Montello) pare portarne con sé, nella sua solidità ed eleganza, il contrassegno. La maggiore prossimità del periodo storico (1850-1858) rispetto a quello in cui è stata realizzata la chiesa, ha evidentemente permesso all’autore di disporre di maggiore (e migliore) documentazione e di essere così in grado di dar vita, in una successione di fatti, a una vera e propria rappresentazione. L’elenco dei personaggi principali (“dramatis personae”) che realizzano il progetto di darsi “una torre regolare e costruita secondo le regole dell’arte”, collocato subito dopo la fine, prima dei documenti, rivela la consapevolezza di questa diversa dimensione conferita al racconto. Il racconto parte da Maria Teresa Manaigo vedova Barbaria che, recandosi a messa il giorno di S. Marco evangelista del 1818, raccoglie un ciottolo cadutole davanti e, recatasi in sacrestia, lo consegna al decano Udalrico Berloffa con queste parole: “Sior, pioan, l’é toma ?to sas dal cianpanín!”, e dal sagrestano che, meno di una settimana dopo, si accorge che la campana grande in RE si era fessurata. Si capisce subito che ciò non può essere accaduto per i troppo energici colpi di cianpanoto, da lui assestati nelle festività, ma che è colpa della malandata torre, vecchia di più secoli, incorporata nei muri della chiesa e perciò poco elastica. Si succedono nei decenni fusioni e rifusioni di nuovi bronzi, finché nel 1846 si prende atto che occorre provvedere pubblicazione edita dalla Cooperativa di Cortina curata da Mario Ferruccio Belli senza indugio a “vistosi ristauri del campanile”, se non decidersi per “un’intiera rifabbrica”, mentre l’i.r. giudice distrettuale dottor de Riccabona dispone la “immediata sospensione del suono delle campane”. Entra in scena il maestro falegname Silvestro Franceschi (Téte Dàne), cui è affidato l’incarico della “levanza della campane” dalla torre pericolante, oltre che di un disegno per un nuovo castello sul quale montarle: sarà “el cianpanin de len”, che durerà ben dodici anni, durante i quali si succedono ancora inconvenienti alle campane, con rifusioni varie. Primattore di tutta la vicenda, “il più illustre personaggio che Cortina ha avuto” (gli rende giustizia il bellissimo ritratto in divisa, con la medaglia d’oro dell’imperatore), come lo definisce l’autore, è lo stesso Franceschi a ricordare in una lettera del 1862, riprodotta alla fine tra i documenti, la successiva attività svolta, a partire dai lavori di demolizione (1851), nonché dai quattro differenti disegni sottoposti “alla saggia disamina del consiglio comunale, che trovò opportuno l’incominciare una torre dietro uno dei suoi piani” ed a proseguire con le fondazioni e lo zoccolo. Ha appena disegnato all’interno della muraglia il millesimo 1852, quando arriva il decreto n. 1680 che intima l’arresto dei lavori: mancano i permessi di legge. Superata l’impasse burocratica mediante accorti contatti intercorsi a Vienna con l’architetto praghese Hermann Bergmann, mediati dal connazionale Carlo Pemzack, e l’acquisizione di nuovi disegni, Franceschi, spesso definito “inspiziente” nei documenti, riprende la guida dei lavori. La manterrà sino al termine, apponendo, a mano a mano che la costruzione sarà progredita, i millesimi 1853, 1854, 1855, 1856 e 1857 e curando, nell’estate del 1858, la sistemazione finale del castello in travi nella cella delle campane, che suoneranno a distesa il successivo 17 novembre, giorno onomastico di “Sissi”, Elisabetta di Baviera, la giovane moglie dell’imperatore Francesco Giuseppe. Attorno alla bella figura dell’ “umilissimo servo della lodevole rappresentanza <comunale>”, come egli stesso ama definirsi, cui è dedicato, a fine libro, anche l’omaggio dell’albero genealogico che conduce sino all’attuale sindaco Andrea Alessandro, si muove una schiera di comprimari. Si va, per quanto riguarda la residenza municipale, dai capi comune Francesco Dimai Fileno (1821), Gaetano Ghedina Toma?, proprietario dell’Aquila Nera (1850), Sigismondo Manaigo Mónego (1856-1857), Giuseppe Verzi (1858), primo i.r. Postmeister d’Ampezzo nel 1832 e fondatore del Croce Bianca, al segretario comunale Angelo Apollonio de Varentín, da cui discendono varie famiglie di albergatori (Pontechiesa, Montana, Cortina, Concordia, Savoia), sobrio nelle relazioni, accorto nel superare la “grana” dell’assenza di permessi, recandosi personalmente a Vienna col capo comune Ghedina, per parlare con l’i.r. ingegnere superiore, e anche custode dello stile che si deve avere nei contatti col Comune. Ad un capo-scuola, forse di prima nomina, che indirizza un’interpellanza in tedesco, lingua ufficiale dell’impero, ma non esclusiva, trasmette il verbale di risposta, aggiungendo la postilla: “voglia da qui innanzi produrre i suoi rapporti nel nostro idioma”). E, ancora, Giovanni Battista Rudiferia, decano dal 1820 al 1860, anche lui, come il giudice de Riccabona e Silvestro Franceschi, decorato di medaglia d’oro per il suo equilibrato comportamento nel 1848, l’i.r. Commissario distrettuale Bernardo Sevignani, gli orologisti Marco e Francesco Lacedelli da Melères, il Postmeister Giuseppe Celestino Ma- razie ad un gruppo di oltre 60 artisti, alcuni giovani e G altri di fama, che hanno saputo rappresentare le arti figurative tutte assieme, in modo originale, fresco, grazie so- prattutto a Vito Vecellio rinomato artista della fotografia e curatore organizzativo, si è tenuta la 9a Edizione di LORENZAGO APERTA. Pittura, scultura, fotografia, musica, cinema, concerti, teatro, tutto questo ha movimentato l’estate lorenzaghese e cadorina dal 1 al 20 agosto. A presentare la rassegna culturale, dapprima in Magnifica Comunità di Cadore e poi all’apertura sabato 1 agosto, il sindaco di Lorenzago Mario Tremonti, il presidente della Magnifica Emanuele D’Andrea e, necessariamente, Vito Vecellio che anno dopo anno ha sorretto questo tipo di evento con costanza e caparbità. “E’ il contemporaneo che avanza, è una mostra allestita con fantasia dagli artisti e valida anche perché ognuno ha dato qualcosa di personale” - ha commentato Vecellio anticipando il giudizio con la sua solita verve. E i numerosissimi visitatori che si sono soffermati nelle ampie sale delle Scuole Medie e nel Teatro gli hanno dato ampiamente ragione. “Arrivederci al 2010”, li ringrazia tutti Vito. naigo Mónego, lo Strassenmeister (capo cantoniere) Antonio Gott. La grandiosità della costruzione fa quasi passare in secondo piano le campane, che restano pur sempre l’obiettivo finale: el canpanon (“Fecit Johannes Grassmaywer Oeniponti 1857”), in Si bemolle, suona in anteprima, da solo, il 6 agosto 1858. Il giorno di Santa Elisabetta come si è detto, lo farà in concerto con le altre, la seconda in Re, la terza, in Fa, la quarta, la quinta e la sesta, ancora, nell’ordine, in Si bemolle, Re, Fa. Anche se l’evoluzione dei fatti consiglia una lettura continua, l’indice, posto in testa, permette al lettore di pescare episodi autonomi rispetto alla trama, quali, ad esempio, “Una foresta nel fango”, “Le pietre a Crepedèl”, “La calce viva”, “I camina sempre e no i se moe mai”, “Ra menada de ra taes”. A conclusione compaiono: i giudizi sulla “meraviglia”, che, assieme al Pomagagnon, doveva diventare il logo principe di Cortina, espressi da alcuni celebri visitatori, quali Josiah Gilbert e George C. Churchill, Albert Wolff, Amelia B. Edwards, Paul Grohmann, “l’austriaco più conosciuto dopo Mozart”, studente di medicina in vacanza, Jules Gourdault, Karl Baedeker, William McCrackan, e i nostri Brentari, Lorenzoni, Sinigaglia; il testo dei principali documenti, in alcuni casi riprodotto, e la relazione ufficiale del restauro del 2006, costato € 542,681 (in questa occasione l’altezza è stata accertata in m. 73,27, inclusa la palla dorata e la croce in ferro); due foto, riproducenti rispettivamente la porta d’entrata del campanile, realizzata dai noti artigiani del ferro battuto Demenego, e la targa “A ricordo di Carlo d’Austria / che il 24 novembre 1917 / risparmiò il spoerbo concerto / di queste campane / nel primo anniversario / della beatificazione /alla presenza del figlio /Carlo d’Asburgo / la gente d’Ampezzo / riconoscente pose / 3 ottobre 2005”. Il tutto si chiude con una foto d’epoca dei primi anni della Cooperativa: Arcangelo Siorpaes, Caterina Ghezze, Daria Apollonio e Giovanna Menardi sono il personale al completo. “Te ciamarón Beli del ciampanín” è stato detto all’autore da uno che aveva appena letto il libro. Conoscendo la scarsa propensione per l’enfasi da parte degli ampezzani, che prediligono, come il segretario Apollonio, il basso profilo, non è tanto una battuta, ma un incondizionato apprezzamento. Il libro può essere acquistato presso il centro commerciale della cooperativa stessa in corso Italia o richiesto a mezzo lettera, telefono, fax o e-mail a: La Cooperativa di Cortina, corso Italia 40 – 32043 Cortina d’Ampezzo tel. 0436861245, fax 0436-861300, in– [email protected] www.coopcortina.com. Giuseppe De Sandre AGOSETT 16-17:AGOSETT 16-17 8-9 7-09-2009 11:18 Pagina 3 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 17 AURONZO: CON LA LAZIO INVESTIMENTO ASSICURATO al 10 al 28 luglio, Auronzo D ha ospitato per il secondo anno consecutivo il ritiro estivo della squadra calcistica di serie A S.S. Lazio. Un paese, Auronzo, che, grazie all’arrivo di un team così prestigioso, è riuscito a rivitalizzare il turismo di luglio, globalmente indebolito dalla crisi economica, registrando perfino il tutto esaurito dalla seconda settimana del mese. Una squadra, la Lazio, che ha voluto optare nuovamente per la splendida località turistica cadorina al fine di bissare il successo della scorsa stagione in Coppa Italia; ha stupito la straordinaria tranquillità che offre Auronzo, luogo ideale per concentrarsi, come hanno dimostrato i risultati delle importanti sfide d’inizio campionato. Su questa premessa, non c’è da stupirsi riguardo i commenti rilasciati dal primo cittadino di Auronzo, Bruno Zandegiacomo Orsolina :”Tra il paese, con i suoi abitanti in testa, e la squadra Lazio con i suoi tifosi, si è creata in questi due anni un’ottima sinergia”; e dal presidente della S.S. Lazio, Claudio Lotito sul proprio sito internet: ”Lazio-Auronzo di Cadore, un connubio vincente”. Che dire, grande soddisfazione da entrambe le parti, ma mentre la Lazio avrà ancora tempo per comprendere se il lavoro svolto nel ritiro estivo sarà in grado di concretizzare i successi auspicati dal presidente Lotito, Auronzo ha Il sindaco Zandegiacomo: “Abbiamo ammortizzato brillantemente la crisi con una notorietà a livello nazionale” di già abbozzato un commento generale a riguardo. Signor sindaco, quanto ha giovato al paese di Auronzo l’arrivo della Lazio? “Inizierei col dire che il nostro scopo principale era quello di promuovere a livello nazionale la nostra località. Siamo davvero molto soddisfatti: fino a due anni fa non potevamo vantare ad Auronzo una grande partecipazione turistica dalla regione Lazio. Con l’avvento della squadra, invece, la situazione si è completamente ribaltata. Basti pensare che già l’anno scorso l’aumento dei turisti laziali nel nostro paese sfondò quota 300%. Quest’anno, possiamo stimare che i tifosi presenti siano raddoppiati rispetto al 2008. Inoltre abbiamo potuto contare sulla sponsorizzazione dei mas media come le televisioni “Sky” e “Mediaset”, in particolare di “Italia 1”, che insieme trasmettevano per circa due-tre ore al giorno servizi sulla squadra; abbiamo ospitato giornalisti di alcuni siti internet e di quotidiani sportivi nazionali come “La Gazzetta dello Sport” e il “Corriere dello Sport”. Insomma siamo certi che l’investimento fatto sia stato assolutamente proficuo: siamo riusciti ad ammortiz- zare brillantemente la crisi in questi due anni, agevolando sia i nostri alberghi sia i nostri negozi.” Pensiamo un attimo ad Auronzo bianco-celeste: bandiere e poster lungo le strade principali, palloncini colorati e targhe di benvenuto fuori dai negozi, grande partecipazione della gente alle partite… Si può dire che la gente locale abbia accolto nel migliore dei modi la squadra? “Senza ombra di dubbio. Tra Auronzani e Laziali si è creata fin da subito un’ottima collaborazione. Merito di questo va ad entrambi: a loro perché sono una tifoseria di famiglie della media borghesia romana, gente molto cordiale e aperta con tutti; a noi perché ci siamo organizzati in maniera, a mio giudizio, impeccabile distribuendo bandiere, poster e manifesti nei locali pubblici. Inoltre ci siamo inventati le bustine di zucchero per i bar con lo stemma laziale e, da quest’anno, hanno fatto la loro comparsa anche i cioccolatini bianco-celesti. Citerei infine l’ottimo lavoro degli operatori comunali: non hanno mai badato ad orari e si sono sempre fatti in quattro, sia prima sia durante il ritiro, per garantire tutto il necessario ai giocatori e al seguito. Per tutto Mario Da Rin questo e non solo, i dirigenti della Lazio, con Claudio Lotito su tutti, hanno voluto complimentarsi con noi per la splendida accoglienza, mai riservata loro così calorosa in nessun altro ritiro.” L’ago della bilancia segna dunque positivo… “Sicuramente. Dal punto di vista economico, la Lazio ha rappre- PREMIO AURONZO 3a EDIZIONE “AI FIGLI DELLA SUA TERRA” - 13 agosto 2009 sentato un vero e proprio toccasana per il nostro paese, al punto che a luglio si pensava di essere in agosto dalla grande massa di gente per le strade. Bene anche la situazione legata al rapporto con i tifosi e con la squadra. I primi non hanno mai creato alcun problema di ordine pubblico, anzi si sono comportati ottimamente in tutte le situazioni. I secondi hanno avuto la possibilità di girare tranquillamente a piedi per le vie del paese, senza mai ravvisare problemi di nessun genere. I giocatori si sono inoltre resi disponibili in ogni circostanza a firmare autografi e a scattare foto con i tifosi e con i locali.” All’ultimo allenamento della squadra, abbiamo avuto modo di scambiare qualche opinione con Pasquale Foggia, giocatore della squadra che si è detto sicuro di ritornare qui. Può confermare per il prossimo anno? “Sì, abbiamo già avviato i contatti con la società esterna che si occupa del ritiro estivo della Lazio. Bisognerà discutere dei dettagli, certamente, ma noi siamo stati contenti e loro altrettanto, non vedo perché non si dovrebbe fare.” ASSEGNATO AL MONDO DELLʼEMIGRAZIONE Consegnati dei riconoscimenti foto Ottica Capri Fontana Arreda Santo Stefano di Cadore Ambientazioni personalizzate anche su misura Via Medola, 21 - Tel. 0435.62377 Fax 0435.62985 - Cell. 338.9418974 e-mail: [email protected] itorna il PREMIO AURONZO. Il Consorzio operatori R turistici di Auronzo-Misurina col presidente Lorenzo Caldart e l’amministrazione comunale del sindaco Bruno Zandegiacomo Orsolina hanno ripristinato questo premio dopo le due importanti edizioni di qualche anno fa e lo hanno affidato all’impeccabile conduzione di Barbara Paolazzi. Il PREMIO AURONZO quest’anno è stato assegnato al mondo dell’emigrazione, nelle figure di Gioacchino Bratti presidente dell’Associazione Bellunesi nel Mondo, a Vincenzo Barcelloni Corte che ne fu il primo presidente, a Maurizio Paniz già presidente dell’ABM. La manifestazione, tenutasi nella sala consiliare del Municipio con la presenza di numeroso pubblico, è stata introdotta da alcuni canti talora struggenti sull’emigrazione, brillantemente eseguiti dal coro OLTREPIAVE e magistralmente diretti da Arduino De Donà, intercalati dai commossi ricordi dei coristi nelle loro tournée nei tanti Paesi ove vi sono ancora generazioni d’italiani emigrati. Dapprima sono stati consegnati dei riconoscimenti “per l’impegno sociale” a Renato De Carlo in qualità di direttore de IL CADORE, il giornale della Magnifica Comunità che tiene mensilmente un filo diretto con i Cadorini lontani; alla prof. Ilde Pais Marden per aver scritto un bel libro sulle testimonianze degli emigranti, proponendole ai giovani; a Gianni Pais Bechèr in qualità di guida e memoria storica dell’alpinismo nostrano interessato alle culture dei popoli che visita; a Oscar De Bona assessore regionale ai flussi migratori che è attivissimo nelle relazioni nel mondo dell’emigrazione. E’ stata una serata ricca di significati e, per dirlo con la Paolazzi, un’occasione di aprire i cassetti dei ricordi. Complimenti agli organizzatori e arrivederci al prossimo anno. AGOSETT 18-19:AGOSETT 18-19 7-09-2009 11:19 Pagina 2 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 18 Festeggiati in Magnifica Comunità i 70 anni Vico Calabrò In un libro-documento, tutta la produzione di Vico in Cadore na cerimonia per U dire grazie a Vico Calabrò. A Pieve, nell’autorevole salone della Magnifica Comunità, sono stati in molti a farlo nel corso di una cerimonia molto partecipata e con molte, autorevoli voci a portare la testimonianza di una amicizia dalle tante sfaccettature ma sempre sincera e schietta ma soprattutto densa di gratitudine. Il grande artista ha lasciato in Cadore, la terra dove ha vissuto da ragazzo gli anni della formazione anche scolastica, i segni forse più importanti della sua ormai vastissima produzione. Vico ha appena compiuto i settant’anni: una ricorrenza che ha spinto alcuni amici a riunirsi in comitato per promuovere la pubblicazione di un libro che accogliesse pressoché tutta la produzione di Vico in Cadore. Nello storico salone della Magnifica, attraverso la sapiente regia di Gabriele Carniel, palpabile l’atmosfera di simpatia e di ammirazione e dense di riferimenti 8-9 LA PITTURA DI NAZARENO CORSINI ESPOSTE SUE OPERE ALLO SPORT HOTEL DI PADOLA NELLʼAMBITO DI “ESTATE E COLORI” e eleganti sale espositive dello “Sport Hotel” di PaL dola, ospitano una personale di Nazareno Corsini fino al 15 settembre prossimo, nell’ambito della iniziativa Vico: Grazie a tutti per lʼopportunità avuta di essere e di restare quello che volevo, un narratore al servizio dellʼincanto e della trasfigurazione le parole rivolte a Vico, sorpreso e un tantino imbarazzato di tanta attenzione. In un’atmosfera di autentica, palpabile partecipazione, hanno preso la parola il presidente Emanuele D’Andrea, l’ex presidente Giancandido De Martin, Olga Riva Piller, Antonio Cason, Gianni Monico, l’arcidiacono mons. Marinello. Poi la presentazione del libro-documento che riproduce, col magico obiettivo fotografico di Giorgio Viani, tutte le opere che Vico ha lasciato in Cadore, la terra delle prime emozioni vissute seguendo un itinerario di ricerca e di scoperta che spesso, dopo, ha avuto il sapore del rimpatrio. “Grazie, Vico, per i tuoi settant’anni”, gli hanno detto, e alla fine è stato lui a dire grazie a tutti per le opportunità avute di essere e di restare quello che voleva, un narratore che ha piegato l’arte al servizio dell’incanto e della trasfigurazione. L’iniziativa ha avuto il patrocinio e il sostegno della Magnifica Comunità, della provincia e della regione, con il contributo di alcuni enti pubblici (Auronzo, Pieve, San Vito, Valle, comunità montana della Valboite, il Bim Piave e altri). Il libro è a disposizione di quanti abbiano intenzione ad averlo presso gli uffici della Magnifica. B.D.V. “Estate a colori” che ogni anno prevede la presenza delle opere di rinomati artisti durante il periodo estivo. Durante la vernice della mostra nel mese di luglio, presente un folto pubblico e la prof.sa Antonella Belfi, oltre a varie autorità locali, è stato possibile approfondire la figura e l’opera dell’artista cadorino, peraltro assai noto nel panorama artistico del bellunese e non solo. Corsini, compiuti gli studi artistici si è dedicato all’insegnamento del Disegno e della Storia dell’Arte, perseguendo nel contempo una intensa attività di ricerca pittorica. Il paesaggio collinare veneto nella sua tipica atmosfera quasi rarefatta, colto nel momento del crepuscolo, influisce in modo fondamentale sulla sua pittura, assieme all’ispirazione per le natura morte e per le figure femminili, spesso trasfigurate in un pacato abbandono. La Critica ha avuto modo di occuparsi spesso dell’opera di Corsini, con molteplici recensioni apparse sulla stampa nazionale e apprezzamenti legati alle molte personali realizzate in Italia e in Europa o alla partecipazione in rassegne collettive di grande rilievo. L’artista ha anche conseguito vari premi e riconoscimenti per le sue opere. L.O. “STORIE DI MIO PADRE” GILIO CESCO FRARE na figura interesU sante e complessa quella di Gilio (o Gildo) Cesco Frare, originario di Mare di San Pietro di Cadore dove visse fino al dopoguerra, per poi trasferirsi nel trevigiano. La descrive con passione e affetto, ma senza retorica o facile agiografia, la figlia Paola Cesco Frare nel volume “La cartella marrone - Storie di mio padre e della sua famiglia” presentato in agosto nella sala consiliare della Comunità Montana davanti ad un folto pubblico. Il compito di tratteggiare il contenuto del volume è stato assolto da Achille Carbogno con attenzione e sensibilità per i diversi aspetti di una figura di un “uomo Presentato a S. Stefano di Cadore un volume dedicato al maestro originario di Mare, amministratore pubblico e uomo di cultura libero, laico fedele solo alla propria coscienza e alla verità” come viene definito Gilio nella presentazio- ne di Luisa Bellina. Giovane maestro elementare per dieci anni dal ‘37 al ‘47, a San Pietro di Cadore, del Comune fu anche podestà e primo sindaco nell’immediato dopoguerra. Quindi si trasferì nel trevigiano dove proseguì la carriera scolastica diventando professore e preside. Appassionato di cultura in senso lato, colto germanista e anche docente di tedesco, era particolarmente attratto dalle forme nuove di espressione della cultura moderna, come ad esempio il cinema di cui era autentico esperto, senza tralasciare i fumetti o le storie per i bambini. Negli ultimi anni di vita - si spense nel 1998 - fu anche consi- liere comunale a Treviso e responsabile dell’Università Popolare. Il volume “La cartella marrone” nasce proprio dagli appunti autobiografici conservati da Gilio e “destinati” a Paola come egli lasciò scritto. La figlia li ha raccolti e integrati con foto, ricordi, testimonianze di altri parenti, per creare un’autentica storia familiare che, come ha detto in occasione della presentazione, rappresenta la vera storia delle nostre radici e dei nostri paesi. La lettura di alcuni brani tratti dal volume ha consentito al pubblico di cogliere meglio lo spirito della pubblicazione e di apprezzare anche la profondità del pensiero di Gilio Cesco Frare su alcuni temi fondamentali come la cultura, la vita e la morte. Particolarmente toccanti proprio le pagine dedicate alla vecchiaia e alla consapevolezza di una fine vicina. L.O. AGOSETT 18-19:AGOSETT 18-19 8-9 7-09-2009 11:19 Pagina 3 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 a storia di Cibiana sta L scritta nei murales. E’ la storia del Cadore, di un Cadore che ovviamente non c’è più, ma che piace sempre, per quegli scorci suggestivi dei paesi d’un tempo dove la gente si soffermava per un saluto, dove fervevano le attività, dove le vicende storiche, le leggende, la pia devozione erano talmente radicate da lasciare durevole traccia. Oggi, inevitabilmente, si rimpiange quello “ spirito di comunità”. Quasi trent’anni sono passati da quando il pennello di illustri artisti, da Vico Calabrò ad Aldo De Vidal a Giuliano De Rocco e via via tutti gli altri, ha raccontato Cibiana a cielo aperto, sui muri di rustici e case nelle frazioni. A Masariè apparvero come per incanto, “Al mandolin de Lelo” raffinata serenata, “Al squaradòr” l’abile boscaiolo, “Lentra da lontan” una trepida attesa in famiglia; seguiti l’anno dopo da altri affreschi, “I fàure” che forgiavano arnesi, armi e chiavi di Ernesto Lomazzi, “La faméa” la famiglia resa viva da Miraldo Beghini, “Al mistro” il casaro di Mario Albanese, “Al moliner” il mugnaio di Luigi Rincicotti. Ben 55 artisti hanno lasciato la loro firma sui muri di Cibiana dal 1980. Erano grandi pitture a tempere o acrilici su intonaco che di anno in anno hanno dato colore e nuova vita al piccolo, vecchio borgo, sperduto tra il Rite e il Sass de Mezdi. Fu la scintilla d’un fermento artistico-culturale che imbaldanzì gli anziani, ridiede speranza alle nuove generazioni, portò frotte di curiosi in paese che sciamarono, ben accetti, nei stretti viottoli e nelle ormai deserte piazzette delle frazioni. Onore al merito ai promotori, Osvaldo Da Col, al precedente sindaco Eusebio Zandanel, all’attuale sindaco Guido De Zordo, a tanti, tanti altri che hanno fatto propria l’iniziativa, a Umberto Olivotti che ha poi dato avvio ai 19 “mureles viventi”, appuntamento con la tradizione ed i mestieri d’un tempo. Quando ci sono i murales, da fine luglio al 10 di agosto, giornata della consegna della “toaia piturada”, è vera festa (servizio sul prossimo numero). Non però una sagra, piuttosto un’appartenenza alla comunità, uno sfoggio di costumi e di arnesi quasi per rientrare nel passato, un darsi agli ospiti perché condividano il calore della storia e dell’arte, i sapori della buona cucina, la schiettezza della gente di paese. Domenica 2 agosto. Masariè s’anima fin dal primo mattino: apre la Bottega di Maria de Aurelio con Loredana al bancone, ripiena delle vecchie merci; nella piazzetta della chiesetta di San Nicolò i simpatici boscador di Valle (sempre partecipi) preparano la polenta in un enorme cagliera; più in là, i faure attizzano le braci e Ezio batte il ferro per farne chiavi; di là della galleria, vigilata dall’Alviano e adibita a mostra di quadri, delle bambine spronano all’acquisto dei loro ricordini e, più sotto, magnifiche bambole affollano un banco. E via, via, continuando per le stradine: Ornella fa la casara mostrando come si lavora, Daniele insegna a farsi un ceston lavorando le bacchette di nocciolo, Carlos e i suoi aiutanti preparano sulle braci le costicine all’asador, specialità della sua Pampas che fa venire l’acquolina in bocca. Ad accompagnare tutto questo fervore (e molto altro), la marea di visitatori che guarda incuriosita, fotografa, chiede, saluta, si sofferma a cogliere la bellezza dei murales, ne vuole capire di più assistendo alla proiezione dei filmati allestita in una casa prospiciente alla piazzetta, si sparpaglia per le altre frazioni alla ricerca di nuovi murales. E’ questo uno spaccato della Cibiana dei murales e delle tradizioni, ma la sua notorietà va ben oltre. Festa ad agosto per i MURALES VIVENTI Masariè invasa dai visitatori Quasi 30 anni sono passati da quando Cibiana ha accolto gli artisti e i murales Iniziato il recupero delle pitture MURALES DI CIBIANA TRADIZIONI DEL CADORE Servizio di Renato De Carlo DATO IL VIA AI RESTAURI DEI MURALES murales stanno morendo. ApI paiono danneggiati, non sono più quelli che hanno fatto conoscere Cibiana nel mondo, lasciano avviliti i visitatori. Colpa dei lunghi periodi invernali e delle abbondanti nevicate (certamente), conseguenza del tempo e dei metodi di pittura (anche), però sarebbe un oltraggio non ripristinarli. Ne è conscio il sindaco Guido De Zordo che proprio nella settimana dei murales ha dato avvio ai lavori di restauro chiamando alcuni degli stessi autori delle opere (c’erano Miraldo Beghini intento a ripristinare “La fameia”, Lorenzo Viola sulla sua “La camerata de Tita”, Adriano Pavan che lavora- va intorno al suo “Zacui e zetoi”) e servendosi di altri restauratori affezionati a Cibiana per salvare quei murales i cui artisti sono deceduti. “Sono molti gli affreschi rovinati, danneggiati proprio in profondità, nelle malte”. Il maestro Giovanni Sogne, coordinatore del gruppo di restauratori, ci porta a verificare i danni e ci illustra gli interventi in atto. “In questa settimana, l’operazione è quella di stuccare e ripristinare gli intonaci in modo di dare l’idea almeno di un certo decoro, di ordine e di pulizia”. Giovanni non è qui per caso; fu uno dei primi a seguire Vico Calabrò nella sua “impresa” a Cibiana, qui ha tenuto una scuola di restauro, conosce le tecniche di lavorazione di tutti gli affreschi. “Ho un debito di riconoscenza nei confronti di Cibiana, così sono qui con Susanna Brocchetto e Silvia Tof foletto, professioniste, trevigiana l’una e veneziana l’altra, le quali da diversi anni met- tono a disposizione alcune giornate; quest’anno ci sono anche Alessandro Turrin, specialista in restauro di intonaci in calce e Paolo Bellotti, professionista pure lui”. Sogne spiega la tecnica d’intervento. “Ripristiniamo l’intonaco laddove sui dipinti s’è staccato in profondità, portiamo a livello con intonaco grezzo poi diamo uno strato di fino, usiamo sempre materiali naturali (calce, sabbia); poi si procede a seconda del dipinto: se è affresco lo si ridipinge con gli stessi pigmenti aggiungendo un filo appena di resina sintetica, se è acrilico bisogna ripristinarli con la pittura in acrilico, in pratica una colla che forma una pellicola. Per alcuni dipinti, quando è possibile, mandiamo le fotografie all’autore e lui ci suggerisce le modalità di ripristino”. “Quest’anno superiamo l’emergenza stuccando e dando ordine, l’anno prossimo ci daremo un calendario per il lavoro di ridipittura. Mi auguro che questi interventi di ripristino, con questo rinnovato interesse che ha manifestato l’amministrazione comunale, portino un’aria nuova ed anche… la presenza di Vico. Peccato che sia caduta l’iniziativa dei seminari di restauro, qui si avrebbe un campo scuola naturale, ci sarebbe un’attività che si sposa benissimo con Cibiana”. AGOSETT 20-21:AGOSETT 20-21 7-09-2009 11:20 Pagina 2 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 20 Inte chesto sfoi se dora la grafia de l Istituto Ladin de la Dolomites a cura di FRANCESCA LARESE FILON Cadorins Zal pöi pi pizal dal Comelgo resiste la voia da tgni inpizeda la lus A COSTA D SAN COLÒ INÀ CONPÙ 10 ANE AL CIRCUL DLE ONGANE Costa, pizal pöis sora San Colò, la A dente à cetó la maniöra da vinze la solitudin e al saras dinze zle cede, par chi pöce ch inà la volontà da continué a vive lassù, e inà verto un lögo par cetasse e organisé algo ch döi ntin d vita al pöis. Zal piön adauto dla Ceda dla Regola, el stanze btude aposto iné stade dade a disposizion de duce cöi ch vö cetasse e iné stó btu in pes al “Circul dle Ongane”. Ricordön ste figure dle legende e dle storie d paura di tenpes dn ota, la dente d Costa à volù lié al vecio col novo e inpì d iniziative e d vita le stanze dla sofita dla Regola. Nassù zal 1998, al circul inà conpù i diös ane co na bela festa a la fin dl ön passó, co n spetacul dal Grupo musical d Costauta e n rinfrösco con taio dla torta e na boiuda intrà duce. Anche zal prim ön di segonde diös ane, al Circul Le Ongane inà dimostró ch al vö continué a esse la lus inpizeda par n lassà al pöis d Costa zal scuro dla solitudin. Na bela istede d iniziative, inà dimostró che zenza sta liadura intrà la dente saraa al mortuorio. Eco inveze i conzerte d orghin e os zla gedia d San Dinel: la mostra d fotografii su “Costa e dintorni”; el balade di Légar ze pieza; el diapositive e al DVD sui ricorde di 10 ane dal circul; la dornada sui prades dla monte de Doo co la mössa a la verta; al torneo d calcio coi pupes; na conferenza su ple Regole fata da Valentino de Bolfo; ncamò conzerto d orghin. Sta vitalité d iniziative iné al fruto dla colaborazion intrà cöi ch vive dut l ön in Costa e cöi ch torna d istede o da Nadà. Al presidente dal Circul dle Ongane iné Francesco Costan Dorigon, pensionato ch vive a Torino, ma da na vita lió a so pöis con tante iniziative, sostgnide co l entusiasmo e anche coi sode. Aped li zal diretivo Ivo Costan, che stà a Trichiana ma ch dedicöia tanto dal so tempo e dal so spirto d iniziativa a Costa. Ma aped löre un giro d parsone ch se dà da föi con bona volontà e spirto d colaborazion. Dinze dle stanze un pizal banco-bar, par föi un sarvizio zun pöis gno ch à saró duce i anbientes publici; un ufizio par tgni el carte dal circul; armeres e banches par tgni ordin e böt via la roba ch serve par el tante iniziative. La dente va là ze ste stanze come ch i dössa a ceda soa, come zna stua dn ota, gno ch se cetaa i veces a parlà e dì rosario. Sbögn ch iné tante dificoltes a portalo inante, al “Circul dle Ongane” d Costa iné la dimostrazion che, co s vö, anche zi pöide pi ribandonade e con pöcia dente pö resiste el relaziogn e lo spirto d iniziativa. Par vinze la solitudin dle fonestre sarade. ADES CHE L ISTADE E’ FINIDA DES CHE L ISTAA DE E’ FINIDA SE PODARAE PENSA’ A ALGO DE N OTA CHE ERA MEO DE NCUO. TEGNì I PRAS PULITO: MEO LA FAU CHE L DECESPUGLIATOR Ades savon che no è pì tenpo par nuia e che fason na vita senpre de corsa a zercà no sei che. Man a man che mancia i nostre vece muore n toco de tradizion e de l savé fei leou a na vita che betea par prima al dové fei chel che tocea par tegnì neto al paese agnó che se vivea. No esistia le ferie e la dente no dea tanto ngiro ma la stesea a ciasa a fei l orto, a seà par i pras, a mete a posto n toco de ciasa che i avea. Na ota, po’, se vivea nte n modo che i ecologiste de ncuoi podarae dì de respeto par la natura e par l anbiente. No se bicea mai via nuia: da la roba da magnà a chel che vegnia nte l orto. Par no parlà de chel che consideron al risparmio energetico: la dente se sciaudea co le legne che ciatea par i bosche e no fasea tanto ciaudo, parché se sa’, fa mal vive masa nte l ciaudo. Chel che se fasea se lo fasea cuasi senpre a man con tanta fadia. Ma no è senpre dito che chel che se fa ncuoi sea par forza meo. Penson a la difusion de l decespugliator par seà visin de ciasa e par le strade. Na ota se dorea la fau che seea duto nte l Lucio Eicher Clere AL MUSEO DEL VIVE DE NA OTA: AL MUSEO LADIN DE LOZE o la fin de agosto C al Comun de Loze apede de l’Union Ladi- na del Cadore de Medo l à fato n itinerario museale ngiro par al paese che permete a dute de liede algo su per i laore de na ota e le tradizion. E’ stade fate sedese carteloi meteste nte i poste pì biei. Se taca visin al Comun co la descrizion de l itinerario, se continua po su par la piaza vecia agno che è metesto n cartel che parla de la lenga ladina e de la storia de l Cadore. Caminado verso Prou se ciata la stala vecia co davante n cartel che parla de come che vegnia fate le stale na ota. L percorso pasa davante la ciasa pì vecia de Loze, chela che è riuscida a salvase dopo l ultimo incendio del 1800 (ciasa Zanetti) e va ver- 8-9 silenzio dorando l esperienza fata e tramandada da pare n fiol. La fau la à da ese batesta e guzada ma con poche mose la tira n pras seou al meo senza fei tanto casin. Ades dute dora l decespugliator che fa n casin de l diau e che no è che al faze meo a la schena de chi che lo dora. La tecnologia la à trasformou al seà de na ota co n atrezo che fa rumor come na motosiega, che bete n vibrazion la nostra schena e che dovon portà par ore nte la schena. A la fin chi che dora sto’ atrezo l è pì straco de prima, l à la schena spacada e l à fato n rumor del diau ntorno. E alora, no è forse meo tacà da nuou a nsegnà a dorà la fau? Seà na ota l era n arte e tante omins savea fei pulito chesto mestier. Fin a calche ane fa inte par l Comelgo vegnia fata na gara a chi che seea meo e anche i dovin partecipea. Se podarae tacà da nuou a dorà chesto atrezo fasendose nsegnà da i pì vece che se pensa benon come che i fasea da dovin. N corso agnó che i nostre vece posse tacà a fei vede come che se à da fei a seà come na ota. Dorà la fau è meo de l decespugliator! E se podarae avé ntin pì de pas i daspo’ medodì de i dì de festa cuanche taca l concerto de sti atreze nte i pras visin de le ciase.Non senpre la tecnologia la ser ve: avon debisuoi de tornà a vede chel che è meo ncuoi e n ota e zercà de dorà chel che è meo par l nostro bon sta. Francesca Larese Filon Loze so la ruoia de i Mulin fin mazion su l fol de la lana agnó che se ciata le infor- che na ota funzionea co l aga del Rio Rin, sote i mulin de i Pinza. Caminando verso Prou se ciata le informazion su par la Cianeipa che na ota vegnia coltivada ca da noi. Solo i pì vece se pensa parché belo co la Grande Guera no la vegnia pì coltivada. Dendo su verso la Manadoira é le informazion su par i cianpe de na ota e la coltivazion de l sorgo Al Museo Ladin continua su par la strada de l Genio co informazion su par la coltivazion de l lin de na ota. Caminando nte la di- rezion de la ciesa de Loreto é autre doi cartiei su par le erbe dorate nte la tradizion: un co na bela storia fata da la maestra Corina co i tosate de la scola elementare de Loze e n autro su par chel che se fasea co le erbe par curase e magnà. Al percorso l torna dó visin de l paese apede de n bel tabià de len. Nte l cartel se spiega algo su par come se fasea i tabià e a chel che i servia. Calche metro dopo è na bela stala n pera co n sora l tabià e ntin pì avante n cartel parla de patate e fasuoi che vien coltivade da dute le famee e che na ota dasea da magnà par duto l inverno. Al Museo l è stou finanziou da la lage nazional par le minoranze linguistiche storiche 482 /99 e l è na bela oportunità , spezie par i pì dovin, par nparà algo su l modo de vive e de fei de na ota. I tabeloi no i è serade de inte è dute puó liedeli cuanche i vó. Dute è vidade a vedeli. Francesca Larese Filon Loze AGOSETT 20-21:AGOSETT 20-21 8-9 11:20 Pagina 3 ANNO LVII Agosto-Settembre 2009 IL RACCONTO di Simonetta Cancian M 7-09-2009 attia abitava nella parte alta del paese, dove tutto era rimasto intatto nel tempo. Case in legno e pietra, strette l’una all’altra come le esistenze che custodivano tra le mura. Intorno, fienili profumati, orti e pollai. Sullo sfondo, la montagna. Era stata sua madre, lettrice accanita, nonostante a quel tempo la carta stampata non fosse vista di buon occhio, a scegliere per lui quel nome insolito, diverso da quelli che si usavano. Nel nome può stare scritto un destino? Adesso Mattia era convinto fosse proprio così. Era figlio unico, fatto inconsueto per un luogo dove l’indice di natalità non dava ancora segni di cedimento. Battezzato in fretta e furia, perché non si sapeva mai quel che poteva succedere di bambini ne morivano ancora tanti, da quelle parti Mattia pian piano si era irrobustito e, superati i primi mesi, era cresciuto senza particolari problemi. “Diventerai alto e forte - gli ripeteva la nonna, che lo adorava. - Come un bel faggio. Un giorno sarai tu, a mandare avanti la segheria…” Era il mondo di suo padre, l’argomento principe di ogni discorso. Il papà prendeva Mattia sulle ginocchia e si metteva a spiegargli tutte le fasi di lavorazione, dal momento in cui l’autocarro scaricava i tronchi sul piazzale davanti al capannone, a quello in cui i clienti arrivavano a portarli via, trasformati in assi sottili della stessa lunghezza. “Le facciamo diventare lunghe e strette come cioccolatine.” Gli descriveva le macchine, gli attrezzi; un lavoro duro, sì, ma che soddisfazione veder uscire da lì il prodotto finito, pronto per la consegna. Altre mani, altre trasformazioni, fino a diventare un infisso, un mobile, una cornice, o un’infinità di altri oggetti. Mattia ascoltava affascinato e dopo quei racconti voleva sapere la storia di ogni pezzo di legno che gli capitava tra le mani. Fino al momento di andare a scuola, il suo mondo era stato in quella manciata di case che da un lato si volgevano verso il centro del paese, dall’altro guardavano alla montagna, con la distesa del prato e il bosco sovrastante. Non aveva molti compagni di gioco, lì intorno. Mamma e papà c’erano, sì, ma sempre indaffarati. Fortuna che la nonna era piena di risorse e riusciva a trasformare ogni attimo di possibile noia in un’infinità di piacevoli passatempi. Nel laboratorio dello zio, ricavato da un vecchio fienile, Mattia entrò quel giorno per caso. Normalmente evitava quel posto buio, pieno di cianfrusaglie, e di polvere che lo faceva starnutire. Lo zio era così strano che Mattia non osava chiedergli mai niente, convinto com’era di non piacergli affatto. Ma quella volta l’aveva mandato la nonna. Lo zio, di solito intento a riparare qualche oggetto - la 21 riduzione ANIMA DI LEGNO renderlo contento ma, ades- caso aperta disapprovazio- Premiato al 4°/5° posto so che la scuola era finita e ne tra gli abitanti. Alla fine, Concorso letterario Nazionale c’era il lavoro ad aspettarlo, era stata attuata, anche se “TRICHIANA - PAESE DEL LIBRO” non era più possibile finge- precisava l’amministrazione Nel paese dove abitava Mattia tutto era rimasto intatto. “Un giorno sarai tu a mandare avanti la segheria”, gli diceva la nonna, e il papà, prendendolo sulle ginocchia, gli descriveva lavorazioni ed attrezzi, e il piccolo rimaneva affascinato. Mattia però sʼinvaghì di quelle figure quasi vive uscite da pezzi di legno lavorati dallo zio, e volle provarci. Fu difficile. Il padre lo ascoltò..., sʼalzò di scatto... sua occupazione principale pareva essere sempre stata quella, aveva lavorato in segheria solo per qualche tempo - si rigirava tra le mani un pezzo di legno e con un arnese simile a un cacciavite toglieva un po’ qua un po’ là, lasciando cadere ai suoi piedi stupendi riccioli bianchi. “Che bello” - disse Mattia, raccogliendone uno, ma lo zio pensò fosse riferito a ciò che stava creando e per la prima volta gli sorrise. “Ti piace?” Fu allora che il bambino si accorse che quello non era solamente un pezzo di legno. Era un magnifico gufo, che lo fissava con uno sguardo penetrante e si sarebbe sicuramente messo a svolazzare, una volta che lo zio gli avesse terminato le ali. “Sembra vivo. Come hai fatto a farlo?” Lo zio sorrise di nuovo, poi aprì un cassone da cui uscirono, uno alla volta, innumerevoli animali creati dalle sue mani. Mucche, volpi, aquile, cer vi, galli e tanti altri, di cui il bambino non conosceva il nome. Una collezione fantastica. Le mani, spiegò poi con una pazienza che Mattia non gli conosceva, seguivano un’idea della mente. In realtà, di ogni ceppo con una certa forma, lui indovinava l’anima. Le mani e gli attrezzi lo aiutavano poi a rivestirla di un corpo. Poteva essere un animale, ma anche una maschera - come quelle che si usavano in paese, a Carnevale - o una persona, ma in questo caso era un po’ più difficile. Da quel giorno la stanza dello zio divenne la sua e il legno fu tutt’uno con le sue mani. I primi a prendere forma furono i personaggi delle storie ascoltate dalla nonna. Gnomi, folletti del bosco, streghe sdentate, fate dai cappelli appuntiti, animali dallo sguardo impaurito o dall’espressione minacciosa. Piccole creazioni di cui Mattia non era mai soddisfatto. Una volta terminati, si affrettava a nascondere gli oggetti in qualche cassone. Lo zio osservava, limitandosi a qualche suggerimento, ma non emetteva giudizi e Mattia si sentiva libero di continuare ad esprimersi in quella sorta di gioco che lo rendeva felice, indipendentemente dal risultato finale. “Cos’hai in mente, stavolta?” - gli chiedeva, vedendolo intento a cercare un blocchetto. Larice, acero, tiglio, frassino, nocciolo, cirmolo. Adesso Mattia il legno lo riconosceva a colpo d’occhio. Ne saggiava la consistenza, ne riconosceva il profumo, ne indovinava le reazioni. La risposta al mazzuolo, il suo arrendersi alle sgorbie… Un po’ alla volta si convinse che ognuno di quei blocchetti avesse un proprio carattere, esattamente come le persone. Lui e lo zio lavoravano fianco a fianco per ore, ma parlavano poco, a volte niente, presi com’erano dall’entusiasmo di animare ciò che già aveva preso forma nella mente. …Con l’arrivo dell’estate non vi furono più scuse. Ogni mattina, Mattia saliva sul furgoncino del padre e insieme si avviavano al capannone, qualche chilometro dopo il paese, in uno spiazzo tra il bosco e il torrente. Non è che il ragazzo non s’impegnasse. Eseguiva gli ordini con precisione, non si tirava mai indietro, neppure di fronte ai compiti più pesanti, però fu subito evidente che non era tagliato per quel lavoro. Poteva svolgerlo per molte ore al giorno, ogni santo giorno, ma in quanto a dirigerlo, un domani. Lui, quel legno di cui intuiva l’anima, avrebbe voluto intagliarlo, non squadrarlo in anonimi pezzi di una stessa misura, da accatastare secondo il quantitativo richiesto. Nonostante si sforzasse di concentrarsi, ogni tanto si ritrovava assorto di fronte a qualche tronco dalla forma inconsueta. Era più forte di lui. Si avvicinava per toccarlo, ne respirava l’aroma, perdendosi ad inseguire qualcosa che agli altri sfuggiva. Qualcosa che, annullando spazio e tempo, sapeva regalargli sensazioni incredibili. Il cigolio delle segatrici elettriche lo riportava bruscamente alla realtà e, quasi vergognandosi, si affrettava a recuperare il tempo perduto. Per Mattia, quei due mesi di lavoro furono molto più impegnativi di un intero anno scolastico… Benedì in silenzio le piogge torrenziali di fine agosto, che rallentarono notevolmente i ritmi, permettendogli di riprendere fiato. Quando riaprì la porta del laboratorio e fu avvolto da un delicato profumo di cera d’api, gli sembrò di tornare a vivere. Lo zio, dal suo sgabello, alzò gli occhi e sorrise, come se avesse già capito tutto. “Com’è andata, l’esperienza?” - domandò, senza aspettare risposta. (...) “Guarda - gli disse, indicandogli dei tronchetti di cirmolo in un angolo - Li ho messi da parte per te.” Mattia gli mostrò le mani. Ruvide, callose, solcate da incisioni. Gli pareva di aver perso ogni sensibilità, sussurrò. Lo zio non si lasciò impressionare. “Su, mettiti al lavoro - gli intimò, secco. - Ad ognuno la sua arte. La tua è questa. Chissà quante idee hai raccolto in tutto questo tempo.” Mattia osservò a lungo i blocchetti di cirmolo. Aveva già avuto modo di lavorarlo. Un legno docile e compatto, morbido e arrendevole. Si erano intesi da subito. Accarezzò i pezzi uno ad uno, avvicinandosi ad aspirarne l’effluvio. Resina e bosco, aria pulita e libertà. Le mani si mossero da sole. Non vi furono incertezze, nonostante i due mesi di vuoto. Fu come il rimbombo di un tuono in un giorno d’estate. Temporale inevitabile. Mattia parlò a suo padre dopo essersi esercitato a lungo, a livello mentale. Fu ugualmente difficile. Era duro soprattutto sapere che per lui sarebbe stato un dolore. Non era pronto per quel che aveva da dirgli, non lo sarebbe stato mai. Ma doveva andare fino in fondo. Gli disse che aveva riflettuto a lungo. Aveva provato. Avrebbe tanto voluto re o rimandare. La segheria non faceva per lui. Non era il suo futuro, portare avanti l’attività di famiglia. Voleva continuare a scolpire, lavorare il legno in altro modo, pur consapevole che quell’arte difficilmente gli avrebbe garantito un reddito dignitoso. Suo padre lo lasciò finire, poi si alzò di scatto, come non potesse tollerare altro. (…..) Ne trascorsero, di stagioni. La frattura sembrava ormai cristallizzata e la vita di ognuno continuava. Normalmente. Indipendentemente. Mattia non aveva avuto difficoltà a farsi assumere come lavorante stagionale dai vari commercianti del paese. I momenti liberi, li trascorreva in laboratorio. Le idee fiorivano incessantemente, trovando espressione in grandi bassorilievi raffiguranti scene di vita vissuta. Boscaioli al lavoro, montanare intente alla raccolta del fieno, pastori con le mucche al pascolo… C’erano maschere dai tratti marcati, che riproducevano volti rimasti impressi nella memoria e pannelli in cui gli attrezzi sembravano essersi sbizzarriti in una danza di segni dall’effetto suggestivo. Quell’anno, l’estate portò una novità. L’amministrazione comunale decretò la chiusura al traffico della via principale del paese, nell’intento di favorire le passeggiate e le soste ai negozi degli ospiti vacanzieri di luglio e agosto. Un’iniziativa che, come tutte le novità, aveva creato sul nascere sconcerto, perplessità e in qualche - in via sperimentale. Una sera, tornando dalla segheria, il padre di Mattia si trovò di fronte al cartello stradale che indicava la deviazione. Visibilmente irritato, scese dal furgone e si avviò verso il bar più vicino, guardandosi intorno. Al centro della carreggiata erano state posizionate delle aiuole fiorite, che si susseguivano fino al termine dell’intera isola. Su ognuna, troneggiava al centro accompagnata da un cartello, un’imponente scultura in legno. Un vecchio che affilava la falce, un gruppo di donne con la gerla, malgari intenti alla mungitura, ragazze in costume tipico impegnate a battere l’orzo, filare, attingere acqua alle fontane… Leggende e ricordi, volti e tradizioni, usanze, vecchi mestieri, fatiche e momenti di svago. Tutte le vicende del paese sembravano racchiuse in quelle opere, una sorta di libro scritto sul legno. Chiudeva l’esposizione un enorme pannello su cui erano scolpiti alcuni stemmi antichi insieme ai simboli delle attività del luogo tramandate di padre in figlio. Tra queste c’era… ma sì, era proprio la segheria, quella. Non poteva sbagliarsi. Non c’erano dubbi sull’identità dell’autore. Il padre di Mattia continuava a spostare lo sguardo da una scultura all’altra, frastornato. Nel caos interiore di quel momento, un pensiero si faceva strada tra tutti. Com’era possibile che suo figlio fosse capace di tanto. Com’era possibile che lui, suo padre, non avesse capito chi era e che cosa aveva dentro il suo ragazzo. AGOSETT 22-23:AGOSETT 22-23 7-09-2009 11:21 Pagina 2 ANNO LVI Agosto-Settembre 2009 22 8-9 SPORT E DIVERTIMENTO COL “CAMP CADORE” I 70 ANNI DEGLI SCOIATTOLI na grande festa ha U concluso sabato 18 luglio la quattordicesima edizione del Camp Cadore dedicato al basket, ospitato come sempre nello splendido scenario di Domegge. Tre settimane fatte di tanto sport, altrettanto divertimento e un clima di amicizia e passione che rende l’evento un appuntamento di prim’ordine nel settore a livello nazionale. Oltre al grande entusiasmo che ruota attorno alla manifestazione, che porta tra le nostre montagne ogni estate oltre un centinaio di ragazzi provenienti da tutta Italia, il Camp quest’anno ha realizzato un’iniziativa davvero importante e fortemente simbolica. Per l’ultima settimana di corso infatti sono stati ospiti dell’evento un gruppo di ragazzi appartenenti alla società della G.S. Pallacanestro L’Aquila, duramente colpiti dal recente sisma che ha letteralmente sconvolto l’Abruzzo. Capitanati dal loro allenatore Luciano Panella e dall’istruttore Filiberto Pagnanelli, i dieci giovani atleti Francesco Ianni, Luca Lorenzetti, Williams Rosito, Manuel Schiavone, Gianluca Parisse, Federico Di Francesco, Antonio Cirella, Federico Santilli, Alessandro Miconi e Alberto Cobuccio, n luglio e agosto Cortina d’AmI pezzo ha ospitato la rassegna “Cortina InCRODA”, una serie di II Camp ha ospitato questʼanno un gruppo di ragazzi della GS Pallacanestro LʼAquila seguiti dallʼallenatore Panella di Daniele Collavino hanno potuto trascorrere una settimana di sano divertimento, dimenticando così per un attimo tutte le angosce presenti nella loro terra d’origine. “Siamo stati davvero felicissimi dell’opportunità che ci ha riser vato il Camp - afferma un sorridente Panella - Questi ragazzi avevano proprio bisogno di evadere da tutto ciò che gli è accaduto. Molti di loro non hanno più una casa e sono costretti a vivere in dei residence o in campeggio lontani dalle loro abitazioni. Qui in Cadore ci siamo trovati molto bene, siamo stati accolti in modo splen- Panella - Saremo sempre l’augurio in futuro di podido, nessuno ci ha fatto riconoscenti al Cadore di ter ricompensare quanto mancare nulla e c’è stata quanto fatto per noi con ricevuto”. un ottima integrazione con i ragazzi esterni e quelli locali”. Il sodalizio tra Domegge e il gruppo di L’Aquila è stato reso possibile, oltre che dall’impegno comunale, dalla disponibilità del grande Dino Meneghin e di Osvaldo Gagliardini, e dalla società Forti&Liberi di Bologna, presieduta da Massimo Muratori, che ha garantito il viaggio di un’onerosa trasferta. “Ringraziamo di cuore tutti coloro che hanno reso possibile la nostra breve ma splendida avventura - conclude Nella rassegna “Cortina inCRODA” gli Scoiattoli hanno festeggiato i 70 anni dʼattività I ringraziamenti del presidente Stefano Dimai Gris con Scandroglio e Corona ospiti di “Cortina in CRODA” appuntamenti, organizzati dall’assessorato alla cultura del Comune in collaborazione con il gruppo degli Scoiattoli, proprio per festeggiare i 70 anni di vita dello storico sodalizio dei rocciatori ampezzani. Il 1° luglio 1939, infatti, nasceva a Cortina il primo gruppo di arrampicatori non professionisti, gli Scoiattoli appunto, in origine con il nome “Società Scoiattolo”, presto trasformata in “Società rocciatori e sciatori degli Scoiattoli” (i primi membri del gruppo erano infatti tutti abili sciatori!), per diventare infine “Scoiattoli di Cortina”. Senza tralasciare le imprese compiute sulle grandi pareti dalle guide ampezzane nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, è infatti con l’inizio dell’alpinismo senza guida che sulle Dolomiti si apre una nuova pagina di avventure e conquiste, alla ricerca di impegno alpinistico e difficoltà sempre maggiori. I sette soci fondatori, Albino Alverà Boni, Silvio Alverà Boricio, Romano Apollonio Nano, Angelo Bernardi Alo, Ettore Costantini Vecio, Siro Dandrea Cajuto e Giuseppe Ghedina To, erano tutti giovani ragazzi (la loro età oscillava tra i 15 e i 18 anni) animati da una grande passione per la montagna e da una forte amicizia. Anche oggi gli Scoiattoli continuano ad essere un gruppo di amici appassionati di montagna: “Abbiamo sempre cercato di mantenere vivo lo spirito di amicizia che 70 anni fa ha fatto nascere questo sodalizio”, ha dichiarato il presidente degli Scoiattoli Stefano Dimai Cash, “e ora, con orgoglio, presiedo un gruppo che con grande sforzo ha creato la rassegna “Cortina InCRODA” che vuole celebrare un compleanno veramente importante. Un ringraziamento speciale da parte mia e di tutti i miei amici va a Mario Lacedelli, già nostro presidente, sempre attivo e partecipe, che ha dato una forza e uno spirito al gruppo animata dalla sua grande passione per la montagna”. Nel mese di luglio quindi Cortina si è tinta di rosso. “Come Scoiattoli da tempo collaboriamo con il Comune e in questa occasione abbiamo voluto unire il nome di una nuova manifestazione dedicata alla montagna, “Cortina inCRODA”, all’anniversario del gruppo”, ha spiegato Mario Lacedelli, che con il presidente Stefano Dimai, ha curato la manifestazione. “Sono passati 70 anni dalla nascita di questo sodalizio che da sempre ha avuto una parola d’ordine, amicizia, ed è quindi giusto ricordare tutti gli amici e le loro avventure che hanno segnato la storia di Cortina”. Luca Dell’Osta AGOSETT 22-23:AGOSETT 22-23 8-9 7-09-2009 11:21 Pagina 3 ANNO LVI Agosto-Settembre 2009 er molti anni l’Us CoP melico ha rappresentato la punta di diamante del calcio nel comprensorio comeliano; spesso impegnata in seconda categoria con alterne vicende e passaggi in terza per poi risalire. Dopo il cambio della guardia al vertice e l’avvicendamento tra lo storico presidente Luigi Tonon e il nuovo Rudy Costan, un certo smarrimento tra dirigenti e giocatori aveva portato ad un momento di crisi nei risultati e nell’assetto complessivo con qualche defezione di troppo. Due stagioni fa la presidenza aveva affidato al direttore sportivo Paolo Marta e all’allenatore Gabriele De Martin il compito di ricreare il gruppo. Dopo la spettacolare vittoria del campionato di terza nell’ultima giornata e la promozione in seconda categoria ne parliamo proprio con Gabriele De Martin. “Questo bel risultato nasce da lontano. Due stagioni fa abbiamo ricostruito la squadra lavorando in team con il direttore sportivo Paolo Marta e Mosè Topran allenatore della juniores. Già in quel campionato avevamo visto importanti progressi specialmente nel girone di ritorno che ci regalò ottimi risultati. In quest’ultimo campionato avevamo capito che si poteva ben figurare anche se Ospitale, Longarone e Domegge sembravano ben attrezzate per lottare nei primi posti. Il girone di andata è stato positivo, pur se l’Ospitale ci era davanti e in qualche occasione non abbiamo dato il meglio. Nel girone di ritorno invece abbiamo dato tutto e complice un 23 LA 2a CATEGORIA ASPETTA lʼUS COMELICO di Livio Olivotto Lʼallenatore Gabriele De Martin: “Abbiamo ricostruito la squadra lavorando in team Un campionato vissuto dai giocatori con passione” piccolo calo degli avversari siamo riusciti a conquistare una promozione quasi inaspettata proprio all’ultima giornata”. Tutto questo con difficoltà logistiche incredibili. “Non dobbiamo dimenticare che la squadra ha dovuto allenarsi e giocare gli incontri interni senza il proprio campo di Lacuna chiuso per i lavori di completamento. Complice anche un inverno mai così nevoso ci siamo trovati ad allenarci in palestra per molti mesi, e quando il tempo lo ha consentito a correre sull’asfalto nel piazzale dietro al campo sportivo. Un sacrificio incredibile che i ragazzi hanno però vissuto con allegria e passione, forti anche dei bei risultati che domenica dopo domenica portavamo a casa”. E ora cosa vi attende? “Naturalmente ci iscriveremo alla seconda categoria, Affidamento sui giovani che hanno conquistato la promozione La squadra ha grande entusiasmo e stimoli, e un bel campo ben sapendo che le difficoltà e gli impegni aumenteranno notevolmente. Abbiamo però un grande entusiasmo rafforzato dallo stimolo di utilizzare un campo di gioco all’avanguardia per la superfice in erba sintetica di ultima generazione. Faremo affidamento sul blocco di giocatori giovani che hanno conquistato la pro- mozione. Forse ci sarà qualche innesto con giocatori di esperienza che tornano a casa per concludere la loro carriera. Stiamo ancora valutando, ma sono certo che daremo il massimo. Poi naturalmente mettiamo in conto anche di retrocedere. E’ un po’ il nostro destino, come già tante volte è accaduto negli anni passati. Peraltro molti nostri giocatori hanno qualità tecniche eccellenti che in altre realtà di pianura avrebbero consentito loro di giocare anche in categorie superiori”. Cosa la soddisfa di più di questa esperienza alla guida dell’Us Comelico. “La sensazione di aver svolto un buon lavoro, assieme a Paolo Marta a Mosè Topran e a tutta la dirigenza che ha voluto riconfermarci. L’entusiasmo che ho visto nei ragazzi, la voglia di stare insieme e fare gruppo,” conclude Gabriele De Martin “rappresenta una grande soddisfazione e dà la voglia di continuare nonostante gli impegni di lavoro e di famiglia”. IL PRESIDENTE DEL CONI PETRUCCI FRA GLI SPORTIVI DI DOMEGGE Gianni Petrucci, presidente del Coni, ospite a Domegge dell’amico di sempre Alberto Mattioli, fino a poco tempo fa responsabile delle squadre nazionali di pallacanestro, è stato invitato a cena presso il Rifugio Padova dove s’è parlato di quanto fatto fin qui a livello sportivo dal comune cadorino. A rappresentare l’amministrazione c’era Marco Castellani, presidente del Domegge Calcio e neoeletto assessore comunale con delega allo sport. “La visita del presidente ci ha fatto enormemente piacere. Abbiamo passato in rassegna tutte le strutture presenti nel nostro comune, il palazzetto, il PalaFedon e i campi da calcio di Domegge e Vallesella. Petrucci è rimasto davvero sorpreso di quanto ci sia a disposizione per le attività sportive, elogiando poi il Domegge Calcio e la propria dirigenza per quanto compiuto fin qui, soprattutto per gli sforzi dedicati al settore giovanile. Non di solo calcio si è parlato. Gli obiettivi del comune di Domegge sono ben più ampi. Le priorità principali riguardano il tanto sospirato completamento della pista di Vallesella, che sarebbe il primo impianto completo in tutto il comprensorio cadorino, ampezzano e del Comelico. D.C. Il primo mutuo casa con assicurazione sul debito residuo. Vuoi realizzare la casa dei tuoi sogni preservando il benessere della tua famiglia? L’assicurazione sul debito residuo garantisce il rimborso delle rate del mutuo in caso di disoccupazione, invalidità o morte. Diamo vita insieme al tuo progetto! www.bancapopolare.it