UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”
PRIMA FACOLTA’ DI ARCHITETTURA “L.QUARONI”
CORSO DI ARCHITETTURA DEI GIARDINI E PAESAGGISTICA
A.A. 2004\2005
Corso di Biometria e dendrologia forestale
Prof.ssa M. Agrimi
“ LA FAGGETA DEI MONTI CIMINI (VT) “
di
Daniele Colla
LA FAGGETA
Il faggio (Fagus sylvatica L.) si trova su tutti i più elevati rilievi appenninici e della Sicilia, manca
invece in Sardegna. Nonostante la diversa natura geologica della dorsale appenninica, dal punto di
vista vegetazionale, essa è resa uniforme dalla presenza di faggete che ne occupano la parte
culminale in una fascia che pressapoco va dai 900-1000 m ai 1400-1500 m di altezza
sull’Appennino meridionale. Sull’Etna, nel versante nord, il faggio raggiunge la quota di 2100 m.
L’estensione delle faggete risulta più marcata ed ampia sui versanti settentrionali dei monti e dove
le precipitazioni e le nebbie e quindi l’umidità atmosferica sono più abbondanti. Sui versanti rivolti
a sud, più soleggiati, più caldi e meno umidi, il limite inferiore del faggio si sposta a quote più
elevate. In numerose stazioni, la parte più alta dei rilievi della catena appenninica è occupata da
pascoli permanenti, molti dei quali, con molta probabilità, un tempo furono faggete:lo lascia
presumere la presenza di numerosi gruppi di faggi in mezzo al pascolo che attualmente danno riparo
ed ombra al bestiame. Altre volte il faggio stesso si spinge a coprire anche la fascia sommitale,
specialmente in corrispondenza delle selle e dei valichi. In questi casi tuttavia la faggeta assume un
aspetto estremamente tormentato a causa dell’azione violenta del vento principalmente ma anche
della neve e della galaverna. Il faggio tende a formare boschi pressoché puri con copertura colma,
creando un ambiente poco favorevole per lo sviluppo del sottobosco, sia a livello di strato erbaceo
che arbustivo. La faggeta pur essendo un tipo di bosco quasi puro, ospita specie montane come l’
olmo montano, il tiglio, il ciliegio, l’acero di monte e l’acero riccio. Formazioni naturali miste di
abete bianco e faggio si trovano sparse lungo l’Appennino e più frequentemente sulle Alpi; nei
boschi misti l’abete va spesso protetto in quanto il faggio tende a sopraffarlo nei primi anni. Il
faggio è riconoscibile dalla sua corteccia liscia di colore chiaro, tipica della specie, confondibile con
il bagolaro (Celtis australis). Presenta delle gemme appuntite, fusiformi, molto lunghe (1-3 cm) di
colore bruno-rossiccio. Le foglie sono alterne, ellittiche e leggermente ondulate ai margini. Frutto
contenuto in una cupola che a maturità si apre in 4 spicchi, muniti sul dorso di aculei, lasciando
cadere la faggiola. Il faggio predilige climi occidentali, con piovosità elevate e necessità di piogge
estive. L’esigenza del faggio nei confronti del suolo è meno specifica, adattandosi a terreni a varia
reazione perché non troppo umidi e compatti. Il faggio si propaga per seme o per via vegetativa. La
fruttificazione non inizia prima dei 35 anni, con annate di pasciona ogni 5-6 anni. Le faggiole hanno
un’elevata germinabilità (60-80%) che si mantiene per 6-7 mesi. La semina autunnale è preferibile a
quella primaverile come per querce e castagno e si impianta per semina o piantagione. Questa
ultima eseguita in primavera si può effettuare con semenzali di 3 anni, trapianti di 3-4 anni o
selvaggine di 2 anni. La densità d’impianto deve essere elevata. Le faggete possono essere
governate sia ad alto fusto sia a ceduo, ed il trattamento che più si addice alle fustaie di faggio è
quello a tagli successivi, da iniziarsi con graduali tagli di preparazione da 20 a 40 anni prima del
taglio di sementazione. Con questo taglio, che possibilmente dovrà coincidere con un’annata di
pasciona, si elimina il 25-30% della massa in piedi a 90 o a 100 anni. Prima di giungere al taglio di
sgombero si effettua almeno un taglio secondario d’intensità proporzionata all’andamento della
rinnovazione. I tagli successivi sono adatti tanto ai boschi puri quanto a quelli misti dove è più
appropriato il taglio successivo a “gruppi”. Nelle stazioni dove è più necessario mantenere
costantemente la copertura del suolo e dove non esiste una tradizione di tagli successivi, è applicato
anche il taglio saltuario, valutando opportunamente periodo di curazione, diametro di recidibilità e
proporzione tra le varie classi diametriche. In passato i cedui di faggio erano comunemente trattati a
sterzo con l’applicazione d’innumerevoli varianti legate alla forma di proprietà, alle caratteristiche
delle stazioni, alle tradizioni, ecc.. Le produzioni dei cedui a sterzo erano legate alla disponibilità, in
breve periodo, di legna sottile per carbone, ramaglia per brace, legna da ardere di diametro
maggiore. Poiché attualmente è venuto meno l’interesse per i primi due tipi d’assortimento, la
tendenza è quella di utilizzare cedui molto invecchiati mediante taglio raso. Le conseguenze sono
generalmente negative, dovute alla perdita di facoltà pollonifera delle ceppaie, alla possibilità
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d’erosione ecc.. Appare quindi sempre più opportuno il diffondersi delle conversioni ad alto fusto
che, oltre ai benefici effetti paesaggistici ed idrogeologici, offre buone prospettive economiche. I
diradamenti sono le operazioni colturali principali nelle faggete. Debbono essere precoci (10-20
anni), frequenti, moderati inizialmente, intensi dopo i 40 anni, se si vogliono ottenere incrementi
diametrici. Un esempio di diradamento di faggeta è quello proposto da Cantiani (1957) per le
faggete dell’Italia meridionale:
DIRADATE
a 30 anni
a 60 anni
a 100 anni
NON DIRADATE
1° classe
2° classe
1° classe
6000-4300
1900-1100
430-290
10000-4500
2820-2100
1210-1915
10000
4800
1650
2° classe
14000
6700
2590
Nei cedui si pratica uno sfollo per turno.
Il turno delle fustaie coetanee a taglio successivo va da 80 a 120 anni, non è opportuno lasciare
invecchiare oltre il faggio, poiché si producono malformazioni nel legno. Nelle fustaie disetanee a
taglio saltuario il diametro di recidibilità è sui 50 cm. L’incremento delle fustaie è mediamente di 34 mc annui. Nei cedui i turni sono di 20-30 anni, con incrementi annui di 2-4 m3 nei cedui coetanei
(taglio raso) e incrementi superiori nei cedui disetanei (taglio a sterzo). E’ stato accertato che vi è
relazione tra il tipo di flora erbacea-arbustiva presente nel sottobosco di faggio e il grado di fertilità
della stazione. Pertanto la presenza d’Acetosella, Anemone bianco, Dentaria, Mercuriale, Viola è
indice di buona fertilità, mentre la Luzola e le graminacee indicano minore fertilità; mirtilli e felci
indicano fertilità ancora inferiore e problemi per la rinnovazione.
VINCOLI DEI BOSCHI ITALIANI
Il primo vincolo di notevole importanza è imposto sui boschi italiani col R.D. n° 3267 del
30\12\1923 conosciuto come legge Serpieri. Detto decreto riconosceva ai boschi, oltre alla funzione
di produzione di legname, anche quella idrogeologica cioè la capacità che possiede un bosco nel
rallentare il deflusso delle acque e trattenere il terreno tramite le radici. Pertanto nell’art. 1 si
dichiarava: “Sono posti a vincolo per scopi idrogeologici, i terreni di qualsiasi natura e destinazione
che, per effetto di forme d’utilizzazione contrastanti con le norme di cui nei successivi articoli,
possano con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità e turbare il regime delle acque”.
Di fatto questa legge ha vincolato l’80% della superficie forestale italiana, poiché questa è
localizzata per il 75 % al disopra dei 500 m s.l.m., dove è abbastanza rilevante l’azione di freno
erosivo esercitata dal bosco. Per quanto riguarda la tutela della funzione paesaggistica del bosco in
Italia, ci sono una serie di leggi, quali la n° 688 del 1912 (tutela delle bellezze naturali nella loro
individualità), la legge n° 788 del 1922 riferita alle bellezze naturali, rilevanti sotto l’aspetto
paesaggistico, ed infine la legge n° 1597 del 1939 (norme per la tutela dei beni d’interesse storico,
artistico, archeologico) che contiene i primi concetti di tutela paesaggistica, dal momento che
prevede anche i piani paesaggistici. Tale legge era però limitata perché considerava il paesaggio
solo in senso statico (panorama, ambiente vivo e naturale). Di fondamentale importanza è la legge
n° 431 dello 08\08\1985 (legge Galasso), derivata da un decreto legge il cui obbiettivo era il
recupero ambientale delle zone di notevole interesse pubblico, tramite la compilazione di piani
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paesistici. Questa legge ha in pratica vincolato tutta la foresta italiana, inglobando una svariatissima
serie d’ambienti naturali, quali i fiumi, boschi, foreste, montagne, spiagge, crateri, in quanto
riconosciuti come patrimonio nazionale da salvaguardare.
NOTIZIE STORICHE
Posto sul versante settentrionale dell’isolato massiccio vulcanico dei Monti Cimini, a dominio del
vasto territorio Viterbese, fra il Mar Tirreno e la Valle del Tevere, il Monte Cimino con i suoi 1053
metri di quota è il vulcano, ormai estinto da millenni, più alto del Lazio. Il sollevamento e l’attività
vulcanica di questa montagna, la cui morfologia alterna settori scoscesi e dirupati, avvenne
probabilmente tra la fine del Terziario e l’inizio del Quaternario, quasi due milioni d’anni fa,
quando la zona era ancora ricoperta dal mare. Il Cimino, emergente dalle acque marine, era un’isola
da cui lo sguardo si spingeva verso le altre terre emerse di un grande arcipelago compreso tra le
isole vulcaniche dell’Amiata, del Cetona e dei Volsini a nord, della Tolfa ad ovest, dei Sabatini e
degli Albani a sud e la dorsale Appenninica ad est. In seguito, grazie agli eventi naturali dei periodi
di glaciazione e disgelo e al sollevamento della Valle del Tevere, il Cimino si saldò lentamente con
le altre isole vulcaniche tosco-laziali e con i monti dell’Appennino, giungendo a plasmare la regione
come oggi la vediamo. Tale monte, fu citato persino da Plinio il Vecchio nel suo “Naturalis
Historia” affermando che il faggio era una pianta assai diffusa nei pressi di Roma, citando anche un
certo Colle Fagutale, antico nome dell’Esquilino. Si afferma infatti, che il faggio colonizzò il Lazio
intorno all’800 a.C. arrivando fino a Roma. Il clima subì poi dei mutamenti diventato xerico (ossia
più secco) di conseguenza l’areale del faggio si spostò in zone più fresco-umide, come la caldera
del lago di Vico. Il bosco del Monte Cimino fu abitato fin dall’antichità, vi furono trovati, infatti,
resti d’insediamenti (pochi per la verità) sia etruschi sia romani e molto vasellame ed armi, tutti
oggetti ora custoditi nel museo Pigorini di Roma; si menziona inoltre anche la presenza di un
castello (castello Alteto) sorto verso il XII sec. presso la zona dove ora vi è una torretta con una
statua di una madonnina, eretta nel 1950 e utilizzata dalla Comunità Montana come punto
d’appoggio della stazione radio antincendio. La Faggeta fu inoltre attraversata nel 310 a.C. dal
generale romano Quinto Fabio Rulliano, interessato alla conquista delle Valli del Tevere e della
Tuscia suburbicaria (antico nome della zona dei monti Cimini) e nel 69 d.C. dall’Imperatore
Sulpicio Galba.
Per tutto il medioevo fino agli inizi del XX sec. il bosco di Soriano nel Cimino fu utilizzato come
pascolo per i suini; la più antica notizia trovata nei documenti della Delegazione Apostolica
conservati presso l’archivio di stato di Viterbo, è dell’anno 1809: è un documento di stima dei frutti
della “Montagna” (termine con cui si indicava comunemente il Monte Cimino) infatti, oltre alla
produzione di paline da vigna o per botti ricavate dalle macchie cedue di castagno, la comunità di
Soriano affittava la faggeta, come detto sopra per il pascolo di bestiame di suini, ad un costo in quei
anni di 407 scudi. Il Monte Cimino era utilizzato anche per la produzione di faggiole impiegate per
l’alimentazione degli animali, i quali a fine ottocento non poterono più pascolare all’interno del
bosco a causa di una serie di danni che essi provocarono alle giovani piante, ma anche dai danni
provocati per dispetto dai contadini sorianesi, che abbatterono abusivamente alcuni alberi; ed è
proprio in questi anni che alla Faggeta fu riconosciuta la sua funzione paesaggistica ricreativa,
infatti, gli ultimi tagli furono eseguiti nel 1830, per essere nuovamente ripresi (su una sola
particella) nel 1949 sul versante nord del bosco per un numero di 1392 piante, di cui 1308 di faggio,
46 d’acero montano, 31 di carpino bianco e 7 di farnia. In seguito non venne in pratica più tagliato,
con conseguente impedimento per l’avvicendamento del bosco, poiché il 64% degli alberi presenta
ora un fusto di 55 cm di diametro. Nel 1950 fu eseguita la costruzione della già citata torre, da parte
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del comune di Soriano e dell’Istituto Geografico Militare (I.G.M.), costituendo oggi il vertice
trigonometrico di primo ordine del punto d’appoggio del ponte radio antincendio della Comunità
Montana. Negli anni sessanta fu costruita la strada che collegò il bosco con la Cimina (S.S. che da
Soriano porta a Monterosi e poi tramite la Cassia bis a Roma) ed il piazzale antistante, la Faggeta.
Nel 1974 la soprintendenza ai monumenti del Lazio, per richiesta del Comune di Soriano, lasciò il
nullaosta per il taglio colturale da eseguire con cura da parte dell’ispettorato ripartimentale della
foresta di Viterbo, ma non si riuscì a fare nulla a causa dei sorianesi i quali pensarono che il loro
monumento vegetale sarebbe stato danneggiato; ed è proprio per questo motivo che adesso la
Faggeta si presenta eccessivamente fitta con alberi vetusti in pessimo stato di conservazione, con
chiome talmente fitte (in alcune zone), da non permettere la rinnovazione arborea e del sottobosco.
Dal 1949 ad oggi le utilizzazioni si sono limitate solo a 150 piante abbattute dalle intemperie e ad
una decina perché secche o malate. Dal 1981 l’amministrazione comunale richiese ed ottenne dalla
Regione Lazio, l’istituzione di una commissione di studio per avere una razionale gestione del
bosco infatti, fra il 1983\84 la Comunità Montana studiò il bosco, compilando un piano d’intervento
forestale come base per gli interventi futuri, con relazione tecnica e cartine che indicano alberi
monumentali e aree dove infoltire o diradare. Con questo studio si sono lasciati 9 ha per ricreazione,
mentre il resto è stato recintato e protetto dall’erosione tramite gratinate di legno poste sulle zone di
massima pendenza, e un tratto di ceduo di castagno prossimo alla Faggeta è stato riservato per uso
pubblico.
Nel secondo stralcio di lavori furono realizzati dei sentieri ecologici ed il taglio di 10 piante per ha
delle quali il 10% furono lasciate al suolo per motivi ecologici. Fu inoltre consigliata
l’individuazione di un’area di 5 ha sulla quale non effettuare nessun intervento, per verificare la
naturale evoluzione del bosco. Dal 1982 fu prevista anche la realizzazione del Parco dei Monti
Cimini (tuttora esistente), un’area protetta di 15000 ha, che avrebbe dovuto inglobare sia l’intera
riserva del lago di Vico che la Faggeta ed il colle della Palanzana.
LA FAGGETA DI SORIANO NEL CIMINO
La Faggeta che ricopre il Monte Cimino per circa 56 ha, è di proprietà del Comune di Soriano nel
Cimino; è una foresta seminaturale di 150\70 anni governata a fustaia disetanea coetaneiforme, a
causa della mancata rinnovazione dovuta sia dall’assenza di un efficiente trattamento colturale,
quindi con un’eccessiva copertura causata dalle grosse chiome degli alberi, sia dalla compattezza
del terreno. Vi sono infatti solo sporadiche zone soggette a rinnovazione, causate in genere dalla
formazione d’aree libere esposte alla luce formatesi con la caduta degli alberi, dove è possibile
trovare giovani piante tra i 4 e i 14 m con diametri che si aggirano sugli 8\12 cm. Un’altra area è
invece quella del versante sud della zona B, dove esiste una fascia di buona rinnovazione dovuta
probabilmente all’esposizione e alla favorevole illuminazione laterale; qui è possibile trovare piante
d’altezze non superiori ai 3\8 m, in contrapposizione al versante nord della stessa zona dove invece,
vi sono circa 4 p\ha , il 3,5% del bosco, che presentano diametri maggiori di 85 cm. La sua struttura
è di tipo monoplana, con un rapporto distanziale pari a 16, quindi con densità regolare, mentre la
distanza media tra le piante è di circa 8,80 m. La Faggeta è composta da 8087 piante costituita per il
95% da Fagus sylvatica L, specie sciafila ed igrofila e relativamente microterma, che ben si adatta
alla zona umida del Cimino, infatti esige umidità non inferiore al 60%. Il restante 5% del bosco è
costituito da Acer pseudoplatanus, Castanea sativa, Carpinus betulus, Prunus avium e da un grosso
esemplare sorto affianco la torre di Quercus cerris. Altri alberi come ad esempio il Fraxinus
excelsior e Quercus pubescens ed arbusti come il Corylus avellana, Corenilla emerus, Dafne
laurecla, non crescono più a causa del prolungato pascolo. In zone non calpestate, dove i raggi del
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sole riescono a penetrare la fitta chioma e dove è raro che qualche turista vi si avvicini, riescono a
nascere arbusti di Rosa spp. , Rubus spp. , Cornus mas, Hedera helix, Ruscus aculeatus mentre tra
le essenze erbacee si riescono a trovare Dryopteris filix-mas, Pteris acquiliera, Galantus nivalis,
Viola odorata, Carydalis cava, Anemone nemorosa, Helleborus viridis, Merenrialis perenne,
Asperula odorata, Rammeolus mantaus, Rammeolus ficaria, Poliganetum multiflorum, Alliaria
petiolata, Arum mamlatum, Ciclamen repandum, Cardamine emneafilla, Cardamine bubifera. Vi
sono inoltre anche una vastissima varietà di funghi sia velenosi sia commestibili, come le
famosissime “Russole” (o vaiate) Russola edule, e i porcini sia neri sia comuni, Boletus aereus e
Boletus edulis. Notevole importanza per l’ecologia dell’intero bosco è anche la presenza di un
particolare tipo di lichene azzurro-verde Parinelia spp. , in grado di fissare l’azoto. L’ecosistema
del Monte Cimino, comprende anche numerose specie animali. Nelle zone più impervie si nasconde
il rarissimo gatto selvatico e il grosso cinghiale. Tra i piccoli mammiferi assai comuni sono il ghiro,
il topo guercino, il moscardino, il tasso, il riccio e la talpa. Presenti anche la volpe, la faina, la
donnola, la puzzola e l’istrice. Interessante è anche l’avifauna. Tra i rapaci diurni e notturni
notevole è la presenza della poiana, del nibbio, del gheppio, del gufo, dell’allocco, del barbagianni e
della civetta. Tra gli altri volatili sono presenti l’upupa, il cuculo, lo scricciolo, il picchio verde, il
picchio rosso minore, il picchio rosso maggiore, il rampichino, il codibugnolo, la cinciallegra, la
ballerina bianca, il codirosso, la baglia dal collare ed il merlo. Tra i rettili sono presenti l’orbettino,
la biscia dal collare e la velenosa vipera comune.
IL CLIMA
Il clima dell’area dei Monti Cimini è influenzato dalla vicinanza del Mare Tirreno da cui giungono
le correnti caldo umide (infatti l’umidità atmosferica relativa è elevata), che in autunno-inverno
provocano abbondanti precipitazioni. La Faggeta è infatti situata nella sottozona calda della fascia
fitoclimatica del Fagetum dove le temperature medie annue si aggirano intorno ai 7\12 C°
raggiungendo nei mesi più freddi i -2 C°. La temperatura media annuale della vetta del bosco
(1053) è di 9,67 C° e dell’altezza media (996,5) è di 10,03 C°. La piovosità media annuale è
(riferito alla quota di 510 m) pari a 1239 mm, salendo di quota questo parametro aumenta. Il
massimo picco di piovosità è nei mesi d’ottobre-novembre, aumenta nel mese di febbraio e cala
dopo l’arrivo della primavera; mentre i giorni in cui avvengono delle gelate sono di circa 20\25
l’anno distribuite fra i mesi di dicembre e marzo periodo in cui non è raro assistere a due o tre
(circa) precipitazioni di carattere nevoso, che possono raggiungere anche i 50 cm, persistendo sulla
vetta per circa un mese.
1: Areale del faggio
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ZONIZZAZIONE
La Faggeta è suddivisa in due grandi zone, la zona A di frequentazione turistica o area fruibile di 12
ha e la zona B o area protetta di 48 ha. Nella prima sono stati realizzati dei sentieri natura che
conducono in particolare verso le sorgenti presenti nell’area, quali la Sorgente del Quadro,
dell’Acqua grande e della Vipera e verso la sommità della montagna dove si trova la torre della
madonnina, ed inoltre sono presenti anche alcune zone attrezzate ad area pic-nic disposte nel
versante orientale della montagna, in pratica nelle zone adiacenti l’attuale piazzale. L’ultima zona
invece, rappresenta la maggior parte del bosco e fino a pochi anni fa la maggior parte di questa era
recintata per evitare l’ingresso ai turisti, dal momento che si era previsto che tale area fosse
destinata a divenire area protetta; purtroppo da circa 7 anni la recinzione in pratica non esiste più,
con conseguente deperimento del sottobosco e “nascita” di nuovi rifiuti.
2: La zona tratteggiata presente nella figura qui sopra riportata, rappresenta la zona A a destinazione turistica. Il
rettangolo nero, posto circa al centro della figura, rappresenta la torre di osservazione della Comunità Montana,
mentre la zona in nero in basso a destra è il piazzale antistante il bosco con la strada che arriva fino all’abitato di
Soriano nel Cimino.
3: La parte lasciata in bianco rappresenta invece, la zona protetta del bosco.
TRATTAMENTI COLTURALI
I trattamenti colturali, consistono in un sistema ordinato d’operazioni destinate a regolare
l’evoluzione e soprattutto la rinnovazione di un bosco. Per una fustaia disetanea i trattamenti
assicurano nello stesso tempo tanto il miglioramento quanto la rinnovazione (taglio saltuario).
Il trattamento di una fustaia è legato alla struttura del soprassuolo e si caratterizza in relazione alla
cadenza dei tagli nel tempo, allo spazio interessato da questi e alla forma delle tagliate. Per i
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soprassuoli coetanei sono possibili due principali forme di trattamento: il taglio raso ed i tagli
successivi, con numerose forme intermedie. Per i soprassuoli disetanei è adottato il taglio saltuario.
TAGLIO SALTUARIO: è il trattamento cui sono sottoposti i boschi disetanei. In questi boschi
come si è visto, il numero delle piante decresce progressivamente all’aumentare del diametro in
base ad un “coefficiente di mortalità” che varia per ogni specie forestale e tipo di bosco. Ai fini del
trattamento le piante sono raggruppate in classi diametriche indipendentemente dall’età: la classe
diametrica maggiore corrisponde al diametro di recidibilità in altre parole al diametro che individua
la pianta matura da utilizzare. Si tratta di un concetto elastico che serve come riferimento, ma non
deve essere considerato un limite invalicabile: le piante mature possono essere utilizzate in anni
successivi ogni volta che lo consigliano ragioni selvicolturali o di mercato. Un tempo, il taglio
saltuario era un taglio a scelta che era eseguito senza riferimenti precisi e spesso si risolveva
nell’utilizzazioni delle piante migliori, provocando una successiva diminuzione della provvigione.
Fissare il diametro di recidibilità è una garanzia di conservazione del bosco oltre che una scelta
selvicolturale ed economica legata alla produzione di determinati assortimenti legnosi. L’utilizzo
delle piante mature sulla stessa superficie avviene ad intervalli regolari ognuno dei quali è pari al
periodo di curazione, vale a dire al periodo necessario perché le piante passino dalla penultima
all’ultima classe diametrica, tenendo conto però di assicurare la rinnovazione naturale. Questi tagli
periodici sono detti di curazione e con essi non si utilizzano solo le piante mature, ma si effettuano
anche le cure colturali e i diradamenti necessari. Da ciò deriva l’economicità del bosco disetaneo
che si rinnova naturalmente e permette di riunire nello stesso anno tutti gli interventi sulla stessa
superficie, così che quelli attivi compensano ampiamente quelli passivi senza che si abbiano
gravose anticipazioni di fondi. Il taglio saltuario limita i danni al novellame rispetto a quelli
provocati con i tagli successivi, e conserva tutti i vantaggi tipici del bosco disetaneo: massima
protezione del terreno, minore sensibilità alle avversità meteorologiche e parassitarie ( possono
essere colpiti solo gli individui d’età maggiore o minore e in ogni modo il bosco è sempre in grado
di rinnovarsi, soprattutto nel caso di boschi disetanei misti ). La produzione legnosa è uguale a
quella del bosco coetaneo, ma tecnologicamente un poco inferiore; l’assestamento e la gestione
tecnica sono invece difficoltose e richiedono un’attenta valutazione dei caratteri della stazione, delle
specie forestali presenti e della loro mescolanza ( se boschi misti ), del pascolo, delle tecniche di
taglio, ed esbosco, ecc. . Errori di gestione possono rompere l’equilibrio del bosco disetaneo,
facendolo regredire verso strutture stratificate di minore produttività. Per le varie forme di
trattamento intermedie alle tre principali va ricordata quella dei tagli a buche, oggi molto diffusa. Si
tratta di tagli rasi eseguiti su piccole superfici ( fino a 1.000 mq ) allo scopo di provocare la
rinnovazione naturale o di inserire artificialmente altre specie: conviene iniziare dove esistono
gruppi di novellame o dove sono già stati aperti vuoti a causa di tagli sanitari o d’avversità
atmosferiche. Più è piccola la superficie tagliata e più ci si avvicina ad una specie di taglio saltuario
a gruppi che può essere adottato nella trasformazione di boschi coetanei in disetanei. La Faggeta
però, si presenta coetaneizzante per invecchiamento infatti, gli interventi di tipo colturale, si sono
solamente ridotti alla semplice pulizia d’esemplari malati o già caduti a terra a causa d’agenti
esterni, quali il vento, la neve ecc. . Di conseguenza essendo la Faggeta considerata come parco
suburbano regionale, quindi turistico, i trattamenti da eseguire sono solamente quelli di protezione
eliminando quindi anche esemplari o semplicemente rami considerati pericolosi. Di conseguenza a
causa dei mancati trattamenti classici per una fustaia, ormai assenti da oltre un secolo, il bosco è
inevitabilmente invecchiato trasformandosi in un coetaneo e sarà sostituito lentamente con altre
specie colonizzatrici adatte alla zona come l’Acero montano, che si inseriranno in quegli spazi
provocati dalla caduta delle grosse piante di faggio. In fin dei conti la foresta è una biocenesi
complessa in cui si trovano produttori, consumatori e decompositori; l’uomo o meglio il
selvicoltore, si inserisce tra i consumatori, in modo tale da rendere massima l’efficienza funzionale
del bosco e quindi l’equilibrio dell’ecosistema. Nella Faggeta poiché il numero delle piante
stramature è elevato, sarà necessario agire prudenzialmente nella loro eliminazione, per non
impoverire eccessivamente la provvigione e per non scoprire troppo il terreno. Questa faggeta è
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stata trattata con tagli a scelta oggi però, come già detto, si presenta coetaniforme, sarà quindi
opportuno applicare i tagli successivi con lungo periodo di rinnovazione. In questo modo il bosco
potrà continuare a svolgere la funzione produttiva e ricreativa.
MASSA LEGNOSA
Per quanto riguarda l’utilizzazione del legno della Faggeta essa, è purtroppo sospesa e attualmente
sono utilizzate solo le piante abbattutesi per motivi naturali, principalmente per il vento. Gli abitanti
locali che sono interessati al loro uso, devono rivolgersi al comune di Soriano nel Cimino,
compilando una richiesta, il primo che esegue quanto detto riceve dal comune l’autorizzazione in
cambio del pagamento di una cifra, che corrisponde al valore del legno calcolato, il quale in genere
è destinato come legna da ardere. Gli alberi caduti vengono di solito sramati e depezzati sul posto e
molto spesso una certa quantità di ramaglia è lasciata sul posto perché poco utili. Il legno così
ottenuto è solitamente riservato per uso familiare, o a volte venduto realizzando guadagni irrisori, a
causa della scarsa quantità e del limitato valore degli assortimenti. Il calcolo del valore della massa
detraibile da tagli, è considerato pari ad almeno 1000 m3 ogni dieci anni. Negli alberi della Faggeta
la massa cormometrica è opportuno che sia scissa in due assortimenti pur essendo alberi di grossa
mole, vale a dire in legname da opera e legname da ardere. Infatti frequentemente capita che questi
faggi siano colpiti al loro interno da patologie come la carie o il sobbollimento, che portano ad un
deprezzamento e ad una limitazione d’uso di questo legname. Può capitare a volte di trovare piante
completamente sane, mentre altre volte il tronco può essere estremamente attaccato dalle malattie.
A detta dei forestali locali non è azzardato ritenere che in media solo il 50% del tronco sia
utilizzabile come legname da opera, mentre il restante 50 % a causa delle patologie sopra enunciate,
è inevitabilmente destinato a legna da ardere. Il legname di grosse dimensioni, è usato soprattutto
per la realizzazione di travature o mobilio, tavolate o infissi e spesso per oggetti vari d’uso
domestico. La massa legnosa della Faggeta arriva senza problemi a volumi dell’ordine di 10 m 3 , e
c’è da far presente che a parte i ricavi ottenuti dai tagli di quelle poche piante cadute, non vi sono
introiti e purtroppo non ci saranno neanche in futuro, a causa delle grosse dimensioni che
attualmente presentano gli alberi con conseguenti costi di tagli futuri, decisamente elevati. Ma
anche se non si riesce a ricavare una buona quantità di denaro da eventuali tagli nel bosco, c’è da
sottolineare che questi ultimi si ritengono necessari per garantire comunque, la perpetuità del bosco.
Come detto più volte, non ci sono molti ricavi da questo bosco, anche sotto l’aspetto dei valori
secondari dovuti dalla mancanza di un folto sottobosco, a causa dell’eccessiva copertura arborea.
Gli unici ricavi possibili sono rappresentati dalla raccolta dei funghi che in Faggeta hanno trovato
un ottimo Habitat, grazie alla elevata umidità presente in questa zona.
VINCOLI DELLA FAGGETA
La Faggeta oggi non può essere liberamente indirizzata verso qualsiasi tipo d’uso, in quanto la sua
superficie è gravata da ben due diversi vincoli, ovvero essa risulta essere soggetta a vincolo
generale idrogeologico ai sensi della legge n° 3267 del 1923 e a vincolo paesaggistico ai sensi della
legge Galasso del 1985. Il vincolo idrogeologico appare ricoprire l’intera superficie, ed è logico che
sia così dal momento che si sta parlando di un bosco che ricopre la sommità di un monte e che
pertanto svolge importantissime ed insostituibili funzioni di trattenuta del suolo e di regimazione
delle piogge. Per quanto riguarda invece il vincolo paesaggistico, esso risulta coprire metà
dell’intera estensione del bosco, in direzione sud\est. Questa metà non è stata scelta a caso dal
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momento che si affaccia verso l’abitato di Soriano nel Cimino, dove la visione del monte
incappucciato dalla Faggeta, rappresenta un elemento di notevole bellezza paesaggistica e di
caratterizzazione dei luoghi. Il suo confine nord\ovest risulta seguire la linea del suo crinale. Questo
vincolo fu apposto sulla Faggeta con l’approvazione del piano paesistico della Regione Lazio, del
giugno del 1985, che fa ricadere tale bosco nel sistema d’interesse paesaggistico. Per quanto
riguarda i boschi è dichiarato che: “In considerazione delle numerose funzioni di carattere
idrogeologico, ambientale, paesaggistico, economico-produttivo, energetico e sociale che tali ambiti
esplicano, occorrerà che tutte le forme d’utilizzazione siano conformi alla legge n° 3267\1923 e alla
legge regionale n° 46\’77 ed in particolare, potranno essere effettuati gli interventi previsti
all’interno d’appositi piani economici d’assestamento e di specifici piani d’intervento, o meglio di
piani d’utilizzazione, da sottoporre alla approvazione dei competenti organi regionali.” A tale
proposito, è da notare come la Faggeta sia priva di un vero e proprio piano d’assestamento, dal
momento che quello (inattuato) del Paltrinucci è scaduto già dall’’80. L’intento dei detti due vincoli
sovrapposti è quindi quello di proteggere questo bosco nella sua interezza evitando interventi
eccessivi, speculativi o male studiati che possano danneggiare inreversibilmente le sue già
sottolineate ed eccezionali caratteristiche naturali ed ecologiche o anche modificare i “coni visuali”,
su vedute di carattere ambientale e paesaggistico.
4: L’immagine qui sopra riportata rappresenta i due vincoli della Faggeta, la campitura in tratteggio è il vincolo
paesaggistico, mentre la parte lasciata in bianco rappresenta il vincolo idrogeologico. Questo ultimo è presente
anche nella zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
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BIBLIOGRAFIA:
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Tesi di Laurea di: Lorenza Colletti “La Faggeta del Monte Cimino”
Tesi di Laurea di: Angela Lo Monaco “Proposte per un piano di valorizzazione naturalistica della Faggeta dei
Monti Cimini (VT)”
Articolo d’Angela Lo Monaco : rivista Storia e Folklore n° 3 1984, “Un po’ di storia sulla Faggeta del Monte
Cimino (VT)
Opuscolo turistico della Comunità Montana di Viterbo
Appunti di Biometria e Dendrologia, prof.ssa Mariagrazia Agrimi
Appunti di Pianificazione e gestione dei sistemi forestali, prof. Piermaria Corona
“Guida ai funghi d’Italia”, Luigi Fenaroli, ed. Giunti\Martello
“Alberi”, Enrico Banfi – Francesca Consolino, ed. DeAgostini
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la faggeta dei monti cimini (vt)