sudi hatred has been the question which has puzzled many critics. However, very few have considered closely the religious beliefs of the monks and also of the "devisants" in l'Heptamêron. Without any doubt, the key to Marguerite's attitude lies there. What the Queen reproaches every monk for, in rHeptaméron, is the pernicious doctrine which they preadi. They have little or no faith in the Bible and consider it a book no more worthy of consideration than Caesar's Commentaries. They encourage the faithful to place all their faith in good works, fasts, and make them believe that salvation can be obtained through others and not through Jesus Christ himself. In contrast to the monks' beliefs, the "devisants* place all their faith in the Bible and have a healthy suspicion of what the Queen labels "human inventions.* When in doubt in religious matters, they do not follow men's doctrines, but consult the Holy Scriptures. They are just as suspicious of good works and insist on the fact that faith alone can assure our salvation. What we have in fact in l'Heptamêron is a clear expression of two religious conceptions of the duties of the believer. The monks, preadiers of a doctrine generally associated with the more narrow-minded catholic orthodoxy, seem to have abandoned God and are, therefore, victims of all vices. On the other hand, the "devisants" share religious beliefs which, in their broader lines, were propounded by most Reformers and especially Luther. The above remarks should not, however, be construed to indicate that the Queen was a firm believer in the Reformation. It is evident that she shared, along with many others in France, many ideas with the Reformers. It is also evident that she rejected many ideas and doctrines which the Churdi was not prepared to discard. But, faced with a Reformation becoming more and more fragmented, Marguerite, sister of a king who had vowed to extirp heresy from his kingdom, remained, on the surface at least, faithful to a Church which in her mind had strayed far away from the Bible, the only source of truth. Spiritualismo radicale nelle opere di Ortensio Lando attorno al 1550"" Di Silvana Seidel M etichi I. PREMESSA** Per quanto le opere del letterato milanese Ortensio Lando (1512?—1554?) siano state per secoli oggetto di attenzione e di indagini 1 , la sua personalità risulta * I miei studi su Ortensio Lando sono stati resi possibili da una fellowship dell'Università di Harvard presso il centro di studi rinascimentali «Villa I Tatti» di Firenze. * * Elenco delle abbreviazioni: S. 275. 1. Per un panorama della letteratura su Ortensio Lando fino al 1962 cfr. Mario Emilio Cosenza: Biographical and Bibliographical Dictionary of the Italian Humanists and of the World of Classical Scholarship in Italy (Boston 1962), vol. I l l , pp. 1919-20. 210 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM ancor oggi enigmatica e la sua biografìa permane incerta e piena di lacune. Gli epiteti di «bizzarro» «scapigliato» «paradossale» «avventuriero o mestierante della penna» «poligrafo» «cervello balzano», che gli sono stati attribuiti, rivelano il disagio che i critici hanno avvertito per secoli di fronte alla sua produzione ambivalente e sconcertante2. Uno dei pochi punti fermi della biografia del Lando è la condanna della quale le sue opere furono oggetto nell'indice veneziano del 1554}. La condanna, ribadita e aggravata nell'indice di Paolo IV pubblicato del 1559, ha indotto gli studiosi a porsi fin dal '700 il problema dell'ortodossia del Lando e a cercare nelle opere identificate come sue la motivazione teologica di essa. Siccome però tali opere apparivano piccoli opuscoli notevoli soprattutto a «per le pazzie che l'autore vi ha inserite» e non rivelavano nulla di «apertamente empio»4, i critici, a partire dal Tiraboschi, hanno spiegato la condanna ecclesiastica delle opere del Lando come segue: oltre a un Ortensio Lando medico e letterato milanese, vi sarebbe stato un Geremia Lando contemporaneo e amico di Ortensio, agostiniano transfuga convertito al luteranesimo e autore di opere eterodosse5; i redattori degli indici del 1554 e del 1559 avrebbero confuso e sovrapposto le due figure, estendendo alle opere di Ortensio Lando il giudizio diretto contro il suo omonimo. In anni più recenti uno studioso inglese ha stabilito in modo definitivo la coincidenza dell'agostiniano transfuga Geremia con il letterato Ortensio6, restituendo così al giudizio dei redattori dell'indice tutto il suo peso. Nonostante tale identificazione, che costituisce la premessa di una revisione ab imo del giudizio tradizionale sulla religiosità e sulla personalità di Ortensio Lando, la critica non sembra aver saputo trarre da quella premessa le convenienti illazioni. Lo studio 2. Per l'epiteto «scapigliato» cfr. Arturo Graf: Attraverso il Cinquecento (Torino 1916), p. 45; Giovanni Sforza: «Ortensio Lando e gli usi ed i costumi d'Italia nella prima metà del Cinquecento», Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Classe di scienze morali, storiche e filologiche, s. II, LXIV (1914), pp. 1-68. Per gli epiteti «piccolo avventuriero della penna», «cervello balzano», «bizarro» cfr. Giuseppe Toffanin: Il Cinquecento, 2 a ediz. (Milano 1941), pp. 550-51. Per gli epiteti «stravagantissimo», «volubile», «paradossale» cfr. Ireneo Sanesi: Il cinquecentista Ortensio Lando (Pistoia 1893), p. 25. Per «mestierante della penna» cfr. Francesco Flora: Storia della letteratura italiana (Verona 1952), vol. II 1 , Il Cinquecento, pp. 486-87. 3. Fr. Heinrich Reusdi: Der Index der verbotenen Bücher. Ein Beitrag zur Kiràtenund Literaturgeschichte (Bonn 1883), vol. I, pp. 374-75. 4. Girolamo Tiraboschi: Storia della letteratura italiana (Venezia 1796), t. VII', pp. 794, 803. 5. Ibid., pp. 795-97. 6. Conor Fahy: «Per la vita di Ortensio Lando», Giornale storico della letteratura italiana, CXLII (1965), pp. 243-58. 211 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM più recente sul Lando 7 traccia l'itinerario religioso del sedicente milanese in modo che può essere cosi riassunto. Il Lando avrebbe preso le mosse dall'«erasmismo» - inteso come atteggiamento moderatamente riformatore, confessionalmente conciliativo e fondamentalmente cattolico - per approdare a una teoria della giustificazione per la fede e le opere assai vicina a quella dei cosiddetti evangelici italiani. La sua religiosità rimarrebbe dunque circoscritta (nonostante una oscura parentesi luterana 8 ) nell'ambito dell'aspirazione a una pietà semplice e pura, quale si sarebbe potuta realizzare attraverso l'eliminazione degli abusi ecclesiastici, la riforma morale, il ritorno alla lettura diretta della Scrittura, la riduzione e la semplificazione delle pratiche del culto. In questo disegno l'interesse del Lando per la teologia appare non primario 9 . Le sue deviazioni dall'ortodossia cattolica risultano occasionali, limitate in sostanza alla dottrina dei sacramenti (in particolare della cena) e alla teoria della giustificazione per la fede e della predestinazione (elaborata perà dal Lando prima delle definizioni del concilio)10. Che una tale sistemazione delle idee religiose del Lando abbia valore provvisorio è chiaro anche allo studioso che la propone: egli stesso fornisce e suggerisce dati spunti e congetture che puntano verso una valutazione del tutto diversa 11 . Il presente articolo vuol essere un contributo alla revisione del giudizio sulla religiosità di Ortensio Lando e al tempo stesso un saggio d'interpretazione della 7. Paul F. Grendler: Critics of the Italian World IS30-1560. Anton Francesco Doni, Nicolò Franco and Ortensio Lando (Madison, Milwaukee and London 1969), con bibliografía. Giovanni Aquilecchia, nella sua recensione del libro del Grendler, annuncia un articolo - che non ho visto - di Conor Fahy sull'edizione delle Forcianae questione^ del Lando pubblicata a Napoli, Martinus de Ragusia, 1536. Cfr. Italian Studies X X V (1970), p. 114. 8. Questa parentesi è documentata da una lettera di Ortensio Lando a Gioacchino Vadiano, senza data, nella quale il Lando si presenta come un traduttore delle opere di Lutero e un profugo religionis causa: «Ego mediolanensis, nomine Hortensius Landus, medicus, qui cum multa Lutheri scripta promovendi evangelii gratia in italicam linguam vertissem, ut vitarem infortunium, quod sanctissimus papa paraverat, solum vertere coactus sum, una cum uxorcula, quae Christum agnoscit et colit. Ita Rhaetorum Curiam veni», Die Vadianisdie Briefsammlung der Stadtbibliothek St. Gallen, ed. Emil Arbenz und Hermann Wartmann (St. Gallen 1902), vol. IV, pp. 188-89. 9. «Lando, on the whole, was uninterested in theology and did not develop a consistently heretical position», Grendler, p. 125. 10. Ibid., pp. 113-27. 11. Il capitolo dedicato alla religione di Ortensio Lando si chiude con una serie di congetture che sono altrettanti punti interrogativi: forse il Lando era un protestante che dissimulava le proprie convinzioni o forse era un rappresentante di quella generazione di italiani che, spostandosi da un paese all'altro, oscillavano fra una fede e l'altra, fra l'ortodossia cattolica e l'ortodossia protestante. Ibid., p. 126. 212 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM sua produzione in chiave religiosa. Le eccentricità e le bizzarrie di tale produzione rientrerebbero così nel processo di camuffamento, cui l'autore sottoponeva le sue opere per sviare l'attenzione dei censori. Attraverso l'esame di un gruppo di operette stampate a Venezia fra il 1550 e il 1552 - i Ragionamenti familiari, la Vita del beato Ermodoro, il Dialogo della consolatione che si gusta leggendo la Sacra Scrittura, i Dubbi religiosi - ci si propone dunque di dimostrare e illustrare la tesi che il Lando fu protagonista di un'esperienza religiosa analoga a quella di certi gruppi eterodossi, che la storiografia italiana tradizionalmente designa come anabattisti. Senza voler tentare una definizione teologica delle idee di Ortensio Lando e uno studio sistematico delle sue fonti, il presente saggio si limiterà a esaminare le stampe sopra menzionate da due punti di vista: l.come documenti che attestano la diffusione in Italia delle dottrine dibattute a Strasburgo nel gruppo di teologi che faceva capo a Otto Brunfels e illustrate soprattutto in quella specie di somma dello spiritualismo filoanabattistico che sono le Pandectae Veteris et Novi Testamenti di Brunfels stesso; 2. come testi di propaganda religiosa che rivelano molti elementi in comune con le dottrine diffuse negli anni attorno al 1550 negli ambienti degli anabattisti antitrinitari veneti. Questa dimostrazione ha, nella produzione storiografica italiana degli ultimi anni legata agli studi e all'insegnamento di Delio Cantimori, due immediati punti di riferimento: da un lato lo studio di Carlo Ginzburg sul nicodemismo come dottrina della simulazione e dissimulazione religiosa12, dall'altro le ricerche dello stesso Ginzburg e di Aldo Stella sugli anabattisti veneti verso il 1550 e oltre 13 . Per coerenza con tali punti di riferimento, i termini di «spiritualismo» «nicodemismo» e «anabattismo» saranno usati qui nello stesso significato che essi assumono nelle opere dei due studiosi italiani: il termine «spiritualismo» sarà usato nel senso di tendenza a porre l'accento sull'interiorità dell'esperienza religiosa, svalutando cerimonie sacramenti e istituzioni come manifestazioni carnali della pietà, e relativizzando anche la lettera della Scrittura in confronto all'ispirazione diretta dello spirito; il termine «nicodemismo» sarà usato nel senso di teoria della simulazione e dissimulazione religiosa quale si trova formulata nelle Pandectae di Brunfels e contrastata nella sua diffusione europea teorica e pratica da Calvino; il termine «anabattismo» sarà usato nel senso di complesso delle dottrine professate e discusse nei circoli eterodossi denunciati 12. Carlo Ginzburg: Il nicodemismo. Simulazione e dissimulazione religiosa nell'Europa del'iOO (Torino 1970). 13. Carlo Ginzburg: I costituti di don Pietro Manelfi, Biblioteca del Corpus Reformatorum Italicorum (Firenze, Chicago 1970); Aldo Stella: Dall'anabattismo al soc'mianesimo nel Cinquecento veneto. Ricerche storiche (Padova 1967); Id., Anabattismo e antitrinitarismo in Italia nel XVI secolo. Nuove ricerche storiche (Padova 1969). 213 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM nel 1551 da Pietro Manelfi. La validità storiografica degli ultimi due termini è stata ed è tuttora in seria discussione14; anche il termine «spiritualismo» può essere criticato come generico, dal momento che all'interno della tendenza cosi designata la critica ha individuato varie correnti ben distinte15. L'uso di una terminologia generica e d'attesa mi sembra però giustificabile, in quanto riflette lo stadio attuale delle conoscenze sulla teologia del Lando: di una più precisa valutazione e definizione il presente saggio vorrebbe essere una prima tappa. II. I <RAGIONAMENTI FAMILIARI» ( 1 5 5 0 ) L'operetta pubblicata anonima da Ortensio Lando nel 1550 sotto il titolo di Ragionamenti familiari16 si presenta come una raccolta di allocuzioni suasorie e dissuasorie, spesso accoppiate a due a due intorno allo stesso soggetto. In testa a ogni componimento viene menzionato, oltre al tema, il presunto autore e il destinatario o i destinatari dell'allocuzione: sono tutti personaggi storici appartenenti a quella sfera della nobiltà o dell'alta borghesia, nella quale il Lando trovava di volta in volta ospiti mecenati protettori. I temi, con i quali i vari oratori e oratrici si cimentano, appaiono a prima vista divertimenti accademici da società colta: vi sono orazioni in favore e contro il vino, in favore e contro la caccia, in favore e contro il matrimonio, in favore e contro la vita cortigiana e così via. Nel mazzo di questi esercizi retorici disimpegnati sono stati però inseriti e quasi mimetizzati alcuni componimenti, che offrono un campionario abbastanza rappresentativo delle posizioni religiose dell'autore. Ne prenderemo in esame quattro: l'esortazione al monacesimo, il ragionamento contro l'avarizia, l'allocuzione sui diritti e doveri di un vescovo, l'ammaestramento di un predicatore. 14. Una esposizione e discussione delle riserve avanzate dagli storici, specialmente americani, a proposito del termine «anabattismo» riferito ai gruppi italiani si trova in Antonio Rotondò: «Il movimenti ereticali nell'Europa del Cinquecento», Rivista storica italiana, L X X V I I I (1966), pp. 103-39. Anche l'impostazione metodologica del libro di Carlo Ginzburg è messa in discussione da Albano Biondi: «L'uomo e la maschera: note sulla giustificazione della simulazione nel '500», in corso di pubblicazione in un volume miscellaneo del Corpus Reformatorum Italicorum. Desidero ringraziare caldamente il prof. Biondi per la rara generosità con la quale ha messo a mia disposizione il manoscritto del suo bel saggio non ancora stampato. 15. Cfr. George Huntston Williams: The Radicai Reformation (Philadelphia 1962), ad indicem. 16. Ragionament[ij familiari di diversi autori non meno dotti che faceti et dedicati alla rara cortesia del molto Reverendo et Ilust. Signore il Sig. Andrea Mattheo d'Acqua Viva, In Vinegia al segno del Pozzo M.D.L. La raccolta contiene anche un ragionamento diretto a «Ortensio Lando detto il Tranquillo» contro la vita solitaria. 214 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM Il Ragionamento di frate Feliciano Giorgi per essortare il Signor Dorotheo Brigodo a farsi frate si presenta all'esordio come una rielaborazione di luoghi comuni della letteratura ascetica sul contemptus mundi, ma fin dalle prime righe nasconde fra le pieghe del discorso punte sarcastiche, che progressivamente s'infittiscono e si fanno più aspre, finché la suasoria si rovescia in una critica mordace del monacesimo: «Non è ... lo stato fratesco una sicura scala per salire a' vescovati a' cardinalati e a' papati? ... Oh, se frate vi fate, quanta dolcezza sarà la vostra udendovi chiamar padre di qua, padre di là: sarete padre senza haver figliuoli et senza procacciar loro i debiti alimenti, cosa nel vero piena di meraviglia et di dolcezza ... Per qual cagione credete voi si facci la corona in capo a' frati? Certo non per altro che per significarci che gli frati sieno re del mondo et che il tutto fra noi reghino et amministrino ... Qual inclito principe et qual illustre barone habita sì alti si pomposi et sì ben composti palagi come noi frati facciamo? ... Per noi non tempesta mai, la gelata non ci nuoce, la terra per noi non è sterile, la caristia non ci annoia, la peste non ci recca danno, né la guerra ci porge alcuna afflittione ... Chi è colui che non ne ammiri, non ne honori, non ne riverisca et adori ...? Le vedovelle sopra tutti ne credono et a tutte le stagioni ne fanno mille vezzi. Le monacelle ci prestano inviolabil ubidienza ... O, se frate vi fate, quanta consolatione sentirete voi favellando domesticamente con qualche devota sorellina della gloria celeste, della vita beata, delle pene dell'inferno et della mortificatione delle carne, per farla ubidiente allo spirito; et con tanta dolcezza le udirete ragionare, che vi parerà ch'abbino sotto la lingua et latte et mele. Quanto piacere sentirete etiandio gustando delle torte degli raffioli de' berlingozzi de' zuccherini et delle offelette fatte dalle lor dilicate mani ... Quanto pensate voi che ne giovi l'opinione che della nostra santità si have? questa è quella che ne fa star grassi et morbidi, questa è quella che ci fa andar gonfi et pettoruti, questa è quella che ci fa temer dalle donne, riverir da' principi et rispettar da' popoli, questa è quella che ne dà segurtà di chiedere a tutte l'hore hor pane hor vino hor cacio hor lardo ... Noi non siamo partecipevoli delle fatiche et delle angoscie degli huomini, non havendo lo braccio secolare possanza sopra di noi, né astretti essendo alle angherie ... Noi siamo quelli che mangiamo i peccati del popolo. Noi siamo quelli che mangiamo i morti et godiamo i vivi... Pregherò Iddio che vi illumini a fuggire ogni disagio per amor suo, sì come fa la maggior parte de' moderni frati ...» I7 Se con questa composizione il Lando si mantiene sul piano di un anticlericalismo moralistico che, pur raggiungendo toni di notevole asprezza, non tocca le 17. Ibid., pp. 20r-23v. 215 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM basi teologiche dell'istituzione monastica, il Ragionamente lita M. Palavicina de' Sanseverini contra l'avaritia della Signora di alcune signore Ippo- è invece una rielaborazione di temi erasmiani che presenta già un'accentuazione radicale. L'opera di Erasmo che qui il L a n d o ha presente è 1 'Enchiridion militis christiani, quel testo chiave della religiosità cinquecentesca che, attraverso la contrapposizione di due piani di realtà e di due ordini di valori - il p i a n o della carne o della lettera e il piano dello spirito, i valori carnali e i valori spirituali - a v e v a f o r n i t o lo schema dialettico del paradosso evangelico e aveva posto le premesse di quella spiritualizzazione della vita religiosa i cui esiti a n d r a n n o oltre Lutero. Il ragionamento del L a n d o c o n t r o l'avarizia è intessuto di passi deWEnchiridion relativi al disprezzo delle ricchezze e all'amore della p o v e r t à come aspetti dell'imitazione di Cristo 1 8 ; ma questa silloge di citazioni erasmiane viene organata in m o d o da p u n t a r e verso una condanna della ricchezza e del potere come intrinsecamente malvagi e illeciti a un cristiano: «Certamente mentre il Salvadore visse f r a noi, di h u m a n a spoglia vestito, sempre la povertà amò et sempre le ricchezze spregiò, anzi come cosa vile et abhominevole le puose sotto la fede di G i u d a Iscariota, h u o m o di scelerata et corrotta vita. M a che il Signor nostro la p o v e r t à di cuor amasse, chiaro esser vi puote, poscia che non volle per apostoli né prencipi né duchi né conti né marchesi, m a sol alcuni poverelli scalci, gli quali col pescare reggevano parcamente la lor vita ... O infelici noi, poi che il p a n e qual noi tegniamo rinchiuso egli è il pane degli poveri affamati, et quelle c o t a n t e vesti, quai tegniamo serrate nella guardarobba, sono le vesti di cui si f r a u d a n o gli più bisognevoli, et così parimenti gli denari, che si tengono sotto terra celati et nascosti, sono il riscotimento de' poveri incarcerati.» 1 9 Nel Ragionamento del S. patriarca tutto quello che se gli appartiene Grimano per ammonire un episcopo di al patriarca di Aquileia G i o v a n n i Grimani 2 0 viene attribuita una serie di prescrizioni negative che rientrano nella linea di quell'anticlericalismo moralizzante, di cui abbiamo già i n c o n t r a t o un documento: il vescovo non deve tiranneggiare il basso clero v u o t a n d o le borse i granai le cantine dei poveri preti, non deve darsi all'ozio né stare con lo sparviere in 18. Queste citazioni erasmiane provengono specialmente dal cap. X àeW'Enchiridion: «Adversas irritamenta avaritiae.» Cfr. Opera omnia, LB V, coli. 59-62. Darò una più precisa dimostrazione e valutazione del rapporto che lega il Lando a Erasmo in un articolo dal titolo «Un capitolo della fortuna di Erasmo in Italia: Ortensio Lando», che verrà pubblicato nella Sdiweizerisdie Zeitschifl für Geschichte. 19. Ragionamenti, pp. 24r-26r. 20. Sul Grimani, patriarca di Aquileia (1545-50), cfr. Frederic C. Church, I riformatori italiani (Milano 1967), vol. I, pp. 293-94, 324 nota 31. 216 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM pugno, né deve andar lusingando i principi, adulando le signore, uccellando grassi vescovati, opulente badie e ricche prepositure. I precetti negativi hanno il loro complemento in una serie di precetti positivi, i quali culminano nell'affermazione che compito del vescovo è in primo luogo la predicazione della parola di Dio e poi l'ammaestramento dei fedeli nella dottrina luterana della giustificazione per la fede: «Per piantar questo Vangelo nel cuore de' fedeli, bisogneravvi primieramente insegnar la forza et il vero uso che havere si deve della fede, la quale si è un mero dono d'Iddio datoci per mortificar la carne et l'opere carnali, datoci per giustificarci 21 et per vestirci dell'altrui giustitia, cioè di quella di Giesù Christo. Questa [fede] è quella che fa pullular le buone opere: né altro sono le buone opere che segni evidenti della vera et vivace fede.» 22 Accanto ai precetti negativi e a quelli positivi, il ragionamento allinea una serie di osservazioni sfumate e condizionate: il vescovo deve sì insegnare l'ubbidienza alle autorità temporali, ma a condizione che queste non comandino cosa che ripugni a Dio; il vescovo non deve rimuovere né mutare né rinnovare nel suo vescovato nessuna delle cerimonie tradizionali, a meno che esse non siano empie e contrarie alla gloria d'Iddio; il vescovo - in quanto predica il Vangelo ha diritto di vivere del Vangelo e di ricevere onore e riverenza, ma rendite onori e riverenza non fanno che aggravare la sua responsabilità nei confronti del gregge che gli è stato affidato e del quale dovrà render conto 23 . E' un modo di argomentare ambiguo, non compromettente, suscettibile di diverse interpretazioni, atto a insinuar dubbi, ad alimentare ansie, a pungolare coscienze inquiete. L'allocuzione più rivelatrice dell'intera raccolta porta il titolo ingannevole di Ragionamento del S. Nicolò Madruccio per essortare mastro Agostino Terzo theologo facondo a sgridar a' peccatori et senza alcun rispetto ingiuriarli con l'essempio tolto dalle sacre lettere2*. In realtà l'esortazione a un tipo di predica21. Emendamento mio: la stampa legge «gistificarci.» 22. Ragionamenti, p. 47v. 23. Ibid., pp. 47v-48r. 24. Nicolò Madruzzo signore di Nano era fratello e collaboratore del cardinale Cristoforo Madruzzo, uno dei principali sostenitori del Lando. Agostino Terzo era un predicatore di successo, minorità; cfr. Giovanni Giacinto Sbaraglia: Supplementum et castigano ad scrip tores trium ordinum S. Francisci (Roma 1806), pp. 104, 464. Una lettera di Agostino Terzo al cardinale Madruzzo si trova nella corrispondenza tridentina madruzziana, Archivio di stato di Trento, anno 1558, c. 63. In questa lettera il predicatore si firma «frate Agostino Terzo minore conventuale ministro della provincia di Milano». L'esposizione del ragionamento che segue nel testo è divisa in periodi, contrassegnati con numeri dall'I al 10, per facilitare il confronto con le Pandectae Veteris et Novi Testamenti di Otto Brunfels proposto nella nota 30. Cfr. Ragionamenti, pp. 49r-51r. 217 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM zione veemente e privo di riguardi rappresenta soltanto un momento di quella specie di fenomenologia della predicazione evangelica in terra d'empietà, della quale il ragionamento vuol dare un rapido sommario. L'idea germinativa dell'intero discorso è un tipo di predicatore il quale considera se stesso come «trombetto del Signore» 25 : pieno di carità intrepida, questo predicatore, per guadagnare anime a Cristo, userà (1) un linguaggio appassionato e intransigente, non risparmiando ai suoi ascoltatori neanche gli insulti. Egli seguirà l'esempio di Cristo, che chiama gli ebrei ipocriti, farisei, lupi, sepolcri imbiancati e razza di serpenti; seguirà l'esempio di Paolo, che chiama i nemici del Vangelo cani, mali operatori, falsi apostoli e chiama i Galati insensati. Una predicazione del genere susciterà al predicatore schiere di nemici e metterà la sua vita in perpetuo pericolo, ma egli si arroccherà e si terrà saldo nella sua fiducia in Dio, che (2) ha minacciato con la sua ira coloro che si dimostrano renitenti ad accogliere e a rispettare la sua parola: «chiunque offende voi, offende la pupilla degli occhi miei» si legge nella Scrittura, e «non te hanno respinto, ma me». Talvolta la fede del predicatore può essere messa a dura prova, quando egli vede sorgere contrasti fra i pii, oppure quando vede prosperare e trionfare gli empi e i persecutori della Parola, meritevoli di cadere sotto la folgore divina. Nell'un caso e nell'altro però la Scrittura gli offrirà conforto e stimolo alla perseveranza. A proposito dei dissidi fra gli eletti la Scrittura insegna (3) che dissidi del genere ve ne sono stati sempre, anche fra gli apostoli, ora per la supremazia, ora per la questione del commercio con i gentili. A proposito dei trionfi degli empi la Scrittura insegna (4) che né le promesse né le minacce divine si realizzano immediatamente: Dio stesso ne differisce l'attuazione per mettere alla prova i suoi eletti, come dimostrano l'esempio di Abramo e quello di Israele provato per quarantanni nel deserto prima di arrivare alla terra promessa. In attesa che l'ira di Dio faccia giustizia dei suoi nemici e persecutori, il predicatore potrà (5) pregare loro ogni ria ventura e desiderare loro qualunque male che avvenir possa, imitando i giusti dell'Antico Testamento, che invocarono «giudicali Signore e fagli cadere da' suoi consigli», «dà loro secondo le opere che fanno et secondo la nequitia delle lor pessime invention!», «il coltello tuo penetri nelle lor interiora». 25. Per l'espressione «tromba» o «trombetto» del Signore cfr. Vita del beato Ermodoro alessandrino da Theodoro Cipriano scritta et nella nostra volgar lingua tradotta, nella quale scorgesi un vero essempio et una viva imagine dell'huomo christiano. In Vinegia al segno del Pozzo MDL, p. 12v. C f r . anche Dialogo di M. Hortensio Lando nel quale si ragiona della consolatione et utilità che si gusta leggendo la Sacra Scrittura. Trattasi etiandio dell'ordine che tener si dee nel leggerle et mostrasi essere le sacre lettere di vera eloquenza et di varia dottrina alle pagane lettere superiori. In Veneria al segno del Pozzo M. D. LII, p. lOv. 218 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM Quando il predicatore si avvede che la sua opera è vana e senza frutto, gli sarà lecito (6) andarsene, scuotendo la polvere dai suoi calzari, e sottrarsi al consorzio degli empi (cioè, fuor di parafrasi, fuggire), cosi come fece Giacobbe quando fuggì Esaù e come più volte fecero Cristo e Paolo. Quando invece il predicatore si avvede che il suo lavoro di seminagione del Verbo non è senza frutto, ma incontra un ostacolo nella natura fiera e impaziente di rimproveri degli ascoltatori, allora (7) impartirà accortamente i suoi ammonimenti sotto forma di parabole, cosi come fece Natan quando riprese David con la parabola delle pecore. Dunque (8) lo zelo dell'onor di Dio che anima il predicatore non deve essere eccessivo: egli deve astenersi dall'errore in cui incorsero Giona, Giosuè e gli apostoli Pietro e Giovanni, quando pregarono scendesse il fuoco dal cielo per ardere i samaritani. L'esempio di Paolo (9), il quale «alli giudei si facea giudeo, si purificava con quelli che votati si erano, circoncise Timoteo et a' suoi discepoli commandò si astenessero dal mangiare se scandalo n'usciva» 26 , deve fornire il modello di comportamento verso i fratelli più deboli, deve insegnare ad accomodarsi agli infermi nella fede per guadagnarli a Cristo. La teoria dell'accomodamento agli infermi, che al limite poteva significare acquiescenza alle cerimonie papistiche, è qui riassunta nel giro di poche righe tramite il richiamo agli esempi paolini e tramite la citazione del versetto «omnia omnibus factus sum», che era diventato la parola d'ordine della simulazione religiosa 27 . Nella chiusa del ragionamento tale teoria appare strettamente legata a quella della tolleranza. Infatti l'obbligo del predicatore di evitare lo zelo eccessivo e di accomodarsi agli infermi viene motivato con la considerazione (10) che in ogni comunità vi sono vergini sciocche e vergini prudenti, pesci buoni e pesci tristi, vi è grano e vi è zizzania. Questi richiami evangelici sono addotti, nell'opera che vedremo essere la fonte del Lando, per illustrare il principio che gli empi non devono essere abbandonati a se stessi, che «bisogna continuare ad abitare fra i malvagi» 28 . Dal principio della convivenza con gli empi al principio della tolleranza non vi è che un passo, come risulta chiaro dal richiamo alla parabola del grano e della zizzania, che della teoria della tolleranza è la parola d'ordine 29 . Se una esposizione sommaria del ragionamento di Nicolò Madruccio basta a 26. Ragionamenti, pp. 50v-51r. 27. Per l'esegesi di questo versetto in senso nicodemita cfr. Ginzburg, pp. 71-8. 28. Otto Brunfels: Pandectarum Veteris et Novi Testamenti libri XII, culati, aucti et restituii denuo, 1528, Argentorati apud Ioannem Schottum, sotto nota 30. 29. ibid., p. 50v. Per l'utilizzazione della parabola del grano e della Nicodemismo, revisi, emap. 157v. Cfr. zizzania nei 219 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM provare la familiarità di Ortensio Lando con i termini del discorso nicodemitico, l'analisi più approfondita del testo ne rivela la diretta dipendenza dalle dectae Veteris et Novi Testamenti di Brunfels. Il confronto con le Pan- Pandectae>c dimostra che il Lando ha composto il suo ragionamento in due tempi: prima ha selezionato alcune delle rubriche brunfelsiane e ne ha estratto alcuni degli esempi o citazioni che le illustrano, poi ha ricucito insieme con un fragile filo circoli degli anabattisti veneti cfr. la lettera di Francesco della Sega ai patrizi veneti, Stella, II, pp. 276-78. 30. Per dimostrare la dipendenza del Ragionamento di Nicolò Madruccio dalle Pandectae di Brunfels darò qui un elenco di citazioni delle Pandectae (utilizzo l'edizione strasburghese del 1528). Le citazioni sono disposte in ordine corrispondente all'esposizione del ragionamento fatta sopra nel testo. Le citazioni in corsivo corrispondono ai titoli delle rubriche di Brunfels, le citazioni in tondo corrispondono agli esempi o citazioni raccolti sotto le rubriche. Non ho segnalato tutte le dipendenze, ma solo quelle più significative. (1) »Interdum acrius obiurgare licet (pp. 143r-144r). Christus phariseos vocat caecos, stultos, hypocritas. Mat. 23. Paulus Galatas vocavit insensatos. Gal. 3. [Idem] pseudoapostolos [vocat] canes, malos operarios. Phil. 3.» (2) 'Qui ledit unum fidelem non ledit eum, sed Deum (p. 155r). Non te abiecerunt sed me, dicit Dominus. 1 Reg. 8. Qui tangit vos tangit pupillam oculi mei. Zach. 2.» (3) *Etiam pii interdum invicem dissentiunt (p. 194r). Facta est contentio inter discípulos quis eorum esset maior. Lucae 12. Disceptabant adversum Petrum apostoli, quod introisset ad viros praeputium habentes. Acto. 11. De circumcisione quoque dissensio inter discípulos orta, dissentiunt et Paulus et Barnaba. Acto. 15.» (4) «Fidelibus longanimitate imprimis est opus, nam solet interdum differre promissiones Deus (p. 191r). Abrahae non statim exhibitae sunt promissiones, sed per multas quoque tribulationes, exilium et famem fuit explorants. Vide in Genesi. Israeli Dominus non statim praestitit terram promissionis, sed probavic prius in Aegypto et circumduxit per 40 annos in deserto.» (5) «Impiis possumus zelo Dei imprecari malum (p. 153ν). ludica illos, Deus, décidant a cogitationibus suis. Ps. 5. Da illis secundum opera eorum et secundum nequitiam adinventionum ipsorum. Ps. 27. Gladius eorum intret in corda eorum. Ps. 36.» (6) *Etiam sancii aliquando in persecutione fugerunt (pp. 154r-v). Iacob fugit a facie Esau fratris sui. Gen. 27. Et Christus saepissime aufugit in Aegyptum et alibi saepissime. Mat. 2. Paulus in sporta demissus fugit. 2 Cor. 11.» (7) «Correpturi aliquos, id in parabolis possumus facere, quo minus offendat sermo (p. 196r). Sic Nathan obiurgavit David, assumpta parabola de ovibus, quam postea torsit in David. 2 Re. 12.» (8) «De zelo nimis fervido et intemperato (pp. 194v195r). Zelum habuerunt, sed non secundum scientiam: Iosue, cui dolebat quod duo viri alii prophetabant in castris, Num. 11 ; lonas, qui doluit quod Dominus parceret civitati Ninive; Petrus et Ioannes, postulantes ignem de coelo mitti ut consummeret Samari· tanos. Lucae 9.» (9) lAcquiescendum infirmis (p. lOlv). Interdum infirmis donatum esse aliquid legimus, et in carne se circumcidisse: quod non est impium, si nulla statuatur necessitas. Sic Paulus abstinere iubet ab esca scandalisante infirmum. Rom. 14. Fit Iudaeis iudaeus et omnibus omnia. 1 Cor. 10. Sic item circumcidit Timotheum. Acto. 16. Purificat se cum habentibus votum. Acto. 21.» (10) »Inter malos nobis habitandum (p. 157v). Semper erunt virgines fatuae, pisces mali, zizania. Mat. 25.» 220 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM discorsivo i passi così scelti. Per quanto frettoloso e non privo di sviste, il lavoro del Lando non può essere considerato puramente compilativo: egli si muove con agilità nella selva dei capitoli, delle rubriche e delle esemplificazioni scritturali messe insieme e ordinate da Brunfels, accostando testi che nelle Pandectae risultano lontani, collegandone altri che nelle Pandectae risultano indipendenti, con sicurezza e consapevolezza dello scopo. L'effetto di concentrazione che egli cosi raggiunge è dovuto al fatto che temi spunti e suggerimenti, disseminati da Brunfels qua e là nei diversi libri della sua opera, appaiono qui raccolti in poche pagine. Nei confronti dell'erudizione biblica di Brunfels il Lando ha un atteggiamento di grande libertà e quasi di impazienza: nel mazzo delle citazioni e degli esempi raccolti sotto ogni rubrica, egli sceglie non più di uno o due testi atti a illustrare la sua tesi con particolare vigore. Qualche volta la sua disinvoltura arriva al punto di alterare il passo biblico quando esso non gli appare abbastanza energico: per esempio, fra le maledizioni che i pii possono legittimamente scagliare in cuor loro contro gli empi, Brunfels adduce il versetto «gladius eorum intret in corda eorum» 31 , che nella rielaborazione del Lando è diventato un ben altrimenti feroce «il coltello tuo [o Signore] penetri nelle lor interiora». Altre opere pubblicate intorno al 1550 contengono indizi della familiarità del nostro milanese con le pratiche nicodemitiche. Se ne addurrà un solo esempio. Nelle Consolatorie32 - una raccolta di allocuzioni assai vicina per concezione e organizzazione ai Ragionamenti - compare la Consolatoria ad uno che per troppo timore s'era indegnamente adoperato. Il grosso dell'argomentazione è costituito da una serie di esempi tratti dall'antichità classica e volti a dimostrare quanto umana sia la passione della paura nelle sue varie forme di timidezza, trepidazione, fuga di fronte al dolore e alla morte. Ma questo tipo di argomentazione per esempi classici, comunissima nel Lando, s'impiante su di un esordio che non riguarda la paura in generale ma la debolezza davanti alla persecuzione religiosa: potrebbe essere l'esordio di un'apostrofe consolatoria al protagonista di una vicenda analoga a quella di Francesco Spiera, il famoso eterodosso che aveva abiurato e poi era morto nella disperata convinzione di aver rinnegato Christo 33 : «Se il timore della morte, dolce il mio fratello, vi ha fatto fare quel che non vi si conveniva di fare, non per questo vi dovete voi al tutto disperare, imperoché 31. Pandectae, p. 153v. 32. Consolatorie di diversi autori novamente raccolte, et da chi le raccolse devotamente consecrate al S. Picco conte della Mirandola et cav. di S. Midiele. In Vinegia al segno del Pozzo MDL. 33. Delio Cantimori: Eretici italiani del Cinquecento. Ricerche storiche (Firenze 1939), pp. 57-65. 221 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM egli condusse già Athanasio vescovo di Alessandria ch'era sì buon christiano per timore della setta arriana a star sei anni nel profondo d'una cisterna, egli condusse papa Marcellino regnando Diocletiano a sacrificare a gli idoli ,..»34 Anche nella Breve prattica di medicina per sanare le passioni dell'animo35 un'altra raccolta pubblicata anonima di sermoni atti a distogliere da vari vizi il Lando inserisce una Ricetta per sanare un timido et pauroso di qual si voglia minima cosa, dove gli esempi addotti nella consolatoria sopra menzionata vengono integrati e riproposti in senso almeno apparentemente opposto, nell'ambito di una esortazione all'animosità 36 . L'accostamento alle posizioni religiose di Ortensio Lando attraverso l'esposizione di qualcuno dei suoi Ragionamenti familiari ci permette dunque di cogliere alcuni temi del suo discorso teologico. Fra questi i principali sembrano essere tre: un anticlericalismo aspro che trova il proprio centro positivo nella dottrina luterana della giustificazione per la sola fede, una condanna settaria della ricchezza basata sul principio dell'imitazione di Cristo e alimentata da temi erasmiani, una fenomenologia della predicazione evangelica descritta attraverso citazioni ed esempi provenienti dalle Pandectae di Brunfels. La rielaborazione che il Lando fa di quest'ultimo tema mostra che il momento propriamente nicodemitico - cioè il momento del ripiegamento nella dissimulazione, nella menzogna e negli altri espedienti della prudenza secolare - non ha nell'economia generale del discorso un peso preponderante, ma appare controbilanciato e integrato dal momento opposto-cioè dal momento dello slancio espansivo ed eroico, dall'esortazione al proselitismo appassionato e intrepido. Analogamente, di fronte a pratiche nicodemitiche, come la fuga davanti alla persecuzione e l'abiura, il Lando sembra oscillare fra due atteggiamenti divergenti, ora scusandole e giustificandole, ora esortando a evitarle. Forse i due momenti e i due atteggiamenti, che a un pensiero astratto appaiono contraddittori, erano invece interdipendenti e complementari, facce diverse di una stessa esperienza, nella tumultuosa e precaria esistenza dei predicatori «evangelici»? 34. Consolatorie, p. 48v. 35. Una breve prattica di medicina per sanare le passioni dell'animo. Al Magnifico S. David Otho. Appresso Gratioso Perchacino (nell'esemplare da me consultato, presso la Biblioteca Estense di Modena, il frontespizio è completato in calce da queste indicazioni manoscritte <in Padova 1553»). 36. Ibid., 40v—41r. 222 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM I I I . L A <VITA DEL BEATO ERMODORO> ( 1 5 5 0 ) Una più precisa testimonianza sulla posizione religiosa di Ortensio Lando attorno al 1550 si trova nella Vita del beato Ermodoro*7 .Questa singolare operetta, camuffata da lavoro di traduzione e perciò trascurata dagli studiosi del Lando 38 , è in realtà un componimento originale che nasconde, dietro il programma dichiarato di illustrare un modello di vita cristiana in linea con il monacesimo, il proposito di diffondere idee e dottrine eterodosse di tipo radicale. La Vita — divisa in 51 brevi, in parte brevissimi, c a p i t i — è strutturata secondo lo schema di una agiografia che vorrebbe risalire a un'età vagamente alessandrina, ma il quadro storico-geografico resta molto approssimativo. Teatro della vicenda è, di volta in volta, un'Alessandria sede d'impero e insanguinata dalle persecuzioni degli ariani contro gli ortodossi, un Egitto in cui i maomettani occupano le chiese cristiane, un Mediterraneo percorso da pirati saraceni. Il protagonista, Ermodoro, percorre l'arco della biografia di un santo monaco. Figlio unico di due parenti insigni per nobiltà di sangue e per pietà cristiana, insigne egli stesso per bellezza e ingegno, Ermodoro viene avviato agli studi letterari e alle scienze sotto la guida dei migliori maestri e fa in essi singolare progresso. Alla morte dei genitori decide di dedicarsi interamente a Cristo: studia l'ebreo, fa un viaggio in Terra Santa e poi, ritornato ad Alessandria, si consacra interamente alle opere di carità, all'assistenza dei carcerati, all'ospitalità dei pellegrini, alla redenzione delle donne traviate. Vibrante di spirito proselitico, Ermodoro respinge i consigli degli amici che lo esortano a prender moglie, anzi per evitare che la sua bellezza susciti intorno a lui tempeste e passioni si ritira in un possesso di campagna con quattro amici di aspirazioni analoghe alle sue. La fama di questa santa comunità si sparge in tutto l'Egitto e attira proseliti influenti. Gli ariani, temendo per la loro preminenza, dopo aver tentato inutilmente di eliminare Ermodoro con la violenza, lo calunniano presso l'imperatrice reggente. Ermodoro viene imprigionato e gettato in carcere, ma un angoscioso sogno ricorrente spinge l'imperatrice a incontrarsi con lui, a riprendere in esame il suo caso e a liberarlo. Ritornato alla comunità fra la gioia dei compagni, Ermodoro supera con esemplare pazienza e fiducia in Dio una grave malattia causata dal carcere e riprende la propria vita tutta dedicata alla carità attiva, alla lotta contro stravaganti eresie e alla composizione di libri per la confutazione degli ariani. Per combattere questi ultimi intraprende anche un viaggio a Rodi, in compagnia del suo confratello Teodoro, il narratore della vi- 37. Cfr. sopra, nota 25. 38. Grendler, p. 226. 223 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM cenda. Durante il viaggio i due vengono fatti prigionieri dai mori e condotti in una pietrosa isoletta, dove vengono adibiti al lavoro, sotto la direzione di un sovrintendente bestiale. Mentre anche in questa prova Ermodoro si mantiene paziente, il suo compagno Teodoro cade nella disperazione e un giorno, esasperato dalle percosse subite, uccide il sovrintendente, riuscendo a farne passare la morte per accidentale. Solo Ermodoro gli legge nell'animo e si dimostra tanto addolorato da indurre Teodoro al ripensamento e poi al pentimento, il quale gli concilia il perdono dell'amico. Nel frattempo Ermodoro, dopo aver imparato la lingua moresca, intraprende un'opera di evangelizzazione dei suoi compagni di schiavitù e dei suoi stessi padroni, con tanto successo che in un breve giro di tempo tutta l'isola si converte e diviene sede di una florida chiesa. Dopo aver organizzato la nuova chiesa attraverso l'istituzione di ministri e dopo aver tradotto in lingua moresca il Nuovo Testamento, Ermodoro ritorna in Egitto. Qui viene nuovamente confrontato con difficoltà esterne e interne alla comunità. L'Egitto viene afflitto da una spaventosa carestia e da una pestilenza che non risparmia nemmeno il ritiro dei santi uomini, nuove persecuzioni incalzano da parte degli ebrei, uno dei compagni di Ermodoro lascia la comunità per andare a vivere con una donna. Da nessuna di queste prove la carità e lo slancio di Ermodoro si lasciano raffreddare: egli accoglie le avversità con lieta fronte e ne esce vincitore con l'aiuto di Dio. L'ultima opera della sua vita è l'erezione di un ospedale per pellegrini, poveri e infermi. Portato a compimento l'ospedale, Ermodoro va incontro alla morte con fiducioso abbandono. La biografia è corredata da compendi delle orazioni di Ermodoro, dai suoi detti memorabili e da racconti di miracoli di varia natura, compresa la resurrezione di un morto. Dentro la fragile struttura di questo romanzo monastico il Lando ha calato un contenuto spiritualistico, corrosivo o eversivo nei confronti di dogmi e cerimonie cattoliche, e chiaramente orientato in senso anabattista. Tale orientamento si manifesta prima di tutto sul piano ecclesiologico. La chiesa dei veri credenti è descritta come una comunità di perseguitati di oppressi di calunniati di fuggiaschi. Gli eletti subiscono attacchi e perdite da tutte le parti: gli ebrei convertiti ricadono nel giudaismo, i saraceni trasformano le chiese in moschee, i perversi ariani - forti dell'appoggio prestato loro dal potere imperiale - anelano a tingersi le mani dell'innocente sangue dei «cattolici». Gli eletti vivono in uno stato di persecuzione permanente: perciò fra le principali opere di carità viene annoverato il dovere di visitare i carcerati per causa di religione, il dovere di consolare in Gesù Cristo i «pusillanimi» e soprattutto il dovere di «sottilmente investigare dove impiatato sia qualche poverello per la santa verità perseguitato» e sovvenirlo nei suoi bisogni. Quest'ultimo compito è così urgente che il protagonista delega ad esso quattro compagni ed in esso spende la maggior parte 224 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM delle sue facoltà, conformandosi all'esempio del profeta Abdia, «il quale giva per le spilonche pascendo i profeti nascosti dall'ira di Iezebele»39 (i ministri delle comunità «cattoliche» sono particolarmente esposti al rischio di essere arrestati e imprigionati: alle comunità così colpite la Vita di Ermodoro offre il modello di una bella preghiera per implorare da Dio la liberazione del proprio pastore 40 ). Lo stato di persecuzione permanente comporta semplificazioni nel culto e modifiche nei riti, come il ripristino della cena eucaristica nella forma originaria: poiché incursioni e razzie hanno spogliato le chiese di tutti i loro apparati, di calici e tabernacoli, di porpore e di sete, i fedeli sono costretti a «portar alli infermi il sacro pane in un canestro de vimini contesto et porger lor il salutevole beveraggio in un bichier di vetro», ritornando cosi, insinua l'autore, al «costume più antico» 41 . Questa povera chiesa di perseguitati sperimenta in modo diretto e costante l'assistenza divina: il Signore suscita fitte nebbie per sottrarre i fuggiaschi alla vista degli inseguitori, manda sogni minacciosi ai principi empi ed esercita contro i nemici della sua chiesa una vendetta spietata, che le cristiane preghiere dei santi per i loro persecutori non valgono a mitigare 42 . La «forma di vita evangelica» praticata nella comunità di Ermodoro viene illustrata in un discorso celebrativo, il quale ha il suo sotterraneo contrappunto in una critica corrosiva dell'istituto monastico. Ermodoro abbandona la città non per amore della solitudine - la quale anzi, si suggerisce43, può condurre a pazzia - ma per evitare l'occasione di peccare e di indurre altri in peccato; egli respinge il matrimonio non per una condanna di principio della concupiscenza — anzi il testo contiene un'apologia del matrimonio come istituito da Dio 44 - ma per ragioni di opportunità, per potersi dedicare interamente alla predicazione del Vangelo. La comunità di Saba è un'associazione libera e volontaria, non vincolata da nessun voto o impegno: quando uno dei fratelli se ne va a convivere con una donna, viene indotto a rientrare nella comunità non con l'autorità ma con la persuasione. Nessun segno esteriore distingue i compagni di Ermodoro dagli altri credenti: essi non distribuiscono le loro facoltà ai poveri «come molti fanno per mendicar poi l'altrui», non mutano abito ma si vestono ognuno «come li piace, non pomposo né molto abietto», invece di cambiar nome s'impegnano a cambiar vita «contentandosi del nome nel battesimo posto» (e contentandosi, suggerisce implicitamente il testo, di essere stati battezzati una volta in 39. 40. 41. 42. 43. 44. Vita, Ibid., Ibid., Ibid., Ibid., Vita, p. 7v. p. 9v. p. 19v. pp. 8v, lOr, 1 0 v - l l r . p. 32r. Cfr. anche Ragionamenti, pp. 6r-v. pp. 31r-v. 225 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM Cristo, senza pretendere che l'ingresso in monastero sia un secondo battesimo). A Saba non vi sono prescrizioni rigorose riguardo al vitto: i membri della comunità s'impongono un regime di sobrietà alieno da eccessive restrizioni, «senza superstitione et senza riporre in cotal astinentia giustifìcatione alcuna delle lor colpe». Le preghiere sia collettive sia individuali sono brevi «ma di carità et di humiltà ripiene, né meraviglia è se le nugole trapassano et alle orecchie dell'altissimo Iddio arrivano» («non έ lo strepito delle labbra ma l'ardente desiderio dell'animo che come una voce intensissima ferisce le orecchie di Dio» aveva detto Erasmo 45 ). A parte brevi parentesi quotidiane di studio, di preghiera e di lettura della Bibbia, la vita di Ermodoro e dei suoi fratelli è dedicata al lavoro manuale: vi sono nella comunità cordai, costruttori di barche, pellai, calzolai, cuoiai, lucernai, contadini; Ermodoro, che ha una costituzione fragile, si dedica alla composizione di oli medicinali e di acque curative. Il guadagno realizzato viene distribuito ai poveri e dato agli ospedali 44 . Il monacesimo viene così svuotato dall'interno e ridotto a un cristianesimo libero da vincoli di culti e di cerimonie, che si riassume nella pratica attiva della carità: occorre mostrare con le opere di essere cristiano e non professare alcuna cosa con la lingua senza professarla anche con le azioni 47 . La stessa concezione pratica e caritativa della vita religiosa s'incontra nei gruppi degli anabattisti veneti, i quali proclamano che «da frutti et fatti li christiani si hano da conoscer, et non da parole» 48 . Nelle loro testimonianze tale concezione appare come pars construens di un discorso che ha il suo complemento, la sua pars destruens, in una condanna delle superbie e ambizioni, simonie e avarizia, lascivia e lussuria, gola e banchetti che contaminano la chiesa romana: in essa «li commandamenti ... tolti da Christo ... non sono osservati neancho da quelli che li commandano» 49 . Queste implicazioni eversive della concezione attiva del cristianesimo restano quasi sempre, nella Vita di Ermodoro, sottaciute e dissimulate; ma qualche volta emergono in un accenno fugace: «i falsi predicatori non adempiono con l'opre et con gli essempi quel che con la voce ne insegnano» 50 . Come la descrizione della comunità di Saba permette al Lando di illustrare il suo ideale di vita cristiana dal punto di vista pratico e disciplinare, così i discorsi 45. Enchiridion di Erasmo Rotherodamo dalla lingua latina nella volgare tradotto per M. Emilia di Emilii bresciano con una sua canzone di penitenza in fine, In Venetia M D X X X I X , pp. 18r-v. Cfr. Opera omnia, LB V, col. 6. 46. Vita, cap. VII, pp. 7r-8v. 47. Ibid., pp. 24r, 25v, 35r. Cfr. anche Dialogo, p. 1 l v (i predicatori, mossi dall'esempio di Gesù, devono adempiere con le opere quel che ad altri insegnano con le parole). 48. Stella, II, p. 184. 49. Ibid., pp. 280, 297. 50. Vita, p. 27r. 226 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM attribuiti a Ermodoro e i suoi detti memorabili gli danno la possibilità di svolgere un discorso teologico abbastanza articolato, pieno di spunti e di allusioni non tutti decifrabili. In questo discorso ritornano, ampliati, i tre temi che abbiamo individuato nei Ragionamenti familiari: il tema della giustificazione per la sola fede e le sue conseguenze, il tema dell'imitazione di Cristo nella sofferenza povertà e umiltà anche intellettuale, il tema della predicazione del Vangelo in tutta la gamma dei suoi momenti. La dottrina della giustificazione per la sola fede sottende tutta l'operetta, pur affiorando soltanto per allusioni. Fra gli scritti attribuiti a Ermodoro si trovano in primo luogo l'interpretazione della lettera paolina ai Romani - il «metodo del christianesimo» - e l'esposizione della lettera ai Galati - la «scure et falce della sinagoga hebrea»51; la preghiera da lui formulata per la salvezza dei penitenti sottolinea la depravazione della natura umana, l'impotenza della creatura a conseguire la salvezza, il principio dell'abbandono passivo all'azione della grazia divina: «Sanane Signore et saremo sanati, facci salvi et salvi doventaremo ..., rammentati che in peccato conceputi siamo et a te sta il lavarci, a te tocca il renderci puri et tuo ufficio è il santificarci»52. Conformemente a tali premesse, Ermodoro predica «la remissione de' peccati fatta per lo precioso sangue di Giesù Christo»; sostiene che la fede è il fondamento di tutte le virtù, che la somma della religione è di credere in Gesù Cristo, che l'altrui fede non ci libera e che è da biasimare la stolta confidenza che si suole avere nelle «umane creature» (cioè, fuor di parafrasi, nei santi). L'astinenza che i cristiani s'impongono deve essere osservata senza riporvi giustificazione alcuna delle colpe, perché tanti sono i nostri meriti quanta è la misericordia di Dio verso di noi53. Mentre la dottrina della giustificazione per la fede viene - più che enunciata suggerita attraverso un sistema di cenni che presuppone lettori già indottrinati, la dottrina dell'imitazione di Cristo in quanto accettazione della croce ed esaltazione dell'umiltà, della povertà, della semplicità intellettuale viene formulata in modo spiegato. Come la vera chiesa è una comunità di perseguitati e di oppressi, così i singoli eletti vengono sottomessi a prove tanto più aspre quanto più intimo ¿ il loro rapporto con Dio: «Iddio tenta sovente volte i suoi per farli più isperimentati». L'atteggiamento dei santi di fronte a tali prove è di gratitudine verso Iddio, che si è ricordato di loro, e di volonteroso assoggettamento al dolore, inteso come suggello della loro elezione: «non si possono né si debbono fuggir le tribulationi, imperoché quelle sono che fanno testimonianza della fede nostra et ne raffinano a quella foggia a punto che veggiamo nella fornace 51. Ibid., p. 14v. 52. Ibid., pp. 23r-v. 53. Ibid., pp. 12ν, 25v-26r, 8r, 21r. 227 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM raffinarsi l'oro» 54 . Memore che la via del cielo passa per il calvario, l'eletto persegue nella sofferenza un ideale di identificazione con Cristo, che al limite tende a trovare il proprio coronamento nella morte. Corollario di questa identificazione della vita cristiana con la croce è l'esiguità del numero degli eletti: perché «molti seguitano Giesù fin' al romper del pane ma non al ber della passione» e «Iddio ha molti bramosi del suo regno et pochi portatori della sua croce» 55 . Nella dottrina dell'imitazione di Cristo rientra l'esaltazione della povertà e dell'abiezione: «sprezza sempre il Signore la mondana pompa et sopra l'asino sedendo entrò in Gierusalemme. Povero fuggì in Egitto et i poveri per discepoli et per compagni si elesse, predicò sempre la povertà et nacque di poverella madre; ... pertanto non doversi thesaurizare in terra, ma in cielo, dove i ladri penetrar non possono.»56 Con l'occhio fisso a questo modello il Lando si scaglia contro gli avari, contro i principi tronfi del loro potere, contro i tiepidi che pensano che il primo prossimo è se stesso. Ermodoro elegge per sé l'umiltà e l'abnegazione, ai poveri e agli abietti dedica le sue cure, tiene in dispregio gli onori temporali, rifiuta anche la carica di patriarca di Alessandria 57 : perché è «più sicura cosa lo star in soggettione che in prelatura», «lo spirito d'Iddio non habita salvo che sopra gli humili» e «sempre avviene che chi per Christo è bisognoso delle cose temporali, abbondi di dolcezza spiritale» 58 . Parallela all'esaltazione dell'umiltà e della povertà si svolge la celebrazione della santa semplicità di cuore. Ermodoro fa miracoloso profitto negli studi umani, è perfetto nella conoscenza delle tre lingue e nelle discipline matematiche e fisiche, è dotato di eloquenza tale che può a suo piacere persuadere e dissuadere ciò che gli aggrada; ma le sue doti intellettuali sono messe in ombra dalla considerazione che non vale la pena di impegnarsi per parlare tersamente, dal momento che ognuno è abbastanza eloquente in ciò che conosce bene. Il buon cristiano persuade operando santamente non favellando politamente 59 , e persegue «la verità della cosa» anzi che l'eloquenza 60 . Conformemente a tali principi Ermodoro si mostra «non ... gonfio nel parlare, ma humile et di perfette sententie ripieno» 61 . Egli condanna la smodata curiosità, che spesso impedisce la vera intelligenza della Scrittura; ricorda il detto dell'apostolo, il quale ci proibisce di 54. Ibid., p p . 25r, 27r. 55. Ibid., p.21v. 56. Ibid., p. 2 5 v . 57. Ibid., pp. 36v-37r. 58. Ibid., p p . 20v, 2 8 v . 59. Ibid., p. 4r. 60. Ibid., p. 2 1 v . 61. Ibid., p . 3 0 v . 228 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM sapere più di quello che è necessario alla salvezza; biasima la stolta confidenza che si ripone nel lume ragionevole; insegna a evitare la dannosa filosofìa e n o n f a professione di nessuna scienza fuorché di sapere Cristo 6 2 . La condanna della curiosità per le «cose alte» della confidenza nella ragione e della filosofìa implica il rifiuto globale della speculazione teologica medievale e della d o g m a tica costruita su di essa. Anche altrove il L a n d o sottolinea con energia che il c o n t e n u t o della Scrittura è sufficiente alla salvezza sia dal p u n t o di vista dogmatico sia dal p u n t o di vista p r a t i c o e che Cristo ci ha insegnato t u t t o quello che ci è necessario 63 . T r a i dogmi che cadono sotto la falce di questo p r i n cipio vi è in p r i m o luogo quello della Trinità, a proposito del quale il L a n d o insinuerà che esso non è dimostrabile in base alla Scrittura 6 4 . La svalutazione del sapere e dell'attività intellettuale assume accenti che p u n t a n o verso u n o spiritualismo esoterico e mistico, nel quale l'illuminazione d i r e t t a dello spirito h a un ruolo predominante. L ' u o m o santo accede ai principi della fede per via di visioni rivelazioni estasi, Cristo alberga nel suo p e t t o e p a r l a p e r la sua bocca 6 5 . A l t r o v e il Lando, p a r l a n d o in p r o p r i a persona, insisterà sull'idea che le sue p a r o l e sono dettate direttamente dallo spirito e che i suoi ascoltatori non d e v o n o pensare di ascoltare un uomo 6 6 . U n ' a n a l o g a convinzione di n o n p a r l a r «da se stesso», m a di essere p o r t a v o c e di D i o per rivelazione dello spirito, si t r o v a diffusa presso gli anabattisti veneti 6 7 . I membri di quelle conventicole assumono anch'essi atteggiamenti di c o n d a n n a verso la curiosità e le sottigliezze (scolastiche e tardoscolastiche) e li esprimono in termini vicini a quelli che si i n c o n t r a n o nella Vita di Ermodoro. Francesco della Sega per esempio dichiara di «non attendere a d altro che a voler viver secondo Christo, né si cura de 62. Ibid., pp. 21v, 13v, 26r, 26v, 30v. Cfr. anche p. 20r: «non si dover cercar le cose alte né li occulti giudicii d'Iddio». 63. Cfr. Dialogo, p. 50r: «non tutte le cose che fece il S[ignore] scritte furono, ma quelle sole che furono stimate bastevoli et quanto al dogma et quanto a' costumi». Lo stesso concetto si trova espresso anche ibid., p. 11 v. Cfr. anche i landiani Quattro libri de dubbi con le solutioni a ciascun dubbio accommodate. La materia del primo è naturale, del secondo è mista (benché per lo più sia morale), del terzo è amorosa et del quarto è religiosa. In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de'Ferrari et fratelli, MDLII, p.291-92: Cristo ci ha insegnato «tutte le cose necessarie alla salute nostra». 64. Dialogo, p. 33r: «se non sarete studiosa della parola di Dio ... come saprete ch'egli sia trino et uno?» Credo di poter interpretare questo passo come un'insinuazione contro il dogma trinitario. 65. Vita, pp. 28v, 30v, 5v. 66. Dialogo, p. 20r: «mentre con esso voi favello delle cose divine, voi non udite me, ma udite lo spirito santo che favella in me». Lo stesso concetto è ribadito ibid., pp. 32v-33r. 67. Stella, II, p. 96, nota 273. 229 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM sutilità, curiosità o misterii che non fano bisogno né sono de utilità a una vita bona et Christiana»6*. Il punto focale, nel quale i vari fili conduttori della Vita di Ermodoro si incontrano, è il tema della predicazione evangelica. Nello svolgimento di tale tema il Lando ripropone motivi che abbiamo già incontrato in forma sommaria nel Ragionamento di Nicolò Madruccio e anticipa formulazioni che ritorneranno nel Dialogo della Sacra Scrittura. In effetti l'urgenza del compito di diffusione della parola divina è il sentimento che fa vibrare di tensione tutte le operette dichiaratamente religiose del Lando. In tali opere la «parola di Dio» significa in primo luogo la Scrittura, fonte di consolazione, la quale deve essere predicata con umiltà, senza speranza di retribuzione e in tutta la sua purezza, senza aggiunte né detrazioni 69 . Ma per «parola» s'intende anche il predicatore ispirato, bocca dello spirito santo 70 . Quest'ultimo è il più valido portavoce di Dio perché l'intelligenza della Scrittura non dipende dalla morta lettera ma dal magistero e dall'ispirazione dello spirito, che ammaestra internamente l'eletto 71 . Così se da un lato i problemi e i momenti della predicazione diventano i problemi e le esperienze del predicatore, questi a sua volta si riduce a una voce. Tutte le sue forze, le sue risorse e la sua vita stessa sono al servizio dell'opera di evangelizzazione: egli non risparmia fatica alcuna dove sa di poter far profitto, è disposto a ire pel fuoco, a camminare a fil di spada per scolpire Cristo nei cuori 72 . Ma il suo compito è difficile. La verità genera odio, la parola di Dio è occasione di scandalo e di sedizione: i potenti della terra, principi e città, le fanno resistenza, la ignorano, la respingono o cercano di soffocarla 73 . Il predicatore dunque si muove in un ambiente diffidente o ostile. Talvolta vede il successo e la fede fiorire intorno alla sua parola, ma quando giunge l'ora della croce 68. Ibid., p. 261. 69. Vita, pp. 26r, 36r. Anche le implicazioni negative di questa formulazione, sottaciute dal Lando, vengono in luce nelle testimonianze degli anabattisti veneti: i teologi «hano aggionto o sminuito tanto contra la parola de Dio che non i più ordinatione sua né de' suoi santi, ma del papa et della chiesa romana», Stella, II, p. 297. Cfr. anche sopra nota 63. Nel Dialogo, p. lOr, anche il Lando accenna alle implicazioni negative: «alle parole [dei santi profeti] non si deve né aggiungere né scemar cosa veruna, lì dove hora elle s'impiastrano, s'accrescono et in varii modi si contaminano». L'esposizione, che segue nel testo, del tema della predicazione evangelica è basata, oltre che sulla Vita di Ermodoro, anche sulle sezioni corrispondenti del Dialogo della Sacra Scrittura. Mi έ sembrato opportuno far confluire i due testi in un'unica esposizione per le strette affinità che li uniscono e perchè essi derivano ambedue dalla stessa fonte. 70. 71. 72. 73. Vita, Vita, Vita, Vita, pp. 12v, 30v. Dialogo, pp. lOr, 20r, 32v-33r. Cfr. sopra note 65 e 66. p. 26v. Lo stesso concetto in Dialogo, p. l l v . p. 6v. pp. 26r, 27r-v, 30v, 36r. Dialogo, pp. 9v, 10r, lOv. 230 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM intorno a lui si fa il vuoto 74 . La morte incombe sul suo orizzonte ed egli è «a tutte l'hore» pronto ad andarle incontro per la gloria del Signore 75 . La sua disponibilità alla sofferenza si alimenta con la consapevolezza che la verità è stata sempre perseguitata (mai più aspramente che in Cristo stesso)76 e con la memoria della parola evangelica: «ecco che io vi mando come pecore in mezzo ai lupi» 77 . Anche la predicazione di Paolo fu accolta da mormorii minacciosi: «che vuole questo seminator di frappe et annunciator de novi demonii?» 78 Eppure nessuno può nuocere al predicatore se Dio non vuole. I capelli del suo capo sono contati 79 . Quello stesso Dio, che può diventare tuono e saetta per i reprobi, si fa per lui prodigio e consolazione: lo colma di miracoli, lo conforta nella tribolazione, lo sorregge con multiformi manifestazioni della sua presenza 80 . Forte di questo contatto e certo della vittoria finale («veramente ... niuno può resistere alla parola d'Iddio, s'egli fusse ben più che Demostene et più che Cicerone» 81 ), il predicatore saprà essere perseverante anche quando la sua. opera non è coronata da frutti 8 2 . Ai potenti che contrastano il progresso della fede egli parlerà con rigore e fermezza, come Elia parlò col re Acab o Eliseo col re Ioram; ai principi che danno ordini contrari alla parola d'Iddio rifiuterà obbedienza 83 . Nei momenti di prova, quando gli empi trionfano e la parola sembra dispersa, il predicatore si abbandonerà, senza lottare e senza cercar di capire, alla provvidenza. Nell'impenetrabile trama dei consigli divini non è impossibile che, da un momento all'altro, gli strumenti del martirio si trasformino negli strumenti del trionfo: Dio fece si che Giuseppe venduto in Egitto fosse costituito principe nel medesimo luogo 84 . Il tema della predicazione come lotta e sofferenza è accompagnato dal tema delle pene che aspettano i nemici e i persecutori del Vangelo. La parola di Dio dovrebbe essere ascoltata con attenzione, accolta con onore e circondata di ri74. Dialogo, pp. l l v - 1 2 r : «tutti quelli che si lasciano guidare da vana persuasione a credere al Vangelo, se ne partono poi nel tempo della tentatione». 75. Dialogo, p. 8r. 76. Vita, p. 27r-v. Dialogo, p. 23v. 77. Vita, p. 27r. 78. Dialogo, p. lOv. 79. Dialogo, p. 31v. 80. Vita, p. 32r. Dialogo, pp. 2r-v, 3r-v, 9v, 56v. 81. Vita, pp. 26r-v. 82. Ibid., p. 26ν: si deve «senza alcuno intervallo di tempo predicare et manifestare anchora che non ne segua alcun buon corregimento di vita» (il «ne» è un emendamento mio: la stampa legge «ve»). C f r . anche Dubbi, p. 289. 83. Vita, p. 36r. Dialogo, pp. 9v, 17v-18r. Cfr. anche Dubbi, p. 267. 84. Vita, p. 24v. 231 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM verenza. I pagani e i loro re si piegarono davanti ad essa: invece i principi cristiani ne scherniscono i ministri, li beffano e rifiutano di udirli 85 . Ma chi disprezza il predicatore del verbo e lede un solo fedele disprezza e lede Dio 86 . La Scrittura testimonia che per il disprezzo della parola di quattro dure piaghe, cioè di coltello di fame di peste e di bestie, fu già il mondo percosso e afflitto 87 . Terribili castighi attendono le città che riluttano al verbo e uno spaventso genere di morte è riservato ai potenti che cercano di soffocare la verità: «Saul per contrastare et opporsi alla parola d'Iddio fu scacciato dal regno, Iezabele fu precipitata et da' cani mangiata, Sedechia fu relegato in Babilonia et ivi miserabilmente accecato», Datan e Abiron furono assorbiti dalla terra 88 . Guai a chi fa resistenza alle oneste riprensioni perché, come dice la Sapienza, «chi odia il rimprovero è stolto» 89 . Guai a chi non obbedisce alle salutari ammonizioni perché egli dovrà perire e morire in eterno, come dimostrano gli esempi dei sodomiti, di Oloferne, dei fratelli di Giuseppe, di Godolia 90 . La predicazione infatti precede di poco il flagello divino e spesso la parola viene inviata da Dio agli sviati come un'estrema ancora di salvezza prima di procedere alla loro punizione 91 . Gli uomini dovrebbero stare attenti a non lasciarsi sfuggire questi avvertimenti divini, perché l'ira di Dio può essere ed è stata, come insegna la Scrittura, spietata 92 . Nella Vita di Ermodoro predomina una visione eroica e apocalittica della predicazione del verbo. Per quanto il tono intransigente dia luogo anche qui talvolta a un tono più mite e conciliativo 93 , i poli fra i quali il discorso oscilla sono da un lato l'idea della morte per la gloria di Dio, dall'altro la minacciosa prospettiva delle punizioni che incombono sul mondo per il disprezzo e la persecuzione della sua parola. La collocazione di quest'operetta nella complessa geografìa della religiosità europea verso la metà del XVI secolo è subordinata all'identificazione delle fonti. Se ne possono distinguere almeno tre: Lutero, l'Enchiridion militis christiani di Erasmo, le Pandectae di Brunfels. Lutero è presente più come sostrato teologico generale (nella dottrina della 85. 86. 87. 88. 89. Dialogo, Vita, p. Vita, p. Vita, p. Vita, p. pp. 10r-v. 26v. Dialogo, p p . lOv, 31v. 26v. C f r . Pandectae, p. 58r. 26r. Gli stessi esempi in Dialogo, p. lOr. 27v. C f r . anche Dialogo, p. 12r. 90. Vita, p. 27v. 91. Dialogo, p p . 5 r - v . 92. Ibid., p p . 4 v - 5 r . 93. Vita, p . 2 7 v . 232 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM giustificazione per la fede e nei suoi corollari) che non come ispiratore di passi precisi (anche se una frase come «era divenuto per Giesù Christo servo di ogn'uno» 94 , posta a suggello delle varie opere di carità attiva del protagonista, sembra una chiara eco del trattato Della libertà del cristiano9*). Più precisa è la dipendenza da Erasmo. Quella critica indiretta del mcmacesimo tradizionale, che è - c o m e abbiamo già visto-la descrizione della comunità di Saba, dipende dall'Enchiridion sia nell'ispirazione generale sia in alcuni tratti particolari: come nell'atteggiamento verso la preghiera 96 , verso gli abiti, verso il digiuno e verso la proprietà. Qualcuna delle frecciate antimonastiche più scoperte, come l'osservazione che Ermodoro non distribuì il suo ai poveri come molti fanno per mendicar poi l'altrui 97 , sono tolte di peso dall' Enchiridion99; e fra i detti notabili di Ermodoro ve ne sono di quelli che traducono e altri che traslitterano passi della famosa operetta erasmiana 99 . La riprova del fatto che il Lando, mentre componeva la Vita di Ermodoro, aveva sottomano l'Enchiridion e ne traeva ispirazione è data dal capitalo XLII: la «bellissima conclone» del sant'uomo, di cui in questo capitolo si dà un sommario, traduce verbalmente e quasi integralmente una pagina àtW'Enchiridion imperniata sull'idea che non è lecito indulgere ai propri vizi giustificandoli con l'esempio dei santi o con il richiamo a passi scritturali, ma che si deve tenersi fermi all'imitazione di Cristo inteso come modello di povertà di umiltà di abnegazione 100 . 94. Vita, p. 5v. 95. Martin Luthers Werke, WA VII, p. 49. 96. Cfr. sopra, nota 45. 97. Vita, p . 7 r . 98. Enchiridion, p. 16lr: «mi meraviglio ... di quegli che una volta abbandonano ciò che hanno al mondo per andar più vituperosamente mendicando quello d'altrui». Cfr. LB V, col. 59. 99. Vita, p. 20v: «chiunque non vuol patire esser segno che non brami d'esser coronato». Cfr. Enchiridion, p. 61 ν : «Qual cosa essere può più dilicata et molle che a volere regnare con il capo Christo et non volere sofferire seco insieme?», LB V, col. 23. Occorre tuttavia dire che la fonte dalla quale sono attinti quasi tutti i «detti memorabili» di Ermodoro è l'imitazione di Cristo. Darò solo alcuni esempi: «esser più sicura cosa lo star in soggettione che in prelatura», «la mala consuetudine vincersi con la buona», «Iddio haver molti bramosi del suo regno et pochi portatori della sua croce», «la molta curiosità spesso impedire la vera intelligentia delle scritture» (Vita, pp. 20v-21v) traducono altrettanti enunciati dell'Imitazione: «multo tutius est stare in subiectione quam in praelatura», «consuetudo consuetudine vincitur», «habet Iesus nunc multos amatores regni sui caelestis, sed paucos baiulatores suae crucis», «curiositas nostra saepe nos impedit in lectione scripturarum» (Thomae Hermeken a Kempis Opera omnia, ed. Michael Joseph Pohl, Friburgi Brisigavorum 1904, vol. II, pp. 16, 39, 80, 13). Gli esempi si potrebbero moltiplicare. 100. Vita, pp. 29r-30r. Cfr. Enchiridion, pp. 133r-134v. 233 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM La fonte dalla quale la Vtta di Ermodoro più largamente attinge, compendiandola e talvolta alterandola, è ancora Brunfels. I capitoli X X X I I , X X X I I I , XXXIV, XXXV, XXXVI, XXXVII, X X X V I I I , X X X I X , XL e XLIX - che svolgono tra l'altro i temi dell'imitazione di Cristo e della predicazione evangelica riassunti nelle pagine precedenti - sono prevalentemento o esclusivamente intessuti di citazioni delle Pandectae. Il confronto fra il testo del Lando e quello di Brunfels dimostra che quella utilizzazione delle Pandectae per sezione trasversale, della quale abbiamo visto un esempio nel Ragionamento di Nicolò Madruccio (e che si ripresenta nel capitolo XLIX della Vita di Ermodoro, mosaico di citazioni tratte da ben cinque libri delle Pandectae), è un caso limite di disinvoltura. In tutti gli altri capitoli dipendenti dalle Pandectae il Lando procede con maggior ordine nei confronti della sua fonte e ne rispetta la struttura concettuale 101 , pur senza rinunciare alla propria indipendenza. Il procedimento principale, attraverso cui tale indipendenza si fa valere, è la selezione. Essa può diventare così energica da equivalere a un'alterazione del senso originale. Un esempio di questo procedimento offrono i capitoli X X X I I e X X X I I I , che dipendono ambedue dal primo libro delle Pandectae e precisamente da quella sezione in cui, sotto il titolo «de Deo», Brunfels conduce un discorso abbastanza sistematico sulla natura e gli attributi divini, muovendo tradizionalmente dall'unità e trinità di Dio fino alla sua onnipotenza e provvidenza in senso predestinatario. Di questo discorso, articolato da Brunfels in ben 37 rubriche, il Lando coglie solo due enunciati - quello della imperscrutabilità dei giudizi divini e quello che Dio mette alla prova i suoi eletti attraverso il dolore - rielaborando ciascun enunciato in un brevissimo capitolo. Ma mentre per Brunfels il principio della imperscrutabilità dei giudizi divini rientra 101. I capitoli X X X I I e X X X I I I dipendono dal libro primo delle Pandectae, sezione «De Deo». Il cap. X X X I V dipende dalla sezione «De Christo» del libro primo e dalla sezione «De populo Dei» del libro secondo delle Pandectae. Il cap. X X X V dipende dalle tre rubriche «De fide et confidentia in Deum et quod sola fides vera salvet», «De spe», «De libero arbitrio» del terzo libro delle Pandectae. I capp. X X X V I e X X X V I I dipendono dalla sezione «De Evangelio» del libro quarto delle Pandectae. Il cap. X X X V I I I dipende dalla sezione «De praedicatoribus et prophetis» del libro quarto delle Pandectae, con una interpolazione tratta dal primo libro, sezione «De Deo». Il cap. X X X I X dipende dalla terza sezione del libro quarto delle Pandectae «De lege». Il cap. XL s'incentra su una citazione del primo libro, sezione «De Christo», rubrica «Causae incarnationis Christi». Il cap. XLIX è una immagine del perfetto cristiano composta di citazioni tratte da cinque libri delle Pandectae: il primo («De Deo»), il secondo («de ecclesia et populo Dei»), il terzo («De charitate et fide»), il quarto («De evangelio»), il quinto («De ecclesiastica potestate», «De principatu», «De obedientia»). Anche la parte finale del cap. XLII dipende dalle Pandectae. 234 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM come risulta dai rinvìi che egli fa e dagli esempi che adduce - nel discorso sulla predestinazione e sul servo arbitrio, il Lando interpreta questo stesso principio in senso provvidenziale. Di fronte alla sconfitta e al dolore - viene a dire il suo testo - l'uomo evangelico non deve disperare né deve presumere di poter giudicare il senso degli eventi in base al suo intelletto: si lascerà invece sprofondare nell'abisso grande dei disegni divini, che possono mutare la scena della sconfìtta nella scena del trionfo. Questa deviazione del discorso di Brunfels è il risultato di un processo selettivo: tra gli esempi addotti nelle Pandectae per illustrare l'imperscrutabilità dei giudizi divini soprattutto nel senso della predestinazione, il Lando isola infatti l'unico esempio adatto a sostenere un'interpretazione provvidenziale, l'esempio di Giuseppe'02. Il capitolo XXXIII della Vita di Ermodoro espone - sempre con argomentazioni prese a prestito dalla sezione «de Deo» del primo libro delle Pandectae il principio che Dio sottopone i suoi eletti a dure prove per renderli più sperimentati. Qui, fondendo insieme due rubriche che in Brunfels sono indipendenti la rubrica «in ogni tempo e in ogni cosa che succeda, sia prospera sia avversa, occorre lodare Dio» e la rubrica «Dio tenta i suoi per renderli più sperimentati» - il Lando viene ad enunciare il principio settario che occorre lodare Dio specialmente per le avversità, perché esse sono il segno dell'elezione103. 102. D o qui il testo del cap. X X X I I della Vita, seguito dal corrispondente testo delle Pandectae. Vita, p. 24 ν : «Gran cura si prendeva Ermodoro di raffrenare la smoderata curiosità de' suoi discepoli, mostrando occulti esser li giudicii divini et infinita la divina prudentia, spesse fiate ripettendone quel detto del salmo <iudicia Dei abissus multa> et alla memoria riducendone la mirabil Providentia d'Iddio, il quale permesse che Giosefo in Egitto venduto nel medesimo luogo fusse constituito principe.» Pandectae, p. 9r: «De iudiciis Dei occultis et mirabili Providentia eiusdem. Iudicia Dei abyss us multa. Ps. 36. Mirabili Dei Providentia Ioseph a fratribus venditus est in Aegyptum, et tamen ibi in principem constituais. Gen. 37. 41.» 103. D o qui di seguito il testo del cap. X X X I I I della Vita di Ermodoro e il corrispondente testo delle Pandectae di Brunfels. Vita, p. 25r : «Soviemmi che una fiata, essendoci venuti a visitare alcuni nobili alessandrini, mostrò con diffuso sermone esser da lodar Iddio in ogni et qualunque cosa che ne occorra, o prospera o avversa, spesso ripetendo quelle sante parole quai disse Tobia <benedicite Deum celi et coram omnibus viventibus confitemini nomini eius>, aggiungendo che Iddio tenta sovente volte i suoi per farli più ¡sperimentati, sì come già tentò Abraam et lasciò tentare Ezechia dalli ambasciatori del re di Babilonia. T r o p p o prolisso sarei se io volessi addure tutti i luoghi della scrittura quai con divina memoria cittò per confermare et stabilire nell'animo nostro ch'Iddio ne tenta et ne castiga per nostro singoiar profitto, si come Geremia disse al cap. 31 del suo vaticinio castigasti me Domine et eruditus sum>.» Pandectae, pp. l l r , 12v: «Omni tempore et in omnibus, sive prosperis sive adversis, laudandus Deus. Benedicite deum coeli et coram omnibus viventibus confitemini nomen eius Tob. 12. Deus tentât suos ut facial probatos. Tenta vit Deus Abraam. Gen. 22. Dereliquit Dominus 235 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM Anche il capitolo X X X V I I I della Vita di Ermodoro documenta una dipendenza formale dalle Pandectae alla quale corrisponde di fatto uno spostamento di accenti. Qui il Lando rifonde la sezione «de praedicatoribus et prophetis» del quarto libro delle Pandectae, dando anche di essa un'interpretazione settaria, presentando cioè la persecuzione e la sofferenza come suggelli di un'autentica vocazione apostolica e ministeriale. Tale idea, tutt'altro che estranea a Brunfels 104 , risulta però accentuata e quasi irrigidita attraverso la rielaborazione cui il Lando ha sottoposto il materiale distribuito nelle 19 rubriche del testo originario. Per esempio all'interno della prima rubrica, intitolata «l'autorità e la missione degli apostoli», Brunfels raccoglie una serie di citazioni per dimostrare che l'autorità degli apostoli procede da Cristo e che la loro missione è stata voluta da lui. Il Lando, ignorando questa dimostrazione, estrae dal mazzo delle citazioni l'unica atta a presentare la missione degli apostoli come un'esperienza di persecuzione e di morte: «ecco che io vi mando a guisa di pecore in mezza ai lupi»; e per puntellarla con altri testi ricorre, con un brusco salto indietro, alla già menzionata rubrica del primo libro «Dio tenta i suoi per renderli più sperimentati» 105 . Attraverso la selezione e la concentrazione il Lando aggiusta dunque il discorso di Brunfels sui predicatori e i profeti per renderlo adatto a una situazione in cui lo stato di persecuzione è permanente, l'accettazione della croce da parte dei pastori necessaria, il conflitto col potere politico insanabile, la grazia principale che la comunità deve chiedere a Dio per il suo predicatore è la fortezza, la meta finale dell'imitazione di Cristo è il martirio. Non mancano nella Vita di Ermodoro passi che riflettono più fedelmente il contenuto delle Pandectae. E' questo il caso del capitolo X X X V I , che condensa la prima sezione del libro quarto delle Pandectae intitolata «de Evangelio». Tale scottante sezione dell'opera brunsfeliana riflette l'esperienza del «Vangelo» come chiarificazione e al tempo stesso come sconvolgimento106. Il «Vangelo» è la parola fissata: come tale esso è principio di chiarimento e pietra di paragone alla quale commisurare la validità delle dottrine, la fondatezza delle tradizioni, la qualità degli uomini («non bisogna aggiungere né togliere niente alla parola di Dio», «il verbo di Dio deve essere predicato sinceramente, senza Ezechiam, ut tentaretur a nuntiis regis Babilonis. 2 Par. 32. Castigasti me Domine et eruditus sum. Hier. 31.» 104. Cfr. Ginzburg, Nicodemismo, pp. 80-81. 105. Vita, pp. 27r-v. Cfr. Pandectae, pp. 60v-65v. La frase: «le tribulationi ... ne raffinano a quella foggia a punto che veggiamo nella fornace raffinarsi l'oro» dipende invece dalla p. 12v delle Pandectae: «Probabit me quasi aurum in fornace.» 106. Pandectae, pp. 43v-60v. L'esposizione sommaria della sezione «De Evangelio», che segue nel testo, è condotta sulla base dell'interpretazione che ne dà il Lando. 236 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM inganno né superbia, e senza speranza di retribuzione»). Dietro la parola fissata sta però lo spirito che l'ha ispirata ai santi e che continua ad ammaestrare interiormente gli eletti : senza questa ispirazione la Scrittura non è che morta lettera, priva di forza e di efficacia («l'intelletto delle Scritture non dipende dalla morta lettera, ma dal magistero e dall'erudizione dello spirito di Dio, che ci forma e ci ammaestra interiormente»). Messa in rapporto con l'afflato dello spirito la parola si carica di tensione, diventa un nucleo incandescente che scatena intorno a sé lotte e tumulti («la parola di Dio è occasione di tumulti e di sedizioni», «la parola di Dio fa sette e divide popoli e nazioni»). La fede nella forza irresistibile della parola, la consapevolezza che il potere si oppone sempre alla verità, la certezza che la punizione divina colpirà gli avversari : ecco i sostegni di chi combatte per il Vangelo («alla parola di Dio nessuno può resistere né valgono contro di essa tutti i Ciceroni e i Demosteni», «i potenti hanno sempre fatto resistenza alla verità», «al disprezzo della parola segue il castigo»). Ma l'insistenza stessa sulla punizione celeste, che aspetta chi fa resistenza alla parola, tradisce l'esperienza della sconfitta terrena. L'uomo evangelico si rifugia nel contatto personale con Dio, perché l'applauso del mondo gli si è estinto intorno e gli amici carnali si sono dileguati nel momento della croce («anche se sembra che il mondo riceva la parola di Dio e ci applaude, tuttavia nel tempo della croce non persevera; perciò nessuno confidi nel mondo, cioè in alcun amico carnale», «Dio parla familiarmente ai suoi fedeli ed eletti ed essi hanno con lui un rapporto familiare»). L'incrinatura del dubbio rende necessaria l'esortazione alla perseveranza nell'insuccesso («bisogna continuare a predicare, anche se non ne segue alcun emendamento di vita»). All'esperienza della lotta e della sconfitta senza prospettive è collegato il ripiegamento nella dissimulazione («fra gli increduli e i pertinaci possiamo dissimulare e fingere, specialmente se non c'è speranza, perché Dio pondera i cuori») e la teorizzazione della tolleranza («bruciare gli eretici è contro la volontà dello spirito»). Come si può vedere dal confronto sottostante 107 , il capitolo X X X V I della 107. Do qui di seguito il testo del cap. X X X V I della Vita e i passi corrispondenti delle Pandectae. Vita, pp. 26r-v: «Si avide egli un giorno ch'io haveva nelle mani le comedie di Aristophane et prese di qui argomento di ragionare et ragionò diffusamente come le Sacre Scritture et non i libri pagani n'erano state date per consolatione, mostrando come in quelle si stesse Giesù Christo velato, alle quali né aggiungere né scemar si deve. Appresso mostrò doversi la parola d'Iddio et leggere et insegnare senza inganno, senza fasto et senza speranza di retributione, scorrendo a guisa di perfetto rhetorico et di quelle città ramemorando che furono acerbamente punite per haver fatto resistenza alla parola d'Iddio. Né sbigottir doverci per esser quella alcuna fiata occasione di tumulto et di seditione et farsene molti peggiori poscia che udita l'hanno ... Veramente che niuno può resistere alla parola d'Iddio s'egli fusse ben più che Demostene 237 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM Vita di Ermodoro propone ai lettori italiani il discorso di Brunfels sul Vangelo nelle sue linee principali, eccettuate le rubriche sulla dissimulazione e la tolleranza - la cui omissione non sorprende per il tono ispirato ed eroico che predomina nell'operetta landiana. Perché Ortensio Lando - dopo aver variamente ridotto, irrigidito o spostato il discorso di Brunfels - ne riassume poi la trattazione sul Vangelo con notevole fedeltà? Bisognerà concludere che questa sezione delle Pandectae, nata nel clima della Riforma in espansione e legata alle vicende della guerra dei contadini, poteva essere trasferita di peso nel clima della Controriforma incombente e applicata alla situazione di piccoli gruppi eterodossi italiani, che si muovevano in uno spazio esiguo, fra la prospettiva del rogo e l'espediente dell'abiura. La presentazione del Vangelo come principio di chiarificazione e di liberazione, verità interiore che scatena all'esterno l'implacabile persecuzione del potere, riflette un'esperienza analoga a quella di cui tali gruppi si sentivano protagonisti e testimoni. Il contenuto radicale della Vita di Ermodoro è mascherato attraverso una serie di espedienti atti a farlo passare inosservato. Varrà la pena di concludere il nostro esame, passandone rapidamente in rassegna i principali tipi. Si possono distinguere espedienti simulatori ed espedienti dissimulatori. Fra gli espedienti simulatori rientra per esempio l'assunzione di Ermodoro nello sdiema di una santificazione tradizionale, completa di adorazione, intercessione, ex voto: «Fece manifesto al mondo Iddio quanto l'amasse et per caro l'havesse, facendo a ciascaduno gratia di impetrare per il costui mezo quanto giustamente si et più che Cicerone. Et chiunque sprezza li annunciatori della divina parola, dir si può ch'egli sprezzi Iddio stesso. Devessi adunque senza alcuno intervallo di tempo predicare et manifestare anchora che non ne segua alcun buon corregimento di vita. Ben è vero ch'ella si dovrebbe udire attentamente et con somma diligentia, né pensare che l'intelligentia delle più Sante Scritture dependa della morta lettera, ma dal magistero et eruditione dello Spirito Santo il quale internamente ci insegna.» Questo discorso è un mosaico di titoli delle rubriche brunfelsiane. C f r . Pandectae, pp. 44r-54v: 'Scrip tur ae nobis datae sunt ad consolationem. In prophetis velatus est Christus. Nihil addendum vel detrahendum verbis Dei. Verbum Dei syncere, sine dolo, fastu aut spe retributionis praedicandum. Civitates punitae sunt quae "non receperunt verbum. Verbum Dei occasio tumultus et seditionis. Ex audito verbo quidam peiores fiunt. Qui praecones verbi contemnit, Deum contemnit. Verbo Dei nemo potest resistere ñeque valent contra illud omnes Cicerones aut Demosthenes. Indesinenter praedicandum est etiam si emendatio vitae non sequatur. Verbum Domini audiendum attente et diligenter. Intellectus Scripturarum non est ex mortua litera, sed ex magisterio et eruditione spiritus Dei, qui format et docet nos intrinsecus 238 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM desiderasse. Niuno indarno dimandò il patrocinio suo che dall'alto cielo essaudito non fusse: testimonianza di ciò fanno le tavole appese.»108 Fra i procedimenti dissimulatori rientrano espedienti di natura semplice, come la presentazione dell'opera quale traduzione dal greco dell'età alessandrina e l'uso di una specie di trasparente linguaggio cifrato, nel quale i cattolici divengono gli «ariani» i «mori» o i «giudei», e i santi divengono i «cattolici»109. Fanno parte degli espedienti dissimulatori anche l'uso dell'allusione cifrata (come quando si annovera fra le opere di Ermodoro un'interpretazione della lettera ai Romani definita «metodo del cristianesimo»), l'uso dell'insinuazione subito lasciata cadere (la teoria del sonno delle anime è adombrata in un breve inciso a proposito della morte di Ermodoro 110 ) e l'uso del luogo comune in funzione camuffatoria. Di quest'ultimo espediente il Lando fa un uso magistrale: si può dire che l'intera Vita di Ermodoro, costellata com'è di topi della letteratura agiografica, sia un'illustrazione della destrezza con cui l'autore si serve del luogo comune per addormentare l'attenzione dei censori. Ma si possono individuare anche frasi precise, che celano sotto il guscio del luogo comune un nucleo eterodosso. Per esempio il detto di Ermodoro «nulla giovar possono le creature se si abbandoni lo creatore» riecheggia una formula ricorrente (la si trova anche neirImitazione di Cristo111), ma prenda di mira il culto delle immagini e dei santi 112 . Espedienti dissimulatori più complessi sono l'omissione o la reticenza, il salto dei nessi logici e l'uso di sottacere le premesse. Per esempio nel capitolo X X X V I I I della Vita di Ermodoro il principio che i potenti hanno sempre fatto e sempre faranno resistenza alla verità viene illustrato con una serie di esempi tratti dalle Pandectae e culminanti nell'esempio di Cristo, ma rimane inespresso nella sua formulazione apodittica 113 . 108. Vtta, p. 34v. 109. Ibid., pp. 7v, 8v, 13v, 14v, 27r. Anche nel Dialogo, p. 18r, si esprime la speranza che «a* nostri tempi» sì trovino «huomini di sì franco core et di sì intrepida fronte che per la gloria di Christo osino di favellare arditamente co' Turchi, co' Mori, co' Saraceni et con altri nemici del Vangelo». 110. Vita, p. 34r: «seppesi incontanente nella città et nel contado della morte del maestro nostro, benché morte chiamar non si doverebbe, ma sonno». 111. Thomae a Kempis Opera Omnia, cit., vol. II, p. 202: «De neglectu omnis creaturae ut creator possit inveniri.» 112. Vita, p. 20v. Che la frase sopra citata sia probabilemente diretta contro il culto delle immagini si deduce dal confronto con un passo analogo della Vita, pp. 25v-26r, dove Ermodoro biasima la stolta confidenza che nelle umane creature aver si suole. Quest'ultimo passo traduce una rubrica brunfelsiana «De stulta confidentia in homine vel creatura» diretta anche contro il culto delle immagini. Cfr. Pandectae, p. 39r. 113. Vita, pp. 27r-v: C f r . Pandectae, pp. 62v. 239 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM Un caso particolarmente raffinato di questo tipo di discorso allusivo, ammiccante, fatto di accenni, intelligibile solo agli iniziati, si ha nel capitolo X V I I I della Vita. Qui si narra come Ermodoro debellasse e spegnesse una pestilente eresia suscitata in Smirna da «alcuni tropo curiosi investigatori»: «andavano costoro seminando che Christo non fusse stato crocifisso, ma in luogo suo un corpo fantastico, et oltre questo ... non potersi salvare se insieme col battesimo non ci circuncidevamo» 114 . In queste poche righe un orecchio attento e consenziente poteva cogliere, se non erro, un'allusione contro il battesimo - l'equivalente cristiano della circoncisione ebraica - e al tempo stesso una puntata contro la divinità di Cristo. La dottrina del «corpo fantastico» è infatti un'allusione all'eresia dei Marcioniti, accusati di negare la concezione e nascita umana di Cristo e inoltre di sostenere che la sua passione e la sua morte siano state solo apparenti. Negli ambienti eterodossi italiani - inclini ad accentuare la dimensione fragile e dolorosa della figura di Cristo - ci si serviva dell'accusa di marcionismo come di un'arma contro gli avversari che accentuavano la natura divina del Redentore 115 . IV. I L <DIALOGO DELLA CONSOLATIONE ET UTILITÀ CHE SI GUSTA LEGGENDO LA SACRA SCRITTURA> ( 1 5 5 2 ) L'opera di propaganda eterodossa nella quale Ortensio Lando è impegnato il 1550 raggiunge il suo momento più sistematico nell'operetta pubblicata il titolo Dialogo della consolatione et utilità che si gusta leggendo la Scrittura116. Il dialogo, nel quale l'autore ha come interlocutrice Lucrezia zaga, si divide in 7 parti. verso sotto Sacra Gon- 114. Vita, p. 13v. 115. Cfr. Del fuggir le superstitioni che ripugnano a la vera e sincera confession de la fede ... composte già da M. Gio[vanni] Cai [vino], s. 1. 1553, p. X X I r . L'anonimo traduttore italiano del trattatello De fugiendis impiorum sacris e degli altri scritti antinicodemitici di Calvino premette alla sua traduzione un discorso che difende come legittima la fuga nella persecuzione. Egli motiva la sua tesi con lo spavento e l'orrore che la natura umana prova davanti alla morte. Neanche Cristo fu preservato da questo orrore, in quanto partecipe della natura umana. Contro coloro che invece sostengono che la trepidazione di Cristo davanti alla morte non fosse «naturale affetto», l'anonimo traduttore obietta che una tale convinzione «viene ad aprir la porta a l'impietà de' Marcioniti et a formare un huomo [Cristo] composto d'un'anima e d'un corpo fantastico et imaginario.» 116. Anche questa operetta è pubblicata «al segno del Pozzo», cioè dal tipografo Andrea Arrivabene. L'orientamento luterano di Andrea Arrivabene è denunciato da Pietro Manelfi, cfr. Ginzburg, Costituti, p. 49. 240 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM La prima parte tocca i seguenti punti: Dio, Cristo e lo spirito santo; la chiesa e il popolo di Dio; la fede e la carità (con un accenno alla predestinazione); il Vangelo. La seconda parte riprende il discorso sul Vangelo e tocca inoltre i seguenti punti: i predicatori e i profeti; la grazia e la legge (per accenni); il peccato; la penitenza; lo spirito, la carne e la lettera (per accenni); il potere ecclesiastico; il potere secolare; l'obbedienza; la legge mosaica; la superiorità della Bibbia su tutti gli altri libri. La terza parte riprende il discorso sulla legge mosaica in quanto ancora valida e tocca inoltre i seguenti punti: le cerimonie e la loro abrogazione; il matrimonio e la castità (per accenni); le opere buone; l'orazione (per accenni); le virtù e i vizi; di nuovo la superiorità della Bibbia sulla letteratura profana e anche religiosa; cataloghi dei figli degeneri, degli uomini illustri del Vecchio e Nuovo Testamento, delle donne illustri e scellerate del Vecchio e Nuovo Testamento, dei primi inventori delle cose, dei longevi; modelli di preghiere del Vecchio Testamento; catalogo delle orazioni ed esortazioni militari del Vecchio Testamento. La quarta parte tocca i seguenti punti : la pazienza e specialmente la croce e la sofferenza dei santi; la tutela esercitata da Dio sui santi e gli espedienti con i quali i santi si possono difendere; di nuovo la superiorità della Bibbia; la necessità di perseguire la pace anche coi malvagi e la convivenza coi malvagi; la lussuria (per accenni); l'atteggiamento degli eletti, i loro dissensi, il dovere degli eletti di perseverare e di evitare lo zelo eccessivo; la Bibbia e il contrasto fra sapienza e eloquenza; la superiorità anche retorica e dialettica della Bibbia provata con la dimostrazione che in essa si trovano tutte le figure retoriche lodate nei poeti; la Bibbia come depositaria della vera erudizione e della vera filosofia; che ordine si deve seguire nel leggere i libri sacri; esposizione sommaria del contenuto dei diversi libri della Bibbia (Genesi, Esodo, Levitico). La quinta parte continua l'esposizione sommaria dei diversi libri della Bibbia (dai Numeri fino alla lettera ai Filippesi) seguendo il canone protestante, cioè tralasciando i libri controversi. La sesta parte contiene l'esposizione sommaria delle residue lettere apostoliche e dell'Apocalisse e inoltre tocca i seguenti punti: il canone e le divergenze su di esso; il contrasto fra il canone ebraico e quello cristiano; i libri controversi e alcuni libri apocrifi veterotestamentari (III e IV di Ezra, confessione di Manasse), loro esposizione e loro difesa in quanto libri agiografici (scritti da santi uomini); svalutazione dei filosofi pagani nei confronti della Bibbia; ancora esaltazione della Bibbia. La settima parte contiene un breve credo sotto specie di ricapitolazione e la spiegazione di una serie di locuzioni oscure della Bibbia. Qui ci si limiterà a trattare questa operetta dal punto di vista della sua dipendenza dalle Pandectae e da altre opere uscite dal gruppo strasburghese nel quale si muoveva Brunfels. Dalle Pandectae dipendono le prime quattro parti del 241 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM Dialogo117; u n a sezione della t e r z a p a r t e d i p e n d e dai Catalogilis Brunfels, una sezione della quinta p a r t e e una sezione della s e t t i m a " d i r e t t a m e n t e dalla Collectanea troporum120 dello stesso 9 dipendono di Westhemer. O l t r e ad essere la f o n t e più largamente utilizzata, le Pandectae costituiscono anche la c o m p o n e n t e più significativa del discorso svolto nel Dialogo della 117. La prima parte del Dialogo dipende dai libri primo, secondo, terzo e quarto delle Pandectae. Le sezioni dell'opera brunfelsiana che confluiscono nel testo del Lando sono nell'ordine: dal libro primo le sezioni «De Deo», «De Christo», «De spiritu sancto»; dal libro secondo le sezioni «De ecclesia Dei», «De populo Dei»; dal libro terzo le sezioni «De charitate», «De fide et confidentia in Deum et quod sola fides vera sal vet », «De spe», «De praedestinatione» (accenno); dal libro quarto la sezione «De Evangelio». La seconda parte del Dialogo dipende dai libri quarto, quinto, sesto, settimo delle Pandectae. Le sezioni frunfelsiane che confluiscono nel discorso del Lando sono nell'ordine: dal libro quarto le sezioni «De Evangelio» (rimasta interrotta), «De praedicatoribus et prophetis», «De gratia» (accenno), «De lege», «De peccato», «De poenitentia», «De littera et spiritu»; dal libro quinto le sezioni «De ecclesiastica potestate», «De principatu», «De obedientia», «De homine»; dal libro sesto le sezioni: «De officio hominis», «De officio iudicis», «De officio adulescentum» ; dal libro settimo la sezione «De legibus reipublicae mosaicae». La parte terza del Dialogo dipende dai libri settimo, ottavo, nono e dodicesimo delle Pandectae. Le sezioni dell'opera di Brunfels che confluiscono nel discorso del Lando sono nell'ordine le seguenti: dal libro settimo la sezione «De legibus reipublicae mosaicae» (rimasta interrotta); dal libro ottavo le sezioni «De religione vera», «De signis», «De operibus», «De oratione» (accenno); dal libro nono le sezioni «De virtutibus et vitiis contrariis», «De vitiis», «De fortuna et prosperitate impiorum»; dal libro dodicesimo, che è un libro miscellaneo, alcune rubriche etrogenee, fra cui «Fingere et simulare licet coram impiis propter vitandum vel praeveniendum periculum». La parte quarta dipende dai libri nono e dodicesimo delle Pandectae. Le sezioni brunfelsiane che confluiscono nel discorso del Lando sono le seguenti: dal libro nono le sezioni «De patientia et tentatione sanctorum», «De pace servanda et de bono illius», di nuovo «De vitiis»; dal libro dodicesimo il Lando riprende alcune rubriche eterogenee fra cui «Fidelibus longanimitate est opus, nam solet interdum differre promissiones Deus», «Etiam pii interdum dissentiunt», «De zelo nimis fervido et intemperato». 118. Catalogi Othonis Brunfelsii. Virorum illustrium Veteris et novi Testamenti. Virorum obscurorum utriusque Testamenti. Illustrium item mulierum. Obscurarum dein mulierum. De bellis, victoria et triumphis iustorum contra impios. Orationes, exhortationes, obsecrationes patrum, prophetarum, regum et virorum illustrium. De tyrannide et bellis impiorum contra iustos. S. 1. a. (ma Strasburgo, Jo. Sdiott, 1528). Cfr. Dialogo, pp. 27r-28r. 119. Dialogo, pp. 34v-35v, pp. 66v-68v. 120. Collectanea troporum communium Bibliorum non aestimandis sudoribus recognita et locupletata, summa tum diligentia tum iudicio ex sacrorum patrum scriptis excerpta Bartholomaeo Vesthemero collectore, Basileae apud Tomam Volfium anno M D X X X I I I . Dalla prima parte di quest'opera dipendono le pagine 34v-35v del Dialogo, dalla seconda parte dipendono le pp. 66v-67r. 242 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM consolatione che si gusta leggendo la Sacra Scrittura. Mentre i Catalogi di Brunfels e la Collectanea di Westhemer sono utilizzati prevalentemente 1 2 1 come repertori di erudizione biblica, le Pandectae forniscono la trama che sottende l'argomentazione teologica del Lando. La prima e la seconda parte del dialogo costano quasi esclusivamente, la terza e la quarta parte prevalentemente di titoli delle rubriche brunfelsiane cuciti uno dietro l'altro e spesso - ma non sempre accompagnati da uno o più degli esempi che li illustrano nell'originale. Questo sistema di composizione dà alle corrispondenti parti del dialogo un andamento discontinuo e saltellante, un che di frettoloso e di superficiale, che spiega in parte la disattenzione con cui quest'opera è stata finora letta. In realtà le prime quattro parti dell'opera possono essere considerate un efficace concentrato delle Pandectae in vista della loro diffusione in Italia. Anche qui, come nelle Vita di Ermodoro, la possibilità di scegliere non solo fra le varie rubriche, ma anche all'interno delle rubriche stesse, f r a i molti esempi e citazioni ivi raccolti, mette il Lando in condizione di ricostruire gli elementi presi a prestito da Brunfels in un discorso più nitidamente spiritualistico e settario, attraverso un processo di concentrazione e accentuazione di motivi già presenti, ma in modo più diluito, nel testo originale. Il confronto sistematico f r a il testo del Dialogo e quello delle Pandectae permette di individuare, nel rapporto di dipendenza che unisce il Lando a Brunfels, due diversi livelli: vi è una dipendenza più superficiale, che potremmo chiamare dipendenza a livello di rubriche, e una dipendenza più profonda, che potremmo chiamare dipendenza a livello di esempi o di citazioni. Il confronto testuale dimostra infatti che talvolta il Lando si limita a intessere nel suo discorso i titoli delle rubriche brunfelsiane, ignorandone il contenuto 1 2 2 ; talvolta fa seguire al titolo della rubrica alcuni dei testi riuniti da Brunfels sotjo di essa 123 ; altre volte ancora dimostra l'enunciato della rubrica utilizzando tutti i testi o gli esempi che Brunfels gli ha messo a disposizione 124 . 121. L'uso della Collectanea troporum di Westhemer come repertorio di erudizione biblica non esclude la sua influenza su certi momenti essenziali del discorso del Lando. Cfr. più avanti p. 56 bis. 122. Un esempio di dipendenza a livello di rubriche abbiamo dato sopra con il capitolo XXXVI della Vita di Ermodoro, cfr. nota 107. 123. Cfr. ad esempio il passo del Dialogo relativo alla confessione riportato più avanti a p. 46. 124. Cfr. ad esempio Dialogo, p. 31r: non bisogna sempre evitare il contatto con gli empi «perciò che truovo in lob ch'egli era fatto compagno de gli struzzi et dei dragoni. Truovo che Esaia habitava nel mezzo d'un popolo che haveva le labbra contaminate. Truovo che Ezechiele habitava nella casa exasperante. Truovo essere habitat! gli 243 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM La distinzione fra una dipendenza a livello di rubriche e una dipendenza a livello di esempi consente di elaborare un metodo di lettura del Dialogo. E' infatti evidente che il discorso a livello di rubriche è indizio di un interesse minore, mentre il discorso rafforzato da una folta serie di citazioni e di esempi è indizio di un interesse più teso e vibrante. Alla luce di questa distinzione è possibile individuare gli accenti del discorso teologico svolto dal Lando nelle prime quattro parti del Dialogo e distinguere alcune linee interpretative. Filo conduttore del discorso continua ad essere, anche nel Dialogo, il Vangelo e la sua predicazione. Occorre tuttavia osservare che mentre nella Vita di Ermodoro il momento eroico e apocalittico della predicazione è decisamente preponderante, nel Dialogo questo momento è accompagnato da una serie di formulazioni parallele che ristabiliscono l'equilibrio in senso nicodemitico. Ritorna qui infatti in posizione di rilievo il principio che nella chiesa si deve compiacere e accomodarsi agli infermi nella fede, con tutta l'argomentazione paolina che abbiamo già incontrato nel Ragionamento di Nicolò Madruccio125. La conciliante teoria che nessuno è innocente davanti al Signore, che ogni uomo è peccatore e bugiardo e che tutti abbiamo indifferentemente bisogno della misericordia di Dio, è illustrata con una serie di esempi addotti da Brunfels sotto la rubrica «i padri del Vecchio Testamento, anche se santi, peccarono» 126 . Ritroviamo qui anche la condanna dei predicatori intransigenti e i già menzionati esempi ad deterrendum di zelo intemperante ed eccessivo127. I predicatori sono invitati ad esercitare il loro ministero con destrezza e discrezione, evitando di far arrossire pubblicamente gli sviati, secondo il modello di Paolo e quello già noto di Natan 128 . L'atteggiamento di acquiescenza verso gli infermi e di tolleranza verso gli erranti vien fatto rientrare nel dovere cristiano di perseguire la pace, evitando risse e questioni. Per amor della pace è talvolta consigliabile sottrarsi alla conversazione degli empi 129 ; ma la regola permanente è che «fino attanto che il mondo dura sempre si ritruoveranno uniti insieme il grano et la zizania, i pesci buoni et i pesci rei, le savie vergini et le sciocche». Il consiglio di evitare il contatto degli empi ha dunque poco vigore: il principio opposto, che apostoli a guisa d'agnelli fra i lupi. Habitarono etiandio i Philippensi fra una iniqua natione et nondimeno l'apostolo scrive ch'essi rilucevano come lampadi del mondo.» Sono tutti esempi addotti da Brunfels nella rubrica «inter malos nobis habitandum», cfr. Pandectae, p. 157v. C f r . anche sopra nota 28. 125. Dialogo, p. 22r. Cfr. Pandectae, p. lOlv. 126. Dialogo, p. 13r. Cfr. Pandectae, pp. 71v-72r. 127. Dialogo, p. 29v. C f r . Pandectae, pp. 194v-195r. 128. Dialogo, p. 26r. C f r . Pandectae, p. 196r. 129. Dialogo, p. 3Ir. C f r . Pandectae, pp. 156v-157r. 244 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM si deve abitare fra gli empi, è invece fortemente sottolineato con tutti gli esempi addotti da Brunfels nella corrispondente rubrica' 30 . Un altro ordine di argomenti nicodemitici è legato all'idea che non bisogna tentare Dio. I giusti confidano sì nella presenza consolatrice del Signore e nelle mirabili vie della sua provvidenza; tuttavia, non potendo contare sull'immediate realizzazione delle promesse divine, «per non pericolare», ricorrono agli espedienti umani, per esempio alla fuga davanti alla persecuzione e alla simulazione davanti agli empi, come fecero Giuditta, Ester, Aioth e David (sono gli esempi addotti da Brunfels nella rubrica «è lecito fingere e simulare davanti agli empi per evitare o prevenire il pericolo»), salvo augurare loro interiormente ogni male («possiamo anche umiliarci alquanto davanti a loro per la gloria di Dio» aggiunge Brunfels, «pur pregando intimamente che Dio li perda e li distrugga nella carne» 131 ). La legittimità della menzogna è sostenuta anche in un altro passo del Dialogo e puntellata da esaurienti citazioni di esempi biblici, addotti da Brunfels nella rubrica «alcuni padri del Vecchio Testamento simularono e mentirono senza peccare»132. Nei Dubbi religiosi il discorso nicodemitico del Lando è coronato dall'esempio di Nicodemo: in questa operetta troviamo infatti la nota interpretazione - di origine erasmiana 133 , ma propagata da Brunfels - dell'atteggiamento di Cristo verso Nicodemo come modello di tolleranza verso gli «infermi» 134 . La tolleranza di Cristo verso Nicodemo fu apportatrice di salvezza ¡infatti il pavido Nicodemo, che non osava accostarsi di giorno a Cristo vivo, trovò l'ardire di «servir a Cristo morto». Così l'esempio di Cristo viene a confermare il principio di Paolo che la compiacenza può diventare strumento di redenzione. Ma bisogna sempre compiacere agli infermi? Anche quando tale compiacenza significa acquiescenza a cerimonie considerate empie? Su questo punto fa leva la confutazione delle teorie nicodemitiche da parte di Calvino. Il principio della compiacenza agli infermi - dice Calvino in sostanza - trova un limite all'interno della stessa frase che lo sancisce: bisogna compiacere agli infermi per guadagnarli a Cristo. Per salvare loro, dunque, non per perdere se stessi. L'acquiescenza agli infermi non potrà estendersi a cerimonie blasfeme e corruttrici come la messa: essa deve intendersi limitata alle cerimonie che in sé non sono né buone né cattive, alle 130. Dialogo, p. 3Ir. Cfr. sopra nota 124. 131. Dialogo, pp. 28r, 31r. Cfr. Pandectae, pp. 189v, 153v. 132. Dialogo, p. 23v. Cfr. Pandectae, pp. 124r-124v. 133. Opera Omnia, LB VII, coli. 519, 641. 134. Dubbi, p. 306. Per la corrispondente posizione in Brunfels cfr. Ginzburg, Nicodemismo, p. 49. 245 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM devozioni secondarie (adiaphora) l ì s . Il testo dei Dubbi religiosi dimostra che il Lando aveva familiare non solo l'argomentazione nicodemitica basata sulla compiacenza agli infermi, ma anche la confutazione alla quale Calvino l'aveva sottoposta. Un altro passo dei Dubbi offre infatti del versetto paolino «per omnia placeo» un' interpretazione che limita la validità di esso a «le cose lecite, che mezze sono da' philosophi chiamate» : quello che è contrario alla salute invece «non si dee concedere». Tuttavia, nel complesso e raffinato linguaggio espressivo dei Dubbi, questa formulazione non va interpretata come un'adesione alla posizione di Calvino, ma proprio al contrario, come una lancia spezzata in favore della teoria nicodemitica e in favore dell'estensione illimitata dell'ambito degli adiaphora: l'apostolo Paolo - replica il Lando a Calvino - non ha posto limitazioni al suo principio, egli ha detto proprio «per omnia placeo», «generalmente et senza veruna eccettione»136. E' stato dimostrato come l'apologia brunfelsiana della dissimulazione s'impianti sulla base di una concezione interiorizzata e «spiritualistica» della vita religiosa. La concezione della fede come esperienza che riguarda esclusivamente l'uomo interiore è il presupposto che permette di relegare tutte le cerimonie nella sfera delle cose indifferenti e di legittimare per tal via la partecipazione ad esse137. Il Dialogo della Sacra Scrittura di Ortensio Lando (e i suoi Dubbi religiosi) conferma quella dimostrazione: anche qui le dottrine nicodemitiche germogliano da uno spiritualismo accentuato e profetico, che corrisponde a un processo assai avanzato di interiorizzazione dell'esperienza religiosa. Tutto il discorso teologico e disciplinare del Lando è costellato dalla ricorrente parola «spirito»: Dio è spirito, lo spirito arguirà il mondo, lo spirito parla per bocca dei santi e dei profeti, multiforme e inafferrabile è la sua presenza come molteplici sono i suoi nomi 138 . Il concetto di spirito ingloba in sé il concetto di grazia o di libertà cristiana: esso si presenta come polo positivo di un binomio che ha il suo polo negativo di volta in volta nel concetto di carne, di lettera, di legge. Infatti nei Dubbi religiosi troviamo l'affermazione che la legge non può indurre 135. Del fuggir le superstitioni, cit., p. 57. 136. Dubbi, p. 287: «Domanda. Che vuol dir che l'apostolo S. Paulo generalmente et senza veruna eccettione disse <per omnia placeo>? è forse lecito per amore dello prossimo far più di quello che Iddio ci permette? Risposta. Paulo sempre nelle cose lecite, che mezze sono da' philosophi chiamate, a gli huomini si accommoda. Oltre di questo si dee attendere ciò che poco appresso si dice <accioché salvi si facciano». Quel che adunque è contrario alla salute, quel non si dee concedere, ma devesi usare in cotai cose una prudenza spirituale.» A mio avviso questo «dubbio» è uno di quelli dove l'accento cade non sulla risposta ma sulla domanda. Cfr. più avanti, p. 51. 137. Ginzburg, Nicodemismo, pp. 70-76. 138. Dialogo, pp. 18v-19r, 7r, 20r. Dubbi, p. 250. 246 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM che a una giustizia carnale: essa è fatta per coloro che sono inclinati all'empietà, è la sferza che tiene a freno e in timore gli ingiusti139. Nel peggiore dei casi le cerimonie della legge sono un appiglio per la ragione umana che cerca di giustificarsi con le opere, nel migliore dei casi esse sono il pedagogo che avvia a Cristo i rozzi, i pargoli e gli infermi nella fede 140 . Ma il Signore ha abrogato la legge. Egli ci ha giustificati e ai giusti non è posto freno di legge: «state nella libertà che Cristo vi donò e non fate più ritorno sotto il giogo della schiavitù» 141 . Come il concetto di spirito congloba in sé i concetti di grazia e di libertà senza risolversi in essi, così lo spiritualismo del Lando abbraccia le dottrine luterane della sola fede e della libertà cristiana senza esaurirsi in quelle. La contrapposizione legge-spirito, carne-spirito, lettera-spirito si ripropone a tutti i livelli e in tutti i momenti della vita religiosa, sempre con implicazioni corrosive nei confronti delle istituzioni della chiesa tradizionale. Qual è la vera religione? E' quella descritta nel primo capitolo di Isaia: «Che ho io a far della moltitudine de' vostri sacrifici? dice il Signore. Io son satollo ... Non continuate più di portare offerte da nulla. I profumi mi son cosa abbominevole. L'anima mia odia le vostre calendi e le vostre solennità. Mi son di gravezza, io son stanco di portale.» 142 Qual è il salmeggiare spirituale? E' quello descritto nel quinto capitolo di Amos: «Toglimi d'appresso lo strepito delle tue canzoni e fa' ch'io non oda il concento de' tuoi salteri.« 143 Qual è la vera confessione? E' quella che si fa interiormente di fronte a Dio. 144 Qual è la vera circoncisione? E' quella descritta nel versetto «circoncidete il prepuzio del cuor vostro», è la circoncisione dagli appetiti e dalle lascivie mondane 145 . Qual è la vera intelligenza della Scrittura? E' quella che non dipende dalla morta lettera ma dal magistero interiore dello spirito 144 . Qual è la preghiera spirituale? Non è quella che si fa con la voce e con la lingua, non essendo la voce e la lingua che aiuti esteriori 147 . La dimensione dello spirito significa dunque eversione di tutti i vincoli esterni: la religione spirituale non osserva tempi (perché la pietà non è costituita nelle feste e perché il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato 148 ), non 139. Dubbi, pp. 222-23, 310. 140. Ibid., pp. 288, 270, 244. 141. Dubbi, p. 256. Dialogo, pp. 12v, 19r. 142. Isaia I, 11-14. C f r . Dialogo, p. 22r. Cito la Bibbia nella traduzione italiana del Diodati (Londra 1850), p. 588. 143. Amos V, 23. C f r . Dialogo, pp. 22r-v. Cito la Bibbia nella citata traduzione del Diodati, p. 774. 144. Dialogo, p. 14v. 145. Dialogo, pp. 15r, 8r. 146. Dialogo, p. l l v . 147. Dubbi, pp. 296-97. 148. Dubbi, p. 265. Dialogo, p. 22v. 247 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM distingue luoghi (il vero tempio d'Iddio sono le anime dei fedeli e l'uomo può pregare in qualsivoglia luogo alzando le pure e innocenti mani 149 ), non discrimina cibi (agli uomini fedeli ogni cosa è monda, quello che entra nella bocca non infetta l'uomo, il regno di Dio non è cibo né beveraggio, il cuore si stabilisce con la grazia e non con i cibi150). Questa negazione di ogni irrigidimento della pietà in luoghi tempi e cerimonie, questa corrosione di ogni forma istituzionalizzata del culto, è condotta in nome di una religiosità come afflato che permea e rinnova ogni momento della vita. La «vera religione» significa sul piano negativo l'abrogazione delle cerimonie: sul piano positivo essa significa mettere la propria vita al servizio degli altri, trasformandola in un unico perenne atto di carità costruttiva, di concreta abnegazione 151 . Il «salmeggiare spirituale» comporta sul piano negativo l'abolizione delle lunghe salmodie male intese e la negazione della preghiera come atto: sul piano positivo comporta la concezione della preghiera come stato permanente di adorazione. Nella comunità di Ermodoro le preghiere sono brevi, eppure il fondatore sostiene il principio che «bisogna pregare sempre» 152 : alla riduzione delle preghiere istituzionalizzate e ritualizzate corrisponde cioè una dilatazione ad infinitum della preghiera come stato di contatto con Dio che non ha bisogno di tradursi in atti o in parole. Tutto il discorso che il Lando nel Dialogo della Sacra Scrittura e nei Dubbi religiosi svolge a proposito delle feste, dei digiuni, dei voti, della castità, della vocazione 155 mira a minare sotterraneamente - attraverso dubbi, precisazioni, distinzioni, confronti con gli usi veterotestamentari - l'edificio della religiosità tradizionale e delle sue istituzioni per sostituirvi una religiosità interiorizzata e attiva, che permea di sé tutta la vita. Questa concezione della vita religiosa si riflette puntualmente nell'ecclesiologia del Lando. Egli parla infatti di una «vera chiesa», «tutta spiritale, senza macchia, irreprensibile» 154 , in contrapposizione implicita con una chiesa falsa e carnale. La «vera chiesa» è la congregazione dei buoni, il concilio dei giusti con a capo Cristo; essa non risiede in un luogo determinato, ma è sparsa per tutto e si congrega in spirito dovunque due o tre fedeli si riuniscono nel nome del 149. Dialogo, pp. 7v, 22v. Cfr. lo stesso concetto in Dubbi, pp. 222-23. 150. Dialogo, p. 22v. 151. Dialogo, p. 22r. La «vera religione» viene definita sul piano negativo dal richiamo a Isaia I, 11-14. Sul piano positivo viene definita dal richiamo a Giacomo I, 27: «la religione pura ed immaculata appo Iddio e Padre è questa: visitar gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni», traduzione del Diodati citata, p. 222. 152. Vita, pp. 8r-v, 14r-v. 153. Dubbi, pp. 258, 259, 260, 265, 270, 277, 287. 154. Dialogo, p. 7v. 248 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM Signore 155 . I membri di questa chiesa sono uniti in un rapporto mistico di comunione: tutti i cristiani sono una medesima cosa in spirito, le preghiere sono intercomunicabili e la chiesa piange ed espia in comune i peccati dei suoi singoli membri 156 . Il discorso teologico svolto da Ortensio Lando nel Dialogo della Sacra Scrittura comporta sul piano politico la condanna del potere sia secolare che ecclesiastico, la critica del diritto e la difesa della «misera plebe». L'autorità temporale fornisce uno dei temi più largamente dibattuti nel dialogo (ad essa è dedicata in prevalenza la seconda parte, e diverse sezioni delle altre parti); è anche uno dei temi nei quali il Lando si tieife particolarmente aderente a Brunfels (la seconda parte del dialogo segue fedelmente l'andamento della seconda sezione del quinto libro delle Pandectae intitolata «de principatu»). La trattazione dell'autorità comincia con una prudenziale premessa: «imparasi nelle sacre lettere contra degli anabattisti havere i principi et i magistrati la debita possanza et convenevole autorità» 157 . Ma i testi biblici che, sulla scia di Brunfels, vengono addotti a giustificare questa possanza e questa autorità sono di tale tenore da suggerire chiaramente la conclusione che nessuno dei principi contemporanei è un principe legittimo: Mosè «elesse i più vecchi del popolo, huomini savi et tementi Dio, ne' quali era la verità et odiavano l'avaritia», «datteci huomini savi et dotti ... et ne gli constituiré in principi» 158 . Il sospetto cos) insinuato circa la legittimità del potere politico vigente viene ulteriormente rafforzato dai successivi modelli di principi buoni e giusti, anch'essi presi dalla Pandectae. Buon principe fu per esempio Samuele, il quale poté dire di sé: «parlate di me davanti al Signore se mai tolsi a veruno di voi asino e bue, se ho calunniato alcuno, se l'ho oppresso o se mi sono lasciato corrumpere dagli altrui doni». A questo punto il lettore non ha bisogno di riflettere molto per cercare la risposta alla domanda, che l'autore gli pone, se tali principi abbia oggidì la repubblica cristiana 159 . La legittimazione biblica dell'autorità e del potere si rovescia così in una denuncia dei principi contemporanei, la quale diventa più precisa e circostanziata negli esempi dei principi mali e ingiusti: «Maligno principe f u Hieroboam, il quale rivolse il popolo dal vero culto et vietogli che non gisse in Hierusalem; scelerato principe fu Manasse, che sedusse il popolo di Giudah et d'Israele, lo condusse a male operare nel cospetto des S[ignore] ... Fu 155. 156. 157. 158. 159. Dialogo, p. 7v. Dubbi, pp. 241, 292, 300. Dubbi, pp. 293, 287. Dialogo, p. 16r. Ibid., p. 16r. Cfr. Pandectae, pp. 82r-v. Dialogo, pp. 16r-v. Cfr. Pandectae, pp. 82v-83r. 249 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM maligno principe Adonisedec, il quale, divenuto fellone et pieno di mal talento, a settanta re tagliò le mani et i piedi; et crudele fu Abimelech poiché per possedere il dominio amazzò settanta fratelli.» La brama di potere e la facoltà di esercitarlo - suggeriscono alcuni di questi esempi - rendono i principi nemici della pace, spietati e sanguinari. Fra la magnificenza terrena e la parola d'Iddio suggeriscono altri esempi della serie - vi è un conflitto perenne: la maggior parte dei principi sono «ministri di Satanasso» e avversari «della pia et sana dottrina» 160 . La causa della «pia e sana dottrina» tende a convergere, nel discorso del Lando, con la causa della misera plebe oppressa. Infatti all'origine dell'ostilità che il Lando manifesta nel Dialogo contro i principi vi è, accanto all'esperienza che essi ostacolano la diffusione della parola, l'accusa che essi spogliano e opprimono i propri sudditi. Che la causa dei sudditi oppressi stia particolarmente a cuore al Lando risulta già dall'enfatizzazione alla quale egli ha sottoposto qui un testo di Brunfels. La frase «Roboam amisit populum suum quia nihil remisit de iugo» 161 diventa nel dialogo «leggesi ... essere stato discacciato Roboammo dalla sedia reale per non havere voluta mai sgravare la misera plebe de gli ingordi tributi che la tenevano oppressa» 162 . Il tema così annunciato ha molti echi nel resto dell'opera. Parlando dei rapporti f r a signori e vassalli il Lando fa dire alla sua interlocutrice: «par che niuna cosa più ci aggradisca quanto d'incrudelire, et imbrattarsi le mani dell'altrui sangue. Dicevasi già un vecchio proverbio che l'huomo era in vece di Dio all'altro huomo, ma ora si può bene più giustamente dire che l'huomo sia fatto lupo all'huomo.» 1 6 3 E ancora: «i doni che riceveno dagli humili vasalli sono la istessa ruina de i principi: et perciò gridava Esaia <i principi giudicano nei doni>»164. Il contrasto f r a l'opulenza dei signori e la miseria dei vassalli è, suggerisce il dialogo, una «gran vergogna»: come «veder nel grembo d'una medesima madre un figliuolo pieno et satollo et l'altro che per brama di pane si muoia di fame» 165 . Contro la tirannide e la rapacità dei principi si fa balenare qua e là, nel corso di tutto il dialogo, la minaccia di un intervento celeste: Dio «udirà dall'alto cielo le miserabili voci degli afflitti» e «ci porrà la sua mano», «i tiranni saranno duramente flagellati», o forse sorgerà un nuovo Mosè, «il quale impenda tutti i tristi governatori» 166 . In attesa del futuro intervento divino, la resistenza contro 160. 161. 162. 163. 164. 165. Dialogo, pp. 16v-17r (cfr. Pandectae, pp. 84v-85r), 30r, 17v. Pandectae, p. 85r. Dialogo, p. 17r. Dialogo, p. 5v. Ibid., p. 17v. Ibid., p. 21r. 166. Ibid., pp. 5v, 18r, 17r. 250 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM i malvagi principi s'incarna nei predicatori del verbo e la tutela degli umili tende a identificarsi con la difesa della parola. La figura del profeta umillimo e abietto che si erge intrepido contro il principe empio è una di quelle che più accendono d'entusiasmo il Lando e gli strappano accenti di più diretta partecipazione167. La prospettiva della possente afflizione che attende i possenti e del gravissimo giudizio che sovrasta i sovrastanti assume, se non erro, nel contesto del dialogo un significato sociale, perché ad essa è contrapposta la consolazione che arride agli «humili et poveramente ne i tuguri et ne i fenili nati», i quali nella fatica e nel sudore stabiliscono una diretta continuità con i santi padri del Vecchio Testamento, con Cristo e con gli apostoli. Qui il Lando, pur continuando a utilizzare le Pandectae, ne modifica il contenuto in senso pauperistico, ritessendo gli esempi addotti da Brunfels nella rubrica «i santi del Vecchio e Nuovo Testamento non insuperbirono nella loro potenza» in un'apologia dei più umili lavori manuali168. Complementare alla condanna del potere è la condanna del diritto. Anche a questo proposito il Lando si cautela con la preventiva assicurazione che egli non intende biasimare i santi magistrati, né il debito modo di ridomandare il suo; ma subito aggiunge che il funzionamento dei tribunali è incompatibile con il comandamento di Cristo. «Disse il Salvatore: <non raddomanderai le cose che tolte ti sono> et noi siamo sempre invilupati in mille litigi. Ogni cosa è piena di controversie, né altro si ode per li palagi se non vani gridi et tumultuosi strepiti. Tace la legge di Christo, mutoli divengono gli oracoli degli apostoli, et sentesi solo favellare Vulpiano. Solo si sente garrire Bartolo et cicalar Baldo.»169 Connessa al problema del diritto è la questione della legittimità del giuramento170 e tutta una serie di accenni che mirano a restaurare i precetti veterotestamentari come norme della vita civile, per esempio riguardo ai prestiti, ai pegni, ai pagamenti, al raccolto171. In questa linea è particolarmente significativo l'accenno al problema delle misure, sulla stabilità delle quali il Lando insiste valendosi di vari i testi che Brunfels aveva messo a sua disposizione172. 167. Ibid., p. 17v. 168. Ibid., pp. 17r-18v. Cfr. Pandectae, pp. 87r-v. 169. Dialogo, p. 8v. 170. Dialogo, p. 22r (contro il giuramento, basato su Pandectae, p. 99r). Ibid., p. 23v (è lecito giurare il vero, basato su Pandectae, pp. 122v-123r). Sul giuramento il Lando prende una posizione ambivalente anche nei Dubbi. 171. Dialogo, pp. 8v, 21v, 22r. 172. Dialogo, p. 22r. Cfr. Pandectae, pp. 97v-98r. 251 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM Le illazioni culturali del discorso teologico del Lando si riassumono nell'esclusivismo biblico. Questa dottrina è il coronamento del tema dell'umiltà intellettuale e della santa semplicità di spirito, che si esprime nel Dialogo della Sacra Scrittura in termini e formule analoghe a quelle che abbiamo già incontrato nella Vita di Ermodoro. Stringendo le fila sparse del discorso - che qua biasima come pestilente la filosofia, là condanna come temerari i curiosi scrutatori dei divini consigli, qui insegna a evitare le curiose e inutili questioni, lì prescrive di ubbidire semplicemente alla verità senza investigare sollecitamente ciò che non è mestieri d'intendere alla salute nostra 173 - il Lando presenta la Bibbia come testo esclusivo, regina di vera sapienza, modello d'eloquenza, fonte di ogni bello e onorato concetto. «Perché pensate voi che questo sol <libro> fosse chiamato, salvo che per la sua somma et particolare eccellenza? quasi volessero dire questo sol libro esser degno d'esser detto libro et non gli altri.» 174 Il Dialogo dedica delle pagine a dimostrare, sulla scia della Collectanea troporum di Westhemer, che la Bibbia contiene modelli di tutte le figure retoriche lodate nei poeti classici e che di ogni umana dottrina esse contiene i principi, per ogni umana professione o stato offre un insuperabile modello 175 . I testi classici della cultura occidentale, anche ascetici e spiritualistici, dall'Imitazione di Cristo all'Enchiridion di Erasmo, impallidiscono in confronto al testo biblico, dove il loro assunto è adempiuto in modo più perfetto 176 . Dunque chi ha la Bibbia non ha bisogno di nessun altro libro: questa conclusione drastica è sottolineata dal richiamo al miracoloso disegno, che determinò l'incolumità di questo solo volume nell'incendio della libreria di Tolomeo Filadelfo 177 . L'esclusivismo biblico è anche uno dei punti più dibattuti del discorso condotto dagli anabattisti veneti: la dottrina che vietava di leggere ogni altro libro fuorché il Testamento Vecchio e Nuovo trovò nei loro gruppi recisi oppositori, ma s'impose finalmente come fondamentale: «noi anabattisti non potemo tenere altri libri che la scrittura sacra» dichiara recisamente il Manelfi 178 . Anche a proposito del Dialogo varrà la pena di soffermarci sugli espedienti che il Lando mette in atto per mascherare il contenuto radicale della sua opera. Fra gli accorgimenti più largamente usati vi è la reticenza. Per esempio il Lando 173. Dialogo, p. 11 ν e passim. 174. Ibid., p. 16v. 175. Ibid., pp. 4 r - v , 16v, 2 7 r - 2 8 v , 3 2 r - v , 3 4 v - 3 5 v , 6 0 v - 6 3 r . 176. Ibid., pp. 26v, 32r. 177. Ibid., p. 28r. 178. Ginzburg, Costituti, p. 63—4. Per le discussioni intorno all'esclusivimo biblico f r a gli anabattisti veneti cfr. Stella, II, pp. 50, 73. 252 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM rinvia chi voglia avere un'idea della «vera religione» al primo capitolo di Isaia (il cui contenuto, come abbiamo visto, era interpretato come una condanna di tutte le cerimonie179), evitando però di citare il testo stesso180. Un altro accorgimento è la trasformazione degli enunciati apodittici in frasi indirette, che permette al Lando di tradurre le formulazioni solafideistiche di Brunfels («ex viribus nostris nihil possumus», «sola fides vera salvat») in proposizioni molto più vaghe e sfumate: «se alcuno mi dimandasse se con le proprie forze io possa conoscere la grandezza d'Iddio, molti luoghi gli mostrerei per far vedere tuno quel che vagliono le forze nostre»181, «dalle divine lettere s'impara quanto infinitamente si giovi la fede alla salute»182. Anche a proposito dell'elezione dei vescovi il Lando ricorre a questo procedimento, trasformando l'affermazione recisa di Brunfels («suffragiis eligendi sunt episcopi») in modo da renderla accettabile anche a un censore cattolico e trovando al tempo stesso la via d'insinuare che nelle comunità cristiane primitive la nomina dei vescovi avveniva per via elettiva: «se mi domanderete poi come eleggessero gli antichi padri i loro episcopi, io vi manderò al XIIII capo degli atti apostolici, dove espressamente l'intenderete»183. Fra gli espedienti camuffato» rientra anche qui la simulazione vera e propria. Per esempio, a proposito dell'autorità e del potere ecclesiastico, il Lando delinea, sempre seguendo le orme di Brunfels, un ritratto dell'apostolo evangelico i cui tratti distintivi sono la povertà, la croce, l'umiltà, il servizio, ma suggella questo ritratto con un accenno alla potestas ligandi et solvendi184 che ovviamente manca nelle Pandectae, per le sue implicazioni gerarchiche e pontificali. Un più cospicuo caso di simulazione si ha nella pagina dedicata alla penitenza e alla confessione. La settima sezione del libro quarto delle Pandectae distingue e illustra tre tipi di confessione: la confessione interiore, fatta davanti a Dio; la confessione come riconciliazione fra privati; la confessione come penitenza pubblica. La confessione auricolare185 è del tutto ignorata. Il Dialogo, pur attenendosi assai strettamente alla trattazione di Brunfels, trova modo d'interpolare un passo che, nella sua ambiguità, può essere interpretato come una giustificazione della confessione auricolare: «Vi mostrerò per l'uno e per l'altro testamento la confessione che si fa a Dio. 179. 180. 181. 182. 183. 184. 185. Cfr. sopra nota 142. Dialogo, p. 22r. Ibid., p. 12v. Cfr. Pandectae, p. 66v. Ibid., p. 9r. Cfr. Pandectae, p. 33r. Dialogo, p. 15v. Cfr. Pandectae, p. 80r. Dialogo, p. 15v. Cfr. Pandectae, p. 79v. Cfr. Pandectae, p. 77v~78r. 253 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM Et ecco che già ve la dimostro. Parla David in così fatto modo: <io dissi confessarò contra di me stesso l'ingiustitia mia al S[ignore] et egli rilasserà l'impietà del peccato mio>. Udite ora ciò che nel nuovo [Testamento] si legge: <se confessaremo i peccati nostri, fedele è il S[ignore] per rimettercegli>. Volete hora gli essempi della privata confessione? Eccovi ciò che ne disse il Redentore: <se tu offrirai il dono all'altare et ti sovenga d'havere alcuna controversia col tuo fratello andrai prima a far la pace con esso lui>. Appresso ecci un altro luogo che molto più ve la rafferma et stabilisce: <va et mostrati al sacerdote». H a vete similmente nel X X V I I I dell'Ecclesiastico: «perdona a chi t' invoce et all'hora perdonati ti saranno i peccati tuoi>. Volete di più gli essempi della publica confessione? ... Leggete per voi stessa prima che s'imbrunisca il giorno il V capo della prima pistola a' Corinthii.» 186 La frase «va e mostrati al sacerdote» non è interpretabile, come il Lando sapeva benissimo187, come giustificazione della confessione auricolare; quella frase significa che solo dopo aver fatto pace col fratello ha senso offrire il sacrificio secondo la legge. L'introduzione di questa frase nel discorso brunfelsiano sulla confessione non si spiega se non come un momento di simulazione in atto. Un esemplare del Dialogo della consolatione che si gusta leggendo la Sacra Scrittura, conservato nella Biblioteca Marciana di Venezia 188 , presenta segni marginali e interlineari di mano cinquecentesca 189 , che ci consentono di gettare uno sguardo sull'atteggiamento dei lettori di fronte al discorso teologico del Lando. Le sottolineature di questo esemplare dimostrano che il lettore considerò 186. Dialogo, pp. 14v-15r. Do qui il corrispondente testo delle Pandectae, pp. 77v-78r: «Confessio quae fit coram Deo est necessaria. Dixi «confitebor adversum me iniustitiam meam Domine» et tu remisisti impietatem peccati mei. Ps. 31. Si confiteamur peccata nostra, fidelis est et iustus ut remittat nobis peccata nostra. 2 loan. 1. Confessio reconciliationis privatae. Ea fundata est Mat. 5 : si offers munus tuum ad altare et tibi recordatus fueris quod frater tuus habet aliquid adversum te, vade et reconciliare fratri tuo. Relinque proximo tuo nocenti te, et tunc deprecanti tibi peccata solventur. Eccli. 28. Confessio et poenitentia publica. Eius est exemplum mirabile 1 Cor. 5.» 187. Che il Lando fosse bene informato sulla esegesi di questo passo biblico si può dimostrare in base a una sua opera inedita. In quest'opera, sotto la parola confessio, si legge: «estendere se sacerdotibus non est confessio auricularis, sed offerre donum secundum legem». C f r . più avanti, nota 291. 188. Biblioteca Marciana, 69. C. 238. 189. Le sottolineature non sarebbero sufficienti per una datazione. Ma le pp. 44-46v presentano anche alcune parole scritte a margine a scopo mnemonico (sono nomi di profeti corrispondenti all'esposizione dei vari libri profetici contenuta nel testo) in una grafia databile verso la metà del Cinquecento. Ringrazio vivamente il dr. Gino Corti per avermi aiutato nella datazione della grafia. 254 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM importanti soprattutto quattro gruppi di argomentazioni. La maggior parte delle sottolineature riguardano passi relativi a un ritorno alla lettura diretta della Bibbia e alla dottrina della giustificazione per la sola fede (bisogna studiare le Scritture perché la loro ignoranza è l'ignoranza stessa di Gesù Cristo 190 ; alle parole dei profeti non si deve aggiungere né togliere cosa veruna, laddove ora elle s'impiastrano, s'accrescono e in vari modi si contaminano191 ; la fede ci giova infinitamente alla salute192; al giusto non è posto freno alcuno di legge193; la legge è stata cancellata per opera di Cristo 194 ; non fidiamo nelle nostre opere195; la vera contrizione viene da Dio solo196; la virtù della castità non è in nostro arbitrio 197 ; le opere non ci giustificano198). Un secondo gruppo di sottolineature riguardano dottrine che abbiamo designato come spiritualistiche, in quanto accentuano il momento invisibile e interiore della religione rispetto a quello esterno e cultuale (la chiesa è la congregazione dei buoni, il concilio dei giusti199; l'intelligenza delle scritture non dipende dalla morta lettera ma dal magistero dello spirito santo che internamente ci ammaestra200; la confessione è quella che si fa a Dio 201 ; contro il salmeggiare poco inteso202; la pietà cristiana non è legata ad alcun certo luogo203; agli uomini fedeli ogni cosa è monda 204 ; la Scrittura contiene quello che basta alla salvezza sia sul piano dogmatico che sul piano disciplinare205; i sacramenti sono segnacoli206). Un terzo gruppo di sottolineature riguarda dottrine nicodemitiche (nella chiesa si deve compiacere agli infermi nella fede207; è lecito mentire e simulare208). Nell'ultimo gruppo rientrano formule disparate, per ciascuna delle quali si potrebbe però trovare una corrispon190. 191. 192. 193. 194. 195. 196. 197. 198. 199. 200. 201. 202. 203. 204. 205. 206. 207. 208. Dialogo, p. lv. Ibid., p. lOr. Ibid., p.9r. Ibid., p. 12v. Ibid., p. 12v. Ibid., p. 12v. Ibid., p. 14v. Ibid., p. 23r. Ibid., p. 23r. Ibid., p. 7v. Ibid., p. 11 v. Ibid., p. 14v. Ibid., p. 22v. Ibid., p. 22v. Ibid., p.22v. Ibid., p. 50r. Ibid., p. 66r. Ibid., p. 22r. Ibid., p. 23v. 255 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM denza nelle posizioni degli anabattisti veneti (nelle nostre angosce si deve benedire e ringraziare il Signore 209 ; non bisogna distruggersi e corrompersi l'un l'altro con fantastiche eresie e con false dottrine 210 ; l'impegno primario degli apostoli era il ministero della parola 211 ; anche ai nostri tempi si ritrovano uomini di franco cuore che per la gloria di Cristo osano favellare apertamente coi nemici del Vangelo 2 1 2 ). V. I <DUBBI RELIGIOSI) (1552) N e l discorso che ci siamo proposti di fare rientra anche una sezione del volume che Ortensio Lando pubblicò nel 1552 sotto il titolo Quattro libri de dubbi21*. Quello che nel disegno originale dell'opera doveva essere il quarto libro, cioè i dubbi religiosi, si rivela infatti come un testo dipendente in parte notevole dalle Pandectae di Brunfels e dalla Collectanea troporum di Westhemer 214 e animato da intenti di propaganda anabattistica. Tuttavia il processo di erosione al quale l'autore sottopone non solo la teologia tradizionale ma anche le teologie riformate è qui così avanzato, da qualificare quest'opera come il documento più significativo fra quelli noti per una ricostruzione del pensiero di Ortensio Lando da un punto di vista strettamente teologico. In tal senso i Dubbi esulano dal 209. Ibid., p. 4v. 210. Ibid., p. 7v. 211. Ibid., p. 15v. 212. Ibid., p. 18r. 213. In calce il volume porta un avvertimento in cui il Giolito si scusa con i lettori di dare solamente tre libri di dubbi invece dei quattro promessi nel frontespizio, per non aver potuto ottenere ancora la licenza di stampa per i »dubbi amorosi«. Essi furono poi stampati nei Quattro libri de dubbi del 1555. 214. Dopo i confronti dati nelle pagine precedenti non mi sembra necessario insistere sulla dipendenza dei Dubbi dalle Pandectae. Mi limiterò a citare un solo esempio: «Domanda. Desidero saper da voi quai sieno i passi della Scrittura ove si scuopra che Christo sia il mediator nostro. Risposta. Et io per sodisfare al desiderio vostro due ve ne cito, de' quali l'uno è nel 2 capo della pistola agli Ephesii scritta et l'altro è nella prima a Timoteo. Agli Ephesii si scrive <per quello habbiamo adito al Padre> et a Timoteo <esserci uno Iddio et uno mezzano fra Iddio et gli huomini Christo Giesù>», Dubbi, pp. 240—41. Cfr. Pandectae, «Christus mediator» e i testi ivi addotti, p. 15v. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Anche della dipendenza dei Dubbi dalla Collectanea troporum di Westhemer darò solo un esempio. Dubbi, p. 282: «Domanda. Che debbo intendere per le abhominationi et per edificar altrui [nella Scrittura]? Risposta. Per le abhominationi dovete intendere gli idoli ...; per edificar poi spesso anzi il più delle volte s'intende l'insegnar et per instaurare». Cfr. Collectanea troporum, parte II, pp. 32v, 26v-27r: 'Abominatici. Homo abominabilis is dicitur in Scriptura, qui relieto vero Deo ad idola confugit ... Aedificare. Aedificare pro instaurare ... Aedificare pro docere.» Anche questi esempi si potrebbero moltiplicare. 256 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM limitato ambito del presente saggio: perciò ci limiteremo a considerarne gli aspetti che si presentano come integrativi e complementari rispetto alle considerazioni che siamo venuti svolgendo nelle pagine precedenti. I Dubbi religiosi si presentano come una serie di brevi e disparate domande in materia religiosa seguite da altrettanto brevi risposte. Dal punto di vista del contenuto, essi appaiono a prima vista come una casuale accozzaglia di curiosità scritturali senza capo né coda. Le sezioni in cui i vari quesiti sono ripartiti non riflettono un ordinamento per materia, ma per personaggi: dei dubbi contenuti in ogni sezione è attribuita la paternità a uno dei mecenati, ospiti o autorevoli amici dell'autore, da Lucrezia e Isabella Gonzaga alla principessa di Salerno 215 . Così, sotto pretesto di non defraudare i dubitatori delle loro ingegnose escogitazioni 216 , il Lando ha sistemato il suo materiale in base a un principio di consapevole asistematicità. L'asistematicità - più apparente che reale (perché talvolta molti dei dubbi attribuiti a una stessa persona vertono su uno stesso tema) - consente al Lando di esprimersi con sorprendente libertà. Egli introduce dottrine eterodosse attraverso ambiguità e insinuazioni, le riprende a distanza di pagine una, due, tre volte, le aggiusta attraverso una serie di ritocchi, riuscendo finalmente a enucleare la formulazione che fin dall'inizio ha perseguito. A illustrare questo procedimento può servire il tema del battesimo. Alla domanda «quando incominciamo noi ad esser christiani?» il Lando dà una risposta che appare, almeno in parte, in linea con l'ortodossia romana: incominciamo ad esser cristiani «quando usciti dal ventre della madre siamo battezati, imperodié questo è la porta per la quale si entra al christianesimo» 217 . Più avanti un altro interlocutore ritorna sul tema con una domanda scottante: «perché si battezzano i fanciulli non havendo né fede né penitenza?» Anche qui la risposta ristabilisce l'equilibrio nel senso dell'ortodossia imperante: «Io non vi ho detto che sempre debba precedere al battesimo la fede et la penitentia, percioché questo sol in quelli esser dee che di tai cose ne sono capaci, ma basta che i fanciulli mostrino queste due cose quando a convenevole età son pervenuti ...»218 Tuttavia un ulteriore dubbioso, che vuol sapere perché è stato istituito il battesimo, riceve una risposta che riduce questo sacramento a un simbolo carnale della rigenerazione spirituale, reso necessario solo dalla nostra «infirmità» : Iddio istituì i sa215. I «dubbi» della principessa di Salerno si trovano alle pp. 240-46. Nel dicembre 1551 il principe di Salerno intercedette presso il podestà di Padova a favore di un napoletano arrestato in seguito alla denuncia del Manelfi. Cfr. Stella, I, p. 95, nota 34. 216. C f r . la lettera dedicatoria dei Dubbi religiosi a Benedetto Agnelli, ambasciatore residente a Venezia del duca di Mantova, Dubbi, pp. 215-16. 217. Ibid., p. 289. 218. Ibid., p. 300. 257 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM cramenti per «disio di ricreare et di aiutare la nostra infirmiti, percioché sendo gli animi nostri aviluppati in questi corpi, habbiamo bisogno ch'anchora con le cose corporali ci sieno rappresentate le spirituali». Il battesimo dunque non ha altro valore che di «rappresentare» 219 la remissione dei peccati, la nostra rigenerazione e rinnovazione spirituale operata dalla morte e dalla resurrezione di Gesù Cristo: la morte di Cristo ha la «virtù di fare che il nostro vecchio Adamo sia crocifisso o sepolta sia la vitiosa nostra natura, accioché ella non habbia più vigore di regnare; la resurrettione poi causa la novità della vita per seguire la vera giustitia». Sull'interpretazione spiritualistica del battesimo il Lando trova modo di ritornare altre due volte, una volta presentando il battesimo come «simbolo della purificatione et del scancellamento del vecchio Adamo et vestimento del nuovo, al che pervenir non si può salvo che con la morte della presente carne», un'altra volta come segno che il battezzato «è morto et sepolto insieme con Christo al peccato, et è risuscitato insieme con Christo a nuova vita spirituale celeste et divina, non vecchia, non carnale terrena et humana» 220 . In conclusione dunque, nonstante una serie di oscillazioni, ambiguità e concessioni tattiche alla dottrina dominante, il Lando riesce nei Dubbi religiosi a formulare una dottrina del battesimo come «puro segno», «segno esterior», molto vicina a quella che troviamo diffusa negli stessi anni fra gli antitrinitari del Veneto. Ecco per esempio la testimonianza del vescovo anabattista Benedetto d'Asolo: «Ho detto il battesimo ... esser un segno della fede per la quale i credenti si annegano al mondo, alla carne, al Diavolo nelle pompe sue et demum a tutto l'huomo vecchio con tutti i suoi atti, et questo per la morte di Christo recevuta in remission dei peccati. Et come Christo resuscitò a gloria del Padre, così loro si levano da quell'anegarsi a una nova vita per quel spirito di Dio che era in Christo.» 221 A chi cerchi una forma che consenta la massima libertà d'espressione, lo schema «domanda lampo-risposta lampo» offre dunque il vantaggio dell'asistematicità, la quale consente di pervenire alla risposta verace per approssimazioni suc- 219. Ibid., p. 298. 220. Ibid., pp. 299, 244, 276. Specialmente rivelatore è il «dubbio» che riguarda il battesimo di Cristo, p. 244. Il tipo di dubbi che la riflessione sul battesimo di Cristo poteva suscitare risulta chiaro in Camillo Renato, Trattato del battesimo e della santa cena: «Che utilità acquistò Iesù Cristo per battezzarsi? Si confirmò egli? Si certificò egli di qualche cosa? ... O forse che il battesmo è meno fruttuoso in lui che in noi?» C f r . Opere documenti e testimonianze, ed. Antonio Rotondò, Corpus Reformatorum Italicorum (Firenze, Chicago 1968), p. 96. 221. Stella, II, p. 77. Per il battesimo come «puro segno», «segno esterior» cfr. ibid., p. 26, nota 31. 258 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM cessive e dopo aver dato, a scopo cautelativo, varie risposte bugiarde. Ma il vantaggio maggiore che questo schema offre a un eretico222 non sta nella costellazione e disposizione strategica dei vari «dubbi», bensì nella forma stessa del «dubbio», che il Lando dimostra qui di dominare con tanta maestria. Il «dubbio» permette di illuminare lo stesso problema da almeno due diverse angolazioni, quella del dubbioso e quella del docente, o anche da tre o quattro angolazioni, se il docente non ha una risposta univoca, ma diverse probabili risposte. Il «dubbio» consente di minare impunemente ogni dogma, sotto l'apparenza dell'imperizia, che modestamente chiede di essere ammaestrata. Infine il «dubbio» permette di rispondere a una domanda compromettende in modo irreprensibile oppure a una domanda chiara in modo ambiguo e insoddisfacente. Ecco un esempio di domanda precisa e circostanziata, seguita da una risposta insoddisfacente: Domanda: «Donde è che alcuni impii hanno havuto ardimento di accusar Dio ch'egli insegnasse al propheta di dir la menzogna? Ecco le parole che Dio gli disse: <Vitulum de armento tolle in manu tua et dices: ad immolandum Domino veni.>» Risposta: «Veramente che questa non fu bugia, percioché egli fu sacrificio. Gli fu adunque così detto, perché tacesse l'opra per cui si n'andava et quella opra manifestasse ch'era fuor di proposito.»223 Come si vede, la risposta non chiarisce affatto il dubbio, anzi non è nemmeno chiara in se stessa: la sua oscurità accentua con forza la chiarezza della domanda e induce a cercarne la soluzione nel testo biblico. Il testo biblico, al quale la domanda sopra menzionata rinvia, racconta come Samuele, incaricato di ungere David nuovo re e timoroso dell'ira di Saul, ricevesse dal Signore l'ordine di andare a ungere David, fingendo di andare invece a fare un sacrificio. La sacra pagina conferma dunque la tesi «empia» che Samuele mentì per ordine divino e suggerisce la conclusione che la menzogna può essere lecita, anzi obbligatoria (l'episodio della menzogna di Samuele fornisce infatti a Brunfels uno dei suoi argomenti a favore della simulazione224). Esempi di risposte non compromettenti a quesiti compromettenti offrono quei dubbi religiosi che riguardano le contraddizioni interne del testo biblico. Le risposte relative tendono a spiegare le lievi contraddizioni così sottolineate e a ristabilire la concordanza interna della Scrittura; ma l'insistenza su tal genere di precise domande e la banalità poco risolutiva delle risposte acquista un particolare significato in riferimento all'opinione, sostenuta da certi antitrinitari vene222. Cantimori, pp. 133-39. 223. Dubbi, p. 230. 224. I Sam. 16. Cfr. Pandectae, p. 124v. 259 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM ti, che i vangeli fossero stati almeno in parte falsificati, dal momento che essi risultavano contraddittori 225 . I Dubbi religiosi ci consentono di integrare le osservazioni che siamo venuti svolgendo nelle pagine precedenti specialmente riguardo ai seguenti punti: 1. la dottrina della rigenerazione e della tranquillità dell'animo come parte integrante della dottrina della giustificazione per la sola fede, 2. la dottrina dei sacramenti come segni e la teoria che la salvazione è indipendente dal battesimo e perfino dalla conoscenza di Cristo, 3. l'atteggiamento nei confronti del potere temporale. 1. La formulazione della dottrina luterana della giustificazione per la sola fede, che abbiamo visto accennata nel Ragionamento del patriarca Grimano e nella Vita di Ermodoro, è ripresa e completata nel Dialogo della Sacra Scrittura con la dottrina dell'espiazione sostitutiva di Cristo e con le sue conseguenze. Singoli elementi, frammenti di tale concezione appaiono disseminati nei Dubbi con insistenza martellante (Cristo solo mediatore, solo capo della chiesa, solo re, Cristo fondamento della chiesa, Cristo solo deve essere invocato, l'altrui fede non salva, i giusti non soggiacciono alla legge, l'uomo è dannato per legge226 e così via), ma appaiono integrati con la dottrina anabattistica della rigenerazione. Invero l'uomo è di per sé impotente a pervenire alla salvezza, ma quando il vecchio Adamo - ossia la natura umana corrotta - viene crocifisso con Cristo, il peccato perde il suo regno su di lui; subito dopo, sotto il tocco dello spirito, l'uomo risorge con Cristo come Adamo rigenerato e spiritualmente rinnovato, capace di seguire la vera giustizia, vestito di nuovi affetti, cioè di umiltà carità castità 227 . Questa rigenerazione, di cui il battesimo è segno esteriore, trasforma l'uomo in un attivo discepolo di Cristo, spontaneamente fecondo di buone opere 228 . L'uomo rigenerato si muove fra i turbini del mondo in un alone di tranquillità e di gioia229. Quando Cristo entra nella navicella degli apostoli, cade la tempesta e l'ansia si trasforma in allegrezza 230 : questo mistero c'insegna che Cristo è quiete totale, che tutte le angosce si dissolvono in sua presenza e che i veri cristiani sono sempre lieti, perché la letizia dell'animo è frutto dell'abbandono fiducioso alla provvidenza di Dio 231 . 225. Dubbi, pp. 303, 307, 308. Per le posizioni degli anabattisti veneti sulle contraddizioni del Vangelo cfr. Stella, II, pp. 17, 52. 226. Dubbi, pp. 241-43, 252, 257, 261, 269, 274, 275. 277. Ibid., pp. 299, 311. 228. Ibid., pp. 240, 295. 229. Ibid., p. 311. 230. Ibid., p. 315. 231. II Lando scrisse la lettera dedicatoria di un trattatello di Isabella Sforza Della vera tranquillità dell'animo pubblicato da Aldo a Venezia nel 1544. 260 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM 2. Abbiamo visto sopra come nei Dubbi religiosi si trovi una formulazione del resto anticipata dal Dialogo232 - dei sacramenti e specialmente del battesimo come segni. Questa dottrina comporta una svalutazione dei sacramenti che non risparmia nemmeno la cena: essa sembra infatti presa di mira in una serie di «dubbi» che tendono a minimizzare in senso spiritualistico l'importanza del corpo di Cristo. Cristo respinse l'abbraccio di Maddalena per distoglierla dal sopravvalutare la propria persona fisica233. Se alcuni infermi risanò con il contatto e altri con la sola parola, fu perché noi imparassimo che la sua presenza carnale non è assolutamente necessaria234. Non occorre perseguire la presenza fìsica di Cristo perché la sua parola è sufficiente. Per distoglierci dall'eccessiva riverenza della sua carne e indirizzarci allo spirito, egli disse: «è espediente che io me ne vada, e se io non ne me vado, lo spinto consolatore non verrà a voi» 235 . Questa svalutazione del corpo di Cristo in confronto della parola si trova in un opuscoletto brunfelsiano 236 , per quanto qui il Lando possa aver avuto presente anche la corrispondente posizione di Erasmo nt\Y Enchiridion237. Il processo di svalutazione del sacramento arriva a conseguenze radicali riguardo al battesimo: se il battesimo è solo segno esteriore di una interiore rigenerazione per opera dello spirito, esso non è più necessario alla salvezza. Ma se il battesimo non è necessario alla salvezza, si può chiedersi anche se la conoscenza di Cristo e del Vangelo ne sia condizione indispensabile. Iddio vuole che tutti gli uomini siano salvi 238 ; l'episodio del ladrone che conobbe e professò Gesù nell'ora in cui i suoi più intimi se ne tenevano lontani, ci insegna a non disperare mai della salute di alcuno 239 . E del resto, come interpretare l'affermazione del Creatore «io ho delle altre pecore che non sono di questo ovile» e «molti verranno dall'Oriente e dall'Occidente che godranno con Abramo e Isaacco», se non nel senso che non importa esser cristiani di nome per esserlo di fatto 240 ? In particolare la visitazione dei magi dimostra che lo spirito salvifico alita anche oltre i confini del mondo evangelizzato: i magi che muovono verso Betlemme da paesi dove non era stata ancora predicata «la salute per Giesù Christo» simboleggiano gli eletti ammaestrati da Dio, senza bisogno di predicazione 232. 233. 234. 235. 236. 237. 238. 239. 240. Dialogo, p. 66r. Dubbi, p. 307. Dubbi, p. 245. Dubbi, p. 307. Ginzburg, Nicodemismo, p. 12. Opera Omnia, LB V, col. 32. Dubbi, p. 259. Ibid., p. 304. Ibid., pp. 236-37, 248. 261 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM umana 241 . La conclusione è che non si deve disperare «della salute di coloro a' quali non è anchora stato conceduto il potere udire il Vangelo». La coloritura umanitaria e razionalistica, che tale conclusione poteva assumere, viene alla luce in un passo del Commentario d'Italia delle più notabili cose pubblicato dal Lando a Venezia nel 1550. Qui il Lando combatte il commercio degli schiavi, che aveva visto praticare in Sicilia, in base a un ragionamente nel quale la ragione appare come scintilla del lume che illumina ogni uomo che viene al mondo, segno della partecipazione all'eredità cristiana della salvazione: «Io vidi [in Sicilia] tener le razze d'huomini per venderli come si vendono cavalli, buoi, muli, et altri irragionevoli animali, il che parventi pessimamente fatto. Imperodié, quantunque non habbino il sacro battesimo, sono però dotati di ragione et possono anch'essi dir: <signatum est super nos lumen vultus tui Domine>. Portano in fronte come noi altri l'imagine d'Iddio et per essi come per noi è morto Giesù Christo.» 242 Se si confronta questo passo del Commentario con la più esplicita asserzione della emanazione universale della salvezza contenuta nei Dubbi1*3, si arriva alla conclusione che il Lando oscilla, nella sua fondazione di tale teoria, fra il razionalismo umanitario e il misticismo dell'ispirazione diretta dello spirito. Anche se il misticismo appare preponderante 244 , certi atteggiamenti razionalistici non sono estranei al Lando, come dimostra la sua posizione di fronte ai miracoli. Già nel Dialogo Pandectae2ii, della Sacra Scrittura si trovano enunciati che, sulla scia delle tendono a distogliere i pi i dalla dimensione miracolistica della fede. Nei Dubbi questa tendenza sbocca nel rifiuto del miracolo come momento dell'esperienza religiosa. Miracoli possono farne anche i più tristi e scellerati 246 e non sono i miracoli quelli che fanno cristiani 247 ; Iddio non adopra miracoli dove i debiti soccorsi del nostro intelletto e del nostro impegno pratico non ci vengono meno 248 ; in fondo il dono di far miracoli non è di molta eccellenza, come si capisce dal fatto che Giovanni Battista, del quale non nacque mai uomo 241. Ibid., p. 248. 242. Commentario delle più notabili et mostruose cose d'Italia et altri luoghi, di lingua aramea in italiano tradotto, nel quale s'impara et prendesi estremo piacere. In Venetia al segno del Pozzo MDL, p. lOv. 243. Dubbi, p. 248. 244. Sul preponderare del misticismo sul razionalismo negli eretici italiani prima di Lelio Sozzini cfr. Cantimori, p. 128. 245. Dialogo, pp. 11 ν. Cfr. Pandectae, p. 53v. 246. Dubbi, p. 290. 247. Dubbi, p. 294. 248. Ibid., pp. 249, 253. 262 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM più santo, non faceva miracoli 249 . Anche Cristo usò moderatamente della facoltà di far miracoli (come attesta l'episodio della piscina probatica, dove egli risanò un solo malato, mentre avrebbe potuto risanarli tutti) 250 e comunque non fece miracoli fra i miscredenti: vi sono miracoli solo là dove vi è fede 251 . Questa concezione negativa, o almeno fortemente svalutativa, dei miracoli ci autorizza a relegare tutti i capitoli miracolistici della Vita di Ermodoro fra gli espedienti simulatori e di camuffamento. 3. Uno dei temi che tornano con insistenza nei Dubbi religiosi è quello dell'autorità temporale. Abbiamo visto come, nel Dialogo, essa venga lungamente discussa e in definitiva rifiutata, sia al livello del potere sia al livello del diritto, in quanto contraria all'insegnamento evangelico e per sua natura oppressiva della verità. Questo atteggiamento negativo è ribadito e integrato nei Dubbi da chiare prese di posizione a favore del pacifismo (non è lecito ai cristiani far guerre fra loro 252 né in genere è lecito difendersi con le armi, perché i cristiani sono come pecore destinate al macello 253 ) e contro l'accumulazione della ricchezza 254 , da insinuazioni ricorrenti contro il giuramento 255 e contro il diritto dei magistrati di punire i colpevoli 256 . Tuttavia il rifiuto di tutti i cardini della vita civile e sociale è accompagnato da un'opera di dissuasione da ogni velleità di resistenza attiva contro l'ordinamento vigente. «Iddio moltiplica il giogo a chi cerca di scuoterlo» - insegna il Dialogo della Sacra Scrittura, traducendo per gli italiani le amare esperienze riassunte da Brunfels nelle Pandectae - e il profeta Geremia ha scritto: «hai consumato le catene di legno et sarannoti fatte catene di ferro» 257 . Il principio di non resistenza all'autorità è ribadito nei Dubbi dal ricordo di Giuda Gaulonide, il quale volendo ridur i Giudei in libertà, li ridusse in estrema rovina 258 . La conclusione conservativa che tali posizioni suggeriscono è che non esiste «podestà veruna che da Iddio non dependi ..., laonde chi resiste alla podestà humana, resiste alla ordinatione divina» 259 . Perciò bisogna dimostrare rispetto di fronte all'autorità umana, anche se tirannica (come insegna l'atteggiamento di Cristo di fronte all'autorità 249. 250. 251. 252. 253. 254. 255. 256. 257. 258. 259. Ibid., p. 261. Ibid., p. 316. Dialogo, p. 9r. Dubbi, p. 257. Ibid., p. 244. Ibid., pp. 290, 314. Ibid., p. 257. Ibid., p. 273. Dialogo, p. 17v. Dubbi, p. 267. Ibid., p. 267. 263 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM romana 260 ), a meno che essa non voglia distoglierci dal vero culto di Dio e dalla professione della verità 261 . Invero una volta il Signore sfidò l'autorità costituita, chiamando Erode «volpe» : ma simili sfide si possono permettere solo coloro che sono veramente ripieni di spirito santo 262 . L'idea tanto cara al Lando del profeta ispirato, che non teme la potenza terrena, è presente anche nei Dubbi, ma accompagnata da avvertimenti prudenziali e cautelativi. Nella vita civile dunque i santi non devono far resistenza all'autorità, in quanto essa è di origine divina; ma a loro personalmente non è lecito usare armi, né ricorrere in tribunale, né ricoprire magistrature secolari o ecclesiastiche. Echi di convinzioni e posizioni analoghe sembra di riconoscere nelle deposizioni degli anabattisti veneti, i quali affermano di consentire ai principi in tutte le cose, «pur che non siano contrarie alli precetti de Dio» e ammoniscono che si deve «obedir alli magistrati temporali et darghe obedientia et reverentia et che la potestà è data da Dio alli signori per punir li maledetti» 263 ; dall'altro lato insegnano ai loro adepti che, se qualcuno li deruba, lo devono sopportar «in patientia» e non vogliono che fra loro vi siano magistrati che pronuncino sentenze 264 . Nel Dialogo della Sacra Scrittura e nei Dubbi il Lando attinge, oltre che alle Pandectae, alla Collectanea troporum di Bartholomäus Westhemer. Varrà la pena di accennare qui all'importanza di questa fonte e all'uso che ne fa il Lando. La seconda parte del volume di Westhemer, intitolata Troporum in sacris litteris usus, è un repertorio di locuzioni bibliche ordinate alfabeticamente, con una spiegazione del loro significato. I risultati di questo lavoro di filologia biblica si prestano spesso a essere usati come base di concezioni teologiche radicali. Che tale uso si riscontri anche nel Lando lo proveremo in base a due esempi. Alla parola angelus Westhemer dedica una spiegazione che si conclude così: «insomma col nome di angelo la scrittura intende i ministri pubblici o i messaggeri di Dio». Dunque «chiunque compie i mandati del Signore e annuncia la sua parole è angelo e legato» : la concezione dell'angelo come spirito celeste non resta del tutto esclusa, ma l'accento è posto sull'angelo come profeta o apostolo in terra 265 . A questo passo di Westhemer si collega probabilmente il «dubbio» religioso che offre al Lando l'occasione di definire come angeli «alcuna volta i 260. Ibid., p. 267. 261. Ibid., p. 267. 262. Dubbi, pp. 271-72. 263. Stella, II, pp. 93, 71. 264. Stella, II, p. 71. 265. Collectanea, parte II, pp. 7v-8r. C f r . Ginzburg, Nicodemismo, dipendenza di Camillo Renato da Westhemer. p. 120, sulla 264 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM figliuoli di Iddio, alcuna volta [gli] huomini di Iddio», conformemente alle concezioni diffuse fra gli anabattisti veneti 266 . Della parola anima Westhemer sostiene che essa «spesso nelle sacre lettere viene usata nel senso di vita», ossia che si parla di anima in quanto essa vivifica e fa vegetare il corpo 267 . Troviamo insinuata questa interpretazione nelle risposte che il Lando dà ad alcuni dubbi religiosi: «anima s'intende la cupidigia, anima la voluntà, la persona, la vita naturale» e «giurare per l'anima» equivale nelle sacre lettere a giurare per sé stesso. La testimonianza dell'anabattista Giambattista da Voltolina ci insegna che l'equivalenza anima-vita serviva come prova della mortalità dell 'anima rationalis e come fondamento della teoria del sonno delle anime dopo la morte nelle conventicole eterodosse dell'Italia settentrionale 268 . VI. O R T E N S I O L A N D O E L'ANABATTISMO VENETO Un'opera di propaganda religiosa eterodossa cosi consapevole e pertinace, come quella che abbiamo illustrato nelle pagine precedenti, è diffìcilmente concepibile come fatto individuale e isolato. Si pone dunque il problema di stabilire un legame f r a le opere che abbiamo esaminato e i gruppi eterodossi presenti e attivi in Italia verso la metà del secolo X V I . Una probabile soluzione di questo problema si offre, per così dire, da sé. Noi sappiamo che proprio in questo periodo fiorivano in Italia, specialmente nel Veneto, piccole comunità anabattiste regolarmente visitate da ministri della parola, i quali tenevano le fila dell'intero movimento. Anche se queste comunità non erano così numerose e forti come le fece apparire il loro delatore 269 , tuttavia esse si sentivano abbastanza vitali da organizzare nel settembre del 1550 a Venezia un concilio anabattista destinato a dibattere e risolvere una serie di problemi di dottrina. Poco più di un anno dopo, nell'ottobre 1551, queste comunità furono denunciate da uno dei loro ministri itineranti, il marchigiano Pietro Manelfi, colto da un improvviso ripensamento. La circostanziata denuncia del Manelfi segnò l'inizio di una serie di arresti e processi, che soffocarono e dispersero l'anabattismo veneto. Gli atti di tali processi e i documenti che li corredano, a partire dai costituti del Manelfi, costituiscono la principale anche se non esclusiva fonte delle nostre conoscenze sulle dottrine e la storia del movimento e offrono una base sufficientemente larga di confronti con le dottrine che abbiamo trovato esposte nelle opere di Ortensio Lando. 266. 267. 268. 269. Dubbi, pp. 282-83. Cfr. Stella, II, p. 47. Collectanea, parte II, pp. 13r-v. Dubbi, pp. 280, 283. Cfr. Stella, II, p. 61. Stella, II, pp. 64-72. 265 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM Le operette da noi esaminate sono legate alla storia dell'anabattismo italiano da una serie di coincidenze esteriori. Esse sono tutte stampate a Venezia, centro riconosciuto del movimento anabattista. La lettera dedicatoria della Vita del Beato Ermodoro è datata 16 agosto 1550, cioè circa un mese prima dell'apertura del concilio anabattista; la lettera dedicatoria del Dialogo della Sacra Scrittura è datata 6 aprile 1552, il che la colloca a pochi mesi di distanza dalla denuncia del Manelfi 270 . Sembra di poter concludere che le operette eterodosse del Lando che abbiamo esaminato sono scaglionate lungo un arco di tempo, che segna l'acme dell'espansione e della vitalità dell'anabattismo in Italia, subito prima della sua rapida ed energica repressione. Ma queste coincidenze geografiche e cronologiche sono di scarso significato in confronto a quelle che si possono stabilire sul piano dottrinale. Ad alcune di queste analogie abbiamo già accennato di passaggio nelle pagine precedenti. Qui cercheremo di stringere la dimostrazione incentrandola su tre punti d'importanza fondamentale dal punto di vista dottrinale: 1. la cristologia, 2. l'ecclesiologia, 3. il battesimo e il suo valore. 1. La nature di Cristo e i suoi rapporti col Padre furono uno dei temi più vivamente dibattuti nel concilio anabattista del 1550. Anche se dubbi circa la divinità di Cristo erano già diffusi nei gruppi veneti nel periodo precedente, solo il concilio stabilì definitivamente «Cristo non essere Dio ma huomo concetto del seme di Ioseph et di Maria» 271 . Nelle opere di Ortensio Lando che abbiamo esaminato non si trova l'equivalente di un'affermazione così recisa; ma la dottrina dell'umanità di Cristo è insinuata, se non erro, attraverso una serie di accenni indiretti. Per esempio quella professione di fede, con la quale si apre la settima e ultima parte del Dialogo, non dichiara che Cristo è figlio di Dio, ma che è il «seme» promesso «ad Adam, ad Abraam, a Isaac, a Iacob, a David» 272 . Il termine «seme» costituisce anche la chiave di quella pagina del Dialogo dedicata alle profezie cristologiche del Vecchio Testamento 273 . Come spiegare tanta insistenza, se non intendendo il termine «seme» come una parola d'ordine atta a riproporre a un pubblico di lettori iniziati la dottrina della concezione puramente umana di Cristo? In questo senso possono essere interpretati anche alcuni dei Dubbi religiosi. Uno di essi per esempio è incentrato sugli appellativi divini : perché nelle sacre lettere l'appellativo «Dio» è diretto per lo più al Padre, mentre si dà al Figlio il nome di «Signore»? La domanda provoca una risposta nella quale il Padre «vero fonte della deità» e «solo da niuno dependente», detentore del principale luogo fra le persone divine, viene distinto dal Figlio 270. La data della denuncia è il 17 ottobre 1551. 271. Ginzburg, Costituti, p. 34. 272. Dialogo, p. 64r. 273. Ibid., p. 6r. 266 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM «redentore oliberatore», per mezzo del quale ilPadre ci ha »ricoverati» 274 . Anche nel Dialogo l'uguaglianza fra le persone divine viene messa in questione: Cristo «rimane in eterno eguale al Padre quanto alla divinità, benché minor del Padre quanto alla humanità» 275 . Nella risposta a un dubbioso, il Redentore viene designato come «supremo signore padrone de tutti i propheti« e la sua trepidazione davanti alla morte viene interpretata come dimostrazione «ch'egli haveva in se stesso ricevuto la natura humana» 276 . Un altro sottile dubbioso vuol sapere perché l'evangelista chiami Cristo figlio di David e di Abramo, cioè perché in questa genealogia venga prima David e poi Abramo. La domanda dà al docente l'occasione di dimostrare attraverso una serie di esempi come Cristo fosse generalmente considerato fra gli Ebrei discendente di David 277 . La convergenza fra le posizioni degli antitrinitari veneti e quelle formulate dal Lando sui rapporti fra Padre e Figlio diventa stringente nella dimensione escatologica: «al iuditio Iesu Christo restituirà el regno al Padre et [il Padre] regerà per se medesimo, ma adesso regna et vige per mezo de Christo» 278 , dice l'anabattista Giambattista da Voltolina nella sua professione di fede. E il Lando nella settima parte del Dialogo: «all'hora sarà il fine del mondo, quando il Figliuolo restituerà il regno suo a Dio Padre« 279 . 2. Sul piano ecclesiologico le coincidenze fra le posizioni del Lando e quelle degli anabatisti veneti sono più precise. Abbiamo visto come per il Lando la vera chiesa sia «tutta spiritale, senza macchia, irreprensibile». Le implicazioni negative di questi attributi ecclesiologici (insistentemente ricorrenti nelle opere del Lando 280 ) vengono chiarite da una lettera dell'anabattista rodigino Francesco della Sega alla madre e ai fratelli: «in nissun modo adonque si ha da dire che una ... congregatione cosi cattiva et perversa [come la chiesa romana] sia la chiesa di Christo, perché la ... chiesa de Dio è santa ¡maculata senza ruga et macchia» 281 . Anche per definire positivamente il loro concetto di chiesa il Lando 274. Dubbi, p. 238. 275. Dialogo, p. 7r. C f r . Pandectae, p. 30r. 276. Dubbi, p. 230. 277. Ibid., ρ. 246. Nella sua propaganda orale il vescovo anabattista Benedetto d'Asolo insegnava «che Christo era nato del seme di santo Iseppo et di Maria, secondo le promesse che Christo dovea nascer della stirpe di David», Stella, II, p. 74. 278. Stella, II, pp. 58-59. 279. Dialogo, p. 66r. 280. Dialogo, p. 7v. Dubbi, p. 292. 281. Stella, II, p. 298. Per cautelarsi dal pericolo che implicazioni anticattoliche potessero essere intraviste dietro le sue righe, il Lando, dopo aver definito la «vera chiesa» come «senza macchia et irreprensibile», aggiunge simulatamente «si la triomphante ma non la militante», Dubbi, p. 292. 267 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM e gli anabattisti veneti ricorrono alle stesse parole. La vera chiesa è per il nostro «la congregatone de' buoni», il «concilio de' giusti» con a capo Cristo: essa non risiede in alcun luogo fisso bensì si trova «dovunque siano due o tre congregati nel nome [del Signore]» 282 . Ed ecco, fedele come un'eco, Giambattista da Voltolina: «tengo per giesia l'union de' fedeli, et noi non cognoscemo capo alchuno de la giesia in terra, salvo che Christo ... et dove sono dui over tre congregati in nomine de Dio quella è giesia»283. Che la chiesa così definita debba essere una comunità di poveri ¿ un principio che il Lando e gli anabattisti fondano sullo stesso passo scritturale. «Christo disse: <le volpe han le cave et li ucelli hanno il suo nido et il figliuolo dell'uomo non ha dove metter il capo>, adunque bisogna che i membri di Christo et i suoi servi siano anch'essi poveri, perché non è servo maggior del suo padrone» attestano gli anabattisti 284 ; e il Lando insegna che, per esortare alla povertà e dimostrare che Christo visse poveramente, bisogna servirsi di quel «santo oracolo: le volpi hanno le lor tane et le lor fosse, gli ucelli hanno i lor nidi, et il figliuolo del huomo non ha dove riposare il capo» 285 (questa citazione biblica ritorna con insistenza notevole nelle opere a stampa di Ortensio Lando che abbiamo visto 286 ). L'idea che la chiesa debba essere povera è integrata dall'idea che essa debba essere spoglia di potere e oggetto di persecuzione, come abbiamo visto nella Vita di Ermodoro e nel Dialogo. Anche gli anabattisti veneti avvertono i loro adepti «che intrando in questa dottrina seriano perseguitati fin alla morte per el nome de Christo» 287 . 3. Nelle pagine precedenti abbiamo già stabilito un confronto fra le formulazioni del Lando riguardo al battesimo e le posizioni degli anabattisti veneti 288 . Questo confronto può essere ulteriormente sviluppato. Si può dimostrare che sia l'uno che gli altri fondano la loro svalutazione del battesimo sul versetto di Marco (XVI, 15-16): «andate per tutto il mondo e predicate l'evangelo ad ogni creatura; chi avrà creduto e sarà stato battezzato, sarà salvo», dal quale deducono l'invalidità del battesimo dei fanciulli incapaci di fede. Il vescovo anabattista Benedetto d'Asolo dichiara «che il battesimo qual si usa hoggi nella chiesa romana non è quello che ha ordinato Christo, dicendo Giesù Christo: <predicate l'evangelio et chi crederà et sarà battezato sarà salvo>»289. La stessa posizione 282. 284. 285. 286. 287. 288. 289. C f r . sopra, p. 40. 283. Stella, II, p. 96, nota 237. Stella, II, p. 70, nota 163. Dubbi, p. 243. Dialogo, p. 7; Una breve prattica di medicina, cit., p. 5v. Stella, II. p. 48. C f r . sopra, pp. 49-50. Stella, II, p. 77. 268 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM si trova nella propaganda orale che svolge, sotto forma di «dubbi», l'istriano Gian Giorgio Patrizi : «comintiò - dichiarano i testi - a dimandar alcune difficultà, tra le altre per che cosa Christo haveva ordinato a li discipoli che, andando a predicar l'evangelio, gli facesse intender che chi crederà et sarà batizado serà salvo ... perché haveva ditto prima chi crederà et poi sera batizato ...P»290 Una posizione del genere, biblicamente fondata, non si trova - per quanto so - in nessuna delle opere conosciute del Lando. Ma un sua manoscritto latino, che risale all'inizio del decennio 1540-50, comprende un passaggio che si dà qui di seguito in traduzione italiana: «Il Signore disse ai suoi seguaci: <andate, ammaestrate tutti e battezzateli). Se lui mise prima l'ammaestramento e poi il battesimo, perché noi invece battezziamo quelli che non abbiamo ancora istruito nella fede cristiana? Forse perché gli apostoli, specialmente destinati a divulgare il vangelo, avrebbero avuto a che fare con adulti? Per questo [Cristo] prescrive che prima li dovevano ammaestrare? Infatti chi sarebbe stato d'indole così crassa e stolida da lasciarsi passivamente battezzare, se prima non gli avevi fatto capire in nome di chi doveva essere battezzato e quale vantaggio gliene sarebbe derivato?» 291 La corrispondenza fra tale questione e l'atteggiamento del Patrizi è così stretta, che si direbbe che l'uno dipenda dall'altro. (Anche l'idea landiana che la salvezza non dipende dal battesimo trova corrispondenza fra gli anabattisti veneti, i quali sostengono che si può andare in paradiso *etiam senza el batesimo»292.) Si potrebbe obiettare che le dottrine cristologiche, teologiche e del battesimo così formulate non sono caratteristiche degli anabattisti veneti e che non si può dimostrare un rapporto d'interdipendenza in base a coincidenze su dottrine largamente diffuse 293 . Ma fra le dottrine dibattute nei gruppi anabattisti italiani e le operette del Lando vi sono anche delle corrispondenze particolari. Per esempio nella Vita di Ermodoro si trova annoverato fra i principali doveri di carità attiva quello di 290. Stella, II, p. 84. 291.' Su questo manoscritto ho intenzione di tornare più a lungo in un lavoro in preparazione. 292. Stella, II, p. 7. 293. Un'altra obiezione potrebbe vertere sulle contraddizioni f r a le dottrine del Lando che abbiamo esposto e certe pratiche diffuse negli ambienti anabattisti dell'Italia settentrionale. Se il battesimo è solo un segno esterno e inessenziale, perchè praticare il ri-battesimo? Se la chiesa è una comunità invisibile e diffusa dappertutto, perchè fondare una nuova chiesa? Contraddizioni del genere si notano anche in personalità di notevole energia intellettuale, come Camillo Renato. C f r . Williams, p. 552. 269 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM prestare assistenza agli incarcerati per la religione «cattolica» 294 . Mi sembra che questa oscura allusione non si possa spiegare se non come un richiamo alla pratica degli anabattisti veneti di visitare in carcere i loro compagni di fede, imprigionati per causa di religione. Il Manelfi menziona questa pratica come prova suprema del favore che circonda i suoi excorreligionari e dell'audacia con cui essi operano: «anzi vi dico di più, che sino nelle pregioni più volte habbiamo havuto adito a confortare i carcerati anabattisti et heretici, et in Venetia sono già dui anni ... entrassimo nelle pregioni, dove era uno ... heretico, dove lo ribattizassimo et de lutherano perfetto lo faccessimo anabattista» 295 . Un'altra coincidenza particolare si trova nel Dialogo della Sacra Scrittura, dove si afferma che il primo ufficio del vescovo è il «ministerio della parola» 2 9 6 . Ora «ministri della parola» erano designati i pastori itineranti che mantenevano i contatti f r a le varie comunità anabattistiche 297 . Le coincidenze più precise riguardano i contrasti dottrinali che dividevano gli anabattisti veneti. Oggetto di vive discussioni e di una vera e propria condanna furono le posizioni dei cosiddetti giudaizzanti o non adoranti, i quali (1) sostenevano che Cristo non è il Messia e che bisogna attendere il Messia vero, (2) respingevano tutto il N u o v o Testamento e di conseguenza (3) non adoravano Cristo 298 . Nella pubblicistica religiosa del Lando sembra di cogliere un riflesso di queste discussioni. Nella Vita di Ermodoro, f r a gli avversari che il protagonista si trova a fronteggiare, compare un giudeo, sostenitore (1) della dottrina che il Messia non è ancora venuto 2 9 9 (e nei Dubbi si elencano passi biblici atti a convincere «un giudeo che' altro Christo non s'habbia ad aspettare di quello che già è venuto et ne ha recato la salute» 300 ). Altri giudei convertiti al cristianesimo (2) «ricadono nel giudaismo, sprezzando la santissima parola d'Iddio» (cioè evidentemente il N u o v o Testamento) ed Ermodoro deve difenderli dalle villanie e dagli scherni dei cristiani 301 . Nel Dialogo (3) si sottolinea con enfasi l'adorazione dovuta a Cristo: egli è colui «nel cui nome tutte le ginocchia divotamente si piegano» 302 . In conclusione i confronti che si possono stabilire sia dal punto di vista esterno (cronologico e geografico) sia dal punto di vista interno (dottrinale) fra la 294. 295. 296. 297. 298. 299. 300. 301. 302. Vita, p. 7v. Ginzburg, Costituti, pp. 71-2. Dialogo, p. 15v. Ginzburg, Costituti, p. 10. Stella, II, p. 41, nota 80. Stella, II, pp. 32-33, 80-81. Vita, pp. 28v-29r. Dubbi, p. 291. Vita, p. 26v. Dialogo, p. 7r. 270 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM pubblicistica religiosa di Ortensio Lando e le posizioni degli anabattisti veneti mi sembrano, per qualità e quantità, difficilmente spiegabili come coincidenze casuali. Si potrà dunque assumere come verosimile la tesi che le operette sopra esaminate sono testi di propaganda religiosa che riflettono le dottrine professate e discusse soprattutto nei gruppi eterodossi veneti verso la metà del secolo XVI. Le fonti archivistiche ci informano che l'opera di propaganda orale di questi gruppi avveniva per gradi. Innanzi tutto si aveva cura di scegliere i propri interlocutori fra persone già vivamente interessate ai problemi religiosi, non digiune di linguaggio teologico e simpatizzanti per le posizioni riformate. Il comune terreno d'incontro e d'intesa fra i propagandisti e i loro proseliti era rappresentato dalla «dottrina luterana» della giustificazione per la sola fede, sulla quale tutti erano d'accordo303 : il primo grado dell'indottrinamento prevedeva proprio l'illustrazione di questa dottrina e il consolidamento in essa degli interlocutori. Il secondo grado consisteva nella dimostrazione cauta e graduale dei corollari solafideistici, specialmente dei corollari o «consequentie» eversive nei confronti di dogmi o cerimonie della chiesa romana 304 , come l'intercessione dei santi, il purgatorio, l'adorazione delle immagini305, i giubilei306, la confessione auricolare307. Infine il terzo grado della propaganda prevedeva una iniziazione degli adepti alle «opinioni di maggior importanza», cioè alla dottrina dei sacramenti come puri segni, alla dottrina dell'umanità di Cristo e alla dottrina del sonno delle anime dopo la morte308. Se veramente le opere di Ortensio Lando sono documenti a stampa di propaganda anabattista, allora esse si collocano fra il secondo e il terzo grado della propaganda, più vicine al seconde che al terzo. Il Lando si rivolge in un linguaggio cifrato e allusivo a un pubblico di simpatizzanti già iniziati, muovendo dalla dottrina della giustificazione per la sola fede come da un comune terreno d'intesa; insiste sulle conseguenze eversive di questa dottrina riguardo alla religione tradizionale (Cristo è il solo mediatore, il solo capo della chiesa, la sola pietra, la confessione έ interiore, la fede altrui non salva). Delle dottrine più dichiaratamente anabattistiche sviluppa quelle meno compromettenti (la chiesa dei poveri, 303. 304. 305. 306. 307. fessarsi 308. Stella, II, p. 40. Ibid., pp. 25-26, now 31. C f r . Dubbi, p. 274: «non ti farai alcuna imagine di relievo». La prossimità dell'anno 1550 rendeva attuale il problema del giubileo. «La confession che si fa al sacerdote non è cosa necessaria, perché Ί basto cona Dio», Stella, II, p. 41, nota 80. Stella, II, pp. 25-26, nota 31. 271 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM la condanna del potere e del diritto, la negazione del giuramento, i sacramenti come segni), ma insinua appena per accenni quelle più compromettenti (l'umanità di Cristo, il sonno delle anime). La principale obiezione che si presenta contro un'interpretazione delle opere del Lando come testi di propaganda anabattista è il silenzio delle fonti archivistiche: se tale interpretazione è giusta, perché nei costituti del Manelfi e nei processi del Sant'Uffizio veneziano tale pubblicistica non viene denunciata? Una risposta almeno parziale a tale domanda si può trovare nella collocazione che abbiamo tentato delle opere landiane fra il secondo e il terzo grado del proselitismo. Queste opere non sono dirette alla ristretta sfera di adepti già illuminati sui punti dottrinali più importanti, ma a un più largo ed eterogeneo pubblico di simpatizzanti e di curiosi. Il Manelfi si muove al livello più alto dell'iniziazione, nel quale si pretende dagli adepti il rigetto di tutti i libri ad esclusione della Bibbia e la rinuncia non solo a benefici ecclesiastici ma anche a diritti signorili e feudali 309 (forse per tali condizioni coloro che pervenivano a quel livello erano per lo più semplici artigiani). Il Lando invece si rivolge a interlocutori e lettori della nobiltà e della classe colta: a questo livello l'esclusivismo biblico significa scrivere un libro per persuadere che tutti i libri fuorché la Bibbia sono da buttar via, e l'aspirazione pauperistica ed egualitaria si trasforma in un dicorso retorico sul contemptus VII. della ricchezza e del potere. CONCLUSIONE Il presente saggio si apre con l'anticipazione delle tesi che esso intende dimostrare. Abbiamo dimostrato la prima tesi - cioè la dipendenza delle operette religiose, che il Lando pubblicò intorno al 1550, dalle Pandectae di Brunfels e da altre opere del gruppo strasburghese che a lui faceva capo - sulla base di un certo numero di confronti testuali, che rappresentano solo un esiguo campionario delle corrispondenze che si potrebbero documentare. D a questi confronti risulta che il Lando compose buona parte delle sue opere teologiche basandosi sulle Pandectae, nea troporum che aveva testualmente presenti, per quanto anche la Collecta- di Westhemer rappresenti una componente importante del suo pensiero teologico. Del discorso di Brunfels il Lando dà un'interpretazione personale, accentuandone o isolandone gli elementi anabattistici e settari (l'idea della persecuzione come suggello dell'elezione, la chiesa dei poveri, l'apologia del lavoro manuale, la discussione sull'autorità secolare). Invece ne riflette 309. Ginzburg, Costituti, p. 45. 272 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM senza sostanziali modifiche il discorso «sul Vangelo», cioè la fenomenologia della predicazione evangelica in terra d'empietà, nei suoi due momenti opposti e complementari: il momento dello slancio proselitico e dell'impegno nella professione della verità fino al martirio, e il momento del ripiegamento nella dissimulazione nicodemitica e negli espedienti della prudenza secolare (la menzogna, la fuga davanti alla persecuzione). La pubblicistica di Ortensio Lando intorno al 1550 verrebbe a costituire dunque il mancante anello di congiunzione fra la prima formulazione del nicodemismo come aplologia della simulazione religiosa nelle Pandectae Veteris et Novi Testamenti di Otto Brunfels e la documentata diffusione di formule e pratiche nicodemitiche nel mondo ereticale italiano a partire dalla metà del secolo310. La seconda tesi - cioè la valutazione delle operette landiane come testi di propaganda religiosa provenienti dai gruppi degli anabattisti veneti - è stata dimostrata come probabile in base a una serie di coincidenze dottrinali di carattere generale e particolare. Tale valutazione trova una conferma indiretta nei vari e talvolta complessi espedienti simulatori e dissimulatori, che il Lando mette in atto per camuffare il contenuto radicale dei suoi scritti. Crediamo di aver dimostrato che in questo mascheramento per autodifesa egli arriva al punto di scrivere il contrario di quello che pensa e che il suo procedimento non è minimamente favorito da naturale capricciosità o bizzarria, ma dettato da lucida consapevolezza. Sembra lecito applicare al Lando stesso e al suo metodo di composizione quello che il Lando dice di Platone nel Dialogo della Sacra Scrittura·. «Dovendo Platone dimostrare la dottrina d'Iddio che ne insegnarono Mosè et gli altri propheti ..., temendo delle sciagure intervenute a Socrate, et di non provocarsi contra Anito et Meleto, presso de' quali solevano accusarsi quelli che offendevano la religione, per paura di non essere astretto a ber la cicuta, compose un sermone de gl'Iddìi oscuro molto et stranamente involto, et intricato più del labirinto de' Creti; col quale parea d'acconsentire non solo a quelli, che stimarono esserci più dei, ma a quelli etiando, che il contrario affermarono.» 311 L'interpretazione delle opere del Lando come testi di propaganda anabattista, qualora venga accettata come convincente, apre più problemi di quanti ne risolva. 310. Antonio Rotondò: «Atteggiamenti della vita morale italiana del Cinquecento: la pratica nicodemitica», Rivista Storica Italiana, LXXIX (1967), pp. 991-1030, con bibliografìa sui contributi di Delio Cantimori sul problema. 311. Dialogo, p. 59r. Le parole «solevano» e «oscuro» sono emendamenti niei. La stampa legge «solevamo» e «oscura». 273 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM Vi è innanzi tutto il problema del ripensamento in chiave religiosa degli altri testi landiani pubblicati contemporaneamente o antecedentemente a quelli da noi esaminati. Vi è il problema della posizione di quel folto gruppo di personaggi della nobiltà o dell'alta borghesia italiana che in tali testi compaiono come presunti coautori, dedicatari, ospiti o mecenati 312 . Ma il problema centrale è quello della indentiti del Lando, della sua origine e del suo itinerario intellettuale e religioso. L'ufficio del cuore umano - risponde il nostro sedicente milanese a uno dei dubbi morali postigli dai suoi interlocutori - è quello «di simulare et di dissimulare.» 313 Coerentemente con questo principio, il nome di Ortensio Lando non compare né nei lunghi elenchi degli anabattisti denunciati dal Manelfi né - per quanto ne so - nei processi che a quella denuncia seguirono. Al silenzio quasi totale delle fonti archivistiche si contrappone l'eloquenza delle opere a stampa da noi esaminate, che ci tratteggiano una personalità dolorosamente e tenacemente impegnata nel «ministero della parola», esperta di tutti i suoi problemi e raffinata in tutti gli espedienti di autodifesa. Quale propagandista eterodosso o ministro della parola si è così efficacemente e durevolmente nascosto sotto la personalità fittizia del letterato Ortensio Lando? Quanto ancora ci possono rivelare le sue opere in cifra sulla geografia e la storia della eterodossia italiana verso la metà del Cinquecento? Nei suoi Sette libri de chataloghi pubblicati nel 1552 il Lando inserisce un catalogo dei moderni morti per fuoco, che si apre con il nome di Savonarola «huomo pieno di spirito profetico» e si chiude con un anonimo «N. da Asola del Trevigiano ... arso per esser anabattista» 314 . Questo anonimo non può essere altro che il vescovo anabattista Benedetto d'Asolo, che il 17 marzo 1551 suggellò con la morte sul rogo a Rovigo un'ardente opere di predicazione e un comportamento di straordinaria fermezza e altezza morale davanti al tribunale dell'Inquisizione 315 . La sua morte suscitò una profonda emozione nei circoli anabattistici veneti e segnò l'inizio della loro dissoluzione. Lo stringato accenno ad essa nei Cataloghi del Lando appare, alla luce delle considerazioni svolte nelle pagine precedenti, come un epitaffio chiuso e dolente: l'unico possibile atto pubblico di riverenza verso un compagno di apostolato, che aveva saputo affrontare la persecuzione imposta agli eletti «fin alla morte per il nome di Cristo». 312. Cfr. sopra nota 215. 313. Dubbi, p. 203. 314. Sette libri de cathaloghi a varie cose appartenenti non solo antiche ma anche moderne: opera utile molto alla historia et da cui prender si pò materia di favellare d'ogni proposito che ci occorra. In Vinegia appresso Gabriel Giolito de' Farrari e fratelli, MDLII, p. 402. 315. Stella, II, p. 72-81. 274 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM E L E N C O DELLE ABBREVIAZIONI I. Opere di Ortensio Lando Dialogo = Dialogo di M. Hortensio Lando nel quale si ragiona della consolatone et utilità che si gusta leggendo la Sacra Scrittura. Trattasi etiandio dell'ordine che tener di dee nel leggerle e dimostrasi essere le sacre lettere di vera eloquenza et di varia dottrima alle pagane lettere superiori. In Venetia al segno del Pozzo M.D.LII. Dubbi •= Quattro libri de dubbi con le solutioni a ciascun dubbio accommodate. In Vinegia, appresso Gabriel Giolito de' Ferrari, et fratelli MDLII. Ragionamenti = Ragionamenti familiari di diversi autori non meno doni che faceti et dedicati alla rara cortesia del molto Reverendo et Ilust. Signore il Sig. Andrea Mattheo d'Acqua Viva. In Vinegia al segno del Pozzo M.D.L. Vita = Vita del beato Ermodoro alessandrino da Theodoro Cipriano scritta et nella nostra volgar lingua tradotta, nella quale scorgesi un vero essenpio et una viva imagine dell'huomo christiano. In Vinegia al segno del Pozzo MDL. II. Altre fonti Catalogi = Catalogi Othonis Brunfelsii. Virorum illustrium Veteris et Novi Testamenti. Virorum obscurorum utriusque Testamenti. Illustrium item mulierum. Obscurarum dein mulierum. De bellis, victoria et triumphis iustorum contra impíos. Orationes, exortationes, obsecrationes patrum, prophetarum, regum et virorum illustrium. De tyrannide et bellis impiorum contra iustos. S. 1. a. (ma Strasburgo, Jo. Sdbott, 1528). Collectanea = Collectanea troporum communium bibliorum non aestimandis sudoribus recognita et locupletata, summa tum diligentia tum iudicio ex sacrorum patrum scriptis excerpta Bartholomaeo Vesthemero collectore. Basileae apud Thoman Volfium anno MDXXXIII. Ginzburg, Costituti = Carlo Ginzburg: I costituti di don Pietro Manelfi, Biblioteca del Corpus Reformatorum Italicorum (Firenze, Chicago 1970). Enchiridion = Enchiridion di Erasmo Rotherodamo dalla lingua latina nella volgare tradotto per M. Emilio di Emilii bresciano con sua canzone di penitenza in fine. In Venetia MDXXXIX. Pandectae = Pandectarum Veteris et Novi Testamenti libri XII Othonis Brunfelsii. Revisi, emaculati, aucti et restituti denuo. 1528, Argentorati, apud Joannetn Sdiottum. III. Letteratura secondaria Cantimori = Delio Cantimori: Eretici italiani del Cinquecento. Ricerche storiche (Firenze 1939). Ginzburg, Nicodemismo = Carlo Ginzburg: Il nicodemismo. Simulazione e dissimulazione religiosa nell'Europa del '500 (Torino 1970). Grendler ·= Paul E. Grendler: Critics of the Italian World 1530-1560. Anton Francesco Doni, Nicolò Franco and Ortensio Lando (Madison, Milwaukee and London 1969). Stella, I = Aldo Stella: Dall'anabattismo al socinianesimo nel Cinquecento veneto. Ricerche storiche (Padova 1967). 275 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM Stella, II = Aldo Stella: Anabattismo e antitrinitarismo in Italia nel XVI secolo. Nuove ricerche storiche (Padova 1969). Williams = George Huntston Williams : The Radicai Reformation (Philadelphia 1962). ZUSAMMENFASSUNG Die Schriften des Mailänders Ortensio Lando (1512?—1554?) erschienen bisher als das Werk eines erfolgreichen und unterhaltsamen Literaten, der Kritik an den politischen und sozialen Mißständen im damaligen Italien übte und sich dabei gelegentlich aus der Sicht einer gemäßigten Erasmus-Nachfolge audi mit kirchlichen Fragen befaßte, ohne aber bewußt die Grenze der katholischen Orthodoxie zu überschreiten. Im vorliegenden Aufsatz soll nun aber gezeigt werden, daß die religiösen Fragen im Werk des Lando viel zentraler sind, als bisher angenommen wurde, ja daß sie den eigentlichen Schlüssel für dessen Verständnis darstellen. Vier kleinere, in Venedig publizierte Schriften aus der Zeit zwischen 1550 und 1552 werden befragt, inwiefern sie als Zeugnisse des Einflusses spiritualistisch-täuferischer Ideen im Sinne der Pandectae Veteris et Novi Testamenti ejes Otto Brunfels und als Dokumente der Propaganda antitrinitarisdier Gruppen im Veneto, die wir durch die 1551 erfolgte Denunziation des Pietro Manelfi kennen, zu verstehen sind. Die erste dieser Schriften, die Ragionamenti familiari (1550), wirkt recht harmlos als eine Art rhetorischer Obung, die die verschiedensten Themata bunt gemischt behandelt. In einzelnen Kapiteln verbergen sich aber Ansichten, deren reformatorischer Ursprung nicht zu übersehen ist. In der Kritik der Bischöfe kommt die Lehre der Rechtfertigung allein durch den Glauben vor, und die Ermahnungen an die Prediger erweisen sich als ein Mosaik von Zitaten aus den Pandectae des Brunfels. Der letztgenannte Ragionamento enthält eine für uns merkwürdig widersprüchliche Theorie der evangelischen Verkündigung in katholischen Gebieten: es wird eine leidenschaftliche, die Verfolgung nicht scheuende Stellungnahme verlangt, aber auch eine äußerliche Anpassung im nikodemitisdien Sinn gerechtfertigt. Der wahre Charakter der Vita di Ermodoro (1550) als täuferische Propagandaschrift wurde bisher verkannt, da sich das Werk - oberflächlich betrachtet - als Obersetzung einer Heiligenvita aus dem Griechischen zu erkennen gibt. Folgende drei Aspekte enthüllen die tatsächliche Absicht des Verfassers: 1. die Auffassung der monastischen Disziplin (die Bedeutung der beschriebenen Mönchsgemeinschaft wird allein in der von ihr geübten Nächstenliebe und nicht im kultischen Bereich gesehen); 2. die Meinung, daß die wahre Kirche die Kirche der Verfolgten sei; 3. der Zusammenhang mit den Pandectae des Brunfels (mit Akzentverschiebung zugunsten eines offeneren Bekenntnisses). In dem 1552 erschienenen Dialogo della Sacra Scrittura wird der absolute Vorrang der Bibel gegenüber allen übrigen Schriften, die gänzlich zurückzutreten hätten, postuliert. Auch hier sind die hauptsächliche Quelle die Pandectae, von denen die ersten vier Teile des Werkes abhängen. Als Thesen finden sich in dieser Schrift vor allem: 1. eine stark nikodemitisch gefärbte Anleitung für die evangelische Verkündigung in katholischen Ländern; 2. die Ablehnung aller institutionalisierten Kultformen zugunsten einer freien, sich auf die Inspiration berufenden Verkündigung; 3. die Kritik der als Tyrannis und Feind der evangelischen Wahrheit dargestellten politischen Gewalt und des als 276 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM uiichristlich empfundenen Rechtes; 4. die Verteidigung des von den Fürsten unterdrückten gemeinen Volkes. Die Dubbi religiosi bilden den AbsAluß des Budies Quattro libri di dubbi (1552). Die hier gewählte Form der unsystematischen Zusammenstellung kurzer Fragen und Antworten, die in lockerer Folge ohne ersichtliche Ordnung aneinander gereiht erscheinen, ermöglicht weitgehend unverschleierte Angriffe auf die katholische und audi reformierte Theologie. Nidit nur wird die Bedeutung der Taufe als Sakrament bestritten, sondern eine universale Erlösung angenommen, dank der audi die von Gott erleuchteten Ungetauften, ja selbst jene, die nie von Christus hörten, errettet werden können. Der radikale Gehalt all dieser Schriften wird geschickt durdi eine Mischung enthüllender und verbergender Ausdrucksformen getarnt. So wird beispielsweise in nur den Eingeweihten verständlidien Chiffren gesprochen. Kompromittierende Thesen werden in den nächstfolgenden Sätzen scheinbar sogleich wieder zurückgenommen oder widerlegt. In einigen Fällen ging Lando so weit, in seinen Ideen radikal widersprediende Gedanken als reine Vorsichtsmaßnahme zu äußern. Dem arglosen Leser mußten deshalb seine Schriften als eine bizarre Misdiung widersprüchlichster Ideen erscheinen. Im Hinblick auf die Christologie und die Lehren von der Kirdie und der Taufe lassen sich Obereinstimmungen mit den um 1550 im Veneto tätigen Täufern aufzeigen. Besonders aufsdilußreidi sind in dieser Hinsicht die im Werke des Lando sich widerspiegelnden inneren Auseinandersetzungen zwischen den verschiedenen norditalienischen Täufergruppen. Merkwürdigerweise fehlt aber der Name Ortensio Lando sowohl in der Liste der von Manelfi denunzierten Täufer wie in den Prozeßakten. Ober die wahre Identität dieses seltsamen Mannes bereitet die Autorin zur Zeit eine Studie vor. Nikolaus Gallus und das Interim E i n e a n o n y m e Druckschrift aus d e m J a h r 1 5 4 8 Von H art mut Voit Nach der Oktroyierung der Interimsverfassung am 15. Mai 1548 steht Karl V. vorübergehend einer oppositionellen Koalition der Städte gegenüber. D i e protestantischen Ratsgesandten erarbeiten eine Eingabe an den Kaiser:Sie hätten als Delegierte keine Vollmacht, in so schwierigen Fragen selbständig zu entscheiden, und müßten daher erst Bericht erstatten 1 . Intensive Verhandlungen folgen und ziehen sich über Wochen hin. Sic sind ein Beweis dafür, daß die evangelischen 1. Das Augsburger Interim von H48, nach den Reidistagsakten deutsch und lateinisch herausgegeben von Joachim Mehlhausen, Neukirchen 1970. - S. Issleib: Moritz von Sachsen 1547-1548, in: Neues Archiv für Sächsische Geschichte und Altertumskunde 13 (1892), S. 217 f.; G. Wolf: Das Augsburger Interim, in: Deutsche Zeitschrift f ü r Geschichtswissenschaft, Neue Folge 2 (1897/98), S. 82 f. - August von Druffel: Beiträge zur 277 Unauthenticated Download Date | 4/18/16 11:50 AM