PERIODICO QUADRIMESTRALE - ANNO XXXIX - SPEDIZIONE IN ABBONA MENTO POSTALE - 70% FILIALE DI MILANO
2014
RASSEGNA
degli
AVVOCATI
ITALIANI
ORGANO UFFICIALE
ANF
ASSOCIAZIONE
NAZIONALE FORENSE
ASSITA
EDITORE
1
XXXII
CONGRESSO
NAZIONALE
FORENSE
PROGRAMMA
GIOVEDI’ 9 OTTOBRE (Teatro La Fenice)
8.30 Apertura desk di segreteria presso il Teatro La Fenice
10.00 Apertura dei lavori e intervento di presentazione del Congresso del Presidente dell’Ordine degli Avvocati di
Venezia, avv. Daniele Grasso
10.30 Saluti delle Autorità
10.45 Relazioni:
avv. prof. Guido Alpa, Presidente del Consiglio Nazionale Forense
avv. Nicola Marino, Presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura
avv. Nunzio Luciano, Presidente della Cassa Forense
12.15 Relazioni dei Presidenti delle Associazioni
13.30 Colazione di lavoro
15.00 Completamento delle relazioni dei Presidenti delle Associazioni. interventi programmati
19.00 Chiusura dei lavori
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Segreteria Organizzativa
Mirco Santi Viaggi s.r.l.
Via Torino 151/A - 30172 Mestre (VE)
T. 041 25 89 664 | F. 041 25 89 780
[email protected]
Ordine degli Avvocati di Venezia
Santa Croce 494 - 30135 Venezia
T. 041 52 04 545 | F. 041 52 08 914
[email protected]
Codice Fiscale: 80011950278
SOMMARIO
RASSEGNA
degli
AVVOCATI
ITALIANI
1
ORGANO
UFFICIALE
ANF
ASSOCIAZIONE
NAZIONALE FORENSE
2014
ORGANO
UFFICIALE
ANF
ASSOCIAZIONE
NAZIONALE
FORENSE
Marcello Pacifico Metamorfosi di una professione
Vincenzo Improta Oltre il mercato, ma con Regole e Diritti
Bruno Sazzini Venezia 1994-2014: frammenti di un ventennio
Cesare Piazza Né maschio, ne femmina, ermafrodito
ha da essere!
Giovanni Delucca La Fenice e le specializzazioni
Direttore responsabile
Marcello Pacifico
Direttore editoriale
Daniela Bernuzzi Bassi
Editore
Assita S.p.A.
20123 Milano Via E. Toti, 4
tel. 0248009510 - fax 0248012295
e-mail: [email protected]
www.assita.com
Comitato di redazione
Pier Enzo Baruffi
Carmela Milena Liuzzi
Francesco Maione
Mario Scialla
Segreteria di redazione
Brunella Brunetti
Fotografie di
Archivio ANF
Indirizzo Internet dell’ANF
www.associazionenazionaleforense.it
Casella di posta del Direttore
[email protected]
Periodico quadrimestrale
Anno XXXIX
Registrazione n. 237 del 26-6-78
del Tribunale di Taranto
Realizzazione e stampa
Still Grafix - Cernobbio
In copertiina:
VENEZIA,
rilievo del leone di San Marco
Mario Scialla I nuovi consigli di disciplina all’esordio
2
4
6
10
13
16
Gigi Pansini Quale riconoscimento per le associazioni
maggiormente rappresentative ?
19
Andrea Zanello Il Regolamento Cassa ex art. 21 e dintorni
22
Gigi Pansini 2011-2014: uno tsunami di leggi e sentenze
27
Giovanni Bertino Dopo il Congresso di Bari e la L. 247/12
la professione forense è ancora accessibile
ai giovani ?
31
Andrea Noccesi Processo civile:
tra poteri del giudice e diritti delle parti
39
Paola Fiorillo Arbitrato, mediazione e negoziazione,
il disimpegno dello Stato dalla giurisdizione
pubblica
42
Milena Liuzzi L'insostenibilità della Cassa Forense ed equità
intergenerazionale ai tempi di facebook
46
Palma Balsamo Il Liga non si tocca!
49
Nicoletta Giorgi Diamo la libertà di scegliere alla giovane
avvocatura
52
Mariaflora Di Giovanni Magistratura onoraria:
una riforma inutile ed inefficace
Nunzio Luciano Il nuovo regolamento per l’erogazione
dell’Assistenza
56
58
Redazionale L'ANF Torino Piemonte
60
Redazionale Bologna Una storia di Sindacato
63
Redazionale Sindacato Forense Napoli, 70 anni ma non li
dimostra
66
1
EDITORIALE
Metamorfosi di una professione
Per le nuove tutele dei diritti
una nuova Avvocatura
di Marcello Pacifico
Risistemando giorni addietro fascicoli ed
incartamenti dopo un laborioso trasloco
mi è capitato tra le mani un foglio un
po’ malconcio. Prima di appallottolarlo
come altri in precedenza e buttarlo nel
cestino una rapida occhiata al contenuto:
appunti presi durante un consiglio nazionale dell’ANF tenuto a Catania 4-5 anni
fa, postille su un intervento di Antonio
Leonardi, uomo ed avvocato di notevole
lungimiranza, figura insigne dell’associazionismo forense e non solo.
Rileggendo, ho capito perché avessi
annotato quelle frasi, trascritte in fretta
ma evidenziate più di altre. Dovevano
infatti avermi colpito non poco alcuni dei
termini e dei concetti che egli esprimeva,
sì da indurmi a sottolinearli. Sentir parlare
di “degiurisdizionalizzazione” era in effetti una autentica novità, così come lo era la
sua previsione di una “deriva privatistica”
della giustizia italiana.
Se ancora oggi la nostra categoria stenta a
prendere atto di tali concetti e problematiche, può ben capirsi come risultasse in
quella circostanza quasi incomprensibile
quanto andava dicendo Leonardi circa
l’esigenza di dover pensare ad un nuovo
modello di Avvocato, fuori dalla logica e
dall’habitat naturale del processo.
C’era già nell’avvocatura chi aveva dunque
intuito come una parte della domanda di
giustizia fosse destinata ad essere instradata fuori dalla giurisdizione pubblica e
come il ruolo dell’avvocato sarebbe andato incontro a profonde mutazioni, da una
parte sminuito a vantaggio del potere del
2
giudice, dall’altra compresso da nuove figure professionali interessate ad entrare da protagoniste in un contesto sempre più
caratterizzato da interessi economico-finanziari e sempre meno
da quei principi di tutela giurisdizionale garantiti al cittadino
dalla Costituzione.
Tutto ciò si sta oggi rapidamente verificando, con una mutazione profonda della figura e del ruolo dell’avvocato, che va smarrendo la propria funzione sacrale di sostituto processuale della
parte per trasformarsi in una sorta di negoziatore tra le parti
o queste e il giudice. Un intermediario che altre componenti
sociali ed economiche vorrebbero emarginare per inserirsi in un
ambito, quello della giustizia, dagli avvocati considerato, a torto,
area eternamente protetta, riservata ed inviolabile.
***
“Non può esserci un’avvocatura adeguata – è l’ultima delle frasi
annotate in quel foglio – se non c’è una giustizia che funziona, e
comunque occorre trovare un nuovo modello sociale di avvocato”.
Riflessioni quasi profetiche, parole lungimiranti, ritenute dai più
all’epoca mere fantasticherie, oggi straordinariamente attuali,
visti gli interventi annunciati e pianificati dal legislatore, ma evidentemente non ancora bastanti per chi rappresenta l’avvocatura a livelli istituzionali e portarla ad un deciso cambio di rotta.
Oggi il termine “degiurisdizionalizzazione” è entrato anche nel
lessico del Ministro Andrea Orlando, che vi ha fatto ricorso in una
audizione parlamentare per annunciare che tra le misure per
risolvere il default della nostra giustizia era necessario il ricorso a
procedure alternative di risoluzione dei conflitti, e dunque, oltre
alla mediazione, l’arbitrato ed ora la negoziazione
assistita.
Una qualche premonizione in tal senso l’avevamo
espressa in epoca non sospetta sulle pagine di
questa Rivista, titolando il redazionale del n. 1/2013:
“Non di sola giurisdizione l’avvocato vivrà. È illusoria la
convinzione che possa bastare una nuova legge professionale a risolvere i problemi attuali dell’avvocatura.
Occorre ben altro, a cominciare da un’evoluzione culturale e strutturale”.
***
Al Congresso Nazionale Forense tenuto a Bari nel
2012 il CNF pose al centro del dibattito l’esigenza
che l’avvocatura, o meglio la professione di avvocato, fosse disciplinata da una legge dello Stato e non
da norme di rango inferiore. Obbiettivo del tutto
condivisibile in linea di principio, in quanto diretto
a salvaguardare il riconoscimento costituzionale e
l’autonomia della funzione dell’Avvocato, da sempre
principi irrinunciabili ed essenziali della professione
forense.
A distanza di quasi due anni si può prender atto che il
riconoscimento e l’autonomia come consacrati dalla
L. 247/2012 sono di fatto un mero simulacro, nel senso letterale di un’apparenza che non rinvia ad alcuna
realtà sotto-giacente ma che si vorrebbe far valere
come effettiva: l’attuazione della nuova legge risulta
in buona parte sottratta alle determinazioni dell’avvocatura e demandata ad un legislatore che non si
cura più di tanto della pur sbandierata interlocuzione
con la categoria.
Questa nuova legge professionale è assai limitante
per gli avvocati, costretti a districarsi in un ginepraio di regolamenti in un mondo caratterizzato da
liberalizzazioni estreme e concorrenza sfrenata. La
proliferazione normativa registrata sul fronte della
giustizia in questi ultimi due anni non ha precedenti
ed è emblematica della scarsa garanzia che si pretendeva far discendere dal riconoscimento formale della
legge acclamata al Congresso di Bari e fatta propria
da un Governo in articulo mortis.
A questo primo aspetto critico deve aggiungersene un altro non meno rilevante: l’aver trascurato
l’avvocatura, impegnata in dispute perenni sulla
governance interna, di occuparsi in modo adeguato
e tempestivo dei cambiamenti in atto in una società
sempre più globalizzata e di non aver individuato
per tempo quel nuovo modello di avvocato che essa
richiede.
Un modello professionale che non può prescindere
dalla considerazione delle nuove frontiere socio-culturali e dei diritti, dalla globalizzazione dell’economia,
dalle specializzazioni, da sinergie professionali finora
scoraggiate se non bandite, dalle nuove tecnologie.
E che peraltro non può continuare a sopravvivere in
un deficit di democrazia interna che ha generato la
cristallizzazione di ruoli e un dannoso freno al cambiamento, trascurando criteri meritocratici e rispetto
delle minoranze.
Oggi più che mai è avvertita la distanza tra la base
della categoria, alle prese con seri problemi di sussistenza e chi la rappresenta a livelli istituzionali, di vertice e locali. Due mondi diversi e lontani: l’uno con
l’esigenza di preservare cariche e ruoli di apparente
privilegio, l’altro alle prese con crescenti difficoltà
economiche e privo di un orizzonte rassicurante.
***
È di questi giorni l’approvazione del decreto legge n.
132/2014 “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione e
altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia
di processo civile”, che nella sua pomposa titolazione
santifica la lontana previsione fatta in quell’assise
catanese dell’ANF, un’associazione che dedica alla
politica forense e di categoria una elaborazione
attenta e approfondita ma sovente inascoltata.
La deriva privatistica della giustizia, segnatamente
nel settore civile, è in piena attuazione, l’avvocato
deve farsene una ragione e adeguarsi al cambiamento, e dunque ad operare in futuro anche e soprattutto
fuori della giurisdizione pubblica.
Sul piano legislativo vi era e vi è sicuramente necessità di azioni efficaci. Questo decreto legge non si
sottrae purtroppo alla serie infinita di interventi settoriali e disomogenei, laddove v’è invece necessità
di un progetto organico complessivo condiviso con
l’Avvocatura. E neppure risolverà adeguatamente il
problema dell’arretrato, non scorgendosi nella sua
stesura misure idonee. Ma tant’è.
Si parlerà anche di questi temi a Venezia o il leit motiv
congressuale sarà ancora una volta limitato al totem
della rappresentanza politica, della sopravvivenza
dell’OUA e di quant’altro sin qui poco pragmaticamente emerso dal tavolo ex art. 39 ?
3
Oltre il Mercato, ma con Regole e Diritti
Il mercato moderno per funzionare ha bisogno d’istituzioni,
di regole per il lavoro, di sanzioni contro i monopoli,
di norme a tutela dell’ ambiente, di autorità di controllo
di Vincenzo Improta
Oltre il mercato: è questo il titolo del nostro
congresso di Venezia. Ma siamo davvero
certi che si tratti di un obiettivo auspicabile? È siamo altresì convinti della tesi per la
quale solo contribuendo ad andare oltre il
mercato gli avvocati diverranno protagonisti del cambiamento?
Per fornire risposte esaurienti e convincenti
è necessario procedere con ordine ed
intendersi su un punto decisivo: nella storia
dell’umanità non solo le cose, gli oggetti, si sono sempre prodotti, ma anche e
soprattutto, sono stati comprati e venduti.
Sia nell’antichità, sia nella modernità. E se
questo è vero, è possibile allora applicare,
parafrasando una distinzione coniata per la
democrazia, la seguente formula: esistono
storicamente il mercato degli antichi e il
mercato dei moderni. E qui le differenze
4
non sono di poco conto. Nell’antichità, infatti, la forza lavoro era
costituita perlopiù da schiavi, esistevano condizioni di lavoro
disumane, i ricchi erano tali per nascita o grazie alla violenza e non
vi era alcun tipo di norma che presiedesse alla produzione e allo
scambio, alle garanzie riconosciute ai soggetti produttori e consumatori.
Il mercato dei moderni, invece, è figlio della borghesia, di una
nuova classe sociale che con il lavoro accumula ed investe: il principio dell’ascription viene sostituito dal principio dell’achievement,
secondo cui le posizioni sociali non si acquistano più solo per nascita, ma anche e soprattutto per le capacità individuali.
E il mercato moderno per funzionare ha bisogno d’istituzioni,
di regole per il lavoro, di sanzioni contro i monopoli, di norme a
tutela dell’ ambiente, così come delle istituzioni di controllo, dalle
autorità ad hoc alla magistratura. Non a caso esiste tutta una vasta
letteratura giuridica ed economica che ritiene il diritto pilastro
costitutivo del mercato. Tra i tanti giuristi ricordo Natalino Irti che
ha icasticamente fissato il principio secondo il quale lo scambio di
beni presuppone il diritto laddove è necessario che ciò che si vende
sia di proprietà del venditore e che sia fissata la regola per la quale
versando moneta la stessa cosa divenga di proprietà del compratore. Cioè senza la definizione giuridica del diritto di proprietà e delle
regole del suo trasferimento non c’è scambio mercantile.
La storia della moneta è altrettanto istruttiva, un provvedimento
dell’ autorità, infatti, da un certo momento in poi, ha imposto il passaggio dal baratto al pagamento in denaro. Come non si può quindi non riconoscere che c’è un provvedimento giuridico alla base
sia del valore da attribuire a dei pezzetti di bronzo o di stagno, sia
dell’ obbligo per i venditori di accettarli in cambio della loro merce,
pena la morte comminata per chi rifiutasse di accettare la moneta
su cui erano effigiati imperatori e re. In tempi molto più vicini a noi
Bruno Leoni, filosofo del diritto eccelso e grande avvocato in quel
di Pavia argomenta brillantemente nei suoi scritti come in realtà,
economia e diritto siano facce della stessa medaglia.
Va ricordato che Bruno Leoni è l’unico italiano che può vantare nel
suo curriculum la presidenza della Mont Pelerin Society, carica
prima di lui assunta da Popper e Hayek e che ci ricorda come nei
paesi di common law, il meccanismo di produzione di beni e servizi
è determinato dalla mano invisibile e tende all’ordine spontaneo,
mentre il diritto nasce e si sviluppa nella multiforme e
casuale realtà quando assume le vesti della decisione
giurisprudenziale. Per chi volesse approfondire il tema
dal punto di vista della letteratura economica è senza
dubbio consigliabile la lettura degli scritti del grande
economista inglese Ronald H. Coase, tra l’altro di cultura socialista, premio Nobel dell’economia nel 1991 che
sostiene in modo esplicito e chiaro che “il mercato corrisponde alla condizione nella quale nessun soggetto ha
dominio sull’insieme di scelta di qualche altro soggetto”.
Premesso ciò, la domanda che ne consegue è: si può
espellere il diritto dalla dimensione del mercato o
invece esso va ritenuto un suo pilastro? Si può naturalmente scegliere la soluzione contraria a quella da me
sostenuta ma lo si può fare, solo ritenendo le garanzie
della libertà estranee alla dimensione giuridica. Se
inoltre si esamina il significato sociale del mercato non
si può non convenire che esso è storicamente il luogo
nel quale a partire da un certo momento della storia e
grazie ad esso e alla produzione e allo scambio di merci,
anche i figli dei poveri sono riusciti ad emergere nella
scala sociale liberandosi dall’ ipoteca della condizione
sociale e di lavoro della famiglia di provenienza. La creatività, il merito, il duro lavoro e il riconoscimento che
di essi avviene grazie al mercato hanno consentito di
liberare persino quella particolare figura di intellettuale
che è l’ artista, pittore, scultore, scrittore e poeta dalla
condizione servile che fino al Rinascimento esso invece occupava come trastullo e famiglio dei nobili e dei
vescovi.
Propongo infine all’attenzione un ultimo dato fattuale, empirico e provocatorio e chiedo: ma nel nostro
mezzogiorno qualcuno il mercato lo ha mai visto?
Dalle mie parti, purtroppo, non conosciamo amministrazioni pubbliche garanti e regolatrici. Al contrario,
le amministrazioni entrano a gamba tesa sulla libertà
del mercato con inefficienza e corruzione. Qualcuno
ha dimenticato il peso sull’ economia della violenza e
della sopraffazione messa in atto dalle organizzazioni
mafiose e camorriste. Si ricorda il lavoro nero, la devastazione ambientale? Qualcuno forse ha dimenticato la
piaga costituita dai tanti falsi imprenditori che invece di
rischiare il proprio denaro nell’ impresa ha saccheggiato le risorse pubbliche? Altro che il mercato dei moderni. E noi dovremmo andare oltre ciò che non abbiamo
mai praticato? A chi lo sostiene rispondo con ciò che ha
affermato il noto economista e filosofo Amartya Sen,
anche lui premio Nobel per l’ economia. Oltre il mercato ci sono solo caste e miseria.
■
5
Venezia 1994 – 2014:
frammenti di un ventennio
di Bruno Sazzini
Non vi è nulla che non sia già stato detto,
forse il senso del tutto è nell’inizio e nella fine, con poco da aggiungere se non
frammenti di discorsi, immagini e suoni
ritrovati nello scaffale della libreria dove
si sono accumulati in questo ventennio.
Colonna sonora: “The End” dei Doors
di un’avvocatura coesa e unita, perno del sistema di giurisdizione
pubblica…”.
Flash forward: Venezia 2014.
L’Avv. Orsoni, Sindaco di Venezia dimissionario ed ex membro di
giunta O.U.A., non potrà tenere, per motivi contingenti, l’attesa
relazione su “Avvocatura e Legalità”.
Il Prof. Alpa ribadisce ad una platea distratta e rassegnata che i
diritti non sono merce.
Lo stesso avvocato fiorentino, a distanza di venti anni, risale sul palco: “Sto vivendo un incubo, quello di un’Avvocatura frammentata e
divisa, messa ai margini della società e della giurisdizione…”.
La danza dei grandi rettili.3
Flash back: Venezia 1994.
Il Sindaco Cacciari porta i saluti agli avvocati riuniti in congresso alla Fondazione Cini,
riconoscendo loro un ruolo determinante
per la costruzione dello Stato di diritto,
quello di “coscienza critica” nel difficile
equilibrio dei poteri tipici di una democrazia.
Solo gli avvocati, prosegue Cacciari, sono in
grado di conoscere il divario tra la legge e la
sua applicazione e di sorvegliare che i margini di discrezionalità nella concreta attuazione siano minimi, vigilando affinché, nel
gioco di distinzione dei poteri tipico di un
regime democratico, ciascuno si mantenga
nei limiti attribuiti dalla Costituzione.1
Corrado Bacci infiamma la platea2 e un
giovane avvocato fiorentino sale sul podio
e cita M.L. King: “Ho avuto un sogno, quello
6
Il nuovo Organismo, votato nel 1994 con 492 voti a favore e 57
contrari4, disse l’Avv. Pecorella, all’epoca Presidente di U.C.P.I., era
la risposta dell’Avvocatura alla capacità espressa dalla Magistratura
di organizzarsi in corpo unitario, così da essere altrettanto incisiva.
Non bisogna, però, dimenticare l’immediato distinguo dell’Avv.
Ricciardi, all’epoca Presidente del C.N.F.: “L’ente istituzionale ha
doveri e facoltà irrinunciabili. I magistrati hanno maggior peso perché
rappresentano un potere dello Stato, mentre gli Avvocati sono una delle articolazioni della società civile. Meglio trovare un punto d’incontro
tra componenti diverse che inseguire una rappresentatività unitaria, la
quale può rivelarsi più formale che sostanziale.”5.
La Magistratura aveva (ed ha) saputo separare il momento istituzionale (C.S.M.) da quello politico (A.N.M.), trovando però un collante
(anche con contaminazioni dovute al peso delle varie correnti) nel
comune riconoscimento del proprio ruolo istituzionale, in un idem
sentire che accomuna tutta la categoria6.
Il modello scelto a Venezia nel 1994, quasi specularmente (C.N.F.
l’istituzione e l’Organismo nato dal Congresso il braccio politico),
voleva limitare la frammentazione del mondo dell’Avvocatura elevandola a Soggetto Politico, con un forte richiamo alla essenzialità
della presenza nella giurisdizione e alla funzione sociale così da
superare le diversità per aree di specializzazione, età, reddito, sesso e luogo di esercizio della professione (Sud-Nord; città-provincia;
ecc.).
I distinguo, come noto, cominciarono l’indomani della
sua nascita, perché quello che venne messo subito
in discussione non era tanto l’idea della soggettività
politica, ma l’inclusività (unitarietà) dello strumento
prescelto.
Iniziava così dall’anno 1994 il processo darwiniano del
nuovo nato di adattamento all’ambiente circostante.
Era già tutto previsto.
“Si tratta di prendere atto che la difficoltà progressiva
dell’O.U.A. non dipende da atteggiamenti soggettivi, ma
dagli stessi fattori che ne hanno determinato la nascita.
Sommare, infatti, Ordini istituzionalmente e socialmente
deboli, ancorché influenti soltanto all’interno della categoria, e con forti disponibilità economiche, alle associazioni,
alcune delle quali non si sono mai riconosciute nel modello,
non ha consentito di elaborare quella forma nuova, unitaria e generale di rappresentanza, ma ha finito con aggiungere un nuovo soggetto ad un pluralismo rappresentativo
debole. Ciò risulta aggravato dall’inevitabile attrazione
che esercitano i detentori delle risorse finanziarie e che
alla fine impedisce allo stesso organismo di articolare un
confronto serio sulle prospettive della rappresentanza.”7
Vesna va veloce.8
La struttura dell’Organismo Unitario è modulata su un
modello di dialettica politica interna che, seppur nell’onorevole intento di rendere le decisione più partecipate
e discusse- Assemblea/Giunta/Presidente -, è stato poi
messo in crisi dal maggior rilievo assunto dai processi
mediatici e dalla personalizzazione dell’azione politica
degli organi esecutivi.
I tempi del confronto nella politica e con la politica si
sono progressivamente ristretti e lo stesso Organismo,
meglio i suoi vertici, è mutato di conseguenza, più
orientato alla comunicazione verso l’opinione pubblica,
all’intervento veloce e alle decisioni apicali, nell’accentuazione di una deriva improntata alla leadership di
pochi (Presidente e/o Giunta) che ha provocato tensioni
sempre crescenti.
Il rapporto tra Assemblea dei delegati e Giunta si è fatto
via via più difficile, con momenti in cui Presidente ha
spesso agito in proprio o sull’apporto di Centro Studi,
quasi che solo a questi dovesse essere delegata in
esclusiva la funzione di rappresentanza.
Un altro passo nell’evoluzione (o involuzione) dell’organo che ha coinvolto sempre meno i rappresentati
nelle scelte dichiaratamente politiche, spesso avvenute
in chiave di mera convenienza: “ (l’impressione è che)…
L’O.U.A. si proponga progressivamente come associazione
completamente svincolata dalle componenti associative,
che pure dovrebbe rappresentare, privilegiando l’interlocuzione con il sistema degli Ordini (con specifico riferimento alle Unioni distrettuali) dai quali, volenti o nolenti,
trae i mezzi che ne garantiscono la sua stessa esistenza…..
L’O.U.A. si è progressivamente chiusa in se stessa a difesa
della propria sopravvivenza.”9
Il giudizio è anche troppo severo, perché, a parziale
giustificazione di chi ha condotto l’O.U.A. in questi anni,
è stato difficile svolgere una leadership efficace spendendo una unitarietà continuamente contraddetta sia
per la mancanza di una investitura politica condivisa
sia per l’incapacità, anche mettendosi in discussione, di
trovare un comune denominatore dell’avvocatura nel
rispetto del pluralismo d’aggregazione e di proposta.
Stabilire di chi siano le responsabilità maggiori è un
esercizio vano, perché quel che conta alla fine, per un
soggetto politico che vorrebbe il monopolio della rappresentanza, è il risultato finale e questo, purtroppo, nel
ventennio è stato di un saldo pesantemente negativo
per l’Avvocatura italiana.
Da grandi responsabilità sarebbero dovuti nascere
grandi poteri10, ma questo non è avvenuto ed è un dato
di fatto.
The last Waltz11.
Il nuovo art. 39 della Legge Professionale, che riconosce il Congresso come luogo centrale dell’Avvocatura
nel rispetto e nell’autonomia di ciascuna delle sue
componenti associative, inciso che spesso si tende a
dimenticare, aggiunge poco alla soluzione, anzi, a suo
modo, indebolisce il valore stesso della rappresentanza
unitaria come presupposto della soggettività politica,
perché non più basata su una convergenza politica
di tutte le componenti come espressa nel preambolo
dello Statuto.
L’equivoco di fondo nasce dal fatto che, in tale contesto,
si possa creare una unitarietà a colpi di maggioranza:
questo è vero (e democratico) quando tutti riconoscano
e accettino “le regole del gioco”, o, diversamente, l’ente
riceva la legittimazione a contrattare perché riconosciuta organizzazione a forte coesione interna, in grado
di far rispettare gli accordi sia dai propri rappresentati
che dalla controparte.12
L’argomento O.U.A., è oggi più divisivo che mai, antitesi
vivente dell’unità che si voleva rappresentare come
soggetto politico dell’Avvocatura.
7
l’esterno.
Molto dipenderà dal nuovo meccanismo per le elezioni
del C.D.O. e dal cambiamento che ne potrà nascere,
anche se la durata dei mandati, 4 anni rinnovabili,
appare eccessivamente lunga e atta a riproporre quel
modello (oligarchico) che è stato uno dei mali più grandi nell’arretramento sociale dell’Avvocatura.
L’ipotesi estrema opposta vede nel mantenimento dello status quo, utilizzando populisticamente (ma senza
popolo, vista la bassa partecipazione all’elezione dei
delegati) e nel senso sbagliato lo slogan “un Avvocato
un voto”, il cavallo di Troia di una sedicente Avvocatura
di base “in qualche misura di classe” spaventata e impaurita, massicciamente maggioritaria, e che si vorrebbe
rinchiudere, nel recinto di un terzo (stato) che comunque
decida non conta nulla senza il consenso dei CdO e delle
associazioni con il bollino blu”13 , manifesto esplicito della
rottura della coesione sociale nella categoria e in piena
contraddizione con l’idea dell’unitarietà14 nella pretesa
di dare il monopolio della rappresentanza a una parte
Venezia 1994 – 2014: frammenti di un ventennio
Quale che sia la soluzione che verrà da Venezia sarà
ancor più evidente che resterà solo un maggiore o
minor rilievo dell’Organo, espressione comunque di
una sempre più marcata divaricazione tra rappresentanza ed efficacia.
Non più l’ambizione di ricercare (ad ogni costo verrebbe
da dire) l’unitarietà per dare linfa al soggetto politico e
ad una progettualità di ampio respiro, ma la fotografia
di una Avvocatura divisa per concezione del ruolo e
funzione, per età, per aree territoriali, per specializzazioni, l’esatto contrario dello spirito iniziale.
La rappresentanza delle rappresentanze (misto di Ordini, Unioni territoriali con – o senza – quote per le Associazioni maggiormente rappresentative), soprattutto se
verrà abrogata l’incompatibilità tra membro di Assemblea e la carica di Consigliere dell’Ordine, avrà più una
funzione di contrappeso politico, in una prospettiva
tutta da verificare, nel limitare la centralità del C.N.F., in
un rapporto tutto interno (centro / periferia) al mondo
ordinistico, ma scarsamente rilevante ed efficace verso
8
Venezia, Teatro La Fenice ▲
Dialoghi surreali (ma non troppo)
in via Arenula…
marginale dell’avvocatura.
L’avvocato descritto da Cacciari nel 1994 in questo
ventennio ha perso consapevolezza del proprio ruolo;
emarginato nella giurisdizione ne mette in discussione
la centralità, rincorrendo modelli alternativi non sufficientemente meditati; ambisce (e spera) di far altro
(il mediatore, il delegato del giudice, il custode, ecc,);
disconosce la solidarietà intergenerazionale e intra
categoriale: difficile trovare una sintesi in diversità così
laceranti invocando una unitarietà che è mera facciata.
Il grande rettile, alla fine della sua evoluzione, forse
morirà in laguna, a Venezia: l’unica speranza è che
risorga dalle sue ceneri, meno imponente, più adattabile all’ambiente e, soprattutto, terribilmente efficace.
Ne abbiamo bisogno.
■
NOTE
1 . “Avvocati e Avvocatura: in uno, tutti” di E. Turrini, G. Facchini e altri,
Rivista CDO Torino 1994
2 . “Il Congresso… siete voi, sono gli avvocati eletti con un sistema sufficientemente rappresentativo e democratico, nell’impossibilità di realizzare
subito quell’utopistico sogno del 1990: un avvocato un voto, che aveva dei
vizi di origine. Un Congresso che si ponga come organismo permanente che
esprima la vera volontà dell’Avvocatura”, C. Bacci citato “Avvocati, Congresso
e rappresentanza” di A. Ciavola in Altalex 5.11.2004
3
Banco del Mutuo Soccorso “Darwin”
4
La Repubblica, Archivio, 24.10.1994
5
Corriere della Sera; Archivio storico
6 “Le correnti infatti non svolgono solo una attività di animazione e aggiornamento culturale, ma attraverso il ruolo che esercitano nel CSM . i cui
componenti sono eletti da una o un’altra corrente- in realtà governano la
Magistratura” C. Guarnieri , Giustizia e Politica, Il Mulino, 2003.
7 A. Leonardi- B. Sazzini “Ordini e Associazioni” in Rassegna Avvocati
Italiani, 3/2004, pag. 27. En passant: nello stesso pezzo si ipotizzava sia
una forma totalmente nuova di rappresentanza politica sia una struttura
Ordini e Associazioni.
8
Film di C. Mazzacurati, 1996
9 P.G. Loi “Relazione introduttiva” in Rivista degli Avvocati italiani,
3/2004
10 Parafrasi di “da grandi poteri nascono grandi responsabilità” , Uomo
Ragno, film di S. Raimi, 2002.
11 Film di M. Scorsese 1998
12 F. Galgano “La forza del numero e la legge della ragione” Il Mulino 2011
13 G. Valenti in uno dei suoi innumerevoli post su Facebook.
14 “L’ Organismo Unitario, infatti, si pone l’obiettivo da una parte di intervenire costantemente nel dibattito politico e, dall’altra, di elaborare proposte
di riforma organica del sistema giustizia in Italia; e tutto ciò ispirandosi sia
ai deliberati del Congresso Nazionale Forense, sia alle istanze, alle idee e alle
proposte provenienti da tutte le componenti sia istituzionali che associative
dell’avvocatura” dal sito OUA.
Ore drammatiche in via Arenula in attesa dell’esito del Congresso di Venezia.
Ministro Giustizia: “dunque dibatteranno a Venezia le proposte del governo, sfruttando la possibilità che abbiamo dato loro
di partecipare al confronto?”
Funzionario ministeriale: “in realtà no, vi sarà qualche dotto
intervento, ma l’attenzione degli avvocati e rivolta ad altro”
Ministro Giustizia: “ altro???”
Funzionario ministeriale: “si su come costruire la loro rappresentanza”
Ministro Giustizia: “ho capito cose da avvocati italiani... ma
sa faccio fatica a capire. So che il CNF con la nuova Legge dice
di rappresentare tutte le componenti; il Sindacato, che è anche
parte sociale, rivendica questa funzione; i giovani hanno le loro
associazioni e, per le specializzioni, ogni associazione specialistica rivendica l’esclusiva, è questo allora?”
Funzionario ministeriale: “ma sa… all’inizio doveva essere la
sintesi, poi tutti si sono sfilati, ora dicono che tutto è cambiato
perché c’è il martello dell’art.39 L.P.”
Ministro Giustizia: “????”
Funzionario ministeriale: “a dir la verità qui faccio un po’ di
fatica anch’io: da una parte c’è chi cerca soluzioni di compromesso e dall’altra invece si pensa a una sorta di assemblea di descamisados. Soprattutto questi stanno facendo una guerra feroce,
ma forse avranno dietro il 51% dei 240.000 avvocati”
Ministro Giustizia: “beh, anche qui, per noi che facciamo
la politica, non capiamo: la partecipazione è bassissima e, se
i delegati espressi si dividono a loro volta, abbiamo organi
a bassissima legittimazione, per questo alcuni invocano la
copertura normativa”
Funzionario ministeriale: “non so che dire, forse sarebbe la
prima volta che qualcuno assume di avere diritto alla rappresentanza, ma aldilà di questo posso presumere che le decisioni di
questo ente si imporranno a tutti gli avvocati”
Ministro Giustizia: “posso affermare con certezza di no: CNF,
ordini grandi e piccoli, associazioni… continueranno ad esistere
e ad interloquire, ciascuno nel proprio ambito: e non si stupisca,
doveva essere organismo unitario e ora è solo divisivo e tutto
sommato a noi importa il giusto”
Funzionario ministeriale: “???”
Ministro Giustizia: “Sa la loro irrilevanza se la sono costruita
con le proprie mani... Dovrebbero imparare da Togliatti...”
Funzionario ministeriale: “Onorevole che dice?”
Ministro Giustizia: “Si, all’indomani della fine della guerra, invece di fare la rivoluzione, rimase dentro il CNL, per il bene del
paese, almeno questa è l’interpretazione che preferisco. Qui invece siamo alla semplice miopia di un ceto che sta morendo da
finiani “
Funzionario ministeriale: “nel senso dell’onorevole?”
Ministro Giustizia: “Si, quel misto di rancorosità interpersonale e nessuna lungimiranza politica. Vabbè non perdiamoci altro
tempo, se non si preoccupano loro del proprio futuro, non possono certo invocare poi particolari attenzioni. Fermo restando che
- alla fine - decido io con chi interloquire e se farlo...”
Si spegne la luce.
Il Ministro dormirà più che tranquillo.
L’Avvocatura meno…
9
Né maschio né femmina, ermafrodito
ha da essere!
L'art. 39 irrompe con forza impetuosa nelle riflessioni che i partecipanti al
XXXII Congresso sono chiamati a fare.
Per salvarsi “l’organismo” dovrà essere veramente unitario
di Cesare Piazza
Correva l'anno duemila, e fra gli altri avvenimenti di rilevanza mondiale accadeva che
io fossi il presidente in carica dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura. Fra gli altri
obbiettivi del mio programma c'era anche
quello di migliorare e intensificare la comunicazione fra l'Organismo da una parte e le
istituzioni forensi, l'intera comunità degli
avvocati, e tutte le formazioni politiche
istituzionali e parlamentari dall'altra. Avevamo già provato a editare un bollettino
o notiziario periodico, poco più che ciclostilato, ma era chiaro che avremmo dovuto
sviluppare un programma editoriale più
strutturato, con tanto di testata registrata e
direttore responsabile abilitato.
"La domanda di registrazione della testata
va bene, ma non la posso ricevere se non
allegate un certificato di iscrizione nel registro delle imprese" disse un affaccendato
cancelliere del tribunale di Roma a me e
al collega Eugenio Amaradio (direttore
responsabile in pectore) che ci eravamo pre-
10
sentati come postulanti al cospetto dell'"autorità" che sovrintende
alla stampa periodica.
"Guardi signor cancelliere che noi non siamo un'impresa, siamo un
organismo di avvocati."
"E allora portatemi il certificato di iscrizione all'ordine"
"Purtroppo non è così semplice, signor cancelliere, perché l'organismo non è una società fra avvocati e non ha iscrizione nell'albo."
L'affaccendato cancelliere sospese un momento dall'affaccendarsi,
ci guardò attentamente in faccia e proruppe: "Ma si può sapere che
diavolo siete, allora? Siete un'associazione?"
"Bah, no, siamo un organismo eletto da un congresso forense…."
"Va bene, se è così portatemi l'atto pubblico di costituzione e lo
statuto in copia autentica.." interruppe il cancelliere; e stava riavviandosi alle sue faccende.
"Vede, signor cancelliere, il congresso nazionale forense non si è
costituito per atto pubblico, è quasi un'istituzione dell'avvocatura,
si tiene da cinquant'anni a questa parte…… "Ahò, - riinterruppe il
cancelliere, questa volta proprio infastidito - ma che mi venite a
dire, che c'è l'usucapione ?"
"No, ma sa, noi siamo… siamo…" - soffiò Amaradio, che si era accorto di non poter proferire la parola associazione - siamo come…
come un comitato volontario….".
"E allora, per i comitati, niente stampa periodica." concluse perentorio il cancelliere, ritornando definitivamente alle sue interrotte
faccende.
Scendendo le scale del tribunale, ci guardammo negli occhi e ci
scappò da ridere. "Sta' a vedere che adesso dovremo indire un convegno mistico-esoterico per sapere chi siamo, d'onde veniamo, e
dove andiamo….." dissi, già rassegnato a proseguire col bollettino
ciclostilato in attesa di tempi migliori.
L’incognita dell’art. 39 L.F.
Sono arrivati i tempi migliori? Ora che siamo alle prese col vago e
tormentoso terzo comma dell'articolo 39 della legge di ordinamento professionale? Dovrà occuparsene seriamente il prossimo XXXII
Congresso Nazionale Forense di Venezia, e speriamo che il cambio
generazionale dei delegati non faccia dimenticare le vicissitudini e
le sofferenze che hanno accompagnato il precedente esperimento,
che ha costituito il fattore antesignano dell'anzidetto
terzo comma.
Perché è vero che la storia cammina per strade spesso
nuove e impreviste, ma è anche vero che la storia è
comunque maestra di vita; e dalla storia dell'avvocatura bisogna trarre l'insegnamento dei modi e dei
tempi dell'azione politica. E dico "politica" non a caso:
perché attuare i deliberati del congresso in materia di
proposte sui temi della giustizia e della tutela dei diritti
fondamentali dei cittadini, nonché sulle questioni che
riguardano la professione forense, significa nient'altro
che "fare politica".
Esattamente vent'anni fa, guarda caso proprio a Venezia, si proclamò ad alta voce che l'avvocatura, essendo
un "soggetto politico", aveva necessità di un organo di
rappresentanza politica, che, individuato nel congresso nazionale forense, si sarebbe espresso mediante
un organismo operativo appositamente eletto. E
quest'ultimo (congresso di Maratea 1995) si denominò
Organismo Unitario dell'Avvocatura. Ma erano tempi in
cui, in mancanza di norme di legge in proposito, tutto
era frutto di un trascinante volontarismo che riusciva a
coprire la prudenza, la perplessità, o anche la contrarietà di molti, all'insegna del "ben fa chi fa, sol chi non
fa fa male".
Una delle paradossali conseguenze dell'aver gettato il
cuore al di là dell'ostacolo fu appunto anche quella che
ho narrato in apertura.
Ma ora c'è una legge, dobbiamo applicarla, ed è per
questo che, sulla scorta delle passate esperienze, dobbiamo riflettere.
Innanzitutto: un organismo di proclamata rappresentanza politica dell'avvocatura, o è davvero unitario, o
non è. Quando l'idea nacque, appunto vent'anni fa, e
poi si concretizzò, l'organismo fu concepito programmaticamente come unitario: e fu concepito - passatemi
la metafora - maschio: forte, virile, combattivo, indiscusso e indiscutibile capo della famiglia degli avvocati,
punto di riferimento della solidarietà di categoria. E
per preservarlo da ogni pericoloso influsso esterno, fu
dotato di una sorta di consiglio di famiglia, l'assemblea
dei delegati. Probabilmente, al di fuori e al di là delle
oneste intenzioni dei compilatori dello statuto, questo
fu l'errore logico che introdusse nei fondamenti dell'organismo una contraddizione di sistema che oggi, in
sede di rinnovamento, occorre evitare.
L'assemblea infatti, così come costituita (componenti
eletti dai delegati congressuali dei singoli ordini, su base
distrettuale), e da considerarsi come l'organo sovrano
dell'avvocatura fra un congresso e l'altro, rimase - ed è
sempre fin qui rimasta - priva dell'apporto organico del
mondo associativo, tanto da aver potuto fornire il destro
(diciamo pure anche il pretesto) ad alcune formazioni
associative ambiziose di prendere le distanze dall'OUA
e di coltivare una propria soggettività politica diversa,
e molte volte divergente. In somma sintesi, si può dire
che le varie associazioni non hanno sentito l'organismo
come loro proprio, cioè come casa loro, come luogo
deputato all'elaborazione, alla mediazione e alla promozione delle scelte politiche. Quando è andata bene,
lo hanno considerato come un'altra associazione, come
una stella in più nella costellazione delle formazioni
esponenziali forensi.
Rapporti difficili
Sotto altro profilo, è andata anche peggio. I rapporti
dell'OUA con le istituzioni dell'avvocatura sono stati
da sempre, subito, difficili. E non solo perché fra enti
previsti e consacrati dalla legge, e un ente allora non
previsto da alcuna legge e nato soltanto per volontà
della maggioranza dei partecipanti a un congresso
(anch'esso allora non previsto dalla legge) non vi poteva essere comunanza di riferimenti; ma anche perché
questa autoreferenzialità fu presa a facile pretesto per
sostenere che la rappresentanza della categoria spettava ai "legittimi unti dal Signore" e comunque soltanto
a chi avesse veste giuridica, apparato, poteri e denaro
per esercitarla.
Come via via è poi apparso nell'evolversi di questi
rapporti (formalmente sempre rispettosi, ma sostanzialmente intrisi di inimicizia) sono stato sconcertato
nel constatare che l'organismo, da maschio che era,
si era trasformato in femmina. E non già perché, per
scarsa conoscenza di esso, perfino nei discorsi ufficiali
la sigla O.U.A. la si è sentita aggettivare al femminile (sai
la contentezza di Leonida, Epaminonda, Enea, Andrea,
ecc….!) ma perché sostanzialmente esso era diventato
una quieta e amabile mater familias: dedita alla casa,
alle provviste, ai ricevimenti, alle relazioni sociali, e
ovviamente non dotata di risorse proprie che i veri
maschi della famiglia (i consigli degli ordini) le mettevano a disposizione solo a loro volontà e piacimento. E
salutata con rispetto formale dai figli maggiori (i grandi
ordini, primo fra tutti Roma) i quali peraltro si sono sempre fatti gli affari loro a prescindere da lei, perché tanto
sono maggiorenni e vaccinati e non devono rendere
conto a nessuno.
Mi torna in mente, sotto questo aspetto, un incontro
11
Né maschio né femmina, ermafrodito ha da essere!
Venezia, Teatro La Fenice (interno) ▲
12
che io ebbi con il presidente dell'ordine di Roma (allora,
l'avv. Cassiani), il quale, con grande bonomia e disponibilità tenne a ripetermi che nella grande famiglia ognuno avrebbe collaborato come i suoi mezzi avrebbero
consentito, e che comunque l'ordine di Roma, nella sua
posizione di preminenza numerica, sociale e politica,
era a totale disposizione per dare una mano all'OUA
all'occorrenza: "Se c'è bisogno, che problema c'è? Me lo
fai sapere, e io alzo il telefono, chiamo il ministro e gli
espongo la questione…."
L'art. 39 irrompe ora con forza impetuosa nelle riflessioni che i partecipanti al XXXII congresso sono chiamati
a fare. Se vogliamo salvare la funzione politica dell'organismo (notate: la legge avrebbe potuto usare altre
parole, chessò: "comitato" o "commissione" o "struttura
esecutiva" o "gruppo"; invece lo chiama proprio "organismo", ci sarà un motivo, che dite?), al quale vorremmo
motivatamente affezionarci e del quale vorremmo
vedere il pieno e acclamato successo, bisogna evitare
in ogni modo gli errori e le contraddizioni del passato,
coinvolgendo organicamente e responsabilmente tutte
le formazioni istituzionali e associative dell'avvocatura
in un disegno di vasto respiro, che le riconduca tutte a
un'incontestata unitarietà operativa.
Insomma, bisogna organizzarsi per stare nella storia,
per dare risposte adeguate e flessibili a questo strano,
variegato, lacerato, a volte incomprensibile, mondo
degli avvocati; un mondo di più di duecentomila individui dei quali ormai, sociologicamente parlando, si
sa poco più che nulla. Ma una cosa è certa: un organismo rafforzato nelle sue radici normative deve essere
veramente unitario, e non può caratterizzarsi né come
maschio (struttura politica combattente anche senza
rinforzi, senza retrovie né appoggi istituzionali) né
come femmina (struttura di servizio per una casa comune che però rimane di proprietà e conduzione di altri).
Ermafrodito, ha da essere.
■
Ermafrodito dormiente (Parigi, Louvre) ▲
La Fenice e le specializzazioni
Ovvero il grande mistero delle modalità e dei criteri di scelta del difensore,
tra riconoscimenti formali e competenze reali
di Giovanni Delucca
1. Probabilmente è un ingenuo artifizio retorico, o forse è solo la
suggestione della location dell’apertura del Congresso Nazionale
Forense, ma non mi sembra fuori luogo accostare la figura delle
specializzazioni forensi a quella del mitologico e pur gettonato
pennuto.
In parte forse per la resurrezione dell’istituto che, dopo la netta
stroncatura operata dal TAR Lazio - Roma (Sezione I, decisione
5151/2011), ha provato a rivivere con la legge professionale che ne
menziona ripetutamente l’esistenza.
Soprattutto, però, per una sorta di perdurante e sfuggente inafferrabilità, che sembra affidare la fede nella sua stessa esistenza alla
presupposizione di una menzione esplicita e diffusa.
Vale allora la pena di provare a dedicare qualche rigo all’esercizio
non moderno del ragionamento, accostandosi al tema della specializzazione da due punti di vista diversi: quello del mercato e
quello delle norme.
2. Il primo aspetto problematico è tanto semplice quanto impegnativa ne è la risposta.
Quando una parte avverte l’esigenza di rivolgersi ad un Avvocato
specializzato in una data materia, cosa cerca e cosa si aspetta in
realtà?
Un professionista che sia capace ed aggiornato nella materia?
O uno che pratichi soprattutto quella materia?
O che tutto il suo impegno lavorativo sia assorbito da quella materia?
Oppure che abbia studiato e studi a livello accademico una o più
materie?
Ovvero che quella materia insegni?
Non è semplice e non è certo necessario scegliere tra così diverse
risposte che sarebbero peraltro tutte giuste. Il mercato ci dice che,
tutto sommato, ognuno dei professionisti rispondenti ad una delle
caratteristiche suesposte sarebbe uno specialista.
Ogni ipotesi, quindi, ha in sé una scintilla di verità e tutte assieme
non possono essere valutate in termini di correttezza normativa,
ma semplicemente - e per coerente rispetto della natura delle
libere professioni - in termini di adeguatezza all’esigenza che in
concreto si presenta al fruitore del servizio.
A volte infatti un problema è specifico e oggettivamente limitato;
od al contrario, pur essendo specifico, interagisce con aspetti interdisciplinari paralleli
e di importanza pari o superiore.
A volte il problema è nuovo; altre volte
ancora è necessario essere conseguenti alle
scelte di professionisti che la parte avversa
può avere già fatto.
Il grande mistero delle modalità e dei criteri
di scelta del difensore, insomma, conduce
sovente a risposte di volta in volta diversificate, che giustamente combinano il criterio
della necessaria competenza professionale
con quello dell’adeguatezza allo specifico
bisogno della parte.
Parte che, pur avvertendo la necessità di
uno “specialista” deve però e per prima cosa
riuscire a trovare il “suo” Avvocato.
Ed allora il mercato sembra dirci che ha
bisogno di informazioni per scegliere con-
13
La Fenice e le specializzazioni
sapevolmente, ma non certo di griglie e paletti e men
che meno di cartelli di direzione obbligatoria.
14
3. Il secondo corno del ragionamento ha invece a che
fare con quello che potrebbe sembrare il simmetrico
opposto del mercato, e cioè l’assetto normativo.
Anche in questo caso l’excursus non è poi lungo.
La già citata sentenza del TAR Lazio aveva fatto una
compiuta ricognizione del quadro normativo dal
quale emergeva “graniticamente” l’inesistenza di una
fonte legittimante “l’introduzione di un istituto, quale
quello delle specializzazioni, prima inesistenti, destinato
ad innovare profondamente i termini dello svolgimento
dell’attività ...”
Se quindi nel 2011 non esistevano norme, e tale opinamento era ritenuto dallo stesso TAR come granitico, è
alla normazione successiva che occorre rivolgersi per
cercare lumi.
E tutto sommato la ricerca non è nemmeno attività
complessa, posto che è sufficiente soffermarsi sulla
Legge Professionale, che all’art.9 disciplina il tema delle
specializzazioni, per giustapporre in controluce l’insistita iterazione della locuzione “il titolo di specialista”,
con la contemporanea assenza di qualsivoglia assetto
o criterio definitorio, con buona pace dei noti canoni
redazionali dei testi normativi.
La legge professionale, infatti, consente solo di apprendere che l’avvocato specializzato non è soltanto quello
divenuto esperto evidentemente in un certo numero
di anni (per comprovata esperienza professionale), ma
anche colui che si è formato sulla materia, venendo
giudicato idoneo.
La norma, insomma, nasce incompleta, visto che la
riserva di regolamento opera solo per l’individuazione
delle modalità per l’ottenimento del titolo, ma di certo
non può aiutare a definire - men che meno in senso
restrittivo - ciò su cui la legge ha inspiegabilmente sorvolato.
4. In questo contesto lo schema di regolamento predisposto dal Ministero – od anche il regolamento che
dovesse essere medio tempore adottato in continuità
con le prime stesure - appare del tutto insoddisfacente
sia a superare i rilievi logici già mossi, che ad essere
minimamente coerente con le finalità di scelta, competenza e trasparenza prefigurate dalla legge.
Il Consiglio Nazionale di ANF ha espresso e divulgato
un parere critico sullo schema di regolamento circolato
nei mesi scorsi, e non occorre qui richiamare un testo
articolato e facilmente esaminabile (www.associazionenazionaleforense.it/wp-content/uploads/2014/05/
Deliberato-del-Consiglio-Nazionale-ANF-sul-regolamento-specializzazioni.pdf )
Questa per l’appunto non è sede per riepilogare le censure al lavoro altrui, ma può essere occasione utile per
individuare in senso positivo alcuni criteri che sarebbe
veramente necessario potessero trovare cittadinanza.
Per prima cosa occorre che l’individuazione delle aree (i
macrosettori del diritto: civile, penale, amministrativo,
tributario) e degli ambiti (le materie: famiglia e lavoro,
penale commerciale e reati contro la pubblica amministrazione, contratti pubblici e urbanistica) sia basata
non sugli insegnamenti dell’università, o su accostamenti improvvisati, ma derivi da dati esperienziali collegati ai flussi di lavoro.
In particolare occorrerebbe farsi carico di valorizzare
seriamente tutte le competenze trasversali (come ad
esempio la sicurezza sul lavoro o l’edilizia) che settorialmente attraversano diverse aree.
Qualsiasi forma di specializzazione, poi, non dovrà mai
essere ottenuta esclusivamente in via teorica: non è un
titolo culturale, ma una capacità professionale.
Così come anche i laureati magna cum laude devono
fare la pratica e l’esame di abilitazione, così anche chi
frequenta i percorsi formativi dovrà comunque avere
un supporto esperienziale di un certo rilievo, poiché
l’esperto è tale non solo per il possesso di nozioni, ma
soprattutto per l’utilizzo concreto e professionale delle
stesse.
La comprovata esperienza professionale, poi, rimanda ad un elemento fondante la Professione, e cioè il
valore didattico dell’esercizio pratico: sarebbe ingiusto
ed antistorico ingabbiare quello che per tutti noi è un
valore, in una gabbia meramente quantitativa, uguale
per tutte le materie, come per ora è stata immaginata.
Una attenta attuazione del principio di uguaglianza è
proprio quella di non trattare in modo uguale situazioni
diseguali: ed allora non dovrebbe essere originale – ed
anzi, ogni Avvocato lo sa, essendo esperienza di vita –
quanto i numeri delle pratiche siano aridi ed insufficienti ad esprimere qualità.
Ed anzi spesso i numeri mentono, confondendo l’esperienza con la serialità.
C’è quindi necessità di pesare e valutare in modo diverso
gli impegni professionali, perché dieci pratiche in una
materia (e sarebbe antipatico fare esempi), potrebbero
comportare un’attività di studio e di attenzione dieci
volte inferiore a dieci pratiche in un diverso settore.
E ad ognuno di noi il concetto non può essere non
chiaro.
La politica delle pari opportunità, poi non va declinata
solo in termini di genere, ma anche nelle politiche del
territorio.
In una parola, la specializzazione deve essere una cosa
possibile, per ognuno e per ogni materia, ove ve ne
siano le condizioni di esperienza professionale.
Questo significa assicurare l’attivazione di percorsi di
formazione a distanza in tutti gli ambiti, senza limitazioni territoriali e quantitative di fruibilità ed a costi
contenuti.
5. Gli Avvocati non hanno bisogno di nuovi corsi da
frequentare, ma hanno bisogno di essere conosciuti e
riconosciuti.
Soffermiamoci a chiederci perché avevamo desiderio
di specializzazione: era per poter finalmente dire “mi
occupo di questo!”.
Tutti sappiamo cos’è un Avvocato specializzato, ma
nessuno si da la pena di definirlo, perché invero ogni
definizione rischierebbe di togliere qualcosa ad un Professionista che sempre e comunque è tale al cento per
cento senza riserve di attività o limitazioni.
Ed allora non può andare bene un modello che equipara il solo studio ad anni di esperienza professionale,
o che riconosce titoli che potrebbero essere svalutati
dal mercato stesso all’atto del loro ottenimento, perché
non rappresentativi e non posseduti dagli specialisti
Venezia… inquietante ▲
che il mercato stesso riconosce.
Prima viene lo status di Avvocato, e poi viene la sua
maggiore efficacia in alcuni ambiti piuttosto che in altri.
La prima necessità che il tema della specializzazione
dovrebbe porre, allora, è quella dell’effettivo riconoscimento amministrativo in capo a coloro che il mercato
già conosce come specialisti; dopo di questo è giusto
cercare di rendere possibile ad altri colleghi - spesso più
giovani - l’accesso al titolo.
Quello che non può accadere è invece che gli Avvocati
specialisti diventino avvocati in sedicesimo, un genere
minore, competente in una unica porzione di diritto.
La implicita limitazione della competenza professionale
che deriverebbe da una specializzazione debole sarebbe quindi l’anticamera della indifferenziazione della
prestazione, che, in nome del riconoscimento di un percorso di solo studio, renderebbe tutti ugualmente grigi,
senza le millanta sfumature che rendono l’Avvocatura
un mondo eccezionale.
Anche per queste considerazioni il percorso avviato
non convince in termini di adeguatezza ed efficacia, ma
non è ancora tardi.
Basta ricordarci da dove siamo partiti e a cosa serve il
percorso che abbiamo avviato.
Deve servire per prima cosa agli Avvocati, per farsi
conoscere meglio e poi ai loro clienti per poter meglio
scegliere.
■
15
I nuovi Consigli distrettuali di disciplina all’esordio
I Consigli degli Ordini degli Avvocati hanno recentemente votato i nuovi
Consigli distrettuali di disciplina che andranno ad esercitare le loro
funzioni nel gennaio del 2015.
È un cambiamento storico sul quale occorre riflettere
di Mario Scialla
contribuito all’elezione a consigliere del primo. Anche l’Associazione Nazionale Forense, da tempo, aveva evidenziato l’opportunità
di sanare questo vulnus.
Una modifica coraggiosa quindi ma con enormi conseguenze di
ordine pratico e strutturale – non ultimo il problema delle rilevanti
spese derivanti dalla necessaria creazione di una sede appropriata
ove dovrà operare il Consiglio di Disciplina - che complicheranno,
e non di poco, l’attività dei Consigli degli Ordini, soprattutto delle
città metropolitane.
Luci ed ombre
Il titolo V della nuova legge forense analizza uno dei temi più importanti e delicati
dell’ordinamento professionale, quello della giurisdizione domestica.
La riforma fissa subito un principio di
indubbia trasparenza, sul quale ruota
l’intero sistema: quello sancito dall’art. 50,
comma 3, che stabilisce che non possono
far parte delle sezioni giudicanti i membri
appartenenti all’Ordine cui è iscritto il professionista nei confronti del quale si deve
procedere.
Tale scelta presenta evidenti garanzie di
maggiore terzietà per il giudicante, non
tanto per fugare il rischio che si potesse
pervenire effettivamente ad una giustizia
più “addomesticata”, quanto, semmai, per
l’immagine negativa che si poteva diffondere all’esterno: quella di un professionista
troppo indulgente nei confronti di altro collega che con il suo voto avesse, in ipotesi,
16
Insieme alle luci ci sono però anche talune ombre perché ad
esempio si priva il giudicante di un elemento importante, talvolta
essenziale per giungere ad una corretta decisione: quello dell’ancoraggio al territorio.
È fondamentale, per chi giudica, conoscere la propria realtà territoriale, i personaggi e gli interpreti che saranno i protagonisti nel
procedimento disciplinare in quanto la frequentazione quotidiana
con l’ambiente giudiziario e l’interlocuzione costante con la magistratura, che talvolta con le sue segnalazioni innesca il giudizio
disciplinare, è garanzia di un risultato migliore.
Questo problema veniva risolto con l’impianto ipotizzato dalla
riforma tracciata dal DPR dell’agosto 2012 che creava il Consiglio
di disciplina su base territoriale che però incontrava un limite, forse
ancor più grande: quello cioè di affidare alla decisione, non motivata, del Presidente del Tribunale, la scelta dei quindici componenti,
tra i quali non potevano esservi i Consiglieri dell’Ordine in carica,
tra la rosa dei trenta nominativi forniti dall’Ordine.
Venendo ora alla disamina del procedimento in concreto, non si
può negare che lo stesso appaia ben strutturato, moderno, garantista ed improntato sul modello del giusto processo penale.
Il rapporto con il processo penale è infatti di assoluta evidenza e
non solo perché viene precisamente enucleato nell’articolo 54 ma
perché ogni articolo, in realtà, è connotato di riferimenti importanti
al processo penale.
Sintomatica è la chiarezza utilizzata dalla norma all’art. 56 a proposito della prescrizione dell’azione disciplinare, risolvendo alcuni
dubbi che l’ “attuale” disciplina porta ancora con sé.
Se infatti è vero, come osservato opportunamente da Ubaldo
Perfetti nel suo pregevole testo “Ordinamento e Deontologia Forensi” (Cedam, 2011) e come ribadito dalla
giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense, che
nessuna durata massima è prevista per il procedimento disciplinare, non potendosi applicare il principio
del giusto processo a tale procedimento stante il suo
carattere amministrativo, l’articolo 56 evita, finalmente,
incertezze di sorta ribadendo tanto il termine ordinario
(sei anni), quanto quello di durata massima (sette anni
e mezzo).
Tale felice scelta è del resto conforme all’orientamento
espresso dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione
con la decisione n. 29294 del 15 dicembre 2008 e poi,
ancora, con la pronuncia, sempre Sezioni unite, dell’8
novembre 2010, n. 22264, che avevano già ritenuto
applicabili i principi del giusto processo davanti ai consigli territoriali in tema di impugnabilità delle delibere
di apertura dei procedimenti disciplinari.
Definita la durata del procedimento
Delimitare la durata di ogni processo, anche quello
disciplinare, in un tempo ragionevole, è un principio
di civiltà giuridica e la riaffermazione di tale sacrosanto
diritto non dovrebbe, comunque, comportare particolari ricadute sull’amministrazione della giustizia in
quanto, ai sensi dell’art. 50, il Consiglio distrettuale di
disciplina svolgerà la propria opera con sezioni più snelle, composte da cinque titolari e da tre supplenti e non,
come avviene attualmente nei Consigli dei grandi fori,
anche con 15 componenti, determinando sicuramente
uno spreco di energie.
Un altro aspetto significativo, che merita di essere analizzato, è quello introdotto dal comma 3 dell’articolo
58, ove è previsto che conclusa la fase istruttoria, il
consigliere istruttore propone al consiglio distrettuale
di disciplina richiesta motivata di archiviazione o di
approvazione del capo di incolpazione, depositando il
fascicolo in segreteria. Ebbene il Consiglio distrettuale
delibererà senza la presenza del Consigliere istruttore, il
quale non può far parte del collegio giudicante.
Finalmente viene eliminato un aspetto che strideva
con i principi dell’indipendenza ed autonomia del
giudicante che ormai fanno parte del patrimonio della
nostra cultura, in quanto è indiscutibile che la presenza
dell’istruttore nel collegio giudicante, con possibilità di
argomentazione e quindi di concreto convincimento
degli altri consiglieri sulla bontà dell’ ipotesi accusatoria, rappresentava un vulnus dell’intero sistema, accrescendo il rischio di uniformarsi ad una tesi preconcetta.
Migliorato il contraddittorio
Occorre rimarcare positivamente anche il punto 2
dell’art. 59 che disciplina la possibilità, per l’incolpato ed
il suo difensore, di interloquire con il consigliere istruttore, di essere sentiti ed esporre le proprie difese, anche
tramite memorie e produzioni documentali. Tale previsione introduce il contraddittorio anche nella fase delle
indagini e richiama indirettamente i poteri dell’indagato di cui all’art. 415 bis del codice di procedura penale, al
punto che l’istruttore, avuto riguardo al contenuto delle
difese, potrebbe proporre l’archiviazione o, solo dopo il
decorso del termine concesso per il compimento degli
atti difensivi, chiedere al consiglio distrettuale di disciplina di disporre la citazione a giudizio dell’incolpato.
I richiami alla procedura penale emergono a chiare tinte
anche nei termini per il deposito della lista testimoniale
e della motivazione della sentenza, prevedendo un
termine di sessanta giorni per i procedimenti relativi a
decisioni complesse.
In ogni caso, a fugare ogni dubbio concorre la lettera
n) del punto 2 dell’art. 59 che precisa come, per quanto
non specificatamente disciplinato dal predetto comma,
si applicano le norme del codice di procedura penale,
se compatibili.
La lettera g) del punto 2 dell’art. 59 merita, infine, un
autonomo approfondimento anche perché segna la
sublimazione del recepimento dello spirito del giusto
processo. Si prevede, infatti, come “gli esposti e le segnalazioni inerenti alla notizia di illecito disciplinare e i verbali
di dichiarazioni redatti nel corso dell’istruttoria, che non
sono stati confermati per qualsiasi motivo in dibattimento,
sono utilizzabili per la decisione, ove la persona dalla quale provengono sia stata citata per il dibattimento”. La conseguenza di ciò è che niente potrà più essere sottratto
al contraddittorio delle parti e che nulla potrà essere
più utilizzato per la decisione se non si è consentita, in
precedenza, una adeguata ed efficace partecipazione
17
della difesa. Anche nel procedimento disciplinare, quindi, come in quello ordinario, il metodo di conoscenza e
di valutazione dei dati acquisiti sarà quello basato sul
contraddittorio.
E non è una scelta di poco conto o di modeste implicazioni perché determinerà un procedimento sicuramente più articolato ma anche più accorto e garantista
perché la grandezza del metodo accusatorio sta nel
fatto che, ove correttamente applicato, riduce il rischio
di errori.
Uno strumento più moderno e garantista
I nuovi Consigli distrettuali di disciplina all’esordio
L’avvocatura viene così dotata di uno strumento più
moderno ed idoneo a garantire il rispetto delle regole
deontologiche che connotano la nostra professione
e necessariamente potrà essere utilizzato solo da un
difensore dotato di cognizioni specifiche e tecniche
oltretutto in considerazione del fatto che anche il nuovo codice deontologico accentua la vocazione verso
una maggior tecnicismo.
Non varrà più, cioè, la massima tramandata per anni
18
Venezia, nuovo Tribunale di sorveglianza ▲
che il codice deontologico è quello delle buone maniere e che il procedimento disciplinare costituiva la sua
naturale applicazione perchè invece oggi la difesa nel
processo disciplinare non potrà più prescindere da una
conoscenza particolare ed approfondita del rito e degli
istituti.
Il valore più importante che sottende a questa riforma, però, non è tanto indirizzato all’interno, rivolto
cioè esclusivamente all’adozione del metodo migliore
(quello del contraddittorio) per l’amministrazione della
giurisdizione domestica quanto, invece, all’esterno e si
caratterizza per il segnale che propone alla società civile. Quello cioè che l’Avvocatura ha un’organizzazione
disciplinare tale che, pur se ispirata al doveroso garantismo, è dotata di strumenti e controlli tali da escludere,
in radice, una giustizia addomesticata o inefficiente.
All’Avvocatura è quindi ancora concessa una occasione
importante, quella cioè di gestire autonomamente
la giurisdizione domestica essendo state respinte le
istanze, provenienti dalla politica, di inserire tra i giudicanti altre componenti della società come addirittura
i rappresentanti delle associazioni dei
consumatori.
Tale fiducia però, presumibilmente, non
sarà illimitata ed allora l’occasione non
dovrà essere sprecata rischiando magari
un rallentamento in termini di produttività, atteso che, disancorando il giudice
dal territorio, sarà più complesso, per gli
istruttori ed i giudicanti, amministrare la
disciplina fuori sede, impiegando magari
del tempo rilevante negli spostamenti
che potrebbe incidere poi negativamente sul numero dei procedimenti amministrati.
Resta quindi una incognita l’impatto concreto che avranno i Consigli di disciplina,
costretti oltretutto a dover tener di conto
anche le esigenze, tutt’altro che secondarie, relative ai costi, agli immobili da
utilizzare ed al personale da impiegare.
Il Consiglio Nazionale Forense e gli Ordini
territoriali, soprattutto nell’immediato,
saranno quindi gravati da impegni e
responsabilità rilevanti ma sarà di sollievo
pensare che questi sforzi contribuiranno
a fornire un migliore attestato di serietà
alla nostra professione.
■
Quale riconoscimento per le associazioni
maggiormente rappresentative ?
Dubbi, equivoci e criticità per la pervasiva attività di controllo
e vigilanza del Consiglio Nazionale Forense
di Gigi Pansini
Elaborato in bozza il 12 dicembre scorso, il Consiglio Nazionale
Forense, nella seduta del 16 luglio 2014, ha approvato il regolamento (n. 4) contenente le norme per l`istituzione e le modalità di
tenuta dell’elenco delle associazioni forensi maggiormente rappresentative.
Emanato in ottemperanza all’art. 1 comma 3 della L. n. 247/2012
a tenore del quale “All’attuazione della presente legge si provvede
mediante regolamenti adottati con decreto del Ministro della giustizia
(…) entro due anni dalla data della sua entrata in vigore (…). Il CNF
esprime i suddetti pareri entro novanta giorni dalla richiesta, sentiti i consigli dell’ordine territoriali e le associazioni forensi che siano
costituite da almeno cinque anni e che siano state individuate come
maggiormente rappresentative dal CNF”, non poche perplessità
suscitano la portata e il contenuto del regolamento in questione.
Preliminarmente, dalla lettura dell’art. 1, comma 3, della L. 247/12
non sembra ricavarsi, in via ultimativa, un potere regolamentare
del CNF in subiecta materia: infatti, la “individuazione” da parte del
CNF delle associazioni maggiormente rappresentative sembrerebbe, per espressa dizione del citato art. 1, comma 3, L. 247/12,
finalizzata alla previa acquisizione (da parte del CNF) di un parere
non vincolante, nell’ambito del procedimento ivi previsto e relativo
alla adozione dei regolamenti ministeriali
necessari per l’attuazione della legge di
riforma.
Peraltro, sempre l’art. 1, comma 3, della
L. 247/12 adopera il termine “individuazione” e non il termine “riconoscimento”
(impropriamente utilizzato nell`art. 3 del
regolamento), con ciò lasciando intendere
che si tratti di una semplice presa d’atto
di una realtà preesistente, piuttosto che la
necessità di normare un percorso al quale
un’associazione debba sottoporsi per essere riconosciuta come rappresentativa.
Non a caso, laddove la nuova legge professionale ha inteso prevedere un siffatto
percorso di riconoscimento, lo ha espressamente previsto, demandando al Consiglio Nazionale Forense l’emanazione del
relativo regolamento: in particolare, quanto
sopra è stato significativamente previsto
dall’art. 35, comma 1, lett. s), per quanto
attiene al riconoscimento delle associazioni
specialistiche maggiormente rappresentative.
Sotto diverso e non meno importane profilo, le associazioni forensi maggiormente
rappresentative oggi esistenti e riconosciute tali dal Congresso Nazionale Forense
svolgono un ruolo squisitamente politico
e, in quanto tale, ontologicamente diverso
da quello disegnato dal Consiglio nazionale
Forense nel regolamento in esame1.
Obiezioni e criticità
Nel merito, poi, non possono sottacersi
numerose obiezioni e criticità, in quanto
alcuni dei criteri appaiono inconferenti
rispetto al ruolo politico sopra evidenziato, quali, ad esempio, la promozione e lo
19
I nuovi Consigli distrettuali di disciplina all’esordio
20
svolgimento di attività formativa, potendosi benissimo
dare il caso di un’associazione che, pur rappresentativa
sul piano politico, scelga di non impegnarsi nel campo
della formazione.
Altri criteri, e precisamente quelli dell’art. 3, lett. b) [statuto che preveda espressamente la tutela e la promozione
dell’attività difensiva nonché i valori riconosciuti dall’ordinamento professionale], appaiono invece indebite
ingerenze nella libera vita associativa, potendosi dare
il caso dell’esistenza di associazioni rappresentative che
perseguano fini statutari diversi da quelli ivi previsti
mentre è discutibile che i criteri previsti dalle lettere
d) [almeno 2.500 iscritti e una sede operativa il almeno la
metà più uno dei distretti di corte di appello] ed e) [sede
nazionale ed un organismo che coordina le attività delle
sedi periferiche] siano idonei a conferire rappresentatività ad un’associazione.
Gli artt. 5 (procedimento di iscrizione nell’elenco) e 6
(vigilanza e revoca dell’iscrizione), infine, prevedono
una pervasiva attività di controllo e vigilanza da parte
del CNF ai fini del mantenimento del riconoscimento,
sempre sull’erronea ed illegittima presupposizione
che si tratti di attribuire ad un’associazione un riconoscimento avente natura costitutiva e non, per quanto
detto in precedenza, di prendere atto di una situazione
fattuale preesistente.
Tuttavia, sebbene le perplessità in ordine alla portata
e al contenuto del regolamento possano apparire evidenti al lettore più attento, non altrettanto evidente
potrebbe essere l’equivoco terminologico intorno al
quale sembra ruotare l’intero regolamento.
Equivoco terminologico
Così come agevolmente riscontrabile nei lavori preparatori della L. 247/12, nei testi precedenti quello definitivo, l’acronimo “CNF” stava sempre ad individuare
il Congresso Nazionale Forense (che ha trovato ampio
riconoscimento legislativo nell’art. 39 L. 247/12: “Il congresso nazionale forense è la massima assise dell’avvocatura italiana nel rispetto dell’identità e dell’autonomia
di ciascuna delle sue componenti associative”) e non il
Consiglio Nazionale Forense (vedasi, per tutti, il testo
licenziato dalla Commissione Ristretta del Senato in
data 23/11/2010, nel quale viene fatto chiaramente
riferimento al Congresso Nazionale Forense2), in linea,
peraltro, con le vigenti regole pattizie, che vedono
nel Congresso Nazionale Forense l’organo preposto
ad individuare in maniera democratica le associazioni
maggiormente rappresentative e per ciò stesso dal
Congresso riconosciute.
A ciò si aggiunga che, da un lato, la rappresentatività
politica di un’associazione trova esclusivo riscontro nelle
sue capacità di proselitismo, di proposta e di intervento,
delle quali l’Istituzione non può che limitarsi a prendere
atto e, dall’altro, che al Consiglio Nazionale Forense,
per definizione organo terzo ed imparziale, al quale è
demandata la fondamentale funzione disciplinare, non
può essere riconosciuta la facoltà di intervenire, del
tutto discrezionalmente, sulla vita, le regole e il funzionamento di una qualsiasi libera associazione nazionale
poiché, opinando diversamente, si rischierebbe un formidabile vulnus democratico, incompatibile non solo
con la Carta Costituzionale, ma anche con le norme di
rango europeo.
Sarebbe stato quindi auspicabile, anche con le sollecitazioni provenienti da tutto il panorama associativo
forense, che il Consiglio Nazionale Forense si fosse limitato ad “individuare” nell’immediato quali associazioni
maggiormente rappresentative quelle già riconosciute
tali dal Congresso Nazionale Forense negli anni passati
e, per il futuro, quelle che saranno riconosciute maggiormente rappresentative dal Congresso stesso, anche
sulla base dei requisiti indicati all’art.1, co. 3 , l. 247/12.
Il Congresso di Venezia, il primo dopo l’approvazione
della nuova legge ordinamentale, costituirà un banco
di prova anche relativamente a questo tema. Non
dimentichiamo che, nel corso dell’ultima giornata dei
congressi dell’Avvocatura pre riforma, una sessione era
riservata alla discussione e al voto delle istanze delle
associazioni che chiedevano un formale riconoscimento a livello nazionale.
■
1
Per una migliore comprensione, si riporta il testo del Preambolo che
precede lo Statuto OUA attualmente vigente: “L’avvocatura italiana
svolge funzioni costituzionali nell’ambito della giurisdizione e, nel più
vasto contesto sociale, contribuisce alla conoscenza ed all’attuazione dei
diritti e degli interessi soggettivi, in tal modo concorrendo all’effettiva
applicazione dei principi di uguaglianza e di libertà.
2. - Per lo svolgimento di tali imprescindibili compiti l’avvocatura deve
essere libera e non condizionabile da alcun potere politico o economico e deve anzi potersi proporre come soggetto politico, legittimato in
quanto tale alla più ampia ed articolata interlocuzione con i poteri e le
istituzioni dello Stato e con tutti i protagonisti della vita politica e sociale.
3. – L’attuazione di tale doveroso ruolo presuppone il mantenimento ed
il rafforzamento delle istituzioni forensi quali irrinunciabili garanzie non
solo dell’autonomia dell’ordine forense ma anche delle qualità morali e
delle capacità professionali della categoria.
4. – Parimenti il patrimonio di valori, di cultura e di proposta politica delle
libere associazioni forensi è indispensabile presupposto ed ineliminabile
contributo per un’effettiva soggettività politica che consenta all’avvocatura di misurarsi con ampio confronto sui problemi e sugli interessi
di carattere anche generale e quindi di esprimere il proprio autonomo
pensiero propositivo.
5. - Fin dal 1947, nell’atmosfera di recuperata libertà, l’avvocatura ha
costantemente convocato ogni biennio il suo Congresso Nazionale, che
ha costituito tradizionalmente il luogo e l’occasione per confrontare le
opinioni delle varie componenti e per esprimere in maniera unitaria le
aspirazioni e le proposte della categoria. Nel solco di tale consolidata
tradizione, appare naturale che la sede del Congresso Nazionale Forense
sia proclamata come quella ideale per realizzare la confluenza organica
e operativa di tutte le componenti dell’avvocatura, che proprio nel Congresso possono trovare ciascuna il proprio spazio e determinare poi in
sintesi quell’unità di espressione sulla quale può fondarsi la rappresentanza politica necessaria alla categoria.
6. - Una rappresentanza politica che voglia essere autorevole e influente
non può che tendere all’unitarietà, organizzandosi in struttura tale che,
assorbendo in sé le dialettiche interne e maturando nel dibattito più esteso possibile quelle soluzioni o proposte che possano essere presentate
come provenienti dall’intera categoria, sia valida e riconosciuta interlocutrice abituale dei poteri dello stato e delle forze politiche e sociali. Tutte
Roma, una sessione del Consiglio Nazionale ANF ▲
le componenti della categoria hanno ragioni valide per individuare nel
Congresso Nazionale Forense, quale assemblea generale dell’avvocatura, organizzata e gestita in comune e garantita al massimo livello istituzionale, la struttura idonea a costituire la base della loro rappresentanza
politica.
7. - È dunque interesse ed onere dell’intera avvocatura stringersi - come
istituzioni, come associazioni, come aggregazioni culturali e specialistiche, come singoli iscritti all’albo - in un patto di solidarietà politica,
giuridica ed organizzativa, allo scopo di dare partecipazione, riconoscimento e sostegno, anche finanziario, al Congresso Nazionale Forense e
alla struttura operativa di rappresentanza politica che ne è diretta emanazione, l’Organismo Unitario dell’Avvocatura alla cui autorevolezza e capacità di intervento è necessario dedicare, da parte di tutti, il più ampio
e leale supporto.
2
Si legge nel testo richiamato: “ … La potestà regolamentare del CNF
prevista dalla presente legge, eccettuata quella relativa al suo funzionamento interno, è esercitata previa richiesta di parere dei consigli
dell’ordine territoriali e sentite le associazioni forensi maggiormente rappresentative, come tali individuate dal Congresso nazionale forense di
cui all’articolo 36, nonché la Cassa nazionale di previdenza e assistenza
forense per le sole materie di suo interesse e l’organismo previsto dallo
statuto del Congresso nazionale forense”.
21
Il Regolamento Cassa ex art. 21 L.P. e dintorni
Dopo la previdenza, l’assistenza e, sullo sfondo,
il con­trollo dell’effettività dell’esercizio professionale
di Andrea Zanello
L’antefatto
Con nota del 7 agosto scorso il Ministero
del Lavoro ha approvato il testo del Regolamento Cassa ex art. 21, co. 9, L.P. nella sua
ultima versione del 20 giugno, dando atto
che la Cassa, con le modifiche apportate ,
“… ha inteso recepire, pressoché integralmente” i rilievi mossi al precedente testo,
invitandola, al fine di “garantire la massima
trasparenza e certezza del diritto, … a riportare quanto prima nei testi regolamentari
interessati” le varia­zioni con­se­guenti alla
abrogazione delle norme non più in vigore.
Si è chiusa così la prima fase del rinnovamento dell’ordinamento forense oggettivamente innescato (comunque la si pensi
e lo si va­luti) dalla legge n. 247/ 2012 ed è,
pertanto, il momento sia per il necessario
de-brie­fing sugli avveni­
menti dell’ultimo
anno e mezzo sia nella prospettiva di quelle
tante altre “cose” che restano “da fare”.
Tutto è cominciato con la convulsa e - a
parere di ANF e dell’ampia fascia di delegati che poco prima a Bari avevano votato
contro il dise­gno di legge - quanto­meno
affrettata ap­provazione della legge professionale.
L’inquadratura fissa della trasmissione in
streaming mostrava il Presi­dente del Senato
che, burocraticamente, scorreva e fa­ceva
votare il più rapidamente possibile norme
ed emen­damenti, inter­rotto solo dalla reiterata richiesta di verificare il nu­mero legale,
stante la palese distra­zione dell’assemblea,
occupata nelle più impor­tanti questioni di
fine legisla­tura e delle ormai prossime elezioni politiche.
22
Tra le norme così di corsa passate al setaccio (ma già di fatto accet­
tate - è bene ricordarlo - dalla maggioranza dei delegati di Bari)
veniva consacrato il rivoluzionario principio del c.d. “obbligo della
doppia iscrizione Albo- Cassa”.
La gestione del passaggio al nuovo ordine veniva affidata alla Cassa che, “con pro­prio re­golamento, determina, entro un anno [- non
due, come per tutti gli altri numerosi rego­lamenti -] dalla data di
en­trata in vigore della presente legge, i minimi contributivi dovuti nel
caso di soggetti iscritti senza il raggiungimento di parametri reddituali, eventuali condizioni tempora­nee di esen­zione o di diminuzione dei
contributi per soggetti in parti­colari condizioni e l’eventuale applica­
zione del regime contributivo”.
Il rebus dei nuovi iscritti
Incombente rilevantissimo, se si considera che, al dicembre 2012,
su 240.000 avvo­cati iscritti agli Albi, solo 180.000 risultavano iscritti
alla Cassa, con una platea di non iscritti di circa 60.000 unità (nume-
ro poi riverificato in 56.000 e da ultimo ri­dotto ancora a
53.000), pari a quasi il 25% della classe fo­rense.
Nonché delica­tissimo, perché in questi c.d. “60.000”
si trovavano (e si trovano) co­loro che, gio­vani o meno
giovani, dichiarano un reddito inferiore al minimo (€.
10.300 ai fini Ir­pef) al di sopra del quale nel vecchio
sistema scattava l’obbligo di iscri­zione.
A complicare le cose, si profilava la scadenza nel corso
del 2013 del Comitato dei Delegati, della Presidenza e di
parte del Consiglio di Amministrazione.
Da qui, visto anche quanto emerso dai social network
e dai mille dibat­titi ed incon­tri pre­cedenti e successivi
alla campagna elettorale, un delicato e sofferto intrec­
cio tra la non facile elaborazione delle nuove norme e le
ineludibili ele­zioni:
a/ nel febbraio 2013 l’avvio della procedura elettorale sull’inespresso, ma evi­dente presupposto che
i c.d. “60.000” non potes­
sero essere considerati già
automatica­mente in­seriti a pieno titolo nel sistema;
b/ la fissazione della data di voto al novembre 2013,
che innescava la decisa rea­zione del Ministero vigilante,
il quale, proprio mentre si stava avviando la discus­
sione sul regolamento ex art. 21, imponeva una drastica
anticipazione del voto: non più a novem­bre, ma a settembre 2013, con immediata partenza della campa­gna
eletto­rale;
c/ l’emersione di una lettura dell’art. 21 che, con
radicale inver­sione di rotta ri­spetto a quella di pochi
mesi prima, faceva decorrere l’iscrizione alla Cassa
(automa­tica e non più a domanda) già dal 2 feb­braio
2013, in coincidenza con l’entrata in vi­gore della legge
professio­
nale; questa linea trovava espressione nel
primo dei 7 arti­coli approvati, nel settembre 2013, dal
Comitato, nella sua “vecchia” composizione;
d/ la campagna elettorale ed il voto di settembre
2013;
e/ la decisione del neoeletto Comitato, alla ripresa
dei lavori, di non rimettere in discussione i primi 7 articoli approvati dal “vecchio” Comitato e di concludere la
stesura del regolamento nel testo infine licenziato il 31
gen­naio 2014;
f/ i rilievi del Ministero (nota del 5 giugno 2014), a
no­stro avviso né marginali, né di dettaglio, in quanto
atti­nenti la decorrenza dell’iscrizione obbligatoria (da
riportare, se­condo il Ministero, a data succes­siva alla
approvazione del regolamento, in conformità con la
prima origina­ria impostazione della Cassa); la necessità di un percorso di armonizzazione con i previ­genti
regola­menti ed infine la necessità di prevedere più
numerose e ravvici­nate verifi­che dei conti, dei minimi e
delle agevolazioni a causa della presenza di “elementi di
forte indeter­mina­tezza” nelle previsioni attua­riali.
Il testo regolamentare del 20 giugno 2014
Si è arrivati così al testo del 20 giugno 2014, i cui punti
salienti, in estrema sintesi, sono i seguenti:
a/ iscrizione non più a domanda (come era nel sistema previgente), ma a mezzo di delibera della Giunta;
con decorrenza non più dal 2 febbraio 2013, ma dall’entrata in vi­gore del regolamento (art. 1);
b/ possibilità, per chiunque si iscriva per la prima
volta e su base volontaria, di retro­datare la iscrizione
per gli anni di praticantato; con la possibilità, per il
gruppo dei circa 53.000 “neo- iscrivendi”, di estendere
la retrodatazione, pur­ché in regola con l’invio delle
comunicazioni obbligatorie, al primo triennio di iscri­
zione all’Albo, “non­ché all’anno 2013” rimasto (per così
dire) “pericolosamente in sospeso” in conseguenza della
ricordata querelle sulla decorrenza dell’iscrizione (art. 3);
c/ agevolazioni sull’ammontare dei minimi dovuti
per i primi anni di iscrizione, con particolare riguardo al
caso degli iscritti prima del 35° anno di età (art. 7);
d/ ulteriori agevolazioni per i percettori di redditi
al di sotto dei parametri ed in par­ticolare facoltà di
versare, per i primi otto anni di iscrizione, il contributo
sogget­tivo minimo in misura ulteriormente ridotta (in
sostanza, la c.d. “metà della metà del mi­nimo”) con riconoscimento di un periodo di contribuzione di sei mesi
in luogo dell’intera annualità, ma con la possibilità di
recuperare l’intera annualità ver­sando, entro lo stesso
termine di otto anni, il residuo dovuto, ma non pagato
(art. 9);
e/ esoneri temporanei per i casi ex art. 21, co. 7, da
esercitarsi una volta sola e, con particolare riferimento
alla maternità o adozione, ora ripetibili per un mas­simo
di tre eventi complessivi (art. 10);
f/ valutazioni e verifiche in tempi stretti (in sostanza
entro un anno dalla en­trata in vigore del regolamento)
delle agevolazioni di cui all’art. 7, comma 6, nonché
della soglia reddituale e del periodo temporale delle
ulteriori agevolazioni di cui all’art. 9, queste ul­time rivalutabili comunque ogni 4 anni (art. 9, comma 5).
Un contesto di grave criticità
Da questa complessa vicenda, coeva ad un quadro
generale di grave criticità economico- sociale, è innanzitutto (ri)emerso prepotente­mente il ruolo fonda­men­
23
Il Regolamento ex art. 21 L.P. e dintorni
24
tale della previ­denza e della assistenza quale minima
garan­zia di base per un fu­turo meno in­certo e quale
inve­stimento indispensabile per la costru­zione di un
solido percorso profes­sionale di lungo pe­riodo.
Sotto il primo profilo (minima garanzia di base), così
come sottolineato dal ri­chiamo espresso al “dettato
costituzionale” di cui al punto 1 del delibe­rato del Consiglio Na­zionale di ANF del 5/6 otto­bre 2013, tra quei
citta­dini e tra quei “lavo­ratori” di cui parla l’art. 38 Cost.,
che devono essere tutelati nel caso di ina­bilità e di grave diffi­coltà economica, non­ché nel caso di “infortu­nio,
malattia, invali­dità, vecchiaia e disoccupa­zione involontaria”, rientrano anche i liberi professioni­sti, di cui l’avvocatura rappresenta una impor­tante e decisiva quota.
E’ quindi un preciso ed imprescindibile diritto/dovere,
oltreché un evidente con­creto inte­resse economico e
sociale della classe forense quello di provvedere alla
propria previ­denza ed assistenza, che porta con sé tre
ulteriori valori irrinunciabili:
- la autonomia della istituzione;
- la solidarietà tra gli iscritti, date le caratteristiche
proprie della professione, più di altre esposta alle mille
variabili della carriera;
- la tensione continua verso la massima efficienza ed
il più alto livello di affidabi­lità possi­bili del si­stema
gestionale e delle prestazioni.
Sotto il secondo profilo (investimento per la carriera),
per il professionista che deve fare i conti con la crisi la
costruzione di un per­corso previdenziale ed assisten­
ziale di base proiettato sul lungo periodo non è un
optional di cui può fare a meno, ma è un indispensa­
bile “strumento di lavoro” per una presta­zione di qualità
nell’interesse del cli­ente, dell’ordinamento e proprio.
Il professionista “lavora” con la propria persona e, qualunque sia la sua colloca­zione ope­rativa (tito­lare, associato o collaboratore, in tutte le varie forme in cui questa
figura si arti­cola), gli sono indispensabili servizi che gli
consentano di espri­mersi con la serenità, la ponderatezza e l’equilibrio, an­che personali, richiesti dal ruolo
di cui è investito: da un lato, l’assicurazione per il caso di
sinistro; dall’altro, la assistenza per i possibili momenti
di difficoltà, nonché la previdenza, come materializza­
zione e mezzo di verifica, anno dopo anno, del positivo
proce­dere del pro­getto po­sto a base della scelta iniziale
e traguardo fi­nale dell’esperienza di una vita.
Si arriva così al sinallagma costi/benefici.
Il punto 2 del ricordato deliberato di ANF di ottobre
2013 richiamava l’attenzione sulla ne­
cessità di una
capillare campagna di informazione per rendere più
chiari e traspa­renti il si­stema di contribuzione, le prestazioni previdenziali ed assisten­ziali, nonché i criteri di
ge­stione del patrimonio ed i risultati ottenuti.
“Pago, pago, ma non avrò mai indie­tro niente, o briciole!”
è l’affermazione troppe volte ripetuta quando si affrontava l’argomento.
Di ciò si è avuta significativa eco anche nelle note
ministeriali, laddove dap­prima è stato richiesto un percorso di armonizzazione tra vecchie e nuove norme per
“garantire un’agevole accessibilità ai contenuti sostanziali
dei testi normativi” (nota del 05.06.2014) e, dopo (nota
del 07.08.2014), laddove si è invitata la Cassa a riportare al più presto nei testi regolamentari le abrogazioni
effettuate “al fine di garan­tire la mas­sima trasparenza e
certezza del diritto”.
Ciò posto, con il nuovo regolamento si possono e, prima di qualsiasi valuta­zione di me­rito, si debbono fare
i primi conti, soprattutto per la posizione dei 53.000
“iscrivendi”.
La Gestione Separata dell’Inps richiede contributi
nella misura del 27,72% per una presta­zione pensionistica ragguagliata nella sostanza (come è noto) al c.d.
“contribu­tivo secco”. Qualcuno ha fotogra­fato il sinallagma in questo modo: “una percentuale non bassa per
avere poco o niente”.
Con il nuovo sistema (art. 7) per i più giovani iscritti
“under 35” il contributo sogget­tivo minimo sarà, per
i primi 6 anni, di €. 1.390 (fermi re­stando i contributi
do­
vuti in autoliqui­
dazione); mentre, per tutti i neo
iscritti, il contri­buto integrativo mi­nimo sarà, per i primi
5 anni, pari a zero e, per i soli iscritti “under 35”, sarà di
€. 350,00 per i successivi ulte­riori 4 anni (fermi restando
l’integrativo del 4% sul vo­lume di affari IVA dichiarato e
il con­tributo per la maternità di €. 151,00).
Inoltre (art. 9), i percettori di reddito inferiore ad €.
10.300, qualsiasi sia l’età della prima iscrizione, per i
primi otto anni di iscrizione, anche non consecutivi,
po­tranno versare la c.d. “metà della metà” e cioè un
contributo soggettivo minimo di €. (1.390 : 2 =) 695,
fermo restando lo zero per i primi 5 anni di integrativo
minimo ed il resto di cui si è detto sopra. In questo caso
sarà però riconosciuto un peri­odo di contribu­zione di
6 mesi ai fini pensionistici (la copertura assistenziale è
comun­que garantita per l’intero anno; art. 9, comma
3), salvo, sul presupposto di un auspicabile sviluppo di
carriera e/o di un supera­mento della fase di difficoltà, il
“paraca­dute” della possibilità di recupero attraverso il
versamento volontario del resi­duo non ver­sato entro lo
stesso arco temporale di otto anni.
Calcolatrice alla mano, 695 euro rappresentano il 6,95%
di un reddito di €. 10.000 annui e l’11,58% di un reddito
di €. 6.000 annui.
Tutto ciò a fronte di un impegno dell’Ente a fornire, oltre
che l’assistenza da subito, le prestazioni previden­ziali
(su tutte: pen­sione di vecchiaia con il c.d. “retributivo
corretto, quasi contribu­tivo”; pensione di vec­chiaia contributiva; pensione di anzianità; pensione di invalidità
etc., ivi compreso, a de­terminate condizioni, un minimo
garantito di circa €. 900,00 lordi al mese), sinteticamente
riportate nella “Guida previdenziale” del sito uffi­ciale e la
cui complessiva quantificazione risente (come è noto) in
misura non irrilevante dell’applicazione dei mec­canismi
di solidarietà tipici della previdenza forense (di fatto, i
contributi di coloro che hanno redditi più alti finiscono
per compensare, a certe condizioni, i conti complessivi
dei percet­tori dei redditi più bassi).
Orbene, è evidente che qualsiasi valutazione del sinallagma, rimessa al singolo iscritto (vecchio o nuovo che
sia), deve necessaria­mente partire dai nu­meri ed in particolare da “questi” numeri: nessun ragionamento potrà
essere avviato se non sarà corredato, in modo chiaro e
trasparente, da un mi­nimo di dati numerici (percen­tuali
ed importi su tutto) sui costi e sui benefici, sulle entrate
e sulle uscite, sulle proiezioni e sulle rese.
Un dibattito sul nuovo regolamento
Quanto allo stretto merito, non perdono di attualità e
concretezza le in­dicazioni interpre­tative generali della
ricordata delibera del Consiglio Nazionale ANF dell’ottobre 2013, ove si auspicava, tenendo ben d’occhio
l’elaborando regolamento:
a/ la valorizzazione (e non l’abbandono), pur nel
quadro contabile dato, dei meccani­smi di solidarietà,
soprattutto verso coloro che, tra i 53.000 iscri­vendi,
sono in possesso di una professionalità che non può e
non deve an­dare dispersa e che intendono investire e
valorizzare la propria attività professio­nale;
b/ la necessità di predisporre percorsi che mirino
a prestazioni effet­tive, con­crete, de­corose e dignitose,
“non escluso il ricorso, se necessario ed ove ve ne sia la
possi­bilità con­tabile ed attuariale, alla solidarietà, seppur
in minimi termini”, sull’evidente presupposto che la
Cassa ha un obbligo di verità, senza cedere a promesse
e/o illu­sioni, col franco rico­noscimento che versamenti
“troppo minimi” finirebbero con il tradursi, data l’esiguità delle controprestazioni maturande, in soldi “veramente but­tati”;
c/ la cauta, ma responsabile apertura verso ipotesi in
tutto o in parte al­terna­tive, “ma solo sulla scorta di un
chiaro, trasparente, condiviso approfondimento dei costi e
degli eventuali benefici, degli investimenti necessari e delle
rese”; cifre, importi, percentuali e conti senza i quali non
potrà mai esserci un serio confronto tra sistemi, né la
concreta con­sapevolezza del sinallagma costi/ benefici
(in altri termini: se si ipotiz­za un versamento in­feriore al
6,95%- 11,58% di cui sopra, occorrerà però specificare
quanto si in­tende pagare e quali prestazioni si potranno in tal modo ottenere e, nel contempo, dimostrare
“dati alla mano” la tenuta cinquantennale del sistema
entrate/uscite).
Ma la vera risposta a queste esigenze più che dalla
discussione teorica emergerà ormai dai fatti: se nell’immediato futuro l’ampia fascia di valide professionalità
che era o, se­condo alcuni, è stata immeritata­mente
tenuta fuori del sistema, avrà potuto farvi in­gresso con
la prospet­tiva di una effettiva, con­creta e dignitosa
pensione (allargando altresì la platea dei contribuenti
nell’interesse di tutti), la classe forense potrà fre­giarsi
di aver raggiunto un non fa­cile traguardo, in contro­
tendenza rispetto alla diffi­coltà del mo­mento.
Diversamente, si dovrà e, per fortuna, si potrà correre
ai ripari.
Ed infatti, come ancora una volta la sensibilità di ANF
aveva colto, il pilastro fonda­mentale del sistema sta
nella rigorosa quadratura dei conti e nel mantenimento
della garanzia dell’equilibrio di lungo periodo tra entrate ed uscite.
“Non si può prescindere da rigorose verifiche attuariali,
dall’impegno costante nelle veri­fiche contabili, anche con
riferimento alla probabile riduzione della base attiva e dalla drastica riduzione dei redditi della categoria, dalla razionalizzazione dei costi dell’apparato e dall’innalzamento
dei livello di redditività del patrimonio e degli investi­menti”
è stato il refrain dell’Associazione in questi ultimi mesi,
ripreso … a più riprese dallo stesso Ministero.
Come si è visto, il testo definitivo impone la revisione,
entro l’anno, delle agevo­lazioni di cui all’art. 7, nonchè
le soglie reddituali ed il periodo tempo­rale di cui all’art.
9.
C’è quindi l’immediata occasione per una prima seria
verifica del nuovo si­stema, alla quale occorrerà prepararsi con sobria e laica concretezza, senza proclami o
promesse non man­tenibili, con il massimo impegno sul
piano della informazione, cercando di verificare se ed in
quale misura la ri­forma abbia dato la doverosa risposta
a coloro che, tra gli iscrivendi, “fanno dav­vero gli avvocati”, valutando “se necessario ed ove ve ne sia la possibilità
25
con­tabile ed attuariale” il ricorso “ alla solidarietà, seppur
in minimi termini”.
Il Regolamento ex art. 21 L.P. e dintorni
Dintorni ed orizzonti
26
Ma c’è pure un altro versante sul quale la categoria e la
Cassa sono già impe­gnate.
Nel parlare dei “nuovi”, l’Associazione non aveva
mancato di sottolineare che la doppia iscrizione Albo
– Cassa doveva rappresentare, in un momento di grave
crisi econo­mica, an­che l’occasione, per i “vecchi” iscritti,
“di consolidare la propria posi­zione ed i programmi già
in corso”, in particolare valorizzando “sempre nei limiti
impo­sti dal rigoroso rispetto dei conti” il sistema assistenziale, quale sostegno per i mo­menti di difficoltà e per
i pro­cessi di innovazione tecnologica ed organizzativa,
soprat­tutto nelle fasi dello start up e del successivo consolidamento dello studio e della posi­zione personale e
familiare.
Con la recentissima presentazione di una prima bozza
del nuovo regolamento dell’assistenza, la Cassa ha
aperto un dibattito che - si spera - porterà rapidamente
ad un testo definitivo.
Non è questa la sede per affrontare i singoli aspetti
della proposta: ciò che inte­ressa è la consapevolezza
(ed è questa la ragione per cui l’Associazione è chiamata a rinnovare il massimo del suo impegno) che si ha
l’occasione per rafforzare, sul piatto della bilancia del
sinallagma costi/ benefici, il lato dei benefici, anche al
fine di cercare soluzioni alla deli­catissima contingenza
in cui si trova una larga fascia di avvocati “vec­chi iscritti”
(si parla addirit­tura di circa 30.000 unità), che hanno
difficoltà a fare fronte agli ordinari impe­gni contributivi.
Da ultimo, last, but not least, si profila all’orizzonte il
termine, questa volta bien­
nale, per il regolamento
ministeriale, su parere del CNF, che, ex art. 21, comma
1, dovrà stabilire “Le modalità di accertamento dell’esercizio effettivo, continuativo, abitu­ale e prevalente della
professione, le eccezioni consentite e le modalità per la
reiscri­zione … con esclu­sione di ogni riferimento al reddito
professionale” .
Ma in proposito, per ovvie ragioni di tempi e di spazio,
non resta che tenere alta l’attenzione del lettore con
la famosa frase che chiudeva le trasmissioni dei primi
serial televisivi: “E il resto … alla prossima puntata”.
■
2011-2014: uno tsunami di leggi e sentenze
Un segnale incontrovertibile del mutato atteggiamento del legislatore
è dato dalla proliferazione negli ultimi tre anni di interventi normativi
praticamente in ogni settore della giustizia,
cui hanno fatto seguito rilevanti decisioni giurisprudenziali
di Gigi Pansini
Decreto legge n. 98 del 6.7.2011
manovra finanziaria (principio generale di riforma in materia di liberalizzazioni dei servizio
e delle attività economiche: tutto ciò che non sarà regolamentato sarà libero)
Decreto n. 138 del 13.8.2011
manovra finanziaria BIS (Art. 3 comma 5: formazione e tirocinio, accesso libero, determinazione scritta del compenso, polizza professionale, distinzione tra disciplina e amministrazione libera pubblicità, abrogazione di tutte le norme incompatibili con detti principi, testo
unico delle professioni)
Decreto 150 del 1.9.2011
semplificazione dei riti
Legge n. 148 del 14.9.2011
legge conversione del dl 138 di agosto 2011 (delega al governo per riduzione uffici giudiziari)
L. n. 183 del 12.11.11
modifiche al c.p.c. e al c.c. - pec - istanza di interesse per appello e cassazione – sanzione
per inibitoria infondata – tariffe addio, compensi fissati all’atto dell’incarico – riforma degli
ordinamenti – società di capitali – aumento contributo unificato – giustizia tributaria
Termine del 13.8.2012 per la regolamentazione degli ordini professionali, pena l’abrogazione
- Art. 10: liberalizzate tariffe senza minimi e massimi + società di capitali
- Art. 25: impiego della pec nel processo civile
- Art. 26: aumento contributo unificato per impugnazione + cancellazione della causa
senza istanza di instaurazione
- Art. 27: multe per domande di inibitoria infondate nella cause di appello
- Art. 28: aumento del contributo unificato
DL n. 201 del 6.12.11
(salva-Italia)
conferma dell’abrogazione degli ordinamenti professionali con regolamento e tirocinio a
18 mesi
Decreto 211 del 22.12.2011
svuota carceri
Decreto 212 del 22.12.2011
introduzione dell’istituto del sovraindebitamento – revisione circoscrizione uffici giudici
di pace – aumento della competenza per valore dei gdp per la difesa da solo in giudizio e
disposizioni in tema di condanna alle spese per chi si difende da solo
Mediazione: dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo il giudice può desumere argomenti di prova.
Legge n. 214 del 22.12.2011
conversione del decreto salva-italia n. 201/6.12.11
Art. 24, comma 24: obbligo per la Cassa Forense di garantire stabilità tra entrate e uscite x
50 anni
Legge n. 218 del 29.12.2011
Legge sul decreto ingiuntivo con modifiche all’art. 645 cpc e con disciplina transitoria
Decreto 1 del 24.1.2012
- Art. 2: tribunale delle imprese e relativo contributo unificato (anche in Le società 5/2012)
- Art. 9: abrogazione tariffe e parametri ministeriali per la liquidazione – preventivo del
professionista - illecito disciplinare
- Art. 9: tirocinio 18 mesi - inizia dall’Università
- Art. 9 bis: società professionali, maggioranza di 2/3 dei soci professionisti
- Art. 10: norme in materia di patrimonializzazione dei confidi estese anche ai confidi costituiti tra professionisti
Legge n. 3 del 27.1.2012
composizione della crisi da sovraindebitamento. Riprodotte le norme contenute del DL
212/11 (queste ultime soppresse in sede di conversione con L. 10/2012)
(legge stabilità)
(cresci-Italia)
27
Legge n. 9 del 17.2.2012
conversione in legge del decreto svuota-carceri n. 211 del 22.12.2011
Legge n. 10 del 17.2.2012
conversione in legge del decreto 212 del 2011 - Soppressione delle norme (artt. 1-11) in
materia di crisi da sovraindebitamento contenute nel DL 212/11 (contenute nella L. 3/2012)
Legge n. 27 del 24.3.2012
conversione del decreto-legge (cresci-Italia) n. 1 del 24.1.2012
Legge n. 44 del 26.4.2012
applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica: per amministrazioni pubbliche si intendono i soggetti indicati nell’allegato (Cassa Forense)
Legge n. 44 del 26.4.2012
conversione del d.l. 3.2.2012 n. 16 in materia di fisco, tributi, efficientamento e potenziamento dell’accertamento fiscale
DL n. 83 del 22.6.2012
decreto-sviluppo
- Art. 33: introduzione di alcune norme in materia fallimentare
- Artt. 54-55-56: norme sulla giustizia civile. Filtro in appello, interventi sulla legge Pinto,
scuole della magistratura
Legge n. 92 del 28.6.2012
(GU 3.7.2012 n. 153)
riforma diritto del lavoro
nuovo rito per i licenziamenti irrogati dopo il 18.7.2012 in cui ci sia domanda di applicazione dell’art. 18, anch’esso riformato dalla legge.
6.7.2012 schema DPR
geografia giudiziaria
Decreto Min. Giustizia 140 del 20.7.12 gazzetta Ufficiale 22.8.2012 n. 195, in vigore dal 23.8.2012
Regolamento parametri liquidazione giurisdizionale dei compensi
Legge n. 134 del 7.8.2012
(GU 187 dell11.8.12)
conversione, con modificazioni, del decreto sviluppo n. 83 del 22.6.2012 - Misure per la
giustizia civile (artt. 54-56) - Filtro in appello - Giudizio di cassazione - Legge Pinto - Scuola
Superiore magistratura - Legge fallimentare (art. 33) - Lodo in materia di appalti pubblici
(art. 48)
DPR n. 137 del 7.8.2012
regolamento sulle professioni
Decreto legislativo 155 del 7.9.2012
revisione circoscrizioni giudiziarie – sedi giudiziarie
Decreto legislativo 156 del 7.9.2012
revisione circoscrizioni GIUDICI DI PACE
Cass. 12.10.2012 nn. 17405/17406
efficacia retroattiva dei parametri
Corte Costituzionale 24.10.2012
Inammissibilità mediazione obbligatoria
Decreto legge 179 del 18.10.2012
(GU 245 del 19.10.2012)
decreto sviluppo bis - nuove norme in tema di sovraindebitamento - modifiche alla legge fallimentare
Decreto n. 209 del 15.10.2012
regolamento in tema di telematica nel processo civile e penale
Consiglio di Stato n. 6014 28.11.2012
natura pubblica/privata di Cassa Forense
Legge n. 228 del 24.12.2012
legge di stabilità 2013
- art. 1 comma 17: contributo unificato in caso di impugnazione rigettata, improcedibile,
inammissibile
- art. 1 comma 25: aumento contributo unificato in materia amministrativa
- art. 1 comma 19: obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali
- art. 1 comma 19: modifiche alla facoltà di notificazione per gli avvocati e i procuratori
legali e previsione della notificazione tramite pec
- art. 1 comma 19: modifiche alle notificazione nell’ambito della legge fallimentare
- art. 1 comma 20: modifiche agli artt. 543 e 547 in tema di esecuzione presso terzi (previsione della pec).
- applicazione del decreto 1/2012 (DM 140/2012) alle liquidazioni dei compensi per gli
avvocati e ex art. 152bis disp att cpc
- norme sulla capacità di stare in giudizio (art. 11 D.lgs. n. 546/1992): si applicano anche
agli uffici giudiziari per il contenzioso in materia di contributo unificato davanti alle commissioni tributarie provinciali
- art 1 commi 189-206: codice antimafia ed azioni esecutive.
(G.U. n. 189 del 14.8.2012)
(GU n. 213 del 12.9.2012)
(GU n. 213 del 12.9.2012)
(GU n. 284 del 5.12.2012)
(GU n. 302 del 29.12.2012)
28
Legge n. 247 del 31.12.2012
nuova disciplina dell’ordinamento professionale forense
Legge n. 4 del 14.1.2013
riforma delle professioni non regolamentate
Decreto Min. Giustizia 34
dell’8.2.2013
società tra professionisti
ex art. 10 L 183 del 12.11.2011 e ex art. 3 DPR 138/11
DM Giustizia 3.4.2013 n. 48
processo telematico - notificazione per via telematica eseguita dagli avvocati
REGOLAMENTO CNF n. 1 dell’11.4.2013
elenco associazioni specialistiche
REGOLAMENTO n. 2 del 19.4.2013
sportello del cittadino
REGOLAMENTO CNF n. 3 del 24.5.2013
riscossione dei contributi
DL 21.6.2013 n. 69
- art. 63 e ss.: 400 giudici ausiliari per la corte d’appello;
- art. 73: disciplina della formazione dei giovani laureati presso gli uffici giudiziari
- art. 83: esami avvocato: membri di commissione scelti prima tra i magistrati in pensione
e poi tra quelli in servizio
- artt. 75-80: modifiche al cpc (intervento del PM nel giudizio di cassazione; introduzione - art. 185 bis proposta conciliativa del giudice e non ricusabilità o astensione dello
stesso; modifica dell’art. 645 per tutelare il credito nell’opposizione a d.i. prevedendo
l’anticipazione della prima udienza e la concessione della provvisoria esecuzione in prima udienza; modifiche al procedimento per la decisione di inammissibilità del ricorso in
cassazione;
- art. 82: modifiche in tema di controllo del concordato preventivo in bianco
- art. 84: NUOVA MEDIAZIONE (modifiche al Dlgs 28/10)
DL 28.6.2013 n. 73
decreto lavoro (GU 28.6.2013 n. 150)
DL 1.7.2013 n. 78
(GU 2.7.2013 n. 153)
decreto carceri
19.7.2013 CNF
sospensione regolamento riscossione contributi
Legge 6.8.2013 n. 2013
adempimento obblighi legge europea 2013
società tra avvocati: possibile costituzione anche senza la presenza di un legale italiano
Legge 9.8.2013 n. 98
conversione del decreto del fare (guida al diritto 37/13)
- abrogate le norme sulla semplificazione della motivazione della sentenza e sul foro delle
società con sede all’estero
- NUOVA MEDIAZIONE (modifiche al Dlgs 28/10)
5 settembre 2013
soppressione sedi distaccate
sorte dei COA presso sezioni distaccate soppresse
(Guida al diritto 40/13)
REGOLAMENTO CNF n. 3 del
riscossione dei contributi (in vigore dal 10.12.2013)
(adottato dopo la sospensione dell’efficacia (luglio 2013) di quello adottato a maggio )
Circolare 27.11.2013 n. 168322
Ministero Giustizia
mediazione civile (guida al diritto 1/2014)
chiarimenti del ministero sull’indipendenza e imparzialità dell’organismo, sui costi di avvio,
sul deposito dell’istanza di conciliazione e sull’assistenza legale
REGOLAMENTO CNF n. 4 del 13.12.2013
osservatorio permanente esercizio giurisdizione
Decreto legge 23.12.2013 n. 145
destinazione Italia
Decreto legge 23.12.2013 n. 146
decreto carceri
(GU n. 15 del 18.1.2013)
Entrata in vigore 2.2.2013
(GU n. 22 del 26.1.2013)
In vigore dal 26.1.2013
(GU n. 81 del 6.4.2013)
(GU 9.5.2013 n. 107)
(Decreto del fare)
GU 21.6.13 n. 144, suppl.50/L
Legge di conversione 9.8.13 n. 99
(GU 22.813 n. 96)
GU del 20.8.2013 n. 194
(GU 20.8.2013 n. 194)
CNF delibera straordinaria
22/25.11.2013
(attuativo della L. 247/12)
(GU 23.12.2013 n. 300)
(GU 23.12.2013 n. 300)
29
L. 23.12.2013 n. 147
legge di stabilità 2014
Decreto legge 30.12.2013 n. 150
milleproroghe
L. n. 15 27.2.2014
(GU 28.2.2014 n. 49)
conversione del decreto legge 150/2013, mille proroghe
Proroghe (art. 2 bis: GOT e VPO e GdP al 31.12.2015;
art. 9: rinvio al 30.6.2014 l’obbligo del POS per professionisti
Regolamento Min. n. 1 del 31.1.2014
modalità elezione componenti consigli distrettuali di disciplina
(GU 30.12.2013 n. 304)
(attuativo della L. 247/12)
Regolamento Min. n. 2 del 31.1.2014
(attuativo della L. 247/12)
procedimento disciplinare
CNF 31.1.2014
nuovo codice deontologico forense
Decreto legislativo 13 del 19.2.2014
correzioni sul taglio dei tribunali
Legge n. 9 del 21.2.2014
(GU n. 43 del 21.2.2014)
conversione del decreto “destinazione italia” n. 145/13
tribunale delle imprese: integrazioni
Legge n. 10 del 21.2.2014
conversione del decreto carceri 146/13
Decreto Ministero Giustizia 7.3.2014
geografia giudiziaria (giudici di pace)
DM n. 55 del 10.3.2014
Parametri professione forense
Regolamento Min. n. 3 del 20.6.2014
Istituzione scuole forensi
Decreto legge 24.6.2014 n. 90
semplificazione e trasparenza amministrativa ed efficienza uffici giudiziari
- Art. 9: riforma compensi professionali delle avvocature pubbliche
- Art. 18: soppressione sedi distaccate dei TAR
- Artt. 44-52 norme sul processo civile telematico
- Art. 53: aumento contributo unificato
Decreto legge 26.6.2014 n. 92
decreto carceri
Antitrust - Bollettino 7.7.2014
osservazioni sulla riforma forense
Regolamento CNF n. 4 del 16.7.2014
associazione maggiormente rappresentative
Regolamento CNF n. 5 del 17.7.2014
iscrizione albo speciale patrocinio giurisdizioni superiori
Corte Giustizia Euopea Sentenza
elenchi accessibili per abogados e advocat
approvazione ministeriale del regolamento ex art. 21 L. 247/12 approvato il 20.6.2014 Iscrizione obbligatoria a cassa forense
Decreto legge 12.09.2014 n. 132
misure urgenti di degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la
definizione dell’arretrato in materia di processo civile
(GU n. 48 del 27.2.2014)
(GU n. 43 del 21.2.2014)
(ai sensi art. 3 d. lgs. 156/12)
(GU 155 del 2.4.2014)
(attuativo della L. 247/12)
Pubblicato il 20.6.2014
(GU n. 144 del 24.6.2014)
(GU n. 147 del 27.6.2014)
(attuativo della L. 247/12)
(attuativo della L. 247/12)
17.7.2014
GU n. 192 del 20.8.2014
(G.U. 212 del 12.09.2014)
30
Dopo il Congresso di Bari e la L. 247/2012 la
professione forense è ancora accessibile ai
giovani ?
di Giovanni Bertino
La nuova legge
professionale non sembra
realizzare la preannunciata
modernizzazione della
figura dell’avvocato ma
piuttosto garantire talune
rendite di posizione.
A distanza di quasi due anni dalla sua
approvazione, la nuova legge professionale
(corredata dai suoi regolamenti attuativi)
conferma le perplessità immediatamente
avvertite in ordine alle limitazioni introdotte all’accesso e alla permanenza dei giovani
nella classe forense, originando ed amplificando un conflitto inutile ed anzi dannoso
tra vecchie e nuove generazioni, quando
invece il futuro della professione ormai non
è nella giurisdizione ma nel vasto mondo
della consulenza stragiudiziale.
Al Congresso Nazionale Forense tenutosi
a Bari nel novembre 2012, la mozione n.
35, recante come primi firmatari gli Avv.
Dario Greco e Nicoletta Giorgi, veniva
approvata a larga maggioranza e chiedeva
al Parlamento la rapida approvazione della
nuova legge professionale forense con lo
scopo dichiarato ‘di modernizzare la figura
dell’avvocato e il suo ruolo socioeconomico
nell’alveo dei principi cardine della professione forense’.
I massimi rappresentanti dell’avvocatura
affermavano con sicurezza, nella circostanza, che la nuova legge professionale
avrebbe garantito la dignità e l’indipendenza dell’avvocato e, soprattutto, un futuro
meno incerto per le nuove generazioni.
In vista dell’imminente Congresso Forense di Venezia sembra
doveroso verificare se gli obiettivi che la classe forense si era prefissata siano stati o meno raggiunti.
In particolare, è da chiedersi se con l’approvazione della nuova
legge professionale si sia realizzata quell’effettiva preannunciata
modernizzazione della figura dell’avvocato o se piuttosto non si
siano garantite precipuamente talune determinate rendite di posizione.
Analizzando il testo della l. 247/2012 e dei suoi regolamenti attuativi pare doversi propendere purtroppo per la seconda ipotesi.
Ed invero, non vi è stata alcuna modernizzazione in grado di permettere all’avvocato di competere sia sul mercato nazionale, che
su quello europeo e internazionale, ma ci si è preoccupati per lo
più di fissare una serie di limitazioni anacronistiche che hanno reso
di fatto più difficile l’ingresso e la permanenza delle nuove generazioni nella classe forense.
Di seguito si riportano alcune brevi considerazioni per valutare
l’impatto della nuova legge professionale sulla condizione dei
giovani avvocati.
31
Dopo il Congresso di Bari e la L. 247/2012 la professione forense è ancora accessibile ai giovani ?
Sulla disciplina del tirocinio
32
La l. 247/2012 ha modificato in primo luogo l’impianto
del tirocinio professionale, rendendolo più oneroso sia
in termini formativi che economici e privo di qualsiasi
certezza retributiva.
In particolare, ai sensi dell’art. 43 della l. 247/2012, il tirocinio consisterà non solo nella pratica svolta presso uno
studio professionale o un ufficio giudiziario, ma anche
nella frequenza obbligatoria con profitto per un periodo non inferiore a diciotto mesi di corsi di formazione
di indirizzo professionale. Un ulteriore aggravio, quindi,
che peserà sul tirocinante.
E’ stata eliminata l’opportunità per il praticante abilitato
di patrocinare in proprio, con conseguente impossibilità
di autonomo sostentamento economico. La l. 247/2012
ha previsto per di più all’art. 41, comma 11, che il compenso al tirocinante sia solo eventuale: ‘decorso il primo
semestre, possono essere riconosciuti con apposito contratto al praticante avvocato un’indennità o un compenso
per l’attività svolta per conto dello studio, commisurati
all’effettivo apporto professionale dato nell’esercizio delle
prestazioni e tenuto altresì conto dell’utilizzo dei servizi e
delle strutture dello studio da parte del praticante avvocato’.
Il risultato di una simile previsione normativa e della
gestione del tirocinio è che il praticante è totalmente
deresponsabilizzato, non svolge adeguatamente e
con passione il proprio lavoro, tanto che, non appena
ottenuta l’abilitazione all’esercizio della professione
forense, punterà a mettersi in proprio, con conseguente
ulteriore atomizzazione del mercato degli studi legali.
Sarebbe stato ben più opportuno, invece, garantire al
tirocinante un trattamento minimo obbligatorio. Solo
allorché al tirocinante deve essere corrisposto un trattamento economico, il dominus ha infatti interesse a
selezionare i migliori praticanti, a formarli e a far sì che
gli stessi, anche una volta conseguito il titolo di avvocato, rimangano nello studio in modo da ampliarne le
competenze e le professionalità.
Sul conseguimento del titolo di specialista
Atro limite per i giovani avvocati è quello della sostanziale impossibilità di conseguire il titolo di specialista
entro pochi anni dall’iscrizione nell’albo degli avvocati.
Nella l. 247/2012 la specializzazione, invece di essere
considerata come lo strumento per consentire all’avvocato di assecondare le esigenze del mercato e sottrarsi
alla concorrenza spietata presente a livello di servizi
legali a larga diffusione, diventa incredibilmente il mezzo per eliminare dal mercato le giovani generazioni, di
fatto impossibilitate a conseguirla per un buon numero
di anni.
In particolare, secondo la bozza di regolamento ministeriale, attuativo dell’art. 9, comma 1, l. 247/2012, se il
giovane avvocato tenterà di conseguire la specializzazione attraverso i percorsi formativi ivi previsti, dovrà
seguire un corso biennale di almeno 200 ore con una
prova scritta e una orale al termine di ciascun anno. Ed
anche in tale caso dovrà farsi carico dei non indifferenti
costi del percorso formativo.
Qualora, invece, volesse diventare specialista sulla base
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sia Civilisti che Penalisti che Amministrativisti
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Cosa copre?
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Cosa assicura?
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che comporti danni anche NON patrimoniali e perdita titoli/denaro
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Assicurazione per la R.C. Professionale
A) CONDIZIONI ESSENZIALI - Cosa si assicura
1) È una polizza “All Risk”, cioè tutto compreso.
Vale a dire che l’Assicurazione copre tutte le attività che l’ Assicurato – Avvocato,Studio Associato o
Società tra professionisti – svolge nella sua qualità di Libero professionista iscritto all’Albo e nel
rispetto delle vigenti normative e successive modificazioni legislative e/o regolamenti
2) Sono coperti TUTTI i Danni derivanti da errore professionale
La Compagnia si obbliga quindi a tenere indenne l’Assicurato per ogni somma che questi sia tenuto
a pagare/rimborsare a terzi, compresi i clienti, a titolo di risarcimento per danni involontariamente
cagionati a Terzi dei quali sia civilmente responsabile nell’esercizio delle proprie attività
3) Per Danni si intendono
Patrimoniali e NON patrimoniali
4) Nello specifico, a titolo esemplificativo e non limitativo, oltre alla prevista attività civile e penale, sono comprese
le seguenti attività:
- Processo Telematico
- Consulenza Fiscale
- Funzioni Pubbliche/Giudiziali – Curatore Fallimentare/Commissario Giudiziale e Liquidatore
- Funzioni di Arbitro rituale e irrituale
5) Fatto Colposo e/o Doloso di Collaboratori-Sostituti di concetto - Praticanti e Dipendenti
facenti parte dello Studio Professionale e per i quali l’Assicurato sia civilmente responsabile
6) Fatto colposo di Sostituti d’Udienza- Professionisti delegati in base all’ Art. 108 – Professionisti delegati
quali procuratori o domiciliatari
7) Costi di difesa
Sono a carico della Compagnia secondo il disposto dell’Art. 1917 del codice civile, nei limiti di un
quarto del massimale indicato in polizza, in aggiunta al massimale stesso.
8) Documenti, somme di denaro, titoli e valori ricevuti in deposito dai clienti
La copertura comprende anche la responsabilità civile derivante da:
custodia di documenti, somme di denaro, titoli e valori ricevuti in deposito dai clienti,
compresa la perdita, distruzione o danneggiamento a seguito di furto, rapina e incendio
B) DEFINIZIONI – il significato dei termini previsti in polizza
Ai fini di una corretta applicazione delle condizioni contrattuali di polizza in caso di sinistro è indispensabile,
oltre che obbligatorio ai fini IVASS, che la polizza contenga le “Definizioni” dei termini usati nelle condizioni
contrattuali.
C) ESTENSIONI della COPERTURA (già comprese nelle condizioni e nel premio)
- Vincolo di solidarietà
- D.Lgs. 30/6/2003 - Privacy
- Commissione Tributaria
- Mediazione e Conciliazione
- Attività di Tributarista
- Conduzione dei locali adibiti ad uso ufficio
- Responsabilità civile verso i prestatori di lavoro
D) ESTENSIONI AGGIUNTIVE (con sovrappemio)
- Sindaco e Amministratore di Società – Revisore Enti Locali – Organisimi di Vigilanza
E) Regime Temporale e Retroattività
“Claims made” in quanto copre le richieste di risarcimento avanzate per la prima volta dai Terzi nei
confronti dell’Assicurato – Avvocato/Studio Associato/Società tra Professionisti – durante il periodo di
validità della Polizza (che comprende anche il periodo di RETROATTIVITA’, il quale, al fine di garantire idonea
copertura è illimitato) purché le stesse non si riferiscano ad atti già denunciati ad altra Compagnia.
F) Garanzia Postuma
In caso di cessazione dell’attività da parte dell’Assicurato o Scioglimento dello Studio Associato o della
Società tra Professionisti.
Operante a favore dell’Assicurato e/o dai suoi aventi causa per le richieste di risarcimento – riferite ad atti
verificatisi durante la vigenza del contratto - avanzate per la prima volta nei confronti dell’assicurato e
da questi denunciate alla Compagnia nel periodo temporale stabilito in polizza (che sempre nell’interesse
dell’Assicurato è di 5 anni senza alcun costo aggiuntivo)
Garanzia a favore degli eredi (altro aspetto della Garanzia Postuma)
In caso di decesso dell’Assicurato la Compagnia si obbliga a tenere indenni gli eredi per la resposanbilità
professionale incorsa dall’Assicurato (anche questa garanzia è concesso per 5 anni senza costo aggiuntivo)
G)MASSIMALI - Limiti di indennizzo
Il massimale, che rappresenta l’esposizione massima della Compagnia in caso di sinistro, dovrà
necessariamente essere adeguato all’entità ed alla tipologia degli incarichi assunti dall’Assicurato,
nonché dal fatturato annuo da questi realizzato.
Massimali disponibili:
da € 250.000,00 a 2.500.000,00 e fino a 10.000.000,00 per grandi Studi
Assicurazione contro gli INFORTUNI
A) CONDIZIONI ESSENZIALI - Cosa e chi si Assicura
1) Gli eventi morte o invalidità permanente (con supervalutazione) derivanti da infortuni che l’Assicurato
– Avvocato, Studio associato o Società tra professionisti – subisca durante lo svolgimento dell’attività
professionale, anche al di fuori dei locali ove viene abitualmente svolta tale attività.
2) Per Assicurati si intendono:
a)L’ Avvocato Libero Professionista - In caso di Studio Associato o Società tra Professionisti, gli Avvocati
Soci dello Studio o della Società, che svolgono la loro attività in quanto iscritti all’Albo professionale
forense.
b)Gli Addetti – Ciascun collaboratore, dipendente e/o praticante, anche in qualità di sostituto o di
collaboratore esterno occasionale, di cui l’ Assicurato – Avvocato, Studio Associato o Società tra
professionisti - si avvale nello svolgimento della propria attività professionale
3) Le attività Oggetto di copertura sono:
Avvocato: Rischio Professionale – Rischio Extraprofessionale - Rischio in Itinere
Addetti: Rischio Professionale – Rischio in Itinere
4) Limiti di età
75 anni.
B)DEFINIZIONI – il significato dei termini previsti in polizza
Ai fini di una corretta applicazione delle condizioni contrattuali di polizza in caso di sinistro è indispensabile,
oltre che obbligatorio ai fini IVASS, che la polizza contenga le “Definizioni” dei termini usati nelle condizioni
contrattuali.
C) ESTENSIONI della COPERTURA (già comprese nel premio)
- rischio volo – viaggi aerei
- guida di autoveicoli
- improvviso malore o incoscienza
- imperizia, imprudenza o negligenza anche gravi
- punture di insetti, morsi di rettili e animali
- lesioni da sforzi
- asfissia e annegamento
D) CONDIZIONI AGGIUNTIVE (già comprese nel premio)
- Spese funerarie a seguito di decesso per infortunio
- Costi di salvataggio e ricerca
- Commorienza
E) VALIDITA’ TERRITORIALE
MONDO INTERO
F) MASSIMALI
Più elevati per l’Avvocato/Soci dello Studio o Società tra Professionisti
Più bassi per gli Addetti
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MODULO
RICHIESTA
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PREVENTIVO
L’Assicurando fornisce i dati necessari solo per la valutazione del rischio e resta in attesa di conoscere le condizioni per la propria copertura assicurativa.
LA FIRMA DEL PRESENTE MODULO NON IMPEGNA LE PARTI ALLA STIPULAZIONE DEL CONTRATTO. Qualora il contratto venga sottoscritto, le dichiarazioni rese
formeranno parte integrante della polizza di assicurazione ai fini degli artt. 1892, 1893, 1894 del Codice Civile. L’Assicurando dichiara pertanto che i dati forniti rispondono
a verità e dichiara altresì di non aver sottaciuto informazioni relative a circostanze che influiscono sulla valutazione del rischio e conferma che alla data di
compilazione del presente modulo NON ha notizia e NON è a conoscenza di circostanze o situazioni che potrebbero determinare nei suoi confronti, ovvero nei
confronti dei collaboratori dei quali si avvale, richieste di risarcimento conseguenti allo svolgimento dell’attività professionale.
COMPILARE e INVIARE ad assunzione @ assita.com o FAX 02-48.01.22.95
1 ASSICURANDO - AVVOCATO
COMPILARE IN STAMPATELLO
provincia
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P. IVA
2 GARANZIE AGGIUNTIVE
Funzioni di Amministratore - Sindaco Revisore - O.D.V. scarica modello A
Amministratore di Condomini
Incarichi n.
Compensi €
3 FATTURATO ANNUO [Al netto di IVA e C.P. esclusi incarichi di Amministratore - Sindaco - Revisore - O.D.V.]
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€
Esercizio precedente:
di cui:
per Fusioni e Acquisizioni Societarie
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250.000,00 B
500.000,00
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1.000.000,00 D
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2.500.000,00
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MORTE da INFORTUNIO
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€
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* Art. 12 Legge di Riforma Ordine Forense - Per Addetti si intendono: collaboratori, dipendenti e praticanti in conseguenza dell’attività
svolta nell’esercizio della professione anche fuori dai locali dello studio legale, anche in qualità di sostituto o di collaboratore esterno occasionale.
Dichiarazioni dell’Assicurato
5 POLIZZE in CORSO o ANNULLATE
Polizze in corso per il medesimo rischio?
NO SI Compagnia
Massimale
Scadenza
Sono state annullate/disdettate polizze R.C. Professionale?
NO SI Quando?
Da quale Compagnia?
Per quali motivi?
Ha richiesto altre quotazioni negli ultimi 90 giorni?
NO SI Compagnia
6 SINISTRI - CIRCOSTANZE / EVENTI - Negli ultimi 5 anni:
sono state rivolte all’Assicurando richieste di risarcimento per danni imputabili a una sua responsabilità professionale?
oppure è a conoscenza di Circostanze o Eventi che possano dare origine a una richiesta di risarcimento?
NO
SI scarica modello B
LA MANCATA COMPILAZIONE DI OGNI PARTE DEL PRESENTE MODULO, PRECLUDE L’INVIO DEL PREVENTIVO
[email protected]
Data
Ricezione preventivo tramite:
Firma dell’Assicurando
e-mail
fax
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MODULO LEGAL COVER PLUS - AVVOCATO - ANF | GIUGNO 2014
Cognome e Nome
Indirizzo
cap
città
tel.
Iscritto all’Albo di
e-mail
Cod. Fiscale
PEC
Con riferimento alla normativa per la tutela del trattamento dei dati personali (D.Lgs 193/2003) si precisa che Assita tratterà i dati personali contenuti nel presente modulo in modo riservato ed al solo fine di poter predisporre la proposta
assicurativa. Essi non verranno in ogni caso fatti conoscere a terzi. Nel caso di sottoscrizione della polizza, questa sarà accompagnata da specifica informativa e correlata richiesta di manifestazione di consenso al trattamento dei dati.
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ASSOCIAZIONE
NAZIONALE
FORENSE
della comprovata esperienza professionale, occorrerà
che dimostri di essere iscritto all’albo da almeno 8 anni e
di aver svolto attività specialistica nei 5 anni precedenti
con almeno cinquanta incarichi per anno. Anche in tal
caso si tratta di requisiti ben difficilmente raggiungibili
da parte di un giovane professionista.
Sul conseguimento del titolo di
cassazionista
La nuova legge professionale prevede un percorso ad
ostacoli anche per il conseguimento dell’abilitazione
all’esercizio della professione forense presso le giurisdizioni superiori.
Infatti, secondo quanto prevedono l’art. 22, l. 247/2012
e il regolamento del CNF n. 5 del 16 luglio 2014, chi
non maturerà i requisiti per l’iscrizione all’albo speciale
secondo la normativa ante 247/2012 e comunque entro
il 2016, consistenti nella maturazione di un’anzianità di
iscrizione all’albo di 12 anni e pochi altri requisiti per
dimostrare l’esercizio effettivo, dovrà, maturati 8 anni di
iscrizione all’albo e dimostrato di aver patrocinato ben
10 giudizi in Corte d’Appello negli ultimi 4 anni, frequentare proficuamente un corso organizzato dalla Scuola
Superiore dell’Avvocatura. A tale corso, che verrà svolto
in buona parte a Roma, si accederà dopo aver prima
superato un test di ammissione, valutato da una commissione la cui composizione è decisa dal CNF. Superato
il test di accesso l’aspirante cassazionista dovrà pagare
un contributo, sempre deciso dal CNF, il cui ammontare
ha portato persino a prevedere che vi siano apposite
borse di studio per farvi fronte. Borse i cui requisiti di
assegnazione sono sempre previsti dal CNF. Una volta
effettuata l’iscrizione alla Scuola, il candidato dovrà
frequentare almeno 140 ore di corso a Roma e altre 20
ore (forse) presso la propria corte distrettuale. Dovrà
poi tornare a Roma in una data individuata dal CNF per
svolgere la verifica finale di idoneità. Qui la commissione indicata dal CNF non solo valuterà con una prova
scritta e una prova orale le conoscenze giuridiche del
candidato ma ne valuterà persino “la maturità”.
Sulla difesa d’ufficio
La disciplina della difesa d’ufficio è sensibilmente modificata dall’art. 16 della l. 247/2012, così come potrebbe
essere attuato sulla base della bozza di decreto legislativo attuativo diffusa dal Ministero della Giustizia.
Anche in questo caso l’aspirante difensore d’ufficio
potrà chiedere ed ottenere l’iscrizione nella lista dei
difensori d’ufficio solo allorché possa dimostrare alternativamente o di aver partecipato ad un corso di formazione biennale in materia penale di almeno 90 ore, o di
avere un’anzianità di iscrizione all’albo di almeno 5 anni
e una comprovata esperienza nella materia penale, o,
infine, di aver conseguito il titolo il titolo di specialista
in diritto penale.
E’ pertanto evidente che il giovane avvocato non potrà
più chiedere l’iscrizione nell’elenco dei difensori d’ufficio con la facilità con cui ciò è avvenuto sino ad ora.
Se da un lato tale modifica è senz’altro positiva perché
garantisce il requisito della competenza professionale
del difensore, dall’altro limita le possibilità dei giovani
colleghi di maturare esperienza professionale.
Di conseguenza, al fine di coniugare il requisito della
competenza del difensore con quello della necessità di
acquisire competenze pratiche, il legislatore dovrebbe,
ad esempio, prevedere che i giovani difensori, fino alla
maturazione dei requisiti previsti dalla legge per l’iscrizione nelle liste dei difensori d’ufficio, possano svolgere
un tirocinio formativo in affiancamento ad un difensore
d’ufficio iscritto nella lista da almeno cinque anni.
Sulle società fra avvocati e sulle
associazioni professionali
Un ultimo limite della nuova legge professionale è
quello della mancanza di un’adeguata disciplina delle
società fra e per avvocati, che consenta soprattutto alle
nuove generazioni di creare o, comunque, di entrare a
far parte di studi professionali di dimensioni adeguate
per poter esercitare la professione forense non solo a
livello nazionale, ma anche europeo ed internazionale.
Invero, il recupero di opportunità di lavoro e di reddito
passa necessariamente attraverso il superamento degli
studi mononucleari a favore di studi di medie e grandi
dimensioni, che sono gli unici in grado non solo di consentire una riduzione e razionalizzazione dei costi, ma
anche di rendere possibile il livello di specializzazione
necessario per offrire servizi legali a 360 gradi.
Sul punto c’è da osservare che la nuova legge professionale non garantisce agli avvocati gli strumenti per
muoversi in tale direzione.
E’ opportuno sottolineare, in particolare, che il governo non ha esercitato la delega prevista nell’art. 5 della
nuova legge professionale, con ciò rendendo di fatto
impossibile, secondo quella che è la prevalente interpretazione, il dar vita a società di capitali e cooperative
fra avvocati. Per quanto riguarda le società di persone
rimane, comunque, ferma la possibilità di costituire
37
Dopo il Congresso di Bari e la L. 247/2012 la professione forense è ancora accessibile ai giovani ?
società fra professionisti ai sensi del D. Lgs. 96/2001.
Inoltre la nuova legge professionale, secondo l’interpretazione data dal CNF all’art. 5, lett. a), sembrerebbe
impedire all’avvocato la possibilità di costituire società
multidisciplinari con professionisti iscritti ad altri albi, ai
sensi dell’art. 10, l. 183/2011. E’ una limitazione francamente anacronistica, se solo si pensa all’indispensabile
interazione fra l’avvocato e altre professioni, quali quella
del commercialista o dell’architetto. Non si capisce poi
perché gli altri professionisti possano valersi del beneficio dell’ingresso nella compagine societaria di un socio
di capitali nella misura massima del 30%, opportunità
invece negata agli avvocati.
Altro aspetto rilevante è che la forma societaria consentirebbe un più agevole passaggio intergenerazionale dello studio legale e permetterebbe una migliore
gestione del welfare della professione e in particolare
della famiglia e della maternità.
Da ultimo si rileva che il Ministero della Giustizia non ha
ancora emanato il regolamento di cui all’art. 4, comma
2, l. 247/2012, con ciò impedendo allo stato la creazione
di associazioni professionali multidisciplinari, composte
da avvocati e professionisti iscritti ad altri albi.
Appare dunque evidente sia la disparità di trattamento praticata dalla legge professionale fra le vecchie
e le nuove generazioni, sia l’incapacità della stessa di
recepire i cambiamenti verificatisi nel mercato delle
38
professioni legali, non più legato esclusivamente all’esercizio della professione forense nell’ambito della
giurisdizione.
Una siffatta complessiva situazione crea un inutile conflitto intergenerazionale. Di fatto la L. 247/2012 appare
essersi preoccupata essenzialmente di porre vincoli ai
giovani avvocati nell’esercizio della professione forense
innanzi agli organi giurisdizionali.
In realtà è chiaro che a fronte della crisi della giurisdizione, così come è avvenuto in altri paesi, il futuro
dell’avvocatura non è più esclusivamente nell’attività
giudiziale, ma è nell’attività stragiudiziale e in tutti quei
servizi alternativi o complementari alla giurisdizione.
La mancanza più grave della nuova legge professionale
è pertanto quella di non aver previsto e tenuto conto
dell’evoluzione della professione forense e di non aver
modernizzato la figura dell’avvocato, così come previsto dalla mozione n. 35 approvata al Congresso Forense
di Bari.
È auspicabile che dal Congresso Nazionale Forense di
Venezia arrivino proposte innovative di modifica alla
legge professionale, dirette da una parte ad eliminare
le disparità di trattamento in danno dei giovani sopra
evidenziate e, per altro verso, a fornire alle nuove
generazioni gli strumenti idonei per affrontare un mercato globale.
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Processo civile:
tra poteri del giudice e diritti delle parti
È sempre più accentuato nel processo civile il potere di direzione
del giudice a scapito delle parti
di Andrea Noccesi
La vulgata da anni predominante è la
seguente: la Giustizia in Italia non funziona
perché c’è un’ipertrofia di contenzioso; e c’è
un’ipertrofia di contenzioso perché ci sono
troppi avvocati che devono guadagnare; le
cause durano a lungo perché gli avvocati
guadagnano sulla lunghezza delle cause;
per gli stessi motivi ci sono troppe impugnazioni che ingolfano le Corti d’Appello e
la Corte di Cassazione, la quale ultima (oberata di ricorsi) non è in grado di assolvere
alla funzione di nomofilachia.
Questi sono, secondo autorevoli opinioni
ampiamente diffuse sui mezzi d’informazione, i motivi della lunghezza dei processi
e, in special modo delle cause civili.
Gli scarsi risultati ai quali si è pervenuti con
le convulse e continue riforme degli ultimi
anni, accomunate dall’intento di ostacolare
l’accesso alla giustizia e parametrare al
ribasso i compensi degli avvocati stanno lì a
dimostrare inequivocabilmente che quanto
sopra riportato non è vero.
Limitandoci alla disamina della giustizia
civile, è oramai acclarato che il numero dei
procedimenti introdotti è in larga parte
determinato da inefficienze o mancate
risposte della Pubblica Amministrazione,
che costringono i cittadini ad agire in giudizio per il riconoscimento e la tutela dei
propri diritti.
La stessa inefficienza della risposta giudiziaria (alla quale si somma l’inefficacia
delle procedure esecutive) è poi concausa
importante del proliferare del contenzioso
(è stato giustamente osservato che farsi
fare causa, anziché pagare i propri debiti, è
il modo meno gravoso di ricorrere al credito).
L’incertezza del diritto (sostanziale e processuale) dovuta alle
continue modifiche legislative ed ai contrastanti indirizzi giurisprudenziali contribuisce inoltre enormemente all’ingenerarsi del contenzioso, in quanto vi è sempre la possibilità (che l’avvocato ha il
dovere di prospettare al proprio cliente) di ottenere una pronuncia
favorevole.
Modifiche processuali inutili
senza riorganizzazione degli uffici
Non vuole essere quella di cui alle righe che precedono un’auto-assoluzione della categoria forense (che ha le sue responsabilità), ma
solo una premessa atta a riportare i termini della questione nel loro
alveo proprio ed a stabilire un corretto rapporto di causa-effetto in
merito alla genesi dei mali della giustizia civile italiana.
Finalmente pare si sia iniziato a comprendere che le riforme sull’organizzazione del comparto Giustizia possono avere un maggior
impatto virtuoso delle continue modifiche procedurali (senza oneri
aggiuntivi per lo Stato, ma con oneri – eccome – per i cittadini) ed
anche l’introduzione del Processo Civile Telematico è un’innovazione che è stata, dalla stragrande maggioranza degli operatori,
salutata come un primo passo nella giusta direzione.
39
Processo civile: tra poteri del giudice e diritti delle parti
Certo, occorre che la stessa venga accompagnata dalla
convinta opera del Governo, che tramite investimenti
in risorse materiali ed umane e riqualificazione del personale amministrativo, dia alla macchina la benzina per
viaggiare.
Parallelamente si è venuto negli anni a delineare un
mutato quadro procedurale, destinato a cambiare nuovamente a breve in conseguenza degli interventi che
il Governo ha messo in cantiere in tema di degiurisdizionalizzazione, smaltimento dell’arretrato e procedure
esecutive (vedasi schema di D.L. “Degiurisdizionalizzazione”) e riforma della procedura civile (vedasi schema
di d.d.l. omonimo).
Del minimo comune denominatore delle precedenti
riforme si è detto sopra; allo stesso modo sono stati
introdotti filtri di varia natura (procedurali ed economici) per quanto attiene alle impugnazioni in appello
e cassazione, ma non pare che la nomofilachia ne abbia
tratto particolare giovamento.
Interessanti ed anche condivisibili sono sul punto le
osservazioni e le proposte elaborate dalla cd. “Commissione Berruti” in tema di riforma del giudizio d’appello e
di cassazione, ma soprattutto dell’organizzazione delle
Corti d’Appello e della Corte di Cassazione.
Un’altra tendenza comune alle riforme già approvate
ed a quelle in corso di approvazione è costituita dalla
sottrazione sempre più accentuata del processo civile
alla disponibilità delle parti e la sua riconduzione sotto
il potere, pressoché assoluto, di direzione del giudice.
Nella legislazione vigente un chiaro esempio di quanto
sopra è costituito dall’art. 5 comma 2 D.Lgs 29/2010
che consente al giudice (anche d’appello) di “disporre
l’esperimento del procedimento di mediazione”, senza
40
prevedere limiti di ripetibilità dell’invito, anche in materie non soggette alla condizione di procedibilità del
previo tentativo di conciliazione, indipendentemente
dalla durata e dallo stato della causa (con l’unico limite dell’udienza di precisazione delle conclusioni o di
discussione), dall’avere o meno le parti già espletato un
tentativo di conciliazione e senza obbligo di motivare
né di individuare gli argomenti che possano condurre
ad una prognosi favorevole del procedimento.
Taluni giudici ritengono inoltre la condizione sopravvenuta di procedibilità della domanda derivante dall’invito in conciliazione delegata debba (per ritenersi assolta)
essersi concretizzata in un effettivo procedimento di
conciliazione da comprovare documentalmente alla
prima udienza successiva e che quindi non sia sufficiente l’avvio del procedimento con la mancata conciliazione al primo incontro (come previsto espressamente
dall’art. 2 bis D.Lgs 28/10).
Non è questa la sede per analizzare la correttezza o
meno di siffatta interpretazione, ma la si segnala perché, de iure condito, potrebbe verificarsi che le parti di
un processo possano essere più volte inviate in conciliazione delegata e che ogni volta siano obbligate ad
andarvi a pena d’improcedibilità della domanda (ripagandone il costo), senza poter eccepire alcunché.
Questa è solo la più eclatante delle ipotesi nelle quali
le parti si trovano indifese di fronte a provvedimenti
interinali del giudice ed altre è possibile rinvenirle nelle
recenti riforme (ad esempio il mutamento da rito ordinario in rito sommario o l’estinzione dell’esecuzione per
la sua ritenuta infruttousità) e, più in generale in tema
di provvedimenti istruttori (non essendo da tempo più
previsto il reclamo al collegio sulle ordinanze dell’istruttore).
Orbene, se da un lato può comprendersi
la necessità di riconsegnare la direzione
del processo al giudice, anche per evitare
comportamenti strumentali o dilatori di
una parte a danno dell’altra, in un corretto
sistema di pesi e contrappesi, tale accresciuto potere del giudice dovrebbe essere
bilanciato dal potere delle parti di reclamare i provvedimenti endo-processuali.
Inoltre, le sopra ricordate riforme in tema
di impugnazioni hanno reso enormemente
gravose (a volte penalizzanti) le possibilità
di impugnare la sentenza, di talchè sovente il processo civile è divenuto, di fatto, un
processo di primo ed unico grado.
Honoré Daumier, “Gli avvocati” ▲
Ed allora, in quest’ottica già delineata dal legislatore,
è rispettoso del diritto di difesa ed è proficuo questo
potere assoluto del giudice di primo grado ?
Istruttorie e sentenze
I numeri delle sentenze riformate nei superiori gradi di
giudizio ci dicono che molte impugnazioni sono motivate e spesso le sentenze appellate scontano una fase
istruttoria non sufficientemente esaustiva, a sua volta
figlia di una mancata corretta individuazione del thema
decidendum e del conseguente thema probandum.
Occorrerebbe pertanto, rifuggendo illusioni taumaturgiche riposte in procedure alternative al giudizio,
potenziare il momento di confronto iniziale fra avvocati
e giudice alla prima udienza di trattazione, alla quale
si dovrebbe pervenire solo dopo aver esposto negli
atti introduttivi e in una successiva memoria per parte
(con termini scaglionati) le ragioni del contendere e
dell’eccepire (specificamente) ed i mezzi di prova offerti
e richiesti.
A tale udienza il giudice, debitamente edotto, dovreb-
be individuare il novero delle questioni da affrontare ed
intanto deciderne talune, nonché (anche formulando
un’ipotesi decisoria allo stato degli atti e con riserva
delle verifiche istruttorie) tentare la conciliazione;
quindi, provvedere sulle richieste istruttorie, laddove
non ritenesse motivatamente opportuno effettuare un
tentativo di mediazione delegata.
I provvedimenti adottati dal giudice (tutti) dovrebbero
essere reclamabili al collegio.
La perdita di tempo conseguente a tale incombente
(oltre che essere sanzionabile, nei confronti della parte
che ne avesse abusato, in punto di spese di causa ed
ex art. 96 cpc) sarebbe, in un’ottica complessiva, ampiamente ripagata da una più approfondita gestione della
causa di primo grado, dalla quale sfocerebbe una sentenza meno attaccabile in sede di impugnazione.
Quanto sopra pertanto, oltre che rappresentare una
doverosa riconferma del diritto di difesa (art. 24 Cost)
rappresenterebbe a ben vedere anche un buon investimento sulla complessiva durata del processo.
■
41
Arbitrato, mediazione e negoziazione,
ovvero il disimpegno dello Stato
dalla giurisdizione pubblica
di Paola Fiorillo
Scoraggiato l’accesso con
l’aumento esponenziale dei
contributi unificati, chiusura
di sedi giudiziarie, riforme
processuali schizofreniche,
si vuole ora l’avvocato
protagonista ma solo
sul fronte della giustizia
“privata”
Piero Calamandrei scriveva….La legge è
uguale per tutti. È una bella frase che rincuora
il povero, quando la vede scritta sopra le teste
dei giudici, sulla parete di fondo delle aule
giudiziarie, ma quando si accorge che per
invocare l’uguaglianza della legge a sua difesa è indispensabile l’aiuto di quella ricchezza
che egli non ha, allora quella frase gli sembra
una beffa alla sua miseria.
Perché cominciare con questo pensiero? A
parere di chi scrive rappresenta la sintesi di
quanto accaduto alla Giustizia negli ultimi
venti anni. Da quando assistiamo, il più
delle volte inermi, come cittadini e come
operatori del diritto, al graduale, progressivo disimpegno dello Stato dalla funzione di
Giurisdizione Pubblica, in ossequio all’unico
principio-guida della spending rewiev.
È molto preoccupante l’effetto di sbarramento dovuto alla crescente onerosità
dell’accesso alla giustizia per i cittadini,
determinata sia dagli “spropositati” aumenti dei contributi unificati, sia dalla chiusura
di molti uffici giudiziari sul territorio, ma
soprattutto dalla spinta forzata verso forme
42
alternative di soluzione delle controversie giudiziarie che di fatto
non sono ancora entrate nella nostra cultura, pertanto poco condivise dalla società, e comunque di dubbia efficacia.
Se analizziamo la produzione normativa delle ultime tre legislature
ci imbattiamo in una teoria di provvedimenti finalizzati in via principale, se non addirittura esclusiva, alla riduzione della domanda
di giustizia, in luogo della qualificazione e della diversificazione
dell’offerta. Anche i recenti provvedimenti approvati nel CdM dello
scorso 29 agosto rappresentano l’ennesimo attacco alla Giurisdizione, continuando a diffondere la dannosa cultura dei filtri applicati al processo e perpetuando l’esperienza dei tanto deprecati
interventi spot in materia di riforme procedurali.
Con il dichiarato intento di rendere più efficiente e rapida la macchina giudiziaria, cosa che, tra l’altro, eviterebbe allo Stato di pagare gli indennizzi previsti dalla c.d. Legge Pinto, se non addirittura le
condanne in sede comunitaria, sono stati introdotti nuovi ostacoli
di natura economica e procedurale che di fatto precluderanno,
ovvero renderanno ancora più difficoltoso, il ricorso del cittadino
ai servizi giudiziari, con gravi riflessi sul diritto di difesa costituzionalmente garantito.
Deriva mercatista della Giurisdizione.
Il processo civile si è trasformato in un autentico percorso ad ostacoli teso a concludersi, quasi sempre, con
pronunce di rito e non di merito. D’altro canto, l’amministrazione della Giustizia ha subito un indubbio declino, i
cui effetti più evidenti sono il progressivo trasferimento
delle dispute al di fuori del processo tradizionale e la
conseguente, inaccettabile, deriva mercatista della
Giurisdizione.
Tutto questo non può essere giustificato dalla consapevolezza storica della globalizzazione del diritto, quale
conseguenza naturale dell’evoluzione sovranazionale
delle istituzioni politiche e delle relazioni economiche.
Anche, ed a maggior ragione, in un contesto istituzionale e di mercato modificato, la piena affermazione del
principio di legalità non può prescindere dall’efficacia
della risposta dello Stato alla domanda di giustizia
(penale, civile, amministrativa e tributaria) dei cittadini,
nonché dall’efficienza dei meccanismi operativi gestiti
dall’Amministrazione giudiziaria.
La soluzione, appare ovvio, non può ostacolare la
domanda, ma qualificare l’offerta attraverso la creazione di valide alternative alla giurisdizione, ovvero attraverso un ripensamento delle linee politiche di riforma
legislativa ed una migliore, improcrastinabile, organizzazione delle risorse umane e materiali esistenti.
Il comparto Giustizia non può più essere sistematicamente depauperato delle risorse necessarie ad assicurare il quotidiano funzionamento delle strutture, ma
deve diventare, nelle logiche di estensione del Bilancio
dello Stato, un capitolo di investimento funzionale
al rilancio sociale, prima ancora che economico, del
nostro Paese. Il legislatore, fino ad oggi, si è mosso incidendo unicamente sulla Giurisdizione, non con il fine
di aumentare il ventaglio delle scelte per il cittadino,
ma quasi esclusivamente in un’ottica di contrazione dei
costi della funzione, comprimendone l’accesso.
È di tutta evidenza che anche il meritevole intento del
legislatore di abbattere, con i rimedi normativi proposti, i tempi del processo, in difetto di concreti e urgenti
interventi di razionalizzazione delle piante organiche
e di ammodernamento delle dotazioni strumentali,
rischia di rimanere fine a se stesso, laddove non sarà
possibile mettere in esecuzione i provvedimenti
dell’Autorità Giudiziaria e neppure i titoli esecutivi di
formazione stragiudiziale, con ritorni negativi sia per
l’economia che per la civile convivenza fra i cittadini.
Gli interventi normativi che in questi anni si sono succeduti, di fatto non hanno aggredito le vere cause del
problema, che devono essere invece ricercate nell’inefficacia stessa della risposta di giustizia (generatrice di
contenzioso che si autoalimenta), nella proliferazione
della normativa e delle sue interpretazioni (che rende
difficoltoso se non impossibile un giudizio di prognosi
da parte dell’interprete) e, non ultima, nell’inefficienza
della pubblica amministrazione tout court, che sovente
rende necessario lo sbocco giudiziario di questioni che
dovrebbero trovare tempestiva soluzione in altre sedi.
Riforme a costo zero
È intollerabile che il nostro Paese sia tra i paesi Europei
quello in cui i costi individuali di accesso alla giurisdizione siano fra i più elevati (ed ingiustificati considerati
i risultati): lo Stato insiste ad utilizzare il sistema giudiziario per fare cassa, senza investire su di esso. Tutte
le cosiddette riforme degli ultimi anni sono state
approvate “a costo zero” per le finanze pubbliche, non
ultimo il DL 90/14, convertito con legge n.114/14, che
ha determinato l’ennesimo ingiustificato aumento del
contributo unificato.
Molto spesso si è dimenticato che la Giurisdizione è una
funzione, e per di più essenziale, che dovrebbe essere
svolta in maniera efficace ed efficiente dallo Stato. La
risposta statale invece è stata di natura dismissoria: in
luogo di approntare i rimedi opportuni adeguando la
dotazione di magistrati, di funzionari di cancelleria e di
mezzi, lo Stato spinge verso il superamento del proprio
monopolio sulla giurisdizione, introducendo riforme a
costo zero ed introducendo nell’ordinamento norme
confuse e prive di una visione prospettica e sistemica,
che si inseriscono in un corpo normativo preesistente
senza alcun coordinamento, spesso attraverso lo strumento della decretazione d’urgenza, che mal si addice
all’introduzione di riforme strutturali.
Tra queste misure come non ricordare il Decreto
28/2010 che introduceva l’istituto della mediazione
obbligatoria, la cui formulazione bizzarra ha snaturato
completamente lo strumento conciliativo, rendendolo,
non solo di difficile attuazione, ma addirittura rischioso
nell’ottica di una effettiva tutela dei diritti dei cittadini.
Sono state distorte le finalità della mediazione, che
da istituto con valore intrinseco è diventato un mero
strumento di deflazione delle controversie, con il conseguente eccessivo ampliamento del numero delle
materie da sottoporre al tentativo obbligatorio di
conciliazione a pena di improcedibilità della domanda, nonché con la previsione di forme “coercitive”
implicite, quali quella contenuta nell’art.13 in tema di
43
Arbitrato, mediazione e negoziazione, ovvero il disimpegno dello Stato dalla giurisdizione pubblica
spese di giustizia del futuro giudizio. Oggi, alla luce
del fallimento, l’istituto in questione è stato mitigato in
maniera rilevante con la riforma del 2013, tuttavia non
risulta modificata la sua reale funzione di mero strumento deflattivo.
La “giustizia” non può avere finalità diverse da quelle
che la nostra Costituzione le assegna. Occorrerebbe,
pertanto, fermare la deprecata tendenza alla sostanziale “privatizzazione” della giurisdizione, in quanto non
compatibile con i principi della Carta, arrestare il processo di razionamento della giurisdizione che mortifica
il diritto costituzionale alla difesa. La nostra Costituzione è la legge fondamentale di una democrazia fondata,
tra gli altri, sul principio di eguaglianza sostanziale.
L’attacco al carattere sociale della Costituzione, addotto
in relazione alla limitatezza delle risorse, è stato molto
evidente. Lo evidenziano da un lato la progressiva riduzione dello stato sociale, dall’altro il disimpegno dello
Stato dalle funzioni a più alto impatto sociale, tra cui la
Giustizia: “lo smantellamento dello stato dei servizi… cela
il proposito non dico di smantellare ma di ridurre entro
limiti ben circoscritti il potere democratico” (N. Bobbio).
Non è accettabile la scelta di contenere il ricorso alla
giurisdizione con misure deflattive o peggio ancora
punitive!
Anche gli ultimi interventi del legislatore continuano
purtroppo a muoversi nel medesimo solco dei precedenti, con l’introduzione di ulteriori sistemi alternativi
alla giurisdizione, con il dichiarato obiettivo di evitare
che un buon numero di controversie approdi nelle aule
dei tribunali, al fine di restituire margini di manovra ai
magistrati per concentrarsi sulle liti a maggiore tasso di
difficoltà e per “smaltire” l’arretrato.
Ancora una volta, però, nulla si dice sugli investimenti
da farsi, sulla necessità di avere più magistrati, più
personale di cancelleria, che sia anche più giovane e
più preparato alla gestione del processo telematico,
nonché risorse finanziarie sufficienti al corretto funzionamento del PCT, che nonostante il grande sostegno
profuso dall’Avvocatura, va avanti a stento in molte
zone del Paese.
Siamo al punto in cui, dopo l’introduzione della
media- conciliazione del 2010, tra le misure ad effetto
immediato presenti nella schema di decreto legge oggi
troviamo la traslatio judicii in sede arbitrale forense
delle cause civili pendenti sia in primo grado che in
grado d’appello. Questo istituto permetterà alle parti
di richiedere congiuntamente la promozione di un
procedimento arbitrale (secondo le ordinarie regole
44
dell’arbitrato contenute nel codice di procedura civile
espressamente richiamate), e la conciliazione con l’assistenza degli avvocati (negoziazione assistita). Appare
evidente il tentativo di realizzare una procedura cogestita dagli avvocati delle parti volta al raggiungimento
di un accordo conciliativo che, da un lato, eviti il giudizio e che, dall’altro, consenta la rapida formazione di un
titolo esecutivo stragiudiziale.
Avvocati protagonisti della giustizia civile
ma fuori della giurisdizione pubblica
Fin qui tutto bene in linea di principio, l’Avvocatura si
è ormai convinta che è necessario creare dei luoghi
dirimenti diversi dalla giurisdizione, fermo restando
la centralità della stessa, nei quali sia effettivamente
possibile decidere le controversie in tempi brevi e a
costi contenuti, facendo salve le garanzie irrinunciabili.
Ma di contro va detto che, sebbene l’Avvocatura nelle
sue varie espressioni associative ed istituzionali abbia
tenuto una posizione di grande apertura e di fattiva collaborazione ai tavoli di confronto convocati dall’attuale
Guardasigilli, portando un grande contributo di idee,
conscia della grave crisi in cui versa la giurisdizione,
suggerendo soluzioni ed evidenziato le criticità degli
istituti alternativi alla giurisdizione medesima, gli uffici
legislativi del Ministero, nello stendere lo schema di DL
sulla giurisdizione, non hanno tenuto in alcun conto la
voce degli avvocati.
Per questo motivo, essere delle Cassandra, si va consolidando, purtroppo, la convinzione che il nuovo arbitrato sì previsto, senza adeguati incentivi per le parti
(risparmio fiscale, recupero del contributo unificato ecc)
e con il termine di 120 giorni per la conclusione della
procedura in appello e la successiva perenzione del
giudizio per l’ipotesi di mancata riassunzione entro 60
giorni, non sarà particolarmente attrattivo per le parti
in causa, che hanno (specie in appello) già sostenuto
notevoli esborsi e ne dovrebbero sostenere altri con
l’aggravante di un termine cogente. Vien da dire che,
ancora una volta, si è persa una buona occasione.
Restano molte perplessità anche sulla efficacia della
negazione assistita quale strumento per contribuire
alla deflazione del contenzioso e quindi alla riduzione
dei tempi dei processi, poiché in molti casi la parte che
(per i motivi più disparati) non avrà alcun interesse al
raggiungimento dell’accordo, non avvertirà neppure il
“pericolo” di una condanna ex art. 96 cpc o ex art. 642
cpc, specie se la suddetta, eventuale, condanna perverrà a diversi anni di distanza e se la parte vittoriosa
incontrerà problemi (sovente insuperabili) nel porla in
esecuzione.
Inoltre il predetto strumento essendo stato previsto
come obbligatorio a pena di improcedibilità della
domanda e su materie ulteriori e diverse rispetto alla
mediazione, ha perso completamente la sua natura di
istituto volontario ed alternativo per divenire, anche
esso, solo misura deflattiva.
Ed ancora, se pure la misura potrebbe nel tempo portare dei benefici, bisogna evidenziare come, nell’ambito
del contenzioso civile, che (salvi rari casi) vede contrapposte almeno due parti, delle quali una chiede l’attuazione di un vantato diritto e l’altra (motivatamente
o meno) lo contrasta, occorrerebbe provvedere ad un
globale recupero di efficienza del processo che pervenga, non tanto ad impedire con balzelli economici
l’accesso alla Giurisdizione, quanto a contrastare l’abuso sia dell’azione, come della resistenza assicurando, di
contro, l’efficacia alle pronunce.
Da ciò deriva la necessità di rendere effettive ed efficaci
le procedure esecutive, rimettendo decisamente mano
all’intero sistema delle esecuzioni, e non introducendo ulteriori costi od orpelli formali come quello, ad
esempio, di imporre al creditore procedente l’onere
di iscrivere a ruolo l’esecuzione entro dieci giorni dal
pignoramento, oppure che la ricerca telematica venga
effettuata solo dall’ufficiale giudiziario, previa espressa
autorizzazione del giudice adito.
All’opposto, sarebbe stato certamente più efficace
consentire il libero e gratuito accesso alle banche dati
anche per gli avvocati, sia nell’ottica di effettuare esecuzioni mirate e proficue, sia per evitare il contenzioso
(anche di cognizione), rendendo possibile la preventiva
conoscenza dello stato debitorio del soggetto col quale
ci si accinge a contrarre.
Possiamo affermare che ormai siamo di fronte ad una
rivoluzione copernicana, perché sta venendo meno la
centralità della Giurisdizione di cui l’avvocato è soggetto essenziale, con l’individuazione di nuovi e diversi
fronti per la risoluzione delle controversie. L’avvocatura
deve acquisirne maggiore consapevolezza, evitando di
restare incagliata nel recinto del processo ma di rendersi pronta ad intervenire ovunque via sia un diritto
da tutelare, nella consapevolezza che solo con un
recupero di efficacia ed effettività della Giurisdizione
si potrà incentivare il ricorso a procedure alternative di
soluzione delle controversie.
■
45
L'insostenibilità della Cassa Forense ed equità
intergenerazionale ai tempi di face book
C’è da fare i conti anche con contrazione del reddito, possibile riduzione
degli iscritti per l’entrata a regime dell’iscrizione obbligatoria e la
consistente morosità
di Carmela Milena Liuzzi
"Non lasciatevi rubare la speranza, per favore,
non lasciatevi mai rubare la speranza".
Papa Francesco
Come nelle migliori tradizioni, il nostro legislatore, in genere, si affretta a pubblicare
normative importanti e fortemente incisive
sulla vita quotidiana quando il livello di
attenzione del popolo è più attenuato e
distratto da altro.
È accaduto allora che due normative fondamentali per la vita dell’avvocato italiano
siano state approvate l’una, la famigerata
L. 247/2012, pochi minuti prima della fine
di una legislatura in una bagarre ormai
consueta del nostro Parlamento e nell’atmosfera prenatalizia, l’altra, l’attesissimo
regolamento ex art. 21 della stessa, durante
la sospensione feriale – anch’essa in queste
ore fortemente a rischio di riduzione - ed è
stato pubblicato in G.U. il 20 agosto, mentre
i pochi avvocati italiani che se lo potevano
permettere erano in vacanza e gli altri smanettavano su facebook.
Eh sì, perchè nell’era dei social network, la
cd. avvocatura di base, che nella definizione
dei più è quella portatrice di reddito basso,
costituisce una sentinella sempre all’erta,
pronta ad aggiornare, ovviamente sul web,
ogni più sprovveduto avvocato delle novità
legislative.
Da quel momento si è così scatenata l’offensiva nei vari gruppi, alcuni dei quali
anche piuttosto numerosi, con la proposta
delle iniziative più disparate, dalla predisposizione di un ricorso al TAR all’indizione
di assemblee pubbliche, con raccolte fondi
per le iniziative giudiziarie.
Esodati della professione
Certo è che la problematica è piuttosto
seria e complicata e questo, l’Associazione
Nazionale Forense lo ha più volte segna-
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lato, rischia davvero di determinare una platea di “esodati dalla
professione” senza welfare, senza tutele, senza futuro.
Corollario di questa situazione, inevitabilmente è, la ricaduta sulla
sostenibilità del sistema previdenziale, atteso che, stando a quanto
sembra emergere dai dati attuariali trapelati, la Cassa, nel predisporre il Regolamento appena approvato ha presupposto la crescita reddituale e l’aumento dei contribuenti. E, a dire il vero, molte
delle norme contenute nel regolamento sembrano sottendere il
malcelato intento di “fare cassa”, senza obbligo di contropartita di
prestazione di tipo retributivo.
Per converso però, in attesa di conoscere gli ultimi dati reddituali
che emergono dai Modelli 5 appena inviati, dalla lettura di un’interessante disamina dell’avv. Alessandro Dibattista1 emerge la sconfortante realtà cristallizzata al 31.12.2012, in cui il reddito medio
prodotto è pari ad € 46.921,00 (uguale al reddito prodotto nel 1989
(€ 45.367) e si ottiene grazie a quel 10,1% di colleghi che hanno
dichiarato un reddito superiore a € 91.550,00, perchè nel restante
89,9%, la media del reddito è pari a € 23.901,00, media lontana
anche dai modesti € 32.111,00, attestata del 1985.
Una realtà che deve indurci anche ad avere qualche timore per
il nostro futuro previdenziale, atteso che, se è pur vero che con
l’introduzione della riforma del 2012 il livello di copertura della pensione, per la carriera standard, è passato dal
41,5% della normativa previgente al 2009 all’attuale 99,1%, è altrettanto vero che occorre confrontarsi con una serie
di emergenze, tra cui la costante contrazione del reddito, la possibile riduzione della platea degli iscritti all’esito
dell’entrata a regime dell’iscrizione obbligatoria, la consistente morosità vantata da Cassa Forense nei confronti
degli avvocati italiani.
Ritengo interessante, ai fini di questa disamina, riportare le tabelle pubblicate unitamente all’articolo a firma di
Giulia Pignatiello2, in quanto dall’analisi delle stesse, emergono, a mio modo di vedere, aspetti spesso trascurati,
nella valutazione del contemperamento tra equilibrio del sistema, solidarietà ed equità intergenerazionale.
Ipotesi di calcolo della copertura finanziaria del trattamento
pensionistico per un nuovo iscritto alla Cassa Forense
Risultati/1 - Valutazione in assenza di riforma (normativa C. F. vigente fino al 31/12/2009)
TIPOLOGIA
di CARRIERA
PENSIONE
ANNUA INIZIALE
MONTANTE
CONTRIBUTI VERSATI
VALORE ATTUALE
RATEI di PENSIONE
LIVELLO di COPERTURA
FINANZIARIA
Minima
Standard F
Media
Alta
11.206
22.936
28.553
38.734
103.499
200.732
253.965
397.674
236.267
483.576
602.015
816.669
43,8%
41,5%
42,2%
48,7%
Risultati/2 - Valutazione e normativa vigente dopo la riforma del 2009
TIPOLOGIA
di CARRIERA
PENSIONE
ANNUA INIZIALE
MONTANTE
CONTRIBUTI VERSATI
VALORE ATTUALE
RATEI di PENSIONE
LIVELLO di COPERTURA
FINANZIARIA
Minima
Standard F
Media
Alta
11,660
25.193
32.233
41.786
167.494
336.110
425.439
660.693
202.482
439.736
562.623
729.356
82,7%
76,4%
75.6%
90,6%
Risultati/3 - Valutazione dopo le ultime modifiche approvate dal Comitato del 5/9/2012
(decorrenza 1/1/2013)
TIPOLOGIA
di CARRIERA
PENSIONE
ANNUA INIZIALE
MONTANTE
CONTRIBUTI VERSATI
VALORE ATTUALE
RATEI di PENSIONE
LIVELLO di COPERTURA
FINANZIARIA
Minima
Standard F
Media
Alta
11.206
21.425
27.365
36.393
183.486
370.680
469.530
719.241
195.597
373.962
477.648
635.228
93,8%
99,1%
98,3%
113,2%
La nostra Cassa, come emerge da questi dati, è stata molto generosa con i propri iscritti e questo, possiamo anche
dirlo sottovoce, o far finta che sia poco rilevante, data la sostenibilità attestata dal Ministero, dopo lo “stress-test”,
imposto dalla Legge Fornero, ha determinato l’esistenza di un consistente debito previdenziale cumulato nel tempo, per pagare quel 50% e oltre rimasto nelle tasche dei nostri colleghi che hanno beneficiato dei privilegi concessi
prima del 2009, è un macigno che pesa su di noi e sui futuri colleghi. Un 50% pagato anche ai colleghi della fascia
più alta.
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L'insostenibilità della Cassa Forense ed equità intergenerazionale ai tempi di face book
Se è vero, quindi, che i minimi contributivi sono stati
allora aumentati per garantire la copertura quasi
totale delle pensioni minime future, è altrettanto vero
che nessun sacrificio è stato richiesto a coloro che già
oggi stanno beneficiando dei privilegi ante 2009, con
la conseguenza che il diritto acquisito da questi diviene
inevitabilmente un “indebito arricchimento” alle spalle
di coloro i cui diritti pensionistici si stanno acquisendo,
a spese proprie.
Equità intergenerazionale
Uno spunto interessante sul tema, è dato dal Prof. Massimo Angrisani in un suo scritto, a proposito di sostenibilità e patto intergenerazionale3, laddove sostiene “solo
se c’è equità intergenerazionale, consentendo a me attivo
di beneficiare delle stesse prestazioni pensionistiche attuali a parità di contributi allora posso essere d’accordo sulla
solidarietà, altrimenti, pur chiamandola solidarietà,nei
fatti è una sorta di stolidità intergenerazionale, una sorta
di accettazione passiva del ruolo di vittima previdenziale”.
Allora appare del tutto evidente la stortura del sistema,
laddove l’ avvocato di 45 anni, iscritto dall’età di 28/30,
dapprima si è visto allungare l’età pensionabile fino a
70 anni, poi soggiace all’aumento dei contributi minimi,
per pagarsi, di fatto, la propria pensione, ma al contempo paga quel gap di contribuzione maturato dai colle-
ghi fino al 2009, quegli stessi colleghi che beneficiando
di un periodo storico particolarmente florido, hanno
potuto anche creare la propria rendita di posizione, a
prescindere dall’aspettativa pensionistica.
Da qui, anche, il disagio e la rivolta della cd. avvocatura
medio-bassa (quanto a reddito, ovviamente…) per la
quale un minimo contributivo, quale quello odierno,
costituisce circa il 30% del proprio reddito. E dunque,
certamente non riesce a pagare quel minimo, costituendo così un vulnus per il sistema stesso che attraverso quella contribuzione voleva sanare un altro vulnus
molto più grave che era evitare l’ulteriore accumulo di
debito previdenziale.
Se la parola chiave è allora equilibrio, occorre lavorare
duro, per ripristinare quel patto di solidarietà che rischia
di far saltare il “banco”.
La nota ministeriale del 05.06.2014, laddove invitava
Cassa Forense a riflettere sulla possibilità di prevedere
nuovi ed autonomi contributi, per consentire un accesso soft al sistema per tutti, sembrava aver segnato una
buona via per l’inizio di un percorso di riconciliazione
tra le avvocature esistenti.
La ferma presa di posizione della Cassa, il cui Comitato
ha invece ritenuto di insistere, nel mantenere gli importi come esistenti, forse ha causato la più grave frattura
all’interno dell’avvocatura italiana, che oggi è chiamata
al suo primo Congresso dopo l’approvazione della riforma, a discutere del proprio futuro, anche previdenziale
in un clima compromesso dallo sconforto di una generazione di avvocati, forse “bruciata”.
C’è tempo per rimediare? Forse. L’avvocatura deve, in
questo momento trasformarsi in un’aurea fenice e risorgere da quelle ceneri che la 247/2012 sta creando.
Certo è che, una serie di colleghi hanno 90 giorni per
decidere del proprio futuro e che, dalla loro scelta,
dipenderà anche il nostro di futuro. E forse anche di
quello dei nostri figli.
E questo, su Facebook qualcuno ha cominciato a capirlo
e a scriverlo.
■
NOTE
1
CF News
2 La Previdenza Forense 3/2012 Retributivo Misto sostenibile…sicurezza a 50 anni.
3 “Solidarietà e equità intergenerazionale”pubblicato negli atti del
Convegno di Studi di Roma TorVergata dal titolo “La previdenza dei professionisti tra mercato e solidarietà” – Roma 16.05.2003
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Il Liga non si tocca !!
Continua, tra disinformazione e ignoranza, la gogna mediatica su
network e media contro l’avvocatura. E quando il giornalista “toppa”,
si scusa in ultima pagina
“Per prima cosa, ammazzeremo tutti gli avvocati”
di Palma Balsamo
Un tempo la stampa d’estate era tradizionalmente diversa dagli altri periodi dell’anno. Un po’ perché anche la politica andava
in ferie. Un po’ perché gli italiani, sotto l’ombrellone o fra le valli alpine, vorrebbero
andare in vacanza anche dai problemi che
attanagliano loro e il Paese intero.
Vi ricordate i bei tempi in cui le pagine dei
quotidiani di agosto ci deliziavano con i
reportage del concorso di Miss maglietta
bagnata o della sagra della lumaca? Vi ricordate i consigli sulle partenze intelligenti
e su come sopravvivere al caldo, i trucchi
contro i furti e il bon ton al mare?
Quest’anno non è andata così: i focolai di
guerra in molte parti del mondo, le orribili
decapitazioni ad opera dell’ISIS, il suicidio
di Robin Williams.
E poi la Grande Riforma della Giustizia,
l’ultima e definitiva parola dopo una lunga
serie di interventi, tutti risolutivi ed epocali.
Quindi largo alle approfondite analisi sulle
cause dei mali che affliggono il nostro sistema giudiziario, perché, si sa, se non individui la causa come puoi sconfiggere il male?
E il parere è unanime: la giustizia non funziona perché vi è un numero abnorme di
processi, e vi sono troppi processi perché
esistono troppi avvocati, che vivono di
nuove cause.
Parliamoci chiaro: l’avvocato, per il solo
fatto di esistere, crea enormi problemi al
sistema, perché ama scaricare sui Magistrati
i problemi esistenziali della gente.
I creditori non ti pagano? E gli avvocati
fanno causa, quando basterebbe prendere
i clienti per cretini per essersi fidati di un
insolvente.
Tua moglie ti porta via i figli? Ma avresti
(William Shakespeare, Enrico VI, parte Seconda, 1588-1592)
potuto scegliere meglio con chi sposarti!
Insomma creare problemi è la vera vocazione degli avvocati, perché proprio non riescono a vedere quel che è, agli occhi di giornalisti e magistrati, evidente e vivono di infondati pregiudizi.
Figuratevi che, pur di giustificare il continuo proliferare di cause,
si inventano che gli italiani sono più litigiosi dei loro coinquilini
europei non perché amanti della lite temeraria, ma perché costretti dall’altissimo tasso di illegalità sociale e di totale inefficienza da
parte dello stesso Stato e delle sue articolazioni, enti previdenziali,
banche, assicurazioni, gestori telefonici e compagnia bella.
E con tracotante corporativismo continuano ad opporsi ad ogni
riforma della Giustizia, denunciando continuamente la stessa cosa:
che uno Stato, eticamente e strutturalmente inadeguato, pretende
di poter risolvere l’emergenza sempre allo stesso modo: rendendo
ancor più difficile e costoso l’accesso alla giustizia e riempiendo di
trappole e tagliole il processo civile.
E, sempre gli avvocati, proprio loro che hanno determinato lo stato
catatonico della giustizia italiana, alzano gli scudi contro le accuse
di comportamenti dilatori che vengono loro rivolte, continuando
ad osservare che, proprio per effetto delle tante definitive riforme
degli ultimi anni, gli avvocati non hanno più alcuna disponibilità
del processo, interamente in mano ai Giudici.
Per fortuna, dalle valli valdostane di Champoluc, ci pensa il Giudice
49
Il Liga non si tocca !!
Davigo, che di corporazioni se ne intende, a ristabilire la
verità. Il problema nasce dalla base, in Italia, il numero di
processi «non ha uguali nel mondo» e per Davigo negli
ultimi 20 anni non si è fatta alcuna riforma perché la
giustizia dà da mangiare a 250 mila avvocati: «Questa è
una vera bomba sociale. Ogni anno i nuovi avvocati sono
15 mila, si arriverà presto a 400 mila avvocati in totale, a
caccia di cause sempre nuove». La lobby degli avvocati
si oppone al principio per cui un cliente deve pagare
l’onorario soltanto se la causa sarà vinta. «I tribunali
sono intasati dalle cause perse, l’Italia è l’unico Paese in cui
si va sempre al terzo grado di giudizio, per dilatare i tempi,
per sperare nella prescrizione»1. Gli fa eco un altro ex magistrato sulle pagine del Il Fatto
quotidiano, che ancora più chiaramente ci illumina2:
“Perché il processo civile “è tutto da rifare”? Per due
ragioni: ingenuità e opportunità. Garantire il contraddittorio e assicurare di che vivere bene agli avvocati. E
se la prende con la solita pretesa degli avvocati di avere
termini per contro dedurre:”Se critiche debbono fare, le
facciano subito; fa parte del loro mestiere immaginare
quello che dirà l’altro; in realtà è quello che ognuno di loro
direbbe se fosse al posto del collega; e dunque gli riuscirà
facile contraddirle in anticipo”.
E poi la soluzione “Ma non è finita qui. C’è da liberarsi di
un altro tabù: l’Appello. Non serve a niente. I giudici di 2°
grado non sono diversi da quelli di 1° grado; non sono più
esperti, più preparati, più lavoratori. Capita addirittura che
un giudice lavori in Tribunale, poi si trasferisca in Appello
e poi torni in Tribunale. Non c’è nessuna garanzia che il
giudizio d’Appello sia più corretto, più approfondito, più
professionale di quello di 1° grado: spesso capita proprio
il contrario. È solo una roulette; la moltiplicazione delle
possibilità di errore. Sicché gli anni persi per il processo
di 2° grado (2/3, qualche volta 4) sono del tutto inutili. lo
abolissimo, si potrebbero recuperare circa 1200 giudici
(tra Appello e Procure Generali); l’organico dei Tribunali
potrebbe essere aumentato quasi per la metà; il carico di
processi pro capite diminuirebbe corrispondentemente; i
processi sarebbero più rapidi. Resterebbe il ricorso in Cassazione per errori di diritto (un giudice che ha applicato
una legge che non c’entrava niente o non ha applicato
quella che andava bene). Si risparmierebbero soldi (i giudici straordinari, i giudici di pace, i giudici onorari) e tempo. Tanto, tanto tempo. E tutti sarebbero felici e contenti
(meno gli avvocati ma la vita è dura)”.
A questo punto gli avvocati avranno capito che sono
loro il problema, vero?? Ma no, giù ad insistere, sordi e
ciechi davanti a cotante illuminate analisi, che non ci
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si può limitare a ridurre i diritti di difesa delle parti o a
costringere l’avvocato a cadere in errore con trucchetti
procedurali che fanno torto alla società civile, quella
che si aspetta una giustizia sostanziale, non procedurale o virtuale. Giù a rivendicare che non sono utili
ulteriori modifiche delle regole processuali, sia perché il
processo ha esigenze di garanzia che non sono comprimibili, sia perché continue modifiche hanno l’effetto di
introdurre rilevanti momenti di incertezza negli operatori, con effetti opposti a quelli sperati.
Duri di comprendonio noi avvocati, e già nel 2012, quando ci fu detto che per rilanciare l’economia bastava rendere sovrumanamente difficile proporre impugnazioni
contro le sentenze civili, introducendo filtri e filtrini che
neanche in un antro da fattucchiera, abbiamo fatto le
cassandre: i giudici di appello l’art. 348 bis c.p.c. non lo
avrebbero mai applicato perché, per poter decidere,
alla prima udienza e prima della trattazione, se l’appello
non ha una ragionevole probabilità di essere accolto,
dovrebbero studiare bene e subito tutte le cause. Cosa
che, notoriamente non si verifica mai, se è vero che le
Corti di Appello hanno inventato l’inutile rinvio per
conclusioni a tre o quattro anni di distanza.
I tecnici ci hanno da anni spiegato che è la mediazione
obbligatoria la panacea per i mali della giustizia civile.
Ma gli avvocati si ostinano a rivendicare che i tentativi
di conciliazione, specie se forzosi, non hanno mai raggiunto lo scopo sperato di ridurre il numero dei giudizi
pendenti.
Un giornalista, per una banale svista, scrive che “Il tempo medio per una causa civile o commerciale è di 2.992
giorni (900 in Germania) perché gli avvocati continuano
a prendere parcelle basate sulla durata di un caso, mentre
i magistrati sono pochi e non vengono valutati sul loro
rendimento“?3.
E gli avvocati subito lì a scrivere al direttore del quotidiano, a pretendere smentite, a non accontentarsi neppure
quando lo stesso giornalista, due giorni dopo ha rettificato: ” nel mio articolo pubblicato giovedì, “Radiografia
di un declino”, ho scritto che la parcella degli avvocati è
parametrata alla durata dei procedimenti. Invece non è
più così dal 2012. Mi scuso dell’errore”.
Ma non bastava, e così accuse di ignoranza e gogna
mediatica su tutti i social network.
Come non rendersi conto che fra le cause scatenanti la
crisi economica ci sono le tariffe dei professionisti, in
primis quelle forensi, ma ancora di più il diritto di azione? Quel vecchio e risalente diritto che una antiquata
norma della Costituzione (nell’ormai lontano 1948) ha
improvvidamente garantito a tutti i cittadini.
Che diavolo, se la sono presa anche con un mostro
sacro della musica come Ligabue, reo di avere messo
alla berlina la categoria cantando ”la giustizia che aspetti
é uguale per tutti, ma le sentenze sono un pelo in ritardo,
avvocati che alzano il calice al cielo sentendosi Dio” 4.
E no questo è troppo, il Liga non si tocca… lasciatemi
almeno un mito!!
Insomma nell’estate 2014 non si è salvato nessuno, quando agli avvocati sarebbe bastato rassegnarsi: la riforma
farà aumentare il PIL di un punto, l’economia nazionale
si risolleverà e noi italiani saremmo tutti più ricchi e più
contenti.
In attesa delle magnifiche sorti e progressive, per tutti un
consiglio ”estivo”: quando il sole batte forte, coprite la testa
ed usate la crema protettiva!!
■
NOTE
1 La Stampa del 17.8.2014 su http://www.lastampa.it/2014/08/17/
edizioni/aosta/davigo-la-riforma-della-giustizia-si-occupa-di-cose-inutili-rzgdw4hYz8zgBlL5rnztlI/pagina.html
2 Il fatto quotidiano del 21.8.2014 su http://www.ilfattoquotidiano.
it/2014/08/21/riforma-della-giustizia-il-processo-civile-che-non-finisce-mai/1095560/
3 La Repubblica del 7.8.2014, Federico Fubini “ RADIOGRAFIA DI UN
DECLINO”.
4 La Gazzetta di Reggio del 25.6.2014. Liga finisce nel mirino dei giovani avvocati http://gazzettadireggio.gelocal.it/cronaca/2014/06/25/
news/liga-finisce-nel-mirino-dei-giovani-avvocati-1.9486446
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DIAMO LA LIBERTÀ DI SCEGLIERE
ALLA GIOVANE AVVOCATURA
di Nicoletta Giorgi
Il termine “giovane” da
tempo non indica più un
fattore solo anagrafico
ma anche una categoria
sociologica cui si
accompagna una serie
di valori e orientamenti
ben distinti da quelli della
società adulta.
52
Il XXXII Congresso forense di Venezia si intitola “Oltre il mercato.
La nuova avvocatura per la società del cambiamento” rilevando,
così, l’ambizione di proporre, al termine del consesso, un nuovo modo di svolgere la professione. Un tale gravoso impegno
non può prescindere dalla considerazione di quali siano le vere
condizioni della professione e in particolar modo quale sia “la
condizione della giovane avvocatura”.
L’analisi di un tema così ampio non può che partire dalla definizione del concetto di “giovane”. Questo termine da tempo ha
smesso di assumere un significato prevalentemente anagrafico
ed indica, invece, una categoria sociologica cui si accompagna
una serie di valori e orientamenti specifici, ben distinti da quelli
della società adulta. In questo senso sono state date diverse
definizioni che hanno cercato di ingabbiare i giovani in varie
categoria “generazione X”, “generazione mille euro”. Spesso,
poi, i giovani sono stati uniformati sotto l’etichetta del disimpegno, del disinteresse per il coinvolgimento nelle tematiche che,
prima o poi, li avrebbe visti coinvolti direttamente.
Applicando queste categorie alla fascia di età che va dai 25 ai
45 anni dei professionisti che hanno scelto di fare l’avvocato,
ossia alla attuale “giovane avvocatura”, si evidenziano prima di
tutto alcuni aspetti fondamentali. Se non esiste una condizione
omogenea dell’essere giovani, lo stesso vale per l’essere giovani
avvocati. Vi sono aspettative, esperienze ed esigenze che sono
diverse e che spesso non vengono considerate nell’analisi di una
professione, come quella legale, che più di ogni altra ha subito,
e sta subendo, una trasformazione agli occhi della società civile,
delle istituzioni e, inevitabilmente, di chi ha deciso di farne la
propria occupazione.
Di certo, oggi, in modo disincantato possiamo affermare che la
condizione di precarietà di un mercato in forte crisi si riversa sul
professionista, ultimo anello della catena dei “fornitori”. Tuttavia non esiste un solo colpevole nel “giallo” del lento declino
della professione. Essa,infatti, è arrivata ad avere un aumento
abnorme e incontrollato di iscritti, ad annoverare oltre 50.000
colleghi (su 230.000 circa) che dichiarano un reddito inferiore ad
€ 10.300,00 e a constatare una situazione in cui il reddito pro-
dotto ha interrotto, ormai per quattro anni di seguito, la sua progressione di crescita arrivando a contare
circa, secondo gli ultimi dati a disposizione di Cassa
Forense, 139.902 posizioni su 230.435 con un reddito
medio annuo che va da euro 5.186 ad euro 29.331.
Una professione sempre meno attrattiva
Appare evidente che la professione di avvocato sta
diventando sempre meno attrattiva, dato che, oltre
alla passione per una nobile professione quale è,
non può mancare la possibilità di trarre dalla stessa
il sostentamento per sé e per una eventuale famiglia.
Il primo segnale chiaro è dato dalla contrazione delle
iscrizioni alla facoltà di giurisprudenza pari al 16% e
questo dipende non solo in quanto si scelgono altre
facoltà e altri percorsi formativi ma altresì perché il
rischio di rimanere disoccupati in Italia aumenta
con il crescere dei titoli di studio e la laurea in giurisprudenza ha mostrato, in alcune recenti indagini di
Almalaurea, una delle minori percentuali di possibilità di inserimento lavorativo (pari al 41% rispetto ad
altre facoltà che vantano oltre il 90%) e una previsione di reddito mensile medio tra i più bassi, circa euro
822,00.
Ecco perché parlare della condizione della giovane
avvocatura comporta prima di tutto ridiscutere di
formazione universitaria rendendola capace di calmierare in modo razionale il numero di laureati e di
fornire agli stessi una formazione spendibile nel mercato. È, infatti, già dalla (bassa) competitività della
facoltà di giurisprudenza rispetto a facoltà “vicine”
(come economia, scienze politiche) che si assiste ad
una costante riduzione dell’esclusività di competenza. Mentre, infatti, il laureato in giurisprudenza non
ha acquisito negli anni una rinnovata formazione,
che tenga conto dell’evoluzione del mercato (dove i
beni immateriali oggetto di scambio stanno crescendo smisuratamente per tipologia e numero) e della
nascita di nuovi rapporti giuridici (dove i tradizionali
istituti di mutuo, locazione ecc. non rispondono
più alla complessità dei rapporti), di nuovi piani di
contrattazione (si pensi al web che sta sostituendo i
noti “locali commerciali”), le altre facoltà inseriscono
corsi di diritto strettamente affini al loro curriculum
di studio. Si assiste, così, a corsi di diritto ad economia
e commercio, a ingegneria, a medicina solo per fare
alcune esempi. A giurisprudenza, invece, si perpetua
il mantenimento di indirizzi legati ad una figura di
avvocato in via di estinzione, appartenente ai ricordi
e alle aspettative di quella che oggi non è più la maggioranza nell’avvocatura.
Infatti gli infra quarantacinquenni costituiscono oltre
il 60% dell’avvocatura con costante caratterizzazione
al femminile della professione. Questa condizione
determina all’interno della categoria nuove visioni,
nuove aspirazioni, nuove necessità. Nuove rispetto a
cosa? A quelle che si sono mostrate essere le visioni,
aspirazioni e necessità di quella che fino ad oggi è
stata la rappresentanza politica e istituzionale dell’avvocatura. Se sicuramente per essere un buon medico
non occorre essere stato anche malato, sicuramente
per dirigere una categoria professionale profondamente cambiata bisogna non solo conoscerla (il più
delle volte non è neppure così) ma farne parte.
La riforma forense non aiuta i giovani
avvocati
La legge di riforma dell’ordinamento professionale
n° 247/2012 non sembra aver tenuto conto di questa
trasformazione. Non si rinviene nella stessa alcun
provvedimento a favore dei giovani e poco o nulla è
stato fatto da chi ne era stato investito per attuare la
mozione AIGA di Bari di modifica della legge stessa.
Facciamo alcuni esempi. I giovani sono chiamati alla
formazione permanente, previsione che sarebbe
correttamente indirizzata ad elevare la qualità della
preparazione e ad aumentare così competenza e
competitività, se non fosse che a tale onere sono
stati esclusi i colleghi con 25 anni di iscrizione all’albo
o con 60 anni di età. Questo comporta un’evidente
disparità di trattamento e di condizioni. Porre maggiori spese e minor tempo per conquistare il mercato
a chi è nella fase iniziale della propria carriera senza
che tale condizione spetti anche a chi è già sul mercato da anni significa con tutta evidenza ostacolare, se
non impedire, la normale competitività la qualità del
servizio al cittadino. La mozione AIGA presentata al
congresso forense di Bari insisteva per la modifica di
tale previsione chiedendo che l’ esonero dell’obbligo
formativo fosse previsto oltre i 40 anni di iscrizione
all’albo; purtroppo è rimasta lettera morta.
Appartiene ai giovani la capacità e la propensione
53
DIAMO LA LIBERTÀ DI SCEGLIERE ALLA GIOVANE AVVOCATURA
a “fare rete”, organizzazione che aiuta altresì a far
fronte alle spese di gestione di una struttura e a creare nuovi contatti utili alla professione; tuttavia agli
stessi oggi manca la possibilità di realizzare realtà
multidisciplinari in forma societaria, che consentirebbero maggiori competenze e servizi a favore del
cittadino. Si rimane fermi all’idea dello studio con
un’unica professionalità quasi a voler preservare
l’esercizio della professione da “contaminazioni” che
in qualche modo potrebbero inficiarne la valenza.
Ebbene, questa visione non appartiene alla giovane
avvocatura, non soddisfa le esigenze e non risponde
alle aspettative di crescita e di creazione di una figura
professionale moderna e in grado di trovare nuove
risorse nel confronto e nell’ampliamento delle proprie prospettive.
È proprio la mancanza di capacità di apertura, la
paura del confronto con il “nuovo” modo di essere
avvocato che porta le rappresentanze istituzionali
ad ostacolare una vera riforma. Dietro ai proclami
di tutele della categoria professionale si nasconde
la paura che questa nostra professione non possa
competere realmente con altre professionalità mantenendo un equilibrio instabile.
Questo approccio di “difesa”, evidentemente molto
limitante, si esplicita anche quando si discute di tirocinio e collaborazioni. La riduzione da 24 a 18 mesi
di pratica, che risponde ad una indicazione europea
dalla quale non si torna indietro, rimane argomento
di discussione teorica e di rivendicazioni sulla complessità della professione e, anziché essere governata
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dall’avvocatura per renderla il più proficua possibile,
viene dalla stessa congelata nel vecchio schema.
Insomma pur di non cambiare si ingabbia il giovane,
privandolo della libertà di scegliere come costruire
il proprio percorso formativo. Un esempio? L’ostilità
allo svolgimento di una parte del periodo di pratica
presso un ufficio giudiziario. Premesso che questa è
una previsione di legge voluta da gran parte dell’avvocatura, perché temere che questa esperienza svilisca la preparazione del giovane tirocinante? E pur di
contrastarla non si opera per disciplinarla al meglio,
lasciando al ministero della giustizia la completa
regolamentazione. Era, invece, l’occasione per creare
quella necessaria rivoluzione culturale che avrebbe
consentito finalmente di vedere avvocatura e magistratura come categorie professionali di pari valore,
senza necessità di contrapporsi in difesa di inutili
corporativismi. Certo la strada è lunga ma bisogna
iniziare a percorrerla e non tramandare inutili preconcetti per mantenere un’idea di avvocatura a cui
ormai in pochi sono affezionati.
Il medesimo atteggiamento di chiusura si riscontra di
fronte alla proposta di disciplinare, con una autoriforma dell’avvocatura, i contratti di collaborazione all’interno degli studi. Questo approccio non guarda in
faccia la realtà che vede da anni una totale mancanza
di tutele, non solo economiche, dei giovani avvocati
(non parliamo poi dei praticanti) diversamente dagli
altri colleghi professionisti che prestano la loro attività all’interno di studi (si pensi ad ingegneri, architetti,
commercialisti) in base a rapporti che riconoscono
L'intervento del Ministro della Giustizia On. Andrea Orlando al recente Congresso AIGA di Foggia ▲
come normale la corresponsione di una remunerazione in cambio di servizi. Oggi, l’aspirazione di
molti che intraprendono la professioni forense non
è più necessariamente quella di aprire uno studio
in proprio bensì di collaborare all’interno di studi
già avviati. Di fronte a queste affermazioni chi nulla
vuol cambiare, perché non ha bisogno che le cose
cambino, evidenzia che l’essenza di questa professione rischierebbe di essere gravemente ferita se si
ammettesse l’esistenza di un’avvocatura parasubordinata. Peccato che chi sostiene ciò è anche chi non
ammette che si possano però qualificare gli avvocati
come imprenditori, liberi e autonomi nella gestione
della propria impresa, ostacolando o addirittura non
promuovendo alcuna iniziativa per far applicare analogicamente gli interventi previsti a sostegno delle
PMI. È evidente che l’autonomia e l’indipedenza di
giudizio non può venir meno perché si lavora esclusivamente per uno studio legale in quanto lo scopo
rimane quello di tutelare il cliente finale, che spesso,
se non sempre, vede invece ipoteticamente tradito
quel rapporto di fiducia con il professionista espressamente scelto.
Oggi, pertanto, la giovane avvocatura è ostacolata
nello scegliere come svolgere la propria professione,
è messa in condizioni di evidente disparità nel mercato, perché tenuta ad obblighi non uniformemente
previsti, e continua ad apparire invisibile agli occhi
delle istituzioni che dovrebbe tutelarla come risorsa
per la ripresa e lo sviluppo della professione.
Manca una politica a favore delle giovani
generazioni
Perché quindi è mancata una politica a favore delle
giovani generazioni? Una prima risposta può essere
data dal fatto che solo da pochissimi anni abbiamo
una Cassa Forense il cui comitato delegati non è più
costituito da avvocati pensionati e solo da quest’anno è stata dimezzata da 10 a 5 anni l’anzianità di iscrizione alla Cassa per poter avere l’elettorato passivo
alla stessa. Quest’ultima oggi, in risposta ad una delle
poche previsioni lungimiranti della legge 247, ossia
l’iscrizione obbligatoria, ha emanato il regolamento
contributi prevedendo una serie di agevolazioni per
chi alla Cassa non si sarebbe iscritto stante il basso
reddito. L’emissione del regolamento che, per quanto
poco, pone un’altra voce di spesa a carico dei giovani
avvocati già in difficoltà, non ha portato chi di dovere
ad agire per implementare le possibilità di reddito dei
giovani, né forme di sostentamento per l’avvio della
professione e per l’informatizzazione dello studio. Le
“pillole” informative sul PCT risultano amare se non
accompagnate da interventi di concreto supporto.
Il ritardo con cui i più giovani stanno ottenendo spazio nella politica forense ha portato la conseguenza
del mancato rinnovamento della nostra categoria
professionale con il rischio che oggi, di fronte ad una
situazione sempre meno sostenibile, si lasci spazio a
movimenti caratterizzati dalla sola polemica, senza
proposte, rispondente ad un’esigenza contingente di
uscire dal silenzio ma priva di quello che più serve:
progettualità e responsabile prospettiva nel futuro.
Non può certo passare inosservato, poi, che l’organismo apicale dell’avvocatura, il Consiglio Nazionale
Forense, non annovera al suo interno alcuna componente giovane, nè viene consentito che ciò accada
facilmente, poiché il requisito per esserne eletti componenti, oltre al consenso degli ordini del distretto
di appartenenza (che non è poco), è altresì il titolo
di cassazionista, conseguito per lo più, e ancora per
poco, con un’anzianità di iscrizione all’albo di 12 anni.
Infatti questa conditio sine qua non, mantenuta anche
dalla legge 247/12, dal 1 agosto è stata sostituita da
un percorso ad ostacoli proposto proprio dal CNF con
proprio regolamento. Conseguentemente quello che
era ottenibile con una anzianità di iscrizione, e quindi
con molta pazienza, salvo sostenere apposito esame
a Roma, è ora subordinato ad una stabile permanenza nella capitale e ad un investimento economico per
l’iscrizione alla Scuola che deve essere frequentata e
per gli esami multisciplinari che devono essere superati. Al problema del ricambio generazionale viene
data, quindi, una risposta diametralmente opposta.
Ma nulla è per sempre.
È evidente che è giunto il tempo della consapevolezza, dello spirito critico, dell’assunzione della responsabilità di lasciare spazio, per alcuni, e di prenderselo,
per altri. È giunto il tempo del lavoro serio, dei fatti
che sostituiscono le parole, del coraggio di considerare possibile per la nostra categoria anche quanto
fino ad oggi le è stato escluso da chi l’ha governata.
■
55
Magistratura onoraria:
una riforma inutile ed inefficace
Demolisce l’ufficio del giudice di pace, diminuisce le garanzie di terzietà
e indipendenza, confonde ruoli e funzioni.
Nulla di nuovo e di buono sotto il sole
di Mariaflora Di Giovanni
La riforma della giustizia delineata dal
Governo risente di tutte le carenze ordinamentali e strutturali che caratterizzano la
giustizia in Italia e, in particolare, disattende
gli accordi raggiunti in sede di tavolo tecnico con le organizzazioni di categoria e le
linee programmatiche ufficialmente pubblicate sul sito del Ministero della giustizia.
Non offre rafforzamenti per la tutela dei
diritti dei cittadini e, di fatto, avvia anche
in questo settore la c.d. rottamazione della
domanda di giustizia, con l’intento di ottenere l’abbattimento dei flussi e delle pendenze attraverso meccanismi nebulosi di
devoluzione della giustizia in ambito privato, quali negoziazione assistita, mediazione
e arbitrato, con ulteriore lievitazione di costi
e con tempi di risoluzione delle controversie che non si prevedono più brevi.
Insomma, questa riforma contiene in nuce
tutte le premessa di una denegata giustizia.
Persino la magistratura onoraria nelle sue
diverse componenti, il cui prezioso apporto
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nei settori civile, penale e dell’immigrazione, ha fin qui evitato il
tracollo del sistema processuale, è tout court riversata in un unico
calderone: l’Ufficio del processo.
Viene demolito l’Ufficio del Giudice di Pace, privando di autonomia
anche i giudici che lo compongono, destinati ad integrare in parte
l’organico del Tribunale, che rimane però giudice di Appello per le
sentenze emesse dai Giudici di Pace.
A questi giudici sarà affidato e devoluto il 90% del contenzioso
civile esistente, oltre quello penale e quello riguardante le espulsioni degli immigrati clandestini, (praticamente l’intero primo grado
di giudizio), senza dignitosa retribuzione poichè vengono soppresse le c.d. indennità (sia pur misere e mai indicizzate dal 1991)
a favore di non definiti emolumenti collegati al raggiungimento
degli obiettivi stabiliti, di volta in volta, dai Presidenti dei Tribunali
tenuto conto dei budget attribuiti dal Ministero ai singoli Tribunali.
Scompaiono le minimali garanzie di terzietà ed indipendenza
normate nella legge istitutiva del Giudice di Pace che, se pur vincitore di un concorso a titoli, è trattato quale mero sostituto del
magistrato di ruolo, che potrà imporgli direttive nelle decisione e
trattazioni dei processi.
Nel ruolo dei Giudici di Pace confluirebbero, indistintamente, anche
i GOT, cioè magistrati onorari, meri sostituti del Giudice togato,
nelle funzioni dei colleghi togati, e che ricoprono la funzione solo
per titoli.
Una confusione quindi tra ruoli e funzioni di magistrati onorari,
nonostante siano ben distinti tra loro con pari importanza e
peculiarità a seconda delle funzioni svolte in attività giudicanti e
requirenti, che anzichè migliorare l’attività giurisdizionale sminuirà
la funzione della magistratura onoraria, grazie alla quale il sistema
giustizia ha continuato finora a dare risposte.
Una legge che pertanto aggrava la posizione della magistratura
onoraria, negando ancor di più il diritto ad una giusta ed equa retribuzione che deve essere certa e predeterminata; alla previdenza e
assistenza; alla indipendenza e terzietà del giudice, che in quanto
detentore della funzione giurisdizionale non può essere “indirizzato” nella decisione o nella gestione del processo da altri.
In altre parole, è una riforma inutile ed inefficace, che contiene
diversi profili di incostituzionalità, che è contraria ad innumerevoli
direttive del Consiglio Europeo (anche in relazione alla magistratu-
ra onoraria), ma che soprattutto insiste a non considerare l’apporto dato dall’avvocatura al funzionamento del
sistema Giustizia nelle funzioni giudicanti a supporto.
Nella magistratura onoraria ormai quasi
solo avvocati
Anche sotto questo fronte il ruolo dell’Avvocatura viene
dunque ad essere mistificato relativamente alla gestione del processo. Ed invero, non può trascurarsi che la
magistratura onoraria, composta da GOT, VPO e GDP,
è formata ormai solo da avvocati tenuti, tranne poche
eccezioni, ad aggiornamenti obbligatori periodici a
pena di revoca dall’incarico. Ed anche in tal caso l’opera
svolta da appartenenti alla categoria forense vedono
sottaciute le garanzie e guarentigie che dovrebbero
derivare dallo svolgimento di una funzione resa in favore dello Stato e dei cittadini.
Senza l’apporto dei GdP il sistema
Giustizia sarebbe collassato da tempo.
Purtroppo la stessa Avvocatura non ne
rivendica il merito ed anzi si accanisce,
a volte, contro la magistratura onoraria, quasi fosse un corpo estraneo
invece che generosa espressione della
classe forense.
Quella presentata dal Ministro Orlando è dunque una riforma della giustizia deludente, che disattende tutte le
istanze avanzate dalla magistratura
onoraria, segnatamente l’aumento di
competenze, il mantenimento dello
stesso sistema retributivo, poiché
incentivante della produttività del
GDP, con l’aggiunta della previdenza
ed assistenza sanitaria come previsto
per legge per tutti i lavoratori.
Ma è anche un riforma che non prevede
un rinnovo delle risorse del personale
amministrativo (ormai insufficiente
da anni) e dei mezzi tecnici (desueti
ed inservibili per l’avvio del processo
telematico), che è punitiva proprio nei
confronti di una magistratura onoraria
che ha sempre funzionato con efficienza e con costi irrisori se paragonati agli
altri capitoli delle spese di giustizia.
È auspicabile, quindi una presa d’atto
ed una levata di scudi anche da parte
dell’Avvocatura a difesa della doman-
da di giustizia del cittadino, e in difesa del ruolo della
magistratura onoraria, i cui ruoli vedono una prima
linea composta quasi solo da Avvocati.
L’UNAGIPA (Unione Nazionale Giudici di Pace) ritiene
oltremodo grave la situazione ed insopprimibile l’esigenza di difesa della dignità della funzione giurisdizionale e dell’efficienza degli uffici giudiziari.
Per questo ha avviato una “procedura di raffreddamento” che prelude alla proclamazione delle astensioni
dalle udienze ex art.7 del Codice di autoregolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici, ritenendo, per
quanto il dicastero della Giustizia la pensi diversamente, che vent’anni di lavoro continuativo non possono
essere cancellati da alcuna legge o decreto legislativo
di dubbia costituzionalità.
■
Venezia, il Tribunale ▲
57
Assistenza forense:
il nuovo Regolamento per l’erogazione
dell’Assistenza
di Nunzio Luciano
La Commissione Riforma Assistenza alacremente, in tempi brevissimi dal suo insediamento, ha completato i lavori riguardanti la
proposta di nuovo Regolamento per l’Assistenza, che andrà a sostituire quello attualmente in vigore deliberato dal Comitato
dei Delegati e approvato con Ministeriale
del 25 ottobre 2004 e successive modifiche
approvate con Ministeriale del 24 luglio
2006 e Ministeriale del 20 maggio 2010.
Il 18 luglio u.s. si è svolta in seno al Comitato dei Delegati la discussione generale
sul testo elaborato dalla Commissione
ed è stato programmato a settembre un
incontro con gli Ordini e con le Associazioni
di categoria affinchè dal confronto e dal
dibattito possano scaturire nuovi spunti e
nuove idee.
Con la revisione del Regolamento si introducono nuove possibilità di intervento
in favore dell’Avvocatura, in un quadro di
profondi cambiamenti che la stanno pervadendo, quali la crescita esponenziale del
numero degli iscritti, le difficoltà reddituali
58
legati alla attuale difficile congiuntura economica, la difficoltà per
i giovani professionisti di trovare adeguato inserimento nel mondo
dell’attività professionale, nonchè le rilevanti differenze di reddito
tra i professionisti e le professioniste.
Precipua finalità che si propone Cassa Forense per l’Assistenza è
quella di realizzare una transizione da una concezione classica di
sostegno agli iscritti in momenti di difficoltà, che quasi spesso può
sfociare in forme di mero assistenzialismo ad una più moderna e
dinamica che tenta prevalentemente di aiutare gli avvocati lungo
tutto l’arco dello svolgimento dell’attività professionale, includendo l’intero mondo del professionista sia sul piano individuale che
familiare.
Occorrerà, pertanto, utilizzare al meglio i fondi riservati all’assistenza destinandoli in concreti interventi a sostegno della professione
ed individuare accanto alle tradizionali forme di assistenza passiva,
quali indennizzi per calamità naturali o per contributo spese funerarie, interventi di welfare attivo ad effettivo sostegno del reddito
e della professione.
Sono state individuate cinque macro aree di intervento riguardanti:
le prestazioni in caso di bisogno, le prestazioni a sostegno della
famiglia, le prestazioni a sostegno della salute, le prestazione a
sostegno della professione e le prestazioni per spese funerarie.
Tra le novità che verrebbero introdotte si segnalano i trattamenti
a favore dei titolari di pensione diretta per gli avvocati ultrasettantenni con invalidità civile al 100% e che non siano titolari di
assegno di accompagnamento, le erogazioni in caso di familiari
non autosufficienti; le borse di studio per gli orfani e per i figli degli
iscritti; gli interventi a sostegno della genitorialità; la previsione
di polizze long term care e polizze per infortuni; agevolazioni di
accesso al credito ed altre forme di intervento sotto forma di convenzioni stipulate al fine di agevolare o ridurre i costi di esercizio
della professione.
Da quest’ultimo punto di vista si segnala che Cassa Forense, oltre
allo studio della riforma dell’assistenza, sta svolgendo un’attività di
implementazione dei servizi messi a disposizione degli iscritti, al
fine di agevolarne l’attività sia professionale che personale, ottenendo, in considerazione del cospicuo numero di iscritti, condizioni di assoluto favore dalle società convenzionate.
■
Alcuni servizi di Cassa Forense
Polizza Sanitaria
Convenzioni bancarie
Sottoscritta, a seguito di gara europea, la nuova
polizza di tutela sanitaria per “grandi interventi
chirurgici e gravi eventi morbosi” con Unisalute,
valida per il triennio 1.4.2014 – 31.3.2017, con onere
economico a carico dell’Ente e, quindi, in forma
gratuita ed automatica per tutti gli iscritti alla Cassa,
con possibilità di estensione della medesima garanzia
al nucleo familiare mediante versamento di un premio
pari ad euro 140,00. La polizza prevede che la garanzia
operi, in forma diretta o indiretta, in conseguenza di
grande intervento chirurgico, grave evento morboso
o per malattia oncologica. È stata, inoltre, sottoscritta
con Unisalute una convenzione per la polizza sanitaria
integrativa, con onere a carico dell’iscritto e possibilità
di estensione al nucleo familiare, che prevede che la
garanzia sia operante per tutte le forme di ricovero, con
o senza intervento chirurgico, parto, alta diagnostica,
visite specialistiche ed accertamenti diagnostici, long
term care, check-up.
Operative, allo stato, due convenzioni in ambito bancario, con Banca Popolare di Sondrio e con Banca Popolare
di Vicenza. La convenzione con Banca Popolare di Sondrio prevede delle agevolazioni per l’erogazione di mutui ipotecari, la Forense Card, innovativa carta di credito
che prevede tre linee di credito, anche per il pagamento
dei contributi previdenziali, e l’anticipazione su liquidazione parcelle per difese d’ufficio. La convenzione con
Banca Popolare di Vicenza prevede delle agevolazioni,
sia per la sfera professionale che personale, per l’apertura di conto corrente, per affidamenti in conto corrente,
per la dotazione del POS, per il remote banking e per i
finanziamenti.
Polizza RC Professionale
Vigenti, allo stato, n. 5 convenzioni per la Polizza
RC Professionale, per fornire agli iscritti una ampia
possibilità di scelta delle soluzioni più idonee alle
proprie esigenze.
Corrispondenza on-line e
multicanalità
Sottoscritta con eMessage una convenzione per corrispondenza on-line e multicanalità; il servizio organizza in un’unica piattaforma telematica i principali
canali di comunicazione utilizzati dai professionisti.
Tramite la registrazione al software eMessage, gratuita e senza alcun canone, è possibile inviare le proprie
comunicazioni direttamente da pc e tablet, in particolare: raccomandata (A.R.), posta prioritaria, posta
massiva, corriere espresso, SMS, fax, e-mail
Trasporto ferroviario
Cassa Forense ha sottoscritto una convenzione con
NTV S.p.A. (Italo Treno) per il trasporto ferroviario. La
convenzione prevede un trattamento di sconto, valido su tutte le tratte, pari al 15% in ambiente “Club”
su offerta “base” ed “economy” e del 7% in ambiente
“Prima” su offerta “base” ed “economy”.
Banche Dati
La convenzione con Visura S.p.A. consente agli iscritti
alla Cassa di accedere al servizio di consultazione delle
Banche Dati della Pubblica Amministrazione on-line
tramite un’unica registrazione.
Le banche dati consultabili ed i servizi disponibili: Camere
di Commercio, Catasto, Conservatoria, Pubblico Registro
Automobilistico, servizio di sentenze on-line della Corte
di Cassazione, invio delle sentenze in pdf della Corte di
Cassazione, servizio informazioni investigative.
Fatturazione elettronica
Il servizio, offerto in convenzione da Teamsystem, ottempera alle disposizioni normative ed operative previste e permette di assolvere all’obbligo della emissione,
trasmissione, conservazione e archiviazione esclusivamente in forma elettronica delle fatture emesse nei
rapporti con la Pubblica Amministrazione. L’obbligo è
effettivo dal 6 giugno 2014 per Ministeri, Agenzie Fiscali, Tribunali ed Enti Nazionali di Previdenza, mentre dal
31 marzo 2015 la disposizione si estenderà ai restanti
enti nazionali. Il servizio di fatturazione elettronica di Teamsystem viene proposto a condizioni vantaggiose per
gli iscritti Cassa con abbonamento “flat” per un massimo
di 50 fatture, con possibilità di acquisto di ulteriori pacchetti da 50 fatture.
Alberghiere
Sono vigenti due convenzioni in ambito alberghiero, con
NH Hotels e con Space Hotels. Tali convenzioni prevedono l’applicazione di un trattamento di sconto sulla miglior tariffa disponibile all’atto della prenotazione.
Tutte le convenzioni sono riportate nell’area dedicata sul sito internet della Cassa
59
ANF TORINO
L’ ANFTorinoPiemonte:
qualità prima di tutto
Con l’Assemblea generale del 9 settembre 2014 l’ANFTorinoPiemonte, sede di
Torino dell’Associazione Nazionale Forense,
ha rinnovato le cariche apicali eleggendo
Mario Santoro quale Presidente e Arnaldo
Narducci e Daniela Antonia Biancofiore
Vice Presidenti, così riconoscendo loro,
in particolare a Mario Santoro e Arnaldo
Narducci, due dei soci fondatori, quel ruolo
di trainatori che ha portato l’Associazione
nel giro di soli tre anni ad annoverare tra i
propri associati ben 180 colleghi.
L’ANFTorinoPiemonte nasce perché
all’inizio del 2011, Mario Santoro, mancando
sul territorio piemontese un’associazione
che si riconoscesse nei principi informatori dell’Associazione Nazionale Forense,
si faceva promotore, dopo avere sentito
60
prima il collega Renzetti di Roma e poi l’allora responsabile della
Comunicazione ANF, Milena Liuzzi di Taranto, della costituzione di
un’articolazione territoriale dell’Associazione Nazionale Forense a
Torino.
Bisogna conoscere la realtà piemontese per poter capire le difficoltà e le diffidenze che si possono incontrare quando in questa
regione, in qualsiasi campo o settore qualcuno propone di “fare”
qualcosa di nuovo.
Finalmente, l’11 aprile 2011 la costituzione dell’ANFTorinoPiemonte veniva formalizzata con la domanda di adesione all’Associazione Nazionale Forense della nuova realtà del Foro di Torino,
approvata dal Consiglio Nazionale ANF il 7 maggio 2011.
Lo scopo primario di un’Associazione Territoriale che non ha
propria storia sul territorio deve essere quello di farne conoscere
l’esistenza da un lato, trovare consensi e fare in modo che questi
consensi crescano per veicolare al maggior numero possibile di
Colleghi le attività e i deliberati dell’Associazione Nazionale, dall’altro.
Il leit motiv che ha portato l’ANFTorinoPiemonte a crescere in
poco tempo è stato mutato da una sorta di proverbio cinese: “Se
devi entrare in un pentagono e tutti i lati sono occupati come fai ad
entrarci? Scegli il sesto!.”
Per questo ANFTorinoPiemonte ha scelto un modo di proporsi
innovativo anche in attività – quella formativa – che altre associazioni svolgevano da tempo, basato sulla perfetta organizzazione e
l’eccellente qualità dei relatori. Una simile scelta ha consentito di
essere individuati come “affidabili” e ciò ha consentito che si potessero raggiungere quei risultati che si speravano.
Quali sono i risultati conseguiti in tre anni di attività?
Solo i numeri possono dare senso compiuto all’impegno profuso: 180 associati in tre anni; 61 eventi formativi organizzati, di cui
20 corsi sul processo telematico e 10 sulle notifiche a mezzo pec.; 3
delegati, tra i propri associati, al XXXI Congresso Nazionale Forense
di Bari; 3^ posto a Torino alle elezioni delegati Cassa Forense con
lista capitanata da Mario Santoro; 1 eletto nel Cda della Fondazione
Avvocati Torino ove Arnaldo Narducci ha ottenuto oltre il 50% dei
voti espressi; 11 delegati, tra i propri associati, al prossimo XXXII
Congresso Nazionale Forense di Venezia e 4 Legal Party con la partecipazione in media di 250/300 colleghi.
Adesso si pone il problema di come poter mantenere le posizioni acquisite e accrescerle per il futuro.
Senz’altro il campo ove l’ANFTorinoPiemonte si spenderà
ancora è la formazione, con accresciuto impegno. Cercherà di organizzare accanto ad eventi formativi singoli su argomenti specifici,
incontri articolati su più giornate che diano ai partecipanti una
visione, se non specialistica, sicuramente molto ampia e approfondita della materia trattata.
Bisogna crescere ancora. Per ottenere questo risultato è necessario tenere uniti gli associati e fare in modo che essi possano
crescere con il coinvolgimento di altri colleghi anche non associati.
A tal fine già da un paio d’anni ANFTorinoPiemonte organizza i
c.d. “direttivi allargati” ove oltre alla partecipazione dei membri
del direttivo possono partecipare i soci e altri colleghi invitati dagli
associati per far conoscere l’associazione. È indubbio che la conoscenza diretta fa cadere barriere e diffidenze. Questa modalità ha
avuto come effetto l’avvicinamento di molti colleghi alla nostra
realtà e molti di essi sono divenuti soci.
Sempre nella stessa direzione e con lo stesso spirito, si sta procedendo a formare una squadra di calcio ANFTorinoPiemonte che
parteciperà ai tornei con altre squadre di professionisti e magistrati.
Lo stesso discorso si sta facendo con le altre discipline sportive.
IL nuovo direttivo che è uscito dall’Assemblea del 9 settembre
2014 avrà certamente un bel da fare.
La volontà c’è e, con essa la passione di tanti colleghi che credono ancora in questa meravigliosa professione e vogliono, con
orgoglio, continuare a farne parte.
Per questo ci siamo noi … c’è ANFTorinoPiemonte.
■
ANFTorinoPiemonte
Presidente
Mario Santoro
Vice Presidenti
Arnaldo Narducci
Daniela Antonia Biancofiore
Segretario
Fabio Fracon
Tesoriere
Giuseppe D’Elia
Componenti
Simona Aloisi
Andrea Battisti
Alessandro Benvegnù
Vittorio Camboni
Giusy Cosentino
Olga Maria De Cesare
Fabiana Milone
Fabrizio Reale
Daniela Maria Rossi
Comitato dei garanti
Ennio Galasso (presidente)
Irene Piccinni (componente)
Carola Giacopelli ( componente)
Consiglieri Nazionali
Mario Santoro
Arnaldo Narducci
Paolo Pilone
Sede:
10121 TORINO
Via Giovanni Amendola n. 12
Tel. 011547165 – fax 0115132470
w w w. a n f t o r i n o. i t
i n f o @ a n f t o r i n o. i t
61
ANF TORINO
L’Avvocato al centro
L’avvocato, oltre a doversi aggiornare quotidianamente, per le necessità della professione, per il suo lavoro, deve provvedere ad
una serie di ulteriori incombenti, dei quali
deve conoscere esistenza, contenuti e
obblighi.
Una qualsiasi associazione forense e, noi
crediamo che , soprattutto, un’associazione
come la nostra, deve porre l’avvocato al
centro della propria attenzione per essere
punto di riferimento e supporto.
ANFTorinoPiemonte, ha creduto che un
simile ruolo doveva assumere ed anzi lo
ha posto come uno dei cardini della sua
attività.
Per questo sin dall’inizio ha incentrato buona parte della sua attività ad individuare
le esigenze dell’Avvocato e a cercare di
proporne le relative soluzioni.
Già nel 2011 appena costituita, ANFTorinoPiemonte affrontava il tema del “Futuro
dell’Avvocato”, in un evento molto parte-
62
Mario Santoro ▲
cipato al quale oltre al rappresentante del CNF, Enrico Merli , era
presente anche il Segretario Nazionale ANF, Ester Perifano, che
poneva già allora l’accento sulle criticità della futura legge professionale che, poi approvata, ha confermato i dubbi e i timori allora
espressi.
L’Avvocato al centro era stato parimenti il motivo dell’organizzazione del convengo nazionale di Torino del 5 marzo 2014 “Avvocati
e Previdenza”, al quale partecipava, tra l’altro, l’allora Ministro del
Lavoro Elsa Fornero.
Sulla stessa scia “Tariffe, Parametri e Preventivi” che affrontava il
tema delle liberalizzazioni delle Professioni a seguito degli interventi del Governo Monti.
Approvata la riforma ordinamentale il 21 dicembre 2012, l’8 febbraio
2013, in occasione del primo Consiglio Nazionale ANF organizzato
a Torino, la ATA, con la partecipazione di Mario Napoli, Presidente
COA Torino, Sergio Paparo, Presidente COA Firenze, Gaetano Stella,
Presidente Confprofessioni, Dario Greco presidente AIGA, e naturalmente Ester Perifano, ha organizzato un vivace dibattito moderato
da Isidoro Trovato e introdotto da Mario Santoro, molto apprezzato
dagli avvocati torinesi, dal titolo “LA RIFORMA” , affrontava il testo
legislativo della Riforma Forense,
Anche il tema delle “Società tra Professionisti” non poteva non essere affrontato dall’ATA torinese, sia per l’attualità dell’argomento che
per i possibili sviluppi professionali che dalla sua eventuale applicazione potevano derivare. Il dibattito di altissimo livello per la qualità dei relatori, ha visto la partecipazione anche del rappresentante
CNF, Enrico Merli e del Segretario Nazionale ANF Ester Perifano.
ANFTorinoPiemonte con altri due eventi, anche questi partecipatissimi, attirava l’attenzione degli avvocati su due temi, il primo
sull’antiriciclaggio, che gli avvocati debbono ben conoscere essendo loro imposto anche un registro a tal fine (Registro della clientela
ai fini antiriciclaggio per professionisti) spiegato magistralmente
dal T. Col. Nino Bixio (Formazione Guardia di Finanza) e l’altro sulla
“Sicurezza Studi Legali” ove l’ing. Alessio Toneguzzo, consigliere
referente commissione sicurezza Ordine Ingegneri e agli altri due
esperti, ing. Fabrizio Mario Vinardi e Mauro Piacenza, spiegavano
gli obblighi cui devono attenersi gli avvocati nei propri studi.
L’importanza degli argomenti è emersa chiaramente quando molti
avvocati hanno sentito il bisogno di complimentarsi pubblicamente ammettendo candidamente che non erano assolutamente informati di quanto avevano appreso nelle due occasioni formative.
■
Una storia di persone, di idee, di accadimenti e di entusiasmi non si sa mai come
possa andare a finire, perché le associazioni
sono come le persone: nascono, crescono,
si ammalano, guariscono.
Insomma cambiano. Di certo però tutto ha
un inizio.
L’esperienza del Sindacato Avvocati di Bologna non ha ancora – e confidiamo che non
avrà per molto tempo - una data di scadenza, ma ha una data di inizio: quella del 19
dicembre 1980
In questi anni molte cose sono accadute,
e a distanza di un po’ di tempo è ancora
più apprezzabile l’intuizione di chi volle
pubblicare l’opuscolo “Sindacato Avvocati di Bologna, i primi 25 anni”, tuttora
scaricabile all’indirizzo web http://www.
sindacatoavvocati.bo.it/download/storia-i_
primi_25_anni.pdf
Lo sfogliare quelle pagine esime oggi dal
dover narrare tanti anni in poche frasi e
ricordare un quarto di secolo. Ma ogni
articolo di quell’opuscolo ricorda persone
e sforzi senza i quali il pur non positivo
contesto attuale avrebbe potuto essere
peggiore, almeno localmente.
Veleggiando ora verso i 34 anni stiamo
entrando in un’epoca che dovrebbe rappresentare la maturità dell’associazione, ed
indubbiamente il momento attuale cristallizza una stagione di rinnovato entusiasmo
e mobilitazione, aggregando Colleghi di
varie età ed esperienze.
Abbiamo un’impegnativa storia dietro le
nostre spalle e con essa tanti Colleghi che
partendo o passando dalle fila del Sinda-
ANF BOLOGNA
Una Storia di Sindacato
cato hanno dato lustro e forza al Foro, dal Consiglio dell’Ordine
all’OUA, dalla Cassa Forense ad ANF, e così via,
Tutto questo è fonte di responsabilità e di impegno per chi vuole
dare continuità al lavoro di molti.
All’attualità il Sindacato Avvocati di Bologna si caratterizza per la
presenza di una sede, utilizzata per piccole assemblee e riunioni
di direttivo, ed aperta ai colleghi due volte alla settimana per le
necessità di sportello. Un direttivo di dodici componenti costituisce
l’organo politico locale e ad esso si affiancano i consiglieri nazionali
ed un buon gruppo di almeno una quindicina di colleghi che, pur
senza investiture o cariche, sono coinvolti nelle attività della sede.
Schematicamente le nostre attività principali:
Mailing list: per informare circa 3000 destinatari con mail periodi-
Giovanni Delucca ▲
63
ANF BOLOGNA
Una Storia di Sindacato
64
che – almeno quattro o cinque alla settimana - delle iniziative, novità, problemi sia a
livello nazionale che locale.
Sito web: come punto di contatto, prenotazione eventi e raccolta di informazioni ed
attività
Sportello previdenza: per consentire agli
Avvocati di ricevere informazioni previdenziali da parte di altri Colleghi esperti, che
meglio di chiunque altro possono comprendere problemi e questioni.
Convenzioni per gli iscritti: per l’accesso a
tariffe convenzionate non solo ai servizi
bancari ed assicurativi, ma anche all’acquisto di materiale di cancelleria, alle prestazioni sanitarie, ai punti di ristoro.
Servizi per gli iscritti: tra i quali il più importante è sempre l’uso della cassetta per il
ritiro atti all’ufficio notifiche, per evitare
smarrimenti e ritardi e risparmiare tempo.
Eventi formativi: concentrati negli ultimi
tempi soprattutto sui temi della professione: ordinamento, deontologia, previdenza,
politica forense, oltre alla tradizionale attività in materia penale sia sotto la denominazione Prassi Penale, sia in accordo con la
Fondazione Forense Bolognese.
Gli eventi sono pubblicizzati attraverso la
mailing list ed il sistema di prenotazione on
line è gestito sul sito internet del Sindacato,
che predispone le liste degli ammessi e
dell’attesa, con successiva stampa di fogli
presenze ed attestati.
Complessivamente vengono organizzati
una media tra i 30 e i 40 eventi all’anno.
Osservatori: partecipando attivamente e
costantemente alle attività degli osservatori sulla giustizia sia civile sia penale, e
questo presso il Tribunale ed anche presso
il Giudice di Pace
Organismi di rappresentanza forense:
offrendo ai Colleghi del Foro Bolognese
l’indicazione di candidati seri e disponibili
a proseguire nel Consiglio dell’Ordine,
nei Collegi di Disciplina, nel Comitato per
le Pari Opportunità, alla CassaForense, al
Congresso Nazionale Forense, il lavoro già
avviato partendo dal Sindacato
Da ultimo, e non per importanza, al Sinda-
cato di Bologna piace da un lato incontrare i Colleghi, e dall’altro
prendere posizione sui temi della nostra vita professionale.
Sul primo punto è importante ricordare sempre quale è il fine e
quale è il mezzo. La formazione, i servizi, la sede, sono mezzi per
vedere persone, condividere pensieri, suscitare sensibilità e quindi
per fare scouting e individuare i futuri dirigenti ed attivisti.
Prendere posizione, invece, serve a ricordare a tutti, ed a noi per
primi un elemento fondante della rappresentanza sindacale.
La coesione di un gruppo sociale si basa essenzialmente sulla condivisione dei valori; ed i valori, per poter essere condivisi, devono
prima essere elaborati, enunciati, diffusi e discussi.
Mentre tutti ci parlano dei nostri doveri, che abbiamo ben chiari
quanto meno per il loro peso nelle nostre vite, il Sindacato di Bologna vuole provare a partire dalla tutela dei diritti.
Cominciando dai nostri
Il Direttivo del Sindacato Avvocati di Bologna
Associazione Sindacale degli Avvocati di Bologna e dell’ Emilia Romagna
Aderente alla A.N.F. - Associazione Nazionale Forense
Via Garibaldi n. 7 - 40124 - BOLOGNA - Emilia Romagna - Italia
Telefono e fax: 051.330096 - [email protected]
SPORTELLO PREVIDENZA
DIRETTIVO
Segretario: Giovanni Delucca
(Osservatorio Giustizia Civile, Formazione, Auxilium)
Flavia Masè Dari
Dante Di Furia
Piergiorgio Ognibene
Bruno Sazzini
Vicesegretario: Francesco Paolo Colliva
(Responsabile Settore Penale, Formazione)
Tesoriere: Bruno Sazzini
(Fondazione Forense, UNEP)
OSSERVATORI
apertura
SEDE
Maurizio Andreotti
(O.U.A. - Formazione)
martedì
IL
ED IL giovedì
DALLE 11
alle 13
Davide Bacchi
(Segreteria, Amministrazione)
Lorenzo Casanova
(Convenzioni)
Giangiorgio Cesarini
(Osservatorio minori, Processo civile telematico,
Confprofessioni)
Pierluigi Cevenini
(Gestione sito, Osservatorio Giudice di Pace)
Flavia Masè Dari
(Cassa Forense - Formazione)
Sergio Palombarini
(Settore Diritto del Lavoro, Gratuito Patrocinio)
Vittorio Paolucci
(Settori Diritto Amministrativo e Diritto Tributario)
Roberto Vicini
(Convenzioni)
CONSIGLIERI NAZIONALI ANF
Giovanni Delucca
Maria Anna Alberti
Maurizio Andreotti
Lorenza Bond
Michelina Grillo
Vittorio Paolucci
Bruno Sazzini
Giustizia Civile
Giovanni Delucca
Maria Anna Alberti
Vittorio Paolucci
Giustizia Penale
Giovanni Delucca
Francesco Paolo Colliva
Antonella Rimondi
Giudice di Pace civile
Pierluigi Cevenini
Giudice di Pace penale
Francesco Paolo Colliva
Marco Salmon
Francesco Calcatelli
FONDAZIONE FORENSE
Bruno Sazzini
CONFPROFESSIONI
Maria Anna Alberti
PRESIDENTI e SEGRETARI
1980 – 1981
Achille Melchionda
(Presidente)
1982 – 1985
Guido Turchi
,,
1986 – 1988
Gilberto Gualandi
,,
1988 – 1993
Giuliano Berti Arnoaldi Veli
,,
sino al 1990 e poi Segretario
1994 – 1995
Sandro Callegaro
(Segretario)
1996 – 1998
Michelina Grillo
,,
1999 – 2005
Bruno Sazzini
,,
2006 – 2008
Lorenza Bond
,,
2009 – 2013
Maria Anna Alberti
,,
2013 -
Giovanni Delucca
,,
Sito - http://www.sindacatoavvocati.bo.it/il-sindacato.php
Contatti - http://www.sindacatoavvocati.bo.it/contatti.php
Formazione - http://www.sindacatoavvocati.bo.it/eventi.php
65
ANF NAPOLI
Sindacato Forense Napoli,
70 anni ma non li dimostra
Il Sindacato Forense di Napoli festeggia 70
anni. Una bell’età non c’è che dire, un’età
“importante”. Eppur la nostra Associazione, così ricca di esperienza, continua a
raccogliere quell’entusiasmo, quella sete di
novità, quello spirito di libertà di chi è ancor
giovane. In me, che in questo momento ho
l’onore di esserne il Segretario è forte l’emozione, ma anche la consapevolezza di non
essere all’altezza dei miei predecessori che
dal dopoguerra, negli anni, hanno guidato
il nostro glorioso sodalizio, illuminandone il
percorso con dignità e fierezza.
Il Sindacato Forense è una comunità di
professionisti che ha voluto rompere la tradizionale solitudine e il forte individualismo
che spesso caratterizza la figura dell’avvocato. Una comunità che si alimenta delle
relazioni, delle competenze, della reattività
al cambiamento dei propri associati. Nell’aiutare i professionisti attraverso l’apprendimento e la formazione permanente,
l’influenza e la rappresentanza sociale, il
networking, il collegamento internazionale, lo studio e la riflessione costante sulla
professione e sulla sua evoluzione. Invero,
aderire ad un’associazione come la nostra
significa “andare oltre” la richiesta di fornitura di un servizio, significa porsi innanzitutto la domanda “che cosa posso fare
per l’associazione e non che cosa può fare
l’associazione per me?”.
Far parte della comunità significa anche
potersi sperimentare e confrontare quotidianamente, all’interno di un sistema
professionale sui nuovi strumenti della
professione, sui propri skill relazionali, sulle
modalità di erogazione della consulenza.
La peculiarità della nostra Associazione è
Il Tribunale della Vicaria di Napoli
in un dipinto di C. Coppola (sec. XVII)
▲
66
quella di adoperarsi per la costruzione di un’avvocatura omogenea
e coesa, con crescita professionale e scambi di esperienza, nel
segno del rispetto.
Purtroppo i provvedimenti degli ultimi governi in materia di giustizia e processo, uniti alla recessione nazionale, stanno minando
la capacità lavorativa: la nuova legge professionale presenta più
ombre che luci, i costi connessi all’esercizio dell’attività professionali appaiono a dir poco esorbitanti.
In questo momento ci troviamo a dover fronteggiare una condizione difficile, per molti versi drammatica, il futuro appare quanto mai
incerto, ma restando uniti, con forza, riusciremo a migliorare quella
vita professionale cui ci siamo dedicati con tanto entusiasmo.
Giuseppe Camerlingo
SINDACATO FORENSE DI NAPOLI
Consiglieri Nazionali
Giuseppe Camerlingo (Dirigente A.T.A.)
Eugenio Pappa Monteforte
Francesco Allocati
Antonio Valentino
Roberto Fiore (C.G.)
Vincenzo Pecorella (C.G.)
Alessandro Numis
Francesco Mazzella (Direttivo Nazionale)
Giuseppe Della Rocca (C.G.)
Vincenzo Improta
Vicepresidente A.N.F.
▲ Giuseppe Camerlingo
Avv. Luigi Canale
Presidente
Delegato Cassa Forense
Avv. Vincenzo Improta
Avv. Eugenio Pappa Monteforte
Segretario:
legale rappresentante Avv. Giuseppe Camerlingo
Delegato O.U.A.
Avv. Vincenzo Improta
Vice Segretari:
Avv. Eugenio Pappa Monteforte
Avv. Dario Borgia
Tesoriere
Avv. Francesco Allocati
▼ Nuovo Tribunale di Napoli
Direttivo
Avv. Antonio Valentino
Avv. Raffaele Tortoriello
Avv. Pietro Fusco
Avv. Edoardo Borrelli
Avv. Paolo Pannella
Avv. Renato Veneruso
Avv. Adriano Ruocco
Collegio Probiviri
Presidente: Avv. Domenico Borrelli
Componenti
Avv. Maria Licenziati
Avv. Claudio La Rosa
Avv. Ennio Schiavone
Avv. Salvatore Caserta
Revisori dei conti
Presidente: Avv. Mario Barone
Componenti
Avv. Francesco Mazzella
Avv. Francesco Flagiello
Sede: Palazzo di Giustizia – Centro Direzionale
Recapiti: Tel. 081 7342000 – 081 2130783 fax 081 7343391 [email protected]
67
La RASSEGNA DEGLI AVVOCATI ITALIANI
ringrazia per la collaborazione:
Palma BALSAMO
Avvocato giuslavorista, patrocinante dinanzi
alle magistrature superiori, iscritta al Foro di
Catania, è presidente di Confprofessioni Sicilia. Già direttore della Rassegna degli Avvocati
italiani.
Giovanni BERTINO
Avvocato dal 2008, svolge la professione
forense prevalentemente nel settore della
responsabilità penale del medico, del diritto
penale e civile del lavoro e dei reati contro la
Pubblica Amministrazione.
Dal 2012 fa parte del Direttivo Nazionale
dell’Associazione Nazionale Forense.
Giovanni DELUCCA
Avvocato cassazionista del Foro di Bologna, si
interessa prevalentemente di diritto amministrativo.
Segretario dell’Associazione Sindacale Avvocati di Bologna e dell’Emilia Romagna dal
2013, è consigliere nazionale dell’Associazione
Nazionale Forense dal 2009 e componente
del Direttivo Nazionale dal 2014.
Mariaflora DI GIOVANNI
Laureata in giurisprudenza, con master in Criminologia e Politica Criminale, è stata componente del Consiglio Giudiziario presso la Corte
d’Appello dell’Aquila, formatore della Scuola
Superiore della Magistratura, collaboratore
tecnico della V Commissione Trasporti presso
la Camera dei Deputati.
Giudice di Pace a Chieti dal 2002, attualmente
è Presidente Nazionale dell’Unione Nazionale
Giudici di Pace.
Paola FIORILLO
Avvocato cassazionista del Foro di Salerno,
svolge la professione prevalentemente in
ambito societario e delle successioni.
Responsabile del Sindacato Avvocati di Salerno dal 2010, è attualmente componente del
Comitato Pari Opportunità del Foro salernitano e del Direttivo Nazionale dell’Associazione
Nazionale Forense.
68
Nicoletta GIORGI
Avvocato civilista, iscritta al Foro di Padova, è
associata dello Studio De Martini-Ferrante e
si occupa di diritto commerciale, societario e
fallimentare. È attualmente Presidente nazionale dell’AIGA Associazione Italiana Giovani
Avvocati, dopo esserne stata segretario della
sezione di Padova, Coordinatore Triveneto e
Tesoriere nazionale,
Vincenzo IMPROTA
Avvocato cassazionista iscritto al Foro di
Napoli. Si occupa prevalentemente di civile e
amministravo. Attivo nel mondo dell’avvocatura associata, è attualmente Presidente del
Sindacato Forense di Napoli, nonché delegato dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura e Consigliere Nazionale dell’Associazione
Nazionale Forense.
Carmela Milena LIUZZI
Avvocato civilista in Taranto, opera nel settore
fallimentare ed espropriativo. Dal 1997 dirigente dell’associazione forense “Lucio Tomassini” ANF Taranto, di cui è stata Segretario nel
biennio 2008-2010. Componente del direttivo
nazionale ANF dal 2006 al 2012, responsabile
della comunicazione e dell’area previdenza
forense. Componente del Comitato di redazione della Rassegna degli Avvocati Italiani.
Nunzio LUCIANO
Avvocato cassazionista appartenente al Foro
di Campobasso, con pregresse esperienze
nell’ufficio legislativo del Ministero dell’Ambiente. Già responsabile della sede AIGA di
Campobasso e coordinatore regionale. Dal
2005 delegato di Cassa Forense, ne è poi divenuto componente del CdA e vicepresidente
vicario, prima di assumere la carica di Presidente dell’ente previdenziale per il biennio
2014-2016.
Andrea NOCCESI
Iscritto nell’albo degli avvocati di Firenze
dal 1994, cassazionista dal 2007. Civilista, già
docente in diritto civile alla Scuola Forense del
Sindacato degli Avvocati di Firenze e Toscana,
del cui Consiglio Direttivo è membro dal 2009.
Attualmente è componente del Direttivo
Nazionale dell’ANF.
Luigi PANSINI
Avvocato in Bari, con attività prioritaria rivolta
al diritto fallimentare, collabora con scuole di
formazione e riviste per problematiche inerenti le procedure concorsuali.
È Segretario del Sindacato Avvocati di Bari e
attuale componente del Direttivo Nazionale
di ANF.
Cesare PIAZZA
Iscritto nell’albo degli avvocati di Firenze,
cassazionista, è stato consigliere dell’Ordine
di Firenze e delegato alla Cassa di Previdenza
Forense. Già Segretario Generale della Federavvocati, è stato Presidente dell’Organismo
Unitario dell’Avvocatura dal 1999 al 2000,
vice-presidente dell’ANF dal 2006 al 2009 ed è
attualmente Consigliere Nazionale ANF.
Bruno SAZZINI
Avvocato civilista in Bologna, iscritto all’albo
delle magistrature superiori, ha svolto il proprio cursus honorum in ANF prima nel Direttivo locale e poi in quello Nazionale
Ha ricoperto la carica di Segretario Generale dell’Associazione Nazionale Forense nel
periodo 2008-2009, attualmente Consigliere
Nazionale ANF.
Mario SCIALLA
Avvocato penalista, iscritto al Foro di Roma.
Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di
Roma dal 20012, Responsabile dei dipartimenti della Disciplina, Difese di Ufficio e Patrocinio
a spese dello Stato.
Presidente della sede di Roma dell’ANF dal
2007 al 2009 nonché componente del Direttivo Nazionale dal 2009 al 2012. Attualmente è
Consigliere Nazionale dell’ANF.
Andrea ZANELLO
Avvocato in Roma dal 1982, civilista, mediatore presso ADR Center dal 2010. Già membro
della Commissione Media Conciliazione D.
Lgs. 28/ 2010, partecipa al Progetto Lavoro del
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma.
Segretario dell’ATA - ANF Roma. Attualmente
componente del Direttivo Nazionale di ANF.
● numero chiuso il 30 settembre 2014
XXXII
CONGRESSO
NAZIONALE
FORENSE
VENERDI’ 10 OTTOBRE (Palazzo del Cinema)
8.00 Apertura desk di segreteria presso il Palazzo del Cinema
9.30 Interventi programmati
13.30 Colazione di lavoro
15.00 Interventi programmati
17.00 Discussione e votazione delle mozioni statutarie
19.00 Chiusura lavori
SABATO 11 OTTOBRE (Palazzo del Cinema)
8.00 Apertura desk di segreteria presso il Palazzo del Cinema
9.30 Discussione e votazione delle mozioni politiche
13.00 Colazione di lavoro
14.30 Elezione dei delegati dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura
19.00 Chiusura lavori
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v
se
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Segreteria Organizzativa
Mirco Santi Viaggi s.r.l.
Via Torino 151/A - 30172 Mestre (VE)
T. 041 25 89 664 | F. 041 25 89 780
[email protected]
Ordine degli Avvocati di Venezia
Santa Croce 494 - 30135 Venezia
T. 041 52 04 545 | F. 041 52 08 914
[email protected]
Codice Fiscale: 80011950278
dal
1982
Convenzione Esclusiva ASSITA
ASSOCIAZIONE
NAZIONALE
FORENSE
2014
LAW DIVISION
www.assita.com
www.associazionenazionaleforense.it
Soluzioni Assicurative per l’AVVOCATO
R.C. PROFESSIONALE - INFORTUNI
R.C. PROFESSIONALE
Giovane Avvocato
Consigli dell’Ordine
Società di Conciliazione
SANITARIA
PREVIDENZA - VITA
www.anftv.it
Legal Cover Plus, Nuova Polizza Avvocati
Al via la R.C. Professionale Obbligatoria
Assita, soluzioni assicurative per le esigenze di tutti gli avvocati
Obbligatorietà Assicurativa, urge ridurre l’onerosità
Assita: un nuovo Piano Sanitario per l’Avvocato
MILANO - Via E. Toti, 4 (Piazza Conciliazione)
ASSITA
S.p.A. 20123
00192 ROMA - Via Paolo Emilio, 7 (zona Prati)
RUI A000012675 (www.ivass.it)
Capitale Sociale € 120.000 int. versato - Reg. Imprese Milano 203066 - REA 1066853 - CF/P.Iva 04937580159
PEC [email protected] - Telefono 02 48.00.95.10 r.a. FAX 02 48.01.22.95 - 48.18.897
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