ENRICO BARNI GIACOMO BERSOTTI Edizioni Luì “Ciascuno è invitato a fare quanto è in suo potere, perché non venga trascurata la grande sfida dell’Anno 2000, cui è sicuramente connessa una particolare grazia del Signore per la Chiesa e per l’intera umanità”. Con queste parole Giovanni Paolo II chiude il § IV della Lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente indirizzata alla Chiesa cattolica, il 10 novembre 1994, in merito alla preparazione al Giubileo del 2000. La Banca di Credito Cooperativo di Chiusi, in linea con i principi della cooperazione e della mutualità, “nell’intento di migliorare le condizioni morali e materiali dei soci” – secondo il dettato dell’art. 2 dell’originario Statuto del 1908 – desidera far eco alle parole del Sommo Pontefice. La Bcc infatti è intenzionata ad attivarsi non solo nell’ambito della operatività istituzionale inerente la raccolta e l’impiego delle disponibilità finanziarie della clientela tutta, ma anche in campo culturale dove è presente oramai fin dal luglio 1982. Nei mesi passati la Bcc di Chiusi si è fatta promotrice di un’intensa e qualificata opera di consulenza, organizzando conferenze, producendo materiale illustrativo distribuito sia per posta che presso gli sportelli, e pubblicando il periodico “Bancanostra Informa”. Ha approntato inoltre gli strumenti tecnici necessari per non arrivare impreparata all’Euro, al Duemila, al Giubileo, e a tutti quei risvolti di natura economica che in tali eventi troveranno origine. Oggi, a pochi mesi dall’apertura della Porta Santa nella Basilica di San Pietro che inaugura l’Anno Giubilare, la Bcc di Chiusi pone all’attenzione dei soci, della clientela e degli appassionati la storia de “La Diocesi di Chiusi”, la più antica della Toscana: diocesi “madre”, territorialmente parlando, di Pienza, Montepulciano, Cortona, Montalcino, Città della Pieve. L’opera reca la firma di Enrico Barni che, apprezzato studioso di storia locale a livello sia amatoriale che accademico, si è avvalso delle ricerche effettuate dal compianto don Giacomo Bersotti, archivista della locale cattedrale e autore di testi che illustrano le vicende storiche di Chiusi. L’autore ha ordinato, integrato e redatto tre capitoli che con mirabile equilibrio rendono di particolare interesse e di avvincente lettura l’argomento trattato. Sempre alla competenza di Enrico Barni si deve la composizione del corredo iconografico, che arricchisce egregiamente il testo. La pubblicazione del volume è uno dei contributi che la Bcc di Chiusi vuole dare, nel rispetto di tutte le fedi religiose, all’evento “Giubileo”, fiduciosa che le istituzioni civili, le associazioni di categoria, gli operatori economici, le aziende di promozione turistica e le tante associazioni che animano il tessuto sociale dei nostri paesi, non indugino anch’esse ad attivarsi. Autorevoli previsioni, infatti, indicano la città di Chiusi e i paesi vicini come direttamente interessati dal flusso migratorio (pellegrini, turisti, curiosi...) messo in moto dal Giubileo: occasione provvidenziale per creare lavoro e risollevare una economia non brillante. Euro, Anno Duemila e Giubileo, tre pietre miliari che segnano il passaggio al terzo millennio, aprendo uno scenario in cui la Banca di Credito Cooperativo di Chiusi gioca per l’ennesima volta la propria credibilità, e in mutuo scambio di professionalità si pone al fianco di quanti (famiglie, aziende, commercianti...) operando nel territorio di sua competenza hanno coscienza di vivere una storia che attraversando i millenni non può restare gelosa custode di se stessa, ma deve protendersi verso un futuro migliore, ricco di laboriosità e di speranza. Banca di Credito Cooperativo di Chiusi Il Consiglio di Amministrazione Presentazione In occasione dell’ormai imminente Giubileo del 2000 la Banca di Credito Cooperativo di Chiusi offre a tutti i cittadini ed in particolare agli appassionati di storia ecclesiastica locale questo libro sulla storia della diocesi clusina dalle sue origini fino ai nostri giorni. Frutto delle ricerche documentarie e iconografiche di don Giacomo Bersotti, defunto archivista diocesano, e di Enrico Barni, il lavoro si articola su tre capitoli: nel primo viene tracciato un sintetico, ma esauriente profilo di storia della diocesi; il secondo è dedicato alle vicende della cattedrale di San Secondiano e della chiesa di Santa Mustiola; nel terzo, infine, viene ricostruita sulla base dei dati documentari più attendibili la «cronotassi» dei vescovi clusini da Lucio Petronio Destro (inizi del IV sec. d.C.) fino all’attuale presule di Montepulciano-Chiusi-Pienza, mons. Alberto Giglioli. Un discorso storico, che si dipana per il lungo tratto di diciassette secoli, non può non aprire molteplici vie ad ulteriori approfondimenti; non può non porre infiniti interrogativi, per i quali non siamo ancora pronti per scrivere una risposta esaustiva; non può, infine, non porre anche qualche legittimo dubbio sul senso e sulla sensatezza di tante vicende e di tanti interventi umani. La ricerca storiografica può sperare di reperire i documenti scritti ed i «resti» materiali del passato: come quelle “pietre sporgenti dall’abside centrale del duomo” ricordate a pagina 39, o come la “strana iscrizione” del 1557, spiegata a pagina 44. I documenti ed i residui archeologici aprono squarci di luce in una oscurità, che in parte è dovuta alle condizioni oggettive del tempo (basti qui ricordare le distruzioni tanto della guerra gotica o delle guerre longobarde, quanto – in età a noi più recente – della guerra medicea per la conquista di Siena), ma in parte dipende anche dall’incuria degli uomini nei confronti della sopravvivenza del passato nel presente: un’incuria talora involontaria, ma talora persino voluta e intenzionale, come si può affermare per l’età delle riforme leopoldine e, più in generale, per tutto il secolo e passa del dominio asburgo-lorenese. Quante sopravvivenze materiali e spirituali dei tempi antichi delle Chiese locali furono allora svendute ai privati o distrutte, nel nome di una religiosità adeguata alle regole della «moderna» disciplina ecclesiastica e di una più raffinata devozione spirituale, ma anche sulla scia di un giudizio estetico, che oggi ci appare assai discutibile! Eppure, il recupero della memoria storica rimane un’operazione «civile» fondamentale sia al fine della costruzione di un’identità comunitaria aperta al confronto con gli «altri» sul piano etnico, culturale e religioso, sia nella prospettiva della costruzione consapevole del futuro individuale e collettivo. Un’analisi serena e lucida delle antiche vicende – e questo è certo un merito che va riconosciuto alla fatica dei nostri autori – consente di interpretare lo svolgersi della nostra storia al di fuori di schemi semplicistici, ricostruendo la complessità dei fattori in gioco pur nella rigorosa unitarietà della vita sociale degli uomini. La comparazione, poi, della storia particolare di questa diocesi con le vicende di altre comunità simili per istituzioni e per ideologie ci aiuta a comprendere la portata e la «direzione» degli eventi con il necessario distacco, senza inciampare in quella facile tentazione dell’«amor patrio», se non addirittura del campanilismo, che pure gli autori hanno saputo evitare. Così, mentre sottolineo la rilevanza nel discorso storiografico di spunti che andranno ripresi in successive ricerche – dall’incidenza della riforma gregoriana e della lotta per le investiture nella vita diocesana dei primi secoli dopo il Mille, all’assenteismo parassitario dei vescovi in epoca rinascimentale, fino al lungo episcopato di Giuseppe Pannilini, un giansenista talmente abile da mantenere il governo episcopale persino nel pieno dell’età della Restaurazione –, vorrei chiudere questa mia succinta presentazione esprimendo una sostanziale adesione al giudizio degli autori di pur cauto dissenso nei confronti dell’annessione della diocesi clusina a quella di Montepulciano in posizione sostanzialmente subalterna. La storia delle istituzioni ecclesiastiche è nel nostro paese «storia civile» assai più di quanto comunemente si creda: ne sono una prova evidentissima le stesse vicende di questa diocesi, tanto nel Medio Evo quanto nell’Età Moderna, sia nell’assoggettamento ai poteri politici, sia nel periodico adattamento della giurisdizione spirituale sul territorio alle mutevoli esigenze della distrettuazione civile. Tuttavia, non sarebbe male che nel presente storico si mantenesse aperto un rapporto dialettico fra le forze in campo ed in questo «gioco» la Chiesa locale potrebbe assumere, pur senza venir meno ai suoi odierni impegni pastorali, il ruolo non irrilevante di testimone della memoria storica più che millenaria di una comunità ancora viva. Gaetano Greco Università degli Studi di Siena Introduzione Questa storia della diocesi di Chiusi, che parte dalle origini del Cristianesimo per arrivare ai nostri giorni, è stata resa possibile dalla elaborazione della enorme mole di dati raccolti in tanti anni dal compianto Giacomo Bersotti e dalle ricerche da mé condotte in merito. Giacomo Bersotti non aveva in mente di scrivere una vera e propria storia della diocesi chiusina, ma, lavorando per anni a riordinare e studiare le carte degli archivi del Comune e della Curia Vescovile di Chiusi, ebbe modo di annotare tante notizie sulla storia religiosa della città che egli pensava di utilizzare nel corpus di un progetto più generale sulla storia di Chiusi. È stata per mé un’esperienza esaltante leggere i suoi appunti e quasi dialogare e lavorare idealmente con lui alla stesura definitiva di questa storia, mettendo a confronto le nostre ricerche e le nostre idee, animati dallo stesso amore per la cultura e la storia della nostra città. Mi sembra dunque che questo lavoro illustri sufficientemente l’importanza storicoreligiosa della diocesi di Chiusi e ne metta in risalto non solo le antiche origini, ma lo sviluppo e la continuità storica delle vicende, esaltandone il ruolo all’interno della nuova diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza, soprattutto oggi che ci avviamo all’inizio del terzo millennio. Chiusi, 3 aprile 1999 Enrico Barni Abbreviazioni usate nel testo: A.C.C. Archivio del Comune di Chiusi A.C.V.C. Archivio della Curia Vescovile di Chiusi Ringrazio vivamente Onedo Meacci, Presidente dell’Opera della Cattedrale di Chiusi; Arnaldo Barbieri, Presidente della Fabbriceria della Cattedrale di Pienza; Anna Romanini, Ispettore della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra per le Catacombe della Toscana e dell’Umbria; gli amici della Libera Associazione di Documentazione Storica della città di Chiusi: Severino Mignoni, Roberto Sanchini, Fausto Lottarini. CAPITOLO I VICENDE DELLA DIOCESI I.1. Le origini del Cristianesimo e della Diocesi di Chiusi. Ingresso e interno delle catacombe di Santa Caterina. Il territorio dell’antica lucumonìa di Chiusi, che fu vastissimo all’epoca del maggior splendore della città etrusca, confinava con i territori di Arezzo, Cortona, Perugia, Volsinii (Orvieto), Roselle, Volterra1. Sul finire della repubblica romana e nell’età imperiale questo territorio era stato già da tempo ridotto. Quando, all’epoca di Ottaviano Augusto, fu fondata la colonia di Saena Julia (Siena), il territorio chiusino era stato già privato, da parte di Arezzo, di Sinalunga, Montepulciano, Pienza, S. Quirico d’Orcia, Montalcino. Fu durante l’epoca imperiale che Chiusi vide nascere tra le sue mura la fede cristiana. Rispetto a molti altri centri della Tuscia, Chiusi fu tra i primi ad avere un nucleo di cristiani. Furono forse dei soldati o più probabilmente dei mercanti siriaci, a far nascere la scintilla della fede cristiana, durante l’impero di Adriano (117-138)2. Quel che è certo è che Chiusi ebbe il suo nucleo di paleocristiani prima della stessa Arezzo, tra la metà e la fine del II secolo3. A favorirne la nascita precoce fu certo la posizione strategica che la città occupava nelle vie di comunicazione che da Roma si irradiavano verso Nord. Infatti attraversava il suo territorio la Cassia Seriore o Clodia, l’importante strada romana che fu il veicolo di esportazione del Cristianesimo. Chiusi, più vicina a Roma, fu anche la prima città ad assorbire quei nuovi semi. L’affermazione del Cristianesimo a Chiusi, come negli altri antichi centri della Tuscia, non fu immediata e senza ostacoli. Nella città persistevano certamente culti pagani che sarebbero rimasti ancora per secoli. Del resto erano i culti che si adattavano alle classi popolari e che più coincidevano con le tradizioni culturali e religiose etrusche che Roma aveva assorbito nel suo sincretismo greco-romano. I culti pagani dovettero in effetti permanere a lungo nel territorio chiusino, giustificati dal tradizionalismo delle classi popolari, specie nelle campagne ove meno frequenti erano i contatti con le altre classi4. L’estensione del territorio chiusino e la presenza di una miriade di piccole comunità agricole ostacolarono dunque un’espansione veloce e sistematica del Cristianesimo, come avvenne nella gran parte dei pagi dell’impero romano. Dall’altra parte le persone di media cultura, i soldati, i mercanti e gli schiavi colti, vennero attratti e furono gli agenti di propaganda dei culti orientali, che in tutto l’impero si diffusero con grande vigore. Il culto di Iside e Serapide sviluppatosi al tempo di Silla, quello di Mithria, furono tra i maggiori avversari del Cristianesimo5. Sicuramente anche a Chiusi, come in tutto l’impero romano, la libertà di culto creò un’estrema confusione religiosa: nella città prevalevano i culti orientali e pagani mentre si affacciava il Cristianesimo; nelle campagne gli uomini innalzavano le loro are seguendo ancora consuetudini millenarie. Questa estrema promiscuità religiosa è ravvisabile in uno dei due cimiteri cristiani che esistono nelle vicinanze di Chiusi: le catacombe di Santa Caterina. Esse, che vengono fatte risalire al III secolo e che sono stimate più antiche di quelle di Santa Mustiola, mostrano sepolture cristiane accanto ad altre con emblemi pagani6. 8 - La diocesi di Chiusi Ingresso e interno delle catacombe di Santa Mustiola, e lapide di Lucio Petronio Destro. Ciò starebbe a dimostrare che almeno per un certo periodo la libertà di culto non provocò contrasti insanabili tra i seguaci delle varie religioni, che probabilmente facevano anche parte delle stesse famiglie7. Non mancarono tuttavia atti di fanatismo, come dimostrano i motti epicurei che il canonico Antonio Mazzetti vi trovò graffiti probabilmente da antichi profanatori e che per troppo zelo cristiano cancellò all’atto della scoperta delle catacombe, nel 18488. Leggermente più tarde rispetto a quelle di Santa Caterina sono probabilmente le catacombe di Santa Mustiola. Esse rappresentarono per secoli il luogo di maggiore venerazione cristiana dell’intero territorio chiusino. Esistevano già sulla fine del III secolo, come si desume dalla iscrizione - DEPOSITIO REDEMTE DIOCLETIANO AVG IIII ET MAXIMIANO III CONS XVII KAL FEB9. La data consolare di Diocleziano e Massimiano corrisponde all’anno 290. In queste catacombe trovò sepoltura la martire Mustiola, che morì nell’anno 274 sotto l’impero di Aureliano. In questo caso i primi cristiani di Chiusi scelsero per le proprie sepolture un terreno che da secoli veniva usato a scopo cemeteriale. Tale era stato per gli Etruschi, come dimostrano i tanti ritrovamenti ivi avvenuti sin dal XVIII secolo e che fecero dire, nel 1759, all’erudito Luigi Antonio Paolozzi: Questo poggio tutto poco men che tufaceo rimane contiguo alla strada, che dalla Città all’antica Chiesa di S. Mustiola conduce, la quale è situata colle sue Catacombe famose quasi alle falde del suddetto poggio verso la parte orientale, ed alle Chiane vicina, onde questo degno di osservazione si rende; imperciocché non può negarsi che non sia stato un luogo particolare dagli antichi chiusini per la loro sepoltura destinato, e prescelto10. All’epoca della costruzione delle catacombe, il terreno apparteneva con ogni probabilità alla nobile famiglia dei Pomponi. Nel secolo IV i parenti della martire Mustiola vivevano ancora a Chiusi, come attesta l’iscrizione funebre di Giulia Asinia Felicissima Ex genere Mustiolae Sanctae.11 Forse proprio Giulia ed il marito Pomponio Felicissimo furono gli edificatori, sullo stesso terreno delle catacombe, della prima basilica paleocristiana di Santa Mustiola, della cui storia ci occuperemo in seguito. Chiusi ebbe dunque i suoi martiri che hanno il nome di Mustiola, Ireneo Diacono, Capitolo I. Vicende della diocesi - 9 Spilla in rame del V secolo trovata tra Chiusi e Sarteano. I.2. I Longobardi e il Cristianesimo. Ulpia Vittoria, Quinto Velio ed altri sepolti nelle due catacombe che indicano l’importanza della chiesa chiusina quando, secondo la Passio Sanctae Mustiolae (secolo V) l’imperatore Aureliano nell’anno 274 mandò a Chiusi Turcio Aproniano per stroncare il fenomeno religioso che si era fatto sempre più evidente12. La comunità cristiana di Chiusi crebbe di numero e d’importanza tra la fine del III e l’inizio del IV secolo. Non è un caso che la prima memoria certa della presenza di un vescovo la troviamo, nelle catacombe di Santa Mustiola, nella lapide incisa che ricorda Lucio Petronio Destro, morto nel 32213, solo pochi anni dopo il famoso editto di Costantino (313) col quale l’imperatore riconobbe ai cristiani piena libertà di culto. Proprio dal 313 vi sono notizie di vescovi toscani che parteciparono al primo sinodo romano14. Considerata la prima notizia di un vescovo di Chiusi pervenutaci, quella ricordata di Lucio Petronio Destro, e avuta presente la precocità dello sviluppo del Cristianesimo nel territorio chiusino, dobbiamo pensare che l’organizzazione ecclesiastica chiusina fosse già in atto e articolata alla fine del III secolo. Come nelle altre parti della Tuscia, essa si modellò sulla preesistente organizzazione amministrativa dell’impero romano15. Nella sede della civitas risiedeva l’ episcopus, che aveva giurisdizione fino ai confini diocesani modellati su quelli dell’impero romano. Lo stesso nome di diocesi richiama l’organizzazione imperiale, di cui il vescovo cristiano fu il sovrintendente, assistito da un collegio sacerdotale (i presbiteri) presieduto da un arcidiacono. Dalla civitas sede del vescovo il suo potere si irradiava sull’intero territorio di giurisdizione e sui pagi (unità amministrative dei municipi romani). Nelle sedi principali dei pagi, i vici, sorsero le prime pievi, dal latino plebs (popolo) le cui principali sedi furono una statio o una mutatio lungo la Cassia e le sue diramazioni16. Nei secoli IV e V nuclei di cristiani si erano certamente formati anche nelle zone più vicine a Chiusi, come si può rilevare da un reperto archeologico, oggi smarrito, trovato casualmente anni or sono tra Chiusi e Sarteano in zona Astrone. Si trattava di una spilla in rame, databile al V secolo, sormontata da croce greca, che aveva in alto una piccola colomba. Con tali caratteristiche la diocesi chiusina dovette mantenersi fino alla guerra goticobizantina (535-553) che distrusse gran parte dei monumenti romani che erano rimasti a ricordo dell’impero. Da quella distruzione sorse, al termine della guerra, la cattedrale di San Secondiano edificata dal vescovo Florentino (558-560). Dopo la conquista bizantina l’Italia venne divisa in circoscrizioni i cui confini ricalcavano quelli delle antiche province. In esse i vescovi ebbero particolari poteri, legati però a quelli dei dominatori greci. Insieme alla costruzione della cattedrale, di cui parleremo in seguito, nel periodo bizantino vennero costruite a Chiusi, a mezzo del materiale degli antichi edifici romani distrutti, anche altre due chiese: quella dedicata alle SS. Marta e Maddalena, oggi non più esistente, e quella dedicata a S. Maria Novella detta anche della Morte. Al periodo bizantino è da ricollegarsi anche la costruzione a Chiusi di una modesta basilica dedicata a S. Apollinare, il cui culto ebbe all’epoca la sua capitale in Ravenna. La chiesa fu poi completamente ristrutturata nel XVIII secolo. Vennero i Longobardi a spazzare via il debole governo bizantino. Chiusi fu Ducato longobardo fin dall’occupazione della città, avvenuta fra il 571 e il 592. La conversione dei Longobardi al Cristianesimo determinò il consolidamento del potere dei vescovi chiusini sul loro territorio. Il duca Gregorio fece costruire la grande basilica di Santa Mustiola, nell’anno 728, 10 - La diocesi di Chiusi che divenne uno dei massimi centri di venerazione all’interno della diocesi. I confini della diocesi chiusina all’epoca longobarda sono rintracciabili in uno degli atti più antichi della lite di giurisdizione tra le chiese di Arezzo e Siena: la discussione avvenuta a Vicovallari nell’anno 71417. Dagli atti di Vicovallari vediamo che i confini della diocesi di Chiusi con Arezzo andavano da sotto Montepulciano fino alla pieve dei santi Modesto e Vito in Corsignano (Pienza) ed esclusa Fabbrica (Palazzo Massaini) e Monticchiello appartenenti a Chiusi, per l’Orcia si giungeva fino sotto Montalcino. S. Antimo e Villa a Tolli appartenevano a Chiusi che estendeva il suo territorio fino quasi alla confluenza dell’Orcia con l’Ombrone. I confini verso l’Umbria dovevano partire da sotto Cortona fino al Trasimeno e da qui, lungo il fiume Nestore, giungere alla confluenza col Tevere abbracciando tutto il territorio della successiva diocesi di Città della Pieve e quanto se ne trova dentro la riva del Tevere, a destra di chi lo discende verso Roma, perché sulla sinistra era il ducato di Spoleto. I confini più incerti erano quelli verso il ducato romano sulla linea Amelia, Orte, Sutri, Civitavecchia. Bagnorea almeno nell’anno 600 doveva essere sotto la giurisdizione del ducato chiusino. Di Orvieto non si ricorda alcun gastaldo regio, e può darsi che fosse sotto il duca di Chiusi, tanto più che nel secolo VIII vi troviamo un longobardo di nome Farolfo il cui anello fu ritrovato in territorio di Chiusi18. Questa delimitazione territoriale la ritroviamo in un diploma di Lodovico il Pio dell’anno 81319. In esso vediamo che i confini della diocesi di Chiusi erano all’epoca sotto Montalcino, A mezzogiorno del passo dell’Orcia per la strada che conduce sotto Montalcino (allora diocesi di Arezzo) e da Montalcino fino alla strada di S. Antimo (diocesi di Chiusi) e a nord dalla terra di Petrone Gastaldo (di Chiusi) per la via pubblica fino al ponte dell’Ombrone con i due oratori, posti dentro lo stesso confine di S. Cristina (presso Montalcino) e di S. Madre Chiesa (S. Maria in Matrichese a un miglio da Montalcino, distrutta nel 1786) con tutto ciò che appartiene alla detta corte e dentro i luoghi ricordati, terre coltivate e incolte, sul confine chiusino20. Questi confini di Chiusi nell’anno 813 non erano dunque molto diversi da quelli del ducato longobardo. Paolo Diacono racconta che in quasi tutte le città ai tempi di Rotari C’erano due vescovi, uno cattolico e l’altro ariano. L’esistenza dell’antico battistero di San Secondiano di rito cattolico non esclude dunque l’esistenza di un altro in diversa chiesa di rito ariano. Probabilmente furono chiese di culto ariano a Chiusi S. Silvestro e S. Fedele. La prima non può essere identificata con la pieve di San Silvestro in Lauciniano di cui parlano i documenti amiatini dell’anno 79021, che è localizzabile invece nei pressi del Salarco. Osservando il disegno eseguito da Baldassarre Peruzzi nel 1529 per realizzare una migliore fortificazione della città di Chiusi, notiamo che egli pone la chiesa di San Silvestro in fondo all’attuale Via della Pietriccia, a destra di chi scende verso il lago. Nell’attuale quartiere dei Forti e Pietriccia si era installata una fara longobarda, dalla cui curtis si sviluppò in seguito il Terziere di San Silvestro. Con ogni probabilità la curtis appartenne ad una tra le più potenti famiglie longobarde di Chiusi e forse allo stesso duca longobardo, da cui passò ai gastaldi e ai conti chiusini. La chiesa di San Silvestro dunque fu certamente costruita dai Longobardi quando la devozione a San Silvestro papa si diffuse per lo zelo di S. Anselmo abate di Nonantola. Certamente la chiesa era già officiata nel maggio dell’anno 765, poiché viene ricordata in un antico documento22. La chiesa di San Fedele, la cui esistenza è soltanto supposta da un documento amiatino23, sorgeva probabilmente dove oggi sorge la chiesa di San Francesco, nella zona nord della città abitata dai Longobardi e poi inclusa nel Terziere di S. Angelo. I Longobardi si installarono anche in questo punto, il più alto della città, sin dalla loro Capitolo I. Vicende della diocesi - 11 venuta a Chiusi, in quanto da esso potevano dominare il territorio circostante e difendersi da eventuali sommosse della popolazione etrusco-latina, che si era ristretta nella zona che poi divenne il Terziere di S. Maria. I.3. L’affermazione del monachesimo. I.3.1. La contesa tra il monastero di San Salvatore di Monte Amiata e il vescovo di Chiusi. La cripta ed il chiostro dell’abbazia di S. Salvatore di Monte Amiata. I benedettini vennero a Chiusi sin dal secolo VIII-IX e probabilmente officiarono la chiesa di San Fedele costruendo anche un loro monastero, o almeno una priorìa, dove poi sorse il convento francescano. Grande fu la loro potenza nel territorio della diocesi di Chiusi, testimoniata dalla nascita e dallo sviluppo di tre grandi monasteri: San Salvatore sul Monte Amiata, S. Antimo e Farneta. A questi tre monasteri, che per la loro potenza e le loro ricchezze si resero subito esenti da ogni giurisdizione del vescovo di Chiusi, se ne aggiunsero molti altri senza contare le priorìe e gli eremi da essi dipendenti. Il più potente di tutti fu certamente il monastero di San Salvatore di Monte Amiata, fondato nel secolo VIII, i cui abati furono per secoli in lotta coi vescovi chiusini per questioni di giurisdizione su varie chiese della diocesi. In effetti i monaci di San Salvatore affermarono presto la loro giurisdizione sulle seguenti priorìe, chiese e monasteri: – monastero di S. Benedetto al Sasso Laterone, poi Monte Laterone, cui papa Eugenio III fece molte concessioni nel 1153. Il monastero venne poi unito a quello di S. Salvatore e fu anche parrocchia per la quale si accese, dopo il Concilio di Trento, la lite di giurisdizione tra il vescovo di Chiusi e l’abate amiatino; – priorìa (cella benedettina) di S. Andrea in Radicofani; – chiesa di S. Pietro in Radicofani; – priorìa di S. Leonardo in S. Casciano dei Bagni; – chiesa di S. Croce in Abbadia S. Salvatore; – chiesa di Monticello; – chiesa di S. Leonardo, di S. Andrea in Arcidosso; – chiesa di S. Leonardo in Castel del Piano; – chiesa di S. Maria in Lamule. La prima testimonianza sulla grossa lite di giurisdizione tra i monaci amiatini e i vescovi chiusini risale al tempo del vescovo Liutprando (861). Se ne occupò il re e imperatore Guido di Spoleto e anche, nell’anno 896, il re imperatore Arnolfo. A spuntarla furono sempre i potenti monaci di San Salvatore, mentre i vescovi chiusini Cristiano (911) e Luto (967-968) ebbero la peggio24. Il vescovo Arialdo, successore di Luto, si oppose con maggior vigore all’abate di San 12 - La diocesi di Chiusi Veduta dell’abbazia di S. Antimo. Salvatore, il tedesco Winizo, il quale si sentiva non solo capo spirituale del suo monastero, ma anche grande feudatario di numerose terre e castelli. Winizo si oppose al vescovo Arialdo che voleva conservare il diritto sulle pievi cadute nelle mani dei monaci e si appellò a papa Gregorio V il quale emanò, il 30 maggio dell’anno 996, una breve a favore dei monaci amiatini. Arialdo reagì accordandosi con Ildebrando Aldobrandeschi di Sovana e Santa Fiora e minacciando l’invasione delle proprietà del monastero. Winizo cercò allora di calmare il conte Ildebrando e si appellò all’imperatore Enrico II che ordinò al vescovo di Chiusi e al conte Ildebrando di cessare ogni ostilità e citò al suo tribunale le parti contendenti insieme all’abate di S. Antimo, che si trovava per le stesse ragioni in urto con il vescovo di Chiusi. Era l’aprile dell’anno 1006. I grandi feudatari d’Italia parteggiavano chi per il re Arduino d’Ivrea, chi per l’imperatore Enrico II. La Toscana era dalla parte dell’imperatore e dinanzi a lui convennero al placito, che fu tenuto a Newburg, molti vescovi e conti d’Italia in qualità di assessori. Furono presenti, tra gli altri, Alderico vescovo di Trento, Ivizzone abate di Leone nel bresciano, Ugo abate di Farfa, Buono abate di Ravenna, Idilberto abate di Siena, Giovanni abate di Lucca, i vicedomini dei vescovi di Siena e Arezzo, Ildebrando, Ardingo e Ranieri conti di Chiusi. Anche stavolta il vescovo di Chiusi ebbe la peggio25. Tuttavia la lite continuò nei secoli, prima davanti a papa Benedetto VIII nel 1016, per riaccendersi poi con più vigore dopo il Concilio di Trento che ridette ai vescovi pieni poteri spirituali sulle chiese delle diocesi. Il giudizio definitivo, favorevole al vescovo di Chiusi Lucio Borghesi e al suo successore Gaetano Maria Bargagli, fu dato dalla Sacra Congregazione del Concilio il 28 marzo 170526. Capitolo I. Vicende della diocesi - 13 I.3.2. Gli altri monasteri. Veduta dell’abbazia di Farneta. Veduta dell’abbazia della SS. Trinità di Spineto. Altri monasteri e priorìe fiorirono numerosi nel territorio della diocesi. Tra quelli indipendenti dal monastero di San Salvatore possiamo ricordare: – l’abbazia di S. Antimo in Val di Starcia, fondata (come si crede) da Carlo Magno nell’anno 800 e di cui parlano diplomi e privilegi di Lodovico il Pio, Carlo il Calvo, Lotario II, Enrico III ed Enrico V, che le conferirono immunità varie dal vescovo di Chiusi. Ebbe anche, sin dal secolo X, molti privilegi da parte dei papi, e i suoi abati furono conti del S. R. Impero; – l’abbazia di S. Maria di Farneta fondata tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo dai fratelli Griffone, Orso e Gignello; – l’eremo di San Benedetto del Vivo fondato da San Romualdo nel 1015, in cui vivevano i camaldolesi27; – il monastero di San Piero in Campo, da cui dipesero le priorìe di S. Andrea in Castiglioncello del Trinoro e di S. Vittoria in Sarteano; – l’abbazia di San Pietro in Argnano, dal toponimo latino medievale del predio romano Arnianum. È il nome del luogo dove sorse il monastero, poi abbazia di Argagno o di Montepulciano. I conti di Chiusi Bernardo di Ranieri e Ardingo, nel 1084-1085, confermarono all’abate del monastero un bosco (oggi Fattoria della Corona) dove i monaci fondarono una cella col titolo di S. Ilario, oggi parrocchia di Argiano28; – l’eremo di S. M. Maddalena di Monte Carcese o Scanciano (forse Chianciano)29; – il monastero di Pietro di Petroio, da non confondere con Petroio nel Comune di Trequanda, e con la Villa Petroio antico castello nel Comune di Montepulciano 14 - La diocesi di Chiusi detto anche Villa della Parcia. Sorgeva invece in località Petroio, poco fuori da Chianciano, in fondo all’attuale Via Risorgimento o dei Macelli; – l’abbazia della SS. Trinità di Spineto, fondata nel 1085 e affidata nel 1112 ai monaci vallombrosani di Coltibuono30; – l’eremo di San Giovanni in Monte Herili, che dipese probabilmente dalla propositura di Santa Mustiola31; – il monastero di San Benedetto alla Tresa presso Moiano32; – l’abbazia di San Cristoforo, dipendente da Farneta33; – l’eremo di Santa Maria del Tillio34; – l’eremo di San Galgano de Catasta35; – l’eremo di San Guglielmo in Acerona, presso San Casciano dei Bagni36. San Piero in Campo. I.3.3. L’arrivo e l’espansione dei francescani. Tutto ciò dimostra l’importanza raggiunta dal monachesimo nella allora diocesi di Chiusi, che comprendeva buona parte delle successive diocesi di Pienza, Montalcino, Montepulciano, Cortona e Città della Pieve. I grandi monasteri della diocesi, che avevano affermato la loro indipendenza dal vescovo di Chiusi mediante i privilegi e le donazioni ricevute, dovettero tuttavia difendersi dai loro stessi benefattori locali, i conti, che a loro volta tendevano ad affermare mediante le donazioni il diritto di patronato sui monasteri. Il patronato dei conti Farolfi sul monastero di San Piero in Campo è indicato come probabile da una donazione di molte terre che fecero al monastero, il 28 marzo 1055, il conte Pepone I e i suoi fratelli Farolfo III e Ranieri II, figli del conte Winigildo e di Teodora.37 Nel marzo del 1126 Manente I figlio di Pepone II donò al monastero di San Piero in Campo la metà di Castiglioncello del Trinoro, la cui chiesa di S. Andrea ne fu priorìa dipendente38. Per difendere i monasteri e le chiese della sua diocesi dalle pretese dei conti e dei monaci di San Salvatore, nel 1146 il vescovo chiusino Martino affidò ai camaldolesi del Vivo la riforma dei monasteri di San Piero in Campo, San Benedetto alla Tresa di Moiano e San Pietro in Argiano39. La riforma fu confermata da papa Eugenio III con una bolla del 13 gennaio 114740. Allo stesso scopo di difendersi dalle pretese dei monaci amiatini, l’abbazia di Spineta si era già unita, nel 1112, ai vallombrosani di Coltibuono. Dopo la riforma introdotta dai camaldolesi nel monastero di San Piero in Campo (1146), il monastero stesso ampliò il suo raggio d’azione su diversi piccoli monasteri della diocesi e soprattutto sul distretto di Chianciano. Così i camaldolesi divennero ricchi e potenti nel territorio della diocesi di Chiusi. I francescani spesso si inserirono nelle chiese e monasteri già appartenuti ai benedettini. Secondo San Bonaventura e Tommaso da Celano, nel gennaio del 1212 San Francesco venne e si trattenne a Sarteano (Romitorio di San Bartolomeo) e a Cetona. Il Wadding, cronista francescano, accenna alla probabilità che San Francesco, per tornare a predicare ad Assisi in occasione della quaresima dello stesso anno, sia passato da Chiusi e vi abbia lasciato alcuni suoi frati in un eremo41. Il Padre Niccolò Papini nella sua Etruria Francescana scritta sul finire del secolo XVIII, al II tomo inedito, dopo aver detto che San Francesco, personalmente o per mezzo di uno dei suoi compagni, fondò il convento di Chiusi, aggiunge: Certo è che fino dai tempi di San Francesco fu questo Convento fuori di città. In qual anno e per qual motivo (forse per le guerre e forse ancora per l’aria malsana) lo abbandonarono i nostri Padri ed erigessero altro Convento, entro le mura con chiesa grande dedicata a San Francesco, non si sa... A questo convento, quando morì San Francesco il 4 ottobre 1226, si ritirò il Beato Egidio ed ivi ebbe gran visioni42. Non sappiamo su quale tradizione il Padre Papini abbia potuto scrivere come cosa certa che il primitivo convento francescano di Chiusi fosse fuori di città. Che San Francesco Capitolo I. Vicende della diocesi - 15 preferisse luoghi appartati come residenza dei suoi frati è cosa certa, ma nessuna tradizione locale conferma per Chiusi quanto scrive il Papini. Nessuna località intorno a Chiusi porta il nome San Francesco come per esempio San Francesco Vecchio a Radicofani. Esiste solo una località detta Romitorio che potrebbe, ma con molta incertezza, favorire tale opinione. Comunque, come dice lo stesso autore dell’Etruria Francescana, Successivamente, non so se per l’antichità, piuttosto per ragione della sede episcopale, vi fu costituito un Custode43. Le Custodie erano una specie di suddivisioni delle Province di cui si componeva l’ordine francescano. Il Papini cita come Custode della Custodia chiusina, nell’anno 1269, il Padre Ubaldo da Pistoia che il 16 dicembre dello stesso anno prese possesso della chiesa e convento di Santa Margherita di Montepulciano. Più di un secolo dopo, le Tavole Capitolari del 1399 e quelle del 1408 (Capitolo di Piombino) ricordano che la Custodia chiusina ebbe alle sue dipendenze fino a 14 conventi44. Anche entro le mura di Chiusi furono costruiti una chiesa ed un convento francescano. L’epoca precisa della costruzione della chiesa tutt’oggi dedicata a San Francesco non è facilmente verificabile. Ancora dagli scritti del Papini veniamo a conoscere che Si ha dal libro delle Memorie dell’Ordine che, essendo stata abbassata (scesa dal campanile), l’anno 1689, la campana piccola per voltarla (sostituirla) con altra grande, vi si trovò notato che fu fatta l’anno 125345. Ciò tuttavia non esclude che essa sia stata riutilizzata in data successiva e provenga dunque da un’altra chiesa. Veduta della chiesa di S. Francesco a Chiusi. I.4. Il vescovo Uberto e la riforma del clero secolare. A San Agostino si attribuisce la prima istituzione dei canonici regolari che poi si diffuse nel mondo cristiano. I canonici regolari furono così chiamati dopo la divisione tra secolari e riformati. Essi vivevano in comune sotto l’obbedienza al vescovo, presso una chiesa, osservando una forma di vita religiosa. Papa Niccolò II nel sinodo lateranense del 1059, cui partecipò anche il vescovo chiusino Giovanni, e soprattutto San Pier Damiani furono i promotori della riforma. Essi criticavano le proprietà private dei canonici, ma gli si opposero i capitoli di varie cattedrali e chiese. Forse tra gli oppositori vi furono anche i canonici di Chiusi, sia della basilica di Santa Mustiola che della cattedrale di San Secondiano. Ne è sintomo la condanna del proposto di Santa Mustiola, Guidone. 16 - La diocesi di Chiusi In Santa Mustiola la riforma entrò subito, mentre in San Secondiano rimasero i canonici che seguivano le vecchie costituzioni basate sia sulle tradizioni locali che sulle disposizioni del sinodo imperiale di Acquisgrana tenuto da Lodovico il Pio, che aveva ammesso la proprietà privata da parte dei canonici. Si ebbe così anche in Chiusi quel grande scisma tra canonici regolari e secolari di cui parla Francesco Liverani. All’inizio del secolo XII, la vita comune riformata la troviamo a Città di Castello e più tardi a Perugia e a Gubbio. In questo stesso tempo è introdotta anche nella cattedrale di Chiusi per volontà del vescovo Uberto (1155-1159). Mediante una bolla del 1159 di papa Adriano IV, l’amministrazione della cattedrale di San Secondiano fu affidata al proposto Niger di Santa Mustiola. Con la riforma del capitolo della cattedrale, il proposto e i canonici di Santa Mustiola ebbero in amministrazione spirituale e temporale dieci pievi, ventitré chiese, sei cappelle, il castello e Borgo del Ponte (forse di Valiano di Montepulciano), le Selve di Sanguineto e della Cornia e la cattedrale di Montepulciano. La riforma rese possibile la rinascita religiosa nella diocesi di Chiusi. Essa fu un duro colpo anche per i patroni, i conti Farolfi46, che vantavano diritti sulla basilica di Santa Mustiola, sulla cattedrale di San Secondiano e su altre chiese della diocesi. Tanto emerge dal diploma imperiale di Enrico VI del 1196 dove si legge: Il Vescovo di Chiusi avrà piena giurisdizione per la sua chiesa nella città di Chiusi distretto perché è provato che egli e i suoi antecessori l’hanno sempre tranquillamente avuta senza molestie da parte di Manente, dei suoi figli ed eredi, i quali perciò cesseranno di dar molestia alla chiesa di Chiusi e alla chiesa di Santa Mustiola e a tutte le altre chiese, agli uomini e alle loro proprietà e lasceranno libere le case del Vescovo47. La lotta delle investiture, che si era chiusa col trattato di Worms del 1122, aveva ancora i suoi ritorni di fiamma nell’ambito delle singole diocesi, dove i vescovi godevano di completa autonomia dai signori laici mentre questi erano duri a cedere le loro vecchie prerogative. La bolla di Adriano IV e il diploma di Enrico VI furono dunque due duri colpi per la potenza feudale dei conti di Chiusi, per le loro pretese sui beni ecclesiastici e per le relative investiture dei benefici. I.5. Il primo vescovo-conte e i confini della diocesi nel 1191. Col vescovo Teobaldo (1191-1196) si concluse la lunga lite con i signori locali, i conti Farolfi, che durava da circa l’anno 1124. Come già accennato, i Farolfi pretendevano la giurisdizione su alcuni monasteri e chiese della diocesi chiusina in forza delle donazioni fatte. L’applicazione del trattato di Worms tra papa e imperatore trovò nella pratica attuazione, tra vescovi e feudatari locali, notevoli difficoltà in quanto i conti non intendevano cedere i loro diritti. La ricordata bolla di papa Adriano IV (1159)48 dette il primo colpo ai conti di Chiusi, ma il colpo definitivo lo assestarono la bolla Miserati Inopiam di papa Celestino III (27 dicembre 1191) indirizzata al vescovo Teobaldo II e il ricordato diploma imperiale di Enrico VI del 1196 che gli conferì piena autorità temporale. A seguito di tali provvedimenti il vescovo di Chiusi ebbe giurisdizione piena e riconosciuta su un vastissimo territorio. La bolla di papa Celestino III ha grande importanza anche perché in essa vengono fissati i confini dell’allora diocesi chiusina49. Non è facile identificare tutti i luoghi in essa menzionati, anche perché non pochi nomi, sia dei luoghi stessi sia dei titoli delle chiese, oggi non esistono più o sono cambiati col tempo, mentre altre chiese con relativo titolo sono sorte in seguito. Nel lungo elenco di tali località che qui presentiamo, abbiamo aggiunto tra parentesi, ove possibile, i luoghi che abbiamo creduto di individuare. Capitolo I. Vicende della diocesi - 17 – Cattedrale di San Secondiano; – chiesa di Santa Mustiola; – ospedale di S. Ireneo; – pieve di Santa Maria del Bagno (San Casciano dei Bagni); – pieve di San Donato a Radicofani (oggi San Pietro Apostolo); – pieve di San Giovanni di Queneto (nei pressi di Cetona); – pieve di Santa Maria de Spino (sull’Amiata), con la cappella di San Giovanni e le sue masserizie; – pieve di San Martino de Fabrica (presso Borghetto) con tutte le cose ad essa appartenenti; – pieve di San Giovanni delle Pupille (San Giovanni di Popelle o Poppelle, presso Cignano); – pieve di San Donato (di Colcelle, oggi podere Badiole presso Petrignano); – pieve di San Martino (oggi podere Pievaccia presso Laviano sul lago di Montepulciano), con la cappella di San Quirico di Castello Algisio (Alghese); – pieve di San Eleuterio (presso Casamaggiore); – pieve di Santa Maria di Peretola (presso Pacciano); – pieve di Santa Maria de Runcano (oggi podere Santa Maria presso Panicarola); – pieve di San Donato (in Ravigliano); – pieve di San Gervasio (oggi cattedrale di Città della Pieve); – pieve di San Severo di Verlano (Monteleone d’Orvieto); – pieve di San Terenziano di Materno (Colle San Paolo); – pieve di Santa Maria di Fighine (oggi San Michele Arcangelo), con le sue cappelle; – pieve di San Cesareo (oggi non più esistente, ma in territorio di Sarteano tra Spineta e Castiglioncello del Trinoro); – pieve dei Santi Cosma e Damiano (a quattro chilometri circa a Est di Chianciano in località Pieparcia); – pieve di San Silvestro (in Lauciniano presso Totona); – pieve di San Vittorino (di Acquaviva), con la cappella di San Martino; – pieve di San Filippo (Bagni San Filippo); – eremo del Vivo; – pieve di Santa Flora (Santa Fiora sul Monte Amiata) con tutte le sue pertinenze; – pieve di San Pietro in Auliano (presso Montelaterone sul Monte Amiata), con la cappella di Lugnole; – chiesa di San Leonardo di Castel del Piano; – pieve di Santa Maria di Muscia (forse Mussona, in Val d’Orcia), con la cappella di Castiglione di Ugone (Castiglion d’Orcia); – pieve di San Lorenzo (Sarteano); – corte di Santa Flora di Noceto (sul Monte Amiata); – corte di Bugnano (Monte Amiata), col castello di Potentino (Monte Amiata) e la sua torre posta sopra il fiume Vivo; – corte di San Clemente (Montelaterone); – cappella di San Paolo di Materlo (Materno); – pieve di S. Ansano (Petrignano) e la corte di Monte Altulo; – corte di Capitino; – corte di Loiano (forse Laviano); – corte di Corvaia con la sua cappella; – monte di Torino; – corte di Bruscaia col castello Ceculo; – corte di Rosavone con la cappella di San Adriano (forse Adriana presso Chianciano); – monastero di San Piero in Campo; – corte di S. Angelo di Cervinaia; – pieve di San Mamiliano in Cignano con le sue pertinenze (oggi San Niccolò); – corte di San Quirico di Pulsiniano (forse Passignano); – cappella di San Paolo; – corte di Pozzuolo (Città della Pieve), con la cappella di San Pietro; – corte di Casa Maggiore, con la cappella; – corte di San Salvatore (Ceraseto presso Panicale); – corte di Caliano (forse Cabbiano); – corte di Mugnano( forse Moiano); – monastero di San Benedetto posto vicino al fiume Tresa; – chiesa di San Paolo di Materno; – chiesa di S. Andrea della Fratta (Grimalda); – chiesa di S. Angelo del Rivo (Panicale); – cappella di S. Crisanto; – Le Tavernelle, con il Roso; – chiesa di S. Onorata con tutte le sue pertinenze; – corte di Petrignano; – Monte Venere; – corte di Rospista; – corte di Campilli; – corte di San Giovanni di Terminano (forse Trevinano); – corte di Valcalla; – corte di Martiniano; – corte di Rosignano; – corte di Fabbri (forse Palazzo Massaini); – cappella di Santa Maria di Floiano (forse Fasciano di Cortona); – chiesa di Santa Maria di Fortunolo; – corte di Tigliano; – corte di Pistulla; – corte di Valiano (di Montepulciano); – castello di Carraiola (Carnaiola di Orvieto), con tutta la sua corte; – cappella di San Giusto con le sue pertinenze; – corte di Cignano (di Cortona); – chiese di San Pietro e di San Lorenzo (forse le chiese di San Pietro nel castello di Sarteano e la Pieve Vecchia presso la cartiera di Sarteano); – Monte Luculo; – la quarta parte del castello di Asciano per testamento del conte Manente; – castello di Montolle col suo distretto (presso Querce al Pino); – la metà dei beni dalla terra di Sarteano al fiume Chiana; – Colle Francolo; – chiesa di San Pietro (forse in Città della Pieve); – chiesa di San Silvestro (Piegaro); – chiesa di San Pantaleone (forse in Sarteano); – cappella di San Domenico; – chiesa di San Savino; – chiesa di San Giovanni di Guerneto; – chiesa di San Ilario (Argiano), con tutte le sue pertinenze; – corte delle Murelle, con tutte le sue pertinenze; – Le Pescaie nel porto di Casole (Chiane), nel piano di Lingallia (Chiane, nella vena di Arrone, forse Astrone, intorno al ponte della Chiana sotto Chiusi e al di sopra e al di sotto nell’Ulma e nel Volato, località nelle Chiane). 18 - La diocesi di Chiusi Il lungo elenco appena citato ci dà l’esatta dimensione della notevole estensione della diocesi chiusina nel 1191. Come ha osservato il Maroni riferendosi alle pievi nominate nella bolla di Celestino III, I Santi titolari di queste pievi, tutti venerati in età prelongobardica e l’ampiezza dei territori al centro dei quali furono edificate, ci stanno ad indicare che l’elenco riflette un’organizzazione ecclesiastica del territorio chiusino, che si è mantenuta sostanzialmente integra dal IV-V secolo quando le pievi vennero fondate fino al 119150. I.6. Tra Orvieto e Perugia. La creazione della diocesi di Cortona. Il dominio di Orvieto sul territorio di Chiusi condizionò, all’inizio del XIII secolo, anche le vicende della diocesi chiusina. Di Orvieto fu il vescovo Gualfredo I che però fu più favorevole alla politica imperiale che a quella papale e proprio per questo il papa Innocenzo III, nel 1215, lo rimosse dalla sede vescovile sostituendolo con un altro orvietano fedele alla fazione papale, il vescovo Ermanno di Simone della famiglia Monaldeschi51. Fu probabilmente durante l’episcopato di questi due vescovi orvietani che venne costruita a Chiusi la chiesa dei Santi Faustino e Beatrice, in quanto la devozione a San Faustino (martire romano con Simplicio e Beatrice) era diffusa anche in Orvieto dove esisteva una chiesa dedicata a questo santo52. La chiesa, ricordata dalle Decime del 1275-1276, fu soppressa nel 1683 ed oggi è usata come privata abitazione e si trova in Via Ascanio Dei, nella piazzetta che fino al 1901 era detta ancora di San Faustino53. Dopo gli orvietani fu la volta dei perugini Benedetto e Frigerio che si alternarono al governo della diocesi tra il 1238 e il 1254 essendo il primo favorevole ai perugini, il secondo fedele agli orvietani e alle truppe pontificie. La città, assediata dagli eserciti e dalla malaria, attraversò un periodo di grande decadenza e ne risentì anche il potere dei vescovi chiusini. Infatti, proprio sotto l’episcopato di Benedetto e Frigerio finì a Chiusi l’autorità temporale del vescovo-conte, iniziata solo cinquanta anni prima col diploma di Enrico VI (1196). Ad attuare il colpo di mano furono i ghibellini delle milizie di Federigo II54. La progressiva decadenza della città fece sì che si giungesse al primo smembramento della diocesi, per la creazione della diocesi di Cortona. All’epoca (1325) Chiusi non aveva neanche un vescovo, ma la diocesi era governata da un amministratore apostolico, il vescovo Leonardo di Catania. Al fine di creare la nuova diocesi di Cortona, furono smembrate da quella di Chiusi le parrocchie di Cerreto, Creta, Cignano, Fasciano, Gabbiano, Centoia, Ronzano, Frutticciola e forse Farneta55. I.7. Lo Scisma d’Occidente e l’antivescovo Ottone. Anche nella diocesi chiusina si fecero pesantemente sentire gli effetti del grande Scisma d’Occidente. Il papa Urbano VI aveva nominato vescovo di Chiusi Matteo III (1388), ma l’antipapa Clemente VII lo sostituì con l’antivescovo Oddone (Ottone). Questi morì nel 1389 mentre Matteo III si era già ritirato da quella assurda guerra d’incarichi. Ma lo scisma fece a Chiusi altre vittime. Dopo pochi anni, fu infatti la volta del vescovo Antonio Boccali a fare le spese della intricata situazione che in quel momento vedeva contemporaneamente in carica ben tre papi: Gregorio XII, Benedetto XIII e Alessandro V. Fu quest’ultimo a deporlo e a nominare come sostituto frate Elia da Siena (14 marzo 1410), il quale però non coprì mai di fatto tale incarico56. L’antipapa Alessandro V chiamò allora a sostituirlo Biagio Ermanno da Foligno (28 aprile 1410). In suo favore papa Martino V emanò una bolla-privilegio, il 2 febbraio 1418. La copia del documento doveva esistere, almeno fino al secolo XVIII, nell’Archivio Capitolo I. Vicende della diocesi - 19 della Curia Vescovile di Chiusi, ma oggi è scomparso. Don Giacomo Bersotti ne ha trovata una copia nell’Archivio Bandini di Sarteano, fatta nel Settecento dall’erudito e appassionato di storia locale Rev. Giovan Paolo Fraticelli, priore della chiesa di Santa Vittoria in Sarteano. La bolla di Martino V è una ripetizione integrale di quella di papa Celestino III al vescovo Teobaldo II del 1191, ripresa dalla bolla emanata il 7 aprile 1218 da papa Onorio III a favore del vescovo chiusino Gualfredo I. In essa viene riconfermata la giurisdizione del vescovo chiusino sulle pievi e chiese della diocesi57. I.8. Il declino della diocesi di Chiusi e la creazione delle diocesi di Pienza, Montalcino, Montepulciano e Città della Pieve. Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II. Veduta di Pienza (1777). Disegno a lapis dal “Viaggio nel Granducato di Toscana” del padre Francesco Antonio De Greyss, pittore miniaturista e domenicano priore del convento di S. Spirito di Siena (Collezione privata). Con Pietro Paolo Bertini (1418-1437) comincia un periodo di ulteriore decadenza della diocesi chiusina. Con lui inizia anche una lunga serie di vescovi senesi, provenienti dalle nobili famiglie della città cui Chiusi era assoggettata. Inizia inoltre la prassi dell’assegnazione dell’episcopato chiusino a prelati per i quali l’incarico era più un titolo onorifico che una missione pastorale. Il clima della città era reso malsano dai miasmi che si sprigionavano dalle paludi che ne coprivano gran parte del piano sottostante e, dunque, anche la permanenza nella sede vescovile non era gradita ai vescovi. Inoltre essi erano distratti dagli incarichi di rappresentanza che la Santa Sede spesso conferiva loro. Il Bertini elesse la sua residenza in Chianciano e il suo successore, Alessio Cesarei (1437-1460), a Chiusi non venne quasi mai. Tutto ciò provocò gravi contrasti tra la popolazione chiusina e i propri vescovi, visti come pastori che abbandonavano con troppa frequenza il proprio gregge. Il pientino Enea Silvio Piccolomini, divenuto papa Pio II, approfittò di questa situazione per creare le nuove diocesi di Pienza e Montalcino, il 13 agosto 1462. Visto che Alessio Cesarei era in contrasto con la gente di Chiusi, nel marzo del 1462 lo trasferì a Benevento sostituendolo con Giovanni Cinughi che di lì a poco fu dirottato proprio a Pienza. 20 - La diocesi di Chiusi Era il secondo smembramento della diocesi dopo quello del 1325 per la creazione della diocesi di Cortona. Le parrocchie smembrate da Chiusi e assegnate alla nuova diocesi di Pienza furono le seguenti: Tintinnano, Bagno Vignoni, Castiglion d’Orcia, Campiglia d’Orcia, Bagni San Filippo, San Piero in Campo, Castel Vecchio, Vignoni, Monticchiello, Fabbrica (Castelluccio della Foce), Contignano, Perignano. Furono anche assegnate alla nuova diocesi di Montalcino: Montenero, S. Angelo in Colle, Castel Nuovo dell’Abbate e S. Antimo, Seggiano, Ripa d’Orcia58. Altro smembramento la diocesi di Chiusi dovette subirlo un secolo dopo, nel 1561, quando venne creata quella di Montepulciano59. Furono trasferite a quest’ultima, secondo il Repetti, undici chiese parrocchiali: San Giovanni a Villanuova (Totonella), San Vincenzo a Castelnuovo, San Vittorino d’Acquaviva, San Pietro all’Abbadia dei Caggiolari, San Silvestro presso Borgo Vecchio sulla Chiana, S. Albino in Parcia, S. Ilario d’Argiano, San Lorenzo a Valiano, San Egidio a Gracciano Vecchio, S. Andrea di Cervognano e Santa Mustiola a Caggiole60. Ma non era ancora finita. Altre città che un tempo facevano parte del territorio chiusino erano cresciute d’importanza, mentre Chiusi a causa della sua situazione ambientale ma soprattutto per essersi schierata dalla parte della perdente Siena nella guerra contro Firenze, non poteva che accentuare il suo declino. Fu così che dovette perdere anche il cosiddetto Chiusi Perugino, che sin dall’antichità era stato sempre sotto la sua giurisdizione. Il vescovo chiusino Lodovico Martelli (1597-1601) fu uno dei maggiori artefici di quest’ultimo smembramento, iniziando a preparare il progetto sin dal tempo in cui (1587) non era ancora vescovo di Chiusi ma coadiutore del vescovo Masseo Bardi (1581-1597) anche lui assente per lunghissimi periodi dalla sua diocesi. Un documento inedito dell’anno 1587, che viene pubblicato nella pagina accanto, dimostra la stretta relazione esistente sin da allora tra Masseo Bardi e la famiglia Nella pagina a fianco: lettera autografa del vescovo Masseo Bardi, del 6 agosto 1587, con la quale dichiara di aver ricevuto il fitto del vescovado di Chiusi da Alessandra della Gherardesca, vedova di Francesco Martelli (Collezione privata). A destra: veduta di Montepulciano (1777). Disegno a lapis dal “Viaggio nel Granducato di Toscana” del padre Francesco Antonio De Greyss, pittore miniaturista e domenicano priore del convento di S. Spirito di Siena (Collezione privata). Capitolo I. Vicende della diocesi - 21 22 - La diocesi di Chiusi Veduta di Chiusi (1777). Disegno a lapis dal “Viaggio nel Granducato di Toscana” del padre Francesco Antonio De Greyss, pittore miniaturista e domenicano priore del convento di S. Spirito di Siena (Collezione privata). Martelli di Firenze, che aveva da lui ricevuto in affitto i beni del vescovado chiusino. Fu una lunga storia che lasciò l’amaro in bocca ai Chiusini, che per anni si opposero a quel disegno rivolgendo suppliche al Governatore dello Stato di Siena. Ma ormai tutto era deciso ed essi videro lo smembramento dalla loro antica diocesi di quel territorio ormai umbro, che in tempi più antichi era stato anche sotto la giurisdizione civile della loro città. Il Chiusi Perugino fu staccato così definitivamente anche dalla giurisdizione ecclesiastica chiusina, ultimo residuo del secolare dominio di Chiusi fino al lago Trasimeno. Con la bolla di papa Clemente VIII del 9 novembre 1601, con la quale fu creata la diocesi di Città della Pieve, furono smembrate dalla diocesi di Chiusi le seguenti pievi e chiese61: – Castel della Pieve, Collegiata dei SS. Gervasio e Protasio, con le chiese: della Fraternita di San Giovanni decollato, dei SS. Agata e Bernardo, di San Egidio, di San Lorenzo, della Fraternita di Santa Maria Maddalena, della Fraternita di San Sebastiano, della Fraternita di Santa Maria Novella, della Fraternita dei Bianchi, di Santa Lucia col monastero di Santa Chiara, dell’ospedale di San Giacomo, di Santa Caterina, della Fraternita del Santissimo Salvatore e S. Antonio, di San Pietro, di Santa Maria del Fior di Maggio, di Santa Maria fuori Porta, del Santissimo Nome di Gesù, di S. Andrea Apostolo, di San Benedetto; – Piegaro, pieve di San Silvestro con le chiese: di San Giovanni del monastero di Monte Capitolo I. Vicende della diocesi - 23 Erili, della Fraternita di San Sebastiano, del Buon Gesù, di Santa Croce unita all’abbazia di Fermo, dell’ospedale di San Giacomo, della Madonna; – Castel della Pieve suburbio: parrocchia di San Biagio; – Ravigliano: pieve di San Donato con le chiese di San Benedetto, della Fraternita di San Sebastiano; – Paciano, pieve di Santa Maria, con le chiese di Ospedale, Fraternita della Madonna, San Bartolomeo, Madonna della Stella, S. Andrea; – Castiglion del Lago, chiesa di San Benedetto; – Vaiano, chiesa con battistero di San Egidio; – Porto Filippo, chiesa senza Cura ma con battistero di San Michele Arcangelo; – Gioiella, chiesa curata di Santa Lucia e chiesa senza Cura di San Lorenzo; – Casamaggiore, chiesa curata della Madonna del Soccorso e chiesa della Madonna del Giglio dei Frati; – Petrignano, parrocchia di S. Ansano unita ai monaci olivetani con le chiese della Madonna Grande degli Olivetani di Perugia e della Madonna di Spinalbeto o dell’Acqua; – Laviano, parrocchia dei Santi Vito e Modesto; – Pozzuolo, parrocchia di San Pietro e chiesa della Fraternita del Corpus Domini; – Abbadia San Cristoforo in commenda al Rev.mo Piscatori, divenuta chiesa curata nel 1589; – San Fatucchio, parrocchia di San Felice con la chiesa di San Biagio; – Panicale, parrocchia del Santissimo Salvatore al Ceraseto e chiesa rurale di San Bartolomeo; – Panicale, parrocchia di S. Angelo con le chiese dell’ospedale di San Sebastiano e Fraternita, Madonna della Spera, Madonna della Sbarra; – Mongiovino, pieve di Santa Maria, pieve di San Martino con le chiese della Madonna di Mongiovino e della Madonna della Cerqua; – Tavernelle, chiesa dell’ospedale di Santa Maria; – Panicarola, chiesa curata dei Santi Giacomo e Filippo e cappella del Corpus Domini; – Montelera, chiesa curata di San Giorgio e chiesa di Santa Barbara; – Colle San Paolo, chiesa curata di San Pietro e Paolo unita ai canonici di San Lorenzo in Perugia; – Missiano, chiesa curata di San Pietro; – Monteleone, prioria dei Santi Pietro e Paolo con le chiese di Santa Maria delle Tane, Santi Rocco e Lazzaro, San Biagio, San Michele Arcangelo, oratorio della Santissima Annunziata, San Lorenzo, S. Antonio, Santa Maria Maddalena, Santa Maria del Balimpetto; – Santa Fiora sull’Amiata, pieve delle Sante Flora e Lucilla con le chiese del Corpus Domini, pieve vecchia di San Giovanni, San Biagio, rurale di San Rocco, Fraternita di San Michele Arcangelo, S. Agostino, Madonna della Piscina; – Trevinano, pieve di Santa Maria e chiesa senza cura di Santa Maria fuori le mura; – Camporsevoli, pieve di San Giovanni e chiesa curata di San Lazzaro alle Piazze; – Salci, parrocchia di San Leonardo. I.9. La riunificazione con la diocesi di Pienza. Per tutto il Seicento e buona parte del Settecento i rapporti tra la gente di Chiusi e i vescovi che tennero l’episcopato chiusino furono turbati dalla questione plurisecolare della residenza del vescovo. Ormai era consuetudine, oltre che necessità dovuta al rischio della malaria, che il vescovo risiedesse nel palazzo di Chianciano. La depressione economica della città di Chiusi, unita all’impoverimento demografico, rendevano certo difficile la vita per coloro che ancora abitavano entro le sue mura. L’assenza dell’unica autorità che potesse in qualche modo alleviare le pene materiali e spirituali fece più d’una volta assumere posizioni intransigenti nei confronti dei vescovi alla popolazione ed ai suoi rappresentanti. 24 - La diocesi di Chiusi Ne fecero in particolare le spese i vescovi Orazio Spannocchi (1609-1620), Ippolito Campioni (1637-1647) e soprattutto Antonio Marescotti (1664-1681), che arrivò persino a chiedere al papa di essere trasferito altrove, e Gaetano Maria Bargagli (1706-1729) che per un anno tentò di abitare a Chiusi ma presto si trasferì a Chianciano. Nell’ultima parte del secolo XVII avvenne la riunificazione tra le diocesi di Chiusi e Pienza. Fu una circostanza contingente a far prendere la decisione (1772) a papa Clemente XIV. L’allora vescovo di Pienza, Francesco Piccolomini, ebbe una controversia con la Reggenza lorenese perché si rifiutò di rispettare la tradizione di donare una somma di denaro in occasione delle nozze di Giuseppe II. La lite si concluse naturalmente a sfavore del vescovo, che nel 1764 fu anche fatto arrestare e bandire dalla Toscana dal granduca Francesco Stefano62. La diocesi di Pienza era vacante e il pontefice Clemente XIV, il 17 giugno 1772, l’assegnò al vescovo di Chiusi Giustino Bagnesi (1748-1774), riunificando così le due diocesi. Da allora il vescovo di Chiusi ebbe anche il titolo di vescovo di Pienza. Con lo stesso provvedimento del 17 giugno 1772 Clemente XIV ridisegnò i confini tra le diocesi di Siena, Montalcino, Pienza e Chiusi. Pienza cedette a Siena la parrocchia di Percenna e alcune case vicine a Buonconvento, e cedette a Montalcino Montegiovi, Campiglia d’Orcia, San Quirico d’Orcia, Vignoni con Bagni e Rocca d’Orcia. Chiusi cedette a Montalcino Monticello, Montelaterone, Castel del Piano e Arcidosso63. In pratica, dunque, vi fu un ulteriore smembramento della diocesi di Chiusi a favore soprattutto di Montalcino. I.10. I contrasti con la Reggenza lorenese. Lo stesso vescovo chiusino Giustino Bagnesi che nel 1772 vide la riunificazione nella sua persona delle diocesi di Chiusi e Pienza, era stato pochi anni prima protagonista di un altro episodio spiacevole nei confronti della Reggenza lorenese. I primi provvedimenti della Reggenza, in particolare la Costituzione sulle Manimorte del febbraio 1751, provocarono di certo il risentimento della parte del clero che vedeva messe in discussione alcune sue prerogative secolari. La resistenza al regime lorenese si fece più viva in alcune diocesi all’estremità del Granducato, situate al confine con lo Stato Pontificio. Cominciò così una serie di dispettucci e di ripicche verso il potere granducale in cui furono in particolare coinvolti, e ne fecero le spese, il vescovo chiusino Giustino Bagnesi e soprattutto, come abbiamo visto, l’ultimo vescovo pientino Francesco Piccolomini. La situazione in cui venne coinvolto Giustino Bagnesi ebbe origine da un fatto di per sé poco significativo. Un canonico di Arcidosso, tale Grifoni, nel 1753 fu trovato dalle guardie granducali mentre cacciava senza il permesso laicale; ne nacque un litigio durante il quale il canonico si ferì leggermente a un dito della mano64. Il vescovo Bagnesi scomunicò le guardie e, con una lettera circolare violentissima, intimò ai suoi canonici, sotto pena di scomunica, di munirsi esclusivamente della patente da lui rilasciata per il porto delle armi. Giulio Rucellai, politico granducale, scrisse al Bagnesi perché revocasse le scomuniche e ritirasse la lettera circolare, ma il vescovo gli rispose in malo modo. Ne nacque addirittura una questione tra la Reggenza e papa Benedetto XIV, cui venne comunicato che se il Bagnesi entro un mese non avesse chiesto scusa per il suo comportamento, sarebbe stato esiliato dalla Toscana e le rendite episcopali sequestrate. Benedetto XIV, al quale premeva che fossero ripristinati i tribunali del S. Offizio, inviò un nunzio a Radicofani per convincere il vescovo chiusino a desistere da quel comportamento. Giustino Bagnesi si assoggettò e scrisse una lettera di scuse a Francesco Stefano di Lorena, il 30 agosto 175365. Tuttavia l’umiliazione subìta gli fece assumere anche in seguito un atteggiamento ostruzionistico nei confronti del governo granducale. Capitolo I. Vicende della diocesi - 25 I.11. La riconciliazione col potere granducale. Frontespizio di un opuscolo del vescovo Giuseppe Pannilini. Ritratto del vescovo Giuseppe Pannilini in una incisione del XVIII secolo (Collezione privata). I rapporti col potere granducale cambiarono radicalmente quando divenne vescovo di Chiusi Giuseppe Pannilini (1775-1823)66. Non è escluso che la sua nomina venisse favorita proprio dalla necessità di inviare ad amministrare la diocesi di Chiusi e Pienza un vescovo che facesse dimenticare i negativi precedenti di Giustino Bagnesi e Francesco Piccolomini. Ma l’accelerazione impressa da Pietro Leopoldo alle sue riforme anche in campo religioso trovò proprio nel Pannilini uno dei puntelli più saldi. L’abolizione di molte istituzioni pie e di confraternite laicali, stabilita da provvedimenti granducali, ebbe nel vescovo di Chiusi e Pienza un fedele e puntuale esecutore. Ma il vescovo Pannilini andò più in là, aderendo al giansenismo toscano di cui fu a capo Scipione de’ Ricci vescovo di Pistoia e che ricevette le simpatie del granduca. Venne così a ribaltarsi la situazione che si era avuta solo pochi anni prima, e la dioce- 26 - La diocesi di Chiusi si di Chiusi divenne un punto di forza del potere granducale in campo ecclesiastico e fonte di polemiche con Roma. L’episcopato di Giuseppe Pannilini si contraddistinse tuttavia anche per l’impulso fornito alla rinascita economica della città di Chiusi. Infatti il vescovo, che nella propria mensa aveva molti terreni situati nel piano di Chiusi, partecipò attivamente a quell’opera di bonifica che, iniziata nell’ultimo ventennio del secolo XVIII, si protrasse poi per tutta la prima parte dell’Ottocento. Il risultato fu la scomparsa della malaria e la rinascita dell’agricoltura in tutta la zona. I.12. Le contraddizioni e i fermenti del XIX secolo. L’Ottocento fu un secolo pieno di contraddizioni, ma fu anche la fucìna della nostra civiltà. Nella prima parte del secolo XIX la vita della comunità religiosa di Chiusi, come di tante altre zone rurali della Toscana, era in parte caratterizzata da usi che si avvicinavano più alle credenze etrusco-romane, mediante superstizioni e venerazioni le più disparate, che alla semplicità della vita cristiana. Permanevano cioè tutte quelle credenze caratteristiche di un mondo contadino che, come abbiamo visto, erano state anche il più grande ostacolo ad una veloce e generale espansione del Cristianesimo. Ne è testimonianza curiosa, ma fedele, un librettino stampato a Montepulciano nel 1833 dal titolo I doveri civili dei Curati. Questi ultimi erano l’unità di base dell’organizzazione ecclesiastica, che in un territorio come quello chiusino, fiorente di una miriade di piccole comunità rurali, rappresentavano la volontà del vescovo nelle pievi appartenenti alla diocesi. Nel librettino citato troviamo scritto: In molte cure della stessa nostra Toscana sono tuttora in vigore non poche superstizioni popolari. Per non parlare delle streghe, le quali purtroppo esercitano la loro possanza sui teneri fanciulletti, esistono anche ai dì nostri i pranzi funerali, le prefiche trasformate in inferrajolati vecchioni che piangendo accompagnano alla chiesa i cadaveri, la credenza nell’uovo dell’Ascensione, e nel bagno di San Giovanni, ed altre simili pratiche, avanzi di gentilesimo, errori nati dall’ignoranza, dei quali non ha certamente bisogno la religione nostra purissima67. Di fronte a questo mondo contadino ancorato a tradizioni in parte ancora pagane, l’organizzazione ecclesiastica poneva il curato, Un uomo che i fanciulli si avvezzano ad amare a venerare a temere; un uomo che finalmente sa tutto, e che ha il diritto di dir tutto. Il curato ha dei rapporti amministrativi con il governo, colle autorità municipali, colla sua fabbrica. I suoi rapporti al governo sono semplici. Ei gli deve quello, che gli deve ogni altro cittadino, né più né meno: obbedienza nelle cose giuste. Ritirato nel suo umile presbiterio, all’ombra della sua chiesa, egli deve uscire assai raro. Gli è permesso di avere una vigna, un giardino, un pomario, qualche volta un piccolo campo da coltivarsi colle proprie mani68. Il curato, dunque, era anche un piccolo proprietario in un mondo in cui esserlo era un privilegio di pochi, perché la maggioranza dei contadini era formata di semplici pigionali, che venivano assunti a giornata per il lavoro nei campi. Questa posizione trovò anche i suoi assertori nel clero; tale fu ad esempio il canonico Ignazio Malenotti, pievano di Montauto, autore nel 1815 di una interessante pubblicazione intitolata Il Padrone Contadino. Il libro era dedicato in particolare proprio ai curati delle pievi della campagna toscana: Che è sempre un cattivo Ecclesiastico quello, che trascura la coltura dei beni della sua chiesa, e che il Parroco di poca scienza, ma agricola, ha ricavato sempre maggiori profitti anche nello spirituale, del parroco dotto, ma trascurato nell’agricoltura69. Proprio a causa di questo suo isolamento culturale il curato o pievano come dir si voglia, finì spesso con l’identificarsi con il suo gregge, giustificando chiusure al mondo che all’esterno stava rapidamente cambiando. Un esempio politico c’era stato alla fine del Settecento, proprio in Val di Chiana, con Capitolo I. Vicende della diocesi - 27 il movimento del Viva Maria70, ma la posizione conservatrice del mondo contadino ebbe a manifestarsi anche a metà del secolo XIX, quando la strada ferrata giunse in Val di Chiana. I contadini se la presero col vapore, reo a loro giudizio di provocare lo sviluppo della crittògama delle viti. I parroci, che in effetti vivevano in simbiosi con le popolazioni rurali, in più di una occasione si schierarono sulle stesse posizioni del loro gregge, e il vescovo di Chiusi dovette richiamarli più d’una volta alla ragione, indirizzando loro alcune pastorali (1853-1854) che volevano convincerli a non cadere in sciocche superstizioni71. Questo fu l’ambiente in cui prestarono la loro opera al comando della diocesi due importanti vescovi chiusini: Giacinto Pippi (1824-1839) e Giovan Battista Ciofi (1842-1870). Soprattutto quest’ultimo si trovò a gestire un periodo assai difficile, in cui le idee risorgimentali della borghesia fecero in qualche modo sentire il loro effetto anche in un territorio rurale come quello chiusino. Nonostante le sue benemerenze per l’opera prestata durante la terribile carestìa degli Ritratto del vescovo Giacinto Pippi in una incisione del XIX secolo (collezione privata). 28 - La diocesi di Chiusi anni 1853-1854 e per aver donato alla comunità di Chiusi la raccolta archeologica vescovile, Giovan Battista Ciofi dovette subire la sorte che tocca a chi ha la disgrazia di schierarsi dalla parte dei perdenti. La sua opposizione al passaggio di Garibaldi nel 184972 e forse ancor più una certa propaganda contraria all’annessione, in occasione del plebiscito del 1860, fecero sì che dopo la sua morte (1870) vi fosse quasi la parola d’ordine di dimenticarlo. Negli ultimi anni del secolo, la nascita del movimento socialista acuì i contrasti tra la sede vescovile e coloro che, propugnatori delle nuove ideologie, rammentavano ancora le contrapposizioni con i clericali seguite all’unità d’Italia e alla Questione Romana. Anche i cattolici si organizzarono per affrontare le questioni sociali e, sotto l’episcopato di Giovanni Bellucci, nel 1905, sorsero i Comitati Parrocchiali e il Comitato Diocesano dell’Azione Cattolica. I.13. Gli ultimi vescovi del XX secolo e la fusione con la diocesi di Montepulciano. Le croci sul Monte Amiata e sul Monte Cetona. Durante i due conflitti mondiali la diocesi chiusina fu centro di assistenza attivissimo nei confronti della popolazione. Nel corso e immediatamente dopo la prima guerra mondiale furono assistite le molte famiglie che avevano perso i loro cari, in un periodo di razionamenti di viveri e di grande indigenza. Poi vi fu il difficile rapporto col regime fascista, durante il quale tuttavia, sotto l’episcopato di Giuseppe Conti (1927) fu organizzato il Primo Congresso Eucaristico Diocesano. L’ultimo vescovo chiusino, Carlo Baldini, si trovò a vivere, all’inizio del suo episcopato (1941), uno dei periodi più difficili della storia di Chiusi, culminato con le gravi distruzioni del giugno 1944. Questo vescovo, indimenticabile per tutti coloro che ebbero la fortuna e la gioia di conoscerlo, riuscì a salvare dalla fucilazione tante persone della sua diocesi, recandosi ovunque a portare parole di pace e di conforto73. Nel dopoguerra egli fu l’animatore della vita religiosa della città e della diocesi di Chiusi e Pienza, che si accompagnò alla rinascita civile. La guerra aveva semidistrutto la cattedrale di Pienza e danneggiato quella di Chiusi. Il Baldini si mise all’opera con vigore e in pochi anni la ricostruzione fu completata. Per sua volontà furono erette le croci sul Monte Amiata (1945) e sul Monte Cetona (1969), simbolo della religiosità della diocesi. Con lui, ultimo vescovo della diocesi di Chiusi e Pienza, si chiuse nel modo migliore la lunga teoria degli oltre ottanta pastori che era iniziata circa diciassette secoli prima. Alla sua morte (1970), la Santa Sede nominò amministratore apostolico l’arcivescovo di Siena Mons. Mario Ismaele Castellano, che nominò a sua volta vescovo Capitolo I. Vicende della diocesi - 29 A sinistra: il vescovo Carlo Baldini insieme ad alcuni giovani sul Monte Amiata, in una foto del 1964. A destra: Il vescovo Carlo Baldini benedice il lago di Chiusi, in una foto dell’inizio degli anni Sessanta. ausiliare Mons. Renato Spallanzani che fece il suo ingresso nella cattedrale di Chiusi il 24 maggio 1970. Ma ci si avviava ormai alla definitiva soppressione della diocesi, secondo quel processo di accorpamento delle sedi vescovili che già il pontefice Paolo VI aveva prospettato sin dal giugno 1966 in un discorso all’episcopato italiano. L’eccessiva frammentazione delle diocesi in Italia consigliava di ridurne il numero, attraverso un processo di fusione che avvicinasse il rapporto vescovi/popolazione a quello di tanti altri paesi europei. La fusione fu preparata con grande anticipo, e molte sedi vescovili che avevano perso il loro pastore non ne ebbero nominato altro esclusivo, ma furono rette dal vescovo della città che poi sarebbe stata la sede della nuova diocesi. È stato così anche per Chiusi e Pienza, assegnate al vescovo di Montepulciano, Mons. Alberto Giglioli, prima di essere definitivamente fuse con la diocesi di Montepulciano. Il provvedimento di fusione, emanato il 30 settembre 1986, coinvolse 97 diocesi italiane. Nel complesso le diocesi in Italia passarono da 325 a 228. Nella provincia senese venne operata anche la fusione tra le diocesi di Siena, Colle Val d’Elsa e Montalcino. I fedeli di molte delle città interessate insorsero contro il provvedimento, ravvisando in esso un’offesa alla dignità storica di paesi e popolazioni che potevano vantare origini cristiane che si identificavano con i primi secoli della storia del Cristianesimo. Non mancarono gli eccessi e le proteste clamorose a Larino, a Monopoli, a Gallipoli, ad Alatri, a Gravina dove addirittura la popolazione murò le porte di accesso alle chiese parrocchiali. Anche a Chiusi non mancarono le proteste, che furono però misurate ed estremamente responsabili. Esse culminarono in un Ordine del Giorno approvato all’unanimità dal Consiglio Comunale di Chiusi il 3 novembre 1986, che fu inviato al cardinale Bernardin Gantin, Prefetto della Sacra Congregazione per i Vescovi e ad altre autorità religiose e civili. In esso si faceva cenno alla tradizione religiosa nel territorio chiusino, che ne attestava un’origine tra le più antiche dell’intera Toscana. Ai Chiusini rispose Mons. Lucas Moreira Neves, Segretario della Congregazione per i Vescovi, con una lettera del 29 novembre 1986. Il prelato giudicava il provvedimento come Dettato da fattiva adesione a precise indicazioni conciliari, da prudenza e determinazione pastorali, da indiscusso senso ecclesiale a beneficio, anche se non immediatamente percepibile, della Chiesa in Italia. 30 - La diocesi di Chiusi Il vescovo Alberto Giglioli. Mons. Moreira Neves precisava inoltre che non andava confuso il concetto di sede della diocesi con quello di residenza del vescovo. Come sede della diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza erano da intendersi le cattedrali delle tre città, che assumevano dunque il titolo di concattedrali. La residenza del vescovo, fissata a Montepulciano, era soltanto dovuta ad una scelta di opportunità e utilità pastorale. Lo stesso vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, Mons. Alberto Giglioli, in un articolo apparso su un giornale locale il 19 ottobre 1986 pose l’accento sull’evento religioso, invitando i fedeli a non farsi coinvolgere dal campanilismo esasperato, ma a rivolgere i propri sforzi alla risoluzione dei veri problemi della Chiesa: Nel Vangelo non trovo nessun motivo per cui i fedeli di Chiusi e Pienza debbano cadere in costernazione e quelli di Montepulciano debbano montarsi la testa. Se qualcuno nel suo inconscio si sentisse portato a leggere questo evento ecclesiale in chiave di acquistato o perduto domicilio, dimostrerebbe che la sua fede è rimasta allo stadio infantile (omissis) Il provvedimento della S. Sede non mira a sottomettere un capoluogo a un altro, ma a cementare le nostre comunità parrocchiali in una vera e più intensa comunione dell’unica chiesa locale e a sottometterci tutti insieme a Cristo e alle esigenze del bene comune. Le situazioni storiche non sono un assoluto e non lo sono neanche le strutture diocesane. In un domani più o meno lontano, tutto può essere rimesso in discussione. Perciò non è il caso di allarmarsi della riduzione numerica delle diocesi e farne un problema. Anche perché da noi la già realizzata unità pastorale nelle tre diocesi non lascia spazio a sostanziali mutamenti. Ben altri sono i problemi che fanno appello al nostro fraterno e responsabile impegno: la troppo scarsa evangelizzazione, la diffusione delle sette, le molteplici sfide del secolarismo, il disorientamento e l’emarginazione dei giovani74. Abbiamo voluto riportare le parole del vescovo Giglioli perché esse sono un invito alla riflessione ed a ricercare il bene comune. Eppure, giunti al termine di questo, speriamo, appassionante viaggio attraverso i secoli della storia religiosa del territorio chiusino, rimane una sensazione di amarezza, come se le ultime vicende avessero in qualche modo spezzato un filo. È vero, la Storia ha il suo corso e le città nascono, diventano vive e potenti per poi spesso decadere e qualche volta risorgere. Tuttavia ciò che in qualche maniera lascia perplessi è che Chiusi abbia visto la sua diocesi fusa a quella di Montepulciano proprio in uno dei momenti più interessanti della sua storia economica e sociale, oltreché religiosa. È innegabile, infatti, il suo costante sviluppo degli ultimi decenni nell’artigianato, nel commercio, nella piccola industria, come sono innegabili i fermenti religiosi sviluppatisi dall’inizio degli anni sessanta per mezzo dell’Azione Cattolica locale che è stata punto di riferimento anche per Montepulciano e Pienza. Queste considerazioni avrebbero potuto consigliare che la residenza del vescovo fosse fissata proprio nella città che può tra l’altro vantare una tra le chiese più antiche della Toscana. Ma probabilmente la scelta fatta ha risentito dell’esistenza in Montepulciano di alcuni centri di riferimento dell’aministrazione civile della zona. Tuttavia queste sono soltanto considerazioni marginali, che cadono proprio di fronte alla certezza che la storia della diocesi come della città di Chiusi, oltre ad avere un importante passato, hanno anche un solido presente e, crediamo, un fulgido futuro. Capitolo I. Vicende della diocesi - 31 NOTE Romains, III, Paris, 1907, pp.159-161. F. LIVERANI, Le Catacombe cit., p.110-114. 14 D. MANSI, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Firenze, 1757, II, p.436 segg.; M. LOPES PEGNA, op. cit., p.36. 15 A. MARONI, Prime comunità cristiane e strade romane nei territori di Arezzo, Siena e Chiusi, Siena, 1973, p.234: I baptisteria o pievi circoscrissero il proprio territorio su quello dei castella, dei pagi o dei vici e sorsero presso fattorie o praetoria di signori romani, presso templi di divinità pagane, i cui beni passarono ai nuovi edifici cristiani, per lo più lungo le vie di comunicazione; M. LOPES PEGNA, op. cit., p.36: È un fatto ormai accertato che la Chiesa cattolica modellò la propria organizzazione sulla costituzione amministrativa dell’Impero romano, fondando così il presupposto materiale ed etico dell’universalità. 16 A. MARONI, op. cit., p.231. 17 F. Liverani, Il Ducato e le antichità longobarde e saliche di Chiusi, Siena, 1875, p.63. 18 A. LAZZARINI, voce Orvieto in Enciclopedia Cattolica, ed. 1ª, Vaticano, vol. XII, col.1532; F. LIVERANi, Il Ducato cit.; A. SPICCIANI, I Farolfingi: Conti di Chiusi e Conti di Orvieto (secoli XI e XII), in Bullettino Senese di Storia Patria, 1985, p.12. 19 P.P. PIZZETTI, Antichità Toscane e in particolare della città e contea di Chiusi nei secoli di mezzo, libro II, Siena, 1781, pp.345346; A. CANESTRELLi, L’abbazia di S. Antimo, Siena, 1910-1912, pp.4-5. 20 Ibidem. 21 BRUNETTI, Codice Diplomatico Longobardo, II, p.283; Archivio Stato Siena, Diplomatico Amiatino, Regesto n° 35, ad a. 790; F. LIVERANI, Le Catacombe cit., p.271. 22 Intorno al 1463-1465 le pietre dell’antica chiesa di San Silvestro furono utilizzate per la costruzione di un torrione dietro l’abside della cattedrale di San Secondiano (A.C.C., Memorie, VIII (H) 99). 23 La sua probabile esistenza è basata sopra una vigna di San Fedele, ricordata nella carta amiatina dell’anno 765 (L. SCHIAPARELLI, Codice Diplomatico Longobardo, Roma, 1929, vol. II, 169). 24 G. VOLPINI, Storia del monastero di S. Salvatore e del paese di Abbadia S. Salvatore, pp.34-35; F. LIVERANI, Le Catacombe cit., p.225. 25 F. MOISÈ, Storia delle dominazioni straniere in Italia, vol. IV, Firenze, 1841, pp.214-215. 26 G. BERSOTTI, La chiesa e parrocchia arcipretale di S. Croce in Abbadia S. Salvatore, MS. presso Severino Mignoni, 1966, p.23. 27 MITTARELLI, Annales Camaldulenses; E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, voce Vivo d’Orcia, vol. V, Firenze, 1843. 28 I. CALABRESI, Indice alfabetico in Storia di Montepulciano di SPINELLO BENCI, ed. Vero13 1 M. LOPES PEGNA, Dalle lucumonie etrusche alle diocesi paleocristiane della Tuscia annonaria, Firenze, 1960, p.13. R. BIANCHI BANDINELLI, Clusium, in Monumenti Antichi dell’Accademia Nazionale dei Lincei, 1925, Vol. XXX, coll.213-214. 2 M. LOPES PEGNA, op. cit., p.33; R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze, Firenze, 1907, I, p.48 segg.. 3 Secondo A. FALCINI, Le origini del Cristianesimo nell’Etruria Romana, Firenze, 1952, p.46, La tradizione che vuol far risalire la predicazione del Vangelo e l’affermarsi del Cristianesimo in Chiusi al primo secolo, per opera dei santi Apollinare di Ravenna e Marziale di Limoges, discepoli di S. Pietro, non merita di essere presa in considerazione, essendo sorta dalle poco attendibili Passioni. Il Falcini,op. cit., p.60, propone le seguenti date per l’affermazione del Cristianesimo in Toscana: a Chiusi dalla metà alla fine del secolo II; a Firenze verso la fine del II secolo o l’inizio del III; a Pisa al principio del III; a Lucca tra la metà e la fine del III; ad Arezzo e a Siena tra la fine del III e l’inizio del IV secolo. 4 L. PARETI, Storia di Roma e del mondo romano, Torino, 1960, vol. V, p.503. 5 Ibidem, pp.503-505. 6 A. FALCINI, op. cit., p.53: In questi due cimiteri, dunque, dobbiamo vedere come due stadi del cristianesimo in Chiusi: il primo, rappresentato dal cimitero di S. Caterina, ci indica l’inizio dell’affermazione in Chiusi del cristianesimo negli ultimi anni del sec. II o, al più tardi, nei primi del secolo III; il secondo stadio, rappresentato dal cimitero di S. Mustiola, ci indica la comunità cristiana già organizzata sotto la giurisdizione del proprio Vescovo, verso la fine del sec. III.. 7 E. PACk, Clusium: Ritratto di una città romana attraverso l’epigrafia, in I Romani di Chiusi, Roma, 1988, p.60-62. 8 F. LIVERANi, Le Catacombe e le antichità cristiane di Chiusi, Siena, 1872, pp.56, 165, 166; E. BARNI-G. PAOLUCCI, Archeologia e Antiquaria a Chiusi nell’Ottocento, Firenze, 1985, p.32; E. BARNI, L’Istituto Archeologico Germanico e l’archeologia chiusina nelle lettere del canonico Antonio Mazzetti, Roma, 1988, p.37-38. 9 G. BERSOTTI, Feste e folclore nella storia e nelle tradizioni di Chiusi, Chiusi, 1982, p.11-12. 10 L.A. PAOLOZZi, in Novelle Letterarie, Firenze, 1759, p.297. 11 G. BERSOTTI, op. cit., p.11-12; C.I.L., XI, n°2549; G.B. DE ROSSi, Epigrafe di Giulia Asinia Felicissima, in Bollettino di Archeologia Cristiana, Serie III, Anno III (1878), pp.90, 95, 96. 12 DUFOURCQ, Etude sur les Gesta Martyrum na, 1969, pp.389-394; I. CALABRESI, Montepulciano e il suo territorio, in op. cit., pp.286-287; E. R EPETTI , op. cit., vol. I coll.132, 379 e vol. II col.473; P. GUIDI, Rationes Decimarum Italiae, Roma, 1932, vol. I n° 2779 p.126 e vol. II 2857-2850 p.169. 29 E. REPETTI, op. cit., vol. I col. 688; P. GUIDI, op. cit., vol. I n° 2768 p.124, vol. II n° 2846 p.169. 30 D. BANDINI, Regesto feudale di Sarteano, in Bullettino Senese di storia patria, LXXII (1965), docc. 5-6, p.18. 31 P. GUIDI, op. cit., vol. I n° 2702 p.121, vol. II n° 2741 p.162. 32 Ibidem, vol. I n° 2698 p.121; vol. II n° 2787 p.162. 33 Ibidem, vol. II n° 2724 p.162; 34 Ibidem, vol. I n° 2705 p.122, vol. II n° 2769 p.164. 35 Ibidem, vol. I n° 2755 p.124, vol. II n° 2730 p.162. 36 P. GUIDI, op. cit., vol. I n° 2706 p.122, vol. II n° 2771 p.164; G. BERSOTTI, Atti del Capitolo Generale dei monaci Guglielmiti dell’abbazia di S. Antimo del 6 luglio 1461, in Bullettino senese di storia patria, Siena, 1965. 37 D. BANDINI, op. cit., doc. 2 p.17. 38 Ibidem, doc. 7 p.18. 39 F. UGHELLi, Italia Sacra, vol. III col. 632; E. REPETTI, op. cit., vol. V col. 795; Archivio Stato Siena, Carta di S. Mustiola all’Arco in Siena, doc. 9. 40 P.F. KEHR, Regesta Pontificum RomanorumItalia Pontificia, Berlino, 1908, vol. III doc. 5 p.245. 4 Wadding, “Annales”, 1731, vol. I, p.118 segg.. 42 P.N. PAPINI, Etruria Francescana, vol. I, 1797; vol. II manoscritto, codice C.84 in Archivio Generale PP. Conventuali, Roma, p.1-2-XCV. 43 Ibidem, vol. II manoscritto. 44 Ibidem, vol. I. 45 Ibidem, vol. II manoscritto. 46 Sui Farolfingi, ved. A. SPICCIANI, op. cit.. 47 L. FUMI, Codice diplomatico della città d’Orvieto, Firenze, 1884, pp.45-46, n° LXV; A. SPICCIANI, op. cit., pp.40-41. 48 P.F. KEHR, op. cit., tomo III doc. 15 p.234; L.A. MURATORI, Antiquitates Italicae Medii Evii, Milano, 1742, tomo VI p.421; G. CAPPELLETTI, Le chiese d’Italia, vol. XVII, pp.58 segg.. 49 L.A. MURATORI, op. cit., tomo VI p.421; G. CAPPELLETTI, op. cit., vol. XVII p.587. 50 A. MARONI, op. cit., p.219. 51 G. BERSOTTI, Storia di Chiusi dall’età comunale alla 2ª guerra mondiale, Montepulciano, 1989, pp.20-23. 52 L. FUMI, op. cit., doc. 5 p.4. 53 A.C.C., Memorie, Serie IV, vol. VII f.359. 54 G. BERSOTTI, Storia di Chiusi cit., pp.25-30. 55 F. LIVERANI, Le Catacombe cit., p.238. 56 F. UGHELLI, op. cit., vol. III, col. 642. 57 Archivio Bandini, Sarteano, doc. in copia del secolo XVIII (pos. in Archivio vol. B fol. 119v). 32 - La diocesi di Chiusi 58 G. CAPPELLETTI, op. cit., vol. XVII, p.616 segg.. 59 G. CAPPELLETTI, op. cit., vol. XVII p.576600; F. LIVERANI, Le Catacombe cit., p.246330; F. UGHELLI, op. cit., vol. III, col. 1075. 60 E. REPETTI, op. cit., vol. III, 1839, p.485. 61 Con Città della Pieve, divenuta sede vescovile, la diocesi di Chiusi perse secondo il Liverani 15 tra terre e castelli (F. LIVERANI, Le Catacombe cit., p.246), mentre il Cappelletti osserva che furono 18 (G. CAPPELLETTI, op. cit., vol. XVII, pp.567-568). Il Canuti scrive che delle 33 parrocchie, con 86 tra chiese e cappelle, della nuova diocesi di Città della Pieve solo 17 furono staccate da Chiusi e le rimanenti da Perugia (F. CANUTI, Nella patria del Perugino, Città di Castello, 1926, p.195). Le visite pastorali, da quella del visitatore apostolico Mons. Della Rovere vescovo di Cagli del 1572 (A.C.V.C., Visite Pastorali, vol. I, parte 3ª p.1 segg.) a quelle del vescovo di Chiusi Mons. Pacini del 1574 (A.C.V.C., Visite Pastorali, vol. II, parte 2ª p.1 segg.), del 1575 (A.C.V.C., Visite Pastorali, vol. I parte 2ª p.30 segg.; vol. I, parte IV p.97 segg.), del 1577 (A.C.V.C., Visite Pastorali, vol. I parte IV p.1 segg.) e specialmente del 1582 (A.C.V.C., Visite Pastorali, vol. III parte 2ª p.5 segg.) e del vescovo Mons. Martelli del 1588 (A.C.V.C., Visite Pastorali, vol. III parte 3ª p.41 segg.), gli Atti della Curia del 1515-1520 (A.C.V.C., Acta Curiae, voll. A e B) e altre filze d’archivio ci mostrano che effettivamente furono smembrate dalla diocesi di Chiusi le pievi e le chiese che vengono qui indicate. 62 A. WANDRUSZKA, Pietro Leopoldo, un grande riformatore, Firenze, 1968, p.250. Ampie notizie sulla questione si trovano in A. ZOBI, Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848, 1850, tomo I, pp.389-398 e Appendice p.75. 63 A.C.V.C., Sezione A, filza 1, fasc. 1, ins. 2 ad a.. 64 A. ZOBI, op. cit., vol. I, pp.328-332. 65 Ibidem, Appendice, pp.59-61. 66 Ampie notizie su questo vescovo sono date da G. BERSOTTI, Storia di Chiusi cit., p.127-138. I doveri civili dei Curati, Montepulciano, 1833, p.16 nota 1. 68 IBIDEM, p.10-13. 69 I. MALENOTTI, Il Padrone contadino, Colle, 1815, p.V. 70 G. BERSOTTI, Storia di Chiusi cit., p.148-150; G.B. DEL CORTO, Storia della Val di Chiana, Arezzo, 1898, p.292; E.A. BRIGIDI, Giacobini e Realisti e il Viva Maria, Siena, 1882. 71 E. BARNI-F. LOTTARINI, Dalla bonifica alla ferrovia. Economia e società a Chiusi tra Settecento e Ottocento, Chiusi, 1998, p.121- 122; E. BARNI, La prima direttissima Firenze-Roma. La congiunzione tra l’Aretina e la Centrale Senese con il tratto Terontola-Chiusi, in L’Amministrazione Ferroviaria, maggio 1989, n° 5 p.48. 72 G. BERSOTTI, Storia di Chiusi cit., p.164-176. 73 Sulla sua figura, ved. P.L. M IGLIACCIO, Mons. Carlo Baldini, un pastore dei nostri tempi, Roma, 1972. 74 Da L’Araldo Poliziano, Montepulciano, del 19 ottobre 1986. 67