Angelo Celuzza
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pubblica in Italia, in «Discipline del libro», II (2000), n. 5 (settembre).
161
162
Lucia Lopriore
I Pignatelli in Capitanata
di Lucia Lopriore
1. Dalla Campania alla Puglia
Le famiglie nobili del Regno di Napoli, formate quasi tutte nel Medio Evo, si
sono affermate nella capitale distinguendosi nelle alte cariche amministrative loro
conferite durante la costituzione dei “Sedili” o “ Seggi”.
Questi ultimi, sin da tempi remoti, rappresentavano delle vere e proprie istituzioni politiche; il far parte dei “Seggi” era importante, in quanto la carica di Cavaliere di Seggio era la denominazione usuale del patriziato che risuonava accompagnata da ammirazione e riverenza.1
A Napoli i Seggi maggiori furono inizialmente due: quello del Nido e quello
di Capuana, dove fioriva maggiormente l’elemento cavalleresco e militare. Passati
successivamente a sei, nei quali erano incorporati ventitré minori, vi si aggiunse alla
fine del Quattrocento, quello di Popolo. I “Seggi” presero i nomi dal luogo delle
loro sedi distinguendosi in:
a) Capuana, presso la porta omonima che esso era tenuto a custodire;
b) Nido deformazione della voce originaria Nilo, aveva la sede presso la porta di Costantinopoli;
c) Forcella, dal luogo delle esecuzioni aveva per simbolo la lettera Y in campo
d’oro;
d) Montagna, nella via Capuana ne custodiva la porta;
e) Porto, trasferito nella prima metà del Settecento dalla strada omonima ad una
sede più prestigiosa, presso la chiesa dell’Ospedaletto, proteggeva la porta di Chiaia;
f) Portanova, detto anche Seggio di Porta di Mare, fu ricostruito per la seconda volta nel Settecento su disegno del Lucchesi.
Più tardi, durante il regno degli Angioini, i Seggi minori furono soppressi e
quello di Forcella fu incorporato in quello di Montagna; questo perché a Napoli,
ormai capitale, un sistema amministrativo così decentrato, attraverso Seggi e
Sottoseggi, era incompatibile con l’assolutismo regio.
Ai cinque “Seggi” dei Nobili fu aggiunto quello del Popolo, con sede in via
della Sellaria, addetto alla Porta di Mercato ed a quella della Marina: soppresso da
Alfonso d’Aragona, fu ripristinato da Carlo VIII.
1
Benedetto CROCE, I Seggi di Napoli, in «Napoli Nobilissima», Napoli, gennaio 1920, vol. 1, fase II.
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I Pignatelli in Capitanata
Gli “eletti” dei sedili nel proprio seno, uno per ogni “Seggio” e due per quello di Montagna formavano, insieme a quello del Popolo, la Magistratura del Tribunale di San Lorenzo che provvedeva all’amministrazione della città attraverso le
“deputazioni” paragonabili ad assessorati ante litteram.
Di tale organizzazione civica il vicereame minava alla base la forza fomentando rivalità non solo tra le classi, ma anche nel seno della stessa nobiltà. Avocando
a sé la facoltà di ascrivere ai “Seggi” sia il nuovo ceto in ascesa sia la nobiltà terriera,
desiderosa di equipararsi a quella cittadina, Filippo II favorì l’ostilità dei nobili di
“Seggio” verso i “regnicoli” e verso la nuova élite culturale. Ciò privò i “Sedili” di
quelle forze nuove più che mai necessarie contro la disgregatrice politica vicereale.
Con l’editto del 25 aprile 1800, i “Sedili” furono sciolti ed il Tribunale di S.
Lorenzo abolito: privata delle sue funzioni storiche, l’aristocrazia napoletana perse
quel rapporto con la città in nome del quale era riuscita tante volte ad evitarne il
disastro. Le sedi dei Sedili furono incorporate al demanio, ridotte in case e botteghe. La nobiltà era stata privata dei luoghi della sua identità culturale.
Per evitare il disperdersi nell’anonimato, si poteva tentare una riedificazione
all’incontrario del censo perduto mediante la trasmissione di quei valori: tradizione, memorie, religione e, soprattutto, consapevolezza del bene e del male, con i
quali confermare la propria identità.2
Tra le famiglie nobili napoletane giunte, per motivi commerciali, in terra di
Capitanata si ricorda quella dei Pignatelli.
Questa famiglia, secondo alcuni storici, ha origini longobarde e deriva dai
duchi di Benevento.
Trova il suo capostipite in Landolfo che, combattendo in Oriente per Re
Ruggiero, uscì dall’assalto del palazzo imperiale di Costantinopoli con tre vasi d’argento anneriti dal fumo infilzati nella picca. Ma l’episodio sembra inverosimile poiché si è verificato dopo il 1102.
Altri fanno risalire le origini della casata a Gisulfo, comandante di alcune
navi del re normanno, il quale avrebbe riportato una vittoria contro i Greci presso
Negroponte, lasciando sui nemici del materiale incandescente racchiuso in pignatte,
e da qui l’origine del cognome.
Con certezza si può affermare che nel 1102 un Lucio Pignatelli fu Contestabile
della Repubblica Napoletana, e che le diramazioni della famiglia Pignatelli sono
molto articolate; tuttavia nella loro complessità si individua un Riccardo, vivente
nel 1250 dal quale discese Tommaso, Governatore di Atri nel 1431, il quale ebbe tre
figli: Stefano, Carlo e Palamede.3
Da Stefano nascerà Cesare e da questi Alessandro, che generò i Signori di
Orta, nei pressi di Aversa e Turrito, nonché i marchesi di Casalnuovo ed i Principi
di Monteroduni, i duchi di San Marco, i conti di Melissa, i duchi di Tolve e di
Alliste.
2
3
Anna Maria SIENA CHIANESE, La Nobiltà Napoletana Oggi, Incontri, Napoli, Gallina, 1995, p. 12 e segg.
Nicola DELLA MONICA, Le grandi famiglie di Napoli, Roma, Newton & Compton, 1998, p. 285.
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Lucia Lopriore
Dal fratello di Alessandro, Giovanni Battista, discesero i principi di Strongoli
e dal fratello Annibale i duchi di Montecalvo.
Da Carlo, figlio di Tommaso, nacque Ettore, che originò i duchi di Monteleone e i conti di Borrello, il cui ramo si estinse nel 1664 con Geronima, che sposò il
cugino Fabrizio Pignatelli, marchese di Cerchiara e principe di Noja, trasmettendo
a quest’ultimo i suoi titoli.
Il titolo di duca di Monteleone fu riconosciuto nel 1851 ai maschi più prossimi, cioè ai marchesi di Casalnuovo.
Da Palamede, quartogenito di Tommaso, discese la linea dei principi Pignatelli
Aragona Cortés, duchi di Terranova principi di Noja, quella dei principi di Strongoli,
quella dei Pignatelli - Fuentes e quella dei principi di Cerchiara; fu inoltre progenitore dei marchesi di Spinazzola, principi di Minervino, principi di Moliterno e di
Marsiconovo, duchi di Bisaccia, marchesi di Lauro, conti di San Valentino, conti di
Montagano.
I Pignatelli furono Signori di Caserta dal 1269, e goderono di nobiltà in Sicilia e a Napoli dove furono ascritti ai Seggi del Nilo e di Capuana, nonché ad Aversa,
Benevento, Bari, Venezia, Roma ed in altre città.
Nel 1420 vestirono l’abito di Malta ed ottennero il Grandato di Spagna, l’Ordine del Toson d’Oro ed il titolo del S.R.I.
Nelle chiese napoletane restano tracce dell’edilizia funebre della famiglia: in
S. Domenico Maggiore, nel Duomo, nella chiesa della Trinità dei Pellegrini, dei SS.
Apostoli, come in chiese di Roma, Palermo, Bari.
Tra i feudi, quello di Castelvetere, Falciano, Ferrandino, Maddaloni, Macchia,
Santangelo, Monteroduni, Noja, Strongoli con i titoli di principi, duchi, marchesi e conti.
Fu imparentata con famiglie illustri quali gli Acquaviva, gli Aragona, i
d’Avalos, i Doria, i Filangieri, i Filomarino, i di Sangro, i di Somma, gli Spinelli, i
della Leonessa.
La casata vanta personaggi di rilievo quali il citato Lucio (1102); Rodolfo,
consigliere di Guglielmo il Normanno; Gualtiero, finanziatore di parte della crociata di Guglielmo il Buono; Giovanni, maestro dei Cavalieri Templari; Bartolomeo,
prima militante per l’imperatore Corrado e dedicatosi poi alla Chiesa, Arcivescovo
di Cosenza. Inviato del Papa in Francia quale Ambasciatore a Carlo d’Angiò, egli
stesso lo accompagnò a Napoli, dove un altro Pignatelli, Pietro, ne offrì le chiavi e
prestò, in rappresentanza della città, il giuramento di fedeltà al nuovo sovrano.
Molti dei Pignatrelli si distinsero in campo militare, come Angelo che fu
Capitano di Carlo III di Durazzo e che fatto prigioniero nella battaglia di Benevento,
si guadagnò la stima del d’Angiò per la sua fedeltà alla causa.
Marino fu familiare di Re Ladislao, governatore in Basilicata e Maestro Razionale della Gran Corte della Vicaria. Antonio, nel 1450, restaurò la chiesa di S.
Maria de’ Pignatelli, dove ebbe sede il Seggio del Nilo.
Giacomo fu Capitano, Giustiziere di Basilicata e Ambasciatore in Turchia
per Federico d’Aragona. Fu inoltre tra i rappresentanti della città nel giuramento di
obbedienza a Ferdinando il Cattolico.
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I Pignatelli in Capitanata
Ettore Pignatelli comprò la terra di Monteleone sulla quale ottenne dal re
Ferdinando il Cattolico, per i suoi servigi, il titolo di conte; combattendo valorosamente contro i francesi che avevano occupato il Regno di Napoli, fu catturato dal
visconte di Lautrec che lo inviò prigioniero in Francia. Si narra che a Parigi avesse
ricevuto la visita di San Francesco di Paola, che si trovava lì per assistere il Re Luigi
XII che era infermo. Il santo si adoperò per farlo liberare e gli predisse quanto poi
avvenne, cioè che una volta tornato a Napoli, l’imperatore Carlo V l’avrebbe nominato viceré dal 1516 al 1535 e capitano generale in Sicilia conferendogli il titolo di
Duca di Monteleone.
Ettore fu anche Ambasciatore in Spagna nelle trattative per il matrimonio tra
il primogenito di Federico d’Aragona e la figlia di Ferdinando il Cattolico.
Riportata la calma nella Sicilia agitata dai tumulti, Ettore fondò a Palermo
due conventi, uno di monache ed uno di frati dell’Ordine di S. Francesco di Paola.
Istituì, inoltre, una compagnia di Cavalieri per l’assistenza degli infermi dell’Ospedale di S. Bartolomeo ed un convento di domenicani in Rosarno, nonché in
Monteleone un monastero di francescani cui donò dodici statue di alabastro raffiguranti i dodici apostoli e due campane in bronzo prese a Rodi. Oltre al ducato di
Monteleone, ebbe il titolo di Grande di Spagna e di Cavaliere del Toson d’Oro.
Fabrizio, morto nel 1577, Priore di Sant’Eufemia dell’Ordine gerosolimitano,
luogotenente e vice reggente di tutti i Priorati del Regno, combatté contro i francesi
nel 1528 e liberò dai Turchi la Calabria.
Nel 1562 fu inviato dal viceré duca d’Alcalà contro le scorrerie dei briganti,
dei quali in breve tempo sgominò la ramificata organizzazione. A Napoli fondò un
ospedale per i pellegrini di passaggio nella città, con relativa chiesa, nel luogo “dove
era sita una sua casa di delizie con un giardino” il luogo era chiamato Biancomangiare
e si estendeva fino al largo Mercatello, tra la piazza del Gesù e quella della Pignasecca.
Il nipote Camillo, duca di Monteleone, ingrandì l’Ospedale e l’affidò alle
cure di una congrega detta dei Pellegrini.
Ancora un Ettore, duca di Monteleone (1572-1622), Gran Contestabile e
Grande Ammiraglio del Regno di Sicilia, Grande di Spagna e Cavaliere del Toson
d’Oro, Viceré di Barcellona, contribuì a cacciare i Mori da Valenza (1609). Per le
sue pregiate opere fu definito “l’Occulto Accademico” e fu chiamato consanguineo
di Filippo III di Spagna. Fu, inoltre, aio della figlia del Re, Anna d’Austria, che
accompagnò sposa in Francia a Luigi XIII.
Giulio Pignatelli si dedicò ad opere caritatevoli ed assistenziali e fondò a
Terranova un convento di Frati di S. Francesco ed a Cerchiara un Albergo di Pellegrini.
Fabrizio, quinto duca di Monteleone, marito di Geronima, fu Grande di Spagna, fu insignito di molti altri titoli e fu inoltre chiamato consanguineo da Filippo IV.
Nella rivolta di Masaniello fu tra quelli che protrassero la Corona armando a
proprie spese i suoi soldati.
Nel 1654 fu nominato da Filippo IV Viceré e Capitano generale di Aragona.
Ettore, sesto duca di Monteleone e principe del S.R.I. sposò Giovanna, erede
166
Lucia Lopriore
della famiglia Tagliavia Aragona Cortés; nei Capitoli Matrimoniali è stabilita la trasmissione dei cognomi materni ai figli. Titolare dei propri e di tutti i feudi della
famiglia Tagliavia, Ettore fu uno dei Signori d’Italia più potenti del tempo.
Antonio (1615-1700), figlio di Francesco e di Porzia Carafa, divenne Papa
con il nome di Innocenzo XII (1691). La sua Bolla contro il nepotismo fu rivolta a
migliorare le condizioni del popolo. Per evitare l’accattonaggio per le vie di Roma,
egli creò per i poveri della città dei posti di lavoro in Vaticano.
Michele fu Vescovo di Lecce, vi istituì un Seminario e fondò nel 1694, la
Congregazione dei Chierici Regolari.
Ferdinando (1689-1767), del ramo Aragona Cortés, Cavaliere del Toson
d’Oro, combatté con Eugenio di Savoia contro i Turchi nelle guerre di successione
in Ungheria.
Francesco, duca della Rocca, fu nominato Grande di Spagna da Carlo VI; un
altro Francesco fu Arcivescovo di Taranto, Cardinale ed Arcivescovo di Napoli e
morì in odore di santità nel 1734.
Figura tra i membri della famiglia San Giuseppe Pignatelli, nato a Saragozza,
gesuita (1737-1811), sepolto a Roma nella chiesa del Gesù; fu santificato nel 1954
da Pio XII.
Muzio, citato dal Tasso in diverse opere, fu insigne astrologo, teologo, matematico, architetto e poeta.
Ancora un Francesco, principe di Strongoli (1734-1812), aiutante di campo e
vicario di Ferdinando IV a Napoli durante le vicende della Repubblica Partenopea,
fu Viceré Generale del Regno e Presidente della Suprema Giunta di guerra fino alla
venuta dei francesi, per seguire poi il Re in Sicilia.
Diversamente da lui, i suoi quattro nipoti furono a fianco dei repubblicani
nella rivoluzione del ’99: Mario (1773-1799) e Ferdinando (1769-1799), già simpatizzanti dell’idea giacobina e costretti alla fuga per la scoperta di una congiura, tornati con le truppe francesi affiancarono i rivoluzionari, pagando entrambi con la
vita.
Francesco (1775-1853) riuscì a fuggire prima della resa della Repubblica;
combatté con Gioacchino Murat contro gli inglesi, partecipò ai moti del 1820-21 e
scrisse, tra l’altro, una pregevole opera dal titolo: Memoria del Regno di Napoli dal
1790 al 1815.
Vincenzo (1777-1837) fu anch’egli esule al ritorno dei Borbone a Napoli e
partecipò ai moti del 1820-21.
Girolamo, principe di Moliterno, armò due reggimenti di Cavalleria contro i
francesi, suscitando l’ammirazione dello stesso Bonaparte.
Antonio, principe di Belmonte, Capitano delle guardie del corpo di Carlo di
Borbone e poi Tenente Generale di Ferdinando IV, Presidente della Regia Accademia delle Scienze e Consigliere di Stato, inviato a Parigi nel 1796 per concludere il
trattato di pace tra la Francia ed il Regno di Napoli, seguì la corte in Sicilia nel 1799,
e fu insignito dell’Ordine di S. Ferdinando e del Merito.
Come narra la storia, i Pignatelli si divisero nella vicenda della Repubblica
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I Pignatelli in Capitanata
Napoletana tra le due parti avverse: Diego, eletto della città nel 1799, si affiancò ai
liberali e solo per l’intercessione del Papa non subì la condanna a morte.
Nel 1806 tornò a Napoli e fu inviato quale ambasciatore a Napoleone da
parte di Giuseppe Bonaparte.
Giuseppe, marchese di Castelnuovo, fu Gentiluomo di Camera con esercizio
di Ferdinando II, sindaco di Napoli e Soprintendente ai reali Educandati.
Tracce che la famiglia ha lasciato sono riscontrabili non solo attraverso le
bellissime opere funerarie, ma anche attraverso le costruzioni: tra le più importanti
si ricordano la chiesa di S. Maria Assunta de’ Pignatelli, situata nel largo della
Piazzetta del Nilo, fu fatta edificare nel Quattrocento da Cesare Pignatelli, Signore
di Orta e Turitto su progetto dell’architetto Andrea Ciccione e fu completata da
Giovanni Merliano da Nola, autore anche del bellissimo sepolcro di Carlo Pignatelli,
posto a destra dell’altare maggiore; la chiesa fu restaurata nel 1736 ed arricchita di
stucchi ed altari barocchi.4 Oggi si presenta in condizioni molto fatiscenti ed è chiusa
al culto.
“Carogioiello” e “Biancomangiare” erano i nomi di due ampi giardini della
Napoli antica; il primo era rinomato nel Seicento perché prima di ogni altro giardino, dava grossi e saporiti fichi. Oggi lo spazio residuo di questo giardino si estende
alle spalle della chiesa di Monteoliveto.
“Biancomangiare”, nella parte centrale si estendeva dove ora c’è piazza Sette
Settembre, un tempo detta largo dello Spirito Santo, dove si affacciava la basilica
che vide incoronato re Gioacchino Murat nel 1808.
Questo giardino delle delizie apparteneva ai Colonna ai quali fu espropriato
per far spazio alla costruzione di via Toledo voluta dal Viceré don Pedro Alvaréz de
Toledo (1532-1553), il quale disponendo l’ampliamento delle mura cittadine, fece
rientrare nel perimetro della città il giardino.
La parte del giardino più prossima al palazzo Pignatelli di Monteleone fu
anch’essa spianata per far spazio alla strada Rivera, l’attuale via Sant’Anna dei
Lombardi con la via del Monteoliveto, così chiamata per volere del viceré Perafàn
de Ribera duca d’Alcalà (1558-1571).
Come già accennato, una piazzetta ed un vico del rione Pignasecca sono dedicati a Fabrizio Pignatelli che nel secolo XVI, proprio sull’area del giardino
Biancomangiare fondò lo “Spedale dei Pellegrini” con annessa la chiesa intitolata a
Santa Maria Mater Domini, dove oggi si trova il suo busto eseguito dallo scultore
Michelangelo Naccherino.
Nella strada della Trinità Maggiore, accanto all’ottocentesco Palazzo Sanfelice
di Monforte, vi è quello che appartenne ai Pignatelli di Monteleone, il cui nome è
ricordato nel Vico Monteleone che lo fiancheggia; la vicenda della costruzione di
questo palazzo è legata al capriccio di una dama.
4
Luigi CATALANI - Francesco Savoja DI CANGIANO, Palazzi, chiese e castelli di Napoli, Napoli, Lito-Rama
Editori, 1995, p. 114.
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Lucia Lopriore
Nel Seicento, in questa zona compresa tra Monteoliveto, il Gesù e lo Spirito
Santo, vi era il grande palazzo del Marchese d’Avalos, il cui rigoglioso orto era
chiamato Carogioiello, divenuto in seguito, Palazzo Carafa di Maddaloni.
Questo edificio affacciava su quattro lati, come oggi, dei quali quello migliore, guardava verso il mare ed era a sud-ovest. Il marchese del Vasto preferì allestire
il suo appartamento privato di fronte al lato ovest, dove aveva la veduta sul giardino
chiamato Paradiso, appartenente a donna Girolama Colonna, duchessa di Monteleone perché vedova di un Pignatelli.
Tutto ciò fece insorgere nella dama un acceso risentimento; ella non poteva
tollerare che occhi indiscreti la osservassero. Così, per gelosia o per ripicca, fece
costruire il palazzo che è situato sul lato destro di via Sant’Anna dei Lombardi.
Molti anni più tardi, le case sorte sul giardino Paradiso furono inglobate in
una costruzione a pianta irregolare voluta dal duca Nicola Pignatelli nel 1718 e
progettata dall’architetto Ferdinando Sanfelice.
Il palazzo presenta un magnifico portale in piperno e travertino, i cui capitelli sono formati con mascheroni di marmo bianco che con le orecchie di satiro formano le volute.
Al primo piano della Galleria, distrutta in seguito da un incendio, il duca fece
dipingere da Paolo De Matteis le scene più importanti dell’Eneide di Virgilio e della
Gerusalemme Liberata del Tasso.
Nel 1760 il palazzo ospitò il celebre avventuriero veneziano Giacomo Casanova, presentato a Don Fabrizio Pignatelli di Monteleone dal suo amico Carlo
Carafa.
Tra il 1823 ed il 1832 il palazzo passò dal Pignatelli di Monteleone al francese
Renato Ilario Degas, fuggito dalla Francia rivoluzionaria e rifugiatosi a Napoli come
agente di cambio; qui accrebbe le sue fortune divenendo banchiere ed imparentandosi con le grandi famiglie del Regno.
Tuttavia il maggiore ricordo della famiglia Pignatelli è senza dubbio la villa
neoclassica della Riviera di Chiaia, ora museo statale.
Fu costruita alla fine del Settecento da un nipote del ministro Acton, sui giardini del vicino palazzo dei Carafa di Belvedere su progetto dell’architetto luganese
Pietro Bianchi.
I lavori avanzarono con lentezza fino a quando l’architetto toscano Guglielmo
Bechi non portò a compimento l’opera. Attualmente il portico ed i due corpi avanzati sulla strada gli conferiscono una peculiarità che la distingue dalle altre costruzioni.
Pochi anni dopo, la villa fu acquistata dal ricco barone Adolfo Rothschild di
Francoforte.
Il grande finanziere ebbe qui casa ed ufficio, dominando il mercato degli olii;
ma verso la metà dell’Ottocento il barone dovette subire la concorrenza dei
Pavoncelli e insidiato anche nell’alta finanza dai banchieri Arlotta e Minasi preferì
lasciare Napoli.
Alla fine dell’Ottocento la villa fu acquistata dai Pignatelli di Monteleone e
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I Pignatelli in Capitanata
donna Rosa Fici (1869-1955), moglie di Diego Pignatelli Aragone Cortés, le diede
nuovo splendore, curando anche l’Archivio di Casa Pignatelli,5 importante perché
interessa anche le Americhe per la discendenza con Ernand Cortés.
Rimasta vedova, donna Rosa, con testamento pubblico del 10 dicembre 1952,
legò allo Stato la sua quota di proprietà e sua figlia Anna Maria, che abitava a Roma,
rinunciò anch’ella dopo pochi mesi alla sua quota ereditaria in favore dello Stato a
cui donò anche alcune statue di marmo ed importanti pezzi di argenteria. La donazione ha vincolato la villa alla destinazione d’uso museale.
Oggi, il ramo di Monteroduni, derivante da Stefano (sec. XIV) aggiunge al
proprio cognome della Leonessa, importante famiglia di origine gotica ascritta al
Seggio di Capuana, e trova il suo discendente nel principe Giovanni Pignatelli della
Leonessa nato nel 1920.
Del ramo Aragona Cortés dei duchi di Terranova, discendente di Palamede,
(sec. XIV) è vivente Don Salvatore Pignatelli Aragona Cortés, nato nel 1945, avvocato, figlio di Don Giuseppe Principe del S.R.I.6
Sempre della linea dei duchi di Terranova esistono altri due rami: il primo
rappresentato dal Principe Nicola Tagliavia Aragona Pignatelli Cortés, nato nel
1923, ed il secondo ramo, siciliano, è rappresentato dal Principe Mario Pignatelli
Aragona Cortés, nato nel 1943.
La linea di Montecalvo è rappresentata dal duca Paolo Pignatelli nato a
Washington nel 1949.
La linea primogenita di Strongoli prosegue nella famiglia Ferrara Pignatelli,
il cui primogenito è Vincenzo nato nel 1913.
La linea dei Fuentes è estinta e quella di Cerchiara ha oggi quale rappresentante il Principe Andrea Pignatelli di Cerchiara nato a Roma nel 1918.7
ARMA: di Oro con tre pignatte nere disposte due sopra ed una sotto.
MOTTO: Feliciorem.
Lo scudo è coperto da mantello e corona di Principe.
5
Attualmente custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli, nel fondo: Archivi Privati.
SIENA CHIANESE, La nobiltà Napoletana…, cit., p. 291 e segg.
7
DELLA MONICA, Le grandi famiglie di Napoli…, cit., pp. 290-291.
6
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Lucia Lopriore
Stemma della famiglia Pignatelli
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I Pignatelli in Capitanata
2. Genealogia della famiglia Pignatelli 8
8
Carlo DE LELLIS, Discorso delle Famiglie Nobili del Regno di Napoli, Bologna, Forni, 1968, rist. anast.
del 1654, vol. II, pag. 88 et passim.
9
Ibid., Cavaliere Longobardo disceso dai duchi di Benevento, altre fonti fanno
risalire le origini della famiglia a Gisolfo.
10
Ibid., fu Contestabile della Repubblica Napoletana nel 1102.
11
Ibid., di questi non si conosce la paternità.
12
Ibid., Cameriere e familiare della Regina Giovanna.
13
Iibid., Signora di Gerentia.
14
Ibid., diventa Abate.
15
Ibid., succede al fratello Hettorre il quale non ha prole.
16
Ibid., 1° Marchese di Casalnuovo e Signore della Tufara.
17
Ibid., di Giovanni duca di Caivano.
18
Ibid., 2° Marchese di Casalnuovo, non ebbe prole.
19
Ibid., 3° Marchese di Casalnuovo.
172
Lucia Lopriore
20
Ibid., di Ferdinando Conte di Misciagna ed Anna Pignatelli.
Ibid., Luogotenente della R. C. fu Signore di Matrignano.
22
Ibid., Luogotenente nell’Ufficio di Ettore Pignatelli.
23
Ibid., di Roberto, Marchese di Oira e Lucrezia Cicara.
24
Ibid., morto nel 1578 senza prole, lasciò i suoi beni all’Ospedale della SS. Annunziata di Napoli.
25
Ibid., di Giacomo Marchese di Lavello e Lucrezia della Tolfa.
26
Ibid., di Giovanni Michele e Rebecca d’Azzia March. Della Terza.
27
Ibid., fu decorato del titolo di Marchese di S. Marco che in seguito trasmise al nipote Cesare.
28
Ibid., di Luigi Conte di Montagano e Romonditta Palagna.
29
Ibid., fu sacerdote.
30
Ibid., di Giovanni Battista Duca di Montecalvo.
31
Ibid., di Sigismondo e Felicia Carafa.
32
Ibid., di Ottavio e Delia Carafa.
33
Ibid., Capitano della Fiandra.
34
Ibid., Duca di Allisto, Signore di Fellino, Signore della Tufara.
35
Ibid., di Ferdinando Conte di Misagna e Camilla Acquaviva dei duchi di Nardò.
21
173
I Pignatelli in Capitanata
36
Ibid., di Sigismondo e Felicia Carafa.
Ibid., ebbe una figlia femmina che sposò il Marchese di Alfedena.
38
Iibid., Principessa di Strongoli e Contessa di Melissa.
39
Ibid., Monaca nel monastero Regina Coeli di Napoli.
40
Ibid., sposò Giovanni Battista Pignatelli.
41
Ibid., di Sigismondo e Felicia Carafa.
42
Ibid., di Lutio Signore di S. Vito, della Torre S. Susanna, d’Acquarica e Lucrezia di Loffredo.
43
Ibid., di Marcantonio Signore di Limatola ed Isabella Colonna Pr. Di Palestrina, di Alessandro e Margherita
Acquaviva Aragona.
44
Ibid., nato dopo la morte del padre.
45
Ibid., non ebbe prole.
46
Ibid., Baronessa di Fegnano, Malvito, Petrapiccola e Svosi.
47
Ibid., di Girolamo e Giovanna Campitelli.
48
Ibid., di Cesare ed Antonella Palalonga.
49
Ibid., Chierico con il nome di Paolo, m. il 24/08/1600.
50
Ibid., figlia di Federico Signore di Capineto e di Isabella Caracciolo, 2° moglie del padre.
51
Ibid., Barone di Capineto.
52
Ibid., di Fabrizio.
53
Ibid., nel 1603 fu decorato da Re Filippo III Cavaliere di S. Giacomo e Marchese di Palletta.
37
174
Lucia Lopriore
54
Ibid., di Giovanni Vincenzo e Giovanna Carafa Marchesa di Oriulo.
Ibid., Marchese di Palletta.
56
Ibid., Abate.
57
Ibid., di Paolo duca di Montecalvo e Laura Pignatelli.
58
Iibid., nato dopo la morte del padre.
59
Ibid., di Annibale e Lucrezia Carbone.
60
Ibid., di Marcantonio e Camilla Accorciamuro, fu Signore di Tosillo.
61
Ibid., eredita i titoli del padre e dopo la morte della moglie diventa cappuccino.
62
Ibid., non avendo contratto matrimonio lasciò la Signoria di Torsillo al nipote Francesco Lombardi figlio di Giovanna.
63
Oppure Girolama.
64
Ibid., sorella di Ippolita.
65
Ibid., la coppia non ebbe prole.
66
Ibid., di Marcantonio e Camilla Accorciamuro.
67
Ibid., dei Signori di Montebello, Pietroferrazzano, Vasto e Meroli.
68
Ibid., non si conosce il nome della prima moglie.
69
Ibid., di Conti di Gambatesa.
55
175
I Pignatelli in Capitanata
70
Ibid., di Tommaso e Cicella Filomarino, 1° Duca di Monteleone nel 1456, morto nel 1476.
Ibid., sposò Giacomo Filangieri dai quali discesero i Signori del Seggio del Nilo.
72
Ibid., sposò Giovanni Battista Brancaccio.
73
Ibid., sposò Tommaso Guidazzo.
74
Ibid., sposò Onorato Antonio d’Aragona, ereditò i Feudi di Motula, Cerigliano ecc. che lasciò al fratello Ettore.
75
Ibid., di Sansone e Costanza di Capua.
76
Ibid., 1° Conte di Borrello.
77
Ibid., 2° duca di Monteleone, 2° Conte di Borrello, per trasmissione del titolo dal fratello Fabrizio,
Signore di Trentola, Giugliano, Aversa, nel 1545 fu Scrivano di Ratione.
78
Ibid., 2° Conte di Borrello.
79
Ibid., 4° Conte di Borrello, 3° Duca di Monteleone, Signore di Caronia.
80
Ibid., sposò Pietro Borgia di Squillace.
81
Ibid., sposò Giovanni Battista Spinelli Principe di Scalea.
82
Ibid., di Ascanio duca di Palliano e Tagliacozzo e Giovanna d’Aragona.
83
Ibid., 5° Conte di Borrello e 4° duca di Monteleone.
84
Ibid., sposa in prime nozze Carlo Tagliavia Aragona, duca di Terranova, ed in seconde Don Pedro
Alvaréz de Toledo.
85
Ibid., di Carlo Conte di S. Angelo ed Anna di Mendozza, con il matrimonio acquisì i
Feudi di S. Angelo dei L., Nusco ed altre due terre nel tenimento di Cerignola.
86
Ibid., ereditò il Feudo di Cerignola alla morte del padre, sposò Fabrizio Pignatelli, Marchese di
Cerchiara e Principe di Noja, cit. p. 145.
87
Ibid., di Tommaso e Cicella Filomarino, da questi discesero i Marchesi di Cerchiara.
88
Ibid., di Simone.
71
176
Lucia Lopriore
* * **
Ettore 106
Giulio107
Francesco108
89
Carlo109
Antonio
Zenobia Caterina
Ibid., entrò a far parte dei Chierici Regolari.
Ibid., di Gorone Signore di Monterone e Delfina di Loffredo.
91
Ibid., la coppia non ebbe prole.
92
Ibid., dal matrimonio non nacquero figli.
93
Ibid., di Palammede e Restituita Cacciotta.
94
Ibid., oppure Coscia, di Pietro Signore di Procida e Maria Caracciolo.
95
Ibid., nel 1556 fu decorato del titolo di 1° Marchese di Cerchiara da Re Filippo, morì il 23/02/1567.
96
Ibid., 2° Marchese di Cerchiara.
97
Ibid., di Troiano Pr. di Scalea.
98
Ibid., 3° Marchese di Cerchiara.
99
Ibid., nato dopo la morte del padre.
100
Ibid., di Giovanni Francesco 1° Principe di S. Severo ed Adriana Carafa.
101
Ibid., 4° MarchesediCerchiarae2° Pr.diNoja,acquistòdallaR.C.iFeudidiMontecorvinoeBisignanoededificòS.Lorenzo.
102
Ibid., di Vincenzo Pr. della Riccia e Giovanna Carafa.
103
Ibid., 2° Pr. di Noja, 4° duca di Monteleone, 6° Conte di Borrello ecc.
104
Ibid., entra a far parte dell’Ordine del Chierici Regolari.
105
Ibid., di Ettore 4° duca di Monteleone.
106
Ibid., 8° Conte di Borrello ecc.
107
Ibid., 5° duca di Monteleone e Marchese di Sambuco.
108
Ibid., entra a far parte dell’Ordine dei Chierici Regolari.
109
Loc. cit.
90
177
I Pignatelli in Capitanata
* * **
Marzio 120
110
Ibid.,di Diego duca di Terranova.
Ibid., Marchese di Avila.
112
Ibid., di Giulio e Zenobia Pignatelli.
113
Ibid., di Vincenzo Pr. della Riccia e Giovanna Carafa.
114
Ibid., di Giovanni duca di Noja e Giulia Lannoi.
115
Ibid., di Fabrizio e Violante di Sangro.
116
Ibid., con il matrimonio acquisisce il titolo di duca di Belrisguardo, acquista da Francesco di Somma
il Feudo di Casalnuovo.
117
Ibid., sposò una figlia di Fabrizio Carafa ed ebbe una sola figlia.
118
Ibid., di Fabrizio e Vittoria Cicinella, fu Signore di Castellaneta.
119
Ibid., moglie di Giulio Pignatelli Principe di Noja.
120
Ibid., di Fabrizio e Vittoria Cicinella, fu Marchese di Spinazzola.
111
178
Lucia Lopriore
(femmina)?127
? (Femmina) 140
121
Ibid., di Giovanni Battista Conte della Rocca.
Ibid., 2° Marchese di Spinazzola.
123
Ibid., di Paolo.
124
Ibid., di Fabrizio duca di Andria e Maria Carafa Pr. di Stigliano.
125
Ibid., 2° Principe di Mandorvino e 5° Marchese di Spinazzola.
126
Ibid., divenne Papa con il nome di Innocenzo XII.
127
Ibid., divenne monaca.
128
Ibid., pag. 163, di Giovanni e Giulia Boncompagni, dal matrimonio nacquero molti figli.
129
Ibid., di Fabrizio e Vittoria Cicinella, fu Cavaliere di Alcantara.
130
Ibid., di Giovanni Tommaso, Marchese di Sant’Eramo ed Isabella Caracciolo.
131
Ibid., Signore di Regina.
132
Ibid., entrò nell’Ordine dei Chierici Regolari.
133
Ibid., le ultime due femmine diventano monache.
134
Ibid., di Fabrizio e Vittoria Cicinella.
135
Ibid., di Giovanni Battista Conte della Rocca.
136
Ibid., Signore di Marsico Nuovo.
137
Ibid., dei Marchesi di Volturara.
138
Ibid., entrò nella Compagnia di Gesù.
139
Ibid., sposò Giovanni Battista di Sangro, Principe di Viggiano, figlio di Nicolò Placido, Marchese di S. Lucido
ed Eleonora Carafa.
140
Ibid., le ultime due femmine divennero monache nel Monastero di S. Potito a Napoli.
141
Marchesa di S. Stefano.
122
179
I Pignatelli in Capitanata
.
142
Ibid., di Giacomo e Maria Coscia, fu il 1° Conte e Marchese di Lauro, Signore di Summonte, Marchese
di Casalnuovo dal 1569 poiché acquistò il feudo.
143
Ibid., di Sigismondo, Signore Monteforte e di Cardito.
144
Ibid., 2° Marchese di Lauro, in seguito alle nozze divenne Conte di S. Valentino.
145
Ibid., di Carlo e Livia Spinelli.
146
Ibid., per rinuncia paterna fu 3° Marchese di Lauro e 2° Conte di S. Valentino.
147
Ibid., di Cosimo, Marchese di Galatola.
148
Erasmo RICCA, La nobiltà delle due Sicilie, Bologna, 1978, rist. anast. del 1859/1879, vol. I, p.102. Di Scipione e Isabella
Caracciolo, 1° duca di Bisaccia, il titolo gli viene concesso da Re Filippo II di Spagna per i meriti ed i servigi resi
dal defunto padre. Morì il 23/03/1601.
149
Ibid., 2° duca di Bisaccia e conte di Montagano, acquistò dal duca di Monteleone la terra di Cerignola
pagandola 200.000 ducati. Morì il 10 marzo 1645.
150
Ibid., Gesuita.
151
Ibid., di Pietro Antonio duca di Termoli e Berardina della Tolfa.
152
Ibid., Conte di Montagano e di S. Giovanni.
153
Ibid., 3° duca di Bisaccia e Conte di S. Giovanni, dopo la morte della prima moglie si risposò con la cognata.
Morì il 22/12/1681.
154
Ibid., entrò a far parte dell’Ordine dei Chierici Regolari.
155
Ibid., le ultime due figlie furono monache.
156
Ibid., di Marcantonio e Dianora Caracciolo.
157
Ibid., di Nicolò, Principe di Cellamare e duca di Giovinazzo ed Ippolita Palagano.
158
Ibid., alla morte del padre ereditò il titolo di 4° duca di Bisaccia. Morì il 22 giugno 1719 senza prole lasciando
al nipote Procopio Pignatelli conte d’Egmont, i suoi titoli ed i beni.
180
Lucia Lopriore
159
Ibid., di Scipione ed Isabella Caracciolo, morì nel 1579.
Ibid., di Marino, Principe di Avellino e Crisostoma Carafa.
161
Ibid., nato dopo il decesso del padre e morto giovane.
162
BIBLIOTECA NAZIONALE DI NAPOLI, Sezione Manoscritti e Rari, Ms. n. XVIII.46, cc. 119r e 121r.; 2° Principe
di Monteroduni, nato nel 1658 e morto nel 1736.
163
Ibid., Duchessa di Casoria.
164
Ibid., Duchessa di Carinari.
165
Ibid., 3° Principe di Monteroduni, n. 1719 m. 1791.
166
Ibid., Priore di Bari.
167
Ibid., sposa Girolamo Pignatelli, Principe di Strongoli.
168
Ibid., Duchessa di Carinari.
169
Ibid., nata nel 1752, sposa Alessandro Pignone del Carretto, Principe di Alessandria.
170
Ibid., nata nel 1753, sposa Almarico Monforte duca di Laurito.
171
Ibid., nata nel 1753, sposa il duca di Carignano.
172
Ibid., 4° Principe di Monteroduni, n. 1757 m. 1829.
173
Ibid., Canonico, m. 1835.
174
Ibid., nata nel 1802, sposa Vincenzo Carafa, duca di Brazzano.
175
Ibid., 5° Principe di Monteroduni, nato nel 1803.
176
Ibid., nato nel 1804.
177
Ibid., nato nel 1805.
178
Ibid., nato nel 1808.
179
Ibid., Principessa di Supino, casata: Ruffo di Calabria.
180
Ibid., Principe di Supino, n. 1836.
181
Ibid., nata nel 1839.
182
Ibid., nata nel 1841.
183
Ibid., nata nel 1843.
160
181
I Pignatelli in Capitanata
184
Ibid., Marchese di S. Vincenzo e 1° Principe di Belmonte.
Ibid., 2° Principe di Belmonte.
186
Ibid., Marchese di S. Vincenzo.
187
Ibid., dei duchi di Laurino.
188
Ibid., Marchese di S. Vincenzo ed Ambasciatore a Parigi, m. 1824.
189
Ibid., Conte di S. Vincenzo, m. 1828.
190
Ibid., morto nel 1826.
191
Ibid., Principe di Moliterno.
192
Ibid., Principe di Moliterno, m. 1805.
193
Ibid., Generale, fu decapitato durante i moti del 1799.
194
Ibid., Principe di Moliterno, n. 1770.
195
Ibid., 3° duca di Montecalvo, 5° Marchese di Paglieto.
196
Ibid., Duca di Montecalvo.
197
Ibid., Duca di Montecalvo, intraprese la carriera ecclesiastica.
198
Ibid., 6° duca di Montecalvo, n. 1761, m. 1841.
199
Ibid., 7° duca di Montecalvo e 9° marchese di Paglieto.
185
182
Lucia Lopriore
Michelina217
200
Ibid., Duca di Monteleone e di Terranova, e ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI, Sez. Diplomatica-Politica,
Libro d’Oro ed altri registri di nobiltà ed Ordini Cavallereschi, c. 181r.
201
Ibid., nato nel 1794.
202
Ibid., nato nel 1795.
203
Ibid., nato nel 1797.
204
Ibid., nata nel 1800, morta nel 1844. Sposò Prospero Colonna.
205
Ibid., nato nel 1803.
206
Ibid., Duca di Monteleone n. 1742, m. 1800.
207
Ibid., Principe di Noja e Marchese di Cerchiara, n. 1705, m. 1756.
208
Ibid., dei Principi di Strongoli.
209
Ibid., Marchese di Cerchiara.
210
Ibid., Cardinale, m. 1813.
211
Ibid., Principe di Noja e Marchese di Cerchiara, m. 1833.
212
Ibid., Principe di Noja e Marchese di Cerchiara, n. 1801, m. 1839.
213
Ibid., Dei Principi di San Severo.
214
Ibid., Principe di Noja e marchese di Cerchiara, n. 1827.
215
Ibid., nata nel 1828.
216
Ibid., nato nel 1835.
217
Ibid., nata nel 1839.
183
I Pignatelli in Capitanata
218
Conte di Egmont, morì nel 1743; cfr. E.RICCA, La Nobiltà…, cit. passim.
Ibid., ereditò i titoli del padre, ma morì celibe il 03/07/1753.
220
Ibid., ereditò il Feudo di Bisaccia dopo la morte del fratello e fu decorato del titolo di duca con decreto della
R. Camera della Sommaria del 21 gennaio 1755. Morì a Brunswik il 7/12/1801.
221
Ibid., sposò il 10/06/1738 a Parigi, Carlo Maria d’Albert, duca di Cheveuse.
222
Ibid., sposò Luigi Pignatelli Gonzaga, Principe del S.R.I.
223
Ibid., ereditò i titoli dello zio Casimiro con decreto della G. C. della Vicaria del 25/09/1802, essendo la
madre già morta. Fu Conte di Fuentes e di Egmont, Marchese di Mora, morì ad Aragona l’8 marzo 1809.
224
Ibid., morì in Francia il 10/07/1807, senza eredi.
225
Ibid., ereditò i titoli di Alfonso Luigi.
226
Ibid., duca di Luynes nacque a Parigi il 4 novembre 1748 e ivi morì il 20/05/1807.
227
Ibid., nacque il 16 ottobre 1783.
228
Ibid., ereditò la Signoria di Cerignola e di Bisaccia per 2/3 da Giovanni Armando dopo la sua morte.
229
Ibid., si sposarono il 12 aprile 1788.
230
Ibid., Visconte de la Rochefoucauld, si sposarono a Parigi il 19/02/1807.
231
Ibid., morì il 27/06/1834 a Parigi, alla sua morte i titoli furono trasmessi a Carlo Maria Gabriele.
232
Ibid., nacque il 09/04/1822.
233
Ibid., p. 99, nota n. 47. Ultimo duca di Bisaccia.
219
184
Lucia Lopriore
FONTI DOCUMENTARIE
ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI:
Sezione Diplomatica-Politica: Archivi Privati:
- Archivio Pignatelli Museo, (Aragona Cortés).
- Archivio Serra di Gerace.
- Archivio della Commissione Araldica Napoletana.
- Platea delle famiglie nuovamente ascritte al Libro d’Oro.
- Libro d’Oro ed altri registri di nobiltà ed Ordini Cavallereschi.
- Platea delle Famiglie Patrizie Napolitane.
BIBLIOTECA NAZIONALE DI NAPOLI:
Sezione Manoscritti e Rari:
- Manoscritto n. XVIII.46.
185
186
Gaetano Zenga
L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas:
dall’ ‘io’ all’uomo
di Gaetano Zenga
1. Dylan Thomas e l’atto di scrivere
Dylan Thomas, generalmente considerato il meno intellettuale dei poeti inglesi, si distingue per il suo modo di concentrarsi sull’invenzione lirica di un nuovo
modello di mondo sensibile e per lo sforzo di creare un linguaggio che esprima con
immediatezza la visione della propria realtà.
Per il suo netto rifiuto di ogni intellettualismo e di ogni problematizzazione
ideologica, per il suo sforzo di fare poesia privilegiando la più semplice base organica dell’esperienza, il momento della nascita, Thomas è certamente diverso dai suoi
coetanei Wystan Hugh Auden, Stephen Spender e Louise MacNeice, perché egli
mostra delle affinità con altri moderni visionari come William Butler Yeats e James
Joyce .
Che dall’inizio della sua carriera letteraria Thomas avesse idee chiare sulla
sua arte è mostrato dalle sue lettere. In una lettera del Natale 1933, indirizzata a
Pamela Hansford Johnson, egli scrive:
Posso proprio riconoscere, non pensare, che nulla sia privo di interesse, posso
estendere le mie convinzioni e credere ancora una volta, come ho appassionatamente creduto e così appassionatamente voglio credere, nella magia di questo ardente e sconcertante universo, nel significato e nel potere dei simboli, nel
miracolo di me stesso e di tutti i mortali, nella divinità che è così vicina a noi, e
che desidera tanto essere più vicina, nell’incredibile meraviglia rosso-vivo, splendente del cielo che posso vedere in alto e del cielo al quale posso pensare dal
basso.1
Thomas è un poeta che ama andare contro corrente perché vuole distinguersi
dai suoi contemporanei. Infatti, in un’altra lettera a Pamela Hansford Johnson del
1933, il poeta mette in risalto che egli organizza il suo conflitto rigeneratore in
modo diverso dagli altri poeti, poiché, al contrario di essi, sceglie la materia morta,
tradizionalmente considerata simbolo di rovina:
1
Traduzione dell’autore (così come i successivi passi in prosa).
187
L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo
Se scrivo tanto spesso in termini di corpo, di morte, di malattia e di corruzione del corpo, non significa necessariamente che la mia Musa (non una delle
mie parole preferite ) sia sadica. Almeno per ora credo nello scrivere poesia
della carne, e in genere, della carne morta . Moltissimi poeti moderni scelgono come loro oggetto la carne ‘viva’, e con il loro accorto lavoro di dissezione, la trasformano in una carcassa. Io preferisco usare la carne ‘morta’, e con
tutta la positività di fede e di convinzione che ho dentro di me, costruirci una
carne ‘viva’.
L’atto dello scrivere per Thomas va necessariamente espresso in termini fisici
in linea con lo sviluppo fisiologico dei pensieri e delle azioni:
Tutti i pensieri e le azioni hanno origine dal corpo. Perciò la descrizione di un
pensiero o di un’azione - per quanto astrusa possa essere - può essere fatta
riducendola a livello fisico. Ogni idea, intuitiva o intellettuale può essere tradotta nei termini del corpo, della sua carne, pelle, sangue, tendini, vene, ghiandole, organi, cellule o sensi. Per il tramite della mia piccola isola legata da ossa
ho imparato tutto ciò che conosco, ho fatto esperienza di tutto e sentito tutto.
Tutto ciò che scrivo non è separabile dall’isola. Per quanto possibile, perciò,
ricorro allo scenario dell’isola per descrivere lo scenario dei miei pensieri, il
terremoto del corpo per descrivere il terremoto del cuore [...] (lettera a Pamela
Hansford Johnson, 1933).
Non ancora ventenne, Thomas si mostra già contrario ad ogni automatismo
verbale e a ogni introspezione morbosa.
A proposito dell’automatismo verbale, sempre a Pamela Hansford Johnson,
in un’altra lettera del 1933, egli scrive: “La scrittura automatica è indegna come
letteratura [...]. La mia facilità [...] è in realtà lavoro terribilmente faticoso. Scrivo
alla velocità di due versi all’ora. Ho scritto centinaia di poesie e ognuna mi è costata
ore e ore di dolore, sudore e tortura cerebrale”.
A Trevor Hughes, in una lettera del 1933, Thomas raccomanda di evitare
l’introspezione morbosa:
Ricordo di averti detto di evitare il più velocemente possibile la morbosità e
l’introspezione morbosa. Ora ti dico di scavare, profondamente, in te stesso,
finché non scoprirai la tua anima e finché non ti sarai conosciuto. Questi due
piccoli consigli non sono in contraddizione. La ricerca autentica dell’anima è
così lontana nell’ultimo cerchio dell’introspezione da essere fuori. Tu dovrai
prima rotare naturalmente su ogni cerchio. Ma finché non sarai giunto a quel
piccolo nucleo rosso e vivace, non sarai vivo. Il numero dei morti che camminano, respirano e parlano è sbalorditivo.
Nell’ambiente culturale del suo tempo, le precedenti affermazioni di Thomas
suonano come dichiarazioni di indipendenza e denuncia di una poesia da lui definita “stanca, affettata, evasiva di tutti i problemi della carne e dello spirito”.
188
Gaetano Zenga
A giudizio di Thomas i più significativi rappresentanti di questo genere di
poesia sono poeti come Auden, Cecil Day Lewis, Ezra Pound e tutti i poundiani.
Thomas critica la sottomissione di molti poeti inglesi, dopo la prima guerra
mondiale, a certe regole che denotano, a suo parere, la loro inclinazione neoclassica,
anziché romantica.
La ribellione di Thomas all’establishment letterario, alla cultura ufficiale
del suo tempo, si spiega con il fatto che egli si batte per una partecipazione
attiva del poeta alla poesia che gli appartiene, contro quanti rifiutano una poesia
personale e favoriscono l’intellettualizzazione del mondo poetico. Il suo sforzo
è di porre al centro della poesia la sua personalità, perché questa diventi la sua
poesia. Thomas vuole un diretto coinvolgimento del poeta nel tessuto della sua
opera, al contrario di Thomas Sterne Eliot che definisce la poesia “evasione
dalla personalità” e considera il poeta come catalizzatore, al cui contatto, da un
miscuglio di idee nasce l’opera poetica, senza che il poeta venga coinvolto direttamente.
Va comunque chiarito, che anche se Thomas partecipa attivamente all’azione
della sua poesia, è al centro del suo sistema, lo crea, è se stesso nella sua poesia, non
ha una voce individuale in alcuna di esse, l’ ‘io’ della sua poesia diventa continuamente un ‘altro’.
In un saggio su Dylan Thomas, Vanna Gentili si sofferma sull’io indifferenziato nella poesia thomasiana: “Thomas non parla mai, o parla raramente di ‘altri’,
né descrive il mondo visibile; ma i processi che registra si riferiscono a un io indifferenziato, privo di qualificazioni psicologiche, che si dilata, protendendo i tentacoli della propria fisicità e del proprio patire, a inglobare la generalità umana e con
quella, gli elementi organici e inorganici del cosmo”.2
2. Le prime raccolte
Sin dal suo primo volume di poesie, Eighteen Poems, pubblicato nel 1934,
che ebbe un impatto immediato sui critici letterari per le sue immagini insolite,
violente e brillanti, il compito di Thomas fu di districare la misteriosa relazione fra
i cicli perpetui e i processi di nascita e morte, rigenerazione e distruzione sia nella
natura che nella configurazione fisica e psicologica dell’uomo.
La poesia di Thomas si distingue soprattutto per la sua coerenza tematica
caratterizzata dal sesso, dalla concezione, dal feto, dalla nascita come iniziazione
alla morte, elementi dell’esperienza umana per i quali la ragione non sa fornire alcuna spiegazione esauriente.
Thomas considerò i processi della biologia come una magica trasformazione
che produce unità dalla diversità e ripetutamente nella sua poesia cercò un rituale
2
Vanna GENTILI, Il mondo rappreso di Thomas, in «Paragone», 202, 1966.
189
L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo
poetico per celebrare questa unità, si considerino i notissimi versi: “The force that
through the green fuse drives the flower / Drives my green age (vv. 1-2)”.3
È su questa base biologica che Thomas costruisce la sua visione mitica
rigeneratrice, in linea con la visione mitica del mondo dei grandi romantici William
Blake e Samuel Taylor Coleridge. Questa visione mitica di Thomas, proprio all’inizio della sua carriera letteraria, segna la sua vocazione romantica in contrasto con
l’establishment letterario del suo tempo che, a suo giudizio, come è stato già notato,
mostra un’inclinazione neoclassica.
Un altro aspetto fondamentale della poesia thomasiana è il linguaggio, un
linguaggio privo dei propri significati convenzionali, fatto di termini ambigui,
distorti, volti ad acquisire nuove potenzialità di significati multipli.4 Certamente,
questa distorsione è responsabile dell’oscurità anche tematica della poesia giovanile
di Thomas, mentre nella poesia della maturità assume forme più accessibili.
Il linguaggio convenzionale viene intenzionalmente distorto da Thomas per
adattarlo alle esigenze della sua visione personale. L’esempio più significativo di
questa distorsione è costituito da due versi del sonetto IV appartenente a Altarwise
by owl-light (Come altare al lume di civetta),5 una delle opere più oscure di Thomas:
Button your bodice on a hump of splinters
My camel’s eyes will needle through the shroud (vv.9-10). 6
In questi versi, come in altre poesie,7 la nascita reca già il segno della morte, il
tema utero-tomba: “una gobba di schegge” indica appunto il feto, nascosto sotto il
vestito della madre incinta e immaginato dagli occhi sospettosi come frantumato
quasi a presagire i frammenti ossei della tomba; gli “occhi di cammello” scopriranno il feto segreto, penetrando attraverso il sudario che lo copre. L’immagine evangelica originale, che mette in relazione il cammello e la cruna dell’ago per esprimere
l’impossibilità per i ricchi di entrare in paradiso, è rovesciata da Thomas. Infatti,
l’immagine cruna-ago estranea al cammello e ai ricchi, viene sostituita dall’immagine cruna-occhio che appartiene al “cammello” che vede molto chiaramente, mentre
l’ago perde la sua funzione di simbolo di ostruzione.
3
“La forza che nella verde miccia spinge il fiore /Spinge i miei verdi anni” (The force that through the
green fuse drives the flower).
4
Elder Olson ha criticato le forzature del linguaggio operate da Thomas, perché, a suo giudizio, esse non
gli consentono di capire se un termine è inteso in senso letterale o metaforico. Cfr. Elder OLSON, The poetry of
Dylan Thomas, Chicago, The University of Chicago Press, 1954.
5
È una raccolta di dieci sonetti; i primi sette sonetti furono pubblicati in Life and Letters Today, XIII, 2,
nel dicembre del 1935; gli altri tre furono scritti più tardi e raccolti insieme agli altri in Twenty-five Poems.
6
“Abbottonati il corpetto su una gobba di schegge,/ I miei occhi di cammello bucheranno come ago il
sudario”. (Le traduzioni delle poesie sono dell’autore o sono tratte da quelle di Ariodante Marianni, in Dylan
THOMAS, Poesie e racconti, Torino, Einaudi, 1996).
7
Si pensi ai versi 3-4 di Twenty-four years: “In the groin of the natural doorway I crouched like a tailor /
Sewing a shroud for a journey” (“Nel vano della porta naturale stavo accosciato come un sarto / A cucire il
sudario per un viaggio”).
190
Gaetano Zenga
Thomas opera un vero e proprio rovesciamento delle formule del linguaggio
convenzionale, perché in questo modo egli intende protestare contro la visione statica
della realtà riflessa nel linguaggio ordinario. Il linguaggio ordinario è visto da Thomas
come una sorta di coltre opprimente che va squarciata con ogni mezzo. L’uso continuo, nella poesia thomasiana, del paradosso, dello slang, della paronomasia, della
catacresi, di rime assonanti, vocaliche, rappresenta la necessità di servirsi di tutti gli
strumenti linguistici idonei a garantire un linguaggio che assicuri convenientemente le relazioni con un universo nuovo e dinamico.
Inoltre, Thomas si serve del suo linguaggio come uno strumento, un modo
immaginativo per percepire lo spirituale, in un mondo dove gli imperativi morali
non hanno più valore, dove i valori etici sono quasi completamente scomparsi dalla
coscienza dell’uomo, dove non si ha più una concezione chiara del divino. Lo sforzo di Thomas è volto a ripristinare il contatto con il divino, rappresentando la realtà ‘caduta’.
Così si spiega, sia nelle prime poesie che nelle poesie della maturità, il forte
desiderio di Thomas di porsi in contatto con la forza occulta dell’universo. Egli lo
fa con molta sincerità, con un impegno estremo di illuminare la materia nascosta,
seguendo un modello morale che vuole rivelare.
Thomas cerca di darsi un metodo8 per la soluzione di questo problema. Segni evidenti delle prime formulazioni del suo metodo, possono essere colti nei consigli che egli dà all’amico scrittore Trevor Hughes:
Tu non sei davvero interessato alla gente. Dubito addirittura che tu sia uno
scrittore di narrativa. Perché andare nei caffè a cercare trame consunte, quando
le sole cose che ti stiano a cuore sono l’antagonistico interagire delle emozioni
e delle idee, l’attrito delle sensibilità, le corde cerebrali e nervose, le convoluzioni
dello stile, la tortuosità di nuove espressioni [...] quando devi dire qualcosa, per
quanto possa essere terribile, e il vocabolario con il quale dirlo [...] (lettera del
1933).
Sempre a Hughes, un anno prima, indica l’esempio di una prosa costruita
con i simboli del mondo e con i ‘fondamenti dell’anima’, anziché con trame e personaggi, descrivendo il suo rapporto con la realtà circostante. “Vorrei amare l’umanità, ma demoni divoratori di cadaveri, vampiri, squartatori di donne, stupratori di
bambini, ubriaconi tutti verruche, mezzani e finanzieri passano accanto alla finestra, diretti Dio sa dove e perché, in un sogno su e giù per la collina”. È la reazione
del giovane Thomas alla società, è il segno della sua paura per il mondo quotidiano
fatto di uomini e donne ordinari.
Occorre chiarire, comunque, che il disgusto thomasiano per la società
8
Per uno studio rigoroso e illuminante sul metodo della poesia thomasiana, in particolar modo per quanto riguarda la sua complessità degli usi linguistici e il loro aggancio con la situazione socio-culturale si veda
John BAYLEY, Dylan Thomas, in The Romantic survival: a study in poetic evolution, London, Constable, 1960.
191
L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo
non assumerà mai i toni satirici di Jonathan Swift o di Joyce perché Thomas è
fondamentalmente poeta mitopoietico e visionario. Tuttavia, non si può non
ammettere che la questione dei rapporti umani tormenti Thomas, soprattutto in
poesie come I have longed to move away (Ho desiderato tanto allontanarmi).
Di fronte alla scelta se troncare i legami con le immagini ossessive, che lo
fanno il poeta che è, e diventare poeta sociale o continuare a scrivere poesia di ‘sé’,
questa poesia, come la sua simile Make me a mask (Fatemi una maschera), fa capire
che Thomas sceglie la seconda soluzione.
Il peso di questo dilemma, che Thomas avverte come minaccia per la sua
carriera letteraria, appare in maniera esplicita in una lettera del 1934 in cui dichiara
di non essere capace di descrivere scene ordinarie della realtà quotidiana:
Vorrei poter descrivere ciò che sto osservando [...]. Molto lontano, accanto alla
linea del cielo, tre donne e un uomo stanno raccogliendo molluschi. A centinaia gli
ostricai protestano intorno a loro. Anche qui vicino a me, una folla di donne silenziose sta raschiando la sabbia umida, grigia, con i manici frantumati delle caraffe, e
pulendo i molluschi nelle sudice piccole pozzanghere.[...] Ma vedi che ne sto facendo di nuovo una giornata letteraria. Non riesco mai a rendere giustizia agli infiniti
chilometri di melma e sabbia grigia, allo snervante silenzio delle pescatrici, alle
strida da anime spregevoli dei gabbiani e degli aironi, alle forme delle mammelle
delle pescatrici che penzolano grosse come barili. [...] Non riesco a dare realtà a
queste cose, eppure sono vive quanto me (lettera a Pamela Hansford Johnson).
In Especially when the October wind (Specialmente se il vento di ottobre),9
poesia scritta come la precedente lettera nel 1934, Thomas ritorna sul problema della
sua incapacità di descrivere scene ordinarie di oggetti, di uomini e di donne nelle
“Wordy shapes of women, and the rows/Of star-gestured children in the park” (vv.1112),10 perché chiuso in una torre di parole convenzionali. Il poeta si sente isolato nella
sua torre di parole insieme agli altri abitanti e oggetti naturali del proprio mondo, non
c’è più pausa tra lingua e realtà: la realtà inghiotte in crescendo il linguaggio esprimendosi con le sue parole man mano che le inghiotte. Il cuore indaffarato trema,
sparge sangue “sillabico” e le parole diventano sempre più “aride” e il paesaggio risponde con le “oscure” vocali degli uccelli. Con le parole convenzionali il poeta non
potrebbe più dare convincente espressione alla propria intuizione fisica, attraverso
pensieri e azioni che richiederebbero invece termini corporali come sangue, carne e
vene. Tuttavia egli cerca una lingua nuova che possa rendere vivo il mondo fisico
attraverso la fusione della terminologia del linguaggio syllabic (v.8), vowelled (v.13),
voices (v.14), speeches (v.16), signs (v.21), sins (v.24) con il mondo della natura: the
syllabic blood (v.8), the vowelled beeches (v.13), the oaken voices (v.14), the water’s
speeches (v.16), the meadow’s signs (v.21), the raven’s sins (v.24).11
9
La poesia è datata 6 settembre 1934 in Buffalo Notebook, e raccolta successivamente in Eighteen Poems.
“Verbali forme di donne e le file / Dei bambini nel parco che hanno gesti di stella”.
11
“il sangue sillabico”, “le vocali di faggio”, “i discorsi dell’acqua”, “le voci di quercia”, “i segni del
prato”, “i peccati del corvo”.
10
192
Gaetano Zenga
Thomas riesce a interiorizzare il mondo trasformando il mondo in parole; lui
stesso, in questo modo, però, viene penetrato dal mondo in tutta la sua immediatezza sensoria. Il mondo sensibile diventa sostanza delle parole del poeta, che parla
il mondo e lo tocca come se stesso, cambia e diviene con esso. A ragione Thomas si
preoccupa perché l’equilibrio tra pensiero e sensazioni fisiche, il cardine che sorregge la sua poesia, è minacciato dalle parole convenzionali. Egli si trova di fronte
ad un terribile dilemma: se il poeta non può fidarsi della sua intuizione fisica, come
potrà descrivere convenientemente i pensieri e le azioni che da essa derivano e che
per lui, come si è visto, possono tradursi in termini corporali, carne, sangue, vene?
In alcune delle più complesse poesie di Eighteen Poems, come Light breaks
where no sun shines (La luce spunta dove non splende il sole ),12 egli affronta il
problema dell’intuizione creativa e della logica distruttiva della ragione. In questa
poesia l’immagine principale è l’alba che va interpretata come metafora della coscienza umana.13 Se il poeta fa spuntare l’alba dietro gli occhi è perché essa rappresenta la coscienza percettiva:
Dawn breaks behind the eyes;
From poles of skull and toe the windy blood
Slides like a sea (vv.13-15).14
Senza l’alba gli occhi stessi sono ridotti a oscure cavità che sono i simboli
della morte; con essa invece vengono rischiarati anche gli scarti della ragione, le
maleolenti incrostazioni dell’intelletto e le logiche morte vengono illuminate di
nuovo, il sangue si risveglia, come il segreto del suolo che con il suo sguardo si
trasforma in fertilità e fonte di nuova vita:
Light breaks on secret lots,
On tips of thought where thoughts smell in the rain;
When logics die,
The secret of the soil grows through the eye,
And blood jumps in the sun (vv.25-29).15
12
Datata 20 novembre 1933 in Buffalo Notebook; pubblicata con poche varianti ma con il titolo di Light
in The Listener, XI, 270 del 14 marzo 1934; raccolta in Eighteen Poems.
13
I critici hanno fornito diverse interpretazioni sul tema di questa poesia. Elder Olson ritiene che la poesia
elabori “con estrema complessità le relazioni fra l’uomo e il mondo esterno”, proprio come fa, ancorché in
modo più semplice, The force that through the greene fuse drives the flower (E. OLSON, The Poetry of Dylan
Thomas…). Henry Treece crede che la poesia sia “una descrizione dello stato dell’esistenza” e il suo tema “il
processo vitale”. Cfr. Henry TREECE, Dylan Thomas. Dog among the fairies, London, Benn, 1959. Per William
York Tindall il tema della poesia è certamente “un enigma”: lotta fra oscurità e luce? Albeggiare della coscienza
e sopraggiungere della consapevolezza? O semplicemente una composizione astratta come in pittura? Cfr. William
York TINDALL, A reader’s guide to Dylan Thomas, New York, The Noonday press, 1962.
14
“L’alba appare dietro gli occhi; / Dai poli del cranio e dell’alluce il sangue ventoso/Scivola come un
mare”.
15
“La luce spunta su segreti appezzamenti,/Sugli scarti del pensiero dove i pensieri esalano alla pioggia; /
Quando le logiche muoiono, / Il segreto del suolo cresce attraverso l’occhio, / E il sangue balza nel sole”.
193
L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo
Tuttavia, l’alba si arresta ogni volta che la coscienza dell’uomo si ingolfa nei
deserti della ragione: “Above the waste allotments the dawn halts” (v.30).16 Per
ritrovare la forza immaginativa e riconquistare il suo carattere creativo, la coscienza
deve sciogliere le forme cristallizzate del mondo e di se stessa.17
Se l’immaginazione è intesa da Thomas come forza vitale per la poesia, anche
le immagini sono considerate dal poeta come una particolare forza, una sorta di
forza matrice responsabile della loro origine e della loro distruzione.18
In una notissima lettera a Henry Treece, Thomas si sofferma sulla particolare
attenzione che dedica alla scelta delle immagini nella composizione delle proprie
poesie:
Una mia poesia necessita di una schiera di immagini, perché il suo centro è una
schiera di immagini. Io creo un’immagine, sebbene ‘creo’ non sia la parola giusta; io lascio forse che un’immagine si ‘crei’ in me emotivamente, e quindi vi
applico quel tanto di potere critico e intellettuale che posseggo; lascio che generi un’altra che contraddica la prima, faccio, della terza immagine generata
dalla congiunzione delle altre due, una quarta immagine contraddittoria e le
lascio cozzare tutte insieme, nell’ambito formale che mi sono imposto. Ciascuna immagine racchiude in sé il germe della propria distruzione, e il mio metodo
dialettico così come lo intendo, è un costante sorreggere e crollare delle immagini che si sprigionano dal germe centrale, che è esso stesso distruttivo e
costruttivo allo stesso tempo.
Giorgio Melchiori, tenendo in giusta considerazione il rigore con il quale
Thomas seguiva i complessi schemi metrici, ritmici e strofici delle sue poesie,
così commenta: “Si tratta d’una consapevolezza affine piuttosto alla disciplina
tecnica di un musicista; e sarebbe davvero interessante sostituire alla parola ‘immagine’ la parola ‘tema’. Penso che ne verrebbe fuori una buona descrizione
della tecnica creativa seguita dal compositore di un quartetto o d’una sinfonia”.19
Nel cogliere l’analogia tra la tecnica di composizione di Thomas e quella di
un musicista, Melchiori mette in risalto non solo un metodo di composizione, ma
anche e soprattuto un particolare processo mentale seguito dal poeta, in considerazione dell’importanza che egli attribuiva al suono delle parole.
Nella poesia thomasiana le immagini hanno una forma fisica, ed è concen-
16
“Sopra i terreni deserti l’alba arresta il suo corso”.
Per un’analisi capillare di Light breaks where no sun shines, si veda: Tomaso KEMENY, La poesia di
Dylan Thomas: enucleazione della dinamica compositiva, Milano, Cooperativa Scrittori, 1976.
18
John Bayley, nel già citato saggio, riconosce la particolare qualità dell’immaginazione thomasiana, ma
sottolinea che in essa “l’energia può agire spesso in sostituzione della chiarezza”.
19
Giorgio MELCHIORI, The tightrope walkers : Studies of Mannerism in Modern English Literature, London,
Routledge & Kegan Paul, 1956; [trad. it. a cura di Ruggero BIANCHI, I funamboli: il manierismo nella letteratura inglese da Joyce ai giovani arrabbiati, Torino, Einaudi, 1963].
17
194
Gaetano Zenga
trandosi su questa forma, tralasciando temporaneamente le loro funzioni sul piano
connotativo, che è possibile individuare la dinamica di certe associazioni che a primo acchito appaiono iperboliche e strabilianti.
Ralph Maud, in uno studio critico su Dylan Thomas, con acutezza, osserva
che “ogni immagine deve essere modellata ad assolvere la funzione di creare il concetto finale e al tempo stesso di portare avanti una linea narrativa”.20
Infatti, è proprio la somiglianza della forma che permette a Thomas di compiere straordinari salti metaforici come, ad esempio, da lapis a fallo ad albero a
croce a torre a candela, con una facilità fantastica. Si può scoprire, quindi, che esistono delle forme basilari che interagiscono con altre forme, comportandosi quasi
sempre secondo un certo modello.
Il cerchio o la sfera rappresentano la stabilità armonica: il cerchio indica
spesso il grembo materno come in Before I knocked (Prima che io bussassi) e in
My world is pyramid (Il mio mondo è una piramide), o una fetta di spazio come
in In the beginning (Al principio). Inoltre, sia come figura anatomica che come
rappresentazione del cosmo, il cerchio è inizialmente vuoto o omogeneo e informe nel suo contenuto.
In Before I knocked, 21 l’io lirico ricorda di essere stato:
[...]shapeless as the water
That shaped the Jordan near my home
Was brother to Mnetha’s daughter
And sister to the fathering worm (vv.3-6).22
I versi sono una chiara allusione ad una mitica pre-esistenza in cui non esiste
alcuna differenziazione, neppure fra i sessi.
La forma lineare, al contrario del cerchio o della sfera, rappresenta il movimento. In the beginning presenta una serie di immagini che, come quella di “un
sorriso di luce traversa il viso vuoto”, sono basate sulla relazione geometrica cerchio-linea; in queste immagini, è sempre la forma lineare (elemento attivo), che si
inserisce in quella circolare (elemento passivo)23 e l’atto è descritto con immagini
che di solito si associano a quelle della narrazione biblica della creazione.
L’atto creativo, nelle prime poesie, è di solito visto con l’ottica della creatura
non ancora nata come un atto di aggressione. L’esempio più significativo di concepire l’atto creativo in termini di aggressione è costituito da I dreamed my genesis
20
Ralph N. MAUD, Entrances to Dylan Thomas’ Poetry, Pittsburgh, University of Pittsburgh Press, 1963.
Datata 6 settembre 1933 in Buffalo Notebook; raccolta in Eighteen Poems.
22
“[...] informe come l’acqua / Che formava il Giordano vicino alla mia casa/Ero fratello della figlia di
Mnetha / E sorella del verme generante”.
23
La penetrazione della linea nel cerchio fa pensare a una rappresentazione schematica della congiunzione
di maschio e femmina, anche se questa interpretazione non è mai dichiarata da Thomas in maniera esplicita.
21
195
L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo
(Sognai la mia genesi),24 nella quale Thomas affronta l’orrore della realtà contemporanea, frutto del mondo tecnologico, imperniato sul suo tema favorito: il processo nascita, morte, rinascita. Il poeta usa metafore del mondo della macchina e crea
immagini di orrore che fanno da sfondo al sogno del narratore. Il sogno, che si
estende dalla prima nascita del narratore, alla sua seconda nascita o resurrezione ed
include anche la sua morte in guerra, si rivela una grande delusione per la terribile
meccanizzazione del mondo tecnologico in cui viene a trovarsi il neonato:
I dreamed my genesis in sweat of sleep, breaking
Through the rotating shell, strong
As motor muscle on the drill, driving
Through vision and the girdered nerve (vv.1-4 ).25
L’atto con cui egli viene al mondo ha poco di umano, perché somiglia alla
messa in moto del motore di una automobile con il suo “guscio rotante” e il suo
“trapano”; la realtà che lo accoglie è fatta di limatura di metalli, di lame acuminate
ed è la stessa dove troverà la sua morte con il gas velenoso:
From limbs that had the measure of the worm, shuffled
Off from the creasing flesh, filed
Through all the irons in the grass, metal
Of suns in the man-melting night (vv.5-8).26
Con le metafore del mondo motorizzato, per descrivere l’attività organica
dell’uomo, Thomas mira ad esorcizzare gli orrori di quella realtà brutale per farli
sembrare irreali e quindi estranei all’uomo.
In All all and all the dry worlds lever (Tutto tutto e tutto gli aridi mondi
sollevano ),27 Thomas affronta il tema della realtà-illusione, fertilità-aridità, servendosi dei simboli dell’energia riproduttiva sprigionata dal corpo degli amanti. Gli
amanti somigliano a leve che trasmettono l’energia lavica e vivificano la terra “piattaforma del ghiaccio”, ma sono anche “aridi mondi” perché il loro amore si è fatto
immondo e meccanico ed è soltanto amore della “carne”:
How now my flesh, my naked fellow,
Dug of the sea, the glanded morrow,
Worm in the scalp, the staked and fallow.
24
La poesia fu scritta in novembre o nei primi di dicembre del 1934, per essere inclusa in Eighteen Poems.
“Sognai la mia genesi nel sudore del sonno, rompendo/Il guscio rotante, potente come il muscolo/D’un
motore sul trapano, inoltrandomi/ Nella visione e nel nervo travato”.
26
“Da membra fatte a misura del verme, liberato / Dalla carne grinzosa, limato / Da tutti i ferri dell’erba,
metallo/ Di soli nella notte che gli uomini fonde”.
27
La poesia, scritta a novembre o nei primi giorni di dicembre del 1934, sarà inclusa in Eighteen Poems.
25
196
Gaetano Zenga
All all and all, the corpse’s lover,
Skinny as sin, the foaming marrow,
All of the flesh, the dry worlds lever (vv.7-12).28
A ragione, Derek Stanford, in uno studio del 1954,29 sostiene che la poesia si
incentra sulle relazioni panteistiche fra la natura e l’uomo: il sesso è la leva del mondo perché senza di esso le cose rimarrebbero aride.
Il volume Twenyy-five Poems, pubblicato nel 1936, si incentra essenzialmente
sull’esplorazione dell’uomo, nella sua configurazione sia materiale che spirituale,
proponendo nuove tematiche, ma esse sono anche la continuazione delle tematiche
di Eighteen Poems, sebbene presentate in maniera diversa, perché la maggior parte
delle poesie sono stesure anteriori agli stessi Eighteen Poems.
Gli esempi più significativi sono: Ears in the turrets hear (Orecchie ascoltano
nelle torrette),30 che è la ripetizione della situazione di isolamento nella propria torre di parole, già descritta in Especially when the October Wind; The seed-at-zero (Il
seme a zero), che descrive la sublimazione dell’energia sessuale nella morte e la
continuità cosmica che accoglie il termine della vita (“il seme a zero”), è lo sviluppo
tematico di Light breaks where no sun shines o di The force that through the green
fuse drives the flower (La forza che nella verde miccia spinge il fiore).
In Should lanterns shine (Splendessero le lanterne),31 utilizzando il mito edenico,
Thomas presenta l’imperfezione della natura della vita, perché è “caduta”: ogni ragazzo esiterebbe a perdere la sua innocenza se conoscesse le conseguenze dell’atto
sessuale: “any boy of love/Look twice before he fell from grace (vv. 3-4)”.32
È opportuno chiarire che i valori o i miti utilizzati da Thomas nelle sue poesie, come il mito edenico o il processo biblico creazione-caduta-rigenerazione, vengono da lui filtrati come punti di riferimento del mondo in cui vive il poeta e delle
difficoltà che il poeta stesso incontra nella sua formazione. Se si considera, poi,
l’insistere di Thomas sulla genesi, sul grembo materno e il suo crescente interesse
per la sofferenza degli uomini, si comprende subito perché il simbolismo biblico,
28
“Eccoti qui mia carne, mio nudo compagno, / Mammella del mare, glandoluto domani, / Verme dello
scalpo, picchettato e incolto. / Tutto tutto e tutto, amante della salma, / Magro come il peccato, midollo
schiumante, /Tutto che è carne, gli aridi mondi sollevano”.
29
Derek STANFORD, Dylan Thomas, London, Spearman, 1954.
30
La poesia mette in rilievo la paura e la difficoltà di comunicazione dell’io lirico che lo costringono a rimanere
isolato, rinchiuso nella sua torre, prigioniero di se stesso, forse fino alla sua morte: “Shall I unbolt or stay / Alone
till the day I die /[...]/ Beyond this island bound / By a thin sea of flesh / And a bone coast, / The land lies out of
sound / And the hills out of mind. No birds or flying fish disturbs this island’s rest (vv. 5-16)”. (“Aprirò o resterò
/ solo fino alla morte / […] Oltre quest’isola cinta / Da un esile mare di carne / E da una costa d’osso, / I campi e
i colli si estendono / Oltre la mente e il suono. / Uccello o pesce volante / Non turba di quest’isola il riposo”).
31
La poesia fu pubblicata per la prima volta in New Verse, nel dicembre del 1935; poi fu raccolta in
Twenty-five Poems.
32
“Ogni giovane amoroso / Esiterebbe, prima di perdere la grazia”. (la traduzione al condizionale di look
del quarto verso sottintende would del terzo verso ).
197
L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo
che lui riteneva il migliore strumento per esprimere le sue idee e le sue emozioni,
abbia influenzato lo sviluppo della sua poesia.
Nelle prime poesie il messaggio biblico serve a Thomas per esprimere la sua
ribellione personale ai falsi miti di un cristianesimo degenerato, falso e ipocrita che
esalta l’assurda sofferenza dell’uomo come “divina necessità”. La linfa vitale di
Eighteen Poems è il suo profondo pessimismo che considera l’uomo come il frutto
di una assurda irrazionalità, alla quale occorre ribellarsi.
Nell’ultima fase delle poesie thomasiane, la presenza dell’Eden e della genesi
è sempre più frequente; in Twenty-five Poems c’è una vera e propria celebrazione
dell’Eden storico, come ad esempio in Incarnate devil (Diavolo incarnato):33
We in our Eden knew the secret guardian34
In sacred waters that no frost could harden,
And in the mighty mornings of the earth (vv.13-15).35
L’idea dell’Eden, che è rilevante alla linea centrale della poesia, è riferita all’uomo moderno, considerato nella sua interezza umana che fa esperienza di stati
‘edenici’ e che chiede perdono a Dio per i suoi peccati:
Incarnate devil in a talking snake,
The central plains of Asia in his garden,
[...]
In shapes of sin forked out the bearded apple,
And God walked there[...]
And played down pardon from the heaven’s hill (vv.1-6).36
Che il messaggio edenico sia rivolto all’uomo dell’oggi è confermato dalla
presenza del pronome personale we (noi), al settimo e al dodicesimo verso, che per
il poeta rappresenta l’intera umanità della quale lui stesso fa parte.
I dieci sonetti Altarwise by owl-light,37 che formano l’ultima poesia del volu-
33
La prima versione di questa poesia fu pubblicata con il titolo Poem for Sunday nel «Sunday Referee»
dell’11 agosto 1935. Il testo fu ampiamente riveduto nel gennaio del 1936 e poi pubblicato in Twenty-five Poems.
34
Il guardiano segreto è Dio come annuncia il quinto verso: “And God walked there Who was a fiddlinng
warden” (E là Iddio passeggiava, sviolinante guardiano).
35
“Nel nostro Eden conoscemmo il guardiano segreto / In acque consacrate che nessun gelo potrebbe
indurire, / E nei possenti mattini della terra”.
36
“Il diavolo incarnato in un serpente parlante, / Le pianure dell’Asia centrale nel suo giardino, / [ ...] / In forme
di peccato inforcò e trasse la mela barbuta; / E là Iddio passeggiava [...] / E suonava perdono dalla celeste collina”.
37
Di questa complessa composizione sono state fornite numerose interpretazioni. Le più note sono quelle di Elder Olson (OLSON, op.cit.), di Clark Emery (Clark EMERY, The world of Dylan Thomas, Miami Beach
(Florida), University of Miami Press, 1962) e di H.H. Kleinman (Hyman H. KLEINMAN, The religious sonnets
of Dylan Thomas. A study in imagery and meaning, Berkley, University of California Press, 1963) che privilegiano l’aspetto religioso; e di William York Tindall (W.Y.TINDALL, op. cit.) che la considera una ‘narrazione’
di vari stadi della vita del poeta stesso. Tuttavia, si può anche ritenere che i sonetti siano una continuazione e
una rielaborazione di tematiche precedenti arricchite di nuovi simboli.
198
Gaetano Zenga
me Twenty-five Poems, mostrano una reinterpretazione thomasiana dei simboli
cristiani.
Non è casuale che nel terzo sonetto Thomas tratti la perdita dell’innocenza
con l’uccisione di Abele da parte di Caino, che nell’ottavo celebri la crocifissione di
Cristo e che il decimo termini con l’augurio del poeta che il ritorno dell’innocenza
edenica abbia luogo nel giorno del Giudizio Universale, quando il verme distruttore costruirà con le “paglie” della falsità “il nido di pietà” nell’albero insanguinato
dell’esistenza:
Green as beginning, let the garden diving
Soar, with its two bark towers, 38 to that Day
When the worm builds with the gold straws of venom
My nest of mercies in the rude, red tree
(sonetto X, vv.11-14).39
Quest’ultima poesia di Twenty-five Poems rappresenta certamente la sintesi
dell’estensione delle altre poesie del volume e una nuova focalizzazione di tutte le
altre. Si può avere tale conferma se ci si sofferma a considerare, ad esempio, una poesia come This bread I break (Questo pane che spezzo),40 nella quale il dogma cristiano dell’eucarestia, come amore di Dio, viene interpretato come simbolo della distruzione operata dall’uomo sulla natura: “Man in the day or wind at night/ Laid the
crops low, broke the grape’s joy (vv.4-5). [...] The oat was merry in the wind; / Man
broke the sun, pulled the wind down (vv.9-10)”41 e su quella energia vitale dalla quale
è generato anche il poeta: “My wine you drink, my bread you snap (v.15)”.42
E ancora si consideri Find meat on bones (Cerca la carne sulle ossa):43 sulla scia
dell’eterna catena dell’esperienza che unisce padri e figli, di generazione in generazione, un padre e un figlio discutono in maniera molto franca sul tema della ribellione
all’azione distruttiva della continuità ciclica. Il padre esorta il figlio a godersi la vita:
‘Find meat on bones that soon have none,
And drink in the two milked crags,
The merriest marrow and the dregs. (vv.1-3).44
38
Le “due torri di scorza” rappresentano i simboli della creazione e della distruzione.
“Che il giardino tuffandosi voli alto, verde come gli inizi, / Con le due torri di scorza, in direzione di quel
Giorno / Quando il verme costruirà con paglie d’oro di veleno / Il mio nido di pietà nel rozzo albero rosso”.
40
La poesia è datata 24 dicembre 1933 in Buffalo Notebook ed è raccolta successivamente in Eighteen
Poems.
41
“L’uomo di giorno o il vento nella notte/ Piegò a terra le messi, spezzò la gioia dell’uva. [...] Il frumento
era allegro in mezzo al vento; / L’uomo ha spezzato il sole e ha rovesciato il vento”.
42
“È il mio vino che bevi , è il mio pane che addenti”.
43
La poesia è datata 15 luglio 1933 in Buffalo Notebook ed è raccolta successivamente in Twenty-five
Poems.
44
“Cerca la carne sulle ossa che presto non ne avranno / E bevi alle due munte rupi / Il dolce midollo e la
feccia”.
39
199
L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo
E lo avverte di far presto prima che l’azione del tempo non sfiguri la bellezza
del corpo femminile:
Before the ladies’ breasts are hags
And the limbs are torn (vv.4-5)45
Dopo l’invito a godersi la vita, il padre cerca di convincere il figlio a ribellarsi:
‘Rebel against the binding moon
And the parliament of sky,
The kingcrafts of the wicked sea,
Autocracy of night and day,
Dictatorship of sun.
Rebel against the flesh and bone,
The word of the blood, the wily skin,
and the maggot no man can slay’ (vv.9-16).46
Tuttavia il figlio, ormai fiaccato dalla passione, non rispetta il consiglio del
padre:
‘The maggot that no man can kill
And the man no rope can hang
Rebel against my father’s dream
That out of a bower of red swine
Howls the foul fiend to heel.
I cannot murder, like a fool,
Season and sunshine, grace and girl,
Nor can I smother the sweet waking’.
Black night still ministers the moon,
And the sky lays down her laws,
The sea speaks in a kingly voice,
Light and dark are no enemies
But one companion (vv.24-37)47
45
“Prima che i seni delle dame siano flosci / E le membra a brandelli”.
“Ribellati al vincolo della luna / E al parlamento del cielo, / Al governo del mare perverso, / A tirannia
del giorno e della notte, / A dittatura del sole. / Ribellati all’osso e alla carne, / A parola di sangue, ad astuzia
di pelle, / E al verme che nessuno può ammazzare”.
47
“Il verme che nessuno può ammazzare / E l’uomo che nessuna corda impicca / Si ribellano al sogno di
mio padre / Che da un chiuso di porci scarlatti / Urla che al sozzo demonio obbedisca. / Non posso come un
pazzo assassinare / Stagione e sole, grazia e ragazza, / Né il mio dolce risveglio soffocare. / La nera notte
amministri la luna / E il cielo detti le sue leggi, / Il mare parli con voce regale, / Il buio e la luce non sono
nemici / Ma un compagno solo”.
46
200
Gaetano Zenga
Al padre che, nella sua caparbietà, si ostina a non accettare le condizioni della
natura ed impreca:
‘War on the spider and the wren!
War on the destiny of man!
Doom on the sun!’ (vv.38-40).48
Il figlio risponde, cercando di persuaderlo a cambiare atteggiamento e quindi
a ritrattare:
Before death takes you, O take back this
(v. 41). 49
La poesia ha una struttura abbastanza semplice: le prime due strofe presentano il contrasto tra corpo ed anima, qui è il padre che parla al figlio; le strofe seguenti
contengono la risposta. Il figlio rispetto al padre ha raggiunto un elevato grado di
spiritualità e respinge le tentazioni della carne proprio perché ne ha fatto esperienza:
‘The thirst is quenched, the hunger gone,
And my heart is cracked across;
My face is haggard in the glass,
My lips are withered with a kiss,
My breasts are thin (vv.17-21).50
Quindi, il giovane, che ha raggiunto un equilibrio tra corpo e anima, vive
anche in armonia con la natura e ne rispetta la sua continuità ciclica.
Il fatto che Altarwise by owl-light possa essere considerata un punto di riferimento importante, una estensione sintetica, una focalizzazione di tante poesie di
Thomas, dipende dal fatto che il nostro poeta era essenzialmente un poeta religioso, come egli stesso affermò nella sua nota ai Collected Poems:51 “Queste poesie con
tutta la loro asprezza, dubbi e confusione sono scritte per amore dell’Uomo e in
lode di Dio e sarei un dannato folle se così non fosse”.
Se in This bread I break Thomas tratta il dogma cristiano dell’eucarestia, in
una poesia dello stesso anno, Why east wind chills (Perché Levante gela)52 egli affronta il tema del mistero del mondo, ossia dell’impossibilità per l’uomo di conoscere la profondità del mondo, con le sue cause, alla luce di un radicale agnosticismo.
48
“Guerra al ragno e allo scricciolo! / Guerra al destino umano! / Distruzione al sole!”.
“Prima che morte ti prenda, ah sconfessalo”.
50
“La sete è spenta, la fame placata, / E lungo il cuore ho uno spacco; / La faccia è smunta allo specchio, / Le
labbra smorte dai baci / Ed è smagrito il mio petto”.
51
Il volume dei Collected Poems 1934-1952 fu pubblicato nel 1952.
52
La poesia è datata 1 luglio 1933 in Buffalo Notebook ed è raccolta successivamente in Twenty-five Poems.
49
201
L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo
La poesia stessa fa esperienza di un moltiplicarsi di domande simili ai perché dei
bambini che rimangono senza una risposta esauriente. L’unica risposta sarà una
“risposta nera”, ossia il mistero assoluto:
Why east wind chills and south wind cools
Shall not be known till windwell dries
And west’s no longer drowned
In winds that bring the fruit and rind
Of many a hundred falls;
Why silk is soft and the stone wounds
The child shall question all his days,
Why night-time rain and the breast’s blood
Both quench his thirst he’ll have a black reply (vv.1-9).53
L’impotenza razionale, l’incapacità per il poeta di fornire una spiegazione alle
forze oscure che governano il mondo, lo spingono a ripetere: “And I am dumb to tell
[...]”,54 in una delle sue prime poesie, The force that through the green fuse drives the
flower,55 che è scritta soltanto qualche mese dopo Why east wind chills. Il dilemma
qui annunciato, senza che ci sia una conclusione, caratterizza un po’ tutte le poesie di
Thomas. Si pensi, ad esempio, alla serie di domande che il poeta pone nel sonetto IV
di Altarwise by owl-light e che danno per scontato una risposta di impotenza da parte
della ragione umana:
What is the meter of the dictionary?
The size of genesis? the short spark’s gender?
Shade without shape? The shape of Pharaoh’s echo?
(My shape of age nagging the wounded whisper).
Which sixth of wind blew out the burning gentry?
(Questions are hunchbacks to the poker marrow).
What of a bamboo man among your acres?
Corset the boneyards for a crooked boy? (vv.1-8).56
La futilità del sapere rappresenta certamente uno dei temi più frequenti nella
prima stagione della poesia thomasiana. È proprio il senso dell’impotenza raziona-
53
“Perché levante gela e austro rinfresca / Non sarà conosciuto finché il pozzo del vento non dissecchi /
E l’ovest non resti più immerso / Nei venti che recano il frutto e la corteccia / Di centinaia di cadute; / Perché
la seta è soffice e la pietra ferisce / Il fanciullo si chiederà ogni giorno, / Perché pioggia notturna e sangue di
mammella / Tutti e due lo dissetano, avrà una nera risposta”.
54
“E sono muto per dire[...]”.
55
La poesia è datata 3 settembre 1933 in Buffalo Notebook ed è raccolta poi in Eighteen Poems.
56
“Qual è il metro del dizionario? / La misura Della genesi? Il genere della breve scintilla? / Ombra
informe? Forma dell’eco del Faraone? / (La mia forma d’età che molesta il bisbiglio ferito). / Quale sesto di
vento spense i brucianti possidenti? / (Le domande sono gobbe per il midollo dell’attizzatoio). / Che dire di
un uomo di bambù fra i tuoi acri di terra? / I recinti di ossa sono un busto per un ragazzo contorto?”
202
Gaetano Zenga
le che spinge Thomas a definire la sua poesia “due aspetti di un argomento irrisolto”:
è lo stesso dilemma senza sviluppo e senza risposta che, come è stato appena osservato, caratterizza tutte le poesie di Thomas.
Anche The hand that signed the paper (La mano che firmò il trattato),57 che
rappresenta una delle poesie più oggettive di Thomas, presenta la stessa visione di
quelle soggettive e personali: il senso dell’irrazionale, che qui caratterizza il destino
umano, visto nella prospettiva storica:
The hand that signed the paper felled a city;
Five sovereign fingers taxed the breath,
Doubled the globe of dead and halved a country;
These five kings did a king to death.
The mighty hand leads to a sloping shoulder,
The finger joints are cramped with chalk;
A goose’s quill has put an end to murder
That put an end to talk.
The hand that signed the treaty bred a fever,
And famine grew, and locusts came;
Great is the hand that holds dominion over
Man by a scribbled name.
The five kings count the dead but do not soften
The crusted wound nor stroke the brow;
A hand rules pity as a hand rules heaven,
Hands have no tears to flow.58
Per Thomas gli uomini che fanno questa storia sono un’umanità senza prospettiva di sviluppo che continuamente costruisce la propria caduta, una malvagia e
perversa macchina da guerra, una mano maledetta: “la mano che firmò il trattato”,
che “abbatté una città” e che “produsse una febbre”.
In questa visione pessimistica, la mano politica è quella stessa che, in The force
that through the green fuse drives my flower, compie simultaneamente due generi di
azioni opposte:
57
La poesia, che è datata 17 agosto 1933 in Buffalo Notebook, viene successivamente raccolta in TwentyFive Poems.
58
“La mano che firmò il trattato abbatté una città; / Cinque dita sovrane tassarono il respiro, / Raddoppiarono il globo dei morti e dimezzarono un paese; / Quei cinque re misero a morte un re. - La mano possente
conduce a una spalla sgimbescia, / Il gesso rattrappisce le giunture delle dita; / Una penna d’oca ha messo fine
all’omicidio / Che ha messo fine ai negoziati. - La mano che firmò il trattato produsse una febbre, / E la
penuria crebbe, e le locuste vennero; / Grande è la mano che ha dominio sull’uomo / Scarabocchiando un
nome. - I cinque re contano i morti, ma la piaga / Incrostata non curano, la fronte non carezzano; / Una mano
governa la pietà come una mano governa il cielo; / Dalle mani non scorrono lacrime”.
203
L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo
The hand that whirls the water in the pool
Stirs the quicksand; that ropes the blowing wind
Hauls my shroud sail (vv.11-13).59
Anche se la mano è vista come una forza impersonale, la poesia di Thomas
esorta sempre a ribellarsi contro di essa.
3. La fine della produzione giovanile
Nel 1939 Thomas pubblicò The Map of Love, il volume che in qualche modo
chiude la produzione giovanile e rappresenta l’indagine più complessa che Thomas
abbia mai svolto, in linea con quanto aveva scritto a Henry Treece in una lettera del
maggio del 1938: “Moltissima della mia poesia è, lo so, un’indagine e un terrore di
spaventose aspettative, uno scoprire e affrontare la paura. Contengo in me una bestia, un angelo e un pazzo, e la mia ricerca concerne la loro azione e la mia difficoltà
consiste nel loro soggiogamento e nella loro vittoria, negli abbassamenti e nei
sollevamenti, e il mio sforzo è la loro autoespressione [...]”.
L’idea della poesia come ‘indagine’ e ‘terrore’ di ciò che esplora è sempre più
frequente nella poesia thomasiana man mano che Thomas si avvicina agli uomini
del suo tempo. Le poesie di questo volume mostrano una drammatizzazione dell’itinerario individualizzato del poeta, del suo soliloquio, nel senso di coinvolgimento
di un’area più vasta di esperienza, dell’intento di iniziare a rivelare come il “me
stesso” sia i “me stessi”, vittime di una tragica realtà.60
Thomas si prefigge di raggiungere questo obiettivo senza ricorrere, però, ad
una semplificazione descrittiva del suo linguaggio che, in The Map of Love, rivela
il potere affascinante della parola e la capacità di imprimere alla plasticità delle immagini un forte movimento di continua progressione: è il ponte che il poeta costruisce tra le sue parole e gli oggetti naturali, tra sé e il mondo.
Consideriamo alcuni versi significativi di poesie di questo nuovo volume,
per capire in che modo il poeta cerca di stabilire un rapporto con la realtà esterna e
in quale direzione si muove il suo linguaggio:
Convenient bird and beast lie lodged to suffer
The supper and knives of a mood.
[...]
Camped in the drug-white shower of nerves and food,
Savours the lick of the times through a deadly wood of hair
[...]
59
“La mano che vortica l’acqua nello stagno / Muove le sabbie mobili; quella che imbriglia i venti /
Trascina la vela del mio sudario”.
60
Thomas rivela esplicitamente questo intento nei versi di apertura di Ceremony after a fire raid (Cerimonia dopo un bombardamento), poesia scritta nel maggio de 1944: “Myselves / The grievers / Greve /
Among the streets burned to tireless death” (vv.1-4) (“Me stessi / Coloro che piangono / Piangono / Fra
strade arse sui roghi di instancabile morte”).
204
Gaetano Zenga
Nor ever, as the wild tongue breaks its tombs,
Rounds to look at the red, wagged root.
[...]
Shall I, struck on the hot and rocking street,
Not spin to stare at an old year
Toppling and burning in the muddle of towers and galleries
Like the mauled pictures of boys?
The salt person and blasted place
I furnish with the meat of a fable (vv.3-21).61
The fingers will forget green thumbs and mark
How, through the halfmoon’s vegetable eye,
Husk of young stars and handful zodiac,
[...]
The whispering ears will watch love drummed away
Down breeze and shell to a discordant beach,
And, lashed to syllables, the lynx tongue cry
That her fond wounds are mended bitterly.
My nostrils see her breath burn like a bush (vv.2-10).62
Once it was the colour of saying
Soaked my table the uglier side of a hill
With a capsized field where a school sat still
And a black and white patch of girls grew playing;
[...]
The shade of their trees was a word of many shades
And a lamp of lightning for the poor in the dark;
Now my saying shall be my undoing,
And every stone I wind off like a reel (vv.1-14).63
61
I versi sono tratti da Because the pleasure-bird whistles (Perché l’uccello-trastullo fischietta): “Uccello e
bestia appropriati ospito a sopportare / La cena e i coltelli di uno stato d’animo.[...] Accampato nello scroscio
bianco-droga di nervi e di cibo, / Assapora la linguata del tempo attraverso un bosco mortale di peli.[…] E
mai, mentre la lingua selvaggia spezza le sue tombe, / Si gira a guardare la rossa radice agitata. […] Non dovrò
io, balenato sulla strada bollente e rollante, / Girarmi a fissare un vecchio anno / Sfasciarsi in fiamme in un
pasticcio di torri e gallerie / Come i disegni sgualciti dei fanciulli? / La persona di sale e il luogo maledetto / Io
vi imbandisco con la carne di una favola”.
62
I versi sono tratti da When all my five and country senses see (Quando i miei cinque e campagnoli sensi
vedranno): “Le dita scorderanno i verdi pollici e con l’occhio / Vegetale della luna dell’unghia indicheranno, /
Manciata di zodiaco e pula di giovani stelle, / […] I mormoranti orecchi vedranno trascinar via amore / Per brezza
e conchiglia a suon di tamburo verso una spiaggia dissonante, / E, affibbiata alle sillabe, la lincea lingua griderà /
Che sue ferite d’amore son rammendate da amarezza. / Le mie narici vedranno il suo fiato bruciare come un rovo.”
63
I versi sono tratti da Once it was the colour of saying (Una volta era il colore del dire): “Una volta era il
colore del dire / Il fianco più brutto di una collina inondò il mio tavolo / Con un campo capovolto dove
sedeva una scuola / E una toppa bianca e nera di ragazze cresceva giocando;[…] L’ombra dei loro alberi era
una parola dalle molte sfumature / E una lampada di fulmini per i poveri al buio; / Ora il mio dire sarà il mio
disfare / E ogni pietra svolgerò come un gomitolo”.
205
L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo
In the final direction of the elementary town
I advance for as long as forever is (vv.8-9).64
Questi esempi, anche se non sono i più complessi della poesia thomasiana,
mostrano vari tipi di uso linguistico, ‘romantico’ e insieme ‘metafisico-concettistico’,
in una unione che spesso viene interrotta nella stessa poesia che risulta divisa in
due, dando quasi l’impressione di voler rinunciare ad essere un tutto intero.
La difficoltà, per il lettore, di cogliere la poesia nella sua interezza non dipende soltanto dal variare continuo di questi usi, dai significati multipli del linguaggio,
ma anche e soprattutto dalla mancanza di uno spazio sociale e retrospettivo che, in
altri poeti, facilita la comprensione dell’unità anche per componimenti complessi.
Il fatto è che Thomas rifiuta ogni forma di retrospezione perché è fedele a ciò
che sta accadendo e non a quello che è già accaduto.
Inoltre, la maggior parte dei versi delle precedenti poesie mostrano un uso
continuo della sinestesia; si pensi alle dita che “indicano” (nel senso di vedono), alle
orecchie che “mormorano” e “vedono”, alle narici che “vedono” in When all my
five and country senses see, al dire che ha un “colore” in Once it was the colour of
saying. L’uso della sinestesia riflette la convinzione di Thomas che i sensi sono parte della mente, il corpo dell’anima, e mostra la sua avversione per una concezione
della poesia che separa la mente dai sensi. Per Thomas persino la distinzione dei
sensi rappresenta un’imposizione artificiale della razionalità.
Tuttavia, questo scompiglio dei sensi, anche se i sensi stessi assicurano una
percezione unificata del mondo esterno, non porta Thomas a considerarli un dominio assoluto come nella dottrina dei Simbolisti.
È significativo, infatti, che in When all my five and country senses see, Thomas
affronti la questione della limitata azione dei sensi. Essi possono osservare e toccare
tutta la realtà esterna, ma non possono da soli accedere al mistero dell’amore, poiché è il cuore “nobile” che riesce a trovare carponi la via dell’amore:
My one and noble heart has witnesses
In all love’s countries, that will grope awake;
And when blind sleep drops on the spying senses,
The heart is sensual, though five eyes break (vv.11-14).65
In questa direzione, non comunque di rinuncia al suo assorbimento nella
realtà organica, ma di riconoscimento della sua incapacità di fare ciò che gli è dovuto, Thomas si muove in How shall my animal (Come potrà il mio animale):66 come
64
I versi sono tratti da Twenty-four years (Ventiquattro anni): “ Nella direzione finale della città elementare / Io vado avanti per quanto è lungo il sempre”.
65
“Il mio unico e nobile cuore ha testimoni in tutte / Le contrade d’amore, che desti andranno carponi; /
E quando cieco sonno cada sui sensi spianti, / Il cuore è sensuale, anche se crepano cinque occhi”.
66
La poesia fu inviata a Vernon Watkins con una lettera del marzo 1938; fu raccolta, poi, in The Map of
Love.
206
Gaetano Zenga
in altre poesie di questo volume il poeta è interessato a drammatizzare il suo rapporto con l’esterno, con gli altri e questa volta lo fa con l’intenzione di sfruttare
l’energia che avverte in se stesso.
Infatti, l’animale della poesia è la porzione di energia elementare, creativa,
racchiusa nel cranio del poeta che soffre l’oppressione del “muro di sillabe” dell’intelletto, così l’animale, non potendo esprimere tutta la sua furia, è destinato ad una
morte lenta:
How shall my animal
Whose wizard shape I trace in the cavernous skull,
Vessel of abscesses and exultation’s shell,
Endure burial under the spelling wall,
The invoked, shrouding veil at the cap of the face,
Who should be furious,
Drunk as a vineyard snail, flailed like an octopus,
Roaring, crawling, quarrel
With the outside weathers,
The natural circle of the discovered skies
Draw down to its weird eyes? (vv.1-11).67
Nella terza strofa della poesia, Thomas espone con chiarezza il mito moderno della propria poesia, differenziandosi dai poeti contemporanei che, con il
pretesto dell’attualità lanciano un’ “aurea mollica” come esca, per pescare
“tritoni”,68 ossia artificiali figure mitologiche, mentre lui è impegnato nell’affannosa ricerca dell’ “animale caverna d’incantesimi” nella propria mente ed è addolorato perché lo vede morire nell’atto di afferrarlo con le mani:
Fishermen of mermen
Creep and harp on the tide, sinking their charmed, bent pin
With bridebait of gold bread, I with a living skein,
Tongue and ear in the thread, angle the temple-bound
Curl-locked and animal cavepools of spells and bone,
Trace out a tentacle,
Nailed with an open eye, in the bowl of wounds and weed
To clasp my fury on ground
And clap its great blood down;
[...]
[...] sly scissors ground in frost
67
“Come potrà il mio animale / La cui forma stregata rintraccio nel cranio cavernoso, / Vaso di ascessi e
guscio d’esultanza, sopportare / D’essere seppellito sotto un muro di sillabe, / Il velo funebre evocato sul
berretto del volto, / Lui che dovrebbe infuriarsi, ubriaco / Come lumaca di vigneto, flagellato come un polpo,
/ Che dovrebbe ruggire, andar carponi, litigare / Con le esterne intemperie, / Il cerchio naturale dei cieli
palesati / Abbassare all’altezza dei suoi occhi bizzarri?”
68
Secondo il Tindall i “pescatori di tritoni” sono gli altri poeti, in particolare Eliot e gli eliotiani (cfr:
TINDALL, op. cit.).
207
L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo
Clack through the thicket of strength, love hewn in pillars
drops
With carved bird, saint, and sun, the wrackspiked maiden
mouth
Lops, as a bush plumed with flames, the rant of the fierce eye,
Clips short the gesture of breath (vv.23-39).69
Infatti, alla ‘luce’ della razionalità, il magma dell’energia creativa si trasforma in fredda pietra:
Sigh long, clay cold, lie shorn,
Cast high, stunned on gilled stone [...] (vv.34-35).70
Di certo, la stessa personalità del poeta viene recisa dalle “furtive forbici affilate nel gelo”, la stessa creazione della poesia,71 metaforicamente rappresentata come
un pilastro sul quale è sbozzato amore e sono scolpiti gli emblemi dell’esistenza
umana e naturale, crolla e rimane soffocata.
How shall my animal può costituire la fondazione della poesia matura di Dylan
Thomas: la poesia vista come rito, per un verso celebrazione della limitazione della
condizione umana, per l’altro esaltazione del ruolo e della capacità dell’ “animale” del
poeta che può superare tale limitazione.
Un’attenta analisi di alcuni versi, già considerati, come “Ora il mio dire sarà
il mio disfare /E ogni pietra svolgerò come un gomitolo”, tratti da Once it was the
colour of saying e “Nella direzione finale della città elementare / Io vado avanti per
quanto è lungo il sempre”, tratti da Twenty-four years, mostra che anche essi possono essere metaforicamente riferiti alla poesia.
Infatti l’atto di dire, di scrivere significa invertire la direzione dell’esperienza
e del fare; e ancora, se il vivere si riduce soltanto ad un andare avanti chiusi in se
stessi per tutto il tempo che dura la vita, il finito ‘sempre’, l’unica libertà possibile
che rimane alla poesia di Thomas è di ripercorrere all’indietro l’itinerario intrapreso dalla persona fisica soggetta al dominio della morte. Infine, con l’atto di dipanare
come un gomitolo la pietra in cui si trasformerà il proprio animale, il poeta ricompone
incessantemente il gomitolo della vita e sconfigge incessantemente il dipanarsi del
gomitolo funesto della morte. Così la poesia stessa si muoverà anche ‘nella direzione finale della città elementare’, cioè verso una fine che è un principio.
69
“I pescatori di tritoni strisciano e arpeggiano / Sulla marea, tuffando il loro magico spillo ricurvo /
Innescato con aurea mollica; io con una viva matassa, / Lingua e orecchio nel filo, pesco nel pozzo / Dell’animale caverna d’incantesimi e d’osso fasciata chiusa da riccioli e tempie, / Scopro un tentacolo, afferrato / Con
l’occhio aperto, nella scodella di piaghe ed erbacce / Per stringere al suolo la mia furia / E abbattere il suo
nobile sangue.[…] Furtive forbici affilate nel gelo / Scattano nel boschetto della forza, l’amore sbozzato nei
pilastri / Crolla con sole, santo e uccello scolpiti, / La vergine bocca spinata d’alghe morte / Sfronda, come un
cespuglio piumato di fiamme, / L’enfasi dell’occhio feroce , taglia netto il gestire del fiato”.
70
“Sospira a lungo, fredda creta, giaci recisa, / Gettata in alto, tramortita sullo scoglio branchiato […]”.
71
Secondo il Tindall, il tema della poesia è la creazione poetica. (Cfr. TINDALL, op. cit.)
208
Gaetano Zenga
In The tombstone told when she died (La lapide diceva quando è morta),72
Thomas continua a portare avanti il suo disegno di coinvolgimento, come poeta, in
un’area di esperienza più vasta e di maggiore interesse per i suoi simili. Infatti, egli
mostra compassione e pietà per la storia bizzarra della sventurata protagonista mai
conosciuta: l’ingiustizia sofferta dalla “vergine sposa”, che la gente diceva fosse morta
vergine prima della notte del suo matrimonio e della sua consumazione, viene riscattata dal poeta con un atto di memoria paragonabile a quella di un “film accelerato”
proiettato su un “muro mortale”: la vita pietrificata della donna riprende, in tal modo,
a vivere afferrata al dipanarsi delle parole del poeta in un ritorno alla sua genesi.
Il ritorno in vita della donna, ormai pietrificata, agganciata al dipanarsi delle
parole del poeta ricorda il poeta che, in Twenty-four years, come è stato già osservato, ricompone il gomitolo della vita e sconfigge il dipanarsi del gomitolo funesto
della morte.
Per la sua esperienza immaginativa, The tombstone told when she died può
essere considerata una delle poesie più tipiche della tematica thomasiana, poiché,
anche se eliminassimo la vergine morta, rimarrebbe il solito schema delle prime
poesie thomasiane in cui una creatura non ancora nata vede come in un “film accelerato” proiettato sul “muro mortale” dell’utero materno il suo sudario di morte.
Fin dalla prima strofa, quando Thomas adulto si ferma allibito davanti ai due
cognomi della donna sepolta, si mette in moto il processo di regressione del poeta, il
film all’indietro che porta all’utero materno dove per la prima volta egli previde la propria morte.
L’intenzione di Thomas di servirsi del funzionamento della memoria del telescopio per collegare l’uomo agli altri esseri umani, in un tempo in cui sono simultaneamente presenti passato presente e futuro, si manifesta già nei primi lapidari versi di apertura:
The tombstone told when she died.
Her two surnames stopped me still.
A virgin married at rest (vv.1-3).73
Questi versi rappresentano lo sfondo che attiva il flusso della sequenza della
coscienza di un eterno presente. Infatti, la poesia si articola su uno schema temporale
che abbraccia contemporaneamente il poeta non ancora nato, la donna nel sepolcro, il
poeta adulto che la osserva, la donna sul letto di morte prima della consumazione delle
sue nozze, le dicerie raccolte dal poeta su quella sventurata donna e sulla sua vicenda.
La seconda strofa presenta Thomas adulto che può finalmente meditare sulla
tomba della povera donna, mentre con la memoria di un “film accelerato” rivive la
propria esperienza nell’utero materno:
72
La poesia fu inviata a Vernon Watkins con una lettera del settembre 1938 e fu poi raccolta in The Map of
Love.
73
“La lapide diceva quando è morta. / I due cognomi mi bloccarono. / Una vergine sposa dorme in pace”.
209
L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo
I who saw in a hurried film
Death and this mad heroine
Meet once on a mortal wall (vv. 21-23).74
Ora il poeta ode dalla stessa voce della donna, diffusa dall’uccello di pietra
suo guardiano, che la morte la fecondò:
I died before bedtime came
But my womb was bellowing
And I felt with my bare fall
A blazing red harsh head tear up
And the dear floods of his hair (vv.26-30).75
4. I cambiamenti della poesia thomasiana
Le poesie scritte successivamente a quelle raccolte in The Map of Love mostrano che la tematica si è ampliata, non insiste più sul quasi esclusivo motivo della
morte-in-vita trattato spesso in maniera astratta. Se questo motivo continua ancora
è tuttavia legato ad esseri umani realmente visti vivere o morire. Si pensi al gobbetto
del parco in The hunchback in the park (Il gobbetto del parco), al padre di Thomas
in Do not go gentle into that good night (Non andartene docile in quella buona
notte), al vecchio di cent’anni morto durante un’incursione all’alba in Among those
killed in the dawn raid was a man aged a hundred (Fra le vittime dell’incursione
all’alba c’era un uomo di cent’anni), alla bambina morta a Londra durante un bombardamento in A refusal to mourn the death, by fire, of a child in London (Rifiuto a
piangere la morte tra le fiamme d’una bambina di Londra). Thomas si muove ancora nella direzione di drammatizzare il proprio rapporto con l’esterno, con gli altri
che ora egli guarda con simpatia e persino con tenerezza.
È significativo che le ultime due, insieme con Ceremony after a fire raid,
(Cerimonia dopo un bombardamento) siano state scritte in occasione dei bombardamenti di Londra e presentino, quindi, il tema della morte legato all’avvenimento
storico della seconda guerra mondiale. Queste poesie, come altre scritte in questo
periodo, si caratterizzano certamente come critica della violenza e dell’orrore del
mondo in cui l’uomo moderno vive, ma anche come flusso di vita e di entusiasmo
umano. Si consideri, ad esempio, l’entusiasmo con cui Thomas celebra il sentimento dell’amore in This side of the truth (Questo lato della verità),76 dedicata al figlio
Llwelyn:
74
“Io che vidi in un film accelerato / La morte e questa folle eroina / Incontrarsi una volta sopra un muro
mortale”.
75
“Io morii prima dell’ora del letto / Ma il mio grembo muggiva / E io sentii nel mio nudo cadere / Una
rossa avvampante ruvida testa lacerarmi / E il caro flutto dei suoi capelli”.
76
La poesia fu inviata a Vernon Watkins il 28 marzo 1945, pubblicata in «Life and Letters To-day», XLVI,
(luglio 1945), 95 e raccolta in Deaths and Entrances.
210
Gaetano Zenga
And all your deeds and words,
Each truth, each lie,
Die in unjudging love (vv.34-36).77
L’amore rappresenta per il poeta un sentimento di fratellanza universale, in
cui vita e morte, illusione e realtà, tutti gli opposti sono ugualmente sacri e necessari
nell’ottica di una visione assoluta che si pone come totalità capace di assorbire e
neutralizzare ogni rottura e divisione.
Di certo, lo scoppio della seconda guerra mondiale e il bisogno di rivolgersi
ad un pubblico sempre più vasto produssero un cambiamento nella poesia di Thomas.
Infatti, anche se la sua tecnica compositiva non subì alterazioni notevoli, la sua
posizione nei confronti del mondo risultò meno solipsista.
Questo cambiamento è frutto di un processo consapevole che, come si è visto, è iniziato con The Map of Love e continuerà fino a Deaths and Entrances, il
volume pubblicato nel 1946, e a In Country Sleep, il volume pubblicato nel 1952.
Infatti, anche se negli anni ‘40 la morte era dappertutto e Thomas si era sempre
preoccupato per il paradosso nascita-morte, i suoi volumi The Map of Love, Deaths
and Entrances e In Country Sleep mostrano una grande serenità interiore. In queste
opere c’è un movimento verso la luce, e malgrado i temi tragici di alcune poesie, c’è
una sorta di alone di sacro splendore che si irradia in molte di esse e che inonda il
paesaggio dell’innocenza della fanciullezza, come in Fern Hill (Colle delle Felci):78
Now as I was young and easy under the apple boughs
About the lilting house and happy as the grass was green,
The night above the dingle starry,
Time let me hail and climb
Golden in the heydays of his eyes,
And honoured among wagons I was prince of the apple
towns (vv.1-6).79
Ora il poeta parla esprimendo la verità del suo cuore, e prega che questa
verità possa essere cantata, come fa in Poem in October (Poesia in Ottobre):80
O may my heart’s truth
Still be sung
On this high hill in a year’s turning (vv.68-70).81
77
“E ogni tuo atto o parola, / Ogni verità, ogni menzogna, / Muoiono nell’amore che non giudica”.
La poesia fu pubblicata la prima volta in «Horizon», XII (1945), 70 (ottobre); venne poi raccolta in
Deaths and Entrances.
79
“Quando ero giovane e ingenuo sotto i rami del melo / Presso la casa armoniosa e felice come l’erba era
verde, / La notte alta sulla valletta stellata, / Il tempo mi lasciava esultare e arrampicarmi / Dorato nel fulgore
dei suoi occhi, / E fra i carri ero il principe onorato delle città di mele”.
80
Inviata a Vernon Watkins il 30 agosto 1944; pubblicata in «Horizon», XI (1945), 62 (febbraio); raccolta
in Deaths and Entrance.
81
“O possa ancora la verità del mio cuore / Esser cantata / Su quest’alta collina al volgere di un anno”.
78
211
L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo
The author’s prologue (Prologo dell’autore), poesia scritta nell’agosto del 1952
e raccolta nei Collected Poems, contiene spunti importanti sul nuovo atteggiamento di Thomas verso la poesia e sulla propria evoluzione come poeta nel rapportarsi
con gli altri esseri umani.
Infatti, il poeta è Noè e la poesia è un’arca in cui il tutto è fatto entrare per
essere salvato dall’inondazione del tempo:
Hark: I trumpet the place,
From fish to jumping hill! Look:
I build my bellowing ark
To the best of my love
As the flood begins (vv. 42-46).82
Si può di certo affermare che il processo di trasformazione lento ma consapevole del poeta, già notato per le poesie della maturità, era compiuto poiché Thomas
giovane che in Ears in the turrets hear si chiedeva “Shall I let in the stranger? / [...]
Or stay till the day I die?” (vv.30-32)83 si trasformava nel “Noè della baia” che urla
al “regno” del suo “prossimo” di accorrere alla sua arca:
O kingdom of neighbours, finned
Felled and quilled, flash to my patch
Work ark and the moonshine
Drinking Noah of the bay (vv.19-22).84
È opportuno chiarire che le poesie della maturità non mostrano soltanto questa
metamorfosi del poeta e, come si è già visto, una grande serenità interiore, ma anche
un’evoluzione dello stile. Infatti, probabilmente alcune delle prime composizioni
di Thomas possono essere il risultato di automatiche associazioni verbali, ma la sua
poesia matura mostra un esigente senso dello stile e della struttura.
Come afferma, a ragione, il Fraser, in merito alla poesia matura: “Il suo segno
principale non è più una concisione oscura, un fitto impacchettamento di immagini, ma una scioltezza rapida e muscolare che ci fa ricordare talvolta un Hopkins più
rilassato, talvolta uno Swinburne più concentrato”.85
Inoltre, la poesia thomasiana, nel suo sviluppo, rivela la presenza di diversi
influssi letterari: l’influsso Blake-Wordsworth è evidente nella celebrazione della
fanciullezza come stato di innocenza e di grazia; l’influsso Donne-Lawrence-JoyceYeats nel concetto dell’amore totale e nella preferenza per l’emozione e per l’im-
82
“Udite, udite: con tromba io celebro il luogo / Dai pesci al colle balzante! Guardate: / Io costruisco la
mia arca muggente / Con tutto l’amore che posso, / Mentre il diluvio ha inizio”.
83
“Lascerò entrare lo straniero? [...] O resterò chiuso fino alla morte?”
84
“O regno del mio prossimo, pinnato /Villoso e pennuto, precipitati alla mia arca /Tutta toppe, e al Noè
della baia/ Che trinca chiaro di luna “.
85
George Sutherland FRASER, Dylan Thomas, London, Longmans, Green & Co., 1957.
212
Gaetano Zenga
pulso sulla ragione; l’influsso Donne-Herbert-Joyce-Eliot nell’uso del wit e nel
funzionale gioco di parole; e ancora l’influsso Keats-Hopkins nella sensualità. Tutti
cercano un Dio cristiano perduto, o un sostituto nella Natura e nell’Arte. Così fa
anche Thomas; la sua poesia è la registrazione di una ricerca che non si conclude
mai in maniera soddisfacente.
Sempre a proposito di influssi, la critica si è continuamente chiesta quale
ruolo avessero avuto sull’opera di Thomas le sue origini gallesi. Le risposte sono
state contrastanti o elusive finché John Ackermann non dimostrò l’importanza di
tali origini. Oltre a mettere in risalto l’influenza esercitata dalla comunità gallese,
dalla sua tradizione, dalla sua cultura, dalla lettura di poesie e prose gallesi tradotte,
il critico si sofferma sulle principali caratteristiche dell’antica poesia bardica, erede
di una profonda consapevolezza “del dualismo della realtà, dell’unità nella disparità, della simultaneità della vita e della morte, e del tempo come istante eterno piuttosto che come qualcosa con un passato e un futuro distinti: alla sua base, è un
senso di paradosso o, con termini leggermente diversi, una concezione paradossale
dell’esistenza”.86 Ackermann sfrutta argomentazioni molto persuasive per dimostrare i punti di contatto riscontrabili nella poesia di Thomas. “I caratteri distintivi
della sua opera - egli sostiene - sono le qualità liriche, lo stretto controllo formale,
una concezione romantica della funzione del poeta e un atteggiamento religioso nei
confronti dell’esperienza. Tutte caratteristiche condivise con altri scrittori anglogallesi”.87
A questo punto è necessario sottolineare che il successo della poesia di Thomas
è soprattutto un successo dello stile. La sua lingua è vigorosa ed eccitante; le sue
idee impressionano per l’intensità con cui vengono trasmesse. Thomas forgia una
nuova lingua, usando parole, frasi e grammatica che nell’insieme sono essenzialmente familiari in se stesse, ma vengono organizzate in maniera insolita. L’ambiguità, che scaturisce dal fatto che il poeta dà al nome concreto un significato astratto, viene continuamente ampliata perché egli non conserva quella relazione, ma la
varia secondo il contesto. E ancora, la musicalità del verso dipende dall’uso frequente dell’allitterazione e delle assonanze.
Una delle definizioni più calzanti della poesia thomasiana è certamente quella di Marcello Pagnini che ha saputo coglierne le caratteristiche più salienti affermando che la poesia di Dylan Thomas “è composta da miriadi di sensazioni, di
immagini, di ricordi, di pensieri, di stati d’animo, di atteggiamenti seri e tragici uniti
ad altri scherzosi, ironici e satirico-caricaturali”.88
Malgrado le ovvie differenze di stile e di tecnica, Thomas occupa un posto
importante accanto a Hopkins come uno dei più dotati ed originali innovatori della
lingua della poesia inglese moderna.
86
John ACKERMANN, Dylan Thomas. His Life and Work, London, Oxford University Press, 1964.
Ibid..
88
Marcello PAGNINI, Difficoltà e oscurità: Il linguaggio del modernismo in Franco MARENCO (a cura di),
Storia della civiltà letteraria inglese, Torino, Einaudi, 1996, 3 voll.: vol. III.
87
213
214
Attività della biblioteca
215
216
Gabriella Berardi
La sezione “Immagini e suoni”
della Biblioteca Provinciale di Foggia
Questioni catalografiche
di Gabriella Berardi
1. Introduzione
Lo scorso novembre la Giunta provinciale di Foggia ha approvato le Linee
guida per l’aggiornamento dei servizi della Biblioteca provinciale “la Magna Capitana”. Si è trattato di un evento importante dal momento che per la prima volta
dopo il 1967, quando fu discusso il progetto relativo alla nuova sede della Biblioteca, la parte politica ha adottato un atto generale e di indirizzo che vincola l’Amministrazione e la Biblioteca in un progetto per la cui realizzazione sono previsti almeno dieci anni. Questo ambizioso percorso intende portare la Biblioteca Provinciale a diventare, attraverso l’ibridazione di documenti e servizi, da luogo di studio
a centro di in/formazione, conoscenza e svago.
In questo contesto di riorganizzazione e di ampliamento dei servizi e delle
raccolte, la sezione “Immagini e suoni” ha un ruolo di punta. Inizialmente pensata
come mediateca, cioè come luogo in cui consultare documenti multimediali, la sezione è stata rimodellata in base anche alle nuove tendenze biblioteconomiche. Tramontata l’idea di un settore che gestisse tutti i documenti multimediali indipendentemente dal contenuto a favore della presenza degli stessi in tutti i settori a fianco degli
strumenti tradizionali, “Immagini e suoni” si è venuta configurando come una sezione con collezioni specializzate in ambito musicale e cinematografico.1
La costituzione del nuovo settore ha implicato, oltre a problemi relativi alla
definizione del profilo bibliografico, questioni legate alla pratica catalografica. La
catalogazione dei manifesti cinematografici e dei documenti sonori ha infatti comportato una approfondita ricerca e verifica di quanto stesse accadendo a livello nazionale per le esigenze di uniformità che guidano questo lavoro.
1
Per la fisionomia dettagliata del settore, cfr. Linee guida per l’aggiornamento dei servizi bibliotecari della
Magna Capitana, Foggia, 2002, pp. 25-27, in cui si precisa che “la sezione “Immagini e suoni” ospiterà prevalentemente documenti relativi al cinema, alla musica, allo spettacolo, all’informazione radiotelevisiva: sia audiovisivi che cartacei. Sarà l’equivalente in sedicesimo della sezione “Musica e film” della biblioteca dell’Aja o
della sezione “Immagine e suono” della nuova biblioteca di Francia”.
217
La sezione “Immagini e suoni” della Biblioteca Provinciale di Foggia
2. I manifesti cinematografici
Per quando riguarda la catalogazione dei manifesti cinematografici il confronto ha avuto come riferimento la Cineteca di Bologna,2 il Museo del cinema di
Torino e la Scuola nazionale di cinema.
La catalogazione di questi supporti ha offerto anche la possibilità di applicare concretamente i principi contenuti nei Functional requirements for bibliographic
records (FRBR),3 dal momento che propedeutica è stata l’individuazione dell’opera, evitando l’equivoco possibile di intendere il manifesto come espressione dell’opera filmica. In questo secondo caso, infatti, si sarebbero attribuite ai manifesti le
responsabilità relative ai film in essi rappresentati con una descrizione bibliografica
del seguente tipo:
Follia scatenata /regia Charles Lederer. - [S.l. : s.n.], 1951 (Firenze : Zincografica). - 1
manifesto : color. ; 34x49 cm. ((Interpreti: Lew Ayres, Laraine Day, Basil Rathbone)).
con la variante degli interpreti in area 1 come ulteriore formulazione di responsabilità. Da un’impostazione di questo tipo sarebbe derivata anche una formulazione
dei punti di accesso che avrebbe considerato il regista, ed eventualmente gli interpreti, come legame autore. In questo modo però sia dal punto di vista descrittivo
che da quello degli accessi un manifesto non avrebbe presentato differenze significative rispetto alla videocassetta o al dvd o alla bobina del rispettivo film, se non per
l’area della descrizione fisica. L’estensione del fondo (circa 40 mila manifesti) e la
volontà di costruire intorno a questa dotazione una sezione specializzata hanno
fatto propendere per scelte diverse, connotate da una maggiore specificità e attenzione verso il manifesto come prodotto insieme grafico e cinematografico. Questa
volontà, come accennavamo in precedenza, è stata confortata dal punto di vista
teorico dalle conclusioni di FRBR. Alla luce di questa impostazione il manifesto è
considerato opera derivata rispetto al film, e dunque oggetto di un trattamento
catalografico specifico in quanto frutto dell’attività intellettuale e artistica non di
un regista o di un produttore, ma di un grafico: come opera a sé stante è infatti stata
creata da un autore diverso rispetto all’opera cinematografica. Fatta questa necessaria premessa si è poi passati alla sua traduzione nella pratica catalografica. Di supporto in questo caso è stata la Guida alla catalogazione di bandi, manifesti e fogli
2
I manifesti della Cineteca di Bologna sono disponibili nell’OPAC del Polo bolognese SBN all’indirizzo
http://opac3.cib.unibo.it/opac/sebina/aubo/fFormSelezione?lingua.x=ita
3
Cfr. INTERNATIONAL FEDERATION OF LIBRARY ASSOCIATIONS AND INSTITUTIONS : STUDY GROUP ON THE
FUNCTIONAL REQUIREMENTS FOR BIBLIOGRAPHIC RECORDS, Requisiti funzionali per record bibliografici: rapporto
conclusivo, Roma, Iccu, 2000. FRBR stabilisce con un modello E/R entità/relazione “uno schema per correlare
i dati che vengono registrati in record bibliografici ai bisogni degli utenti”. Per quanto riguarda i prodotti
dell’attività artistica e intellettuale, FRBR individua quattro livelli: opera, espressione, manifestazione, item.
Una introduzione al tema è contenuta in: Carlo GHILLI-Mauro GUERRINI, Introduzione a FRBR, Milano,
Editrice bibliografica, 2001.
218
Gabriella Berardi
volanti4 dell’ICCU. Pur nella diversità di oggetto, la Guida infatti si occupa delle
pubblicazioni stampate a partire dal secolo XV aventi caratteristiche simili al libro
antico, il metodo indicato è quello della trascrizione di tutti gli elementi presenti
nel documento. Tranne la formulazione di responsabilità (il grafico), e gli elementi
dell’area della pubblicazione, tutte le altre informazioni vanno a far parte dell’area
del titolo, separate le une dalle altre da un punto seguito da spazio (.). La descrizione del manifesto dell’esempio precedente è quindi:
Follia scatenata. Lew Ayres, Laraine Day, Basil Rathbone, regia Charles
Lederer. Esclusività DCN, Distribuzione cinematografica nazionale. - [S.l. :
s.n.], 1951 (Firenze : Zincografica). - 1 manifesto : color. ; 34x49 cm.
Per quanto riguarda i punti di accesso, le intestazioni formali riguardano il
nome del grafico, il luogo di pubblicazione o di stampa e l’editore o stampatore. Il
legame con il film di cui il manifesto è opera derivata viene formalizzato in due modi:
se il film è posseduto dalla biblioteca alla descrizione del prodotto grafico sarà creato
un accesso per titolo di raggruppamento non controllato (codice B)5 relativo al titolo originale del film, a sua volta legato alle varianti del titolo e al regista. In caso
contrario oltre all’accesso appena indicato si effettuerà un legame di codice RA (è
raffigurato/raffigura) tra il manifesto e il film stesso. Nell’esempio in questione, la
Biblioteca provinciale non possiede la pellicola cinematografica, e quindi la descrizione bibliografica è legata con il titolo originale del film Fingers at the window, a sua
volta legato con il titolo in italiano Follia scatenata e con il regista Charles Lederer.
Passando agli accessi semantici ai manifesti viene attribuita la classe Dewey
secondo lo stesso principio stabilito per i libri e gli altri supporti relativi al settore
Immagini. All’interno della classe 791.43 (Cinema) vengono aggiunte le suddivisioni standard relative al luogo e al periodo del film, nel caso in esame 791.4309730917
CINEMA. Stati Uniti. 1933-1945. In questo modo sotto la stessa notazione di classe è possibile reperire tutti i documenti, indipendentemente dal supporto e dal genere, relativi alla cinematografia di un determinato luogo in un determinato periodo. Infine, come già accennato in predecenza, la volontà di fare di questa sezione un
settore specializzato ha portato all’esigenza di indicizzare anche il fatto grafico in
sé creando un accesso anche per le immagini rappresentate sul manifesto. A questo
scopo è venuto in soccorso il sistema Iconclass. Si tratta di un sistema di classificazione per la ricerca iconografica e la documentazione delle immagini sviluppato da
Henri van de Waal, professore di storia dell’arte all’Università di Leiden, a partire
dagli anni ’50. Oggetti, persone, eventi, situazioni e idee astratte che possono essere
oggetto di una immagine sono organizzati in dieci divisioni principali, all’interno
4
ISTITUTO
CENTRALE PER IL CATALOGO UNICO DELLE BIBLIOTECHE ITALIANE E PER LE INFORMAZIONI
BIBLIOGRAFICHE,
Guida alla catalogazione di bandi, manifesti e fogli volanti, Roma, Iccu, 1999.
Per le liste dei codici citati, cfr. ISTITUTO CENTRALE PER IL CATALOGO UNICO DELLE BIBLIOTECHE ITALIANE E
PER LE INFORMAZIONI BIBLIOGRAFICHE, Guida alla catalogazione in SBN. Pubblicazioni monografiche, Pubblicazioni in serie, Roma, Iccu, 1995.
5
219
La sezione “Immagini e suoni” della Biblioteca Provinciale di Foggia
delle quali, con un percorso gerarchico dal generale al particolare, si può raggiungere il livello di specificità richiesto per l’immagine rappresentata con l’attribuzione
di un codice alfanumerico. In Italia riferimento per la traduzione e lo studio del
sistema Iconclass è l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD).
Un contatto diretto con i referenti del progetto ha portato al chiarimento di alcune
questioni: il sistema Iconclass viene utilizzato soprattutto nei Musei, nelle Facoltà
di storia dell’arte e in genere in tutte quelle istituzioni che posseggono e hanno la
necessità di indicizzare immagini principalmente dell’arte figurativa. Tuttavia a livello sperimentale e d’accordo con l’Istituto la Biblioteca provinciale di Foggia ha
deciso di adottare il sistema Iconclass per indicizzare le immagini della grafica, con
l’intenzione di proporre il lavoro all’esame dell’ICCD come contributo ad uno
studio di fattibilità per estendere i campi di applicazione di Iconclass. Il manifesto
in esame ha quindi i seguenti indici Iconclass:6
49G42 Visita al malato in ospedale
44G511 Assassino
La scheda è completata da un link al manifesto.
6
Gli indici sono stati attribuiti in base a Iconclass libertas edition in italiano presente su Internet al sito:
http://www.iconclass.nl/libertas/ic?task=getnotation&datum=start&style=index.xsl&taal=it
220
Gabriella Berardi
Localizzazioni: Provinciale La Magna Capitana
Manifesto-Locandina
Litografia
Immagine Sciolta
Descrizione ISBD:
*Follia scatenata. Lew Ayres, Laraine Day, Basil Rathbone, regia Charles
Lederer. Esclusività DCN, Distribuzione cinematografica nazionale. - [S.l. :
s.n.], 1951 (Firenze : Zincografica). - 1 manifesto : color. ; 34x49 cm.
Stampatore:
Zincografica
Classificazioni:
D 791.4309730917 CINEMA. Stati Uniti. 1933-1945
I 49G42 Visita al malato in ospedale
I 44G511 Assassino
Altri titoli:
Titolo Originale
Fingers at the window
Regista:
Lederer, Charles
Altro Titolo
Follia scatenata
Luogo di pubblicazione:
FIRENZE
3. I documenti sonori
Costitutiva della sezione “Immagini e suoni” è la ricca dotazione di materiale musicale. Si tratta principalmente di musica sinfonica e operistica per un totale di
6712 documenti divisi in 2058 cd e 4654 opere in vinile. La catalogazione di questo
materiale ha comportato il confronto con una tradizione catalografica già consolidata nel settore della musica a stampa, mentre per i documenti sonori non esistono
ancora delle regole accettate a livello nazionale, ma pratiche di lavoro in base allo
standard ISBD per il materiale non librario7 e alle Regole di catalogazione
angloamericane (Aacr2).8 A livello nazionale il confronto è avvenuto con istituzioni del calibro della Discoteca di Stato e del Conservatorio “G. Verdi” di Milano. Da
7
INTERNATIONAL FEDERATION OF LIBRARY ASSOCIATIONS AND INSTITUTIONS, ISBD(NBM) : International
standard bibliographic description for non-book materials, Roma, AIB, 1989.
8
Cfr. Regole di catalogazione angloamericane: seconda edizione, revisione del 1988, Milano, Editrice
bibliografica, 1997, in particolare il capitolo 25 dedicato ai titoli uniformi.
221
La sezione “Immagini e suoni” della Biblioteca Provinciale di Foggia
questi contatti è emerso che da più parti è sentita l’esigenza di una standardizzazione della pratica descrittiva di supporti relativamente moderni come quelli rappresentati dai documenti sonori, e a tal fine è stato avviato un gruppo di lavoro a cui
partecipano le maggiori istituzioni nazionali. L’impasse è costituita dal fatto che
quello che dovrebbe essere l’ente capofila, la Discoteca di Stato, non utilizza un
software compatibile con il Servizio bibliotecario nazionale, con tutti i problemi di
comunicazione che ne conseguono. Intanto le realtà bibliotecarie più avanzate hanno elaborato delle proprie norme interne, avanzando delle proposte di catalogazione in SBN.9 Le più autorevoli e quelle dotate di maggiore longevità catalografica
sono le norme interne elaborate dai bibliotecari musicali del Conservatorio di Milano Fiorella Pomponi, Massimo Gentili Tedeschi e Agostina Zecca Laterza nel
dicembre del 1992. Per quanto riguarda la descrizione bibliografica molti sono i
punti in comune con le regole di catalogazione in SBN per il libro moderno.10 Le
formulazioni di responsabilità vengono riportate nel seguente ordine: compositore, solista, orchestra, direttore. Difficoltà sono sorte per l’area della pubblicazione
quando si è trattato di individuare l’editore. Spesso, infatti, compaiono due indicazioni di editore (es. Emi italiana e La voce del padrone), una delle quali spesso è una
multinazionale. In genere in questo secondo caso il nome è accompagnato da un
numero che andrà inserito come numero di marca editoriale accompagnato dal nome
in questione (Emi italiana), in descrizione come editore in area 4 andrà l’altra dicitura (La voce del padrone). Particolare attenzione è stata prestata ai punti di accesso, dal momento che questi consentono il recupero della notizia e la navigazione tra
una notizia e l’altra. Fondamentale per la musica è il titolo uniforme (codice A) che
è l’intestazione principale di un’opera. Un titolo è uniforme quando è controllato
su uno dei seguenti repertori:
Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti (DEUMM)
The new Grove dictionary of music and musicians
Die Musik in Geschichte und Gegenwart: Allgemeine Enzyklopädie der Musik
(MGG)
Il titolo uniforme viene sempre collegato al nome del compositore. In questo
modo allo stesso titolo sono legate, utilizzando nuovamente la terminologia FRBR,
tutte le espressioni e le manifestazioni di un’opera. Ad esempio al titolo uniforme
‘Sinfonie, n. 3, op. 55, mi bemolle minore, Eroica’ sono legate tutte le esecuzioni
possedute dalla biblioteca, indipendentemente da quale sia il titolo dell’opera ri-
9
Cfr. su tutte Giuliana BASSI, Audioregistrazioni (cd musicali): analisi delle problematiche e proposta di
catalogazione in SBN, disponibile all’indirizzo internet: http://proxy.racine.ra.it/racine/allegati/provincia/
catalogazionemusica.pdf
10
Al riguardo gli stessi bibliotecari del Conservatorio di Milano per tutte le questioni relative soprattutto
all’area del titolo e della formulazione di responsabilità rinviano a: ISTITUTO CENTALE PER IL CATALOGO UNICO
DELLE BIBLIOTECHE ITALIANE E PER LE INFORMAZIONI BIBLIOGRAFICHE, Guida alla catalogazione in SBN. Pubblicazioni monografiche, pubblicazioni in serie, Roma, ICCU, 1995.
222
Gabriella Berardi
portato sul disco e quale sia la lingua usata. Nell’OPAC della Magna Capitana i
documenti legati al suddetto titolo sono i seguenti:
[Long playing]*Sinfonia n. 3 in mi bem. magg. op. 55 : Eroica / Ludwig van
Beethoven ; Columbia Symphony Orchestra ; diretta da Bruno Walter. - [New
York] : CBS, p1973. - 1 disco son. : 33 1/3 rpm, stereo ; 30 cm.
[Long playing]*Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55: Eroica / L. van
Beethoven ; Orchestra Filarmonica di Berlino : direttore: Wilhelm Furtwängler. - Milano : Fabbri, [1978]. – 1 disco son. (50 min. 36 sec.) : 33 1/3 rpm,
stereo ; 30 cm.
[Long playing] *Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55 : Eroica / L. van
Beethoven ; Orchestra Sinfonica di Berlino; diretta da Arthur Rother. - [Roma]
: Curcio, [1982?]. - 1 disco son. (48 min. 59 sec.) : 33 1/3 rpm, stereo ; 30 cm.
[Long playing]*Symphonie nr. 3 Es-dur op. 55 : Eroica / Ludwig van
Beethoven ; Berliner Philharmoniker ; Dirigent: Herbert von Karajan. [Hamburg] : Deutsche Grammophon, p1962. - 1 disco son. : 33 1/3 rpm,
stereo ; 30 cm.
Tra l’altro, essendo il titolo uniforme comune anche allo spartito di un’opera,
una ricerca avrebbe come risultato musica a stampa e documenti sonori. Sulla formulazione del titolo uniforme riferimento imprescindibile sono le Aacr2. Una volta creata la notizia bibliografica ad essa viene fornito un accesso anche per forma ed organico sintetico secondo i codici in uso. Tutte le responsabilità intellettuali ed artistiche
contenute in descrizione sono oggetto di legame e qualificate con il ruolo svolto. Il
software di catalogazione utilizzato, Sebina vers. 4.3.2, consente infatti di qualificare
la responsabilità specificando se si tratti di un compositore, direttore d’orchestra,
strumentista, orchestra, etc. Inoltre, viene creato un legame anche con i dati relativi al
luogo e al momento della registrazione o esecuzione dell’opera, se presenti. Dal punto di vista semantico a tutte le opere viene attribuita una notazione Dewey.
Infine una precisazione strettamente relativa al software utilizzato. Il Sebina
ha una struttura modulare anche per quanto riguarda la catalogazione. Questo significa che al momento dell’immissione dei dati bisogna scegliere se inserire la notizia in uno dei cinque moduli presenti: libro moderno, libro, antico, audiovisivi,
grafica, musica. Spesso le biblioteche che fanno parte del Servizio bibliotecario nazionale catalogano i documenti su supporti diversi dal libro nel modulo libro moderno, aggiungendo un codice di genere (es. archivio elettronico, registrazione sonora, videoregistrazione, etc.). Nel caso della Biblioteca Provinciale di Foggia, per
le esigenze di specializzazione più volte ricordate in precedenza, si è preferito utilizzare il modulo grafica per i manifesti cinematografici e il modulo audiovisivi per
le registrazioni sonore. Questa scelta, pur non consentendo di condividere i dati
con l’Indice, è stata dettata dalla maggiore specificità del lavoro catalografico ottenuta con i moduli specifici per le tipologie di materiale trattate.
223
224
Francesco Giuliani
La voce dei libri
Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo
di Francesco Giuliani
1. Un Fondo emblematico
In libris veritas. Cosa c’è di più significativo di una biblioteca? È un luogo
strategico, centrale, che funge da cartina al tornasole degli interessi culturali di una
collettività, di una famiglia, di un singolo individuo. Quando parliamo di biblioteca, infatti, ci riferiamo sia a quelle pubbliche, nazionali, provinciali o comunali che
siano, sia a quelle private, ed in particolare a quelle di famiglia, al patrimonio di testi
ordinato negli scaffali di una libreria a muro o ammassato in qualche stanza di servizio, magari in un ripostiglio.
Le statistiche parlano di una nazione nella quale si legge sempre meno, proprio mentre, d’altra parte, esistono in commercio delle collane di testi economici,
talvolta anche di buona fattura, che rendono disponibili alla stragrande maggioranza delle persone le opere fondamentali della nostra tradizione e gli strumenti indispensabili per conoscere il passato e per esaminare criticamente il presente.
Ma i dati, a ben pensarci, nascondono anche altri lati oscuri, se si considera
che non tutti i libri acquistati vengono letti, specie quelli comperati per un regalo,
in una qualsiasi occasione, che finiscono da qualche parte, talvolta senza nemmeno
essere aperti.
Per non parlare, poi, delle tante pubblicazioni di nessun valore, raffazzonate
da qualche ‘negro’ di redazione e mandate in giro con la firma dell’attore o del
cantante del momento, per meri fini speculativi.
Si tratta di problematiche ormai note agli osservatori. Uno degli alibi che
talvolta si sente ripetere è quello della mancanza di spazio nelle abitazioni: i libri
sono ingombranti, mentre l’appartamento è piccolo. Finisce, così, che lo spazio
viene ritagliato per una tavernetta dove fare bisboccia, per una mansarda, ma non
certo per uno scaffale appena decente.
Forse anche per questo, come forma di reazione, non manca un certo ritorno
di interesse verso la bibliofilia, verso i libri antichi e rari, che hanno trovato in Internet
un importante ed insperato alleato, vista la grande presenza di siti specialistici accessibili per via telematica.
Dall’esame di una libreria familiare o personale è facile comprendere quanto
sia vivo e profondo l’amore per la cultura, quali ambiti siano preferiti, se si tratta di
225
Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo
testi organicamente acquistati o ammassati alla rinfusa, se la passione per il libro
continua o si è spenta da tempo. I libri parlano in modo fin troppo eloquente, talvolta persino troppo, mettendo allo scoperto anche certi lati che ognuno preferirebbe tenere nascosti.
Quando si tratta di scrittori, poi, l’esame delle biblioteche fornisce delle informazioni anche sulla genesi e sui caratteri delle opere letterarie, non a caso sfruttate da molti critici nei loro studi e oggetto di specifiche pubblicazioni. Si pensi,
solo per fare un esempio, ai testi sulla dotazione libraria di Verga o di Carducci o
sui volumi a disposizione del giovane Leopardi a Recanati.
La rilevanza e la significatività di una biblioteca erano in passato probabilmente maggiori, considerata la generale difficoltà di accesso alle informazioni, in
un’epoca ben diversa dalla nostra.
Di certo, in ogni caso, lo studio del “Fondo Fraccacreta”, che è poi l’argomento del nostro saggio, offre una preziosa fonte di notizie su di una famiglia ragguardevole e su di un poeta come Umberto Fraccacreta, ma anche su di un ambiente provinciale, tra Ottocento e Novecento, in una fase di cruciali trasformazioni.
La famiglia Fraccacreta ha dato alla nazione varie personalità, che hanno operato sia a livello locale che nazionale, nel campo politico, culturale ed economico.
Un merito che ha trovato un autorevole riscontro nel 1997, quando il ponderoso
Dizionario biografico degli Italiani, edito dalla Treccani, giunto al quarantanovesimo
volume, ha dedicato tre schede ad altrettanti personaggi, a partire dallo storico Matteo
Fraccacreta, l’autore dell’importante Teatro topografico, di cui, a distanza di molti
anni dai volumi ottocenteschi e dalla continuazione del 1974, sembra essere imminente la pubblicazione delle restanti rapsodie inedite, che permetteranno di completare questo grande, pur se alquanto confuso, affresco storico della nostra terra.
Più recente è l’economista Angelo, rettore dell’Università di Bari e docente a
Napoli, studioso di orientamento liberale, splendida figura di docente e di uomo, i
cui libri sono almeno in parte conservati presso la Biblioteca Provinciale di Foggia,
in un apposito Fondo.
L’ultimo Fraccacreta al quale è stato dedicato un articolo nel Dizionario è
Umberto, cugino di Angelo, noto anche come “poeta del Tavoliere”. A lui e al suo
ramo familiare è appartenuto il Fondo Fraccacreta, che ha preso la strada della Biblioteca Comunale “Minuziano” di San Severo.
Umberto è un personaggio che alle giovani generazioni è poco noto, ma che
ha goduto di una buona notorietà in vita, che è andata poi progressivamente diminuendo, specie in concomitanza, nel secondo dopoguerra, con la fine di quel mondo agreste a lui caro, presente in vari volumi di poesia, che rappresentano però solo
una parte di una ragguardevole produzione in versi, alla quale si aggiungono delle
pregevoli traduzioni.
È bene ricordare che la produzione poetica del Fraccacreta copre il periodo
che va dal 1929, anno della pubblicazione dei Poemetti, fino alla sua prematura
scomparsa.
Umberto Rodolfo Carlo Fraccacreta, nato a San Severo il 29 giugno 1892, è
226
Francesco Giuliani
un privilegiato, vista la sua appartenenza ad una famiglia benestante, istruita e ben
in vista nella cittadina dauna, ma la sua esistenza non fu particolarmente felice: un
difetto cardiaco, in particolare, lo convincerà a rinunciare al matrimonio, ponendo
i suoi rapporti sotto il segno della precarietà.
Educato con ogni cura dalla famiglia, esperto e abile pianista, conosce alla
perfezione le lettere classiche, perfezionandosi nello studio dell’inglese e del tedesco, che affiancava al francese.
Dopo aver ottenuto il diploma nel Liceo di Lucera, si trasferisce a Roma,
dove si laurea in Legge, in ossequio alla volontà del padre, e nel 1922 prende anche
la cittadinanza romana, che manterrà fino al 1929. Nei suoi progetti c’era una vita
nella capitale, ma già nel 1923, di fronte alla malattia del genitore, si era reso necessario il suo impegno nella cura dei beni di famiglia, e così dovette giocoforza piegare il capo.
Questa circostanza diventerà, letterariamente, il richiamo della Terra, che si
insinua nel profondo dell’anima; né per questo rinunciò a viaggiare, utilizzando
quelle guide turistiche che si ritrovano nella sua biblioteca personale, ma il poeta
dovette coesistere con il “conduttore in proprio di azienda agricola”, come specificato nella sua scheda dai meticolosi dipendenti comunali di San Severo, con l’attento e parsimonioso curatore del patrimonio familiare.
L’uomo inquieto e malinconico, che non nutriva alcuna passione per la legge,
a differenza del padre, attraversa negli anni Venti un non facile periodo di crisi e di
assestamento, che lo porterà alla certezza del proprio ruolo di poeta, dopo le prime
prove giovanili, e della dignità artistica della propria terra, mai celebrata nei versi,
eppure così caratteristica e significativa.
Un approdo che doveva guidare Umberto nel suo cammino, cercando di allontanare l’ansia che era dentro di lui, quell’insoddisfazione che lo prendeva di fronte
alla precarietà e all’inquietudine dei giorni.
Di qui il desiderio di raccontare le vicende della sua terra, nei Poemetti, editi
dalla Zanichelli con la prefazione di Manara Valgimigli, già suo docente al Liceo di
Lucera. La sua vena lo porta a unire quadri e momenti della vita cittadina o agreste,
come ne Il Pane, che consta di settecento endecasillabi sciolti.
In quest’opera ritroviamo la ciclicità della natura e della vita umana: la scena
si apre dopo un raccolto infelice e percorre tutte le fasi dell’anno agricolo, fino alla
vigilia di una nuova mietitura, questa volta ricca di soddisfazioni. La fede nella
Terra diventa tutt’uno con la fede in Dio, così come il pane quotidiano allude al
nutrimento dell’anima.
La natura, vivificata dalla luce di Dio, fornisce l’antidoto al negativo, e il
poeta si soffermerà ancora su questo mondo e sui suoi valori positivi, nei Nuovi
Poemetti del 1934, dove spiccano altre ampie e significative composizioni, come La
strada d’erba, di cinquecento endecasillabi, che descrive l’incontro, sotto gli occhi
del Padre celeste, del mondo contadino, ancora fiorente, e del mondo pastorale, in
decadenza.
La poesia della terra aveva dei modelli, ovviamente, nel cui solco egli si pone,
227
Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo
da Virgilio a Pascoli, portando con sé gli amati autori romantici, ma trovando una
sua dimensione, una sua via personale, che gli permette di evitare le cadute nel
prosastico e nel manierato.
Il poemetto, così, racconta le vicende di questo lembo di Puglia, con le sue
dure fatiche, le sue opere e i suoi giorni, i suoi pellegrinaggi, le sue tradizioni, le sue
certezze, le sue gioie sentimentali, i suoi amori, senza mai rinunciare alla mediazione letteraria, senza mai andare sui righi e stonare.
Il fascino di questi versi, incentrati su di una civiltà contadina che da realtà
quotidiana si è trasformata, per noi posteri, in un riferimento culturale, in un
ineludibile legame con le nostre radici, ci appare oggi più che mai vivo.
D’altra parte, la storia dell’uomo è fatta di sentimenti e realtà eterni, gli stessi
che sostanziano l’arte del Nostro.
Il piacere di soffermarsi sulle avventure dei suoi personaggi si ritrova anche
in Amore e Terra, del 1943, dove spicca L’Oliveta, rievocazione della storia d’amore di Oliveta e del pastore abruzzese Gildo, coronata dal lieto fine matrimoniale.
Il gusto del poemetto si affianca, come in Pascoli, ai momenti più lirici dei
canti, compresi in Elevazione, del 1931, e questo ci porta a ricordare la varietà dell’arte del Nostro, che ha una sua evoluzione, attestata, tra l’altro, dalle bellissime
liriche d’amore comprese nei Motivi lirici del 1936, dove domina il senso della labilità
della vita umana e dello stesso amore.
Il conoscitore dell’animo femminile dà qui delle superbe prove, mentre appaiono sempre più chiare, sia pure in un contesto profondamente fraccacretiano, le
suggestioni dannunziane, che domineranno nelle liriche di Antea, nel 1942. In altri
modi, il poeta cerca la stessa evasione inseguita nel mondo pugliese.
Gli anni di guerra vedranno la pubblicazione di Vivi e morti, nel 1944 e, in
seconda edizione accresciuta, nel 1945, con i loro momenti di commossa meditazione, che si posa su rovine e defunti, senza mai indulgere all’odio o alla faziosità, e
soprattutto, senza rinunciare ad una speranza soffusa di certezze cristiane.
Nel 1945, poi, nei versi di Sotto i tuoi occhi, che formano una collana di sonetti, sale in primo piano il dolore per la morte della madre, Angiolina Sassi, così
presente nella sua vita.
Di qui agli Ultimi canti, apparsi postumi nel 1948, il passo è breve, con la
decantazione lirica che precede la scomparsa, che segna un punto di arrivo. Si pensi
alle limpide descrizioni di Azzurro, dove si mettono a confronto la distesa del Lario
lombardo e la verde Puglia, le barche sul lago e le greggi che si incamminano per il
tratturo.
Il volume pubblicato dalla Laterza si trasforma, a dispetto delle intenzioni,
in un omaggio alla memoria del poeta da poco scomparso, che non vede nemmeno
pubblicate le tre composizioni pascoliane che aveva tradotto su richiesta del suo
vecchio docente di latino e greco a Lucera, Manara Valgimigli.
Il moreto, Il Gallo morente e A Re Vittorio nel cinquantenario dell’Italia
liberata sono in prosa, secondo le disposizioni ricevute, per livellare quanto più
possibile i contributi dei vari e autorevoli collaboratori, e attestano ancor oggi le
228
Francesco Giuliani
straordinarie doti di traduttore del Fraccacreta, in grado di offrire una prosa chiara,
elegante e precisa, in cui anche i passaggi più complessi diventano sciolti ed espliciti.
I Carmina pascoliani sono un punto di riferimento per tanti classicisti che
guardano anche alla letteratura italiana; nel corso degli anni si sono avute varie altre
traduzioni, ma quelle di Fraccacreta restano un punto fermo, amplificando la grandezza del Pascoli latino. Il suo maestro dovette esserne compiaciuto, ritrovando in
queste pagine lo sviluppo coerente di quell’ottimo allievo del lontano anno scolastico 1908-09.
Fraccacreta, però, è un autore che non finisce di stupire, e così, di recente, tra
le sue carte, sono stati scoperti anche due racconti, Le inseparabili e La signora
Giovanna, che dovevano presumibilmente rientrare in un volume, progettato e mai
realizzato, anche se annunciato a più riprese, dal titolo Racconti della mia terra.
In queste due composizioni, la terra dauna, sempre presente, pur se mai nominata esplicitamente, rivela la sua capacità di trasformarsi in occasione artistica, in
spunto per realizzare delle pagine di non comune valore, che si ricollegano, per il
loro gusto delle minute descrizioni, all’alveo del Verismo. Di certo, anche in quest’ambito lo scrittore rivela il possesso delle non comuni qualità evidenziate nei
suoi volumi di versi.
E veniamo adesso più direttamente alle vicende del “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo, che si comprendono meglio proprio alla luce dei dati
sulla vita di Umberto.
Rimasto celibe per le sue precarie condizioni di salute, come si è detto, a
causa di quel cuore che in effetti doveva tradirlo, fermandosi per sempre, dopo
alcuni funesti avvertimenti, nel 1947, il poeta lasciò come eredi i fratelli, che gli
sopravvissero per alcuni decenni. Essi amministrarono le proprietà familiari, curando anche la realizzazione di un premio nazionale di poesia intitolato allo scomparso, tenutosi a San Severo, nel 1953 e nel 1957, di notevole prestigio.
Basta ricordare che nel 1953 la giuria era composta da Manara Valgimigli,
Antonio Baldini, Maria Bellonci, Francesco Piccolo e Pasquale Soccio, mentre il
premio andò a padre David Maria Turoldo; nel 1957, invece, si affermano Vittore
Fiore e Gaetano Arcangeli, le cui opere sono state di recente ripubblicate, con grande risalto da parte della critica.
Umberto conservava diligentemente tutti i suoi libri e le sue carte, con una
non comune meticolosità, che al fondo rivelava, oltre che un habitus mentale, anche la speranza che qualcuno potesse in futuro occuparsi di lui. Proprio il materiale
di archivio, tra l’altro, sia pur noto solo in parte, ha ormai alzato un velo discreto
sui suoi amori, locali e non, scartando ogni altra ipotesi intorno al suo status di
celibe.
Il poeta ha conservato la sua fitta corrispondenza con personaggi della cultura nazionale e straniera, specie francese, ma anche le versioni manoscritte e
dattiloscritte dei suoi lavori, che sono utilissime in chiave filologica, permettendoci
di seguire l’iter della composizione, a partire dai primi abbozzi e dalle prime stesure, utilizzando quella sua inconfondibile grafia, insieme minuta e chiara; non man229
Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo
cano, poi, gli articoli che lo riguardano, ricevuti attraverso l’«Eco della stampa», e
persino le pagelle e i quaderni scolastici, che confermano, tra l’altro, la precocità e la
profondità dei suoi interessi culturali.
I libri e le carte sono rimasti a lungo in custodia dei fratelli, ed in particolare
di Augusto, che a Roma è stato direttore generale del Ministero dello Spettacolo.
Egli ha avuto degli spiccati interessi culturali, concretizzatisi tra l’altro in alcune
pubblicazioni risalenti agli anni Trenta, sul brigantaggio, sul monastero romano di
Santa Maria in Campo Marzio e sul viaggiatore italiano cinquecentesco Girolamo
Benzoni, che ha esplorato le coste e le isole dell’America.
A quest’ultimo, in particolare, ha dedicato un libro, edito a Roma nel 1939,
presso la Tipografia Terme, intitolato Alcune osservazioni su l’ “Historia del Mondo Nuovo” di Girolamo Benzoni. Oltre a ciò, ha scritto anche vari articoli culturali,
apparsi su testate come «La Gazzetta del Mezzogiorno».
Augusto scompare nel 1980, a 77 anni, ultimo superstite dei fratelli di
Umberto.
Comincia così una fase di transizione. Negli anni successivi, la parte del
palazzotto dei Fraccacreta, prima abitata dal ramo del poeta, nel cuore del centro
storico sanseverese, viene messa in vendita, non senza rammarico da parte di chi,
all’epoca, aveva auspicato un ruolo attivo dell’Amministrazione Comunale, in modo
da acquisire l’immobile per creare un museo. Così non è stato, purtroppo, ma i libri
e i documenti, dopo alcune vicissitudini, sono stati donati dagli eredi di Augusto
alla città di San Severo.
All’inizio degli anni Novanta, pertanto, numerosi sacchi pieni di documenti
e circa cinquemila volumi varcavano le soglie della biblioteca cittadina, evitando i
deprecabili scempi e le dispersioni che spesso si accompagnano a simili trapassi.
L’esperienza insegna che troppe volte i libri, in caso di vendita o di divisioni
ereditarie, vengono considerati un peso, finendo per essere ceduti per pochi soldi a
qualche intraprendente commerciante o per essere abbandonati alle tarme. Il lieto
fine di San Severo è tutt’altro che una regola.
Il 30 dicembre 1992, nell’interno del complesso di San Francesco, che ospita
la Biblioteca e il Museo, viene inaugurata, dal direttore Benito Mundi, una sala
intitolata ad Umberto Fraccacreta.
In seguito, si è proceduto ad una verifica sommaria del materiale cartaceo,
con una divisione di massima, concentrandosi sulla catalogazione e sulla sistemazione dei volumi, che oggi sono a disposizione degli studiosi, nella sala intitolata al
poeta.
Il cammino di questi testi si è dunque concluso nel migliore dei modi, rappresentando un patrimonio per l’intera collettività, oltre che una benemerenza per
la famiglia Fraccacreta.
I libri si sono aggiunti a quelli appartenuti ad altri nobili personaggi, che
hanno permesso, in tempi diversi, con la loro sensibilità verso il prossimo, alla cultura di diffondersi più facilmente, senza eccessivi ostacoli.
Alcuni di questi benemeriti sono diventati familiari ai fruitori della bibliote230
Francesco Giuliani
ca, che leggono il loro nome impresso sulle pubblicazioni donate. Ricordiamo su
tutti il lascito del sacerdote Salvatore Nittoli, di Teora, nell’avellinese, un dotto
docente, che negli anni Settanta dell’Ottocento venne a San Severo ad insegnare
nell’appena costituito Ginnasio, su raccomandazione del grande critico Francesco
De Sanctis, che per anni era stato deputato di San Severo.
Nittoli nel 1880 fondò un importante convitto privato; la sua biblioteca contava alcune migliaia di volumi e molti testi, giunti nella “Minuziano”, sono passati
tra le mani degli studenti e degli uomini di cultura sanseveresi.
2. L’avvocato e il poeta
Nell’inventario del “Fondo Fraccacreta” i testi schedati sono precisamente
4.489, ai quali però si devono aggiungere altri opuscoli e testi di miscellanea, superando così le cinquemila unità.
La loro nuova disposizione, dietro vetri trasparenti, permette di osservarne
l’ottimo stato di conservazione, di valutarne i pregi anche estetici, di riconoscere
alcuni nuclei tematici ben sviluppati. Ma com’erano disposti all’origine? Un altro
volume, con uno scritto di un testimone d’eccezione, ci permette di rispondere con
esattezza a questa domanda:
Poi c’erano i libri, moltissimi: una doviziosa biblioteca giuridica di rappresentanza (il padre del poeta era stato avvocato, ed anche lui aveva una laurea in
legge), e poi un grande scaffale in cui il padre, che aveva avuto curiosità filosofiche, aveva raccolto una straordinaria collezione di Gesammelte Schriften di
tutti i filosofi tedeschi del primo Ottocento: Fichte, Schelling, Hegel,
Schleiermacher, Herbart, Schopenhauer, ben rilegati in pergamena, sfilavano
sotto gli occhi insieme con Kant, come in un manuale. A consumarli non bastava una vita intera. Così la grande biblioteca del poeta, prevalentemente letteraria e filologica, aveva trovato gli spazi già occupati e si era ristretta dietro le
vetrate di un grande armadio a muro, mentre il grosso era stato sistemato al
piano superiore, nelle stanze di servizio.1
Il passo di Casiglio è straordinariamente preciso, più di una fotografia, e sottrae al subdolo passare del tempo dei particolari per noi preziosi, riandando ad
ambienti che, malgrado l’impressione di solida imponenza che suggerivano al visitatore, non hanno più la disposizione originaria.
Lo studioso ricorda anche che l’amore per il libro non era una prerogativa
dei Fraccacreta, ma era condiviso da altre famiglie abbienti e colte della zona, che
univano così, aggiungiamo noi, l’utile al dilettevole, sancendo il loro status di pro-
1
Nino CASIGLIO, Umberto Fraccacreta nel suo tempo, in Francesco GIULIANI, L’Eterno e il Transitorio,
San Severo, Fratelli Notarangelo, 1990, p. 71.
231
Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo
fessionisti e di possidenti e insieme coltivando il loro desiderio di conoscenza, che
si indirizzava talvolta anche verso ambiti particolari, come vedremo proprio a proposito del “Fondo Fraccacreta”.
Comunque, in casa Fraccacreta si manifestava una viva sensibilità per questo
indispensabile strumento di trasmissione culturale e Casiglio rimarca tra l’altro
“l’istintiva eccezionale cura del poeta nel ben trattare i libri evitando di sgualcirli”.2
I testi del Fondo, che in generale non presentano ex libris o segni di appartenenza (in non molti casi si trovano delle dediche a Michele, Umberto e Augusto
Fraccacreta), si concentrano nel periodo che va dalla seconda metà dell’Ottocento
alla prima metà del Novecento.
Siamo di fronte alla tipica biblioteca di una famiglia borghese, che univa l’esercizio della libera professione (nello specifico, riferendoci a Michele, di avvocato),
all’amministrazione delle terre e delle proprietà di famiglia.
Osservando l’elenco, non troviamo incunaboli o cinquecentine (il che si spiega,
dal momento che non risulta che la biblioteca abbia subito delle asportazioni, semplicemente con il fatto che non ci sono mai stati), e solo in due casi risaliamo a
prima dell’Ottocento (il testo più antico è rappresentato dalle Praelectiones del
Whiston, stampato a Londra nel 1726).
Quanto ai libri più recenti, si trovano anche volumi editi dopo la morte di
Umberto, nel 1947, e in qualche caso sono persino successivi alla scomparsa di
Augusto, l’ultimo dei fratelli, nel 1980.
Il grosso, però, rinvia al periodo prima individuato e pone in evidenza il ruolo dell’avv. Michele Fraccacreta (1852-1925), un personaggio che doveva nutrire
non poche curiosità intellettuali. Il figlio Umberto ci ha parlato di lui come di un
uomo concreto e pratico, valente avvocato, che impose al poeta di seguire studi
giuridici, come ricorda lo stesso Umberto: “Terminato con la licenza d’onore il
liceo, il babbo volle che scegliessi la facoltà di legge di Roma, per non so più quale
via che avrei dovuto prender dopo”.3 Ma, come sappiamo, il diploma restò in un
cassetto e il genitore non mancò di esprimere la sua contrarietà verso le scelte letterarie del figlio, come spesso avveniva e avviene in simili casi.
Le parole di Umberto, d’altra parte, esprimono con molta chiarezza il distacco con il quale guardava a quel momento della sua vita.
Non c’è bisogno di essere degli esperti di psicoanalisi per pensare che
Umberto, nel profondo dell’animo, dovette nutrire una forma di risentimento, più
o meno inconscia, che lo porterà a sentirsi molto più vicino alla sensibilità della
madre, Angiolina Sassi, con cui vivrà fino alla scomparsa. Non a caso il primo libro,
i Poemetti, sarà dedicato alla genitrice e solo il terzo, i Nuovi poemetti, al padre, e
per giunta in memoria.
2
3
Nino CASIGLIO, Umberto Fraccacreta…, cit., p. 72.
Carlo GENTILE, Poesia di Umberto Fraccacreta, Foggia, Società Dauna di Cultura, 1956, p. 47.
232
Francesco Giuliani
Alla luce, però, del “Fondo Fraccacreta” e della stessa testimonianza di
Casiglio, l’avv. Michele si interessò anche di filosofia, oltre che di legge, di speculazioni intellettuali, oltre che del vasto patrimonio fondiario di famiglia, che fu poi
curato da Umberto, dopo la sua malattia.
Dunque qualcosa trasmise al poeta anche il concreto avvocato pugliese, che
doveva conoscere il tedesco, spingendo poi anche Umberto a fare altrettanto, perfezionandosi alla scuola di Giuseppe Antonio Borgese, l’autore di Rubè; in caso
contrario, Michele non avrebbe potuto trarre alcun insegnamento da quegli austeri
volumi ottocenteschi, che oggi si ritrovano negli scaffali del “Fondo Fraccacreta”,
già di per sé ardui da leggere.
Gli eleganti testi coprono anche altri periodi, oltre a quello ricordato nella
testimonianza sopra citata di Casiglio, come nel caso dei volumi di Leibnitz, e non
sono solo di argomento filosofico. Sono largamente presenti, infatti, con imponenti
raccolte, anche le opere di Lessing, Goethe, Schiller e Heine.
Da alcune etichette si deduce che queste pubblicazioni erano almeno in parte
acquistate a Napoli, presso la Libreria Detken & Rocholl, in Piazza del Plebiscito.
La presenza di opere in tedesco, senza dubbio, rappresenta una delle note
caratterizzanti della dotazione libraria dei Fraccacreta.
Umberto, tra l’altro, già nei Poemetti premette delle citazioni in lingua da
Heine (in L’assiolo), un autore caro tra gli altri al Carducci, e da Beethoven (in
L’appassionata), con una scelta che rivelava il suo profondo legame con certi autori
germanici; ne Il rapsodo, poi, nei Nuovi poemetti, sarà la volta di Goethe.
Per rimanere nell’ambito filosofico, nella stessa elegante veste spiccano anche delle opere di Vico e di Rosmini. In francese (ma ci spostiamo al primo decennio del Novecento, tra il 1907 e il 1908) sono invece i sei volumi del Cours de
philosophie positive, di Auguste Comte, in un’edizione identica alla prima del 1830,
e non manca anche una traduzione in lingua d’oltralpe di un celebre libro di
Schopenhauer, Le Monde comme volonté et comme representation, in tre tomi, edito
in seconda edizione a Parigi, dal 1893 al 1896.
Né sono trascurati i maestri del periodo greco, a partire da Platone.
Gli interessi filosofici dell’avv. Michele, insomma, lo portano ad allestire una
biblioteca molto fornita. Umberto ebbe delle buone conoscenze in quest’ambito,
ma gli interessi letterari furono senz’altro predominanti. Comunque, non dovette
avvertire il bisogno di acquisire altri testi, visti i tanti già a disposizione.
Centinaia di volumi del Fondo, e non poteva essere diversamente, sono legati alla professione di avvocato del padre di Umberto. Troviamo raccolte ponderose,
dalla Giurisprudenza italiana edita a Torino dall’UTET (i volumi presenti vanno
dal 1866 al 1889) ai molti tomi del Répertoire méthodique et alphabétique de
législation de doctrine et de jurisprudence, a firma di Désiré Dalloz, con il Supplément
di M. Dalloz, i cui diciannove volumi coprono l’arco dal 1887 al 1897, fino al
Commentario alle Pandette di Federico Gluck, edito a Milano.
Non mancano alcuni libri di Luigi Zuppetta, giurista e più volte onorevole
del collegio di San Severo (del 1867 è il Testo del progetto del codice penale della
233
Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo
Repubblica di San Marino compilato dal prof. Zuppetta nel 1859 e convertito in
codice penale, stampato a Napoli) e di altri studiosi ottocenteschi e primo
novecenteschi, dal Laurent al Vidari, dal Lomonaco al Mattirolo e al Vignali.
Scontata la presenza dei codici e degli altri ‘ferri del mestiere’, che Michele
dimostrò di saper usare con competenza e con i quali Umberto dovette pur fare i
conti, prima di ottenere la sua laurea in legge, senza dimenticarli neppure dopo,
quando si troverà ad amministrare i fondi familiari.
Si incontrano, inoltre, dei volumi di economia, disciplina nella quale eccelleva il cugino di Umberto, Angelo, rettore dell’Università di Bari e docente a Napoli.
Di lui abbiamo i lavori più importanti, Il movimento operaio nell’agricoltura francese, del 1907, che riporta una dedica allo zio Michele, La trasformazione degli
impieghi di intrapresa, del 1920, che è il suo lavoro di maggiore impegno, e il bellissimo Le forme del progresso economico in Capitanata, del 1912, anch’esso, in una
delle due copie presenti, fornito di una dedica all’avvocato Michele.
Notevole è la Raccolta delle più pregiate opere moderne italiane e straniere di
economia politica, diretta da Gerolamo Boccardo, stampata a Torino, di cui vengono acquistati i primi dieci volumi, alcuni in più tomi.
Malgrado i suoi chiari interessi, Michele non lasciò scoperto il settore storico
e letterario della sua biblioteca. Come tanti, ad esempio, condivise la passione per
Felice Cavallotti e molto presente con le sue opere è anche Giulio Carcano, di cui si
procurò le traduzioni da Shakespeare, edite dalla Hoepli.
Il letterato, ovviamente, è Umberto e il catalogo del Fondo, tenendo conto
delle presenze come delle assenze, ci permette anche di fare alcune considerazioni
sui suoi interessi personali e sui caratteri della sua opera di scrittore.
Ad esempio, nel dattiloscritto scritto nel 1936, in occasione di una conferenza tenuta a Parigi, alla Sorbona, sulla sua opera, Umberto lamenta il fatto che i suoi
primi versi, alla fine degli anni Dieci, non abbiano avuto una buona accoglienza:
“Ne riparlai ai miei maestri: niente da fare, imperversava il futurismo”.4
Forse il termine “futurismo” viene usato in senso lato, contrapponendosi
alla sua formazione classica, al suo prudente atteggiamento di fronte alle sperimentazioni d’inizio secolo, ma sta di fatto che non c’è alcuna opera di Marinetti e dei
suoi rumorosi collaboratori nella sua biblioteca, a conferma di un giudizio che restò nel tempo negativo e che, d’altra parte, non era peregrino. Erano lontani i tempi
che dovevano rendere, come oggi avviene, i testi futuristi delle ricercate rarità sul
mercato antiquario, pagati a caro prezzo.
Anche su Pirandello la sua valutazione si mantenne negativa: “Tutto quanto
di impoetico e di dissonante si ritrova nella scrittura del grandissimo siciliano suonava per il Fraccacreta come qualcosa di stridente, di disarmonico, di prosaico”.5
Tra i libri del Fondo, di conseguenza, ci sono solo due opere, edite dalla Bemporad,
4
5
C. GENTILE, Poesia di Umberto Fraccacreta… cit., p. 48.
CASIGLIO, op. cit., p. 73.
234
Francesco Giuliani
l’Enrico IV, in un’edizione del 1928, e Come prima meglio di prima, del 1929. Né
valse, a quanto si può dedurre, a fargli cambiare idea il conferimento del premio
Nobel allo scrittore siciliano, nel 1934.
In questo giudizio si sentiva vicino a quello di Benedetto Croce, il maestro
per eccellenza dell’epoca, al quale nel 1919 aveva mandato delle liriche, ricevendo
una cartolina di risposta in cui, come racconta lo stesso Umberto, il filosofo affermava che le aveva trovate “molto pregevoli per semplicità e garbo, come ormai fatte
rarissime!”.6
Fraccacreta ricercò sempre un colloquio disteso con il lettore, al di là di ogni
possibile forma di cerebralismo, e in poesia non amò l’Ermetismo. Nel Fondo mancano autori come Montale e Ungaretti, la cui fama sarebbe cresciuta nel secondo
dopoguerra; sta di fatto, però, che i testi dei poeti appena citati non sono entrati a
far parte della biblioteca neanche dopo la morte di Umberto.
Scontato, sul fronte delle presenze, il gran numero di testi carducciani, con
numerosi testi dall’edizione delle Opere apparsa a cavallo tra Ottocento e Novecento, comperati evidentemente dal genitore. Questo dovette dissuadere Umberto
dall’acquistare dei volumi dalla nuova Edizione nazionale, realizzata nel Ventennio,
dal 1935 al 1940.
In compenso, però, ci sono tre edizioni diverse della fortunatissima Antologia carducciana del Mazzoni e del Picciola, del 1909, 1921 e 1955, e non manca
neppure la biografia del pugliese Michele Saponaro, Carducci, del 1940.
Comprensibile la presenza dell’amato Pascoli, anche se i cinque titoli attestati (tra cui, in due copie, le Poesie curate dal Pietrobono) non sono direttamente
proporzionali all’importanza che il Romagnolo ebbe per Fraccacreta. Vari sono i
libri di d’Annunzio, amato soprattutto nella sua produzione matura, e non manca
un titolo del crepuscolare Gozzano (I primi e gli ultimi colloqui, ed. definitiva,
Treves, 1928), al quale pure Umberto doveva guardare con una certa simpatia, per
certe innegabili consonanze di ispirazione.
Per sanare alcune lacune, il Nostro acquista opere di Boccaccio (prima nemmeno presente nella biblioteca di famiglia), Cellini, Chiabrera, Goldoni, Carlo Gozzi
e vari altri, nella Collezione di classici italiani dell’UTET. Presta attenzione a Parini
ed a Machiavelli, con una particolare considerazione per Fogazzaro, presente nel
Fondo con undici titoli. Non c’è dubbio che il vicentino sia stato un autore caro ad
Umberto, che possiede due edizioni di Miranda e segue la sua evoluzione nel romanzo fino all’approdo narrativo di Leila.
Di Verga, invece, sono attestati solo tre romanzi giovanili, Tigre reale, Una
peccatrice e, non a caso, in due edizioni diverse, Storia di una capinera, l’ipersentimentale romanzo epistolare che in passato ha goduto di una grande considerazione
presso i lettori e che anche di recente ha ispirato un film di Zeffirelli; mancano le
6
GENTILE, op. cit., p. 48.
235
Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo
opere maggiori, quelle della stagione verista, a partire da I Malavoglia e da Vita dei
campi, sulle quali dovette comunque meditare, vista la sua esperienza di autore di
racconti, alla quale abbiamo accennato.
Il raffinato traduttore dei Carmina pascoliani, profondo conoscitore delle
lingue classiche, ha, com’è logico attendersi, a disposizione numerosi testi di letteratura latina e greca, di cui fece buon uso, insieme a vari vocabolari. Scontata, per
l’italiano, la presenza dei sette tomi del Tommaseo-Bellini e del Novo dizionario di
Policarpo Petrocchi, nell’edizione in un volume del 1906 e in quella in due tomi del
1931 (noto, tra l’altro, anche per la preferenza, in Novo, per la forma monottongata).
Né mancano le enciclopedie, come la Nuova Enciclopedia Italiana ovvero
Dizionario generale di scienze, lettere, industrie, ecc., edita dall’UTET e diretta dal
Boccardo (è presente la sesta edizione, in 26 tomi, compresi l’indice e le tavole,
edita dal 1875 al 1888).
3. Curiosità, viaggi e antologie
In questa solida e fornita biblioteca borghese si trovano, dunque, testi di base
come anche volumi specialistici.
Le biblioteche parlano, lo abbiamo detto all’inizio, e ci permettono anche di
rispondere a varie curiosità spicciole.
Ad esempio, possiamo chiederci quanti siano i libri che Umberto Fraccacreta
possedeva del suo maestro Valgimigli. Non moltissimi: si tratta di tre titoli, due di
traduzioni dal greco e uno di memorie, Uomini e scrittori del mio tempo, nell’edizione del 1943 (sarà riproposto, aumentato, nel secondo dopoguerra, nel 1965).
L’altro maestro, Ezio Levi, è presente con due opere, inviategli negli anni Trenta.
Sei sono invece i testi del filologo Francesco Piccolo, docente universitario e
per un periodo anche preside della facoltà di Magistero di Roma, conosciuto sin dai
tempi del liceo, a Lucera.
I due, nati entrambi nel 1892, mantennero dei buoni rapporti, improntati a
reciproca stima, e Piccolo partecipò alle commemorazioni del 1947 in memoria del
Fraccacreta, oltre a far parte della giuria del premio intitolato al suo nome.
Un altro personaggio di spicco, Tommaso Fiore, inviò ad Umberto la seconda edizione de La poesia di Virgilio, nel 1946, con relativa dedica.
A testimonianza dei rapporti e della stima che ebbe per Giambattista Gifuni,
direttore della Biblioteca comunale di Lucera, restano quattro testi di storia, che
vanno dal 1930 al 1942.
Il Fondo contiene pure opere di autori locali, alcuni di non facile reperimento,
sanando delle lacune esistenti nella biblioteca “Minuziano”. Del sanseverese Giuseppe Marchese, così, si conservano le Noterelle filosofiche. Dell’amore e del dolore di
Giacomo Leopardi, del 1898, pubblicate in occasione del primo centenario della nascita del Recanatese, caratterizzato, com’è noto, da un notevole fiorire di iniziative.
Marchese è un personaggio rimarchevole anche per essere stato uno dei rari allie236
Francesco Giuliani
vi meridionali di Giosuè Carducci, all’Università di Bologna, con il quale si è laureato
in Lettere, discutendo, nel 1896, una tesi sulla Sofonisba del Trissino, data alle stampe
l’anno dopo, presso lo Stabilimento Tipografico Zamorani e Albertazzi della città felsinea.
In seguito si avviò all’insegnamento, chiudendo la sua carriera come preside
di vari istituti superiori.
Di Vincenzo De Girolamo si conserva il volume Profili e studi letterari, del
1894. Egli è stato un abile e raffinato stampatore, che ha legato il proprio nome a
numerose pubblicazioni, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, ma si è
distinto anche come uomo di cultura, pubblicando dei saggi, tra l’altro, sulla «Rassegna Pugliese», e come giornalista pubblicista.
Del direttore didattico Felice Colapietro c’è una pubblicazione intitolata La
scuola del popolo e la sua riforma, stampata a San Severo nel 1896.
Non poteva mancare un classico della storiografia dauna come le Memorie
storiche della città di Sansevero, di Francesco de Ambrosio, apparso nel 1875, un
testo che, per la sua rilevanza, ha avuto anche delle recenti ristampe anastatiche;
stranamente, però, dell’avo Matteo, lo storico, mancano i cinque tomi ottocenteschi,
mentre è presente solo il sesto, edito nel 1974.
Nella prima metà del Novecento l’abitudine di viaggiare era molto meno
diffusa rispetto ai nostri giorni, com’è facile comprendere, e l’orizzonte della maggioranza delle persone era limitato alla propria città ed alle zone limitrofe.
Umberto, però, era celibe ed aveva dei sufficienti mezzi economici, cogliendo questa preziosa opportunità per ampliare i propri orizzonti. Di qui, dunque, a
partire dal 1919, le varie Guide del Touring Club, che nel Ventennio assunse per un
certo periodo il nome di Consociazione Turistica Italiana, e i volumi di argomento
storico-turistico.
I viaggi non furono limitati solo all’Italia, come dimostra il suo passaporto,
rinvenuto nel Fondo cartaceo, e una delle mete preferite dovette essere la Francia,
patria della poetessa Yvonne Lenoir, che tradusse nella sua lingua i Poemetti, che
diventano, nel 1935, i Chants d’Apulie. Tre anni dopo sarà la volta di Pierre de
Montera, che pubblicherà Deux poèmes d’amour, un testo che trasporta nella lingua d’oltralpe quasi tutti i dolcissimi e malinconici Motivi lirici del 1936.
Sembra che la Lenoir abbia avuto una relazione con il Nostro. Di certo, degli
intensi rapporti tra i due ci restano nel Fondo cinque titoli in francese della donna,
relativi agli anni Trenta.
Fraccacreta conosceva, attraverso l’«Eco della Stampa», tutto quello che si
scriveva di lui, conservando con cura le varie recensioni. Allo stesso modo, anzi a
maggior ragione, nella biblioteca serbava copia dei libri che accennavano alla sua
opera di poeta. È il caso del Novecento di Alfredo Galletti, nella Storia letteraria
d’Italia della milanese Vallardi, un importante volume, ristampato più volte, di cui
Umberto possiede la seconda edizione, rivista ed aumentata, del 1939.
Il Galletti accosta il Fraccacreta ad Umberto Saba, considerandoli dei modelli positivi di una poesia che contempera tradizione e modernità, evitando l’oscurità
per instaurare un proficuo colloquio con il lettore.
237
Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo
Anche Lionello Fiumi, nel suo Parnaso antico, che contiene saggi sui poeti
italiani del Novecento, si ricorda del pugliese; il testo è pubblicato a Genova nel
1942, dalla Casa Editrice Emiliano degli Orfini.
Il nome di Umberto compariva anche sul Chi è? Dizionario degli italiani
d’oggi, e nella biblioteca si conserva l’edizione del 1940, stampata a Roma.
Non mancano neppure le antologie che includono i suoi brani. Negli anni
Trenta e Quaranta, gli studenti delle scuole medie inferiori, accanto alle liriche di
Carducci, Pascoli e di altri poeti di spicco, potevano ritrovarsi a studiare e ad imparare a memoria anche dei versi del Fraccacreta, e questa esperienza è stata più volte
ricordata da studiosi e da estimatori dei versi del Nostro.
Voli d’aquila è un testo scolastico che si rivolge agli studenti delle medie
inferiori ed è curato da Arturo Avelardi e Luigi Papandrea, per i tipi della casa
editrice Sandron. Nel 1937 l’antologia è alla sua quinta edizione e contiene un’ampia scelta di liriche: Natale di pastori abruzzesi in Puglia, Inverno, Il gelsomino, La
tomba d’oro, Purificazione, Nevicata, La canzone dell’olio e La canzone del
viandante (brani de Il Pane si incontravano anche in Romània, a cura degli stessi
professori, che ha avuto più edizioni nello stesso periodo, destinata agli studenti del
ginnasio superiore e del primo anno del Liceo scientifico).
Del 1940 è invece Palme, di cui il poeta ha conservato due copie, compilata
da Luigi Bonaccorsi, per gli studenti delle medie inferiori, edita sempre dalla Sandron.
Qui la scelta dai versi di Fraccacreta è simile a quella di Voli d’aquila, con in più
Notte di luna.
Ma il nome più importante è senza dubbio quello di Mario Sansone, il grande
studioso nato, com’è noto, a Lucera, nel 1900, ma di famiglia napoletana, che per
molti studenti, formatisi per alcuni decenni sul suo manuale di storia della letteratura italiana, è rimasto il punto di riferimento per eccellenza.
Sansone nel 1940 pubblicò un’antologia, Novale, edita dalla Principato, ad
uso delle scuole medie inferiori. Nel Fondo è conservata una copia con una dedica
autografa al poeta, “A Umberto Fraccacreta con cuore memore e cordiale”.
L’antologia si apre con delle parole ispirate e rassicuranti, rivolte ad un ideale
studente, posto di fronte ad un grande cambiamento: “Invece di ritornare nella
scuola elementare, che ti era diventata così familiare insieme con tutto il suo vicinato, ieri, primo giorno di scuola, hai fatto una strada nuova, ti sei trovato davanti ad
un altro portone, con sopra scritto il nome di una scuola media, che ha cominciato
col metterti in soggezione, ed hai salito le scale con l’animo ondeggiante tra vari
sentimenti”.7
Il volume contiene un’ampia scelta di brani tratti da autori famosi ed è ben
organizzato nelle sue sezioni, anche se non mancano inclusioni e giudizi politici
molto netti e inequivocabili su Mussolini, come politico e scrittore, e sul Fascismo,
che di lì a pochi anni dovettero di certo imbarazzarlo.
7
Mario SANSONE, Novale, Milano-Messina, Principato, 1940, p. 1.
238
Francesco Giuliani
In ogni caso, Sansone, immediatamente dopo una poesia di Diego Valeri,
antologizza anche le due parti, In paese e In campagna, che formano la lirica di
Fraccacreta Visione di Natale, tratta dalla silloge Elevazione.
Il critico evidenzia la grande dolcezza dei “melodiosi versi del poeta pugliese
[…], anima sensibilissima che ha saputo immedesimarsi con la natura della sua fertile terra nativa e con i sentimenti primitivi, ma tenaci, del forte, paziente, modesto
contadino pugliese”.8
È evidente, nel complesso, che l’utilizzo scolastico dell’opera di Fraccacreta
è facilitato dalle sue tematiche, che ponevano l’accento sulla terra e sui valori del
mondo agricolo, in consonanza con alcuni temi del Ventennio; egli fu però estraneo
alle motivazioni propagandistiche del Regime, che restò sempre fuori, prima e dopo,
dai suoi versi.
Nel Fondo, lo segnaliamo per curiosità, ci sono due testi di Benito Mussolini,
I discorsi della rivoluzione, editi nel 1923, e la Vita di Arnaldo, del 1932.
Dopo la prematura scomparsa di Umberto, nel 1947, la biblioteca conosce
ancora altre aggiunte. Un testo del noto scrittore lucano Albino Pierro, Il mio villaggio, edito nel 1959 dalla Cappelli di Bologna, con la sua dedica al dr. Augusto
Fraccacreta, brillante direttore generale del Ministero dello Spettacolo, ce lo ricorda. Di Pierro, noto per l’uso del tursitano, sono conservate anche le raccolte poetiche I’ nnamurète, del 1963, e Metaponto, nelle edizioni del 1963 e del 1966.
Ad Augusto sono indirizzati anche dei testi di altri scrittori, in diversi periodi. Segnaliamo in particolare la dedica che l’ex sindaco socialista di San Severo,
Ernesto Mandes, anche lui poeta, scrive nel 1954, in occasione della pubblicazione
della prima edizione della silloge Rosai: “Al carissimo amico Augusto Fraccacreta,
fratello di Umberto, con affettuosa cordialità”. I due fratelli si ritrovano legati nell’omaggio.
Mandes, ricordato tra l’altro per essere stato allievo di Giovanni Pascoli a
Livorno, intorno al 1894, aveva partecipato attivamente alle commemorazioni in
memoria del poeta pugliese, scrivendo anche una lirica.
Due anni dopo, nel 1956, invierà la seconda edizione di Rosai, con una nuova
dedica.
È certo, dunque, che nel Fondo ci sono, almeno in parte, anche i libri del
fratello minore di Umberto, che continuò ad incrementare la raccolta, con testi di
vario argomento, dalla narrativa alla storia, fino alla sua scomparsa.
Di qui all’acquisizione da parte della Biblioteca comunale di San Severo,
allocata nell’antico complesso di San Francesco, il passo è breve.
Il Fondo, nel complesso, fornisce degli elementi molto utili riguardo ad un
ambiente, come quello della cittadina dell’Alto Tavoliere, tra Ottocento e Novecento, che si rivela, una volta di più, tutt’altro che chiuso in se stesso e provinciale,
secondo l’accezione più gretta del termine.
8
M. SANSONE, Novale…, cit., p. 477.
239
Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo
Il materiale librario, al contrario, evidenzia una notevole apertura mentale,
conferma la qualità e la profondità degli interessi culturali, che rendono la biblioteca familiare dei Fraccacreta non un mero contenitore di testi, bensì, soprattutto, un
efficiente strumento di conoscenza, a tutti i livelli.
Inoltre, andando più nello specifico, il Fondo rappresenta anche un’utile chiave
per penetrare nel mondo artistico e nei pregevoli scritti del poeta Umberto
Fraccacreta, rivelatosi da poco anche autore di racconti.
Insomma, i circa cinquemila volumi, legati all’avv. Michele ed ai suoi figli,
parlano in modo esplicito: basta fare silenzio per ascoltarne la voce.
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Recensioni
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Angelo Celuzza
Mario Simone: pubblicazioni curate
nel centenario della nascita
di Angelo Celuzza
In ricorrenza del centenario della nascita (1901-1975) il 25 Gennaio 2002 si è
tenuto presso l’Auditorium del Palazzo dei Celestini a Manfredonia il Convegno
di Studi su Mario Simone, illustre ricercatore, bibliografo, giornalista, scrittore,
meridionalista, animatore culturale ed editore.
Di lui, nell’immediatezza della sua scomparsa e sotto l’urgenza di forti emozioni, parlai nella sala del Consiglio del Palazzo di Città in presenza di tutte le
autorità cittadine e di un numeroso pubblico di concittadini e del presidente della
Società Dauna di Cultura, dott. Antonio Vitulli.
Fu un commosso ricordo del caro e dotto amico, ricordo che, ampliato e
arricchito di notizie biografiche, apparve a stampa in un volumetto che comprendeva anche una selezione di inediti Ricordi e Frammenti di Mario Simone, donati,
insieme al suo ricco archivio, alla Biblioteca Provinciale di Foggia, per il tramite del
dott. Luigi Mancino.
Mi preme qui ricordare l’opera veramente lodevole svolta dal prof. Michele
Ferri, che conobbe Mario Simone in giovanissima età, e lo seguì in tutta la sua complessa attività, con assiduità e con affetto presso il Centro-Biblioteca “Antonio
Simone”.
Il prof. Ferri, nel ricordo del suo Maestro, ha dedicato molti anni a reperire
opere, articoli di giornali e saggi pubblicati in varie riviste e tutto ciò nell’ambito
del costituito “Centro di documentazione storica” in Manfredonia.
A conclusione di tutte le sue intense ricerche ha pubblicato una bibliografia
completa degli scritti di Mario Simone e di quelli su Mario Simone; e il primo frutto
di tanta lodevole fatica è stato il volume Mario Simone nel centenario della nascita
(1901-2001) edito per il “Nuovo centro di documentazione storica” di Manfredonia,
e apparso nell’anno 2002, per i tipi delle Edizioni del Golfo.
Il volume, pubblicato con il patrocinio del Comune di Manfredonia e dell’Amministrazione Provinciale di Foggia, con il titolo Mario Simone “Formicone”
di Puglia, riprende quel “Formicone” dall’omonimo libro di Tommaso Fiore dal
titolo appunto Formicone di Puglia – Vita e cultura in Puglia (1900-1945), pubblicato per i tipi di Lacaita nell’anno 1963.
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Mario Simone: pubblicazioni curate nel centenario della nascita
Il saggio del prof. Ferri, molto ben documentato, arricchito da un apparato
chiarificatore e illuminante di note a piè di pagina, costituisce uno squarcio documentato di vari decenni dell’attività di Mario Simone: dai primi studi giuridici, storici e risorgimentali a quelli riflettenti il Regno di Napoli, la Puglia e la Capitanata,
con particolare attenzione agli studi sulla Dogana di Foggia.
E poi, in successione, tutta una galleria di uomini illustri della nostra terra,
tra i quali compaiono Tommaso Fiore, Alfredo Petrucci, Michele Bellucci, Giovanni Tancredi, Nicola Quitadamo, Renzo Frattarolo, Carlo Gentile, Michele Melillo,
Aldo Vallone, Ernesto Pontieri, Umberto Fraccacreta, Angelo Fraccacreta, mons.
Mario De Santis e tanti altri.
Notevole l’interesse del Nostro per alcune figure importanti in campo nazionale e fra questi, quello per Giovanni Conti, fondatore e direttore della «Voce
Repubblicana» e per Angelo Fortunato Formigini, editore originale ed elegante,
vero apostolo della cultura fra il popolo, finito tragicamente.
Con l’acribia propria dei bibliografi degni di questo nome, il Ferri compila
nel volume schede critiche e analitiche riflettenti le opere comprese nel Catalogo di
una “Mostra Bibliografica” allestita nei locali del Palazzo Celestini e delle Civiche
Biblioteche Unificate di Manfredonia.
Nella mostra sono presenti tutte le opere edite da Mario Simone per i tipi
dello Studio Editoriale Dauno, del Centro per la Editoria Scolastica e Popolare
e quelle – numerose – da lui curate ed edite anche per conto di Enti Pubblici
quali l’Amministrazione Provinciale di Foggia e i comuni di Foggia,
Manfredonia, San Severo, Ascoli Satriano, Troia e Monte S.Angelo, e gli annali
di Istituti Superiori e di Licei fra i quali quelli di Foggia, Manfredonia e San
Severo. Impreziosiscono la mostra fascicoli di riviste ormai introvabili quali
«La Puglia» edita da Laterza, i «Quaderni Musicali» e le annate complete della
rassegna «la Capitanata» da Mario Simone fondata nell’anno 1963 e dallo scrivente diretta per ventitré anni.
Molto completo il repertorio che il prof. Ferri ha inserito a chiusura del volume.
Del libro che raccoglie gli atti del convegno organizzato a Manfredonia
per ricordate Mario Simone nel centenario della nascita, mi piace sottolineare
i pensieri, ricordi e testimonianze di tutti i relatori convenuti e, in modo particolare, la documentata storia degli anni 1947-1993 della Società Dauna di
Cultura, scritta dal dott. Antonio Vitulli, suo ultimo presidente. Anche questo secondo volume contiene un saggio di Michele Ferri: Mario Simone: la
figura e l’opera, non senza sottolineare l’importanza delle commosse testimonianze e delle notevoli relazioni degli amici convenuti al convegno, ricche di
spunti critici.
Sono da citare, in particolare, le relazioni dei professori Michele Melillo
e Giuseppe De Matteis, di Berardino Tizzani e di Luigi Mancino, di Franco
Mercurio e di Carlo Forcella, di Renzo Frattarolo e Gaetano Cristino, di Mi244
Angelo Celuzza
chele Magno e Tommaso Nardella, di Armando Petrucci e Cristanziano
Serricchio.
Chiude il volume, stampato e curato con particolare affetto, in edizione a
tiratura limitata e numerata di soli 300 esemplari, dalle Edizioni del Golfo, giovane
casa editrice che opera in Manfredonia, un bibliografia curata dal prof. Ferri e che
occupa le pagine 77-118.
245
246
Gli autori
Gli autori
Gabriella Berardi, laureata in Lettere presso l’Università degli Studi di Bari,
presta servizio, con la qualifica di funzionario culturale, presso la Biblioteca Provinciale di Foggia. In questa veste è la responsabile del Polo SBN di Foggia e si
occupa di formazione e di normalizzazione delle procedure catalografiche del Sistema bibliotecario provinciale. È giornalista pubblicista.
Francesco Bonito, è nato nel 1949 a Cerignola, dove risiede. Si è laureato in
Giurisprudenza presso l’Università di Roma con una tesi sull’Élite politica nel pensiero di Guido Dorso. Magistrato in aspettativa, Consigliere di Cassazione. È entrato in magistratura nel 1977. Componente del Consiglio giudiziario presso la Corte
d’Appello di Bari dal 1983 al 1987. Parlamentare fin dalla XII legislatura, a partire
dalla XIII è capogruppo DS in Commissione Giustizia. Dal luglio 2000 ha ricoperto, per un anno e mezzo, il ruolo di responsabile giustizia dei DS alla Camera. Nel
1982 ha pubblicato Il Tribunale delle Libertà tra riforma e controriforma, ed.
Edistampa di Lucera e, con altri autori, nel 1984 Gli anni di piombo, ed. Dall’interno di Bari. Ha altresì pubblicato, con Davigo, Spagnolo, Perchinunno e Manna
Falso in bilancio, concussione e corruzione: esperienze a confronto, Cacucci editore,
Bari 1998; con altri autori La giustizia del cittadino, edizioni Info Roma, 1999.
Angelo Cavallo, organizzatore, classe ’60, generazione ’77 e cantautore. Negli
anni’80 plasma la sua attività creativa nel divertimento ed intrattenimento per turisti. In
seguito roda il lavoro di organizzatore e produttore di spettacoli, dalla dance di Alan
Sorrenti al cabaret “al limite della strada” di Hugo Suarez e Renato Curci e di un giovane esordiente Antonio Albanese. Si ‘converte’ a metà degli anni ‘90 al suono delle
contaminazioni, intuendo le potenzialità di questa musica nell’ambito del nuovo mondo globale. Specializza quindi la sua agenzia di spettacoli in eventi di World Music.
Annovera nell’agenda gruppi come Al Darawish, Trilok Gurtu, Farafina.
Organizza tour e manifestazioni in Capitanata: Carpino Folk festival (1997) e Tamburi dal Mare, (1998/2001). Parallelamente produce dischi: La Voce del Gargano e
Matteo Salvatore scrivendone anche la sua autobiografia.
A completamento del lavoro di rivalutazione della musica di Capitanata, organizza tour del cantastorie pugliese, in teatri e rassegne nel centro e nord Italia.
Attualmente sta lavorando ad un progetto su la follia nella musica, incurante della
siccitosa cultura della città, dove vive ed opera ancora.
247
Gli autori
Angelo Celuzza, è stato direttore della Biblioteca Provinciale di Foggia dal
1963 al 1985. Nel corso di quegli anni si è sempre adoperato per dare alla Capitanata
una struttura bibliotecaria moderna ed efficiente ed è stato anche grazie al suo impegno professionale ed intellettuale che è stata costruita la nuova sede di viale
Michelangelo, inaugurata il 5 ottobre 1974.
Durante la sua carriera di bibliotecario ha ricoperto incarichi di rilievo: amministratore dell’Ente Nazionale Biblioteche Popolari e Scolastiche; vice presidente nazionale dell’Associazione Italiana Biblioteche; commissario per la Puglia dell’Associazione Italiana Biblioteche; componente della Commissione Permanente
Regionale per i Beni Culturali. Ma anche a livello locale non è stata meno intensa la
sua opera per la valorizzazione delle risorse naturali e culturali della provincia, negli anni in cui ha ricoperto gli incarichi di vice presidente della Sezione di Capitanata
di “Italia Nostra” e della “Società Dauna di Cultura”.
Ha diretto la rivista «la Capitanata» ed è stato autore di numerose pubblicazioni d’argomento bibliografico e biblioteconomico e di articoli apparsi su riviste
pugliesi e nazionali.
Per i meriti della sua presenza culturale ha ricevuto diversi riconoscimenti,
tra cui quelli di Commendatore della Repubblica, la Medaglia d’argento del Ministero della Pubblica Istruzione, la Medaglia d’oro della Provincia di Foggia e le
targhe A.I.B. Nazionale della Sezione Pugliese di socio d’onore.
Maria Antonietta Cocco D’Onofrio, è nata a Taranto, ma vive dal 1969 a
Manfredonia dove ha diretto l’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette.
Dallo strano miscuglio tra intimità del vivere familiare, l’allegro e scanzonato
gruppo di amici ed il pressante e frenetico pubblico impiego, è riuscita ad alimentare l’inestinguibile lampada della poesia. Alcune liriche tratte dalla raccolta Camminare (Milano, Edizioni ET, 1980), si mostrano quasi come una preghiera, nel tentativo di dare ai tanti perché dell’uomo di oggi, combattuto tra speranza e disperazione, una qualche possibile risposta. Sempre con la casa editrice ET ha pubblicato,
nel 1985, la sua seconda raccolta Ali nuove, dove tratta temi comuni ma eterni di
vita, una confessione d’amore che si arricchisce della trama del vissuto. Nel 1990,
ha pubblicato la raccolta Sapori di Puglia (Claudio Grenzi Editore). Ha vinto numerosi premi nazionali; le sue opere sono state segnalate in numerosi concorsi e
pubblicate su riviste nazionali.
Isabella di Cicco, (Napoli 1960), laureata in Lettere moderne, è in servizio
alla Sovrintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico
della Puglia.
Ha conseguito il diploma di Archivistica, Paleografia e Diplomatica presso
l’Archivio di Stato di Bari ed il diploma di Scenografia presso l’Accademia di Belle
Arti di foggia. Recentemente ha pubblicato Architettura a Foggia in epoca fascista,
con il patrocinio del Comune di Foggia.
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Gli autori
Pasquale di Cicco, (Maddaloni 1930), attualmente Ispettore Onorario
Archivistico per la Puglia, ha diretto l’Archivio di Stato di Foggia e la Sezione di
Lucera dal 1959 al 1994.
È autore di molte pubblicazioni, fra cui Censuazione ed affrancazione del
Tavoliere di Puglia 1789-1865 (1962); Il Libro rosso della città di Foggia (1965); il
Tavoliere della Puglia nella prima metà del XIX secolo (1966); I documenti antichi
dell’archivio comunale di Foggia (1970); L’archivio del Tavoliere di Puglia (19701991, 5 voll. I primi 4 in collaborazione con Dora Musto); Gli statuti economici
dell’Università di Lucera (1972); Il Libro rosso dell’Università di Manfredonia (1974);
I manoscritti della Biblioteca Provinciale di Foggia (1977); Notizie per il buon governo della R. Dogana della mena delle pecore di Puglia di Andrea Gaudiani (1981);
Atlante delle locazioni della Dogana delle pecore di Foggia di Antonio e Nunzio
Michele (1984); Il “Giornale Patrio Villani” 1801-1810 (1985); Il Molise e la
Transumanza. Documenti dell’Archivio di Stato di Foggia (secoli XVI-XX) (1997).
Alcide Di Pumpo, nato a Torremaggiore nel 1950, è bancario. Vanta una lunga
e importante militanza sociale e politica nelle ACLI ed ha una forte e convinta testimonianza cattolica, di fede adulta e coerente, nel mondo del volontariato sociale.
È stato fondatore e presidente delle ACLI di Torremaggiore nel 1974. È esperto e studioso delle problematiche del lavoro, dell’economia sociale e del No Profit.
Dal 1975 al 1991 ha ricoperto la carica di consigliere comunale. Fondatore e segretario del Partito Popolare Italiano di Torremaggiore, è sindaco dal 1° giugno 2002.
Vincenzo D’Onofrio, è laureato in Giurisprudenza, avvocato, abilitato all’insegnamento di Istituzioni di Diritto, Economia politica e Scienza finanziaria e
statistica negli Istituti Tecnici Commerciali. Dal 1997 è docente in corsi di formazione, aggiornamento, qualificazione e riqualificazione, specializzazione, integrativi professionali, post diploma e post laurea.
Direttore dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Manfredonia,
reggente dell’A.P.T. della provincia di Foggia, nell’aprile 2002 ha lasciato il settore
pubblico per “quiescenza”.
Ha ricoperto incarichi quale esperto di programmazione turistica, ideato
progetti speciali, collaborato alla realizzazione di iniziative turistico-culturali,
svolto seminari nell’ambito del corso di “Economia del Turismo” presso la Facoltà di Economia di Foggia, Corso di Laurea in Economia e gestione dei servizi
turistici.
Ha scritto numerosi articoli, pubblicati su quotidiani, riviste nazionali e locali ed è stato relatore in diversi convegni.
Gli è stato conferito il premio “HARGOS HIPPIUM” 2002 “ai Dauni che si
sono distinti in campo nazionale ed internazionale” (Sporting Club, Siponto – 22
agosto 2002).
Oggi è Console del Touring Club Italiano per Manfredonia ed è consulente
del “Sistema turistico locale Gargano”.
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Gli autori
Franco Galasso, nato a Foggia nel 1926, si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Napoli. Ha prestato il servizio militare in qualità di ufficiale medico ed esercita, ora, la professione come medico di famiglia.
Notevole è stato il suo impegno sociale e pubblico manifestato con la partecipazione attiva alla vita politica ed amministrativa. Più volte consigliere provinciale, è stato presidente dell’Amministrazione Provinciale di Capitanata dal 1971 al
1975.
Attento conoscitore delle vicende e dei problemi del nostro territorio, è stato
particolarmente vicino alla Biblioteca Provinciale osservandone e seguendo l’evoluzione e lo sviluppo, convinto della sua funzione di istituzione centrale per la crescita culturale e civile della nostra gente.
Dal 1962 al 2000 si è occupato dell’organizzazione sportiva in qualità di presidente del comitato provinciale del CONI.
Francesco Giuliani, laureato in Lettere presso l’Università di Bari, insegna
nel Liceo Classico “Fiani” di Torremaggiore.
Dal 1998 è Cultore della Materia presso la Cattedra di Letteratura Italiana e
Storia della Critica, nella Facoltà di Lingue dell’Università di Pescara.
Nell’ambito dell’Italianistica svolge un’attività di ricerca imperniata, da una
parte, sullo sforzo di valorizzare le ricchezze letterarie del territorio pugliese, in
un’ottica quanto più ampia possibile, dall’altra, sull’analisi critica di personaggi e
momenti della storia letteraria nazionale.
Giornalista pubblicista, dirige da alcuni anni «Il Giornale di San Severo».
Dal 1998 è socio ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia per la
rilevanza dei suoi studi.
Dal 2000 è consulente della città di San Severo per l’attivazione dei corsi di
laurea decentrati dell’Università di Foggia. Tra le sue pubblicazioni, Il rondò, le
torri e la Certosa.
Lucia Lopriore, nata ad Orta Nova (FG) nel 1955, Consulente del Lavoro,
è ricercatrice storica per ‘vocazione’. È collaboratrice del mensile «Il Provinciale» è
membro ordinario dell’Associazione “Amici del Museo” di Foggia e del Centro
Studi “G. Martella” di Peschici.
Opera attivamente nel settore della cultura, è autrice dei volumi: Orta Nova
tra ‘700 e ‘900 – Storia, Urbanistica ed Architettura, (Bastogi 1999) ed Il Camposanto di Orta Nova, genesi e sviluppo, (Bastogi 2000), entrambi patrocinati dal
Comune di Orta Nova.
È inoltre autrice di numerosi saggi sulla storia locale apparsi su varie riviste,
tra cui «Carte di Puglia».
Ha ultimato due monografie rispettivamente dal titolo: Le neviere in
Capitanata – affitti, appalti e legislazione, e I duchi di Sangro, storia della famiglia
dalle origini ai giorni nostri.
Spinta dalla passione per la storia patria continua a ricercare rivolgendo la
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Gli autori
propria attenzione, in special modo, verso la ricerca documentale ed inedita, così
facendo spera di contribuire all’arricchimento del patrimonio storico restituendo al
passato ciò che gli appartiene.
Italo Magno, nato a Manfredonia, dove risiede, è Dirigente Scolastico della Scuola Media Statale “N. Perotto” di Manfredonia. È abilitato in Pedagogia e
Psicologia, Storia e Filosofia e Materie Letterarie. Nel 1994 viene designato a rappresentare l’Ufficio del Provveditorato agli Studi presso il Consiglio di Gestione
della Scuola per Infermieri Professionali della U.S.L. FG/5 di Manfredonia, Monte
Sant’Angelo e Mattinata. Nel 1997 viene nominato presidente del Collegio Arbitrale per i procedimenti disciplinari riguardanti il personale del Comune di
Manfredonia. Membro del Nucleo di supporto dell’autonomia fin dalla sua istituzione, nel marzo 2000, ha un incarico di collaborazione conferitogli dal Provveditorato agli Studi di Foggia.
È Accademico d’onore presso l’Accademia Internazionale “Padre Pio da
Pietrelcina”, di Lettere, Scienze ed Arti, con sede in San Giovanni Rotondo. Nel
2000 viene prescelto dal Ministero della Pubblica Istruzione, Ufficio per gli Scambi
culturali, per partecipare a un seminario internazionale al fine di portare avanti il
processo educativo per l’avanzamento di una cultura europea.
Collabora con testate giornalistiche quali: «Corriere del Golfo» e «Cronache
Italiane». Ha vinto prestigiosi premi letterari per la saggistica, per la narrativa per
ragazzi e per la poesia. Tra le sue pubblicazioni: Educazione e nevrosi, (Ladisa,
Bari, 1989); La giostra degli animali, (Theorema libri, Milano, 1997); Visioni di un
naufrago, (Garzanti, 2000).
Franco Metta, avvocato e noto penalista, è nato a Cerignola (Fg), dove risiede. Si è laureato in Legge presso l’Università di Milano.
Alla libera professione alterna collaborazioni a giornali e riviste, pubblicando articoli di attualità e problematiche giuridiche su «Protagonisti», «La Gazzetta
del Mezzogiorno» e «La Grande Provincia».
Angelo Miano, è nato a Lucera nel 1948. Si è laureato in Giurisprudenza
presso l’Università degli Studi di Macerata nel 1971 ed ha partecipato a numerosi
corsi di aggiornamento.
Ha lavorato presso l’INADEL fino al 1981 nelle seguenti sedi: la Direzione
Generale di Roma, Bari, Venezia, Ferrara e Foggia.
Dal 1982 al 1993 è stato docente della Scuola per Infermieri professionali e
dal 1984 al 1988 componente del Collegio dei Revisori dei Conti presso la USL
FG/7 - Troia.
È stato assunto presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e
della Basilicata nel 1990 con la qualifica di segretario amministrativo (direttore
amministrativo) e dal 18/04/2000 è incaricato della Direzione amministrativa dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata.
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Gli autori
Giuseppe Muciaccia, direttore dei lavori del nuovo santuario di San Giovanni Rotondo, progettato dall’architetto Renzo Piano, nasce a Foggia nel 1947.
Consegue la Laurea in Ingegneria Civile e Trasporti presso l’Università degli
Studi di Roma nel 1973. Per cinque anni ha diretto l’Azienda regionale dei Trasporti. Dal 1979 ad oggi esercita la libera professione. Ha progettato per gli Ospedali
Riuniti di Foggia ed è tecnico di fiducia della Banca d’Italia. Dal 1980 esercita la
libera professione.
Antonio Muscio, è nato nel 1943 a Orsara di Puglia (Fg). Si è laureato nel
1967 in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari.
Assistente ordinario presso l’Istituto di Zootecnia della Facoltà di Agraria
dal 1969 al 1983, dal 1986 al 1991 è stato Professore Ordinario presso la Facoltà di
Agraria della Basilicata, dove ha ricoperto anche l’incarico di Direttore di Istituto;
dal 1991 è Professore Ordinario di Produzioni animali presso la Facoltà di Agraria
dell’Università degli Studi di Foggia ed è stato Direttore dell’Istituto di Produzioni
e preparazioni alimentari tra il 1992 e il 1994; dal 1994 al 2000 ha ricoperto la carica
di Preside della Facoltà. Nel 1999 diventa Pro Rettore delegato al processo di
decongestionamento dell’Università degli Studi di Foggia. È attualmente Rettore
dell’Università degli Studi di Foggia.
È membro di varie associazioni scientifiche (Associazione scientifica di Produzione Animale, Società Italiana per le Scienze Veterinarie, Società Italiana di
Patologia e di Allevamento degli Ovini e Caprini), socio onorario dell’Accademia Pugliese delle Scienze, Accademico Corrispondente dell’Accademia dei
Georgofili.
Molti dei suoi lavori a stampa sono stati pubblicati su prestigiose riviste nazionali e internazionali («Journal of Animal Science», «Journal of Dairy Science»,
«Small Ruminant Research»), e riguardano in particolare la qualità delle produzioni animali in relazione a fattori genetici, ambientali e di allevamento.
Ha curato inoltre la pubblicazione di alcuni saggi sulla storia agraria della
Capitanata dei quali degni di nota risultano: L’allevamento ovino in Capitanata tra
memoria storica e futuro, Agricoltura e pastorizia in Capitanata: la storia e le ragioni di un conflitto, Il Progresso agricolo nella Capitanata dell’800.
Saverio Russo, nato a Margherita di Savoia nel 1954, insegna Storia Moderna presso l’Università di Foggia.
È ispettore archivistico onorario per la Puglia e coordinatore scientifico del
Museo del Territorio di Foggia. È autore di numerose monografie di storia economico-sociale del Mezzogiorno tra ‘700 ed ‘800 e ha curato tra gli altri i volumi
Storia di Foggia in età moderna, Bari, 1992 e La Capitanata nel 1799, Foggia, 2000.
Di recente pubblicazione è Da Reali saline a Margherita di Savoia: storia di una
comunità nell’Ottocento, Foggia, 2003.
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Gli autori
Enrico Sannoner, è nato a Foggia nel 1941. Attualmente è assessore all’Urbanistica del Comune di Foggia.
Pianista, dal 1971 al 1994 è stato Direttore artistico del teatro comunale “U.
Giordano” di Foggia; durante tale incarico si è occupato della produzione di opere
liriche, di prosa e di manifestazioni concertistiche.
Attualmente è vice presidente dell’Associazione “Amici della Musica” di
Foggia, presidente interregionale Puglia-Basilicata AIAM-AGIS e componente del
Direttivo nazionale AIAM-AGIS. Inoltre, è consulente per l’organizzazione di stagioni teatrali private a livello nazionale.
Carmine Stallone, 60 anni, presidente della Provincia di Foggia, si è laureato
a Bologna, e successivamente specializzato in Cardio-reumatologia e in Nefrologia
medica. È primario della Divisione di Nefrologia e Dialisi alla “Casa Sollievo della
Sofferenza” di San Giovanni Rotondo.
Dal 1992 è presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Foggia. È
stato presidente della Sezione appulo-lucana della Società italiana di Nefrologia e
consigliere della Fondazione della Banca del Monte di Foggia.
Intensa la sua attività didattica e scientifica. Professore a contratto presso le
scuole di specializzazione in Nefrologia medica all’Università di Bologna e di Medicina Interna presso l’Università Cattolica di Roma , docente presso la Scuola per
Infermieri “S.Maria delle Grazie” di San Giovanni Rotondo, ha al suo attivo come
coautore, circa 250 pubblicazioni scientifiche.
Lanfranco Tavasci, nato nel 1947, ha alle spalle un’infanzia vissuta tra Roma e
Bruxelles. Si è laureato a Roma ma non esercita la disciplina studiata. Vive e lavora
infatti da anni a Foggia, dirigendo imprese di servizi: è direttore generale e vice presidente della G.E.M.A. S.p.A. - Concessionaria del Servizio di Riscossione dei tributi
per la provincia di Foggia; si occupa di sanità e televisione nel settore privato. È,
inoltre, presidente di “MeglioFoggia”, associazione senza scopo di lucro che dal 1998
pubblica annualmente l’Osservatorio sulla Qualità della Vita a Foggia. Ha recentemente scritto due libri L’Incoronata. Identità sacra delle terre foggiane e Medusa e
mostri che appartengono alla collana Terre Foggiane edita da GEMA e che rappresentano il frutto della sua passione per i viaggi, le esplorazioni e la fotografia.
Berardino Tizzani, avvocato, è nato a Manfredonia il 18/01/1923. Ha ricoperto diverse cariche: è stato consigliere comunale e assessore ai LL.PP. del Comune di Manfreonia, consigliere provinciale dal 1952 al 1971 e dal 1966 al 1971 ha
ricoperto la carica di presidente dell’Ente. È stato ininterrottamente dal 1974 al
1994 presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Foggia.
Con D.P.R. 02/06/1971 in G.U. n. 299 del 29/11/1971 gli è stato conferito il diploma di 1ª classe (medaglia d’oro) ai benemeriti della scuola della cultura e dell’arte. È
stato nominato Grand’Ufficiale al merito della Repubblica con D.P. 25/11/1968 e
Cavaliere di Gran Croce con decreto del 27/02/1990.
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Gli autori
Gaetano Zenga, laureato in Lingua e Letteratura Inglese presso l’Istituto
universitario Orientale di Napoli, ha insegnato lingua e letteratura inglese presso il
Liceo Scientifico “Volta”. Dal 1974 sino al 1978 ha insegnato lingua inglese presso
la Facoltà di Economia e Commercio di Bari. Dal 1978 al 1993 è stato incaricato di
lingua e letteratura inglese presso l’Istituto cattolico di studi universitari e formazione della Daunia. Dal 1984 al 1986 ha insegnato lingua inglese presso l’Università
della Terza Età di Foggia. Preside negli istituti superiori sino al 2001, ha svolto
attività di docenza ai corsi di abilitazione per docenti. Ha pubblicato: Natura e
mondo primitivo nei drammi di J.M. Synge (1979) e Studi su John Keats (1980). Ha
pubblicato sulla rivista «la Capitanata» (11, 2001) il saggio Il tema della violenza e
le strutture profonde in Relic di Ted Hughes. È docente a contratto di lingua inglese
presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Foggia dall’a.a. 2002/
2003. Attribuzione che gli è stata riconfermata per l’a.a. 2003/2004.
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Gli autori
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«la Capitanata»
Pubblicazione quadrimestrale, anno XLI, n. 14, ottobre 2002
Direttore responsabile: Franco Mercurio
Registrato presso il Tribunale di Foggia
n. 22/01
Finito di stampare nell’ottobre 2003
per conto della Biblioteca Provinciale di Foggia
presso il Centrografico Francescano - Foggia - Tel. 0881/777338 - Fax 0881/722719
I testi contenuti in questo volume potranno essere liberamente riprodotti in tutto o in parte nella lingua
originale o in traduzione, citando la fonte, senza alcuna autorizzazione preventiva, purché sia comprovata palesemente l’esclusione di qualsiasi attività di lucro o di qualsiasi intenzione di restrizione della
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ISSN 0392 - 3339
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