Angelo Celuzza BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Atti del Quarto Convegno Nazionale dei Bibliotecari degli Enti Locali: Taranto 23-26 aprile 1955, Bologna, Tip. Azzoguidi, 1958. Associazione Italiana Biblioteche, La biblioteca pubblica in Italia: compiti istituzionali e principi generali di ordinamento e di funzionamento, Roma, Nuova tecnica grafica, 1965. Lettura pubblica e organizzazione dei sistemi bibliotecari, Atti del Convegno di Roma (Roma 20-23 ottobre 1970), “Accademie e biblioteche d’Italia”, XLII (1974), supplemento n. 6, a cura di Giovanni Floris, Roma, Fratelli Palombi, 1974. Barone, Giulia e Petrucci, Armando, Primo non leggere. Biblioteche e pubblica lettura in Italia dal 1861 ai giorni nostri, Milano, Mazzotta, 1976. Celuzza, Angelo, Il primo decennio della ricostruzione, in «La Biblioteca Provinciale di Foggia. Bollettino bimestrale di informazione», I (1962), n. 1-2 (gennaio-aprile), pp. 13-19. 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Carini Dainotti, Virginia, La biblioteca pubblica in Italia tra cronaca e storia, Firenze, Olschki, 1969, 2 voll.. Carini Dainotti, Virginia, La biblioteca pubblica istituto della democrazia, Milano, Fabbri, 1964, 2 voll.. Carini Dainotti, Virginia, La lettura pubblica in Italia a traverso gli interventi ministeriali, in «la Capitanata», VII (1969), n. 1-6, II. Nuovo, Angelo (a cura di), Virginia Carini Dainotti e la politica bibliotecaria del secondo dopoguerra, Atti del Convegno organizzato dall’Università di Udine e dall’A.I.B. – Sezione Friuli Venezia Giulia (Udine 8-9 novembre 1999), Roma, A.I.B., 2002. Traniello, Paolo, L’apporto di Virginia Carini Dainotti all’introduzione dell’idea di biblioteca pubblica in Italia, in «Discipline del libro», II (2000), n. 5 (settembre). 161 162 Lucia Lopriore I Pignatelli in Capitanata di Lucia Lopriore 1. Dalla Campania alla Puglia Le famiglie nobili del Regno di Napoli, formate quasi tutte nel Medio Evo, si sono affermate nella capitale distinguendosi nelle alte cariche amministrative loro conferite durante la costituzione dei “Sedili” o “ Seggi”. Questi ultimi, sin da tempi remoti, rappresentavano delle vere e proprie istituzioni politiche; il far parte dei “Seggi” era importante, in quanto la carica di Cavaliere di Seggio era la denominazione usuale del patriziato che risuonava accompagnata da ammirazione e riverenza.1 A Napoli i Seggi maggiori furono inizialmente due: quello del Nido e quello di Capuana, dove fioriva maggiormente l’elemento cavalleresco e militare. Passati successivamente a sei, nei quali erano incorporati ventitré minori, vi si aggiunse alla fine del Quattrocento, quello di Popolo. I “Seggi” presero i nomi dal luogo delle loro sedi distinguendosi in: a) Capuana, presso la porta omonima che esso era tenuto a custodire; b) Nido deformazione della voce originaria Nilo, aveva la sede presso la porta di Costantinopoli; c) Forcella, dal luogo delle esecuzioni aveva per simbolo la lettera Y in campo d’oro; d) Montagna, nella via Capuana ne custodiva la porta; e) Porto, trasferito nella prima metà del Settecento dalla strada omonima ad una sede più prestigiosa, presso la chiesa dell’Ospedaletto, proteggeva la porta di Chiaia; f) Portanova, detto anche Seggio di Porta di Mare, fu ricostruito per la seconda volta nel Settecento su disegno del Lucchesi. Più tardi, durante il regno degli Angioini, i Seggi minori furono soppressi e quello di Forcella fu incorporato in quello di Montagna; questo perché a Napoli, ormai capitale, un sistema amministrativo così decentrato, attraverso Seggi e Sottoseggi, era incompatibile con l’assolutismo regio. Ai cinque “Seggi” dei Nobili fu aggiunto quello del Popolo, con sede in via della Sellaria, addetto alla Porta di Mercato ed a quella della Marina: soppresso da Alfonso d’Aragona, fu ripristinato da Carlo VIII. 1 Benedetto CROCE, I Seggi di Napoli, in «Napoli Nobilissima», Napoli, gennaio 1920, vol. 1, fase II. 163 I Pignatelli in Capitanata Gli “eletti” dei sedili nel proprio seno, uno per ogni “Seggio” e due per quello di Montagna formavano, insieme a quello del Popolo, la Magistratura del Tribunale di San Lorenzo che provvedeva all’amministrazione della città attraverso le “deputazioni” paragonabili ad assessorati ante litteram. Di tale organizzazione civica il vicereame minava alla base la forza fomentando rivalità non solo tra le classi, ma anche nel seno della stessa nobiltà. Avocando a sé la facoltà di ascrivere ai “Seggi” sia il nuovo ceto in ascesa sia la nobiltà terriera, desiderosa di equipararsi a quella cittadina, Filippo II favorì l’ostilità dei nobili di “Seggio” verso i “regnicoli” e verso la nuova élite culturale. Ciò privò i “Sedili” di quelle forze nuove più che mai necessarie contro la disgregatrice politica vicereale. Con l’editto del 25 aprile 1800, i “Sedili” furono sciolti ed il Tribunale di S. Lorenzo abolito: privata delle sue funzioni storiche, l’aristocrazia napoletana perse quel rapporto con la città in nome del quale era riuscita tante volte ad evitarne il disastro. Le sedi dei Sedili furono incorporate al demanio, ridotte in case e botteghe. La nobiltà era stata privata dei luoghi della sua identità culturale. Per evitare il disperdersi nell’anonimato, si poteva tentare una riedificazione all’incontrario del censo perduto mediante la trasmissione di quei valori: tradizione, memorie, religione e, soprattutto, consapevolezza del bene e del male, con i quali confermare la propria identità.2 Tra le famiglie nobili napoletane giunte, per motivi commerciali, in terra di Capitanata si ricorda quella dei Pignatelli. Questa famiglia, secondo alcuni storici, ha origini longobarde e deriva dai duchi di Benevento. Trova il suo capostipite in Landolfo che, combattendo in Oriente per Re Ruggiero, uscì dall’assalto del palazzo imperiale di Costantinopoli con tre vasi d’argento anneriti dal fumo infilzati nella picca. Ma l’episodio sembra inverosimile poiché si è verificato dopo il 1102. Altri fanno risalire le origini della casata a Gisulfo, comandante di alcune navi del re normanno, il quale avrebbe riportato una vittoria contro i Greci presso Negroponte, lasciando sui nemici del materiale incandescente racchiuso in pignatte, e da qui l’origine del cognome. Con certezza si può affermare che nel 1102 un Lucio Pignatelli fu Contestabile della Repubblica Napoletana, e che le diramazioni della famiglia Pignatelli sono molto articolate; tuttavia nella loro complessità si individua un Riccardo, vivente nel 1250 dal quale discese Tommaso, Governatore di Atri nel 1431, il quale ebbe tre figli: Stefano, Carlo e Palamede.3 Da Stefano nascerà Cesare e da questi Alessandro, che generò i Signori di Orta, nei pressi di Aversa e Turrito, nonché i marchesi di Casalnuovo ed i Principi di Monteroduni, i duchi di San Marco, i conti di Melissa, i duchi di Tolve e di Alliste. 2 3 Anna Maria SIENA CHIANESE, La Nobiltà Napoletana Oggi, Incontri, Napoli, Gallina, 1995, p. 12 e segg. Nicola DELLA MONICA, Le grandi famiglie di Napoli, Roma, Newton & Compton, 1998, p. 285. 164 Lucia Lopriore Dal fratello di Alessandro, Giovanni Battista, discesero i principi di Strongoli e dal fratello Annibale i duchi di Montecalvo. Da Carlo, figlio di Tommaso, nacque Ettore, che originò i duchi di Monteleone e i conti di Borrello, il cui ramo si estinse nel 1664 con Geronima, che sposò il cugino Fabrizio Pignatelli, marchese di Cerchiara e principe di Noja, trasmettendo a quest’ultimo i suoi titoli. Il titolo di duca di Monteleone fu riconosciuto nel 1851 ai maschi più prossimi, cioè ai marchesi di Casalnuovo. Da Palamede, quartogenito di Tommaso, discese la linea dei principi Pignatelli Aragona Cortés, duchi di Terranova principi di Noja, quella dei principi di Strongoli, quella dei Pignatelli - Fuentes e quella dei principi di Cerchiara; fu inoltre progenitore dei marchesi di Spinazzola, principi di Minervino, principi di Moliterno e di Marsiconovo, duchi di Bisaccia, marchesi di Lauro, conti di San Valentino, conti di Montagano. I Pignatelli furono Signori di Caserta dal 1269, e goderono di nobiltà in Sicilia e a Napoli dove furono ascritti ai Seggi del Nilo e di Capuana, nonché ad Aversa, Benevento, Bari, Venezia, Roma ed in altre città. Nel 1420 vestirono l’abito di Malta ed ottennero il Grandato di Spagna, l’Ordine del Toson d’Oro ed il titolo del S.R.I. Nelle chiese napoletane restano tracce dell’edilizia funebre della famiglia: in S. Domenico Maggiore, nel Duomo, nella chiesa della Trinità dei Pellegrini, dei SS. Apostoli, come in chiese di Roma, Palermo, Bari. Tra i feudi, quello di Castelvetere, Falciano, Ferrandino, Maddaloni, Macchia, Santangelo, Monteroduni, Noja, Strongoli con i titoli di principi, duchi, marchesi e conti. Fu imparentata con famiglie illustri quali gli Acquaviva, gli Aragona, i d’Avalos, i Doria, i Filangieri, i Filomarino, i di Sangro, i di Somma, gli Spinelli, i della Leonessa. La casata vanta personaggi di rilievo quali il citato Lucio (1102); Rodolfo, consigliere di Guglielmo il Normanno; Gualtiero, finanziatore di parte della crociata di Guglielmo il Buono; Giovanni, maestro dei Cavalieri Templari; Bartolomeo, prima militante per l’imperatore Corrado e dedicatosi poi alla Chiesa, Arcivescovo di Cosenza. Inviato del Papa in Francia quale Ambasciatore a Carlo d’Angiò, egli stesso lo accompagnò a Napoli, dove un altro Pignatelli, Pietro, ne offrì le chiavi e prestò, in rappresentanza della città, il giuramento di fedeltà al nuovo sovrano. Molti dei Pignatrelli si distinsero in campo militare, come Angelo che fu Capitano di Carlo III di Durazzo e che fatto prigioniero nella battaglia di Benevento, si guadagnò la stima del d’Angiò per la sua fedeltà alla causa. Marino fu familiare di Re Ladislao, governatore in Basilicata e Maestro Razionale della Gran Corte della Vicaria. Antonio, nel 1450, restaurò la chiesa di S. Maria de’ Pignatelli, dove ebbe sede il Seggio del Nilo. Giacomo fu Capitano, Giustiziere di Basilicata e Ambasciatore in Turchia per Federico d’Aragona. Fu inoltre tra i rappresentanti della città nel giuramento di obbedienza a Ferdinando il Cattolico. 165 I Pignatelli in Capitanata Ettore Pignatelli comprò la terra di Monteleone sulla quale ottenne dal re Ferdinando il Cattolico, per i suoi servigi, il titolo di conte; combattendo valorosamente contro i francesi che avevano occupato il Regno di Napoli, fu catturato dal visconte di Lautrec che lo inviò prigioniero in Francia. Si narra che a Parigi avesse ricevuto la visita di San Francesco di Paola, che si trovava lì per assistere il Re Luigi XII che era infermo. Il santo si adoperò per farlo liberare e gli predisse quanto poi avvenne, cioè che una volta tornato a Napoli, l’imperatore Carlo V l’avrebbe nominato viceré dal 1516 al 1535 e capitano generale in Sicilia conferendogli il titolo di Duca di Monteleone. Ettore fu anche Ambasciatore in Spagna nelle trattative per il matrimonio tra il primogenito di Federico d’Aragona e la figlia di Ferdinando il Cattolico. Riportata la calma nella Sicilia agitata dai tumulti, Ettore fondò a Palermo due conventi, uno di monache ed uno di frati dell’Ordine di S. Francesco di Paola. Istituì, inoltre, una compagnia di Cavalieri per l’assistenza degli infermi dell’Ospedale di S. Bartolomeo ed un convento di domenicani in Rosarno, nonché in Monteleone un monastero di francescani cui donò dodici statue di alabastro raffiguranti i dodici apostoli e due campane in bronzo prese a Rodi. Oltre al ducato di Monteleone, ebbe il titolo di Grande di Spagna e di Cavaliere del Toson d’Oro. Fabrizio, morto nel 1577, Priore di Sant’Eufemia dell’Ordine gerosolimitano, luogotenente e vice reggente di tutti i Priorati del Regno, combatté contro i francesi nel 1528 e liberò dai Turchi la Calabria. Nel 1562 fu inviato dal viceré duca d’Alcalà contro le scorrerie dei briganti, dei quali in breve tempo sgominò la ramificata organizzazione. A Napoli fondò un ospedale per i pellegrini di passaggio nella città, con relativa chiesa, nel luogo “dove era sita una sua casa di delizie con un giardino” il luogo era chiamato Biancomangiare e si estendeva fino al largo Mercatello, tra la piazza del Gesù e quella della Pignasecca. Il nipote Camillo, duca di Monteleone, ingrandì l’Ospedale e l’affidò alle cure di una congrega detta dei Pellegrini. Ancora un Ettore, duca di Monteleone (1572-1622), Gran Contestabile e Grande Ammiraglio del Regno di Sicilia, Grande di Spagna e Cavaliere del Toson d’Oro, Viceré di Barcellona, contribuì a cacciare i Mori da Valenza (1609). Per le sue pregiate opere fu definito “l’Occulto Accademico” e fu chiamato consanguineo di Filippo III di Spagna. Fu, inoltre, aio della figlia del Re, Anna d’Austria, che accompagnò sposa in Francia a Luigi XIII. Giulio Pignatelli si dedicò ad opere caritatevoli ed assistenziali e fondò a Terranova un convento di Frati di S. Francesco ed a Cerchiara un Albergo di Pellegrini. Fabrizio, quinto duca di Monteleone, marito di Geronima, fu Grande di Spagna, fu insignito di molti altri titoli e fu inoltre chiamato consanguineo da Filippo IV. Nella rivolta di Masaniello fu tra quelli che protrassero la Corona armando a proprie spese i suoi soldati. Nel 1654 fu nominato da Filippo IV Viceré e Capitano generale di Aragona. Ettore, sesto duca di Monteleone e principe del S.R.I. sposò Giovanna, erede 166 Lucia Lopriore della famiglia Tagliavia Aragona Cortés; nei Capitoli Matrimoniali è stabilita la trasmissione dei cognomi materni ai figli. Titolare dei propri e di tutti i feudi della famiglia Tagliavia, Ettore fu uno dei Signori d’Italia più potenti del tempo. Antonio (1615-1700), figlio di Francesco e di Porzia Carafa, divenne Papa con il nome di Innocenzo XII (1691). La sua Bolla contro il nepotismo fu rivolta a migliorare le condizioni del popolo. Per evitare l’accattonaggio per le vie di Roma, egli creò per i poveri della città dei posti di lavoro in Vaticano. Michele fu Vescovo di Lecce, vi istituì un Seminario e fondò nel 1694, la Congregazione dei Chierici Regolari. Ferdinando (1689-1767), del ramo Aragona Cortés, Cavaliere del Toson d’Oro, combatté con Eugenio di Savoia contro i Turchi nelle guerre di successione in Ungheria. Francesco, duca della Rocca, fu nominato Grande di Spagna da Carlo VI; un altro Francesco fu Arcivescovo di Taranto, Cardinale ed Arcivescovo di Napoli e morì in odore di santità nel 1734. Figura tra i membri della famiglia San Giuseppe Pignatelli, nato a Saragozza, gesuita (1737-1811), sepolto a Roma nella chiesa del Gesù; fu santificato nel 1954 da Pio XII. Muzio, citato dal Tasso in diverse opere, fu insigne astrologo, teologo, matematico, architetto e poeta. Ancora un Francesco, principe di Strongoli (1734-1812), aiutante di campo e vicario di Ferdinando IV a Napoli durante le vicende della Repubblica Partenopea, fu Viceré Generale del Regno e Presidente della Suprema Giunta di guerra fino alla venuta dei francesi, per seguire poi il Re in Sicilia. Diversamente da lui, i suoi quattro nipoti furono a fianco dei repubblicani nella rivoluzione del ’99: Mario (1773-1799) e Ferdinando (1769-1799), già simpatizzanti dell’idea giacobina e costretti alla fuga per la scoperta di una congiura, tornati con le truppe francesi affiancarono i rivoluzionari, pagando entrambi con la vita. Francesco (1775-1853) riuscì a fuggire prima della resa della Repubblica; combatté con Gioacchino Murat contro gli inglesi, partecipò ai moti del 1820-21 e scrisse, tra l’altro, una pregevole opera dal titolo: Memoria del Regno di Napoli dal 1790 al 1815. Vincenzo (1777-1837) fu anch’egli esule al ritorno dei Borbone a Napoli e partecipò ai moti del 1820-21. Girolamo, principe di Moliterno, armò due reggimenti di Cavalleria contro i francesi, suscitando l’ammirazione dello stesso Bonaparte. Antonio, principe di Belmonte, Capitano delle guardie del corpo di Carlo di Borbone e poi Tenente Generale di Ferdinando IV, Presidente della Regia Accademia delle Scienze e Consigliere di Stato, inviato a Parigi nel 1796 per concludere il trattato di pace tra la Francia ed il Regno di Napoli, seguì la corte in Sicilia nel 1799, e fu insignito dell’Ordine di S. Ferdinando e del Merito. Come narra la storia, i Pignatelli si divisero nella vicenda della Repubblica 167 I Pignatelli in Capitanata Napoletana tra le due parti avverse: Diego, eletto della città nel 1799, si affiancò ai liberali e solo per l’intercessione del Papa non subì la condanna a morte. Nel 1806 tornò a Napoli e fu inviato quale ambasciatore a Napoleone da parte di Giuseppe Bonaparte. Giuseppe, marchese di Castelnuovo, fu Gentiluomo di Camera con esercizio di Ferdinando II, sindaco di Napoli e Soprintendente ai reali Educandati. Tracce che la famiglia ha lasciato sono riscontrabili non solo attraverso le bellissime opere funerarie, ma anche attraverso le costruzioni: tra le più importanti si ricordano la chiesa di S. Maria Assunta de’ Pignatelli, situata nel largo della Piazzetta del Nilo, fu fatta edificare nel Quattrocento da Cesare Pignatelli, Signore di Orta e Turitto su progetto dell’architetto Andrea Ciccione e fu completata da Giovanni Merliano da Nola, autore anche del bellissimo sepolcro di Carlo Pignatelli, posto a destra dell’altare maggiore; la chiesa fu restaurata nel 1736 ed arricchita di stucchi ed altari barocchi.4 Oggi si presenta in condizioni molto fatiscenti ed è chiusa al culto. “Carogioiello” e “Biancomangiare” erano i nomi di due ampi giardini della Napoli antica; il primo era rinomato nel Seicento perché prima di ogni altro giardino, dava grossi e saporiti fichi. Oggi lo spazio residuo di questo giardino si estende alle spalle della chiesa di Monteoliveto. “Biancomangiare”, nella parte centrale si estendeva dove ora c’è piazza Sette Settembre, un tempo detta largo dello Spirito Santo, dove si affacciava la basilica che vide incoronato re Gioacchino Murat nel 1808. Questo giardino delle delizie apparteneva ai Colonna ai quali fu espropriato per far spazio alla costruzione di via Toledo voluta dal Viceré don Pedro Alvaréz de Toledo (1532-1553), il quale disponendo l’ampliamento delle mura cittadine, fece rientrare nel perimetro della città il giardino. La parte del giardino più prossima al palazzo Pignatelli di Monteleone fu anch’essa spianata per far spazio alla strada Rivera, l’attuale via Sant’Anna dei Lombardi con la via del Monteoliveto, così chiamata per volere del viceré Perafàn de Ribera duca d’Alcalà (1558-1571). Come già accennato, una piazzetta ed un vico del rione Pignasecca sono dedicati a Fabrizio Pignatelli che nel secolo XVI, proprio sull’area del giardino Biancomangiare fondò lo “Spedale dei Pellegrini” con annessa la chiesa intitolata a Santa Maria Mater Domini, dove oggi si trova il suo busto eseguito dallo scultore Michelangelo Naccherino. Nella strada della Trinità Maggiore, accanto all’ottocentesco Palazzo Sanfelice di Monforte, vi è quello che appartenne ai Pignatelli di Monteleone, il cui nome è ricordato nel Vico Monteleone che lo fiancheggia; la vicenda della costruzione di questo palazzo è legata al capriccio di una dama. 4 Luigi CATALANI - Francesco Savoja DI CANGIANO, Palazzi, chiese e castelli di Napoli, Napoli, Lito-Rama Editori, 1995, p. 114. 168 Lucia Lopriore Nel Seicento, in questa zona compresa tra Monteoliveto, il Gesù e lo Spirito Santo, vi era il grande palazzo del Marchese d’Avalos, il cui rigoglioso orto era chiamato Carogioiello, divenuto in seguito, Palazzo Carafa di Maddaloni. Questo edificio affacciava su quattro lati, come oggi, dei quali quello migliore, guardava verso il mare ed era a sud-ovest. Il marchese del Vasto preferì allestire il suo appartamento privato di fronte al lato ovest, dove aveva la veduta sul giardino chiamato Paradiso, appartenente a donna Girolama Colonna, duchessa di Monteleone perché vedova di un Pignatelli. Tutto ciò fece insorgere nella dama un acceso risentimento; ella non poteva tollerare che occhi indiscreti la osservassero. Così, per gelosia o per ripicca, fece costruire il palazzo che è situato sul lato destro di via Sant’Anna dei Lombardi. Molti anni più tardi, le case sorte sul giardino Paradiso furono inglobate in una costruzione a pianta irregolare voluta dal duca Nicola Pignatelli nel 1718 e progettata dall’architetto Ferdinando Sanfelice. Il palazzo presenta un magnifico portale in piperno e travertino, i cui capitelli sono formati con mascheroni di marmo bianco che con le orecchie di satiro formano le volute. Al primo piano della Galleria, distrutta in seguito da un incendio, il duca fece dipingere da Paolo De Matteis le scene più importanti dell’Eneide di Virgilio e della Gerusalemme Liberata del Tasso. Nel 1760 il palazzo ospitò il celebre avventuriero veneziano Giacomo Casanova, presentato a Don Fabrizio Pignatelli di Monteleone dal suo amico Carlo Carafa. Tra il 1823 ed il 1832 il palazzo passò dal Pignatelli di Monteleone al francese Renato Ilario Degas, fuggito dalla Francia rivoluzionaria e rifugiatosi a Napoli come agente di cambio; qui accrebbe le sue fortune divenendo banchiere ed imparentandosi con le grandi famiglie del Regno. Tuttavia il maggiore ricordo della famiglia Pignatelli è senza dubbio la villa neoclassica della Riviera di Chiaia, ora museo statale. Fu costruita alla fine del Settecento da un nipote del ministro Acton, sui giardini del vicino palazzo dei Carafa di Belvedere su progetto dell’architetto luganese Pietro Bianchi. I lavori avanzarono con lentezza fino a quando l’architetto toscano Guglielmo Bechi non portò a compimento l’opera. Attualmente il portico ed i due corpi avanzati sulla strada gli conferiscono una peculiarità che la distingue dalle altre costruzioni. Pochi anni dopo, la villa fu acquistata dal ricco barone Adolfo Rothschild di Francoforte. Il grande finanziere ebbe qui casa ed ufficio, dominando il mercato degli olii; ma verso la metà dell’Ottocento il barone dovette subire la concorrenza dei Pavoncelli e insidiato anche nell’alta finanza dai banchieri Arlotta e Minasi preferì lasciare Napoli. Alla fine dell’Ottocento la villa fu acquistata dai Pignatelli di Monteleone e 169 I Pignatelli in Capitanata donna Rosa Fici (1869-1955), moglie di Diego Pignatelli Aragone Cortés, le diede nuovo splendore, curando anche l’Archivio di Casa Pignatelli,5 importante perché interessa anche le Americhe per la discendenza con Ernand Cortés. Rimasta vedova, donna Rosa, con testamento pubblico del 10 dicembre 1952, legò allo Stato la sua quota di proprietà e sua figlia Anna Maria, che abitava a Roma, rinunciò anch’ella dopo pochi mesi alla sua quota ereditaria in favore dello Stato a cui donò anche alcune statue di marmo ed importanti pezzi di argenteria. La donazione ha vincolato la villa alla destinazione d’uso museale. Oggi, il ramo di Monteroduni, derivante da Stefano (sec. XIV) aggiunge al proprio cognome della Leonessa, importante famiglia di origine gotica ascritta al Seggio di Capuana, e trova il suo discendente nel principe Giovanni Pignatelli della Leonessa nato nel 1920. Del ramo Aragona Cortés dei duchi di Terranova, discendente di Palamede, (sec. XIV) è vivente Don Salvatore Pignatelli Aragona Cortés, nato nel 1945, avvocato, figlio di Don Giuseppe Principe del S.R.I.6 Sempre della linea dei duchi di Terranova esistono altri due rami: il primo rappresentato dal Principe Nicola Tagliavia Aragona Pignatelli Cortés, nato nel 1923, ed il secondo ramo, siciliano, è rappresentato dal Principe Mario Pignatelli Aragona Cortés, nato nel 1943. La linea di Montecalvo è rappresentata dal duca Paolo Pignatelli nato a Washington nel 1949. La linea primogenita di Strongoli prosegue nella famiglia Ferrara Pignatelli, il cui primogenito è Vincenzo nato nel 1913. La linea dei Fuentes è estinta e quella di Cerchiara ha oggi quale rappresentante il Principe Andrea Pignatelli di Cerchiara nato a Roma nel 1918.7 ARMA: di Oro con tre pignatte nere disposte due sopra ed una sotto. MOTTO: Feliciorem. Lo scudo è coperto da mantello e corona di Principe. 5 Attualmente custodito presso l’Archivio di Stato di Napoli, nel fondo: Archivi Privati. SIENA CHIANESE, La nobiltà Napoletana…, cit., p. 291 e segg. 7 DELLA MONICA, Le grandi famiglie di Napoli…, cit., pp. 290-291. 6 170 Lucia Lopriore Stemma della famiglia Pignatelli 171 I Pignatelli in Capitanata 2. Genealogia della famiglia Pignatelli 8 8 Carlo DE LELLIS, Discorso delle Famiglie Nobili del Regno di Napoli, Bologna, Forni, 1968, rist. anast. del 1654, vol. II, pag. 88 et passim. 9 Ibid., Cavaliere Longobardo disceso dai duchi di Benevento, altre fonti fanno risalire le origini della famiglia a Gisolfo. 10 Ibid., fu Contestabile della Repubblica Napoletana nel 1102. 11 Ibid., di questi non si conosce la paternità. 12 Ibid., Cameriere e familiare della Regina Giovanna. 13 Iibid., Signora di Gerentia. 14 Ibid., diventa Abate. 15 Ibid., succede al fratello Hettorre il quale non ha prole. 16 Ibid., 1° Marchese di Casalnuovo e Signore della Tufara. 17 Ibid., di Giovanni duca di Caivano. 18 Ibid., 2° Marchese di Casalnuovo, non ebbe prole. 19 Ibid., 3° Marchese di Casalnuovo. 172 Lucia Lopriore 20 Ibid., di Ferdinando Conte di Misciagna ed Anna Pignatelli. Ibid., Luogotenente della R. C. fu Signore di Matrignano. 22 Ibid., Luogotenente nell’Ufficio di Ettore Pignatelli. 23 Ibid., di Roberto, Marchese di Oira e Lucrezia Cicara. 24 Ibid., morto nel 1578 senza prole, lasciò i suoi beni all’Ospedale della SS. Annunziata di Napoli. 25 Ibid., di Giacomo Marchese di Lavello e Lucrezia della Tolfa. 26 Ibid., di Giovanni Michele e Rebecca d’Azzia March. Della Terza. 27 Ibid., fu decorato del titolo di Marchese di S. Marco che in seguito trasmise al nipote Cesare. 28 Ibid., di Luigi Conte di Montagano e Romonditta Palagna. 29 Ibid., fu sacerdote. 30 Ibid., di Giovanni Battista Duca di Montecalvo. 31 Ibid., di Sigismondo e Felicia Carafa. 32 Ibid., di Ottavio e Delia Carafa. 33 Ibid., Capitano della Fiandra. 34 Ibid., Duca di Allisto, Signore di Fellino, Signore della Tufara. 35 Ibid., di Ferdinando Conte di Misagna e Camilla Acquaviva dei duchi di Nardò. 21 173 I Pignatelli in Capitanata 36 Ibid., di Sigismondo e Felicia Carafa. Ibid., ebbe una figlia femmina che sposò il Marchese di Alfedena. 38 Iibid., Principessa di Strongoli e Contessa di Melissa. 39 Ibid., Monaca nel monastero Regina Coeli di Napoli. 40 Ibid., sposò Giovanni Battista Pignatelli. 41 Ibid., di Sigismondo e Felicia Carafa. 42 Ibid., di Lutio Signore di S. Vito, della Torre S. Susanna, d’Acquarica e Lucrezia di Loffredo. 43 Ibid., di Marcantonio Signore di Limatola ed Isabella Colonna Pr. Di Palestrina, di Alessandro e Margherita Acquaviva Aragona. 44 Ibid., nato dopo la morte del padre. 45 Ibid., non ebbe prole. 46 Ibid., Baronessa di Fegnano, Malvito, Petrapiccola e Svosi. 47 Ibid., di Girolamo e Giovanna Campitelli. 48 Ibid., di Cesare ed Antonella Palalonga. 49 Ibid., Chierico con il nome di Paolo, m. il 24/08/1600. 50 Ibid., figlia di Federico Signore di Capineto e di Isabella Caracciolo, 2° moglie del padre. 51 Ibid., Barone di Capineto. 52 Ibid., di Fabrizio. 53 Ibid., nel 1603 fu decorato da Re Filippo III Cavaliere di S. Giacomo e Marchese di Palletta. 37 174 Lucia Lopriore 54 Ibid., di Giovanni Vincenzo e Giovanna Carafa Marchesa di Oriulo. Ibid., Marchese di Palletta. 56 Ibid., Abate. 57 Ibid., di Paolo duca di Montecalvo e Laura Pignatelli. 58 Iibid., nato dopo la morte del padre. 59 Ibid., di Annibale e Lucrezia Carbone. 60 Ibid., di Marcantonio e Camilla Accorciamuro, fu Signore di Tosillo. 61 Ibid., eredita i titoli del padre e dopo la morte della moglie diventa cappuccino. 62 Ibid., non avendo contratto matrimonio lasciò la Signoria di Torsillo al nipote Francesco Lombardi figlio di Giovanna. 63 Oppure Girolama. 64 Ibid., sorella di Ippolita. 65 Ibid., la coppia non ebbe prole. 66 Ibid., di Marcantonio e Camilla Accorciamuro. 67 Ibid., dei Signori di Montebello, Pietroferrazzano, Vasto e Meroli. 68 Ibid., non si conosce il nome della prima moglie. 69 Ibid., di Conti di Gambatesa. 55 175 I Pignatelli in Capitanata 70 Ibid., di Tommaso e Cicella Filomarino, 1° Duca di Monteleone nel 1456, morto nel 1476. Ibid., sposò Giacomo Filangieri dai quali discesero i Signori del Seggio del Nilo. 72 Ibid., sposò Giovanni Battista Brancaccio. 73 Ibid., sposò Tommaso Guidazzo. 74 Ibid., sposò Onorato Antonio d’Aragona, ereditò i Feudi di Motula, Cerigliano ecc. che lasciò al fratello Ettore. 75 Ibid., di Sansone e Costanza di Capua. 76 Ibid., 1° Conte di Borrello. 77 Ibid., 2° duca di Monteleone, 2° Conte di Borrello, per trasmissione del titolo dal fratello Fabrizio, Signore di Trentola, Giugliano, Aversa, nel 1545 fu Scrivano di Ratione. 78 Ibid., 2° Conte di Borrello. 79 Ibid., 4° Conte di Borrello, 3° Duca di Monteleone, Signore di Caronia. 80 Ibid., sposò Pietro Borgia di Squillace. 81 Ibid., sposò Giovanni Battista Spinelli Principe di Scalea. 82 Ibid., di Ascanio duca di Palliano e Tagliacozzo e Giovanna d’Aragona. 83 Ibid., 5° Conte di Borrello e 4° duca di Monteleone. 84 Ibid., sposa in prime nozze Carlo Tagliavia Aragona, duca di Terranova, ed in seconde Don Pedro Alvaréz de Toledo. 85 Ibid., di Carlo Conte di S. Angelo ed Anna di Mendozza, con il matrimonio acquisì i Feudi di S. Angelo dei L., Nusco ed altre due terre nel tenimento di Cerignola. 86 Ibid., ereditò il Feudo di Cerignola alla morte del padre, sposò Fabrizio Pignatelli, Marchese di Cerchiara e Principe di Noja, cit. p. 145. 87 Ibid., di Tommaso e Cicella Filomarino, da questi discesero i Marchesi di Cerchiara. 88 Ibid., di Simone. 71 176 Lucia Lopriore * * ** Ettore 106 Giulio107 Francesco108 89 Carlo109 Antonio Zenobia Caterina Ibid., entrò a far parte dei Chierici Regolari. Ibid., di Gorone Signore di Monterone e Delfina di Loffredo. 91 Ibid., la coppia non ebbe prole. 92 Ibid., dal matrimonio non nacquero figli. 93 Ibid., di Palammede e Restituita Cacciotta. 94 Ibid., oppure Coscia, di Pietro Signore di Procida e Maria Caracciolo. 95 Ibid., nel 1556 fu decorato del titolo di 1° Marchese di Cerchiara da Re Filippo, morì il 23/02/1567. 96 Ibid., 2° Marchese di Cerchiara. 97 Ibid., di Troiano Pr. di Scalea. 98 Ibid., 3° Marchese di Cerchiara. 99 Ibid., nato dopo la morte del padre. 100 Ibid., di Giovanni Francesco 1° Principe di S. Severo ed Adriana Carafa. 101 Ibid., 4° MarchesediCerchiarae2° Pr.diNoja,acquistòdallaR.C.iFeudidiMontecorvinoeBisignanoededificòS.Lorenzo. 102 Ibid., di Vincenzo Pr. della Riccia e Giovanna Carafa. 103 Ibid., 2° Pr. di Noja, 4° duca di Monteleone, 6° Conte di Borrello ecc. 104 Ibid., entra a far parte dell’Ordine del Chierici Regolari. 105 Ibid., di Ettore 4° duca di Monteleone. 106 Ibid., 8° Conte di Borrello ecc. 107 Ibid., 5° duca di Monteleone e Marchese di Sambuco. 108 Ibid., entra a far parte dell’Ordine dei Chierici Regolari. 109 Loc. cit. 90 177 I Pignatelli in Capitanata * * ** Marzio 120 110 Ibid.,di Diego duca di Terranova. Ibid., Marchese di Avila. 112 Ibid., di Giulio e Zenobia Pignatelli. 113 Ibid., di Vincenzo Pr. della Riccia e Giovanna Carafa. 114 Ibid., di Giovanni duca di Noja e Giulia Lannoi. 115 Ibid., di Fabrizio e Violante di Sangro. 116 Ibid., con il matrimonio acquisisce il titolo di duca di Belrisguardo, acquista da Francesco di Somma il Feudo di Casalnuovo. 117 Ibid., sposò una figlia di Fabrizio Carafa ed ebbe una sola figlia. 118 Ibid., di Fabrizio e Vittoria Cicinella, fu Signore di Castellaneta. 119 Ibid., moglie di Giulio Pignatelli Principe di Noja. 120 Ibid., di Fabrizio e Vittoria Cicinella, fu Marchese di Spinazzola. 111 178 Lucia Lopriore (femmina)?127 ? (Femmina) 140 121 Ibid., di Giovanni Battista Conte della Rocca. Ibid., 2° Marchese di Spinazzola. 123 Ibid., di Paolo. 124 Ibid., di Fabrizio duca di Andria e Maria Carafa Pr. di Stigliano. 125 Ibid., 2° Principe di Mandorvino e 5° Marchese di Spinazzola. 126 Ibid., divenne Papa con il nome di Innocenzo XII. 127 Ibid., divenne monaca. 128 Ibid., pag. 163, di Giovanni e Giulia Boncompagni, dal matrimonio nacquero molti figli. 129 Ibid., di Fabrizio e Vittoria Cicinella, fu Cavaliere di Alcantara. 130 Ibid., di Giovanni Tommaso, Marchese di Sant’Eramo ed Isabella Caracciolo. 131 Ibid., Signore di Regina. 132 Ibid., entrò nell’Ordine dei Chierici Regolari. 133 Ibid., le ultime due femmine diventano monache. 134 Ibid., di Fabrizio e Vittoria Cicinella. 135 Ibid., di Giovanni Battista Conte della Rocca. 136 Ibid., Signore di Marsico Nuovo. 137 Ibid., dei Marchesi di Volturara. 138 Ibid., entrò nella Compagnia di Gesù. 139 Ibid., sposò Giovanni Battista di Sangro, Principe di Viggiano, figlio di Nicolò Placido, Marchese di S. Lucido ed Eleonora Carafa. 140 Ibid., le ultime due femmine divennero monache nel Monastero di S. Potito a Napoli. 141 Marchesa di S. Stefano. 122 179 I Pignatelli in Capitanata . 142 Ibid., di Giacomo e Maria Coscia, fu il 1° Conte e Marchese di Lauro, Signore di Summonte, Marchese di Casalnuovo dal 1569 poiché acquistò il feudo. 143 Ibid., di Sigismondo, Signore Monteforte e di Cardito. 144 Ibid., 2° Marchese di Lauro, in seguito alle nozze divenne Conte di S. Valentino. 145 Ibid., di Carlo e Livia Spinelli. 146 Ibid., per rinuncia paterna fu 3° Marchese di Lauro e 2° Conte di S. Valentino. 147 Ibid., di Cosimo, Marchese di Galatola. 148 Erasmo RICCA, La nobiltà delle due Sicilie, Bologna, 1978, rist. anast. del 1859/1879, vol. I, p.102. Di Scipione e Isabella Caracciolo, 1° duca di Bisaccia, il titolo gli viene concesso da Re Filippo II di Spagna per i meriti ed i servigi resi dal defunto padre. Morì il 23/03/1601. 149 Ibid., 2° duca di Bisaccia e conte di Montagano, acquistò dal duca di Monteleone la terra di Cerignola pagandola 200.000 ducati. Morì il 10 marzo 1645. 150 Ibid., Gesuita. 151 Ibid., di Pietro Antonio duca di Termoli e Berardina della Tolfa. 152 Ibid., Conte di Montagano e di S. Giovanni. 153 Ibid., 3° duca di Bisaccia e Conte di S. Giovanni, dopo la morte della prima moglie si risposò con la cognata. Morì il 22/12/1681. 154 Ibid., entrò a far parte dell’Ordine dei Chierici Regolari. 155 Ibid., le ultime due figlie furono monache. 156 Ibid., di Marcantonio e Dianora Caracciolo. 157 Ibid., di Nicolò, Principe di Cellamare e duca di Giovinazzo ed Ippolita Palagano. 158 Ibid., alla morte del padre ereditò il titolo di 4° duca di Bisaccia. Morì il 22 giugno 1719 senza prole lasciando al nipote Procopio Pignatelli conte d’Egmont, i suoi titoli ed i beni. 180 Lucia Lopriore 159 Ibid., di Scipione ed Isabella Caracciolo, morì nel 1579. Ibid., di Marino, Principe di Avellino e Crisostoma Carafa. 161 Ibid., nato dopo il decesso del padre e morto giovane. 162 BIBLIOTECA NAZIONALE DI NAPOLI, Sezione Manoscritti e Rari, Ms. n. XVIII.46, cc. 119r e 121r.; 2° Principe di Monteroduni, nato nel 1658 e morto nel 1736. 163 Ibid., Duchessa di Casoria. 164 Ibid., Duchessa di Carinari. 165 Ibid., 3° Principe di Monteroduni, n. 1719 m. 1791. 166 Ibid., Priore di Bari. 167 Ibid., sposa Girolamo Pignatelli, Principe di Strongoli. 168 Ibid., Duchessa di Carinari. 169 Ibid., nata nel 1752, sposa Alessandro Pignone del Carretto, Principe di Alessandria. 170 Ibid., nata nel 1753, sposa Almarico Monforte duca di Laurito. 171 Ibid., nata nel 1753, sposa il duca di Carignano. 172 Ibid., 4° Principe di Monteroduni, n. 1757 m. 1829. 173 Ibid., Canonico, m. 1835. 174 Ibid., nata nel 1802, sposa Vincenzo Carafa, duca di Brazzano. 175 Ibid., 5° Principe di Monteroduni, nato nel 1803. 176 Ibid., nato nel 1804. 177 Ibid., nato nel 1805. 178 Ibid., nato nel 1808. 179 Ibid., Principessa di Supino, casata: Ruffo di Calabria. 180 Ibid., Principe di Supino, n. 1836. 181 Ibid., nata nel 1839. 182 Ibid., nata nel 1841. 183 Ibid., nata nel 1843. 160 181 I Pignatelli in Capitanata 184 Ibid., Marchese di S. Vincenzo e 1° Principe di Belmonte. Ibid., 2° Principe di Belmonte. 186 Ibid., Marchese di S. Vincenzo. 187 Ibid., dei duchi di Laurino. 188 Ibid., Marchese di S. Vincenzo ed Ambasciatore a Parigi, m. 1824. 189 Ibid., Conte di S. Vincenzo, m. 1828. 190 Ibid., morto nel 1826. 191 Ibid., Principe di Moliterno. 192 Ibid., Principe di Moliterno, m. 1805. 193 Ibid., Generale, fu decapitato durante i moti del 1799. 194 Ibid., Principe di Moliterno, n. 1770. 195 Ibid., 3° duca di Montecalvo, 5° Marchese di Paglieto. 196 Ibid., Duca di Montecalvo. 197 Ibid., Duca di Montecalvo, intraprese la carriera ecclesiastica. 198 Ibid., 6° duca di Montecalvo, n. 1761, m. 1841. 199 Ibid., 7° duca di Montecalvo e 9° marchese di Paglieto. 185 182 Lucia Lopriore Michelina217 200 Ibid., Duca di Monteleone e di Terranova, e ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI, Sez. Diplomatica-Politica, Libro d’Oro ed altri registri di nobiltà ed Ordini Cavallereschi, c. 181r. 201 Ibid., nato nel 1794. 202 Ibid., nato nel 1795. 203 Ibid., nato nel 1797. 204 Ibid., nata nel 1800, morta nel 1844. Sposò Prospero Colonna. 205 Ibid., nato nel 1803. 206 Ibid., Duca di Monteleone n. 1742, m. 1800. 207 Ibid., Principe di Noja e Marchese di Cerchiara, n. 1705, m. 1756. 208 Ibid., dei Principi di Strongoli. 209 Ibid., Marchese di Cerchiara. 210 Ibid., Cardinale, m. 1813. 211 Ibid., Principe di Noja e Marchese di Cerchiara, m. 1833. 212 Ibid., Principe di Noja e Marchese di Cerchiara, n. 1801, m. 1839. 213 Ibid., Dei Principi di San Severo. 214 Ibid., Principe di Noja e marchese di Cerchiara, n. 1827. 215 Ibid., nata nel 1828. 216 Ibid., nato nel 1835. 217 Ibid., nata nel 1839. 183 I Pignatelli in Capitanata 218 Conte di Egmont, morì nel 1743; cfr. E.RICCA, La Nobiltà…, cit. passim. Ibid., ereditò i titoli del padre, ma morì celibe il 03/07/1753. 220 Ibid., ereditò il Feudo di Bisaccia dopo la morte del fratello e fu decorato del titolo di duca con decreto della R. Camera della Sommaria del 21 gennaio 1755. Morì a Brunswik il 7/12/1801. 221 Ibid., sposò il 10/06/1738 a Parigi, Carlo Maria d’Albert, duca di Cheveuse. 222 Ibid., sposò Luigi Pignatelli Gonzaga, Principe del S.R.I. 223 Ibid., ereditò i titoli dello zio Casimiro con decreto della G. C. della Vicaria del 25/09/1802, essendo la madre già morta. Fu Conte di Fuentes e di Egmont, Marchese di Mora, morì ad Aragona l’8 marzo 1809. 224 Ibid., morì in Francia il 10/07/1807, senza eredi. 225 Ibid., ereditò i titoli di Alfonso Luigi. 226 Ibid., duca di Luynes nacque a Parigi il 4 novembre 1748 e ivi morì il 20/05/1807. 227 Ibid., nacque il 16 ottobre 1783. 228 Ibid., ereditò la Signoria di Cerignola e di Bisaccia per 2/3 da Giovanni Armando dopo la sua morte. 229 Ibid., si sposarono il 12 aprile 1788. 230 Ibid., Visconte de la Rochefoucauld, si sposarono a Parigi il 19/02/1807. 231 Ibid., morì il 27/06/1834 a Parigi, alla sua morte i titoli furono trasmessi a Carlo Maria Gabriele. 232 Ibid., nacque il 09/04/1822. 233 Ibid., p. 99, nota n. 47. Ultimo duca di Bisaccia. 219 184 Lucia Lopriore FONTI DOCUMENTARIE ARCHIVIO DI STATO DI NAPOLI: Sezione Diplomatica-Politica: Archivi Privati: - Archivio Pignatelli Museo, (Aragona Cortés). - Archivio Serra di Gerace. - Archivio della Commissione Araldica Napoletana. - Platea delle famiglie nuovamente ascritte al Libro d’Oro. - Libro d’Oro ed altri registri di nobiltà ed Ordini Cavallereschi. - Platea delle Famiglie Patrizie Napolitane. BIBLIOTECA NAZIONALE DI NAPOLI: Sezione Manoscritti e Rari: - Manoscritto n. XVIII.46. 185 186 Gaetano Zenga L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo di Gaetano Zenga 1. Dylan Thomas e l’atto di scrivere Dylan Thomas, generalmente considerato il meno intellettuale dei poeti inglesi, si distingue per il suo modo di concentrarsi sull’invenzione lirica di un nuovo modello di mondo sensibile e per lo sforzo di creare un linguaggio che esprima con immediatezza la visione della propria realtà. Per il suo netto rifiuto di ogni intellettualismo e di ogni problematizzazione ideologica, per il suo sforzo di fare poesia privilegiando la più semplice base organica dell’esperienza, il momento della nascita, Thomas è certamente diverso dai suoi coetanei Wystan Hugh Auden, Stephen Spender e Louise MacNeice, perché egli mostra delle affinità con altri moderni visionari come William Butler Yeats e James Joyce . Che dall’inizio della sua carriera letteraria Thomas avesse idee chiare sulla sua arte è mostrato dalle sue lettere. In una lettera del Natale 1933, indirizzata a Pamela Hansford Johnson, egli scrive: Posso proprio riconoscere, non pensare, che nulla sia privo di interesse, posso estendere le mie convinzioni e credere ancora una volta, come ho appassionatamente creduto e così appassionatamente voglio credere, nella magia di questo ardente e sconcertante universo, nel significato e nel potere dei simboli, nel miracolo di me stesso e di tutti i mortali, nella divinità che è così vicina a noi, e che desidera tanto essere più vicina, nell’incredibile meraviglia rosso-vivo, splendente del cielo che posso vedere in alto e del cielo al quale posso pensare dal basso.1 Thomas è un poeta che ama andare contro corrente perché vuole distinguersi dai suoi contemporanei. Infatti, in un’altra lettera a Pamela Hansford Johnson del 1933, il poeta mette in risalto che egli organizza il suo conflitto rigeneratore in modo diverso dagli altri poeti, poiché, al contrario di essi, sceglie la materia morta, tradizionalmente considerata simbolo di rovina: 1 Traduzione dell’autore (così come i successivi passi in prosa). 187 L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo Se scrivo tanto spesso in termini di corpo, di morte, di malattia e di corruzione del corpo, non significa necessariamente che la mia Musa (non una delle mie parole preferite ) sia sadica. Almeno per ora credo nello scrivere poesia della carne, e in genere, della carne morta . Moltissimi poeti moderni scelgono come loro oggetto la carne ‘viva’, e con il loro accorto lavoro di dissezione, la trasformano in una carcassa. Io preferisco usare la carne ‘morta’, e con tutta la positività di fede e di convinzione che ho dentro di me, costruirci una carne ‘viva’. L’atto dello scrivere per Thomas va necessariamente espresso in termini fisici in linea con lo sviluppo fisiologico dei pensieri e delle azioni: Tutti i pensieri e le azioni hanno origine dal corpo. Perciò la descrizione di un pensiero o di un’azione - per quanto astrusa possa essere - può essere fatta riducendola a livello fisico. Ogni idea, intuitiva o intellettuale può essere tradotta nei termini del corpo, della sua carne, pelle, sangue, tendini, vene, ghiandole, organi, cellule o sensi. Per il tramite della mia piccola isola legata da ossa ho imparato tutto ciò che conosco, ho fatto esperienza di tutto e sentito tutto. Tutto ciò che scrivo non è separabile dall’isola. Per quanto possibile, perciò, ricorro allo scenario dell’isola per descrivere lo scenario dei miei pensieri, il terremoto del corpo per descrivere il terremoto del cuore [...] (lettera a Pamela Hansford Johnson, 1933). Non ancora ventenne, Thomas si mostra già contrario ad ogni automatismo verbale e a ogni introspezione morbosa. A proposito dell’automatismo verbale, sempre a Pamela Hansford Johnson, in un’altra lettera del 1933, egli scrive: “La scrittura automatica è indegna come letteratura [...]. La mia facilità [...] è in realtà lavoro terribilmente faticoso. Scrivo alla velocità di due versi all’ora. Ho scritto centinaia di poesie e ognuna mi è costata ore e ore di dolore, sudore e tortura cerebrale”. A Trevor Hughes, in una lettera del 1933, Thomas raccomanda di evitare l’introspezione morbosa: Ricordo di averti detto di evitare il più velocemente possibile la morbosità e l’introspezione morbosa. Ora ti dico di scavare, profondamente, in te stesso, finché non scoprirai la tua anima e finché non ti sarai conosciuto. Questi due piccoli consigli non sono in contraddizione. La ricerca autentica dell’anima è così lontana nell’ultimo cerchio dell’introspezione da essere fuori. Tu dovrai prima rotare naturalmente su ogni cerchio. Ma finché non sarai giunto a quel piccolo nucleo rosso e vivace, non sarai vivo. Il numero dei morti che camminano, respirano e parlano è sbalorditivo. Nell’ambiente culturale del suo tempo, le precedenti affermazioni di Thomas suonano come dichiarazioni di indipendenza e denuncia di una poesia da lui definita “stanca, affettata, evasiva di tutti i problemi della carne e dello spirito”. 188 Gaetano Zenga A giudizio di Thomas i più significativi rappresentanti di questo genere di poesia sono poeti come Auden, Cecil Day Lewis, Ezra Pound e tutti i poundiani. Thomas critica la sottomissione di molti poeti inglesi, dopo la prima guerra mondiale, a certe regole che denotano, a suo parere, la loro inclinazione neoclassica, anziché romantica. La ribellione di Thomas all’establishment letterario, alla cultura ufficiale del suo tempo, si spiega con il fatto che egli si batte per una partecipazione attiva del poeta alla poesia che gli appartiene, contro quanti rifiutano una poesia personale e favoriscono l’intellettualizzazione del mondo poetico. Il suo sforzo è di porre al centro della poesia la sua personalità, perché questa diventi la sua poesia. Thomas vuole un diretto coinvolgimento del poeta nel tessuto della sua opera, al contrario di Thomas Sterne Eliot che definisce la poesia “evasione dalla personalità” e considera il poeta come catalizzatore, al cui contatto, da un miscuglio di idee nasce l’opera poetica, senza che il poeta venga coinvolto direttamente. Va comunque chiarito, che anche se Thomas partecipa attivamente all’azione della sua poesia, è al centro del suo sistema, lo crea, è se stesso nella sua poesia, non ha una voce individuale in alcuna di esse, l’ ‘io’ della sua poesia diventa continuamente un ‘altro’. In un saggio su Dylan Thomas, Vanna Gentili si sofferma sull’io indifferenziato nella poesia thomasiana: “Thomas non parla mai, o parla raramente di ‘altri’, né descrive il mondo visibile; ma i processi che registra si riferiscono a un io indifferenziato, privo di qualificazioni psicologiche, che si dilata, protendendo i tentacoli della propria fisicità e del proprio patire, a inglobare la generalità umana e con quella, gli elementi organici e inorganici del cosmo”.2 2. Le prime raccolte Sin dal suo primo volume di poesie, Eighteen Poems, pubblicato nel 1934, che ebbe un impatto immediato sui critici letterari per le sue immagini insolite, violente e brillanti, il compito di Thomas fu di districare la misteriosa relazione fra i cicli perpetui e i processi di nascita e morte, rigenerazione e distruzione sia nella natura che nella configurazione fisica e psicologica dell’uomo. La poesia di Thomas si distingue soprattutto per la sua coerenza tematica caratterizzata dal sesso, dalla concezione, dal feto, dalla nascita come iniziazione alla morte, elementi dell’esperienza umana per i quali la ragione non sa fornire alcuna spiegazione esauriente. Thomas considerò i processi della biologia come una magica trasformazione che produce unità dalla diversità e ripetutamente nella sua poesia cercò un rituale 2 Vanna GENTILI, Il mondo rappreso di Thomas, in «Paragone», 202, 1966. 189 L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo poetico per celebrare questa unità, si considerino i notissimi versi: “The force that through the green fuse drives the flower / Drives my green age (vv. 1-2)”.3 È su questa base biologica che Thomas costruisce la sua visione mitica rigeneratrice, in linea con la visione mitica del mondo dei grandi romantici William Blake e Samuel Taylor Coleridge. Questa visione mitica di Thomas, proprio all’inizio della sua carriera letteraria, segna la sua vocazione romantica in contrasto con l’establishment letterario del suo tempo che, a suo giudizio, come è stato già notato, mostra un’inclinazione neoclassica. Un altro aspetto fondamentale della poesia thomasiana è il linguaggio, un linguaggio privo dei propri significati convenzionali, fatto di termini ambigui, distorti, volti ad acquisire nuove potenzialità di significati multipli.4 Certamente, questa distorsione è responsabile dell’oscurità anche tematica della poesia giovanile di Thomas, mentre nella poesia della maturità assume forme più accessibili. Il linguaggio convenzionale viene intenzionalmente distorto da Thomas per adattarlo alle esigenze della sua visione personale. L’esempio più significativo di questa distorsione è costituito da due versi del sonetto IV appartenente a Altarwise by owl-light (Come altare al lume di civetta),5 una delle opere più oscure di Thomas: Button your bodice on a hump of splinters My camel’s eyes will needle through the shroud (vv.9-10). 6 In questi versi, come in altre poesie,7 la nascita reca già il segno della morte, il tema utero-tomba: “una gobba di schegge” indica appunto il feto, nascosto sotto il vestito della madre incinta e immaginato dagli occhi sospettosi come frantumato quasi a presagire i frammenti ossei della tomba; gli “occhi di cammello” scopriranno il feto segreto, penetrando attraverso il sudario che lo copre. L’immagine evangelica originale, che mette in relazione il cammello e la cruna dell’ago per esprimere l’impossibilità per i ricchi di entrare in paradiso, è rovesciata da Thomas. Infatti, l’immagine cruna-ago estranea al cammello e ai ricchi, viene sostituita dall’immagine cruna-occhio che appartiene al “cammello” che vede molto chiaramente, mentre l’ago perde la sua funzione di simbolo di ostruzione. 3 “La forza che nella verde miccia spinge il fiore /Spinge i miei verdi anni” (The force that through the green fuse drives the flower). 4 Elder Olson ha criticato le forzature del linguaggio operate da Thomas, perché, a suo giudizio, esse non gli consentono di capire se un termine è inteso in senso letterale o metaforico. Cfr. Elder OLSON, The poetry of Dylan Thomas, Chicago, The University of Chicago Press, 1954. 5 È una raccolta di dieci sonetti; i primi sette sonetti furono pubblicati in Life and Letters Today, XIII, 2, nel dicembre del 1935; gli altri tre furono scritti più tardi e raccolti insieme agli altri in Twenty-five Poems. 6 “Abbottonati il corpetto su una gobba di schegge,/ I miei occhi di cammello bucheranno come ago il sudario”. (Le traduzioni delle poesie sono dell’autore o sono tratte da quelle di Ariodante Marianni, in Dylan THOMAS, Poesie e racconti, Torino, Einaudi, 1996). 7 Si pensi ai versi 3-4 di Twenty-four years: “In the groin of the natural doorway I crouched like a tailor / Sewing a shroud for a journey” (“Nel vano della porta naturale stavo accosciato come un sarto / A cucire il sudario per un viaggio”). 190 Gaetano Zenga Thomas opera un vero e proprio rovesciamento delle formule del linguaggio convenzionale, perché in questo modo egli intende protestare contro la visione statica della realtà riflessa nel linguaggio ordinario. Il linguaggio ordinario è visto da Thomas come una sorta di coltre opprimente che va squarciata con ogni mezzo. L’uso continuo, nella poesia thomasiana, del paradosso, dello slang, della paronomasia, della catacresi, di rime assonanti, vocaliche, rappresenta la necessità di servirsi di tutti gli strumenti linguistici idonei a garantire un linguaggio che assicuri convenientemente le relazioni con un universo nuovo e dinamico. Inoltre, Thomas si serve del suo linguaggio come uno strumento, un modo immaginativo per percepire lo spirituale, in un mondo dove gli imperativi morali non hanno più valore, dove i valori etici sono quasi completamente scomparsi dalla coscienza dell’uomo, dove non si ha più una concezione chiara del divino. Lo sforzo di Thomas è volto a ripristinare il contatto con il divino, rappresentando la realtà ‘caduta’. Così si spiega, sia nelle prime poesie che nelle poesie della maturità, il forte desiderio di Thomas di porsi in contatto con la forza occulta dell’universo. Egli lo fa con molta sincerità, con un impegno estremo di illuminare la materia nascosta, seguendo un modello morale che vuole rivelare. Thomas cerca di darsi un metodo8 per la soluzione di questo problema. Segni evidenti delle prime formulazioni del suo metodo, possono essere colti nei consigli che egli dà all’amico scrittore Trevor Hughes: Tu non sei davvero interessato alla gente. Dubito addirittura che tu sia uno scrittore di narrativa. Perché andare nei caffè a cercare trame consunte, quando le sole cose che ti stiano a cuore sono l’antagonistico interagire delle emozioni e delle idee, l’attrito delle sensibilità, le corde cerebrali e nervose, le convoluzioni dello stile, la tortuosità di nuove espressioni [...] quando devi dire qualcosa, per quanto possa essere terribile, e il vocabolario con il quale dirlo [...] (lettera del 1933). Sempre a Hughes, un anno prima, indica l’esempio di una prosa costruita con i simboli del mondo e con i ‘fondamenti dell’anima’, anziché con trame e personaggi, descrivendo il suo rapporto con la realtà circostante. “Vorrei amare l’umanità, ma demoni divoratori di cadaveri, vampiri, squartatori di donne, stupratori di bambini, ubriaconi tutti verruche, mezzani e finanzieri passano accanto alla finestra, diretti Dio sa dove e perché, in un sogno su e giù per la collina”. È la reazione del giovane Thomas alla società, è il segno della sua paura per il mondo quotidiano fatto di uomini e donne ordinari. Occorre chiarire, comunque, che il disgusto thomasiano per la società 8 Per uno studio rigoroso e illuminante sul metodo della poesia thomasiana, in particolar modo per quanto riguarda la sua complessità degli usi linguistici e il loro aggancio con la situazione socio-culturale si veda John BAYLEY, Dylan Thomas, in The Romantic survival: a study in poetic evolution, London, Constable, 1960. 191 L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo non assumerà mai i toni satirici di Jonathan Swift o di Joyce perché Thomas è fondamentalmente poeta mitopoietico e visionario. Tuttavia, non si può non ammettere che la questione dei rapporti umani tormenti Thomas, soprattutto in poesie come I have longed to move away (Ho desiderato tanto allontanarmi). Di fronte alla scelta se troncare i legami con le immagini ossessive, che lo fanno il poeta che è, e diventare poeta sociale o continuare a scrivere poesia di ‘sé’, questa poesia, come la sua simile Make me a mask (Fatemi una maschera), fa capire che Thomas sceglie la seconda soluzione. Il peso di questo dilemma, che Thomas avverte come minaccia per la sua carriera letteraria, appare in maniera esplicita in una lettera del 1934 in cui dichiara di non essere capace di descrivere scene ordinarie della realtà quotidiana: Vorrei poter descrivere ciò che sto osservando [...]. Molto lontano, accanto alla linea del cielo, tre donne e un uomo stanno raccogliendo molluschi. A centinaia gli ostricai protestano intorno a loro. Anche qui vicino a me, una folla di donne silenziose sta raschiando la sabbia umida, grigia, con i manici frantumati delle caraffe, e pulendo i molluschi nelle sudice piccole pozzanghere.[...] Ma vedi che ne sto facendo di nuovo una giornata letteraria. Non riesco mai a rendere giustizia agli infiniti chilometri di melma e sabbia grigia, allo snervante silenzio delle pescatrici, alle strida da anime spregevoli dei gabbiani e degli aironi, alle forme delle mammelle delle pescatrici che penzolano grosse come barili. [...] Non riesco a dare realtà a queste cose, eppure sono vive quanto me (lettera a Pamela Hansford Johnson). In Especially when the October wind (Specialmente se il vento di ottobre),9 poesia scritta come la precedente lettera nel 1934, Thomas ritorna sul problema della sua incapacità di descrivere scene ordinarie di oggetti, di uomini e di donne nelle “Wordy shapes of women, and the rows/Of star-gestured children in the park” (vv.1112),10 perché chiuso in una torre di parole convenzionali. Il poeta si sente isolato nella sua torre di parole insieme agli altri abitanti e oggetti naturali del proprio mondo, non c’è più pausa tra lingua e realtà: la realtà inghiotte in crescendo il linguaggio esprimendosi con le sue parole man mano che le inghiotte. Il cuore indaffarato trema, sparge sangue “sillabico” e le parole diventano sempre più “aride” e il paesaggio risponde con le “oscure” vocali degli uccelli. Con le parole convenzionali il poeta non potrebbe più dare convincente espressione alla propria intuizione fisica, attraverso pensieri e azioni che richiederebbero invece termini corporali come sangue, carne e vene. Tuttavia egli cerca una lingua nuova che possa rendere vivo il mondo fisico attraverso la fusione della terminologia del linguaggio syllabic (v.8), vowelled (v.13), voices (v.14), speeches (v.16), signs (v.21), sins (v.24) con il mondo della natura: the syllabic blood (v.8), the vowelled beeches (v.13), the oaken voices (v.14), the water’s speeches (v.16), the meadow’s signs (v.21), the raven’s sins (v.24).11 9 La poesia è datata 6 settembre 1934 in Buffalo Notebook, e raccolta successivamente in Eighteen Poems. “Verbali forme di donne e le file / Dei bambini nel parco che hanno gesti di stella”. 11 “il sangue sillabico”, “le vocali di faggio”, “i discorsi dell’acqua”, “le voci di quercia”, “i segni del prato”, “i peccati del corvo”. 10 192 Gaetano Zenga Thomas riesce a interiorizzare il mondo trasformando il mondo in parole; lui stesso, in questo modo, però, viene penetrato dal mondo in tutta la sua immediatezza sensoria. Il mondo sensibile diventa sostanza delle parole del poeta, che parla il mondo e lo tocca come se stesso, cambia e diviene con esso. A ragione Thomas si preoccupa perché l’equilibrio tra pensiero e sensazioni fisiche, il cardine che sorregge la sua poesia, è minacciato dalle parole convenzionali. Egli si trova di fronte ad un terribile dilemma: se il poeta non può fidarsi della sua intuizione fisica, come potrà descrivere convenientemente i pensieri e le azioni che da essa derivano e che per lui, come si è visto, possono tradursi in termini corporali, carne, sangue, vene? In alcune delle più complesse poesie di Eighteen Poems, come Light breaks where no sun shines (La luce spunta dove non splende il sole ),12 egli affronta il problema dell’intuizione creativa e della logica distruttiva della ragione. In questa poesia l’immagine principale è l’alba che va interpretata come metafora della coscienza umana.13 Se il poeta fa spuntare l’alba dietro gli occhi è perché essa rappresenta la coscienza percettiva: Dawn breaks behind the eyes; From poles of skull and toe the windy blood Slides like a sea (vv.13-15).14 Senza l’alba gli occhi stessi sono ridotti a oscure cavità che sono i simboli della morte; con essa invece vengono rischiarati anche gli scarti della ragione, le maleolenti incrostazioni dell’intelletto e le logiche morte vengono illuminate di nuovo, il sangue si risveglia, come il segreto del suolo che con il suo sguardo si trasforma in fertilità e fonte di nuova vita: Light breaks on secret lots, On tips of thought where thoughts smell in the rain; When logics die, The secret of the soil grows through the eye, And blood jumps in the sun (vv.25-29).15 12 Datata 20 novembre 1933 in Buffalo Notebook; pubblicata con poche varianti ma con il titolo di Light in The Listener, XI, 270 del 14 marzo 1934; raccolta in Eighteen Poems. 13 I critici hanno fornito diverse interpretazioni sul tema di questa poesia. Elder Olson ritiene che la poesia elabori “con estrema complessità le relazioni fra l’uomo e il mondo esterno”, proprio come fa, ancorché in modo più semplice, The force that through the greene fuse drives the flower (E. OLSON, The Poetry of Dylan Thomas…). Henry Treece crede che la poesia sia “una descrizione dello stato dell’esistenza” e il suo tema “il processo vitale”. Cfr. Henry TREECE, Dylan Thomas. Dog among the fairies, London, Benn, 1959. Per William York Tindall il tema della poesia è certamente “un enigma”: lotta fra oscurità e luce? Albeggiare della coscienza e sopraggiungere della consapevolezza? O semplicemente una composizione astratta come in pittura? Cfr. William York TINDALL, A reader’s guide to Dylan Thomas, New York, The Noonday press, 1962. 14 “L’alba appare dietro gli occhi; / Dai poli del cranio e dell’alluce il sangue ventoso/Scivola come un mare”. 15 “La luce spunta su segreti appezzamenti,/Sugli scarti del pensiero dove i pensieri esalano alla pioggia; / Quando le logiche muoiono, / Il segreto del suolo cresce attraverso l’occhio, / E il sangue balza nel sole”. 193 L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo Tuttavia, l’alba si arresta ogni volta che la coscienza dell’uomo si ingolfa nei deserti della ragione: “Above the waste allotments the dawn halts” (v.30).16 Per ritrovare la forza immaginativa e riconquistare il suo carattere creativo, la coscienza deve sciogliere le forme cristallizzate del mondo e di se stessa.17 Se l’immaginazione è intesa da Thomas come forza vitale per la poesia, anche le immagini sono considerate dal poeta come una particolare forza, una sorta di forza matrice responsabile della loro origine e della loro distruzione.18 In una notissima lettera a Henry Treece, Thomas si sofferma sulla particolare attenzione che dedica alla scelta delle immagini nella composizione delle proprie poesie: Una mia poesia necessita di una schiera di immagini, perché il suo centro è una schiera di immagini. Io creo un’immagine, sebbene ‘creo’ non sia la parola giusta; io lascio forse che un’immagine si ‘crei’ in me emotivamente, e quindi vi applico quel tanto di potere critico e intellettuale che posseggo; lascio che generi un’altra che contraddica la prima, faccio, della terza immagine generata dalla congiunzione delle altre due, una quarta immagine contraddittoria e le lascio cozzare tutte insieme, nell’ambito formale che mi sono imposto. Ciascuna immagine racchiude in sé il germe della propria distruzione, e il mio metodo dialettico così come lo intendo, è un costante sorreggere e crollare delle immagini che si sprigionano dal germe centrale, che è esso stesso distruttivo e costruttivo allo stesso tempo. Giorgio Melchiori, tenendo in giusta considerazione il rigore con il quale Thomas seguiva i complessi schemi metrici, ritmici e strofici delle sue poesie, così commenta: “Si tratta d’una consapevolezza affine piuttosto alla disciplina tecnica di un musicista; e sarebbe davvero interessante sostituire alla parola ‘immagine’ la parola ‘tema’. Penso che ne verrebbe fuori una buona descrizione della tecnica creativa seguita dal compositore di un quartetto o d’una sinfonia”.19 Nel cogliere l’analogia tra la tecnica di composizione di Thomas e quella di un musicista, Melchiori mette in risalto non solo un metodo di composizione, ma anche e soprattuto un particolare processo mentale seguito dal poeta, in considerazione dell’importanza che egli attribuiva al suono delle parole. Nella poesia thomasiana le immagini hanno una forma fisica, ed è concen- 16 “Sopra i terreni deserti l’alba arresta il suo corso”. Per un’analisi capillare di Light breaks where no sun shines, si veda: Tomaso KEMENY, La poesia di Dylan Thomas: enucleazione della dinamica compositiva, Milano, Cooperativa Scrittori, 1976. 18 John Bayley, nel già citato saggio, riconosce la particolare qualità dell’immaginazione thomasiana, ma sottolinea che in essa “l’energia può agire spesso in sostituzione della chiarezza”. 19 Giorgio MELCHIORI, The tightrope walkers : Studies of Mannerism in Modern English Literature, London, Routledge & Kegan Paul, 1956; [trad. it. a cura di Ruggero BIANCHI, I funamboli: il manierismo nella letteratura inglese da Joyce ai giovani arrabbiati, Torino, Einaudi, 1963]. 17 194 Gaetano Zenga trandosi su questa forma, tralasciando temporaneamente le loro funzioni sul piano connotativo, che è possibile individuare la dinamica di certe associazioni che a primo acchito appaiono iperboliche e strabilianti. Ralph Maud, in uno studio critico su Dylan Thomas, con acutezza, osserva che “ogni immagine deve essere modellata ad assolvere la funzione di creare il concetto finale e al tempo stesso di portare avanti una linea narrativa”.20 Infatti, è proprio la somiglianza della forma che permette a Thomas di compiere straordinari salti metaforici come, ad esempio, da lapis a fallo ad albero a croce a torre a candela, con una facilità fantastica. Si può scoprire, quindi, che esistono delle forme basilari che interagiscono con altre forme, comportandosi quasi sempre secondo un certo modello. Il cerchio o la sfera rappresentano la stabilità armonica: il cerchio indica spesso il grembo materno come in Before I knocked (Prima che io bussassi) e in My world is pyramid (Il mio mondo è una piramide), o una fetta di spazio come in In the beginning (Al principio). Inoltre, sia come figura anatomica che come rappresentazione del cosmo, il cerchio è inizialmente vuoto o omogeneo e informe nel suo contenuto. In Before I knocked, 21 l’io lirico ricorda di essere stato: [...]shapeless as the water That shaped the Jordan near my home Was brother to Mnetha’s daughter And sister to the fathering worm (vv.3-6).22 I versi sono una chiara allusione ad una mitica pre-esistenza in cui non esiste alcuna differenziazione, neppure fra i sessi. La forma lineare, al contrario del cerchio o della sfera, rappresenta il movimento. In the beginning presenta una serie di immagini che, come quella di “un sorriso di luce traversa il viso vuoto”, sono basate sulla relazione geometrica cerchio-linea; in queste immagini, è sempre la forma lineare (elemento attivo), che si inserisce in quella circolare (elemento passivo)23 e l’atto è descritto con immagini che di solito si associano a quelle della narrazione biblica della creazione. L’atto creativo, nelle prime poesie, è di solito visto con l’ottica della creatura non ancora nata come un atto di aggressione. L’esempio più significativo di concepire l’atto creativo in termini di aggressione è costituito da I dreamed my genesis 20 Ralph N. MAUD, Entrances to Dylan Thomas’ Poetry, Pittsburgh, University of Pittsburgh Press, 1963. Datata 6 settembre 1933 in Buffalo Notebook; raccolta in Eighteen Poems. 22 “[...] informe come l’acqua / Che formava il Giordano vicino alla mia casa/Ero fratello della figlia di Mnetha / E sorella del verme generante”. 23 La penetrazione della linea nel cerchio fa pensare a una rappresentazione schematica della congiunzione di maschio e femmina, anche se questa interpretazione non è mai dichiarata da Thomas in maniera esplicita. 21 195 L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo (Sognai la mia genesi),24 nella quale Thomas affronta l’orrore della realtà contemporanea, frutto del mondo tecnologico, imperniato sul suo tema favorito: il processo nascita, morte, rinascita. Il poeta usa metafore del mondo della macchina e crea immagini di orrore che fanno da sfondo al sogno del narratore. Il sogno, che si estende dalla prima nascita del narratore, alla sua seconda nascita o resurrezione ed include anche la sua morte in guerra, si rivela una grande delusione per la terribile meccanizzazione del mondo tecnologico in cui viene a trovarsi il neonato: I dreamed my genesis in sweat of sleep, breaking Through the rotating shell, strong As motor muscle on the drill, driving Through vision and the girdered nerve (vv.1-4 ).25 L’atto con cui egli viene al mondo ha poco di umano, perché somiglia alla messa in moto del motore di una automobile con il suo “guscio rotante” e il suo “trapano”; la realtà che lo accoglie è fatta di limatura di metalli, di lame acuminate ed è la stessa dove troverà la sua morte con il gas velenoso: From limbs that had the measure of the worm, shuffled Off from the creasing flesh, filed Through all the irons in the grass, metal Of suns in the man-melting night (vv.5-8).26 Con le metafore del mondo motorizzato, per descrivere l’attività organica dell’uomo, Thomas mira ad esorcizzare gli orrori di quella realtà brutale per farli sembrare irreali e quindi estranei all’uomo. In All all and all the dry worlds lever (Tutto tutto e tutto gli aridi mondi sollevano ),27 Thomas affronta il tema della realtà-illusione, fertilità-aridità, servendosi dei simboli dell’energia riproduttiva sprigionata dal corpo degli amanti. Gli amanti somigliano a leve che trasmettono l’energia lavica e vivificano la terra “piattaforma del ghiaccio”, ma sono anche “aridi mondi” perché il loro amore si è fatto immondo e meccanico ed è soltanto amore della “carne”: How now my flesh, my naked fellow, Dug of the sea, the glanded morrow, Worm in the scalp, the staked and fallow. 24 La poesia fu scritta in novembre o nei primi di dicembre del 1934, per essere inclusa in Eighteen Poems. “Sognai la mia genesi nel sudore del sonno, rompendo/Il guscio rotante, potente come il muscolo/D’un motore sul trapano, inoltrandomi/ Nella visione e nel nervo travato”. 26 “Da membra fatte a misura del verme, liberato / Dalla carne grinzosa, limato / Da tutti i ferri dell’erba, metallo/ Di soli nella notte che gli uomini fonde”. 27 La poesia, scritta a novembre o nei primi giorni di dicembre del 1934, sarà inclusa in Eighteen Poems. 25 196 Gaetano Zenga All all and all, the corpse’s lover, Skinny as sin, the foaming marrow, All of the flesh, the dry worlds lever (vv.7-12).28 A ragione, Derek Stanford, in uno studio del 1954,29 sostiene che la poesia si incentra sulle relazioni panteistiche fra la natura e l’uomo: il sesso è la leva del mondo perché senza di esso le cose rimarrebbero aride. Il volume Twenyy-five Poems, pubblicato nel 1936, si incentra essenzialmente sull’esplorazione dell’uomo, nella sua configurazione sia materiale che spirituale, proponendo nuove tematiche, ma esse sono anche la continuazione delle tematiche di Eighteen Poems, sebbene presentate in maniera diversa, perché la maggior parte delle poesie sono stesure anteriori agli stessi Eighteen Poems. Gli esempi più significativi sono: Ears in the turrets hear (Orecchie ascoltano nelle torrette),30 che è la ripetizione della situazione di isolamento nella propria torre di parole, già descritta in Especially when the October Wind; The seed-at-zero (Il seme a zero), che descrive la sublimazione dell’energia sessuale nella morte e la continuità cosmica che accoglie il termine della vita (“il seme a zero”), è lo sviluppo tematico di Light breaks where no sun shines o di The force that through the green fuse drives the flower (La forza che nella verde miccia spinge il fiore). In Should lanterns shine (Splendessero le lanterne),31 utilizzando il mito edenico, Thomas presenta l’imperfezione della natura della vita, perché è “caduta”: ogni ragazzo esiterebbe a perdere la sua innocenza se conoscesse le conseguenze dell’atto sessuale: “any boy of love/Look twice before he fell from grace (vv. 3-4)”.32 È opportuno chiarire che i valori o i miti utilizzati da Thomas nelle sue poesie, come il mito edenico o il processo biblico creazione-caduta-rigenerazione, vengono da lui filtrati come punti di riferimento del mondo in cui vive il poeta e delle difficoltà che il poeta stesso incontra nella sua formazione. Se si considera, poi, l’insistere di Thomas sulla genesi, sul grembo materno e il suo crescente interesse per la sofferenza degli uomini, si comprende subito perché il simbolismo biblico, 28 “Eccoti qui mia carne, mio nudo compagno, / Mammella del mare, glandoluto domani, / Verme dello scalpo, picchettato e incolto. / Tutto tutto e tutto, amante della salma, / Magro come il peccato, midollo schiumante, /Tutto che è carne, gli aridi mondi sollevano”. 29 Derek STANFORD, Dylan Thomas, London, Spearman, 1954. 30 La poesia mette in rilievo la paura e la difficoltà di comunicazione dell’io lirico che lo costringono a rimanere isolato, rinchiuso nella sua torre, prigioniero di se stesso, forse fino alla sua morte: “Shall I unbolt or stay / Alone till the day I die /[...]/ Beyond this island bound / By a thin sea of flesh / And a bone coast, / The land lies out of sound / And the hills out of mind. No birds or flying fish disturbs this island’s rest (vv. 5-16)”. (“Aprirò o resterò / solo fino alla morte / […] Oltre quest’isola cinta / Da un esile mare di carne / E da una costa d’osso, / I campi e i colli si estendono / Oltre la mente e il suono. / Uccello o pesce volante / Non turba di quest’isola il riposo”). 31 La poesia fu pubblicata per la prima volta in New Verse, nel dicembre del 1935; poi fu raccolta in Twenty-five Poems. 32 “Ogni giovane amoroso / Esiterebbe, prima di perdere la grazia”. (la traduzione al condizionale di look del quarto verso sottintende would del terzo verso ). 197 L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo che lui riteneva il migliore strumento per esprimere le sue idee e le sue emozioni, abbia influenzato lo sviluppo della sua poesia. Nelle prime poesie il messaggio biblico serve a Thomas per esprimere la sua ribellione personale ai falsi miti di un cristianesimo degenerato, falso e ipocrita che esalta l’assurda sofferenza dell’uomo come “divina necessità”. La linfa vitale di Eighteen Poems è il suo profondo pessimismo che considera l’uomo come il frutto di una assurda irrazionalità, alla quale occorre ribellarsi. Nell’ultima fase delle poesie thomasiane, la presenza dell’Eden e della genesi è sempre più frequente; in Twenty-five Poems c’è una vera e propria celebrazione dell’Eden storico, come ad esempio in Incarnate devil (Diavolo incarnato):33 We in our Eden knew the secret guardian34 In sacred waters that no frost could harden, And in the mighty mornings of the earth (vv.13-15).35 L’idea dell’Eden, che è rilevante alla linea centrale della poesia, è riferita all’uomo moderno, considerato nella sua interezza umana che fa esperienza di stati ‘edenici’ e che chiede perdono a Dio per i suoi peccati: Incarnate devil in a talking snake, The central plains of Asia in his garden, [...] In shapes of sin forked out the bearded apple, And God walked there[...] And played down pardon from the heaven’s hill (vv.1-6).36 Che il messaggio edenico sia rivolto all’uomo dell’oggi è confermato dalla presenza del pronome personale we (noi), al settimo e al dodicesimo verso, che per il poeta rappresenta l’intera umanità della quale lui stesso fa parte. I dieci sonetti Altarwise by owl-light,37 che formano l’ultima poesia del volu- 33 La prima versione di questa poesia fu pubblicata con il titolo Poem for Sunday nel «Sunday Referee» dell’11 agosto 1935. Il testo fu ampiamente riveduto nel gennaio del 1936 e poi pubblicato in Twenty-five Poems. 34 Il guardiano segreto è Dio come annuncia il quinto verso: “And God walked there Who was a fiddlinng warden” (E là Iddio passeggiava, sviolinante guardiano). 35 “Nel nostro Eden conoscemmo il guardiano segreto / In acque consacrate che nessun gelo potrebbe indurire, / E nei possenti mattini della terra”. 36 “Il diavolo incarnato in un serpente parlante, / Le pianure dell’Asia centrale nel suo giardino, / [ ...] / In forme di peccato inforcò e trasse la mela barbuta; / E là Iddio passeggiava [...] / E suonava perdono dalla celeste collina”. 37 Di questa complessa composizione sono state fornite numerose interpretazioni. Le più note sono quelle di Elder Olson (OLSON, op.cit.), di Clark Emery (Clark EMERY, The world of Dylan Thomas, Miami Beach (Florida), University of Miami Press, 1962) e di H.H. Kleinman (Hyman H. KLEINMAN, The religious sonnets of Dylan Thomas. A study in imagery and meaning, Berkley, University of California Press, 1963) che privilegiano l’aspetto religioso; e di William York Tindall (W.Y.TINDALL, op. cit.) che la considera una ‘narrazione’ di vari stadi della vita del poeta stesso. Tuttavia, si può anche ritenere che i sonetti siano una continuazione e una rielaborazione di tematiche precedenti arricchite di nuovi simboli. 198 Gaetano Zenga me Twenty-five Poems, mostrano una reinterpretazione thomasiana dei simboli cristiani. Non è casuale che nel terzo sonetto Thomas tratti la perdita dell’innocenza con l’uccisione di Abele da parte di Caino, che nell’ottavo celebri la crocifissione di Cristo e che il decimo termini con l’augurio del poeta che il ritorno dell’innocenza edenica abbia luogo nel giorno del Giudizio Universale, quando il verme distruttore costruirà con le “paglie” della falsità “il nido di pietà” nell’albero insanguinato dell’esistenza: Green as beginning, let the garden diving Soar, with its two bark towers, 38 to that Day When the worm builds with the gold straws of venom My nest of mercies in the rude, red tree (sonetto X, vv.11-14).39 Quest’ultima poesia di Twenty-five Poems rappresenta certamente la sintesi dell’estensione delle altre poesie del volume e una nuova focalizzazione di tutte le altre. Si può avere tale conferma se ci si sofferma a considerare, ad esempio, una poesia come This bread I break (Questo pane che spezzo),40 nella quale il dogma cristiano dell’eucarestia, come amore di Dio, viene interpretato come simbolo della distruzione operata dall’uomo sulla natura: “Man in the day or wind at night/ Laid the crops low, broke the grape’s joy (vv.4-5). [...] The oat was merry in the wind; / Man broke the sun, pulled the wind down (vv.9-10)”41 e su quella energia vitale dalla quale è generato anche il poeta: “My wine you drink, my bread you snap (v.15)”.42 E ancora si consideri Find meat on bones (Cerca la carne sulle ossa):43 sulla scia dell’eterna catena dell’esperienza che unisce padri e figli, di generazione in generazione, un padre e un figlio discutono in maniera molto franca sul tema della ribellione all’azione distruttiva della continuità ciclica. Il padre esorta il figlio a godersi la vita: ‘Find meat on bones that soon have none, And drink in the two milked crags, The merriest marrow and the dregs. (vv.1-3).44 38 Le “due torri di scorza” rappresentano i simboli della creazione e della distruzione. “Che il giardino tuffandosi voli alto, verde come gli inizi, / Con le due torri di scorza, in direzione di quel Giorno / Quando il verme costruirà con paglie d’oro di veleno / Il mio nido di pietà nel rozzo albero rosso”. 40 La poesia è datata 24 dicembre 1933 in Buffalo Notebook ed è raccolta successivamente in Eighteen Poems. 41 “L’uomo di giorno o il vento nella notte/ Piegò a terra le messi, spezzò la gioia dell’uva. [...] Il frumento era allegro in mezzo al vento; / L’uomo ha spezzato il sole e ha rovesciato il vento”. 42 “È il mio vino che bevi , è il mio pane che addenti”. 43 La poesia è datata 15 luglio 1933 in Buffalo Notebook ed è raccolta successivamente in Twenty-five Poems. 44 “Cerca la carne sulle ossa che presto non ne avranno / E bevi alle due munte rupi / Il dolce midollo e la feccia”. 39 199 L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo E lo avverte di far presto prima che l’azione del tempo non sfiguri la bellezza del corpo femminile: Before the ladies’ breasts are hags And the limbs are torn (vv.4-5)45 Dopo l’invito a godersi la vita, il padre cerca di convincere il figlio a ribellarsi: ‘Rebel against the binding moon And the parliament of sky, The kingcrafts of the wicked sea, Autocracy of night and day, Dictatorship of sun. Rebel against the flesh and bone, The word of the blood, the wily skin, and the maggot no man can slay’ (vv.9-16).46 Tuttavia il figlio, ormai fiaccato dalla passione, non rispetta il consiglio del padre: ‘The maggot that no man can kill And the man no rope can hang Rebel against my father’s dream That out of a bower of red swine Howls the foul fiend to heel. I cannot murder, like a fool, Season and sunshine, grace and girl, Nor can I smother the sweet waking’. Black night still ministers the moon, And the sky lays down her laws, The sea speaks in a kingly voice, Light and dark are no enemies But one companion (vv.24-37)47 45 “Prima che i seni delle dame siano flosci / E le membra a brandelli”. “Ribellati al vincolo della luna / E al parlamento del cielo, / Al governo del mare perverso, / A tirannia del giorno e della notte, / A dittatura del sole. / Ribellati all’osso e alla carne, / A parola di sangue, ad astuzia di pelle, / E al verme che nessuno può ammazzare”. 47 “Il verme che nessuno può ammazzare / E l’uomo che nessuna corda impicca / Si ribellano al sogno di mio padre / Che da un chiuso di porci scarlatti / Urla che al sozzo demonio obbedisca. / Non posso come un pazzo assassinare / Stagione e sole, grazia e ragazza, / Né il mio dolce risveglio soffocare. / La nera notte amministri la luna / E il cielo detti le sue leggi, / Il mare parli con voce regale, / Il buio e la luce non sono nemici / Ma un compagno solo”. 46 200 Gaetano Zenga Al padre che, nella sua caparbietà, si ostina a non accettare le condizioni della natura ed impreca: ‘War on the spider and the wren! War on the destiny of man! Doom on the sun!’ (vv.38-40).48 Il figlio risponde, cercando di persuaderlo a cambiare atteggiamento e quindi a ritrattare: Before death takes you, O take back this (v. 41). 49 La poesia ha una struttura abbastanza semplice: le prime due strofe presentano il contrasto tra corpo ed anima, qui è il padre che parla al figlio; le strofe seguenti contengono la risposta. Il figlio rispetto al padre ha raggiunto un elevato grado di spiritualità e respinge le tentazioni della carne proprio perché ne ha fatto esperienza: ‘The thirst is quenched, the hunger gone, And my heart is cracked across; My face is haggard in the glass, My lips are withered with a kiss, My breasts are thin (vv.17-21).50 Quindi, il giovane, che ha raggiunto un equilibrio tra corpo e anima, vive anche in armonia con la natura e ne rispetta la sua continuità ciclica. Il fatto che Altarwise by owl-light possa essere considerata un punto di riferimento importante, una estensione sintetica, una focalizzazione di tante poesie di Thomas, dipende dal fatto che il nostro poeta era essenzialmente un poeta religioso, come egli stesso affermò nella sua nota ai Collected Poems:51 “Queste poesie con tutta la loro asprezza, dubbi e confusione sono scritte per amore dell’Uomo e in lode di Dio e sarei un dannato folle se così non fosse”. Se in This bread I break Thomas tratta il dogma cristiano dell’eucarestia, in una poesia dello stesso anno, Why east wind chills (Perché Levante gela)52 egli affronta il tema del mistero del mondo, ossia dell’impossibilità per l’uomo di conoscere la profondità del mondo, con le sue cause, alla luce di un radicale agnosticismo. 48 “Guerra al ragno e allo scricciolo! / Guerra al destino umano! / Distruzione al sole!”. “Prima che morte ti prenda, ah sconfessalo”. 50 “La sete è spenta, la fame placata, / E lungo il cuore ho uno spacco; / La faccia è smunta allo specchio, / Le labbra smorte dai baci / Ed è smagrito il mio petto”. 51 Il volume dei Collected Poems 1934-1952 fu pubblicato nel 1952. 52 La poesia è datata 1 luglio 1933 in Buffalo Notebook ed è raccolta successivamente in Twenty-five Poems. 49 201 L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo La poesia stessa fa esperienza di un moltiplicarsi di domande simili ai perché dei bambini che rimangono senza una risposta esauriente. L’unica risposta sarà una “risposta nera”, ossia il mistero assoluto: Why east wind chills and south wind cools Shall not be known till windwell dries And west’s no longer drowned In winds that bring the fruit and rind Of many a hundred falls; Why silk is soft and the stone wounds The child shall question all his days, Why night-time rain and the breast’s blood Both quench his thirst he’ll have a black reply (vv.1-9).53 L’impotenza razionale, l’incapacità per il poeta di fornire una spiegazione alle forze oscure che governano il mondo, lo spingono a ripetere: “And I am dumb to tell [...]”,54 in una delle sue prime poesie, The force that through the green fuse drives the flower,55 che è scritta soltanto qualche mese dopo Why east wind chills. Il dilemma qui annunciato, senza che ci sia una conclusione, caratterizza un po’ tutte le poesie di Thomas. Si pensi, ad esempio, alla serie di domande che il poeta pone nel sonetto IV di Altarwise by owl-light e che danno per scontato una risposta di impotenza da parte della ragione umana: What is the meter of the dictionary? The size of genesis? the short spark’s gender? Shade without shape? The shape of Pharaoh’s echo? (My shape of age nagging the wounded whisper). Which sixth of wind blew out the burning gentry? (Questions are hunchbacks to the poker marrow). What of a bamboo man among your acres? Corset the boneyards for a crooked boy? (vv.1-8).56 La futilità del sapere rappresenta certamente uno dei temi più frequenti nella prima stagione della poesia thomasiana. È proprio il senso dell’impotenza raziona- 53 “Perché levante gela e austro rinfresca / Non sarà conosciuto finché il pozzo del vento non dissecchi / E l’ovest non resti più immerso / Nei venti che recano il frutto e la corteccia / Di centinaia di cadute; / Perché la seta è soffice e la pietra ferisce / Il fanciullo si chiederà ogni giorno, / Perché pioggia notturna e sangue di mammella / Tutti e due lo dissetano, avrà una nera risposta”. 54 “E sono muto per dire[...]”. 55 La poesia è datata 3 settembre 1933 in Buffalo Notebook ed è raccolta poi in Eighteen Poems. 56 “Qual è il metro del dizionario? / La misura Della genesi? Il genere della breve scintilla? / Ombra informe? Forma dell’eco del Faraone? / (La mia forma d’età che molesta il bisbiglio ferito). / Quale sesto di vento spense i brucianti possidenti? / (Le domande sono gobbe per il midollo dell’attizzatoio). / Che dire di un uomo di bambù fra i tuoi acri di terra? / I recinti di ossa sono un busto per un ragazzo contorto?” 202 Gaetano Zenga le che spinge Thomas a definire la sua poesia “due aspetti di un argomento irrisolto”: è lo stesso dilemma senza sviluppo e senza risposta che, come è stato appena osservato, caratterizza tutte le poesie di Thomas. Anche The hand that signed the paper (La mano che firmò il trattato),57 che rappresenta una delle poesie più oggettive di Thomas, presenta la stessa visione di quelle soggettive e personali: il senso dell’irrazionale, che qui caratterizza il destino umano, visto nella prospettiva storica: The hand that signed the paper felled a city; Five sovereign fingers taxed the breath, Doubled the globe of dead and halved a country; These five kings did a king to death. The mighty hand leads to a sloping shoulder, The finger joints are cramped with chalk; A goose’s quill has put an end to murder That put an end to talk. The hand that signed the treaty bred a fever, And famine grew, and locusts came; Great is the hand that holds dominion over Man by a scribbled name. The five kings count the dead but do not soften The crusted wound nor stroke the brow; A hand rules pity as a hand rules heaven, Hands have no tears to flow.58 Per Thomas gli uomini che fanno questa storia sono un’umanità senza prospettiva di sviluppo che continuamente costruisce la propria caduta, una malvagia e perversa macchina da guerra, una mano maledetta: “la mano che firmò il trattato”, che “abbatté una città” e che “produsse una febbre”. In questa visione pessimistica, la mano politica è quella stessa che, in The force that through the green fuse drives my flower, compie simultaneamente due generi di azioni opposte: 57 La poesia, che è datata 17 agosto 1933 in Buffalo Notebook, viene successivamente raccolta in TwentyFive Poems. 58 “La mano che firmò il trattato abbatté una città; / Cinque dita sovrane tassarono il respiro, / Raddoppiarono il globo dei morti e dimezzarono un paese; / Quei cinque re misero a morte un re. - La mano possente conduce a una spalla sgimbescia, / Il gesso rattrappisce le giunture delle dita; / Una penna d’oca ha messo fine all’omicidio / Che ha messo fine ai negoziati. - La mano che firmò il trattato produsse una febbre, / E la penuria crebbe, e le locuste vennero; / Grande è la mano che ha dominio sull’uomo / Scarabocchiando un nome. - I cinque re contano i morti, ma la piaga / Incrostata non curano, la fronte non carezzano; / Una mano governa la pietà come una mano governa il cielo; / Dalle mani non scorrono lacrime”. 203 L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo The hand that whirls the water in the pool Stirs the quicksand; that ropes the blowing wind Hauls my shroud sail (vv.11-13).59 Anche se la mano è vista come una forza impersonale, la poesia di Thomas esorta sempre a ribellarsi contro di essa. 3. La fine della produzione giovanile Nel 1939 Thomas pubblicò The Map of Love, il volume che in qualche modo chiude la produzione giovanile e rappresenta l’indagine più complessa che Thomas abbia mai svolto, in linea con quanto aveva scritto a Henry Treece in una lettera del maggio del 1938: “Moltissima della mia poesia è, lo so, un’indagine e un terrore di spaventose aspettative, uno scoprire e affrontare la paura. Contengo in me una bestia, un angelo e un pazzo, e la mia ricerca concerne la loro azione e la mia difficoltà consiste nel loro soggiogamento e nella loro vittoria, negli abbassamenti e nei sollevamenti, e il mio sforzo è la loro autoespressione [...]”. L’idea della poesia come ‘indagine’ e ‘terrore’ di ciò che esplora è sempre più frequente nella poesia thomasiana man mano che Thomas si avvicina agli uomini del suo tempo. Le poesie di questo volume mostrano una drammatizzazione dell’itinerario individualizzato del poeta, del suo soliloquio, nel senso di coinvolgimento di un’area più vasta di esperienza, dell’intento di iniziare a rivelare come il “me stesso” sia i “me stessi”, vittime di una tragica realtà.60 Thomas si prefigge di raggiungere questo obiettivo senza ricorrere, però, ad una semplificazione descrittiva del suo linguaggio che, in The Map of Love, rivela il potere affascinante della parola e la capacità di imprimere alla plasticità delle immagini un forte movimento di continua progressione: è il ponte che il poeta costruisce tra le sue parole e gli oggetti naturali, tra sé e il mondo. Consideriamo alcuni versi significativi di poesie di questo nuovo volume, per capire in che modo il poeta cerca di stabilire un rapporto con la realtà esterna e in quale direzione si muove il suo linguaggio: Convenient bird and beast lie lodged to suffer The supper and knives of a mood. [...] Camped in the drug-white shower of nerves and food, Savours the lick of the times through a deadly wood of hair [...] 59 “La mano che vortica l’acqua nello stagno / Muove le sabbie mobili; quella che imbriglia i venti / Trascina la vela del mio sudario”. 60 Thomas rivela esplicitamente questo intento nei versi di apertura di Ceremony after a fire raid (Cerimonia dopo un bombardamento), poesia scritta nel maggio de 1944: “Myselves / The grievers / Greve / Among the streets burned to tireless death” (vv.1-4) (“Me stessi / Coloro che piangono / Piangono / Fra strade arse sui roghi di instancabile morte”). 204 Gaetano Zenga Nor ever, as the wild tongue breaks its tombs, Rounds to look at the red, wagged root. [...] Shall I, struck on the hot and rocking street, Not spin to stare at an old year Toppling and burning in the muddle of towers and galleries Like the mauled pictures of boys? The salt person and blasted place I furnish with the meat of a fable (vv.3-21).61 The fingers will forget green thumbs and mark How, through the halfmoon’s vegetable eye, Husk of young stars and handful zodiac, [...] The whispering ears will watch love drummed away Down breeze and shell to a discordant beach, And, lashed to syllables, the lynx tongue cry That her fond wounds are mended bitterly. My nostrils see her breath burn like a bush (vv.2-10).62 Once it was the colour of saying Soaked my table the uglier side of a hill With a capsized field where a school sat still And a black and white patch of girls grew playing; [...] The shade of their trees was a word of many shades And a lamp of lightning for the poor in the dark; Now my saying shall be my undoing, And every stone I wind off like a reel (vv.1-14).63 61 I versi sono tratti da Because the pleasure-bird whistles (Perché l’uccello-trastullo fischietta): “Uccello e bestia appropriati ospito a sopportare / La cena e i coltelli di uno stato d’animo.[...] Accampato nello scroscio bianco-droga di nervi e di cibo, / Assapora la linguata del tempo attraverso un bosco mortale di peli.[…] E mai, mentre la lingua selvaggia spezza le sue tombe, / Si gira a guardare la rossa radice agitata. […] Non dovrò io, balenato sulla strada bollente e rollante, / Girarmi a fissare un vecchio anno / Sfasciarsi in fiamme in un pasticcio di torri e gallerie / Come i disegni sgualciti dei fanciulli? / La persona di sale e il luogo maledetto / Io vi imbandisco con la carne di una favola”. 62 I versi sono tratti da When all my five and country senses see (Quando i miei cinque e campagnoli sensi vedranno): “Le dita scorderanno i verdi pollici e con l’occhio / Vegetale della luna dell’unghia indicheranno, / Manciata di zodiaco e pula di giovani stelle, / […] I mormoranti orecchi vedranno trascinar via amore / Per brezza e conchiglia a suon di tamburo verso una spiaggia dissonante, / E, affibbiata alle sillabe, la lincea lingua griderà / Che sue ferite d’amore son rammendate da amarezza. / Le mie narici vedranno il suo fiato bruciare come un rovo.” 63 I versi sono tratti da Once it was the colour of saying (Una volta era il colore del dire): “Una volta era il colore del dire / Il fianco più brutto di una collina inondò il mio tavolo / Con un campo capovolto dove sedeva una scuola / E una toppa bianca e nera di ragazze cresceva giocando;[…] L’ombra dei loro alberi era una parola dalle molte sfumature / E una lampada di fulmini per i poveri al buio; / Ora il mio dire sarà il mio disfare / E ogni pietra svolgerò come un gomitolo”. 205 L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo In the final direction of the elementary town I advance for as long as forever is (vv.8-9).64 Questi esempi, anche se non sono i più complessi della poesia thomasiana, mostrano vari tipi di uso linguistico, ‘romantico’ e insieme ‘metafisico-concettistico’, in una unione che spesso viene interrotta nella stessa poesia che risulta divisa in due, dando quasi l’impressione di voler rinunciare ad essere un tutto intero. La difficoltà, per il lettore, di cogliere la poesia nella sua interezza non dipende soltanto dal variare continuo di questi usi, dai significati multipli del linguaggio, ma anche e soprattutto dalla mancanza di uno spazio sociale e retrospettivo che, in altri poeti, facilita la comprensione dell’unità anche per componimenti complessi. Il fatto è che Thomas rifiuta ogni forma di retrospezione perché è fedele a ciò che sta accadendo e non a quello che è già accaduto. Inoltre, la maggior parte dei versi delle precedenti poesie mostrano un uso continuo della sinestesia; si pensi alle dita che “indicano” (nel senso di vedono), alle orecchie che “mormorano” e “vedono”, alle narici che “vedono” in When all my five and country senses see, al dire che ha un “colore” in Once it was the colour of saying. L’uso della sinestesia riflette la convinzione di Thomas che i sensi sono parte della mente, il corpo dell’anima, e mostra la sua avversione per una concezione della poesia che separa la mente dai sensi. Per Thomas persino la distinzione dei sensi rappresenta un’imposizione artificiale della razionalità. Tuttavia, questo scompiglio dei sensi, anche se i sensi stessi assicurano una percezione unificata del mondo esterno, non porta Thomas a considerarli un dominio assoluto come nella dottrina dei Simbolisti. È significativo, infatti, che in When all my five and country senses see, Thomas affronti la questione della limitata azione dei sensi. Essi possono osservare e toccare tutta la realtà esterna, ma non possono da soli accedere al mistero dell’amore, poiché è il cuore “nobile” che riesce a trovare carponi la via dell’amore: My one and noble heart has witnesses In all love’s countries, that will grope awake; And when blind sleep drops on the spying senses, The heart is sensual, though five eyes break (vv.11-14).65 In questa direzione, non comunque di rinuncia al suo assorbimento nella realtà organica, ma di riconoscimento della sua incapacità di fare ciò che gli è dovuto, Thomas si muove in How shall my animal (Come potrà il mio animale):66 come 64 I versi sono tratti da Twenty-four years (Ventiquattro anni): “ Nella direzione finale della città elementare / Io vado avanti per quanto è lungo il sempre”. 65 “Il mio unico e nobile cuore ha testimoni in tutte / Le contrade d’amore, che desti andranno carponi; / E quando cieco sonno cada sui sensi spianti, / Il cuore è sensuale, anche se crepano cinque occhi”. 66 La poesia fu inviata a Vernon Watkins con una lettera del marzo 1938; fu raccolta, poi, in The Map of Love. 206 Gaetano Zenga in altre poesie di questo volume il poeta è interessato a drammatizzare il suo rapporto con l’esterno, con gli altri e questa volta lo fa con l’intenzione di sfruttare l’energia che avverte in se stesso. Infatti, l’animale della poesia è la porzione di energia elementare, creativa, racchiusa nel cranio del poeta che soffre l’oppressione del “muro di sillabe” dell’intelletto, così l’animale, non potendo esprimere tutta la sua furia, è destinato ad una morte lenta: How shall my animal Whose wizard shape I trace in the cavernous skull, Vessel of abscesses and exultation’s shell, Endure burial under the spelling wall, The invoked, shrouding veil at the cap of the face, Who should be furious, Drunk as a vineyard snail, flailed like an octopus, Roaring, crawling, quarrel With the outside weathers, The natural circle of the discovered skies Draw down to its weird eyes? (vv.1-11).67 Nella terza strofa della poesia, Thomas espone con chiarezza il mito moderno della propria poesia, differenziandosi dai poeti contemporanei che, con il pretesto dell’attualità lanciano un’ “aurea mollica” come esca, per pescare “tritoni”,68 ossia artificiali figure mitologiche, mentre lui è impegnato nell’affannosa ricerca dell’ “animale caverna d’incantesimi” nella propria mente ed è addolorato perché lo vede morire nell’atto di afferrarlo con le mani: Fishermen of mermen Creep and harp on the tide, sinking their charmed, bent pin With bridebait of gold bread, I with a living skein, Tongue and ear in the thread, angle the temple-bound Curl-locked and animal cavepools of spells and bone, Trace out a tentacle, Nailed with an open eye, in the bowl of wounds and weed To clasp my fury on ground And clap its great blood down; [...] [...] sly scissors ground in frost 67 “Come potrà il mio animale / La cui forma stregata rintraccio nel cranio cavernoso, / Vaso di ascessi e guscio d’esultanza, sopportare / D’essere seppellito sotto un muro di sillabe, / Il velo funebre evocato sul berretto del volto, / Lui che dovrebbe infuriarsi, ubriaco / Come lumaca di vigneto, flagellato come un polpo, / Che dovrebbe ruggire, andar carponi, litigare / Con le esterne intemperie, / Il cerchio naturale dei cieli palesati / Abbassare all’altezza dei suoi occhi bizzarri?” 68 Secondo il Tindall i “pescatori di tritoni” sono gli altri poeti, in particolare Eliot e gli eliotiani (cfr: TINDALL, op. cit.). 207 L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo Clack through the thicket of strength, love hewn in pillars drops With carved bird, saint, and sun, the wrackspiked maiden mouth Lops, as a bush plumed with flames, the rant of the fierce eye, Clips short the gesture of breath (vv.23-39).69 Infatti, alla ‘luce’ della razionalità, il magma dell’energia creativa si trasforma in fredda pietra: Sigh long, clay cold, lie shorn, Cast high, stunned on gilled stone [...] (vv.34-35).70 Di certo, la stessa personalità del poeta viene recisa dalle “furtive forbici affilate nel gelo”, la stessa creazione della poesia,71 metaforicamente rappresentata come un pilastro sul quale è sbozzato amore e sono scolpiti gli emblemi dell’esistenza umana e naturale, crolla e rimane soffocata. How shall my animal può costituire la fondazione della poesia matura di Dylan Thomas: la poesia vista come rito, per un verso celebrazione della limitazione della condizione umana, per l’altro esaltazione del ruolo e della capacità dell’ “animale” del poeta che può superare tale limitazione. Un’attenta analisi di alcuni versi, già considerati, come “Ora il mio dire sarà il mio disfare /E ogni pietra svolgerò come un gomitolo”, tratti da Once it was the colour of saying e “Nella direzione finale della città elementare / Io vado avanti per quanto è lungo il sempre”, tratti da Twenty-four years, mostra che anche essi possono essere metaforicamente riferiti alla poesia. Infatti l’atto di dire, di scrivere significa invertire la direzione dell’esperienza e del fare; e ancora, se il vivere si riduce soltanto ad un andare avanti chiusi in se stessi per tutto il tempo che dura la vita, il finito ‘sempre’, l’unica libertà possibile che rimane alla poesia di Thomas è di ripercorrere all’indietro l’itinerario intrapreso dalla persona fisica soggetta al dominio della morte. Infine, con l’atto di dipanare come un gomitolo la pietra in cui si trasformerà il proprio animale, il poeta ricompone incessantemente il gomitolo della vita e sconfigge incessantemente il dipanarsi del gomitolo funesto della morte. Così la poesia stessa si muoverà anche ‘nella direzione finale della città elementare’, cioè verso una fine che è un principio. 69 “I pescatori di tritoni strisciano e arpeggiano / Sulla marea, tuffando il loro magico spillo ricurvo / Innescato con aurea mollica; io con una viva matassa, / Lingua e orecchio nel filo, pesco nel pozzo / Dell’animale caverna d’incantesimi e d’osso fasciata chiusa da riccioli e tempie, / Scopro un tentacolo, afferrato / Con l’occhio aperto, nella scodella di piaghe ed erbacce / Per stringere al suolo la mia furia / E abbattere il suo nobile sangue.[…] Furtive forbici affilate nel gelo / Scattano nel boschetto della forza, l’amore sbozzato nei pilastri / Crolla con sole, santo e uccello scolpiti, / La vergine bocca spinata d’alghe morte / Sfronda, come un cespuglio piumato di fiamme, / L’enfasi dell’occhio feroce , taglia netto il gestire del fiato”. 70 “Sospira a lungo, fredda creta, giaci recisa, / Gettata in alto, tramortita sullo scoglio branchiato […]”. 71 Secondo il Tindall, il tema della poesia è la creazione poetica. (Cfr. TINDALL, op. cit.) 208 Gaetano Zenga In The tombstone told when she died (La lapide diceva quando è morta),72 Thomas continua a portare avanti il suo disegno di coinvolgimento, come poeta, in un’area di esperienza più vasta e di maggiore interesse per i suoi simili. Infatti, egli mostra compassione e pietà per la storia bizzarra della sventurata protagonista mai conosciuta: l’ingiustizia sofferta dalla “vergine sposa”, che la gente diceva fosse morta vergine prima della notte del suo matrimonio e della sua consumazione, viene riscattata dal poeta con un atto di memoria paragonabile a quella di un “film accelerato” proiettato su un “muro mortale”: la vita pietrificata della donna riprende, in tal modo, a vivere afferrata al dipanarsi delle parole del poeta in un ritorno alla sua genesi. Il ritorno in vita della donna, ormai pietrificata, agganciata al dipanarsi delle parole del poeta ricorda il poeta che, in Twenty-four years, come è stato già osservato, ricompone il gomitolo della vita e sconfigge il dipanarsi del gomitolo funesto della morte. Per la sua esperienza immaginativa, The tombstone told when she died può essere considerata una delle poesie più tipiche della tematica thomasiana, poiché, anche se eliminassimo la vergine morta, rimarrebbe il solito schema delle prime poesie thomasiane in cui una creatura non ancora nata vede come in un “film accelerato” proiettato sul “muro mortale” dell’utero materno il suo sudario di morte. Fin dalla prima strofa, quando Thomas adulto si ferma allibito davanti ai due cognomi della donna sepolta, si mette in moto il processo di regressione del poeta, il film all’indietro che porta all’utero materno dove per la prima volta egli previde la propria morte. L’intenzione di Thomas di servirsi del funzionamento della memoria del telescopio per collegare l’uomo agli altri esseri umani, in un tempo in cui sono simultaneamente presenti passato presente e futuro, si manifesta già nei primi lapidari versi di apertura: The tombstone told when she died. Her two surnames stopped me still. A virgin married at rest (vv.1-3).73 Questi versi rappresentano lo sfondo che attiva il flusso della sequenza della coscienza di un eterno presente. Infatti, la poesia si articola su uno schema temporale che abbraccia contemporaneamente il poeta non ancora nato, la donna nel sepolcro, il poeta adulto che la osserva, la donna sul letto di morte prima della consumazione delle sue nozze, le dicerie raccolte dal poeta su quella sventurata donna e sulla sua vicenda. La seconda strofa presenta Thomas adulto che può finalmente meditare sulla tomba della povera donna, mentre con la memoria di un “film accelerato” rivive la propria esperienza nell’utero materno: 72 La poesia fu inviata a Vernon Watkins con una lettera del settembre 1938 e fu poi raccolta in The Map of Love. 73 “La lapide diceva quando è morta. / I due cognomi mi bloccarono. / Una vergine sposa dorme in pace”. 209 L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo I who saw in a hurried film Death and this mad heroine Meet once on a mortal wall (vv. 21-23).74 Ora il poeta ode dalla stessa voce della donna, diffusa dall’uccello di pietra suo guardiano, che la morte la fecondò: I died before bedtime came But my womb was bellowing And I felt with my bare fall A blazing red harsh head tear up And the dear floods of his hair (vv.26-30).75 4. I cambiamenti della poesia thomasiana Le poesie scritte successivamente a quelle raccolte in The Map of Love mostrano che la tematica si è ampliata, non insiste più sul quasi esclusivo motivo della morte-in-vita trattato spesso in maniera astratta. Se questo motivo continua ancora è tuttavia legato ad esseri umani realmente visti vivere o morire. Si pensi al gobbetto del parco in The hunchback in the park (Il gobbetto del parco), al padre di Thomas in Do not go gentle into that good night (Non andartene docile in quella buona notte), al vecchio di cent’anni morto durante un’incursione all’alba in Among those killed in the dawn raid was a man aged a hundred (Fra le vittime dell’incursione all’alba c’era un uomo di cent’anni), alla bambina morta a Londra durante un bombardamento in A refusal to mourn the death, by fire, of a child in London (Rifiuto a piangere la morte tra le fiamme d’una bambina di Londra). Thomas si muove ancora nella direzione di drammatizzare il proprio rapporto con l’esterno, con gli altri che ora egli guarda con simpatia e persino con tenerezza. È significativo che le ultime due, insieme con Ceremony after a fire raid, (Cerimonia dopo un bombardamento) siano state scritte in occasione dei bombardamenti di Londra e presentino, quindi, il tema della morte legato all’avvenimento storico della seconda guerra mondiale. Queste poesie, come altre scritte in questo periodo, si caratterizzano certamente come critica della violenza e dell’orrore del mondo in cui l’uomo moderno vive, ma anche come flusso di vita e di entusiasmo umano. Si consideri, ad esempio, l’entusiasmo con cui Thomas celebra il sentimento dell’amore in This side of the truth (Questo lato della verità),76 dedicata al figlio Llwelyn: 74 “Io che vidi in un film accelerato / La morte e questa folle eroina / Incontrarsi una volta sopra un muro mortale”. 75 “Io morii prima dell’ora del letto / Ma il mio grembo muggiva / E io sentii nel mio nudo cadere / Una rossa avvampante ruvida testa lacerarmi / E il caro flutto dei suoi capelli”. 76 La poesia fu inviata a Vernon Watkins il 28 marzo 1945, pubblicata in «Life and Letters To-day», XLVI, (luglio 1945), 95 e raccolta in Deaths and Entrances. 210 Gaetano Zenga And all your deeds and words, Each truth, each lie, Die in unjudging love (vv.34-36).77 L’amore rappresenta per il poeta un sentimento di fratellanza universale, in cui vita e morte, illusione e realtà, tutti gli opposti sono ugualmente sacri e necessari nell’ottica di una visione assoluta che si pone come totalità capace di assorbire e neutralizzare ogni rottura e divisione. Di certo, lo scoppio della seconda guerra mondiale e il bisogno di rivolgersi ad un pubblico sempre più vasto produssero un cambiamento nella poesia di Thomas. Infatti, anche se la sua tecnica compositiva non subì alterazioni notevoli, la sua posizione nei confronti del mondo risultò meno solipsista. Questo cambiamento è frutto di un processo consapevole che, come si è visto, è iniziato con The Map of Love e continuerà fino a Deaths and Entrances, il volume pubblicato nel 1946, e a In Country Sleep, il volume pubblicato nel 1952. Infatti, anche se negli anni ‘40 la morte era dappertutto e Thomas si era sempre preoccupato per il paradosso nascita-morte, i suoi volumi The Map of Love, Deaths and Entrances e In Country Sleep mostrano una grande serenità interiore. In queste opere c’è un movimento verso la luce, e malgrado i temi tragici di alcune poesie, c’è una sorta di alone di sacro splendore che si irradia in molte di esse e che inonda il paesaggio dell’innocenza della fanciullezza, come in Fern Hill (Colle delle Felci):78 Now as I was young and easy under the apple boughs About the lilting house and happy as the grass was green, The night above the dingle starry, Time let me hail and climb Golden in the heydays of his eyes, And honoured among wagons I was prince of the apple towns (vv.1-6).79 Ora il poeta parla esprimendo la verità del suo cuore, e prega che questa verità possa essere cantata, come fa in Poem in October (Poesia in Ottobre):80 O may my heart’s truth Still be sung On this high hill in a year’s turning (vv.68-70).81 77 “E ogni tuo atto o parola, / Ogni verità, ogni menzogna, / Muoiono nell’amore che non giudica”. La poesia fu pubblicata la prima volta in «Horizon», XII (1945), 70 (ottobre); venne poi raccolta in Deaths and Entrances. 79 “Quando ero giovane e ingenuo sotto i rami del melo / Presso la casa armoniosa e felice come l’erba era verde, / La notte alta sulla valletta stellata, / Il tempo mi lasciava esultare e arrampicarmi / Dorato nel fulgore dei suoi occhi, / E fra i carri ero il principe onorato delle città di mele”. 80 Inviata a Vernon Watkins il 30 agosto 1944; pubblicata in «Horizon», XI (1945), 62 (febbraio); raccolta in Deaths and Entrance. 81 “O possa ancora la verità del mio cuore / Esser cantata / Su quest’alta collina al volgere di un anno”. 78 211 L’evoluzione della poesia di Dylan Thomas: dall’ ‘io’ all’uomo The author’s prologue (Prologo dell’autore), poesia scritta nell’agosto del 1952 e raccolta nei Collected Poems, contiene spunti importanti sul nuovo atteggiamento di Thomas verso la poesia e sulla propria evoluzione come poeta nel rapportarsi con gli altri esseri umani. Infatti, il poeta è Noè e la poesia è un’arca in cui il tutto è fatto entrare per essere salvato dall’inondazione del tempo: Hark: I trumpet the place, From fish to jumping hill! Look: I build my bellowing ark To the best of my love As the flood begins (vv. 42-46).82 Si può di certo affermare che il processo di trasformazione lento ma consapevole del poeta, già notato per le poesie della maturità, era compiuto poiché Thomas giovane che in Ears in the turrets hear si chiedeva “Shall I let in the stranger? / [...] Or stay till the day I die?” (vv.30-32)83 si trasformava nel “Noè della baia” che urla al “regno” del suo “prossimo” di accorrere alla sua arca: O kingdom of neighbours, finned Felled and quilled, flash to my patch Work ark and the moonshine Drinking Noah of the bay (vv.19-22).84 È opportuno chiarire che le poesie della maturità non mostrano soltanto questa metamorfosi del poeta e, come si è già visto, una grande serenità interiore, ma anche un’evoluzione dello stile. Infatti, probabilmente alcune delle prime composizioni di Thomas possono essere il risultato di automatiche associazioni verbali, ma la sua poesia matura mostra un esigente senso dello stile e della struttura. Come afferma, a ragione, il Fraser, in merito alla poesia matura: “Il suo segno principale non è più una concisione oscura, un fitto impacchettamento di immagini, ma una scioltezza rapida e muscolare che ci fa ricordare talvolta un Hopkins più rilassato, talvolta uno Swinburne più concentrato”.85 Inoltre, la poesia thomasiana, nel suo sviluppo, rivela la presenza di diversi influssi letterari: l’influsso Blake-Wordsworth è evidente nella celebrazione della fanciullezza come stato di innocenza e di grazia; l’influsso Donne-Lawrence-JoyceYeats nel concetto dell’amore totale e nella preferenza per l’emozione e per l’im- 82 “Udite, udite: con tromba io celebro il luogo / Dai pesci al colle balzante! Guardate: / Io costruisco la mia arca muggente / Con tutto l’amore che posso, / Mentre il diluvio ha inizio”. 83 “Lascerò entrare lo straniero? [...] O resterò chiuso fino alla morte?” 84 “O regno del mio prossimo, pinnato /Villoso e pennuto, precipitati alla mia arca /Tutta toppe, e al Noè della baia/ Che trinca chiaro di luna “. 85 George Sutherland FRASER, Dylan Thomas, London, Longmans, Green & Co., 1957. 212 Gaetano Zenga pulso sulla ragione; l’influsso Donne-Herbert-Joyce-Eliot nell’uso del wit e nel funzionale gioco di parole; e ancora l’influsso Keats-Hopkins nella sensualità. Tutti cercano un Dio cristiano perduto, o un sostituto nella Natura e nell’Arte. Così fa anche Thomas; la sua poesia è la registrazione di una ricerca che non si conclude mai in maniera soddisfacente. Sempre a proposito di influssi, la critica si è continuamente chiesta quale ruolo avessero avuto sull’opera di Thomas le sue origini gallesi. Le risposte sono state contrastanti o elusive finché John Ackermann non dimostrò l’importanza di tali origini. Oltre a mettere in risalto l’influenza esercitata dalla comunità gallese, dalla sua tradizione, dalla sua cultura, dalla lettura di poesie e prose gallesi tradotte, il critico si sofferma sulle principali caratteristiche dell’antica poesia bardica, erede di una profonda consapevolezza “del dualismo della realtà, dell’unità nella disparità, della simultaneità della vita e della morte, e del tempo come istante eterno piuttosto che come qualcosa con un passato e un futuro distinti: alla sua base, è un senso di paradosso o, con termini leggermente diversi, una concezione paradossale dell’esistenza”.86 Ackermann sfrutta argomentazioni molto persuasive per dimostrare i punti di contatto riscontrabili nella poesia di Thomas. “I caratteri distintivi della sua opera - egli sostiene - sono le qualità liriche, lo stretto controllo formale, una concezione romantica della funzione del poeta e un atteggiamento religioso nei confronti dell’esperienza. Tutte caratteristiche condivise con altri scrittori anglogallesi”.87 A questo punto è necessario sottolineare che il successo della poesia di Thomas è soprattutto un successo dello stile. La sua lingua è vigorosa ed eccitante; le sue idee impressionano per l’intensità con cui vengono trasmesse. Thomas forgia una nuova lingua, usando parole, frasi e grammatica che nell’insieme sono essenzialmente familiari in se stesse, ma vengono organizzate in maniera insolita. L’ambiguità, che scaturisce dal fatto che il poeta dà al nome concreto un significato astratto, viene continuamente ampliata perché egli non conserva quella relazione, ma la varia secondo il contesto. E ancora, la musicalità del verso dipende dall’uso frequente dell’allitterazione e delle assonanze. Una delle definizioni più calzanti della poesia thomasiana è certamente quella di Marcello Pagnini che ha saputo coglierne le caratteristiche più salienti affermando che la poesia di Dylan Thomas “è composta da miriadi di sensazioni, di immagini, di ricordi, di pensieri, di stati d’animo, di atteggiamenti seri e tragici uniti ad altri scherzosi, ironici e satirico-caricaturali”.88 Malgrado le ovvie differenze di stile e di tecnica, Thomas occupa un posto importante accanto a Hopkins come uno dei più dotati ed originali innovatori della lingua della poesia inglese moderna. 86 John ACKERMANN, Dylan Thomas. His Life and Work, London, Oxford University Press, 1964. Ibid.. 88 Marcello PAGNINI, Difficoltà e oscurità: Il linguaggio del modernismo in Franco MARENCO (a cura di), Storia della civiltà letteraria inglese, Torino, Einaudi, 1996, 3 voll.: vol. III. 87 213 214 Attività della biblioteca 215 216 Gabriella Berardi La sezione “Immagini e suoni” della Biblioteca Provinciale di Foggia Questioni catalografiche di Gabriella Berardi 1. Introduzione Lo scorso novembre la Giunta provinciale di Foggia ha approvato le Linee guida per l’aggiornamento dei servizi della Biblioteca provinciale “la Magna Capitana”. Si è trattato di un evento importante dal momento che per la prima volta dopo il 1967, quando fu discusso il progetto relativo alla nuova sede della Biblioteca, la parte politica ha adottato un atto generale e di indirizzo che vincola l’Amministrazione e la Biblioteca in un progetto per la cui realizzazione sono previsti almeno dieci anni. Questo ambizioso percorso intende portare la Biblioteca Provinciale a diventare, attraverso l’ibridazione di documenti e servizi, da luogo di studio a centro di in/formazione, conoscenza e svago. In questo contesto di riorganizzazione e di ampliamento dei servizi e delle raccolte, la sezione “Immagini e suoni” ha un ruolo di punta. Inizialmente pensata come mediateca, cioè come luogo in cui consultare documenti multimediali, la sezione è stata rimodellata in base anche alle nuove tendenze biblioteconomiche. Tramontata l’idea di un settore che gestisse tutti i documenti multimediali indipendentemente dal contenuto a favore della presenza degli stessi in tutti i settori a fianco degli strumenti tradizionali, “Immagini e suoni” si è venuta configurando come una sezione con collezioni specializzate in ambito musicale e cinematografico.1 La costituzione del nuovo settore ha implicato, oltre a problemi relativi alla definizione del profilo bibliografico, questioni legate alla pratica catalografica. La catalogazione dei manifesti cinematografici e dei documenti sonori ha infatti comportato una approfondita ricerca e verifica di quanto stesse accadendo a livello nazionale per le esigenze di uniformità che guidano questo lavoro. 1 Per la fisionomia dettagliata del settore, cfr. Linee guida per l’aggiornamento dei servizi bibliotecari della Magna Capitana, Foggia, 2002, pp. 25-27, in cui si precisa che “la sezione “Immagini e suoni” ospiterà prevalentemente documenti relativi al cinema, alla musica, allo spettacolo, all’informazione radiotelevisiva: sia audiovisivi che cartacei. Sarà l’equivalente in sedicesimo della sezione “Musica e film” della biblioteca dell’Aja o della sezione “Immagine e suono” della nuova biblioteca di Francia”. 217 La sezione “Immagini e suoni” della Biblioteca Provinciale di Foggia 2. I manifesti cinematografici Per quando riguarda la catalogazione dei manifesti cinematografici il confronto ha avuto come riferimento la Cineteca di Bologna,2 il Museo del cinema di Torino e la Scuola nazionale di cinema. La catalogazione di questi supporti ha offerto anche la possibilità di applicare concretamente i principi contenuti nei Functional requirements for bibliographic records (FRBR),3 dal momento che propedeutica è stata l’individuazione dell’opera, evitando l’equivoco possibile di intendere il manifesto come espressione dell’opera filmica. In questo secondo caso, infatti, si sarebbero attribuite ai manifesti le responsabilità relative ai film in essi rappresentati con una descrizione bibliografica del seguente tipo: Follia scatenata /regia Charles Lederer. - [S.l. : s.n.], 1951 (Firenze : Zincografica). - 1 manifesto : color. ; 34x49 cm. ((Interpreti: Lew Ayres, Laraine Day, Basil Rathbone)). con la variante degli interpreti in area 1 come ulteriore formulazione di responsabilità. Da un’impostazione di questo tipo sarebbe derivata anche una formulazione dei punti di accesso che avrebbe considerato il regista, ed eventualmente gli interpreti, come legame autore. In questo modo però sia dal punto di vista descrittivo che da quello degli accessi un manifesto non avrebbe presentato differenze significative rispetto alla videocassetta o al dvd o alla bobina del rispettivo film, se non per l’area della descrizione fisica. L’estensione del fondo (circa 40 mila manifesti) e la volontà di costruire intorno a questa dotazione una sezione specializzata hanno fatto propendere per scelte diverse, connotate da una maggiore specificità e attenzione verso il manifesto come prodotto insieme grafico e cinematografico. Questa volontà, come accennavamo in precedenza, è stata confortata dal punto di vista teorico dalle conclusioni di FRBR. Alla luce di questa impostazione il manifesto è considerato opera derivata rispetto al film, e dunque oggetto di un trattamento catalografico specifico in quanto frutto dell’attività intellettuale e artistica non di un regista o di un produttore, ma di un grafico: come opera a sé stante è infatti stata creata da un autore diverso rispetto all’opera cinematografica. Fatta questa necessaria premessa si è poi passati alla sua traduzione nella pratica catalografica. Di supporto in questo caso è stata la Guida alla catalogazione di bandi, manifesti e fogli 2 I manifesti della Cineteca di Bologna sono disponibili nell’OPAC del Polo bolognese SBN all’indirizzo http://opac3.cib.unibo.it/opac/sebina/aubo/fFormSelezione?lingua.x=ita 3 Cfr. INTERNATIONAL FEDERATION OF LIBRARY ASSOCIATIONS AND INSTITUTIONS : STUDY GROUP ON THE FUNCTIONAL REQUIREMENTS FOR BIBLIOGRAPHIC RECORDS, Requisiti funzionali per record bibliografici: rapporto conclusivo, Roma, Iccu, 2000. FRBR stabilisce con un modello E/R entità/relazione “uno schema per correlare i dati che vengono registrati in record bibliografici ai bisogni degli utenti”. Per quanto riguarda i prodotti dell’attività artistica e intellettuale, FRBR individua quattro livelli: opera, espressione, manifestazione, item. Una introduzione al tema è contenuta in: Carlo GHILLI-Mauro GUERRINI, Introduzione a FRBR, Milano, Editrice bibliografica, 2001. 218 Gabriella Berardi volanti4 dell’ICCU. Pur nella diversità di oggetto, la Guida infatti si occupa delle pubblicazioni stampate a partire dal secolo XV aventi caratteristiche simili al libro antico, il metodo indicato è quello della trascrizione di tutti gli elementi presenti nel documento. Tranne la formulazione di responsabilità (il grafico), e gli elementi dell’area della pubblicazione, tutte le altre informazioni vanno a far parte dell’area del titolo, separate le une dalle altre da un punto seguito da spazio (.). La descrizione del manifesto dell’esempio precedente è quindi: Follia scatenata. Lew Ayres, Laraine Day, Basil Rathbone, regia Charles Lederer. Esclusività DCN, Distribuzione cinematografica nazionale. - [S.l. : s.n.], 1951 (Firenze : Zincografica). - 1 manifesto : color. ; 34x49 cm. Per quanto riguarda i punti di accesso, le intestazioni formali riguardano il nome del grafico, il luogo di pubblicazione o di stampa e l’editore o stampatore. Il legame con il film di cui il manifesto è opera derivata viene formalizzato in due modi: se il film è posseduto dalla biblioteca alla descrizione del prodotto grafico sarà creato un accesso per titolo di raggruppamento non controllato (codice B)5 relativo al titolo originale del film, a sua volta legato alle varianti del titolo e al regista. In caso contrario oltre all’accesso appena indicato si effettuerà un legame di codice RA (è raffigurato/raffigura) tra il manifesto e il film stesso. Nell’esempio in questione, la Biblioteca provinciale non possiede la pellicola cinematografica, e quindi la descrizione bibliografica è legata con il titolo originale del film Fingers at the window, a sua volta legato con il titolo in italiano Follia scatenata e con il regista Charles Lederer. Passando agli accessi semantici ai manifesti viene attribuita la classe Dewey secondo lo stesso principio stabilito per i libri e gli altri supporti relativi al settore Immagini. All’interno della classe 791.43 (Cinema) vengono aggiunte le suddivisioni standard relative al luogo e al periodo del film, nel caso in esame 791.4309730917 CINEMA. Stati Uniti. 1933-1945. In questo modo sotto la stessa notazione di classe è possibile reperire tutti i documenti, indipendentemente dal supporto e dal genere, relativi alla cinematografia di un determinato luogo in un determinato periodo. Infine, come già accennato in predecenza, la volontà di fare di questa sezione un settore specializzato ha portato all’esigenza di indicizzare anche il fatto grafico in sé creando un accesso anche per le immagini rappresentate sul manifesto. A questo scopo è venuto in soccorso il sistema Iconclass. Si tratta di un sistema di classificazione per la ricerca iconografica e la documentazione delle immagini sviluppato da Henri van de Waal, professore di storia dell’arte all’Università di Leiden, a partire dagli anni ’50. Oggetti, persone, eventi, situazioni e idee astratte che possono essere oggetto di una immagine sono organizzati in dieci divisioni principali, all’interno 4 ISTITUTO CENTRALE PER IL CATALOGO UNICO DELLE BIBLIOTECHE ITALIANE E PER LE INFORMAZIONI BIBLIOGRAFICHE, Guida alla catalogazione di bandi, manifesti e fogli volanti, Roma, Iccu, 1999. Per le liste dei codici citati, cfr. ISTITUTO CENTRALE PER IL CATALOGO UNICO DELLE BIBLIOTECHE ITALIANE E PER LE INFORMAZIONI BIBLIOGRAFICHE, Guida alla catalogazione in SBN. Pubblicazioni monografiche, Pubblicazioni in serie, Roma, Iccu, 1995. 5 219 La sezione “Immagini e suoni” della Biblioteca Provinciale di Foggia delle quali, con un percorso gerarchico dal generale al particolare, si può raggiungere il livello di specificità richiesto per l’immagine rappresentata con l’attribuzione di un codice alfanumerico. In Italia riferimento per la traduzione e lo studio del sistema Iconclass è l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD). Un contatto diretto con i referenti del progetto ha portato al chiarimento di alcune questioni: il sistema Iconclass viene utilizzato soprattutto nei Musei, nelle Facoltà di storia dell’arte e in genere in tutte quelle istituzioni che posseggono e hanno la necessità di indicizzare immagini principalmente dell’arte figurativa. Tuttavia a livello sperimentale e d’accordo con l’Istituto la Biblioteca provinciale di Foggia ha deciso di adottare il sistema Iconclass per indicizzare le immagini della grafica, con l’intenzione di proporre il lavoro all’esame dell’ICCD come contributo ad uno studio di fattibilità per estendere i campi di applicazione di Iconclass. Il manifesto in esame ha quindi i seguenti indici Iconclass:6 49G42 Visita al malato in ospedale 44G511 Assassino La scheda è completata da un link al manifesto. 6 Gli indici sono stati attribuiti in base a Iconclass libertas edition in italiano presente su Internet al sito: http://www.iconclass.nl/libertas/ic?task=getnotation&datum=start&style=index.xsl&taal=it 220 Gabriella Berardi Localizzazioni: Provinciale La Magna Capitana Manifesto-Locandina Litografia Immagine Sciolta Descrizione ISBD: *Follia scatenata. Lew Ayres, Laraine Day, Basil Rathbone, regia Charles Lederer. Esclusività DCN, Distribuzione cinematografica nazionale. - [S.l. : s.n.], 1951 (Firenze : Zincografica). - 1 manifesto : color. ; 34x49 cm. Stampatore: Zincografica Classificazioni: D 791.4309730917 CINEMA. Stati Uniti. 1933-1945 I 49G42 Visita al malato in ospedale I 44G511 Assassino Altri titoli: Titolo Originale Fingers at the window Regista: Lederer, Charles Altro Titolo Follia scatenata Luogo di pubblicazione: FIRENZE 3. I documenti sonori Costitutiva della sezione “Immagini e suoni” è la ricca dotazione di materiale musicale. Si tratta principalmente di musica sinfonica e operistica per un totale di 6712 documenti divisi in 2058 cd e 4654 opere in vinile. La catalogazione di questo materiale ha comportato il confronto con una tradizione catalografica già consolidata nel settore della musica a stampa, mentre per i documenti sonori non esistono ancora delle regole accettate a livello nazionale, ma pratiche di lavoro in base allo standard ISBD per il materiale non librario7 e alle Regole di catalogazione angloamericane (Aacr2).8 A livello nazionale il confronto è avvenuto con istituzioni del calibro della Discoteca di Stato e del Conservatorio “G. Verdi” di Milano. Da 7 INTERNATIONAL FEDERATION OF LIBRARY ASSOCIATIONS AND INSTITUTIONS, ISBD(NBM) : International standard bibliographic description for non-book materials, Roma, AIB, 1989. 8 Cfr. Regole di catalogazione angloamericane: seconda edizione, revisione del 1988, Milano, Editrice bibliografica, 1997, in particolare il capitolo 25 dedicato ai titoli uniformi. 221 La sezione “Immagini e suoni” della Biblioteca Provinciale di Foggia questi contatti è emerso che da più parti è sentita l’esigenza di una standardizzazione della pratica descrittiva di supporti relativamente moderni come quelli rappresentati dai documenti sonori, e a tal fine è stato avviato un gruppo di lavoro a cui partecipano le maggiori istituzioni nazionali. L’impasse è costituita dal fatto che quello che dovrebbe essere l’ente capofila, la Discoteca di Stato, non utilizza un software compatibile con il Servizio bibliotecario nazionale, con tutti i problemi di comunicazione che ne conseguono. Intanto le realtà bibliotecarie più avanzate hanno elaborato delle proprie norme interne, avanzando delle proposte di catalogazione in SBN.9 Le più autorevoli e quelle dotate di maggiore longevità catalografica sono le norme interne elaborate dai bibliotecari musicali del Conservatorio di Milano Fiorella Pomponi, Massimo Gentili Tedeschi e Agostina Zecca Laterza nel dicembre del 1992. Per quanto riguarda la descrizione bibliografica molti sono i punti in comune con le regole di catalogazione in SBN per il libro moderno.10 Le formulazioni di responsabilità vengono riportate nel seguente ordine: compositore, solista, orchestra, direttore. Difficoltà sono sorte per l’area della pubblicazione quando si è trattato di individuare l’editore. Spesso, infatti, compaiono due indicazioni di editore (es. Emi italiana e La voce del padrone), una delle quali spesso è una multinazionale. In genere in questo secondo caso il nome è accompagnato da un numero che andrà inserito come numero di marca editoriale accompagnato dal nome in questione (Emi italiana), in descrizione come editore in area 4 andrà l’altra dicitura (La voce del padrone). Particolare attenzione è stata prestata ai punti di accesso, dal momento che questi consentono il recupero della notizia e la navigazione tra una notizia e l’altra. Fondamentale per la musica è il titolo uniforme (codice A) che è l’intestazione principale di un’opera. Un titolo è uniforme quando è controllato su uno dei seguenti repertori: Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti (DEUMM) The new Grove dictionary of music and musicians Die Musik in Geschichte und Gegenwart: Allgemeine Enzyklopädie der Musik (MGG) Il titolo uniforme viene sempre collegato al nome del compositore. In questo modo allo stesso titolo sono legate, utilizzando nuovamente la terminologia FRBR, tutte le espressioni e le manifestazioni di un’opera. Ad esempio al titolo uniforme ‘Sinfonie, n. 3, op. 55, mi bemolle minore, Eroica’ sono legate tutte le esecuzioni possedute dalla biblioteca, indipendentemente da quale sia il titolo dell’opera ri- 9 Cfr. su tutte Giuliana BASSI, Audioregistrazioni (cd musicali): analisi delle problematiche e proposta di catalogazione in SBN, disponibile all’indirizzo internet: http://proxy.racine.ra.it/racine/allegati/provincia/ catalogazionemusica.pdf 10 Al riguardo gli stessi bibliotecari del Conservatorio di Milano per tutte le questioni relative soprattutto all’area del titolo e della formulazione di responsabilità rinviano a: ISTITUTO CENTALE PER IL CATALOGO UNICO DELLE BIBLIOTECHE ITALIANE E PER LE INFORMAZIONI BIBLIOGRAFICHE, Guida alla catalogazione in SBN. Pubblicazioni monografiche, pubblicazioni in serie, Roma, ICCU, 1995. 222 Gabriella Berardi portato sul disco e quale sia la lingua usata. Nell’OPAC della Magna Capitana i documenti legati al suddetto titolo sono i seguenti: [Long playing]*Sinfonia n. 3 in mi bem. magg. op. 55 : Eroica / Ludwig van Beethoven ; Columbia Symphony Orchestra ; diretta da Bruno Walter. - [New York] : CBS, p1973. - 1 disco son. : 33 1/3 rpm, stereo ; 30 cm. [Long playing]*Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55: Eroica / L. van Beethoven ; Orchestra Filarmonica di Berlino : direttore: Wilhelm Furtwängler. - Milano : Fabbri, [1978]. – 1 disco son. (50 min. 36 sec.) : 33 1/3 rpm, stereo ; 30 cm. [Long playing] *Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55 : Eroica / L. van Beethoven ; Orchestra Sinfonica di Berlino; diretta da Arthur Rother. - [Roma] : Curcio, [1982?]. - 1 disco son. (48 min. 59 sec.) : 33 1/3 rpm, stereo ; 30 cm. [Long playing]*Symphonie nr. 3 Es-dur op. 55 : Eroica / Ludwig van Beethoven ; Berliner Philharmoniker ; Dirigent: Herbert von Karajan. [Hamburg] : Deutsche Grammophon, p1962. - 1 disco son. : 33 1/3 rpm, stereo ; 30 cm. Tra l’altro, essendo il titolo uniforme comune anche allo spartito di un’opera, una ricerca avrebbe come risultato musica a stampa e documenti sonori. Sulla formulazione del titolo uniforme riferimento imprescindibile sono le Aacr2. Una volta creata la notizia bibliografica ad essa viene fornito un accesso anche per forma ed organico sintetico secondo i codici in uso. Tutte le responsabilità intellettuali ed artistiche contenute in descrizione sono oggetto di legame e qualificate con il ruolo svolto. Il software di catalogazione utilizzato, Sebina vers. 4.3.2, consente infatti di qualificare la responsabilità specificando se si tratti di un compositore, direttore d’orchestra, strumentista, orchestra, etc. Inoltre, viene creato un legame anche con i dati relativi al luogo e al momento della registrazione o esecuzione dell’opera, se presenti. Dal punto di vista semantico a tutte le opere viene attribuita una notazione Dewey. Infine una precisazione strettamente relativa al software utilizzato. Il Sebina ha una struttura modulare anche per quanto riguarda la catalogazione. Questo significa che al momento dell’immissione dei dati bisogna scegliere se inserire la notizia in uno dei cinque moduli presenti: libro moderno, libro, antico, audiovisivi, grafica, musica. Spesso le biblioteche che fanno parte del Servizio bibliotecario nazionale catalogano i documenti su supporti diversi dal libro nel modulo libro moderno, aggiungendo un codice di genere (es. archivio elettronico, registrazione sonora, videoregistrazione, etc.). Nel caso della Biblioteca Provinciale di Foggia, per le esigenze di specializzazione più volte ricordate in precedenza, si è preferito utilizzare il modulo grafica per i manifesti cinematografici e il modulo audiovisivi per le registrazioni sonore. Questa scelta, pur non consentendo di condividere i dati con l’Indice, è stata dettata dalla maggiore specificità del lavoro catalografico ottenuta con i moduli specifici per le tipologie di materiale trattate. 223 224 Francesco Giuliani La voce dei libri Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo di Francesco Giuliani 1. Un Fondo emblematico In libris veritas. Cosa c’è di più significativo di una biblioteca? È un luogo strategico, centrale, che funge da cartina al tornasole degli interessi culturali di una collettività, di una famiglia, di un singolo individuo. Quando parliamo di biblioteca, infatti, ci riferiamo sia a quelle pubbliche, nazionali, provinciali o comunali che siano, sia a quelle private, ed in particolare a quelle di famiglia, al patrimonio di testi ordinato negli scaffali di una libreria a muro o ammassato in qualche stanza di servizio, magari in un ripostiglio. Le statistiche parlano di una nazione nella quale si legge sempre meno, proprio mentre, d’altra parte, esistono in commercio delle collane di testi economici, talvolta anche di buona fattura, che rendono disponibili alla stragrande maggioranza delle persone le opere fondamentali della nostra tradizione e gli strumenti indispensabili per conoscere il passato e per esaminare criticamente il presente. Ma i dati, a ben pensarci, nascondono anche altri lati oscuri, se si considera che non tutti i libri acquistati vengono letti, specie quelli comperati per un regalo, in una qualsiasi occasione, che finiscono da qualche parte, talvolta senza nemmeno essere aperti. Per non parlare, poi, delle tante pubblicazioni di nessun valore, raffazzonate da qualche ‘negro’ di redazione e mandate in giro con la firma dell’attore o del cantante del momento, per meri fini speculativi. Si tratta di problematiche ormai note agli osservatori. Uno degli alibi che talvolta si sente ripetere è quello della mancanza di spazio nelle abitazioni: i libri sono ingombranti, mentre l’appartamento è piccolo. Finisce, così, che lo spazio viene ritagliato per una tavernetta dove fare bisboccia, per una mansarda, ma non certo per uno scaffale appena decente. Forse anche per questo, come forma di reazione, non manca un certo ritorno di interesse verso la bibliofilia, verso i libri antichi e rari, che hanno trovato in Internet un importante ed insperato alleato, vista la grande presenza di siti specialistici accessibili per via telematica. Dall’esame di una libreria familiare o personale è facile comprendere quanto sia vivo e profondo l’amore per la cultura, quali ambiti siano preferiti, se si tratta di 225 Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo testi organicamente acquistati o ammassati alla rinfusa, se la passione per il libro continua o si è spenta da tempo. I libri parlano in modo fin troppo eloquente, talvolta persino troppo, mettendo allo scoperto anche certi lati che ognuno preferirebbe tenere nascosti. Quando si tratta di scrittori, poi, l’esame delle biblioteche fornisce delle informazioni anche sulla genesi e sui caratteri delle opere letterarie, non a caso sfruttate da molti critici nei loro studi e oggetto di specifiche pubblicazioni. Si pensi, solo per fare un esempio, ai testi sulla dotazione libraria di Verga o di Carducci o sui volumi a disposizione del giovane Leopardi a Recanati. La rilevanza e la significatività di una biblioteca erano in passato probabilmente maggiori, considerata la generale difficoltà di accesso alle informazioni, in un’epoca ben diversa dalla nostra. Di certo, in ogni caso, lo studio del “Fondo Fraccacreta”, che è poi l’argomento del nostro saggio, offre una preziosa fonte di notizie su di una famiglia ragguardevole e su di un poeta come Umberto Fraccacreta, ma anche su di un ambiente provinciale, tra Ottocento e Novecento, in una fase di cruciali trasformazioni. La famiglia Fraccacreta ha dato alla nazione varie personalità, che hanno operato sia a livello locale che nazionale, nel campo politico, culturale ed economico. Un merito che ha trovato un autorevole riscontro nel 1997, quando il ponderoso Dizionario biografico degli Italiani, edito dalla Treccani, giunto al quarantanovesimo volume, ha dedicato tre schede ad altrettanti personaggi, a partire dallo storico Matteo Fraccacreta, l’autore dell’importante Teatro topografico, di cui, a distanza di molti anni dai volumi ottocenteschi e dalla continuazione del 1974, sembra essere imminente la pubblicazione delle restanti rapsodie inedite, che permetteranno di completare questo grande, pur se alquanto confuso, affresco storico della nostra terra. Più recente è l’economista Angelo, rettore dell’Università di Bari e docente a Napoli, studioso di orientamento liberale, splendida figura di docente e di uomo, i cui libri sono almeno in parte conservati presso la Biblioteca Provinciale di Foggia, in un apposito Fondo. L’ultimo Fraccacreta al quale è stato dedicato un articolo nel Dizionario è Umberto, cugino di Angelo, noto anche come “poeta del Tavoliere”. A lui e al suo ramo familiare è appartenuto il Fondo Fraccacreta, che ha preso la strada della Biblioteca Comunale “Minuziano” di San Severo. Umberto è un personaggio che alle giovani generazioni è poco noto, ma che ha goduto di una buona notorietà in vita, che è andata poi progressivamente diminuendo, specie in concomitanza, nel secondo dopoguerra, con la fine di quel mondo agreste a lui caro, presente in vari volumi di poesia, che rappresentano però solo una parte di una ragguardevole produzione in versi, alla quale si aggiungono delle pregevoli traduzioni. È bene ricordare che la produzione poetica del Fraccacreta copre il periodo che va dal 1929, anno della pubblicazione dei Poemetti, fino alla sua prematura scomparsa. Umberto Rodolfo Carlo Fraccacreta, nato a San Severo il 29 giugno 1892, è 226 Francesco Giuliani un privilegiato, vista la sua appartenenza ad una famiglia benestante, istruita e ben in vista nella cittadina dauna, ma la sua esistenza non fu particolarmente felice: un difetto cardiaco, in particolare, lo convincerà a rinunciare al matrimonio, ponendo i suoi rapporti sotto il segno della precarietà. Educato con ogni cura dalla famiglia, esperto e abile pianista, conosce alla perfezione le lettere classiche, perfezionandosi nello studio dell’inglese e del tedesco, che affiancava al francese. Dopo aver ottenuto il diploma nel Liceo di Lucera, si trasferisce a Roma, dove si laurea in Legge, in ossequio alla volontà del padre, e nel 1922 prende anche la cittadinanza romana, che manterrà fino al 1929. Nei suoi progetti c’era una vita nella capitale, ma già nel 1923, di fronte alla malattia del genitore, si era reso necessario il suo impegno nella cura dei beni di famiglia, e così dovette giocoforza piegare il capo. Questa circostanza diventerà, letterariamente, il richiamo della Terra, che si insinua nel profondo dell’anima; né per questo rinunciò a viaggiare, utilizzando quelle guide turistiche che si ritrovano nella sua biblioteca personale, ma il poeta dovette coesistere con il “conduttore in proprio di azienda agricola”, come specificato nella sua scheda dai meticolosi dipendenti comunali di San Severo, con l’attento e parsimonioso curatore del patrimonio familiare. L’uomo inquieto e malinconico, che non nutriva alcuna passione per la legge, a differenza del padre, attraversa negli anni Venti un non facile periodo di crisi e di assestamento, che lo porterà alla certezza del proprio ruolo di poeta, dopo le prime prove giovanili, e della dignità artistica della propria terra, mai celebrata nei versi, eppure così caratteristica e significativa. Un approdo che doveva guidare Umberto nel suo cammino, cercando di allontanare l’ansia che era dentro di lui, quell’insoddisfazione che lo prendeva di fronte alla precarietà e all’inquietudine dei giorni. Di qui il desiderio di raccontare le vicende della sua terra, nei Poemetti, editi dalla Zanichelli con la prefazione di Manara Valgimigli, già suo docente al Liceo di Lucera. La sua vena lo porta a unire quadri e momenti della vita cittadina o agreste, come ne Il Pane, che consta di settecento endecasillabi sciolti. In quest’opera ritroviamo la ciclicità della natura e della vita umana: la scena si apre dopo un raccolto infelice e percorre tutte le fasi dell’anno agricolo, fino alla vigilia di una nuova mietitura, questa volta ricca di soddisfazioni. La fede nella Terra diventa tutt’uno con la fede in Dio, così come il pane quotidiano allude al nutrimento dell’anima. La natura, vivificata dalla luce di Dio, fornisce l’antidoto al negativo, e il poeta si soffermerà ancora su questo mondo e sui suoi valori positivi, nei Nuovi Poemetti del 1934, dove spiccano altre ampie e significative composizioni, come La strada d’erba, di cinquecento endecasillabi, che descrive l’incontro, sotto gli occhi del Padre celeste, del mondo contadino, ancora fiorente, e del mondo pastorale, in decadenza. La poesia della terra aveva dei modelli, ovviamente, nel cui solco egli si pone, 227 Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo da Virgilio a Pascoli, portando con sé gli amati autori romantici, ma trovando una sua dimensione, una sua via personale, che gli permette di evitare le cadute nel prosastico e nel manierato. Il poemetto, così, racconta le vicende di questo lembo di Puglia, con le sue dure fatiche, le sue opere e i suoi giorni, i suoi pellegrinaggi, le sue tradizioni, le sue certezze, le sue gioie sentimentali, i suoi amori, senza mai rinunciare alla mediazione letteraria, senza mai andare sui righi e stonare. Il fascino di questi versi, incentrati su di una civiltà contadina che da realtà quotidiana si è trasformata, per noi posteri, in un riferimento culturale, in un ineludibile legame con le nostre radici, ci appare oggi più che mai vivo. D’altra parte, la storia dell’uomo è fatta di sentimenti e realtà eterni, gli stessi che sostanziano l’arte del Nostro. Il piacere di soffermarsi sulle avventure dei suoi personaggi si ritrova anche in Amore e Terra, del 1943, dove spicca L’Oliveta, rievocazione della storia d’amore di Oliveta e del pastore abruzzese Gildo, coronata dal lieto fine matrimoniale. Il gusto del poemetto si affianca, come in Pascoli, ai momenti più lirici dei canti, compresi in Elevazione, del 1931, e questo ci porta a ricordare la varietà dell’arte del Nostro, che ha una sua evoluzione, attestata, tra l’altro, dalle bellissime liriche d’amore comprese nei Motivi lirici del 1936, dove domina il senso della labilità della vita umana e dello stesso amore. Il conoscitore dell’animo femminile dà qui delle superbe prove, mentre appaiono sempre più chiare, sia pure in un contesto profondamente fraccacretiano, le suggestioni dannunziane, che domineranno nelle liriche di Antea, nel 1942. In altri modi, il poeta cerca la stessa evasione inseguita nel mondo pugliese. Gli anni di guerra vedranno la pubblicazione di Vivi e morti, nel 1944 e, in seconda edizione accresciuta, nel 1945, con i loro momenti di commossa meditazione, che si posa su rovine e defunti, senza mai indulgere all’odio o alla faziosità, e soprattutto, senza rinunciare ad una speranza soffusa di certezze cristiane. Nel 1945, poi, nei versi di Sotto i tuoi occhi, che formano una collana di sonetti, sale in primo piano il dolore per la morte della madre, Angiolina Sassi, così presente nella sua vita. Di qui agli Ultimi canti, apparsi postumi nel 1948, il passo è breve, con la decantazione lirica che precede la scomparsa, che segna un punto di arrivo. Si pensi alle limpide descrizioni di Azzurro, dove si mettono a confronto la distesa del Lario lombardo e la verde Puglia, le barche sul lago e le greggi che si incamminano per il tratturo. Il volume pubblicato dalla Laterza si trasforma, a dispetto delle intenzioni, in un omaggio alla memoria del poeta da poco scomparso, che non vede nemmeno pubblicate le tre composizioni pascoliane che aveva tradotto su richiesta del suo vecchio docente di latino e greco a Lucera, Manara Valgimigli. Il moreto, Il Gallo morente e A Re Vittorio nel cinquantenario dell’Italia liberata sono in prosa, secondo le disposizioni ricevute, per livellare quanto più possibile i contributi dei vari e autorevoli collaboratori, e attestano ancor oggi le 228 Francesco Giuliani straordinarie doti di traduttore del Fraccacreta, in grado di offrire una prosa chiara, elegante e precisa, in cui anche i passaggi più complessi diventano sciolti ed espliciti. I Carmina pascoliani sono un punto di riferimento per tanti classicisti che guardano anche alla letteratura italiana; nel corso degli anni si sono avute varie altre traduzioni, ma quelle di Fraccacreta restano un punto fermo, amplificando la grandezza del Pascoli latino. Il suo maestro dovette esserne compiaciuto, ritrovando in queste pagine lo sviluppo coerente di quell’ottimo allievo del lontano anno scolastico 1908-09. Fraccacreta, però, è un autore che non finisce di stupire, e così, di recente, tra le sue carte, sono stati scoperti anche due racconti, Le inseparabili e La signora Giovanna, che dovevano presumibilmente rientrare in un volume, progettato e mai realizzato, anche se annunciato a più riprese, dal titolo Racconti della mia terra. In queste due composizioni, la terra dauna, sempre presente, pur se mai nominata esplicitamente, rivela la sua capacità di trasformarsi in occasione artistica, in spunto per realizzare delle pagine di non comune valore, che si ricollegano, per il loro gusto delle minute descrizioni, all’alveo del Verismo. Di certo, anche in quest’ambito lo scrittore rivela il possesso delle non comuni qualità evidenziate nei suoi volumi di versi. E veniamo adesso più direttamente alle vicende del “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo, che si comprendono meglio proprio alla luce dei dati sulla vita di Umberto. Rimasto celibe per le sue precarie condizioni di salute, come si è detto, a causa di quel cuore che in effetti doveva tradirlo, fermandosi per sempre, dopo alcuni funesti avvertimenti, nel 1947, il poeta lasciò come eredi i fratelli, che gli sopravvissero per alcuni decenni. Essi amministrarono le proprietà familiari, curando anche la realizzazione di un premio nazionale di poesia intitolato allo scomparso, tenutosi a San Severo, nel 1953 e nel 1957, di notevole prestigio. Basta ricordare che nel 1953 la giuria era composta da Manara Valgimigli, Antonio Baldini, Maria Bellonci, Francesco Piccolo e Pasquale Soccio, mentre il premio andò a padre David Maria Turoldo; nel 1957, invece, si affermano Vittore Fiore e Gaetano Arcangeli, le cui opere sono state di recente ripubblicate, con grande risalto da parte della critica. Umberto conservava diligentemente tutti i suoi libri e le sue carte, con una non comune meticolosità, che al fondo rivelava, oltre che un habitus mentale, anche la speranza che qualcuno potesse in futuro occuparsi di lui. Proprio il materiale di archivio, tra l’altro, sia pur noto solo in parte, ha ormai alzato un velo discreto sui suoi amori, locali e non, scartando ogni altra ipotesi intorno al suo status di celibe. Il poeta ha conservato la sua fitta corrispondenza con personaggi della cultura nazionale e straniera, specie francese, ma anche le versioni manoscritte e dattiloscritte dei suoi lavori, che sono utilissime in chiave filologica, permettendoci di seguire l’iter della composizione, a partire dai primi abbozzi e dalle prime stesure, utilizzando quella sua inconfondibile grafia, insieme minuta e chiara; non man229 Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo cano, poi, gli articoli che lo riguardano, ricevuti attraverso l’«Eco della stampa», e persino le pagelle e i quaderni scolastici, che confermano, tra l’altro, la precocità e la profondità dei suoi interessi culturali. I libri e le carte sono rimasti a lungo in custodia dei fratelli, ed in particolare di Augusto, che a Roma è stato direttore generale del Ministero dello Spettacolo. Egli ha avuto degli spiccati interessi culturali, concretizzatisi tra l’altro in alcune pubblicazioni risalenti agli anni Trenta, sul brigantaggio, sul monastero romano di Santa Maria in Campo Marzio e sul viaggiatore italiano cinquecentesco Girolamo Benzoni, che ha esplorato le coste e le isole dell’America. A quest’ultimo, in particolare, ha dedicato un libro, edito a Roma nel 1939, presso la Tipografia Terme, intitolato Alcune osservazioni su l’ “Historia del Mondo Nuovo” di Girolamo Benzoni. Oltre a ciò, ha scritto anche vari articoli culturali, apparsi su testate come «La Gazzetta del Mezzogiorno». Augusto scompare nel 1980, a 77 anni, ultimo superstite dei fratelli di Umberto. Comincia così una fase di transizione. Negli anni successivi, la parte del palazzotto dei Fraccacreta, prima abitata dal ramo del poeta, nel cuore del centro storico sanseverese, viene messa in vendita, non senza rammarico da parte di chi, all’epoca, aveva auspicato un ruolo attivo dell’Amministrazione Comunale, in modo da acquisire l’immobile per creare un museo. Così non è stato, purtroppo, ma i libri e i documenti, dopo alcune vicissitudini, sono stati donati dagli eredi di Augusto alla città di San Severo. All’inizio degli anni Novanta, pertanto, numerosi sacchi pieni di documenti e circa cinquemila volumi varcavano le soglie della biblioteca cittadina, evitando i deprecabili scempi e le dispersioni che spesso si accompagnano a simili trapassi. L’esperienza insegna che troppe volte i libri, in caso di vendita o di divisioni ereditarie, vengono considerati un peso, finendo per essere ceduti per pochi soldi a qualche intraprendente commerciante o per essere abbandonati alle tarme. Il lieto fine di San Severo è tutt’altro che una regola. Il 30 dicembre 1992, nell’interno del complesso di San Francesco, che ospita la Biblioteca e il Museo, viene inaugurata, dal direttore Benito Mundi, una sala intitolata ad Umberto Fraccacreta. In seguito, si è proceduto ad una verifica sommaria del materiale cartaceo, con una divisione di massima, concentrandosi sulla catalogazione e sulla sistemazione dei volumi, che oggi sono a disposizione degli studiosi, nella sala intitolata al poeta. Il cammino di questi testi si è dunque concluso nel migliore dei modi, rappresentando un patrimonio per l’intera collettività, oltre che una benemerenza per la famiglia Fraccacreta. I libri si sono aggiunti a quelli appartenuti ad altri nobili personaggi, che hanno permesso, in tempi diversi, con la loro sensibilità verso il prossimo, alla cultura di diffondersi più facilmente, senza eccessivi ostacoli. Alcuni di questi benemeriti sono diventati familiari ai fruitori della bibliote230 Francesco Giuliani ca, che leggono il loro nome impresso sulle pubblicazioni donate. Ricordiamo su tutti il lascito del sacerdote Salvatore Nittoli, di Teora, nell’avellinese, un dotto docente, che negli anni Settanta dell’Ottocento venne a San Severo ad insegnare nell’appena costituito Ginnasio, su raccomandazione del grande critico Francesco De Sanctis, che per anni era stato deputato di San Severo. Nittoli nel 1880 fondò un importante convitto privato; la sua biblioteca contava alcune migliaia di volumi e molti testi, giunti nella “Minuziano”, sono passati tra le mani degli studenti e degli uomini di cultura sanseveresi. 2. L’avvocato e il poeta Nell’inventario del “Fondo Fraccacreta” i testi schedati sono precisamente 4.489, ai quali però si devono aggiungere altri opuscoli e testi di miscellanea, superando così le cinquemila unità. La loro nuova disposizione, dietro vetri trasparenti, permette di osservarne l’ottimo stato di conservazione, di valutarne i pregi anche estetici, di riconoscere alcuni nuclei tematici ben sviluppati. Ma com’erano disposti all’origine? Un altro volume, con uno scritto di un testimone d’eccezione, ci permette di rispondere con esattezza a questa domanda: Poi c’erano i libri, moltissimi: una doviziosa biblioteca giuridica di rappresentanza (il padre del poeta era stato avvocato, ed anche lui aveva una laurea in legge), e poi un grande scaffale in cui il padre, che aveva avuto curiosità filosofiche, aveva raccolto una straordinaria collezione di Gesammelte Schriften di tutti i filosofi tedeschi del primo Ottocento: Fichte, Schelling, Hegel, Schleiermacher, Herbart, Schopenhauer, ben rilegati in pergamena, sfilavano sotto gli occhi insieme con Kant, come in un manuale. A consumarli non bastava una vita intera. Così la grande biblioteca del poeta, prevalentemente letteraria e filologica, aveva trovato gli spazi già occupati e si era ristretta dietro le vetrate di un grande armadio a muro, mentre il grosso era stato sistemato al piano superiore, nelle stanze di servizio.1 Il passo di Casiglio è straordinariamente preciso, più di una fotografia, e sottrae al subdolo passare del tempo dei particolari per noi preziosi, riandando ad ambienti che, malgrado l’impressione di solida imponenza che suggerivano al visitatore, non hanno più la disposizione originaria. Lo studioso ricorda anche che l’amore per il libro non era una prerogativa dei Fraccacreta, ma era condiviso da altre famiglie abbienti e colte della zona, che univano così, aggiungiamo noi, l’utile al dilettevole, sancendo il loro status di pro- 1 Nino CASIGLIO, Umberto Fraccacreta nel suo tempo, in Francesco GIULIANI, L’Eterno e il Transitorio, San Severo, Fratelli Notarangelo, 1990, p. 71. 231 Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo fessionisti e di possidenti e insieme coltivando il loro desiderio di conoscenza, che si indirizzava talvolta anche verso ambiti particolari, come vedremo proprio a proposito del “Fondo Fraccacreta”. Comunque, in casa Fraccacreta si manifestava una viva sensibilità per questo indispensabile strumento di trasmissione culturale e Casiglio rimarca tra l’altro “l’istintiva eccezionale cura del poeta nel ben trattare i libri evitando di sgualcirli”.2 I testi del Fondo, che in generale non presentano ex libris o segni di appartenenza (in non molti casi si trovano delle dediche a Michele, Umberto e Augusto Fraccacreta), si concentrano nel periodo che va dalla seconda metà dell’Ottocento alla prima metà del Novecento. Siamo di fronte alla tipica biblioteca di una famiglia borghese, che univa l’esercizio della libera professione (nello specifico, riferendoci a Michele, di avvocato), all’amministrazione delle terre e delle proprietà di famiglia. Osservando l’elenco, non troviamo incunaboli o cinquecentine (il che si spiega, dal momento che non risulta che la biblioteca abbia subito delle asportazioni, semplicemente con il fatto che non ci sono mai stati), e solo in due casi risaliamo a prima dell’Ottocento (il testo più antico è rappresentato dalle Praelectiones del Whiston, stampato a Londra nel 1726). Quanto ai libri più recenti, si trovano anche volumi editi dopo la morte di Umberto, nel 1947, e in qualche caso sono persino successivi alla scomparsa di Augusto, l’ultimo dei fratelli, nel 1980. Il grosso, però, rinvia al periodo prima individuato e pone in evidenza il ruolo dell’avv. Michele Fraccacreta (1852-1925), un personaggio che doveva nutrire non poche curiosità intellettuali. Il figlio Umberto ci ha parlato di lui come di un uomo concreto e pratico, valente avvocato, che impose al poeta di seguire studi giuridici, come ricorda lo stesso Umberto: “Terminato con la licenza d’onore il liceo, il babbo volle che scegliessi la facoltà di legge di Roma, per non so più quale via che avrei dovuto prender dopo”.3 Ma, come sappiamo, il diploma restò in un cassetto e il genitore non mancò di esprimere la sua contrarietà verso le scelte letterarie del figlio, come spesso avveniva e avviene in simili casi. Le parole di Umberto, d’altra parte, esprimono con molta chiarezza il distacco con il quale guardava a quel momento della sua vita. Non c’è bisogno di essere degli esperti di psicoanalisi per pensare che Umberto, nel profondo dell’animo, dovette nutrire una forma di risentimento, più o meno inconscia, che lo porterà a sentirsi molto più vicino alla sensibilità della madre, Angiolina Sassi, con cui vivrà fino alla scomparsa. Non a caso il primo libro, i Poemetti, sarà dedicato alla genitrice e solo il terzo, i Nuovi poemetti, al padre, e per giunta in memoria. 2 3 Nino CASIGLIO, Umberto Fraccacreta…, cit., p. 72. Carlo GENTILE, Poesia di Umberto Fraccacreta, Foggia, Società Dauna di Cultura, 1956, p. 47. 232 Francesco Giuliani Alla luce, però, del “Fondo Fraccacreta” e della stessa testimonianza di Casiglio, l’avv. Michele si interessò anche di filosofia, oltre che di legge, di speculazioni intellettuali, oltre che del vasto patrimonio fondiario di famiglia, che fu poi curato da Umberto, dopo la sua malattia. Dunque qualcosa trasmise al poeta anche il concreto avvocato pugliese, che doveva conoscere il tedesco, spingendo poi anche Umberto a fare altrettanto, perfezionandosi alla scuola di Giuseppe Antonio Borgese, l’autore di Rubè; in caso contrario, Michele non avrebbe potuto trarre alcun insegnamento da quegli austeri volumi ottocenteschi, che oggi si ritrovano negli scaffali del “Fondo Fraccacreta”, già di per sé ardui da leggere. Gli eleganti testi coprono anche altri periodi, oltre a quello ricordato nella testimonianza sopra citata di Casiglio, come nel caso dei volumi di Leibnitz, e non sono solo di argomento filosofico. Sono largamente presenti, infatti, con imponenti raccolte, anche le opere di Lessing, Goethe, Schiller e Heine. Da alcune etichette si deduce che queste pubblicazioni erano almeno in parte acquistate a Napoli, presso la Libreria Detken & Rocholl, in Piazza del Plebiscito. La presenza di opere in tedesco, senza dubbio, rappresenta una delle note caratterizzanti della dotazione libraria dei Fraccacreta. Umberto, tra l’altro, già nei Poemetti premette delle citazioni in lingua da Heine (in L’assiolo), un autore caro tra gli altri al Carducci, e da Beethoven (in L’appassionata), con una scelta che rivelava il suo profondo legame con certi autori germanici; ne Il rapsodo, poi, nei Nuovi poemetti, sarà la volta di Goethe. Per rimanere nell’ambito filosofico, nella stessa elegante veste spiccano anche delle opere di Vico e di Rosmini. In francese (ma ci spostiamo al primo decennio del Novecento, tra il 1907 e il 1908) sono invece i sei volumi del Cours de philosophie positive, di Auguste Comte, in un’edizione identica alla prima del 1830, e non manca anche una traduzione in lingua d’oltralpe di un celebre libro di Schopenhauer, Le Monde comme volonté et comme representation, in tre tomi, edito in seconda edizione a Parigi, dal 1893 al 1896. Né sono trascurati i maestri del periodo greco, a partire da Platone. Gli interessi filosofici dell’avv. Michele, insomma, lo portano ad allestire una biblioteca molto fornita. Umberto ebbe delle buone conoscenze in quest’ambito, ma gli interessi letterari furono senz’altro predominanti. Comunque, non dovette avvertire il bisogno di acquisire altri testi, visti i tanti già a disposizione. Centinaia di volumi del Fondo, e non poteva essere diversamente, sono legati alla professione di avvocato del padre di Umberto. Troviamo raccolte ponderose, dalla Giurisprudenza italiana edita a Torino dall’UTET (i volumi presenti vanno dal 1866 al 1889) ai molti tomi del Répertoire méthodique et alphabétique de législation de doctrine et de jurisprudence, a firma di Désiré Dalloz, con il Supplément di M. Dalloz, i cui diciannove volumi coprono l’arco dal 1887 al 1897, fino al Commentario alle Pandette di Federico Gluck, edito a Milano. Non mancano alcuni libri di Luigi Zuppetta, giurista e più volte onorevole del collegio di San Severo (del 1867 è il Testo del progetto del codice penale della 233 Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo Repubblica di San Marino compilato dal prof. Zuppetta nel 1859 e convertito in codice penale, stampato a Napoli) e di altri studiosi ottocenteschi e primo novecenteschi, dal Laurent al Vidari, dal Lomonaco al Mattirolo e al Vignali. Scontata la presenza dei codici e degli altri ‘ferri del mestiere’, che Michele dimostrò di saper usare con competenza e con i quali Umberto dovette pur fare i conti, prima di ottenere la sua laurea in legge, senza dimenticarli neppure dopo, quando si troverà ad amministrare i fondi familiari. Si incontrano, inoltre, dei volumi di economia, disciplina nella quale eccelleva il cugino di Umberto, Angelo, rettore dell’Università di Bari e docente a Napoli. Di lui abbiamo i lavori più importanti, Il movimento operaio nell’agricoltura francese, del 1907, che riporta una dedica allo zio Michele, La trasformazione degli impieghi di intrapresa, del 1920, che è il suo lavoro di maggiore impegno, e il bellissimo Le forme del progresso economico in Capitanata, del 1912, anch’esso, in una delle due copie presenti, fornito di una dedica all’avvocato Michele. Notevole è la Raccolta delle più pregiate opere moderne italiane e straniere di economia politica, diretta da Gerolamo Boccardo, stampata a Torino, di cui vengono acquistati i primi dieci volumi, alcuni in più tomi. Malgrado i suoi chiari interessi, Michele non lasciò scoperto il settore storico e letterario della sua biblioteca. Come tanti, ad esempio, condivise la passione per Felice Cavallotti e molto presente con le sue opere è anche Giulio Carcano, di cui si procurò le traduzioni da Shakespeare, edite dalla Hoepli. Il letterato, ovviamente, è Umberto e il catalogo del Fondo, tenendo conto delle presenze come delle assenze, ci permette anche di fare alcune considerazioni sui suoi interessi personali e sui caratteri della sua opera di scrittore. Ad esempio, nel dattiloscritto scritto nel 1936, in occasione di una conferenza tenuta a Parigi, alla Sorbona, sulla sua opera, Umberto lamenta il fatto che i suoi primi versi, alla fine degli anni Dieci, non abbiano avuto una buona accoglienza: “Ne riparlai ai miei maestri: niente da fare, imperversava il futurismo”.4 Forse il termine “futurismo” viene usato in senso lato, contrapponendosi alla sua formazione classica, al suo prudente atteggiamento di fronte alle sperimentazioni d’inizio secolo, ma sta di fatto che non c’è alcuna opera di Marinetti e dei suoi rumorosi collaboratori nella sua biblioteca, a conferma di un giudizio che restò nel tempo negativo e che, d’altra parte, non era peregrino. Erano lontani i tempi che dovevano rendere, come oggi avviene, i testi futuristi delle ricercate rarità sul mercato antiquario, pagati a caro prezzo. Anche su Pirandello la sua valutazione si mantenne negativa: “Tutto quanto di impoetico e di dissonante si ritrova nella scrittura del grandissimo siciliano suonava per il Fraccacreta come qualcosa di stridente, di disarmonico, di prosaico”.5 Tra i libri del Fondo, di conseguenza, ci sono solo due opere, edite dalla Bemporad, 4 5 C. GENTILE, Poesia di Umberto Fraccacreta… cit., p. 48. CASIGLIO, op. cit., p. 73. 234 Francesco Giuliani l’Enrico IV, in un’edizione del 1928, e Come prima meglio di prima, del 1929. Né valse, a quanto si può dedurre, a fargli cambiare idea il conferimento del premio Nobel allo scrittore siciliano, nel 1934. In questo giudizio si sentiva vicino a quello di Benedetto Croce, il maestro per eccellenza dell’epoca, al quale nel 1919 aveva mandato delle liriche, ricevendo una cartolina di risposta in cui, come racconta lo stesso Umberto, il filosofo affermava che le aveva trovate “molto pregevoli per semplicità e garbo, come ormai fatte rarissime!”.6 Fraccacreta ricercò sempre un colloquio disteso con il lettore, al di là di ogni possibile forma di cerebralismo, e in poesia non amò l’Ermetismo. Nel Fondo mancano autori come Montale e Ungaretti, la cui fama sarebbe cresciuta nel secondo dopoguerra; sta di fatto, però, che i testi dei poeti appena citati non sono entrati a far parte della biblioteca neanche dopo la morte di Umberto. Scontato, sul fronte delle presenze, il gran numero di testi carducciani, con numerosi testi dall’edizione delle Opere apparsa a cavallo tra Ottocento e Novecento, comperati evidentemente dal genitore. Questo dovette dissuadere Umberto dall’acquistare dei volumi dalla nuova Edizione nazionale, realizzata nel Ventennio, dal 1935 al 1940. In compenso, però, ci sono tre edizioni diverse della fortunatissima Antologia carducciana del Mazzoni e del Picciola, del 1909, 1921 e 1955, e non manca neppure la biografia del pugliese Michele Saponaro, Carducci, del 1940. Comprensibile la presenza dell’amato Pascoli, anche se i cinque titoli attestati (tra cui, in due copie, le Poesie curate dal Pietrobono) non sono direttamente proporzionali all’importanza che il Romagnolo ebbe per Fraccacreta. Vari sono i libri di d’Annunzio, amato soprattutto nella sua produzione matura, e non manca un titolo del crepuscolare Gozzano (I primi e gli ultimi colloqui, ed. definitiva, Treves, 1928), al quale pure Umberto doveva guardare con una certa simpatia, per certe innegabili consonanze di ispirazione. Per sanare alcune lacune, il Nostro acquista opere di Boccaccio (prima nemmeno presente nella biblioteca di famiglia), Cellini, Chiabrera, Goldoni, Carlo Gozzi e vari altri, nella Collezione di classici italiani dell’UTET. Presta attenzione a Parini ed a Machiavelli, con una particolare considerazione per Fogazzaro, presente nel Fondo con undici titoli. Non c’è dubbio che il vicentino sia stato un autore caro ad Umberto, che possiede due edizioni di Miranda e segue la sua evoluzione nel romanzo fino all’approdo narrativo di Leila. Di Verga, invece, sono attestati solo tre romanzi giovanili, Tigre reale, Una peccatrice e, non a caso, in due edizioni diverse, Storia di una capinera, l’ipersentimentale romanzo epistolare che in passato ha goduto di una grande considerazione presso i lettori e che anche di recente ha ispirato un film di Zeffirelli; mancano le 6 GENTILE, op. cit., p. 48. 235 Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo opere maggiori, quelle della stagione verista, a partire da I Malavoglia e da Vita dei campi, sulle quali dovette comunque meditare, vista la sua esperienza di autore di racconti, alla quale abbiamo accennato. Il raffinato traduttore dei Carmina pascoliani, profondo conoscitore delle lingue classiche, ha, com’è logico attendersi, a disposizione numerosi testi di letteratura latina e greca, di cui fece buon uso, insieme a vari vocabolari. Scontata, per l’italiano, la presenza dei sette tomi del Tommaseo-Bellini e del Novo dizionario di Policarpo Petrocchi, nell’edizione in un volume del 1906 e in quella in due tomi del 1931 (noto, tra l’altro, anche per la preferenza, in Novo, per la forma monottongata). Né mancano le enciclopedie, come la Nuova Enciclopedia Italiana ovvero Dizionario generale di scienze, lettere, industrie, ecc., edita dall’UTET e diretta dal Boccardo (è presente la sesta edizione, in 26 tomi, compresi l’indice e le tavole, edita dal 1875 al 1888). 3. Curiosità, viaggi e antologie In questa solida e fornita biblioteca borghese si trovano, dunque, testi di base come anche volumi specialistici. Le biblioteche parlano, lo abbiamo detto all’inizio, e ci permettono anche di rispondere a varie curiosità spicciole. Ad esempio, possiamo chiederci quanti siano i libri che Umberto Fraccacreta possedeva del suo maestro Valgimigli. Non moltissimi: si tratta di tre titoli, due di traduzioni dal greco e uno di memorie, Uomini e scrittori del mio tempo, nell’edizione del 1943 (sarà riproposto, aumentato, nel secondo dopoguerra, nel 1965). L’altro maestro, Ezio Levi, è presente con due opere, inviategli negli anni Trenta. Sei sono invece i testi del filologo Francesco Piccolo, docente universitario e per un periodo anche preside della facoltà di Magistero di Roma, conosciuto sin dai tempi del liceo, a Lucera. I due, nati entrambi nel 1892, mantennero dei buoni rapporti, improntati a reciproca stima, e Piccolo partecipò alle commemorazioni del 1947 in memoria del Fraccacreta, oltre a far parte della giuria del premio intitolato al suo nome. Un altro personaggio di spicco, Tommaso Fiore, inviò ad Umberto la seconda edizione de La poesia di Virgilio, nel 1946, con relativa dedica. A testimonianza dei rapporti e della stima che ebbe per Giambattista Gifuni, direttore della Biblioteca comunale di Lucera, restano quattro testi di storia, che vanno dal 1930 al 1942. Il Fondo contiene pure opere di autori locali, alcuni di non facile reperimento, sanando delle lacune esistenti nella biblioteca “Minuziano”. Del sanseverese Giuseppe Marchese, così, si conservano le Noterelle filosofiche. Dell’amore e del dolore di Giacomo Leopardi, del 1898, pubblicate in occasione del primo centenario della nascita del Recanatese, caratterizzato, com’è noto, da un notevole fiorire di iniziative. Marchese è un personaggio rimarchevole anche per essere stato uno dei rari allie236 Francesco Giuliani vi meridionali di Giosuè Carducci, all’Università di Bologna, con il quale si è laureato in Lettere, discutendo, nel 1896, una tesi sulla Sofonisba del Trissino, data alle stampe l’anno dopo, presso lo Stabilimento Tipografico Zamorani e Albertazzi della città felsinea. In seguito si avviò all’insegnamento, chiudendo la sua carriera come preside di vari istituti superiori. Di Vincenzo De Girolamo si conserva il volume Profili e studi letterari, del 1894. Egli è stato un abile e raffinato stampatore, che ha legato il proprio nome a numerose pubblicazioni, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, ma si è distinto anche come uomo di cultura, pubblicando dei saggi, tra l’altro, sulla «Rassegna Pugliese», e come giornalista pubblicista. Del direttore didattico Felice Colapietro c’è una pubblicazione intitolata La scuola del popolo e la sua riforma, stampata a San Severo nel 1896. Non poteva mancare un classico della storiografia dauna come le Memorie storiche della città di Sansevero, di Francesco de Ambrosio, apparso nel 1875, un testo che, per la sua rilevanza, ha avuto anche delle recenti ristampe anastatiche; stranamente, però, dell’avo Matteo, lo storico, mancano i cinque tomi ottocenteschi, mentre è presente solo il sesto, edito nel 1974. Nella prima metà del Novecento l’abitudine di viaggiare era molto meno diffusa rispetto ai nostri giorni, com’è facile comprendere, e l’orizzonte della maggioranza delle persone era limitato alla propria città ed alle zone limitrofe. Umberto, però, era celibe ed aveva dei sufficienti mezzi economici, cogliendo questa preziosa opportunità per ampliare i propri orizzonti. Di qui, dunque, a partire dal 1919, le varie Guide del Touring Club, che nel Ventennio assunse per un certo periodo il nome di Consociazione Turistica Italiana, e i volumi di argomento storico-turistico. I viaggi non furono limitati solo all’Italia, come dimostra il suo passaporto, rinvenuto nel Fondo cartaceo, e una delle mete preferite dovette essere la Francia, patria della poetessa Yvonne Lenoir, che tradusse nella sua lingua i Poemetti, che diventano, nel 1935, i Chants d’Apulie. Tre anni dopo sarà la volta di Pierre de Montera, che pubblicherà Deux poèmes d’amour, un testo che trasporta nella lingua d’oltralpe quasi tutti i dolcissimi e malinconici Motivi lirici del 1936. Sembra che la Lenoir abbia avuto una relazione con il Nostro. Di certo, degli intensi rapporti tra i due ci restano nel Fondo cinque titoli in francese della donna, relativi agli anni Trenta. Fraccacreta conosceva, attraverso l’«Eco della Stampa», tutto quello che si scriveva di lui, conservando con cura le varie recensioni. Allo stesso modo, anzi a maggior ragione, nella biblioteca serbava copia dei libri che accennavano alla sua opera di poeta. È il caso del Novecento di Alfredo Galletti, nella Storia letteraria d’Italia della milanese Vallardi, un importante volume, ristampato più volte, di cui Umberto possiede la seconda edizione, rivista ed aumentata, del 1939. Il Galletti accosta il Fraccacreta ad Umberto Saba, considerandoli dei modelli positivi di una poesia che contempera tradizione e modernità, evitando l’oscurità per instaurare un proficuo colloquio con il lettore. 237 Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo Anche Lionello Fiumi, nel suo Parnaso antico, che contiene saggi sui poeti italiani del Novecento, si ricorda del pugliese; il testo è pubblicato a Genova nel 1942, dalla Casa Editrice Emiliano degli Orfini. Il nome di Umberto compariva anche sul Chi è? Dizionario degli italiani d’oggi, e nella biblioteca si conserva l’edizione del 1940, stampata a Roma. Non mancano neppure le antologie che includono i suoi brani. Negli anni Trenta e Quaranta, gli studenti delle scuole medie inferiori, accanto alle liriche di Carducci, Pascoli e di altri poeti di spicco, potevano ritrovarsi a studiare e ad imparare a memoria anche dei versi del Fraccacreta, e questa esperienza è stata più volte ricordata da studiosi e da estimatori dei versi del Nostro. Voli d’aquila è un testo scolastico che si rivolge agli studenti delle medie inferiori ed è curato da Arturo Avelardi e Luigi Papandrea, per i tipi della casa editrice Sandron. Nel 1937 l’antologia è alla sua quinta edizione e contiene un’ampia scelta di liriche: Natale di pastori abruzzesi in Puglia, Inverno, Il gelsomino, La tomba d’oro, Purificazione, Nevicata, La canzone dell’olio e La canzone del viandante (brani de Il Pane si incontravano anche in Romània, a cura degli stessi professori, che ha avuto più edizioni nello stesso periodo, destinata agli studenti del ginnasio superiore e del primo anno del Liceo scientifico). Del 1940 è invece Palme, di cui il poeta ha conservato due copie, compilata da Luigi Bonaccorsi, per gli studenti delle medie inferiori, edita sempre dalla Sandron. Qui la scelta dai versi di Fraccacreta è simile a quella di Voli d’aquila, con in più Notte di luna. Ma il nome più importante è senza dubbio quello di Mario Sansone, il grande studioso nato, com’è noto, a Lucera, nel 1900, ma di famiglia napoletana, che per molti studenti, formatisi per alcuni decenni sul suo manuale di storia della letteratura italiana, è rimasto il punto di riferimento per eccellenza. Sansone nel 1940 pubblicò un’antologia, Novale, edita dalla Principato, ad uso delle scuole medie inferiori. Nel Fondo è conservata una copia con una dedica autografa al poeta, “A Umberto Fraccacreta con cuore memore e cordiale”. L’antologia si apre con delle parole ispirate e rassicuranti, rivolte ad un ideale studente, posto di fronte ad un grande cambiamento: “Invece di ritornare nella scuola elementare, che ti era diventata così familiare insieme con tutto il suo vicinato, ieri, primo giorno di scuola, hai fatto una strada nuova, ti sei trovato davanti ad un altro portone, con sopra scritto il nome di una scuola media, che ha cominciato col metterti in soggezione, ed hai salito le scale con l’animo ondeggiante tra vari sentimenti”.7 Il volume contiene un’ampia scelta di brani tratti da autori famosi ed è ben organizzato nelle sue sezioni, anche se non mancano inclusioni e giudizi politici molto netti e inequivocabili su Mussolini, come politico e scrittore, e sul Fascismo, che di lì a pochi anni dovettero di certo imbarazzarlo. 7 Mario SANSONE, Novale, Milano-Messina, Principato, 1940, p. 1. 238 Francesco Giuliani In ogni caso, Sansone, immediatamente dopo una poesia di Diego Valeri, antologizza anche le due parti, In paese e In campagna, che formano la lirica di Fraccacreta Visione di Natale, tratta dalla silloge Elevazione. Il critico evidenzia la grande dolcezza dei “melodiosi versi del poeta pugliese […], anima sensibilissima che ha saputo immedesimarsi con la natura della sua fertile terra nativa e con i sentimenti primitivi, ma tenaci, del forte, paziente, modesto contadino pugliese”.8 È evidente, nel complesso, che l’utilizzo scolastico dell’opera di Fraccacreta è facilitato dalle sue tematiche, che ponevano l’accento sulla terra e sui valori del mondo agricolo, in consonanza con alcuni temi del Ventennio; egli fu però estraneo alle motivazioni propagandistiche del Regime, che restò sempre fuori, prima e dopo, dai suoi versi. Nel Fondo, lo segnaliamo per curiosità, ci sono due testi di Benito Mussolini, I discorsi della rivoluzione, editi nel 1923, e la Vita di Arnaldo, del 1932. Dopo la prematura scomparsa di Umberto, nel 1947, la biblioteca conosce ancora altre aggiunte. Un testo del noto scrittore lucano Albino Pierro, Il mio villaggio, edito nel 1959 dalla Cappelli di Bologna, con la sua dedica al dr. Augusto Fraccacreta, brillante direttore generale del Ministero dello Spettacolo, ce lo ricorda. Di Pierro, noto per l’uso del tursitano, sono conservate anche le raccolte poetiche I’ nnamurète, del 1963, e Metaponto, nelle edizioni del 1963 e del 1966. Ad Augusto sono indirizzati anche dei testi di altri scrittori, in diversi periodi. Segnaliamo in particolare la dedica che l’ex sindaco socialista di San Severo, Ernesto Mandes, anche lui poeta, scrive nel 1954, in occasione della pubblicazione della prima edizione della silloge Rosai: “Al carissimo amico Augusto Fraccacreta, fratello di Umberto, con affettuosa cordialità”. I due fratelli si ritrovano legati nell’omaggio. Mandes, ricordato tra l’altro per essere stato allievo di Giovanni Pascoli a Livorno, intorno al 1894, aveva partecipato attivamente alle commemorazioni in memoria del poeta pugliese, scrivendo anche una lirica. Due anni dopo, nel 1956, invierà la seconda edizione di Rosai, con una nuova dedica. È certo, dunque, che nel Fondo ci sono, almeno in parte, anche i libri del fratello minore di Umberto, che continuò ad incrementare la raccolta, con testi di vario argomento, dalla narrativa alla storia, fino alla sua scomparsa. Di qui all’acquisizione da parte della Biblioteca comunale di San Severo, allocata nell’antico complesso di San Francesco, il passo è breve. Il Fondo, nel complesso, fornisce degli elementi molto utili riguardo ad un ambiente, come quello della cittadina dell’Alto Tavoliere, tra Ottocento e Novecento, che si rivela, una volta di più, tutt’altro che chiuso in se stesso e provinciale, secondo l’accezione più gretta del termine. 8 M. SANSONE, Novale…, cit., p. 477. 239 Il “Fondo Fraccacreta” della Biblioteca di San Severo Il materiale librario, al contrario, evidenzia una notevole apertura mentale, conferma la qualità e la profondità degli interessi culturali, che rendono la biblioteca familiare dei Fraccacreta non un mero contenitore di testi, bensì, soprattutto, un efficiente strumento di conoscenza, a tutti i livelli. Inoltre, andando più nello specifico, il Fondo rappresenta anche un’utile chiave per penetrare nel mondo artistico e nei pregevoli scritti del poeta Umberto Fraccacreta, rivelatosi da poco anche autore di racconti. Insomma, i circa cinquemila volumi, legati all’avv. Michele ed ai suoi figli, parlano in modo esplicito: basta fare silenzio per ascoltarne la voce. 240 Recensioni 242 Angelo Celuzza Mario Simone: pubblicazioni curate nel centenario della nascita di Angelo Celuzza In ricorrenza del centenario della nascita (1901-1975) il 25 Gennaio 2002 si è tenuto presso l’Auditorium del Palazzo dei Celestini a Manfredonia il Convegno di Studi su Mario Simone, illustre ricercatore, bibliografo, giornalista, scrittore, meridionalista, animatore culturale ed editore. Di lui, nell’immediatezza della sua scomparsa e sotto l’urgenza di forti emozioni, parlai nella sala del Consiglio del Palazzo di Città in presenza di tutte le autorità cittadine e di un numeroso pubblico di concittadini e del presidente della Società Dauna di Cultura, dott. Antonio Vitulli. Fu un commosso ricordo del caro e dotto amico, ricordo che, ampliato e arricchito di notizie biografiche, apparve a stampa in un volumetto che comprendeva anche una selezione di inediti Ricordi e Frammenti di Mario Simone, donati, insieme al suo ricco archivio, alla Biblioteca Provinciale di Foggia, per il tramite del dott. Luigi Mancino. Mi preme qui ricordare l’opera veramente lodevole svolta dal prof. Michele Ferri, che conobbe Mario Simone in giovanissima età, e lo seguì in tutta la sua complessa attività, con assiduità e con affetto presso il Centro-Biblioteca “Antonio Simone”. Il prof. Ferri, nel ricordo del suo Maestro, ha dedicato molti anni a reperire opere, articoli di giornali e saggi pubblicati in varie riviste e tutto ciò nell’ambito del costituito “Centro di documentazione storica” in Manfredonia. A conclusione di tutte le sue intense ricerche ha pubblicato una bibliografia completa degli scritti di Mario Simone e di quelli su Mario Simone; e il primo frutto di tanta lodevole fatica è stato il volume Mario Simone nel centenario della nascita (1901-2001) edito per il “Nuovo centro di documentazione storica” di Manfredonia, e apparso nell’anno 2002, per i tipi delle Edizioni del Golfo. Il volume, pubblicato con il patrocinio del Comune di Manfredonia e dell’Amministrazione Provinciale di Foggia, con il titolo Mario Simone “Formicone” di Puglia, riprende quel “Formicone” dall’omonimo libro di Tommaso Fiore dal titolo appunto Formicone di Puglia – Vita e cultura in Puglia (1900-1945), pubblicato per i tipi di Lacaita nell’anno 1963. 243 Mario Simone: pubblicazioni curate nel centenario della nascita Il saggio del prof. Ferri, molto ben documentato, arricchito da un apparato chiarificatore e illuminante di note a piè di pagina, costituisce uno squarcio documentato di vari decenni dell’attività di Mario Simone: dai primi studi giuridici, storici e risorgimentali a quelli riflettenti il Regno di Napoli, la Puglia e la Capitanata, con particolare attenzione agli studi sulla Dogana di Foggia. E poi, in successione, tutta una galleria di uomini illustri della nostra terra, tra i quali compaiono Tommaso Fiore, Alfredo Petrucci, Michele Bellucci, Giovanni Tancredi, Nicola Quitadamo, Renzo Frattarolo, Carlo Gentile, Michele Melillo, Aldo Vallone, Ernesto Pontieri, Umberto Fraccacreta, Angelo Fraccacreta, mons. Mario De Santis e tanti altri. Notevole l’interesse del Nostro per alcune figure importanti in campo nazionale e fra questi, quello per Giovanni Conti, fondatore e direttore della «Voce Repubblicana» e per Angelo Fortunato Formigini, editore originale ed elegante, vero apostolo della cultura fra il popolo, finito tragicamente. Con l’acribia propria dei bibliografi degni di questo nome, il Ferri compila nel volume schede critiche e analitiche riflettenti le opere comprese nel Catalogo di una “Mostra Bibliografica” allestita nei locali del Palazzo Celestini e delle Civiche Biblioteche Unificate di Manfredonia. Nella mostra sono presenti tutte le opere edite da Mario Simone per i tipi dello Studio Editoriale Dauno, del Centro per la Editoria Scolastica e Popolare e quelle – numerose – da lui curate ed edite anche per conto di Enti Pubblici quali l’Amministrazione Provinciale di Foggia e i comuni di Foggia, Manfredonia, San Severo, Ascoli Satriano, Troia e Monte S.Angelo, e gli annali di Istituti Superiori e di Licei fra i quali quelli di Foggia, Manfredonia e San Severo. Impreziosiscono la mostra fascicoli di riviste ormai introvabili quali «La Puglia» edita da Laterza, i «Quaderni Musicali» e le annate complete della rassegna «la Capitanata» da Mario Simone fondata nell’anno 1963 e dallo scrivente diretta per ventitré anni. Molto completo il repertorio che il prof. Ferri ha inserito a chiusura del volume. Del libro che raccoglie gli atti del convegno organizzato a Manfredonia per ricordate Mario Simone nel centenario della nascita, mi piace sottolineare i pensieri, ricordi e testimonianze di tutti i relatori convenuti e, in modo particolare, la documentata storia degli anni 1947-1993 della Società Dauna di Cultura, scritta dal dott. Antonio Vitulli, suo ultimo presidente. Anche questo secondo volume contiene un saggio di Michele Ferri: Mario Simone: la figura e l’opera, non senza sottolineare l’importanza delle commosse testimonianze e delle notevoli relazioni degli amici convenuti al convegno, ricche di spunti critici. Sono da citare, in particolare, le relazioni dei professori Michele Melillo e Giuseppe De Matteis, di Berardino Tizzani e di Luigi Mancino, di Franco Mercurio e di Carlo Forcella, di Renzo Frattarolo e Gaetano Cristino, di Mi244 Angelo Celuzza chele Magno e Tommaso Nardella, di Armando Petrucci e Cristanziano Serricchio. Chiude il volume, stampato e curato con particolare affetto, in edizione a tiratura limitata e numerata di soli 300 esemplari, dalle Edizioni del Golfo, giovane casa editrice che opera in Manfredonia, un bibliografia curata dal prof. Ferri e che occupa le pagine 77-118. 245 246 Gli autori Gli autori Gabriella Berardi, laureata in Lettere presso l’Università degli Studi di Bari, presta servizio, con la qualifica di funzionario culturale, presso la Biblioteca Provinciale di Foggia. In questa veste è la responsabile del Polo SBN di Foggia e si occupa di formazione e di normalizzazione delle procedure catalografiche del Sistema bibliotecario provinciale. È giornalista pubblicista. Francesco Bonito, è nato nel 1949 a Cerignola, dove risiede. Si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Roma con una tesi sull’Élite politica nel pensiero di Guido Dorso. Magistrato in aspettativa, Consigliere di Cassazione. È entrato in magistratura nel 1977. Componente del Consiglio giudiziario presso la Corte d’Appello di Bari dal 1983 al 1987. Parlamentare fin dalla XII legislatura, a partire dalla XIII è capogruppo DS in Commissione Giustizia. Dal luglio 2000 ha ricoperto, per un anno e mezzo, il ruolo di responsabile giustizia dei DS alla Camera. Nel 1982 ha pubblicato Il Tribunale delle Libertà tra riforma e controriforma, ed. Edistampa di Lucera e, con altri autori, nel 1984 Gli anni di piombo, ed. Dall’interno di Bari. Ha altresì pubblicato, con Davigo, Spagnolo, Perchinunno e Manna Falso in bilancio, concussione e corruzione: esperienze a confronto, Cacucci editore, Bari 1998; con altri autori La giustizia del cittadino, edizioni Info Roma, 1999. Angelo Cavallo, organizzatore, classe ’60, generazione ’77 e cantautore. Negli anni’80 plasma la sua attività creativa nel divertimento ed intrattenimento per turisti. In seguito roda il lavoro di organizzatore e produttore di spettacoli, dalla dance di Alan Sorrenti al cabaret “al limite della strada” di Hugo Suarez e Renato Curci e di un giovane esordiente Antonio Albanese. Si ‘converte’ a metà degli anni ‘90 al suono delle contaminazioni, intuendo le potenzialità di questa musica nell’ambito del nuovo mondo globale. Specializza quindi la sua agenzia di spettacoli in eventi di World Music. Annovera nell’agenda gruppi come Al Darawish, Trilok Gurtu, Farafina. Organizza tour e manifestazioni in Capitanata: Carpino Folk festival (1997) e Tamburi dal Mare, (1998/2001). Parallelamente produce dischi: La Voce del Gargano e Matteo Salvatore scrivendone anche la sua autobiografia. A completamento del lavoro di rivalutazione della musica di Capitanata, organizza tour del cantastorie pugliese, in teatri e rassegne nel centro e nord Italia. Attualmente sta lavorando ad un progetto su la follia nella musica, incurante della siccitosa cultura della città, dove vive ed opera ancora. 247 Gli autori Angelo Celuzza, è stato direttore della Biblioteca Provinciale di Foggia dal 1963 al 1985. Nel corso di quegli anni si è sempre adoperato per dare alla Capitanata una struttura bibliotecaria moderna ed efficiente ed è stato anche grazie al suo impegno professionale ed intellettuale che è stata costruita la nuova sede di viale Michelangelo, inaugurata il 5 ottobre 1974. Durante la sua carriera di bibliotecario ha ricoperto incarichi di rilievo: amministratore dell’Ente Nazionale Biblioteche Popolari e Scolastiche; vice presidente nazionale dell’Associazione Italiana Biblioteche; commissario per la Puglia dell’Associazione Italiana Biblioteche; componente della Commissione Permanente Regionale per i Beni Culturali. Ma anche a livello locale non è stata meno intensa la sua opera per la valorizzazione delle risorse naturali e culturali della provincia, negli anni in cui ha ricoperto gli incarichi di vice presidente della Sezione di Capitanata di “Italia Nostra” e della “Società Dauna di Cultura”. Ha diretto la rivista «la Capitanata» ed è stato autore di numerose pubblicazioni d’argomento bibliografico e biblioteconomico e di articoli apparsi su riviste pugliesi e nazionali. Per i meriti della sua presenza culturale ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui quelli di Commendatore della Repubblica, la Medaglia d’argento del Ministero della Pubblica Istruzione, la Medaglia d’oro della Provincia di Foggia e le targhe A.I.B. Nazionale della Sezione Pugliese di socio d’onore. Maria Antonietta Cocco D’Onofrio, è nata a Taranto, ma vive dal 1969 a Manfredonia dove ha diretto l’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette. Dallo strano miscuglio tra intimità del vivere familiare, l’allegro e scanzonato gruppo di amici ed il pressante e frenetico pubblico impiego, è riuscita ad alimentare l’inestinguibile lampada della poesia. Alcune liriche tratte dalla raccolta Camminare (Milano, Edizioni ET, 1980), si mostrano quasi come una preghiera, nel tentativo di dare ai tanti perché dell’uomo di oggi, combattuto tra speranza e disperazione, una qualche possibile risposta. Sempre con la casa editrice ET ha pubblicato, nel 1985, la sua seconda raccolta Ali nuove, dove tratta temi comuni ma eterni di vita, una confessione d’amore che si arricchisce della trama del vissuto. Nel 1990, ha pubblicato la raccolta Sapori di Puglia (Claudio Grenzi Editore). Ha vinto numerosi premi nazionali; le sue opere sono state segnalate in numerosi concorsi e pubblicate su riviste nazionali. Isabella di Cicco, (Napoli 1960), laureata in Lettere moderne, è in servizio alla Sovrintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico della Puglia. Ha conseguito il diploma di Archivistica, Paleografia e Diplomatica presso l’Archivio di Stato di Bari ed il diploma di Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di foggia. Recentemente ha pubblicato Architettura a Foggia in epoca fascista, con il patrocinio del Comune di Foggia. 248 Gli autori Pasquale di Cicco, (Maddaloni 1930), attualmente Ispettore Onorario Archivistico per la Puglia, ha diretto l’Archivio di Stato di Foggia e la Sezione di Lucera dal 1959 al 1994. È autore di molte pubblicazioni, fra cui Censuazione ed affrancazione del Tavoliere di Puglia 1789-1865 (1962); Il Libro rosso della città di Foggia (1965); il Tavoliere della Puglia nella prima metà del XIX secolo (1966); I documenti antichi dell’archivio comunale di Foggia (1970); L’archivio del Tavoliere di Puglia (19701991, 5 voll. I primi 4 in collaborazione con Dora Musto); Gli statuti economici dell’Università di Lucera (1972); Il Libro rosso dell’Università di Manfredonia (1974); I manoscritti della Biblioteca Provinciale di Foggia (1977); Notizie per il buon governo della R. Dogana della mena delle pecore di Puglia di Andrea Gaudiani (1981); Atlante delle locazioni della Dogana delle pecore di Foggia di Antonio e Nunzio Michele (1984); Il “Giornale Patrio Villani” 1801-1810 (1985); Il Molise e la Transumanza. Documenti dell’Archivio di Stato di Foggia (secoli XVI-XX) (1997). Alcide Di Pumpo, nato a Torremaggiore nel 1950, è bancario. Vanta una lunga e importante militanza sociale e politica nelle ACLI ed ha una forte e convinta testimonianza cattolica, di fede adulta e coerente, nel mondo del volontariato sociale. È stato fondatore e presidente delle ACLI di Torremaggiore nel 1974. È esperto e studioso delle problematiche del lavoro, dell’economia sociale e del No Profit. Dal 1975 al 1991 ha ricoperto la carica di consigliere comunale. Fondatore e segretario del Partito Popolare Italiano di Torremaggiore, è sindaco dal 1° giugno 2002. Vincenzo D’Onofrio, è laureato in Giurisprudenza, avvocato, abilitato all’insegnamento di Istituzioni di Diritto, Economia politica e Scienza finanziaria e statistica negli Istituti Tecnici Commerciali. Dal 1997 è docente in corsi di formazione, aggiornamento, qualificazione e riqualificazione, specializzazione, integrativi professionali, post diploma e post laurea. Direttore dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Manfredonia, reggente dell’A.P.T. della provincia di Foggia, nell’aprile 2002 ha lasciato il settore pubblico per “quiescenza”. Ha ricoperto incarichi quale esperto di programmazione turistica, ideato progetti speciali, collaborato alla realizzazione di iniziative turistico-culturali, svolto seminari nell’ambito del corso di “Economia del Turismo” presso la Facoltà di Economia di Foggia, Corso di Laurea in Economia e gestione dei servizi turistici. Ha scritto numerosi articoli, pubblicati su quotidiani, riviste nazionali e locali ed è stato relatore in diversi convegni. Gli è stato conferito il premio “HARGOS HIPPIUM” 2002 “ai Dauni che si sono distinti in campo nazionale ed internazionale” (Sporting Club, Siponto – 22 agosto 2002). Oggi è Console del Touring Club Italiano per Manfredonia ed è consulente del “Sistema turistico locale Gargano”. 249 Gli autori Franco Galasso, nato a Foggia nel 1926, si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Napoli. Ha prestato il servizio militare in qualità di ufficiale medico ed esercita, ora, la professione come medico di famiglia. Notevole è stato il suo impegno sociale e pubblico manifestato con la partecipazione attiva alla vita politica ed amministrativa. Più volte consigliere provinciale, è stato presidente dell’Amministrazione Provinciale di Capitanata dal 1971 al 1975. Attento conoscitore delle vicende e dei problemi del nostro territorio, è stato particolarmente vicino alla Biblioteca Provinciale osservandone e seguendo l’evoluzione e lo sviluppo, convinto della sua funzione di istituzione centrale per la crescita culturale e civile della nostra gente. Dal 1962 al 2000 si è occupato dell’organizzazione sportiva in qualità di presidente del comitato provinciale del CONI. Francesco Giuliani, laureato in Lettere presso l’Università di Bari, insegna nel Liceo Classico “Fiani” di Torremaggiore. Dal 1998 è Cultore della Materia presso la Cattedra di Letteratura Italiana e Storia della Critica, nella Facoltà di Lingue dell’Università di Pescara. Nell’ambito dell’Italianistica svolge un’attività di ricerca imperniata, da una parte, sullo sforzo di valorizzare le ricchezze letterarie del territorio pugliese, in un’ottica quanto più ampia possibile, dall’altra, sull’analisi critica di personaggi e momenti della storia letteraria nazionale. Giornalista pubblicista, dirige da alcuni anni «Il Giornale di San Severo». Dal 1998 è socio ordinario della Società di Storia Patria per la Puglia per la rilevanza dei suoi studi. Dal 2000 è consulente della città di San Severo per l’attivazione dei corsi di laurea decentrati dell’Università di Foggia. Tra le sue pubblicazioni, Il rondò, le torri e la Certosa. Lucia Lopriore, nata ad Orta Nova (FG) nel 1955, Consulente del Lavoro, è ricercatrice storica per ‘vocazione’. È collaboratrice del mensile «Il Provinciale» è membro ordinario dell’Associazione “Amici del Museo” di Foggia e del Centro Studi “G. Martella” di Peschici. Opera attivamente nel settore della cultura, è autrice dei volumi: Orta Nova tra ‘700 e ‘900 – Storia, Urbanistica ed Architettura, (Bastogi 1999) ed Il Camposanto di Orta Nova, genesi e sviluppo, (Bastogi 2000), entrambi patrocinati dal Comune di Orta Nova. È inoltre autrice di numerosi saggi sulla storia locale apparsi su varie riviste, tra cui «Carte di Puglia». Ha ultimato due monografie rispettivamente dal titolo: Le neviere in Capitanata – affitti, appalti e legislazione, e I duchi di Sangro, storia della famiglia dalle origini ai giorni nostri. Spinta dalla passione per la storia patria continua a ricercare rivolgendo la 250 Gli autori propria attenzione, in special modo, verso la ricerca documentale ed inedita, così facendo spera di contribuire all’arricchimento del patrimonio storico restituendo al passato ciò che gli appartiene. Italo Magno, nato a Manfredonia, dove risiede, è Dirigente Scolastico della Scuola Media Statale “N. Perotto” di Manfredonia. È abilitato in Pedagogia e Psicologia, Storia e Filosofia e Materie Letterarie. Nel 1994 viene designato a rappresentare l’Ufficio del Provveditorato agli Studi presso il Consiglio di Gestione della Scuola per Infermieri Professionali della U.S.L. FG/5 di Manfredonia, Monte Sant’Angelo e Mattinata. Nel 1997 viene nominato presidente del Collegio Arbitrale per i procedimenti disciplinari riguardanti il personale del Comune di Manfredonia. Membro del Nucleo di supporto dell’autonomia fin dalla sua istituzione, nel marzo 2000, ha un incarico di collaborazione conferitogli dal Provveditorato agli Studi di Foggia. È Accademico d’onore presso l’Accademia Internazionale “Padre Pio da Pietrelcina”, di Lettere, Scienze ed Arti, con sede in San Giovanni Rotondo. Nel 2000 viene prescelto dal Ministero della Pubblica Istruzione, Ufficio per gli Scambi culturali, per partecipare a un seminario internazionale al fine di portare avanti il processo educativo per l’avanzamento di una cultura europea. Collabora con testate giornalistiche quali: «Corriere del Golfo» e «Cronache Italiane». Ha vinto prestigiosi premi letterari per la saggistica, per la narrativa per ragazzi e per la poesia. Tra le sue pubblicazioni: Educazione e nevrosi, (Ladisa, Bari, 1989); La giostra degli animali, (Theorema libri, Milano, 1997); Visioni di un naufrago, (Garzanti, 2000). Franco Metta, avvocato e noto penalista, è nato a Cerignola (Fg), dove risiede. Si è laureato in Legge presso l’Università di Milano. Alla libera professione alterna collaborazioni a giornali e riviste, pubblicando articoli di attualità e problematiche giuridiche su «Protagonisti», «La Gazzetta del Mezzogiorno» e «La Grande Provincia». Angelo Miano, è nato a Lucera nel 1948. Si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Macerata nel 1971 ed ha partecipato a numerosi corsi di aggiornamento. Ha lavorato presso l’INADEL fino al 1981 nelle seguenti sedi: la Direzione Generale di Roma, Bari, Venezia, Ferrara e Foggia. Dal 1982 al 1993 è stato docente della Scuola per Infermieri professionali e dal 1984 al 1988 componente del Collegio dei Revisori dei Conti presso la USL FG/7 - Troia. È stato assunto presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata nel 1990 con la qualifica di segretario amministrativo (direttore amministrativo) e dal 18/04/2000 è incaricato della Direzione amministrativa dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata. 251 Gli autori Giuseppe Muciaccia, direttore dei lavori del nuovo santuario di San Giovanni Rotondo, progettato dall’architetto Renzo Piano, nasce a Foggia nel 1947. Consegue la Laurea in Ingegneria Civile e Trasporti presso l’Università degli Studi di Roma nel 1973. Per cinque anni ha diretto l’Azienda regionale dei Trasporti. Dal 1979 ad oggi esercita la libera professione. Ha progettato per gli Ospedali Riuniti di Foggia ed è tecnico di fiducia della Banca d’Italia. Dal 1980 esercita la libera professione. Antonio Muscio, è nato nel 1943 a Orsara di Puglia (Fg). Si è laureato nel 1967 in Scienze Agrarie presso l’Università degli Studi di Bari. Assistente ordinario presso l’Istituto di Zootecnia della Facoltà di Agraria dal 1969 al 1983, dal 1986 al 1991 è stato Professore Ordinario presso la Facoltà di Agraria della Basilicata, dove ha ricoperto anche l’incarico di Direttore di Istituto; dal 1991 è Professore Ordinario di Produzioni animali presso la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Foggia ed è stato Direttore dell’Istituto di Produzioni e preparazioni alimentari tra il 1992 e il 1994; dal 1994 al 2000 ha ricoperto la carica di Preside della Facoltà. Nel 1999 diventa Pro Rettore delegato al processo di decongestionamento dell’Università degli Studi di Foggia. È attualmente Rettore dell’Università degli Studi di Foggia. È membro di varie associazioni scientifiche (Associazione scientifica di Produzione Animale, Società Italiana per le Scienze Veterinarie, Società Italiana di Patologia e di Allevamento degli Ovini e Caprini), socio onorario dell’Accademia Pugliese delle Scienze, Accademico Corrispondente dell’Accademia dei Georgofili. Molti dei suoi lavori a stampa sono stati pubblicati su prestigiose riviste nazionali e internazionali («Journal of Animal Science», «Journal of Dairy Science», «Small Ruminant Research»), e riguardano in particolare la qualità delle produzioni animali in relazione a fattori genetici, ambientali e di allevamento. Ha curato inoltre la pubblicazione di alcuni saggi sulla storia agraria della Capitanata dei quali degni di nota risultano: L’allevamento ovino in Capitanata tra memoria storica e futuro, Agricoltura e pastorizia in Capitanata: la storia e le ragioni di un conflitto, Il Progresso agricolo nella Capitanata dell’800. Saverio Russo, nato a Margherita di Savoia nel 1954, insegna Storia Moderna presso l’Università di Foggia. È ispettore archivistico onorario per la Puglia e coordinatore scientifico del Museo del Territorio di Foggia. È autore di numerose monografie di storia economico-sociale del Mezzogiorno tra ‘700 ed ‘800 e ha curato tra gli altri i volumi Storia di Foggia in età moderna, Bari, 1992 e La Capitanata nel 1799, Foggia, 2000. Di recente pubblicazione è Da Reali saline a Margherita di Savoia: storia di una comunità nell’Ottocento, Foggia, 2003. 252 Gli autori Enrico Sannoner, è nato a Foggia nel 1941. Attualmente è assessore all’Urbanistica del Comune di Foggia. Pianista, dal 1971 al 1994 è stato Direttore artistico del teatro comunale “U. Giordano” di Foggia; durante tale incarico si è occupato della produzione di opere liriche, di prosa e di manifestazioni concertistiche. Attualmente è vice presidente dell’Associazione “Amici della Musica” di Foggia, presidente interregionale Puglia-Basilicata AIAM-AGIS e componente del Direttivo nazionale AIAM-AGIS. Inoltre, è consulente per l’organizzazione di stagioni teatrali private a livello nazionale. Carmine Stallone, 60 anni, presidente della Provincia di Foggia, si è laureato a Bologna, e successivamente specializzato in Cardio-reumatologia e in Nefrologia medica. È primario della Divisione di Nefrologia e Dialisi alla “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo. Dal 1992 è presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Foggia. È stato presidente della Sezione appulo-lucana della Società italiana di Nefrologia e consigliere della Fondazione della Banca del Monte di Foggia. Intensa la sua attività didattica e scientifica. Professore a contratto presso le scuole di specializzazione in Nefrologia medica all’Università di Bologna e di Medicina Interna presso l’Università Cattolica di Roma , docente presso la Scuola per Infermieri “S.Maria delle Grazie” di San Giovanni Rotondo, ha al suo attivo come coautore, circa 250 pubblicazioni scientifiche. Lanfranco Tavasci, nato nel 1947, ha alle spalle un’infanzia vissuta tra Roma e Bruxelles. Si è laureato a Roma ma non esercita la disciplina studiata. Vive e lavora infatti da anni a Foggia, dirigendo imprese di servizi: è direttore generale e vice presidente della G.E.M.A. S.p.A. - Concessionaria del Servizio di Riscossione dei tributi per la provincia di Foggia; si occupa di sanità e televisione nel settore privato. È, inoltre, presidente di “MeglioFoggia”, associazione senza scopo di lucro che dal 1998 pubblica annualmente l’Osservatorio sulla Qualità della Vita a Foggia. Ha recentemente scritto due libri L’Incoronata. Identità sacra delle terre foggiane e Medusa e mostri che appartengono alla collana Terre Foggiane edita da GEMA e che rappresentano il frutto della sua passione per i viaggi, le esplorazioni e la fotografia. Berardino Tizzani, avvocato, è nato a Manfredonia il 18/01/1923. Ha ricoperto diverse cariche: è stato consigliere comunale e assessore ai LL.PP. del Comune di Manfreonia, consigliere provinciale dal 1952 al 1971 e dal 1966 al 1971 ha ricoperto la carica di presidente dell’Ente. È stato ininterrottamente dal 1974 al 1994 presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Foggia. Con D.P.R. 02/06/1971 in G.U. n. 299 del 29/11/1971 gli è stato conferito il diploma di 1ª classe (medaglia d’oro) ai benemeriti della scuola della cultura e dell’arte. È stato nominato Grand’Ufficiale al merito della Repubblica con D.P. 25/11/1968 e Cavaliere di Gran Croce con decreto del 27/02/1990. 253 Gli autori Gaetano Zenga, laureato in Lingua e Letteratura Inglese presso l’Istituto universitario Orientale di Napoli, ha insegnato lingua e letteratura inglese presso il Liceo Scientifico “Volta”. Dal 1974 sino al 1978 ha insegnato lingua inglese presso la Facoltà di Economia e Commercio di Bari. Dal 1978 al 1993 è stato incaricato di lingua e letteratura inglese presso l’Istituto cattolico di studi universitari e formazione della Daunia. Dal 1984 al 1986 ha insegnato lingua inglese presso l’Università della Terza Età di Foggia. Preside negli istituti superiori sino al 2001, ha svolto attività di docenza ai corsi di abilitazione per docenti. Ha pubblicato: Natura e mondo primitivo nei drammi di J.M. Synge (1979) e Studi su John Keats (1980). Ha pubblicato sulla rivista «la Capitanata» (11, 2001) il saggio Il tema della violenza e le strutture profonde in Relic di Ted Hughes. È docente a contratto di lingua inglese presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Foggia dall’a.a. 2002/ 2003. Attribuzione che gli è stata riconfermata per l’a.a. 2003/2004. 254 Gli autori 255 «la Capitanata» Pubblicazione quadrimestrale, anno XLI, n. 14, ottobre 2002 Direttore responsabile: Franco Mercurio Registrato presso il Tribunale di Foggia n. 22/01 Finito di stampare nell’ottobre 2003 per conto della Biblioteca Provinciale di Foggia presso il Centrografico Francescano - Foggia - Tel. 0881/777338 - Fax 0881/722719 I testi contenuti in questo volume potranno essere liberamente riprodotti in tutto o in parte nella lingua originale o in traduzione, citando la fonte, senza alcuna autorizzazione preventiva, purché sia comprovata palesemente l’esclusione di qualsiasi attività di lucro o di qualsiasi intenzione di restrizione della libera circolazione delle idee e delle conoscenze. ISSN 0392 - 3339