La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento
Cronologia
G
G-N
L
O
S-L
T-L
opera di interesse grammaticale
opera di interesse grammaticale-normativo
opera di interesse lessicografico
opera di interesse ortografico
opera di interesse storico-linguistico
opera di interesse teorico-linguistico
1703 Giovanni Giuseppe Orsi, Considerazioni sopra un famoso libro franzese intitolato La maniere de bien penser dans les ouvrages d’esprit cioè La maniera di ben pensare ne’ componimenti divise in sette dialoghi ne’ quali s’agitano alcune quistioni rettoriche, e poetiche, e si difendono molti passi di poeti, e di prosatori italiani condannati dall’autor
franzese, Pisarri, Bologna S-L
Scritto nato come replica alle tesi del gesuita francese Dominique
Bouhours, che sosteneva il primato del francese come lingua di cultura europea, e fondava le sue argomentazioni su una critica alle altre lingue. Dell’italiano in particolare si bollavano le inversioni sintattiche, ritenute contrarie all’ordine logico del pensiero e adatte unicamente alla poesia. Orsi, come altri letterati insorti in difesa della
lingua italiana, insiste al contrario sul valore dei caratteri specifici
dell’italiano (metafore e costruzione inversa in particolare), che lo avvicinano al latino, rendendolo una lingua ideale per la poesia.
1706 Ludovico Antonio Muratori, Della perfetta poesia italiana, Soliani, Modena S-L
Trattato in polemica con la scelta, da parte della Crusca, del fiorentino trecentesco come unico modello per l’italiano. La lingua moderna dovrebbe invece rifarsi al «comun parlare grammaticale», diffuso
in tutto il paese nei testi scritti e nel parlato di registro alto, e secondo
questo modello i dialetti devono correggersi e purificarsi.
1708 Gian Vincenzo Gravina, Della ragion poetica, Gonzaga, Roma S-L
Trattato che, in polemica con il fiorentinismo cruscante, sostiene la
teoria di una lingua comune e illustre, che partecipi dei caratteri di
tutte le parlate italiane.
1717 Girolamo Gigli, Vocabolario cateriniano, Leonardo Venturini, Lucca; e Francesco Gonzaga, Roma L
Raccolta di vocaboli senesi trecenteschi utilizzati negli scritti di Santa Caterina, realizzata con intento polemico verso la scelta della Crusca di escluderli dalla terza edizione del suo Vocabolario (1691). Stampata contemporaneamente a Lucca e a Roma, la prima edizione di
questo vocabolario, priva di frontespizio e interrotta alla lettera R,
ebbe tuttavia circolazione fra i letterati, suscitando riprovazione per
la violenza della polemica antifiorentina e per la graffiante satira ai
danni dell’Accademia. Mentre Gigli veniva espulso dalla Crusca, in
difesa dell’Accademia intervenne il granduca di Toscana Cosimo III,
che proibì la circolazione del libro e decretò quindi che le copie reperibili a Firenze fossero bruciate sulla pubblica piazza: il che accadde,
al suono della campana del Bargello, il 9 settembre 1717. A seguito
del rogo (esempio forse unico di censura applicata a un vocabolario),
Gigli continuò tuttavia il suo lavoro, che venne completato e stampato a Lucca – ma con la falsa indicazione «A Manilla, nell’Isole Filippine» – solo dopo la sua morte (avvenuta nel 1722; l’anno di edizione,
invece, resta imprecisato), da parte di un anonimo curatore che va
probabilmente identificato col commediografo senese Iacopo Nelli.
Nato dalla duplice spinta dell’insofferenza per la chiusura della Cru-
sca e dell’orgoglio municipale, il Vocabolario cateriniano raccoglie materiali storicamente fondati sull’evoluzione e diffusione del dialetto
senese, alternandoli con testimonianze scarsamente attendibili o del
tutto inventate, e con continue frecciate satiriche contro i cruscanti
«criminalisti del ben parlare», e contro il fiorentino, pesantemente
sbeffeggiato per le sue caratteristiche, a cominciare dalla gorgia.
1721 Jacopo Facciolati, Ortografia moderna italiana con qualche altra
cosa di lingua per uso del Seminario di Padova, Manfre, Padova G-N
Testo rivolto alle scuole, composto da un dizionario di voci accompagnate dalla traduzione latina e da marche d’uso; e da una sezione
di Avvertimenti grammaticali. Nelle successive edizioni l’opera si arricchisce di altri materiali, tra cui un Vocabolario domestico.
1721 Girolamo Gigli, Regole per la toscana favella, De’ Rossi, Roma G-N
Libro di grammatica realizzato grazie all’esperienza dell’autore come
docente di «toscana favella» per stranieri presso lo Studio di Siena.
Alle esplicite finalità didattiche si devono gli esercizi, modellati su
quelli per l’apprendimento del latino, e gli specchietti riassuntivi sulle forme verbali.
1723-24 Nicolò Amenta, Della lingua nobile d’Italia e del modo di
leggiadramente scrivere in essa, non che di perfettamente parlare, Muzio,
Napoli G-N
Grammatica di impianto tradizionale, dunque rivolta ai soli letterati e slegata da qualunque attenzione alla finalità didattica. Rispetto
al (pur riconosciuto) modello di Bembo, Amenta mostra maggiore attenzione ai registri d’uso, e sconsiglia le forme toscane più antiche e
popolari.
1724 Anton Maria Salvini, Annotazioni alla «Perfetta poesia italiana» di Muratori, Coleti, Venezia S-L
Replica di impostazione tradizionalista alle posizioni di Muratori (→
1706). Salvini nega che le lingue progrediscano di pari passo con la
cultura, e prende posizione contro il concetto di una lingua comune
diversa dal fiorentino, che egli difende, anche contro i francesismi e
l’immissione di parole straniere.
1726 Giusto Fontanini, Dell’eloquenza italiana, Mainardi, Roma
S-L
Bibliografia ragionata della letteratura italiana, pubblicata per la prima volta nel 1706. In questa terza edizione, realizzata vent’anni più
tardi, si inserisce un saggio sull’origine della lingua italiana, che sarà
ripreso e ritoccato per una successiva edizione, apparsa postuma nel
1736. Fontanini, un letterato di impostazione classicista e conservatrice, individua nelle invasioni barbariche il punto di rottura che determina la frammentazione linguistica medievale, e imputa all’influenza del francese la corruzione della lingua moderna.
1729-38 Vocabolario degli Accademici della Crusca, Quarta impressione, Manni, Firenze L
Opera in sei volumi che presenta elementi di novità, ma anche di arretramento rispetto alla Terza impressione della Crusca, stampata a
Firenze, in tre volumi, nel 1691. La nuova edizione viene promossa
e ispirata da Anton Maria Salvini, fiorentino, assertore della superiorità linguistica del toscano e paladino del principio di imitazione
dei modelli del passato ancora incorrotti («Non serve parlar corretto
[…] bisogna parlar puro»). L’aumento di mole rispetto alla precedente edizione si spiega con l’inserimento di numerosi termini antichi, la cui presenza è giustificata con la necessità di rendere comprensibili le scritture del passato; con l’apertura a parole ed espres-
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sioni di area giocosa e rusticale, anche popolaresche o plebee, purché
provenienti da testi toscani fino al Seicento; con l’immissione di esempi da nuovi autori, soprattutto fiorentini dei primi secoli.
Per contro, vengono esclusi dalle schedature scrittori non toscani già
presenti nella terza Crusca, mentre la chiusura verso le voci scientifiche e tecniche – e verso gli autori che ne hanno fatto uso – diventa più rigida. Continua l’uso delle definizioni cosiddette prescientifiche, che classificano i nomi di piante e animali (ossia, quel tanto di
scientifico che un dizionario non può ignorare) con riferimento a competenze supposte nel lettore: «animal noto», «erba nota». La nuova
edizione si distingue dalle precedenti anche per la sua accresciuta attenzione a segnalare, a scopo storico-documentario, i livelli diafasici. In particolare, cresce il numero di termini classificati come «antichi» e si fanno più sottili le stratificazioni interne: si distingue per
esempio, tra voci antiquate (ma ancora utilizzabili dai poeti) e voci
arcaiche, definitivamente uscite dall’uso.
1732 Carlo Costanzo Rabbi, Sinonimi ed aggiunti italiani, Pisarri,
Bologna L
Vocabolario dei sinonimi nato dall’intento di mostrare ai lettori la
ricchezza della lingua italiana e di «allettarli colla copia de’ vocaboli
e la facilità di valersene». Rabbi arricchisce la limitata proposta di sinonimi fornita dalla Crusca in due direzioni: aumenta le voci, non limitandosi a quelle ricavate dagli autori; e affianca ai sinonimi i cosiddetti aggiunti, o «proprietà e guise del soggetto», elementi cioè che
determinano la voce e possono, nell’uso, accompagnarla. Per esempio, alla voce «gelosia», compaiono tra i sinonimi sospetto, cura, affetto geloso; tra gli aggiunti troviamo cieca, occhiuta, piena di sollecitudine, miserabile. La selezione dei vocaboli ne include di antichi, utili per conferire dignità allo scritto, ma si rivolge soprattutto a voci
moderne, di uso comune. Il vocabolario è accompagnato da un Trattato de’ sinonimi, degli aggiunti e delle similitudini, che propone le regole per il corretto utilizzo dei materiali forniti. La concezione proposta da Rabbi è quella retorica, che collega l’uso dei sinonimi alla
bellezza del periodare («Spesso ci gioviamo de’ sinonimi per vaghezza»), perché l’abbondanza e la varietà di voci genera piacere. Di fronte al problema dell’esistenza o meno dei sinonimi, Rabbi distingue
tra i «sinonimi da filosofo», rintracciabili nei pochissimi casi in cui
il significato delle due parole è perfettamente identico; e i «sinonimi
da umanista», cioè quelli proposti dal suo vocabolario, che s’indirizza non ai filosofi, bensì ai retori, ai poeti, agli oratori.
1732 Scipione Maffei, Verona illustrata, Vallarsi e Berno, Verona
S-L
Trattato dedicato alla storia della città dell’autore, che si sofferma
anche su temi storico-linguistici generali. Da questo punto di vista,
Maffei sottolinea gli elementi di continuità fra latino volgare e italiano, e attribuisce un ruolo significativo all’influenza delle lingue parlate nell’Italia pre-romana, anticipando così il concetto di sostrato.
1733 Antonio Vallisnieri, Saggio alfabetico d’Istoria medica e naturale, Coleti, Venezia L
Dizionario specialistico, pubblicato postumo (l’autore era scomparso
tre anni prima), nato per sostenere l’autorevolezza e la legittimità del
volgare in rapporto al latino, ancora dominante nella comunicazione
scientifica, e per creare in volgare un lessico distinto da quello letterario. Circa metà dei lemmi censiti sono assenti nella Terza impressione della Crusca (1691), e le definizioni di Crusca vengono spesso
corrette. Compaiono di frequente le varianti di uno stesso nome, soprattutto botanico o zoologico, nei diversi dialetti della penisola.
1737 Domenico Maria Manni, Lezioni di lingua toscana, Viviani,
Firenze G-N
Il libro, nato dai corsi tenuti dall’autore presso il Seminario Arcivescovile di Firenze, è organizzato in dieci parti, o lezioni, ciascuna delle quali tocca un aspetto della grammatica. Manni, collaboratore del
Vocabolario della Crusca (→ 1729-38), è allineato sulle posizioni puriste e fiorentiniste di Salvini, e si occupa unicamente della lingua
scritta, cui applica un sistema normativo che risale a Bembo. Scarsa
attenzione è dedicata alla sintassi, trattata secondo una concezione
retorica che fonda il periodo sull’eleganza delle scelte lessicali. Viene tuttavia raccomandato l’ordine naturale della frase (secondo la sequenza soggetto-verbo-oggetto), da cui Manni ritiene discendano sonorità e chiarezza.
1737 Giulio Cesare Becelli, Se oggidì scrivendo si debba usare la lingua italiana del buon secolo. Dialoghi cinque, Ramanzini, Verona S-L
Trattato di impostazione classicista, che riconosce nella situazione
linguistica italiana due aree distinte: quella della comunicazione civile, per la quale è lecito servirsi dei diversi dialetti; e quella letteraria, fissata nella sua perfezione dai grandi trecentisti toscani, cui come modello si deve attingere. Becelli ritiene dunque che l’italiano sia
una lingua morta («L’Italiana lingua, in cui si scrive, si può dir lingua morta»), da apprendere per imitazione, appoggiandosi all’autorità della Crusca.
1739 Ludovico Antonio Muratori, Dell’origine della lingua italiana.
Dissertazione XXXII sopra le antichità italiane, in Antiquitates Italicae
Medii Aevii, Ex typographia Societatis Palatinae, Mediolani S-L
Pubblicato originariamente in latino come parte delle Antiquitates Italicae Medii Aevii, il saggio fu poi tradotto in italiano dall’autore stesso e, in questa forma, apparve postumo nel 1751. È uno dei primi –
e il più scientificamente fondato – tra i tentativi di ricostruire la storia linguistica italiana dalle origini. Muratori indica nel x secolo il momento di frattura tra latino e volgare, e vede nel volgare il prodotto
di un’azione esercitata sul latino da due diverse direzioni: i sostrati
italici e le influenze germaniche giunte con le invasioni barbariche.
1740 Sebastiano Pauli, Modi di dire toscani ricercati nella loro origine, Occhi, Venezia L
Raccolta di parole ricavate in parte dalla Crusca, ma anche attinte da
scrittori, soprattutto della toscanità popolare, non considerati nella
Quarta Impressione (→ 1729-38). Vengono inoltre registrati modi di
dire toscani sprovvisti di attestazione d’autore. E Pauli è attento a
fornire le varianti diatopiche, soprattutto delle voci di uso quotidiano, affiancando al termine toscano le versioni di altre regioni.
1743-50 Gerolamo Andrea Martignoni, Nuovo metodo per la lingua
italiana la più scelta, estensivo a tutte le lingue, col quale si possono agevolmente ricercare, e rinvenire ordinatamente i vocaboli espressivi di pressoché tutte le cose fisiche, spirituali e scientifiche, cavati dal Vocabolario de’ signori Accademici della Crusca, Malatesta, Milano L
Repertorio in due volumi di termini della scienza, della tecnica, dell’artigianato, che anticipa l’interesse per il settore pratico e quotidiano del lessico destinato a svilupparsi nei dizionari metodici dell’Ottocento. Martignoni non entra in polemica con la Crusca, nei
confronti della quale dichiara anzi il suo debito e la sua deferenza,
ma seleziona, soprattutto dalla Quarta Impressione (→ 1729-38), parole della medicina, dell’agricoltura, della guerra, dei mestieri, e le
organizza per categorie.
1745 Giovampietro Bergantini, Voci italiane d’autori approvati dalla Crusca, nel Vocabolario d’essa non registrate, con altre molte apparte-
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nenti per lo più ad arti e scienze che ci sono somministrate similemente
da buoni autori, Battaglia, Venezia L
Integrazione della Crusca per gli ambiti delle arti e delle scienze, che
procede però aggiungendo soprattutto derivati o corradicali di voci
presenti; neologismi ricavati per prefissazione e suffissazione; grecismi. Il criterio di scelta si basa sull’attestazione scritta, e sono presenti, tra quelli schedati, anche testi scientifici.
1745 Salvatore Corticelli, Regole ed osservazioni di lingua toscana ridotte a metodo, Lelio dalla Volpe, Bologna G-N
Prima grammatica italiana pensata per la scuola (per uso del seminario
di Bologna), fortunata e ampiamente ristampata fino a metà Ottocento, anche grazie all’impianto ordinato e agilmente consultabile, che facilita l’assimilazione: Corticelli si propone infatti, indicando il suo scopo fin dal titolo, di ridurre le regole a metodo, organizzandole in una
struttura chiara, scandita in brevi capitoli. L’opera è suddivisa in tre
libri (morfologia; sintassi; pronuncia e ortografia) e la scelta di dedicare un ampio spazio alla sintassi risponde all’intento di colmare una lacuna delle grammatiche precedenti. In tema di architettura del periodo, Corticelli sostiene l’ordine naturale (secondo la sequenza soggetto,
verbo, oggetto) contro l’uso delle inversioni sul modello latino. Come
fonte di esempi viene spesso impiegato il Vocabolario della Crusca,
che diventa il quarto «autore» di riferimento dopo le «tre corone».
1750 Francesco Algarotti, Saggio sopra la necessità di scrivere nella
propria lingua, in Opere varie, Pasquali, Venezia 1757 S-L
In questo breve saggio, che la lettera dedicatoria a Saverio Bettinelli data al 1750, Algarotti condanna la consuetudine umanistica di scrivere in latino, adattando artificiosamente una lingua morta alle esigenze del presente. Ugualmente artificioso risulta l’adoperare una lingua moderna diversa da quella materna, anche quando la scelta sia
giustificata dal maggior prestigio dell’idioma prescelto. Infatti è possibile raggiungere autenticità e naturalezza solo nella lingua nativa,
perché ciascuna parlata si caratterizza per un diverso «genio della lingua», che è il risultato di fattori geografici, storici, sociali e culturali: «Diversi sono appresso nazioni diverse i pensamenti, i concetti, le
fantasie; diversi i modi di apprendere le cose, di ordinarle, di esprimerle». L’ideale che emerge da queste posizioni è una lingua moderna e duttile, che risponda alle esigenze di una cultura fondata sul pensiero piuttosto che sulla retorica della forma. Discende da queste esigenze l’avversione per l’arcaismo fiorentinizzante della Crusca, che
convive però con il rifiuto dei francesismi e la difesa della superiorità
dell’italiano rispetto al francese.
1750 Francesco Algarotti, Saggio sopra la lingua francese, in Opere
varie, Pasquali, Venezia 1757 S-L
Breve saggio che analizza le diverse storie della lingua francese e di
quella italiana, e al loro difforme sviluppo rapporta le differenti funzioni assolte rispettivamente dall’Accademia della Crusca e dall’Accademia francese.
1759 Onofrio Branda, Della lingua toscana, Mazzucchelli, Milano
S-L
Dialogo in difesa del fiorentino vivo, cui si attribuisce dignità di lingua, in contrasto con le altre parlate d’Italia, classificabili solo come
dialetti (in quest’ottica, Branda censura il dialetto milanese). Il fiorentino dell’uso, verificato sugli scrittori ma non limitato al modello
arcaizzante della Crusca, possiede infatti doti di naturalezza che lo
rendono una lingua ideale per armonia e sprezzatura.
1763 Francesco D’Alberti di Villanuova, Dizionario del cittadino o
sia ristretto istorico, teorico e pratico del commerzio, Floteront, Nizza L
Adattamento italiano del Dictionnaiere du Citoyen, ou Abrégé historique, théorique et pratique du commerce di Honoré Lacombe de Prézel,
pubblicato a Parigi nel 1761. Originario di Nizza, Alberti dichiara di
avere appreso l’italiano attraverso lo studio – «una lingua, che non
per altro posso dir mia se non perché m’invaghì di sé fin dagli anni
più teneri, e la quale sovra ogn’altra mi piacque studiare» – e di avere fronteggiato problemi non facili nel tradurre termini talvolta privi di un equivalente italiano. Sono infatti segnalate le parole che l’autore stesso definisce «italianizzate», cioè forestierismi mantenuti secondo la forma francese. Il Dizionario non si limita tuttavia a tradurre
l’originale ma, utilizzando come fonte opere italiane (e, forse, personali inchieste sul campo), interviene sulle definizioni e inserisce anche nuovi vocaboli, pur mantenendo immutata l’impostazione di fondo. La novità del testo risiede nella scelta del lessico pratico e tecnico, delle scienze, delle arti, dei mestieri e del commercio (la cui presenza sarà un carattere distintivo dell’opera maggiore di Alberti, il
Dizionario universale critico-enciclopedico della lingua italiana del 17971805), nonché nel rapporto diretto con la cultura lessicografica ed enciclopedica francese che costituisce, in questo caso, l’origine stessa
del suo Dizionario.
1764 A. [Alessandro] Verri, Rinunzia avanti Nodaro, degli Autori
del presente foglio periodico al Vocabolario della Crusca, in «il Caffè»,
Milano, foglio IV S-L
Il più celebre degli scritti pubblicati dalla rivista «il Caffè» (1764-66;
i suoi «fogli» apparivano all’incirca ogni dieci giorni; il primo è del
1º giugno 1764) contro le costrizioni retoriche cruscanti e in favore di una lingua libera, chiara e funzionale. La Rinunzia è un breve
pamphlet che denuncia lo spazio eccessivo tradizionalmente accordato dalla cultura italiana alle questioni formali («pedantismo») a danno
delle esigenze concrete di comunicazione. Emblema della scelta delle «idee» invece delle «parole» è il rifiuto delle imposizioni normative della Crusca, respinte con formula goliardicamente solenne: «gli
Autori […] sono venuti in parere di fare nelle forme solenne rinunzia alla pretesa purezza della Toscana favella». Saranno dunque bene
accette tutte le parole, italiane o straniere, vecchie o nuove, che sappiano esprimere al meglio un’idea. Unico discrimine, «quel giudizio,
che non muta a capriccio la lingua, ma l’arricchisce, e la fa migliore».
1765 Giuseppe Baretti, Diceria di Aristarco Scannabue, da recitarsi
nell’Accademia della Crusca il dì che sarà ricevuto accademico, in «La
Frusta letteraria», Venezia, 15 gennaio S-L
Il più noto dei numerosi interventi in cui Baretti tocca il tema della
lingua, affrontandolo sempre secondo una prospettiva letteraria. In
una prosa immediata, dal vivace piglio polemico, Aristarco (alter ego
dell’autore) dichiara di accettare il toscano come modello linguistico
autorizzato dalla storia letteraria, ma si oppone al conservatorismo
della Crusca, colpevole di avere raccolto arcaismi e voci plebee in eccesso. L’esclusiva concentrazione sul fiorentino contrasta inoltre con
la convinzione che le lingue scritte non devono essere «dialetti particolari di questa o quella città, ma devono veramente essere lingue
universali». Convinto che l’assunzione di Boccaccio a modello sia il
motivo della mancanza di una lingua prosastica italiana moderna, Baretti è contrario alla costruzione inversa in nome di una scrittura chiara e naturale, che elegge a modello la prosa di Cellini.
1769 Andrea Pasta, Voci maniere di dire e osservazioni di toscani scrittori e per la maggior parte del Redi raccolte e corredate di note, Rizzardi, Brescia L
Repertorio di voci mediche realizzato secondo un’impostazione tradizionalista e toscaneggiante che mostra l’influenza della Crusca. Le
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voci realmente scientifiche compaiono, tuttavia, in numero limitato
(Pasta mostra avversione per grecismi e latinismi, ritenuti troppo specialistici) e convivono con termini e forme di uso corrente; si registrano inoltre numerose varianti arcaiche, e voci alterate in direzione affettiva.
1770 Francesco Soave, Grammatica ragionata della lingua italiana,
Faure, Parma G-N
Nato nel clima delle riforme dell’istruzione promosse nel ducato di
Parma, questo testo è il maggiore esempio di grammatica razionale
italiana, che risente l’influenza degli enciclopedisti francesi e della
Grammaire générale et raisonnée di Port-Royal, realizzata nel 1660 da
Claude Lancelot e Antoine Arnauld. Secondo la lezione di PortRoyal, data l’esistenza di principî comuni universali alla base di ogni
lingua, al grammatico compete di fissare le regole della lingua particolare presa in esame, distinguendo ciò che deriva dall’arbitrarietà
dell’uso e ciò che deriva invece da quei principî universali. Decade
perciò la necessità di rifarsi al canone degli autori come modello normativo. Benché Soave dichiari di volere non soltanto offrire indicazioni e regole, ma indagare le ragioni che stanno dietro i fenomeni,
di fatto la Grammatica assume un atteggiamento soprattutto normativo, e rifiuta ogni apertura all’uso parlato.
1783 Ildefonso Valdastri, Corso teoretico di logica e lingua italiana
premesso un discorso sulla metafisica delle lingue, Costa, Guastalla GN
Testo di grammatica rivolto agli insegnanti che si occupano dell’educazione dei giovani. Formatosi sul pensiero sensista, Valdastri identifica l’essenza delle lingue nel rapporto fra le parole e le idee. Ne discende un’impostazione metodologica induttiva, che parte dall’osservazione degli usi linguistici e ne ricava la regola.
1785 Melchiorre Cesarotti, Saggio sopra la lingua italiana, Penada,
Padova S-L
Il testo fu ristampato nel 1788 e quindi nel 1800 col titolo definitivo Saggio sulla filosofia delle lingue, che rimanda all’impostazione reale del libro che, pur riferito in particolare alla situazione italiana, propone una concezione generale del linguaggio, fondata sulle idee del
sensismo francese. I presupposti su cui si basa il sistema di Cesarotti, applicabili universalmente, sono: la situazione impura delle lingue,
che nascono, in modo casuale, dalla combinazione di vari elementi;
la loro perpetua perfettibilità, anche grazie all’apporto di altre lingue; la non uniformità, perché ogni lingua è parlata in modi diversi
all’interno della stessa nazione; la superiorità della lingua scritta sulla parlata e il fatto che la lingua scritta non può dipendere meccanicamente dall’esempio degli autori, né unicamente da regole fissate
dai grammatici, né dal solo valore dell’uso. Piuttosto, i tre parametri
devono concorrere, così che la lingua scritta abbia «per base l’uso,
per consigliere l’esempio e per direttrice la ragione». Neologismi e
parole straniere (dialettismi, francesismi, grecismi e latinismi) sono
ammessi, ma si propongono norme per regolamentarne l’accesso, che
è accettato per parole derivate da quelle già esistenti per analogia, per
suffissazione o per composizione. A sostegno della sua apertura ai
contributi di altre lingue, Cesarotti riprende il concetto di «genio della lingua» già invocato da coloro che, in suo nome, avversavano l’introduzione di parole straniere, e lo declina in due diverse forme: il
genio, o struttura grammaticale delle lingue, è inalterabile; laddove
il genio retorico, relativo al lessico e alle figure del discorso, è mutevole, in quanto collegato al divenire di sentimenti e giudizi. Dunque,
l’immissione di termini stranieri, in quanto agisce solo sull’aspetto
retorico e mai su quello grammaticale, è lecita perché non può cau-
sare alterazioni profonde. Nell’ultima parte del Saggio si affronta in
particolare il tema della lessicografia, di cui Cesarotti auspica un rinnovamento che porti maggiore attenzione ai termini tecnici e scientifici, che dovrebbero non solo essere schedati attraverso i testi scritti, ma raccolti dalla viva voce dei parlanti nelle varie regioni italiane.
Esito ultimo di tale processo dovrebbe essere un vocabolario, compilato a cura di un Consiglio nazionale della lingua, che prenda il posto della Crusca.
1785 Carlo Denina, Sur le caractère des langues et particulièrement
des modernes Nouveaux Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et
Belles-Lettres, Berlino S-L
Risposta al saggio di Antoine de Rivarol De l’universalité de la langue
francaise (1784), che sosteneva il primato qualitativo del francese su
ogni altra lingua. Denina riconosce il livello di eccellenza raggiunto
dal francese nel Settecento, ma argomenta che tale risultato non rimanda a una superiorità intrinseca di questa lingua, ma si lega a ragioni storiche e sociali. Nessuna lingua è per natura migliore delle altre, e la naturalezza non appartiene tanto alla costruzione sintattica,
ma all’abitudine dei parlanti. Denina istituisce inoltre un rapporto
fra la costruzione della frase e l’organizzazione interna delle lingue,
così che la maggiore libertà sintattica dell’italiano dipende dalla presenza di elementi morfologici che segnalano la funzione delle parole
indipendentemente dal loro ordine.
1785-95 Michele Pasqualino, Vocabolario siciliano etimologico, italiano e latino, Reale Stamperia, Palermo L
Repertorio in cinque volumi che raduna voci del siciliano colto, letterario e scientifico. L’opera ha anche l’intento di legittimare il siciliano come lingua di cultura, esibendo la ricchezza del suo patrimonio lessicale.
1786 Saverio Bettinelli, Risorgimento d’Italia dopo il Mille, Remondini, Bassano S-L
Trattato di matrice antifiorentinista, dove l’autore auspica una lingua italiana formata selezionando l’«ottimo» di ogni dialetto.
1791 Gianfrancesco Galeani Napione, Dell’uso e dei pregi della lingua italiana, Balbino e Prato, Torino S-L
Trattato in tre libri che collega la questione linguistica a quella nazionale – «la lingua è uno dei più forti vincoli che stringa alla patria» –
e sostiene la tesi di una lingua colta e moderna derivata dagli apporti di diverse parlate italiane. Avverso all’influenza francese in politica, Napione condanna di conseguenza l’uso di questa lingua.
1797-1805 Francesco D’Alberti di Villanuova, Dizionario universale critico-enciclopedico della lingua italiana, Marescandoli, Lucca L
Opera in sei volumi, pubblicata in parte postuma (l’autore morì nel
1801), che introduce elementi innovativi rispetto al panorama della
lessicografia settecentesca. Infatti D’Alberti, in nome del postulato
della perpetua mobilità della lingua, prende posizione contro l’eccesso
di arcaismi che snervano la parlata vivente, e in favore del concetto
di uso; e ammette, per primo, voci avversate dai cruscanti come quelle tecnico-scientifiche, anche di conio recente, e i francesismi. In opposizione all’imperante culto degli antichi, D’Alberti dichiara apertamente nella Prefazione di rivolgersi alla lingua moderna: «se agli
Antichi si dee la venerazione e la riconoscenza, a’ moderni si ha da
far capo per chiarirsi dell’uso». Localizzato il concetto di uso in una
ideale comunità di uomini dotti, D’Alberti costruisce il suo Dizionario come documento orientato verso la lingua moderna: gli arcaismi
sono dunque registrati, ma li accompagna sistematicamente una marca («voce antica», ma anche «disusata» o «rancida»), ed è prevista
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l’offerta di un’alternativa in italiano corrente. Vengono introdotte
voci tecnico-scientifiche e voci dall’ambito delle arti e dei mestieri
(le une e le altre accompagnate dalle corrispondenti marche, come
«Alchimisti», «Anatomici», oppure «Bottai», «Gioiellieri»). Si ammettono neologismi, anche di conio recente (come il tecnicismo «areostato», inventato dai fratelli Montgolfier nel 1782); sono registrati,
senza condanna ma con eventuale alternativa toscana, numerosi francesismi di larga diffusione (D’Alberti, originario di Nizza e bilingue,
aveva pubblicato, nel 1771-72, un dizionario francese-italiano). Tale allargamento di orizzonti implica un diverso uso dell’esemplificazione: il Dizionario affianca alla fraseologia d’autore, in buona parte
tratta dalla Crusca, nuovi spogli, che provengono sia da trattati di tema scientifico trascurati dagli accademici, sia dalla viva voce dei parlanti, toscani o di altre regioni (raccolta dall’autore in viaggi di inchiesta sul territorio), purché si tratti di parole già circolanti entro
un registro civile e borghese.
1804 Carlo Denina, La clef des langues, Mettra-Umlang-Quien, Berlino S-L
Trattato di linguistica comparata di un autore di formazione illuminista, nemico della tesi fiorentinocentrica della Crusca e sostenitore
di una lingua cortigiana. La clef des langues, scritta in francese durante un soggiorno in Germania, tratta dell’origine delle lingue in generale, e quindi delle lingue neolatine, fra le quali l’italiano; il sottotitolo recita: ou Observations sur l’origine et la formation des principales langues qu’on parle et qu’on écrit en Europe. Denina nega che il volgare italiano si sia sviluppato a seguito della corruzione del latino,
perché non di corruzione si tratta, ma di un processo di sviluppo storico nato dalla necessità della lingua di adattarsi alle nuove esigenze
dei tempi.
1806-11 Vocabolario degli Accademici della Crusca. Oltre le giunte
fatteci finora, cresciuto d’assai migliaja di voci e modi de’ classici, le più
trovate da Veronesi, Ramanzini, Verona (Crusca veronese) L
Ampliamento, a opera dell’abate Antonio Cesari, della Quarta impressione del Vocabolario della Crusca, realizzato secondo i principî
puristi di cui Cesari è fautore. Dati i postulati della perfezione della
lingua antica – che non perde ma acquista qualità col divenire della storia –, e data l’autorità assoluta di coloro che se ne sono serviti, la
Crusca veronese interviene sulla versione precedente con incremento non di modernità, bensì di antichità, estendendo gli spogli degli
accademici ad altri autori del Trecento e del Cinquecento (fra le limitatissime incursioni in secoli successivi, Paolo Sègneri). Le aggiunte
comprendono derivati o varianti grafiche e fonetiche di parole già
presenti, ma anche esempi d’autore per quelle voci che ne erano prive, e modi idiomatici non ancora registrati. Poiché il sistema linguistico teorizzato da Cesari fa coincidere passato e futuro, in modo tale che il recupero dell’antico sia tutt’uno con il canone del presente,
il Vocabolario si pone esplicitamente non soltanto quale documento
della tradizione, ma quale custode della norma.
1809 Gaetano Arrivabene, Dizionario domestico sistematico, Bettoni, Brescia L
Breve dizionario metodico, con prefazione di Francesco D’Alberti di
Villanuova, realizzato da un giovanissimo autore che seleziona lemmi del lessico fondamentale (domestico) dai dizionari del Martignoni
(→ 1743-50), dello stesso D’Alberti (→ 1797-1805) e dalla Crusca,
organizzandoli in elenchi per materia. Il testo è destinato alla scuola.
1810 Antonio Cesari, Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana, Ramanzini, Verona T-L
Opera vincitrice nel 1809, l’anno precedente la sua pubblicazione, di
un concorso bandito dall’Accademia italiana di Scienze, Lettere e Arti di Livorno, che aveva stabilito il tema «Determinare lo stato presente della lingua italiana, e specialmente toscana: indicar le cause
che portar la possono verso la sua decadenza, ed i mezzi acconci per
impedirlo». Il testo propone una sistemazione teorica della dottrina
purista destinata a larga diffusione almeno fino a metà Ottocento.
Cardini del purismo sono: il culto del ben parlare, che accomuna correttezza e bellezza; il concetto classico dell’imitazione di modelli eccellenti; l’individuazione di tali modelli in un momento storico e in
un’area geografica determinati, eletti indipendentemente dalla qualità stilistica e culturale degli scritti, o da qualunque legame con il
contesto storico e politico. L’età aurea della lingua italiana coincide
– e si esaurisce, secondo Cesari – con il Trecento toscano, non limitato alle opere dei maggiori autori ma aperto a qualsiasi testo, inclusi i più semplici e popolari: «Tutti in quel benedetto tempo del 1300
parlavano e scrivevano bene». Scaturisce da questa posizione un sistema oppositivo binario, dove tutto ciò che è buono risiede nei modelli trecenteschi, ed è cattivo quanto se ne discosta. Cesari fornisce
esempi dell’uno e dell’altro campo, proponendo così, accanto alle parole ed espressioni da imitare, un repertorio al negativo, che include
principalmente francesismi e termini di area burocratica. Dalla Dissertazione si ricava un sistema di regole di facile apprendimento. Tale semplicità, insieme con la rivendicazione di italianità nativa implicita nelle posizioni puriste, contribuì alla diffusione del modello.
1812 Giuseppe Bernardoni, Elenco di alcune parole oggidì frequentemente in uso, le quali non sono ne’ vocabolari italiani, Bernardoni,
Milano L
Il primo dei molti dizionari puristici pubblicati nell’Ottocento con lo
scopo di registrare non le parole usate dagli scrittori o dai parlanti
per consegnarle al patrimonio linguistico nazionale, ma quei vocaboli che, pur diffusi, vanno disprezzati ed evitati. Bernardoni, un funzionario ministeriale del Regno italico, seleziona neologismi, prevalentemente di ambito burocratico, mai censiti prima in nessun vocabolario. Molte di queste forme sono bollate come corrotte, e viene
consigliata un’alternativa. Alcune, che l’autore riconosce ormai entrate nell’uso, andrebbero invece incluse nei vocabolari generali; altre
sono indispensabili nel linguaggio burocratico.
1812 Giovanni Gherardini, Voci italiane ammissibili benché proscritte dall’Elenco del sig. Bernardoni, Pirotta, Milano L
Replica di impostazione moderata all’Elenco di Bernardoni. Gherardini analizza le voci bollate come indegne da Bernardoni e difende la
legittimità di alcune tra esse, spesso fornendo esempi d’autore. Ma,
a documento di una posizione comunque orientata al purismo, fornisce a sua volta una lista di errori non segnalati da Bernardoni.
1813 Antonio Cesari, Le Grazie, Ramanzini, Verona T-L
Dialogo tra un gruppo di letterati, che si finge avvenuto nella villa
Le Grazie presso Rovereto. Uno dei temi essenziali è il rapporto fra
arcaismi e rinnovamento lessicale: convinto che le voci antiche e dimenticate possano tornare in circolazione grazie al sapiente recupero operato dagli scrittori, Cesari sancisce una separazione definitiva
fra la categoria dell’uso (cara ai fautori del rinnovamento linguistico)
e la capacità delle parole di adattarsi al presente: non è l’uso a stabilire la legittimità delle parole, ma solo la loro bellezza o bruttezza:
«la bellezza [è], come alle cose, così alle parole intrinseca, non accattata dall’uso». E la bellezza appartiene, naturalmente, a tutte le parole impiegate nell’aureo Trecento, e solo a quelle.
Mariarosa Bricchi, La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento, in Atlante della letteratura italiana, vol. III, pp. 106-12. www.einaudi.it
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1814 Marco Mastrofini, Teoria e prospetto, ossia Dizionario critico
de’ verbi italiani coniugati, De Romanis, Roma G
Repertorio di verbi che dispone le varianti delle forme coniugate in
quattro colonne, corrispondenti ai livelli di uso: regolare, antico, poetico, incerto o erroneo.
1814 Francesco Cherubini, Vocabolario Milanese-Italiano, Stamperia Reale, Milano L
Ristampato in una seconda edizione molto ampliata nel 1839-56, il
Vocabolario si propone come strumento di accesso al toscano partendo dal dialetto lombardo, con lo scopo di «ajutar a voltare l’idioma nostro vernacolo nella lingua scritta della nazione». Fondato sul
presupposto della dignità, anche letteraria, del milanese, il testo di
Cherubini registra e traduce parole dialettali provenienti non soltanto
all’ambito della vita quotidiana o delle arti e mestieri, ma anche dal
vocabolario colto, astratto o scientifico. La ricca fraseologia che spesso accompagna i vocaboli risponde all’intento di tramandare memoria della letteratura in dialetto milanese, proponendo le sue parole e
modi all’attenzione dei «cultori della lingua nazionale».
1817-26 Vincenzo Monti, Proposta di alcune aggiunte e correzioni al
Vocabolario della Crusca, dall’Imperial Regia Stamperia, Milano L
e T-L
Opera redatta da Monti insieme ad altri autori (tra i quali Giuseppe
Grassi, Giovanni Gherardini, Giulio Perticari e Paride Zaiotti) da
lui scelti e coordinati. La Proposta nasce dalla volontà di denunciare,
avvalendosi degli strumenti della filologia e della lessicografia, gli errori compiuti dai cruscanti. Bersagli concreti sono la Crusca veronese di Cesari, e la Quarta impressione del Vocabolario (in una ristampa pubblicata a Venezia, presso Pitteri, nel 1763), accusate di avere
accolto voci inesistenti, derivate da letture scorrette dei manoscritti
o dalla consultazione di fonti filologicamente non verificate. Il nucleo dell’opera è dunque costituito dall’esame di termini registrati nel
Vocabolario che, secondo l’analisi di Monti, non avrebbero mai dovuto figurarvi. Pur proponendosi come serie di chiose lessicografiche
e non come un sistema teorico compiuto, la Proposta rimanda a una
posizione linguistica precisa, che rifiuta il modello toscano trecentesco eletto dai puristi a vantaggio di una ideale lingua letteraria che
risulti dal contributo degli scrittori, dei filosofi e degli scienziati di
ogni parte d’Italia. Favorevole quindi all’inclusione nel vocabolario
dei termini scientifici e tecnici trascurati dalla Crusca, Monti lamenta
anche l’eccessivo ingombro di arcaismi di qualità deteriore – per esempio le varianti fonetiche, anche popolari, scherzose o corrotte, di uno
stesso termine –, l’abbondanza dei quali ritiene un modo di «ristorare colla ruggine degli antichi le mancanze del Vocabolario».
1818 Mariano Gigli, Lingua Filosofico-Universale pei dotti preceduta dalla Analisi del linguaggio, Società tipografica de’ Classici italiani,
Milano G
Grammatica di impostazione razionale sulla scia della Grammaire di
Port-Royal (1660) e, in Italia, di quella dovuta a Francesco Soave (→
1770), rispetto al quale però Gigli applica maggior rigore nel modellare la sua trattazione sulla teoria linguistica dell’universalità del linguaggio. Rinunciando agli schemi classificatori della tradizione, e a
qualunque intento normativo, Gigli descrive la lingua a livello teorico, secondo criteri semantici.
1819-28 Paolo Costa e Francesco Cardinali, Dizionario della lingua
italiana, Masi, Bologna L
Dizionario dedicato a Vincenzo Monti, la cui Proposta viene esplicitamente assunta come guida, in alternativa ai modelli di D’Alberti,
cui si rimprovera un eccesso di licenza nell’ammettere voci plebee, e
della Crusca veronese, colpevole di una non selettiva passione per le
anticaglie.
1820 Claudio Ferrari, Vocabolario bolognese co’ sinonimi italiani e
franzesi, Nobili, Bologna L
Repertorio dialettale concepito come ponte dal dialetto bolognese
verso la lingua nazionale.
1823 Alessandro Manzoni, seconda Introduzione a Fermo e Lucia,
inedita; prima pubblicazione in Id., Gli sposi promessi per la prima volta pubblicati nella loro integrità di sull’autografo da Giuseppe Lesca, 2
voll., Perrella, Napoli 1915-16 T-L
Per la prima minuta del suo romanzo, nota col titolo Fermo e Lucia,
Manzoni scrisse due diverse introduzioni. La prima, composta quando il libro era appena avviato, contiene un programma di lavoro. Rilevante dal punto di vista teorico-linguistico è però la seconda introduzione, scritta a conclusione della stesura di Fermo e Lucia e rimasta inedita insieme con l’intero testo. Questa Introduzione rappresenta, con alcune lettere a Claude Fauriel, la prima individuazione
compiuta del problema linguistico che ogni romanziere italiano è costretto immancabilmente ad affrontare. Manzoni dichiara di scrivere male, e definisce il concetto opposto: scrivere bene significa «scegliere quelle parole e quelle frasi, che per convenzione generale, di
tutti gli scrittori, e di tutti i favellatori (moralmente parlando) hanno quel tale significato; parole e frasi che o nate nel popolo, o inventate dagli scrittori, o derivate da un’altra lingua, quando che sia,
sono generalmente ricevute e usate». Condizione necessaria è che tali parole e frasi esistano e che siano riconosciute come esistenti: «Se
in Italia vi sia una lingua che abbia questa condizione – conclude
Manzoni –, è una quistione su la quale non ardisco dire il mio parere». Documento dell’insoddisfazione che spinse l’autore a sospendere la pubblicazione del romanzo, la seconda Introduzione accompagna la decisione di Manzoni di concentrare i suoi studi sul problema della lingua, e la nascita del progetto di un libro autonomo a esso dedicato (l’incompiuto saggio Della lingua italiana, → 1830-59).
1824-26 Antonio Bazzarini, Ortografia enciclopedica universale della lingua italiana, Tasso, Venezia L
Dizionario che include un ampio numero di voci mai registrate in precedenza, in parte termini di ambito famigliare, in parte arcaismi, trascurando però di inserire qualunque marca d’uso.
1825-27 Giovanni Romani, Dizionario generale de’ sinonimi italiani, Silvestri, Milano L
Dizionario pubblicato postumo (Romani era morto nel 1822), in parallelo con il saggio Teorica de’ sinonimi italiani (Silvestri, Milano
1825), dove sono raccolte le riflessioni che erano state alla base della sua composizione. Secondo il modello dei grandi dizionari di sinonimi del Settecento francese (Girard, Roubaud, Beauzée), Romani respinge l’uso della sinonimia come mezzo per variare e abbellire
il dettato, e individua come finalità del suo lavoro quella di distinguere i sinonimi reali dai presunti. Viene tuttavia introdotta una duplice distinzione: tra sinonimi di valore realmente identico e altri solo presunti tali; e tra due tipi di linguaggio, quello degli oratori e dei
poeti, e quello dottrinale. Se alle esigenze di precisione del secondo
genere si addicono solo sinonimi in senso proprio, al linguaggio dei
poeti possono giovare anche sinonimi vaghi e imprecisi, purché utili
a rendere più armonico il discorso.
1826 Giovanni Romani, Teorica della lingua italiana, Silvestri, Milano G-N
Mariarosa Bricchi, La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento, in Atlante della letteratura italiana, vol. III, pp. 106-12. www.einaudi.it
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Grammatica di impostazione razionale, pubblicata in parallelo al Dizionario generale de’ sinonimi italiani (1825-27), che si propone di chiarire, da un punto di vista filosofico, i principî che regolano il funzionamento della lingua, per rendere possibile in tal modo un apprendimento sistematico. Le due parti, dedicate rispettivamente alla
morfologia e alla sintassi, propongono una minuziosa catalogazione
di forme, ordinate in base alla loro funzione logico-semantica.
diversi si possano considerare intercambiabili a seconda delle esigenze
retoriche dello scrivente. Al contrario, non esiste sinonimia perfetta
e compito di un vocabolario dei sinonimi non è fornire alternative,
bensì indicare le differenze fra termini di area affine. Ne deriva un’attenzione minuziosa a distinguere gradazioni e registri d’uso e a dettagliare le sfumature di significato che separano vocaboli solo in apparenza sovrapponibili.
1827 Carlo Mele, Saggio di nomenclatura familiare col frequente riscontro delle voci napoletane alle italiane, Napoli L
Opuscolo concepito come appendice alla Introduzione alla grammatica italiana (1825) di Giovanni Gherardini, una facile esposizione «per
uso della classe seconda delle scuole elementari». Dal canto suo, Mele raccoglie alcune centinaia di lemmi selezionati tra quanti, nell’italiano letterario, suonano molto diversi dall’analogo napoletano. Destinato anch’esso alla scuola, il testo vuole far sì che gli studenti imparino le parole italiane prima delle corrispondenti dialettali.
1830-59 Alessandro Manzoni, Della lingua italiana, inedito; pubblicato per la prima volta in Opere inedite o rare di Alessandro Manzoni pubblicate per cura di Pietro Brambilla, da Ruggero Bonghi, volume IV, Rechiedei, Milano 1891 (dove compaiono una Prima minuta e una Seconda minuta); e in Opere inedite o rare di Alessandro Manzoni pubblicate per cura di Pietro Brambilla, da Ruggero Bonghi e
Giovanni Sforza, volume V, Rechiedei, Milano 1898 (dove si raccolgono nuovi frammenti relativi alla Prima minuta e una serie di scritti sul tema della lingua, alcuni dei quali i curatori ritennero destinati
a entrare nel disegno complessivo del libro) T-L
Scritto a fasi alterne nell’arco di un trentennio, a partire dal 1830,
incompiuto e mai pubblicato in vita dall’autore, il saggio doveva rappresentare la summa del pensiero linguistico manzoniano. Si conservano cinque redazioni, tutte lacunose, la prima composta fra il 1830
e il 1835, l’ultima cominciata nel 1840-42, una volta conclusa la riscrittura dei Promessi sposi. Fin dalla prima redazione, che prende avvio dalla riflessione sulle opere di Antonio Cesari, si stabilisce uno
dei cardini della concezione di Manzoni, cioè il fatto che la questione della lingua è un problema non letterario ma sociale, evidenziando così la debolezza della posizione dell’avversario proprio nel suo
ignorare questo aspetto: «Invece d’indicare ciò che possa costituire
e far essere, direm così, la lingua italiana, cerca il sistema com’ella
possa essere buona». Anche la soluzione toscano-fiorentina risulta
già acquisita nella prima redazione, così come la difesa del principio
dell’uso: «non c’è nessuna regola grammaticale positiva la quale non
possa essere mutata ad arbitrio dell’uso». Rispetto al disegno originario in tre libri, furono realizzati, nella quinta e ultima redazione,
quattro capitoli del primo libro e altri materiali più frammentari. Il
primo capitolo contesta l’opinione di chi ritiene che già esista una lingua comune in Italia, e dimostra l’insussistenza di tale lingua e la necessità di ricercarla. Il secondo capitolo propone il fiorentino vivo come lingua italiana e difende, con argomentazioni teoriche e abbondanza di esempi, l’importanza dell’uso come arbitro dell’accettabilità delle parole in una lingua. Nel terzo capitolo si considerano le regole grammaticali, dipendenti, come i vocaboli, dalla legge dell’uso,
«sola causa efficiente delle lingue, in ogni loro parte». Il quarto capitolo contesta il principio di analogia proposto dai grammatici-filosofi francesi riguardo ai mezzi grammaticali.
1828 Francesco Ambrosoli, Grammatica della lingua italiana, Fontana, Milano G-N
Testo fortunato e diffuso, che combina i principî della grammatica
ragionata – con la sua attenzione all’analisi logica in quanto descrizione della lingua come manifestazione dei meccanismi del pensiero –
con quelli della grammatica tradizionale, pur applicata secondo principî non rigorosamente puristi.
1829 Giuseppe Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Santini,
Venezia L
Vocabolario che si dichiara nato per agevolare il passaggio dal dialetto al toscano. L’autore insiste tuttavia sul ruolo dei dizionari dialettali nell’arricchimento della lingua nazionale, che dovrebbe mutuare dai diversi dialetti «i migliori e i più comuni termini» facendoli
propri.
1829-40 Vocabolario universale italiano, Società Tipografica Tramater, Napoli L
Dizionario in sette volumi, abitualmente citato col nome del tipografo (sarà detto, per l’appunto, «il Tramater»), realizzato sotto la
direzione dell’abruzzese Raffaele Liberatore. Pur rimproverando alla Crusca di avere «locata in trono l’arcaiologia», il Tramater registra
arcaismi e voci disusate, ma segnalandone la qualità e il valore tramite marche d’uso. Si introducono però con larghezza termini di ambito scientifico e tecnico, ricavati da nuovi spogli di testi ottocenteschi, sia letterari sia tecnici. Una novità significativa è nella definizione delle voci scientifiche, per la prima volta costituita non dal semplice rimando alle conoscenze presupposte nel lettore – «animale noto» –, ma con l’intento di fornire effettive coordinate scientifiche.
1830 Niccolò Tommaseo, Dizionario dei sinonimi, Pezzati, Firenze L
Dizionario fortunatissimo e frequentemente ristampato (a partire da
una «Seconda edizione con correzioni ed aggiunte dell’autore», Crespi, Milano 1833, e da una terza edizione con ampia prefazione teorica: Vieusseux, Firenze 1838) fino al Novecento. Il Dizionario si riferisce unicamente alla lingua dell’uso (suo scopo è «dare le differenze delle voci ancor vive»), trascurando varietà dialettali da un lato e arcaismi dall’altro, ma attingendo largamente al toscano del tempo. Sulla scorta delle riflessioni di coloro che, nel Settecento francese, avevano compilato dizionari dei sinonimi (Gabriel Girard in particolare: un precedente che già aveva indirizzato il lavoro di Giovanni
Romani, 1825-27), Tommaseo rifiuta la concezione retorica della sinonimia come ornamento del discorso e condanna l’idea che vocaboli
1833 Basilio Puoti, Regole elementari della lingua italiana, Fibreno,
Napoli G-N
Libro di grammatica rivolto agli studenti della scuola napoletana dell’autore e, in generale, ai giovani e ai loro insegnanti. Il testo, fortunato e più volte ristampato, si articola in due sezioni: la prima offre
un panorama generale della struttura dell’italiano; la seconda, rivolta a utenti più avanzati, affronta particolarità e temi controversi, trattando anche della sintassi, che era esclusa dalla prima parte. Il modello normativo è tradizionale e l’autore prende sistematicamente posizione contro l’uso moderno. Tuttavia, rispetto alla lezione di Cesari, Puoti si distingue perché il suo canone include, accanto al toscano trecentesco, gli scrittori del Cinquecento; e perché dedica una
più severa attenzione al rapporto fra selezione lessicale e registro sti-
Mariarosa Bricchi, La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento, in Atlante della letteratura italiana, vol. III, pp. 106-12. www.einaudi.it
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listico, ammettendo per esempio termini popolari o plebei – seppure
trecenteschi – solo in scritture di stile comico o famigliare.
1833-42 Giuseppe Manuzzi, Vocabolario della lingua italiana, Passigli, Firenze L
Versione accresciuta della Quarta impressione del Vocabolario della
Crusca, realizzata secondo criteri di osservanza purista. Rispetto alla Crusca veronese, tuttavia, Manuzzi inserisce sistematicamente il
marchio del disuso accanto ai termini non più in circolazione; e registra parole e modi di dire «adottati dall’uso». Alcune nuove voci furono fornite da Giacomo Leopardi, che figura anche tra gli autori citati.
1835-36 Alessandro Manzoni, «Sentir messa», inedito; prima pubblicazione: «Sentir messa». Libro della lingua d’Italia contemporaneo
dei Promessi sposi. Inedito, Introduzione e appendici critiche di Domenico Bulferetti, Bottega di Poesia, Milano 1923 T-L
Riflessione, incompiuta e pubblicata postuma, occasionata da una recensione del 1835 in cui il letterato Michele Ponza criticava le scelte
linguistiche del romanzo Marco Visconti di Tommaso Grossi, edito
l’anno precedente. Il titolo nasce dalla discussione sulla differenza
tra le due espressioni «sentir messa» e «udir messa», da cui prende
avvio il discorso manzoniano. Ponza aveva infatti censurato l’espressione di Grossi «sentir messa» ritenendola dialettale, e Manzoni replicò che si trattava di uso comune, schierandosi quindi in difesa dell’uso, arbitro e signore delle lingue. E perché la lingua di cui si servono per intendersi gli italiani delle diverse regioni è la toscana, Manzoni conclude che «l’Uso toscano d’oggidì avrà a essere […] l’Uso
della lingua d’Italia».
1838-44 Vincenzo Mortillaro, Nuovo dizionario siciliano-italiano,
Tipografia del Giornale letterario, Palermo L
Repertorio dialettale con vasta presenza di lessico colto e di fraseologia e modi di dire del dialetto siciliano.
1838-41 Giovanni Gherardini, Voci e maniere di dire additate a’ futuri vocabolaristi, Bianchi, Milano L e G
Raccolta di vocaboli ed espressioni corredati di esempi e osservazioni grammaticali, realizzata attraverso lo spoglio di autori del Trecento
e del Cinquecento, che ammette però anche termini di conio più recente («Ché alle cose nuove è pur forza accomodar nuovi termini che
le rappresentino»); voci dalla lingua parlata; arcaismi che si ritiene
potrebbero rientrare in circolazione. In seguito Gherardini estrasse
da quest’opera e riordinò, ampliandola, una ricca serie di note grammaticali, che pubblicò quindi in volume autonomo sotto il titolo Appendice alle grammatiche italiane o sia Note grammaticali estratte dall’opera initolata Voci e maniere di dire additate a’ futuri vocabolaristi
(Bianchi, Milano 1843).
1839 Tommaso Azzocchi, Vocabolario domestico della lingua italiana, Aureli, Roma L
Repertorio purista di voci da evitare. Fu pubblicato dapprima, sotto
il titolo Picciol vocabolario domestico, come appendice di poche pagine a un’opera grammaticale dello stesso autore (Avvertimenti a chi
scrive in italiano, 1828), quindi, ampliato, come volume in due successive edizioni (1839 e 1846). Ammiratore di Cesari, Azzocchi esibisce una posizione di massimo rigore nel proscrivere francesismi, latinismi, neologismi, voci dialettali soprattutto romanesche.
1841 Basilio Puoti, Vocabolario domestico napoletano-toscano, Simoniana, Napoli L
Repertorio di vocaboli dialettali con traduzione italiana, nato per agevolare i dialettofoni nel passaggio al toscano, «quasi ponte per pas-
sare all’altra ripa». Le parole, disposte non secondo l’ordine sistematico dei dizionari metodici ma in sequenza alfabetica, provengono da un ambito terminologico limitato, quello degli attrezzi domestici, delle arti e dei mestieri.
1843 Giovanni Gherardini, Lessicografia italiana o sia Maniera di
scrivere le parole italiane, Bianchi, Milano L e O
Trattato inteso a propugnare le idee ortografiche dell’autore, studioso
di impostazione classicista, già tra i collaboratori della Proposta di
Monti. Gherardini ritiene che la lingua scritta debba allontananrsi
dalla pronuncia del popolo per rifondarsi su basi etimologiche. Sulla
scorta di tale teoria, influenzata dalle riflessioni di lessicografi stranieri come Samuel Johnson, ma in esplicito contrasto con le scelte
della Crusca, viene dunque proposto un sistema di varianti ortografiche di origine latina (per esempio: abondare invece di abbondare;
aqua invece di acqua). Le teorie di Gherardini, pur apprezzate – e,
in qualche misura, applicate – da alcuni contemporanei (tra i quali
Carlo Cattaneo), non ebbero seguito duraturo.
1843-57 Vocabolario degli accademici della Crusca, Nelle Stanze dell’Accademia, Firenze L
Risultato dei lavori avviati per la nuova edizione del Vocabolario fin
dal 1812, proseguiti a rilento e culminati nell’uscita di soli sette fascicoli, dopo i quali la pubblicazione fu interrotta.
1846 Carlo Cattaneo, Applicazione dei principi linguistici alle questioni letterarie, in Alcuni scritti, Borroni e Scotti, Milano S-L
Testo in tre parti (i. Dell’uso di nuovi toscanesimi; ii. Dell’uso di nuove voci greche; iii. Della riforma dell’ortografia), la prima delle quali
rappresenta la più compiuta presa di posizione dell’autore sulla questione della lingua. Cattaneo, che si era anche dedicato a studi di linguistica generale, riconosce il fondamento fiorentino della lingua letteraria, ma ritiene necessario distinguere tra voci adatte a diventare
nazionali, perché largamente comprese e accolte dall’uso, e altre che
l’uso respinge. Sono dunque da condannare sia il tentativo acritico
di «rannicchiare la lingua d’una nazione entro il dialetto d’una città»,
sia la scelta dei cruscanti e dei puristi di accogliere nei vocabolari, immettendole nella parlata nazionale, parole antiquate, oppure rintracciate in un’unica testimonianza. Discriminante nelle questioni di lingua è infatti l’uso, che «non è ciò che si fa una volta da uno solo o da
pochi, ma è ripetizione, consenso, generalità». La lingua che si auspica è dunque fatta di parole condivise e circolanti, autorizzate dalla tradizione ma garantite dalla civile consuetudine.
1846-60 Giacinto Carena, Prontuario di vocaboli attinenti a parecchie arti, ad alcuni mestieri, a cose domestiche e altre di uso comune, per
saggio di un Vocabolario metodico della lingua italiana, Fontana, Torino L
Dizionario metodico in tre parti (pubblicate nel 1846, nel 1853 e, postuma, nel 1860) che raccoglie lemmi di ambito domestico, o legati
alle arti e ai mestieri, ricorrendo come fonte non soltanto a testi scritti, ma alla viva voce degli artigiani e dei bottegai fiorentini, così da
registrare un repertorio rimasto precluso alla Crusca, non solo per il
suo carattere tecnico, ma perché non documentato dalla lingua scritta. Il materiale lessicale è ordinato secondo affinità concettuali, per
macro-aree collegate a uno stesso soggetto, secondo l’impostazione
propria dei vocabolari metodici, che si rivolgono a chi cerchi una parola che non conosce, e guidano il lettore a trovarla accanto ad altre
relative alla stessa materia.
1848 Stefano Pietro Zecchini, Dizionario dei sinonimi della lingua
italiana, Pomba, Torino L
Mariarosa Bricchi, La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento, in Atlante della letteratura italiana, vol. III, pp. 106-12. www.einaudi.it
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Raccolta di sinonimi che esplicita fin dal sottotitolo il suo legame con
le posizioni più aggiornate in materia di riflessione sulla sinonimia:
Con l’aggiunta di molti vocaboli oltre quelli esistenti nel Nuovo Dizionario de’ Sinonimi del Tommaseo edito nel 1838 da G.P. Vieusseux,
compilato da S. P. Zecchini colla scorta di quelli del Tommaseo, del Romani, del Grossi e degli altri lavori filologici più recenti sulla lingua italiana. In sintonia con i suoi modelli, Zecchini dichiara che unico scopo del dizionario è far conoscere le differenze tra le voci che in passato erano considerate sinonime, e che egli ritiene invece opportuno
definire «pseudosinonimi» o «parole di significazione affine». Il dizionario fu riproposto nel 1860 (Unione Tipografica Editrice, Torino) in una seconda edizione ampliata nei contenuti ma a prezzo ridotto, dedicata «Alla gioventù studiosa di tutte le scuole d’Italia», e
quindi più volte ristampato fino agli anni venti del Novecento.
1850 Alessandro Manzoni, Sulla lingua italiana. Lettera a Giacinto
Carena, Redaelli, Milano T-L
Primo intervento pubblico in cui Manzoni delinea la sua posizione
teorica in fatto di lingua, dando ragione delle scelte operate nella seconda edizione dei Promessi sposi, pubblicata tra il 1840 e il 1842.
Nato come una lettera privata, il testo fu quindi stampato, con qualche correzione, nel fascicolo VI (1850) delle Opere varie, che Manzoni andava pubblicando a partire dal 1845. Occasione dello scritto
fu l’uscita, nel 1846, del Vocabolario domestico di Giacinto Carena,
che attingeva alla parlata viva toscana. Ricevuto il Vocabolario, Manzoni scrisse all’autore, dichiarando il suo disaccordo con la scelta di
registrare vocaboli non esclusivamente fiorentini, e dunque affermando esplicitamente il principio del fiorentino vivo come lingua comune italiana: «io sono in quella scomunicata, derisa, compatita opinione, che la lingua italiana è in Firenze, come la lingua latina era in
Roma, come la francese è in Parigi». La Lettera introduce anche con
chiarezza la concezione manzoniana di lingua come mezzo di comunicazione legato al presente, o «istrumento sociale», in alternativa al
diffuso ma inaccettabile «concetto indeterminato e confuso d’un non
so che di letterario».
1850 Gianfrancesco Rambelli, Vocabolario domestico, Tiocchi, Bologna L
Raccolta di voci tratte dai dizionari della Crusca e del D’Alberti; da
vari lessici di arti e mestieri; da vocabolari francesi; da spogli di autori, anche viventi; dalle parlate dialettali, non solo toscane. L’idea
di fondo è che scopo dei vocabolari non è insegnare la lingua o dettare norme ma, semplicemente, spiegare i significati delle voci.
1850 Francesco Taranto e Carlo Guacci, Vocabolario domestico italiano ad uso de’ giovani, ordinato per categorie, Napoli L
Vocabolario metodico realizzato da due allievi della scuola napoletana di Basilio Puoti. Nato dalla consapevolezza della difficoltà di accedere a un lessico nazionale comune per la lingua pratica e quotidiana
(trascurata dalla Crusca), il repertorio si differenzia da quello di Carena (1846-60) per l’attenzione a definire il registro e la sfera d’uso
dei termini, sistematicamente accompagnati da esempi d’autore. Parole e locuzioni toscane sono spesso tradotte in dialetto napoletano,
con l’intento non di autorizzare l’uso dialettale ma di aiutare l’apprendimento dei non toscani.
1852-57 Giovanni Gherardini, Supplimento a’ vocabolarj italiani,
Bernardoni, Milano L
Vocabolario che si caratterizza per la presenza di una Appendice dove sono radunate parole eterogenee accomunate dalla loro marginalità, o addirittura indesiderabilità – «Voci dismesse o sospette, o d’in-
certo significato, o non ricevute ancora dalla lingua letteraria e comune all’intera nazione, oltre ad alcune appartenenti alla geografia
ed alla mitologia, ed a poche andate disperse nello stampare il Supplimento» –, nonché dal fatto che la Crusca, come precisa polemicamente il curatore, le «sparge a man piene nel corpo del suo Vocabolario». In questo modo Gherardini accoglie di fatto la posizione cruscante del vocabolario come deposito universale e non selettivo della
lingua, ma introduce altresì, per la prima volta, una distinzione fisica,
di massima visibilità, tra parole in uso e parole in disuso. La responsabilità della scelta finale spetterà comunque, secondo quanto dichiara
Gherardini, non al lessicografo ma all’utente del vocabolario.
1855 Pietro Fanfani, Vocabolario della lingua italiana, Le Monnier,
Firenze L
Vocabolario a destinazione scolastica e dal dichiarato intento divulgativo. Nonostante le premesse, il testo concede poco spazio al lessico e alla fraseologia dell’uso, e accoglie invece numerosi arcaismi, anche assenti nella Crusca, accompagnati da esempi d’autore.
1856 Alessandro Manzoni e Gino Capponi, Saggio di vocabolario
italiano secondo l’uso di Firenze compilato in collaborazione a Varramista nel 1856, inedito; prima pubblicazione, col titolo di cui sopra,
a cura di Guglielmo Macchia presso Le Monnier, Firenze 1957 L
Raccolta di un centinaio di lemmi (da «A» ad «Abbenché») registrati
da Manzoni e Capponi durante un soggiorno estivo a Varramista,
presso Pisa, interrotta e pubblicata postuma. L’esperimento viene
condotto partendo dai vocabolari della Crusca e dell’Académie française, dai quali sono selezionate le voci che quindi si traducono in fiorentino. Benché la fonte sia costituita non dall’uso vivo ma da altri
lessici, la scelta del fiorentino e la struttura degli esempi anticipano
la concezione del Novo vocabolario di Giorgini e Broglio (→ 1870-97).
1857-61 Gerolamo Boccardo, Dizionario della economia politica e
del commercio, Franco, Torino L
Dizionario settoriale riservato a vocaboli di area economico-commerciale che, lontano da ogni preoccupazione puristica, accoglie anche termini stranieri appartenenti a «quella lingua tecnica, che oggi
è divenuta europea e quasi direi mondiale».
1858 Prospero Viani, Dizionario di pretesi francesismi e pretese voci
e forme erronee della lingua italiana, Le Monnier, Firenze L
Raccolta di francesismi, barbarismi e altre voci tacciate come erronee che l’autore dimostra invece appartenere all’italiano antico ed essere state usate dai migliori scrittori. Pur entro una impostazione purista (il Dizionario include anche una tavola di voci e maniere additate come effettivamente «aliene o guaste»), Viani si dimostra aperto agli influssi stranieri quando la parola sia stata «dimesticata», o
assimilata, e accolta dagli autori dei buoni secoli.
1859 Vittorio di Sant’Albino, Gran dizionario piemontese-italiano,
Società Unione Tipografico-Editrice, Torino L
Repertorio dialettale di lessico colto, di fraseologia e modi di dire del
dialetto piemontese, con ampia introduzione del compilatore.
1861-79 Dizionario della lingua italiana, nuovamente compilato dai
signori Nicolò [sic] Tommaseo e cav. Professore Bernardo Bellini, con
oltre 100 000 giunte ai precedenti dizionari raccolte da Nicolò Tommaseo, Gius. Campi, Gius. Meini, Pietro Fanfani e da molti altri distinti filologi e scienziati, Pomba, Torino L
Realizzato, sotto la direzione di Niccolò Tommaseo, da un gruppo di
collaboratori che includeva Bernardo Bellini, Pietro Fanfani, Giuseppe Meini, Giuseppe Campi, questo celeberrimo Dizionario fu con-
Mariarosa Bricchi, La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento, in Atlante della letteratura italiana, vol. III, pp. 106-12. www.einaudi.it
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cepito dal tipografo torinese Giuseppe Pomba a partire dal 1856. Presentato nel 1858 con il saggio di una voce – «chiamare» fu la parola
prescelta – e con un Programma steso da Tommaseo, fu pubblicato in
dispense nell’arco di quasi un ventennio. La partecipazione di Tommaseo è determinante fino all’anno della morte (1874), dopo la quale assume maggiore rilievo il ruolo di Giuseppe Meini. Sono caratteristici del vocabolario da un lato scompensi dovuti alle molte mani,
dall’altro il peso delle opinioni, delle insofferenze e dei gusti di Tommaseo, le cui definizioni (siglate con la lettera T) sono riconoscibili
non solo per acuminata sensibilità linguistica, ma per umoralità e personalismo. Nel Tommaseo-Bellini si realizza un equilibrio mai raggiunto prima fra lingua della tradizione – censita attraverso schedature di opere, sia letterarie che tecnico-scientifiche, fino all’Ottocento – e lingua dell’uso toscano-fiorentino coevo, registrata con ricchezza di esempi. I termini fuori dall’uso sono accolti in quanto parte del
patrimonio linguistico nazionale, ma anche perché le parole addormentate possono risorgere: «Si può dire […] che un vocabolo è disusato; ma non si può dire che sarà disusato in perpetuo», scrive Tommaseo nel Programma di presentazione. Stabilito che il vocabolario
deve assumere un ruolo di guida per gli utenti della lingua italiana, il
problema di distinguere le parole vive dalle morte viene risolto attraverso il contrassegno di una croce riservato ai termini fuori dall’uso, ma anche con i frequenti commenti sul registro delle parole e
sul loro impiego, carattere distintivo di questo Dizionario.
1863 Pietro Fanfani, Vocabolario dell’uso toscano, Barbera, Firenze L
Repertorio di voci toscane di ogni epoca e registro, che accoglie parole dell’uso parlato assieme ad altre letterarie e arcaiche, tecnicismi
delle arti e dei mestieri, termini fiorentini ma anche provenienti da
piccolissimi centri della Toscana.
1863-1923 Vocabolario degli Accademici della Crusca, Quinta impressione, Cellini, Firenze L
Avviato ufficialmente alla fine del 1857, il vocabolario fu realizzato
con lentezza e, a cinquant’anni dall’inizio della pubblicazione – dopo l’uscita del volume XI (che si chiudeva alla lettera O) –, la stampa fu sospesa per decreto del ministro Gentile. Nonostante la mancata conclusione, il Vocabolario è importante per le innovazioni che
presenta rispetto alle precedenti edizioni della Crusca, e in particolare per la decisa opzione in favore della lingua in uso. Si accolgono
infatti parole prelevate da autori di tutti i secoli fino al presente, non
esclusivamente toscani; e si sceglie di riunire gli arcaismi e i termini
plebei in un Glossario (1867) separato fisicamente dal corpo del Vocabolario, che registra in questo modo solo «lo stato dell’idioma puro e vivente». Si conferma invece la tradizionale assenza della terminologia tecnico-scientifica.
1867 Glossario. Vocabolario degli Accademici della Crusca, Quinta
impressione, Cellini, Firenze L
Raccolta di parole arcaiche, corrotte o plebee realizzata in abbinamento alla Quinta impressione della Crusca (1863-1923), ma fisicamente staccata dal corpo del Vocabolario. Il Glossario, incompiuto,
si interrompe dopo la lettera B. La decisione di separare gli arcaismi
dalle voci in uso (o, come si esprime la Prefazione al Vocabolario, di
«non affogare il buon grano tra il loglio»), ampiamente commentata
e giustificata dagli accademici, poggia sulla convinzione che spetti al
vocabolario un ruolo non solo descrittivo, ma normativo, e che debba essere demandata ai compilatori la responsabilità di indicare quali siano le parole in corso, passibili di utilizzazione moderna, separandole da «ciò che fu deliberatamente abbandonato dalla gente cul-
ta, o perché sconcio e difforme dalla maniera toscana, o perché triviale ed inetto».
1867 Giovanni Moise, Grammatica della lingua italiana, Stabilimento nazionale, Venezia G-N
Ampia grammatica in tre libri (ortografia; pronuncia ed etimologia;
sintassi) redatta da un insegnante e dedicata ai giovani. Nel 1874 l’autore stesso ne avrebbe realizzato un fortunato compendio dal titolo
Grammatichetta della lingua italiana. Intento dichiarato dell’autore
era proporre una grammatica filosofica che illustrasse, oltre alle regole, le loro ragioni, ma in effetti il testo risulta soprattutto una minuziosa casistica normativa. Fedele a un’impostazione tradizionale,
e più orientato verso la lingua scritta, Moise utilizza esempi d’autore ma accoglie anche i moderni, senza trascurare l’uso parlato.
1868 Alessandro Manzoni, Dell’unità della lingua e dei mezzi di
diffonderla. Relazione al Ministro della Pubblica Istruzione, in «Nuova Antologia» (Firenze), marzo; in «La Perseveranza» (Milano), 5
marzo S-L
Estrema occasione pubblica in cui Manzoni espone le sue teorie linguistiche. Diventato ministro della Pubblica Istruzione nel 1867, il
milanese Emilio Broglio, sostenitore delle idee linguistiche manzoniane, nomina nel gennaio 1868 una commissione (suddivisa in una
branca milanese e in una fiorentina) incaricata di «ricercare e di proporre tutti i provvedimenti e i modi coi quali si possa aiutare a rendere più universale in tutti gli ordini del popolo la notizia della buona lingua e della buona pronunzia», e chiama Manzoni a dirigere la
sottocommissione milanese. Il breve testo prodotto da quest’ultimo,
che compendia posizioni già espresse in scritti anteriori – e messe in
pratica nella seconda stesura dei Promessi sposi –, parte dalla constatazione che la lingua italiana non esiste né nella forma parlata (il cui
spazio è occupato dai diversi dialetti) né in quella scritta (poiché la
lingua letteraria è insufficiente a coprire tutte le esigenze comunicative). Manzoni si propone quindi due scopi: a) dimostrare che il mezzo più efficace per sostituire ai diversi dialetti una lingua comune è
l’adozione di un idioma esistente, da individuarsi nel fiorentino vivo, già diffuso attraverso la tradizione letteraria; b) indicare come
mezzo per ottenere tale effetto l’allestimento di un vocabolario che
si costituisca come norma della parlata fiorentina. Strutturata in forma argomentativa, come affermazione di tesi successive e risposta alle possibili obiezioni che contro tali tesi potrebbero sollevarsi, la Relazione non è un testo teorico, ma una proposta di politica linguistica, e il maggiore documento dell’attività pubblica di Manzoni e del
suo rapporto col potere politico. In quest’ottica è essenziale la ripresa di un punto già da lui ampiamente chiarito nei suoi interventi precedenti, cioè che non alla lingua letteraria l’autore rivolge la sua attenzione ma allo strumento comunicativo di una nazione, come si precisa in apertura: «il signor Ministro ha sostituita la questione sociale e nazionale a un fascio di questioni letterarie».
Nel maggio 1868, a poche settimane dall’apparizione della Relazione, un membro della sottocommissione fiorentina, il genovese Raffaello Lambruschini, pubblicò a sua volta (sempre nella «Nuova Antologia») una sua propria Relazione, che confutava alcuni principî di
fondo di quella manzoniana. Lambruschini, contrario all’adozione
del fiorentino come lingua nazionale, riteneva invece che l’italiano
esistesse – «v’è una lingua italiana da conoscere, da rispettare e da
studiare, non da inventare» – e che il vero problema fosse difenderlo da corruttele e imbarbarimenti. Lambruschni, dunque, considerava negativamente il fatto che il progettato vocabolario dovesse limitarsi a registrare parole di uso comune e quotidiano, ignorando la tra-
Mariarosa Bricchi, La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento, in Atlante della letteratura italiana, vol. III, pp. 106-12. www.einaudi.it
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dizione letteraria. Manzoni replicò con una Appendice alla Relazione, pubblicata nel maggio 1869 a Milano presso Rechiedei, dove condensava e ribadiva i concetti-chiave della sua meditazione linguistica. In particolare, lo scrittore insisteva sul fatto che la norma fondamentale per un vocabolario non poteva che essere l’uso vivo e parlato, e che il vocabolario avrebbe dovuto rivolgersi indistintamente ai
letterati e alle persone del popolo.
1868 Marco Tabarrini, Rapporto generale sui lavori dell’Accademia
nell’anno corrente, in Adunanza solenne della R. Accademia della Crusca tenuta il 13 settembre del 1868, Cellini, Firenze S-L
Nella sua qualità di arciconsolo della Crusca, Tabarrini informa sull’andamento dei lavori della Quinta impressione del Vocabolario
(1863-1923), evidenziando le novità di metodo rispetto alle precedenti edizioni, e ribadisce la posizione ufficiale dell’Accademia, lontana da qualunque disputa linguistica perché convinta di avere già risolto la questione nei fatti, attraverso la creazione stessa del Vocabolario. Sul tema del ruolo del vocabolario, Tabarrini ribadisce che
la Crusca è stata concepita come una biblioteca della lingua – capace
di fornire regole per le voci e i modi registrati – e non come una selezione al di fuori della quale ogni forma s’intenda disapprovata. In
evidente contrapposizione alla tesi manzoniana, Tabarrini dichiara
infine che un vocabolario deve essere «scorta sicura a bene usare la
lingua, non ad insegnarla a chi non la sa».
1868 Niccolò Tommaseo, Intorno all’unità della lingua italiana. Discorso, in Adunanza solenne della R. Accademia della Crusca tenuta il
13 settembre del 1868, Cellini, Firenze S-L
Discorso sulla lingua pronunciato a un’adunanza solenne dell’Accademia della Crusca, a pochi mesi della Relazione di Manzoni, alla quale Tommaseo fa indiretto ma continuo riferimento. Respinta l’idea
che la lingua italiana non esista – «la disposizione dei più a bene intendersi è, ancora meglio che necessità prudentemente avvertita, fatto irrecusabilmente avverato» –, Tommaseo insiste sul fatto che la
quantità di termini e locuzioni condivise tra il fiorentino e gli altri
dialetti italiani è tale da garantire ampia possibilità di comunicazione in tutto il paese. Un’unità linguistica più profonda potrà realizzarsi solo col tempo, non per azione di un dizionario, ma attraverso
la condivisione sociale e civile: «non fu il Dizionario che fece ai Francesi l’unità della lingua; fu la lingua formata che rendette possibile
un dizionario». Poiché il settore del lessico meno ampiamente condiviso è quello legato alla vita materiale, Tommaseo auspica invece
la creazione di una serie di dizionari dei principali dialetti dedicati
alle voci di uso quotidiano.
1868 Pietro Fanfani, La lingua italiana c’è stata, c’è, e si muove, Marabini, Faenza S-L
Opuscolo che reagisce alla Relazione di Manzoni con una appassionata difesa della tradizione letteraria italiana, che assicura alla lingua
la sua grandezza. Il concetto di fondo, ripreso quindi da Fanfani in
sedi diverse, si compendia nell’affermazione dell’esistenza della lingua italiana: «per carità non si faccia all’Italia la vergogna di dire che
la lingua fin’ora non c’è stata, e che per opera della Commissione ci
sarà e si muoverà; ché la lingua italiana, benedetto Dio, c’è stata, c’è,
e si muove».
1869 Gino Capponi, Fatti relativi alla storia della nostra lingua, in
«Nuova Antologia» (Firenze), agosto S-L
Testo concepito in dialogo con la Relazione manzoniana pubblicata
l’anno precedente e organizzato secondo una prospettiva storica. Ripercorrendo le vicende secolari dell’italiano, piuttosto che negare l’e-
sistenza di una lingua comune Capponi ne avverte la frammentazione in generi e registri. Si sofferma dunque sulla distinzione fra poesia (titolare di un linguaggio uniforme e immutato nel corso dei secoli) e prosa letteraria, storicamente congelata nell’imitazione degli
antichi: «fu a noi tristo privilegio che la lingua o si dovesse o si credesse dovere attingere dal trecento». Da ciò discende il divario fra
parola e scrittura, l’una consegnata all’evolversi dei tempi, l’altra confinata nei circoli letterari. Mentre è solo dall’interazione fra scritto
e parlato, fra lingua del popolo e lingua degli scrittori che deriva, secondo Capponi, l’ideale risultato di una lingua che non disgiunga letteratura e vita. Quello che manca, prosegue Capponi, non è la lingua
in assoluto ma, tra le varietà linguistiche, una lingua per la piana comunicazione in prosa. E questo accade perché, a partire dal Cinquecento, si è accresciuto il divario fra lingua e scrittura, e la scrittura si
è fatta dominio dei letterati – «vennero fuori i letterati, sparve il cittadino». Manca insomma la lingua del «cittadino»: ed è questa, infine, la lingua di cui si serve un romanziere e di cui Manzoni per primo aveva avvertito la drammatica assenza. Ma, a differenza di Manzoni, Capponi è attento a non identificare la lingua del cittadino con
la lingua tout court.
1870-97 Novo vocabolario della lingua italiana ordinato dal Ministero della Pubblica Istruzione, compilato sotto la presidenza del
comm. Emilio Broglio dai Signori Bianciardi S., Dazzi P., Fanfani
P., Gelli A., Giorgini G. B., Gotti A., Meini G., Ricci M., Cellini,
Firenze L
Massimo esempio del filone tardo-ottocentesco dei dizionari della lingua d’uso, concepito secondo le idee esposte da Manzoni nella relazione Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla (1868) e conforme alle sue posizioni in materia lessicografica. I lavori prendono avvio nel 1868, quando il ministro della Pubblica Istruzione Emilio Broglio istituisce una giunta incaricata della compilazione del vocabolario. Ne assume la presidenza e affida la vicepresidenza al versiliese
Giovan Battista Giorgini, genero di Manzoni e portavoce delle sue
posizioni, e recluta un gruppo di studiosi, tra i quali Pietro Fanfani
(dimissionario entro breve), Giuseppe Meini, Agenore Gelli. Il Novo vocabolario, sulla scia delle riflessioni manzoniane, stabilisce che
il compito di conservare il tesoro storico della lingua appartiene al
Vocabolario della Crusca. Ciò concesso, individua invece il proprio
scopo nella raccolta di voci e modi dell’uso fiorentino coevo, destinata al pubblico colto e non agli studiosi: i vocabolari dell’uso devono andare in mano alla gente, per propagare la buona lingua, laddove gli altri sono riservati ai dotti, che se ne servono per i loro studi.
Dunque, il vocabolario accoglie pochissimi arcaismi (scelti tra quelli
ancora utilizzabili nel linguaggio letterario dell’epoca); seleziona, tra
le voci di ambito scientifico e tecnico, «quelle adoperate da tutti»; si
concentra sui vocaboli necessari al parlare e allo scrivere quotidiani
(«un vocabolario dove si trovi l’uso, e niente altro che l’uso»), corredati da puntuali indicazioni di registro e accompagnati non da esempi d’autore, ma da un’ampia fraseologia attinta al parlato. La direzione fiorentina è marcata nelle scelte lessicali e nelle espressioni idiomatiche che accompagnano le parole, ma non appare significativa in
ambito fonetico (per esempio, le forme non dittongate, come l’aggettivo Novo del titolo, si riducono a una dozzina) e nemmeno per
l’aspetto grammaticale. Le posizioni teoriche alla base del Vocabolario sono espresse dalla prefazione al primo volume, a firma di Giorgini (un testo largamente elaborato su materiali manzoniani che il vecchio scrittore mise a disposizione del genero), e da quella al terzo volume, a firma di Broglio.
Mariarosa Bricchi, La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento, in Atlante della letteratura italiana, vol. III, pp. 106-12. www.einaudi.it
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1871-92 Eugenio Canevazzi e Francesco Marconi, Vocabolario di
agricoltura, Cappelli, Rocca San Casciano L
Dizionario specialistico che raccoglie termini dell’ambito dell’agricoltura accompagnati da esempi di scrittori. Sono frequenti le voci
arcaiche, fiorentine e più genericamente toscane, di provenienza non
solo letteraria.
1873 Graziadio Isaia Ascoli, Proemio all’«Archivio glottologico italiano», n. 1, Loescher, Torino S-L
Datato dal suo autore «Milano, 10 settembre 1872», il testo fu concepito a seguito dell’uscita, nel 1870, del primo fascicolo del Novo
vocabolario della lingua italiana, che realizzava concretamente l’auspicio manzoniano di un vocabolario del fiorentino vivo quale strumento di unificazione linguistica nazionale. L’argomentazione di
Ascoli prende avvio dal rilievo di una falla nella teoria linguistica di
Manzoni: se è vero che la lingua della tradizione letteraria italiana
coincide in gran parte col fiorentino trecentesco, tale lingua non va
tuttavia confusa col fiorentino moderno, diverso dall’antico perché
risultato delle trasformazioni cui, nel tempo, qualsiasi lingua va soggetta (il Novo del titolo, citato da Ascoli in apertura del suo scritto,
è appunto un esempio di tale discrepanza, visto che la riduzione del
dittongo uo in o è fenomeno relativamente recente, comunque assente nel fiorentino dei primi secoli). La candidatura del fiorentino
coevo a lingua nazionale non può dunque poggiare, come sosteneva
Manzoni, sull’autorità della tradizione letteraria. Propenso a cogliere, con strumentazione scientifica, tendenze e direzioni storiche,
Ascoli sostiene che l’unità linguistica dovrebbe realizzarsi secondo
un processo naturale di aggregazione attorno a modelli linguistici e
culturali forti, così come è accaduto in Germania (dove, in assenza
di unità politica nazionale, il volgare tedesco ha preso forma attorno
alla traduzione della Bibbia di Lutero, diffusa grazie alla Riforma protestante). Ascoli nega dunque efficacia, in campo linguistico, a qualsiasi imposizione normativa. La secolare questione della lingua sarà
risolta solo quando l’Italia avrà rimosso le ragioni che l’hanno determinata, cioè la «scarsità del moto complessivo delle menti, che è a un
tempo effetto e causa del sapere concentrato nei pochi»; e le «esigenze schifiltose del delicato e instabile e irrequieto sentimento della forma». Le teorie manzoniane corrono invece il rischio, volendo
cancellare la vecchia retorica, di imporne una nuova, sostituendo al
modello della tradizione un ideale popolano-fiorentineggiante non
meno falso e affettato. Per quanto riguarda il vocabolario, il Proemio
rifiuta la possibilità di una sua funzione normativa, insistendo invece sulla sua responsabilità di collettore e testimone della lingua: «cosicché il vocabolario ivi risulta, come vuole la natura della cosa, ben
piuttosto il sedimento che non la norma dell’attività civile e letteraria della parola nazionale».
1873 Francesco D’Ovidio, Lingua e dialetto, in «Rivista di filologia e di istruzione classica» (Loescher, Torino), n. 1 S-L
Intervento – datato dall’autore «Bologna», maggio 1873 – che tenta una mediazione tra le posizioni della Relazione di Manzoni e quelle del Proemio all’«Archivio glottologico italiano» di Ascoli. D’Ovidio si dichiara «manzoniano arrabbiato» per un verso, riconoscendo
peraltro fondatezza e solidità alle obiezioni mosse da Ascoli. Posto
che, in termini di lingua, si è spesso confusa in Italia la questione storica con la questione pratica, D’Ovidio dedica il suo intervento a distinguere tra i due ambiti e a dimostrarne la relativa indipendenza
reciproca. La mancanza di una lingua italiana denunciata da Manzoni va ritenuta «un’esagerazione»; esiste invece un uso attuale letterario, nato dal consenso degli uomini di cultura. D’Ovidio riconosce
però, con Manzoni, la sostanziale fiorentinità dell’italiano letterario
della tradizione, benché questo dato storico non autorizzi a eleggere
il fiorentino come lingua nazionale e tanto meno, in caso di discordanza tra il fiorentino e l’uso invalso nella penisola, a sostituire il secondo con il primo. Il dialetto vivo di Firenze non andrà dunque assunto a norma universale, specialmente quando diverga dall’uso letterario, ma rimane tuttavia un apporto fondamentale per la lingua
letteraria della nazione. Dopo la pubblicazione in rivista, il saggio fu
incluso nel volume dei Saggi critici (Morano, Napoli 1878) e quindi
ampiamente riversato in un capitolo del maggior intervento dedicato da D’Ovidio a Manzoni, Le correzioni ai «Promessi Sposi» e la questione della lingua (Morano, Napoli 1893).
1875 Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani, Vocabolario italiano della lingua parlata, Tipografia cenniniana, Firenze L
Vocabolario della lingua d’uso, discendente dal Giorgini-Broglio. Nonostante alcuni dissensi teorici con il modello, espressi in sede di prefazione, il Rigutini-Fanfani si proclama pensato per rispondere all’esigenza di «vocabolari ordinati espressamente a raccogliere la sola lingua dell’uso parlato», e riprende le più vistose innovazioni in direzione della lingua comune introdotte dal Novo vocabolario (→ 18701897), a partire dall’eliminazione degli esempi d’autore. Di fatto,
però, il Rigutini-Fanfani realizza un compromesso con la tradizione,
scegliendo da un lato di reintrodurre le etimologie, dall’altro rifiutando molte delle voci d’uso accolte nel Giorgini-Broglio.
1877 Pietro Fanfani e Costantino Arlìa, Lessico della corrotta italianità, Carrara, Milano L
Fortunato repertorio di barbarismi, ristampato fino ai primi anni del
Novecento (a partire dalla seconda edizione, uscita – per cura del solo Arlìa – nel 1881, dopo la morte di Fanfani, il titolo diventa Lessico dell’infima e corrotta italianità). Malgrado la dichiarazione programmatica – «Noi non siamo puristi» –, il dizionario è dedicato alla raccolta di voci proscritte, fra le quali figurano i tradizionali bersagli del purismo: francesismi, parole di provenienza non toscana, voci di ambito burocratico, latinismi.
1879 Raffaello Fornaciari, Grammatica dell’uso moderno, Sansoni,
Firenze G-N
Opera complementare alla Sintassi dell’uso moderno, pubblicata nel
1881. La grammatica è suddivisa in quattro parti: ortografia e pronuncia, morfologia, formazione delle parole, metrica.
1881 Raffaello Fornaciari, Sintassi dell’uso moderno, Sansoni, Firenze G-N
Complementare alla Grammatica dell’uso moderno, pubblicata due
anni prima, questa Sintassi è suddivisa in tre parti: uso delle parti del
discorso, uso della proposizione, collocazione delle parole. In particolare, la seconda e la terza parte trattano temi mai affrontati con altrettanta ampiezza dai grammatici precedenti. Anche l’impostazione
di fondo dei due volumi (Grammatica e Sintassi) è innovativa, soprattutto per l’elaborazione del concetto di uso moderno su cui è impostata la trattazione. Fornaciari colloca l’uso nella parlata del popolo toscano, quando questa sia autorizzata dall’accordo con gli scrittori. Si propone in tal modo un modello di lingua che tiene conto della secolare tradizione dell’italiano, ma accoglie anche l’autorità dei
parlanti moderni. I numerosi esempi – forniti non semplicemente per
convalidare le regole ma per giustificarne l’esistenza e renderle più
chiare – provengono tanto da scrittori italiani di tutti i secoli quanto dalla lingua parlata. Caratteristica è infine l’attenzione ai registri,
con la ricca serie di segnalazioni che attribuiscono di volta in volta
Mariarosa Bricchi, La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento, in Atlante della letteratura italiana, vol. III, pp. 106-12. www.einaudi.it
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forme e costrutti alla lingua scritta, oppure a quella orale, o ancora al
«parlar familiare».
ma grafico volto a facilitare la corretta pronuncia, con indicazione
dell’accento su ogni parola che non sia piana.
1881 Giulio Rezasco, Dizionario del linguaggio italiano storico ed amministrativo, Le Monnier, Firenze L
Dizionario specialistico che raccoglie termini di ambito amministrativo selezionati da spogli di documenti non solo toscani. L’impostazione è storica, dunque non compaiono parole del linguaggio contemporaneo, bensì le voci antiche corrispondenti.
1889 Alberto Guglielmotti, Vocabolario marino e militare, Voghera, Roma L
Dizionario specialistico che raccoglie termini di contesto marino e
militare provenienti in gran parte da testi antichi o dal Vocabolario
della Crusca. Abbondano anche le parole non immediatamente legate agli ambiti di pertinenza del vocabolario.
1883 Aurelio Gotti, Vocabolario metodico della lingua italiana. Casa, Paravia, Roma L
Raccolta di voci, tratte da scrittori toscani e dall’uso popolare, organizzate per famiglie semantiche e accompagnate dalla segnalazione
dell’ambito d’uso (lingua scritta o parlata, prosa o poesia).
1894 Luigi Morandi e Giulio Cappuccini, Grammatica italiana per
uso delle scuole ginnasiali tecniche e normali, Paravia, Torino G-N
Grammatica di impostazione manzoniana, orientata all’uso vivo toscano e alle caratteristiche della lingua parlata («preso come norma
l’uso civile fiorentino») ma ancora aperta verso la tradizione letteraria, al punto da affiancare agli esempi tratti dal fiorentino quotidiano anche citazioni di autori. In qualche caso, l’opera appare ricettiva verso forme non toscane purché di larga diffusione nazionale. Tipico esempio di un’applicazione non rigorosa dell’eredità manzoniana è la posizione cauta assunta dagli autori verso il pronome lui in
funzione di soggetto, ammesso solo in poche situazioni.
1883 Carlo Collodi, La grammatica di Giannettino, Paggi, Firenze
G-N
Grammatica «per le scuole elementari» strutturata in forma di dialogo, come una serie di domande poste dallo scolaro Giannettino e
di risposte del suo maestro. Giannettino era il protagonista di una serie di libri per ragazzi firmata dall’autore di Pinocchio (che usciva in
quello stesso anno, mentre il primo volume della serie, Giannettino.
Libro per i ragazzi, è del 1877). La prima parte della Grammatica è dedicata a questioni di pronuncia e ortografia, la seconda esamina le
parti del discorso. L’impostazione è manzoniana, dunque orientata
all’uso vivo fiorentino, ma si sconsigliano le forme plebee e spiccatamente popolari. Nel 1885 sarebbe apparso L’abbaco di Giannettino,
preceduto e seguito da varie altre operine didattiche ispirate al medesimo personaggio.
1886 Giuseppe Rigutini, Neologismi buoni e cattivi più frequenti nell’uso odierno, Verdesi, Roma L
Fortunato repertorio di voci da evitare, selezionate secondo un modello che dichiara di allontanarsi dalle posizioni puriste, ma di fatto ne mutua l’avversione per i neologismi. Rigutini ammette tuttavia
le neoformazioni che rispettano i meccanismi derivativi dell’italiano.
1887 Policarpo Petrocchi, Grammatica della lingua italiana, Treves,
Milano G-N
Grammatica di impostazione manzoniana, fondata sull’uso vivo di
Firenze. Sono aboliti gli esempi d’autore e tutte le citazioni provengono dalla parlata fiorentina, con particolare attenzione al livello colloquiale.
1887-91 Policarpo Petrocchi, Nòvo dizionàrio universale della lingua italiana, Treves, Milano L
Dizionario dell’uso che propone, in relazione al problema del lessico
arcaico, una soluzione diversa da quella dei predecessori. Invece di
escludere le parole uscite dall’uso, Petrocchi – riprendendo una scelta già nobilitata dal Glossario della Crusca – sceglie non di escludere, bensì di separare, le parole in disuso da quelle in uso. La divisione
si realizza a livello grafico, in modo tale che nella stessa pagina troveranno posto, in una fascia alta, le parole in corso, in una fascia bassa quelle arcaiche (ma anche termini toscani diversi dai fiorentini e
voci tecnico-scientifiche). In questo modo diventa possibile una percezione sinottica dei due strati della lingua e, piuttosto che una contrapposizione, un continuo interscambio fra l’uno e l’altro: sono infatti frequenti i lemmi comuni alle due fasce, per i quali il discrimine tra uso e disuso è costituito dalla singola accezione, dalla situazione di impiego o dalle varianti morfologiche. Un altro elemento di
novità, destinato a rimanere senza seguito, è l’adozione di un siste-
1897 Giosue Carducci, Mosche cocchiere, in «La vita italiana» (Roma), 16 marzo S-L
Testo steso nella primavera del 1896 in risposta a uno scritto di Ugo
Ojetti (Quelques littérateurs italiens, in «Revue de Paris», febbraio
1896), mai esplicitamente citato ma ripreso e controbattuto puntualmente, a partire dall’incipit: «Dunque siamo avvertiti: letteratura italiana non esiste e non può esistere…» L’allora venticinquenne
Ojetti, giornalista e romanziere, aveva infatti sostenuto – riprendendo il tema della distanza fra lingua scritta e lingua parlata – che
non poteva darsi una letteratura italiana contemporanea per mancanza di una capitale culturale e di una lingua letteraria condivisa da
tutti gli scrittori. Al primo articolo francese Ojetti aveva fatto seguire
un secondo scritto, pubblicato proprio in «La vita italiana» (maggio
1896) col titolo L’avvenire della letteratura in Italia. La replica di Carducci a Ojetti è in buona parte dedicata appunto alla «maledetta e
oziosa» questione della lingua, a suo parere risolta nei fatti a metà
Ottocento dall’innesto di modi toscani nella tradizione classica della prosa, ma poi riaperta dal toscaneggiare lezioso dei mediocri imitatori di Manzoni. La lingua italiana, sia quella comune sia la letteraria, esiste da sempre, argomenta Carducci, e non c’è bisogno di inventarne una nuova, quanto piuttosto di rinfrescarla continuamente
attingendo alla fonte viva del parlato. Ojetti risponde sulla rivista fiorentina «Il Marzocco» (II/8, 28 marzo 1897) con l’articolo polemico
La cenciata di Giosué Carducci. Più avanti s’inserirà nella discussione
anche Giovanni Pascoli: Letteratura italiana o italo-europea?, in «La
vita italiana», 1º maggio.
1905 Alfredo Panzini, Dizionario moderno: supplemento ai dizionari italiani, Hoepli, Milano L
Fortunato dizionario che totalizzerà, tra il 1905 e il 1935, ben sette
edizioni, cui si agigungono, postume, una ottava edizione (1942), corredata da un’Appendice «di ottomila voci» compilata dallo storico
della lingua Bruno Migliorini; e una nona edizione (1950) accompagnata da un Proemio del linguista Alfredo Schiaffini. Nato come «una
collezione di anomalie e di brutture» selezionate con atteggiamento
di riprovazione purista, il Dizionario moderno di Panzini, ai suoi tempi romanziere di grande successo, andò trasformandosi nel corso del
lavoro preparatorio – e quindi di edizione in edizione – in una vastissima raccolta di parole nuove, vagliate sulla base della curiosità e del
Mariarosa Bricchi, La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento, in Atlante della letteratura italiana, vol. III, pp. 106-12. www.einaudi.it
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piacere di scoperte sempre diverse. Abbandonata via via ogni forma
di censura, Panzini si assunse dunque il compito di registrare, datare e spiegare vocaboli (spesso non immediatamente comprensibili) appartenenti di fatto all’uso, ma che gli altri dizionari evitavano di accogliere. Si realizzava in questo modo un passaggio da una raccolta
finalizzata alla riprovazione a un repertorio finalizzato alla testimonianza: «io tutte accolsi queste parole con benevolenza, non come
purista ma come filosofo».
1909-12 Palmiro Premoli, Vocabolario nomenclatore illustrato, Manuzio, Milano L
Opera che rappresenta, per concezione e per l’interesse dei suoi risultati, un punto d’arrivo nel secolare percorso dei repertori metodici. Il Vocabolario nomenclatore non ordina i lemmi per aree tematiche bensì in sequenza alfabetica, proponendo però parole e locuzioni che si trovino in rapporto di affinità tematica o di analogia a seguito di ciascun termine registrato. Si forniscono inoltre con ampiezza
locuzioni ed esempi che collegano la parola ai suoi contesti d’uso. La
selezione lessicale non è limitata a termini del lessico materiale e domestico, ma si apre all’intero patrimonio dell’italiano. Sono accolti
numerosi neologismi, parole straniere e (nonostante il dichiarato filotoscanismo dell’autore) parole di provenienza regionale.
Mariarosa Bricchi, La questione della lingua dal Settecento all’Ottocento, in Atlante della letteratura italiana, vol. III, pp. 106-12. www.einaudi.it
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