G. Simonini Informazioni tecniche e comunicazione nel settore automotive 2014 Sez. I - Il diritto di accesso alle informazioni tecniche nel settore dell’assistenza post-vendita automotive e la normativa sulla concorrenza. Premesse. 1. Il quadro normativo sull’omologazione delle vetture e delle parti componenti. 2. Parti di ricambio: un mercato secondario. 3. Parti di ricambio: il ricambio originale, il ricambio equivalente, il ricambio ricondizionato. 4. L’informazione tecnica. 5. Il ricambio elettronico. 6. La tutela della forma del ricambio (repair clause). 7. La tutela del marchio nel ricambio. 8. La tutela del brevetto. 9. La battaglia tra DPI e diritto della concorrenza. 10. La sicurezza delle parti componenti. 11. La pratica dei tunings. 12. La circolazione dei veicoli: modifiche, contraffazioni, riciclaggio della vettura. 13. La sicurezza dei sistemi elettrici/elettronici. I Regolamenti del Consiglio e del Parlamento europeo, le direttive ed i regolamenti della Commissione in tema di concorrenza sono citati alla fine. La Corte di giustizia dell’Unione europea è citata come Corte di giustizia. Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea è citato con l’acronimo TFUE. Sez. II - Le informazioni tecniche sul prodotto: la comunicazione Premesse: 1. Il diritto all’informazione corretta – 2. La lingua delle informazioni – 3. La tutela del consumatore nel Trattato – 4. Il codice del consumo e la lingua nazionale – 5. La direttiva macchine e la lingua nazionale – 6. Il contenuto delle informazioni – 7. Il soggetto destinatario delle informazioni – 8. La struttura delle informazioni; il difetto di informazione – 9. Il messaggio elettronico proveniente da una macchina – 10. Tecniche di redazione del messaggio – 11. Il messaggio commerciale corretto – 12. L’illecito da reticenti informazioni. 2 Premesse E’ da anni dibattuta la questione della protezione giuridica dei pezzi di ricambio di autovetture, questione la cui soluzione tocca anche importanti interessi economici, in relazione al fatto che l’after market coinvolge molte imprese e genera fatturati rilevanti. Si spiega, in tal modo, la posizione dei costruttori dei veicoli tesa a fortemente proteggere gli investimenti fatti ed a mantenere una sorta di monopolio su questo mercato. Si spiega, allo stesso modo, l’interesse della Commissione europea ad aprire questo mercato ad altri protagonisti1, al fine di renderlo più concorrenziale e di abbassare i prezzi dei ricambi. Accanto a questo tema se ne sono poi sviluppati altri più recenti, relativi al miglioramento della concorrenza sul mercato dell’assistenza post-vendita ed alla tutela del consumatore2. La distribuzione dei ricambi (qui intesi come parti componenti) è attualmente disciplinata da un complesso (ed articolato) quadro normativo che forma un unico sistema; vi concorrono: le norme sulla concorrenza (regolamento n. 330/2010/Ue; regolamento n. 461/2010/Ue), le norme sulla sicurezza delle vetture (regolamento n. 715/2007/Ce3; regolamento n. Definiti dal regolamento automotive n. 1400/2002/Ce “operatori indipendenti”. Questa categoria comprende i costruttori di parti componenti, gli editori di cataloghi di ricambi, i subfornitori, le officine di riparazione. 2 “Il nuovo regolamento è inteso a incrementare la concorrenza e ad apportare vantaggi evidenti ai consumatori europei, aprendo la strada ad un più ampio impiego delle nuove tecniche di distribuzione, come le vendite su Internet e l’attività di vendite multimarca. Porterà ad una maggiore concorrenza tra i distributori, renderà gli acquisti transfrontalieri di autoveicoli nuovi notevolmente più semplici e comporterà una maggiore concorrenza in termini di prezzi. I proprietari di automobili avranno maggiori opportunità di scegliere a chi affidare la riparazione e la manutenzione e quali pezzi di ricambio utilizzare”, così nell’Opuscolo esplicativo della direzione generale della Concorrenza al Regolamento 1400/2002/Ce. Nello stesso senso, il par. 64 della Comunicazione della Commissione, Orientamenti aggiuntivi in materia di restrizioni verticali negli accordi per la vendita e la riparazione di autoveicoli e per la distribuzione di pezzi di ricambio per autoveicoli, del 28 maggio 2010, a seguito solo Orientamenti aggiuntivi. 3 Nello “speech” del 29 settembre 2011, “The European Commission’s recent Automotive Legislation and future Work Programme affecting the European Aftermarket”, tenuto a Varsavia dal Funzionario della Commissione Europea P. Jean, questi rileva che il principio dell’accesso alle informazioni tecniche da parte degli operatori indipendenti venne inserito nel regolamento n. 1400/2002/Ce, 1 3 692/2008/Ce, regolamento n. 566/2011/Ue, direttiva n. 2007/46/Ce), le norme sulla sicurezza dei prodotti destinati ai consumatori (direttiva n. 2001/95/Ce), le norme sul danno da prodotto difettoso (direttiva n. 1985/374/Cee), le norme sulla circolazione stradale (Codice della Strada) e le norme sulla protezione dei diritti di proprietà industriale (direttiva n. 1998/71/Ce sul disegno industriale; regolamento n. 6/2002/Ce sul modello comunitario; regolamento n. 40/1994/Ce sul marchio comunitario). Per rendersi conto della complessità del tema basta esaminare la definizione di ricambio originale, definizione che si ritrova ora (significativamente) nella normativa (tecnica) sulla omologazione delle vetture4. Ivi si dichiara originale un ricambio anche non prodotto dal costruttore della vettura, ma conforme alle sue specifiche tecniche. La normativa sulla omologazione viene poi piegata alle ragioni della concorrenza5, consentendo un ulteriore quindi in un regolamento sulla concorrenza delle imprese, al fine di aumentare la concorrenza sul mercato della riparazione (“to protect effective competition on the market for repair and maintenance services”), ma che la sede più opportuna avrebbe dovuto essere quella della regolamentazione tecnica ai fini della omologazione del veicolo in quanto “horizontal issue”, essendo interessati tematiche sulla sicurezza, ambiente, proprietà intellettuale, protezione dei consumatori. La normativa sulle informazioni tecniche è stata poi collocata nel regolamento n. 715/2007/Ce. L’art. 3 del regolamento si rivolge a tutte le imprese direttamente od indirettamente coinvolte nel mercato della riparazione. 4 Direttiva n. 2007/46/Ce. 5 Si è osservato che alla base delle regole comunitarie sulla concorrenza vi è l’esigenza per le imprese di accedere liberamente al mercato e di scegliere i propri contraenti, battendosi ad armi pari: la concorrenza costringerà le imprese ad innovare, a comprimere i costi ed a ridurre i prezzi. Per gli utilizzatori (consumatori finali o meno), tale postulato comporta la libertà di scegliere fra i prodotti od i servizi offerti sul mercato quelli che meglio rispondono alle proprie esigenze, A. PAPPALARDO, Il diritto comunitario della concorrenza, Torino, UTET, 2007, 13. Per interessanti notazioni sulla struttura delle predette regole comunitarie e della loro relazione con la tutela del consumatore, v. G. BRUZZONE - M. BOCCACCIO, Il diritto dei consumatori nella crisi e le prospettive evolutive del sistema di tutela: il rapporto tra tutela della concorrenza e tutela dei consumatori nel contesto europeo: una prospettiva economica, in Atti del Convegno AGCM Luiss-Università degli Studi Roma Tre, che ricordano che: “giustamente i commentatori attenti alla storia del diritto antitrust europeo e, in particolare, alle sue origini ordo-liberali, osservano che le regole sulla concorrenza sono state introdotte nel Trattato a tutela di un processo concorrenziale non distorto e come salvaguardia rispetto al rischio, fortemente sentito nel dopoguerra, di un’evoluzione monopolistica di alcuni settori. La priorità, inoltre, in quella prima fase era la creazione di un mercato integrato. La tutela del consumatore non 4 canale di approvvigionamento ai riparatori indipendenti, canale rappresentato dal costruttore del ricambio6. La normativa tecnica sulla omologazione non è sottoposta ai limiti della normativa antitrust7 che presuppone, per la sua applicazione, una relazione tra imprese (art. 101 TFUE) o la posizione dominante di un’impresa nel mercato (art. 102 TFUE8). 1. Il quadro normativo sull’ omologazione delle vetture e delle parti componenti Con la direttiva n. 1970/156/Cee, cui è seguita la direttiva n. 2007/46/Ce, è stato istituito un sistema comunitario di omologazione per i veicoli a motore ed i loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed unità tecniche destinati a tali veicoli9. Sistema denominato Type-approval. costituiva certo la preoccupazione centrale, anche se era evidente che di un’evoluzione concorrenziale del mercato avrebbero potuto beneficiare i consumatori europei. In seguito, nell’applicazione del diritto antitrust comunitario l’attenzione nei confronti dei consumatori è aumentata, con un’accelerazione nell’ultimo decennio, sino ad acquisire un’indubbia centralità. Le ragioni, oltre al minore rilievo dell’obiettivo dell’integrazione dei mercati in ragione dei risultati già ottenuti, sono principalmente due: la prima è l’esigenza di creare un maggiore consenso per le politiche comunitarie in generale e per quelle di concorrenza in particolare; la seconda è l’affermarsi all’interno della disciplina antitrust di un paradigma applicativo (il cosiddetto “approccio economico”) più incentrato sull’impatto delle condotte sul mercato”. 6 Lo stesso fenomeno avviene, come si dirà a seguito, a proposito delle “informazioni tecniche”. 7 V., FIGIEFA, Reaction to the Commission’s Evaluation Report of 28 May 2008 on the operation of Regulation (EC) No. 1400/2002 concerning motor vehicle distribution and servicing, 2008, ove: “Clearly defined rules on access to technical information were and are essential for effective competition, and should thus be dealt with in future instruments of competition law. Regulation (EC) No. 715/2007 may contain the technical details, but the fundamental rule should continue to be reflected in a BER. 8 Il punto è efficacemente trattato nell’opuscolo del Parlamento Europeo, Direzione politiche interne, Access to repair and maintenance information, 2011. 9 Le definizioni sono offerte dall’art. 3 della direttiva n. 2007/46/Ce, la quale stabilisce che per «sistema» si intende un insieme di dispositivi combinati in modo da eseguire una o più funzioni specifiche in un veicolo e soggetto alle prescrizioni degli atti normativi; per «componente», un dispositivo soggetto alle prescrizioni di un atto normativo e destinato a far parte di un veicolo, il quale può essere omologato indipendentemente dal veicolo qualora l’atto normativo lo preveda espressamente; per «entità tecnica», un dispositivo soggetto alle prescrizioni di un atto normativo e destinato a far parte di un veicolo, il quale può essere omologato 5 Il sistema di omologazione delle vetture (che è un sistema che riguarda la sicurezza del prodotto) è previgente a quello sulla sicurezza delle macchine (cd. del “nuovo approccio”) e si basa su una concezione diversa10. Le direttive del “nuovo approccio” sono di armonizzazione minima e prescrivono solo i requisiti essenziali di sicurezza della macchina, requisiti descritti in norme tecniche armonizzate la cui osservanza, da parte del costruttore, assicura una presunzione di conformità al sistema11. Le direttive12 sull’omologazione (per tipo) delle vetture sono, invece, fondate sul principio di armonizzazione totale13; pertanto, sono molto dettagliate. Una volta che il veicolo è omologato secondo la normativa tecnica comunitaria (omologazione CE)14 da uno Stato membro, tutti i veicoli di quel tipo possono essere immatricolati (e circolare) nella Ue sulla base del solo certificato di conformità. separatamente ma soltanto in relazione ad uno o più tipi di veicoli determinati qualora l’atto normativo lo preveda espressamente. 10 V. nota 4 della Guida all’attuazione delle direttive fondate sul nuovo approccio e sull’approccio globale, su internet, ove si precisa che “il nuovo approccio non è applicato in quei settori in cui la legislazione comunitaria era avanzata prima del 1985 ed ove non sia possibile statuire disposizioni per i prodotti finiti ed per i rischi associati a tali prodotti”. La normativa sulle macchine è contenuta nella direttiva n. 2006/42/Ce, cit. infra, nota 208. Sulla portata della normativa sull’omologazione, v. la sentenza della Corte di Giustizia del 13 luglio 2006, in causa n. C-83/05, B. Voigt, in Raccolta, 2006, p. I-06799. 11 Le norme europee armonizzate sono norme tecniche volontarie adottate da un ente di normazione europeo (CEN, CENELEC, ETSI) sulla base di un mandato della Commissione europea che indicano al fabbricante le normative per realizzare prodotti sicuri. 12 Integrate da numerosi regolamenti tecnici. La direttiva n.2007/46/Ce prevede la possibilità di applicare in via obbligatoria i regolamenti UNECE ai fini dell’omologazione dei veicoli e di sostituire la legislazione dell’Unione con detti regolamenti, tale sostituzione è in corso. 13 V. ‘considerando’ n. 2 della direttiva n. 2007/46/Ce. 14 Rimane l’omologazione nazionale ai soli fini della circolazione del veicolo sul territorio domestico. Il processo di omologazione può essere eseguito interamente dal costruttore oppure in più fasi; in questo caso si omologa il telaio e viene rilasciata una prima scheda di omologazione, poi si omologa la carrozzeria e così via. Si parla di “omologazione CE” quando lo Stato membro certifica che il tipo omologato è conforme alle disposizioni degli atti normativi comunitari; di “omologazione nazionale” quando lo Stato certifica che il tipo è conforme alla normativa tecnica nazionale (valida solo nel territorio nazionale), di “omologazione individuale” quando è conforme alle disposizioni tecniche ritenute applicabili. 6 In assenza di omologazione il veicolo non può circolare. L’immatricolazione dei veicoli avviene presentando, presso gli uffici nazionali competenti, il certificato di conformità (art. 26, direttiva n. 2007/46/Ce); questo documento, rilasciato dal costruttore del veicolo, attesta che la vettura è conforme al tipo omologato, tipo che funge da “campione”. Sono soggetti ad omologazione anche i sistemi, le parti componenti e le unità tecniche quando lo prevede la normativa15; diversamente la loro produzione e commercializzazione è libera. Nel primo caso si può procedere alla vendita dei medesimi solo se: sono provvisti del marchio CE, sono conformi alle prescrizioni pertinenti e sono omologati o autorizzati dall’Autorità competente (art. 28, direttiva n. 2007/46/Ce). Pertanto, se il costruttore del veicolo utilizza componenti/entità tecniche (già) omologate dal costruttore del particolare, in pratica si assiste a due omologazioni, una sulla parte componente ed una sul veicolo. 2. Parti di ricambio: un mercato secondario Non è in discussione che il mercato delle parti di ricambio sia un mercato secondario separato da quello della vendita del bene principale (autovetture). Questo assunto è ormai consolidato16 e può essere confermato, non essendovi fondate ragioni per sostenere che sia identificabile un unico mercato del bene complesso in cui la decisione di acquisto da parte del consumatore della vettura è condizionata dal costo del ricambio17. Diverso discorso deve farsi per gli autocarri, bene ove le spese 15 Tra esse, le cinture di sicurezza, gli specchietti retrovisori, gli pneumatici, i vetri di sicurezza ed i dispositivi di illuminazione. 16 V., Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica la direttiva n. 98/71/Ce sulla protezione giuridica dei disegni e dei modelli, Bruxelles, 14 settembre 2004, COM(2004), 582, def. 17 V., Comunicazione della Commissione sulla definizione del mercato rilevante, in Guce n. C 372 del 9 dicembre 1997, p. 5-13. Il mercato dei ricambi si presenta fortemente asimmetrico. Esso comprende le parti di ricambio originali realizzate del costruttore della vettura (OEM) e le parti alternative (OE). La possibilità che i costruttori dei ricambi possano offrire parti alternative è ritenuta essenziale dalla Commissione europea per il funzionamento del mercato della riparazione; perché 7 di gestione sono molto elevate18 e la decisione d’acquisto è influenzata dal suo costo di gestione. In termini generali si può dire che, nel caso della vettura, i consumatori, in sede di acquisto, prestano poca attenzione ai lifecycle costs. E’ comunque da rilevare che la definizione di mercato primario e secondario appare ancora molto incerta19; chi opina per un unico mercato ciò avvenga, occorre la partecipazione di vari soggetti, componentisti, pubblicatori di cataloghi ricambi, “service providers”, ecc. 18 Sulla necessità di tenere distinti i mercati della vendita del prodotto complesso e della vendita dei ricambi, v. Comunicazione della Commissione del 22 luglio 2009, Il futuro quadro normativo in materia di concorrenza applicabile al settore automobilistico, COM (2009) 388 def., ove si precisa che, in termini generali, è possibile considerare separatamente questi due mercati, in relazione alle diverse caratteristiche della domanda (in sede di acquisto della vettura non viene considerato il costo dei ricambi nella vita utile del prodotto; in questo senso sono differentemente valutate le scelte per l’acquisto degli autocarri). Una volta considerato separatamente il mercato dei ricambi da quello delle autovetture, occorre ulteriormente accertare se singole sottotipologie di ricambi creino a loro volta un mercato concorrenziale. Per i ricambi di piccola manutenzione (es. batterie, tergicristalli, ecc.) vi è ampia sostituibilità; per altri (cd. pezzi captive) non vi sono alternative significative e non vi sono fonti ulteriori di acquisto, essendo generalmente realizzati in base a specifici accordi di subfornitura. 19 Tribunale dell’Unione europea del 15 dicembre 2010, Confédération européenne des associations d’horlogers-réparateurs (CEAHR) c. Commissione europea, in causa n. T-427/08, in Raccolta, 2010, p. II-05865, ove: “nell’ambito di un procedimento per abuso di posizione dominante, la nozione di mercato rilevante implica che vi possa essere concorrenza effettiva tra i prodotti o i servizi che ne fanno parte, il che presuppone un sufficiente grado di intercambiabilità per lo stesso uso tra tutti i prodotti o servizi che fanno parte dello stesso mercato. L’intercambiabilità o la sostituibilità non si valutano solo in considerazione delle caratteristiche oggettive dei prodotti e dei servizi di cui trattasi, ma bisogna anche prendere in considerazione le condizioni della concorrenza e la struttura della domanda e dell’offerta sul mercato. Risulta parimenti dalla Comunicazione della Commissione sulla definizione del mercato rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza che il mercato del prodotto rilevante comprende tutti i prodotti e/o servizi che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati. Secondo tale Comunicazione, la valutazione della sostituibilità della domanda comporta una determinazione del ventaglio dei prodotti percepiti come sostituibili dai consumatori. Una delle tecniche per compiere tale analisi può consistere in un esercizio teorico, che postuli una variazione piccola, ma non transitoria, dei prezzi relativi e valuti le presumibili reazioni dei clienti. Nel punto 17 di tale Comunicazione, l’interrogativo al quale occorre dare risposta è se i clienti delle parti passerebbero a prodotti sostitutivi prontamente disponibili in risposta ad un ipotetico piccolo incremento (dell’ordine del 5-10%) di carattere permanente del prezzo dei prodotti stessi nell’area considerata. Se il tasso di sostituzione è sufficiente a rendere non redditizio l’incremento del prezzo a causa del calo di vendite che ne conseguirebbe, si aggiungono al mercato considerato altri prodotti. Inoltre, secondo il punto 56 di 8 deve comunque prendere atto che anche la mera possibilità per il consumatore di scegliere tra numerose marche esistenti del prodotto primario non è sufficiente per trattare il mercato primario e i mercati di assistenza ai clienti come un unico mercato, qualora non sia dimostrato che questa scelta sia effettuata in funzione delle condizioni della concorrenza sul mercato secondario. Inoltre, sotto un profilo strutturale, occorre tenere conto della situazione che si verifica nel mercato dell’approvvigionamento dei componenti ed, in particolare, della presenza di operatori economici specializzati. detta Comunicazione, in determinati settori i principi delineati sopra vanno applicati con particolare attenzione. Si pensi, per esempio, ai casi nei quali vi è un mercato primario e un mercato secondario, in particolare quando occorre analizzare alla luce dell’articolo 82 CE (ora 102TFUE) il comportamento delle imprese in un dato momento. Il metodo impiegato per definire i mercati in questi casi è lo stesso, ossia l’analisi delle reazioni dei clienti, attraverso le loro decisioni di acquisto, alle variazioni dei prezzi relativi, ma si devono tenere presenti tutti gli eventuali vincoli imposti dalla situazione esistente sui mercati collegati. Si giungerà a delimitare un mercato più ristretto dei prodotti secondari, per esempio, un mercato dei pezzi di ricambio, quando la compatibilità con i prodotti originari è un requisito essenziale. La difficoltà di trovare prodotti secondari compatibili, combinata con l’esistenza di prezzi elevati e con la lunghezza della vita utile dei prodotti primari, può infatti rendere redditizio l’aumento dei prezzi relativi dei prodotti secondari. Il mercato verrà delimitato in modo diverso se invece esiste una significativa fungibilità dei prodotti secondari o se le caratteristiche del prodotto primario facilitano una reazione rapida e diretta dei consumatori agli incrementi dei prezzi relativi dei prodotti secondari. In considerazione di quanto sin qui esposto, la Commissione era legittimata a concludere che un mercato dei pezzi di ricambio per i prodotti primari di una determinata marca potesse non costituire un distinto mercato rilevante in due ipotesi: in primo luogo, nel caso in cui il consumatore possa rivolgersi a pezzi di ricambio fabbricati da un altro produttore; in secondo luogo, nel caso in cui il consumatore possa rivolgersi a un altro prodotto primario per evitare un aumento dei prezzi sul mercato dei pezzi di ricambio. Tale constatazione vale a condizione però che sia dimostrato che, nell’ipotesi di un aumento dei prezzi moderato e permanente relativo ai prodotti secondari, un numero sufficiente di consumatori si rivolgerebbe verso gli altri prodotti, primari o secondari, per rendere un aumento siffatto non redditizio. Di conseguenza, una possibilità meramente teorica di orientamento verso un diverso prodotto primario non può bastare nel contesto di una dimostrazione finalizzata all’individuazione del mercato rilevante”. Enfasi aggiunta. 9 Il mercato dell’assistenza tecnica si compone pertanto di un upstream market, ove si svolge l’approvvigionamento dei componenti, e di un downstream market, ove avviene la fornitura dei servizi ai clienti finali20. Il mercato dei ricambi è conteso tra i costruttori della vettura (i quali generalmente realizzano anche i ricambi per le loro autovetture) ed i costruttori (e distributori) di ricambi specifici o generici. E’ influenzato da quello attiguo della riparazione: i riparatori indipendenti utilizzano anche ricambi non originali (meno costosi), ciò consente al proprietario del veicolo (od al suo assicuratore) di scegliere fra pezzi di ricambio originali e concorrenti (tale scelta non è possibile nel periodo della garanzia della vettura ove le riparazioni avvengono generalmente presso la rete del costruttore della vettura con pezzi originali). Il calcolo della quota di mercato (dei ricambi) si effettua sulla base del valore dei beni della marca21 e di tutti gli altri beni venduti dal fornitore che 20 V., par. 94 delle Linee direttrici sulle restrizioni verticali, 2000, del 13 ottobre 2000, ove: “se un fornitore produce sia il prodotto assemblato sia i pezzi di ricambio o per la riparazione di questo prodotto, tale fornitore sarà spesso l’unico o il principale fornitore del mercato dei pezzi di ricambio e di riparazione. Lo stesso può accadere anche quando il fornitore (assemblatore) subappalti la fabbricazione dei pezzi di ricambio o per riparazione. A seconda delle circostanze specifiche del caso in esame, come gli effetti delle restrizioni considerate, l’arco di vita del prodotto assemblato e l’importanza dei costi di riparazione o sostituzione, il mercato rilevante ai fini dell’applicazione del regolamento di esenzione per categoria può essere il mercato del prodotto assemblato inclusi i pezzi di ricambio, ovvero i due mercati considerati separatamente”. 21 Così stabiliva il regolamento n. 1400/2002/Ce e tale metodologia è confermata dal regolamento n. 461/2010/Ue. Non pare esistano giustificazioni obiettive a questo criterio dal momento che, quantomeno nel periodo successivo alla garanzia della vettura, il mercato si presenta molto competitivo. Occorre rilevare che la concezione del mercato secondario della riparazione (post-vendita) fatta propria ed utilizzata dalla Commissione europea, è stata messa in discussione da due recenti decisioni di Corti tedesche. Tali decisioni nazionali non sono citate nelle FAQ del 2012, ciò è argutamente notato in VBB on Competiton law, volume 8, 2012. In entrambi i casi si discute della legittimità del rifiuto di due costruttori di veicoli (uno di vetture e l’altro di autocarri) di ammettere alla propria rete di assistenza post-vendita un riparatore indipendente. Tale richiesta era giustificata dal riparatore indipendente in base al fatto che il costruttore dei veicoli detiene sul mercato dell’assistenza post-vendita elevate quote di mercato, specie nel periodo di garanzia, conseguentemente l’unico sistema utilizzabile per la fornitura di servizi di assistenza post-vendita è quello selettivo qualitativo, il quale presuppone l’ammissione al sistema di tutti i candidati che possiedono gli standard proposti dal costruttore. Un eventuale rifiuto da parte del costruttore di ammettere il riparatore 10 sono considerati dall’acquirente intercambiabili dal consumatore in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati22. La stessa anomalia (sulle modalità) di calcolo sulla marca e sul livello di mercato (officina/consumatore) si verifica nella riparazione. Anche questo mercato è condizionato dal periodo di garanzia del prodotto che attrae fortemente la domanda di riparazione alla rete, essendo senza oneri. La Commissione europea ritiene che sul mercato dei pezzi di ricambio la concorrenza sia meno intensa rispetto a quello delle vetture perché i costruttori organizzano reti monomarca che legano il cliente finale. Inoltre, alcune tipologie di ricambi (ricambi captive o obbligatori) consentono al costruttore della vettura di mantenere una posizione monopolistica, essendo l’unico fornitore di questi. Va, tuttavia, rilevato che la Commissione opera probabilmente un errore di prospettiva, evidenziatosi nel caso MAN (nota 21), trascura l’analisi dell’upstream market il quale appare, complessivamente valutato, scarsamente competitivo (allude al mercato dei servizi il regolamento n. 566/2011/Ue). indipendente nella propria rete si potrebbe porre come abuso di posizione dominante ex art. 102 TFUE. La prima decisione è stata resa dalla Corte Federale di Dusseldorf il 21 dicembre 2011 (in VBB on competiton law, volume, 2, 2012). La Corte distingue due mercati della riparazione: quello dell’approvvigionamento dei ricambi, degli strumenti e delle informazioni tecniche di riparazione (input) e quello dei servizi ai consumatori. La Corte considera come rilevante il mercato (a monte) ove si acquistano i prodotti, i servizi e le informazioni per tutte le marche. In questo mercato il riparatore ha molte alternative di scelta e di acquisto perché vi è forte sostituibilità di beni e servizi. Poiché il riparatore indipendente opera in un mercato con pluralità di offerte, in assenza di una posizione dominante, lo status di riparatore autorizzato di una marca non lo potrebbe facilitare. Le specifiche operazioni in garanzia per una marca non distinguono, conseguentemente, uno specifico mercato rilevante. Questa impostazione della Corte è simile a quella della Corte Suprema tedesca nella decisione del 30 marzo 2011 (in VBB on competiton law, volume, 4, 2011), che, distinguendo i due mercati che si creano nella riparazione (post-vendita), rileva che il primo (upstream market) non può essere calcolato sulla singola marca, ma su tutti i servizi offerti nel mercato della riparazione. Così facendo il costruttore non poteva essere ritenuto in posizione dominante. 22 V., art. 8, regolamento n. 1400/2002/Ce. 11 La Commissione europea, attraverso le sue valutazioni sulla scarsa concorrenza del mercato della riparazione, porta a termine il ragionamento rimasto incompiuto nelle cause Volvo e Maxicar nelle quali, pur in presenza di una situazione monopolistica di mercato, non aveva ritenuto di affermate l’operatività della repair clause, cioè della libera replicabilità del ricambio quando la parte componente ha questa funzione23. L’attuale visione del mercato dei ricambi24 ha portato la Commissione ad emanare un regolamento di esenzione per il settore automotive utilizzabile da un costruttore di veicoli con quote sino al 30% (regolamento n. 461/2010/Ue25). Il regolamento in parola vieta al costruttore della vettura di porre in essere comportamenti restrittivi della circolazione dei ricambi sia originali26 che di qualità equivalente27. L’applicabilità del precitato regolamento ad un contratto di assistenza post-vendita di un importante costruttore di vetture è tuttavia remota (se si osservano le indicazioni della Commissione) perché questi detiene generalmente quote di mercato 23 Corte di giustizia del 5 ottobre 1988, in causa n. 53/87, Consorzio italiano della componentistica di ricambio per autoveicoli (Cicra) e Maxicar c. Régie nationale des usines Renault, in Raccolta, 1988, p. 6039; nonché Corte di giustizia del 5 ottobre 1988, in causa n. 238/87, AB Volvo c. Erik Veng Ltd., in Raccolta, 1988, p. 6211. 24 V., Commissione europea, Orientamenti aggiuntivi, ove al par. 15: “dato che i mercati dei servizi di riparazione e manutenzione e della distribuzione di pezzi di ricambio sono generalmente organizzati per marca, su tali mercati la concorrenza è intrinsecamente meno intensa di quella sul mercato per la vendita di autoveicoli nuovi. Anche se l’affidabilità è migliorata e gli intervalli tra un servizio di assistenza e l’altro si sono allungati grazie ai progressi tecnologici, tale evoluzione positiva è vanificata da una tendenza all’aumento dei prezzi per i singoli interventi di riparazione e manutenzione. Sui mercati dei pezzi di ricambio, i pezzi con il marchio del costruttore automobilistico concorrono con quelli dei fornitori di equipaggiamenti originali (OES) e con quelli di altre parti. Ciò mantiene la pressione sui prezzi in tali mercati, circostanza che influisce a sua volta sui prezzi dei mercati dei servizi di riparazione e manutenzione, in quanto i pezzi di ricambio incidono in larga misura sui costi di una riparazione media. Inoltre, i servizi di riparazione e manutenzione costituiscono nel loro insieme una parte molto elevata della spesa complessivamente sostenuta dai consumatori per gli autoveicoli, che rappresenta a sua volta una voce significativa del bilancio del consumatore medio”. 25 Il regolamento n. 461/2010/Ue va letto in relazione al regolamento n. 330/2010/Ue sugli accordi verticali e pratiche concordate. 26 Come detto, i ricambi originali possono essere acquistati sia presso la rete che direttamente presso i fornitori del costruttore della vettura, v. regolamento n. 461/2010/Ue. 27 La tipologia del “ricambio equivalente” sarà a seguito esaminata. 12 superiori al 30%. E’ pertanto chiara la volontà del legislatore di poter liberamente valutare il comportamento del costruttore alla sola luce del par. 1 dell’art. 101 TFUE, riservandosi di esaminare gli effetti concreti dei suoi comportamenti sul mercato. La Commissione probabilmente ha ritenuto che fornire un regolamento di esenzione ai costruttori di vetture avrebbe consentito loro di mettersi al riparo da comportamenti anticompetitivi anche solo formalmente rispettando agli obblighi del regolamento28. 3. Parti di ricambio: il ricambio originale, il ricambio equivalente, il ricambio ricondizionato. La messa in commercio di ricambi da parte di un costruttore dei medesimi è esaminabile anche sotto il mero aspetto qualitativo (e non sotto quello della omologazione o della protezione attraverso DPI). I costruttori di vetture hanno sempre cercato di impedire (per evidenti motivi) alle loro officine di usare per la manutenzione delle vetture pezzi scadenti (si vedano al riguardo le successive osservazioni a proposito della normativa sui marchi ove viene sindacata dal titolare del marchio la qualità del ricambio realizzato dal componentista) o non originali29. 28 Nel documento: Antitrust, La Commissione rivede le norme di concorrenza nel settore automobilistico, FAQ, Memo/10/217, ci si chiede come aumentare la concorrenza sui mercati della riparazione, manutenzione e dei pezzi di ricambio e si rileva che il principale cambiamento del nuovo regolamento d’esenzione per categoria (che si applicherà a decorrere dal 1° giugno 2010) è che gli accordi fra i costruttori automobilistici e le loro reti di riparatori autorizzati e distributori di pezzi di ricambio non beneficeranno più dell’esenzione automatica e questo poiché tali reti detengono generalmente una quota di mercato superiore al 30%. Sarà così più facile occuparsi direttamente del rifiuto di comunicare informazioni tecniche o dell’utilizzo abusivo delle garanzie per escludere i riparatori indipendenti, o delle nuove forme di restrizione che potrebbero emergere. Analogamente, è difficile che rientrino nell’esenzione per categoria gli accordi che obbligano i riparatori autorizzati ad acquistare i pezzi di ricambio presso i costruttori automobilistici, dato che anche questi ultimi detengono generalmente una quota di mercato superiore al 30% sui mercati dei pezzi di ricambio. Il regolamento di esenzione per categoria riguarda il rapporto tra il costruttore della vettura e la propria rete sul mercato; nel caso il costruttore non osservasse il regolamento, dovrebbe dimostrare che il suo comportamento, pur violando il par. 1 dell’art. 101 TFUE, beneficia dell’esenzione di cui al par. 3 della medesima norma, in ragione degli effetti pro competitivi generati. 29 Negli U.S.A. è noto il caso Mozart Co. Vs. Mercedes-Benz of North America, 833 F.2d 1342 (9th Cic.,1987). Ivi il costruttore di vetture sostenne con successo 13 Occorre a questo punto precisare i concetti di “ricambio originale” e di “ricambio di qualità equivalente all’originale”. Il ricambio originale è, in primo luogo, quello che il produttore della vettura destina alle riparazioni post-vendita. Con il regolamento n. 1400/2002/Ce era stata introdotta un’innovativa definizione: il ricambio originale è tale anche se è realizzato all’esterno del ciclo produttivo del fabbricante della vettura, ma secondo le sue specifiche tecniche. La definizione è stata ripresa all’art. 3, punto 26 della direttiva n. 2007/46/Ce negli stessi termini: “è definito ricambio originale quello che è costruito secondo le specifiche del costruttore del veicolo per la produzione delle parti o apparecchiature per l’assemblaggio del vicolo. Esse includono le parti costruite sulla stessa linea di produzione di tali parti. Salvo prova contraria si presume che le parti siano originali se il costruttore delle stesse certifica che esse sono di qualità equivalente ai comportamenti usati per l’assemblaggio del veicolo e sono state costruite secondo le specifiche del costruttore del veicolo”. La definitiva collocazione (a seguito della mancata reiterazione del regolamento n. 1400/2002/Ce) di questa definizione nella normativa sulla omologazione consente di ritenere, come detto, che la normativa sia applicabile anche a soggetti estranei al un contratto di distribuzione tra costruttore della vettura e concessionario (od officina). Il regolamento n. 1400/2002/Ce ha anche introdotto la definizione di “ricambio di qualità equivalente all’originale”: il costruttore del veicolo non che la rinomata qualità delle proprie automobili imponeva che fossero riparate con pezzi originali. Il ragionamento del distributore indipendente di ricambi Mozart partiva argutamente dalla constatazione che i contratti di concessione di vendita di Mercedes impedivano al concessionario (officina) di usare pezzi di concorrenti (Dealer shall neither sell or offer to sell for use in connection with MB passenger cars nor use in the repair or servicing of MB passenger cars any parts other than genuine MB parts or parts expressly approved by DBAG if such parts are necessary to the mechanical operation of such MB passenger), evidenziava un uso illegittimo di questo obbligo, raffigurandolo come tying (legame anticoncorrenziale fra due prodotti), assumendo la posizione dominante di Mercedes. La tesi era molto prematura per quegli anni, in relazione anche alle ancora incerte metodologie per calcolare le quote di mercato nella vendita dei ricambi. Sul tentativo del costruttore del bene complesso di bloccare il mercato dei ricambi, vedi i noti arresti giurisprudenziali Kodak c. Image, 504, U.S. 451(1992); Lexmark Int. c. Static Control Components, 387, F 3d 522 (2004). 14 può vietare alla propria rete di utilizzare nella riparazione questi ricambi, salvo non incorrere in un comportamento anticompetitivo30. Questa definizione è stata modificata dal punto n. 20 degli Orientamenti aggiuntivi31 che propone un’allocuzione del tutto evanescente: “ricambio di qualità sufficientemente elevata da non compromettere la reputazione della rete autorizzata”. La normativa sui ricambi equivalenti è destinata alle officine della rete del costruttore della vettura; in forza di questa esse possono effettuare riparazioni alle vetture della marca con ricambi non originali (ma di qualità equivalente agli originali), fuori dal periodo di garanzia (commerciale) della vettura. La qualità del ricambio equivalente all’originale è attestata dal suo produttore e l’onere di dimostrare che il ricambio non soddisfa gli standard qualitativi dell’originale incombe a chi la contesta (ad es. alla casa costruttrice del ricambio originale)32. La tematica del ricambio equivalente sotto il profilo del regolamento n. 1400/2002/Ce presuppone risolta la questione della possibile violazione dei DPI del costruttore della vettura, non interferendo su quale ultima tematica33. 30 Si è già notata la singolarità dell’utilizzo di un regolamento sulla concorrenza per definire la qualità di un prodotto. A ben vedere la qualità qui precisata è un requisito di sicurezza. 31 Comunicazione della Commissione, Orientamenti aggiuntivi. 32 Sulla dichiarazione di qualità equivalente, v. l’opuscolo FIGIEFA, The new competition law framework for the automotive aftermarket, su internet. 33 Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 98/71/CE sulla protezione giuridica dei disegni e dei modelli, cit. supra, nota 16, ove: “dopo l’adozione della direttiva sulla protezione giuridica dei disegni e modelli, la Commissione ha adottato il nuovo regolamento (CE) 1400/2002 relativo all’applicazione dell’articolo 81, par. 3 del Trattato a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico. Questa nuova disposizione ha risolto alcuni problemi pratici riguardanti la distribuzione dei pezzi di ricambio, in particolare nell’intento di garantire una concorrenza effettiva nel mercato dei servizi di riparazione e manutenzione permettendo, tra l’altro, ai consumatori di scegliere tra pezzi di ricambio concorrenti. Il regolamento non tratta tuttavia direttamente della questione fondamentale della protezione dei pezzi di ricambio mediante un diritto di proprietà industriale. Il regolamento n. 1400/2002 non fa quindi venir meno l’esigenza di un maggiore ravvicinamento e di una maggiore liberalizzazione delle normative nazionali per quanto riguarda i pezzi di ricambio. Risulta anzi indispensabile liberalizzare il mercato secondario perché il regolamento dia pienamente frutto”. 15 Nell’area dei pezzi di ricambio si utilizzano parti componenti con diverse denominazioni, tra questi si può far riferimento ai ricambi ricondizionati. Non risulta che vi sia una precisa normativa al riguardo, salvo in Francia ove vi è una obbligazione di dichiarare la qualità del pezzo al momento della vendita o della riparazione34. Non è chiaro se il ricambio ricondizionato possa rientrare nei ricambi di qualità equivalente o se debba essere compreso nella definizione di ricambio usato. Ove sia ripristinato dal suo costruttore originario parrebbe ricadere in quest’ultima definizione. Del ricambio ricondizionato fanno ampio uso i costruttori di veicoli: la domanda attiene sopra tutto alla riparazione di veicoli usati di non eccessivo valore; in tal modo il costo del ricambio non incide eccessivamente sul valore del veicolo. 4. L’informazione tecnica a) Il mercato dell’informazione Per facilitare l’attività degli operatori indipendenti, il costruttore della vettura è tenuto, nei loro confronti, ad una serie di obblighi informativi, di contenuto tecnico, sulla riparazione delle vetture. In tal modo si vuole migliorare, rendendolo maggiormente competitivo, il mercato dei servizi di assistenza tecnica post-vendita35: solo in presenza di una sufficiente 34 Par ailleurs, l’annexe 3 de l’arrêté du 29 avril 2009 fixant les modalités d’application de la procédure relative aux véhicules endommagés (« JO » du 14 mai 2009) dispose que « la liste des réparations effectuées sur le véhicule, précisant celles touchant à la sécurité ainsi que la nature des pièces remplacées (pièces neuves d’origine ou de qualité équivalente ou de réemploi), est transmise au propriétaire à sa demande », Jurisprudence automobile, 9/2009, Les multiples facettes de la pièce de rechange pour automobile. 35 V. art. 4, regolamento n. 1400/2002/Ce, ove: “l’esenzione non si applica qualora il fornitore di autoveicoli rifiuti di concedere agli operatori indipendenti l’accesso ad informazioni tecniche, attrezzature di diagnostica e altre apparecchiature o attrezzi, compreso tutto il software rilevante, o alla formazione richiesta per la riparazione e la manutenzione di detti veicoli o per l’applicazione di misure di tutela ambientale”. Vale notare che alla base di una migliore informazione sulla riparazione esistono anche esigenze di sicurezza, v. i ‘considerando’ n. 17, 18 e 19 della decisione n. 768/08/Ce, cit. infra, nota 230, ove: “tutti gli operatori economici, all’atto di immettere o di mettere a disposizione prodotti sul mercato, sono tenuti ad agire in 16 diffusione delle informazioni tecniche presso gli operatori indipendenti questo mercato può ritenersi concorrenziale. Si deve considerare che le officine possono operare su un mercato dell’approvvigionamento dei ricambi che vede presenti, oltre al produttore della vettura, anche componentisti indipendenti ed ove, in molti casi, la tecnologia del ricambio viene derivata da tecniche di decompilazione (reverse engineering); diversamente, il mercato delle informazioni tecniche appare naturalmente più ristretto perché il costruttore del veicolo opera come fornitore esclusivo delle medesime. La Commissione europea ha potuto constatare che i costruttori di vetture, in alcuni casi, si sono attenuti al rispetto formale delle norme dei regolamento di esenzione per categoria (ad esempio il regolamento n. 1400/2002/Ce), ma non hanno poi, di fatto, osservato, nelle effettive modalità di fornitura dell’informazione, i criteri imposti 36. Ciò emerge dalla lettura delle FAQ del 201237 e dai rapporti di UFC Que Choisir e di BOVAG38, ove si rimarca che l’accesso alle informazioni modo responsabile e in piena conformità delle prescrizioni giuridiche applicabili. Tutti gli operatori economici che intervengono nella catena di fornitura e distribuzione dovrebbero adottare le misure necessarie per garantire che siano messi a disposizione sul mercato solo i prodotti conformi alla normativa applicabile. La presente decisione stabilisce una ripartizione chiara e proporzionale degli obblighi corrispondenti al ruolo di ogni operatore nel processo di fornitura e distribuzione”. 36 V., Access to repair and maintenance information, cit. supra, nota 8, nonchè Orientamenti aggiuntivi. 37 Commissione europea, FAQ, Domande frequenti sull’applicazione delle norme antitrust della Ue nel settore automobilistico, 27 agosto 2012. Il documento è citato per esteso al termine del lavoro. 38 BOVAG - Euro 5, Investigation into technical information on websites of vehicle manufacturers, Marzo 2011, su internet; nello stesso senso l’inchiesta dell’Autorità della concorrenza francese dell’11 aprile 2012, sulla riparazione dell’automobile nonché quella di UFC Que Choisir, Reparation et entretien automobiles, la concurrence en panne, settembre 2012, sul sito di Que Choisir. L’Autorità della concorrenza francese aveva già rilevato nel 2007 una situazione anticoncorrenziale a carico di un costruttore, v. Autorità della concorrenza francese, Le Conseil de la concurrence renforce la concurrence dans le secteur de la réparation automobile (sul sito dell’Autorità), ove: ”Le Conseil de la concurrence vient de prendre aujourd’hui une décision rendant obligatoires les engagements pris par Citroën concernant la fourniture d’informations et outils techniques relatifs à la réparation des véhicules de sa marque. Suivant les mêmes orientations que celles définies au niveau communautaire le Conseil entend 17 tecniche sembra essere ancora molto limitato (circostanza peraltro dimostrata dal fatto che nel 2007 la Commissione europea aveva imposto ai costruttori di veicoli accordi per la fornitura di informazioni tecniche). Va, peraltro, rilevato che il diritto degli operatori indipendenti di accesso a determinate informazioni tecniche non si spinge sino travolgere i DPI (diritti di proprietà intellettuale) sul bene. L’art. 38 della direttiva 2007/46/Ce sulla omologazione delle vetture consente al costruttore della vettura di mantenere tale protezione, risolvendo questo conflitto. Ciò è pienamente compatibile con la base giuridica della direttiva che è l’art. 95 TCE (ora 114 TFUE). La norma mira la funzionamento del mercato interno, quindi alla tutela di tutti i players che operano sul mercato39. Al ‘considerando’ n. 8 del regolamento n. 715/2007/Ce (regolamento che fa parte del sistema normativo sulla omologazione) si precisa che le renforcer la concurrence entre réparateurs. L’entretien et la réparation des véhicules occupent une part croissante du budget des ménages: leur coût peut aujourd’hui représenter 40 % du coût global d’un véhicule”. Si è affermato che il deficit informativo verte principalmente sui seguenti punti: “ les problèmes rencontrés concernent pour l’essentiel la prise en charge de certains véhicules, la remise à zéro, le télécodage et la reprogrammation des calculateurs, l’interprétation des codes zéro, le couplage des données d’entretien ou de réparation avec des données protégées, ou encore l’accès au carnet d’entretien dématérialisé”, C. CHENEVOY, in Rechange & Reparation, 12 aprile 2012. 39 La base giuridica dell’art. 114 TFUE consente all’Unione europea di adottare atti non solo finalizzati ad eliminare gli ostacoli al funzionamento del mercato interno, ma anche a rimuovere le distorsioni presenti sul mercato (v. BARNARD, The sostantive Law of the EU, The four freedoms, Oxford, 2010; nonché, Access to repair and maintenance information, European Parliament, 2011, cit. supra, nota 8. La presenza dell’obbligo di fornitura di informazioni tecniche in una direttiva sulla omologazione (il regolamento n. 715/2007/Ce fa parte della normativa sulla omologazione) fa sì che la Commissione abbia a disposizione uno strumento che prescinde dal considerare la posizione dominante del costruttore nei confronti di costruttori di apparecchiature elettroniche e dal considerare, nella relazione verticali, comportamenti diretti verso operatori indipendenti fuori dalla rete. La normativa sull’omologazione evita pertanto i problemi di applicazione degli artt. 102 TFUE (abuso di posizione dominante) e 101 TFUE (divieto di intese restrittive), pur creando evidenti sinergie tra i due sistemi normativi (uno diretto alla sicurezza della circolazione ed uno alla concorrenza sul mercato). Infatti la mancata fornitura di informazioni tecniche fa ricadere l’accordo di assistenza post vendita nel par. 1 dell’art. 101 TFUE, mentre la carenza di informazioni lo fa ricadere nel par. 3 (v. par. 63 e 64, Commissione europea, Comunicazione della Commissione, Orientamenti aggiuntivi in materia di restrizioni verticali negli accordi per la vendita e la riparazione di autoveicoli e per la distribuzione di pezzi di ricambio per autoveicoli. 18 informazioni tecniche sono necessarie per favorire la libera circolazione dei beni, la liberà di stabilimento, la libertà di prestazione di servizi. La base giuridica dell’atto (legislativo) viene, pertanto, allargata sino a ricomprendevi anche le libertà fondamentali del Trattato40. La libera circolazione dei servizi imposta dall’art. 56 TFUE deve consentire, al contempo, ai consumatori di poter accedervi ed ai prestatori dei medesimi di prestarli. Poiché il servizio di assistenza tecnica post-vendita richiede il necessario possesso di informazioni tecniche del costruttore della vettura, un eventuale comportamento restrittivo del costruttore della vettura verrebbe ad incidere sulla circolazione del servizio, limitandolo. Come emerge dal (nuovo) considerando n. 20 della direttiva n. 2007/46/Ce, le informazioni tecniche costituiscono innanzi tutto un requisito tecnico di omologazione41. Ciò è ribadito in modo in equivoco al punto n. 3 (1) del regolamento n. 692/2008/Ce, ove si afferma che: “per ottenere l’omologazione CE riguardo alle emissioni e alle informazioni per la riparazione e la riparazione del veicolo, il costruttore dimostra che i veicoli 40 Il diritto di accesso alle informazioni tecniche si inserisce nella libertà del consumatore di poter liberamente usufruire dei servizi della riparazione postvendita nel paese comunitario che predilige. Tale liberta verrebbe meno se il costruttore della vettura non fornisse ai riparatori indipendenti le informazioni per la riparazione. Questo profilo di esame si aggiunge a quello del par. 1 dell’art. 101 TFUE (intese restrittive) e 102 TFUE (abuso posizione dominante). Sul diritto di poter esercitare la libertà dei servizi (art. 53 TFUE), v. direttiva n. 2006/123/Ce del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, in Guue n. L 376/36 del 27 dicembre 2006, ove si afferma che un libero mercato che induca gli Stati membri ad eliminare le restrizioni alla circolazione transfrontaliera dei servizi, incrementando al tempo stesso la trasparenza e l’informazione dei consumatori, consentirebbe agli stessi una più ampia facoltà di scelta e migliori servizi a prezzi inferiori. 41 “È ugualmente importante che i costruttori rendano le informazioni facilmente accessibili agli operatori indipendenti, al fine di garantire la riparazione e la manutenzione dei veicoli in un mercato pienamente competitivo. Questi obblighi di informazione sono stati finora incorporati nella legislazione comunitaria, in particolare nel regolamento (CE) n. 715/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2007, relativo all’omologazione dei veicoli a motore riguardo alle emissioni dai veicoli passeggeri e commerciali leggeri (Euro 5 e Euro 6) e all’ottenimento di informazioni sulla riparazione e la manutenzione del veicolo”. 19 (…)”. Al contempo sono un elemento di valutazione della concorrenza sul mercato della riparazione42. Il regolamento n. 715/2007/Ce ha imposto ai costruttori di vetture di rilasciare informazioni tecniche tramite i loro siti internet. Queste strutture sembrano riprodurre la fattispecie della “banca dati” di cui alla direttiva n. 96/9/Ce. Detti siti costituiscono, infatti, una raccolta di informazioni, consultabili per temi separati, ordinata in modo sistematico. Ora, è noto che le banche dati rappresentano uno strumento prezioso per lo sviluppo del mercato dell’informazione, strumento che deve tuttavia fare i conti con le regole della concorrenza43. La direttiva n. 96/9/Ce, che armonizza le regole delle banche dati nel mercato comunitario, afferma che le norme da essa dettate non possono essere utilizzate per rafforzare la posizione dominante del detentore dell’informazione. Occorre al proposito ricordare che nel diritto della concorrenza è principio consolidato che il rifiuto di concedere in licenza il diritto esclusivo di riproduzione dell’informazione non è di per sé abusivo, in quanto prerogativa fondamentale attribuita dal diritto di proprietà intellettuale. La Corte di giustizia ha tuttavia affermato che un tale diniego, in presenza di V., ‘considerando’ n. 12 del regolamento n. 566/2011/Ce, ove: “Al fine di garantire una concorrenza effettiva sul mercato per i servizi relativi alle informazioni per la riparazione e la manutenzione del veicolo (…). 43 Corte di giustizia del 29 aprile 2004, IMS Health GmbH & Co. OHG c. NDC Health GmbH & Co. KG, cit. infra, nota 131, precisa che il rifiuto, opposto da un’impresa che detiene una posizione dominante e che è titolare di un diritto di proprietà intellettuale su una struttura ad aree indispensabili per la presentazione di dati sulle vendite regionali di prodotti farmaceutici in uno Stato membro, di concedere una licenza per l’uso di tale struttura ad un’altra impresa, che intende anch’essa fornire siffatti dati nello stesso Stato membro, costituisce un abuso di posizione dominante ai sensi dell’art. 82 TCE (ora 102 TFUE) qualora siano integrate determinate condizioni. Inoltre si precisa che secondo una consolidata giurisprudenza, il diritto esclusivo di riproduzione fa parte delle prerogative del titolare di un diritto di proprietà intellettuale, con la conseguenza che un diniego di licenza, pur provenendo da un’impresa in posizione dominante, non può costituire di per sé un abuso di tale posizione (caso Volvo); tuttavia, come risulta dalla medesima giurisprudenza, dall’esercizio del diritto esclusivo da parte del titolare può, in casi eccezionali, derivare un comportamento abusivo. Sul caso Volvo, v., cit. supra, nota 23. 42 20 eccezionali circostanze44, può comportare un abuso in quanto ostacolo alla comparsa di un nuovo prodotto per il quale esiste una domanda potenziale dei consumatori e sia ingiustificato ed idoneo ad escludere qualsiasi concorrenza sul mercato derivato (a valle dell’infrastruttura)45. Le affermazioni di cui sopra possono valere in tutti i casi in cui un soggetto detiene informazioni rilevanti che impediscono l’accesso al mercato, anche se il rifiuto è giustificato dal diritto d’autore. Il caso può essere quello del possessore di una banca dati, dipendendo da una scelta del suo autore o costitutore46 se aprirla al pubblico (gratuitamente od a pagamento) o riservarla a proprio uso47. Si è già detto che nel settore automotive le 44 Secondo la dottrina sulle infrastrutture essenziali (essential facilities doctrine) l’accesso alla infrastruttura non può essere negato in presente di tre condizioni: (a) che verosimilmente al rifiuto di fornire l’accesso si verificherà l’eliminazione del concorrente intenzionato a fornire un prodotto non ancora presente sul mercato; (b) che non vi sono obiettive giustificazioni al rifiuto; (c) che l’infrastruttura alla quale si nega l’accesso è indispensabile per l’attività economica sul mercato rilevante in quanto non esistano sostituti attuali o potenziali. 45 Generalmente i motivi del rifiuto sono stati giustificati dall’esigenza di proteggere la risorsa essenziale con diritti di proprietà intellettuale. V. tra altre, Corte di giustizia del 26 novembre 1998, in causa n. C-7/97, Oscar Bronner c. Mediaprint Zeitungs und Zeitschriftenverlag GmbH & Co. KG, Mediaprint Zeitungsvertriebsgesellschaft mbH & Co. KG e Mediaprint Anzeigengesellschaft mbH & Co. KG, in causa C-7/97, in Raccolta, 1998, p. I-07791. Sulla teoria in esame, tra altri, G COLANGELO, Le public utilities tra regolazione e concorrenza - Là dove porta la dottrina dell’essential facility, in Enti pubblici, 2001, 451 ; D. DURANTE, G. MOGLIA, A. NICITA, La nozione di essential facility tra regolamentazione e antitrust - La costruzione di un test, in Mercato, concorrenza, regole, 2001, 257; A. VALERIANI, L’essential facility doctrine: sviluppi normativi ed orientamenti giurisprudenziali, in Resp. comunicazione impresa, 2001, 187; A. G. De CAPITE, Essential facilities doctrine: una disciplina in cerca d’identità, in Riv. dir. impresa, 1999, 579; M. SIRAGUSA, M. BERETTA, La dottrina delle essential facilities nel diritto comunitario ed italiano della concorrenza, in Contratto e impresa EU, 1999, 260; S. BASTIANON, A proposito della dottrina delle essential facilities. Tutela della concorrenza o tutela dell’iniziativa economica? in Mercato, concorrenza, regole, 1999, 149. 46 Si parla di costitutore nel caso di organizzazione metodico/sistematica della banca dati. 47 Ai par. 54 e segg. della sentenza della Corte di giustizia del 9 novembre 2004, in causa n. C-203/02, The British Horseracing Board Ltd and Others c. William Hill Organization Ltd., in Raccolta, 2004, p. I-10415, si precisa che il costitutore della banca dati può riservarsi il diritto di accesso esclusivo alla sua banca dati o riservare l’accesso a determinati soggetti o consentirne l’uso al pubblico. Se l’accesso è aperto al pubblico, il suo diritto sui generis non gli consente più di opporsi alla consultazione da parte di terzi. Tuttavia i terzi non possono estrarre la totalità dei dati o parte sostanziale dei medesimi, salvo autorizzazione. 21 informazioni tecniche per la riparazione devono48 essere messe a disposizione di una parte del pubblico (dei cd. operatori indipendenti) sia in relazione alle regole sulla concorrenza che ipotizzano (presumono) una posizione dominate del costruttore della vettura sul mercato della riparazione sia in relazione alle regole del sistema di omologazione (regolamento n. 715/2007/Ce49). b) La definizione ed il contenuto delle informazioni tecniche La definizione di “informazioni tecniche” per la riparazione degli autoveicoli è indicato nel regolamento (sull’omologazione) n. 715/2007/Ce: “ogni informazione sulla diagnosi, la manutenzione, l’ispezione, il controllo periodico, la riparazione, la riprogrammazione o la riinizializzazione del veicolo, fornita dai costruttori ai propri concessionari/meccanici autorizzati, con tutti gli emendamenti e supplementi successivi a tale informazione”. Tali informazioni devono essere fornite in formato standardizzato50. Negli Orientamenti aggiuntivi (esplicativi del regolamento n. 461/2010/Ue), si precisa che “il progresso tecnologico implica che il concetto di informazione tecnica sia flessibile. Al momento, tra le informazioni tecniche sono compresi, a titolo di esempio, software specifici, i codici di errore ed altri parametri, ivi compresi gli aggiornamenti, necessari per interventi sulle 48 V. il comunicato della Commissione europea IP/07/1332, Bruxelles, 14 settembre 2007, titolato: “Antitrust: la Commissione obbliga i costruttori automobilistici a dare alle officine indipendenti accesso alle informazioni relative alla riparazione dei veicoli”. Le decisioni assunte dalla Commissione contro alcuni costruttori di vetture si basavano sull’ art. 9 del regolamento n. 1/2003 che prevede che qualora la Commissione intenda adottare una decisione volta a far cessare un’ infrazione e le imprese interessate propongano degli impegni tali da rispondere alle preoccupazioni espresse loro dalla Commissione nella sua valutazione preliminare, la Commissione può, mediante decisione, rendere detti impegni obbligatori per le imprese. Sul tema, v. J. CLARK- A. NYKIEL MATEO, Four decisions bind DaimlerChrysler, Fiat, Toyota and General Motors to commitments to give independent repairers proper access to repair information, in Competition Policy Newsletter, 3/2007, 50. 49 Viene attribuita agli operatori indipendenti una sorta di licenza obbligatoria di accesso alla banca dati, simile a quella ipotizzata dalla Corte di giustizia nel caso IMS Health, cit. infra, nota 131. 50 Essendo le informazioni dirette a tutti gli operatori, vi è la necessità di usare un linguaggio standardizzato; sullo standard OASIS, v. note 5, 6 e 7 del documento, Access to repair and maintenance information, cit. supra, nota 8. 22 unità elettroniche di controllo implicanti l’introduzione e/o il ripristino delle impostazioni raccomandate dal fornitore, i numeri di identificazione dei veicoli o qualsiasi altro metodo d’identificazione dei veicoli, i cataloghi dei pezzi di ricambio, i procedimenti di riparazione e manutenzione, le soluzioni derivanti dall’esperienza pratica e relative a problemi che in genere riguardano un dato modello o una data partita, gli avvisi di ritiro dei prodotti nonché altri avvisi che indicano le riparazioni che possono essere effettuate senza spese nella rete dei riparatori autorizzati. Sono informazioni tecniche anche i codici dei pezzi di ricambio e ogni altra informazione necessaria per identificare il pezzo di ricambio corretto, del marchio del costruttore automobilistico, che può essere montato su un determinato veicolo, cioè il pezzo di ricambio che il costruttore automobilistico fornirebbe generalmente ai membri delle sue reti di riparatori autorizzati per riparare il veicolo in questione51”. Come detto, il legislatore comunitario usa, al contempo, per le informazioni tecniche, sia la normativa tecnica sull’omologazione che quella sulla concorrenza. Nelle FAQ del 201252, come si dirà, si afferma che nelle informazioni tecniche sono compresi anche i dati storici sulle riparazioni della vettura. Definizioni sostanzialmente corrispondenti si ritrovano nel regolamento n. 682/2008/Ce (“tutte le informazioni per la riparazione e la manutenzione del veicolo necessarie per l’ispezione, la diagnosi, la manutenzione periodica o la riparazione del veicolo”) e nel regolamento n. 64/2012/Ue, relativo ai veicoli pesanti (“i fabbricanti mettono in atto le disposizioni e le procedure necessarie, ai sensi dell’articolo 6 del regolamento n. 595/2009 e dell’allegato XVII del presente regolamento, al fine di garantire che informazioni relative all’OBD e alla riparazione e manutenzione del veicolo siano accessibili su Internet con un formato standard, in modo facile, rapido e non discriminatorio rispetto alle disposizioni impartite o all’accesso 51 Elenco originariamente contenuto nel regolamento n. 715/2007/Ce, poi aggiornato dal regolamento n. 692/2008/Ce e dal successivo regolamento n. 566/2011/Ue. 52 Citate per esteso al termine di questo lavoro. 23 consentito ai distribuiscono concessionari/meccanici inoltre agli operatori autorizzati. I indipendenti53 fabbricanti e a concessionari/meccanici autorizzati materiale di formazione tecnica”54). All’art. 3 il regolamento n. 715/2007/Ce afferma che l’informazione tecnica riguarda l’informazione fornita dal costruttore alla rete, con il ché se ne dovrebbe dedurre che non costituiscono informazioni tecniche sia quelle che non sono fornite alla rete che quelle che non hanno natura commerciale55 (diversamente avviene per le informazioni per la costruzione di apparecchiature di riparazione). Analogamente prevede il regolamento n. 83 UN ECE al punto 2.1956. c) Il contenuto specifico delle informazioni: le informazioni per i costruttori di apparecchiature di riparazione Nelle FAQ del 2012 si afferma che obiettivo degli Orientamenti aggiuntivi è quello di garantire che i riparatori indipendenti abbiano accesso agli 53 La definizione di operatore indipendente è lata, occorre far riferimento alle imprese coinvolte direttamente od indirettamente nella catena di riparazione della vettura, v. punto 15, art. 3, regolamento n. 715/2007/Ce. Il mercato della riparazione è strutturato a vari livelli, a monte della riparazione “fisica” della vettura vi è un mercato ove si negoziano informazioni tecniche sui ricambi, tools, ecc. A volte i ruoli si mischiano, si discute se il publisher possa operare come intermediario indipendente in favore di clienti “anonimi”. 54 Il punto è trattato nelle FAQ del 2012. 55 Ciò avviene perché l’informazione tecnica, come detto, è fondata sulla normativa sulla omologazione, pur essendo utilizzabile dalla normativa sulla concorrenza ai fini di valutare i comportamenti delle parti in un accordo. 56 V., punto 2.19, «informazioni di riparazione», tutte le informazioni necessarie per la diagnosi, la manutenzione, l’ispezione, il controllo periodo o la riparazione del veicolo, messe a disposizione dal costruttore a concessionari e officine di riparazione autorizzati. Tali informazioni comprendono all’occorrenza manuali di manutenzione, manuali tecnici, informazioni diagnostiche (per esempio valori minimi e massimi per le misurazioni), schemi elettrici, numero di identificazione della taratura del software applicabile a un tipo di veicolo, istruzioni per casi individuali e speciali, informazioni su attrezzi e apparecchiature, informazioni sui registri di dati e dati bidirezionali di controllo e prova. Il costruttore non ha l’obbligo di fornire informazioni che non sono coperte da diritti di proprietà intellettuale o costituiscono cognizioni specifiche di cui sono depositari il costruttore o i fornitori del costruttore del dispositivo di origine; in questo caso le necessarie informazioni tecniche non devono essere indebitamente negate”. Enfasi aggiunta. E’ qui evidente l’incapacità del legislatore tecnico di staccarsi dalla normativa sulla concorrenza. 24 strumenti di riparazione specifici per una determinata marca alle stesse condizioni applicabili ai membri delle reti autorizzate e che gli accordi tra il produttore di autoveicoli e il produttore di strumenti sono disciplinati dalle norme generali dell’UE in materia di concorrenza; devono, pertanto, essere valutati di conseguenza. Dunque, in termini generali, in base agli art. 101 TFUE e 102 TFUE57. In termini specifici occorre far riferimento all’allegato 1, appendice 5, del regolamento n. 692/2008/Ce, il quale precisa che per favorire la produzione di strumenti di diagnosi generici per le officine di riparazione multimarca ogni costruttore di veicoli mette a disposizione le informazioni di cui ai punti da 3.1. a 3.3. attraverso il proprio sito internet. Le informazioni messe a disposizione comprendono tutte le funzioni degli strumenti di diagnosi e tutti i collegamenti alle informazioni per le riparazione e alle istruzioni per l’individuazione e la soluzione dei problemi. L’accesso alle informazioni può essere subordinato al pagamento di un compenso ragionevole. Le informazioni in parola58 hanno maggior ampiezza di quelle destinate alla riparazione in quanto non trovano il limite naturale di informazioni destinate alla rete59. Il punto non è chiaro perché la definizione non è allineata a quella contenuta nel regolamento n. 715/2007/Ce. L’accesso alle informazioni tecniche sembra conseguire ad una trattativa negoziale tra il costruttore del veicolo ed il costruttore dell’attrezzatura (cd. 57 V., punto n. 3 degli Orientamenti Aggiuntivi. V., anche, art. 1, par. 8, regolamento n. 64/2012/Ue, ove: “Per fabbricare o riparare componenti OBD di ricambio, strumenti diagnostici e attrezzature di prova, i costruttori forniscono le pertinenti informazioni sull’OBD e sulla riparazione e manutenzione del veicolo a tutti i fabbricanti/ meccanici interessati di componenti, strumenti diagnostici o attrezzatura di prova, senza discriminazioni”. 59 Nel regolamento n. 566/2011/Ue, si precisa che: “al fine di garantire una concorrenza effettiva sul mercato per i servizi relativi alle informazioni per la riparazione e la manutenzione del veicolo e al fine di precisare che le informazioni in questione coprono anche i dati che devono essere forniti agli operatori indipendenti diversi dalle officine (per garantire che il mercato delle riparazioni e della manutenzione indipendenti nel complesso possa competere con i concessionari autorizzati, indipendentemente dal fatto che il costruttore del veicolo fornisca direttamente tali informazioni ai suoi meccanici e concessionari autorizzati) sono necessari ulteriori chiarimenti concernenti i dettagli delle informazioni da fornire a norma del regolamento (CE) n. 715/2007”. Enfasi aggiunta. 58 25 tool) che si sostanzia in una compravendita di informazioni in formato60 tangibile od intangibile (informatico). Se i dati forniti sono protetti da DPI si applicheranno le regole di questi ai fini della loro protezione61. Ad esempio, nel caso del software,si applicherà la normativa della direttiva 2009/24/Ce. L’accordo è soggetto ai regolamenti sulla concorrenza. d) Il contenuto specifico delle informazioni: le informazioni per i costruttori di ricambi L’art. 38 della direttiva n. 2007/46/Ce, stabilisce, in termini generali, che il costruttore del veicolo mette a disposizione dei costruttori di componenti o entità tecniche tutte le indicazioni, compresi, se del caso, i disegni specificamente elencati nell’allegato o nell’appendice di un atto normativo, che sono necessarie per l’omologazione CE di componenti o entità tecniche o per l’ottenimento di un’autorizzazione a norma dell’articolo 31. All’appendice 5, all. 1, del regolamento n. 692/2008/Ce (che è un regolamento sull’omologazione) si precisa che “il costruttore del veicolo è tenuto a comunicare le informazioni prescritte nella presente appendice per permettere la fabbricazione di pezzi di ricambio e manutenzione compatibili con il sistema OBD, di sistemi di diagnosi e di attrezzature di prova”. Analogamente afferma l’art. 1, par. 8 del regolamento n. 64/2012/Ue (“per fabbricare o riparare componenti OBD di ricambio, strumenti diagnostici e attrezzature di prova, i costruttori forniscono le pertinenti informazioni sull’OBD e sulla riparazione e manutenzione del veicolo a tutti i fabbricanti/ meccanici interessati di componenti, strumenti diagnostici o attrezzatura di prova, senza discriminazioni”). Rimane salva la protezione dei DPI sui ricambi. Nella sostanza, in questo caso, sembra ipotizzi una sorta di licenza obbligatoria per la fabbricazione di ricambi che consente ad una impresa di competere con il subfornitore del costruttore della vettura, limitatamente alle componenti previste dell’art. 38. 60 Il formato sembra offrire, in un certo senso, materialità alla informazione. In ogni caso non dovrebbe dubitarsi di poter ritenere beni immateriali prodotti dell’ingegno umano suscettibili di utilizzazione esclusiva. 61 V., art. 5, regolamento n. 1400/2002/Ce. 26 e) L’accesso alle informazioni sulla sicurezza della vettura (antifurto). Il costruttore della vettura è autorizzato a limitare la diffusione delle informazioni se riguardano la sicurezza della vettura e non sono fornite alla rete. Tuttavia deve fornire la prova dell’effettiva compromissione dell’interesse tutelato, prova non facile62. Non sempre il rifiuto è ammissibile. Nel regolamento n. 692/2008/Ce si precisa che l’accesso alle funzioni di sicurezza usate dai concessionari e meccanici autorizzati è reso disponibile agli operatori indipendenti con la protezione prevista dalla norma sulla sicurezza ISO 15764 utilizzando certificati di sicurezza conformi alla norma ISO 20828. L’operatore indipendente è accreditato e autorizzato a tal fine sulla base di documenti che dimostrano che l’operatore svolge un’attività economica legittima e non è stato condannato per attività criminali connesse. f) Le modalità dell’accesso alle informazioni tecniche Il regolamento n. 715/2007/Ce impone al costruttore della vettura di consentire l’accesso alle informazioni tecniche agli operatori indipendenti. Si sono già indicate le finalità di questo obbligo contenuto in un regolamento tecnico, seppur valutabile come comportamento anticoncorrenziale ove disatteso. Per operatori indipendenti si intendono: le imprese diverse dai concessionari e meccanici autorizzati, coinvolte direttamente o indirettamente nella riparazione e manutenzione dei veicoli a motore, i meccanici, i costruttori o i distributori di utensili, apparecchiature per la riparazione o parti di ricambio, gli editori di informazioni tecniche, i club automobilistici, gli addetti al soccorso stradale, ai servizi d’ispezione e di prova e alla formazione di installatori, i costruttori ed i meccanici di dispositivi per veicoli alimentati da combustibili alternativi. 62 FAQ 2012. 27 L’accesso è oneroso: i costruttori possono pretendere spese ragionevoli e proporzionate su base giornaliera, mensile e annua; le spese non sono ragionevoli né proporzionate se scoraggiano l’accesso. L’art. 6 stabilisce che “i costruttori consentono, attraverso siti web e un formato standardizzato, in modo facile, rapido e non discriminatorio rispetto al contenuto predisposto o all’accesso consentito ai concessionari/meccanici autorizzati, un accesso illimitato e normalizzato alle informazioni sulla riparazione e la manutenzione dei veicoli anche agli operatori indipendenti (analogamente detta l’art. 5 del regolamento n. 1400/2002/Ce: “l’accesso agli operatori indipendenti deve essere concesso in modo non discriminatorio, pronto e proporzionato e le informazioni devono essere fornite in una forma utilizzabile”). Le norme sull’accesso alle informazioni per la riparazione sono raccolte nell’Allegato XIV del regolamento n. 692/2008/Ce.; quelle per i costruttori di ricambi sono indicate, come detto, all’Appendice 5. Negli Orientamenti aggiuntivi63 si precisa che: “le modalità con cui sono fornite le informazioni tecniche sono inoltre importanti ai fini della valutazione della compatibilità degli accordi sui riparatori autorizzati con l’articolo 101 del trattato. L’accesso deve essere concesso a richiesta e senza indebiti ritardi, l’informazione deve essere fornita in modo utilizzabile e il prezzo richiesto non deve scoraggiare l’accesso alle informazioni non tenendo conto della misura in cui l’operatore indipendente ne fa uso. È opportuno che un fornitore di autoveicoli sia tenuto a concedere l’accesso alle informazioni tecniche sui nuovi autoveicoli contemporaneamente ai propri riparatori autorizzati e agli operatori indipendenti senza obbligare questi ultimi ad acquistare altre informazioni non necessarie per eseguire il tipo di lavoro in questione. L’articolo 101 del trattato, tuttavia, non obbliga un fornitore a dare informazioni tecniche in formato standardizzato o attraverso un sistema tecnico definito, come la norma CEN/ISO e il formato OASIS, come previsto dal regolamento (CE) n. 715/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio e dal regolamento (CE) n. 295/2009 della 63 Cit. per esteso al termine del lavoro. 28 Commissione, del 18 marzo 2009, relativo alla classificazione di talune merci nella nomenclatura combinata”. Il ‘considerando’ 18 del regolamento n. 566/2011/Ue prevede che “poiché attualmente non esiste un procedimento strutturato comune per lo scambio di dati relativi ai componenti del veicolo tra i costruttori e gli operatori indipendenti, è necessario elaborare i principi relativi a tale scambio di dati. Il Comitato europeo di normazione (CEN) deve sviluppare formalmente un futuro procedimento strutturato comune sul formato standardizzato dei dati scambiati”. Le modalità di accesso non incidono sulle tutele del contenuto delle informazioni fornite: l’art. 5 del regolamento n. 1400/2002/Ce precisava che: “se al bene in questione si applica un diritto di proprietà intellettuale o se esso costituisce un know-how, l’accesso non può essere negato in modo abusivo”. Ciò apre ad una trattativa caso per caso. Attraverso questi siti internet il costruttore della vettura gestisce raccolte di dati elaborate dal medesimo con logiche di consultazione, messe a disposizione del pubblico (pur limitato) degli operatori indipendenti. Regole particolari sono dettate nel caso in cui il costruttore della vettura utilizzi “data base” contenenti informazioni sulle riparazioni /manutenzioni della autovettura (cd. dati storici). Occorre, pertanto, chiedersi quali regole derivino dall’applicazione della direttiva n. 96/9/Ce 64. g) Le banche dati In termini generali, nel momento in cui una banca dati è messa a disposizione del pubblico ne viene consentito l’utilizzo, l’informazione è diffusa e si pone il problema della tutela di una infrastruttura che abbia i requisiti della creatività o dell’investimento rilevante. La direttiva n. 96/9/Ce assicura una tutela giuridica alle banche dati sia che esse siano il 64 Direttiva n. 96/9/Ce dell’11 marzo 1996, relativa alla tutela giuridica delle banche di dati, in Guce n. L 077 del 27 marzo 1996, p. 20 – 28. Secondo la più recente giurisprudenza sono banche dati anche motori di ricerca evoluti che gestiscono un catalogo manuale e/o automatico di pagine selezionate, Trib. Milano, ord., 24 marzo 2011, in banca dati Juris data. 29 frutto di uno sforzo vuoi creativo ed originale vuoi sistematico/organizzativo; in tal modo si evita che si verifichino sul mercato dell’informazione comportamenti di approfittamento parassitario. L’art. 1 della direttiva afferma che per "banca di dati" si intende una raccolta di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili grazie a mezzi elettronici o in altro modo. La protezione giuridica di una banca dati è assicurata dalla direttiva in parola la quale fa ricorso, oltre che al diritto d’autore (quando ne ricorrono i presupposti65), anche al diritto sui generis sull’infrastruttura che costituisce un’aggregazione logica di dati, indipendenti fra loro e che ha necessitato di una spesa rilevante per crearla66. 65 V., Corte di giustizia del 16 luglio 2009, in causa n. C-5/08, Infopaq International A/S c. Danske Dagblades Forening, in Raccolta, 2009, p.I-06569, ove: “il diritto d’autore ai sensi dell’art. 2, lett. a), della direttiva 2001/29 può trovare applicazione solamente con riferimento ad un oggetto che abbia carattere di originalità, ossia rappresenti il risultato della creazione intellettuale dell’autore. Per quanto riguarda le parti di un’opera, esse sono tutelate dal diritto d’autore laddove partecipino, in quanto tali, all’originalità dell’opera nel suo insieme. Le diverse parti di un’opera beneficiano quindi di una tutela ai sensi della disposizione citata a condizione che esse contengano taluni degli elementi che sono espressione della creazione intellettuale dell’autore dell’opera stessa. Tenuto conto dell’esigenza di un’interpretazione ampia della portata della tutela conferita dall’art. 2 della citata direttiva, non può escludersi che talune frasi isolate, o addirittura talune parti di frasi del testo di cui trattasi, siano idonee a trasmettere al lettore l’originalità di una pubblicazione quale un articolo di giornale, comunicando a chi legge un elemento che è in se stesso espressione della creazione intellettuale dell’autore di tale articolo. Simili frasi o simili parti di frase possono quindi beneficiare della tutela prevista dall’art. 2, lett. a), della direttiva”. La protezione della banca dati attraverso il diritto d’autore richiede l’originalità della struttura, v. Corte di giustizia dell’1 marzo 2012, in causa n. C-604/10, Football Dataco Ltd e altri c. Yahoo, in Raccolta, 2012; Corte di giustizia dell’1 dicembre 2011, in causa n. C145/10, Palmer c. Standard VerlagsGmbH e altri, in Raccolta, 2011. Il requisito dell’originalità della struttura non prende in considerazione il contenuto del materiale. Nella sentenza Football dataco Ltd., la Corte ha chiarito che il calendario degli incontri di un campionato di calcio non può essere tutelato attraverso il diritto d’autore quando la sua realizzazione sia dettata da regole o vincoli che non lasciano alcun margine alla libertà creativa. Secondo la Corte, la circostanza che la costituzione del calendario abbia richiesto un dispiego di attività e know-how significativi da parte del suo autore non giustifica, di per sé, la sua tutela in base al diritto d’autore. 66 Corte di giustizia del 9 novembre 2004, in causa n. C-444/02, Fixtures Marketing Ltd c. Organismos prognostikon agonon podosfairou AE (OPAP), in 30 L’art. 3 precisa che le banche di dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione dell’ingegno propria del loro autore sono tutelate in quanto tali dal diritto d’autore. La tutela delle banche di dati in base al diritto d’autore prevista dalla presente direttiva non si estende al loro contenuto e lascia impregiudicati i diritti esistenti su tale contenuto67. L’art. 7 attribuisce al costitutore della banca dati il diritto sui generis di vietare operazioni di estrazione e/o reimpiego della totalità o di una parte sostanziale del contenuto della stessa, valutata in termini qualitativi o quantitativi, qualora il conseguimento, la verifica e la presentazione di tale contenuto attestino un investimento rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo. La norma precisa che per "estrazione" si intende il trasferimento permanente o temporaneo della totalità o di una parte sostanziale del contenuto di una banca di dati su un altro supporto con qualsiasi mezzo o in qualsivoglia forma; b) per "reimpiego" qualsiasi forma di messa a disposizione del pubblico della totalità o di una parte sostanziale del contenuto della banca di dati mediante distribuzione di copie, noleggio, trasmissione in linea o in altre forme. Non è consentita l’estrazione e/o il reimpiego ripetuti e sistematici di parti non sostanziali del contenuto della banca di dati che presuppongano operazioni contrarie alla normale gestione della banca dati o che arrechino un pregiudizio ingiustificato ai legittimi interessi del costitutore della banca di dati. L’art. 8 prevede che il costitutore di una banca dati messa in qualsiasi modo a disposizione del pubblico non può impedire all’utente legittimo della stessa di estrarre e reimpiegare parti non sostanziali, valutate in termini Raccolta, 2004, p. I-10549, ove: “la nozione di banca di dati ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva 96/9, riguarda qualsiasi raccolta che comprenda opere, dati o altri elementi, separabili gli uni dagli altri senza che il valore del loro contenuto venga per questo intaccato, e che comporti un metodo o un sistema, di qualunque natura esso sia, che consenta di ritrovare ciascuno dei suoi elementi costitutivi. Un calendario di incontri di calcio costituisce una banca di dati ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva. 67 La normativa di riferimento sul diritto d’autore è contenuta nella L. 22 aprile 1941 n. 633, successivamente modificata. 31 qualitativi o quantitativi, del contenuto di tale banca di dati per qualsivoglia fine. La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha offerto chiarimenti in relazione alla non facile comprensione di queste norme. Nella sentenza OPAP la definizione di banca dati è molto ampia68. Per la sua costituzione non è rilevante il numero dei dati che costituiscono la raccolta, né il fatto che la raccolta sia costituita da elementi provenienti da una o più fonti diverse dal soggetto che costituisce tale raccolta, da elementi creati da quest’ultimo o da elementi che rientrano in entrambe queste categorie (purché non siano il derivato di un’attività esclusivamente meccanica). La tutela giuridica istituita dalla direttiva mira ad incentivare lo sviluppo di sistemi che assumono una funzione di «memorizzazione» e di «gestione delle informazioni»: la qualifica di banca di dati è perciò subordinata, innanzi tutto, all’esistenza di una raccolta di «elementi indipendenti», ossia di elementi separabili gli uni dagli altri senza che il valore del loro contenuto (informativo, letterario, artistico, musicale o di altro genere) venga ad essere per questo intaccato. Non rientra nel campo di applicazione della stessa la definizione di un’opera audiovisiva, cinematografica, letteraria o musicale. La qualifica di una raccolta come banca di dati presuppone poi che gli elementi (indipendenti) costitutivi di tale raccolta siano disposti in maniera sistematica o metodica. La raccolta deve essere su un supporto fisso, di qualsiasi natura, e contenere un mezzo tecnico quale un processo di tipo elettronico, elettromagnetico o elettroottico, o un altro mezzo, quale un sommario, un indice delle materie, un piano o un metodo di classificazione particolare, che consente la localizzazione di ogni elemento indipendente contenuto nel suo ambito (logica di elaborazione). La nozione di investimento, collegata al conseguimento, alla verifica o alla presentazione del contenuto di una banca di dati deve essere intesa, in generale, all’investimento destinato alla costituzione della banca di dati in quanto tale e non al reperimento dei dati. Il fine della tutela conferita dal diritto sui generis introdotta dalla direttiva non è la creazione di elementi che possano 68 Corte di giustizia del 9 novembre 2004, OPAP, cit. supra, nota 66. 32 essere successivamente raccolti in una banca di dati. L’investimento può consistere nell’impiego di risorse o di mezzi umani, finanziari o tecnici e deve essere rilevante sotto il profilo quantitativo o qualitativo. La valutazione quantitativa fa riferimento a mezzi quantificabili numericamente e la valutazione qualitativa a sforzi non quantificabili, quali uno sforzo intellettuale o un dispendio di energie. Quanto alle modalità di accesso, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha chiarito che esse devono innanzi tutto, rispettare gli accordi delle parti, generalmente nella forma della licenza non cedibile69 (modalità con cui 69 La Corte di giustizia, nella causa UsedSoft, cit. infra, nota 76, pone in discussione la tradizionale distinzione tra licenza e cessione, intervenendo in un caso in cui si discuteva se il download di un programma software on-line costituisse la prima messa in vendita del programma con conseguente esaurimento del diritto. La Corte ricostruisce la nozione di trasferimento di proprietà ai sensi del diritto comunitario e contrasta la tesi del proprietario del software di aver solo messo a disposizione il software con un contratto di licenza. Rileva che il download è privo utilità per l’utilizzatore se non si consente il pieno utilizzo della copia. Considerato che la vendita si sostanzia nel trasferimento oneroso della proprietà, la Corte ritiene che essa si realizzi in entrambi i casi, malgrado sia applicata una licenza obbligatoria la quale viene a regolare le modalità applicative. Il contratto di licenza che riconosce al cliente il diritto di utilizzare una copia per una durata illimitata implica una cessione del diritto di proprietà della copia, “conseguentemente, anche se il contratto di licenza vieta una successiva cessione, il titolare del diritto non può opporsi alla rivendita della copia”. Il primo acquirente di licenza perde il diritto all’uso, una volta che lo rivende come avverrebbe con un CD. Nel caso di accesso alle banche dati on line si realizza un servizio. La sentenza viene interpretata come una liberalizzazione del mercato del software usato e sembra minare alla base lo stesso concetto di licenza perché impone di far riferimento al contenuto effettivo del contratto posto in essere; conseguentemente esso deve ritenersi compravendita e non licenza se determina il trasferimento illimitato di un bene. Qualificare il contratto come vendita consente al primo acquirente di rivendere la copia, tangibile od intangibile. Su queste tematiche, Vernor v. Autodesk, 621 F.3d 1102 (9th Cir., 2010). Si è affermato (NEWMAN, The Journal of Corporation Law,Vol. 35:4, che: “Despite ongoing attempts by intellectual property owners to extend control over their creations, the first sale and patent exhaustion doctrines in United States copyright and patent law are still salient today. These doctrines, which allow consumers who buy copies of a protected work to resell, rent, or lend those copies, are important tools that help maximize public access to intellectual property and preserve consumer rights. However, the advent of digital technologies has begun to change the environment in which the first sale doctrine operates. No longer is the exchange or sale of physical goods the predominant form of transacting, but rather, digital transmissions are becoming more commonplace. This, in turn, has raised issues about the need and practicability of extending the first sale doctrine into the digital arena”. 33 vengono generalmente trasferiti i DPI70). Il divieto di estrazione/ripubblicazione della totalità o di parte sostanziale dei dati riguarda anche la copiatura dei dati (con accesso diretto alla banca dati) e l’elaborazione e riposizionamento (ridisposizione) dei medesimi. Infatti, anche un’attività di appropriazione preceduta da un’attività critica, danneggia l’investimento. Quando l’estrazione e ripubblicazione della totalità o di una parte rilevante dei dati è consentita contrattualmente si apre una fonte alternativa di accesso all’informazione destinata ad una altra banca dati o al consumatore. La protezione dell’infrastruttura permane71. h) La ripubblicazione della banca dati e rielaborazione dei dati nel settore automotive. Nel caso di un catalogo ricambi per autovetture, sono accessibili i numeri dei ricambi che legano il ricambio fisico al catalogo del costruttore, le logiche di elaborazione dei dati, gli schemi costruttivi, i disegni tecnici, i software, le informazioni (prescrizioni, dettami) sulla riparazione, le definizioni dei cd. codici di errore, gli schemi logici/tecnici per risolvere i problemi di funzionamento (cd. troubleshooting), ecc. In genere i cataloghi ricambi dei costruttori delle vetture sono in formato elettronico (sono utilizzati anche formati su supporto tangibile CD o cartaceo. 70 La licenza è generalmente definita come accordo obbligatorio in base al quale un’impresa titolare di un DPI, il licenziante, autorizza un’altra impresa, la licenziataria, a sfruttare il diritto per fini inerenti alla fabbricazione, all’utilizzazione e all’immissione in commercio, v., tra altri, v., FRANCESCHELLI (a cura di), Brevetti, Marchio, Ditta, Insegna, in Giur. sist. di dir. civ. e comm., Torino, 2004, 393. 71 L’autorizzazione al reimpiego di una parte sostanziale o della totalità della banca dati (attività vietata senza l’autorizzazione) consente al pubblico di accedere ad un’ulteriore infrastruttura. Il costitutore della banca dati ritrae comunque i costi dell’allestimento. Anche nel caso di ripubblicazione non sarà possibile all’utente estrarre la totalità dei dati senza specifica autorizzazione. L’estrazione dei dati e la loro collocazione sul web equivale ad una forma di reimpiego, v. Corte di giustizia del 18 ottobre 2012, in causa n. C-173/11, Football Dataco c. Sport radar, in Raccolta, 2012. 34 Siccome la tutela delle banche dati riguarda solo il sistema di organizzare i dati72, il contenuto è tutelabile, in primis, in tanto in quanto si possa ad esso applicare la normativa del diritto d’autore. Può essere il caso di forme espressive (disegni, cartigli, esplosi) che presentino elementi di originalità. Si è peraltro rilevato73 che nelle opere letterarie possono rientrare anche i manuali pratici, gli scritti destinati a fornire indicazioni operative ed i disegni tecnici, se vi è un apporto creativo, anche minino, dell’autore che caratterizzi la forma espressiva al di là del contenuto dei cataloghi ricambi,in quanto informazione tecnica74. Nel settore automotive il diritto di consultazione di un catalogo ricambi, in quanto informazione tecnica, deriva dalla normativa tecnica sulla omologazione e da quella sulla concorrenza (quindi non è necessario il consenso dell’autore o costitutore per ottenerla). Unico onere per la consultazione è il pagamento del corrispettivo. Non è chiaro se alla consultazione onerosa consegua anche il diritto all’estrazione dei dati. Nell’allegato XIV del regolamento n. 692/2008/Ce, alla Sez. 2.1 si precisa che l’informazione tecnica va resa attraverso un sistema costituito come un 72 V., Corte di giustizia del 5 marzo 2009, in causa n. C-545/07, Apis-Hristovich EOOD c. Lakorda AD, in Raccolta, 2009, p. I-01627, ove: “come risulta dall’art. 7, n. 4, della direttiva 96/9, il diritto sui generis si applica indipendentemente dalla possibilità, per la banca di dati e/o per il suo contenuto, di essere tutelati, segnatamente, dal diritto d’autore. Ne consegue che la circostanza che gli elementi contenuti in un sistema di informazione giuridica non possano essere ammessi, in ragione del loro carattere ufficiale, alla tutela fornita dal diritto d’autore non può, di per sé, giustificare che un insieme che comprenda elementi siffatti sia privato della qualificazione come «banca di dati», ai sensi dell’art. 1, n. 2, della direttiva 96/9, o che tale insieme sia escluso dalla sfera di applicazione della tutela mediante il diritto sui generis”. 73 P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto industriale, Proprietà intellettuale e concorrenza, Torino, 2005, p. 494. 74 Non vi sarebbe apporto creativo nell’elaborazione di un elenco telefonico, v. Trib. Torino (ord.) del 17 luglio 1997, ove: ”le ricorrenti fanno riferimento soprattutto alla direttiva n. 96/9/CE dell’11 marzo 1996 relativa alla tutela giuridica della banche di dati, il cui art. 7 (in tema di diritto sui generis) dispone che gli Stati membri attribuiscono al costitutore di una banca dati il diritto di vietare operazioni di estrazione o reimpiego della totalità o di una parte sostanziale del contenuto della stessa valutata in termini qualitativi e quantitativi, qualora il conseguimento, la verifica e la presentazione di tale contenuto attestino un investimento rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo. L’argomento non può essere condiviso”. Diverso potrebbe essere il giudizio sulle cd. “pagine gialle”, v. Trib. Milano 10 dicembre 1996. 35 “data base”, il chè si rinvia alla definizione di “data base” (o banca dati), già esaminata a proposito della direttiva n. 96/9/Ce. Riteniamo che l’autore od il costitutore della banca dati possano pretendere dal ripubblicatore che sia mantenuta l’originalità dei dati (nel senso di direttamente attribuibile al fabbricante) dei dati. Nel caso in cui in contenuto sia soggetto al diritto d’autore, l’obbligo deriva dallo stesso diritto; nel caso in cui la banca dati sia protetta dal diritto sui generis, quest’obbligo può essere tratto da altre norme. La direttiva n. 2006/42/Ce (cd. direttiva macchine) ci insegna che l’informazione tecnica originale è quella del costruttore e che eventuali “varianti” informative devono esplicitare la loro derivazione. E non potrebbe non essere diversamente perché se l’informazione, in caso di rielaborazione da parte di un terzo, perdesse il requisito della paternità e circolasse, essa potrebbe rendere responsabile della sua eventuale inesattezza il costruttore della vettura, evenienza che non si può dare. E’ la stessa natura dell’informazione tecnica, legata indissolubilmente al prodotto, a renderla intangibile. Peraltro, le informazioni fornite potrebbero costituire know how segreto oppure essere protette dai DPI, come previsto dall’art. 38 della direttiva n. 2007/46/Ce (“il costruttore del veicolo può imporre ai costruttori di componenti o entità tecniche obblighi destinati a proteggere la riservatezza di tutte le informazioni che non sono di dominio pubblico, anche per quanto riguarda i diritti di proprietà intellettuale”). Va ancora precisato che, quanto alla possibilità di rivendita dei dati acquisiti dal costruttore della vettura e messi a disposizione dei publisher, appare opportuno preliminarmente accertare la fattispecie che si realizza nel momento in cui avviene la fornitura delle informazioni tecniche (disegni, istruzioni, programmi software, ecc.). Abbiamo detto che queste operazioni avvengono generalmente attraverso i siti internet del costruttore della vettura. Queste infrastrutture forniscono informazioni tecniche su diversi supporti, sia tangibili (cartacei, CD) od intangibili (programmi software scaricabili). Da un punto di vista giuridico la fornitura può riprodurre una 36 licenza oppure una compravendita se attua il trasferimento perpetuo, a titolo oneroso, della proprietà su diritti materiali ed immateriali75. Tale copia è pertanto rivendibile in forza del principio comunitario dell’esaurimento del diritto, in tal modo si crea anche un mercato dell’usato dell’informazione76. Nel caso del semplice accesso e consultazione della banca dati on-line si desume dal 33° ‘considerando’ della direttiva n. 96/9/Ce che tale accesso realizza la ricezione di una prestazione di servizi, non soggetta all’esaurimento del diritto e quindi non liberamente rivendibile77. i) I raw data (le informazioni tecniche ed i publisher). Che il sito internet del costruttore della vettura vada valutato alla stregua di una banca dati di cui alla direttiva n. 96/9/Ce lo conferma la tematica dei “raw data”. Va premesso che non è sempre facile, per il riparatore indipendente, effettuare la riparazione della vettura, utilizzando un ricambio di qualità equivalente. Per acquistarlo egli deve servirsi di un catalogo ricambi edito da un publisher che consenta il collegamento tra il numero attribuito al ricambio originale dal costruttore della vettura ed il numero attribuito al ricambio equivalente da un determinato produttore indipendente78. 75 Nel caso in cui vi sia una licenza di distribuzione di opere protette dal diritto di autore, tale licenza va considerata unitamente al supporto e serve unicamente per regolare le modalità di utilizzazione della copia. Una volta che l’utilizzatore ha ricevuto la copia, tangibile od intangibile, si consuma la prima messa in commercio della medesima, seppur attraverso un atto di comunicazione al pubblico, con esaurimento del diritto di distribuzione. E’ tuttavia prassi dei costruttori distribuire cataloghi ricambi su CD configurando la cessione come licenza non cedibile. E’ ricorrente nei siti dei costruttore di vetture l’affermazione: “Il contratto di licenza viene concluso a tempo indeterminato (..). L’utente garantisce che i programmi vangano utilizzati solo per l’uso previsto e che non saranno ne copiati ne ceduti a terzi”. 76 Su questi temi v. Corte di giustizia del 3 luglio 2012, in causa n. C-128/11, UsedSoft c. Oracle International Corp., in Raccolta, 2012. 77 Il 33° considerando recita: “il problema dell’esaurimento del diritto di distribuzione non sussiste nel caso di banche di dati in linea, che rientrano nel settore delle prestazioni di servizi”. 78 L’opera del publisher è complessa perché non sempre riesce ad abbinare i codici dei ricambi originali a quelli OE (original equipment), a volte necessita la comparazione con i disegni a volte deve conoscere la serie dei ricambi montati su 37 Il catalogo ricambi di un operatore indipendente per poter “funzionare” efficacemente deve potersi collegare ad un catalogo “ufficiale” del costruttore della vettura che abbia un link tra il numero VIN della vettura ed il suo specifico allestimento. Se gli allestimenti non fossero specificatamente individuabili, l’officina dovrebbe andare per esclusione tra un paniere di possibili ricambi con il notevole margine di errore nell’ordine79. Tale problematica non si pone per il riparatore della rete (se usa un ricambio originale) perché generalmente utilizza un sistema di ordinazione dei ricambi che gli consente di “agganciare” automaticamente il ricambio originale alla versione specifica della vettura, attraverso l’indicazione del numero del telaio (VIN). Il regolamento n. 566/2011/Ue introduce un legame tra l’allestimento della vettura ed il VIN80. In precedenza, il regolamento n. 715/2007/Ce prevedeva l’obbligo del costruttore della vettura di fornire agli operatori indipendenti tutte le informazioni sulla identificazione inequivocabile del veicolo. Viene altresì ribadito dal regolamento n. 566/2011/Ue il significato della espressione “facile accesso alla informazione” (easily accessibile) già un modello, tale opera di ricostruzione richiede una serie di verifiche che se avvengono manualmente comportano costi rilevanti. 79 V. la nota di FIGIEFA del 23 novembre 2011, “European Commission Clarification on access to component information data”. Ivi si precisa che con l’aumento degli allestimenti personalizzati sarebbe particolarmente difficile per il riparatore indipendente effettuare un corretto (ordine di) acquisto del ricambio, risalendo all’allestimento originale della vettura che deve riparare. Nel sito di un noto costruttore si indica: “Catalogo Elettronico per parti di Ricambio valido per le Marche (…); include informazioni tra cui le liste di rotazione e di vernice con la possibilità di effettuare tramite internet l’interrogazione dei telai al fine di conoscere con precisione le parti di Ricambio della vettura in oggetto”. 80 Per l’uso del VIN come criterio di identificazione delle informazioni sulla vettura, v. regolamento n. 692/2008/Ce, ove si precisa che (v. all. 1, Annex 5: 3.1) le “sono richieste le seguenti informazioni, indicizzate in base a marca, modello e variante del veicolo ovvero ad altre definizioni adottate come il VIN o identificativi del veicolo e dei sistemi: a) relative a qualsiasi sistema informatico basato su un protocollo aggiuntivo necessario per una diagnosi completa, in aggiunta alle norme prescritte nell’allegato XI, punto 4, comprese informazioni su ogni eventuale protocollo hardware o software aggiuntivo, identificazione dei parametri, funzioni di trasferimento, prescrizioni «di mantenimento » o condizioni di errore; b) relative al modo di ottenere e interpretare tutti i codici di guasto non conformi alle norme prescritte nell’allegato 4)”. 38 introdotta dal regolamento n. 715/2007/Ce. Tale facile accesso deve essere asseverato dal costruttore in sede di omologazione81. Specificatamente, il regolamento n. 566/2011/Ue modifica l’allegato XIV del regolamento n. 692/2008/Ce, prevedendo che: "le informazioni relative a tutte le parti di cui il veicolo (quale identificato dal numero di identificazione del veicolo VIN nonché da ogni altro criterio supplementare tra cui l’interasse, la potenza del motore, il tipo di finitura o le opzioni) è dotato dal costruttore e che possono essere sostituite da pezzi di ricambio offerti dal costruttore ai suoi concessionari o meccanici autorizzati o a terzi mediante un riferimento a un numero di apparecchiature originali, sono rese disponibili in una “base dati” facilmente accessibile82 agli operatori indipendenti. Questa banca dati83 comprende il VIN, i numeri delle apparecchiature originali, la denominazione delle apparecchiature originali, le indicazioni di validità (inizio e fine di validità), le indicazioni di montaggio e, ove applicabile, le caratteristiche di struttura. Le informazioni devono essere aggiornate regolarmente. Gli aggiornamenti comprendono in particolare tutte le modifiche apportate a veicoli individuali dopo la loro 81 All’art. 13 il regolamento n. 692/2008/Ce prevede che: (Accesso alle informazioni relative all’OBD e alle informazioni per la riparazione e la manutenzione del veicolo) 1. I costruttori applicano le necessarie disposizioni e procedure, conformemente agli articoli 6 e 7 del regolamento (CE) n. 715/2007 e all’allegato XIV del presente regolamento, per assicurare un facile accesso alle informazioni relative all’OBD e alle informazioni per la riparazione e la manutenzione del veicolo. 2. Le Autorità di omologazione rilasciano l’omologazione solo dopo aver ricevuto dal costruttore un certificato riguardante l’accesso alle informazioni relative all’OBD e alle informazioni per la riparazione e la manutenzione del veicolo. 3. Il certificato riguardante l’accesso alle informazioni relative all’OBD e alle informazioni per la riparazione e la manutenzione del veicolo attesta la conformità all’articolo 6, paragrafo 7, del regolamento (CE) n. 715/2007. 82 V. anche art. 6, comma 4, regolamento n. 715/2007/Ce, ove (con formula che riprende quella del regolamento n. 1400/2002/Ce): “Le informazioni per la riparazione e la manutenzione dei veicoli sono accessibili sempre, salvo disposizione contraria a fini di manutenzione del sistema di informazione”. La facile processabilità dei dati è riferita alla possibilità di leggere il formato elettronico. L’accesso ai sensi dell’art. 3, par. 15, deve essere consentito a tutti gli operatori della filiera automobilistica. 83 Si allude all’infrastruttura di cui alla direttiva n. 96/9/Ce. 39 produzione se queste informazioni sono disponibili ai concessionari autorizzati”84. Le associazioni dei publisher interpretano la norma alla luce di un intervento di un funzionario della Commissione chiedendo di poter effettuare la ricerca: a) sia col metodo del VIN che con quello del Part Number, incrociando i dati ricavati; b) con possibilità di individuare con precisione lo specifico allestimento della vettura senza andare per esclusione delle parti che potrebbero applicarsi; c) con possibilità di accesso (processabilità) a dati complessivi e non per singolo veicolo o per singola Part Number; d) in via automatica85. Tale interpretazione è contestata dai costruttori dei veicoli che ritengono non necessarie informazioni così complesse. Il dibattito si è fatto molto acceso86, anche in relazione all’importanza economica degli interessi in gioco87. 84 I riparatori autorizzati devono disporre di dati aggiornati. E’ infatti evidente che l’esattezza del loro ordine di acquisto del ricambio è condizionata dall’effettiva possibilità di accertate dal catalogo il pezzo montato sulla vettura, verificando eventuali modifiche del pezzo o delle numerazioni a causa della sostituzione del fornitore del costruttore della vettura. Possono contribuire alla estrazione di dati “vecchi” i ritardi con cui il publisher della banca dati indipendente elabora i dati che estrae dai data base del costruttore della vettura. Tali problemi paiono superabili da un corretto e tempestivo abbinamento del VIN all’allestimento della vettura. Sul punto, v. Marché après-vente, La Commission européenne libère l’accès a l’identification des pieces de rechange, in Jurisprudence de l’Automobile, luglio 2011. 85 La formulazione del testo del regolamento n. 566/2011/Ue non è chiara, in quanto non si comprende esattamente se sia previsto un accesso automatico ai data base del costruttore del veicolo da parte dell’operatore indipendente. Nell’intervento di P. Jean, capo dell’Unità Automotive della DG Imprese, presso la Commissione europea, cit. supra, nota 3, si afferma: “In summary, the legislation mandates the access to vehicle component data to be provided in a way, which will allow for their automatic processing, and should therefore facilitate the efficient design and deployment of multi-brand IT applications supporting the identification of alternative spare parts by independent operators. Component identification is essential so that independent operators can continue to provide competitive products and services to multibrand and authorised repairers”. Enfasi aggiunta. 86 Sul dibattito che si è aperto, v. ACEA, Position on the Commission´s, Initiatives on Raw Materials, and the Flagship Initiative for a Resource Efficient Europe, Brussels, 21 March 2011, (sul sito ACEA.BE), nonché, Clepa and Figiefa confirm position on parts identification data (sul sito FIGIEFA). 87 La possibilità per un’officina indipendente di scegliere un ricambio alternativo dipende dalla possibilità di accedere a strutture informatiche (IT application), predisposte da “publisher” che raccolgono i dati (codice dei ricambi) forniti dal costruttore del veicolo e li raffrontano con i dati dei costruttori di ricambi 40 g) I data base sulla storia della vettura Al ‘considerando’ 15 del regolamento n. 566/2011/Ue si precisa che: “qualora i costruttori dei veicoli decidano di non conservare più i dati di riparazione e manutenzione, dati che anche il proprietario del veicolo può mettere a disposizione delle officine indipendenti così che esse possano indicarvi i lavori di riparazione e di manutenzione effettuati, in formato fisico nel veicolo, ma di conservarli nella base dati centrale del costruttore, tali dati, con il consenso del proprietario del veicolo, devono essere accessibili anche al riparatore indipendente così che egli possa continuare a tenere una registrazione completa dei lavori di riparazione e di indipendenti. Queste raccolte dati coinvolgono generalmente i ricambi di più costruttori di veicoli (“multi brand applications”). Se il “publisher”, allestendo la sua banca dati, ha automatico accesso ai dati del costruttore del veicolo, crea, in tempo reale, una banca dati che fornisce la corrispondenza tra i ricambi originali ed alternativi. Diversamente il “publisher” dovrebbe operare con raffronti manuali, estremamente lunghi e complessi. I dati devono poi essere in formato elettronico comune, l’art. 6 del regolamento n. 715/2007/Ce prevede che il linguaggio tecnico dei data base sia facilmente intellegibile (“standardised format”). Si è affermato che: “efficient operation in a multi-brand environment requires multi-brand databases and diagnostic tools based on accurate data provided by the vehicle manufacturers. To the extent the garage wants to identify parts itself, it should be able to use the offerings of the publishers of corresponding databases which compile the data of various vehicle suppliers under a uniform user interface and identify the correct parts available in the market. It is precisely this comparison of replacement parts of competing makes, all of which are suitable for a specific vehicle, which is not permitted by the software offered by the respective vehicle manufacturer. The databases of the vehicle manufacturers do not support the comparison of competing spare parts. They also require the time-consuming process of training on the different systems for various vehicle makes by the garages. All of this would be more efficient and competitive if publishers received the data from vehicle manufacturers in a manner that would allow them to compile the data on vehicles of various makes under one standardized search interface (…). The assignment of individual replacement parts to the vehicles they fit is especially important in this regard. This means that the usability of the technical information for the publishers (and also for parts wholesalers and other independent aftermarket operators) requires that the relation between the individual vehicle (identified by its VIN) and the correct replacement parts (normally identified by the OE part number in the systems of the vehicle suppliers) is provided by the vehicle supplier. Without these “raw data”, the technical information would not be usable for many of the independent market operators identified in the current MVBER”; documento del 24 settembre 2009 della Federazione danese delle piccole e medie imprese, inviato alla Commissione europea (sul sito della Federazione). Sul tema v. anche il recente All. XVII del regolamento n. 64/2012/Ue, sui veicoli pesanti. 41 manutenzione effettuati e consentire al proprietario del veicolo di disporre, in un solo documento, della prova di tutti i lavori”. E’ chiaro l’intento di questa norma di consentire al riparatore indipendente di conoscere gli interventi riparativi eseguiti sulla vettura, anche al fine di evitare una duplicazione di operazioni. Essa tuttavia non è di facile applicazione. Intanto, non risulta che il costruttore del veicolo crei un sistema per conservare i dati delle riparazione dei veicoli in formato fisico, in quanto (generalmente) registra solo periodici controlli (i cd. tagliandi) circa operazioni prefissate. Se ne deduce che il costruttore della vettura dovrebbe allestire un “data base” che descrive, anche nell’interesse del proprietario del veicolo, la storia del mezzo, accessibile ai riparatori esterni. I problemi da superare non sono pochi: a) il costo della gestione del servizio, b) il consenso dei vari proprietari a rendere disponibili questi dati ai successivi proprietari, c) la responsabilità per eventuali errori nella gestione dei “data base”. La questione del costo potrebbe essere affrontata con contratti di abbonamento annuali. Al punto n. 17 delle FAQ del 201288 ci si chiede: si può impedire a un riparatore indipendente di accedere a una versione cartacea o elettronica dello storico degli interventi di manutenzione o assistenza effettuati sul veicolo o di aggiornarla? La risposta è: no, nella misura in cui un fornitore di autoveicoli e/o i suoi riparatori autorizzati costituiscono probabilmente l’unica fonte della documentazione completa relativa ai veicoli delle sue marche. L’eventuale rifiuto di concedere l’accesso alla documentazione relativa agli interventi di manutenzione o assistenza effettuati sul veicolo determinerebbe probabilmente una violazione delle norme UE in materia di concorrenza da parte degli accordi tra il fornitore di autoveicoli e i suoi riparatori autorizzati. I documenti esistenti relativi ai servizi di manutenzione e riparazione, in qualunque forma, devono essere trattati come informazioni tecniche ai fini dell’applicazione degli orientamenti aggiuntivi. L’accesso a tali documenti sarà, in generale, necessario per 88 Citato al termine. 42 consentire al riparatore di esattamente accertare quali operazioni devono essere effettuate per aggiornare il piano di manutenzione della vettura. Una eventuale incompletezza del piano (o dei servizi di manutenzione e riparazione) potrebbe ridurre il valore residuo del veicolo e rendere difficile al consumatore dimostrare che i termini della garanzia sono stati rispettati. Peraltro, se i riparatori indipendenti non avessero la possibilità di aggiornare i documenti riguardanti la storia della vettura, probabilmente il ricorso a tali riparatori da parte dei consumatori verrebbe scoraggiato e i suddetti operatori verrebbero esclusi da una parte sostanziale del mercato. La medesima tematica è presente nel regolamento n. 64/2012/Ue sui veicoli pesanti, ove si afferma al par. 10 che se le attività di riparazione e di manutenzione di un veicolo sono memorizzate in una banca dati centrale del fabbricante del veicolo o a suo nome, le officine indipendenti che sono state abilitate e autorizzate ai sensi dell’allegato XVII, sezione 2.2, devono poter accedere ai dati gratuitamente e alle stesse condizioni dei meccanici autorizzati e introdurre informazioni sull’attività di riparazione e di manutenzione da essi eseguite. 5. Il ricambio elettronico. L’informazione tecnica è, in termini generali, un servizio offerto a terzi con diverse modalità (supporto fisso, elettronico, ecc.) e non un ricambio. Nel caso di accesso al sito del costruttore per “scaricare” un software utilizzabile per la riprogrammazione di un sistema elettronico, si acquista un prodotto/servizio. Con il regolamento n. 1400/2002/Ce si è cominciato ad introdurre il diritto degli operatori indipendenti di ricevere informazioni tecniche ai fini della riparazione delle vetture. Tra queste informazioni vi sono anche le “informazioni di accesso alle attrezzature di diagnostica od altre apparecchiature, compreso tutto il software rilevante. L’accesso deve comprendere, in particolare, l’utilizzo senza restrizioni dei sistemi di controllo elettronico e di diagnostica, la programmazione di tali sistemi in conformità con le procedure standard del fornitore. Se al bene in questione 43 si applica un diritto di proprietà intellettuale l’accesso non deve essere negato in modo abusivo”. Questa tematica è trascurata dal successivo regolamento n. 461/2010/Ue, ma tale dimenticanza è voluta perché viene ampiamente trattata, in sedes materiae, dai regolamenti n. 715/2007/Ce, n. 692/2008/Ce e n. 566/2011/Ue. Da questo quadro nascono temi di notevole interesse. Intanto, si assiste ad una riparazione “senza ricambio fisico” in quanto l’officina indipendente “ripara” il difetto del veicolo solo con strumenti elettronici (di diagnosi e di riprogrammazione); aggiornamenti 89 tali strumenti operano letture, modifiche o 90 dei programmi dei software . Dunque, la riparazione avviene non sulla parte “materiale” (fisica) di un componente della vettura, ma su una parte “viva” (logica), rappresentata dal software. Non si determinano tuttavia tematiche differenti da quelle generali dei ricambi. Ci si potrebbe chiedere se si possa porre, anche per il ricambio elettronico, la distinzione tra ricambio “originale” (nel senso dell’art. 1 della direttiva 1400/2002/Ce: per «pezzi di ricambio originali» si intendono i pezzi di ricambio la cui qualità è la stessa di quella dei componenti usati per l’assemblaggio dell’autoveicolo e che sono fabbricati secondo le specifiche tecniche e gli standard di produzione forniti dal costruttore per la produzione di componenti o pezzi di ricambio dell’autoveicolo in questione, ivi compresi i pezzi di ricambio prodotti sulla medesima linea di produzione di detti componenti) e “equivalente”. Nel caso in cui l’officina indipendente acquisti dal costruttore, tramite il sito internet, il software necessario per la riparazione, il software si potrà dire “originale”. Non è escluso che la riparazione sia effettuata anche “da remoto” attraverso particolari apparecchiature. 90 Sulla protezione giuridica del software, v. direttiva 2009/24/Ce in Guue n. L 111/16 del 5 maggio 2009; la direttiva modifica la precedente n. 91/250/Cee. La tutela viene assicurata attraverso il diritto d’autore. La prima vendita della copia del programma nella Ue da parte del titolare del diritto esaurisce il diritto di distribuzione. Ciò avviene anche se il programma è scaricato on-line, v. caso UsedSoft, cit. supra, nota, 76. 89 44 Seguendo la giurisprudenza Usedsoft91 sarebbe probabilmente possibile, se si realizzasse una compravendita, rivendere il programma come “usato”. Nel caso in cui un costruttore di componenti elabori un proprio software, a determinate condizioni si potrà probabilmente dire che è “equivalente”92, se invece il componentista si avvale lecitamente (dietro accordo) del know how del costruttore si avrà un ricambio “compatibile”93. 6. La tutela del ricambio in relazione alla forma del bene complesso Il ricambio specifico di una vettura riproduce esattamente la parte originale in quanto il suo utilizzo è (generalmente) possibile solo nella medesima forma (un fanale od un parafango di una vettura non sarebbero utilizzabili se di forma diversa)94. Il ricambio generico è una parte componente che si presta alla riparazione di diversi beni complessi. Il tuning è un componente diverso dal ricambio (per forma o tecnologia di realizzazione), non finalizzato alla riparazione, ma al miglioramento od alla personalizzazione della vettura. Tale differenza rileva ai fini della diversa tutela accordata. Generalmente il costruttore della vettura oppone al costruttore del ricambio il brevetto per modello della vettura completa oppure l’uso illegittimo del proprio marchio registrato sul ricambio. Il costruttore (o distributore) del ricambio oppone al costruttore della vettura la cd. clausola di riparazione95, cioè l’illegittimità della tutela del ricambio perché impedisce ai terzi di operare sul mercato della riparazione. 91 V., cit. supra, nota 76. Ovviamente la modifica del software non dovrebbe realizzare una modifica violazione dei parametri di omologazione della vettura ai sensi dell’art. 78 del Codice della Strada. 93 V. appendice 5, all. 1, regolamento n. 692/2008/Ce ove: “Il costruttore del veicolo è tenuto a comunicare le informazioni prescritte nella presente appendice per permettere la fabbricazione di pezzi di ricambio e manutenzione compatibile con il sistema OBD, di sistemi di diagnosi e di attrezzature di prova”. 94 Ciò non solo per un fatto estetico, ma anche per il divieto di modificare la vettura, così come omologata, quantomeno in certe parti componenti. 95 La teoria, definita anche “must match exception” è risalente nell’ordinamento inglese che esclude dalla tutela dei modelli le parti componenti che ripristinano la funzionalità del bene complesso. 92 45 Quanto alla prima questione appare opportuno innanzitutto distinguere tra forma del bene complesso (autovettura) e forma della singola parte componente. Non si discute della protezione della forma del prodotto complesso. Diverso è il caso del ricambio, la cui forma appare (generalmente) necessitata perché diversamente essa farebbe assumere al bene primario un aspetto diverso. Gli Stati comunitari hanno assunto posizioni diverse sulla tutela dei ricambi96. La direttiva 98/71/Ce97 sui disegni e modelli industriali ha cristallizzato ("freeze plus”) la situazione quo ante, prevedendo che ogni Stato membro mantenga in vigore le disposizioni vigenti sulla tutelabilità dei pezzi di 96 La questione verte sulle cd. parti visibili, perché su quelle nascoste il tema appare di scarso interesse. In Francia era stata presentata in Parlamento su una proposta di legge volta a liberalizzare la vendita dei ricambi, ma il tentativo è però fallito, Ove fosse diventata legge, tale proposta avrebbe effetti dirompenti, perché la Francia dispone di una legislazione a tutela delle parti componenti di ricambi. Gli argomenti che vengono spesi a favore della modifica legislativa sono legati al minor costo dei pezzi di ricambio presenti nell’aftermarket, al rafforzamento della concorrenza sul mercato ed alla miglior disciplina delle industrie che lavorano come subfornitori unidirezionali, sul punto, v. E. PERONET, De l’interet de liberaliser le marché de pièces de carrosserie automobile, in Jurisprudence Automobile, ottobre 2010, n. 3. HUGUET BRAUN - WEHNER, Dessins, modeles et pièces detachées, ott. 2012, su internet; La tentative de libéralisation de la pièce de carrosserie tombe à l’eau (senza nome), in Jurisprudence Automobile, novembre 2011. 97 Direttiva 98/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 1998 sulla protezione giuridica dei disegni e dei modelli, in Guce n. L 289 del 28 ottobre 1998, p. 28 -35. E’ stata presentata una Proposta di modifica della direttiva (v. cit. supra, nota 16), sulla quale non è stato trovato ancora l’accordo. Ivi si afferma che attualmente la direttiva non esclude dal regime di protezione giuridica dei disegni e modelli i pezzi di ricambio: la protezione di disegni e modelli della parte nuova nel mercato primario può essere applicata anche al pezzo di ricambio nel mercato secondario (….). Poiché la direttiva non ha cambiato lo status quo per quanto riguarda i regimi esistenti dei pezzi di ricambio negli Stati membri, eccetto che nel senso di permettere la liberalizzazione, nelle circostanze attuali un’analisi delle conseguenze della direttiva stessa non sarebbe di aiuto per decidere quali cambiamenti siano necessari. Il Parlamento europeo si è espresso in favore della clausola di riparazione con Relazione del 12 dicembre 2007 sulla Proposta di modifica della direttiva 98/71/CE, relatore Klaus- Heiner Lehne; nello stesso senso si è espresso il Comitato economico e sociale europeo con documento del 6 settembre 2010, titolato: “La reparation automobile en cas de collision: comment garantir la liberté de choix et la sécurité du consommateur?". V. anche, di recente, European Parliament, 25 giugno 2013, DRAFT report, Rapporteur: F. Proust, ove si propugna: “a full liberalisation of the market in visible spare parts (adoption of the repair clause). 46 ricambio98. La direttiva, a questo punto con disposizioni solo programmatiche99, prevede che il modello o disegno (sia dell’intero prodotto che di una sua parte), per essere tutelato, deve possedere i requisiti di novità e di individualità; la protezione è ammissibile solo per quelle parti che, una volta incorporate nel prodotto complesso, rimangono visibili100 durante la normale utilizzazione del prodotto. All’art. 7 la direttiva stabilisce che non sono protette dal diritto su un disegno o modello le caratteristiche dell’aspetto del prodotto determinate unicamente dalla sua funzione tecnica né le caratteristiche dell’aspetto del prodotto che devono essere necessariamente riprodotte nelle loro esatte forme e dimensioni per poter consentire al prodotto in cui il disegno o modello è incorporato o cui è 98 V. art. 14 della direttiva n. 98/71/Ce, cit. supra, nota 97, (disposizioni transitorie): “Fino all’adozione delle modifiche alla presente direttiva, su proposta della Commissione a norma dell’articolo 18, gli Stati membri mantengono in vigore le loro attuali disposizioni giuridiche riguardanti l’uso del disegno o modello protetto di un componente utilizzato per la riparazione di un prodotto complesso al fine di ripristinarne l’aspetto originario e introducono modifiche alle loro attuali disposizioni giuridiche solo qualora l’obiettivo sia la liberalizzazione del mercato di tali componenti”. Nelle conclusioni dell’avvocato generale M. J. MISCHO presentate il 20 marzo 2003, nella causa n. C-115/02, Administration de Douanes c. Rioglass, in Raccolta, 2003, si parla di inapplicabilità di fatto della direttiva. 99 Si consideri però che la possibilità dello Stato comunitario di mantenere una propria normativa è condizionata dal fatto che essa non sia in contrasto con i principi dell’ordinamento comunitario, v. punto n. 26 della sentenza della Corte di giustizia del 26 settembre 2000, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica francese, in causa n. C-23/99, in Raccolta, 2000, p. I-07653. 100 Il riferimento alla protezione delle parti visibili è presente nella normativa francese: v. Jurisprudence Automobile, 1/2013, La clause de riparation, ove : « En application de la théorie de l’unité de l’art élaborée par le bâtonnier Pouillet au début du vingtième siècle, puis développée et renforcée tout au long du siècle passé jusqu’à l’avènement de l’ordonnance du 25 juillet 2001, les pièces visibles peuvent bénéficier cumulativement des deux protections. Cependant, la France est le seul pays en Europe à appliquer le cumul total, à savoir qu’une oeuvre utilitaire, comme une pièce de carrosserie, peut être protégée, indépendamment de son caractère utilitaire et de sa destination, tant par la loi sur les droits d’auteur que par celle codifiant les dessins et modèles, à condition, bien évidemment, de remplir les critères de protection particuliers prévus par chacune de ces législations. Ce cumul permet ainsi aux juridictions françaises, par exemple, de ne pas avoir à s’interroger sur la qualité du caractère artistique d’un objet appartenant à la catégorie des arts appliqués pour décider de le faire bénéficier de la protection accordée par le droit d’auteur, contrairement à ce qui se passe dans d’autres pays. Avec cette théorie, en France, dès lors qu’il y a création, la protection par le droit d’auteur est acquise (3) dans la mesure où il n’est exigé aucune condition du caractère artistique de l’objet utilitaire ». 47 applicato di essere unito o connesso meccanicamente con altro prodotto, ovvero di essere collocato in esso, intorno ad esso o in contatto con esso, in modo che ciascun prodotto possa svolgere la propria funzione. In deroga a quanto sopra, il disegno o modello è protetto quando ha lo scopo di consentire l’unione o la connessione multipla di prodotti intercambiabili in un sistema modulare. Ove potesse sostenersi la riferibilità di questa norma ai pezzi di ricambio, si potrebbe dire che si è assistito ad una chiara presa di posizione del legislatore. Secondo una parte della dottrina l’articolo in questione sembra tuttavia riferirsi solo ai prodotti modulari101. Il Codice della proprietà industriale recepisce la normativa comunitaria all’art. 241, introducendo il principio (repair clause) per cui sino a chè la direttiva n. 1978/71/Ce non sarà modificata, i diritti esclusivi sui componenti di un prodotto complesso non possono essere fatti valere per impedire la fabbricazione e la vendita dei componenti stessi per la riparazione del prodotto complesso ai fini di ripristinare l’aspetto originario. La nostra Corte Suprema, dopo una serie di contrastanti decisioni delle corti di merito, aveva da tempo risalente abbracciato la tesi della clausola di riparazione102, affermando che è consentito al concorrente del costruttore del 101 V., M. SCUFFI, M. FRANZOSI,A. FITTANTE, Il codice della proprietà industriale, Cedam 2005, 209. Nel Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di modifica della direttiva 98/71/CE, si afferma che poiché non sono proteggibili quelle caratteristiche dell’aspetto (del componente) che devono essere necessariamente riprodotte nelle loro esatte forme e dimensioni per poter consentire la connessione o interconnessione con un altro prodotto o componente, nel campo automobilistico questo comporta ad esempio il fatto che può essere protetta con il diritto sul design la forma di un paraurti o di uno specchietto retrovisore, ma non la configurazione degli attacchi per collegare meccanicamente il pezzo alla carrozzeria. 102 Cass., 24 luglio 1996, n. 6644, in Arch. giur. circol. e sinistri, 1996, 907, in Riv. dir. ind., 1997, II, 3 (nota di VIGNALI), in N.G.C.C., 1997, I, 658 (nota di MAGNANI), la quale, a proposito della brevettabilità dei fanali di una autovettura, ha stabilito che: “per la validità di un brevetto per modello ornamentale (art. 5 r.d. 25 agosto 1940 n. 1411 e art. 2593 c.c.), la cui finalità è quella di difendere e premiare un’idea creativa attraverso il riconoscimento del diritto allo sfruttamento esclusivo dell’idea stessa, è necessaria la sussistenza, in capo all’oggetto, di un valore estetico, ovvero un pregio estetico, che lo caratterizzi sotto tale profilo in modo autonomo, di talché esso acquisisca un suo specifico valore di mercato; ne 48 veicolo, in assenza di privative, mettere in commercio pezzi destinati a sostituire parti del prodotto di altro imprenditore, in quanto i pezzi di ricambio vanno fisiologicamente a comporre un certo insieme di cui debbono necessariamente ripetere le caratteristiche formali103. Dunque non è proteggibile dal costruttore della vettura la parte che ha la funzione di ricambio specifico, non è proteggibile dal costruttore generico un componente generico non esclusivamente riferito a quel prodotto complesso). Si pone così, almeno concettualmente, la distinzione tra ricambio ed accessorio (optional) e la recessività del DPI riguardo solo il primo. Conseguentemente il componentista indipendente non potrebbe realizzare la copia di accessori del costruttore della vettura che non consegue che deve negarsi la brevettabilità di un prodotto che costituisce parte di un prodotto più complesso oggetto di autonomo brevetto quando la forma del primo è necessitata dal fatto di essere parte del secondo, atteso che non è consentita l’artificiosa frammentazione di una stessa idea stilistica sulla base della mera frammentabilità del "corpus mechanicum" nel quale essa si è realizzata, con l’ulteriore conseguenza che il titolare (o il licenziatario) del brevetto relativo al prodotto complesso non può invocare una (ulteriore) tutela esclusiva relativamente ad una singola parte del prodotto stesso non caratterizzato da un autonomo pregio estetico”. 103 La tesi è poi stata successivamente affermata in altre pronunce, tra cui Cass. 9 marzo 1998, n. 2578 in N.G.C.C., 1999, I, 8 (nota di VALENTI). Di recente il Trib. La Spezia (sentenza del 15 luglio 2010, in Giur. pen., 2010, 11, 1142) ha affermato che: “costituisce attività lecita ex art. 11 e 241 d. lgs. 10 febbraio 2005 n. 30 (c.d. "codice della proprietà industriale") la produzione di pezzi di ricambio di autovetture da parte di soggetti diversi dal produttore della autovettura e pur se di forma identica all’originale”. Nel caso di specie è stata ritenuta lecita la commercializzazione di cerchi in lega che, seppur privi del marchio delle case automobilistiche, risultavano aventi design esteriore identico a quelli originali installati dalle case produttrici degli autoveicoli). Nello stesso senso, la sentenza dello stesso tribunale del 21 settembre 2010, ove: “la contraffazione dei modelli dei cerchi in lega per auto deve essere valutata in relazione all’art. 241 d.lgs. n. 30 del 2005 e, in particolare, alla c.d. clausola di riparazione che, in deroga al principio generale di tutela dei disegni e modelli registrati, prevede che i diritti esclusivi sui componenti di un prodotto complesso non possono essere fatti valere per impedire la fabbricazione e la vendita di componenti stessi per la riparazione del prodotto complesso, al fine di ripristinarne l’aspetto originario. Pertanto l’incertezza in ordine alla qualificazione del prodotto come "pezzo di ricambio" o come "accessorio" – che rileva in termini di elemento oggettivo del reato – non esclude che la produzione e la commercializzazione dei cerchi in lega possano essere ricondotte nell’ambito di quelle attività coperte dalla c.d. clausola di riparazione prevista dall’art. 241 d. lgs. 30 del 2005”. 49 costituiscono l’allestimento originale (in quanto optional), non potrebbe nemmeno sostenere che hanno funzione di ricambio prodotti generici. Tale è la posizione della giurisprudenza prevalente, ma si registrano posizioni contrastanti anche recentissime104. L’esempio dei cerchi di vetture è di scuola: se sono identici (a forma necessitata) a quelli “originali” sono ricambi, se sono identici ad altri modelli di cerchi previsti come accessori sono al di fuori della repair clause. Secondo la giurisprudenza minoritaria citata così ragionando verrebbe svilito il concetto di bene originario che sarebbe rappresentato da un’immagine d’insieme del bene, come percepita dal consumatore (immagine fatta da ricambi ed accessori originali). Distinguere tra ricambi ed accessori sarebbe retaggio della giurisprudenza anteriore all’art. 241 Codice proprietà industriale, come dimostrato dalla assenza di questa distinzione nella normativa sui marchi ove tale distinzione non viene fatta (art. 21 Codice proprietà industriale). Se la funzione della repair clause è quella di assicurare il ripristino del bene originale, si deve consentire (secondo questa giurisprudenza) il ripristino di un bene anche se corrispondente all’allestimento originale mediante componentistica (accessori) originale. Il bene primario (autovettura) è quello virtuale allestibile con componentistica del costruttore105. In tal modo si allarga la possibilità di riprodurre la forma di componenti del costruttore del bene primario106 (a seguito diremo della possibilità di replicare il marchio sul ricambio). 104 Trib. Torino, 5 luglio 2007, in Dir. Ind., 2007, p. 432, App. Napoli, 22 ottobre 2013, est. Casaburi, in causa BMW c. ACACIA, inedita . 105 App. Napoli del 22 ottobre 2013, cit. supra, nota 104. 106 La tesi è seducente, ma mal si inserisce nel comune intendimento della repair clause (“the repair clause contains such a definition: it does not affect the acquisition and the exercise of design rights where they operate as they should; it only stops the exercise of design rights where — as is the case in the repair sector — they cannot operate as they should. In this way the repair clause prevents monopolies from coming into existence, competitors from being driven from the market and consumers from being subjected to the dictate of pricing by a sole supplier”, in Opinion of the European Economic and Social Committee on the Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council amending 50 Tornando alla normativa comunitaria sui modelli, va precisato che essa non consente di aderire al principio della repair clause, ma vi è un consolidato orientamento della giurisprudenza nazionale (e di altri Stati comunitari) favorevole a questo principio107. Le ragioni che ispirano la clausola di riparazione sono rintracciabili in una visione ampia dei rapporti tra diritti di proprietà industriale e diritto della concorrenza, ove i primi trovano un limite nell’interesse del mercato ad una concorrenza sul mercato secondario dei ricambi108. La norma dell’art. 241 Directive 98/71/EC on the legal protection of designs (COM(2004) 582 final — 2004/0203 (COD)), in Guce n. C 286, 17.11.2005, p. 8–11). 107 Peraltro riprodotto all’art. 8 del regolamento n. 6/2002/Ce del Consiglio del 12 dicembre 2001, su disegni e modelli comunitari, in Guce n. L 003 del 05/01/2002, p. 1-24, ove: “(Disegni o modelli di aspetto dettato dalla sua funzione tecnica e disegno o modello d’interconnessione): 1. Un disegno o modello comunitario non conferisce diritti sulle caratteristiche dell’aspetto di un prodotto determinate unicamente dalla sua funzione tecnica. 2. Un disegno o modello comunitario non conferisce diritti sulle caratteristiche dell’aspetto di un prodotto che devono essere necessariamente riprodotte nelle loro esatte forme e dimensioni per consentire al prodotto in cui il disegno o modello è incorporato o cui è applicato di essere connesso meccanicamente con altro prodotto, ovvero di essere collocato all’interno di un altro prodotto, intorno ad esso o in contatto con esso in modo che ciascun prodotto possa svolgere la propria funzione. 3. In deroga al paragrafo 2 un disegno o modello comunitario conferisce diritti su un disegno o modello per cui ricorrono le condizioni di cui agli articoli 5 e 6 che ha lo scopo di consentire l’unione o la connessione multiple di prodotti intercambiabili nell’ambito di un sistema modulare”. 108 Comunicazione della Commissione, Linee direttrici sull’applicabilità dell’articolo 101 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli accordi di cooperazione orizzontale, in Guce, n. C 011 del 14 gennaio 2011, p. 1-72, ove, al par. 269: “Le norme sulla proprietà intellettuale e le norme sulla concorrenza hanno gli stessi obiettivi [106], cioè promuovere l’innovazione e migliorare il benessere dei consumatori. I DPI favoriscono una concorrenza dinamica incoraggiando le imprese a investire nello sviluppo di prodotti e processi nuovi o migliorati. Di conseguenza, i DPI sono generalmente favorevoli alla concorrenza. Ciò nonostante, un partecipante titolare di un DPI essenziale per l’applicazione della norma potrebbe acquisire, nello specifico contesto della definizione della norma, il controllo dell’uso della norma grazie al suo DPI. Nel caso in cui la norma costituisca una barriera all’ingresso, l’impresa potrebbe controllare in tal modo il mercato del prodotto o del servizio a cui la norma si riferisce. A sua volta, questo potrebbe consentire alle imprese di adottare comportamenti anticoncorrenziali vale a dire, ad esempio, "bloccare" gli utenti dopo l’adozione della norma negando la licenza per il necessario DPI o applicare royalties eccessive [107] in modo da impedire l’accesso effettivo alla norma. Tuttavia, anche se la definizione di una norma può generare o aumentare il potere di mercato dei titolari di DPI essenziali per la norma, non si presuppone che il fatto di detenere o di esercitare DPI essenziali per una norma equivalga al possesso o all’esercizio di un potere di 51 Codice della proprietà industriale viene cosi ad assumere il valore di una norma di equilibrio tra la tutela dei DPI e la concorrenza dimostrando una propensione ad essere interpretata come noma generale e non speciale109. La legislazione comunitaria ha sancito il principio del cumulo di tutela (in base al diritto d’autore ed alla registrazione del modello) del disegno industriale. L’Italia ha pertanto modificato la normativa sul diritto d’autore eliminando la condizione di “scindibilità” del valore artistico dell’opera dal carattere industriale del prodotto sostituendola con l’esigenza che “le opere del disegno industriale presentino di per sé carattere creativo e valore artistico”. Diversamente, in altri paesi (ad es. Francia) il diritto d’autore è riconosciuto a tutte le opere in cui si possa rintracciare un sia pur minimo sforzo creativo dell’autore110. Va, infine, rilevato che se il costruttore del veicolo può brevettare parti componenti che modificano la forma della vettura, altrettanto può fare il mercato. La questione del potere di mercato può essere esaminata solo caso per caso”. Il preambolo dell’art. 2598 c.c. chiarisce la necessità di coerenza del regime delle privative con quello della libertà di concorrenza, e dunque la possibile coesistenza degli illeciti cosiddetti brevettuali con quelli tipicamente concorrenziali. Cosicché, se la tutela dei diritti di privativa deve avere una funzione premiale dello sforzo d’innovazione, non può essere adoperata strumentalmente per limitare l’altrui diritto di concorrenza oltre tale funzione. In particolare, il brevetto attribuisce al suo titolare il monopolio dello sfruttamento del suo oggetto e, fermo tale diritto, esso non può attribuire altri vantaggi che quelli, temporanei, che la legge fa conseguire alla sua legittimità. Amplius, su queste tematiche, Cass. 26 novembre 1997, n. 11859, in Giust. civ., 1998, I, p. 358, ove: il preambolo dell’art. 2598 c.c. chiarisce la necessità di coerenza del regime delle privative con quello della libertà di concorrenza, e dunque la possibile coesistenza degli illeciti cosiddetti brevettuali con quelli tipicamente concorrenziali. Cosicché, se la tutela dei diritti di privativa deve avere una funzione premiale dello sforzo d’innovazione, non può essere adoperata strumentalmente per limitare l’altrui diritto di concorrenza oltre tale funzione. In particolare, il brevetto attribuisce al suo titolare il monopolio dello sfruttamento del suo oggetto e, fermo tale diritto, esso non può attribuire altri vantaggi che quelli, temporanei, che la legge fa conseguire alla sua legittimità”. 109 App. Napoli, 22 ottobre 2013, cit. supra, nota 104, che rileva che diversamente opinando si arriverebbe ad attribuire una tutela ipotrofica dei DPI assegnando al costruttore del bene complesso un compenso aggiuntivo cui corrisponde uno sforzo creativo pressoché nullo in quanto assorbito dalla progettazione unitaria, remunerata dalla privativa sul bene complesso. 110 V., Autorité de la concurrence, Avis n. 12, A-21 du 8-10-2012, relatif au functionnement concurrentiel des secteurs de la riparation, su internet. 52 costruttore di ricambi. E’ pertanto proteggibile dal costruttore del ricambio un prodotto generico che ha determinati requisiti individualizzanti111. Queste parti (una volta omologate se necessario), possono essere messe legittimamente in commercio nel mercato della Ue112 ed applicate alle vetture, salvo contraria normativa domestica sulla circolazione su strada dei veicoli. Sotto altro profilo occorre ricordare che, secondo l’orientamento prevalente, la realizzazione di parti di ricambio in regime di subfornitura industriale (con trasferimento di know how segreto dal costruttore della vettura al fornitore), sembra legittimare il fabbricante della vettura (committente nella relazione) ad imporre al subfornitore di vendere i prodotti (ricambi) solo ad esso committente113. 7. La tutela del marchio nel ricambio L’art. 21 del Codice della proprietà industriale, nella formulazione derivante dall’art. 13, comma 1, del D. Lgs. 13 agosto 2010, n. 131, precisa che: “1. I diritti di marchio d’impresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi l’uso nell’attività economica, purché l’uso sia conforme ai principi della correttezza professionale: a) del loro nome e indirizzo; 111 Trib. Firenze 15 aprile 2003, in Riv. Dir. Ind., 2003, II, 89. Cass., 3 gennaio 2001, n. 60, in Riv. Dir. Ind., 2002, II, n. 129; Cass. pen., 27 marzo 2003, n. 21162, in Riv. Dir. Ind., 2003, II, n. 89. V. sul punto, A. FRIGNANI – V. PIGNATA, La tutela della creatività nel modello, in La protezione della forma, a cura di G. PETRAZ, Giuffré, Milano, 2007; N. ZORZI, La tutelabilità della forma dei pezzi di ricambio, in Contratto e Impresa, 1996, 14; G. ROSSI, Brevettabilità quali modelli ornamentali di parti di carrozzeria e discrezionalità del giudice, in Contratto e Impresa, 1998, 7; G. FLORIDA, Ancora sui pezzi di ricambio per macchine, in Riv. Dir. Ind., 1985, II, 503. 112 Negli U.S.A. esigenze di sicurezza impongono, comunque, di mantenere una particolare conformazione della vettura nella parte frontale, v. Title 49, Trasportation, National Highway Traffic Safety Administration, sulla posizione dei paraurti e sulla loro capacità distruttiva. 113 Il punto è esaminato dall’Autorità della Concorrenza francese nel comunicato del 8 ottobre 2012, nonché nella pubblicazione VBB on Competiton Law, volume 2012, n. 10, p. 13, su internet. 53 b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio; c) del marchio d’impresa se esso è necessario per indicare la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio114. Viene sostanzialmente ripreso quanto aveva indicato l’art. 6 della “Prima direttiva marchi” (direttiva n. 89/104/CEE) che dettava: “(…) Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio: a) del loro nome e indirizzo; b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio; c) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio, purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale”. La costruzione del pezzo di ricambio necessita sovente della riproduzione del marchio del costruttore del veicolo (si pensi al cofano di una vettura). Si è pertanto posto il problema se un terzo possa utilizzare il marchio altrui per indicare l’attività (di riparatore) che esercita115 o come riferimento sui cataloghi dei ricambi116 o per realizzare un ricambio di una parte componente originale composta anche dal marchio del costruttore del bene complesso117. 114 Si veda la saga tra Nespresso e Vergnano, a proposito di capsule da inserire in macchine da caffè, avanti il tribunale di Torino alla pagina internet: http://www.biessebrevetti.it/upload/media/NEWS/raccolta%20sentenze%20nestle %20-%20vergnano.pdf 115 Corte di giustizia del 23 febbraio 1999, in causa n. C-63/97, Bayerische Motorenwerke AG (BMW) e BMW Nederland BV c. Ronald Karel Deenik, in Raccolta, 1999, p. I-00905. 116 Corte di giustizia del 25 ottobre 2001, in causa n. C-112/99, Toshiba Europe GmbH c. Katun Germany GmbH, in Raccolta, 2001, I-07945. 117 In questo senso il marchio ha funzione descrittiva, Cass. pen., 22 dicembre 2010, n.9646 in Foro it., 2012, p. 275. 54 Nei giudizi penali di contraffazione tale riproduzione è lecita, in base ai principi su esposti, se l’utente è in grado di cogliere immediatamente chi è l’effettivo costruttore del pezzo118. Dunque il marchio dell’effettivo costruttore del pezzo (componentista) deve apparire in modo chiaro119. Si fa peraltro riferimento ai principi di correttezza professionale e si verifica la rispondenza del marchio originale alla propria funzione; l’impiego del marchio altrui nella commercializzazione dei pezzi di ricambio può avere luogo (solo) negli stretti limiti in cui sia indispensabile per indicare la destinazione del prodotto, essendo contrario alla correttezza professionale ogni uso che vada al di là di essi120. E’ stata recentemente proposta una lettura sinergica dell’art. 21 del Codice proprietà industriale con l’art. 241, stesso codice, per affermare una visione unitaria della repair clause121. Nella tematica della protezione del pezzo di ricambio con il marchio sovente vengono introdotte tematiche sulla qualità e sulla sicurezza dei prodotti. Esse attengono, in linea di principio, ad altre aree, ma in forza della formulazione normativa della direttiva e della sua pedissequa trasposizione sono state fatte rientrare in questa sede. Se venisse realizzato un ricambio con marchio del costruttore della vettura di qualità scadente probabilmente quest’ultimo ne subirebbe un danno di immagine, ma la tutela dovrebbe riguardare la concorrenza sleale o la responsabilità aquiliana. Il tema è trattato nella sentenza Gillette122 ove si rileva che il requisito degli «usi 118 Cass. pen., 22 dicembre 2010, n.9646, cit. supra, nota 117. Cass. pen., 30 novembre 2011, n. 5957, in Cass. pen., 2013, p. 694. 120 Cass., 30 luglio 2009, n. 17734, in Riv. Dir. Ind. 2010, 4-5; Cass. pen., 20 dicembre 2011, n. 47081 ove si statuisce, a proposito di un caso di ricambi per auto non originali sui quali era stato riprodotto il marchio del costruttore del veicolo, che è penalmente rilevante, ai sensi degli artt. 473 e 474 c.p., solo la contraffazione riguardante la funzione distintiva del marchio e non quella estetico-descrittiva. Trib. Torino, 21 febbraio 2008, in Foro It., 2008, 5, n. 1661. V. art. 6, n. 1 lettera C, della direttiva n. 89/104/Cee sul ravvicinamento delle legislazioni sui marchi di imprese per il dato normativo. 121 App. Napoli, 22 ottobre 2013, cit. supra, nota 104. 122 Corte di Giustizia del 17 marzo 2005, in causa n. C-228/03, Gillette Company e Gillette Group Finland Oy c. LA-Laboratories Ltd Oy, in Raccolta, 2005, I-02337, ove: “La liceità dell’uso di un marchio da parte di un terzo per indicare la destinazione di un prodotto o di un servizio, ai sensi dell’art. 6, n. 1, lett. c), della prima direttiva 89/104 sui marchi, dipende dalla circostanza se tale uso sia necessario per indicare la destinazione del prodotto. Ciò si verifica quando tale uso 119 55 consueti di lealtà», ai sensi dell’art. 6, n. 1, della direttiva 89/104, costituisce in sostanza l’espressione di un obbligo di lealtà nei confronti dei legittimi interessi del titolare del marchio. Un obbligo di questo tipo è analogo a quello cui è soggetto il rivenditore quando impiega il marchio altrui per annunciare la rivendita di prodotti recanti tale marchio. A tale riguardo, l’utilizzo del marchio non è conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale, anzitutto quando avviene in modo tale da poter dare l’impressione che esista un legame commerciale fra il terzo e il titolare del marchio. Inoltre, un uso di tale tipo non deve compromettere il valore del marchio traendo indebitamente vantaggio dal suo carattere distintivo o dalla sua notorietà. Il punto è però molto controverso123. Nella causa Gillette si è ritenuto lecito l’uso del marchio se “costituisce in pratica il solo mezzo per fornire al pubblico un’informazione compensabile e completa su tale destinazione al fine di preservare il sistema della concorrenza non falsato sul mercato del prodotto”. In tal modo appare corretta124. costituisce in pratica il solo mezzo per fornire al pubblico un’informazione comprensibile e completa su tale destinazione al fine di preservare il sistema di concorrenza non falsato sul mercato di tale prodotto. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale condizione sia soddisfatta, tenendo conto della natura del pubblico cui è destinato il prodotto messo in commercio dal terzo in questione. Poiché la detta disposizione non effettua del resto alcuna distinzione tra le destinazioni possibili dei prodotti all’atto di valutare la liceità dell’uso del marchio, i criteri di valutazione della liceità dell’uso del marchio, in particolare per quanto riguarda gli accessori o i pezzi di ricambio, non sono dunque diversi da quelli applicabili alle altre categorie di destinazioni possibili dei prodotti. Il requisito degli «usi consueti di lealtà» ai sensi dell’art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva 89/104 sui marchi costituisce in sostanza l’espressione di un obbligo di lealtà con riferimento ai legittimi interessi del titolare del marchio”. 123 Il punto è ampiamente trattato in Opinion of the European Economic and Social Committee on the Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council amending Directive 98/71/EC on the legal protection of designs (COM(2004) 582, final, 2004/0203 (COD)), in Guce n. C 286, 17.11.2005, p. 8-11. 124 Corte di giustizia del 23 febbraio 1999, Bayerische Motorenwerke AG (BMW) e BMW Nederland BV c., Ronald Karel Deenik, cit. supra, nota 115, ove: “d’altro lato, per quanto riguarda l’uso di un marchio per informare il pubblico della riparazione e della manutenzione dei prodotti recanti detto marchio, siffatto uso non costituisce una commercializzazione ulteriore coperta dall’art. 7 della direttiva, bensì un uso che indica la destinazione di un servizio ai sensi dell’art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva, che è legittimo, purché l’uso sia necessario per indicare detta destinazione e purché sia conforme agli usi di lealtà in materia industriale e 56 Sul tema della contraffazione di marchio per apposizione su un ricambio del marchio del costruttore della vettura è di recente intervenuta la S.C. (Cass. pen., 18 nov. 2011, n. 47081) la quale, dopo aver precisato che per ricambio si deve intendere solo una parte esattamente corrispondente a quella originariamente utilizzata dal costruttore del veicolo, ha rilevato che la normativa comunitaria di cui alla direttiva n. 1989/104/Ce e quella nazionale di cui del D. Lgs. 30/05 (artt. 21 e 241) consentono la riproduzione del medesimo125. La sentenza rileva che il marchio, sebbene la sua funzione principale sia quella di individuare la provenienza del bene, può assumere anche diversi ruoli laddove rappresenti non la "firma" del produttore, bensì una caratteristica estetica o descrittiva del prodotto. La questione assume particolare rilevanza proprio nel mercato dei pezzi di ricambio per automobili, laddove le singole componenti dell’autoveicolo soggette ad usura, deterioramento od a rottura a seguito di incidente vengono sovente cambiate durante la vita dell’auto; tali ricambi possono recare in sé, quale elemento di natura estetica, proprio una raffigurazione, più o meno fedele, del marchio del costruttore dell’automobile. Sotto altro profilo va ricordato che il costruttore del ricambio in subfornitura può legittimamente apporre il proprio marchio, oltre a quello del commerciale. A questo proposito, la condizione che l’uso del marchio sia conforme agli usi di lealtà in campo industriale e commerciale costituisce in sostanza l’espressione di un obbligo di lealtà nei confronti degli interessi legittimi del titolare del marchio, analogo a quello cui è soggetto il rivenditore quando utilizza il marchio altrui per annunciare la rivendita di prodotti contrassegnati da tale marchio. Infatti, l’art. 6 della direttiva mira, al pari dell’art. 7, a conciliare gli interessi fondamentali della tutela dei diritti di marchio con quelli della libera circolazione delle merci e della libera prestazione di servizi nel mercato comune, in modo tale che il diritto di marchio possa svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il Trattato intenda stabilire e conservare. 125 Il caso all’esame della Corte è emblematico: i copri cerchioni (o copri ruota) delle auto spesso riportano ben visibili degli elementi riconducibili al marchio del produttore, riprodotti con diverse modalità a seconda del costruttore o del modello di veicolo (può essere riportato puntualmente il marchio con le colorazioni originali, ma più spesso ne viene semplicemente riproposta in rilievo la sua forma, quasi sempre al centro del copri ruota). In questi casi, il marchio così riprodotto non serve ad individuare la provenienza del singolo componente, nei confronti del quale non ha pertanto funzione distintiva, ma svolge la sua funzione "ordinaria" di identificazione del produttore solo con riferimento al bene nel suo complesso. 57 committente sui pezzi realizzati (tale diritto consegue alla normativa sulla concorrenza; v. regolamento n. 1400/2002/Ce). Non è dunque nuova per il consumatore la doppia apposizione dei marchi. Tale tutela non vale per i ricambi generici (universal application). La questione è recentemente trattata dal Trib. di Torino126 che esclude che il prodotto generico sia un ricambio. Va detto però che a volte la distinzione appare impalpabile perché i costruttori delle vetture usano anche parti generiche nel primo impianto. 8. La tutela come brevetto La S.C. è recentemente intervenuta sulla replicabilità come parti di ricambio di parti componenti di un sistema brevettato127. Essa ha precisato che costituisce contraffazione del brevetto per invenzione industriale il produrre e commercializzare anche solo le componenti di un macchinario brevettato se queste sono destinate univocamente a far parte di detto macchinario, con la precisazione che per aversi contraffazione in siffatte ipotesi occorre che le componenti del macchinario riprodotte e commercializzate siano quelle in cui essenzialmente si esplica la valenza inventiva di quanto brevettato. Ha pertanto confermato la sussistenza della contraffazione nella produzione e commercializzazione di particolari dischi, costituenti la parte caratterizzante - "il cuore" - dell’invenzione di un più complesso macchinario, da altri brevettata, e dichiaratamente destinati dal contraffattore alla vendita quali pezzi di ricambio di quel macchinario. 9. La battaglia tra DPI e concorrenza La questione della protezione dei ricambi interessa principalmente il diritto industriale. Ma se tale questione viene considerata in relazione al funzionamento del mercato diviene rilevante per il diritto della concorrenza. Si è già detto, a proposito delle informazioni tecniche che esse sono contenute in un regolamento tecnico sull’omologazione, tuttavia la carenza 126 127 Trib. Torino, 25 giugno 2009, in banca dati Juris data. Cass., 19 ottobre 2006, n. 22495, in Mass. Giust. civ., 2006. 58 di rilascio di informazioni può costituire un illecito concorrenziale. Il regolamento n. 1400/2002/Ce ha previsto come condizione di accesso il rispetto, da parte del costruttore di veicoli, di determinati principi, ora trasposti nel regolamento n. 461/2010/Ue, tesi a consentire ai riparatori indipendenti l’acquisto dei ricambi dalla rete o direttamente dal fornitore della rete. La ragione di questa condizione risiede nella necessità di rendere maggiormente competitivo questo mercato (secondario), con beneficio dei riparatori indipendenti ed, in ultima analisi, dei consumatori (ciò in pieno ossequio alla struttura dell’art. 101 TFUE). Nei casi Volvo e Maxicar128 la Corte di giustizia rilevava la possibilità che la posizione dominante del costruttore di vetture potesse determinare la “chiusura” del mercato dei ricambi, ma riteneva fosse poi necessario un accertamento in fatto. A quell’epoca (1988) non si avevano ancora chiare nozioni sul mercato dei ricambi e la pronuncia sconta una certa impreparazione della Corte di Giustizia e della Commissione europea a valutarlo; se essa fosse avvenuta dopo il 2002 probabilmente sarebbe stata differente, ritenuto che la Commissione europea ha poi affermato che “i diritti di proprietà intellettuale detenuti dai costruttori di veicoli hanno comportato il fatto che determinati pezzi di ricambio rimangono vincolati alle reti dei costruttori di vetture129”. V. in particolare la sentenza Maxicar, cit. supra, nota 23, ove: “il semplice fatto di ottenere dei brevetti per modelli ornamentali relativi a parti di carrozzeria di autoveicoli non costituisce abuso di posizione dominante ai sensi dell’ art. 86 del trattato. Tuttavia, l’esercizio del diritto esclusivo corrispondente a detti brevetti può essere vietato dall’ art. 86 del Trattato se dà luogo, da parte di un’ impresa in posizione dominante, a taluni comportamenti abusivi quali il rifiuto arbitrario di fornire pezzi di ricambio a riparatori indipendenti, la fissazione dei prezzi dei pezzi di ricambio ad un livello troppo elevato o la decisione di non produrre più pezzi di ricambio per un determinato modello mentre circolano ancora molte vetture del modello stesso, purché tali comportamenti possano essere pregiudizievoli per il commercio fra Stati membri. Il fatto che un costruttore di autoveicoli venda delle parti di carrozzeria, tutelate in nome del diritto al modello, ad un prezzo superiore a quello praticato per le stesse parti da produttori indipendenti non costituisce necessariamente abuso di posizione dominante ai sensi dell’art. 86 del trattato, giacché il titolare del brevetto per modello ornamentale può legittimamente pretendere un compenso per le spese sostenute per la messa a punto del modello brevettato”. 129 V. il documento della Commissione, Relazione di valutazione della Commissione del Regolamento 2002/1400/Ce concernente la distribuzione dei veicoli e il relativo servizio assistenza alla clientela”. 128 59 Ci è chiesti se i consumatori ricevano effettivo beneficio da tale liberalizzazione che comporta una limitazione dei diritti di proprietà industriale dei costruttori. L’Autorità della Concorrenza francese ha rilevato che non è verificabile che l’aumento dei prezzi dei ricambi sia collegabile alle privative industriali dei costruttori130. Ma la questione è dibattuta e si confonde con quella, a seguito trattata, della sicurezza. Nei casi Magill, IMS, Bronner131 la Corte di giustizia ha esaminato il comportamento di un’impresa in posizione dominante che rifiuta di condividere risorse che rappresentano un input essenziale e non duplicabile per la creazione di un prodotto nuovo, rifiuto giustificato dal possesso di DPI132. Se non è registrabile una relazione sui prezzi è indubbio che una maggior apertura del mercato dei ricambi consentirebbe alle officine indipendenti di far concorrenza alle officine della rete. E’ però anche da dire che la concorrenza si sviluppa maggiormente sui ricambi di qualità equivalente, ricambi a minor costo rispetto a quelli originali. Sembra però che attualmente in punto nodale sia quello delle modalità di approvvigionamento dei ricambi: il tema si sposta, pertanto, sulla possibilità “Les hausses de prix des pièces constatées en France n’ont pas nécessairement un lien direct avec le maintien de la protection des pièces visibles. Néanmoins, plusieurs analyses évoquent la possibilité que, en réponse à un marché de l’aprèsvente déclinant et à un marché de la vente très concurrentiel et stagnant, les segments préservés de la concurrence voient leurs prix augmenter pour compenser les baisses de chiffre d’affaires, voire les pertes de profit enregistrées de manière globale. On peut ainsi remarquer, comme le montre le graphique ci-dessous, que les prix ont moins baissé dans les pays bénéficiant d’une protection des pièces visibles que dans les pays appliquant la clause de reparation”, Autorità della concorrenza francese, Le prix des pièces détachées et de services de reparation automobile, Paris, 2011. 131 Corte di giustizia del 29 aprile 2004, IMS Health GmbH & Co. OHG c. NDC Health GmbH & Co. KG, in causa n. C-418/01, in Raccolta, 2004, p. I-05039; Corte di giustizia del 6 aprile 1995, Radio Telefis Eireann (RTE) e Independent Television Publications Ltd (ITP) c. Commissione delle Comunità europee (Magill), in cause riunite n. C-241/91 P e C-242/91 P, in Raccolta, 1995, p. I00743; Corte di giustizia del 26 novembre 1998, O. Bronner GmbH & Co. KG c. Mediaprint Zeitungs- und Zeitschriftenverlag GmbH & Co. KG, Mediaprint Zeitungsvertriebsgesellschaft mbH & Co. KG e Mediaprint Anzeigengesellschaft mbH & Co. KG., cit. supra, nota 45. 132 GUIZZARDI, La clausola di riparazione ed I difficili rapporti tra I diritti di proprietà intellettuale ed il diritto della concorrenza, in Giur. Comm., 2011, p. 586. 130 60 di accedere, attraverso la banca dati del costruttore, all’esatta individuazione dei pezzi di ricambio destinati ad quella specifica vettura (la vettura è, infatti, sempre più una combinazione di più tipi di parti componenti, tutte adatte ad un medesimo modello)133. 10. La sicurezza delle parti componenti. Sino ad ora, l’arma più forte che il costruttore del veicolo aveva per “difendersi” sul mercato dal costruttore (indipendente) di ricambi era quella di opporre la miglior qualità del pezzo originale, assumendo che il consumatore non è protetto dal rischio di acquistare ricambi di bassa qualità od insicuri134 dalla normativa sulla concorrenza che consente la commercializzazione di un ricambio di “qualità equivalente all’originale”135. 133 Su queste tematiche, v. caso MAN, cit. supra, nota 21. La posizione dei costruttori di vetture è efficacemente riassunta nel documento di ACEA, Design Right, su internet, ove: ”before they can be put on the market, vehicles and their component parts must meet an impressive series of technical requirements. Safety tests are an important part of this. However, the EU has absolutely no safety requirements in place for aftermarket parts. Clearly, a repaired vehicle must be as safe as one that is new “. Sul tema, v. Proposta di modifica della direttiva n. 98/71/Ce (cit. supra, nota 16), ove: “la questione della sicurezza, qualità e integrità strutturale dei pezzi di ricambio è stata sollevata regolarmente. Si tratta chiaramente d’un aspetto di fondamentale importanza per i consumatori. La protezione di un disegno o di un modello tuttavia è intesa a ricompensare lo sforzo intellettuale del creatore del disegno o modello e a tutelare l’aspetto del prodotto, non a proteggerne le funzioni tecniche o la qualità (che possono essere tutelate, rispettivamente, da un brevetto o da un marchio). Se il disegno o modello di un paraurti non è protetto in quanto non soddisfa la condizione della novità, ciò non significa necessariamente che esso sia meno sicuro di un altro paraurti protetto. La sicurezza e la qualità dei prodotti, compresi i pezzi di ricambio, sono tutelate da altre norme comunitarie e da leggi nazionali che dispongono le necessarie norme in tema di sicurezza del prodotto e di accesso alle informazioni tecniche. Per quanto riguarda più in particolare il settore automobilistico sono in vigore più di 90 direttive che disciplinano la costruzione e il funzionamento dei veicoli a motore. Una “direttiva quadro” riporta le norme generali applicabili all’omologazione dei veicoli a motore. Le informazioni che devono essere fornite da un fabbricante nel corso della procedura di omologazione di un prodotto sono estremamente dettagliate. Tutte queste informazioni vengono richieste indipendentemente dal fatto che il prodotto sia protetto o meno da un diritto relativo a un disegno o modello. (Si vedano i particolari nella valutazione d’impatto estesa). I diritti su disegni e modelli, che proteggono l’aspetto e l’estetica di un prodotto, non incidono in alcun modo sulla sicurezza e sulla tutela dei pedoni e non possono fornire garanzie di sicurezza, le quali sono ottenibili attraverso altri meccanismi specifici. In seguito alla liberalizzazione i consumatori godrebbero 134 61 L’attuale sistema normativo della UE appare sufficientemente sicuro per il consumatore: le parti componenti soggette ad omologazione sono sottoposte alla stessa procedura di controllo cui soggiace il costruttore del veicolo, la qualità delle altre parti componenti (es. cofani, portiere, paraurti, fanali, ecc.) può essere certificata dal costruttore del componente di qualità “equivalente all’originale”136. I costruttori hanno giustificato la protezione del ricambio oltre che sotto il profilo della qualità anche sotto quello della sicurezza. Il punto è molto controverso. La Corte di Giustizia nella causa Sterling Drug137 ha precisato quindi dei vantaggi diretti e/o indiretti derivanti da una maggiore concorrenza e dalla piena realizzazione del mercato interno. 135 E’ indubbio che il costruttore del veicolo, proteggendo il ricambio come modello, mette sul mercato un prodotto di qualità. Non è però necessario che si abbini la tutela della forma del ricambio alla qualità del medesimo se esistono altre normative che assicurano la presenza di quest’ultimo requisito. Negli USA non esiste la possibilità di proteggere la forma del ricambio, ma esistono severi requisiti sulla sicurezza di questi. Il Parlamento europeo ha precisato che la direttiva 2007/46/CE che istituisce un quadro per l’omologazione dei veicoli a motore contiene disposizioni per l’effettuazione di prove sui pezzi di ricambio fabbricati da produttori indipendenti per garantire che essi soddisfino i criteri in materia di sicurezza e ambiente. Le nuove procedure da essa previste «forniranno maggiori salvaguardie per i consumatori in un mercato completamente deregolamentato»; tale posizione è esposta nel Parere della Commissione del 20 luglio 2007 documento COM (2007) 453 def., in applicazione dell’articolo 251, paragrafo 2, terzo comma, lettera c) del Trattato sugli emendamenti del Parlamento europeo alla posizione comune del Consiglio relativa alla proposta di modifica della direttiva 98/71/Ce. 136 Il regolamento n. 1400/2002/Ce ha introdotto il concetto di parte di qualità equivalente all’originale per definire quella parte componente che il riparatore della rete può utilizzare per la riparazione di un veicolo della marca, anche se non originale. A tale vincolo non è soggetto il riparatore indipendente, ma difficilmente questi vorrà utilizzare una parte scadente per non esporsi a responsabilità verso il cliente. 137 V. la sentenza della Corte di Giustizia del 31 ottobre 1974, in causa n. 15-74, Centrafarm BV ed Adriaan de Peijper c. Sterling Drug Inc., in Raccolta, 1974, p. 1147, ove: ”si chiede ancora alla corte se, nonostante la normativa comunitaria sulla libera circolazione delle merci, il titolare di un brevetto possa esercitare le facoltà che questo gli attribuisce, per mantenere il controllo sulla distribuzione di un prodotto farmaceutico al fine della protezione dei consumatori, nell’ eventualità che determinati farmaci si rivelino difettosi. La protezione dei consumatori dai pericoli derivanti da prodotti farmaceutici difettosi costituisce una legittima esigenza. E’ per questo che l’art. 36 del trattato autorizza gli Stati membri a derogare alle norme sulla libera circolazione delle merci per motivi di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali. Tuttavia, i provvedimenti necessari a tal fine devono essere adottati nell’ ambito della normativa propria del controllo 62 che i provvedimenti necessari alla protezione dei consumatori dai pericoli derivanti da prodotti difettosi devono essere adottati nell’ambito della normativa propria, non già attraverso le norme in materia di proprietà industriale e commerciale. D’altra parte, l’oggetto specifico della tutela della proprietà industriale e commerciale è distinto da quello della tutela dei consumatori e delle eventuali responsabilità in essa implicite”. Nella causa Hilti 138 la Corte di Giustizia ha aggiunto che l’abuso di una posizione dominante “non può essere giustificato da considerazioni attinenti alla sicurezza ed all’affidabilità dei prodotti di cui trattasi […]. Di conseguenza, non spetta evidentemente ad un’impresa in posizione dominante adottare, di propria iniziativa, misure destinate ad eliminare prodotti che essa considera, a torto o a ragione, pericolosi o, perlomeno, di qualità inferiore ai propri prodotti”. Il sistema di omologazione delle vetture sembra attualmente offrire un assetto adeguato alla materia, prevedendo sia una procedura di omologazione che una procedura di autorizzazione per le parti componenti riguardanti la sicurezza della vettura139. Quest’ultima è una procedura particolare prevista (ma non ancora completamente attuata; v. però, a seguito, la modifica intervenuta all’art. 75 del Codice della Strada) per le parti o le apparecchiature che possono comportare un rischio significativo per il corretto funzionamento di servizi essenziali per la sicurezza del veicolo; esse devono essere “autorizzate” dalle autorità di omologazione/autorizzazione. Tale norma non si applica alle “parti sanitario, non già eludendo le norme in materia di proprietà industriale e commerciale. D’altra parte, l’oggetto specifico della tutela della proprietà industriale e commerciale e distinto da quello della tutela dei consumatori e delle eventuali responsabilità in essa implicite”. 138 V., Corte di Giustizia del 2 marzo 1994, nella causa n. C-53/92P, Hilti AG c. Commissione delle Comunità europee, in Raccolta, 1994, p. I-00667. 139 V., art. 31 della direttiva n. 2007/46/Ce: “Gli Stati membri autorizzano la vendita, la messa in vendita o la messa in circolazione di parti o apparecchiature che possono comportare un rischio significativo per il corretto funzionamento di sistemi essenziali per la sicurezza del veicolo o per le sue prestazioni ambientali solamente se tali parti o apparecchiature sono state autorizzate da un’Autorità di omologazione conformemente ai paragrafi da 5 a 10”. Su queste tematiche, Jurisprudence automobile, 9/2009, Sécurité des pièces de rechange et homologation. 63 originali” che rientrano in una omologazione del veicolo, né alle parti omologate ai sensi di atti normativi di cui all’allegato IV. Secondo i costruttori dei ricambi il sistema di omologazione, complessivamente considerato, assicura un sicuro vaglio della sicurezza delle parti componenti immesse sul mercato140. La stessa posizione sembra assunta dalla Commissione nelle FAQ del 2012141 che precisa che: “qualora sia necessario limitare l’accesso ad un pezzo di ricambio avente funzioni di sicurezza di cui i riparatori indipendenti probabilmente non hanno una conoscenza adeguata, quale un sistema elettrico ad alta tensione concepito specificamente per un determinato modello o una tecnica per la sostituzione di pannelli di carrozzeria in composito di carbonio, il produttore di autoveicoli deve adottare gli strumenti meno restrittivi per ottenere il risultato desiderato. Ad esempio, ai riparatori indipendenti potrebbe essere richiesto di frequentare corsi di formazione su quel determinato sistema o su quella tecnica particolare”. Il discorso va considerato come esemplificazione, essendo evidente che non sempre è possibile risolvere la questione in questi termini, specie se la tecnologia utilizzata è segreta e gestita solo dal fabbricante. 140 Interessante la posizione di ECAR che distingue questioni attinenti la sicurezza da questioni attinenti la qualità del prodotto: le prime devono essere regolate dal legislatore, le seconde devono essere sottoposte al libero mercato il quale rifiuterà prodotti scadenti, v. ECAR supports the EC’s proposal to amend Design Directive 98/71/EC, su internet, ove si afferma: “unlike safety, quality is not a public good, but a private one. Quality does not need to be regulated by an external authority: the play of competitive markets is enough. If, for example, a bumper does not fit properly and needs extra fitting time, whose cost exceeds the part’s lower price, it will not be competitive. Over time, those offering lower quality products will be driven out of the market, or will have to raise their quality to compete”. V. Commissione europea, More competition proposed for automobile spare parts, ove : “Design protection only covers the appearance of products. The proposal would not affect the safety or quality of spare parts. Safety standards are governed by other EU and national laws. They set objective minimum standards for all spare parts. All producers would continue to have to respect these”; alla pagina: http://ec.europa.eu/internal_market/smn/smn35/p32_en.htm. 141 Citate al termine del lavoro. 64 Interessanti tematiche si pongono in relazione alla possibilità di recuperare i ricambi a seguito dello smaltimento delle vetture: in tali casi si manifestano evidenti problemi di sicurezza142. Un’ interessante questione concernete la sicurezza delle parti originali e dei ricambi (intesi anche come lubrificanti e liquidi refrigeranti) si è posta di recente in Francia. La direttiva n. 2006/40/Ce, sui sistemi mobili di condizionamento (MAC Directive) è applicabile dall’1 gennaio 2013. Essa richiede l’uso di un gas refrigerante specifico (HFO1234yf). Questo gas è stato ritenuto inadatto, in quanto pericoloso, da un costruttore tedesco che ha continuato ad usare il tipo di gas precedentemente utilizzato, con un sottile marchingegno: il costruttore tedesco utilizzava un provvedimento dell’autorità amministrativa tedesca di proroga della precedente autorizzazione ad usare un gas refrigerante per far riomologare alcuni modelli nuovi come evoluzione dei precedenti (omologazione in estensione) anziché come modelli nuovi com’era stato dichiarato nella prima omologazione. La Francia ha assunto un provvedimento amministrativo di blocco temporaneo delle vendite dei modelli del predetto costruttore perché non utilizzava il gas refrigerante HFO1234yf. Il costruttore tedesco ha ottenuto soddisfazione sia avanti il Giudice amministrativo di I° grado, sia avanti il Consiglio di Stato, sostenendo che la Francia non ha applicato correttamente la clausola di salvaguardia (art. 29, direttiva 2007/46/CE) e che non sussistevano motivi di urgenza per intervenire. Il Costruttore tedesco aveva allegato di aver potuto prendere conoscenza, attraverso test eseguiti di recente, che il gas R1234yf presentava un elevato rischio di pericolosità (incendio); che aveva notificato i risultati di questi test alle autorità tedesche, a quelle comunitarie ed agli Stati membri della UE; che le autorità tedesche avevano autorizzato una proroga dell’utilizzo del gas precedentemente utilizzato; che la clausola di salvaguardia consente di rifiutare l’immatricolazione a veicoli che osservano le regole comunitarie solo se essi presentano un elevato rischio alla salute ed all’ambiente e che, 142 R. LUCAS, End of Life, problems and perspectives, su internet. Sulle modalità del recupero delle parti componenti dalla vettura avviata allo smaltimento, v. l’art. 231 del D. Lgs. n. 152 del 2006. 65 infine, il numero dei veicoli nuovi equipaggiati con il gas R1234yf era esiguo. Il Consiglio di Stato, con ordinanza del 27 agosto 2013, n. 370831, sospendeva il provvedimento amministrativo del Ministero dell’Ambiente, comportante il divieto d’immatricolazione della vettura del Costruttore tedesco non equipaggiato con gas refrigerante R1234yf. Il Consiglio di Stato ha guardato il provvedimento inibitorio sotto il profilo dell’urgenza e della proporzionalità. I primi commentatori hanno rilevato che la proroga dell’autorità tedesca è stata di aiuto fondamentale al costruttore locale, ma che l’utilizzo da parte della Francia della clausola di salvaguardia è stato del tutto frettoloso, in quanto la clausola di salvaguardia impone allo Stato che la usa di precisare nel dettaglio i motivi per cui si oppone, allegando dati tecnici adeguatamente provati. Si dovranno ora attendere gli sviluppi della vicenda e della procedura attivata dalla Francia con la clausola di salvaguardia. 11. La pratica dei tuning a) La sicurezza e il nulla osta della casa costruttrice del veicolo di cui all’art. 236, comma secondo, del regolamento di attuazione del codice della strada. In Italia sono stati posti ulteriori ostacoli al montaggio di parti diverse sulla vettura (o motocicletta), ostacoli che si sono rilevati spesso insormontabili per gli appassionati di tuning: l’art. 236, comma secondo, del regolamento di attuazione del codice della strada prevede, in determinati casi, il nulla osta della casa costruttrice del veicolo per poter effettuare una modifica alla vettura (od alla motocicletta)143. Ci si potrebbe chiedere se questo vincolo, L’art. 236 del precitato regolamento prevede che (…) ogni modifica riguardante uno dei seguenti elementi: a) la massa complessiva massima; b) la massa massima rimorchiabile; c) le masse massime sugli assi; d) il numero di assi; e) gli interassi; f) le carreggiate; g) gli sbalzi; h) il telaio anche se realizzato con una struttura portante o equivalente; i) l’impianto frenante o i suoi elementi costitutivi; l) la potenza massima del motore; m) il collegamento del motore alla struttura del veicolo, è subordinata al rilascio, da parte della casa costruttrice del veicolo, di apposito nulla-osta, salvo diverse o ulteriori prescrizioni della casa stessa. Qualora tale rilascio non avvenga per motivi diversi da quelli di ordine tecnico concernenti 143 66 che sino ad ora ha notevolmente ostacolato la pratica del tuning, sia conforme alle norme comunitarie sulla circolazione dei beni (e non discrimini i produttori di accessori). In proposito va ricordato che l’art. 34 TFUE vieta ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare, direttamente od indirettamente, in atto od in potenza, gli scambi intracomunitari in quanto misura equivalente ad una restrizione quantitativa144. Tale principio è stato coniugato con quello, sempre derivato dalla stessa norma, di non discriminazione e di mutuo riconoscimento dei requisiti tecnici dei prodotti145. Costituiscono misure equivalenti a restrizioni quantitative quelle misure che, in assenza di una legislazione armonizzata, creano requisiti tecnici che impediscono la circolazione del prodotto. L’art. 36 TFUE ammette una serie di eccezioni ai divieti dell’art. 36 TFUE sia in relazione ad un interesse generale che a ragioni di ordine pubblico146. Spetta alle la possibilità di esecuzione della modifica, il nulla-osta può essere sostituito da una relazione tecnica, firmata da persona a ciò abilitata, che attesti la possibilità d’esecuzione della modifica in questione. In tale caso deve essere eseguita una visita e prova presso l’ufficio [provinciale] della Direzione generale della M.C.T.C. competente in base alla sede della ditta esecutrice dei lavori, al fine di accertare quanto attestato dalla relazione predetta, prima che venga eseguita la modifica richiesta. 144 Corte di giustizia dell’11 luglio 1974, in causa n. 8/74, Procureur du Roi c. Benoît e Gustave Dassonville, in Raccolta, 1974, p. 837. Secondo una costante giurisprudenza, il divieto delle misure di effetto equivalente a restrizioni, enunciato all’art. 28 CE (ora 34 TFUE), riguarda qualsiasi normativa degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, il commercio intracomunitario (v., in particolare, le sentenze 19 giugno 2003, in causa n. C-420/01, Commissione delle Comunità europee c. Italia, in Raccolta, 2003, pag. I-6445, punto 25; del 23 settembre 2003, in causa n. C-192/01, Commissione delle Comunità europee c. Danimarca, in Raccolta, 2003, p. I-9693, punto 39; del 2 dicembre 2004, in causa n. C-41/02, Commissione delle Comunità europee c. Paesi Bassi, in Raccolta, p. I-11375, punto 39, nonché del 10 gennaio 2006, in causa n. C-147/04, De Groot en Slot Allium e Bejo Zaden, in Raccolta, 2006, p. I-245, punto 71). 145 Corte di giustizia del 20 febbraio 1979, in causa n. 120/78, Rewe-Zentral AG c. Bundesmonopolverwaltung für Branntwein, in Raccolta, 1979, p. 649 (cd. Cassis De Dijon). 146 Corte di giustizia del 15 marzo 2007, in causa n. C-54/05, Commissione delle Comunità europee c. Finlandia, in Raccolta, 2007, p. I-02473; Corte di giustizia del 5 febbraio 2004, in causa C-270/02, Commissione delle Comunità c. Italia, in Raccolta, 2004, p. I-1559, punto 21. La disposizione nazionale deve essere idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non deve andare oltre quanto 67 autorità nazionali competenti dimostrare, da un lato, che, in assenza di un’armonizzazione totale completa, la normativa domestica è necessaria per conseguire uno o più obiettivi menzionati all’art. 36 TFUE o per soddisfare “esigenze imperative”147 e, dall’altro, che essa è conforme al principio di proporzionalità 148. La misura nazionale deve essere idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non eccedere quanto necessario per il suo raggiungimento149. Si è ritenuto che motivi imperativi di interesse generale possano essere rappresentati da comprovate ragioni di sicurezza (della circolazione) stradale150; viene così riconosciuto il potere dello Stato di intervenire in ordine ad un livello elevato di sicurezza della circolazione stradale se è basato su giustificazioni obiettive151. necessario per il suo raggiungimento, v., in particolare, Corte di giustizia del 20 giugno 2002, in cause riunite C-388/00 e C-429/00, Radiosistemi c. Prefetto di Genova, in Raccolta, 2002, p. I-05845. 147 Vengono qui richiamati i motivi imperativi di interesse generale, utilizzati dalla giurisprudenza comunitaria per allargare le rigide maglie dell’art. 36 TFUE che prevede eccezioni alla libertà di circolazione delle merci molto limitate; v. di recente, v. Corte di giustizia del 12 luglio 2012, in causa n. 176/11, HIT Hoteli c. Bundesminister für Finanzen, Austria, in Raccolta, 2012. 148 Corte di giustizia dell’8 maggio 2003, in causa n. C-14/02, Atral c. Stato belga, in Raccolta, 2003, p. I-4431. 149 Corte di giustizia del 15 marzo 2007, cit. supra, nota 146. 150 La sicurezza stradale può costituire una ragione imperativa di interesse generale atta a giustificare un ostacolo alla libera circolazione delle merci, v., in particolare, Corte di Giustizia del 5 ottobre 1994, in causa n. C-55/93, Van Schaik, in Raccolta, 1994, p. I-4837, punto 19. 151 Di diverso parere l’Avvocato Generale P. LEGER nelle sue conclusioni del 5 ottobre 2006, in causa avanti la Corte di giustizia n. C-110/05, Commissione delle Comunità Europee c. Italia, in Raccolta, 2009, p. I-00519, che sosteneva che: “Per prima cosa, va constatato che una misura nazionale come quella ora controversa apporta una restrizione importante al libero mercato fra gli Stati membri. Dagli elementi del fascicolo risulta che essa comporta un divieto generale e assoluto. Non si limita a vietare la circolazione dei motoveicoli trainanti rimorchi in località precise o su determinati tragitti, bensì si applica a tutti il territorio nazionale, indipendentemente dalle infrastrutture stradali e dalle condizioni di traffico. Si deve, poi, rilevare che le Autorità italiane non producono elementi precisi tali da dimostrare che le condizioni poste sono proporzionate al fine di effettiva tutela della sicurezza dei conducenti. La Repubblica italiana, da un lato, si limita a constatare, in via del tutto generale, che «la orografia dei singoli territori nazionali non è uniforme» e che «le caratteristiche tecniche dei veicoli in circolazione sono strumentali alla incolumità delle persone e alla sicurezza della circolazione». Dall’altro, non contesta che il divieto in causa si applica ai soli motoveicoli 68 Queste tematiche sono affrontate nella causa “Rimorchi per motocicli”152. Ivi si discuteva delle legittimità del divieto posto dal nostro Codice della Strada di utilizzare nella circolazione stradale rimorchi trainati da motocicli. Nella trattazione della causa si ipotizzava inizialmente che il divieto imposto dal Codice della strada incidesse sulle modalità di vendita del prodotto. Ciò serviva per ritenere non applicabile al caso l’art. 34 TFUE in relazione alla giurisprudenza Keck153. La difesa dell’Italia rilevava che era possibile far rientrare nelle eccezioni dell’art. 36 TFUE anche l’adozione di misure comportanti un maggior livello di sicurezza nella circolazione stradale. Tale difesa era accolta dalla Corte in relazione al premiante obiettivo che si voleva raggiungere, peraltro privo (e tale aspetto si è rilevato decisivo) di motivazioni discriminatorie. Nello stesso senso va la sentenza Lahousse154 immatricolati in Italia (25) . Quelli immatricolati in altri Stati membri sarebbero dunque ammessi a trainare rimorchi sulle strade italiane. Mi sembra, infine, che l’incolumità dei conducenti perseguita dalla normativa in causa possa essere assicurata da misure meno restrittive del commercio intracomunitario. Penso, per esempio, che un divieto settoriale, applicabile sui tragitti considerati pericolosi, come i valichi alpini o le vie pubbliche particolarmente frequentate, ben permetta di realizzare l’obiettivo. L’analisi mi pare corroborata, sotto tale profilo, dal dichiarato intento della Repubblica italiana di modificare la propria normativa conformemente al diritto comunitario. Sostanzialmente conformi le successive conclusioni dell’Avvocato Generale BOT dell’ 8 luglio 2008 in Raccolta, 2009, p. I-00519, che rilevava che “mi sembra tuttavia che difficilmente la misura impugnata possa soddisfare il requisito della proporzionalità. Infatti, la normativa italiana non si limita a vietare l’uso dei rimorchi abbinati ad un motoveicolo in località precise o su itinerari particolari, ma si applica su tutto il territorio italiano, indipendentemente dalle infrastrutture stradali e dalle condizioni di circolazione. Le Autorità italiane non indicano alcun elemento preciso che possa dimostrare che un divieto così ampio sia proporzionato all’obiettivo perseguito. Inoltre il divieto in parola riguarda unicamente i motoveicoli immatricolati in Italia. Quelli immatricolati negli altri Stati membri sono quindi autorizzati a circolare con un rimorchio sulle strade italiane”. 152 Corte di Giustizia del 10 febbraio 2009, Commissione delle Comunità Europee c. Italia, cit. supra, nota 125. 153 Corte di Giustizia del 24 novembre 1993, in cause riunite C-267/91 e C-268/91, procedimenti penali c. Bernard Keck e Daniel Mithouard, in Raccolta, 1993, p. I6097. Tale giurisprudenza stabilisce che non costituisce una restrizione la disposizione nazionale che incide sulle modalità di vendita dei prodotti se tale restrizione è diretta a tutti gli operatori ed incide nei loro confronti in egual misura tanto sotto il profilo giuridico che sotto quello sostanziale sulla commerciabilità del prodotti. 154 Corte di Giustizia del 18 novembre 2010, in causa n. C-142/09, V. W. Lahousse, in Raccolta, 2011, p.11. 69 che stabilisce che la normativa sulla omologazione dei motoveicoli deve essere interpretata nel senso che quando un veicolo od un componente od una entità tecnica a questo collegati non beneficiano della procedura di omologazione perché non rientrano nell’ambito di applicazione della medesima, non vi è ostacolo a che uno Stato membro stabilisca un meccanismo analogo di riconoscimento dei controlli effettuati dagli altri Stati, a patto che non vengano violate le norme degli artt. 34 TFUE e 36 TFUE. A questo punto giova chiedersi se la norma introdotta dall’art. 236 del regolamento di attuazione del Codice della Strada abbia lo stesso fondamento e possa essere difesa allo stesso modo. La questione non risulta essere mai stata posta dai costruttori di parti di ricambio prima d’ora alla Corte di Giustizia, ma non è detto che avrebbe avuto buon esito perché, anche in questo caso, vengono in essere evidenti ragioni di sicurezza. Il legislatore comunitario, all’art. 31 della direttiva sulla omologazione pone una norma non chiara, introducendo la definizione di “parti o apparecchiature che sono in grado di comportare un rischio significativo per il corretto funzionamento dei sistemi essenziali per la sicurezza del veicolo o per le sue prestazioni ambientali”. Per tali parti, che si riserva di indicare nell’allegato XIII, è prevista un’autorizzazione delle autorità di omologazione. Il legislatore nazionale riprende questa normativa e sostituisce il nulla osta con una diversa procedura: il comma 3 bis dell’art. 75 prevede un’autorizzazione nazionale. Il nulla osta è ancora previsto per quei casi che possono coinvolgere problemi di sicurezza. La norma prevede che le prescrizioni dettate per l’approvazione nazionale devono essere conformi alla normativa comunitaria quando i sistemi, componenti od entità tecniche sono già disciplinate da questo155. b) Il nuovo art. 75 del Codice della Strada. 155 Ad esempio, per i sistemi frenanti, la direttiva n. 2002/78/Ce o il regolamento ECE 13H. 70 All’art. 75, comma 3 bis, del Codice della Strada (modificato con la Legge 27 febbraio 2009, n. 14) è prevista una nuova procedura di omologazione di parti componenti che modificano il veicolo originale. In questo modo il legislatore intende liberalizzare156 parzialmente il settore della componentistica automotive: anche qui una norma tecnica viene utilizzata per migliorare la concorrenza sul mercato157. Si tratta di una forma particolare di autorizzazione nazionale, gestita a livello ministeriale, per i sistemi, i componenti ed entità tecniche: il sistema si pone in parallelo a quello della omologazione CE, ma è molto più semplice non avendo a riferimento le direttive tecniche specifiche (salvo ovviamente non vi siano disposizioni al riguardo). Vengono analizzati i dati, le prestazioni, i materiali: se il componente supera i test, al medesimo viene assegnato un numero di omologazione. Come detto in precedenza il “vecchio sistema” (art. 78 Codice della Strada) prevedeva l’obbligo della verifica del mezzo presso la Motorizzazione nel caso di modifiche: a) alle caratteristiche costruttive/funzionali; b) ai dispositivi di equipaggiamento di cui agli artt. li 71 e 72; c) di sostituzione o modifica del telaio. L’art. 236 del regolamento di attuazione stabiliva che ogni modifica costruttivo/funzionale o sostituzione del telaio comportava la verifica presso la Motorizzazione; inoltre, prevedeva che la modifica a determinati elementi 156 Si è già detto che questa norma trova riferimento nell’art. 31 della direttiva 2007/46/Ce e si indirizza a parti che comportano un significativo rischio al funzionamento di sistemi essenziali. Esse sono soggette ad un regime di autorizzazione. Tale procedura non è necessaria se la parte componente è omologata. 157 Art. 75, 3-bis: “Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti stabilisce con propri decreti norme specifiche per l’approvazione nazionale dei sistemi, componenti ed entità tecniche, nonché le idonee procedure per la loro installazione quali elementi di sostituzione o di integrazione di parti dei veicoli, su tipi di autovetture e motocicli nuovi o in circolazione. I sistemi, componenti ed entità tecniche, per i quali siano stati emanati i suddetti decreti contenenti le norme specifiche per l’approvazione nazionale degli stessi, sono esentati dalla necessità di ottenere l’eventuale nulla osta della casa costruttrice del veicolo di cui all’articolo 236, secondo comma, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, salvo che sia diversamente disposto nei decreti medesimi”. 71 (masse, carreggiate, sbalzi, telaio, impianto frenante, potenza) era subordinata al rilascio, da parte del costruttore, di un nulla osta. L’art. 3 bis dell’art. 75 Codice della Strada elimina il nulla osta dei costruttori del veicolo (rilasciati con molta parsimonia perché non gradivano modifiche ai loro veicoli)158. I primi decreti attuativi159 riguardavano i “sistemi frenanti” delle vetture di categoria M1160 e delle motociclette della categoria L3. Per sistema frenante si intende l’insieme funzionale costituito dai dischi freno e da uno o più dei seguenti accessori: pinze del freno, pastiglie, adattatori, tubazioni, sensori. I kit sono predisposti dal costruttore e non sono modificabili161. Il sistema non deve prevedere un’alterazione delle funzioni dell’impianto originario (art. 4). Il montaggio del componente deve essere effettuato secondo le prescrizioni del costruttore presso un’officina qualificata che rilascia un’attestazione (art. 5). Il ciclo si conclude con il collaudo finale ad opera della Motorizzazione. In caso di esito positivo viene modificata la carta di circolazione del veicolo. Ai primi decreti è seguito il decreto del 10 gennaio 2013 n. 20, sui sistemi ruota (in GU n. 56 del 7 marzo 2013). In conclusione, la nuova formulazione dell’art. 75, comma 3 bis, del Codice della Strada dà la possibilità al costruttori di ricambi/accessori di realizzare 158 Il nulla osta è rimasto solo nei casi in cui il sistema richieda la modifica di attuatori, centraline, software di gestione dei sistemi antibloccaggio, con caratteristiche diverse da quelli originari. Non pare modificabile la concezione del sistema (v. art. 4 dei decreti attuativi). 159 Si tratta dei Decreti n. 147 (Regolamento recante sistemi dischi freni per motocicli) e n. 148 (Regolamento recante sistemi dischi freni per autovetture) del 5 agosto 2010, contenuti nella Gazzetta Ufficiale del 9 settembre 2010. 160 Le categorie di veicoli sono definite in base alla seguente classificazione: 1. Categoria M: Veicoli a motore progettati e costruiti per il trasporto di persone ed aventi almeno quattro ruote; Categoria M1: Veicoli progettati e costruiti per il trasporto di persone, aventi al massimo otto posti a sedere oltre al sedile del conducente; Categoria M2: Veicoli progettati e costruiti per il trasporto di persone, aventi più di otto posti a sedere oltre al sedile del conducente e massa massima non superiore a 5 t. Categoria M3: Veicoli progettati e costruiti per il trasporto di persone, aventi più di otto posti a sedere oltre al sedile del conducente e massa massima superiore a 5 t. 161 Nei decreti attuativi si parla di omologazione del “sistema frenante” e non di singoli particolari. 72 parti componenti che comportano specifiche modifiche della vettura senza richiedere il nulla osta della casa automobilistica. Il requisito imposto dal nuovo codice è la rispondenza ai criteri fissati dal decreto ministeriale oppure a quelli di omologazione. Se il componente non li osserva può essere utilizzato solo su pista o su strade non ammesse alla libera circolazione. Ci si è posti il problema se la garanzia di fabbrica della casa produttrice del veicolo possa decadere se vengono effettuate queste modifiche. La risposata è dubbia162. I sistemi autorizzati in altri paesi dell’Unione europea sono soggetti a verifica delle condizioni di sicurezza (art. 9). 12. La circolazione dei veicoli: modifiche, alterazioni, contraffazioni, riciclaggio. La modifica di una vettura attraverso parti componenti “diverse” da quelle originali ha conseguenze sotto diversi aspetti. Ai fini della garanzia per i vizi, la modifica del bene operata dall’acquirente può comportare la perdita del diritto. Infatti, il vizio163 che obbliga alla garanzia ex vendita deve essere preesistente la consegna164. Ciò si spiega in relazione al fatto che il vizio che si verifica dopo il trasferimento del bene all’acquirente è sopportato da questi salvo, ovviamente, la causa (il germe) del medesimo non trovi origine nella fase progettuale o realizzativa. Occorre, dunque, accertare i requisiti del bene al momento del trasferimento di proprietà165. Da queste premesse si trae la conclusione che la trasformazione della cosa, oltre a non consentire la risoluzione del contratto, non potendo essere restituita nello stato originario, implica anche, da parte del proprietario, la sua accettazione e lo sfruttamento della sua utilità (art. 1492 c.c.). Generalmente il costruttore del veicolo prevede la decadenza della garanzia di fabbrica in caso di 162 Occorrerà probabilmente un esame fattuale della causa della rottura al fine di accertarne l’origine e l’apporto causale dato dalla modifica. 163 Definito “difetto di conformità” dalla direttiva n. 1999/44/Ce, in Guce n. L 171 del 7 luglio 1999, p. 12-16. 164 La giurisprudenza è risalente, v. Cass. 5 agosto 1985, 4382; Cass. 4 marzo 1981, 1260, in Giust. Civ., 1981, I, 2690. 165 Sul punto, M. BIANCA, La vendita o la permuta, Torino, 1993, 898. 73 modifiche/manomissioni del prodotto. E’ intuitivo che è rilevante, ai fini della perdita della garanzia per i vizi, solo quella modifica che incide sul difetto che si manifesta. In alcuni casi il costruttore del veicolo è addirittura tenuto a realizzare sistemi di protezione di particolare efficacia contro le manomissioni166. La modifica della vettura potrebbe avere anche rilevo sotto il profilo della violazione di una norma penale, in conseguenza della singolare struttura dell’art. 648 bis c.p. che delinea il reato di riciclaggio come fattispecie realizzata da “chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie, in relazione ad essi, altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. Il caso potrebbe essere quello dell’alterazione dei numeri identificativi di un veicolo di provenienza furtiva167. L’art. 74 del Codice della Strada prevede un sistema alfanumerico di identificazione della vettura (codice VIN), imprimendo il numero sul telaio. V. regolamento n. 566/2011/Ce, ove, al par. 2.3.1., si afferma: “ogni veicolo dotato di computer per il controllo delle emissioni possiede caratteristiche tali da impedirne la modificazione, a meno che detta modificazione sia autorizzata dal costruttore. Il costruttore autorizza le modificazioni necessarie per la diagnosi, la manutenzione programmata, l’ispezione, l’ammodernamento o la riparazione del veicolo. Tutti i codici informatici o parametri operativi riprogrammabili sono protetti contro la manomissione e devono garantire un livello di protezione pari almeno a quanto previsto dalle disposizioni della norma ISO 15031-7 del 15 marzo 2001 (SAE J2186 dell’ottobre 1996). Tutti i circuiti di memoria di taratura asportabili sono rivestiti di resina, racchiusi in un contenitore sigillato o protetti da algoritmi elettronici e possono essere sostituiti soltanto per mezzo di procedure o attrezzi appositi. Questo tipo di protezione è ammessa solo per gli elementi direttamente associati alla regolazione delle emissioni o alla prevenzione del furto del veicolo». 167 V. Cass. pen., 9 febbraio 2010, n. 5159, ove: “integra il reato di riciclaggio la condotta del soggetto che manometta il numero di telaio di una autovettura di provenienza delittuosa, ovvero alteri i dati identificativi del veicolo sulla documentazione di circolazione, poiché entrambe le operazioni mirano ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene, assegnando ad esso un’apparenza di legittimità attraverso un meccanismo di camuffamento che consente di immettere sul mercato quello stesso bene, allontanandone la possibilità di recupero da parte del legittimo titolare con correlativa locupletazione tanto per il riciclatore che per l’autore del delitto presupposto”. 166 74 Il costruttore della vettura applica invece una targhetta rivettata con i suoi dati identificativi168. Prevede, inoltre, che nel caso di contraffazione, alterazione, mancanza, illeggibilità, il numero debba essere riprodotto a cura della Motorizzazione Civile (terzo comma). Nel caso in cui gli organi di polizia accertino l’avvenuta contraffazione o alterazione del numero di telaio applicano su una parte fissa del veicolo una targhetta di materiale cartaceo, autoadesivo e monouso, soggetta a frammentazione in caso di tentativo di rimozione (ad eccezione di motocicli e ciclomotori sui quali non si può applicare per mancanza di una superficie idonea ad una corretta applicazione dell’etichetta). Sulla targhetta vengono annotati il numero di telaio contraffatto, il numero di telaio originale, il numero di targa del veicolo e altri dati. La targhetta consente di identificare il veicolo univocamente per la punzonatura di un nuovo numero di telaio presso i competenti uffici della Motorizzazione che rilascia una nuova carta di circolazione dalla quale risulta, tramite apposite note descrittive riportate alle pagine 3 e 4 del modello MC 820 F, il motivo della ripunzonatura e la posizione ove è stato impresso il numero stesso169. Viene pertanto salvaguardato l’interesse a mantenere la traccia dell’alterazione. 168 La targhetta del costruttore l’altra riporta il nome del costruttore del veicolo ed il n° di omologazione del tipo della vettura, esso è applicata con una placca rivettata o con strisce autoadesive; sul telaio è impresso in numero VIN. Sull’apposizione delle targhette di identificazione del veicolo e del VIN, v. regolamento n. 19/2011/Ue sui sistemi di omologazione, in Guue n. L. 008 del 12 gennaio 2011 e la direttiva n. 78/507/Cee del 19 maggio 1978 in Guce n. L. 155 del 13 giugno 1978, p. 31. 169 Il Ministero dell’Interno, con Circolare del 6 marzo 2001, Prot. n°300/A/3/21822/123/2/27/3, ha impartito nuove istruzioni circa la punzonatura del numero assegnato d’ufficio nei casi in cui il numero di identificazione del telaio sia contraffatto. L’etichetta identificativa, realizzata in modo da resistere ad eventuali manomissioni (frammentazione in caso d’asportazione e protezione dei dati trascritti), ha impresso un numero di serie che la identifica univocamente. Detto numero è ripetuto su una bandella laterale staccabile che dovrà essere applicata sul verbale di restituzione, la cui copia, per un ulteriore verifica e corredo del fascicolo. La procedura è stata adottata dal gennaio 2002. Il supporto è prodotto con materiale cartaceo autoadesivo e monouso (soggetto a frammentazione in caso di tentativo di rimozione); sullo stesso è possibile scrivere con una normale penna a sfera ed apporre timbri inchiostrati. La pellicola trasparente, che si trova già applicata sull’etichetta, ha lo scopo di proteggere i dati trascritti ed è realizzata in 75 Se viene fornito un nuovo telaio si può ritenere che il numero di telaio manchi e quindi si applichi detta norma (è vero che questo non mancava sulla vettura originale, tuttavia, se si consentisse l’asporto della targhetta originale e la sua applicazione su un telaio nuovo oppure la ripunzonatura del telaio nuovo col numero del telaio vecchio, non si spiegherebbe la necessità del collaudo della vettura presso la Motorizzazione ove si accerta la ricostruzione della vettura). L’art. 78 del Codice della Strada, primo comma, prevede, infatti, che nel caso in cui sia sostituito il telaio, il veicolo deve essere avviato a revisione presso la Motorizzazione Civile. E’ stabilito il divieto di circolazione di vetture che abbiano ricevuto la sostituzione del telaio senza superare la revisione ed il ritiro della carta di circolazione (fermo del veicolo). 13. La sicurezza dei sistemi elettrici/elettronici. La tematica sulla sicurezza dell’autovettura è in primo luogo influenzata dalla normativa sulla responsabilità da prodotto (direttiva 85/374/Cee) che esclude la responsabilità del fabbricante se la tecnologia utilizzata è allineata allo “stato dell’arte”. Lo “stato dell’arte” è il livello raggiunto dalla scienza nel settore, condiviso da un’autorevole platea di studiosi. Questa normativa è applicabile quando il prodotto provoca un danno esterno a persone e/o cose. La direttiva 2001/95/Ce sulla sicurezza in generale dei prodotti destinati ai consumatori (dunque applicabile anche al commercio delle vetture170) si modo da frammentarsi in caso di manomissioni per tale ragione deve essere fatta aderire usando la massima delicatezza. L’etichetta deve essere collocata in un punto della carrozzeria che sia al riparo da agenti aggressivi (sostanze chimiche, acqua ecc.), sia facilmente visibile e non soggetto a sostituzione; deve essere fatta aderire direttamente alla lamiera, opportunamente pulita (ad esempio in un punto all’interno del bagagliaio). Il supporto preferibilmente, deve combaciare nella sua interezza con la lamiera e, quindi, va posto sopra superfici uniformi che consentano la facile lettura dei dati. La zona di applicazione va scelta con cura, poiché l’eventuale rimozione dell’etichetta comporterebbe la frammentazione della stessa. Il punto preciso di sistemazione deve essere indicato nel verbale di restituzione del veicolo. 170 La giurisprudenza francese parla di una obbligazione generale di sicurezza; questo regime di responsabilità è diverso da quello della responsabilità da prodotto 76 indirizza alla tutela del “prodotto sicuro”, definendolo come: “qualsiasi prodotto che, in condizioni di uso normali o ragionevolmente prevedibili, compresa la durata e, se del caso, la messa in servizio, l’installazione e le esigenze di manutenzione, non presenti alcun rischio oppure presenti unicamente rischi minimi, compatibili con l’impiego del prodotto e considerati accettabili nell’osservanza di un livello elevato di tutela della salute e della sicurezza delle persone, in funzione, in particolare, degli elementi seguenti: i) delle caratteristiche del prodotto, in particolare la sua composizione, il suo imballaggio, le modalità del suo assemblaggio e, se del caso, della sua installazione e della sua manutenzione; ii) dell’effetto del prodotto su altri prodotti, qualora sia ragionevolmente prevedibile l’utilizzazione del primo con i secondi; iii) della presentazione del prodotto, della sua etichettatura, delle eventuali avvertenze e istruzioni per il suo uso e la sua eliminazione nonché di qualsiasi altra indicazione o informazione relativa al prodotto; iv) delle categorie di consumatori che si trovano in condizione di rischio nell’utilizzazione del prodotto, in particolare dei bambini e degli anziani. Quando un rischio residuo sia accettabile, la direttiva non lo dice, ma lo si ricava dalle metodologie utilizzate per misurare il rischio dei prodotti (rapportando la pericolosità del prodotto con la probabilità dell’evento, l’esposizione al pericolo, la capacità di reazione dell’utente, ecc.). La direttiva in parola richiama il “principio di precauzione”, principio che opera nel caso in cui non sia certo il nesso di causalità tra il prodotto e gli effetti nocivi, ma vi siano ragionevoli congetture per ipotizzare la dannosità del prodotto. Il principio si applica alle recall, ove il richiamo del prodotto dal mercato deve essere disposto dal fabbricante anche in presenza di fondate ipotesi di pericolosità del prodotto, seppur in assenza di danni accertati. di cui alla direttiva n. 2001/95/Ce in Guce n. L11/4 del 15 gennaio 2001, perchè prescinde dalla causazione di un danno esterno derivante dall’uso del prodotto. 77 Allude ad un particolare livello di sicurezza delle vetture il regolamento comunitario n. 661/09/Ce, che afferma (all’art. 5, Requisiti generali e prove) che: 1. I costruttori garantiscono che i veicoli siano progettati, costruiti e assemblati in modo da ridurre al minimo i rischi di lesioni per gli occupanti del veicolo e per gli altri utenti della strada. 2. I costruttori garantiscono che i veicoli, i sistemi, i componenti e le entità tecniche soddisfino i requisiti pertinenti fissati dal presente regolamento e dalle relative misure di attuazione, comprese le prescrizioni relative: a) all’integrità della struttura del veicolo, che comprende le prove d’urto; b) ai sistemi che coadiuvano il conducente nel controllo del veicolo, tra cui lo sterzo, i freni e i sistemi elettronici di controllo della stabilità; c) ai sistemi destinati a informare il conducente, in modo acustico o visivo, sullo stato del veicolo e della zona circostante e comprendenti vetrature, specchi e sistemi d’informazione del conducente; d) ai sistemi di illuminazione del veicolo; e) alla protezione degli occupanti del veicolo, che comprende finiture interne, poggiatesta, cinture di sicurezza, ancoraggi «ISOfix» o sistemi di ritenuta per bambini già montati di serie e porte del veicolo; f) alla parte esterna del veicolo e agli accessori; g) alla compatibilità elettromagnetica; h) ai dispositivi di segnalazione acustica; i) agli impianti di riscaldamento; j) al/ai dispositivo/i di protezione contro un impiego non autorizzato; k) ai sistemi di identificazione del veicolo; l) alle masse e dimensioni; m) alla sicurezza elettrica; n) agli indicatori di cambio di marcia. 3. I requisiti di cui ai paragrafi 1 e 2 si applicano ai veicoli, ai sistemi, ai componenti e alle unità tecniche destinati a tali veicoli, come specificato all’allegato I. Ridurre “al minimo il rischio residuo” è definizione generica: il pensiero va alla concezione nord americana di ragionevole possibilità di progettare un prodotto più sicuro (RAD test, reasonable alternative test)171. 171 In many product liability cases, the plaintiff alleges that a design defect was responsible for the injuries incurred. For example, in a product liability case alleging that a car’s gas tank exploded in rear-end collisions, the plaintiff would 78 Fatte queste premesse generali va rilevato che, come abbiamo detto, una vettura, per poter circolare nella UE, deve essere omologata per tipo 172. Il concetto di sicurezza derivante dalla normativa sulla omologazione è generalmente legato ad aspetti particolari del prodotto, perché le direttive sulla omologazione si occupano di sistemi o parti componenti, ma non di una sicurezza generale applicata al momento progettuale/costruttivo (quindi non si occupano dei processi industriali a monte della vendita del prodotto173). Anche se sono introdotti concetti generali174. Esiste pertanto una zona d’ombra nella normativa automotive che riguarda la logica di progettazione/realizzazione/controllo sul mercato della vettura sotto il profilo della sicurezza generale della vettura, logica non legata alla singola parte componente o sistema coperta dalla omologazione175. Questa allege that the car was defectively designed. In these types of cases, some courts have established a “reasonable design alternative” test. Under this test, a product is defective in design when the foreseeable risks of harm posed by the product could have been reduced or avoided by the adoption of a reasonable alternative design by the seller or other distributor and the omission of the alternative design renders the product not reasonably safe. Under the reasonable design alternative test, the plaintiff has the burden of demonstrating the existence of an alternative design at the time the manufacturer designed the product. The test does not, however, require the plaintiff to produce a prototype in order to make out a design defect case. Instead, qualified expert testimony on the issue suffices, even though an expert has produced no prototype, if it reasonably supports the conclusion that a reasonable alternative design could have been practically adopted at the time of sale. In addition, other products already available on the market that serve the same or very similar function at lower risk and at comparable cost may serve as reasonable alternatives to the product in question. 172 E’ utile ricordare che l’omologazione è necessaria per la circolazione stradale in ragione del fatto che solo con il controllo pubblico si raggiunge un elevato livello sulla sicurezza stradale, sulla protezione della salute e la protezione dell’ambiente. L’omologazione è pertanto una validazione dei requisiti di sicurezza della vettura. 173 Va peraltro rilevato che solo di recente il legislatore comunitario ha sentito il bisogno di intervenire sul controllo della sicurezza dei prodotti, uniformando i moduli (alcuni a controllo esterno) che devono essere seguiti per ottenere la conformità del prodotto, v. decisione n. 768/2008/CE del 9 luglio 2008, relativa a un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti, cit. infra, nota 230.. 174 Al punto 18) delle premesse della direttiva 2007/46/Ce si afferma un principio di ordine generale, presente anche nella direttiva macchine (2006/42/Ce): il costruttore deve tener conto sia delle manovre corrette dell’utilizzatore sia di quelle errate, ma ragionevoli (errori colpevoli, ma razionali). 175 Si consideri l’ipotesi di un difetto ad un sistema E/E (elettrico/elettronico); in logica ISO 26262 si considera il tempo nel quale avviene la comunicazione del difetto al conducente, il tempo di reazione della vettura per la funzione di recovery, 79 zona d’ombra è ora coperta dalla norma ISO 26262. Occorrono alcune premesse. Chi effettua l’analisi del rischio immesso da una vettura sul mercato affronta, generalmente, sintetizzando molto il discorso, logiche semplici o lineari176 (ad esempio, il freno o funziona o non funziona), logiche nelle quali gli effetti di un evento sono invariabilmente ascrivibili ad una determinata causa attraverso una legge fisico/meccanica o ad un ragionamento scientifico (il pedale si è rotto perché era fissato con un aggancio troppo debole). Nella vettura alcuni sistemi, tra essi quelli E(lettrici) ed E(lettronici) possono tuttavia dare risposte non lineari (fuzzy) ed “inaspettate” in quanto provenienti da un sistema complesso e non analitico (non scomponibile nella sua architettura), di cui a volte non si conoscono le leggi scientifiche che lo dominano ed è possibile solo avanzare ipotesi di frequenza del fenomeno (cd. modello black box)177. L’area maggiormente esposta a queste risposte “sorprendenti” è quella E/E (ove si sono accertati con maggior ricorrenza “random hardware/software faults178”. I costruttori di vetture sono chiamati a creare sistemi di recovery la interazione con altri sistemi. Ancor prima, in fase di progettazione, si analizzano e si raffrontano, lasciandone una evidenza documentale, tutte le soluzioni possibili. 176 Che esprimono una causalità lineare, nel senso che a determinati inputs seguono invariabilmente determinati outputs. 177 Nella teoria dei sistemi, un modello black box è un sistema che, similmente ad una scatola nera, è descrivibile solo per come reagisce (output) ad una determinata sollecitazione (input), ma i cui "ingranaggi" non sono visibili. Pur essendo i modelli black box sconosciuti a priori nel loro funzionamento o comportamento è comunque possibile risalire alle loro caratteristiche dinamiche interne in fase di test ovvero a posteriori. Sotto altro profilo si è rilevato che la possibilità di applicare alla vettura sistemi di trasmissione dati può invogliare i costruttori di vetture ad iniziative che possono interessare: a) la mera raccolta di dati (funzione passiva, detta storage); b) lo scambio attivo di informazioni sul funzionamento del veicolo (funziona attiva). Questa seconda attività presenta limiti ancora sconosciuti perché non sempre è possibile interpretare un imput elettronico secondo una logica razionale. Ne consegue che sistemi di dialogo si dimostrano utili se vogliono coprire l’aspetto della assistenza da remoto di un deficit del veicolo, ma di difficile gestione se vogliono aprire finestre di dialogo col cliente per un controllo da remoto sul veicolo in movimento. 178 Failures of simple hardware failures are primarily random in nature rather than systematic. While it is possible that hardware can be subject to systematic failures, the level of complexity of hardware means that predominately failures are random in nature. 80 che evitino risposte “sorprendenti” e che interagiscano in modo intelligente179. La norma ISO 262627 si indirizza ai “possible hazards caused by malfunctioning behaviour of E/E safety-related systems, including interaction of these systems” e si pone come standard per la progettazione/realizzazione di vetture. Essa rappresenta lo stato dell’arte in materia automotive180. I processi di sviluppo in uso nel settore automotive possono essere considerati come maturi, ma non sono rispondenti ai metodi più avanzati della norma ISO 26262. Sostanzialmente lo standard ISO 26262 aiuta a sviluppare un “safe systems” tramite: a) un processo di sviluppo integrato; b) un’organizzazione partecipe del concetto di functyonal safety181; c) l’utilizzo sistematico di DIA (Development Interface Agreement) per gestire ed organizzare i progetti. La normativa è pensata per tutta la vettura, ma approfondisce in modo Enfatizza che la norma ISO 26262 è diretta alla ricerca degli errori casuali, Executive Summary, Functional safety in accordance with ISO 26262, ZVEI UG2, su internet. 179 Si è fatto l’esempio della logica attribuita al costruttore di un acceleratore elettronico di una autovettura; in caso di failure, il sistema pensato dal costruttore dell’acceleratore, in caso di acquisizione di dati incongruenti, potrebbe riportare la funzione al “minimo”, in qualsiasi condizione sia la vettura (curva, rettilineo, alta velocità, bassa velocità). Una corretto funzionamento del sistema vettura comporta che la logica di recovery pensata dal costruttore dell’acceleratore sia compatibile (compresa) dalla logica di recovery di tutti gli altri sistemi operanti sulla vettura ed attivi in condizioni di moto (ABS, ESP, ecc.). 180 Pubblicazione AICQ, Sistemi elettrici per la sicurezza di veicoli: presente e futuro, 2012. Ciò implica che se un fornitore di una parte componente applicasse questo standard ed il costruttore della vettura non lo adottasse, si verificherebbe un disallineamento dallo stato dell’arte del prodotto. 181 Secondo ricorrenti definizioni: “Functional safety is the detection of a potentially dangerous condition resulting in the activation of a protective or corrective device or mechanism to prevent hazardous events arising or providing mitigation to reduce the fight consequence of the hazardous event. Functional safety relies on active systems. Functional safety is part of the overall safety that depends on a system or equipment operating correctly in response to its inputs. Functional safety is achieved when every specified safety function is carried out and the level of performance required of each safety function is met”. La norma ISO 26262 considera la “functional safey” un sistema. 81 particolare la sicurezza di funzionamento dei sistemi E/E (elettrici/elettronici) nel veicolo e prosegue le indicazioni delle norme CEI 61508. Si procede ad una valutazione del rischio182 generato dal prodotto in tutte le fasi di progettazione/produzione. Il rischio è valutato e selezionato, poi è classificato in ASIL (Automotive Safety Integrity Levels) che determinano altrettanti livelli di protezione. Ne deriva che un tale sistema di sicurezza implica l’adozione di una nuova cultura di approccio al problema sicurezza183: il concetto di sicurezza è globale e riguarda l’intero prodotto. Si instaura una concezione della progettazione/costruzione/analisi del rischio immesso sul mercato che considera tutto il processo produttivo, mettendo in discussione ogni soluzione (ipotesi) di scelta con possibili contro ipotesi, ricercandone la congruenza sotto l’aspetto della sicurezza. Il sistema è congruente quando ad un livello di pericolo corrisponde ad una valutazione adeguata ed alla predisposizione di misure adeguate. Dunque la sicurezza non è più un obiettivo, ma una responsabilità sociale del produttore. Una delle principali fasi introdotte dalla norma ISO è la valutazione dei pericoli (hazard) e dei rischi (risk), con particolare riguardo ai rischi dei sistemi E/E. La valutazione avviene su scale (ASIL)184 e obiettivi (safety goals), “related to prevention or mitigation of the associated hazards in order to avoid unreasonable risk”. Il concetto di safety è significativamente descritto come “absence of 182 Pericolo: proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni. Rischio: probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione. 183 E’ chiaro che tutte le aziende sono sensibili al problema della sicurezza del prodotto, ma non tutte sono disposte a dedicare molte risorse a questo problema ed ad organizzare sistemi che rispondano ai più elevati livelli, separando i soggetti che valutano il rischio da quelli che lo gestiscono da quelli che lo testano, creando indipendenza di giudizi e decisioni. 184 La scala di valori indica quattro livelli, partendo dal minore: A, B, C e D. Tenendo conto dei parametri indicati alla, cit. infra, nota 190, il rischio di esplosione casuale di un air bag di una vettura è classificato al massimo. 82 unreasonable risk” e costituisce un nuovo modo di operare nel settore automotive. Il concetto è relazionato a quello di functional safety. Il costruttore della vettura, al pari del costruttore di una macchina operatrice, dovrà pertanto tener ragionevolmente conto (oltre che delle manovre corrette e di quello scorrette, ma ragionevoli) della maggior parte delle ipotesi di rischio, prevedendo presidi185. La safety culture si sostanzia in un continuo tracciamento delle attività correlate al safety. Il prodotto è esaminato in tutte le sue possibili esplicazioni pericolose nel suo lifecycle186. La safety culture è diffusa presso le persone coinvolte nella progettazione / realizzazione / assistenza del veicolo in relazione alla loro responsabilità. Essa si traduce nella adozione di procedure volte alla: a) descrizione delle decisioni sulla sicurezza; b) concezione della sicurezza come highest priority; c) attuazione di processi di verifica indipendenti; d) individuazione della sicurezza come obiettivo del progettista; e) utilizzazione di risorse preparate; f) continua osservazione del processo. Una concezione della sicurezza come maggiore priorità aziendale porta a studiare una indipendenza del funzionamento dei sistemi di sicurezza al fine di evitare la cd. cascading failure187. Il processo progettuale/produttivo è legato ad un concetto di “risk-based 185 Nella vettura si arriva ad un sezionamento dei pericoli ed alla valutazione di misure di recovery appropriate. Sostanzialmente si passa dalla fase di valutazione del pericolo (situazione dannosa generica) ad una fase di valutazione del rischio (situazione dannosa concreta del prodotto), attraverso una procedura completamente tracciata. 186 La complessità della procedura si mostra nel caso di modifiche del prodotto che richiede la comparazione dei progetti sotto tutti i profili esaminati. 187 A cascading failure is a failure in a system of interconnected parts in which the failure of a part can trigger the failure of successive parts. Such a failure may happen in many types of systems, including power transmission, computer networking, finance and bridges. Cascading failures usually begin when one part of the system fails. When this happens, nearby nodes must then take up the slack for the failed component. This overloads these nodes, causing them to fail as well, prompting additional nodes to fail in a vicious cycle. In una macchina gestita da un sistema software il problema si verifica quando l’informazione passa da un nodo che comunica ad altri nodi ed i messaggi possono reciprocamente influenzarsi generando errori a cascata. Questo concetto è presente nella safety aeronautica di sicurezza legata a più livelli indipendenti, con la costante presenza di una funzione ordinaria ed una funzione recovery. 83 approach”. Questo si traduce in una valutazione (ed enucleazione) di ogni pericolo generato dal prodotto e della risposta del prodotto al rischio: ad esempio considerando un tipo di deficit, la capacità della vettura di individuare il deficit e di reagire in un tempo che consenta uno stato di sicurezza, isolando situazioni di aggravamento del rischio. Di notevole interesse la parte che riguarda i test degli errori. Questo è anche l’aspetto che maggiormente differisce la normativa ISO 26262 da quella 61508, in quanto i test sono orientati a gruppi di vetture ed ai comportamenti dei conducenti con vettura in movimento (user oriented188) Per cercare di evitare risposte “sconosciute” provenienti dalla macchina189 si usano test standard degli errori. In quest’ottica la norma ISO 26262 affronta il duplice tema dell’eliminazione di risposte incoerenti e della possibile reazione dell’utilizzatore della macchina a risposte incoerenti e non lineari. Si usano indicatori comuni, quali: la linearità del fenomeno, il tempo di esposizione al pericolo, la possibilità che vengano eseguiti come recovery errori logici (tolgo il pedale dal freno quando attivo l’ABS, manovra scorretta, ma logica)190. 188 A user-oriented model of test types. Considering both methodological attempts to define software evaluation and practical test reports in the broad software engineering area, one may roughly distinguish between three principal motivations behind testing, i.e.: 1. to assess the appropriateness of a piece of software for everyday work; 2. to examine the behaviour of software under specific conditions; 3. to check the actual functionality of a piece of software. 189 To qualify a software component, the standard requires testing under normal operating conditions along with inserting faults in the system to determine how it reacts to abnormal inputs. Software errors such as runtime and data errors are analyzed and addressed throughout the design process. 190 I parametri di riferimento sono: a) exposure, b) controllability, c) severity. 84 II Le informazioni tecniche sul prodotto: la comunicazione Premesse: 1. Il diritto all’informazione corretta – 2. La lingua delle informazioni – 3. La tutela del consumatore nel Trattato – 4. Il codice del consumo e la lingua nazionale – 5. La direttiva macchine e la lingua nazionale – 6. Il contenuto delle informazioni – 7. Il soggetto destinatario delle informazioni – 8. La struttura delle informazioni; il difetto di informazione – 9. Il messaggio elettronico proveniente da una macchina – 10. Tecniche di redazione del messaggio – 11. Il messaggio commerciale corretto – 12. L’illecito da reticenti informazioni. 85 1. Il diritto all’informazione corretta Per informazioni tecniche di un bene di consumo si intendono, in termini generali, le informazioni sulle principali caratteristiche, sulle corrette modalità di funzionamento e d’uso del medesimo nonché sulle conseguenze dannose che possono derivare all’utilizzatore. Le informazioni tecniche, pertanto, sono parte integrante del prodotto191: significativamente, nel settore della responsabilità da prodotto192, come si dirà, la mancanza di informazioni (che incidono sulla sicurezza che ci si può legittimamente attendere) è considerata un “difetto” del bene193. Va immediatamente precisato che le normative comunitarie riguardanti il danno da prodotto o la sicurezza del prodotto194 sono poste a tutela del 191 Un esempio di utilizzazione dell’informazione sul prodotto ai fini della responsabilità per danni si rintraccia all’art. 6 della direttiva n. 85/374/Cee, del 25 luglio 1985, in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, in Guce n. L 210 del 7 agosto 1985, p. 29–33, ove si afferma che “un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui la presentazione del prodotto”. Un esempio di utilizzazione delle informazioni tecniche sul prodotto per determinare il contenuto del contratto di garanzia per i vizi, si rintraccia nella direttiva n. 99/44/Ce del 25 maggio 1999, sulle garanzie dei beni di consumo, cit. supra, nota 163. 192 Occorre sin d’ora tenere presente che in base alla prevalente giurisprudenza (Cass. 13 dicembre 2010, n. 25116, in Foro It., 2012, 2, p. 576; Cass. 15 marzo 2007, n. 6007, in Resp. civ. prev., 2007, II, p. 1587), il difetto è un prerequisito della prova del danno, ciò comporta che la presenza del difetto deve essere accertata prima dell’accertamento del danno ed indipendentemente da esso. 193 Il difetto di informazione può essere la causa di un danno extracontrattuale al pari di un vizio di costruzione del bene. Le differenza si presenta sotto il profilo della prova del nesso causale perché la mancanza/carenza di informazioni presuppone la ricostruzione ex post di uno standard ipotetico, quantomeno relazionato all’homo eiusdem condicionis ac professionis, se non sono previsti standard obbligatori. 194 Direttiva n. 2001/95/Ce del 3 dicembre 2001, cit. supra, nota 170. 86 mercato e non assicurano una preminenza dei diritti del consumatore, anche se questi diritti, in determinati casi (ad esempio quando si mette in pericolo la salute), possono rappresentare un interesse generale che legittima restrizioni ad altre libertà fondamentali, ad esempio alla libera circolazione delle merci o dei servizi. Diversamente avviene nella normativa sulle pratiche commerciali scorrette, a seguito esaminata195. In relazione all’interesse del produttore di poter utilizzare regole uniformi per redigere le informazioni tecniche di un prodotto che circola liberamente nel mercato dell’Unione Europea ed a quello (parzialmente contrapposto) dei consumatori di poter disporre di dati esaurienti e “correttamente” esposti196, la UE (all’epoca CE) nel 1998 aveva avvertito l’esigenza di offrire agli operatori, attraverso una Risoluzione197 (atto atipico non vincolante emanato dalle Istituzioni comunitarie), regole uniformi per la redazione delle informazioni, a fronte della constatazione che: a) data la crescente varietà di beni disponibili sul mercato e le frequenti innovazioni dovute al progresso tecnico, le istruzioni per l’uso dei beni di consumo tecnici sono spesso inadeguate, sia perché poco chiare sia perché presentano difficoltà di carattere linguistico, dovute a traduzioni errate o all’impiego di termini eccessivamente complessi; b) l’uso di un linguaggio appropriato è fondamentale; c) nessuna normativa comunitaria affronta specificatamente gli aspetti delle istruzioni per l’uso dei beni di consumo. Dall’informazione tecnica si distingue la comunicazione (o informazione) commerciale sul prodotto198, generalmente denominata pubblicità 195 Corte di giustizia del 19 settembre 2013, in causa n. C-435/11, CHS Tour Services GmbH c. Team4 Travel GmbH, in Raccolta, 2013. 196 Vedremo a seguito che l’interesse a ricevere un’informazione completa si associa indissolubilmente a quello a ricevere un’informazione corretta. Su questa tematica v., F. FORNI, La libertà di espressione del messaggio commerciale, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2011, p. 407. 197 Risoluzione del Consiglio del 17 dicembre 1998 concernente le istruzioni per l’uso dei beni di consumo tecnici, in Guce n. C 411 del 31 dicembre 1998, p. 1-4. 198 L’art. 18 del Codice del Consumo (D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206) aveva originariamente introdotto la nozione di “comunicazione commerciale”, tale nozione coincideva sostanzialmente con quella di pubblicità di cui al successivo art. 20, lettera a). 87 commerciale o informazione di marketing. Essa è finalizzata alla promozione commerciale del prodotto e ha ricevuto, di recente, sistemazione normativa, a livello comunitario, nella direttiva n. 2005/29/CE199, recepita nel nostro Paese attraverso due decreti legislativi (D. Lgs. 2 agosto 2007 n. 145 e D. Lgs. 2 agosto 2007 n. 146, rispettivamente afferenti la relazione tra produttore e consumatore e quella tra imprese; il primo è poi stato trasposto nel Codice del Consumo 200). Non esiste però una netta separazione tra informazione tecnica ed informazione commerciale201, in quanto quest’ultima tocca sovente aspetti riguardanti la sicurezza e la salute del consumatore202, aspetti che sono tipicamente trattati nelle informazioni tecniche203. E’ significativo il caso delle confezioni di sigarette che, alcuni anni or sono, in assenza di una specifica normativa, recavano la dicitura “Light”. La decettività del messaggio informativo ha Ecco perché, come in precedenza detto, le informazioni tecniche richieste dal regolamento di omologazione n. 715/2007/Ce non si occupano di informazioni commerciali. 199 Direttiva n. 2005/29/CE dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno che modifica la direttiva n. 84/450/CEE, le direttive n. 97/7/CE, n. 2002/65/CE ed il regolamento n. 2006/2004/Ce, in Gu-Ue n. L 149 dell’ 11 giugno 2005, p. 22. A livello di regolamentazione privata, v. il Codice di autodisciplina delle comunicazioni commerciali e l’ICC Code of Adversiting and Marketing Communication Practice, sul sito internet di ICC International Chamber of Commerce. 200 V., cit. supra, nota 198. 201 Per un esame della possibile distinzione tra informazione e pubblicità in base alla giurisprudenza comunitaria, F. FORNI, La libertà di espressione del messaggio commerciale, v., cit. supra, nota 196. 202 Per la definizione di “salute” si può far riferimento a quella contenuta nel D. Lgs. 81/08, cd. T.U. sulla Sicurezza, che la descrive come lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità; per quella di “sicurezza” del prodotto si può far riferimento a quella di “prodotto sicuro” contenuta nella direttiva n. 2001/95/CE (cit. supra, nota 170): “qualsiasi prodotto che, in condizioni di uso normali o ragionevolmente prevedibili, compresa la durata e, se del caso, la messa in servizio, l’installazione e le esigenze di manutenzione, non presenti alcun rischio oppure presenti unicamente rischi minimi, compatibili con l’impiego del prodotto e considerati accettabili nell’osservanza di un livello elevato di tutela della salute e della sicurezza delle persone”. 203 Alcuni prodotti presentano una maggior pericolosità rispetto al normale, ma ne è ammesso l’uso in presenza dell’adozione di maggiori cautele nell’uso. Tale maggior pericolosità, se non è evidente, notoria o non può essere altrimenti ridotta, deve essere evidenziata dal fabbricante mediante un’informazione. 88 originato numerose vertenze giudiziarie, approdate alla S.C.204, sul presupposto che il messaggio, evocando la presenza di una minor quantità di sostanze tossiche (catrame e monossido di carbonio) nelle sigarette light, allentava le cautele dovute e poteva invogliare il consumatore ad un maggior consumo. Più di recente, l’AGCM è intervenuta a proposito del messaggio pubblicitario di un produttore di bevande consumate anche da un pubblico di adolescenti che spingeva il consumatore ad affrontare situazioni di oggettiva pericolosità (quali la stanchezza alla guida o la prospettiva di affrontare un lungo viaggio su strada), facendo affidamento sulle caratteristiche e sugli effetti del prodotto vantati dal messaggio stesso, senza segnalare i rischi derivanti dal prospettato utilizzo del prodotto allorché venivano trascurate le normali regole di prudenza e vigilanza205. Si evidenzia così un duplice aspetto dell’informazione tecnica: a) di strumento che incide sul processo autovalutativo utilizzato dal consumatore per operare la scelta d’acquisto206; b) di strumento che incide sul modo di usare il prodotto in modo sicuro207. Va a questo punto rilevato che il processo di armonizzazione comunitaria dei diritti nazionali sulle informazioni ai consumatori è, sino ad ora, intervenuto solo per determinate tipologie di prodotti208, ma non in via 204 Tra le più note, Cass. 17 dicembre 2009, n. 26516, in Foro It., 2010, p. 869. AGCM, Provvedimento PS2115, n. 19541, del 19 febbraio 2009. 206 Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, in Giur. It., 2006, p. 1599, fa riferimento alla violazione di obblighi informativi che impediscono al destinatario di esprimere un consenso libero e consapevole e non sono idonei ad offrire elementi utili per valutare la convenienza dell’operazione. 207 Sotto diverso profilo che qui non verrà trattato, il diritto di accesso alle informazioni tecniche si inserisce nella libertà del consumatore di poter liberamente usufruire dei servizi della riparazione post-vendita nel paese comunitario che predilige. Tale libertà verrebbe meno se il fabbricante non fornisse ai riparatori indipendenti le informazioni per la riparazione. Sul diritto di poter esercitare la libertà dei servizi, v. direttiva n. 2006/123/CE del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, cit. supra, nota 39. 208 Tra essi i prodotti alimentari, v. al proposito, di recente, V. MAGLIO, Il nuovo regolamento sull’informazione ai consumatori relativa ai prodotti alimentari, in Contratto e Impresa/EU, 2011, p. 743, con riferimento al regolamentato n. 1169/2011/Ue del 25 ottobre 2011, in Gu-Ue n. L 304/18 del 22 novembre 2011. Altro settore ove sono state armonizzate le regole sull’informazione tecnica è quello della costruzione e commercializzazione delle macchine, v. direttiva 205 89 generale209. Come si dirà oltre, il problema delle informazioni al consumatore a livello comunitario è stato inserito nell’ambito della protezione della salute del consumatore per l’uso di determinati prodotti/sostanze e ciò ne ha condizionato l’approccio settoriale. Il nostro legislatore ha operato diversamente. L’art. 6 del Codice del consumo prevede, in via generale, una griglia di informazioni che costituiscono il contenuto minimo dell’obbligo informativo del produttore verso il consumatore: la denominazione del prodotto, il nome del produttore o dell’importatore stabilito nell’UE, la presenza di eventuali sostanze tossiche, i materiali impiegati e le istruzioni per l’uso se utili ai fini della sicurezza. Tale obbligo informativo vale sia per l’informazione tecnica che per quella commerciale. L’art. 2 del Codice210 individua alcuni diritti fondamentali del consumatore211, in particolare i diritti: alla salute, alla 2006/42/CE del 17 maggio 2006, in Gu-Ue n. 157/24 del 9 giugno 2006, cd. direttiva macchine. 209 Il processo di armonizzazione settoriale pare mutato con la direttiva n. 2011/83/UE del 25 ottobre 2011 sui diritti dei consumatori in Gu-Ue del 22 novembre 2011, n. L 304/64, la quale interviene sul dovere del professionista di rendere una corretta informativa precontrattuale al consumatore, dettando un elenco di informazioni che devono essere fornite e prescrivendo “uno stile chiaro e comprensibile”. Si tratta di una direttiva contenente principi generali in determinati settori di contratti con consumatori, di armonizzazione massima. Sul tema, I. RIVA, La direttiva di armonizzazione massima sui diritti dei consumatori o almeno ciò che resta, in Contratto e Impresa/Eu, 2012, p. 754. 210 Il Codice del Consumo, cit. supra, nota 198, raccoglie numerose normative relative al rapporto tra un professionista ed un consumatore. Molte di esse costituiscono il recepimento di direttive comunitarie che perseguono un equilibrato funzionamento del mercato, mediando gli interessi di tutti i suoi protagonisti (produttori, distributori, consumatori) e non solo quelli dei consumatori. Ne è un chiaro esempio la normativa sulla responsabilità da prodotto contenuta nella direttiva n. 85/374/CEE del 25 luglio 1985, cit. supra, nota 191. 211 Non è qui la sede per indagare la natura di questi diritti, vale però ricordare che l’affermazione (della tutela) dei diritti del consumatore aveva già trovato riscontro negli anni ‘80 nel diritto comunitario ed in particolare nell’art. 153 TCE (169 TFUE). Questi diritti sono individuati in vari atti legislativi, tra cui la recente direttiva n. 2011/83/UE, cit. supra, nota 18, ed attengono alla relazione consumatore/ professionista. I diritti dei consumatori sono riconosciuti dalla Carta di Nizza del 2000, la quale fa ora parte del Trattato di Lisbona. La Carta pone quale valore di base la dignità umana, afferma che lo sviluppo sostenibile dell’Europa è basato su di una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale. La Carta riconosce e garantisce i diritti della persona all’integrità 90 sicurezza del prodotto e ad una «adeguata informazione». Si tratta, sostanzialmente, di diverse facce di uno stesso, complesso, diritto di protezione del consumatore212. L’«adeguata informazione», esaminata nel micro mercato geografico della relazione tra distributore e consumatore, consente a quest’ultimo di operare scelte di acquisto razionali213, eliminando (dall’acquisto) prodotti scadenti o insicuri; al contempo, esaminata nel mercato unico, consente un suo più equilibrato funzionamento214, evitando al fabbricante di fornire informazioni ridondanti e non necessarie215. 2. La lingua delle informazioni fisica e psichica, la protezione della salute, il rispetto della vita familiare, dei dati a carattere personale. Nel nostro ordinamento ha fatto espresso riferimento ai diritti dei consumatori la L. 30 luglio 1998, n. 281, Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, in GU n. 189 del 14 agosto 1998, abrogata e sostituita dal Codice del Consumo. Quanto alla nostra giurisprudenza, Cass. SS. UU. 15 gennaio 2009, n. 794, in Resp. Civ. e prev., 2009, p. 793, rileva che la disciplina comunitaria relativa ai consumatori, pur avendo all’origine lo scopo di proteggere il corretto funzionamento del mercato, si è gradualmente orientata verso la protezione di specifici interessi del consumatore (in particolare la salute: si pensi alla direttiva comunitaria in materia di sicurezza dei prodotti e prodotti difettosi), fino ad individuarne i diritti e ad attribuire ad alcuni di essi natura fondamentale. Il messaggio ingannevole lede, appunto, il diritto del consumatore alla libera determinazione intorno alla scelta ed all’uso del prodotto, in altri termini “ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso” (artt. 2 e 21, comma 2°, Cod. cons.). Di particolare interesse sul tema, v. la Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio ed al Comitato Economico Sociale, Bruxelles, del 22 maggio 2012, COM(2012) 225 final. 212 Su queste tematiche, tra altri, ALPA, Il diritto dei consumatori, Roma-Bari, 1999; PACE, I diritti del consumatore: una nuova generazione di diritti, in Nova Juris Interpretatio, Quaderno monografico, 2010. 213 Ovviamente non vengono qui considerati i comportamenti del consumatore in relazione alla razionalità della scelta di acquisto, tematica di competenza della scienza economica comportamentale, ma i comportamenti del consumatore in relazione possesso di informazioni sufficienti per valutare la sicurezza del prodotto nell’uso. 214 Si consideri la direttiva n. 2005/29/CE, sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno, cit. supra, nota 199, la quale si propone la finalità di contribuire al corretto funzionamento del mercato ed ad un elevato livello di tutela dei consumatori, rimuovendo gli ostacoli all’integrazione economica. 215 Anticipiamo qui che, in termini generali, l’informazione non deve essere tale da distogliere l’attenzione del destinatario dagli aspetti principali del tema affrontato, graduando gli argomenti per importanza. 91 Questione preliminare allo studio delle informazioni sul prodotto rese dal fabbricante al consumatore è la complessa tematica della lingua con la quale esse devono essere fornite. Si dibattono, nel tema, interessi configgenti: da una parte, il consumatore ha interesse alla miglior comprensione del messaggio (ai fini di una sicura utilizzazione del bene e di una corretta scelta di acquisto), dall’altra il fabbricante ha interesse (pratico ed economico) a poter utilizzare lingue a diffusione massima (es. inglese, spagnolo) in luogo di quella locale. Il bilanciamento di questi interessi avviene, nel diritto comunitario, nell’ottica del funzionamento del mercato e della libera circolazione transfrontaliera delle merci di cui all’art. 34 TFUE216. In tale ottica, in termini generali, l’imposizione della lingua locale nelle informazioni sui prodotti da parte delle legislazioni nazionali potrebbe costituire una restrizione (quantitativa, qualitativa o una misura di effetto equivalente217) se idonea a creare effettivi e non giustificati oneri aggiuntivi in capo ai 216 V., tra gli atti di diritto derivato che regolano la circolazione delle merci, il regolamento n. 764/08/CE del 9 luglio 2008, che stabilisce procedure relative all’applicazione di determinate regole tecniche nazionali a prodotti legalmente commercializzati in un altro Stato membro, in Gu-Ue n. L 218/21 del 13 agosto 2008 nonché il regolamento n. 2679/98/CE del 7 dicembre 1998 sul funzionamento del mercato interno in relazione alla libera circolazione delle merci tra gli Stati membri, in Guce n. L 337/8 del 12 dicembre 1998. 217 Le misure di effetto equivalente hanno maggiore ampiezza rispetto alle restrizioni quantitative (generalmente consistenti in misure di contingentazione) ed alle restrizioni qualitative (generalmente consistenti in requisiti sulla qualità dei prodotti). La loro definizione è riassunta dalla cd. formula Dassonville formula sintetizzata nella massima: “ogni normativa commerciale degli Stati membri che può ostacolare, direttamente od indirettamente, in atto od in potenza, gli scambi intracomunitari, va considerata come una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative” (formula espressa nella sentenza della Corte di giustizia dell’11 luglio 1974, in causa n. 8/74, Benoit e Gustave Dassonville, in Raccolta, 1974, p. 8-74). V., sul punto, G. TESAURO, Diritto Comunitario, Padova, Cedam, 2010, p. 426; G. STROZZI (a cura di) Diritto dell’Unione europea, Torino, Giappichelli, 2006, p. 27. Innumerevole la casistica esaminata dalla giurisprudenza comunitaria sulle misure di effetto equivalente; tra le ultime decisioni, v. Corte di giustizia del 10 febbraio 2009, in causa n. C-110/05, Commissione delle Comunità europee c. Italia, in GuUe n. C-82 del 4 aprile 2009, p. 2, a proposito del divieto posto dal nostro codice della strada di trainare piccoli rimorchi con motocicli. 92 produttori218, con la conseguenza che la misura restrittiva potrebbe essere autorizzata, in via di eccezione, solo nei casi previsti dall’art. 36 TFUE. Il divieto delle restrizioni alla libera circolazione delle merci di cui all’art. 34 TFUE non opera se il requisito linguistico è oggetto di armonizzazione comunitaria219, divenendo tale normativa lex specialis220. La giurisprudenza della Corte di Giustizia distingue, in alcune decisioni, la fase che precede la vendita al consumatore finale (cd. distribuzione all’ingrosso), nella quale intervengono solo operatori professionali, da quella della vendita al consumatore finale (cd. distribuzione al dettaglio). In quest’ultima fase tende a consentire al fabbricante l’uso di informazioni non in lingua locale solo a determinate condizioni (la notorietà prodotto, la presenza di campagne informative su vasta scala, l’uso di espressioni d’uso ricorrente, l’uso di termini che, se tradotti, potrebbero portare a fraintendimenti, ecc.). La tutela del consumatore si inserisce pertanto nell’ambito della circolazione dei prodotti sul mercato (libertà fondamentale del Trattato istitutivo); in questo complesso contesto la regolamentazione dell’informazione trova, al contempo, la propria giustificazione ed il proprio limite: la giustificazione perché l’informazione non può mettere in pericolo 218 Corte di giustizia del 3 giugno 1999, in causa n. C-33/97, Colim c. Bigg’s, in Raccolta, 1999, p. I-03175. 219 V., ad esempio, il regolamento n. 607/2009/CE del 14 luglio 2009, sulle denominazioni di origine protette (…) e la presentazione di determinati prodotti vitivinicoli, in Gu-Ue n. L 193 del 24 luglio 2009, p. 60–139, che, all’art. 31, precisa: “la menzione da proteggere è espressa: a) nella lingua o nelle lingue ufficiali, nella lingua regionale o nelle lingue regionali dello Stato membro o del paese terzo di cui è originaria, oppure b) nella lingua di tale menzione usata in commercio”; nonché la direttiva n. 2008/122/CE del 14 gennaio 2009 sulla tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio, in Gu-Ue n. L 33/10 del 3 febbraio 2009, che, all’art. 4, precisa: “le informazioni di cui al paragrafo 1 sono fornite a titolo gratuito dall’operatore su carta o altro supporto durevole facilmente accessibile al consumatore. Gli Stati membri garantiscono che le informazioni di cui al par. 1 siano redatte nella lingua o in una delle lingue dello Stato membro in cui il consumatore risiede oppure di cui è cittadino, a scelta di quest’ultimo, purché si tratti di una lingua ufficiale della Comunità”. 220 V., tra altre, Corte di giustizia del 14 dicembre 2004, in causa n. C-309/02, Radlberger Getränkegesellschaft mbH & Co. e S. Spitz KG c. Land BadenWürttemberg, in Raccolta, 2004, p. I-11763. 93 la salute del consumatore221, il limite perché non può costituire un irragionevole ostacolo alla circolazione del prodotto nel mercato. Tali notazioni ci paiono utili per comprendere una giurisprudenza della Corte di Giustizia che, per certi versi, potrebbe apparire (davvero) sorprendente. La Corte di Giustizia nella sentenza Peeters222 affronta il problema posto 221 Corte di giustizia del 13 luglio 2004, in causa n. C-429/02, Bacardi France SAS c. Télévision française 1 SA (TF1), Groupe Jean-Claude Darmon SA e Girosport SARL, in Raccolta, 2004, p. I-06613, ove: “un regime di pubblicità televisiva di questo tipo persegue tuttavia uno scopo di tutela della sanità pubblica ai sensi dell’art. 56, n. 1, del Trattato (divenuto, in seguito a modifica, art. 46, n. 1, CE), in quanto le misure che limitano le possibilità di pubblicità per le bevande alcoliche e cercano così di combattere l’alcolismo rispondono a preoccupazioni di sanità pubblica. Siffatto regime è, inoltre, idoneo a realizzare tale obiettivo e non va oltre quanto necessario per conseguirlo. Il detto regime riduce infatti i casi in cui possono essere visti alla televisione i pannelli pubblicitari per le bevande alcoliche e, con ciò, è idoneo a limitare la diffusione di tali messaggi, riducendo così le occasioni in cui i telespettatori potrebbero essere indotti a consumare bevande alcoliche”. 222 Corte di giustizia del 18 giugno 1991, in causa n. C-369/89, Piageme c. Peeters, in Raccolta, 1991, p. I-2971; cui è seguita, sempre tra le stesse parti, Corte di giustizia del 12 ottobre 1995, in causa n. C-85/94, Piageme c. Peeters NV, in Raccolta, p. I-02955, la quale ha chiaramente suddiviso le informazioni che devono ritenersi obbligatorie da quelle facoltative, precisando che: “l’esigenza imperativa di informazione e di tutela dei consumatori impone che essi possano, in qualunque momento, venire a conoscenza di tutte le indicazioni obbligatorie previste dalla direttiva e ciò non soltanto all’atto dell’acquisto bensì anche al momento del consumo. Ciò implica che tali indicazioni debbono obbligatoriamente comparire sull’etichettatura, vuoi in una lingua facilmente compresa dal consumatore dello Stato o della regione di cui trattasi, vuoi mediante altri accorgimenti, quali disegni, simboli o pittogrammi. Spetta al giudice nazionale valutare il grado di comprensibilità delle informazioni fornite alla luce di tutte le circostanze del caso”. Nello stesso senso, Corte di giustizia del 12 settembre 2000, in causa n. C-366/96, proc. penale a carico di Yannick Geffroy e Casino France SNC, in Raccolta, 2000, p. I-6579, ove: “l’art. 14 della direttiva 79/112, concernente l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale nonché la relativa pubblicità, osta ad una normativa nazionale che imponga l’uso di una lingua determinata per l’etichettatura dei prodotti alimentari, senza ammettere la possibilità che venga utilizzata un’altra lingua facilmente compresa dagli acquirenti o che l’informazione dell’acquirente venga garantita altrimenti. Tale imposizione costituirebbe una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa alle importazioni, vietata dall’art. 30 del Trattato (divenuto, in seguito a modifica, art. 28 CE)” nonché Corte di giustizia del 14 luglio 1998, in causa n. C-385/96, proc. pen. contro H. J. Goerres, in Raccolta, 1998, p. I-04431. 94 dall’art. 14 della direttiva n. 79/112/CEE223 che afferma, a proposito dei prodotti alimentari, che: “gli Stati membri vietano il commercio dei prodotti alimentari nel proprio territorio se le indicazioni di cui all’art. 3 e all’art. 4, par. 2, non sono fornite in una lingua facilmente compresa dagli acquirenti, a meno che l’informazione dell’acquirente non venga altrimenti garantita”. La Corte precisa che, in forza di questa norma, non sono possibili, da parte degli Stati nazionali, aprioristiche imposizioni della lingua locale. A suo dire, essa esclude dal commercio solo i prodotti le cui etichette non sono di facile comprensione per l’acquirente, senza voler imporre la prescrizione dell’uso di una lingua particolare. Se non si ammettesse la possibilità di garantire l’informazione con altri mezzi rispetto alla lingua locale si determinerebbe la violazione dell’art. 28 TCE (34 TFUE), posto a tutela della libera circolazione delle merci nel mercato comunitario. La sentenza dà atto che la lingua locale è sicuramente la lingua più facilmente compresa dai consumatori, ma non possono escludersi altre forme comunicative. Il principio di chiara comprensione del messaggio non implica però, sempre e necessariamente, l’uso della lingua locale del consumatore. La sentenza Peeters ha imposto l’intervento chiarificatore della Commissione europea; intervento che è avvenuto con la Comunicazione interpretativa relativa all’uso della lingua per la commercializzazione dei prodotti alimentari del 10 novembre 1993 (COM(93)532 def.). Essa pone il problema di come la tutela del consumatore possa limitare la circolazione delle merci nel mercato comunitario. L’informazione sul prodotto è, infatti, un requisito del prodotto e non una modalità di vendita224. 223 Direttiva n. 79/112/CEE del 18 dicembre 1978, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità, in Guce n. L 033 dell’8 febbraio 1979, pag. 1-14. 224 Per un esame sintetico, ma esaustivo di questa tematica, v. Commissione europea, La libera circolazione delle merci, Imprese e giustizia, 2010, punto 3.1.10. Per una differenziazione delle modalità di vendita dalle caratteristiche del prodotto, v. la celebre sentenza Keck, Corte di giustizia del 24 novembre 1993, in cause riunite n. C-267/91 e n. C-268/91, proc. penale a carico di B. Keck e D. Mithouard, in Raccolta, 1993, p. I-06097, ove: “non può costituire ostacolo al commercio tra gli Stati membri, ai sensi della detta definizione, l’assoggettamento di prodotti provenienti da altri Stati membri a disposizioni nazionali che limitino o 95 La Comunicazione richiama la giurisprudenza Stoke & Norwich225 e richiede la (necessaria) presenza del requisito della proporzionalità nella misura nazionale sulla circolazione delle merci adottata da uno Stato226. Questo criterio impone di accertare se è possibile utilizzare, alternativamente, forme linguistiche note227, espressioni di uso comune, espressioni con forte somiglianza ortografica, termini di difficile traduzione o facilmente comprensibili per la loro somiglianza ortografica. Per la Commissione europea non pare decisivo il rilievo che la misura (che impone la lingua locale) sia indistintamente applicabile228 a tutti i prodotti nazionali ed importati, in quanto essa potrebbe, comunque, anche in tal modo, creare intralci e costi aggiuntivi ai produttori transfrontalieri. In precedenza, la Commissione europea aveva pubblicato la Comunicazione del 10 novembre 1990 in materia di requisiti linguistici relativi ai diritti dei vietino talune modalità di vendita, sempreché tali disposizioni valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati che svolgano la propria attività sul territorio nazionale e sempreché incidano in egual misura, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello sostanziale, sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri”. 225 Corte di giustizia del 16 dicembre 1992, in causa n. C-169/91, Council of the City of Stoke-on-Trent e Norwich City Council c. B & Q plc, in Raccolta, 1992, p. I-06635. 226 V., Corte di giustizia del 5 febbraio 2004, in causa n. C-24/00, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica francese, in Raccolta, 2004, p. I-01277. V. anche Corte di giustizia del 6 maggio 1986, in causa n. 304/84, proc. penale contro C. Muller, in Raccolta, 1986, p. 1511, ove: “spetta alle competenti autorità nazionali dimostrare, di volta in volta, alla luce delle abitudini alimentari nazionali e tenuto conto dei risultati della ricerca scientifica internazionale che la loro normativa è necessaria per tutelare effettivamente gli interessi contemplati dall’ art. 36 del trattato”. 227 Si ritiene che una legislazione nazionale debba consentire, ad esempio nell’etichettatura di un prodotto, l’utilizzazione di un’espressione straniera, se ciò migliora l’informazione del consumatore ovvero se il termine in questione esiste solo nella lingua di origine: v. risposta del 20 gennaio 2003 data dal commissario Bolkestein a nome della Commissione europea nella interrogazione P-3785/02 del parlamentare europeo on. Gollnish. 228 Le misure distintamente applicabili incidono sull’importazione ed esportazione dei prodotti così da creare una loro differenziazione dai prodotti nazionali; esse si distinguono dalle misure indistintamente applicabili a tutti i prodotti. Tali ultime misure pongono minori problematiche in ordine alla circolazione dei prodotti intracomunitari, v., G. TESAURO, Diritto Comunitario, cit. supra, nota 26, p. 433. 96 consumatori nella comunità229. Nel documento l’Istituzione prende atto di un’eccessiva eterogeneità della normativa comunitaria a proposito del requisito linguistico e precisa che, in alcuni settori (tabacco, vini, medicinali), esistono riferimenti espliciti all’uso della lingua nazionale, in altri è lasciata libertà di intervento allo Stato (giocattoli), in altri ancora vi è il riferimento ad una lingua facilmente comprensibile od a diversi criteri230. La Commissione europea invita il legislatore comunitario a perseguire alcuni obiettivi, individuati: nell’informazione multilingue (la quale potrebbe consentire al consumatore la migliore comprensione delle informazioni offerte, essendo indubbio che la possibilità per il consumatore di conoscere l’espressione straniera può aiutarlo a cogliere, con maggior precisione, il significato del testo originale), nella libertà di intervento degli 229 Comunicazione del 10 novembre 1990 in materia di requisiti linguistici relativi ai diritti dei consumatori nella comunità (COM(93) 456 def.). 230 In particolare, fa riferimento ad una o più lingue ufficiali della UE il regolamento n. 2392/89/CEE, modificato dal regolamento n. 3886/89/CE dell’11 dicembre 1989, sui vini e dei mosti di uve, in Guce n. L 378 del 27/12/1989, pag. 12-13; ad una delle lingue del paese di commercializzazione, la direttiva n. 92/27/CE in Guce n. L 113 del 30 aprile 1992, sull’etichettatura dei medicinali; ad una lingua nazionale o in un’altra lingua comunitaria, la direttiva n. 93/42/CEE del 14 giugno 1993, concernente i dispositivi medici, in Guce n. L 169 del 12/07/1993, pag. 1-43; ad una lingua facilmente compresa, la direttiva n. 79/112/CE, in Guce n. L 33 dell’8 febbraio 1979. Di recente la normativa sull’informazione nel settore alimentare (regolamento n. 1169/2011/UE del 25 ottobre 2011, cit. supra, nota 218) distingue tra informazioni obbligatorie e facoltative. L’art. 15 richiede per le informazioni obbligatorie l’uso di una lingua facilmente comprensibile da parte dei consumatori degli Stati membri nei quali l’alimento è commercializzato. Alla lingua od alle lingue che possono essere facilmente comprese dai consumatori fa riferimento la direttiva n. 2009/48/CE del 18 giugno 2009, sulla sicurezza dei giocattoli, in Gu-Ue n. L 170/1 del 30 giugno 2009; alla lingua dello Stato membro in cui il prodotto è commercializzato, la direttiva n. 2001/83/CE del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, in Guce n. L 311/67 del 28 novembre 2001; alle lingue ufficiali dello Stato membro in cui il prodotto è commercializzato, la direttiva n. 2001/95/CE del 3 dicembre 2001, relativa alla sicurezza generale dei prodotti, cit. supra, nota 170; ad una o più lingue fissate dallo Stato membro tra le lingue ufficiali della UE, la direttiva n. 99/44/Ce del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzia dei beni di consumo, cit. supra, nota 163; alla lingua che può essere facilmente compresa dai consumatori e dagli utenti finali dello Stato membro in cui il prodotto deve essere messo a disposizione del mercato la decisione n. 768/08/CE, sulla circolazione del prodotto, in Gu-Ue n. L 218/82 del 13 agosto 2008. Non affronta il tema la direttiva n. 85/374/CEE sul danno da prodotti, cit. supra, nota 191. 97 Stati e nella coerenza dell’intervento legislativo. Nella pagina “Utilizzazione delle lingue per l’informazione dei Consumatori”, presente sul suo sito internet, la Commissione europea precisa che, allo stato, è in atto un processo sistematico ed armonico di unificazione dei vari criteri utilizzati e che tale processo è frenato dalla necessità del legislatore comunitario di rispettare i principi di proporzionalità e di sussidiarietà231. Va ancora ricordato che vi erano stati tentativi degli Stati membri di imporre l’uso della lingua nazionale nell’informazioni sui prodotti: l’Italia con la L. 126/1991 aveva previsto un obbligo generico di uso della lingua italiana su tutti i prodotti e i relativi documenti tecnici, ad ogni livello di vendita. Era conseguentemente stata attivata dalla Commissione europea una procedura di infrazione a norma dell’art. 258 TFUE, formalizzata con la Notifica n. 91/298/11 del 10 dicembre 1991. La Commissione europea aveva rilevato che tale normativa si poneva in contrasto con il Trattato perché costituiva un ostacolo alla circolazione delle merci in quanto violava le norme dell’art. 28 TCE (34 TFUE). La Notifica consentiva tuttavia di imporre l’uso della lingua nazionale al momento della vendita al dettaglio del prodotto al consumatore finale, ai fini di una migliore protezione dei diritti del medesimo, generalmente privo delle conoscenze tecniche dell’operatore professionale. Il D.M. n. 101 dell’8 febbraio 1997 ha fatto applicazione di questo principio, imponendo la lingua italiana solo al prodotto destinato al consumatore e non al professionista che agisce nelle fasi intermedie della catena distributiva. Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia Colim232 l’obbligo imposto al fabbricante di utilizzo della lingua domestica non è una «regola 231 Sui principi di sussidiarietà e proporzionalità, v. art. 5 TFUE. Il principio di sussidiarietà opera nel senso che nei settori di competenza esclusiva della UE essa interviene soltanto se ed in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati, ma possono essere meglio conseguiti dalla UE. Il principio di proporzionalità prevede un intervento da parte della UE se ed in quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati. 232 Corte di giustizia del 3 giugno 1999, in causa n. C-33/97, Colim c. Bigg’s, cit. supra, nota 218. 98 tecnica» ai sensi della direttiva n. 83/189/CEE. Infatti, la regola tecnica è una specificazione tecnica relativa al prodotto la cui osservazione è obbligatoria de jure o de facto233 per la commercializzazione di un prodotto, ma non afferisce al modo di comunicare determinati requisiti ai consumatori (la qualificazione come regola tecnica della misura avrebbe imposto la preventiva notifica alla Commissione della medesima234). La sentenza chiarisce poi che l’uso della lingua può essere riferito sia ad un’area sottoposta ad armonizzazione che ad un’area non regolamentata. Nel primo caso si è in presenza della coercitività della normativa; nel secondo si pone la questione “se ed in che misura gli Stati membri abbiano il diritto di imporre che tutte o una parte delle indicazioni figuranti sul prodotto siano espresse nella lingua dello Stato medesimo235”. La sentenza, dopo aver ricordato che il diritto alla libera circolazione transfrontaliera delle merci deve essere interpretato in senso ampio (riguardando tutte le merci, sia destinate ai privati che ai professionisti236), prende atto che questo diritto può configgere con quello di protezione del 233 La circolazione delle merci può essere intralciata non solo dalla legislazione dello Stato membro, ma anche da consolidate prassi amministrative. 234 V., la direttiva n. 98/34/CE del 22 giugno 1998 che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione, in Guce n. L 204 del 21 luglio 1998, pag. 37 nonché il regolamento n. 764/08/CE, cit. supra, nota 216. 235 La sentenza richiama il precedente della stessa Corte del 9 agosto 1994, in causa n. C-51/93, Meyhui NV c. Schott Zwiesel Glaswerke AG, in Raccolta, 1994, p. I03879, par. 13, ove: “il divieto di apporre sui prodotti di vetro cristallo di cui alle categorie 3 e 4 dell’allegato I della direttiva la denominazione in una lingua diversa dalla lingua o dalle lingue dello Stato membro in cui tali prodotti sono smerciati costituisce un ostacolo al commercio intracomunitario, qualora i prodotti provenienti da altri Stati membri debbano essere etichettati in modo diverso con conseguenti spese supplementari di confezionamento”. Nella Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori, COM(2008) 40 def., si precisava: “poiché gli obblighi nazionali di etichettatura sono suscettibili di generare ostacoli alla libera circolazione nel mercato interno, gli Stati membri dovrebbero dimostrare il motivo per cui tali misure sono necessarie e definire le azioni che intendono intraprendere per assicurare che la loro applicazione avvenga nel modo meno restrittivo possibile per gli scambi”. 236 Corte di giustizia del 7 marzo 1990, in causa n. C-362/88, Inno-BM c. Confederazione del commercio lussemburghese, in Raccolta, 1990, p. I-667. 99 consumatore237. Ne consegue che l’art. 28 TCE (ora 34 TFUE) può trovare un limite “nell’interesse generale” che può anche essere rappresentato dalla salute del consumatore; tuttavia lo Stato, quando fa ricorso a questo “interesse generale” deve adeguatamente motivare e giustificare la misura sotto il profilo della proporzionalità. Va a questo proposito ricordato che il divieto di restrizioni (quantitative e qualitative o misure di effetto equivalente) alla circolazione delle merci (art. 34 TFUE) era stato temperato dalla giurisprudenza comunitaria la quale, oltre alle tassative eccezioni di cui all’art. 36 TFUE238 aveva ulteriormente consentito agli Stati membri, effettivi destinatari di queste norme, di utilizzare, come eccezione, anche i “motivi imperativi di interesse generale”, comprendendo in questa categoria numerosi interessi generali ritenuti meritevoli di tutela239, tra essi la tutela del consumatore240, purché la misura 237 Sull’informazione al consumatore, v. la Risoluzione del Consiglio del 14 aprile 1975 riguardante un programma preliminare della CEE per la politica di protezione e di informazione del consumatore, in Guce n. C 92 del 25 aprile 1975, p. 1 nonché il Programma preliminare della CEE per una politica di protezione ed informazione del consumatore, in Guce n. C 092 del 25 aprile 1975, p. 2. 238 L’art. 36 TFUE afferma che: “le disposizioni degli artt. 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri”. La norma obbliga lo Stato a fornire spiegazioni convincenti che giustifichino la deroga. Spetta agli Stati membri stabilire il livello di tutela della salute che intendono assicurare, ma la tutela alla salute non può essere genericamente invocata o basata su considerazioni meramente ipotetiche. V., in proposito, Corte di giustizia del 7 marzo 1990, in causa n. C-362/88, GB-Inno-BM c. Confederazione del commercio lussemburghese, cit. supra, nota 236. 239 Fa riferimento ai motivi imperativi di interesse generale il par. 23 del regolamento n. 764/2008/CE, cit. supra, nota 216, il quale parla di “concetto in evoluzione, elaborato dalla Corte di giustizia nella giurisprudenza in relazione agli art. 28 e 30 TCE”; nonché il ‘considerando’ n. 40 della direttiva n. 2006/123/Ce del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, cit. supra, nota 39, ove: “la nozione di "motivi imperativi di interesse generale" cui fanno riferimento alcune disposizioni della presente direttiva è stata progressivamente elaborata dalla Corte di giustizia nella propria giurisprudenza relativa agli articoli 43 e 49 del trattato, e potrebbe continuare ad evolvere. La nozione, come riconosciuto nella giurisprudenza della Corte di giustizia, copre almeno i seguenti motivi: l’ordine 100 statuale fosse indistintamente applicabile a tutti i prodotti, nazionali ed importati241. Applicando il concetto di interesse generale ai requisiti linguistici dei prodotti si potrebbe verificare una sovrapposizione dei mezzi di tutela del consumatore perché lo Stato potrebbe utilizzare anche, in determinati casi, l’art. 36 TFUE (nell’ambito della salute pubblica). La Corte di giustizia, allorché ricorrono le strette condizioni di applicabilità pubblico, la pubblica sicurezza e la sanità pubblica ai sensi degli articoli 46 e 55 del trattato, il mantenimento dell’ordine sociale, gli obiettivi di politica sociale, la tutela dei destinatari di servizi, la tutela dei consumatori, la tutela dei lavoratori, compresa la protezione sociale dei lavoratori, il benessere degli animali, la salvaguardia dell’equilibrio finanziario del regime di sicurezza sociale, la prevenzione della frode, la prevenzione della concorrenza sleale, la protezione dell’ambiente e dell’ambiente urbano, compreso l’assetto territoriale in ambito urbano e rurale, la tutela dei creditori, la salvaguardia della sana amministrazione della giustizia, la sicurezza stradale, la tutela della proprietà intellettuale, gli obiettivi di politica culturale, compresa la salvaguardia della libertà di espressione dei vari elementi presenti nella società e, in particolare, dei valori sociali, culturali, religiosi e filosofici, la necessità di assicurare un elevato livello di istruzione, il mantenimento del pluralismo della stampa e la politica di promozione della lingua nazionale, la conservazione del patrimonio nazionale storico e artistico, e la politica veterinaria”. Di recente, v. Corte di giustizia del 12 luglio 2012, in causa n. 176/11, HIT Hoteli c. Bundesminister für Finanzen, Austria, in Raccolta, 2012. I motivi imperativi di interesse nazionale diventano uno strumento a disposizione della Corte di giustizia per superare la tassativa elencazione dell’art. 36 TFUE, in tal senso, v. Corte di giustizia del 6 novembre 2003, proc. penale a carico di P. Gambelli e altri, in causa n. C-241/01, in Raccolta, 2003, p. I-13031. 240 Corte di giustizia del 7 marzo 2013, in causa n. C-577/11, DKV Belgium c. Association belge des consommateurs Test-Achats ASBL, in Raccolta, 2013, ove: “l’obiettivo della tutela del consumatore configura un motivo imperativo di interesse generale, dato che il settore dell’assicurazione è un campo particolarmente sensibile dal punto di vista della tutela del consumatore”. 241 Si è rilevato che le misure “distintamente applicabili” non possono essere esaminate alla luce dei principi di interesse generale e possono rientrare solo in una deroga espressa prevista dal Trattato, v., G. STROZZI (a cura di), Diritto dell’Unione europea, cit. supra, nota 21; Corte di giustizia del 26 novembre 2002, in causa C100/01, Ministero Interno francese c. Olazabal, in Raccolta, 2002, p. I-10981; Corte di giustizia del 25 luglio 1991, in cause riunite n. C-1/90 e n. C-176/90, Aragonesa de Publicidad Exterior SA e Publivía SAE c. Departamento de Sanidad y Seguridad Social de la Generalitat de Cataluña, in Raccolta, 1991, p. I04151,ove: “la misura in questione deve essere valutata esclusivamente con riferimento all’art. 36, che si applica anche ad una misura la quale limiti soltanto le importazioni, mentre si può tener conto delle esigenze imperative solo quando si ha a che fare con misure che riguardino indistintamente i prodotti nazionali ed i prodotti importati”. 101 della norma242, offre soluzioni diverse, a volte dando prevalenza alle eccezioni previste dall’art. 36 TFUE rispetto all’interesse generale243, a volte distinguendo se la misura è indistintamente applicabile ai prodotti nazionali ed importati244, a volte ancora, con soluzione prevalente, raccordando genericamente l’obiettivo di interesse generale all’art. 36 TFUE245. In conclusione, con riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia, in assenza di una completa armonizzazione delle esigenze di tipo linguistico relative alle indicazioni figuranti sui prodotti importati, gli Stati membri possono imporre, attraverso normative locali, ai produttori che le informazioni sui prodotti siano rese ai consumatori nella lingua domestica a condizione che la misura si applichi indistintamente a tutti i prodotti nazionali ed importati; presenti il carattere della proporzionalità; non sia discriminatoria e sia giustificata246. 3. La tutela del consumatore nel Trattato L’introduzione nel Trattato dei diritti del Consumatore è stata graduale. Il Trattato di Roma del 1957 che istituisce la Comunità economica europea è basato sull’idea di un mercato unico privo di dazi doganali e restrizioni alla circolazione delle merci. In tale mercato le imprese operano in modo 242 L’utilizzo delle eccezioni dell’art. 36 TFUE è ritenuto possibile solo nei casi di una restrizione alla circolazione transfrontaliera delle merci comportante un pregiudizio economico. 243 V., sentenza Aragonesa, cit. supra, nota 241. 244 V., sentenza Aragonesa, cit. supra, nota 241. 245 V., sentenza Meyhui, cit. supra, nota 235 nonché Corte di giustizia del 2 febbraio 1994, in causa n. C-315/92, Versband c. Clinique Laboratoires, in Raccolta, 1994, p. 317. 246 Le eccezioni dell’art. 36 TFUE necessitano del cd. test di proporzionalità, v. Corte di giustizia del 22 gennaio 2002, in causa n. C-390/99, Canal Satélite Digital SL c. Adminstración General del Estado, in Raccolta, 2002, p. I-00607, valutando anche le possibili soluzioni alternative, Corte di giustizia del 20 maggio 1976, in causa n. 104/75, Adriaan de Peijper e Centrafarm BV, in Raccolta, 1976, p. 613. 102 indipendente, evitando comportamenti che possono andare a pregiudizio del benessere del consumatore (cd. consumer welfare)247. Solo con il Vertice di Parigi dell’ottobre 1972 i Capi di Stato e di Governo dei paesi membri presero atto della necessità di una politica comune in materia di protezione dei consumatori248. Nel 1975 venne emanata la Risoluzione del Consiglio sul programma preliminare CEE per la politica di protezione ed informazione del consumatore ed il Programma preliminare 247 Si è osservato che alla base delle regole comunitarie sulla concorrenza vi è l’esigenza per le imprese di accedere liberamente al mercato e di scegliere i propri contraenti, battendosi ad armi pari: la concorrenza costringerà le imprese ad innovare, a comprimere i costi ed a ridurre i prezzi. Per gli utilizzatori (consumatori finali o meno), tale postulato comporta la libertà di scegliere fra i prodotti od i servizi offerti sul mercato quelli che meglio rispondono alle proprie esigenze, A. PAPPALARDO, Il diritto comunitario della concorrenza, Torino, UTET, 2007, 13. Per interessanti notazioni sulla struttura delle predette regole comunitarie e della loro relazione con la tutela del consumatore, v., G. BRUZZONE - M. BOCCACCIO, Il diritto dei consumatori nella crisi e le prospettive evolutive del sistema di tutela: il rapporto tra tutela della concorrenza e tutela dei consumatori nel contesto europeo: una prospettiva economica, in Atti del Convegno AGCM Luiss-Università degli Studi Roma Tre, che ricordano che: “giustamente i commentatori attenti alla storia del diritto antitrust europeo e, in particolare, alle sue origini ordo-liberali, osservano che le regole sulla concorrenza sono state introdotte nel Trattato a tutela di un processo concorrenziale non distorto e come salvaguardia rispetto al rischio, fortemente sentito nel dopoguerra, di un’evoluzione monopolistica di alcuni settori. La priorità, inoltre, in quella prima fase era la creazione di un mercato integrato. La tutela del consumatore non costituiva certo la preoccupazione centrale, anche se era evidente che di un’evoluzione concorrenziale del mercato avrebbero potuto beneficiare i consumatori europei. In seguito, nell’applicazione del diritto antitrust comunitario l’attenzione nei confronti dei consumatori è aumentata, con un’accelerazione nell’ultimo decennio, sino ad acquisire un’indubbia centralità. Le ragioni, oltre al minore rilievo dell’obiettivo dell’integrazione dei mercati in ragione dei risultati già ottenuti, sono principalmente due: la prima è l’esigenza di creare un maggiore consenso per le politiche comunitarie in generale e per quelle di concorrenza in particolare; la seconda è l’affermarsi all’interno della disciplina antitrust di un paradigma applicativo (il cosiddetto “approccio economico”) più incentrato sull’impatto delle condotte sul mercato”. 248 Va precisato che l’art. 2 del Trattato affidava alla Comunità di promuovere lo sviluppo armonioso delle attività economiche, un’espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita. L’art. 39 indicava l’obiettivo di assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori mentre l’art. 85, paragrafo 3, subordinava l’autorizzazione ivi prevista alla condizione che venisse assicurato ai consumatori una congrua parte dell’utile. 103 della CEE di protezione ed informazione del consumatore249. Quest’ultima indicava cinque priorità, destinate poi a costituire la base della legislazione comunitaria in materia: 1) la protezione della salute e della sicurezza; 2) la protezione degli interessi economici250; 3) il diritto al risarcimento dei danni; 4) il diritto all’informazione ed educazione; 5) il diritto alla rappresentanza. Con la Risoluzione del 19 maggio 1981251, il Consiglio approvava il “Secondo programma della Comunità economica europea per una politica di protezione e di informazione del consumatore", i cui obiettivi erano poi confermati nella Risoluzione del 23 giugno 1986, concernente il futuro orientamento della Comunità per la tutela e la promozione degli interessi del consumatore252. La sussunzione del diritto all’informazione nel più ampio diritto alla protezione del consumatore è affermata negli “orientamenti generali” di questo secondo programma ove si sottolinea che i provvedimenti presi o in corso di elaborazione, in applicazione del programma preliminare, contribuiscono a migliorare la posizione del consumatore proteggendone la salute, la sicurezza e gli interessi economici, fornendogli un’adeguata informazione ed educazione e consentendogli di esprimersi sulle decisioni che lo riguardano. Con l’Atto Unico Europeo del 1986 è stato introdotto nel Trattato l’art. 100 A, norma fondamentale che ha costituito la base giuridica di numerose normative di armonizzazione delle legislazioni nazionali al diritto comunitario. La norma, ora numerata come art. 114 TFUE, introduce nella finalità di armonizzazione del mercato la tutela del consumatore ad un “elevato livello di protezione”. Con il Trattato di Maastricht del 1992, entrato in vigore nel 1993, venne introdotto nel Trattato l’art. 129 A, che attribuisce all’UE competenze specifiche per la tutela del consumatore, adottando misure ai sensi del precitato art. 100 A (114 TFUE). 249 Cit. supra, nota 237. L’obiettivo della protezione della salute è tenuto distinto da quello della protezione degli interessi economici. 251 In Guce n. C 133 del 3 giugno 1981, p. 1. 252 In Guce n. C 167 del 5 luglio 1986, p. 1. 250 104 Il Trattato di Amsterdam del 1997 rafforza la tutela dei consumatori riscrivendo l’art. 129 A che acquisisce la numerazione di art. 153 (189 TFUE). Si è così potuta sviluppare un’azione normativa (disegnata dalla Risoluzione del Consiglio del 14 aprile 1975) che ha portato ad una vasta armonizzazione delle normative nazionali riguardanti beni o servizi, fondata sull’art. 114 TFUE (già 95 TCE) o sull’art. 115 TFUE (già 94 TCE)253. Per tale azione è stato inizialmente utilizzato l’art. 115 TFUE (già 94 TCE), norma che si è rilevata di difficile applicazione perché richiede un’unanimità deliberativa. L’art. 114 TFUE prevede invece un processo deliberativo secondo la procedura legislativa ordinaria. L’art. 189 TFUE rafforza l’art. 114 TFUE e ne estende la portata al di là delle questioni legate al mercato unico. Inoltre afferma che le azioni adottate non devono impedire agli Stati membri di mantenere o introdurre misure più rigorose purché siano compatibili con il Trattato254. Va conclusivamente (sul punto) precisato che sia l’art. 114 TFUE che l’art. 115 TFUE sono orientati al funzionamento del mercato interno. Nella 253 Ad esempio, sull’art. 115 TFUE è fondata la direttiva n. 85/374/CEE sul danno da prodotto (cit. supra, nota, 191); sull’art. 114 TFUE la direttiva n. 2006/42/CE sulle macchine (cit. supra, nota 208). 254 V., Corte di giustizia del 14 dicembre 2004, in causa n. C-210/03, Swedish Match, cit. infra nota 256, ove:” inoltre, va rilevato che l’art. 152, n. 1, primo comma, CE dispone che nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività della Comunità sia garantito un livello elevato di protezione della salute umana e l’art. 95, n. 3, CE esige espressamente che, nell’attuazione dell’armonizzazione, sia garantito un livello elevato di protezione della salute delle persone. Risulta da quanto precede che, qualora sussistano ostacoli agli scambi, ovvero risulti probabile l’insorgere di tali ostacoli in futuro, per il fatto che gli Stati membri hanno assunto o stanno per assumere, con riferimento ad un prodotto o a una categoria di prodotti, provvedimenti divergenti tali da garantire un diverso livello di protezione e tali da ostacolare, perciò, la libera circolazione dei prodotti in questione all’interno della Comunità, l’art. 95 CE consente al legislatore comunitario di intervenire, assumendo le misure appropriate nel rispetto, da un lato, del n. 3 dell’articolo citato e, dall’altro, dei principi giuridici sanciti dal Trattato ovvero elaborati dalla giurisprudenza, segnatamente del principio di proporzionalità”. 105 sentenza pubblicità sul tabacco255 la Corte ha fortemente ribadito tale principio, rilevando che qualora le condizioni per far ricorso all’articolo 114 TFUE siano soddisfatte, «non può impedirsi al legislatore comunitario di basarsi su tale fondamento giuridico per il fatto che la tutela della sanità pubblica sia determinante nelle scelte da operare». Pertanto, quando gli atti legislativi dell’Unione Europea hanno queste basi giuridiche la loro finalità è il funzionamento del mercato e non solo la tutela del consumatore. Ciò emerge chiaramente dal documento della Commissione europea titolato “Strategia per la politica dei consumatori della UE, 2007- 2013, maggiori poteri per i consumatori, più benessere e tutela più efficace”. Ivi si precisa che nel periodo 2007-2013 la politica dei consumatori ha l’opportunità di aiutare l’UE ad affrontare le sfide della crescita, della creazione di posti di lavoro e del riavvicinamento ai cittadini. In tale periodo la Commissione europea persegue tre obiettivi principali: 1) dare maggiori poteri ai consumatori dell’UE. Disponendo di maggiori poteri i consumatori potranno anche incentivare significativamente la competitività. I consumatori consapevoli possono effettuare vere scelte, devono poter disporre di informazioni accurate, di un mercato trasparente, che sia fondato sulla tutela effettiva e su diritti sicuri; 2) promuovere il benessere dei consumatori dell’UE in termini di prezzi, scelta, qualità, diversità, accessibilità e sicurezza. Il benessere dei consumatori è il centro vitale di mercati funzionanti correttamente; 3) proteggere efficacemente i consumatori da seri rischi e minacce che non possono essere affrontati dai 255 Corte di giustizia del 5 ottobre 2000, in causa n. C-376/98, Repubblica federale di Germania c. Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea, in Raccolta, 2000, p. I-08419, ove: “qualora le condizioni per far ricorso agli artt. 100 A, 57, n. 2, e 66 come fondamento giuridico siano soddisfatte, non può impedirsi al legislatore comunitario di basarsi su tali fondamenti giuridici per il fatto che la tutela della sanità pubblica sia determinante nelle scelte da operare. Al contrario, l’art. 129, n. 1, terzo comma, del Trattato (divenuto, in seguito a modifica, art. 152, n. 1, terzo comma, TCE) stabilisce che le esigenze di protezione della salute costituiscono una componente delle altre politiche della Comunità e l’art. 100 A, n. 3, del Trattato esige espressamente che, nell’attuazione dell’armonizzazione, sia garantito un livello elevato di protezione della salute delle persone”. L’art. 100 A è poi divenuto l’art. 114 TFUE. 106 singoli. Per ottenere la fiducia dei consumatori è essenziale garantire un livello elevato di protezione contro tali pericoli. L’esigenza di salvaguardia degli interessi del consumatore ed, in particolare della salute, legittima interventi di limitazione delle libertà fondamentali quando tale esigenza si mostri preminente256. 4. Il Codice del consumo e la lingua nazionale Si è già detto del chiaro intervento in favore dell’uso della lingua italiana per fornire le informazioni sui prodotti operato dalla L. 10 aprile 1991, n. 126 e della necessità dell’intervento correttivo del D.M. n. 101 dell’8 febbraio 1997 (tutt’ora in vigore, come precisa l’art. 10 del codice del Consumo). La regola è completata dall’art. 9 del Codice del Consumo. La medesima scelta è stata fatta da altri Stati comunitari. La conformità di quest’ultima norma all’ordinamento comunitario è ricavabile, come si diceva sopra, dalla prevalenza di un interesse generale rappresentato dalla tutela della salute del consumatore in relazione ai possibili danni che potrebbero derivare al medesimo dall’uso non corretto dei prodotti. La norma si presenta tuttavia molto generica in quanto riferita a qualsiasi prodotto. Occorre però precisare che la sua portata è attenuata dall’art. 8 del medesimo Codice che fa salvo quanto stabilito dalla normativa comunitaria e dalla limitazione della prescrizione al solo rapporto col consumatore. 5. La direttiva macchine e la lingua nazionale Un interessante compromesso è raggiunto dalla direttiva macchine (direttiva n. 256 V., Corte di giustizia del 14 dicembre 2004, in causa n. C-210/03, Swedish Match AB e Swedish Match UK Ltd. c. Secretary of State for Health, in Raccolta, 2004, p. I-11893, ove: “anche se il divieto di commercializzazione dei prodotti del tabacco per uso orale di cui all’art. 8 della direttiva 2001/37 costituisce una restrizione ai sensi degli artt. 28 CE e 29 CE, esso è giustificato da ragioni di tutela della salute delle persone e non può in alcun caso essere considerato come assunto in violazione di detti articoli”; Corte di giustizia del 13 settembre 2001, in causa n. C-169/99, Schwarzkopf GmbH & Co. KG c. Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs, in Raccolta, 2001, p. I-05901. 107 2006/42/CE257), la quale prevede che il fabbricante predisponga le istruzioni per l’uso in una o più lingue ufficiali della UE, apponendovi la dicitura “Istruzioni Originali”. Qualora non siano disponibili “Istruzioni Originali” nella lingua del paese ove la macchina viene messa in circolazione, il fabbricante deve fornire una traduzione riportante la dicitura: “traduzione delle Istruzioni Originali”. La normativa in parola258 prevede che, in deroga a quanto sopra indicato, le istruzioni per la manutenzione destinate ad essere usate da un personale specializzato incaricato dal fabbricante o dal suo mandatario possano essere fornite in una sola lingua comunitaria compresa da detto personale: si tiene conto del fatto che l’operatore professionale che presta l’assistenza tecnica è dotato di più elevata conoscenza delle lingue e del prodotto. Ulteriormente va precisato che nella materia si opera in regime di armonizzazione settoriale completa, per cui le regole valgono solo per la specificità di prodotti che possono definirsi “macchine” (o che vengono disciplinate in via residuale da questa normativa come i trattori agricoli). Nella Risoluzione del Consiglio del 17 dicembre 1998, concernente le istruzioni per l’uso di beni di consumo tecnici si precisa al punto 5 dell’Allegato 1, che “i Consumatori devono poter facilmente accedere alle istruzioni per l’uso almeno nella propria lingua ufficiale della Comunità. Le traduzioni devono essere conformi all’originale ad effettuate con cura particolare e finalizzate alla facile comprensione”. In relazione ai prodotti in generale occorre ora far riferimento alla decisione n. 768/08/CE, in precedenza ricordata, relativa ad un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti259, che si riferisce alla lingua che può 257 V., cit supra, nota 208. Viene qui considerata la principale delle direttive del cd. “nuovo approccio”, direttive di armonizzazione non dettagliate, ma basate solo sulla previsione di requisiti essenziali di sicurezza. 258 Per una monografia analitica e sistematica sulla direttiva macchine e sul decreto attuativo nell’ordinamento italiano, v. E. BENEDETTI - A. ODDO - R. PETRINGA NICOLOSI, La sicurezza delle macchine e attrezzature di lavoro, Milanofiori Assago, Wolters Kluwer Italia, 2010, II edizione, cap. 10, par. 5, e cap. 12. Ivi anche in particolare per quanto riguarda le informazioni che devono essere fornite a corredo delle macchine (v., cap. 12, pag. 237 ss.). 259 V., cit supra, nota 230. 108 essere facilmente compresa dai consumatori. 6. Il contenuto delle informazioni. Le informazioni tecniche vengono suddivise, in via sistematica, in obbligatorie e volontarie260. Anche le informazioni commerciali generiche rientrano in queste due tipologie in ragione del loro contenuto. L’art. 6 del Codice del Consumo indica, come sopra ricordato, in termini generali, il contenuto minimo (ed obbligatorio) delle informazioni da fornire al consumatore. La norma fa riferimento ad «informazioni utili alla fruizione del prodotto ed alla sicurezza del medesimo» e costituisce una disciplina generale, applicabile in via residuale rispetto a quelle speciali261. La giurisprudenza della S.C. di Cassazione ha recentemente ribadito (v., sentenza 26 aprile 2012, n. 6526, cit. infra, nota 113) che la norma dell’art. 1337 c.c., il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso, implica il dovere di comportarsi lealmente, di astenersi da comportamenti reticenti, fornendo a controparte ogni informazione o dato rilevante conosciuto o conoscibile con ordinaria diligenza al fine di non arrecare danni. Tale principio ha valore generale. Si possono, pertanto, ritenere obbligatorie tutte le informazioni atte a consentire ai consumatori finali di effettuare scelte di acquisto consapevoli262, informate e sicure263, avuto 260 V. art. 15 del regolamento n. 1169/2011/UE del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, cit. supra, nota 218. 261 Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 11 maggio 2012, sentenze n. 11, 12, 13, 15 e 16. Di esemplare chiarezza l’art. 13.1, All. I, della direttiva n. 93/42/CEE del 14 giugno 1993, concernente i dispositivi medici, in Guce n. L 169 del 12 luglio 1993, p. 1, succ. mod., ove: “ogni dispositivo è corredato delle necessarie informazioni atte a garantirne un’utilizzazione appropriata e del tutto sicura, tenendo conto della formazione e delle conoscenze dei potenziali utilizzatori, e a consentire l’identificazione del fabbricante”. 262 V., Circolare del 24 gennaio 2006 n. 1 del Ministero delle Attività Produttive, in riferimento alle indicazioni minime da riportare sulle confezioni dei prodotti ove: “l’art. 6 del Codice del consumo, cit. supra, nota 198, 206 stabilisce quali debbano essere le indicazioni minime riportate sui prodotti o le confezioni destinati al consumatore e commercializzati sul territorio nazionale. La ratio della disposizione è quella di tutelare il consumatore nella fase in cui acquista un prodotto, fornendogli tutte le informazioni utili per poter valutare e scegliere in maniera consapevole. La disposizione dell’art. 6 del codice del consumo, riveste un ambito di applicazione generale: regola le fattispecie non disciplinate in modo specifico, e 109 presente un livello elevato della salute dei consumatori. Ulteriormente si possono ritenere obbligatorie tutte le informazioni idonee a far comprendere al consumatore i rischi residui non ovvi del prodotto264. L’uso corretto del prodotto è individuato dal fabbricante. Solo il medesimo, infatti, il quale ha progettato e collaudato il prodotto, può valutarne appieno i limiti265 e fornire all’utente le informazioni mancanti, rendendolo edotto della sua valutazione sul rischio. Afferma l’art. 21 del Codice del consumo che è considerata scorretta la pratica commerciale che, riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, omette di darne notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le quindi si applica a tutte le tipologie di prodotti per i quali, non esistendo prescrizioni in forza di disposizioni comunitarie o nazionali, il legislatore ha previsto che siano resi al consumatore almeno gli elementi informativi enunciati nel predetto art. 6. Diversamente, in tutti quei casi in cui esistono puntuali disposizioni che includono le informazioni specificamente previste dall’art. 6 del codice del consumo, ovvero derogano alla predetta disposizione, sono queste ultime che devono essere applicate, disponendo, come detto, l’art. 6 in via sussidiaria e complementare”. V. anche art. 3 del regolamento n. 1169/2011/UE, cit. supra, nota 218, che detta: ”la fornitura di informazioni sugli alimenti tende a un livello elevato di protezione della salute e degli interessi dei consumatori, fornendo ai consumatori finali le basi per effettuare delle scelte consapevoli e per utilizzare gli alimenti in modo sicuro, nel rispetto in particolare di considerazioni sanitarie, economiche, ambientali, sociali ed etiche”. 263 V., direttiva n. 2005/29/CE, cit. supra, nota 199 nonché Proposta del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni alimentari dei consumatori del 30 gennaio 2008, COM (2008). V., inoltre, l’art. 5 del regolamento n. 178/2002/CE del 28 gennaio 2002, in Guce n. L 31/1 dell’1 febbraio 2002, ove: “la legislazione alimentare persegue uno o più fra gli obiettivi generali di un livello elevato di tutela della vita e della salute umana, della tutela degli interessi dei consumatori, comprese le pratiche leali nel commercio alimentare” nonché il regolamento n. 1169/2011/UE, cit. supra, nota 218. 264 V., all. 1, direttiva n. 2006/42/CE, art.1.1.2 (Principi d’integrazione della sicurezza), cit. supra, nota 208, che pone tra gli obblighi del fabbricante quello di “adottare le misure di protezione necessarie nei confronti dei rischi che non possono essere eliminati e di informare gli utilizzatori dei rischi residui dovuti all’incompleta efficacia delle misure di protezione adottate”. V. art. 13, regolamento n. 1907/2006/Ce (Reach) sull’obbligo di comunicazione delle sostanze estremamente problematiche. Sul tema, A. L. BITETTO, Commento a Cass. 13 dicembre 2010, in Danno e resp., 2011, p. 83. La sentenza è citata alla nota 1. 265 V. all. 1, decisione n. 768/08/Ce, cit. supra, nota 230. 110 normali regole di prudenza e vigilanza. Un’informazione di tal genere si pone come reticente e potenzialmente lesiva della salute del consumatore266. Sono infine obbligatorie le informazioni prescritte come tali dalla normativa di settore267, si pensi ai dati tecnici conservati dal costruttore nel Fascicolo Tecnico del prodotto268 od alle informazioni alimentari sulle caratteristiche del prodotto fornite mediante etichette. L’informazione volontaria e commerciale (marketing) deve inoltre osservare i principi di correttezza di cui alla direttiva n. 2005/29/ CE e non deve essere in contrasto con le istruzioni ed avvertenze separatamente fornite, specie se attengono alla salute ed alla sicurezza del consumatore. Anche l’informazione commerciale, in quanto sottoposta all’art. 21 del Codice del consumo, non deve creare irrealistiche aspettative sugli effetti del prodotto od incoraggiarne un uso pericoloso269. 266 La direttiva n. 2005/29/CE sull’armonizzazione delle pratiche commerciali scorrette, cit. supra, nota 199, non si occupa del danno alla salute, considera però comportamenti che incidono sulla consapevole determinazione della volontà. Su queste tematiche, KLETZ, What went wrong, in particolare al capitolo III, Accidents caused by humans errors. 267 Ad esempio, v. direttiva n. 1999/94/CE del 13 dicembre 1999, relativa alla disponibilità di informazioni sul risparmio di carburante e sulle emissioni di CO2 da fornire ai consumatori per quanto riguarda la commercializzazione di autovetture nuove, in Guce n. L 012 del 18 gennaio 2000, p. 16, ove, al ‘considerando’ n. 5, afferma che:“l’informazione svolge un ruolo fondamentale nel gioco delle forze di mercato; che, fornendo informazioni precise, puntuali ed omogenee sul consumo specifico di carburante e sulle emissioni di CO2 delle autovetture, si può influire sulla scelta dei consumatori indirizzandoli verso l’acquisto di autovetture che consumano meno carburante e, di conseguenza, emettono meno CO2, incoraggiando quindi i costruttori a cercare di ridurre i consumi delle autovetture prodotte”. Il regolamento n. 1222/2009/CE del 25 novembre 2009, in Gu-Ue n. 342/46 del 22 dicembre 2009, prevede che il sede di acquisto il fornitore debba rilasciare specifiche informazioni sulle classi di efficienza nei consumi, sulle classi di aderenza sui bagnato, sul rumore da rotolamento. 268 In tal caso le informazioni sono tenute a disposizione per verifiche e controlli da parte dell’autorità amministrativa. Il Fascicolo Tecnico è richiamato nella direttiva n. 2006/42/CE, cit. supra, nota 208. 269 V. anche la Raccomandazione del 21 dicembre 1999, cit. infra, nota 291. Nel sito Che Choisir è consultabile anche la recentissima decisione della Cassazione francese (2013) sulla decettività delle garanzie commerciali rilasciate da TOYOTA. Sul tema v. anche la recente decisione dell’Autorità della Concorrenza svedese sulle garanzie KIA. V. anche il recente provvedimento della AGCM del 21 dicembre 2011, caso Apple, sul sito dell’AGCM. 111 7. Il destinatario dell’informazione Le informazioni afferenti il prodotto si dirigono sia ad un soggetto esperto (quale quello appartenente alla catena di distribuzione) che al cliente finale (consumatore). Le diverse problematiche che si pongono per le due categorie di utenti sono già state esaminate a proposito della lingua da utilizzare nell’informazione. Il richiamo dell’art. 5 del Codice del Consumo alla equiparazione, ai fini dell’informazione, del consumatore alla persona fisica alla quale sono dirette va precisato nel senso che viene considerato, in modo indifferenziato, il consumatore e l’utilizzatore finale. Le informazioni dirette al consumatore (libretti uso e manutenzione, schede tecniche del prodotto) presuppongono che esso sia un soggetto avveduto e prudente, dotato di un minimo di conoscenze (“consumatore medio”)270. Il concetto di consumatore medio è stato elaborato dalla giurisprudenza e dalla normativa comunitaria271. Dall’esame di queste fonti scompare il modello 270 V., in proposito l’art. 27 del regolamento n. 1169/2011/UE, cit. supra, nota 218. V., E. APA, La pubblicità commerciale, Napoli, Jovene, 2011, p. 252; M. LIBERTINI, Le prime pronunce dei giudici amministrativi in materia di pratiche commerciali scorrette, in Giur. Comm., 2010, p. 884. La Giurisprudenza della Corte del Lussemburgo ha avuto modo di intervenire in ripetute occasioni per definire il concetto di consumatore medio. Molte decisioni hanno riguardato la direttiva n. 84/450/CE sulla pubblicità e la pubblicità comparativa, area che si presta alla verifica dell’influenza del messaggio sulla scelta di acquisto del consumatore. Corte di giustizia del 16 luglio 1998, in causa n. C-210/96, Gut Springenheide GmbH and Rudolf Tusky c. Oberkreisdirektor, in Raccolta, 1998, p. I-04657, rileva che la definizione di consumatore medio è oggettiva e ben determinata dalla giurisprudenza, non è pertanto necessario far ricorso al giudice nazionale salvo si debbano eseguite consulenze, sondaggi o test. Si fa riferimento ad un soggetto normalmente informato e ragionevolmente attento, tenuto conto di eventuali fattori di incidenza, quali i fattori linguistici, sociali; conformi Corte di giustizia dell’8 aprile 2003, in causa n. C-218/01, Pippig Augenoptik GmbH & Co. KG c. Hartlauer Handelsgesellschaft, in Raccolta, 2003, p. I-3095, Corte di giustizia del 6 gennaio 1992, in causa n. C-373/90, Motor vehicles - Misleading advertising, in Raccolta, 1992, p. I-31. In relazione alla condotta di un consumatore che affronta la lettura di una etichetta di un prodotto alimentare, v. Corte di giustizia del 4 aprile 2000, in causa C-465/98, Verein gegen Unwesen in Handel und Gewerbe Köln e V c. Adolf Darbo AG, in Raccolta, 2000, p. I-2297, ove: “malgrado la presenza di tali sostanze, l’indicazione «naturalmente pura» sull’etichetta dell’imballo di tale prodotto alimentare non può risultare idonea ad indurre in errore, quanto alle caratteristiche del prodotto, un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento. Enfasi aggiunta. In termini, Corte di giustizia del 6 luglio 1995, in causa n. C-470/93, Verein gegen Unwesen in Handel und Gewerbe Köln c. 271 112 del consumatore debole, sfornito di conoscenze ed informazioni necessarie ed indispensabili per agire con piena consapevolezza della portata e della convenienza delle proprie decisioni, nonché privo di razionalità e del senso critico necessari per valutare adeguatamente le scelte ed emerge, invece, quello di consumatore critico e consapevole, ragionevolmente attento ed avveduto272. Ci si è pertanto chiesto sino a che punto debba spingersi l’obbligo informativo del fabbricante verso il consumatore. Si è ritenuto non si possa intravedere un obbligo informativo in capo al produttore di bevande alcoliche di avvertire i consumatori circa i pericoli connessi ad un consumo eccessivo di questi prodotti; similmente si è ritenuto che il produttore di autovetture non debba informare l’automobilista riguardo al fatto che il veicolo garantisce la sopravvivenza degli occupanti in caso di incidente solo in condizioni assai lontane rispetto alle velocità che il veicolo può raggiungere ed a quelle che sono consentite dai limiti di velocità fissati dal legislatore273. Il concetto di consumatore medio prudente chiarisce questo punto. Questi utilizza cautele in relazione all’evidenza del pericolo del Mars GmbH, in Raccolta, 1995, p. I-01923. La nozione di consumatore medio, inteso come consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, è stata introdotta dalla giurisprudenza in applicazione del principio di proporzionalità. Calibrando la tutela (con l’eccezione dei soggetti particolarmente vulnerabili) sul consumatore medio, si evita che la normativa induca i consumatori a un abbassamento delle soglie di attenzione od a un atteggiamento sprovveduto nei confronti delle proposte commerciali che ricevono sul mercato. La valutazione del grado di attenzione del consumatore dipende anche dal contesto in cui opera. Nel caso di decisioni di acquisto di beni comuni di scarso valore la scelta non è particolarmente ponderata ed il livello di attenzione del consumatore tende a ridursi, v. Corte di giustizia del 29 aprile 2004, in causa riunite n. C-468/01 e C-472/01, Procter & Gamble Company c. Ufficio armonizzazione marchi, in Raccolta, 2005, p. I-05141. Si è poi posta la questione dell’individuazione della categoria del consumatore vulnerabile, in particolar modo: in ragione dell’età (bambini, adolescenti) o delle particolari condizioni psicofisiche, culturali, sociali dei soggetti considerati (obesi, malati, con fragilità emotiva, creduloni, ecc.). La problematica è ora presente nella direttiva sulle pratiche commerciali scorrette (n. 2005/29/CE, cit. supra, nota 199) ove sono considerate le categorie di consumatore medio e vulnerabile al ‘considerando’ n. 18. 272 M. MAGRI, Le vendite aggressive, Padova, Cedam, 2011, p. 65. Al consumatore medio fa riferimento anche il regolamento n. 178/2002/CE, cit. supra, nota 263. 273 Sul punto, E. AL MUREDEN, I danni da uso del cellulare, in Resp. civ. e prev., 2010, 6, p. 1392. 113 prodotto: chi sale su una scala effettua un’operazione con alto rischio di caduta, l’evidenza gli impone di assicurarsi che la scala sia appoggiata al suolo in modo stabile. L’art. 104 del Codice del consumo precisa che le informazioni devono essere utili all’uso normale e ragionevolmente prevedibile del prodotto, se non sono immediatamente percepibili senza adeguate avvertenze. Dunque, le informazioni devono essere tali da coprire il deficit informativo che vi è tra il fabbricante e l’utilizzatore, evidenziando pericoli non noti o non evidenti. A diverse considerazioni si deve pervenire dell’informazione è un soggetto vulnerabile 274 se il destinatario . Fa riferimento alle diverse categorie dei consumatori l’art. 103 del codice del consumo. La presenza tra i destinatari delle informazioni di soggetti vulnerabili ha posto il problema di assicurare una tutela rafforzata ai medesimi. Nel caso di messaggi pubblicitari è possibile l’induzione dei lettori a comportamenti pericolosi in relazione alle cariche emulative suscitate275. Il messaggio può far percepire una situazione diversa da quella reale. Nell’informazione tecnica tale problematica si può porre in presenza di una enfatizzazione di un atteggiamento che può nascondere ad un soggetto inesperto la difficoltà di attuarle ed il pericolo conseguente (si pensi, ad esempio, ad un filmato in cui un pilota guida una vettura su strada sterrata ad elevata velocità: l’evidenza di una manovra chiaramente eseguita da un pilota professionista è superata dalla naturale propensione di una persona giovane a ripetere quanto “visto” nelle immagini). Pertanto, anche un messaggio rivolto ad un pubblico adulto, ma letto da minori potrebbe non essere adeguatamente e responsabilmente percepito da questi ultimi, inducendo comportamenti 274 Emblematico era al riguardo l’art. 2 del del D. Lgs. n. 313/91, ora derogato dal D. Lgs. n. 54/2011 (di attuazione della direttiva n. 2009/48/Ce) sulla sicurezza dei giocattoli: “i giocattoli debbono essere fabbricati a regola d’arte in materia di sicurezza e possono essere immessi sul mercato solo se non compromettono la sicurezza e/o la salute degli utilizzatori o di altre persone (...) in considerazione del comportamento abituale dei bambini”. 275 V., i provvedimenti della AGCM, PI/1533 Benelli; PI 1420 Gilera Runner. 114 dannosi. La tematica coinvolge principalmente il messaggio pubblicitario, ma anche quello tecnico. Si è notato che comportamenti imprudenti possono essere assunti da persone adulte o giovani allorché usano un determinato bene: ad esempio chi è alla guida di vetture elettriche tende a non considerare che allorché la vettura procede a bassa velocità, la sua silenziosità consente un eccessivo avvicinamento ai pedoni; scarse sono state le avvertenza da parte dei fabbricanti sul pericolo. Del pari si è notato che il possessore di un’auto elettrica in caso di panne richiede istintivamente il soccorso stradale ad officine generiche e non a personale specializzato, dotato di apposite attrezzature in quanto non sempre edotto di tale necessità. 8. La struttura delle informazioni; il difetto di informazione. Di norma le informazioni vengono rese mediante etichette o documenti allegati al prodotto (istruzioni per l’uso, libretto uso e manutenzione276). Le informazioni più importanti (si pensi alle informazioni sulle sostanze tossiche), quando sono rese mediante etichette, devono essere rese sul cd. «campo visivo principale»277. In tal modo il messaggio viene immediatamente percepito dal destinatario (la stessa tematica verrà affrontata al cap. 9, a proposito delle informazioni provenienti da sistemi di una autovettura). V. art 7 del Codice del consumo, cit. supra, nota 198, ove: “Le indicazioni di cui all’articolo 6 devono figurare sulle confezioni o sulle etichette dei prodotti nel momento in cui sono posti in vendita al consumatore. Le indicazioni di cui al comma 1, lettera f), dell’articolo 6 possono essere riportate, anziché sulle confezioni o sulle etichette dei prodotti, su altra documentazione illustrativa che viene fornita in accompagnamento dei prodotti stessi”. 277 Regolamento n. 1169/2011/UE, cit. supra, nota 218, ove si fa riferimento al campo visivo principale, definito il campo visivo di un imballaggio più probabilmente esposto al primo sguardo del consumatore al momento dell’acquisto e che permette al consumatore di identificare immediatamente il carattere e la natura del prodotto e, eventualmente, il suo marchio di fabbrica. Se l’imballaggio ha diverse parti principali del campo visivo, la parte principale del campo visivo è quella scelta dall’operatore del settore alimentare. 276 115 Le informazioni si distinguono in istruzioni278 (nozioni sull’apprendimento dell’uso del prodotto) ed avvertenze (nozioni sui pericoli del prodotto, specie se non sono facilmente conoscibili). Nello specifico le istruzioni fanno apprendere come usare correttamente il prodotto; le avvertenze quali sono i pericoli del prodotto, i modi nei quali non deve essere usato, i rischi residui che permangono nonostante l’adozione delle misure preventive/protettive279. Nella formulazione delle informazioni tecniche vanno tenute distinte le istruzioni dalle avvertenze in relazione ai differenti processi interpretativi cui l’utente è chiamato. Le informazioni svolgono un ruolo di grande importanza nell’uso corretto del prodotto: molti prodotti sarebbero del tutto inutilizzabili senza esaurienti informazioni tecniche280. Non sempre, infatti, l’uso razionale del bene corrisponde ad un uso corretto. L’esempio di scuola è quello dell’uso di sistemi di controllo di stabilità della vettura: questi sistemi richiedono una manovra apparentemente irrazionale (mantenere la pressione sul pedale del freno pur in presenza di fenomeni di sobbalzo ed evitare di correggere la traiettoria assunta dalla vettura). La normativa tecnica281 impone, come detto, al fabbricante di tenere in considerazione anche gli usi scorretti, ma ragionevolmente prevedibili e ricorrenti. 278 Sulla differenza tra «istruzioni» ed «avvertenze», v. all. 1, punto 1.7, direttiva n. 2006/42/CE (cd. direttiva macchine), cit. supra, nota 208. 279 V., Trib. Napoli, 15 dicembre 2004, in Danno e Resp. 2005, p. 645. 280 Sul tema, v., Risoluzione del Consiglio europeo del 17 dicembre 1998, concernente le istruzioni d’uso dei beni di consumo, cit. supra, nota 197. 281 La direttiva n. 2006/42/CE, cit. supra, nota 208, offre, al par. 1.1.1 dell’allegato 1, la definizione «uso previsto» (uso della macchina conformemente alle informazioni fornite nelle istruzioni per l’uso) e di «uso scorretto ragionevolmente prevedibile» (uso della macchina in un modo diverso da quello indicato nelle istruzioni per l’uso, ma che può derivare dal comportamento umano facilmente prevedibile). Tale ultima definizione è usata, tra l’altro, al par. 1.1.2. dello stesso allegato, ove è previsto che: “le macchine devono essere atte a funzionare, ad essere azionate, ad essere regolate e a subire la manutenzione senza che tali operazioni espongano a rischi le persone, se effettuate nelle condizioni previste tenendo anche conto dell’uso scorretto ragionevolmente prevedibile” ed al par. 1.7.4.1. ove alla lettera c) è previsto che “il contenuto delle istruzioni non deve riguardare soltanto l’uso previsto della macchina, ma deve tener conto anche dell’uso scorretto ragionevolmente prevedibile”. La Risoluzione del Consiglio del 17 dicembre 1998 (cit. supra n. 197) prevede che il fabbricante effettui “un elenco degli errori di uso tipici, delle cause e delle possibili soluzioni”. 116 All’uso scorretto prevedibile il fabbricante arriva attraverso l’esame della casistica pregressa, le richieste di assistenza ed appositi test comportamentali (usability testing)282. Le informazioni devono illustrare tutti quei rischi, specie se latenti, che non si sono potuti abbattere con misure di progettazione/costruzione (cd. rischi residui). A volte le informazioni sono l’unico modo per intervenire sulla residua pericolosità del prodotto. Si pensi ai warnings applicati ai pacchetti di sigarette: senza di essi si dovrebbe proibire la vendita del prodotto in relazione al pubblico indifferenziato (fatto anche di persone vulnerabili) che accede al consumo di questo prodotto. L’informazione non può servire per “sanare” un prodotto difettoso, se così fosse, non si farebbe altro che trasferire sul consumatore il (rischio del) difetto283. Non va considerato l’uso abnorme e volutamente irrazionale del prodotto284. 282 Su una valutazione dei rischi che tenga contro della pregressa casistica, v. Decisione della Commissione del 16 dicembre 2009, recante linee guida per la gestione del sistema comunitario d’informazione rapida (RAPEX) e della procedura di notifica di cui, rispettivamente, all’articolo 12 e all’articolo 11 della direttiva 2001/95/CE relativa alla sicurezza generale dei prodotti. La ricorrente definizione dell’usability test è: “usability testing is a black-box testing technique. The aim is to observe people using the product to discover errors and areas of improvement. Usability testing generally involves measuring how well test subjects respond in four areas: efficiency, accuracy, recall, and emotional response. The results of the first test can be treated as a baseline or control measurement; all subsequent tests can then be compared to the baseline to indicate improvement. Efficiency: how much time and how many steps, are required for people to complete basic tasks? Accuracy: how many mistakes did people make? Recall: how much does the person remember afterwards or after periods of nonuse? Emotional response: how does the person feel about the tasks completed? 283 V. sul punto anche TRAYNOR, The ways and meanings of defective products and strict liability, Tenn. L. Rev. 32 (1964/65), p. 372, ove la celebre affermazione del giudice: “a warning or notice cannot be used to mask a disclaimer of responsability that would shift the risk to the consumer”. V. anche art. 3 della direttiva n. 2001/95/CE, cit. supra, nota 170, che precisa che la presenza di avvertenze non esenta il fabbricante dal rispetto della normativa sulla sicurezza in presenta di alti rischi residui. Sugli Health warnings, v. la normativa australiana contenuta nella Competition and Consumer (Tobacco) Information Standard 2011, la quale impone al fabbricante di sigarette di rendere evidente, con immagini “reali”, i danni prodotti dal fumo sul corpo umano. 284 Va precisato che il comportamento del danneggiato può inserirsi nello scenario causale ed interrompere il nesso oppure portare ad una riduzione del danno ai sensi 117 Non devono essere fornite, come detto, informazioni ridondanti (non necessarie), in quanto palesemente deducibili o dal prodotto stesso (cd. capacità autoesplicativa del prodotto) o da notorie conoscenze ed esperienza dell’utilizzatore o, infine, dalle caratteristiche del compito da eseguire (principio della comunicazione delle informazioni necessarie mancanti). Il messaggio deve discriminare tra operatore professionale e competente (cd. addetto ai lavori) e personale non informato: in caso di macchine destinate all’utilizzazione da parte di operatori non professionali, la redazione e la presentazione delle istruzioni per l’uso devono tenere conto del livello di formazione generale e della perspicacia che ci si può ragionevolmente aspettare da questi operatori (par. 1.7.4.1., allegato 1, direttiva n. 2006/42/Ce). Va, infine, esaminata la questione dell’errata o carente informazione come difetto del prodotto. La tematica285, assai risalente (uno dei primi casi riguardava un noto costruttore di motociclette ritenuto responsabile da una corte tedesca per non aver inserito nelle informazioni tecniche l’avvertenza che il montaggio di un parabrezza avrebbe reso instabile il mezzo), è ora dell’art. 1227 c.c., I comma, tuttavia si consideri che se si utilizza lo schema dell’art. 2050 c.c., il comportamento del danneggiato, seppur “smodato” viene considerato al limitato fine di limitare la responsabilità del gestore, ma non influisce sulla qualifica dell’attività pericolosa, Cass. 17 dicembre 2009, n. 26516, cit. supra, nota 204. 285 La tematica è sviluppata in modo diverso negli USA ove il costruttore deve dimostrate una completezza informativa che supera l’ovvio (v. Billiar v. Minnesota Mining & Manufacturing Co., 623 F.2d 240, 243 (2d Cir. 1980) e che è adeguata al rischio (American Law of Products Liability 3d, §33:1). Tale impostazione appare diversa da quella continentale ove comunque si richiede al danneggiato un comportamento avveduto: “ai fini della responsabilità per l’esercizio di attività pericolosa, ai sensi dell’art. 2050 c.c., il giudizio sull’autonoma idoneità causale del fattore esterno ed estraneo, costituito dalla condotta del danneggiato, a recidere il nesso eziologico tra l’evento e l’attività pericolosa, deve essere adeguato alla natura e alla pericolosità della cosa, sicché, quanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino ad interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno e ad escludere, pertanto, la responsabilità dell’esercente l’attività”, Cass. 22 dicembre 2011, n. 28299, in Mass. Giust. Civ., 2011, 12, p. 1825. Nel danno da prodotto è ricorrente l’affermazione che la responsabilità del fabbricante consegue solo all’uso corretto del bene, non all’uso anomalo, Cass. 29 settembre 1995, n. 10274, in Foro It., 1996, I, 954. 118 affrontata dalla direttiva n. 374/85/CE che, all’art. 6, dichiara difettoso un prodotto quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui: a) la presentazione del prodotto, b) l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, c) il momento della messa in circolazione del prodotto”. Da ciò se ne ricava che il difetto del prodotto inerisce non solo alla fase progettuale/realizzativa, ma anche a quella dell’informazione286. La S. C. nella sentenza n. 25116 del 2010287 ha precisato che è carente l’informazione resa attraverso una “etichetta apposta alla confezione del prodotto solare che non contiene indicazioni o avvertenze circa i possibili effetti collaterali del prodotto ovvero sulle eventuali cautele da adottare al momento dell’uso”. L’informazione diviene pertanto una componente del prodotto, strettamente necessaria per l’uso corretto del prodotto. Il difetto di informazione è stato usato dalla giurisprudenza in situazioni molto diverse, a volte si è accertato che le regole di esperienza non avrebbero potuto bastare per evitare il pericolo288, altre volte che l’avvertenza allegata al prodotto era troppo debole289, altre volte che non erano percepibili le controindicazioni derivanti dall’uso del prodotto290. 9. Il messaggio elettronico proveniente dalla macchina L’informazione al consumatore non è solo quella presente nell’etichetta, nel libretto uso e manutenzione o nella stampa commerciale. Si pensi ad una 286 V., M. ASTORE - E. LOCURATOLO, Difetto di informazione e natura della responsabilità da prodotto, in Danno e responsabilità, 2010, p. 983; A. L. BITETTO, Difetti di informazione, in Danno e Resp., Speciale, I 25 anni di products liability, 2012; M. R. WILL, Responsabilità per difetti di informazione, in S. PATTI (a cura di), in Il danno da prodotti, Padova, CEDAM, 1990, p. 47. 287 Cit. supra, nota 2. 288 Nella celebre sentenza del Tribunale di Vercelli del 7 aprile 2003, in Danno e Responsabilità, 2003, p. 1001, si afferma che è da ritenersi responsabile il produttore per difetto d’informazione relativo ai rischi di malfunzionamento della valvola di sicurezza di una caffettiera scoppiata se nelle istruzioni d’uso consegnate unitamente al prodotto non vengano specificate le precauzioni non di carattere generico a cui il consumatore si deve attenere. 289 Trib. Rimini 31 dicembre 2008, in Danno e Resp., 2009, p.432. 290 V., su tali aspetti, L. DI DONNA, La responsabilità del produttore dei danni provocati da fumo, in Contratto e Impresa, 2012, p. 1526. 119 moderna autovettura, dalla medesima provengono al conducente numerosi messaggi visivi, luminosi o vocali senza un’apparente priorità nella sequenza. La sequenza deve essere relazionata alla sicurezza dell’utente: ad esempio, un segnale di pericolo non può essere interrotto da un segnale di minore importanza (informazione sul traffico). Del pari la pericolosità deve essere riprodotta nella tipologia del messaggio: massimo pericolo, massima evidenza (ad esempio, il segnale di “cinture di sicurezza non allacciate” ha grande aggressività perché è sonoro e visivo). A tale graduazione provvede generalmente la normativa di omologazione. Quando le informazioni s’interfacciano con il conducente del mezzo, interagendo con il medesimo, devono evitargli eccessive distrazioni. La Raccomandazione del 21 dicembre 1999, relativa ai sistemi sicuri ed efficienti di informazione sulle autovetture291, si occupa dell’interazione uomo/macchina; al punto 6, allegato 1 (principi in materia di presentazione delle informazioni), precisa efficacemente che le “informazioni visualizzate devono poter essere comprese dal conducente con pochi rapidi sguardi”. L’informazione deve essere resa in modo da essere compresa in sequenza, senza che si accavalli nella mente dell’utilizzatore e possa creare dubbi sulla manovra da compiere. Essa deve inoltre essere collegata alla sequenza normale di uso del prodotto (principio di orientamento in base alla funzione). 10. Tecniche di redazione del messaggio Poiché l’informazione tecnica è una componente del prodotto, non è onere del consumatore richiedere l’informazione al professionista che la fornisce, ma è onere del professionista fornirla. L’informazione deve essere sempre adeguata alla modalità (forma) usata per la comunicazione ed all’importanza attribuibile al documento che rende l’informazione. 291 Raccomandazione della Commissione del 21 dicembre 1999, relativa ai sistemi sicuri e efficienti di informazione e comunicazione di bordo: principi europei in materia di interfaccia uomo-macchina, notificata con il numero C (1999) 4786 nonché direttiva n. 78/316/CEE sulla identificazione dei comandi, spie ed indicatori delle autovetture in Guce n. L 081 del 28 marzo 1978, p. 3. 120 Il documento tecnico deve essere strettamente collegato al modello/versione del prodotto ed indicare il numero di edizione e l’anno. L’informazione deve inoltre essere diretta, chiara, non reticente, concisa292, inequivoca e tale da assicurare piena consapevolezza nel destinatario293. Si predilige, specie se l’informazione attiene alla sicurezza, l’uso di simboli e pittogrammi facilmente comprensibili nonché forme comunicative di immediata comprensione come i disegni (art. 12, DM 101/97). Vanno sempre separate le diverse funzioni che il prodotto può eseguire. L’informazione è generalmente resa nella forma attiva anziché in quella passiva, facendo uso di strutture frasali semplici, senza utilizzo di forme espressive dubbie o plurisenso, inoltre dovrebbe utilizzare le stesse definizioni della normativa comunitaria di riferimento per evitare fraintendimenti. E’ prassi che le informazioni vengano offerte in forma cartacea quando riguardano la sicurezza294. La possibilità di fornire l’informazione tecnica 292 Nella tecnica di redazione delle informazioni tecniche l’informazione ridondante (non necessaria) può essere dannosa perché porta a focalizzare aspetti inutili ed a trascurane altri. V. sul punto, R. BLAIOTTA, Causalità giuridica, Torino, Giappichelli, 2010, p. 73, ove, a commento della sentenza della Cass. pen. del 27 maggio 1993, in Cass. Pen. 1995, p. 2898, sul cd. caso ATR 42, rileva che sono condivisibili le massime di esperienza utilizzate dal giudice circa il fatto le istruzioni troppo complicate per la conduzione di macchine complesse producono errori del conducente e che la segnalazione di precedenti errori guida evita la loro ripetizione. 293 V. art. 1, comma 3, decisione n. 768/08/CE, sulla circolazione del prodotto, cit. supra, nota 230. 294 In termini generali sarebbe possibile anche una parziale trasposizione sul sito Internet del fabbricate di dati sulle caratteristiche principali del prodotto, occorre tuttavia verificarne l’effettiva possibilità di accesso ad esse da parte del consumatore, v. Corte di giustizia del 12 maggio 2011, in causa n. C-122/10, Konsumentombudsmannen c. Ving Sverige AB, in Raccolta, 2011, par. 59, ove: “Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la sesta questione dichiarando che l’art. 7, n. 4, lett. a), della direttiva 2005/29 deve essere interpretato nel senso che può essere sufficiente che il professionista indichi solamente alcune delle caratteristiche principali di un prodotto, rinviando per il resto al proprio sito Internet, a condizione che tale sito fornisca le informazioni rilevanti relative alle caratteristiche principali del prodotto, al prezzo e alle altre condizioni, come richiesto dall’art. 7 di tale direttiva. Spetta al giudice del rinvio valutare, caso per caso, prendendo in considerazione il contesto dell’invito all’acquisto, il mezzo di comunicazione impiegato nonché la natura e le caratteristiche del prodotto, se la sola indicazione di alcune caratteristiche principali del prodotto permetta al consumatore di prendere una decisione consapevole di natura commerciale”. 121 tramite Internet deve essere solo una modalità di supporto. 11. Il messaggio commerciale corretto Il messaggio deve poi essere corretto sotto il profilo della pratica commerciale. Attualmente, la normativa di riferimento è la direttiva n. 2005/29/CE, sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno295, recepita con il D. Lgs. 2 agosto 2007, n. 146, che ha modificato gli artt. da 18 a 27 del Codice del Consumo. Viene definita scorretta la pratica commerciale che è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico296, in relazione al prodotto, del consumatore 295 Cit. supra, nota 8. “Quanto agli articoli 6 e 7 nonché 8 e 9 di detta direttiva, la Corte ha già avuto modo di affermare che, ai sensi di tali disposizioni, le pratiche ingannevoli o aggressive sono vietate quando, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, inducano o siano idonee ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Per quanto riguarda, più in particolare, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, di cui si discute nel procedimento principale, occorre sottolineare che, conformemente al tenore di tale disposizione, il carattere ingannevole di una pratica commerciale dipende unicamente dalla circostanza che essa non sia veritiera in quanto contenente informazioni false o che, in linea di principio, inganni o possa ingannare il consumatore medio, in particolare, quanto alla natura o alle caratteristiche principali di un prodotto o di un servizio e che, in tal modo, sia idonea a indurre detto consumatore ad adottare una decisione di natura commerciale che non avrebbe adottato in assenza di tale pratica. Quando tali caratteristiche ricorrono cumulativamente, la pratica è «considerata» ingannevole e, pertanto, sleale ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, di detta direttiva e deve essere vietata ai sensi del paragrafo 1 dello stesso articolo”, Corte di giustizia 19 settembre 2013, CHS Tour Services GmbH c. Team4 Travel GmbH, cit. supra nota 195. “Una pratica commerciale è scorretta se risulta idonea ad indurre ad una decisione di carattere commerciale che il consumatore « medio », cioè quello « normalmente informato e ragionevolmente avveduto », avrebbe altrimenti potuto non prendere, tenuto conto delle caratteristiche del mercato in cui opera le proprie scelte, risultando con ciò violato il prioritario onere di diligenza gravante sul professionista. La fattispecie si concreta, in particolare, quando il contenuto del messaggio che pubblicizza il prodotto in offerta è idoneo a falsare le ordinarie scelte del consumatore con riguardo alle caratteristiche principali del prodotto nonché riguardo al suo prezzo per come è calcolato, all’omissione di informazioni rilevanti ovvero alla loro presentazione poco chiara o non esaustiva oppure alla incertezza sulla garanzia del prezzo offerto o alla descrizione del prodotto come gratuito pur gravando sul consumatore altri oneri”, Cons. Stato, 4 marzo 2013, n. 1259,in Foro amm., 2013, 3, p. 750. “In materia di etichettatura di alimenti (nella 296 122 medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori (art. 20, comma 2, del Codice del consumo). Sono distinti due tipi di pratiche commerciali scorrette: le pratiche ingannevoli (che possono consistere in azioni od omissioni297), considerate tali nella misura in cui inducono o sono idonee ad indurre il consumatore medio ad assumere decisioni che altrimenti non avrebbe preso e le pratiche aggressive, intese come quelle che inducono o sono idonee ad indurre il consumatore medio ad assumere decisioni di natura commerciale che diversamente non avrebbe assunto, mediante molestie, coercizione o altre forme di indebito condizionamento. E’ poi individuata specificamente una serie di pratiche ingannevoli e di pratiche aggressive che sono considerate tali di per sé, senza il bisogno di dimostrare la loro idoneità a falsare le scelte del consumatore. La direttiva vuole proteggere il consumatore da errati comportamenti economici sul mercato. Tale finalità tende ad escludere che specie, di marmellate e gelatine), l’apposizione sulla confezione del prodotto di affermazioni pubblicitarie, quali "senza zucchero aggiunto" e "diet", inducono in errore i consumatori in merito alla reale composizione del prodotto, in ragione del fatto che, in base alla normativa vigente di recepimento delle direttive europee, le indicazioni nutrizionali devono essere riportate in maniera veritiera e corretta, se rivolte ad una categoria di consumatori che devono seguire un tipo di alimentazione speciale, dovendosi distinguere dagli altri alimenti di consumo corrente e devono rispondere all’obiettivo nutrizionale indicato e alle esigenze particolari di persone che si trovano in condizioni fisiologiche particolari per cui possono trarre benefici particolari dall’assunzione controllata di talune sostanze negli alimenti”, AGCM, 11 luglio 2012, n. 23727, in Giust. civ., 2012, 9, p. 2190. “Dall’esame degli art. 20 e 21 c. cons. si evince che lo scopo della speciale disciplina dettata a tutela dei consumatori è quello di salvaguardarne la libertà di autodeterminazione mediante il contrasto degli indebiti condizionamenti che possano influenzarne le scelte anche per effetto di informazioni non rispondenti al vero, come tali idonee ad indurre i consumatori in errore circa le caratteristiche essenziali del prodotto cui la pratica commerciale inerisce”, T.A.R. Lazio Roma, 31 maggio 2011, n. 4909, in Rass. dir. farmaceutico, 2012, 3, p. 560. 297 La direttiva focalizza sulla scelta del consumatore, affermando che: “è considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induca o sia idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”. 123 possano essere rilevanti comportamenti che incidono sulla salute o sicurezza del consumatore298, tuttavia (come precedentemente indicato) l’art. 21 del Codice del consumo opportunamente ricomprende nelle pratiche scorrette anche il messaggio lesivo della salute del consumatore299. 12. L’illecito da reticenti informazioni Sotto il profilo civilistico300, l’illecito da informazione tecnica, allegata ad un prodotto, consiste nella fornitura di un’informazione inadeguata301 alla 298 V., Opuscolo della Direzione Generale Salute e Sicurezza dei consumatori, Commissione europea, La direttiva sulle pratiche commerciali sleali, Bruxelles, 2006. Si consideri che l’art. 6 della direttiva n. 2005/29/Ce, cit. supra, nota 199, prevede che deve considerarsi ingannevole la pubblicità che, riguardando prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei soggetti che essa raggiunge, omette di darne notizia in modo da indurre tali soggetti a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza e che l’art. 7 prevede che deve considerarsi ingannevole la pubblicità che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, abusa della loro naturale credulità o mancanza di esperienza. Inoltre è ingannevole la pubblicità, che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, può, anche indirettamente, minacciare la loro sicurezza. Su queste tematiche (in relazione alla vigenza del D. Lgs. n. 74/92), v. il provvedimento dell’AGCM n. 12355, ove si esaminava il messaggio pubblicitario “ Tu vai più forte perché Polini ci ha pensato a fondo (…), più spunto nelle partenze, negli allunghi, nei sorpassi”. 299 V., Provvedimento n. 19541 dell’AGCM del 19 febbraio 2009, cit. supra, nota 14, ove viene rilevato che: “le bevande destinate al consumo umano che contengono chinino e, come la “Red Bull Energy Drink”, caffeina sono oggetto di una specifica regolamentazione adottata a livello comunitario (i.e. la direttiva 2002/67/CE). La richiamata direttiva impone stringenti obblighi circa l’etichettatura di questo tipo di bevande, in considerazione dei possibili effetti negativi derivanti dalla loro assunzione sulle donne in gravidanza e delle possibili modifiche transitorie che il loro consumo può determinare sul comportamento dei bambini (...). Nel caso di specie, l’idoneità della pratica oggetto di valutazione a falsare il comportamento economico dei consumatori deriva dalla riscontrata natura ingannevole della stessa ai sensi dell’articolo 21, comma 1, lettera b), del Codice del Consumo. Si tratta, infatti, per l’AGCM di una pratica idonea a falsare in misura apprezzabile le scelte economiche dei consumatori, in quanto per il suo tramite si promette, in modo molto rassicurante, al consumatore di ottenere dall’assunzione della bevanda reclamizzata, un risultato che in realtà lo espone a rischi anche letali (la guida in stato di sonnolenza) e rispetto ai quali l’unica alternativa possibile è, invece, quella di fermarsi e riposarsi”. 300 Nei riguardi della P.A. il produttore è tenuto ad immettere sul mercato solo prodotti sicuri (art. 104 Codice del consumo), il requisito della insicurezza, che rileva ai fini di una potenziale dannosità del prodotto, può anche essere rappresentato da una inidonea informazione tecnica. L’immissione in commercio di prodotti pericolosi è sanzionata penalmente (art. 112 Codice del consumo). 124 funzione cui è protesa: l’indicazione delle caratteristiche e componenti del prodotto, della corretta modalità d’uso ed i rischi residui che possono determinare un danno. L’inadeguatezza informativa può consistere nella mancata allegazione di un’avvertenza o nell’allegazione di una informazione decettiva. Diviene pertanto rilevante un comportamento omissivo, che deve essere valutato in termini ipotetici (una informazione doverosa completa avrebbe potuto, se fornita, evitare il danno302). La fattispecie può assumere o rilevanza autonoma, rilevando come un inadempimento agli obblighi solidaristici insiti in ogni relazione (cd. contratto sociale), oppure venire considerata come carenza qualitativa del prodotto (difetto)303 che, se causativa di un danno al consumatore, impegna la responsabilità del fabbricante, pur avendone perso la disponibilità. Non vengono qui considerate le ipotesi in cui viene attribuito al venditore (distributore) una carenza informativa in quanto gli obblighi di quest’ultimo sono obblighi di controllo304. 301 L’art. 27 del regolamento n. 1169/2011/UE, cit. supra, nota 218, parla di uso adeguato: “le istruzioni per l’uso di un alimento sono indicate in modo da consentire un uso adeguato dello stesso”. 302 Di recente, Trib. Milano, 15 marzo 2012, in Danno e resp., 2013, p. 195; Trib. Torino, 20 febbraio 2012, in NGCC, 2012, p. 648. 303 La norma imperativa ed inderogabile dell’art. 2050 c.c. esige che in relazione alla natura del mezzo (bombola che può diventare bomba o innescare un incendio) l’esercente della attività pericolosa debba adottare tutte le misure idonee ad evitare il danno, esigendo dal terzo cui consegna la bombola tutte le garanzie necessarie ad evitare che siano cagionati danni da scoppio o da incendio. Garanzie che debbono risultare da un complesso di clausole contrattuali e da adeguate informazioni sul montaggio delle bombole in condizioni di assoluta sicurezza. Un affidamento non garantito da un servizio sicuro rende imputabile per negligenza grave la condotta del fabbricante fornitore, ai sensi dell’art. 2050 c.c., ed evidenzia il suo concorso attivo nella produzione del danno ingiusto, Cass. 19 luglio 2008, n. 20062, in Foro it., 2009, 4, p. 1163. 304 V. ‘considerando’ n. 23 della Decisione n. 768/2008/CE, cit. supra, nota 230, ove: “ il distributore mette un prodotto a disposizione sul mercato dopo che è stato immesso sul mercato dal fabbricante o dall’importatore e deve agire con la dovuta attenzione per garantire che la sua manipolazione del prodotto non incida negativamente sulla conformità del prodotto. Sia gli importatori che i distributori sono tenuti ad agire con la dovuta attenzione in relazione alle prescrizioni applicabili ogniqualvolta immettono o mettono a disposizione prodotti sul mercato. Si può poi discutere se nel rapporto tra venditore di un prodotto e consumatore l’informazione costituisca un obbligo autonomo dalla prestazione principale a cui accede (in tal senso, Cass., 29 settembre 2009, n. 20806, in banca dati Juris data) o 125 Va peraltro precisato che, mentre la presenza di una normativa tecnica di armonizzazione pare escludere l’adozione di ogni ulteriore altra cautela da parte del fabbricante; a diversa conclusione perviene la giurisprudenza305. Essa considera il messaggio decettivo come fatto produttivo di un danno ingiusto indipendentemente dall’esistenza di una specifica disposizione che vieti l’espressione impiegata, ciò in quanto l’ordinamento protegge il danneggiato da un fatto doloso o colposo e non da un fatto illecito, essendo bastevole per la realizzazione della fattispecie dell’art. 2043 c.c. la lesione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento306. Pertanto la norma, essendo una clausola generale, mutua l’interesse protetto da un valore costituzionale protetto (art. 2, a tutela dei diritti inviolabili della si inserisca negli obblighi precontrattuali di informazione (v. Cass. 26 aprile 2012, n. 6526, in Danno e resp., 2012, p. 1210). 305 Cass., 17 dicembre 2009, n. 26516, cit. supra, nota 204, ove: “(…) sostiene, infatti, la ricorrente che la propria condotta non potrebbe qualificarsi illecita, in quanto l’accertamento della natura ingannevole della dicitura Light, ad opera dell’Autorità Garante, non esplica nessun effetto diretto in ordine all’accertamento della responsabilità civile e, comunque, la dicitura in questione è stata vietata solo dal settembre 2003, sicché per il periodo precedente la relativa condotta non può essere considerata illecita, tanto più che i pacchetti di sigarette Light riportavano, in modo identico ad ogni altro tipo di sigarette, le avvertenze imposte a salvaguardia della salute dei consumatori. Assume la ricorrente che sia il provvedimento dell’Autorità garante che la direttiva comunitaria vietavano la dicitura Light solo dal 2003, mentre, quanto al periodo precedente, unico rilevante nella fattispecie, non poteva configurarsi nessuna ipotesi di inganno. Il motivo è infondato. E’ vero che a norma dell’ art. 7 della direttiva 2001/37/CE, cui è stata data attuazione tramite il D. Lgs. n. 184 del 2003, solo dal 30 settembre 2003 sono vietate le cennate diciture (…) tuttavia ciò che rileva è che il fatto dell’agente abbia prodotto la lesione di una posizione giuridica altrui, ritenuta meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, lesione non altrimenti giustificata. Nella stessa linea di pensiero nessun rilievo ha la norma di cui al D. Lgs. n. 184 del 2003, art. 10, nella parte in cui dispone che “le sigarette non conformi alle disposizioni del presente decreto possono ancora essere commercializzate fino al 30 settembre 2003”. Ciò significa solo che, anche per la particolare fattispecie indicata da tale norma, transitoriamente le sigarette prodotte potevano essere vendute, senza che ciò costituisse illecito amministrativo, ma non che il produttore di sigarette fosse autorizzato a produrre danno ingiusto alla persona, così come non poteva produrlo per il periodo antecedente all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 184 del 2003. 306 V., Cass., 17 dicembre 2009, n. 26516, cit. supra, nota 204. Nell’ipotesi in cui sia dedotta la fattispecie dell’art. 2043 c. c. il danneggiato dovrà provare la colpa od il dolo del fabbricante. Ove il danneggiato riuscisse a dimostrare la pericolosità del prodotto ai sensi dell’art. 2050 c. c. la prova liberatoria del fabbricante sarebbe particolarmente gravosa dovendo provare di aver posto in essere le necessarie misure preventive/ protettive. 126 persona; art. 21, a tutela delle libere manifestazioni di pensiero) o da un diritto riconosciuto dall’ordinamento (art. 2 Codice del consumo) o da un valore comunque ritenuto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. Da questo contesto si può ritenere configurabile un autonomo diritto del consumatore ad essere informato in modo adeguato sulle possibili conseguenze dell’uso di un prodotto che causa un danno al patrimonio od alla salute307, rilevante sotto il profilo extracontrattuale. Invece, se è utilizzata la norma dell’art. 114 del Codice del consumo, che sanziona il danno da prodotto, il difetto di informazione, come detto in precedenza, è valutato alla stregua di un difetto progettuale/costruttivo. In tal caso viene evidenziata la mancanza di sicurezza del prodotto generalmente prendendo a riferimento standard tecnici di riferimento308. Il consumatore danneggiato, indicato l’interesse leso, prima di provare il quantum del risarcimento, è tenuto a provare il difetto, indi, provato questo, il nesso di causalità tra l’informazione decettiva ed il danno, concretandosi questo nesso nell’effettiva prevedibilità che dalla diffusione di un messaggio corretto non sarebbero derivate conseguenze dannose309 (nella sostanza, che 307 In Cass., 17 dicembre 2009, n. 26516, cit. supra, nota 204, a proposito del danno da tabacco si rileva che “è infondata la censura secondo cui il giudice non avrebbe tenuto conto del comportamento del fumatore, che, nonostante i caveat o health warnings, sui danni da fumo, aveva continuato a fumare con una scelta autonoma che comportava l’interruzione del nesso causale tra il produttore delle sigarette ed il danno da fumo e l’esclusiva responsabilità del fumatore a norma dell’art. 1227 c.c., comma 1. Nella fattispecie, infatti, non è prospettabile la questione della volontaria assunzione (freedom of choice) di rischio da parte del danneggiato, poiché non sì fa questione del danno da fumo subito dal fumatore, che ne era avvertito, ma del danno da pubblicità ingannevole e cioè di quello subito da parte di un soggetto fumatore, che riteneva di ridurre il rischio di danno, proprio fumando tali sigarette lights”. Il danno da pubblicità è pertanto separato da quello da uso del prodotto. 308 Per standard si intende una regola o una norma largamente accettata ed applicata. Si richiamano agli standard tecnici come parametro di riferimento, Trib. Piacenza, 3 maggio 2012, in banca dati Il Caso, Trib. Pisa (sez. Pontedera), 16 marzo 2011, in Resp. civ. e prev., 2011, 10, p. 2094. 309 Una prova di questo tipo presenta le stesse difficoltà della causalità per comportamento omissivo; la giurisprudenza tende a superare queste difficoltà ricorrendo alla evidenza od alla utilizzazione della norma dell’art. 2050 c.c. In tal modo si grava il fabbricante di dimostrare di aver attuato tutte le possibili misure preventive/protettive; v. Cass. 17 dicembre 2009, n. 26516, cit. supra, nota 204. 127 la carente informazione ha portato ad un uso non corretto del prodotto310). La prova deve essere confortata dall’ulteriore allegazione che in presenza del messaggio corretto il consumatore non avrebbe usato il prodotto 311. Tale punto è peculiare alla fattispecie in parola che integra la reticente informazione con la sua rilevante incidenza nel processo formativo della volontà del destinatario, tale che esso attua un determinato comportamento dannoso proprio in ragione dell’informazione fornita ed in assenza di una evidente possibilità di accertarne l’erroneità. 310 Cass., 10 ottobre 1997, n. 9866, in Danno e resp. 1998, p. 282, per il caso in cui l’uso del prodotto chimico su piante senza proteggerle con un telo aveva provocato la bruciatura delle medesime. 311 Cass., SS. UU., 15 gennaio 2009, 794, cit. supra, nota, 211. 128 Regolamento n. 1400/2002/Ce della Commissione del 31 luglio 2002, relativo all’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del Trattato a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico, in Guce n. L 203/30 dell’1 agosto 2002. Regolamento n. 461/2010/Ue della Commissione, del 27 maggio 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico, in Guue n. L 129 del 28 maggio 2010. Regolamento n. 715/2007/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2007, relativo all’omologazione dei veicoli a motore riguardo alle emissioni dai veicoli passeggeri e commerciali leggeri (Euro 5 ed Euro 6) e all’ottenimento di informazioni sulla riparazione e la manutenzione del veicolo, in Guue n. L 171 del 29 giugno 2007. Regolamento n. 692/2008/Ce della Commissione del 18 luglio 2008, recante attuazione e modifica del regolamento (CE) n. 715/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’omologazione dei veicoli a motore riguardo alle emissioni dai veicoli passeggeri e commerciali leggeri (EUR 5 ed EUR 6) e all’ottenimento di informazioni per la riparazione e la manutenzione del veicolo in Guue n. L199/1 del 28 luglio 2008. Regolamento n. 330/2010/Ue del 20 aprile 2010, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, in Guue n. L 102 del 23 aprile 2010. Regolamento n. 566/2011/Ue della Commissione dell’8 giugno 2011 che modifica il regolamento (CE) n. 715/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 692/2008 della Commissione per quanto 129 concerne l’ottenimento di informazioni per la riparazione e la manutenzione del veicolo, in Guue n. L 158/1 del 16 giugno 2011. Regolamento n. 64/2012/Ue, della Commissione del 23 gennaio 2012 in Guue n. L 28/1 del 31 gennaio 2012 che modifica il regolamento (UE) n. 582/2011 recante attuazione e modifica del regolamento (CE) n. 595/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le emissioni dei veicoli pesanti (euro VI) Direttiva n. 2007/46/CE del parlamento europeo e del Consiglio del 5 settembre 2007 che istituisce un quadro per l’omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché dei sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli, in Guue n. L 263/1 del 9 ottobre 2007. Direttiva n. 1970/156/CEE del Consiglio, del 6 febbraio 1970, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative all’omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, in Guce n. L 042 del 23/02/1970 pag. 1-5. Regolamento n. 661/2009/Ce del 13 luglio 2009, in Guce n. L 200/1 del 31 luglio 2009; Decisione n. 768/08/Ce del 9 luglio 2008 in Guue n. L 218/82 del 13 agosto 2008. Commissione europea, Comunicazione della Commissione, Orientamenti sulle restrizioni verticali, SEC(2010) 411 definitivo. Commissione europea, Comunicazione della Commissione — Orientamenti aggiuntivi in materia di restrizioni verticali negli accordi per la vendita e la riparazione di autoveicoli e per la distribuzione di pezzi di ricambio per autoveicoli, in Guue n. C 138 del 28/05/2010 pag. 0016 – 0027. 130 Commissione europea, domande frequenti (FAQ) sull’applicazione delle norme antitrust della UE nel settore automobilistico, 27 agosto 2012. 131