Una cultura del fatto (1550-1700)
Responsabilità individuale, prova giuridica e «nuova scienza» nell’Inghilterra protestante
Mara Musante
A stabilire se una scoperta scientifica o un’invenzione tecnica sono moralmente buone o
cattive, se, quindi, vanno portate avanti oppure occorre fermarsi, è l’uso che se ne fa. È l’uso che
l’uomo ne fa, il che mette capo a un discorso di responsabilità individuale – etica, civile, sociale ed
ecologica – in particolar modo viva e presente nella storia del calvinismo inglese dal primo Seicento
in poi. In area protestante e britannica, infatti, la necessità per la nuova cultura di età moderna di
produrre prove (a supporto di determinate teorie) caratterizzava e saldava insieme il discorso
scientifico-filosofico dei baconiani e quello politico-legale dei giuristi. Tanto la cultura scientifica
quanto il mondo della legge abbisognavano di prove oggettive e materiali, che era indispensabile
procurare in sede di discussione per vedere riconosciuto come veritiero il valore delle proprie
argomentazioni. E questo, tanto in un’aula di tribunale, quanto in una tornata accademica. Il
concetto di responsabilità individuale – così tipico della mentalità protestante – informava di senso
sia l’attività giuridica dei legisti (ancora William Blackstone, nel XVIII secolo) sia l’operato
empirico, di laboratorio, dei natural philosophers. Tutti costoro si rifacevano all’insegnamento di
Francis Bacon, il quale, nel De sapientia veterum (1609), aveva responsabilmente avvisato circa i
lati positivi e negativi delle tecniche scientifiche, possibili produttrici – a seconda della coscienza e
del volere umani, caratteristici punti di riferimento nell’ottica del protestantesimo di matrice inglese
– di bene o male, come illustrato in chiave metaforica ed allegorico-mitologica dalla significativa
ripresa del mito di Daedalus sive mechanicus. Bacon, pertanto, celebrò la tecnica e congiuntamente
ne mise in guardia. Un discorso non dissimile a quello – molto posteriore, però, e di indirizzo
vichiano e nietzschiano – svolto da Oswald Spengler. Un tema su cui manca un vero studio
organico. È quanto si dovrebbe tentare di compiere, unendo storia del sapere scientifico, storia
religiosa d’età moderna, storia intellettuale e metodologia della ricerca storiografica, in un discorso
aperto ai confronti e pluri- (se non multi) disciplinare. Anche per rispondere, ad esempio, a una
questione tuttora irrisolta: quale ruolo esercitò l’umanesimo? Certo, esso fu grande e importante per
Bacon: quest’ultimo, padre putativo di tutta la cultura inglese (scientifica e legale) veniva da una
formazione universitaria di tipo giuridico; aveva, pertanto, dimestichezza con la necessità
dell’evidenza e con l’opportunità di confermarla come tale anche attraverso la retorica; inoltre,
doveva essere ben consapevole della centralità delle testimonianze (di nuovo: essenziali sia davanti
al giudice sia in un gruppo di virtuosi che assistono a un esperimento cruciale). La vocazione, per
Bacon ed i suoi continuatori, fu sempre religiosa: gettare un’occhiata su quel mondo che è stato
creato da Dio, onorare l’Altissimo studiandone l’estensione fenomenica nella realtà naturale (a
mezzo di scienze e tecniche, semplici strumenti quindi e non fini), far rispettare l’ordine giuridico e
quello scientifico (ambedue rimontanti a Dio), mediante adeguate prove sperimentali (condivisibili
cioè da una comunità di individui responsabili).
La ricerca in oggetto ha tratto prima ispirazione dal confronto tra “disciplina cattolica e
autodisciplina protestante”1, dovutamente ampliato e sviluppato in seguito. Gli estremi
dell'argomentazione, da un generico raffronto tra le condotte citate – comunitarie ed individuali –
hanno trovato spazio e interesse nell'analisi più dettagliata della specificità calvinista inglese dei
secoli XVI e XVII. Inoltre, sono stati presi in esame gli esiti che si determinarono in tale contesto
sociale, istituzionale e religioso, specificamente sotto gli aspetti giuridico e scientifico, reputati da
chi scrive, e da chi ha seguito l'evolversi di questo lavoro, non solo indicativi del costituirsi della
società moderna, ma anche strettamente connessi tra loro. In corso d'opera, si farà continuo
1. R. BIZZOCCHI, Guida allo studio della storia moderna, Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 40-44.
1
riferimento alla cornice politico-religiosa, per comodità schematizzata nella tavola sinottica2 in
Appendice, in modo da tenere ben presenti i risvolti sociali da cui derivò il fermento culturale
inglese di età moderna, senza per questo discernerli in maniera innaturale. Non mancheranno
allusioni ad altre realtà coeve europee con caratteristiche similari, soprattutto a scopo comparativo,
ma si manterrà una visione privilegiata sull'Inghilterra, in qualità di anticipatrice di un determinato
progresso economico e civile3, inscindibilmente connesso all'evoluzione dello studio sperimentale.
Per schematizzare brevemente l'elaborato, l'argomentazione si fonda su svariati studi4 della
ricercatrice americana Barbara Shapiro, riguardanti l'interdipendenza tra cultura umanisticogiuridica e scientifica in epoca moderna. Tale ipotesi storiografica, inserita nel contesto protestante
inglese, è notoriamente debitrice nei confronti di Max Weber, che nel 1904-05, in L'etica
protestante e lo spirito del capitalismo, ravvisò l'esistenza di un nesso tra teologia calvinista, con
particolare riferimento alla predestinazione, e sviluppo socio-economico. Si tenterà in questa sede di
riproporre le intuizioni più valide di questa teoria, analizzando, per quanto possibile, gli errori
metodologici che ne determinarono la confutazione. I capitoli successivi sono dedicati alla
controversa questione etica in ambito scientifico, connaturata alla scienza empirica sin dagli albori,
e ad altri due sviluppi apparentemente marginali, ma non per questo meno importanti: le modalità
mediante le quali avveniva la comunicazione scientifica tra filosofi naturali e le affinità
metodologiche tra prassi giuridica, metodo scientifico e ricerca storiografica. In questo modo si è
voluto evidenziare l'affinità culturale quantomeno originaria, se non di fatto, costitutiva di queste tre
branche della conoscenza.
Il protestantesimo anglo-europeo: aspetti socio-culturali
Nel novembre 1534 un atto legislativo determinò l'indipendenza formale della Chiesa
anglicana da Roma. L'Act of Supremacy, infatti, stabilì l'assoggettamento del clero inglese al
sovrano vigente e ai successori, con annessa la potestà legislativa e decisionale in materia religiosa,
al fine di preservare pace e unità del regno, potenzialmente minacciate da condizionamenti esterni5.
Tale ingerenza temporale, peraltro non contrastante con i dettami del protestantesimo originario – si
ricordi l'assioma augustano, seppur decontestualizzato, Cuius regio, eius religio – ebbe motivazioni
economiche, quali la cessazione del pagamento di tributi al pontefice e l'incameramento dei beni
ecclesiastici, e politiche6, come si avrà modo di accertare. Solo pochi anni dopo l'introduzione
sovrana della Riforma in Inghilterra, si diffusero i principi calvinisti7, così come avvenne in
Francia, Paesi Bassi, Scozia e, limitatamente, in Germania. Il caso inglese fu peculiare per
l'evidenza della volontà politica, che andò tuttavia a innestarsi su un fertile terreno socioeconomico, dando vita a numerose settarizzazioni in ambito confessionale e a svariati esiti nella
2. Realizzata mediante l'ausilio del manuale di C. CAPRA, Storia moderna (1492-1848), Firenze, Le Monnier, 2004.
3. «Fu la prima rivoluzione inglese a dare vita ad un corpo di idee politiche e sociali, scientifiche e religiose di tale
ricchezza e complessità che, una volta scoperto nell'Europa continentale dai nemici e dagli oppositori dell'assolutismo,
pose le basi di una nuova sintesi intellettuale, aprendo la strada al fenomeno storico che chiamiamo Illuminismo». Cfr.
D. ARECCO, I Fatti e le Idee. Scienza, religione e società nell’Inghilterra moderna, Genova, Nova Scripta, 2007, cit.,
pp. 110-111.
4. Tali studi saranno oggetto di indagine del capitolo “Il protestantesimo scientifico delle accademie inglesi e la cultura
umanistica a suo fondamento”. Si vedano i riferimenti specifici in Bibliografia.
5. Per una traduzione del testo originale, si veda R. REPETTI, La nuova spiritualità dell’età moderna, Genova, Ecig,
2001, II ed. riveduta e ampliata 2003, pp. 283-284.
6. Si veda M. RUBBOLI – E. CAMPI, Protestantesimo nei secoli. Fonti e documenti, Vol. I, Cinquecento e Seicento, pp.
158-159 per una trattazione completa e specifica degli atti legislativi.
7. Si vedano in Appendice i riferimenti relativi alle varie edizioni del Book of Common Prayer, in accordo con le
modifiche dottrinali, e agli Articles of Religion, risalenti ai regni di Edoardo VI ed Elisabetta I. Tali provvedimenti
introdussero in Inghilterra, conformemente alla dottrina riformata, i seguenti principi: “giustificazione per fede”, “sola
scriptura”, “predestinazione”, “comunione sotto le due specie”, “sacerdozio universale dei laici” oltre ad accogliere
esclusivamente i sacramenti del battesimo e dell'eucarestia (non in forma di transustanziazione). Si veda M. RUBBOLI –
E. CAMPI, Protestantesimo nei secoli, cit., pp. 163-167.
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collettività. Le richieste della nobiltà inglese, precocemente imborghesita rispetto a quella
continentale, si erano fatte già sentire in epoca medievale, – è infatti ormai completamente accolta
l'analisi storiografica che vede nella Magna Charta Libertatum (1215) la conferma dei privilegi
ecclesiastici e feudali a limitazione del potere sovrano8 – per poi consolidarsi ed affermarsi
successivamente fino alla tarda età moderna. Ulteriori caratteristiche distintive si potrebbero
attribuire all'isolamento insulare, ai contrasti con i paesi limitrofi9, all'espansione coloniale
dell'Impero britannico dall'Età elisabettiana in poi, al parlamentarismo in via di consolidamento,
all'eccezione rivoluzionaria seicentesca10.
Percorrendo a grandi linee la storia inglese dei secoli XVI e XVII, si contano diversi
tentativi di restaurazione cattolica, primo tra tutti quello attuato dalla regina Maria I Tudor e dal
legato papale Reginald Pole, connotato dalla sanguinosa persecuzione dei protestanti.
L'anglicanesimo fu reintrodotto definitivamente nel 1559, con l’Act of Uniformity. È importante
accennare alla diffusione della religione protestante in Scozia, nell'accezione presbiteriana11 dovuta
alla predicazione di John Knox. L'unione delle corone di Scozia e Inghilterra si ebbe, dopo i
contrasti tra Elisabetta I e Maria Stuart, che portarono all’esecuzione di quest'ultima, con l'elezione
al trono di Giacomo I (già Giacomo VI di Scozia). L’affermazione del puritanesimo, dal regno di
Elisabetta I in poi, fu l’elemento caratterizzante e distintivo della vocazione spirituale inglese. Ci si
affida alle parole di Massimo Rubboli per una definizione scevra da giudizi preconcetti:
il puritanesimo non ha una data di origine precisa perché non fu mai un movimento strutturato e
omogeneo. Si trattò piuttosto di una posizione assunta da una parte dei membri della Chiesa d’Inghilterra che
volevano riformare la chiesa ritornando alla «pura» religione delle Sacre Scritture. Questa posizione, che si
era già manifestata agli inizi della Riforma inglese, si rafforzò con il ritorno in patria di coloro che durante la
persecuzione scatenata da Maria Tudor si erano rifugiati sul continente, dove avevano fatto propria una
concezione riformata della chiesa e della società. I puritani, sostanzialmente, volevano indirizzare la Riforma
inglese in una direzione riformata, nella quale l’autorità della Bibbia era superiore ad ogni pretesa della
chiesa come interprete o custode della tradizione apostolica e la vera religione si fondava sulla fede
personale e sul patto (covenant) tra Dio e coloro ai quali aveva fatto dono della sua grazia12.
Si può affermare che il proposito fondamentale di questo movimento, presto diffusosi anche
tra la gentry, i mercanti e gli artigiani, fu la radicalizzazione della teologia, in un primo momento
8. «Giovanni Senzaterra continuò a governare fino alla morte (1216), ma la sua politica aveva finito con lo scontentare
un po’ tutti: gli ecclesiastici, dei quali aveva confiscato i possedimenti attirandosi per questo la scomunica pontificia; i
feudatari, coi quali aveva largheggiato in promesse quando si era trattato di indurli a ribellarsi al fratello salvo poi cercar
di sottometterli con una politica oppressiva; le città, delle quali non aveva compreso la crescente importanza. La sua
sfortunata politica continentale, e in particolare la sconfitta di Bouvines seguita dalla perdita definitiva dei territori a
nord della Loira, furono per la nobiltà inglese il segnale della rivolta. Giovanni fu obbligato a giurare il rispetto delle
antiche consuetudini nei confronti dei baroni, il che implicava tra l’altro il dovere di consultarli prima d’imporre loro
nuove tasse; inoltre, nessun nobile sarebbe stato più condannato in giudizio se non sulla base di una sentenza
pronunziata dai suoi pari; infine, la tutela dei diritti della Chiesa e dei feudatari veniva regolata per iscritto. Tale il senso
della cosiddetta Magna Charta, sottoscritta nel giugno 1215, documento che segna gli accordi di base tra la corona e
l’aristocrazia inglese e che avrebbe regolato da allora in poi la vita del regno limitando i poteri regi, ma al tempo stesso
sancendone la tradizionale stabilità. […] È tuttavia opportuno sottolineare che inizialmente la Magna Charta non era
certo intesa come uno strumento di “modernizzazione”, un concetto che peraltro a quel tempo non avrebbe avuto alcun
senso; al contrario la corona francese, con la sua forte spinta all’accentramento dei poteri, poneva le basi dello Stato
moderno; i baroni inglesi, invece, non facevano che riaffermare diritti tradizionali che la feudalità aveva sempre
rivendicato nei confronti della corona». Cfr. F. CARDINI – MARINA MONTESANO, Storia medievale, Firenze, Le Monnier,
2006, cit., pp. 303-304.
9. Nell'ordine, per citare i conflitti fondamentali: Guerra dei cent'anni (1337-1453), Guerra anglo-spagnola (15851604), Guerre anglo-olandesi (1652-54; 1665-67; 1672-74).
10. Si è già accennato all'eccezionalità della Prima rivoluzione inglese (1642-49), anche in qualità di anticipatrice
rispetto agli altri paesi.
11. Il presbiterianesimo basa il sistema ecclesiastico su un consiglio di anziani, eletti dalla chiesa locale e su un sinodo
di pastori e anziani rappresentanti le varie chiese. Si veda M. RUBBOLI, I protestanti, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 64.
12. Cfr. M. RUBBOLI, I protestanti, Bologna, Il Mulino, 2007, cit., p. 58. Per ulteriori approfondimenti pp. 59-61.
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tesa al compromesso tra la necessità del mantenimento dell’equilibrio statale e quella del
rinnovamento religioso. Ciò sfociò inevitabilmente in contrasti, che portarono i puritani più
intransigenti a salpare per il Nuovo Mondo nel 1620 con il Mayflower, dove fondarono la colonia
del Massachussets, e a numerose divisioni interne che caratterizzarono la Prima rivoluzione inglese
e perdurarono oltre la metà del XVII secolo. A questa si arrivò dopo quasi un ventennio di reggenza
di Carlo I, per svariate motivazioni: dagli inizi del regno egli favorì, seppur non in maniera palese,
le convinzioni cattoliche della moglie, mascherate dall’anglicanesimo intransigente
dell’arcivescovo di Canterbury William Laud; limitò le prerogative parlamentari sciogliendo
ripetutamente le assemblee; dovette fronteggiare le rivolte presbiteriana in Scozia e cattolica in
Irlanda13. Non è questa la sede per una trattazione esaustiva del periodo rivoluzionario, oltre al fatto
che quel che più preme sottolineare è il ruolo che il puritanesimo ebbe nell’affermazione del
parlamentarismo, seppur con le deliberazioni arbitrarie che portarono, nel 1649, alla condanna e alla
decapitazione del re. Uno scontro istituzionale di tale portata, unito alla diffusa richiesta di
maggiore eguaglianza sociale espressa dalle molteplici eterodossie, favorì una grande varietà di
posizioni.
Senza pretesa di esaustività, si presenta un quadro delle “fazioni” che costituirono il
panorama protestante attivo nella società inglese del XVII secolo. Il movimento dei battisti di inizio
Seicento prevedeva il battesimo negli adulti e non accettava la predestinazione. Negli anni Quaranta
vi fu, tuttavia, una rielaborazione della dottrina in senso moderato, espressa nella Confessione di
Londra (1644). I battisti parteciparono attivamente all’esercito rivoluzionario, ma furono duri critici
del protettorato cromwelliano. Con i termini seekers o ranters, rispettivamente “cercatori” e
“predicatori esaltati”, furono appellati gli uomini e le donne che rifiutavano le classificazioni di tipo
dogmatico, sia anglicane che calviniste: essi disconoscevano infatti i ministri della fede e la
predestinazione, dubitavano della natura divina del Cristo e dell’esistenza dell’Inferno, credevano
nella rivelazione di Dio agli spiriti degni, senza necessità della Sacra Scrittura. I levellers,
“livellatori”, noti per le loro posizioni radicali in ambito politico, furono attivi negli ultimi anni
della rivoluzione. Contarono membri nell’esercito parlamentare, ma anche nella società rurale e tra
mercanti e artigiani e mostrarono un desiderio di democratizzazione della società, richiedendo il
suffragio universale maschile, garanzie di istruzione e sovranità popolare. Da questi si distaccò il
troncone fondamentalista dei diggers, “zappatori”, che pretendevano l’abolizione della proprietà
privata. Quakers, “coloro che tremano”, fu il dispregiativo nome attribuito ai membri della «Società
degli Amici», perché soggetti, in alcuni casi, a episodi di estasi mistica all’atto della conversione.
Questa corrente si diffuse nella seconda metà del XVII secolo e fece proseliti tra emarginati, donne,
ma anche nei ceti mercantili cittadini e nelle campagne. Furono duri critici delle istituzioni politiche
e religiose e grandi sostenitori della pace e della non violenza, per le quali operarono attivamente
contrastando gli atteggiamenti anticristiani. Tra i fondatori ricordiamo George Fox (1624-1691) e la
moglie Margaret Fell (1614-1702), a testimonianza della partecipazione attiva femminile nella
predicazione14. Si avrà modo di trattare nel capitolo successivo di ulteriori diramazioni del
puritanesimo che caratterizzarono in particolar modo il protestantesimo scientifico, per sfociare, in
alcuni casi, in eresia.
Per proseguire in questa breve contestualizzazione, è noto come il periodo repubblicano
(1649-1660) fu contrassegnato dalla guida di Oliver Cromwell, il quale non tollerò il dissenso ed
epurò l’esercito dai capi livellatori, oltre a condurre un sanguinoso massacro contro la cattolica
Irlanda. Alla morte del Lord protettore, seguì poco più di un anno e mezzo di governo del figlio
Richard. Dopo l’abdicazione di quest’ultimo, fu richiamato in patria Carlo II, rifugiatosi nei Paesi
Bassi agli inizi della rivoluzione, quando fu riconosciuto come legittimo successore del sovrano da
scozzesi e irlandesi. La restaurazione degli Stuart fu possibile con l’impegno da parte del re alla
13. Si vedano i relativi riferimenti in Appendice.
14. L’elaborazione di questo breve profilo delle eterodossie inglesi del XVII secolo è stato possibile grazie alla
consultazione della seguente bibliografia: C. CAPRA, Storia moderna (1492-1848), Firenze, Le Monnier, 2004, p. 152;
M. RUBBOLI – E. CAMPI, Protestantesimo nei secoli. Fonti e documenti, Vol. I Cinquecento e Seicento, pp. 297-325.
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tolleranza religiosa e al governo in accordo con il Parlamento. Tuttavia l’alleanza antiolandese con
la Francia, e la designazione in qualità di erede del fratello Giacomo, destarono sospetti di filocattolicesimo. Queste tendenze furono confermate nel 1685 dall’ascesa al trono di Giacomo II, che
annullò le disposizioni dirette all’esclusione dei cattolici dalle cariche istituzionali previste dal Test
Act (1673), mediante la Declaration of Indulgence (1687), ed ebbe un erede maschio. La concreta
prospettiva del ristabilimento dell'ortodossia papale fece accordare i due schieramenti politici tory e
whig per la soluzione realizzatasi con la Gloriosa rivoluzione: il trono fu offerto congiuntamente
alla figlia di Giacomo II, Maria Stuart, e al marito, lo Statolder d’Olanda Guglielmo III d’Orange.
Questo periodo, contrassegnato dal reciproco riconoscimento tra corona e Parlamento e dall’inizio
di un’attiva collaborazione degli stessi nel governo del regno, si concluse al volgere del secolo,
dove ha termine anche questa trattazione.
Un altro aspetto che interessa evidenziare in questa sede, riguarda gli esiti che si
determinarono nella società in seguito alla diffusione della religione protestante. Le forme
originarie di luteranesimo e calvinismo, diversamente da quanto si potrebbe desumere dagli effetti
sociali determinatisi al di fuori di Germania e Svizzera, non ebbero intenti normativi diversi da
quelli religiosi15. Tuttavia,
se la Riforma protestante fu alle origini messa in moto da motivazioni prettamente religiose, non si
deve trascurare il fatto che nel tempo essa ebbe conseguenze in tutti i campi, dalla cultura all’economia, dalla
politica alle arti. […] Il grande impegno posto nella riforma sistematica delle pratiche devozionali portò ad
un radicamento del protestantesimo nel territorio e alla nascita di chiese nazionali, che si diedero proprie
costituzioni e ordinamenti. […] L’appartenenza alla comunità religiosa nazionale sosteneva il senso di
appartenenza alla comunità politica. […] Nei paesi protestanti, il pulpito era usato efficacemente per
diffondere la visione ufficiale dello stato, compresa la definizione istituzionale dei concetti di nazione e di
patria16.
Ed è partendo da questo forte sentimento identitario, che si potrebbero enumerare le varie
conseguenze citate dall’autore. Innanzitutto fu inevitabile, in Inghilterra e altrove, un aumento
dell’alfabetizzazione tra la popolazione, in relazione alla diffusione scritta dei testi sacri17e per via
della lettura collegiale di sermoni e omelie che facevano preciso riferimento ad essi, in coerenza con
il sacerdozio universale dei credenti. Si potrebbe affermare che il dovere cristiano della conoscenza
della Sacra Scrittura, proclamato dai protestanti, con in testa Jean Cauvin, contrapposto alla
proibizione tridentina della diffusione della stessa in volgare, sia la perfetta esemplificazione di quel
contrasto tra autodisciplina protestante e disciplinamento sociale cattolico, da cui siamo partiti. Non
che ciò abbia significato necessariamente uno sviluppo delle capacità critiche ed una conseguente
responsabilizzazione degli individui, anzi, come si è visto trattando delle varie divisioni interne, una
tale autonomia corrispose non di rado all’ estremizzazione dottrinale.
Il ritorno a una vita più autenticamente cristiana fu il fattore che più di ogni altro determinò
ripercussioni nella società. Da esso nacquero istanze di maggiore equità sociale che miravano ad un
contenimento del potere sovrano, fu favorita la consapevolezza individuale – così come la
responsabilità personale, che derivava da una maggiore libertà di coscienza e azione18 –, fu
rilanciata la sete di conoscenza nei confronti di un mondo che non era più il regno della colpa e
15. Ringrazio i Proff.ri Davide Arecco e Renzo Repetti per una tale delucidazione, che ha cambiato completamente il
mio approccio a questa ricerca.
16. Cfr. M. RUBBOLI, I protestanti, Bologna, Il Mulino, 2007, cit., pp. 39-40.
17. L’arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer, oltre a ideare il Book of Common Prayer, favorì sin dagli inizi
dell’anglicanesimo la diffusione della Bibbia in volgare. Sotto il regno di Elisabetta I, dopo le persecuzioni di Maria I
Tudor, iniziò a circolare in Inghilterra la Bibbia di Ginevra, opera di esuli inglesi. Si vedano M. RUBBOLI – E. CAMPI,
Protestantesimo nei secoli. Fonti e documenti, Vol. I Cinquecento e Seicento, cit., p. 159 e M. RUBBOLI, I protestanti,
Bologna, Il Mulino, 2007, p. 57.
18. Si vedano, in relazione alla più fondata cultura della responsabilità personale nei paesi protestanti: R. BIZZOCCHI,
Guida allo studio della storia moderna, Roma-Bari, Laterza, 2007, p. 41 e M. RUBBOLI, I protestanti, Bologna, Il
Mulino, 2007, pp. 112-113.
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della caducità umana, ma piuttosto il Creato, disponibile e aperto alla conoscenza, attraverso gli
strumenti che Dio stesso aveva fornito. Con ciò, non si intende ricadere nell’errore di stabilire una
corrispondenza diretta tra etica protestante ed effetti sociali rapportabili alla modernità, ma sarebbe
altrettanto inopportuno lasciar cadere una tanto intuitiva suggestione senza analizzarne gli ulteriori
sviluppi storiografici. Su questa traccia, sarà argomento del secondo capitolo lo studio delle
corrispondenze tra una prassi legale consolidata e la nascita del metodo scientifico empirico inglese,
sullo sfondo che è stato largamente tratteggiato fino ad ora.
Il protestantesimo scientifico delle accademie inglesi e la cultura umanistica a suo fondamento
In questo capitolo si intende sostenere – in antitesi rispetto all’estrema settorializzazione del
sapere odierno – l’ipotesi storiografica19 secondo la quale, tra XVI e XVII secolo, in Inghilterra ma
non solo, la cultura umanistica sottese vaste branche della conoscenza, tra le quali teoria e prassi
giuridica e ricerca scientifica. Ciò all’interno di una più vasta riflessione sull'interdipendenza tra
protestantesimo e sviluppo della cultura pragmatico-scientifica. Quest’ultimo aspetto, ispirato
indubbiamente dagli studi weberiani20, ha interessato, nel tempo, molti storici.
L'Inghilterra fu, sin dal XVI secolo, terreno fertile per la nascita e lo sviluppo di comunità di
studiosi, i quali adattarono a scopi funzionali – spesso medici, grazie ai contributi iatrochimici dei
paracelsiani21 – il tradizionale sapere aristotelico. Il College of Physicians fu fondato nel 1518 con il
riconoscimento ufficiale del re Enrico VIII. Esso ebbe carattere prettamente medico, fedele ai
precetti aristotelico-galenici, e mirò al controllo della professione mediante l'attribuzione di licenze
e l'edizione di farmacopee ufficiali22, alle quali i farmacisti potessero fare riferimento. Il College
aderì sempre alla confessione anglicana, ma durante la guerra civile continuò la propria attività,
seppur schierato con i realisti, senza ostacolare eccessivamente quella degli esponenti di fazione
opposta. Tra i membri si ricordano la controversa figura del rosacrociano Robert Fludd (15741637), il quale dopo svariate vicissitudini fu definitivamente ammesso nel 160923 e William Harvey
(1578-1657), noto per aver scoperto la circolazione del sangue, esposta nel 1628 nell'opera
Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus. Un cenno è dovuto all'oscuro
circolo di epoca elisabettiana raccolto intorno a Sir Walter Raleigh24 (1552-1618), ribattezzato
School of Night in riferimento a una citazione shakespeariana25. Vi parteciparono poeti, filosofi,
19. Si vedranno in questo capitolo gli studi in proposito di Barbara Shapiro.
20. Si veda il riferimento relativo, p. 2.
21. Seguaci della concezione medica del naturalista e medico svizzero Paracelso (1493-1541), basata su una
farmacologia a base chimica e sulla teoria della specificità delle malattie e dei loro rimedi, in opposizione alla tradizione
scolastica. In Inghilterra la dottrina fu introdotta per influenza rosacrociana da Robert Fludd (1574-1637) e associata al
metodo sperimentale dal fiammingo Jean Baptiste Van Helmont (1579-1644), che viaggiò in Inghilterra.
22. La prima edizione autorizzata della London Pharmacopoeia risale al 1618.
23. Si veda il ritratto del personaggio e l’esaustivo quadro della vicenda tratteggiato in D. ARECCO, I Fatti e le Idee.
Scienza, religione e società nell’Inghilterra moderna, Genova, Nova Scripta, 2007, pp. 38-44.
24. Navigatore, favorito della regina, compì nel 1584 una spedizione sulla costa nord-occidentale americana,
denominata Virginia in onore della Virgin Queen. Effettuò nell'arco della vita numerose altre spedizioni oltreoceano.
Non riscontrò lo stesso favore da parte del sovrano Giacomo I e nel 1618 fu condannato a morte.
25. Nell'opera Pene d'amor perdute (Love's Labour's Lost), Atto IV, scena III, il re di Navarra esclama: O paradox!
Black is the badge of hell/ The hue of dungeons, and the school of night;/ And beauty's crest becomes the heavens well.
(Bel paradosso! Il nero è l'emblema dell'inferno,/colore di cupe segrete, sigillo di fosche congiure./Il blasone della
bellezza è invece la luce del cielo). Si cita, di seguito, la relativa nota tratta dall'edizione commentata di Le Commedie
eufuistiche di William Shakespeare, a cura di Giorgio Melchiori, Mondadori, 1990, pp. 1033-1034: «Si è voluto vedere
nella menzione della school of night un'allusione al gruppo di letterati, studiosi e uomini di cultura, fra i quali anche il
drammaturgo Christopher Marlowe, che si radunavano intorno a Sir Walter Raleigh, gruppo considerato, per le idee
avanzate dei suoi componenti, una “scuola di ateismo”. Basandosi sull'idea che il Love's Labour's Lost, sia una
commedia “a chiave”, molti critici si sono sbizzarriti nell'identificare nei vari personaggi figure eminenti del periodo.
Per esempio Holofernes sarebbe l'italiano Giovanni Florio, certamente noto a Shakespeare, autore di un fondamentale
dizionario italiano-inglese e traduttore di Montaigne, oppure lo scrittore e studioso Gabriel Harvey (che però potrebbe
essere anche Armado), o infine il drammaturgo e traduttore di Omero George Chapman, autore del poema allusivo The
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matematici e nobili. Tra gli ispiratori vi furono il succitato Raleigh e John Dee (1527-1608),
filosofo naturale, matematico e alchimista; George Chapman (1559-1634), autore teatrale e poeta;
Thomas Harriot (1560-1621), matematico e astronomo; il IX conte di Northumberland Henry Percy
(1564-1632), mecenate, aristocratico e studioso. Di carattere maggiormente economico-utilitaristico
e di ispirazione laica, fu il Gresham College, sorto in qualità di lascito testamentario di Sir Thomas
Gresham nel 1597 allo scopo di fornire una preparazione tradizionalmente giuridica, ma anche
tecnico-scientifica agli studiosi che ne frequentavano le lezioni aperte. Le materie insegnate in
questo istituto (diritto, teologia, astronomia, geometria, musica e medicina), dimostrano quanto non
fosse ancora marcata la cesura tra discipline umanistiche e tecnico-matematiche, ritenute
univocamente costitutive dell'erudizione. Comunità scientifiche evolute sorsero anche altrove in
Europa. Per limitarci al XVII secolo basti pensare all'Accademia del Cimento (Firenze, 1657-1667)
e all' Académie Royale des sciences (Paris, 1666). Gli intenti di queste fondazioni furono la
razionalizzazione della ricerca empirica e tecnica, la raccolta sistematizzata di dati a beneficio di
osservazioni e studi successivi, l'organizzazione del lavoro in équipe, la pubblicazione dei risultati
delle ricerche su riviste ufficiali e non, il vaglio della letteratura scientifica estera e la verifica dei
relativi risultati.
A questo punto è opportuna una riflessione sul fondamento ideale che ispirò l'evoluzione
tecnico-scientifica in Inghilterra, esplicitata dalla figura e dall'opera di Francis Bacon. L’ispiratore
dell’empirismo inglese nacque a York House nel 1561, dal Guardasigilli Lord Nicholas Bacon e
dalla sua seconda moglie, Ann. All'età di dodici anni fu ammesso al Trinity College di Cambridge,
fondato da Enrico VIII nel 1546. Nel 1576 entrò nel collegio Grey’s Inn, dove in seguito insegnò,
per essere avviato alla professione legale. Citando la voce che lo riguarda dal Dictionary of
National Biography:
Few youths of his age, however, are content to look forward to a life of merely professional success;
and in Bacon's case, partly by reason of his own mental qualities, and partly by reason of the influence of the
exciting events of the great national struggle, in the heart of which he lived, the visions of youth were
peculiarly far-reaching. The boy already longed not merely to do something for the defence of protestantism
against its enemies, and something for the improvement of the government of his native country, both which
thoughts were likely to arise in the mind of Elizabeth's “young lord keeper”, as she playfully called him, but
also to achieve a task which was peculiarly his own, to create a new system of philosophy to replace that of
Aristotle, not merely for the satisfaction of the cravings of his own speculative reason, but for the practical
benefit of humanity at large26.
Sotto il regno di Elisabetta I egli si dedicò all'attività legale ed a quella parlamentare – ebbe
parte attiva nella condanna della regina di Scozia – e arrivò a far parte del Consiglio della Corona,
allo scopo di accertare le accuse rivolte al Conte di Essex, suo precedente benefattore, per il quale
determinò la pena di morte nel 1601. Successivamente attraversò un periodo di sfavore a corte, fino
a che la sua la carriera diplomatica ebbe una svolta, grazie al favore di Giacomo I. Fu infatti
nominato cavaliere nel 1603 e nel 1618 divenne Lord Cancelliere, acquisendo contestualmente il
titolo di Barone di Verulamio ed in seguito quello di Visconte di Saint Alban. Nel 1621 fu accusato
di corruzione e cadde in disgrazia. Morì a Londra nel 1626 a causa di una polmonite, contratta
Shadow of Night; Mote sarebbe il drammaturgo e poligrafo Thomas Nashe e così via. Comunque il senso ovvio della
frase, intesa ad elencare le proprietà del colore nero, è: il nero è la scuola in cui la notte impara ad essere scura».
26. «Pochi giovani della sua età, tuttavia, si accontentano di una vita di mero successo professionale; nel caso di Bacon,
in parte per via delle sue facoltà mentali e in parte sotto l'influenza degli straordinari eventi relativi al grande
sconvolgimento nazionale durante il quale egli visse, le aspettative della giovinezza erano in particolar modo di vasta
portata. Il giovane desiderava non solo agire in difesa del protestantesimo contro i suoi nemici, ma anche fare qualcosa
per lo sviluppo del governo del suo paese nativo, entrambi progetti che, con ogni probabilità, sorsero nella mente del
“giovane Guardasigilli” di Elisabetta I, come ella lo denominava scherzosamente; anche allo scopo di raggiungere un
obiettivo in particolar modo personale: creare un nuovo sistema filosofico per rimpiazzare quello aristotelico, non solo
per la soddisfazione delle brame del proprio ragionamento speculativo, ma per il beneficio effettivo dell'umanità tutta».
Cfr. Dictionary of National Biography, The compact edition, Oxford University Press, 1975, p. 67. La traduzione è mia.
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durante la conduzione di un esperimento in pieno inverno. Ma l'aspetto mondano della figura di
Francis Bacon non ne rispecchia affatto l'eccezionalità del pensiero, ravvisabile nelle opere. Tra
esse, bisogna citare in primo luogo la Instauratio Magna, pubblicata in latino nel 1620, un enorme
progetto di rielaborazione e sistematizzazione del sapere. Essa è costituita da una prima parte, il De
Dignitate et Augmentis Scientiarum, risalente al 1623 – già rielaborazione della più breve opera in
inglese del 1605 Advancement of Learning – e da una seconda, recante il titolo Novum Organum
sive Indicia Vera de Interpretatione Naturae. In essa Francis Bacon teorizzò il metodo scientifico
induttivo, contrapposto a quello aristotelico, deduttivo. Per una corretta procedura di osservazione
dei fenomeni naturali, l’autore indicò in primo luogo la necessità di distruggere i pregiudizi e gli
errori ai quali l’uomo è soggetto, gli idola. Se ne definiscono quattro specie: gli idola tribus,
caratteristici della natura umana, come l’intuitivo affidamento all’esperienza sensibile; gli idola
specus, ossia i pregiudizi individuali e sociali, ben rappresentati dal mito platonico della caverna; gli
idola fori, ovvero gli errori determinati dall’ambiguità del linguaggio e infine gli idola theatri,
determinati dall’acquisizione acritica delle teorie filosofiche tradizionali. Superata questa fase, si
applicava la pars costruens del metodo. L’indagine della natura doveva essere minuziosamente
registrata, mediante l’utilizzo di tre tavole: la tabula presentiae indicava la presenza di un
fenomeno, quale per esempio il calore, la tabula absentiae ne specificava l’assenza, la tabula
graduum l’intensità. Tali dati rendevano possibile una vindemiatio prima, ovvero una prima
definizione della natura del fenomeno che, se confermata e corrispondente nelle successive
osservazioni, avrebbe reso possibile l’elaborazione di una legge, conseguentemente all’
experimentum crucis, finale e confermativo. Un ulteriore accenno si deve all’opera letteraria
incompiuta New Atlantis, pubblicata postuma nel 1627. In questo scritto di natura utopica, il
Cancelliere descrisse una società perfetta, nella quale l’istituzione House of Solomon, ispirata al re
di Israele dall’innata saggezza, era libera di eseguire esperimenti scientifici finalizzati alla
conoscenza e al dominio tecnico dei fenomeni naturali per il miglioramento della società.
La realizzazione più prossima a una tale fondazione ideale fu la Royal Society, fondata nel
1660 da un nucleo del Gresham College, con l’intento di perseguire la conoscenza fisicomatematica mediante l’approccio sperimentale. Essa fu ufficializzata nel 1662 con la patente regia
attribuita da Carlo II. Negli anni precedenti fu attivo un circolo primario, denominato Invisible
College in un carteggio di Robert Boyle risalente al 1646-47. Tra fondatori e membri, si ricordano:
il segretario tedesco Henry Oldenburg (1619-1677), curatore della rivista The Philosopical
Transactions; Thomas Sprat (1635-1713), a cui si deve la History of the Royal Society (London,
1667), dalla quale si ricavano gran parte delle notizie su costituzione e intenti dell'istituzione
scientifica londinese; lo scrittore John Evelyn (1620-1706); il naturalista, fisico, matematico,
astronomo e sperimentatore ufficiale della società Robert Hooke (1635-1702), assistente di Robert
Boyle a Cambridge e costruttore della prima pompa pneumatica, noto per aver dato la paternità alla
legge sul comportamento dei corpi elastici27; il matematico John Wallis (1616-1703), autore
dell’Aritmetica infinitorum, testo che contribuì alla formulazione della teoria del calcolo
infinitesimale di Isaac Newton; l’architetto, matematico e astronomo Christopher Wren (16321723); il filosofo naturale, poi vescovo, John Wilkins (1714-1772); il filosofo John Locke (16321704), teorico dell’empirismo 28 avverso agli Stuart.
Dedichiamo in questa sede particolare attenzione alla figura di uno dei maggiori
rappresentanti della Royal Society: Robert Boyle. Nato a Lismore Castle, in Irlanda, nel 1627,
viaggiò frequentemente nei paesi europei, studiando le teorie di Galileo Galilei (1564-1642) ed
Evangelista Torricelli (1608-1647). Padre della legge sul comportamento dei gas29, attribuita
27. Legge di Hooke: “un corpo elastico soggetto ad una forza F subisce una deformazione direttamente proporzionale
all’intensità della forza applicata: F=K*δL, siano F la forza applicata, K la costante di elasticità del corpo, dipendente
dal materiale e δL la variazione di lunghezza subita dal corpo in seguito all’applicazione della forza”.
28. Il Saggio sull’intelletto umano (An Essay Concerning Human Understanding, 1690), criticò l’innatismo cartesiano
in favore dell’origine empirica delle idee.
29. Legge di Boyle-Mariotte: “in un gas, a temperatura costante, pressione e volume sono inversamente proporzionali.
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congiuntamente ad Edme Mariotte (1620-1684), perfezionò la pompa pneumatica di Robert Hooke.
L’opera del 1661 The Sceptical Chemyst pose le basi della chimica moderna. In questo scritto
Robert Boyle criticò le teorie classiche sui quattro elementi (aria, acqua, terra, fuoco), avanzando
l’ipotesi della costituzione atomica della materia – oltre ad avallare la procedura induttivosperimentale – e volle innalzare la chimica al rango di scienza autonoma ed indipendente. Morì a
Londra nel 1691. L'atomismo di Boyle fu significativo non solamente dal punto di vista scientifico,
ma anche per le intrinseche motivazioni politico-sociali che caratterizzarono la proposizione di
questa teoria. Stando allo studio di James R. Jacob Boyle’s Atomism and the Restoration Assault on
Pagan Naturalism30, in seguito alla Restaurazione Stuart, l'accentuata avversione verso i papisti e la
filosofia scolastica dalla quale essi derivavano le proprie certezze non fu abbandonata, bensì
perpetrata dai natural philosophers. J.R. Jacob considera Robert Boyle, per quanto riguarda
l'ambito religioso, afferente al latitudinarismo e membro attivo nella vita pubblica e religiosa,
perfetto rappresentante delle istanze “liberali” dell'ultimo ventennio del Seicento. Una tale
posizione implicava l'atteggiamento polemico nei confronti del “paganesimo naturalista” e del
deismo31. In opposizione a tali credenze Robert Boyle formulò la teoria corpuscolare32, secondo la
quale la natura sarebbe costituita da particelle inanimate che muovendosi e aggregandosi – sempre
in una prospettiva fisico-teologica di matrice cristiana, quindi per volontà divina – risulterebbero
nella costituzione materiale del mondo. Facendo appello esclusivamente a cause meccaniche nella
spiegazione dei fenomeni naturali, era finalmente possibile evitare l'attribuzione di razionalità agli
elementi, tipica dell'aristotelismo ed adottata conseguentemente dagli scolastici: ciò poteva infatti
avere implicazioni ereticali. Nel 1686 Robert Boyle pubblicò il testo Free Enquiry into the Vulgarly
Received Notion of Nature, scritto nel 1666, allo scopo di stabilire chiaramente ed
inequivocabilmente la supremazia e la gloria divina sul Creato, poiché vi era la tendenza
all'identificazione tra Dio e natura. L'ulteriore accusa rivolta ai cattolici fu quella di proporre una
dottrina dogmatica, opposta a quella derivante dalla ricerca sperimentale della verità. Motivazione
non meno importante dell'inasprimento di questa difesa anglicana fu il concreto pericolo di un
ritorno al cattolicesimo sotto il regno di Giacomo II. Per concludere,
by mechanizing or despiritualizing nature Boyle also took the bite out of the argument that it was
impious to study nature in order to benefit man or to establish, as Boyle says, “the empire of man over the
inferior creatures of God” 33.
Come disposto nel suo testamento, a Robert Boyle furono dedicate a partire dal 1692 una
serie di conferenze, le Boyle’s Lectures, nelle quali gli studiosi potessero dedicarsi ad
argomentazioni di natura fisico-teologica.
Certamente è complesso definire l'appartenenza politico-religiosa dei filosofi naturali nel
corso del XVII secolo, e infatti l'attribuzione della generica denominazione di “puritani” ha creato
diversi problemi storiografici. Bisogna tener conto del fatto che molti tra essi riconsiderarono le
proprie posizioni con l'evolversi degli eventi. Il riconoscimento ufficiale conseguito alla
p*V=costante”.
30. Social studies of science, VIII, 1978, pp. 211-233.
31. Movimento filosofico nato in Inghilterra e diffusosi in Francia e Germania tra i secoli XVII e XVIII. Per quanto
interessa i nostri scopi favorì una religione naturale comune a tutta l'umanità. Cfr. la voce relativa in Enciclopedia
Zanichelli – Dizionario enciclopedico di arti, scienze, tecniche, lettere, filosofia, storia, geografia, diritto, economia,
Bologna, 1992.
32. Evoluzione cristianizzata dell'atomismo democriteo, per il quale la materia è costituita da atomi semplici e
indivisibili in movimento. La teoria degli “atoma corpuscola” del medico tedesco Daniel Sennert (1572-1637) era nota a
R. Boyle. Si veda Da Sennert a Boyle – atomismo e alchimia tra gli intellettuali protestanti europei, in D. ARECCO, I
Fatti e le Idee. Scienza, religione e società nell’Inghilterra moderna, cit., pp. 58-74.
33. «Meccanizzando o despiritualizzando la natura Boyle riuscì anche nell'impresa di confutare l'argomentazione
sull'empietà dello studio della natura a beneficio dell'umanità e allo scopo di stabilire, come afferma Boyle “il dominio
dell'uomo sulle altre, inferiori, creature di Dio”». Cfr. J. R. Jacob Boyle’s Atomism and the Restoration Assault on
Pagan Naturalism, Social studies of science, VIII, 1978, cit., p.228. La traduzione è mia.
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Restaurazione Stuart consentì il ritorno all'attività di ricerca dopo il complesso periodo
rivoluzionario e la parentesi repubblicana. Si può affermare che il ruolo dei latitudinari, cristiani
devoti e virtuosi, pronti a rivalutare convinzioni di matrice puritana in nome del bene superiore
della ricerca tecnico-scientifica e dell'utilità sociale della stessa, si inserirono adeguatamente nel
contesto istituzionale della Restaurazione e successivamente in quello conseguito alla Gloriosa
Rivoluzione. Nell'articolo Science, Politics and Religion34, Barbara Shapiro palesa la difficoltà di
categorizzare i personaggi secondo una stabile e determinata appartenenza politico-religiosa.
L'autrice afferma:
latitudinarianism was an intellectual movement that cut across the conventional “Puritan” and
“Anglican” labels. It is probably true that latitudinarian habits of mind were more common among Anglicans
than Dissenters after 1660, but they could be found among individuals in both groups, and in both were
repudiated by the dominant faction. […] It is possible that when Dr. Mulligan35 senses a waning of or
indifference toward religion, what she is really discovering is the grouth of latitudinarianism – a waning of
dogmatic religion in favour of a new religious attitude. If so, then her linkage of the waning of religion to
science is the equivalent of my linkage of latitudinarianism to science36.
Il dibattito su una tale attitudine al libero pensiero, compreso sempre in una prospettiva di
mantenimento dell'ordine sociale contraria all'ateismo e al deismo, ha interessato molti storici, tra i
quali Barbara Shapiro37, come abbiamo visto, e Margaret Candee Jacob, le quali hanno evidenziato
il ruolo fondamentale del latitudinarismo, quantomeno in funzione di ideologia capace di abbattere
gli ostacoli formali al fine di perseguire il progresso scientifico-tecnologico. Sarebbe pertanto
difficile non percepire una corrispondenza tra l'ideologia latitudinaria e gli intenti della Royal
Society, definiti dallo “storico ufficiale” Thomas Sprat, e presumibilmente condivisi dai fondatori.
In qualità di presidente della Royal Society dal 1703 va infine menzionato Isaac Newton.
Fisico, matematico e astronomo, nacque a Woolsthorpe, Linconshire, nel 1642. Studiò al Trinity
College, dove nel 1669 ebbe la cattedra di matematica che fu del maestro Isaac Barrow (16301677). Fu la figura più importante della scienza occidentale del XVIII secolo, in quanto fondatore
del calcolo infinitesimale – è nota la polemica con G.W. Leibniz (1646-1716) per la paternità dello
stesso – e in qualità di teorico dell'allora favorita ipotesi sulla composizione corpuscolare della luce,
esposta nell'Opticks (1704). Morì a Londra, nel 1727. Ancora afferente al XVII secolo fu l'edizione
dei Philosophiae naturalis principia mathematica (1687); con essa si ritiene convenzionalmente
conclusa la Rivoluzione scientifica, dopo quasi centocinquant'anni dall'esposizione
dell'eliocentrismo copernicano che vi aveva dato avvio 38. I Principia sono fondamentali in quanto
vi si definiscono le leggi della dinamica e della gravitazione universale39. Anche la produzione
34. Past and Present, LXVI, 1975, pp. 133-138.
35. L'articolo in analisi di Barbara Shapiro risponde alla critica espressa dalla dott.ssa Lotte Mulligan Civil War Politics,
Religion and the Royal Society, Past and Present, LIX, 1973, pp. 92-116, che non avallava la teoria di Barbara Shapiro
sul latitudinarismo in quanto non corrispondente a determinati dati statistici sull'appartenenza religiosa delle personalità
analizzate, in particolar modo quella di John Wilkins.
36. «Il latitudinarismo fu un atteggiamento intellettuale trasversale alle categorie “puritano” e “anglicano”. È
probabilmente vero che l'atteggiamento mentale latitudinario dopo il 1660 era più comune tra gli anglicani che tra i
dissenzienti, ma poteva essere riscontrato tra gli individui appartenenti ad entrambi i gruppi, ed in entrambi non era
accettato dalla maggioranza. […] È possibile che, nel momento in cui la dott.sa Mulligan evidenzia un declino del senso
religioso o piuttosto indifferenza, ciò che realmente sta scoprendo sia la crescita del latitudinarismo – una diminuzione
del dogmatismo in favore di un nuovo atteggiamento religioso. Se così stanno le cose, allora la sua correlazione tra il
declino della religione e la scienza corrisponde al mio collegamento tra scienza e latitudinarismo». Cfr. B. SHAPIRO,
Science, Politics and Religion, cit., p. 137. La traduzione è mia.
37. Secondo gli studi dell'autrice, gli studiosi di filosofia naturale afferenti alla Royal Society sarebbero in maggioranza
da ritenersi latitudinari e la figura di John Wilkins (1714-1772) ne sarebbe l'emblema. Per ulteriori approfondimenti, si
veda Per una storia sociale del latitudinarismo, in D. ARECCO, I Fatti e le Idee. Scienza, religione e società
nell’Inghilterra moderna, cit., pp. 90-95.
38. La pubblicazione del De revolutionibus orbium celestium risale al 1543.
39. Per il principio di inerzia, “un corpo persevera nello stato di quiete o di moto rettilineo uniforme a meno che non
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teorica di Isaac Newton, forse più di ogni altra vista fino ad ora, può essere ricompresa all'interno
della physico-teology, intesa come la comprensione da parte dell’uomo, attraverso l'osservazione
sperimentale, dell’esistenza e della grandezza del Creatore, la cui volontà si palesa nel
meccanicismo della natura. Va ricordato però che la sua devozione non fu adeguatamente
rappresentata dall'anglicanesimo ufficiale: nascostamente infatti egli afferì all'eresia unitariana,
poiché non poté accettare il dogma della Trinità stabilito a Nicea nel 325, in opposizione alla
dottrina ariana per la quale non era prevista la consustanzialità tra Padre e Figlio40. Tale
convinzione fu condivisa, seppur non palesata, dal maggior diffusore della sua opera, il teologo
Samuel Clarke (1675-1729) 41.
Il dibattito storiografico relativo al protestantesimo scientifico
Come già detto in introduzione, gli studi relativi ai rapporti tra protestantesimo ed esiti che
si determinarono nella società presero avvio dal saggio di Max Weber L’etica protestante e lo
spirito del capitalismo (1904-05). L’ipotesi del sociologo tedesco è stata ampiamente confutata per
quanto concerne la connessione diretta tra etica protestante e affermazione del capitalismo nei paesi
di matrice calvinista. In effetti è innegabile che l’attività commerciale internazionale si sia
sviluppata ben prima dell’epoca moderna, inevitabilmente ad opera di soggetti afferenti alla dottrina
cattolica, che non manifestavano remore nell’intrattenere rapporti a scopo di lucro con
rappresentanti di altre confessioni. Ernst Troeltsch (1865-1923), filosofo e storico tedesco vicino
alla scuola neokantiana e allo storicismo42 di Wilhelm Dilthey (1833-1911), elaborò una concezione
filosofica per cui vi sarebbe una stretta correlazione tra il divenire storico e la morale cristiana. Nel
saggio Il protestantesimo nella formazione del mondo moderno (1912), tesi discussa al IX
Congresso degli storici tedeschi nel 1906, l’autore affermò che dalla diffusione della religione
riformata, nelle varie ramificazioni e con le dovute differenze, sarebbero risultate la cultura e la
mentalità moderne43.
Il primo sostenitore dell'influenza del calvinismo inglese sull'attività dei natural
philosophers fu Robert Merton, sociologo americano, allievo di George Sarton44 (1884-1956). Egli
presentò, in occasione della sua tesi di dottorato, lo studio statistico Science, Technology and
Society in Seventeenth Century England, pubblicato nel 1938 su “Osiris”45 e ristampato fino al
2001. Quest'opera fu criticata nel merito da alcuni studiosi, ma incontrò anche il consenso di molti
altri per la tesi di fondo sostenuta. Di seguito vediamo alcune critiche ad esemplificazione del
intervenga una forza a mutare tale stato”; stando al secondo principio, la variazione di moto è proporzionale alla forza
impressa e avviene secondo la linea retta lungo la quale la forza è stata impressa: F=m*a (F=Forza; m=massa;
a=accelerazione); secondo il terzo principio “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”. Per quanto
concerne la formulazione della legge di gravitazione universale : “due corpi, in qualsiasi punto dello spazio, si
attraggono con una forza direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse ed inversamente proporzionale al
quadrato della distanza che li separa, moltiplicata per la costante di gravitazione universale a valore fisso”.
40. Si è voluto accennare, per il rapporto tra fede e attività scientifica, alla figura di Isaac Newton, il cui ritratto non può
essere in questa sede definito adeguatamente ed efficacemente. Si veda, per un ulteriore approfondimento, Millenarismo
e tradizione unitariana al tempo di Locke e Newton, in D. ARECCO, I Fatti e le Idee. Scienza, religione e società
nell’Inghilterra moderna, cit., pp. 200-213.
41. Tradusse in latino l'Opticks ed intrattenne un carteggio con G. W. Leibniz a difesa delle teorie newtoniane.
42. Indirizzo filosofico tedesco della seconda metà del XIX secolo , caratterizzato dall’importanza dell’evento umano,
visto come momento singolo e irripetibile. Ciò sulla base della distinzione di W. Dilthey tra scienze naturali, che
spiegano la realtà per mezzo di leggi universali, e scienze storiche o dello spirito, che si propongono di comprendere la
realtà attraverso i valori, le finalità e l’evolversi di una data società o cultura. Cfr. voce relativa in Enciclopedia
Zanichelli – Dizionario enciclopedico di arti, scienze, tecniche, lettere, filosofia, storia, geografia, diritto, economia,
Bologna, 1992.
43. Si veda M. RUBBOLI, I protestanti, Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 111-112.
44. Chimico e storico della scienza belga, considerato il fondatore della disciplina. Istituì nel 1912 la rivista trimestrale
Isis, specializzata in materia.
45. Rivista di Storia della scienza e della tecnica a pubblicazione annuale, voluta da George Sarton nel 1936.
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dibattito46. Le prime posizioni espresse nel lavoro di Robert Merton, poi rivedute, furono avversate,
in particolare, dagli storici inglesi H.R. Trevor-Roper (1914-2003), che negò nettamente la
consistenza di qualsiasi rapporto tra scienza e fede puritana in The Crisis of the Seventeenth
Century. Religion, Reformation and the Social Change, 1968 e H.F. Kearney in Puritanism,
Capitalism and the Scientific Revolution, 1974. Le obiezioni riguardavano in particolare i criteri in
uso, di stampo sociologico, e l'adozione di generiche categorie quali il “puritanesimo” a fondamento
dello studio condotto, oltre che l'istituzione di un rapporto causale tra vicende a sfondo religioso e
affermazione della ricerca scientifica. In sostanza, rimanevano irrisolti i problemi metodologici e si
contestava l'attribuzione disinvolta, e a volte infondata, della generica appartenenza puritana a
troppi studiosi.
Il prodotto storiografico più accurato sull’argomento, che evidenziò l'attività dei puritani in
ambito scientifico fu The Great Instauration (1626-1660), pubblicato nel 1975, di Charles Webster,
il cui titolo richiama il capolavoro di Francis Bacon47. Lo storico condusse uno studio sistematico
sulla produzione scritta inglese tra 1620 e 1660, in forma di testi a stampa, ma anche di opuscoli e
manoscritti, evidenziando, finalmente, l'esistenza effettiva di un progetto di attività sociale,
culturale e politica dei puritani nella società48. Quel progetto, come abbiamo visto, fu incarnato nel
1660, a conclusione della complicata parentesi repubblicana, dalla Royal Society. Si vedranno ora
gli ulteriori sviluppi portati avanti da Barbara Shapiro, in particolare per quanto concerne la
comunità d’intenti pragmatico-utilitaristici negli ambiti giuridico e scientifico49.
Cultura umanistica a fondamento di attività giuridica e ricerca scientifica inglesi nella prima
età moderna
È importante chiarire la definizione corrente di “prova”, per comprende se, e in quale
misura, vi siano delle congruenze con il significato di questa parola in epoca moderna, nel contesto
empirista inglese. Innanzitutto va detto che il concetto assume sfumature diverse, spostandosi
dall’ambito giuridico a quello scientifico. Nella giurisprudenza italiana, viene definito l’ “oggetto
della prova” sia dall’ordinamento civile che da quello penale. Stando al Codice Civile, sono trattate
le disposizioni generali in materia di prove nel Libro VI (Della tutela dei diritti), Titolo II, Capo I,
artt. 2697-2739. Vi si definiscono infatti l’onere della prova e la tipologia – atto pubblico (per il
quale la publica fides attribuita al redattore è garanzia di autenticità), scrittura privata, copie di atti,
prova testimoniale etc.50 –, attraverso le quali il giudice è in grado di formare il suo convincimento,
deducendo il fatto in base alle prove apportate. Ancora, è dedicato alla disciplina delle prove
l’intero III libro del Codice di procedura penale. Tralasciando questioni eccessivamente specifiche,
può interessare l’art. 187 del Codice di procedura penale:
Oggetto della prova
1. Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità e alla
determinazione della pena o della misura di sicurezza.
2. Sono altresì oggetto di prova i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali.
3. Se vi è costituzione di parte civile, sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità
civile derivante dal reato.
Si specifica in questo modo l’ineludibile criterio di pertinenza, necessario all’ammissione
delle prove. Le prove sono poi classificate in dirette, o storiche, e indirette, o critiche, a seconda del
46. Per una trattazione specifica, sulla quale è ricalcata l’esposizione di questo dibattito storiografico, si veda D.
ARECCO, I Fatti e le Idee. Scienza, religione e società nell’Inghilterra moderna, cit., pp.78-80.
47. Si veda la parte dedicata all’Instauratio Magna, p. 8.
48. Si veda D. ARECCO, I Fatti e le Idee. Scienza, religione e società nell’Inghilterra moderna, cit., p. 83.
49. B. SHAPIRO, A Culture of Fact: England 1550-1700, Cornell University Press, 2000.
50. Si veda il riferimento indicato sul Codice Civile.
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riferimento più o meno diretto al thema probandum – alle seconde appartengono le prove indiziarie
– e soprattutto dipendentemente dal fatto che esse siano direttamente rappresentative del fatto,
oppure che necessitino di un procedimento logico di inferenza da parte del giudice. Si evidenzia la
correlazione tra oggetto di prova e responsabilità civile, argomento che verrà trattato in seguito. Un
ultimo riferimento va al tema della testimonianza, trattato nella disciplina dei “mezzi di prova”, artt.
194-243 del Codice di procedura penale:
Oggetto e limiti della testimonianza
1. Il testimone è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova. Non può deporre sulla
moralità dell’imputato, salvo che si tratti di fatti specifici, idonei a qualificarne la personalità in relazione al
reato e alla pericolosità sociale.
2. L’esame può estendersi anche ai rapporti di parentela e di interesse che intercorrono tra il
testimone e le parti o altri testimoni nonché alle circostanze il cui accertamento è necessario per valutarne la
credibilità. La deposizione sui fatti che servono a definire la personalità della persona offesa dal reato è
ammessa solo quando il fatto dell’imputato deve essere valutato in relazione al comportamento di quella
persona.
3. Il testimone è esaminato sui fatti determinati. Non può deporre sulle voci correnti nel pubblico né
esprimere apprezzamenti personali salvo che sia impossibile scinderli dalla deposizione sui fatti.
Gli elementi da sottolineare in questa definizione, perché riscontrabili anche nella
testimonianza dell’epoca fin’ora trattata, oppure in quanto modificati in favore di una maggiore
oggettività, sono: l’importanza dell’inerenza al fatto, la deposizione da parte di terzi e la credibilità
degli stessi, l’affidabilità delle voci e il valore delle opinioni personali51.
La prova scientifica invece, è parte costitutiva del metodo sperimentale. In esso, partendo da
un’ipotesi, si procede all’osservazione dei fenomeni, che vengono riprodotti in ambienti artificiali,
dove le condizioni sono misurabili e definite “standard”. Quando si è proceduto alla
sperimentazione, in assenza di evidenze contrarie, viene definita una “legge scientifica”, che sarà
successivamente sottoposta all’avallo della comunità scientifica. Procedendo pertanto con il metodo
induttivo, la legge scientifica ha valore normativo fino al momento in cui non ne venga dimostrata
l’invalidità, con metodi egualmente standardizzati e dimostrazioni convincenti52. Impossibile non
citare Galileo Galilei (1564-1642), iniziatore e teorico della procedura sperimentale, esposta
nell’opera Il Saggiatore (1623), dove si affianca la dimostrazione matematica all’osservazione del
fenomeno e alla sperimentazione riproducibile dello stesso. Nel Dialogo sopra i due massimi
sistemi del mondo (1632), egli mise in discussione la dottrina aristotelica e conseguentemente il
principio di autorità, appoggiando il sistema teorico copernicano. È universalmente noto che a ciò
seguì la disapprovazione ecclesiastica, l’abiura e l’isolamento ad Arcetri di Galileo. Si è già parlato
della metodologia empirica nel pensiero di Francis Bacon53.
51. Si è ritenuto necessario elaborare questa breve esposizione delle correnti definizioni giuridiche, in modo da
evidenziare i caratteri di continuità e contrasto con i medesimi concetti nel passato. La realizzazione è stata possibile
mediante la consultazione dei Codici civile e penale e dei Codici di procedura civile e penale, in base alle indicazioni
del Compendio di procedura penale, a cura di G. CONSO – V. GREVI, Padova, CEDAM, 2006, pp. 289-372.
52. Con tale prassi scientifica non concordano le teorie filosofiche dell’olismo di Pierre Duhem (1906), per il quale
l’ipotesi iniziale non viene confutata in caso di una singola dimostrazione contraria, si può anzi modificare la legge
scientifica in modo da adattarla all’ipotesi, purché si rientri nell’ambito di un sistema più ampio da considerare
globalmente e il negazionismo di Karl Popper, che non accettò il metodo induttivo affermando che la formulazione
aprioristica ha più valore della verifica sperimentale, e pertanto la possibilità di falsificare la teoria costituirebbe prova
di verità. Si è voluto accennare a queste critiche al metodo scientifico, tenendo sempre ben presente che l’ambito
normativo filosofico non ha possibilità d’incontro con la ricerca scientifica sperimentale, i cui risultati non potrebbero
che derivare dall’adeguata conoscenza del procedimento logico unito alla verificabilità ambientale dei processi
analizzati.
53. Si veda la breve esposizione del metodo baconiano, pp. 8-9.
13
Di seguito un commento al saggio di Barbara Shapiro Testimony in seventeenth-century
English natural philosophy: legal origins and early development54. Parafrasando il testo, l’autrice
intende dimostrare che la valutazione della credibilità della prova fu stabilita dapprima nel contesto
legale inglese, per poi essere trasferita a quello scientifico. Pertanto, il concetto di “fatto” avrebbe
avuto origine dal primo ambito e la prassi per l’accertamento dello stesso sarebbe stata adottata in
seguito nel secondo in forma di metodo sperimentale, per poi essere associata comunemente ad
entrambi dai non addetti.
In primo luogo la studiosa mette in evidenza il concetto di testimonianza e il tema correlato
della credibilità della stessa. Per i natural philosophers di stampo baconiano fu questione
fondamentale, oltre all’osservazione del fenomeno e alla riproduzione sperimentale, l’annotazione
minuziosa e la successiva verifica dei dati raccolti. Ciò che sembrerebbe esulare dal metodo
scientifico, ma che a quanto pare ebbe una certa rilevanza, fu la credibilità attribuita agli studiosi,
dipendente dallo status sociale55. La procedura legale, sia in età medievale che moderna, non poté
prescindere dalla tradizionale oratoria romana, basata sul convincimento retorico più che
sull’accertamento oggettivo dei fatti. Grande importanza era quindi attribuita alla testimonianza di
persone che potessero esporre gli avvenimenti in modo da portarli alla conoscenza dei giudicanti. I
criteri di credibilità, soprattutto per i tribunali ecclesiastici, si rifacevano al canone romano, e
riguardavano genere, età, ceto, istruzione e condotta morale. I tribunali civili invece, suddividevano
le cause a seconda che si trattasse di “questioni di diritto”, affidate a giudici preposti, o “questioni di
fatto”, relative alla valutazione di contese riguardanti eventi passati, sottoposte a giurie profane, il
cui giudizio era spesso inficiato perché non estranee ai fatti, come avviene oggi. Erano un grosso
difetto di garanzia il problema della corruzione, oppure il fatto che la valutazione dipendeva
intermente dal buonsenso e dall’onestà delle giurie. In altre parole esse non avevano il compito di
valutare i fatti in base alle testimonianze, ma piuttosto quello di stabilire se le testimonianze
ammesse fossero credibili e inferire autonomamente delle conclusioni dai fatti riportati,
discernendole arbitrariamente. Fattori decisivi, anche se non definititi dalla prassi, potevano essere
il numero di testimoni a favore o a sfavore, o la probabilità che si verificasse un fatto in base a
precedenti esperienze. Criteri generali insoddisfacenti, se applicati al caso specifico. La Shapiro
afferma:
If we consider the courtroom – as other have considered the scientific experiment – a site of
knowledge-making, that is, an environment were participants engaged in creating or determining the “truth”
of something by a set of site-specific rules, we can see that juries, judges, witnesses and counsel participated
in a process designed to produce “morally certain” determinations of “matter of fact”. As “judges of the
fact”, jurors were thought in most instances to be capable of producing a just and true knowledge of such
facts. […] Jury verdict could never be proved with the certitude that early modern persons associated with
the terms “science” or “mathematical certainty”. The language employed to indicate the highest kind of
probability available in “matters of fact” was “a satisfied conscience”, “moral certainty” and later “beyond
reasonable doubt”56. The ability to reach such certainty on the basis of credible testimony formed a
fundamental and familiar part of English culture57.
54. Studies In History and Philosophy of Science, XXXIII, 2002, pp. 243-263.
55. Ibidem, p. 244.
56. Si vedano i saggi della stessa autrice, Beyond Reasonable Doubt and Probable Cause, Historical Perspectives on
the Anglo-American Law of Evidence, Berkeley, University of California Press, 1991 e To a Moral Certainty: Theories
of Knowledge and Anglo-American Juries (1600-1850), Hastings Law Journal, XXXVIII, 1986, pp. 153-194.
57. «Se consideriamo l’aula di tribunale – come altri hanno considerato l’esperimento scientifico – un luogo in cui si
determina la conoscenza, cioè un ambiente in cui coloro che partecipano sono chiamati a creare o stabilire la verità di
qualcosa in base a regole specifiche, è evidente che le giurie, i giudici, i testimoni e l’avvocato prendevano parte ad un
processo disegnato per produrre risoluzioni “moralmente certe” sulle “questioni di fatto”. In qualità di “giudici dei
fatti”, si riteneva che i giurati fossero in grado, per la maggioranza dei casi, di stabilire una vera e giusta conoscenza di
essi. […] I verdetti della giuria non avrebbero mai potuto essere accertati con la sicurezza che i moderni associavano al
termine “scienza” o “certezza matematica”. Il linguaggio impiegato per indicare il più alto grado di probabilità possibile
14
Per avvalorare la tesi della cultura umanistica a fondamento di quella scientifica, Barbara
Shapiro riscontra evidenti similarità sul tema della testimonianza, anche per quanto concerne la
metodologia storiografica, per il genere della letteratura di viaggio e per l’attività giornalistica.
Infatti, per quanto riguarda l’attività dello storico, viene messa in risalto la preferibilità di
testimonianze di prima mano, dirette e credibili; in relazione al genere letterario, è noto come la
stessa Royal Society sponsorizzasse viaggi che dovevano essere minuziosamente descritti e riportati
in relazioni; infine relativamente alle prime pubblicazioni di riviste del XVII secolo, vi era una
prassi per l’attribuzione di credibilità ed era consolidata la pratica del vaglio delle notizie.
Giungendo da ultimo alla relazione tra testimonianza e “nuova filosofia”, si cita
inevitabilmente l’Advancement of Learning (1605) di Francis Bacon: infatti l’accrescimento della
conoscenza sarebbe stato possibile solo grazie alla sistematica raccolta di dati da parte di studiosi
esperti e credibili, in modo da offrire ai successivi sperimentatori tutti i dati necessari alla
valutazione e classificazione del fenomeno necessaria alla formulazione della legge scientifica. Si è
già trattato del rifiuto del principio di autorità e del deduttivismo di matrice aristotelica. Secondo
Barbara Shapiro, Francis Bacon, che come è noto stabilì il modus operandi di tutti i filosofi naturali
empiristi, fu fortemente influenzato dallo studio della giurisprudenza e dalla carriera legale che
caratterizzarono la sua vita. Finalmente però, i criteri baconiani esclusero la credibilità sociale
basata sul ceto di appartenenza, anzi introdussero l’affidabilità in relazione all’esperienza. La storia
naturale non poté più essere una raccolta di testimonianze più o meno affidabili di terzi, corredate
da racconti fantastici e soprattutto non verificabili. Dalla Restaurazione Stuart in poi, operò in
Inghilterra la Royal Society. I fondatori non esclusero criteri di affidabilità basati sullo status, ma
seguirono soprattutto la lezione baconiana relativa alla necessità di esperienza, capacità e merito da
parte degli studiosi. Una questione fondamentale fu il “trasferimento dell’uso della testimonianza
nelle argomentazioni dal campo dell’autorità a quello della veridicità”, operato da Robert Boyle58.
L’ultimo problema presentato dall’autrice è quello della testimonianza scientifica contrastante o
concorrente: nel caso di osservazioni scientifiche da parte di gentiluomini della stessa credibilità e
rispettabilità, in genere si preferiva specificare le condizioni di registrazione degli eventi,
l’affidabilità degli strumenti utilizzati, l’accuratezza della procedura, senza iniziare una “causa”, per
così dire, atta alla determinazione della paternità della scoperta. In sostanza, ognuno restava sulle
proprie convinzioni59. Le considerazione finali dell’autrice sulle novità apportate dall’attività di
ricerca dei virtuosi della Royal Society sono: l’utilizzo di innovativi strumenti tecnici in aiuto alla
fallibilità dei sensi umani e l’adozione della norma di disinteressata imparzialità.
In conclusione, analizzando il concetto di testimonianza, Barbara Shapiro ne evidenzia
mirabilmente le correlazioni interdisciplinari, palesando una matrice culturale umanistica comune a
varie discipline60.
nelle “questioni di fatto” era “essere in pace con la coscienza”, “avere la certezza morale” e in seguito “giudicare al di là
di ogni ragionevole dubbio”. L’abilità di acquisire una tale certezza, sulla base di una credibile testimonianza, costituì
una parte fondamentale e diffusa della cultura inglese». Cfr. Barbara Shapiro, Testimony in seventeenth-century English
natural philosophy: legal origins and early development, In History and Philosophy of Science, XXXIII, 2002, cit., pp.
248-249. La traduzione è mia.
58. Cfr. Barbara Shapiro, Testimony in seventeenth-century English natural philosophy: legal origins and early
development, In History and Philosophy of Science, XXXIII, 2002, p. 253.
59. Per una trattazione sulla disputa tra il Guascoigne e Adrien Azout sul primato dell’utilizzo del micrometro, si veda il
saggio in esame, pp. 257 e D.ARECCO, I Fatti e le Idee. Scienza, religione e società nell’Inghilterra moderna, Genova,
Nova Scripta, 2007, p. 14.
60. Per ulteriori approfondimenti, della stessa autrice è il saggio A Culture of Fact: England 1550-1700, cit.
15
La questione etica dell’uso della scoperta scientifica: responsabilità individuale e oggettiva
A questo punto è necessario accennare alla problema etico in ambito scientifico: una
questione che si presenta sistematicamente ed inevitabilmente, trattando di scienza, ai giorni nostri
come agli albori del metodo sperimentale. Ed è in questo campo che maggiormente si innesta il
problema della responsabilità. Si rende nuovamente necessario chiarire il significato dei termini, e
se vi siano delle interdipendenze tra l’accezione semantica comune e quella specifica di ambito
giuridico. Si definisce “responsabilità” la
congruenza con un impegno assunto o con un comportamento, in quanto importa e sottintende
l’accettazione di ogni conseguenza, specialmente dal punto di vista della sanzione morale e giuridica. In
diritto, situazione per la quale un soggetto giuridico può esser chiamato a rispondere della violazione colposa
o dolosa di un obbligo: responsabilità civile, penale, a seconda che l’obbligo violato rientri nell’uno o
nell’altro campo; […] responsabilità oggettiva, quella che porta a rispondere di un fatto anche senza colpa o
dolo61.
Di seguito la nozione relativa a quest’ultimo tipo di responsabilità nel diritto penale:
L’art. 4262 infatti, dopo avere stabilito nel secondo comma che di un fatto delittuoso si risponde a
titolo di dolo o colpa, […] aggiunge nel terzo che «la legge determina i casi nei quali l’evento è posto
altrimenti a carico dell’agente, come conseguenza della sua azione od omissione»: con l’avverbio
«altrimenti» il legislatore allude ad un ulteriore parametro di imputazione, che tradizionalmente va
sotto il nome di responsabilità oggettiva. È tale cioè quella forma di responsabilità, in virtù della
quale un determinato evento viene posto a carico dell’autore in base al solo rapporto di causalità
materiale: non si richiede, dunque, né che l’evento costituisca oggetto di volontà colpevole (dolo),
né che sia conseguenza di una condotta contraria a regole di diligenza sociali o scritte (colpa)63.
Ancora, l’art. 83 del Codice Penale sancisce il principio della punibilità, pur sussistendo l’
aberratio delicti:
[…] se per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra causa, si cagiona un
evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde, a titolo di colpa, dell’evento non voluto, quando il
fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.
Bisogna ricordare che vi è pure una fattispecie civilistica relativa alla responsabilità
oggettiva, che non si prevede in questa occasione di approfondire, in quanto non direttamente
connessa all’argomento trattato. Ci si potrebbe quindi chiedere se la responsabilità oggettiva
definita sino ad ora, possa afferire in qualche modo alla questione etica di nostro interesse.
Per quanto concerne il senso di responsabilità individuale, visto come esito dell’accresciuta
introspezione confessionale in ambito protestante, si è già trattato di esso in qualità di effetto non
sistematico e sempre riscontrabile, ma afferente all’ipotesi del confronto tra disciplina cattolica e
autodisciplina protestante64. Un accenno è dovuto all’aspetto consequenziale alla diffusa
consapevolezza dei doveri civili: quello dell’aumento dei diritti. In particolare, in regime di
Common Law, ben sistematizzato nel XVIII secolo dal giurista William Blackstone65 (1723-1780),
si ottennero codificazioni delle prerogative acquisite:
61. Dizionario della lingua italiana, a cura di G. DEVOTO – G.C. OLI, Le Monnier, Firenze, 1990.
62. Codice Penale, Libro Primo.
63. Cfr. G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale – Parte generale, Zanichelli Editore, Bologna, 2001, cit., p. 587.
64. Cfr. pp. 5-6.
65. Nei Commentaries on the Laws of England (1775-1779), in quattro volumi.
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[…] sul terreno più proprio della lotta politica, nell’Inghilterra, caratterizzatasi già per i vari elementi di
precocità nell’ambito del continente europeo, il Seicento sarà il secolo delle Carte che sanciranno i patti tra
Corte e Paese, tra potere e società civile: la Petition of Rights (1628), l’Habeas Corpus66 (1679) e il Bill of
Rights (1689) imporranno ai sovrani inglesi la garanzia del rispetto delle tradizionali libertà civili. Pur nel
loro pragmatismo di origine mercantile e borghese, questi documenti contenevano già in sé principi
esportabili “universalmente”, soprattutto nelle Colonie d’Oltre Oceano dove, dopo un secolo, la
rivendicazione delle civil liberties si trasformerà in quella assai più rivoluzionaria degli human rights67.
Tornando all’argomento in analisi, si vedrà come il problema della bontà della ricerca
scientifica, contrapposta alla potenzialità negativa dell’utilizzo dei frutti della stessa, fosse un tema
caro a Francis Bacon. Nella diciannovesima delle trentuno narrazioni mitiche del De sapientia
veterum (1609), il filosofo si servì della figura e dell'attività dell'artigiano Dedalo come metafora
della meccanica.
XIX. DAEDALUS SIVE MECHANICUS.
SAPIENTIAM atque industriam Mechanicam, atque in illa artificia illicita et ad pravos usus detorta,
antiqui adumbraverunt sub persona Daedali, viri ingeniosissimi, sed execrabilis. Hic ob condiscipulum et
aemulum occisum exulaverat, gratus tamen in exilio regibus et civitatibus erat. Atque multa quidem et
egregia opera tam in honorem deorum, quam ad exornationem et magnificentiam urbium et locorum
publicorum extruxerat et effinxerat; sed tamen nomen ejus maxime celebratur ob illicita. Fabricam enim
libidini Pasiphaës subministravit, ut cum tauro misceretur; adeo ut ab hujus viri scelerata industria et ingenio
pernicioso monstrum illud Minotaurus, pubem ingenuam devorans, ortum traxerit infelicem ac infamem.
Atque ille, malum malo tegens et cumulans, ad securitatem hujus pestis Labyrinthum excogitavit et extruxit:
opus fine et destinationem nefarium, artificio insigne et praeclarum: ac postea rursus, ne malis artibus tantum
innotesceret, atque ut scelerum remedia (non solum instrumenta) ab eodem peterentur; etiam consilii
ingeniosi author erat de filo, per quod errores labyrinthi retexerentur. Hunc Daedalum Minos magna cum
severitate atque diligentia et inquisitione persecutus est; ille tamen semper et perfugia et effugia reperiebat.
Postremo cum volandi peritiam filium Icarum edocuisset, ille novitius, et artem ostentans, a coelo in aquam
decidit.
Parabola videtur esse ejusmodi. In ipso introitu ejus, ea quae apud excellentes artifices excubat, et
miris modis dominatur, invidia notatur. Nullum enim genus hominum ex invidia, eaque acerba et tanquam
interneciva, magis laborat. Accedit nota de genere poenae inflicto minus politice et provide: ut Daedalus
exulet. Etenim opifices praeclari id habent, ut apud omnes fere populos sint acceptissimi: adeo ut exilium
praestanti artifice vix supllicii loco sit. Nam aliae vitae conditiones et genera extra patriam non facile florere
possunt. Artificum autem admiratio propagatur et augetur apud exteros et peregrinos, cum insitum animis
hominum sit illud, ut populares suos, quoad opificia mechanica, in minori pretio habeant. De usu autem
artium mechanicarum quae sequuntur manifesta sunt; multum enim illis debet vita humana, cum plurima et
ad religionis apparatum, et ad civilium decus, et ad universae vitae culturam, ex illarum thesauris collata sint.
Veruntamen ex eodem fonte emanant instrumenta libidinis, atque etiam instrumenta mortis. Missa enim arte
lenonum, venena quaesitissima, atque tormenta bellica, atque hujusmodi pestes (quae mechanicis inventis
debentur) probe novimus quantum Minotaurum ipsum saevitia et pernicie superarint. Pulcherrima autem
allegoria est de labyrintho, qua natura generalis Mechanicae adumbratur. Omnia enim mechanica, quae
magis sunt ingeniosa et accurata, instar labyrinthi censeri possint; propter subtilitatem et variam
implicationem, et obviam similitudinem, quae vix ullo judicio, sed tantum experientiae filo, regi et
discriminari possunt. Nec minus apte adjicitur, quod idem ille qui labyrinthi errores invenit, etiam fili
commoditatem monstravit. Sunt enim artes mechanicae, veluti usus ambigui, atque faciunt et ad
66. Sull’Habeas Corpus è necessario soffermarsi in quanto è ancor oggi un principio fondamentale del diritto
anglosassone. Esso esplicita l’importanza attribuita alla presenza fisica dell’imputato e ne determina una forma di
garanzia contro la detenzione forzata. Se ne attesta l’esistenza sin dal XIII (Magna Charta Libertatum), fu riabilitato nel
1679 e confermato nel 1689.
67. Cfr. R. REPETTI, Alle origini dei diritti dell'uomo. Cultura della dignità e dei diritti tra XV e XVI secolo, Genova,
ECIG, 2010, pp.155-156.
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nocumentum et ad remedium, et fere virtus earum seipsam solvit et retexit. Artificia autem illicita, atque
adeo artes ipsas, saepius persequitur Minos; hoc est, leges, quae illas damnant et earum usum populis
interdicunt. Nihilominus illae occultantur et retinentur, et ubique et latebras et receptum habent; quod et bene
notatum est in re non multum dissimili a Tacito suis temporibus de Mathematicis et Genethliacis, genus
(inquit) hominum, quod in civitate nostra semper et retinebitur et vetabitur. Et tamen artes illicitae et
curiosae cujuscunque generis, tractu temporis, cum fere quae polliceantur non praestant (tanquam Icari de
coelo) de existimatione sua decidunt et in contemptum veniunt, et nimia ipsa ostentatione pereunt. Et certe si
verum omnino dicendum est, non tam feliciter legum fraenis coërcentur, quam coarguuntur ex vanitate
propria.
19. DEDALO, O LA MECCANICA
Nella figura di Dedalo, uomo assai ingegnoso, ma detestabile, gli antichi rappresentarono la scienza
e l'industria meccanica, anche nelle sue astuzie illecite e volte ad usi malvagi. Egli era andato in esilio per
aver ucciso un suo condiscepolo rivale, e tuttavia fu gradito dai re e dalle città del suo esilio. Concepì e fece
costruire anche molte opere straordinarie, tanto in onore degli dei quanto per l'abbellimento e la
magnificenza delle città e dei luoghi pubblici; ma il suo nome è celebrato soprattutto per le invenzioni
illecite. Egli, infatti, fornì a Pasife una macchina per soddisfare la sua passione nell'unione con un toro,
cosicché dalla scellerata industria e dal funesto ingegno di quest'uomo trasse la sua infelice e infame origine
quel mostro del Minotauro che divorava i giovani onesti. Egli, allora, coprendo e accumulando male con
male, per proteggere questo flagello escogitò e costruì il Labirinto: un'opera scellerata nello scopo e nella
destinazione, nonché grandiosa e magnifica nella tecnica costruttiva. Infine, per non farsi conoscere soltanto
per le imprese malvage e perché gli fossero chiesti anche rimedi ai delitti (non solo gli strumenti per
commetterli), fu anche autore di quella ingegnosa trovata del filo, attraverso il quale trovò soluzione l'errare
all'interno del Labirinto. Minosse perseguitò questo Dedalo con grande severità e dopo un'accurata indagine;
egli, tuttavia, riusciva sempre a trovare vie di scampo e possibilità di rifugio. Infine, dopo aver insegnato al
figlio Icaro la tecnica del volo, quegli, benché sprovveduto, volle ostentare l'arte appresa, precipitando dal
cielo nel mare.
La parabola sembra contenere questo significato. All'inizio si allude a quell'invidia che cova
nell'animo degli artisti più eccellenti, dominandoli in diversi modi. Nessun altro genere di uomini, infatti, si
affanna di più per un'invidia così tagliente e micidiale.
A ciò segue l'indicazione del tipo di pena meno saggio e prudente che a Dedalo si potesse infliggere:
l'esilio. Gli artisti più illustri, infatti, hanno la dote di rendersi molto ben accetti presso quasi tutti i popoli, al
punto che, per un artista eccellente, difficilmente l'esilio è una pena. Al di fuori della patria, infatti, è difficile
che ci possano essere condizioni e generi di vita diversi. Presso gli stranieri e i forestieri, poi, l'ammirazione
per gli artisti si diffonde e aumenta perché è insito nell'animo umano tenere in minor considerazione l'arte
meccanica esercitata dai propri compatrioti.
Tutto ciò che segue si riferisce chiaramente all'uso delle arti meccaniche, alle quali la vita umana
deve molto, perché dai loro tesori sono tratte molte delle cose utilizzate per l'apparato della religione, per il
decoro della vita civile e per la cura dell'esistenza in generale. Dalla medesima fonte, tuttavia, derivano
strumenti di intemperanza e anche di morte. Infatti, lasciando pur da parte l'arte dei mezzani, i veleni più
potenti, le macchine da guerra e simili flagelli (che si devono alle invenzioni della meccanica), sappiamo
bene di quanto abbiano superato lo stesso Minotauro per ferocia e dannosità.
Bellissima è poi l'allegoria del labirinto, che allude alla natura in generale della Meccanica. Infatti,
tutte le invenzioni dell'arte meccanica che sono più ingegnose e accurate, si possono considerare come un
labirinto, sia per la sottigliezza e la varietà delle implicazioni, sia per l'ovvia somiglianza, cose che possono
essere sostenute e distinte non da un giudizio, ma solo dal filo dell'esperienza. Né meno opportunamente si
aggiunge che chi inventò gli andirivieni del Labirinto, mostrò anche il vantaggio di avere un filo. Le arti
meccaniche, infatti, si presentano, per così dire, ad un uso ambiguo: contribuiscono nello stesso tempo al
male e al suo rimedio, e la loro virtù quasi risolve e svela se stessa. Gli artifici illeciti, e anche le stesse arti,
sono spesso perseguitate da Minosse, cioè dalle leggi, che le condannano e ne proibiscono l'uso al popolo.
Nondimeno, esse vengono nascoste e conservate in segreto, e trovano dovunque nascondigli e rifugi, il che
fu ben notato da Tacito ai suoi tempi, in una situazione non molto diversa per i Matematici e gli Astrologi,
dei quali disse: Genere di uomini che sempre sarà cacciato dal nostro stato e sempre vi si tratterrà. E
tuttavia le arti illecite e curiose di qualunque genere, nel corso del tempo, poiché non mantengono ciò che
promettono, (come Icaro dal cielo) cadono dalla considerazione di cui godevano e vengono disprezzate fino
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a perire per la loro stessa eccessiva ostentazione. Certamente, a dirla tutta, esse non sono limitate dai freni
delle leggi con tanto successo quanto sono rese sostenibili dalla loro stessa vanità68.
L'esplicitazione del significato del racconto di Dedalo è magistrale, coglie tutti i punti
relativi al contrasto tra benefici e rischi del progresso tecnico, ancora attuali ed irrisolti: insana
competitività tra addetti al mestiere, spesso sostenuta e indirizzata dal contesto politico ed
economico; possibilità di lucro connessa alla vendita delle invenzioni e delle macchine – oggi sotto
forma di brevetti e apparati tecnologici in continua evoluzione – indipendentemente dalla buona o
mala fede dell'acquirente; doppia valenza del prodotto dell'ingegno umano, connessa al suo utilizzo;
necessità di una regolamentazione giuridica in materia; continuo sviluppo della ricerca per via
dell'obsolescenza delle idee, degli oggetti e dei materiali.
Una prospettiva più recente e pessimistica della stessa tematica, in cui sembra di ravvisare
l'eco del monito baconiano, ci viene offerta dall'opera L'uomo e la tecnica – Ascesa e declino della
civiltà delle macchine (1931), di Oswald Spengler (1880-1936). L'autore tedesco, che già nell’opera
Il Tramonto dell’Occidente (1918-22) palesò la propria avversione per l’idea di civilizzazione tesa
allo snaturamento e all’inevitabile declino dell’uomo, nel testo di questa conferenza, tenutasi
Monaco nel 1931, intese analizzare in una prospettiva pluridisciplinare il tema del progresso
tecnico. La relativa sfortuna che ebbe quest’opera in Italia si deve all’ammirazione da parte di
Mussolini, il quale contribuì alla diffusione del pensiero spengleriano in Italia,69 nonostante il noto
atteggiamento critico dell’autore nei confronti del nazismo, dovuto alla bassa considerazione delle
teorie razziste, inconciliabili con il processo evoluzionistico. In una schietta e ineluttabile analisi
storicista, tuttavia, gli atteggiamenti liberali e individualisti dei paesi anglosassoni non potevano che
rappresentare i fautori dell’accelerazione del declino70. Quel che più interessa evidenziare, sono le
questioni relative all’influenza della tecnica sulla civiltà umana. Libero dalle visioni ottocentesche,
idealista da una parte, materialista e utilitaristica dall’altra, Spengler spiegò la tecnica come
strumento atto alla realizzazione del destino dell’uomo, inserito nel suo specifico contesto spaziale,
temporale, sociale e culturale, volto alla civilizzazione e finalizzato alla decadenza. La peculiarità
dell’uomo starebbe nell’essersi liberato, grazie al pensiero, dagli obblighi delle necessità istintive
della specie, nell’aver sdoganato la dipendenza dalla propria corporeità, nella specializzazione
settoriale derivante dallo sviluppo di specifiche attitudini, nella capacità di volgere all’interesse
individuale l’istinto di socialità. Un punto cruciale dell’argomentazione riguarda la modalità di
realizzazione della vita civilizzata, l’organizzazione. Essa, stabilita artificialmente a limitazione
della libertà, si esplicherebbe nella forma statuale, regolata da leggi. In essa, singole volontà
individuali sarebbero accorpate per il raggiungimento di un unico scopo, a mezzo della tecnica.
Nella visione dell’autore
[…] ogni teoria della scienza naturale è un mito intellettuale relativo alle forze della natura, e
dipende interamente dalla religione che le corrisponde. Ma qui e solo qui la teoria è, fin dall’inizio, ipotesi di
lavoro. Una ipotesi di lavoro non ha bisogno di essere «esatta», le basta essere praticamente utilizzabile. Non
si propone di svelare i misteri dell’universo, ma li vuole utilizzare per determinati scopi. Da ciò deriva
l’esigenza dei metodi matematici, sviluppati dagli inglesi Grosseste (nato nel 1175) Ruggero Bacone (nato
verso il 1210), e dai tedeschi Alberto Magno (nato nel 1193) e Witelo (nato nel 1120). E di qui
l’esperimento, la Scientia experimentalis di Bacone, l’interrogazione della natura mediante la tortura, le leve
e le viti. «Experimentum enim solum certificat», scrive Alberto Magno. È questa l’astuzia bellica dei
68. Cfr. testo e traduzione in F. BACONE, Sapienza degli antichi, a cura di M. MARCHETTO, Bompiani, Milano, 2000,
pp. 178-183.
69. Molto fece anche, sul piano filosofico, J. E VOLA, Oswald Spengler e il tramonto dell’Occidente, Roma, Fondazione
J. Evola, 1981 (ristampa 2003).
70. Si veda il Saggio introduttivo, a cura di E. MATTIATO, in O. SPENGLER, L’uomo e la tecnica. Ascesa e declino della
civiltà delle macchine, Prato, Edizioni della Meridiana, 2008, pp. 5-27.
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predatori intellettuali. Credevano di voler «conoscere Dio», e invece volevano semplicemente isolare,
afferrare e disporre delle forze della natura inorganica, l’invisibile energia che è in tutto ciò che accade. 71
Difficile capire, a questo punto, se l’adulazione insita nello sviluppo meccanico prima, nel
progresso tecnico e tecnologico poi, fosse – e sia tutt’oggi – un rischio connesso all’attività, da cui
salvaguardarsi, o un invito alla tracotanza al quale la natura umana cede volontariamente. Forte è
l’eco del mito di Prometeo, ben presente nelle menti di Francis Bacon e Oswald Spengler, mentre
una soluzione alla questione etica di nostro interesse è di là da venire. Da Prometeo, o lo stato
dell’umanità, di Francis Bacon:
[…] verum et hoc praecipue proponitur, quod homo veluti centrum mundi sit, quatenus ad causas
finales; adeo ut sublato e rebus homine, reliqua vagari sine proposito videantur et fluctuari, atque quod aiunt
scopae dissolutae esse, nec finem petere.Omnia enim subserviunt homini, isque usum et fructum ex singulis
elicit et capit. Etenim astrorum conversiones et periodi et ad distinctiones temporum et ad plagarum mundi
distributionem faciunt; et meteora ad presagia tempestatum; et venti tum ad navigandum, tum ad molas et
machinas; et plantae atque animalia cujuscunque generis, aut ad domicilia hominis et latebras, aut ad vestes,
aut ad victum, aut ad medicinam, aut ad levandos labores, aut denique ad delectationem et solatium
referuntur: adeo ut omnia prorsus non suam rem agere videantur, sed hominis. Neque temere additum est, in
massa illa et plasmate particulas ex diversis animantibus desumptas, atque cum luto illo temperatas et
confusas fuisse; quia verissimum est, omnium rerum quas universum complectitur hominem rem maxime
compositam esse et decompositam, ut non immerito ab antiquis Mundus Minor vocatus sit.
In traduzione:
[…] Ma la favola propone anche e soprattutto questo: che l’uomo è il centro del mondo, almeno per
ciò che riguarda le cause finali, al punto che, se fosse eliminato dal mondo, il resto sembrerebbe vagare e
fluttuare senza scopo e, cosa che si dice di una scopa sfasciata, non servirebbe a niente. Tutto, infatti, è al
servizio dell’uomo, e da ciascuna cosa egli sa ricavare l’utilità e cogliere il frutto: le rivoluzioni periodiche
degli astri servono a distinguere le stagioni e a individuare le zone del mondo; le meteore a prevedere le
tempeste; i venti ora a navigare, ora a muovere macine e macchine; le piante e gli animali di ogni specie, o a
costruire abitazioni e rifugi per l’uomo, o a fornire vesti, vitto o medicine, o ad alleviare le fatiche, o, infine,
a procurare piacere e conforto, al punto che tutte le cose sembrano non fare il bene proprio, ma quello
dell’uomo72.
Necessità e sviluppo della comunicazione scientifica: la giustificazione retorica della scoperta
Si è già trattato delle fasi del metodo scientifico, stabilite in epoca moderna, ma riscontrabili
ancor oggi in qualità di linee fondamentali della procedura sperimentale. Si ha un’iniziale
formulazione di ipotesi, derivante da problematiche scaturite dall’osservazione dei fenomeni, quindi
la raccolta di dati in successive e ripetute misurazioni, la riproduzione artificiale o in ambiente
controllato dell’evento di interesse e l’ elaborazione di una “legge scientifica”, qualora l’ipotesi sia
confermata. Ulteriore condizione, stabilitasi per consuetudine ed affermatasi per efficacia, è la
presentazione dello studio effettuato alla comunità scientifica, allo scopo di valutarne la validità.
Esigenza primaria per la realizzazione di tale prassi è, pertanto, una documentata e conforme
giustificazione retorica della scoperta scientifica.
In epistemologia tradizionale si definisce “conoscenza proposizionale” la credenza vera e
giustificata, che soddisfi le tre condizioni di verità della proposizione, credenza del soggetto in essa
e, ciò che maggiormente interessa e pone problemi di definizione, giustificazione di tale credenza
71. Ivi, pp. 88-89.
72. Cfr. Sapienza degli antichi, a cura di M. MARCHETTO, cit., pp. 214-217.
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da parte del soggetto stesso73. La terza condizione infatti è precisata differentemente dalle teorie del
coerentismo, del fondazionalismo e dell’affidabilismo74. Citando Nicla Vassallo:
L’affidabilismo ha anche a che fare con il più esplicito appello dell’epistemologia tradizionale ai
contesti: si tratta dell’appello al contesto della scoperta e al contesto della giustificazione. […] È
consuetudine riportare tale distinzione a Reichenbach75 (1938, pp. 5-7), il quale scrive: “L’epistemologia non
concerne il processo del pensare nel suo svolgimento effettivo; questo compito è interamente affidato alla
psicologia. Ciò che l’epistemologia fa è costruire i processi del pensare nel modo in cui essi devono
svolgersi, se sono da classificarsi in un sistema consistente”. Egli introduce poi le nozioni di contesto della
scoperta e contesto della giustificazione: “La ben nota differenza tra il modo in cui un essere pensante scopre
un teorema e il modo in cui lo presenta al pubblico può illustrare la differenza in questione. Introduco i
termini contesto della scoperta e contesto della giustificazione per caratterizzare questa distinzione.
Dobbiamo allora dire che l’epistemologia si occupa solo di costruire il contesto della giustificazione”76.
È quindi chiaro come nel metodo scientifico vi sia una parte induttivo-intuitiva, afferente
alla prima fase del processo di ricerca, la quale deve essere ampiamente descritta e giustificata in un
secondo momento, espositivo e vincolato alla critica logico-deduttiva.
Sin dagli albori dell’epoca moderna, si verificò un’aspirazione fondamentale, condivisa
dagli umanisti di tutto il continente, all’ecumenismo del sapere. L’invenzione della stampa, a cui
conseguì un’accresciuta circolazione di testi, tavole e disegni fedelmente riproducibili, favorì
enormemente la circolazione delle idee tra studiosi, oltre a consentirne la verifica e sollecitare
l’approfondimento e l’eventuale confutazione delle teorie proposte77. Nel contesto inglese di nostro
interesse, la necessità di condivisione del sapere fu quanto mai sentita, nella consapevolezza, già
espressa da Francis Bacon, della fallibilità dello strumento-linguaggio:
There are also idols formed by the reciprocal intercourse and society of man with man, which we
call idols of the market, from the commerce and association of man with each other. For men converse by
means of language; but words are formed at the will of generality; and there arises from a bad and unapt
formation of words a wonderful obstruction to the mind. Nor can the definitions and explanations, with
which learned men are wont to guard and protect themselves in some instances, afford a complete remedy:
words still manifestly force the understanding, throw every thing into confusion, and lead mankind into vain
and innumerable controversies and fallacies 78.
73. N. VASSALLO Epistemologie contestualiste, in La svolta contestuale, a cura di C. PENCO, McGraw-Hill, Milano,
2002, pp. 121-143.
74. Per il primo vi deve essere coerenza con il sistema di credenze dell’individuo, per il secondo vi è un sistema di
credenze di base dalle quali ne derivano inferenzialmente altre, mentre il terzo fonda la giustificazione sull’affidabilità
del processo cognitivo. Cfr. N. VASSALLO, Teoria della conoscenza, Laterza, Roma-Bari, 2003, pp. 50-73.
75. Hans Reichenbach (1891-1953) fu un filosofo e matematico tedesco, sostenitore dell’empirismo logico. Si occupò
dei rapporti tra filosofia e fisica in ottica neo-positivista e neo-razionalista.
76. Cfr. N. VASSALLO Epistemologie contestualiste, in La svolta contestuale, a cura di C. PENCO, McGraw-Hill, Milano,
2002, pp. 128-129.
77. E. EISENSTEIN, Le rivoluzioni del libro, Il Mulino, Bologna, 1995, pp. 201-259.
78. «Vi sono idoli determinati dal reciproco contatto e comunanza sociale tra uomo e uomo, che definiamo idoli del
foro, relativamente al commercio e all’associazione reciproca tra soggetti. Ciò in quanto gli uomini comunicano per
mezzo del linguaggio; ma le parole sono state definite sotto l’arbitrio della genericità, e da un’inadatta formazione delle
parole deriva un’incredibile limitazione dell’intelletto. Né possono definizioni e spiegazioni, per mezzo delle quali gli
uomini colti usano garantirsi in determinate circostanze, costituire un rimedio efficace: le parole forzano comunque
manifestamente la comprensione, proiettano ogni cosa nel fraintendimento e conducono l’umanità verso vane e
innumerevoli controversie e fallacie». Cfr. Novum Organum, or True Suggestions for the Interpretation of Nature ,by
Francis Lord Verulam, Edited by William Pickering in 1844, London, I, 43, pp. 18-19. Reperibile presso la Bodleian
Library di Oxford e sul sito web http://books.google.it e risorsa di pubblico dominio per antichità. La traduzione è mia.
21
Ancora una volta, il Barone di Verulamio riuscì nell’intento di enucleare specificamente una
delle tematiche filosofiche fondamentali dei secoli successivi: l’esigenza di un linguaggio
universale per la comunicazione e comprensione globale della scienza79.
Analizzando i dati disponibili per quanto concerne la comunicazione scientifica80, è evidente
come la pratica dell’esposizione retorica delle scoperte si sia presto affermata come necessità per lo
sviluppo della scienza. I mezzi che favorirono la diffusione delle conoscenze furono il confronto
accademico già analizzato81– non esente dalle dispute, anche interne, tra studiosi –, la
comunicazione epistolare, la pubblicazione di libri, opuscoli, bollettini e riviste quali le
Philosophical Transactions, ideate da Henry Oldenburg nel 1665 per la Royal Society. I filosofi
inglesi, agendo costantemente a fini socio-utilitaristici, con la Provvidenza e la Bibbia dalla loro
parte, riuscirono, perseverando, a superare anticipatamente il limite della fallibilità della
comunicazione.
Gli strumenti euristici comuni a pratica giuridica, ricerca scientifica e metodologia
storiografica
Si è ampliamente definito precedentemente il metodo scientifico. Si è sostenuta, sin dalla
dichiarazione d’intenti di questa tesi, la convinzione dell’esistenza di un fondamento culturale
comune tra le metodologie qui in analisi. Ciò sulla base delle affermazioni di Barbara Shapiro:
Legal concepts and norms were adopted in several venues prior to, and simoultaneously with, their
adoption by empirically oriented naturalists. Like jurists, historians frequently invoked the value of first-hand
observation and credible testimony, discounted hearsay accounts and stressed the need for impartial
witnesses and disinterested judgement82.
Per quanto concerne il procedimento giuridico, ancor oggi si possono riscontrare elementi
comuni con le ricerche scientifica e storica, a partire dalla fase di svolgimento delle indagini
preliminari che precedono e determinano le specifiche dell'eventuale processo83. L'autrice valuta
inoltre la possibilità di un'influenza dall'ambito legale a quello giornalistico ed evidenzia similarità
di procedura nella raccolta di dati per redigere resoconti di viaggio, molto diffusi in epoca moderna
e sponsorizzati dalle stesse accademie.
Sembra tuttavia più evidente la conformità della metodologia storiografica alla procedura
scientifico-sperimentale: sussiste infatti l'andamento triadico di raccolta di testimonianze e dati,
proposta di un'ipotesi, verifica mediante analisi delle fonti, per giungere alla pubblicazione di una
teoria da sottoporre alla valutazione della comunità di studiosi. Va tuttavia evidenziata la
79. Una necessità già palese nell’ideale di pedagogia universale di Comenio (1592-1690), nell’esortazione al ricorso
alla lingua adamitica operato da John Webster (1610-1682), in polemica con Seth Ward (1617-1689) sul tema
dell’esclusività o pubblicità delle conoscenza, e nella riformulazione della teoria della conoscenza operata da John
Locke (1632-1704). G.W. Leibniz (1646-1716), precorrendo i tempi, fu l’iniziatore dell’integrazione effettiva tra
linguaggio simbolico e calcolo algebrico. Le sue intuizioni furono sviluppate tra XIX e XX secolo da G. Boole (18151864), G. Peano (1858-1932) e G. Frege (1848-1925). Cfr. D. ARECCO, Per una storia socio-culturale della
comunicazione scientifica: primordi e preamboli, Anthropos & Iatria, v.d.p., e C. PENCO, Introduzione alla filosofia del
linguaggio, Roma-Bari, Gius. Laterza e figli, 2004, p. 17.
80. Per approfondimenti sulla storia della comunicazione scientifica, si veda D. ARECCO, Per una storia socio-culturale
della comunicazione scientifica: primordi e preamboli, Anthropos & Iatria, cit., v.d.p.
81. Si vedano pp. 7-12.
82. «Norme e concetti giuridici furono adottati in diversi ambiti precedentemente e contemporaneamente alla loro
acquisizione da parte dei naturalisti orientati alla filosofia sperimentale. Come i giuristi, gli storici spesso facevano
appello all'osservazione diretta e alla testimonianza affidabile, mentre scartavano le dicerie ed enfatizzavano il bisogno
di testimonianze imparziali e di una valutazione disinteressata». Cfr. Barbara Shapiro, Testimony in seventeenth-century
English natural philosophy: legal origins and early development, in History and Philosophy of Science, XXXIII, 2002,
p. 249. La traduzione è mia.
83. Non è questa la sede per una descrizione specifica della procedura penale, peraltro differente in regime di civil law e
common law.
22
divergenza tra la forza di una legge scientifica comprovata empiricamente – fino a prova contraria –
e la maggiore debolezza di un'interpretazione storiografica, per quanto accurata.
23
Appendice
Situazione istituzionale e religiosa in Inghilterra (secoli XVI e XVII)
Situazione politico-istituzionale
Situazione religiosa
Regno di Enrico VIII Tudor (1509-1547)
1528: il pontefice Clemente VII nega al sovrano
inglese la richiesta di annullamento del
matrimonio con Caterina d’Aragona.
1529: convocazione di un Parlamento, atto a
deliberare l'annullamento del matrimonio e il
distacco dalla Chiesa di Roma.
1534: Act of Supremacy distacco ufficiale della
Chiesa anglicana, con a capo il sovrano inglese,
da quella cattolica.
1536: scioglimento degli ordini regolari ed
incameramento dei relativi beni a vantaggio
della corona.
Regno di Edoardo VI Tudor (1547-1553)
Diffusione del calvinismo.
1549-1552: adozione del primo Book of
Common Prayer e dei Forty-Two Articles of
Religion.
Regno di Maria I Tudor (1553-1558)
Tentativo di ritorno al cattolicesimo,
determinato anche dal matrimonio della sovrana
con Filippo II di Spagna. Persecuzione di molti
protestanti.
In Scozia si afferma il calvinismo ad opera del
predicatore John Knox.
Regno di Elisabetta I Tudor (1558-1603)
In generale in questo periodo vi è tolleranza per
il dissenso religioso. La politica della regina non
si distacca nettamente dalla tradizione cattolica,
infatti non viene abolito l’episcopato, come
invece si auspicava da parte dei calvinisti
“puritani”. Si rinnova l’adozione del Book of
Common Prayer e vengono accolti i fondamenti
del calvinismo con in Thirty-Nine Articles of
Religion.
1559: Act of Uniformity: definitiva affermazione
della Chiesa anglicana, soggetta alla corona
inglese.
1568: Maria Stuart, regina cattolica di Scozia,
deposta da nobili calvinisti, si rifugia in 1568-1569 ribellione dei “conti del nord”,
24
Inghilterra, dove nel 1587 sarà condannata a cattolici.
morte da Elisabetta I.
1570: la regina d’Inghilterra riceve la scomunica
da parte di papa Pio V.
Regno di Giacomo I Stuart (1603-1625),
già Giacomo VI di Scozia
Durante i primi decenni del XVII secolo si
diffonde il puritanesimo tra la gentry, i mercanti
e gli artigiani.
1605: Congiura delle polveri, attuata da cattolici
contro il primo Parlamento convocato dal re.
I protestanti più intransigenti, non vedendo
realizzate le loro aspirazioni in patria, salpano
per il Nuovo Mondo con il Mayflower nel 1620,
fondando la colonia del Massachussets.
Regno di Carlo I Stuart (1625-1648)
In questo periodo in Inghilterra si sospetta il
tentativo di una restaurazione cattolica, anche
perché la moglie francese del re è attorniata da
gesuiti.
1628: Petition of Rights, voluta dal Parlamento,
che verrà sciolto l'anno successivo, fino al 1640.
1633: l'arcivescovo di Canterbury William Laud
attua una politica anglicana intransigente,
ristabilendo forme liturgiche cattoliche e
perseguitando i puritani. Inoltre avviene una
riorganizzazione interna alla Chiesa anglicana,
per cui vengono preferiti gli arminiani, contrari
alla predestinazione, per i seggi vescovili.
1638: rivolta della Scozia presbiteriana.
1640: il sovrano convoca il Parlamento – poi
detto “Breve”, perché sciolto in poche settimane
– per portare guerra alla Scozia. Gli Scozzesi
fugano l'esercito inglese.
1640: convocazione del Parlamento, che verrà
definito“Lungo” poiché resterà in carica fino al
1653.
1641: prodromi della guerra civile.
1642-1649: Prima Rivoluzione Inglese
1641: Rivoluzione cattolica in Irlanda.
Durante
questo
periodo
proliferarono
organizzazioni religiose disparate: seekers o
ranters, quakers, levellers, diggers, battisti.
25
1643: alleanza tra Scozzesi e Parlamento
inglese.
1644: vittoria dei rivoltosi a Marston Moor.
1645: ulteriori vittorie a Naseby e Langport.
1646: resa di Carlo I.
1646: abolizione dell'episcopato.
I presbiteriani intendono organizzare la Chiesa
anglicana in consigli gerarchizzati calvinisti, con
l’abolizione dell’episcopato.
Gli indipendenti dell'esercito propendono per la
tolleranza religiosa, ad esclusione dei cattolici.
1647: rapimento del re da parte dell'esercito,
fuga e tentativo di ripresa della guerra da parte
dei realisti, fallito.
1648: il Parlamento, epurato dai moderati,
epurato dai moderati, decreta che il re venga
processato.
1649: esecuzione del sovrano Carlo I.
1649-1660: Repubblica unita di Inghilterra,
Scozia e Irlanda, Commonwealth
1649: soppressione della Camera dei Lord.
Campagna di Scozia.
1649-1650: campagna contro l'insurrezione
cattolica irlandese (genocidio, deportazioni di
massa e confische di beni).
1649-1653: Consiglio di Stato di 40 membri.
1651: Navigation Act.
1653-1658: Oliver Cromwell è Lord Protector.
Non è tollerato il dissenso religioso.
1659: Richard Cromwell Lord Protector.
Regno di Carlo II Stuart (1660-1685)
Il re viene richiamato in patria dopo
l'abdicazione di Richard Cromwell e con la
Dichiarazione di Breda si impegna a governare
di concerto con il Parlamento e alla tolleranza
religiosa.
Nonostante gli accordi, il re è alleato dei
francesi contro l'Olanda e mostra evidenti
tendenze filocattoliche. Inoltre il fratello
Giacomo, erede, è cattolico.
1673: Test Act, votato dal Parlamento, subordina
l'assunzione di cariche alla professione di fede
Formazione degli schieramenti politici tory e anglicana
whig, il primo monarchico e anglicano, il
secondo sostenitore del Parlamento e composto
da una variegata formazione protestante.
26
Regno di Giacomo II Stuart (1685-1688)
Tentativo di restaurazione cattolica.
1687: Declaration of Indulgence, di fatto
annullamento del Test Act.
Il sovrano ha un erede maschio e ciò porta gli
schieramenti politici ad accordarsi per
scongiurare il pericolo di una restaurazione
cattolica. Ci si rivolge, pertanto, allo Statolder
d'Olanda Guglielmo III d'Orange, che aveva
sposato Maria Stuart, figlia del re.
1688-1689: Seconda rivoluzione inglese, la
Gloriosa.
Sbarco a Torbay di Guglielmo III d'Orange e
fuga in Francia di Giacomo II.
1689: un Parlamento di convenzione dichiara il
trono vacante e offre la corona a Guglielmo e
Maria, che osservano la Petition of Rights.
Maria II Stuart (1689-1695)
e
Guglielmo III Stuart-Orange (1689-1702)
1689: Bill of Rights.
1689: Act of Toleration: abrogazione delle pene
comminate ai dissenzienti, ad eccezione dei
cattolici.
1694: Triennal Act, elezione di un Parlamento
ogni tre anni.
1701: Act of Settlement, esclusione dei cattolici
dalla successione dinastica.
27
Scarica

Una cultura del fatto (1550-1700)