magazine
HS+E
the occupational health & safety +
environmental quarterly magazine
Italian/English Edition
Vol. 2 - N. 1
Poste Italiane - Spedizione in a.p. 45% - art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - D.R.T. - D.C.B. - TO n. 1/2003
Editoriale
HS+E inizia il 2004 all’insegna dell’italianità. Infatti, nonostante la scelta editoriale di essere una “finestra” sul mondo
anglosassone (stampa periodica, letteratura tecnica, nuove attrezzature ecc.)
con l’intento di trasmetterne la buona
“cultura HSE” di questi paesi, questo
numero tocca le diverse tematiche sulla
sicurezza, trattando soprattutto casi italiani. Si parte con l’intervista a Federica
Guidi, Presidente dei Giovani industriali
dell’Emilia-Romagna, per proseguire con
i sistemi di gestione ambientale applicati
ai porti turistici e finendo con il tema
sempre attuale delle demolizioni. Questo
perché riteniamo importante sapere, e
far sapere, come è vissuta la questione
HSE nel nostro paese.
La sicurezza sul lavoro va vista anche
come un diritto fondamentale della persona. Non è solo un problema di leggi,
di coordinamento, di azioni, è anche, e
soprattutto, un problema di cultura. E
questa è una delle cose che HS+E vuole
trasmettere ai suoi lettori. La società italiana sta affrontando la sfida della globalizzazione e della competitività rendendo
efficiente un sistema pubblico che assicuri la protezione di quei diritti sociali,
che spesso i processi di cambiamento
rischiano di schiacciare o di degradare
in modo irreparabile. È una sfida che
istituzioni, parti sociali, società italiana
devono affrontare insieme. La sicurezza
nei luoghi di lavoro è una componente
essenziale, perché l’Italia possa
(continua a pagina 20)
Gen - Mar 2004
Focus Group
Emilia-Romagna 2010
Premessa di G. Cavassi, M. Casmiro
Intervista di M. Galletti
Il Focus Group, costituito come gruppo di
lavoro nei primi mesi del 2003, è stato istituito dal Comitato Regionale Giovani
dell’Industria di Confindustria Emilia-Romagna. Obiettivo del Focus è elaborare
una visione di medio termine per lo sviluppo economico e sociale della Regione
Emilia-Romagna, da oggi al 2010. La riflessione sugli scenari futuri viene sviluppata con il coinvolgimento diretto dei Giovani Imprenditori e dunque partendo da un
punto di osservazione per così dire “interno” all’Associazione stessa.
Tema centrale del Focus Group è
l’analisi della modernizzazione del
sistema produttivo dell’Emilia-Romagna,
attraverso tre aree tematiche principali
rappresentate da Ricerca ed Innovazione,
Ruolo della Politica, e Risorse umane. Gli
aspetti discussi sono stati molteplici e fra
questi, a titolo di esempio, vi sono le problematiche relative alle Infrastrutture, i rapporti Scuola-Mondo del lavoro,
l’Immigrazione, i Rapporti con la Comunità Europea e la Qualità della Vita.
Dopo un anno di lavoro l’attività del Focus Group, coordinato dal Prof. Nicola
Bellini della Scuola Superiore Sant’Anna di
Pisa, è alle sue battute finali; il documento
conclusivo del Progetto sarà presentato ufficialmente nelle prossime settimane dalla
Dott.ssa Federica Guidi, Presidente del Comitato Regionale Giovani dell’Industria di
Confindustria Emilia-Romagna.
Federica Guidi – Presidente
Giovani Industriali dell’Emilia-Romagna
([email protected])
sommario / contents
1 Focus Group Emilia-Romagna 2010
4 Sistemi di Gestione Applicati
ai Porti Turistici
Environmental Management
Systems Applied to Tourist
Harbours
8 L’esplosivo: un’arma economica
e sicura per trasformare le nostre città
10 The Royal Society for the Prevention
of Accidents (RoSPA)
12 L’amianto, un tema d’attualità anche
nel futuro
Amiantus.
16The Standard Lighthouse
17 Event calendar
18Press Review
19 Bookshop
2
HS+E magazine
INTERVISTA a Federica Guidi
HS+E MAGAZINE
Trimestrale di Sicurezza, Igiene
Industriale e Ambiente
The Occupational Health & Safety and
Environmental Quarterly Magazine
Gen-Mar 2004 / Vol.2, N.3
Editore / Publisher:
Tipografia Alzani sas
Via Grandi, 5 - Pinerolo (TO)
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Redazione / Editorial Office:
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Production Co-ordinator
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HS+E MAGAZINE è pubblicato trimestralmente. Tutti i diritti sono riservati.
Nessuna parte della pubblicazione può
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The views and opinions expressed elsewhere in the magazine are not necessarily those of the Owner, Publisher or
Editor in Chief.
1. Come e perché è nato il Focus Group?
Il Focus Group è nato perché ritenuto
un ottimo esercizio per immaginare il
futuro del nostro territorio, per capire
come il modello di sviluppo
dell’Emilia-Romagna, tutt’ora esistente, subisce i contraccolpi di una congiuntura non favorevole. Di conseguenza capire se si tratta ancora di un
valido modello o debba essere modificato per far sì che le imprese siano
competitive. Il Focus Group ci permetterà di avere una visione di come
questo modello dovrà essere per raggiungere questo obiettivo. In primo luogo
si tratta di un’analisi all’interno delle
aziende, un’autoanalisi, perchè i giovani imprenditori hanno responsabilità
dirette nel gestire questo cambiamento.
Secondo, la vision deve essere ascoltata
dalle istituzioni; si tratta di proposte
concrete in cui gli imprenditori spendono risorse.
2. In qualità di Presidente del Gruppo
Giovani Industriali dell’Emilia-Romagna come colloca la Regione Emilia-Romagna nell’ambito del contesto
economico europeo attuale?
Parlare oggi di distretti, mercati, regioni, nazioni è un concetto superato, il
mercato della domanda è europeo.
Quella attuale non è una fase positiva,
alcuni settori sono più interessati dalla
stagnazione di altri, ma vi sono concre-
ti segnali di ripresa.
In Emilia-Romagna le piccole-medie
imprese sono sempre in sviluppo, il
nostro è un modello di competitività
vincente. Ma basta paragonarsi a realtà
non locali come il Galles, la Spagna e
alcune aree della Germania per capire
che non ci si deve “sedere”.
3. Qual è lo stato attuale, in Emilia-Romagna, nel recepimento della normativa CE in Materia di Sicurezza?
Gli imprenditori italiani che operano
con il mercato europeo da tempo hanno
già prodotti a norma Europea, non
debbono fare nessun adeguamento rispetto alle normative. E, nello specifico,
l’Emilia-Romagna è da sempre molto
attenta al mercato estero figuriamoci
ora che si tratta del mercato “di casa”…
Gli imprenditori sono abituati a queste
normative, se non lo fossero sarebbero
stati tagliati fuori dai rapporti commerciali ed economici, fanno parte della
loro cultura ed oltre ad essere attenti
sono spesso in anticipo.
4. In quale misura ritiene che la competitività dei prodotti dell’Emilia-Romagna all’interno del mercato europeo sia legata all’applicazione della
normativa europea sulla sicurezza?
Non si tratta di competitività ma di scegliere se vendere o non vendere. La
certificazione dei prodotti è un requisito fondamentale per la vendita. Certo è
3
HS+E magazine
che l’Europa deve cercare di armonizzare le regole relative alle proprie normative per rendere più semplice agli
imprenditori l’applicazione. Per questi
ultimi non è uno sforzo è un MUST. Se
si vuole competere non si può scegliere
se attenervisi o meno.
5. La marcatura CE ed il processo
produttivo ad essa collegato sono visti
dai Giovani Industriali come un elemento di qualità per la produzione o
piuttosto come una “ingessatura burocratica”?
Generalmente non sono considerati
un’ingessatura, sono cose “buone e
giuste”, possono migliorare la situazione
aziendale, si tratta di un circolo virtuoso.
Non vi sono, da parte degli imprenditori,
ritrosie a questo adeguamento. Si può
parlare però di ingessatura quando nascono difficoltà nel recepire le norme,
quando si lascia spazio all’incertezza o
sono lunghi i tempi di applicazione. È
l’incertezza che crea difficoltà. Il “punto
oscuro” è il margine di perplessità che si
vive da quando lo Stato riceve la normativa a quando la recepisce e questo provoca disomogeneità e scompenso. Vi
sono anche processi produttivi su cui le
modifiche possono impattare pesantemente. Inoltre, non sempre gli adeguamenti sono a costo zero ma, nonostante
ciò, sono visti come un circolo virtuoso,
come un miglioramento della qualità del
prodotto e di conseguenza delle vendite
e del mercato, sono una salvaguardia per
il cliente e l’ambiente. Come tutte le
cose hanno dei pro e dei contro ma mediamente l’approccio degli imprenditori
è positivo.
6. Innovazione, Nuove Tecnologie e Sicurezza: quale peso relativo possono
avere, secondo Lei, nei prossimi anni?
Innovazione e tecnologie hanno un peso
altissimo. Certe aree dell’Europa, Emilia-Romagna inclusa, sono in competizione con il Far East, la Cina e devono
investire proprio su questi elementi per
posizionarsi nella fascia alta del mercato. La fascia bassa deve invece deverticalizzarsi ed investire nelle aree dove la
manodopera ha un costo minore, ma
facciamo attenzione, non parlo assolutamente di trasferimento dell’azienda: il
Know-how è da finanziare a parte. Tutto
questo permetterà di ottenere il Gap del
prodotto, questi sono gli asset portanti
su cui puntare per rimanere competitivi.
Per quanto riguarda la sicurezza ritengo
che essa faccia parte della nostra cultura.
La 626, per esempio, è opportuna salvaguardia, tutela, è un’assicurazione da
rispettare per i lavoratori. Le norme di
sicurezza fanno parte della nostra civiltà,
sono essenziali. E’ necessario però che
non travalichino il limite del buonsenso
e condizionino le persone che operano
in azienda, non debbono diventare un
vincolo, un laccio da cui è difficile slegarsi. Ma la validità di queste leggi e i
loro requisiti non possono essere messi
in discussione. Mi ripeto: non ci devono
però essere difficoltà nella realizzazione
e nella lettura di queste norme.
7. L’Emilia-Romagna può contare
sull’appoggio della Comunità Europea, da oggi al 2010, per lo sviluppo
dei propri prodotti?
Generalmente gli imprenditori del nostro territorio non si aspettano aiuti concreti da nessuno, semplicemente non
vogliono ostacoli nello sviluppo. Domandano piuttosto di potere incidere
sulle decisioni del Governo europeo
che li riguardano. Chiedono però che
l’Europa venga tutelata dal Far East
creando una sorta di corporativismo. Se
l’Europa sarà unita aiuterà tutti a rimanere competitivi.
4
HS+E magazine
SISTEMI DI GESTIONE AMBIENTALE
APPLICATI AI PORTI TURISTICI
Carlotta Queirazza*, Michela Gallo**,
Mauro Fabiano**,
Adriana Del Borghi***
1. Introduzione
La salvaguardia dell’ambiente ha visto
in questi ultimi anni una crescita di sensibilità da parte di tutti i soggetti interessati.
Gestire le proprie attività preservando il
più possibile l’ambiente è divenuta una
questione di primaria importanza.
Nel settore turistico, la nautica ed i porti turistici ricoprono un ruolo economico
importante.
Con l’aumento progressivo della presenza di porti turistici lungo le coste, della
stazza delle imbarcazioni e del tempo di
permanenza di queste ultime nei porti,
grazie anche al miglioramento dei servizi
offerti, si è determinata la necessità di
considerare le fonti d’inquinamento relative ai porti turistici al fine di valutarne e
contenerne gli impatti ambientali.
La gestione ambientale prevede che le
aziende implementino un sistema basato
non solo sulla prevenzione di eventuali
superamenti di limiti di legge, ma anche
su un programma di miglioramento continuo del comportamento aziendale nei confronti dell’ambiente circostante.
La gestione dei problemi ambientali
rappresenta un aspetto fondamentale legato alla percezione della qualità aziendale.
Un’azienda non può, infatti, pensare di
operare in condizioni di garanzia della
qualità se non è in grado di dare risposte
adeguate ai propri clienti, alle istituzioni
(per leggi e regolamenti), ai propri collaboratori (per gli aspetti legati alla sicurezza), al pubblico (per problemi di ambiente
e d’immagine).
In quest’ambito la certificazione ambientale rappresenta un efficace strumento
di comunicazione per trasmettere chiaramente all’esterno un forte messaggio
d’impegno per il rispetto dell’ambiente.
Tale prerogativa non è circoscritta al
solo mondo industriale: una gestione nel
rispetto dell’ambiente applicata ad un porto turistico, offre numerose opportunità di
crescita sia economica che sociale e fornisce le garanzie necessarie per una migliore qualità della vita e per la salvaguardia
del patrimonio pubblico e privato.
Nel caso dei porti turistici è necessario
considerare le varie ragioni che legano il
turismo e l’ambiente in un’ottica di gestione: la perdita d’identità dei luoghi, le
alterazioni dell’ecosistema, l’aumento di
consumo delle risorse, la produzione di ri-
fiuti legati ad uno sviluppo incontrollato
del turismo, la crescente attenzione della
Comunità Internazionale verso forme di
turismo sostenibile, la scelta dei turisti che
prendono sempre più in considerazione il
fattore di qualità ambientale, la nascita di
tour operator specializzati in turismo ecocompatibile.
Il panorama attuale evidenzia, a fronte
di una richiesta sostenuta di posti barca
per il diporto, una diminuzione dell’offerta: i siti naturali idonei all’installazione di
nuovi porticcioli turistici, accettabili dal
punto di vista ambientale ed economico,
sono infatti sempre più rari.
Da ciò deriva l’urgenza di nuovi progetti che migliorino la qualità dei porti già
esistenti ed in servizio attraverso la loro
ripianificazione o l’ampliamento, la riqualificazione di zone portuali abbandonate,
lo sviluppo dei porti a secco (per alleggerire i porti dai piccoli battelli) o ancora
l’utilizzo di attrezzature leggere come gli
ormeggi organizzati.
2.Implementazione di un sistema di
gestione ambientale
I criteri definiti di seguito si applicano a
realtà nella pratica molto diverse tra loro,
poiché le caratteristiche di ogni porticciolo
sono connesse a parametri molto diversificati e dipendenti, in primo luogo, dall’ubicazione del porticciolo sul territorio stesso.
La procedura di applicazione di un Sistema di Gestione Ambientale ad un porticciolo turistico evidenzia comunque 5
fasi fondamentali, tra loro concatenate:
I. Classificazione dell’area portuale
Per prima cosa è necessario individuare
le caratteristiche del porto attraverso la
definizione della natura del sito e del suo
ambiente (natura degli ecosistemi, caratteristiche del litorale, analisi geomorfologica, idrologica, urbanistica, ecc.).
II. Analisi ambientale preliminare
Si procede poi ad una valutazione della
situazione di partenza attraverso l’attuazione di un’analisi ambientale iniziale, i
cui contributi principali sono:
a) descrizione delle attività che avvengono nell’area del porto o nelle immediate vicinanze che potrebbero avere un
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HS+E magazine
impatto sull’ambiente sia direttamente
che indirettamente;
b)valutazione di tale impatto;
c) la conformità alle normative vigenti per
tali attività;
d)individuazione delle azioni di possibile
miglioramento ambientale.
III. Definizione della politica e degli
obiettivi ambientali
Basandosi proprio sui documenti di
analisi ambientale iniziale e sui risultati
che ne derivano, si stabilisce la propria
politica ambientale, attraverso una dichiarazione che fornisca uno schema di riferimento per l’attività e la definizione degli
obiettivi e traguardi in campo ambientale.
IV. Pianificazione e strutturazione del
sistema di gestione ambientale
Fissati gli obiettivi, deve essere definita la “pianificazione”, che può essere
considerato il momento centrale di tutto
il processo, poiché rappresenta la fase in
cui viene definito e strutturato il sistema
di gestione ambientale che deve garantire sia il rispetto delle leggi ambientali,
applicabili al porto turistico, sia il conti-
nuo miglioramento delle prestazioni ambientali.
V.Attuazione e controllo del sistema di
gestione ambientale implementato
In seguito all’attuazione vera e propria
del Sistema di Gestione Ambientale, è necessario prevedere con cadenza periodica
dei momenti di controllo e verifica sul sistema stesso.
Qualora l’esito di tali esami risulti positivo, e cioè si possa affermare che i traguardi
prefissi sono stati raggiunti, s’innesca un
circolo virtuoso, con la definizione di nuovi
obiettivi ambientali, definito come: “processo di miglioramento continuo”.
Per verificare l’adeguatezza e l’efficacia di un Sistema di Gestione Ambientale
si ricorre alle visite (o verifiche) ispettive.
Tali verifiche sono sempre finalizzate a
dare un quadro generale dell’affidabilità
del sistema e sono regolate dalla normativa di riferimento.
3.Obiettivi della certificazione di
porti turistici
L’obiettivo della certificazione ambientale è la promozione di uno sviluppo so-
stenibile, uno sviluppo, cioè, che non
comprometta la capacità di riproduzione
delle risorse utilizzate e che soddisfi i bisogni delle generazioni presenti senza
compromettere analoghe possibilità di utilizzo da parte delle generazioni future.
Nel caso dei porti turistici l’adozione di
un sistema di gestione ambientale si propone quindi di favorire una gestione razionalizzata del sistema portuale che, partendo dall’analisi preventiva dei carichi ambientali, preveda una serie di interventi
mirati.
Questi possono essere, ad esempio, la
messa in opera delle vasche per la raccolta degli oli esausti e delle batterie, l’avvio di un servizio di presidio tecnico, la
messa in opera di piani d’emergenza e
procedure operative specifiche per la gestione di potenziali incidenti e situazioni
d’emergenza, al fine di raggiungere
obiettivi quali:
✓ contribuire al miglioramento qualitativo delle acque di mare;
✓ mirare alla conservazione dell’ecosistema;
✓ offrire servizi portuali volti a minimizzare gli impatti ambientali.
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HS+E magazine
Infine, l’inquinamento cronico o accisfuggire né ai gestori dei porti del litorale
Un sistema di gestione si configura coconsiderazione
dell'aspetto
ambiental
dovuto a sversamenti
di idrocarmediterraneo, né ai diportisti che citano lo ladentale,
me una struttura dinamica, capace di evolburi non sembra
invece rappresentare
scarico delle acque reflue delle imbarcaversi e di fornire risposte adeguate al muattività
dei diportisti
nei portiuna
del golfo
fonte
significativa
d’inquinamento
dei
zioni fonti
comediuna
delle
principali
fonti
di
intare delle esigenze, grazie ad un monito- principali
inquinamento da attività di diporto
scarico delle acque provenienti
turistici.
quinamento (figura 4.1).
raggio continuo dei risultati conseguiti
da porti
attività di
carenaggio
che permette di ritarare i propri programscarico delle acque reflue dalle
mo
mi ambientali, definendo eventualmente
5%
5%
16%
imbarcazioni
5%
26%
16%
nuovi obiettivi ambientali e innescando un
15%
motori delle imbarcazioni
med
processo di miglioramento continuo delle
prestazioni verso traguardi più elevati, descarico di oli dalle pompe dello
sen
stinato a coinvolgere tutte le strutture che
scafo delle imbarcazioni
la
considerazione
dell'aspetto
ambientale
durante
le
24%
interagiscono con l’area portuale.
rifiuti solidi scaricati dalle
30%
imbarcazioni
attività dei diportisti nei
porti del
Quest’ultimo punto è l’obiettivo princi58%golfo di Genova
inquinamento
da attività di diporto
scarico delle acque provenienti
pale dei principali
Sistemifonti
di diGestione
Ambientale:
altro
da attività di carenaggio
ottenere continui miglioramenti delle prescarico delle acque reflue dalle
non risponde
stazioni ambientali, 5%
in accordo
con la po5%
5%
imbarcazioni
molto
16%
16%
26%
litica ambientale
dell’organizzazione.
15%
motori delle imbarcazioni
4.Applicazione della certificazione
ambientale alla costa ligure
24%
Lo studio d’ingegneria francese BCEOM ha condotto uno studio, per conto
dell’Accordo Internazionale RAMOGE,
relativamente all’impatto dei porti turistici
sulla qualità delle acque del litorale mediterraneo, in particolare delle costa monegasca e ligure.
Oggetto di questo studio sono nove
porti della costa ligure (il porto comunale
di Bordighera, il porto comunale di San
Remo, il porto privato di San Remo “Porto Sole”, il porto comunale d’Alassio, il
porto privato “Marina Porto Antico” di
Genova, il porto privato dello Yacht Club
Italiano (YCI) nel bacino Duca degli
Abruzzi a Genova, il porto pubblico di
Portofino, il porto privato di Chiavari, il
porto privato di Lavagna) e due della costa monegasca (le port de Fontvieille e le
port de la Condamine).
Quest’indagine ha consentito di effettuare alcune importanti considerazioni riguardo l’inquinamento organico-batteriologico e l’inquinamento chimico del litorale franco-italo-monegasco. Per quanto
riguarda l’inquinamento organico-batteriologico, si ricerca nello specifico una
correlazione tra intensità di frequentazione del porto da parte delle imbarcazioni e
degrado della qualità dell’acqua.
Tuttavia, dalle numerose osservazioni
su porti francesi ed esteri (USA), si ravvisa che la predominanza di altre fonti d’inquinamento, specialmente le acque di ruscellamento pluviali, causano spesso il
mascheramento degli apporti diffusi di inquinanti batteriologici da parte delle imbarcazioni.
L’attività portuale, nonostante questo
mascheramento, risulta comunque causa
di inquinamento di questo tipo, ed aumenta all’aumentare della sedentarietà delle
imbarcazioni. Quest’aspetto sembra non
30%
mediamente
scarico di oli dalle pompe dello
scafo delle imbarcazioni
rifiuti solidi scaricati dalle
imbarcazioni
altro
non risponde
Figura 4.1
Principali
fonti di
58%inquinamento
da attività
di diporto
I porti turistici possono infatti acuire in
modo significativo, specialmente nei periodi di alta stagione (mesi estivi), la presenza di rifiuti flottanti, principalmente
per quanto riguarda le imbarcazioni con
peso superiore alle due tonnellate, che
rappresentano la gran parte delle imbarcazioni dei diportisti europei, le quali non
sono generalmente dotate di equipaggiamento per il trattamento dei rifiuti liquidi
e solidi a bordo.
Per quanto riguarda, invece, l’inquinamento di tipo chimico si ha una correlazione più marcata con l’attività da diporto,
rispetto all’inquinamento di tipo organicobatteriologico. La presenza di metalli pesanti, come stagno e rame, tipici residui
delle vernici antivegetative, rappresenta,
ad esempio, un indicatore specifico delle
attività da diporto. Questo tipo di inquinanti sono persistenti in quanto entrano
nella catene trofica.
Le sorgenti di inquinamento chimico
più diffuse sono, quindi, le vernici antivegetative. Anche se la nuova generazione
di questi prodotti tende a minimizzare la
presenza di metalli pesanti, rimane comunque una forte componente tossicobiocida.
In particolare le aree di carenaggio delle acque portuali e delle loro immediate
vicinanze, contribuiscono all’arricchimento di inquinanti tossici quando il numero
di operazioni risulta significativo.
Anche le batterie esauste, che possono
venire gettate nelle acque, rappresentano
una fonte importante d’inquinamento.
senza risposta
Figura 4.2 - La considerazione dell’aspetto
ambientale durante le attività dei diportisti
nei porti del Golfo di Genova
Durante questo studio sono state compiute, inoltre, alcune indagini sulle opinioni dei gestori e dei diportisti dei porti considerati (figura 4.2).
Ad esempio, le principali cause di inquinamento nel Golfo di Genova causato
dalle attività da diporto, sono state identificate come riassunto nella figura 5.1.
Come principale fonte d’inquinamento
sono stati identificati “gli scarichi d’olio
dalle pompe degli scafi” (30%), seguiti da
“i motori delle imbarcazioni” (24%).
I gestori dei porti sembrano ritenere di
essere sufficientemente equipaggiati per
far fronte ad aspetti ambientali come la
raccolta differenziata, vasche per la raccolta di oli esausti, trattamento delle acque
provenienti dalle aree di carenaggio.
5.Primo porto turistico italiano certificato: Marina Porto Antico
Il Porto di Genova (figura 5.1) si estende ininterrottamente per 20 km lungo una
fascia costiera che si sviluppa dal bacino
del Porto Antico, in corrispondenza del
centro storico della città, fino al suo estremo di ponente.
In Porto possono essere accolte navi di
diverso tipo e stazza e movimentate merci
solide e liquide di qualsiasi natura e dimensione, attraverso l'operatività di 13 terminal raccordati. All'interno del bacino del
porto antico della città sono presenti dei
terminal traghetti e dei terminal crociere.
La superficie occupata dall'insieme delle infrastrutture portuali è pari a circa 7
milioni di metri quadrati.
7
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Figura 5.1 - Cartina del porto di Genova
Figura 5.2 - Mappa del tratto della costa
ligure che comprende il bacino del Porto
di Genova
Figura 5.3 - Planimetria del sito di Marina
Porto Antico
Marina Porto Antico (figura 5.3), che si
trova all’interno del bacino del Porto di
Genova, ha conseguito la certificazione
ambientale ISO 14001, con la consulenza
tecnica di Servizi Industriali Genova SIGE, rilasciata dal RINA nell’ottobre del
2000. Questo riconoscimento rientra in un
progetto più ampio del Consorzio Ligure
dei Porti Turistici, a cui fa capo Marina
Porto Antico, che prevede la futura certificazione di altri porti turistici liguri che
fanno parte dello stesso consorzio.
Questo investimento della Marina Porto Antico S.p.A. ha ricevuto l’appoggio
della Regione Liguria che ha finanziato in
parte il progetto, riconoscendo in esso un
primo passo verso uno sviluppo sostenibile della costa ligure.
Marina Porto Antico comprende un
molo principale che dall'estremità di Ponte Morosini si protende verso il centro del
Porto Antico di Genova. Da questo molo,
destinato ad ospitare le imbarcazioni più
grandi, ne dipartono quattro minori. I pontili affiancati ai moli storici esistenti e lungo il perimetro a mare dei nuovi edifici di
ponte Calvi e Ponte Morosini completano
la struttura.
La struttura è stata costruita su un’area
precedentemente occupata da edifici adibiti a magazzini o uffici (silos vinari della
Società Denaro, uffici della Corsica Ferry
e sede nautica della Capitaneria di porto).
Sui materiali usati per la costruzione
dei pontili esposti agli agenti marini risulta eseguito uno speciale ciclo protettivo
che offre garanzie di sicurezza e durata
nel tempo. I pontili poggiano su pali incamiciati in acciaio, per garantire il passaggio della corrente ed eliminare il fenomeno ”risacca”.
Il complesso di Marina Porto Antico può
contare su 270 ormeggi per imbarcazioni da
10 a 40 metri di lunghezza. All'interno della
Marina si trova una piccola Darsena dove
sono stati realizzati alcuni posti barca per
imbarcazioni dai 5 ai 7 metri.
✓ I servizi tecnici di banchina presenti
sono:
colonnine acqua/energia elettrica, cabine telefoniche, smaltimento batterie,
pulizia pontili e ritiro rifiuti in banchina, servizio antincendio.
✓ Il servizio di assistenza prevede:
servizio di assistenza all’ormeggio,
ascolta VHF canale 74, assistenza subacquea, guardianaggio, servizio meteorologico, cantiere Marina Service.
✓ Sono presenti inoltre:
sistema di illuminazione, servizi igienici e docce, trasporto bagagli con auto
elettrica, deposito attrezzature, parcheggio autovetture all’interno dell’autosilo, stazione di rifornimento carburante.
Prima di procedere all’implementazione del Sistema di Gestione Ambientale ,
Marina Porto Antico ha effettuato un’Analisi Ambientale Preliminare con la funzione di fotografare la situazione di partenza
e di individuare gli aspetti su cui è neces-
Figura 5.4 - Veduta dall’alto dei sito
di Marina Porto Antico
sario intervenire per ridurre gli impatti ed
iniziare il processo di miglioramento continuo.
Nel caso di Marina Porto Antico la “fotografia iniziale” ha avuto difficoltà a considerare alcuni aspetti a causa della breve
storia del complesso. Questo è stato il caso, ad esempio, dei consumi di materie
prime, idrici, energetici e di combustibile.
In particolare la mancanza di prelievi
ed analisi per una valutazione dello stato
dello specchio d’acqua in concessione e
dei sedimenti relativi a tale area è causata
dal fatto che il porto turistico si trova
all’interno di un bacino già notevolmente
urbanizzato, e incide quindi in modo poco
significativo sullo stato delle acque.
6.CONCLUSIONI
Malgrado si parli già da tempo di turismo sostenibile o ecoturismo, l’attuale relazione tra turismo ed ambiente è ancora
troppo basata su uno sfruttamento delle risorse distante dai principi definiti nella
Conferenza di Rio.
Le norme volontarie possono effettivamente rappresentare un’occasione per dare origine ad un nuovo corso della vita
8
economica, sociale, ed in generale gestionale del territorio.
A distanza di due anni dalla certificazione del sito di Marina Porto Antico, si è
notato un miglioramento evidente per
quanto riguarda la consapevolezza della
direzione e dei dipendenti sulla tutela e rispetto dell’ambiente e sul possibile impatto derivante dalle proprie attività.
Ciononostante risulta ancora difficile
ottenere una misurazione vera e propria di
miglioramento degli impatti delle diverse
attività del porto, soprattutto a causa della
localizzazione del sito che si trova immerso in un centro cittadino già estremamente
antropizzato, in cui si hanno impatti molto
elevati derivanti da altre attività che avvengono in prossimità e che si sovrappongono agli impatti del porto turistico.
Quindi si ritiene che nel complesso la
certificazione del sito abbia portato risultati positivi come già sottolineato, principalmente per quanto riguarda la sensibilizzazione del personale e della direzione.
PRINCIPALI RIFERIMENTI
BIBLIOGRAFICI
[1] Commission RAMOGE, 2001 – Le Management environnemental des ports de
plaisance, guide à l’attention des gestionnaires et exploitants –
HS+E magazine
[2] ANPA, 1998 – Linee guida per l’applicazione del Regolamento CEE 1836/93
(EMAS) e della norma ISO 14001 da
parte della Piccola e Media Impresa –
[3] UNI-Milano, 1997 - Gestione ambientale: adesione al reg. CEE 1836/93
“EMAS” e norme ISO 14000 [4] ENEA, 1998 – L’impresa e lo sviluppo
sostenibile, i sistemi volontari di gestione ambientale EMAS –
[5] Commission RAMOGE, 2000 – Expertise environnementale des Ports de Plaisance de la zone RAMOGE –
[6] UNEP, 1995 – Guidelines for Integrated
Management of Coastal and Marine
Areas.
*Laureata in Scienze Ambientali all’Università degli Studi di Genova, attualmente frequenta il Master GESAL all’Università di Milano Bicocca
**Dipartimento per lo studio del Territorio
e delle sue Risorse - Università di Genova
***Dipartimento di Ingegneria Chimica e
di Processo “G.B. Bonino” – Università di Genova.
ENVIRONMENTAL MANAGEMENT SYSTEMS APPLIED TO
TOURIST HARBOURS
In the last few year, environmental safeguard has become a top priority for
most of the parties involved.
With the progressive increase in tourist harbours along the coasts, in boats
tonnage and due to their longer permanence in harbours, also thanks to the improvement of services offered, the need to
take into due account pollution sources
related to tourist harbours has arisen,
thus imposing to assess and control relevant environmental impacts.
Environmental management provides
for companies to implement a system based not only on trying to avoid passing
law limits but also on a programme for
the continual improvement of company
behaviour towards the surrounding environment.
The management of environmental issues is an essential aspect strongly related to the company consideration of quality. It is inconceivable for a company to
operate under quality assurance conditions while not being able to provide
adequate answers to its Clients, to relevant Authorities (as to laws and regulations), to its collaborators (as to safetyrelated aspects), to the public (as to environmental and image-related issues).
For this reason, the environmental
certification is an important means of
communication aimed at clearly conveying a strong commitment of the company to the respect for the environment.
The implementation procedure of an
Environmental Management System to a
tourist harbour highlights 5 essential
connected steps:
1. Classification of the harbour area
2. Preliminary environmental analysis
3. Definition of environmental policy
and objectives
4. Structure and organisation of the
Environmental Management System
5. Implementation and control of the
Environmental Management System
Following the Environmental Management System control and should targets
set be achieved, a virtuous circle defined
as continual improvement process is triggered off, leading to increasingly more
important and demanding objectives as
to environmental safeguard.
9
HS+E magazine
L’esplosivo: un’arma economica e sicura
per trasformare le nostre città
Massimo Viarenghi*,
Claudio Mattalia**
In un paese sempre più saturo di ferro e
cemento si sta facendo avanti la convinzione che siano necessarie mosse strategiche
per il rinnovamento, l’ampliamento dei
centri urbani e il riutilizzo di nuovi spazi
occupati da vecchi insediamenti industriali;
ne deriva la consapevolezza che un buon
contributo alla qualità dell’ambiente cittadino può essere rappresentato anche da
azioni di demolizione nei punti nevralgici
delle aree urbane ed industriali.
Nel contesto italiano, infatti, quello che
manca è la cultura della demolizione, un
movimento di pensiero che spinga ad
un’applicazione più incisiva di questa tecnologia. Il culto della conservazione, d’altronde, sembra escludere a priori la demolizione anche delle strutture più obsolete e
prive di qualsiasi pregio architettonico.
Gran parte degli edifici di cui si discute
la demolizione è stata costruita tra gli anni
‘50-’60 per rispondere alla crescente domanda di abitazioni privilegiando la quantità costruttiva piuttosto che la qualità.
In questo senso l’Italia è il fanalino di
coda dell’Europa; in Francia, Inghilterra e
Germania, l’utilizzo della demolizione, finalizzata al rinnovamento cittadino, è radicata da diversi anni. Negli Stati Uniti la
situazione è ancora diversa, oltre oceano
le tecniche di demolizione sono così perfezionate e sono entrate a fare parte della
filiera del rinnovamento delle città e delle
periferie.
Tuttavia qualcosa sta cambiando: la
sempre crescente necessità di nuovi spazi
per costruire, la necessità di rinnovamento
e recupero urbano fanno sì che la demolizione divenga sempre più un’esigenza
ineludibile, in aggiunta a questo fattore è
necessario sottolineare che la demolizione
dell’esistente per ricostruire non solo costa circa un terzo rispetto alle operazioni
di restauro, ma permette di ricostruire edifici con tipologie e dotazioni di standard
più adeguati.
In questo panorama la demolizione deve rispondere a diverse esigenze: ridurre il
più possibile i costi e tempi dell’intervento, garantire la sicurezza e la tutela dei lavoratori durante le operazioni di demolizioni e non generare disturbi o impatti
ambientali.
Attualmente, le tecniche in uso per la
demolizione di strutture complesse come
fabbricati industriali o di edifici, possono
essere suddivise in due grandi categorie:
le tecniche di demolizioni convenzionali
con escavatori muniti di pinze e frantumatori e le tecniche di demolizione non convenzionali con esplosivo.
Quando le demolizioni rientrano nel
campo degli interventi che mirano ad eli-
minare un pericolo o un ingombro costituito da strutture instabili o non più utilizzate, oppure a recuperare superfici occupate
da strutture dismesse, da costruzioni abusive o ecologicamente inquinanti, l’esplosivo offre i vantaggi di rapidità di esecuzione, di minor disagio per la popolazione
e maggior sicurezza per gli addetti ai lavori, soprattutto per strutture di elevata altezza (oltre i 12-15 m).
Le tecniche di demolizione con esplosivo sono applicabili in qualsiasi luogo ed
a qualsiasi tipo di costruzione dove, con il
termine costruzione si intende non solo
l’edificio in se stesso ma anche strutture
industriali, silos, ponti e ciminiere.
Con queste tecniche, utilizzando le sinergie tra ingegneri e artificieri, si è in
grado di ridurre in pochi secondi strutture
poderose in un “mucchio di macerie composte” senza il minimo danno per gli edifici limitrofi anche se distanti pochi metri.
Nella demolizione con esplosivo si produce l’indebolimento della struttura, modificandone lo schema statico, mediante la
detonazione di cariche di esplosivo piazzate in punti strategici; il cedimento o
l’abolizione di alcuni degli elementi portanti crea un cinematismo che evolve in
crollo per azione della forza peso.
Le strutture possono essere demolite
secondo diverse modalità, tra cui le più
utilizzate sono l’implosione e il ribaltamento.
10
HS+E magazine
Foto 1: Torre piezometrica demolita
con la tecnica di ribaltamento
(foto by Esplodem Service).
Quando una struttura viene demolita
utilizzando la tecnica dell’implosione si
eliminano i vincoli interni del manufatto
utilizzando cariche microritardate partendo dal centro fino alla periferia; in questo
modo si induce la struttura a collassare su
se stessa rimanendo mediamente all’intermo del suo volume iniziale.
Il ribaltamento consiste nella caduta laterale del manufatto: eliminando con le
cariche di esplosivo una porzione di appoggio della struttura si crea artificialmente un asse di cerniera tra terreno e costruzione, la struttura inizia così a ruotare
quasi rigidamente attorno a questo asse
creando le condizioni cinematiche per il
crollo, sotto l’azione della forza peso.
Questa tecnica viene solitamente utilizzata
per demolizioni di strutture snelle come
edifici di elevata altezza ciminiere e torri
piezometriche, si veda la foto n.1.
Condizione per l’applicabilità di questa tecnica è la presenza, lungo almeno
una facciata della struttura, di un area libera per accogliere il crollo, viceversa,
ove non sussistano gli spazi di caduta, si
utilizza la tecnica dell’implosione, si veda
la foto n.2.
In entrambe le tecniche il direzionamento viene ottenuto temporizzando le
cariche di esplosivo, il cui compito è eliminare taluni vincoli strutturali (appoggi
e incastri), secondo una ben prestabilita
sequenza trasformandoli in cerniere che
producono una variazione dello schema
statico strutturale, (da iperstatico a labile)
direzionando le altre parti della struttura
risparmiate dalla detonazione delle cariche.
Per quanto riguarda il dosaggio
dell’esplosivo, esso deve essere in quantità “sufficiente e necessaria” alla disgregazione degli elementi strutturali per produrre il crollo; qualsiasi dose eccessiva, infatti, non aiuta maggiormente l’effetto ma
favorisce solo il rischio di proiezioni di
detriti dagli elementi minati.
La previsione e il monitoraggio di tutti
i disturbi (vibrazioni, sovrapressioni, rumori, proiezioni di detriti) legati all’utilizzo di esplosivo in ambienti antropizzati
fanno sì che in un progetto di demolizione con esplosivo nulla venga lasciato al
caso elevando gli standard di sicurezza fino a superare, in diversi casi, quelli delle
tradizionali demolizioni con mezzi meccanici.
Nelle demolizioni con mezzi meccanici, infatti, gli operatori infatti sono continuamente a contatto con il manufatto in
demolizione e sovente i costi per garantire
un ambiente di lavoro sicuro sono elevati.
Utilizzando l’esplosivo, invece, oltre alla
possibilità di eseguire la demolizione utilizzando unicamente una meccanizzazione
leggera, si ha il vantaggio di operare sulla
struttura integra, o eventualmente indebolita a ragion veduta senza comprometterne
la stabilità, nel corso dell’intera fase preparatoria, mentre ovviamente nella fase
conclusiva il personale è in sicurezza, lontano dalla struttura da demolire.
Foto 2: Complesso industriale in pieno centro
cittadino demolito con la tecnica dell’implosione - (foto by Esplodem Service).
In definitiva, l’utilizzo dell’esplosivo
per le operazioni di demolizione è un’arma vincente, economica e sicura da utilizzare per il rinnovamento ed il miglioramento dell’assetto edilizio nazionale.
*Ingegnere, Responsabile settore demolizioni e sicurezza ENVIARS, Chieri TO
**Ingegnere, Responsabile tecnico ENVIARS, Chieri (TO)
11
HS+E magazine
The Royal Society for the Prevention
of Accidents (RoSPA)
Inizia con questo numero di HS+E
Magazine, la pubblicazione di una serie di articoli che illustrano la storia e
la “mission” delle principali Istituzioni ed Agenzie internazionali private o
governative che, in diverso modo,
hanno contribuito a sviluppare e diffondere la cultura della sicurezza e
della salute dei lavoratori nonché la
cultura del soccorso e del salvataggio
sia in ambito civile che industriale.
In seguito ad una conferenza pubblica
sulla sicurezza del traffico tenutasi nel
1916 a Londra presso la Caxton Hall fu
deciso di creare un comitato, denominato
“London Safety First Council”, con lo
scopo di promuovere iniziative contro
l’allarmante aumento di incidenti stradali
causati dal sempre più caotico traffico della capitale britannica. Nel 1941 fu poi
adottata l’attuale denominazione di Royal
Society for the Prevention of Accident
(RoSPA). L’Associazione che già nei primi anni dopo la sua creazione all’obiettivo
originario di occuparsi di sicurezza stradale e dei trasporti aveva affiancato l’attività
di prevenzione in altri settori, si è sempre
distinta per iniziative originali e campagne
pubbliche che spesso hanno portato
all’emanazione o alla modifica di leggi riguardanti la sicurezza dei cittadini.
Già nel 1918 fu istituita la “British Industrial Safety First Association” allo scopo di promuovere la sicurezza nel mondo
del lavoro.
Negli anni ‘20 l’Associazione risultò
fortemente impegnata nella produzione di
filmati educativi e nella promozione di
concorsi in ambito scolastico in cui evidenziava l’importanza della prevenzione
quale misura primaria per la drastica riduzione degli infortuni in ambito scolastico,
casalingo e durante le attività ricreative.
In materia di regolamentazione del traffico occorre ricordare che a livello mondiale l’Associazione si è per prima battuta
per la realizzazione degli attraversamenti
pedonali segnalati, per l’adozione dei semafori temporizzati e per il divieto d’uso
dei fari abbaglianti all’incrocio con altri
veicoli.
È curioso notare come nel 1925 alcune
imprese assicuratrici si rifiutarono pubblicamente di appoggiare una associazione le
cui attività, volte a ridurre gli incidenti,
avrebbero verosimilmente portato ad una
diminuzione dei premi!.
Nel 1933 fu prodotto in 10.000 copie
(subito andate a ruba) il primo opuscolo
inerente la sicurezza domestica.
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Sempre in quell’anno il Duca di York e
Sir Malcom Campbell (famoso recordman
di velocità e futuro presidente dell’Associazione) presero parte ad un filmato promozionale in tema di sicurezza stradale
mostrato a più di 250.000 studenti.
Nel 1942 furono creati 62 poster sul tema della sicurezza nei diversi ambienti di
lavoro; furono distribuiti in oltre mezzo
milione di copie ed esposti per un certo
periodo anche al Museum of Modern Art
di New York. Alla fine degli anni ’40 si
incrementò ulteriormente l’impegno nelle
campagne di promozione per la sicurezza
domestica. Dall’inizio degli anni ’50 in
poi l’Associazione divenne meglio strutturata potendo contare su centinaia di comitati di zona che localmente potevano
promuovere la sicurezza nei tre settori
principali – traffico e trasporti, domestico/
ricreativo e ambienti di lavoro.
Tra questo periodo e la fine degli anni
‘60 RoSPA si fece promotrice di diverse
leggi governative riguardanti tra l’altro:
- l’obbligo dell’uso del casco per i motociclisti;
- la revisione della segnaletica stradale;
- le sanzioni relative alla guida in stato
di ebbrezza;
- l’obbligo di adozione di un sistema di
chiusura di sicurezza per i contenitori
dei medicinali;
- la sicurezza nelle attività ricreative in
ambiente acquatico
- la sicurezza dei giocattoli
Nel 1971 fu pubblicato il primo numero di “Occupational Safety & Health
Journal”, ancora oggi tra i più rinomati
periodici internazionali in materia di sicurezza ed igiene industriale.
Nel 1976 l’Associazione trasferì la propria sede da Londra a Birmingham diventando da lì a breve uno dei promotori
dell’importante “Safety and Health Expo”
che si svolge ancora oggi all’interno dei
padiglioni del NEC –National Exhibition
Centre.
Gli anni ’90 hanno visto L’Associazione impegnata su diversi fronti tra cui la sicurezza delle attrezzature elettriche, la sicurezza nei trasporti pubblici, negli sport
acquatici e nell’utilizzo dei velocipedi da
parte dei minorenni.
Tra le più recenti campagne condotte
da RoSPA si segnala quella contro l’utilizzo in auto dei telefoni cellulari.
12
HS+E magazine
l’amianto, Un tema d’attualità anche nel futuro
Davide Mazzotti*, William Vandini**
L’amianto, dal greco Amiantos (immacolato, incorruttibile)
o Asbesto (perpetuo, incombustibile) indica una serie di minerali fibrosi appartenenti alle famiglie dei silicati e nello specifico
ai serpentini (fillosilicati) ed agli anfiboli (inosilicati).
L’amianto è conosciuto ed utilizzato fin dall’antichità:
dall’uso durante i riti funerari di Romani e Persiani, all’uso
come fibra tessile in Cina, descritto da Marco Polo, fino
all’utilizzo nel 1600 in alcune medicine.
Nel 1893 in Austria inizia la produzione di cemento amianto; negli anni seguenti questo minerale acquista sempre più
importanza, arrivando all’apice della produzione e
dell’utilizzo negli anni ‘50-’70.
Sono stati stimati oltre 3000 prodotti contenenti amianto
tra i quali lastre in cemento-amianto, tubazioni, serbatoi per acqua, canne fumarie, intonaci, vernici, isolanti termici (pannelli,
tessuti, guarnizioni, ecc.), pavimentazioni (vinil-asbesto), indumenti (guanti, tute) e componenti per freni e frizioni.
A seconda della famiglia di silicati a cui appartengono e
della specifica composizione chimica, sono diversi i tipi di
amianto utilizzati.
Per quanto riguarda l’amianto di serpentino l’unica forma
utilizzata è il Crisotilo o asbesto bianco [Mg3Si2O5(OH)4], un
silicato di magnesio, ritenuto meno pericoloso delle altre ti-
Tipo di materiale/utilizzo
pologie di amianto per la caratteristica delle fibre di essere
difficilmente inalabili.
Il D.Lgs 277/91 fissa il limite di esposizione per il Crisotilo a 0,6 fibre/cc).
Tra gli amianti di anfibolo utilizzati troviamo la Crocidolite o amianto blu [Na2(Mg,Fe)5Si8O22], l’Amosite o asbesto
bruno [(Mg,Fe)7 Si8O22(OH)2] e, in maniera meno diffusa,
l’Actinolite, la Tremolite e l’Antofillite. Gli amianti di anfibolo, per le caratteristiche aghiformi delle fibre, sono ritenuti
assai pericolosi; per questi il D.Lgs 277/91 fissa il limite di
esposizione a 0,2 fibre/cc. Il limite fissato dall’ ACGIH
(TWA) è invece più restrittivo e pari a 0,1 fibre/cc per tutti i
tipi di amianto.
In Italia il 75% dell’amianto utilizzato è Crisotilo.
Nella tabella seguente si riportano i principali utilizzi
dell’amianto (o suoi composti), con l’indicazione della tipologia di amianto generalmente presente e con la caratteristica,
propria del materiale, di rilasciare fibre, caratteristica correlata principalmente alla friabilità o compattezza del materiale
stesso.
Si ricorda che, secondo la definizione presente nel DM
06/09/94, si definiscono friabili i materiali che possono essere
facilmente sbriciolati o ridotti in polvere con la semplice
pressione manuale, mentre si definiscono compatti i materiali
duri che possono essere sbriciolati o ridotti in polvere solo
con l’impiego di attrezzi meccanici.
Amianti utilizzati
Caratteristiche
Prodotti in cemento-amianto
In genere tali prodotti contengono il
10-15% di asbesto bianco (Crisotilo);
si possono però trovare prodotti contenenti anche Crocidolite ed Amosite
(tubi, lastre)
Materiali compatti, possono rilasciare fibre se lavorati o deteriorati
Cartoni, carte ed affini
Generalmente costituiti da Crisotilo
al 100%
Sono soggetti a facile usura o deterioramento; rilasciano facilmente fibre se maneggiati.
Rivestimenti isolanti
(tubazioni, caldaie)
Tutti i tipi di amianto
Materiali friabili se non ricoperti bene ed uniformemente, o se la ricopertura è deteriorata, la possibilità
di rilascio di fibre è alta.
Rivestimenti a spruzzo
In genere fino all’85% di amianto
prevalentemente amosite
Funi, corde, tessuti
Tutti i tipi di amianto con prevalenza
di crisotilo
Elevata friabilità e possibilità di rilascio fibre.
Possibilità di rilascio fibre se maneggiati.
Prodotti bituminosi, pavimenti vinilici, stucchi, mastici, vernici
Tutti i tipi di amianto
Materiali compatti, la possibilità di
rilascio fibre è limitata alla lavorazione di detti materiali (taglio, abrasione, perforazione)
13
HS+E magazine
Aspetti normativi
Diverse sono le leggi che disciplinano la materia amianto;
lo storico è riassumibile con tre norme principali: il DPR
1124 del 30.06.65 (disposizioni speciali per la silicosi e
l’asbestosi), la Circolare Ministero della Sanità n. 45 del
10.07.86 (interventi da effettuarsi negli edifici scolastici ed
ospedalieri all’interno dei quali vi sia amianto o materiali che
lo contengono) ed il DPR 215 del 24.05.88 (limitazioni e divieti riguardanti l’uso della crocidolite e l’etichettatura dei
tipi di amianto diversi dalla crocidolite).
Solo nel 1991, con l’emanazione del D.Lgs. 277 del
15.08.91 (protezione dei lavoratori contro i rischi connessi
all’esposizione ad amianto durante il lavoro), si pone
l’attenzione specifica sull’esposizione ad amianto in ambito
lavorativo. Il D.Lgs. 277/91 anticipa, per quanto riguarda
l’amianto (il piombo ed il rumore), il D.Lgs. 626/94.
Fa seguito al D.Lgs. 277/91 la Legge 257 del 27.03.92
(concernente norme relative alla cessazione dell’impiego
dell’amianto) con la quale si decreta la fine dell’estrazione di
amianto e della produzione di qualsiasi materiale che lo contenga e l’obbligo di denuncia dei materiali friabili da parte
dei detentori. Questa legge introduce inoltre (art. 13) la possibilità a chi è stato esposto all’amianto (secondo le diverse
ipotesi specificate nella Circolare INAIL n. 252 del 23.11.95)
di usufruire di benefici pensionistici: in maniera di 0,5 anni
in più di contribuzione figurativa per ogni anno di esposizione per un periodo superiore a 10 anni.
Successivamente il D.M. 06.09.94 (norme e metodologie
di applicazione della legge 257/92) fornisce i principi per la
valutazione del rischio da esposizione ad amianto, definisce il
concetto di compatto e friabile ed introduce il monitoraggio
del degrado dei manufatti in cemento amianto.
In seguito sono state emanate altre leggi sempre più focalizzate alla dismissione dei materiali contenenti amianto,
come ad esempio il decreto Ronchi (D.Lgs. 22/97), o alla prevenzione e monitoraggio dell’inquinamento ambientale da fibre di amianto (D.Lgs 114/95).
Aspetti medico-sanitari
È ormai certa la cancerogenità delle fibre di amianto.
Le fibre di amianto maggiormente pericolose risultano essere quelle con rapporto
lunghezza/diametro > 3 ed in particolare
con lunghezza maggiore di 5µm e diametro
inferiore a 3 µm.
La via di penetrazione principale
nell’organismo umano è sicuramente quella
respiratoria, ma può essere rilevante anche
quella digestiva.
Le principali malattie correlate ad una
esposizione a fibre di amianto sono
l’asbestosi (fibrosi interstiziale progressiva
del polmone con diminuzione irreversibile
della capacità respiratoria), il mesotelioma
pleurico-peritoneale (tumore maligno della
membrana di rivestimento del torace o
dell’addome; sembra provocato esclusivamente da amianti di tipo anfibolico), il cancro polmonare e il cancro laringeo.
L’origine del mesotelioma è ad oggi
correlabile esclusivamente all’inalazione di fibre (con esposizioni anche non intense) di amianto o all’irradiazione di alte
dosi di radiazioni ionizzanti. Il rischio di mesotelioma
dipende dal tipo di fibra e dall’intensità dell’esposizione,
nonostante non esista una dose-soglia di inalazione di fibre al
di sotto della quale può essere esclusa la possibile azione carcinogenetica.
Già da tempo l’ISPESL, in collaborazione con i COR
(Centri Operativi Regionali), ha prodotto numerose ricerche,
il registro nazionale dei mesoteliomi e le linee guida per i
lavori in presenza di amianto.
Tralasciando le problematiche connesse all’amianto friabile (utilizzato soprattutto come isolante per tubazioni, rivestimenti o riempimento di pannelli isolanti o per intonacature)
che per legge deve essere denunciato alle Autorità Competenti e reso “innocuo” vista l’estrema pericolosità, vogliamo in
questa sede prendere in considerazione il cemento amianto,
più conosciuto come “eternit”, oramai ubiquitario in ambito
industriale, artigianale ma anche civile (in fig 1 una caratteristica copertura in lastre ondulate di eternit).
Figura 1. Una copertura in lastre ondulate di eternit.
14
L’eternit fa parte della categoria dei materiali compatti; negli
anni è stato utilizzato soprattutto a copertura di capannoni industriali e artigianali, di edifici civili, di tettoie o per la
costruzione di tubazioni, serbatoi o pareti interne.
L’eternit, se in buone condizioni di conservazione, non è
pericoloso in quanto le fibre di amianto sono “immerse” in
una matrice di cemento che non ne permette il rilascio; i
problemi nascono quando la matrice comincia a sgretolarsi.
In linea generale possiamo affermare che l’eternit, all’interno
di edifici, capannoni, eccetera, può rappresentare un pericolo
solo se lavorato (forato, molato, levigato o tagliato) mentre
per quanto riguarda l’eternit presente all’esterno, il discorso
cambia e non è possibile generalizzare.
All’esterno infatti sono diversi i fattori che possono intaccare il cemento amianto tra i quali i fattori meteo climatici
(pioggia, alternanza di caldo e gelo) e la formazione di organismi quali muschi, licheni, ecc.; le azioni prodotte da questi
fattori possono provocare la disgregazione della matrice con
il conseguente rilascio di fibre nell’ambiente.
Attualmente, essendo messa al bando la produzione e la
lavorazione di manufatti contenenti amianto, gli unici lavoratori che, in base alla definizione della 277/91, risultano “esposti” sono gli addetti alle operazioni di bonifica (rimozione,
inertizzazione, incapsulamento).
Tali operazioni sono quindi soggette ad una accurata
valutazione dei rischi e alle prescrizioni per la tutela della salute dei lavoratori contenute nel D.Lgs 277/91. L’amianto ed i
sui derivati sono però presenti in maniera massiccia intorno a
noi e la potenzialità di rilascio di fibre nell’ambiente può rap-
HS+E magazine
presentare un pericolo anche per quei lavoratori classificati
come “non esposti” o che magari operano in aziende che non
hanno manufatti in amianto. Ma non solo, anche chi vive nei
pressi di strutture con coperture in eternit può essere a rischio.
Considerato per tanto che il rischio è connesso allo stato di
conservazione, risulta assai chiaro come un controllo periodico delle coperture in eternit sia necessario.
Le Autorità già da tempo auspicano un controllo periodico delle condizioni delle lastre; in particolare la Regione
Emilia Romagna ha emesso la Delibera del Consiglio Regionale 497 del 11/12/1996.
Tale controllo rientra comunque tra gli obblighi imposti
anche dal D.Lgs 626/94 in quanto, in presenza di una sostanza
pericolosa, è necessario effettuare la valutazione del rischio.
Quindi, anche per tutelare chi non è esposto professionalmente, il Datore di lavoro, il detentore o il proprietario di
strutture con coperture o pareti in cemento amianto deve valutare il pericolo di rilascio di fibre nell’ambiente.
La valutazione dello stato di conservazione e del possibile
rilascio di fibre in ambiente ha una metodologia normata dal
DM 6/9/94 di cui si riporta una sintesi.
Esame visivo: consiste nell’esame visivo delle condizioni
delle strutture e nell‘esecuzione di prove sullo stato di integrità del materiale in relazione alla compattezza, alla presenza di zone con affioramento di fibre e/o sfaldamenti,
crepe e/o rotture, alla presenza di materiale friabile o
polverulento in grondaia o stalattiti. Dai risultati
dell’ispezione visiva viene quindi elaborata una scheda con
15
HS+E magazine
assegnazione di un punteggio ai vari parametri dalla cui
somma viene infine estrapolato il giudizio sullo stato di
conservazione della copertura e le conseguenti azioni da
adottare.
Campionamento con metodo a strappo: viene utilizzato, ad
integrazione dell’esame visivo, come indagine analitica finalizzata alla valutazione della compattezza del materiale
mediante la determinazione delle fibre libere, e/o facilmente liberabili, presenti sulla superficie.
L’applicazione del metodo “a strappo” è disciplinata dalla
Norma UNICHIM 10608 e consiste nell’applicazione di
uno speciale nastro adesivo sulla lastra indagata (fig. 2) e
successiva determinazione ponderale della massa di materiale distaccato: dal risultato ottenuto in termini di peso viene estrapolato il giudizio sullo stato della superficie delle
lastre.
Figura 2. Le quattro fasi del metodo di campionamento a “strappo”.
Microscopia ottica in luce polarizzata (MOLP): si utilizza
per definire la presenza/assenza di amianto nel materiale.
Le verifiche devono essere condotte da personale adeguatamente formato che abbia frequentato il corso riconosciuto dalla Regione per “addetto alle attività di rimozione e
smaltimento dell’amianto e di bonifica delle aree interessate e
dirigente gestione del rischio“.
La relazione tecnica che segue agli esami in campo, oltre
a fornire indicazioni sul rischio amianto e sulle possibili
soluzioni tecniche per diminuire tale rischio (se necessario),
potrà essere presentata agli organi di controllo quando richiesto. Se infatti le coperture risultano essere in cattivo stato di
conservazione, con un possibile rilascio di fibre, il Datore di
Lavoro dovrà attuarne la messa in sicurezza.
Tra le varie possibilità che si presentano, oltre chiaramente alla rimozione dei manufatti in amianto, vi sono
l’incapsulamento e la ricopertura.
Tali tecniche, che non sempre sono la soluzione più economica, rappresentano un buon compromesso tra la salvaguardia della salute dei lavoratori, la produzione di rifiuti e la
durata degli interventi nel tempo.
** Dottore in Scienze Ambientali
Project Manager - Techno srl (RA)
E-Mail: [email protected]
Fase 1
***Chimico
Libero Professionista - già Direttore ARPA (RA)
Fase 2
Fase 3
Fase 4
Amianthus, from the Greek “Amiantos” (spotless, imperishable), or Asbestos (everlasting, non-flammable) indicates a variety of fibrous minerals belonging to the families
of silicates and, in particular, to serpentines (phyllosilicates) and to amphiboles (inosilicates).
Asbestos fibres carcinogenity is by this time certain.
The most dangerous asbestos fibres are those with a length/
diameter ratio > 3 and in particular those longer than 5µm
and with a diameter smaller than 3 µm.
The main route for penetration into the human body is certainly through the respiratory tract; however penetration
through the digestive apparatus may be remarkable as
well.
The asbestos-related discipline is regulated by Legislative
Decree 277/91 and by law 257/92, which suspend both asbestos extraction and the production of any material containing it while providing for the obligation to declare the
possession of friable materials.
However asbestos and its derivatives are massively present
all around us and the potential of fibres release into the environment may be a serious danger also for those workers
classified as “non exposed” or who operate within companies which do not deal with asbestos manufactured products.
For this reason Authorities involved hope for a periodical
check of the conditions of asbestos cement manufactured
products, mainly of those located outdoors, exposed to the
different atmospheric conditions.
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HS+E magazine
Ergonomia
Il termine ergonomia che deriva dal greco “ergon” - lavoro, azione e “nomos” - legge, governo, indica una “
disciplina che persegue la progettazione di prodotti, ambienti e servizi rispondenti alle necessità dell’utente,
migliorando la sicurezza, la salute, il comfort, il benessere e la prestazione umana”.
Si tratta quindi di una scienza interdisciplinare che riguarda l’ingegneria, l’anatomia, la biologia, la fisiologia, la
psicologia, la biomeccanica e la sociologia ”.
Il termine fu coniato dallo psicologo gallese K.F.H. Murrell il quale riteneva che i progettisti delle varie discipline dovessero interagire fra loro sulle problematiche progettuali ponendo al centro della ricerca l’uomo e le
sue esigenze operative.
Nel 1949 fu fondata in Inghilterra la prima società nazionale di ergonomia che si sviluppò rapidamente anche
negli Stati Uniti con il nome di I.E.A (Associazione Internazionale di Ergonomia) e in Italia con il nome di S.I.E
(Società Italiana di Ergonomia).
Il termine “ergonomia” comprende varie discipline e diversi aspetti tra i quali: la postura, la movimentazione
dei carichi, l’organizzazione del lavoro, l’interazione uomo-macchina, le condizioni degli ambienti di lavoro (illuminazione, microclima, rumore, lavoro al videoterminale...).
L’ergonomia risulta pertanto l’anello di congiunzione fra uomo-macchina-ambiente, tra i quali dovrebbe esserci un equilibrio tale da garantire la tutela della salute e il benessere per l’operatore.
Il punto di riferimento in materia di ergonomia in Italia è rappresentato dal Decreto Legislativo 626/94,
l’articolo 3 comma 1 lettera f) infatti riporta: “ le misure generali per la protezione della salute e per la sicurezza dei lavoratori sono “....” il rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta
delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, anche al fine di attenuare il lavoro monotono e quello ripetitivo”.
Risulta chiaro come per la legislazione l’obiettivo di questa nuova disciplina sia adattare il lavoro all’uomo,
non considerando solo i rischi ergonomici legati alla ripetitività, ma anche altri fattori legati all’ambiente, ai
rapporti interpersonali, ai fattori tecnici di costruzione e a quelli psico-sociologici.
Per quanto riguarda i principi tecnici dell’Ergonomia, sia per la progettazione/realizzazione di ambienti/attrezzature di lavoro, sia per la loro valutazione, vi sono diverse norme UNI e ISO; se ne riportano di seguito le
principali.
Tra le norme UNI troviamo:
UNI 8459 del febbraio ‘83 – Ergonomia dei sistemi di lavoro. Terminologia di base e principi generali;
UNI ENV 26385 del maggio ‘91 – Principi ergonomici nella progettazione dei sistemi di lavoro;
UNI 10380:1994/A1 dell’ottobre ‘99 – Illuminotecnica – Illuminazione di interni con luce artificiale;
UNI EN ISO 9241-5 del settembre ‘01 – Requisiti ergonomici per il lavoro di ufficio con videoterminali (VDT) –
Requisiti posturali e per la configurazione del posto di lavoro.
UNI EN ISO 9241-13 del maggio ‘02 – Requisiti ergonomici per il lavoro di ufficio con videoterminali (VDT) –
Guida per l’utente.
UNI EN ISO 9241-6 dell’ottobre ‘01 – Requisiti ergonomici per il lavoro di ufficio con videoterminali (VDT) –
Guida sull’ambiente di lavoro.
UNI 7367 – Posto di lavoro: scrivania e sedia, tavolo per video terminale
UNI EN 527-1 – Mobili per ufficio - Tavoli da lavoro e scrivanie – Dimensioni
UNI 10916 - Mobili per ufficio - Appoggiapiedi - Dimensioni e caratteristiche
Tra le norme ISO troviamo:
ISO 2631 – Esposizione dell’intero corpo a vibrazioni;
ISO 6385 – Principi ergonomici;
ISO 7730 – Comfort termico;
ISO 8995 – Illuminazione interna;
ISO/CD – Ergonomia – Movimentazione manuale dei carichi – Sollevamento e trasporto.
Numerosi sono inoltre gli studi effettuati da diversi enti tra i quali l’ISPESL, il NIOSH, l’ACGIH e le linee guida
emanate in seguito.
HS+E magazine
2004
✔
SICUR “14° Salone internazionale della sicurezza”
24 - 27 Febbraio • Madrid (E)
✔
S.I.E. Salone delle imprese edili e degli studi di progettazione
04 - 06 Marzo • Padova (I)
✔
SEP 2004 “ECO-TECHNOLOGIES EXHIBITION”
17 - 20 Marzo • Padova (I)
✔
Bica Biennale Internazionale Comunicazione Ambientale
24-27 Marzo • Venezia (I)
✔
Ergonomics Society Annual Conference 2004
14 - 16 Aprile • Swansea (UK)
✔
4th European Conference on Promoting Workplace Health
14-15 Giugno • Dublin (Ireland)
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HS+E magazine
Molte attività del commercio, dell’artigianato e del terziario in genere spesso presentano un livello di rischio
per la salute e la sicurezza degli operatori non sempre trascurabile.
La gestione di alcune tipologie di locali di intrattenimento quali le discoteche ed i pub sono caratterizzati da
problematiche specifiche alle quali occorre prestare la dovuta attenzione.
Ad esempio le normative anglosassoni pongono in capo al gestore di un pub l’obbligo di salvaguardare
l’incolumità dei propri dipendenti come quella degli avventori.
Anche in virtù della elevata diffusione di tali strutture nel Regno Unito sono stati svolti numerosi ed approfonditi studi in materia.
Sono state individuate quattro aree principali di rischio: l’incendio, il fumo di tabacco, le attrezzature di cucina (con particolare riferimento al rischio elettrico e meccanico), la movimentazione manuale dei carichi.
In generale viene individuato come fattore aggravante dei primi due punti l’alto affollamento che spesso caratterizza questa tipologia di locali nella fasce orarie preserali e serali.
Le Autorità e le Agenzie britanniche hanno messo a punto alcune interessanti check-list ad uso di chi deve
occuparsi di valutazione dei rischi in questo settore.
Una raccomandazione particolare è rivolta alla predisposizione di una adeguata procedura di emergenza ed
evacuazione.
La discussione maggiore in UK ruota comunque attorno all’opportunità di vietare il fumo nei pub che se da
una parte limiterebbe notevolmente il rischio di incendio e di contaminazione da fumo di tabacco dall’altra allontanerebbe forse la stragrande maggioranza degli avventori che per tradizione vedono il pub come luogo
per eccellenza per bere e fumare.
Una alternativa percorribile pare essere quella dell’adozione di innovativi impianti LEV (Local Exhaust Ventilation) ad alta efficienza in grado di mantenere un adeguato confort microclimatico estraendo, filtrando e riciclando l’aria climatizzata.
The RoSPA Occupational Safety and Health Journal
“Public Houses”
Peter Ellis
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HS+E magazine
Le attività lavorative svolte in prossimità di corsi d’acqua e bacini o all’interno di insediamenti portuali
presentano per gli operatori un rischio aggiuntivo dovuto al pericolo di caduta in acqua. Da tale premessa è nato questo Manuale sviluppato attraverso competenze interdisciplinari con l’intento di offrire a tutti coloro che si occupano di protezione dei lavoratori uno strumento per definire tutte le necessarie misure di salvaguardia.
Il libro partendo dai fondamenti di idrologia e meteorologia descrive le principali tecniche di organizzazione e gestione dei soccorsi, di ricerca e recupero in acque delimitate nonché le principali nozioni di
primo soccorso sanitario.
Una parte rilevante è anche dedicata ai criteri di scelta ed al corretto utilizzo di numerosi dispositivi utilizzabili nelle attività di ricerca e soccorso ed alla descrizione delle misure di sicurezza preventive. Non
mancano inoltre i riferimenti normativi nazionali ed internazionali.
Allegato al manuale vi è il pratico ed utile “libretto di addestramento” studiato appositamente per l’addestramento delle squadre di primo soccorso, che illustra gli esercizi da effettuarsi in acqua e gli obiettivi da raggiungere a seguito degli stessi.
abbonamenti
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“Manuale di salvataggio e recupero in acque portuali ed interne”
di Roberto Nicolucci
Ed. Alzani
€ 38,00 pp. 200
La pubblicità su HS+E magazine ha durata annuale (4 numeri), viene accettata a discrezione dell’Editore e fino ad
esaurimento degli spazi disponibili.
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compiere anche sul piano della qualità civile e sociale il passo in avanti che ha saputo compiere su altri fronti: stabilità monetaria, credibilità internazionale ecc. Una grande nazione è tale se riesce ad affermare tutti i valori fondanti della sua democrazia”.
HS+E starts the year 2004 with a typical Italian spirit. Despite the publishing strategy to be a “showcase” on the British and North European HSE
world (periodical press, technical literature, new equipment and technologies, etc.) with the aim of circulating the “HSE culture” widespread in
these countries, this issue deals with several safety issues, mostly concentrating on Italian case studies. The interview to Federica Guidi, Chairwoman of the “Giovani industriali dell’Emilia-Romagna” (Emilia Romagna Young Manufacturers Association) for a start, followed by environmental
management systems applied to tourist harbours and by the topical subject of demolitions as a conclusion. This because we deem it important to
know and let other workers know how HSE issues are experienced in our country.
Safety at work shall be considered as an essential right for people; it is not only a matter of laws, co-ordination, actions but above all a matter of
culture. This is one of the messages that HS+E is willing to convey to its readers. The Italian society is facing the globalisation and competitiveness
challenges by making efficient a public system aimed at assuring the protection of those social rights often trampled on or irreparably deteriorated
by the process of change. It is a challenge that institutions, social parties and the Italian society shall face all together. Safety at the workplace is
an essential step for Italy to make, in the civil and social sphere, the same progress already achieved in several other fields: monetary stability, trustworthiness at an international level, etc. A nation can be actually considered a “great” nation if all the values underlying its democracy are asserted and safeguarded.
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