sabato 8 DICEMBRE Partenza da Milazzo Arrivo a Bagheria Arrivo a Carini Arrivo a Terrasini ore 7,00 Ore 9,30 - Visita Villa Palagonia Ore 11,00 – Visita Museo Guttuso - Villa Cattolica Ore 13,00 – Pranzo Ore 15,00 - Partenza per Carini Ore 16,00 – Visita del Castello Ore 17,00 – Visita al Centro storico Ore 18,00 - Partenza per Terrasini ore 18,30 - Sistemazione in HOTEL - Città del Mare – Ore 20,30 - Cena Ore 22,00 - Serata danzante Domenica 9 Dicembre Colazione Ore 7,30 Partenza per Erice Ore 8,30 Arrivo Ore 9,15 - Visita guidata del patrimonio artistico di Erice Rientro a Terrasini Ore 12,45 Arrivo a Terrasini Ore 13,30 Pranzo PARTENZA PER REINTRO A Milazzo Ore 16,00 Quota di Partecipazione € 120,00 La quota comprende pensione completa Hotel Città del Mare Terrasini con sistemazione in camera doppia – Serata danzante -(I pasti in Hotel saranno serviti a buffet con più scelta di antipasti, primi, secondi , frutta e dessert. L’acqua liscia e frizzante , il vino rosso e bianco sono inclusi)- Pranzo c/o La Maison du Chateau a Bagheria - Ingresso a Villa Palagonia e al Museo di Guttuso a Bagheria – Ingresso al Castello di Carini e Visita guidata al Centro Storico – Visita Guidata ed ingressi ad Erice. Bus A/R In caso di avverse condizioni meteo la visita di Erice sarà sostituita dalla visita alla Cappella Palatina – Palazzo dei Normanni Palermo e al Duomo di Monreale In questo caso, in considerazione del maggior costo da sostenere per l‘ingresso alla Cappella Paladina a Palermo e a Monreale per l’ingresso al Duomo e per il parcheggio del Bus, sarà necessario un’integrazione del prezzo di €.10,00 BAGHERIA Uno dei più conosciuti e visitati monumenti di Sicilia: Villa Palagonia a Bagheria. Superba ed eccentrica villa che, già nel Settecento, viene visitata da illustri viaggiatori, che la considerano come il luogo "più originale che esiste al mondo e famoso in tutta Europa". La sua costruzione ebbe inizio nel 1715 per volere di Don Ferdinando Gravina e Crujllas, V principe di Palagonia, pari del regno, cavaliere del Toson d'oro, prestigiosa onorificienza dei re di Spagna. Per la progettazione di questa residenza di villeggiatura fu Gruppo di "mostri" incaricato il frate domenicano Tommaso Maria Napoli, architetto coadiuvatore del Senato di Palermo con la qualifica di "ingegnere militare". Come collaboratore nella direzione dei lavori della costruenda villa viene fatto il nome di un altro grande e stimato architetto siciliano:Agatino Daidone. Nel 1737, con la successione di Ignazio Sebastiano Gravina, erede del padre Francesco Ferdinando, iniziano i lavori per la realizzazione dei corpi bassi che circondano la villa, Francesco Ferdinando Gravina e Alliata. A questi, VII principe di Palagonia, si devono i lavori, intrapresi nel 1749, di completamento dell'intero complesso monumentale di villa Palagonia con le decorazioni e gli arredi interni ed esterni che hanno fatto conoscere nel mondo la sua residenza di Bagheria quale la "Villa dei Mostri", dovuta alla particolare decorazione che adorna i muri esterni dei corpi bassi, formata da statue in "pietra tufacea d'Aspra", raffiguranti animali fantastici, figure antropomorfe, statue di dame e Salone degli Specchi cavalieri, musicisti e caricature varie. La villa possiede uno straordinario disegno planimetrico unitario, con tutti gli elementi che si sviluppano e agiscono coordinatamaente rispetto all'asse baricentrico del viale. Molto particolare è lo scalone a doppia rampa, realizzato in pietra calcarea, sotto il fastoso principesco stemma della famiglia Gravina. Al piano nobile, si accede da un vestibolo ellittico fatto affrescare con scene raffiguranti le fatiche di Ercole, in omaggio al nuovo gusto di fine settecento, da Salvatore Gravina, successore del fratellastro Francesco Ferdinando II. F.sco Ferdinando Gravina II Alla sua destra la "Galleria o Sala degli specchi", con il soffitto interamente ricoperto da specchi, con dipinti raffiguranti una balaustra con sovrastante cielo e fantastici uccelli. Le pareti di questa grande sala sono adornate con finissimi marmi, con vetri colorati e da altorilievi marmorei rappresentanti il fondatore della villa e il nipote committente dei "mostri" con le rispettive mogli, antenati di casa Gravina e di illustri personalità delle case regnanti d'Europa.Sul pavimento un accurato disegno in marmo policromo del Settecento siciliano. Da questo ampio salone si accede alla sala della cappella e, di fronte ad essa, attraversando la "Sala degli specchi" si giunge nella sala del biliardo. Cappella esterna: facciata Dalla sala ovale d'ingresso si giunge anche negli appartamenti privati della villa, oggi non visitabili che sono costituiti da una serie di sale poste in "enfilade". Nel 1885 la villa fu acquistata dalla famiglia Castronovo che ancora oggi, grazie ai suoi eredi, rende possibile la visita ad uno dei più straordinari monumenti della civiltà barocca europea, creato nella terra di Sicilia. Villa CATTOLICA – BAGHERIA - IL MUSEO DI GUTTUSO Il Museo è allestito all'interno della settecentesca Villa Cattolica. Passato di mano in mano a diversi proprietari, l'edificio, nel 1973, venne acquistato dal Comune di Bagheria, limitatamente al piano nobile, per potervi allestire il Museo Civico. Una parte importante per la realizzazione del progetto l'ha avuta il contributo del pittore Renato Guttuso, originario del luogo. Infine, nel 1984, la Villa viene acquistata totalmente e adibita interamente a museo. Parte centrale della collezione del Museo è la raccolta di oltre cento opere di Renato Guttuso, in esposizione permanente. In un percorso di tredici sale, questi quadri offrono una panoramica sulla vita e la carriera del pittore e sono contornati da opere di altri artisti che sono entrati in contatto con Guttuso, quali Quattrociocchi, Tomaselli, Mafai, Scarpetta, Sanfilippo e Accardi e Perez. Di recente è stata istituita una sezione sul manifesto cinematografico degli anni dal 1928 al 1983. Nel giardino della Villa, dal 1990 sono conservate le spoglie del celebre pittore, all'interno di una monumentale arca realizzata dallo scultore e amico Giacomo Manzù. Villa Cattolica - Particolare e Visione laterale delle scuderie di Villa Cattolica e lo scempio della fabbrica retrostante Carini – Il Castello Il Castello di Carini, edificio che racchiude in se quanto meglio può restare dell'arte arabonormanna, del '400 e del '500 catalano e rinascimentale e del '700, e' oggi in avanzata fase di restauro; posto su di una rupe a 170 metri circa sul livello del mare, e' sorto per volere di Rodolfo Bonello il normanno, fra il 1075 ed il 1090, ma la struttura definitiva si e' avuta alla fine del secolo XVI. Ad una prima elaborazione araba ne seguì una seconda svevo-normanna che preparò l'assetto definitivo nel perfetto stile rinascimentale. Il primo vero restauro si ebbe al tempo di Vincenzo II La Grua. Lo documentano: -la data 1562 incisa nello stemma marmoreo dei La Grua che segna il compimento di un intervento edilizio nel castello (Gioacchino Lanza Tommasi "Castelli e Monasteri Siciliani" pag.7); -la scritta "RECEDANT VETERA" riportata sulla trabeazione della porta che immetteva nella stanza della baronessa Laura; -e la scritta "ET NOVA SINT OMNIA" sul portale di ingresso alla foresteria. Ci sono diverse tesi sul significato della frase "ET NOVA SINT OMNIA"; secondo la tesi di Gioacchino Lanza Tommasi, la frase assumerebbe un significato di rinnovamento culturale in campo sociale ed architettonico, incisa prima che avvenisse "l'eccidio della baronessa"; secondo la tesi di Don Vincenzo Badalamenti, tale scritta e' posteriore all'eccidio della baronessa e che il barone Vincenzo La Grua avrebbe preteso "la cancellazione di ogni presenza che potesse rimanere legata al ricordo della moglie infedele." Ultimo restauro si ebbe verso la fine del '700, quando era Principe di Carini Vincenzo IV La Grua ed Arciprete Don Carlo Ballerini, suo amico e collaboratore. Si accede al Castello per due grandi porte risalenti al XII secolo: la prima posta di fronte la Chiesa di S. Vincenzo, con arco a sesto acuto; da questa si accede alla seconda, che rappresenta la vera porta del Castello, tramite una rampa semicircolare pavimentata con ciottoli. In questa ultima si possono ammirare lo stemma che porta le armi dei La Grua e dei Talamanca, che sono rispettivamente la gru ed il leone rampante sulle onde disposte a scalinata. All'interno, attraverso un atrio quattrocentesco, si evidenzia la parete principale con la scalinata a sinistra, anche essa del '400, con i bellissimi portali della Foresteria e del Salone delle Feste, con le due grandi finestre e con il doppio arco classico a destra che immette nella Cappella. A sinistra si notano varie porticine che immettono nelle stanze riservate alla servitù, alle scuderie ed una fontanella con puttino di marmo a muro. A destra due scalette, attraverso un corridoio stretto, portano una nel bastione e l'altra nelle torri esterne. Particolare menzione merita il piano terra in cui si trovano la Cappella e la Biblioteca. La prima, almeno nel suo restauro più recente, risale al 1690. Il portale e' cinquecentesco ma privo di fregi; sulla porta c'e' un coretto da cui i Signori del Castello partecipavano alle Sacre Liturgie. L'altare e' in legno ed e' sormontato da una piccola statua in marmo dell'Immacolata con fregi d'oro realizzata dal Mancino nel 1509. A sinistra si trova la Biblioteca; doveva essere una grande stanza adorna di una ricca pinacoteca e contenente migliaia di libri rilegati in carta pecora, di cui oggi ne rimangono poco meno di un migliaio. Dalla bella scalinata si arriva al primo piano, a cui si può accedere, tramite due porte: la prima introduce nell'appartamento per ospiti (nel vestibolo si può notare la volta tutta elaborata in archi incavati formanti un disegno bellissimo, esemplare unico dell'arte ispano-catalano del '400) e la seconda immette nel Salone delle Feste, maestoso nella sua linea rinascimentale. Le pareti una volta dovevano essere ornate di pitture e quadri, mentre la volta e' tutta un ricamo, divisa da tre architravi, in tre parti dove in quella centrale e' ripetuta l'espressione "IN MEDIO CONSISTIT VIRTUS" e nelle due laterali sono disposti gli stemmi delle due famiglie. Questa volta ricorda la Cappella Palatina in Palermo e la Cattedrale di Monreale. Dalla porta laterale sinistra si entra nella stanza tanto cara alla Baronessa di Carini poiché‚ luogo degli incontri con l'amato. Proseguendo sulla destra si accede alla stanza riservata alla Baronessa e da quest'ultima al bastione che domina tutta la pianura di Carini. Attraverso una scaletta si arriva alle torri merlate, di cui una sola conserva il vecchio stile, poiché l'altra, quella campanaria, e' stata rifatta nel 1930 a causa di un fulmine che l'aveva distrutta. Il sotterraneo, che non si può ricostruire nei dettagli, e' distribuito in vari settori, prigioni, cucine, dispense, lavatoi, ecc. Il 4 dicembre 1999, il dott. Salvino Leone, uno degli attuali eredi La Grua, ha graziosamente donato al Castello, l'Horus egizio, la Madonna del Mancino che era posta nella Chiesa del Castello, il Puttino della fontana del cortile ed alcuni libri facenti parte della Biblioteca. In attesa di restauro, sono attualmente esposti nella Chiesa Madre, ultima cappella della navata di sinistra. Laura Lanza, baronessa di Carini Da quando, sul finire del secolo XVI, il poemetto "LA BARUNESSA DI CARINI", di ignoto autore, vide la luce, scrittori, critici, poeti, musicisti e registi si sono ispirati "all'amaro caso" per ricordare la fine di una delicata creatura che, nella sua giovane vita circondata da tanto amore fu poi stroncata così tragicamente. Il poemetto parla di una donna uccisa dal padre per salvare l'onore della famiglia ma, per libera interpretazione, molti pensarono ad una donna uccisa dal marito. Studi più recenti hanno dato piena luce al fatto. E' importante una pubblicazione del prof. A. Pagliaro che accenna a tre documenti di protocollo dai quali risulta che il Vicere' di Sicilia, all'epoca informa la Corte di Spagna che il Barone Cesare Lanza aveva ucciso la figlia Laura ed il Vernagallo e che l'avvocato Grimaldi ne aveva occultato il fatto. Questo documento costituisce un elemento sicuro che avvalora l'atto di morte della Baronessa, redatto il 4 dicembre 1563 e che si conserva nell'archivio della Chiesa Madre di Carini. Quindi, contro ogni interpretazione si rileva che Cesare Lanza di Trabia, connivente e complice con il genero, uccise per leso onore della famiglia, la figlia Laura, moglie di Vincenzo II La Grua ed anche se non di propria mano, lo stesso Ludovico Vernagallo (quest'ultimo fu ucciso da uno sgerro di Vincenzo La Grua, tale Francesco Musso). Troviamo infatti nel registro della Parrocchia, gli atti di morte della Baronessa e del suo amante, ucciso lo stesso giorno e scritti nella stessa pagina. Il Barone Vincenzo II La Grua, il 4 maggio del 1565 convola a nuove nozze con Ninfa Ruiz e rinnova alcune parti del Castello che potevano ricordare la Baronessa di Carini. Intanto il Barone Cesare Lanza, forte delle sue influenze presso la corte di Spagna, riesce a far archiviare il caso, mentre il popolo terrorizzato e' obbligato al silenzio. Il perché di questo orrendo delitto e' inconcepibile, Laura era una donna di grandi virtù e di grande fascino, ed il popolo l'aveva come un angelo. Fin dalla sua prima infanzia ebbe modo di frequentare sia i La Grua che i Vernagallo, con i cui figli frequentò scuole di musica, danza e canto. Sorse tra loro una grande amicizia alimentata da incontri, battute di caccia, ricevimenti ed altro. Ad un certo punto subentrò l'interesse delle famiglie. Laura era una ragazza che poteva dar lustro sia ai La Grua - Talamanca che ai Vernagallo, ma i La Grua bruciano i tempi la chiedono in sposa per il figlio Vincenzo. All'età' di quattordici anni, il 21 dicembre 1543 viene celebrato il matrimonio. Non era possibile farsi precedere dai Vernagallo, anche se era nota a tutti la grande tenerezza di Laura per Ludovico. Tuttavia il fatto, almeno in apparenza, non turbò l'amicizia fra le famiglie. Infatti, nonostante tutto, Ludovico era considerato come uno di famiglia. A poco a poco però, gelosie e vecchi rancori emersero fra i La Grua, Lanza e Vernagallo, ed ecco le insinuazioni, le calunnie ed infine il tragico evento. Nessun documento esiste nell'archivio di famiglia o nella tradizione del popolo che possa offuscare la nobiltà della figura della Baronessa di Carini. La sua era stata un'amicizia che nulla aveva avuto di lussurioso o di cattivo, e quanto si dice degli otto figli di Laura che avrebbero avuto per padre Ludovico Vernagallo, e' pura fantasia. Purtroppo la fantasia di coloro che in seguito si sono ispirati all'evento, presentarono i fatti sotto molteplici aspetti. Il vero studioso e' stato Salvatore Marino il quale, nella prima edizione del 1871, raccolse la recita del contadino cantastorie carinese, Giuseppe Gargagliano. Ma nel 1872 lo stesso Marino presentava una seconda edizione ritoccando fatti poeticamente importanti, della prima. Nel 1913, infine, presentava il poemetto in una edizione che lui stesso chiama storica. Memoriale presentato da Cesare Lanza al Re di Spagna per discolparsi del delitto della figlia Laura. Sacra Catholica Real Maestà, don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al castello di Carini a videre la baronessa di Carini sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di Carini suo genero molto alterato perché avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno in compagnia di detto barone andorno e trovorno li detti baronessa et suo amante nella ditta camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoy ammazzati don Cesare Lanza conte di Mussomeli Erice Erice (C.A.P. 91016) dista 180 Km. da Agrigento, 238 Km. da Caltanissetta, 345 Km. da Catania, 247 Km. da Enna, 355 Km. da Messina, 96 Km. da Palermo, 329 Km. da Ragusa, 396 Km. da Siracusa, 14 Km. da Trapani alla cui provincia appartiene. Il comune conta 31.027 abitanti e ha una superficie di 4.723 ettari per una densità abitativa di 657 abitanti per chilometro quadrato.Sorge in una zona montuosa, posta a 750 metri sopra il livello del mare.Il municipio è sito in piazza Umberto I, tel. 0923-860011 fax. 0923-869591. "Sulla vetta più alta inciela una medievale borgata irta di torri.È il piccolo borgo di Erice, dominato una volta dal più famoso tempio della dea più famosa...Venere,... con la sua cinta fortificata, con le sue strade accuratamente selciate". Con queste parole Roger Peyrefitte descriveva Erice nel 1952.Situata sull'omonimo monte Eryx, centro religioso degli Elimi, famoso per il suo tempio ove i Fenici adoravano Astarte, i Greci Afrodite ed i Romani Venere, fu contesa dai Siracusani e Cartaginesi sino alla conquista da parte dei Romani nel 244 a.CChiamata Gebel Hamed (montagna di Hamed) durante l'invasione araba, riacquistò parte della perduta importanza nel XII secolo e seguì poi le sorti politiche dell'isolaFu chiamata "Monte San Giuliano" dai normanni e riprese in nome di Erice nel 1934.Fra i molti monumenti di notevole importanza è la Chiesa Matrice (XIV sec.), dedicata all'Assunta e con gli interni rifatti nel secolo scorso, il Castello Medievale (XII-XIII sec.) con i resti del tempio e il Palazzo Municipale, sede di una biblioteca e del Museo Cordici, ricco di con reperti archeologici della necropoli ericina, tra cui spicca una testa di Afrodite del IV sec. a.C. A Erice si trova il Centro studi internazionali intitolato a Ettore Majorana, voluto dall'illustre fisico trapanese Antonino Zichichi, che richiama gli studiosi più qualificati del mondo per la trattazione scientifica di problemi che interessano diversi settori: dalla medicina al diritto, dalla storia all'astronomia, dalla filologia alla chimica. Un sito di una bellezza indimenticabile caratterizza Erice, antica città fenicia e greca, arroccata a 751 m di altezza sul monte che porta lo stesso nome, coronato da no altopiano di forma triangolare a terrazza sul mare. Difesa da bastioni e mura, la città è un labirinto di stradine acciottolate e di varchi così stretti da permettere il pasaggio di un solo uomo. Le case, serrate le une alle altre, hanno graziosi e curati cortili interni, difesi e protetti dalla vista dei passanti in modo che la vita familiare si svolga nella più completa intimità. Nell'antichità, Erice era nota per il suo tempio ove i Fenici adoravano Astarte, i Greci Afrodite ed i Romani Venere. Il monte Eryx serviva da punto di riferimento per i navigatori dei quali Venere divenne ben presto la protettrice. La notte, un grande fuoco acceso nell'area sacra fungeva da faro. La fama di Venere Ericina divenne tale che le venne dedicato un tempio anche a Roma ed il suo culto si diffuse in tutto il Mediterraneo. Erice ha due volti: quello solare e luminoso delle calde giornate estive, quando la luce inonda le stradine e stupendi panorami si aprono sulla vallata e sul mare, e quello delle giornate invernali quando, avvolta nelle nuvole, la cittadina sembra ricongiungersi alle sue radici mitiche e dona al viaggiatore la sensazione di essere giunto in un luogo fuori dal tempo e dalla realtà. L'atmosfera medievale, l'aria fresca, le belle pinete che la cirondano, la tranquillità che vi regna e l'artigianato locale la rendono una delle mete privilegiate dai turisti. Accesso - Le due strade che si inerpicano fino a raggiungere la città offrono superbe viste sulla pianura e sul mare (quella che corre a nord, dominando il Monte Cofano, è più agevole). La cittadina, un perfetto e per questo misterioso (e simbolico) triangolo equilatero. E' coronata su due vertici dal castello di Venere (a sud-est) e dalla Chiesa Matrice (a sud-ovest). Al centro perfetto del triangolo si eleva la chiesa di S. Pietro con l'annesso monastero che oggi ospita il centro culturale scientifico E. Majorana. L'intricato labirinto di stradine, tutte caratterizzate dalla bella pavimentazione a riquadri, offre inattesi scorci sulle chiese ed i monasteri che qui sono più di sessanta. Chiesa Matrice - Vicina alla Porta di Trapani, uno degli accessi alla città, la chiesa risale al XIV sec. ed è stata edificata con materiale proveniente dal Tempio di Venere. Le forme massicce ed il coronamento a merli la caratterizzano come chiesa-fortezza. La facciata è alleggerita da un bel rosone (rifatto su disegno dell'originale), oggi parzialmente nascosto da un portico gotico aggiunto un secolo più tardi. L'interno, in stile neogotico, conserva un bel retablo marmoreo rinascimentale (all'altare). Torre campanaria - In origine torre di avvistamento, si eleva, isolata, sulla sinistra, livelli sono scanditi da feritoie (1° piano) e da belle bifore in stile chiaramontano. In alto, è coronata da merlatura ghibellina. Museo Cordici - Sistemato all'interno del Municipio, il museo raccoglie alcuni reperti archeologici, opere statuarie e dipinti. Particolarmente bello il gruppo scultoreo dell'Annunciazione di Antonello Gagini (1525) e, al l° piano, oltre la biblioteca che raccoglie manoscritti ed alcuni incunaboli, una piccola Testa femminile in marmo, copia da un originale greco. Poco oltre, sulla destra della piazza, la via Cordici sfocia nella graziosa piazza S. Domenico, delimitata dall'omonima via e da bei palazzi. Giardino del Ballo - Il bel giardino circonda il Castello di Venere e le Torri del Ballo, edificate in periodo normanno come difesa avanzata del castello. Il nome delle torri e del giardino derivano dal governatore normanno (Baiulo) che qui aveva dimora. Bellissima la vista che si estende sul Monte Cofano, Trapani, le Egadi e, se l'aria è particolarmente tersa, fino a Pantelleria e Capo Bon in Tunisia, da cui Erice dista solo 170 km. Castello di Venere - Arroccato sulla punta estrema del monte, a belvedere sul mare e sulla pianura sottostante, il castello risale nella sua foggia attuale al periodo normanno (XII sec.), ma il luogo ha storia ben più antica. Qui infatti sorgeva il tempio dedicato a Venere Ericina, dea particolarmente venerata nell'antichità. In epoca normanna il tempio era ormai diroccato ed al suo posto venne decisa la costruzione di una fortezza, cinta da possenti mura e protetta dalla sua posizione e dalle più avanzate Torri del Balio, un tempo collegate al castello tramite un ponte levatoio. Il carattere difensivo è ancora testimoniato dal piombatoio sopra il portone d'ingresso arricchito dallo stemma di Carlo V di Spagna e da una bella bifora. Lo sguardo spazia tutt'intorno offrendo viste superbe su Trapani e sulle isole Egadi a sud-ovest e, a nord, sulle torri, la torretta Pepoli (in basso), la Chiesa di S. Giovanni, il Monte Cofano, la costa con Bonagia e, se c'è bel bel tempo, Ustica. Mura Elimo-Puniche - La possente cinta di impianto elimo (VIII-VI sec. a.C.), circondava un tempo il lato nord-est della città, l'unico esposto ad eventuali attacchi. Ai grandi blocchi, più antichi, che caratterizzano la parte inferiore, venne po aggiunto, in epoche successive, un innalzamento a conci più piccoli. Le mura erano dotate di torri di avvistamento, di un camminamento cui si accedeva attraversd ripide scalette e di piccole aperture che permettevano il passaggio degli abitanti e forse dei rifornimenti. Il tratto meglio conservato si sviluppa lungo via dell' Addolorata, da Porta Carmine a Porta Spada. Chiesa di S. Orsola - Edificata neI 1413 conserva ancora, nella navata principale, l'originaria struttura gotica a volte a crociera costolonate. E qui che vengono conservati i gruppi scultorei dei Misteri (XVIII sec.), portati in processione il Venerdì santo. Quartiere Spagnolo - Dall'alto della costruzione, iniziata nel '600, ma mai terminata, si gode di un bel panorama sul golfo del Monte Cofano e la regioni retrostante e in basso, sulla Tonnara di Bonagia. STORIA Tra mito e leggenda - La storia di Erice si perde nei meandri della tradizione. Il nome e quello che Erice, eroe e re degli Elimi, diede alla montagna sulla cui cima venne edinato il tempio di Afrodite Ericina, sua madre. La nascita della città è però anche egata alla figura di Enea che condivide con il re Elimo la madre. Nella narrazione virgiliana, Enea approda sulla costa ai piedi del monte e celebra il rito funebre per il padre Anchise. L'incidente di alcune navi lo costringe poi a lasciare qui alcuni suoi compagni che fondano, appunto, la città. Altra figura mitologica legata ad Erice è Eracle. L'eroe infatti approda in questa parte nella Sicilia mentre sta conducendo in Grecia i buoi di Gerione (una delle dodici leggendarie fatiche) ed è costretto ad uccidere il re degli Elimi che cerca di sottrargli i buoi. Nonostante ciò decide di lasciare il governo del regno nelle mani degli Elimi sottlonineando però che un suo discendente, Dorieo, ne avrebbe poi preso possesso.