sabato 8 DICEMBRE
Partenza da Milazzo
Arrivo a Bagheria
Arrivo a Carini
Arrivo a Terrasini
ore 7,00
Ore 9,30 - Visita Villa Palagonia
Ore 11,00 – Visita Museo Guttuso - Villa Cattolica
Ore 13,00 – Pranzo
Ore 15,00 - Partenza per Carini
Ore 16,00 – Visita del Castello
Ore 17,00 – Visita al Centro storico
Ore 18,00 - Partenza per Terrasini
ore 18,30 - Sistemazione in HOTEL - Città del Mare –
Ore 20,30 - Cena
Ore 22,00 - Serata danzante
Domenica 9 Dicembre
Colazione
Ore 7,30
Partenza per Erice
Ore 8,30
Arrivo
Ore 9,15 - Visita guidata del patrimonio artistico di Erice
Rientro a Terrasini
Ore 12,45
Arrivo a Terrasini
Ore 13,30 Pranzo
PARTENZA PER REINTRO A Milazzo Ore 16,00
Quota di Partecipazione € 120,00
La quota comprende pensione completa Hotel Città del Mare Terrasini con
sistemazione in camera doppia – Serata danzante -(I pasti in Hotel saranno serviti a buffet
con più scelta di antipasti, primi, secondi , frutta e dessert. L’acqua liscia e frizzante , il vino rosso e
bianco sono inclusi)- Pranzo c/o La Maison du Chateau a Bagheria - Ingresso a Villa
Palagonia e al Museo di Guttuso a Bagheria – Ingresso al Castello di Carini e Visita
guidata al Centro Storico – Visita Guidata ed ingressi ad Erice. Bus A/R
In caso di avverse condizioni meteo la visita di Erice sarà sostituita dalla visita
alla Cappella Palatina – Palazzo dei Normanni Palermo e al Duomo di Monreale
In questo caso, in considerazione del maggior costo da sostenere per l‘ingresso alla
Cappella Paladina a Palermo e a Monreale per l’ingresso al Duomo e per il
parcheggio del Bus, sarà necessario un’integrazione del prezzo di €.10,00
BAGHERIA
Uno dei più conosciuti e visitati monumenti di Sicilia: Villa
Palagonia a Bagheria.
Superba ed eccentrica villa che, già nel Settecento, viene
visitata da illustri viaggiatori, che la considerano come il
luogo "più originale che esiste al mondo e famoso in tutta
Europa".
La sua costruzione ebbe inizio nel 1715 per volere di Don
Ferdinando Gravina e Crujllas, V principe di Palagonia,
pari del regno, cavaliere del Toson d'oro, prestigiosa
onorificienza dei re di Spagna.
Per la progettazione di questa residenza di villeggiatura fu
Gruppo di "mostri"
incaricato il frate domenicano Tommaso Maria Napoli,
architetto coadiuvatore del Senato di Palermo con la
qualifica di "ingegnere militare".
Come collaboratore nella direzione dei lavori della costruenda villa viene fatto il nome di un
altro grande e stimato architetto siciliano:Agatino Daidone.
Nel 1737, con la successione di Ignazio Sebastiano Gravina, erede del padre Francesco
Ferdinando, iniziano i lavori per la realizzazione dei corpi bassi che circondano la
villa, Francesco Ferdinando Gravina e Alliata.
A questi, VII principe di Palagonia, si devono i lavori,
intrapresi nel 1749, di completamento dell'intero
complesso monumentale di villa Palagonia con le
decorazioni e gli arredi interni ed esterni che hanno fatto
conoscere nel mondo la sua residenza di Bagheria quale
la "Villa dei Mostri", dovuta alla particolare decorazione
che adorna i muri esterni dei corpi bassi, formata da
statue in "pietra tufacea d'Aspra", raffiguranti animali
fantastici, figure antropomorfe, statue di dame e
Salone degli Specchi
cavalieri, musicisti e caricature varie. La villa possiede
uno straordinario disegno planimetrico unitario, con tutti
gli elementi che si sviluppano e agiscono coordinatamaente rispetto all'asse baricentrico del
viale.
Molto particolare è lo scalone a doppia rampa, realizzato
in pietra calcarea, sotto il fastoso principesco stemma
della
famiglia
Gravina.
Al piano nobile, si accede da un vestibolo ellittico fatto
affrescare con scene raffiguranti le fatiche di Ercole, in
omaggio al nuovo gusto di fine settecento, da Salvatore
Gravina, successore del fratellastro Francesco
Ferdinando II.
F.sco Ferdinando Gravina II
Alla sua destra la "Galleria o Sala degli specchi",
con il soffitto interamente ricoperto da specchi, con dipinti
raffiguranti una balaustra con sovrastante cielo e fantastici
uccelli. Le pareti di questa grande sala sono adornate con
finissimi marmi, con vetri colorati e da altorilievi marmorei
rappresentanti il fondatore della villa e il nipote committente
dei "mostri" con le rispettive mogli, antenati di casa Gravina e
di illustri personalità delle case regnanti d'Europa.Sul
pavimento un accurato disegno in marmo policromo del
Settecento
siciliano.
Da questo ampio salone si accede alla sala della cappella e, di
fronte ad essa, attraversando la "Sala degli specchi" si giunge
nella
sala
del
biliardo.
Cappella esterna: facciata
Dalla sala ovale d'ingresso si giunge anche negli appartamenti
privati della villa, oggi non visitabili che sono costituiti da una
serie
di
sale
poste
in
"enfilade".
Nel 1885 la villa fu acquistata dalla famiglia Castronovo che ancora oggi, grazie ai suoi eredi,
rende possibile la visita ad uno dei più straordinari monumenti della civiltà barocca
europea, creato nella terra di Sicilia.
Villa CATTOLICA – BAGHERIA - IL MUSEO DI GUTTUSO
Il Museo è allestito all'interno della settecentesca Villa Cattolica. Passato di mano in mano a diversi
proprietari, l'edificio, nel 1973, venne acquistato dal Comune di Bagheria, limitatamente al piano
nobile, per potervi allestire il Museo Civico. Una parte importante per la realizzazione del progetto
l'ha avuta il contributo del pittore Renato Guttuso, originario del luogo. Infine, nel 1984, la Villa
viene acquistata totalmente e adibita interamente a museo. Parte centrale della collezione del
Museo è la raccolta di oltre cento opere di Renato Guttuso, in esposizione permanente. In un
percorso di tredici sale, questi quadri offrono una panoramica sulla vita e la carriera del pittore e
sono contornati da opere di altri artisti che sono entrati in contatto con Guttuso, quali
Quattrociocchi, Tomaselli, Mafai, Scarpetta, Sanfilippo e Accardi e Perez. Di recente è stata
istituita una sezione sul manifesto cinematografico degli anni dal 1928 al 1983. Nel giardino della
Villa, dal 1990 sono conservate le spoglie del celebre pittore, all'interno di una monumentale arca
realizzata dallo scultore e amico Giacomo Manzù.
Villa Cattolica - Particolare e Visione laterale delle scuderie di Villa Cattolica e lo scempio della
fabbrica retrostante
Carini – Il Castello
Il Castello di Carini, edificio che racchiude in se quanto meglio può restare dell'arte arabonormanna, del '400 e del '500 catalano e rinascimentale e del '700, e' oggi in avanzata fase di
restauro; posto su di una rupe a 170 metri circa sul livello del mare, e' sorto per volere di Rodolfo
Bonello il normanno, fra il 1075 ed il 1090, ma la struttura definitiva si e' avuta alla fine del secolo
XVI.
Ad una prima elaborazione araba ne seguì una seconda svevo-normanna che preparò l'assetto
definitivo nel perfetto stile rinascimentale. Il primo vero restauro si ebbe al tempo di Vincenzo II La
Grua.
Lo documentano: -la data 1562 incisa nello stemma marmoreo dei La Grua
che segna il compimento di un intervento edilizio nel castello (Gioacchino
Lanza Tommasi "Castelli e Monasteri Siciliani" pag.7); -la scritta "RECEDANT
VETERA" riportata sulla trabeazione della porta che immetteva nella stanza
della baronessa Laura; -e la scritta "ET NOVA SINT OMNIA" sul portale di
ingresso alla foresteria.
Ci sono diverse tesi sul significato della frase "ET NOVA SINT OMNIA";
secondo la tesi di Gioacchino Lanza Tommasi, la frase assumerebbe un
significato di rinnovamento culturale in campo sociale ed architettonico, incisa
prima che avvenisse "l'eccidio della baronessa"; secondo la tesi di Don
Vincenzo Badalamenti, tale scritta e' posteriore all'eccidio della baronessa e
che il barone Vincenzo La Grua avrebbe preteso "la cancellazione di ogni
presenza che potesse rimanere legata al ricordo della moglie infedele."
Ultimo restauro si ebbe verso la fine del '700, quando era Principe di Carini Vincenzo IV La Grua
ed Arciprete Don Carlo Ballerini, suo amico e collaboratore.
Si accede al Castello per due grandi porte risalenti al XII secolo: la prima posta
di fronte la Chiesa di S. Vincenzo, con arco a sesto acuto; da questa si accede
alla seconda, che rappresenta la vera porta del Castello, tramite una rampa
semicircolare pavimentata con ciottoli. In questa ultima si possono ammirare lo
stemma che porta le armi dei La Grua e dei Talamanca, che sono
rispettivamente la gru ed il leone rampante sulle onde disposte a scalinata.
All'interno, attraverso un atrio quattrocentesco, si evidenzia la parete
principale con la scalinata a sinistra, anche essa del '400, con i bellissimi portali
della Foresteria e del Salone delle Feste, con le due grandi finestre e con il
doppio arco classico a destra che immette nella Cappella.
A sinistra si notano varie porticine che immettono nelle stanze riservate
alla servitù, alle scuderie ed una fontanella con puttino di marmo a muro. A
destra due scalette, attraverso un corridoio stretto, portano una nel
bastione e l'altra nelle torri esterne.
Particolare menzione merita il piano terra in cui si trovano la Cappella e la
Biblioteca. La prima, almeno nel suo restauro più recente, risale al 1690. Il
portale e' cinquecentesco ma privo di fregi; sulla porta c'e' un coretto da cui i
Signori del Castello partecipavano alle Sacre Liturgie. L'altare e' in legno ed e'
sormontato da una piccola statua in marmo dell'Immacolata con fregi d'oro
realizzata dal Mancino nel 1509.
A sinistra si trova la Biblioteca; doveva essere una grande stanza adorna di
una ricca pinacoteca e contenente migliaia di libri rilegati in carta pecora, di
cui oggi ne rimangono poco meno di un migliaio.
Dalla bella scalinata si arriva al primo piano, a cui si può accedere, tramite
due porte: la prima introduce nell'appartamento per ospiti (nel vestibolo si
può notare la volta tutta elaborata in archi incavati formanti un disegno
bellissimo, esemplare unico dell'arte ispano-catalano del '400) e la seconda
immette nel Salone delle Feste, maestoso nella sua linea rinascimentale.
Le pareti una volta dovevano essere ornate di pitture e quadri, mentre
la volta e' tutta un ricamo, divisa da tre architravi, in tre parti dove in
quella centrale e' ripetuta l'espressione "IN MEDIO CONSISTIT VIRTUS" e
nelle due laterali sono disposti gli stemmi delle due famiglie. Questa
volta ricorda la Cappella Palatina in Palermo e la Cattedrale di
Monreale.
Dalla porta laterale sinistra si entra nella stanza tanto cara alla Baronessa
di Carini poiché‚ luogo degli incontri con l'amato. Proseguendo sulla destra si
accede alla stanza riservata alla Baronessa e da quest'ultima al bastione che
domina tutta la pianura di Carini. Attraverso una scaletta si arriva alle torri
merlate, di cui una sola conserva il vecchio stile, poiché l'altra, quella
campanaria, e' stata rifatta nel 1930 a causa di un fulmine che l'aveva
distrutta.
Il sotterraneo, che non si può ricostruire nei dettagli, e' distribuito in vari settori, prigioni,
cucine, dispense, lavatoi, ecc.
Il 4 dicembre 1999, il dott. Salvino Leone, uno degli attuali eredi La Grua, ha
graziosamente donato al Castello, l'Horus egizio, la Madonna del Mancino che
era posta nella Chiesa del Castello, il Puttino della fontana del cortile ed alcuni
libri facenti parte della Biblioteca. In attesa di restauro, sono attualmente esposti
nella Chiesa Madre, ultima cappella della navata di sinistra.
Laura Lanza, baronessa di Carini
Da quando, sul finire del secolo XVI, il poemetto "LA BARUNESSA DI
CARINI", di ignoto autore, vide la luce, scrittori, critici, poeti, musicisti e
registi si sono ispirati "all'amaro caso" per ricordare la fine di una delicata
creatura che, nella sua giovane vita circondata da tanto amore fu poi
stroncata così tragicamente.
Il poemetto parla di una donna uccisa dal padre per salvare l'onore della
famiglia ma, per libera interpretazione, molti pensarono ad una donna
uccisa dal marito. Studi più recenti hanno dato piena luce al fatto.
E' importante una pubblicazione del prof. A. Pagliaro che accenna a tre
documenti di protocollo dai quali risulta che il Vicere' di Sicilia, all'epoca
informa la Corte di Spagna che il Barone Cesare Lanza aveva ucciso la figlia
Laura ed il Vernagallo e che l'avvocato Grimaldi ne aveva occultato il fatto.
Questo documento costituisce un elemento sicuro che avvalora l'atto di
morte della Baronessa, redatto il 4 dicembre 1563 e che si conserva
nell'archivio della Chiesa Madre di Carini. Quindi, contro ogni interpretazione
si rileva che Cesare Lanza di Trabia, connivente e complice con il genero,
uccise per leso onore della famiglia, la figlia Laura, moglie di Vincenzo II La
Grua ed anche se non di propria mano, lo stesso Ludovico Vernagallo
(quest'ultimo fu ucciso da uno sgerro di Vincenzo La Grua, tale Francesco
Musso). Troviamo infatti nel registro della Parrocchia, gli atti di morte della
Baronessa e del suo amante, ucciso lo stesso giorno e scritti nella stessa
pagina.
Il Barone Vincenzo II La Grua, il 4 maggio del 1565 convola a nuove nozze
con Ninfa Ruiz e rinnova alcune parti del Castello che potevano ricordare la
Baronessa di Carini. Intanto il Barone Cesare Lanza, forte delle sue influenze
presso la corte di Spagna, riesce a far archiviare il caso, mentre il popolo
terrorizzato e' obbligato al silenzio.
Il perché di questo orrendo delitto e' inconcepibile, Laura era una donna di
grandi virtù e di grande fascino, ed il popolo l'aveva come un angelo. Fin dalla
sua prima infanzia ebbe modo di frequentare sia i La Grua che i Vernagallo, con i
cui figli frequentò scuole di musica, danza e canto. Sorse tra loro una grande
amicizia alimentata da incontri, battute di caccia, ricevimenti ed altro. Ad un
certo punto subentrò l'interesse delle famiglie.
Laura era una ragazza che poteva dar lustro sia ai La Grua - Talamanca
che ai Vernagallo, ma i La Grua bruciano i tempi la chiedono in sposa per il
figlio Vincenzo. All'età' di quattordici anni, il 21 dicembre 1543 viene
celebrato il matrimonio.
Non era possibile farsi precedere dai Vernagallo, anche se era nota a tutti la
grande tenerezza di Laura per Ludovico. Tuttavia il fatto, almeno in apparenza,
non turbò l'amicizia fra le famiglie. Infatti, nonostante tutto, Ludovico era
considerato come uno di famiglia.
A poco a poco però, gelosie e vecchi rancori emersero fra i La Grua, Lanza e
Vernagallo, ed ecco le insinuazioni, le calunnie ed infine il tragico evento.
Nessun documento esiste nell'archivio di famiglia o nella tradizione del
popolo che possa offuscare la nobiltà della figura della Baronessa di Carini. La
sua era stata un'amicizia che nulla aveva avuto di lussurioso o di cattivo, e
quanto si dice degli otto figli di Laura che avrebbero avuto per padre Ludovico
Vernagallo, e' pura fantasia.
Purtroppo la fantasia di coloro che in seguito si sono ispirati all'evento,
presentarono i fatti sotto molteplici aspetti. Il vero studioso e' stato Salvatore
Marino il quale, nella prima edizione del 1871, raccolse la recita del contadino
cantastorie carinese, Giuseppe Gargagliano. Ma nel 1872 lo stesso Marino
presentava una seconda edizione ritoccando fatti poeticamente importanti,
della prima. Nel 1913, infine, presentava il poemetto in una edizione che lui
stesso chiama storica.
Memoriale presentato da Cesare Lanza al Re di Spagna per discolparsi del delitto della
figlia Laura.
Sacra Catholica Real Maestà,
don Cesare Lanza, conte di Mussomeli, fa intendere a Vostra Maestà come essendo andato al
castello di Carini a videre la baronessa di Carini sua figlia, come era suo costume, trovò il barone di
Carini suo genero molto alterato perché avia trovato in mismo istante nella sua camera Ludovico
Vernagallo suo innamorato con la detta baronessa, onde detto esponente mosso da iuxsto sdegno
in compagnia di detto barone andorno e trovorno li detti baronessa et suo amante nella ditta
camera serrati insieme et cussì subito in quello stanti foro ambodoy ammazzati
don Cesare Lanza conte di Mussomeli
Erice
Erice (C.A.P. 91016) dista 180 Km. da
Agrigento, 238 Km. da Caltanissetta, 345
Km. da Catania, 247 Km. da Enna, 355
Km. da Messina, 96 Km. da Palermo, 329
Km. da Ragusa, 396 Km. da Siracusa, 14
Km. da Trapani alla cui provincia
appartiene. Il comune conta 31.027
abitanti e ha una superficie di 4.723
ettari per una densità abitativa di 657
abitanti per chilometro quadrato.Sorge
in una zona montuosa, posta a 750 metri
sopra il livello del mare.Il municipio è sito
in piazza Umberto I, tel. 0923-860011
fax. 0923-869591.
"Sulla vetta più alta inciela una medievale borgata irta di torri.È il piccolo borgo di Erice, dominato
una volta dal più famoso tempio della dea più famosa...Venere,... con la sua cinta fortificata, con le
sue strade accuratamente selciate".
Con queste parole Roger Peyrefitte descriveva Erice nel 1952.Situata sull'omonimo monte Eryx,
centro religioso degli Elimi, famoso per il suo tempio ove i Fenici adoravano Astarte, i Greci
Afrodite ed i Romani Venere, fu contesa dai
Siracusani e Cartaginesi sino alla conquista da parte dei Romani nel 244 a.CChiamata Gebel
Hamed (montagna di Hamed) durante l'invasione araba, riacquistò parte della perduta importanza
nel XII secolo e seguì poi le sorti politiche dell'isolaFu chiamata "Monte San Giuliano" dai normanni
e riprese in nome di Erice nel 1934.Fra i molti monumenti di notevole importanza è la Chiesa
Matrice (XIV sec.), dedicata all'Assunta e con gli interni rifatti nel secolo scorso, il Castello
Medievale (XII-XIII sec.) con i resti del tempio e il Palazzo Municipale, sede di una biblioteca e del
Museo Cordici, ricco di con reperti archeologici della necropoli ericina, tra cui spicca una testa di
Afrodite del IV sec. a.C. A Erice si trova il Centro studi internazionali intitolato a Ettore Majorana,
voluto dall'illustre fisico trapanese Antonino Zichichi, che richiama gli studiosi più qualificati del
mondo per la trattazione scientifica di problemi che interessano diversi settori: dalla medicina al
diritto, dalla storia all'astronomia, dalla filologia alla chimica.
Un sito di una bellezza indimenticabile caratterizza Erice, antica città fenicia e greca, arroccata a
751 m di altezza sul monte che porta lo stesso nome, coronato da no altopiano di forma
triangolare a terrazza sul mare. Difesa da bastioni e mura, la città è un labirinto di stradine
acciottolate e di varchi così stretti da permettere il pasaggio di un
solo uomo. Le case, serrate le une alle altre, hanno graziosi e curati
cortili interni, difesi e protetti dalla vista dei passanti in modo che
la vita familiare si svolga nella più completa intimità.
Nell'antichità, Erice era nota per il suo tempio ove i Fenici
adoravano Astarte, i Greci Afrodite ed i Romani Venere. Il monte
Eryx serviva da punto di riferimento per i navigatori dei quali
Venere divenne ben presto la protettrice. La notte, un grande
fuoco acceso nell'area sacra fungeva da faro. La fama di Venere Ericina divenne tale che le venne
dedicato un tempio anche a Roma ed il suo culto si diffuse in tutto il Mediterraneo.
Erice ha due volti: quello solare e luminoso delle calde giornate estive, quando la luce inonda le
stradine e stupendi panorami si aprono sulla vallata e sul mare, e quello delle giornate invernali
quando, avvolta nelle nuvole, la cittadina sembra ricongiungersi alle sue radici mitiche e dona al
viaggiatore la sensazione di essere giunto in un luogo fuori dal tempo e dalla realtà. L'atmosfera
medievale, l'aria fresca, le belle pinete che la cirondano, la tranquillità che vi regna e l'artigianato
locale la rendono una delle mete privilegiate dai turisti. Accesso - Le due strade che si inerpicano
fino a raggiungere la città offrono superbe viste sulla pianura e sul mare (quella che corre a nord,
dominando il Monte Cofano, è più agevole).
La cittadina, un perfetto e per questo misterioso (e simbolico) triangolo equilatero. E' coronata su
due vertici dal castello di Venere (a sud-est) e dalla Chiesa Matrice (a sud-ovest). Al centro
perfetto del triangolo si eleva la chiesa di S. Pietro con l'annesso monastero che oggi ospita il
centro culturale scientifico E. Majorana. L'intricato labirinto di stradine, tutte caratterizzate dalla
bella pavimentazione a riquadri, offre inattesi scorci sulle chiese ed i monasteri che qui sono più di
sessanta.
Chiesa Matrice - Vicina alla Porta di Trapani, uno degli accessi alla città, la
chiesa risale al XIV sec. ed è stata edificata con materiale proveniente dal
Tempio di Venere. Le forme massicce ed il coronamento a merli la
caratterizzano come chiesa-fortezza. La facciata è alleggerita da un bel
rosone (rifatto su disegno dell'originale), oggi parzialmente nascosto da un
portico gotico aggiunto un secolo più tardi. L'interno, in stile neogotico,
conserva un bel retablo marmoreo rinascimentale (all'altare).
Torre campanaria - In origine torre di avvistamento, si eleva, isolata, sulla
sinistra, livelli sono scanditi da feritoie (1° piano) e da belle bifore in stile
chiaramontano. In alto, è coronata da merlatura ghibellina.
Museo Cordici - Sistemato all'interno del Municipio, il museo raccoglie alcuni reperti archeologici,
opere statuarie e dipinti. Particolarmente bello il gruppo scultoreo dell'Annunciazione di Antonello
Gagini (1525) e, al l° piano, oltre la biblioteca che raccoglie manoscritti ed alcuni incunaboli, una
piccola Testa femminile in marmo, copia da un originale greco. Poco oltre, sulla destra della piazza,
la via Cordici sfocia nella graziosa piazza S. Domenico, delimitata dall'omonima via e da bei palazzi.
Giardino del Ballo - Il bel giardino circonda il Castello di Venere e le Torri del Ballo, edificate in
periodo normanno come difesa avanzata del castello. Il nome delle torri e del giardino derivano
dal governatore normanno (Baiulo) che qui aveva dimora.
Bellissima la vista che si estende sul Monte Cofano, Trapani, le
Egadi e, se l'aria è particolarmente tersa, fino a Pantelleria e Capo
Bon in Tunisia, da cui Erice dista solo 170 km.
Castello di Venere - Arroccato sulla punta estrema del monte, a
belvedere sul mare e sulla pianura sottostante, il castello risale
nella sua foggia attuale al periodo normanno (XII sec.), ma il luogo
ha storia ben più antica. Qui infatti sorgeva il tempio dedicato a
Venere Ericina, dea particolarmente venerata nell'antichità. In
epoca normanna il tempio era ormai diroccato ed al suo posto venne decisa la costruzione di una
fortezza, cinta da possenti mura e protetta dalla sua posizione e dalle più avanzate Torri del Balio,
un tempo collegate al castello tramite un ponte levatoio. Il carattere difensivo è ancora
testimoniato dal piombatoio sopra il portone d'ingresso arricchito dallo stemma di Carlo V di
Spagna e da una bella bifora.
Lo sguardo spazia tutt'intorno offrendo viste superbe su Trapani e sulle isole Egadi a sud-ovest e, a
nord, sulle torri, la torretta Pepoli (in basso), la Chiesa di S. Giovanni, il Monte Cofano, la costa con
Bonagia e, se c'è bel bel tempo, Ustica.
Mura Elimo-Puniche - La possente cinta di impianto elimo (VIII-VI sec. a.C.), circondava un tempo
il lato nord-est della città, l'unico esposto ad eventuali attacchi. Ai grandi blocchi, più antichi, che
caratterizzano la parte inferiore, venne po aggiunto, in epoche successive, un innalzamento a
conci più piccoli. Le mura erano dotate di torri di avvistamento, di un camminamento cui si
accedeva attraversd ripide scalette e di piccole aperture che permettevano il passaggio degli
abitanti e forse dei rifornimenti. Il tratto meglio conservato si sviluppa lungo via dell' Addolorata,
da Porta Carmine a Porta Spada.
Chiesa di S. Orsola - Edificata neI 1413 conserva ancora, nella navata principale, l'originaria
struttura gotica a volte a crociera costolonate. E qui che vengono conservati i gruppi scultorei dei
Misteri (XVIII sec.), portati in processione il Venerdì santo.
Quartiere Spagnolo - Dall'alto della costruzione, iniziata nel '600, ma mai terminata, si gode di un
bel panorama sul golfo del Monte Cofano e la regioni retrostante e in basso, sulla Tonnara di
Bonagia.
STORIA
Tra mito e leggenda - La storia di Erice si perde nei meandri della tradizione. Il nome e quello che
Erice, eroe e re degli Elimi, diede alla montagna sulla cui cima venne edinato il tempio di Afrodite
Ericina, sua madre. La nascita della città è però anche egata alla figura di Enea che condivide con il
re Elimo la madre. Nella narrazione virgiliana, Enea approda sulla costa ai piedi del monte e
celebra il rito funebre per il padre Anchise. L'incidente di alcune navi lo costringe poi a lasciare qui
alcuni suoi compagni che fondano, appunto, la città.
Altra figura mitologica legata ad Erice è Eracle. L'eroe infatti approda in questa parte nella Sicilia
mentre sta conducendo in Grecia i buoi di Gerione (una delle dodici leggendarie fatiche) ed è
costretto ad uccidere il re degli Elimi che cerca di sottrargli i buoi. Nonostante ciò decide di lasciare
il governo del regno nelle mani degli Elimi sottlonineando però che un suo discendente, Dorieo, ne
avrebbe poi preso possesso.
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