I REDDITI DI LAVORO DIPENDENTE. I REDDITI DI IMPRESA. I COMPONENTI POSITIVI E NEGATIVI DEL REDDITO DI IMPRESA. I PRINCIPI GENERALI PER LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO DI IMPRESA. Corso in “Tributi, paghe e contributi” Lezione del 1° luglio 2011 Dott.ssa Giusi Fulghesu Obiettivi didattici Definizione nozione di redditi di lavoro dipendente Individuazione criteri generali di determinazione dei redditi di lavoro dipendente Definizione nozione di reddito di impresa Individuazione principi generali che presiedono alla determinazione del reddito di impresa Componenti positivi e negativi del reddito di impresa I REDDITI DI LAVORO DIPENDENTE Nozione di reddito di lavoro dipendente I redditi di lavoro dipendente sono quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro (art. 49, co. 1, Tuir). La definizione fiscale riecheggia l'art. 2094 c.c., che definisce lavoratore dipendente chi lavora alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore. Tuttavia, tra la normativa civilistica e quella fiscale vi è una evidente discrasia. Dalla nozione fiscale di reddito di lavoro dipendente è stato omesso il riferimento alla collaborazione del prestatore di lavoro nell’impresa e a favore dell’imprenditore, al fine di evitare l’esclusione di taluni redditi di lavoro da questa categoria reddituale. Sono infatti redditi di lavoro dipendente Proventi percepiti dai dipendenti dello Stato o altri enti pubblici non economici Proventi percepiti dai lavoratori domestici Proventi percepiti da tutti coloro che operano alle dipendenze di soggetti non qualificabili come imprenditori La nozione di lavoro dipendente elaborata dalla normativa fiscale ha costituito un modello per la legislazione previdenziale al fine di garantire uniformità di applicazione del prelievo tributario e previdenziale (a seguito art. 12, dlgs 314/1977). Lavoro a domicilio Figura ibrida, per qualche verso comparabile con l’esercizio della piccola impresa (auto-organizzazione del lavoratore, utilizzo di fattori produttivi) che rientra nella nozione fiscale di rld quando vi è subordinazione tecnica del lavoratore rispetto all’imprenditore. Art. 49, co.2, Tuir Redditi definiti di lavoro dipendente, che pur non rappresentando il compenso di prestazioni lavorative, sono ricollegati allo status di lavoratore dipendente. Norma derogatoria rispetto alla ratio generale della categoria ispirata ad esigenze di uniformità di trattamento di fenomeni reddituali assimilabili. … segue interessi moratori e della rivalutazione monetaria corrisposti al lavoratore dipendente per la diminuzione del credito connesso allo svolgimento dell'attività lavorativa, dovuti in base a sentenza (ai sensi art. 429, ult. co., c.p.c.), nonché eventualmente in base ad accordo negoziale con il datore di lavoro (perlopiù in ragione di una transazione) … segue Pensioni di ogni genere ed assegni ad esse equiparati (anche pensioni di professionisti ed imprenditori, pensioni dovute ai superstiti di un lavoratore deceduto) Redditi assimilati (art. 50 Tuir) Fattispecie reddituali in cui manca il collegamento con la prestazione lavorativa Fattispecie reddituali in riferimento alle quali manca il vincolo di subordinazione Compensi riconducibili al lavoro dipendente ma non corrisposti dal datore di lavoro Fattispecie reddituali in cui manca il collegamento con la prestazione lavorativa Rendite vitalizie e le rendite a tempo determinato costituite a titolo oneroso (art. 50, lett. h) Prestazioni pensionistiche della previdenza complementare, di cui al dlgs 21.4.1993, n. 124, comunque erogate (art. 50, lett. h bis). … segue 1. Assegni periodici comunque denominati alla cui produzione non concorrono né capitale né lavoro (art. 50, lett. i) Es. assegni periodici corrisposti al coniuge in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento od annullamento di matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell'autorità giudiziaria Fattispecie reddituali in riferimento alle quali manca il vincolo di subordinazione Compensi percepiti dai soci di società cooperative (ari. 50, lett. a), purché iscritte nel registro prefettizio o nello schedario generale della cooperazione Compensi di amministratori o sindaci di enti o società Remunerazioni dei sacerdoti Compensi per collaborazioni con riviste e giornali … segue Somme corrisposte a titolo di borsa di studio o per fini di studio o di addestramento professionale Compensi per l'attività intramuraria svolta in qualità di libero professionista dal personale dipendente del SSN (assunti nella misura del 75%) Gettoni di presenza ed altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l’esercizio di pubbliche funzioni … segue Compensi dei membri commissioni tributarie e dei giudici di pace Indennità percepite dai membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo Compensi dei lavoratori socialmente utili in conformità a specifiche disposizioni normative … segue I redditi di collaborazione coordinata e continuativa Tali redditi erano redditi di lavoro autonomo prima della modifica introdotta all’art. 50 Tuir dalla legge 342/2000. Tra di essi rientrano i compensi ai lavoratori “a progetto” (dlgs 276/2003 attuazione legge Biagi) Compensi riconducibili al lavoro dipendente ma non corrisposti dal datore di lavoro Compensi per la partecipazione a comitati tecnici, organi collegiali, commissioni esami, organi consultivi di enti pubblici e privati Si tratta di somme erogate da soggetti diversi dal datore di lavoro per incarichi svolti in relazione e in dipendenza del rapporto di lavoro perlopiù sulla base di un ordine di servizio Indennità previdenziali dovute dall’Inps (malattia, maternità, disoccupazione) e dall’Inail (inabilitazione temporanea) Criteri generali di determinazione del reddito di lavoro dipendente Principio della omnicomprensività Assunzione delle somme “al lordo” Principio di cassa Principio di omnicomprensività (art. 51 Tuir) Si considerano tutti i proventi in denaro e in natura percepiti nel corso del periodo di imposta in relazione al rapporto di lavoro dipendente, comprese le liberalità, anche a prescindere pertanto dalla sussistenza di un carattere retributivo o sinallagmatico con la prestazione di lavoro (indennità, Tfr, interessi, etc.). Ai fini della imponibilità occorre comunque che il provento presenti un carattere reddituale, dovendo escludersi la tassazione delle somme o dei valori aventi un carattere patrimoniale. Esempi Ha natura patrimoniale il risarcimento di perdite patrimoniali dovute alla svolgimento della attività lavorativa (risarcimento per la distruzione dell’autovettura o le spese mediche per infortunio sul lavoro) Ha natura reddituale il risarcimento per la perdita di introiti aventi natura reddituale (indennità giornaliera Inail che sostituisce la remunerazione ordinaria in caso di infortunio) … segue Redditi in natura e fringe benefit I compensi in natura sono talvolta denominati fringe benefit, in quanto si tratta di vantaggi concessi in aggiunta alla normale retribuzione in danaro, attribuiti a categorie di lavoratori (per lo più dirigenti), in aggiunta alla normale retribuzione in danaro. Alcuni sono stati ideati per fini di elusione fiscale. Ma sovente sono sorti per incentivare la produttività dei dipendenti, per legarli all'impresa, per motivi di prestigio dell'impresa. Es: uso privato di autovetture aziendali, di telefoni cellulari, speciali assicurazioni contro la malattia o la vecchiaia, mense scontate, attività dopolavoristiche e ricreative, uso di abitazioni di servizio, doni in natura, contributi scolastici, iscrizioni a club, etc. I fringe benefit possono essere dati al lavoratore sia dal datore di lavoro sia da terzi e possono fruirne anche i familiari del lavoratore, ma sono sempre tassati come redditi del lavoratore. Nella determinazione dell’imponibile sono quantificati in base al valore normale (prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni ai grossisti ex art. 9 Tuir), Ai fini di semplificazione, se il valore complessivo dei fringe benefit è inferiore a €258,23 non concorre a formare il reddito imponibile (art. 51, co. 3, ultimo periodo). Determinazione “al lordo” Irrilevanza fiscale dei costi di produzione sopportati dal lavoratore in relazione allo svolgimento della propria attività (es. spese di trasporto, aggiornamenti professionali, costi di telecomunicazioni, etc.). Perciò, le spese effettivamente sostenute dal lavoratore non sono deducibili. In luogo della deduzione delle spese effettivamente sostenute, il legislatore prevede una detrazione forfetaria dall’imposta lorda. Ratio del principio ragioni di semplificazione applicativa: si vuole evitare ai lavoratori oneri di documentazione e di contabilità finalità antielusive: si vuole impedire che vengano dedotte spese non inerenti Principio di cassa I redditi di lavoro non sono imponibili quando maturano ma nel periodo di imposta in cui sono percepiti. Per ragioni di semplificazione dei conteggi rientrano nel periodo d’imposta i redditi percepiti entro il 12 gennaio del periodo successivo a quello cui si riferiscono. Esclusioni di alcuni proventi dalla base imponibile La base imponibile del lavoro dipendente è delimitata anche attraverso l’elencazione tassativa delle somme e dei valori che non concorrono a formare il reddito, benché percepiti in relazione al rapporto di lavoro subordinato. Si tratta di proventi che vengono esclusi per ragioni di opportunità sociale, in quanto in linea di principio non costituiscono un arricchimento per il lavoratore, bensì rispondono ad esigenze di protezione o di tutela di bisogni fondamentali della personalità e della dignità individuale. Esempi Contributi che il datore di lavoro versa per l’assistenza, la previdenza e la sanità Prestazioni di servizi di trasporto collettivo Prestazioni di vitto (es. mensa aziendale/importo non superiore a Euro 5,29 al giorno) Mance degli impiegati tecnici delle case da gioco (croupiers) … segue Disciplina fiscale delle stock option Le azioni attribuite, con funzione retributiva, alla generalità dei dipendenti (c.d. piani di azionariato diffuso), non sono tassate, ma solo nei limiti di un importo di 2065,83 Euro, ed a condizione che non siano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro o comunque cedute prima che siano trascorsi almeno tre anni dalla percezione. Se le azioni sono cedute prima del triennio, l'importo che non ha concorso a formare il reddito al momento dell'acquisto è assoggettato a tassazione nel periodo d'imposta in cui avviene la cessione. I rimborsi spese Qualora il lavoratore presti la propria attività in un comune diverso da quello dove è ubicata l'abituale sede di lavoro, è previsto che i rimborsi spese effettuati dal datore di lavoro a favore del lavoratore medesimo siano fiscalmente irrilevanti e dunque non concorrano a formare il reddito imponibile. … segue Le spese di vitto ed alloggio e di trasporto (aereo, treno, autovettura,nave, etc.) devono essere oggetto di una rendicontazione analitica (c.d. rendiconto "a piè di lista"). Per i trasporti aerei e ferroviari è ritenuta sufficiente la presentazione del biglietto di viaggio; per gli spostamenti con autovettura il rimborso è ammesso sulla base delle tariffe chilometriche Aci. I rimborsi di altre spese, anche non documentabili, eventualmente sostenute dal dipendente in occasione delle trasferte o missioni non costituiscono reddito fino all'importo giornaliero di € 15,49 per le trasferte in Italia e di € 25,82 per le trasferte all'estero. indennità forfetaria di trasferta al lavoratore, che non è imponibile come reddito di lavoro dipendente nel limite di € 46,48 al giorno in Italia e di € 77,47 per l'estero indennità riguardanti le trasferte nell'ambito del territorio comunale sono sempre considerate come reddito di lavoro dipendente, salvo il caso dei rimborsi per spese di trasporto comprovati da documenti provenienti dal vettore. Generalità dello strumento della ritenuta d’acconto nei redditi di lavoro dipendente La tassazione del reddito di lavoro dipendente viene usualmente realizzata tramite il meccanismo delle ritenute alla fonte a titolo di acconto. La ritenuta d'acconto costituisce una prestazione a carattere provvisorio operata dal datore di lavoro in qualità di sostituto d'imposta e funzionale a consentire un'anticipazione del prelievo tributario così da garantire la migliore tutela dell'interesse fiscale. Ed infatti, l'istituto della ritenuta persegue l’obiettivo di consentire il prelievo del tributo nel luogo più vicino alla fonte reddituale e nel momento più prossimo alla percezione del reddito, favorendo l’accertamento del reddito complessivo del percipiente e garantendo l'adempimento del tributo. I REDDITI DI IMPRESA Nozione di reddito di impresa La disciplina del reddito di impresa è collocata all’interno della disciplina dell’Ires, ma le stesse norme valgono anche per gli imprenditori individuali e per le società di persone Sotto il profilo fiscale l’espressione “reddito di impresa” equivale a “reddito di impresa commerciale”. Quindi, quando si parla di impresa tout court, ci si riferisce all’impresa commerciale. Art. 55 Tuir Sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. L’art. 55 chiarisce subito che con tale espressione si intende l’esercizio per forma abituale ancorché non esclusiva, delle attività indicate dall’art. 2195 c.c. e delle attività indicate alle lettere b) e c) dell’art. 32 che eccedono i limiti ivi stabiliti (attività di allevamento, manipolazione, trasformazione e alienazione di prodotti agricoli e zootecnici), anche se non organizzate in forma di impresa. Sono altresì redditi di impresa i redditi derivanti • • • da attività organizzate in forma d’impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195; dallo sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni; da attività agricole quando esercitate da soggetti “commerciali” Art. 2195 c.c. Sono commerciali le attività: industriale diretta alla produzione di beni o servizi intermediaria nella circolazione di beni di trasporto bancaria e assicurativa ausiliarie delle precedenti L’attività deve essere abituale, e cioè esercitata con regolarità e stabilità, anche se non in via esclusiva (attività part-time) e senza una rigorosa continuità (attività stagionali). Rilevanza organizzazione di impresa Per le attività di cui all’art. 2195 c.c.: è irrilevante l’organizzazione in forma di impresa, e cioè una “eteroorganizzazione” dell’attività. Diversamente da quanto disposto civilisticamente, sotto il profilo fiscale possono esservi imprenditori senza organizzazione di impresa (es. agenti e rappresentanti di commercio). … segue Per le prestazioni di servizi non comprese nell’art. 2195 (attività artistiche e professionali a contenuto intellettuale) è rilevante l’organizzazione in forma di impresa Pertanto Produzione di servizi ex art. 2195 c.c. genera sempre reddito di impresa Prestazione di servizi non compresi nell’art. 2195 c.c. genera reddito di impresa solo se organizzata in forma di impresa Prestazione di servizi non compresi nell’art. 2195 c.c. e non organizzata in forma di impresa genera reddito di lavoro autonomo Le norme sulla fonte dei redditi d’impresa sono: • • • irrilevanti per le società a “forma commerciale”, il cui reddito è sempre e solo reddito di impresa rilevanti per le persone fisiche in ambito Irpef, perché servono a qualificare l’attività rilevanti in sede Ires per distinguere gli enti non commerciali e per separare all’interno degli stessi le attività imprenditoriali dalle altre Non residenti Per i non residenti: i redditi d’impresa si considerano prodotti nel territorio dello Stato se derivano da attività esercitate nel territorio stesso mediante stabili organizzazioni (art.23, c.1, lett.e). Stabile organizzazione E’una sede fissa d’affari mediante la quale un’impresa non residente esercita in tutto o in parte la propria attività nel territorio dello Stato, come: sede di direzione, succursale, ufficio, officina, laboratorio, miniera o giacimento petrolifero, cantiere di costruzione o di montaggio (se di durata superiore a tre mesi) (art. 162, c. 1-3). … segue Costituisce stabile organizzazione anche il soggetto che abitualmente esercita nel territorio dello Stato il potere di concludere contratti a nome di un’impresa non residente, a meno che non goda di uno status indipendente e agisca nell’ambito dell’ordinaria attività (art. 162, c. 6-7) Non costituisce, di per sé, stabile organizzazione la società residente controllata da un’impresa non residente (art. 162, c. 9) Determinazione del reddito di impresa – regime ordinario Il reddito d’impresa si determina apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, aumentato o diminuito dei componenti che per effetto dei principi contabili internazionali sono imputati direttamente a patrimonio, le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione delle norme tributarie (art. 83). Vi è dunque un nesso di dipendenza (parziale) o derivazione del reddito fiscale da quello civilistico. Variazioni in aumento derivano da norme tributarie che obbligano ad includere tra i componenti positivi proventi in tutto o in parte non imputati al conto economico (es. normativa transfer price in caso di valore normale superiore al corrispettivo) norme tributarie che obbligano ad escludere dai componenti negativi - perché in tutto o in parte indeducibili, o perché in tutto o in parte deducibili in esercizi successivi - oneri imputati al conto economico (quote di ammortamento superiori a quelle fiscalmente ammesse). Variazioni in diminuzione derivano da • • norme tributarie che obbligano o consentono di escludere dai componenti positivi proventi imputati al conto economico (plusvalenze in regime Pex) norme tributarie che obbligano o consentono di includere tra i componenti negativi oneri non imputati al conto economico, perché non imputabili o perché imputati in precedenti esercizi (es. spese di manutenzione non deducibili nell’esercizio ma rateizzabili in cinque anni) Regime speciale per imprese minori Il reddito d’impresa si determina sommando algebricamente, secondo determinate modalità, componenti positivi e componenti negativi (art. 66) Imprese minori • • • Sono minori le imprese in regime di contabilità semplificata (art. 18, dpr 600/1973), ossia quelle con ricavi non superiori a euro 309.874,16, se hanno per oggetto prestazioni di servizi; a euro 516.456,90, se hanno per oggetto altre attività; e che non abbiano optato per la contabilità ordinaria Principi di determinazione del reddito di impresa: Previa imputazione a conto economico i componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza (art. 109, c. 4) si considerano imputati al conto economico i componenti imputati direttamente a patrimonio (vendita azioni proprie) per effetto dei principi contabili internazionali (art. 109, c. 4) Deroghe • I componenti negativi non imputati al conto economico dell’esercizio di competenza sono deducibili: se imputati a quello di un esercizio precedente, quando la loro deduzione è stata rinviata in conformità ad una delle norme tributarie che consentono o obbligano il rinvio di determinati oneri … segue • se per loro natura non sono imputabili al conto economico, quando la loro deduzione è prevista dalle norme tributarie (compensi spettanti ai soci promotori o fondatori) … segue • se si riferiscono a ricavi che, pur non essendo stati imputati al conto economico, concorrono a formare il reddito, quando risultano da elementi certi e precisi (es. sono deducibili a certe condizioni i costi “neri” (risultanti da elementi certi e precisi) correlati a ricavi “neri”. Principio di competenza Art. 109, co. 1: “i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme non dispongono diversamente, concorrono a formare il rd nell’esercizio di competenza” guarda alla rilevanza delle componenti del reddito dal punto di vista temporale le componenti concorrono a formare il reddito d’impresa nell’esercizio di maturazione ovvero quando si perfezionano le operazioni da cui derivano si distingue dal principio di cassa che invece fa riferimento al momento del pagamento o dell’incasso Deroghe compenso spettante agli amministratori percezione dei dividendi oneri fiscali e contributivi Si tratta di limitate ipotesi predeterminate e tassativamente indicate dal legislatore Momento del conseguimento del ricavo e di sostenimento dei costi Vengono stabiliti i momenti in cui il principio si ritiene perfezionato: cessioni di beni mobili: data della consegna o della spedizione immobili: data delle stipula dell’atto prestazioni di servizi: momento dell’ultimazione della prestazione (e non dell’incasso come avviene ai fini IVA) ad eccezione dei: - rapporti di mutuo - assicurazione - locazione per i quali vale il principio di maturazione dei frutti civili. Tale principio è inderogabile sia per il contribuente che per l’A.F. : di conseguenza se il contribuente omette di dichiarare un costo o un ricavo in violazione di tale principio può solo rettificare la dichiarazione di quel periodo d’imposta e nei limiti tassativamente indicati, ma non usufruire della dichiarazione del periodo d’imposta successivo. Principio della certezza e della obiettiva determinabilità “tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni.” (art. 109, co. 1, secondo periodo) Ratio Escludere i componenti di reddito solo stimati. Per i componenti negativi non vi è simmetria tra normativa civilistica e normativa fiscale: la normativa civilistica ne impone la rilevazione in ossequio al principio di prudenza Per i componenti positivi c’è simmetria tra le due normative Principio di inerenza - Relazioni tra componenti negativi del rd e attività d’impresa (i costi devono essere sostenuti in funzione della produzione di ricavi). Valutazione caso per caso Le spese, gli oneri e tutti gli elementi di costo sono deducibili solo se hanno un collegamento significativo → con l’attività dell’impresa → nella misura in cui si riferiscono a ricavi o altri proventi che concorrono alla formazione del rd … segue La deducibilità è connessa alla sfera imprenditoriale ed è volta ad escludere tutto ciò che esula dalla finalità imprenditoriale (spese personali o comunque extra-imprenditoriali, limiti alla deducibilità delle spese e costi relativi a mezzi di trasporto, limiti alla deducibilità del costo dei beni ad uso promiscuo per l’imprenditore individuale). Componenti positivi reddito di impresa RICAVI (ART. 85) L’art. 85 contiene una dettagliata elencazione di ciò che deve venire considerato ricavo. Più in generale è chiaro che il concetto di ricavo è connesso alla cessione di beni che sono oggetto dell’attività di impresa, nonché le materie prime e sussidiarie. L’inserimento di un bene o di un servizio nel componente reddituario in esame non dipende solo dalle sue caratteristiche oggettive, ma dal suo rapporto con la specifica attività produttiva dell’impresa (es. la vendita di un immobile da parte di un’impresa immobiliare costituisce ricavo, mentre per un’impresa industriale sarà plusvalenza) Ricavi senza contropartita di natura patrimoniale: - destinazione a finalità estranee all’esercizio di impresa; - autoconsumo (valutazione in base al valore normale) Il connotato comune è la volontaria sottrazione dei beni alla sfera dell’impresa e la loro devoluzione a finalità estranee. In questo modo si realizza la fuoriuscita dei beni dal ciclo “fiscale” dell’attività d’impresa Costituiscono inoltre ricavi tutti i contributi di natura privatistica (art. 85, lett. g) e pubblicistica concessi in conto esercizio (lett. h) e relativi alla copertura di squilibri gestionali (e non per l’effettuazione di nuovi investimenti) PLUSVALENZE (art. 86) L’elencazione delle situazioni che concorrono a generare plusvalenze patrimoniali mette in evidenza che l’elemento costitutivo che distingue la fattispecie in esame sui ricavi è rappresentata dalla categoria dei beni interessata, individuati in via residuale rispetto ai ricavi (“beni diversi da quelli indicati nel co. 1 dell’art. 85”). Il co. 2 specifica i criteri di determinazione delle plusvalenze di cui alle lettere a) e b) come differenza tra corrispettivo della cessione e costo non ammortizzato (differenza tra costo di acquisto e ammortamenti = costo fiscalmente riconosciuto) Es. Costo acquisto 900 Meno ammort. (500) Costo fisc. Ric. 400 Corrisp. Vendita 600 Plusv. 200 Permuta (art. 86, co. 2) Se il corrispettivo della cessione di un bene è costituito da un altro bene ammortizzabile e questo viene iscritto in bilancio allo stesso valore al quale era iscritto il bene ceduto, si considera plusvalenza solo l’eventuale conguaglio in denaro pattuito a favore del cedente. In sostanza il legislatore permette di traslare sul nuovo bene il valore fiscalmente riconosciuto del vecchio bene e di differire così il momento impositivo della plusvalenza nel periodo di imposta in cui si ha il realizzo effettivo. La surrogazione del nuovo bene nel valore del vecchio, se comporta una erosione della base imponibile nel periodo d’imposta in cui si perfeziona la permuta, dall’altro comporta una sua espansione nei periodi successivi per via della compressione tanto degli ammortamenti deducibili che del valore di base per il calcolo della plusvalenza al momento della cessione del nuovo bene (Ciò, ovviamente, a condizione che non si abbia conguaglio in denaro) Rateazione (c. 4) Se i beni ceduti sono stati posseduti per un periodo inferiore a tre anni (periodo ridotto ad un solo anno per le società sportive professionistiche) il contribuente può scegliere se far concorrere la plusvalenza per intero nel periodo d’imposta di conseguimento, ovvero in cinque periodi di imposta a partire da quello di formazione (attraverso il meccanismo delle variazioni in aumento e diminuzione) PLUSVALENZE ESENTI (Pex) L’art. 87 rappresenta una delle novità più importanti introdotte con l’Ires. Si prevede, nel suo primo comma, che le plusvalenze realizzate relativamente a ad azioni e quote di partecipazione in società ed enti, escluse le società semplici, non concorrono alla formazione del reddito imponibile in quanto esenti nella misura del 95% a partire dal 2008 (84% nel 2007) La participation exemption (PEX) Il d.lgs. n. 344/2003 ha introdotto un regime di esenzione parziale (95%) delle plusvalenze realizzate da soggetti IRES a seguito della cessione di partecipazioni societarie (c.d. PEX), qualora ricorrano determinate condizioni (art. 87, TUIR). Si tratta di un istituto correlato al nuovo regime di tassazione dei dividendi. Segue... Esso è un rimedio alla doppia tassazione dei dividendi: si assume che le plusvalenze derivino da riserve di utili già tassati o dall’aspettativa di utili futuri. A fronte della esenzione delle plusvalenze, è prevista la indeducibilità delle eventuali minusvalenze. L’istituto mira a evitare che nel nostro ordinamento si abbia una imposizione più gravosa rispetto ad altri Stati (es. Olanda e Lussemburgo) in cui già esistevano disposizioni tesa a non colpire le plusvalenze da partecipazione e i dividendi. L’applicazione della pex è condizionato da una serie di eventi: A) Possesso ininterrotto delle azioni o quote dal primo giorno del dodicesimo (prima era diciottesimo) mese precedente la cessione considerando cedute per prime quelle acquistate più di recente; B) iscrizione delle azioni o quote tra le partecipazioni; C) residenza della partecipata in un territorio di “white list” ex art. 168 – bis TUIR; D) esercizio da parte della partecipata di una impresa commerciale ex art. 55 TUIR SOPRAVVENIENZE ATTIVE (ART. 88) Alla nozione di sopravvenienza attiva la normativa tributaria riconduce due diverse tipologie di situazioni: A) sopravvenienze attive in senso proprio; B) sopravvenienze attive per assimilazione. A) Le prime derivano da eventi che modificano (provocando un incremento del valore del patrimonio) gli effetti reddituali di operazioni contabilizzate e quindi imputate al reddito in precedenti periodi d’imposta. B) Le seconde derivano da incrementi di ricchezza a carattere straordinario che però non si riconnettono a fatti che hanno influenzato il reddito d’impresa in precedenti esercizi In quest’ultima categoria rientrano le indennità per risarcimenti, anche in forma assicurativa, diversi da quelli che concorrono a formare ricavi e plusvalenze (es. risarcimenti per concorrenza sleale); i proventi in denaro o in natura a titolo di contributo o liberalità ad esclusione di quelli che costituiscono ricavi. In quest’ultimo caso l’imputazione di questi proventi segue il criterio di cassa e non quello di competenza Dividendi Nei casi in cui si applica il regime di trasparenza (es. società di persone e società di capitali a ristretta base azionaria), gli utili delle società partecipate si imputano ai soci a prescindere dalla distribuzione dei dividendi (la distribuzione dei dividendi è priva di rilievo fiscale). I dividendi percepiti da società soggette ad Ires sono tassati secondo il principio di cassa. Con la riforma IRES, operata con il d.lgs. n. 344/2003, si è introdotto un nuovo regime di tassazione degli utili derivanti dalla partecipazione in società o enti (anche non commerciali e non residenti) soggetti ad IRES, al fine di applicare lo stesso trattamento fiscale sia ai dividendi nazionali che a quelli di provenienza estera. Si è passati dal precedente metodo dell’imputazione al metodo dell’esenzione. Entrambi i sistemi sono volti ad evitare che l’imposta già pagata dalla società si cumuli con quella dovuta dal socio, dando luogo al fenomeno della doppia imposizione. Metodo dell’imputazione Con questo sistema si considerava l’imposta pagata dalla società come un’anticipazione del prelievo in capo al socio. La società pagava l’IRPEG e i dividendi concorrevano per l’intero ammontare alla formazione del reddito del socio al momento della percezione. A quest’ultimo era, tuttavia, riconosciuto un credito di imposta in misura corrispondente all’imposta pagata dalla società, con diritto al rimborso di eventuali eccedenze. Metodo dell’esenzione Con tale sistema, a partire dal 2004, l’imposizione si concentra in capo alla società, essendo prevista un’esenzione parziale dei dividendi percepiti dai soci. Dividendi percepiti da soggetti passivi IRES residenti (soggetti residenti diversi dalle persone fisiche) I dividendi sono esenti in capo al socio per il 95% del loro ammontare e concorrono per il 5% alla formazione del reddito complessivo del socio nell’esercizio in cui sono percepiti. L’esenzione parziale e non integrale consente di dedurre i costi connessi alla gestione delle partecipazioni. Dividendi erogati a società ed enti non residenti La regola generale è che i dividendi distribuiti da società residenti a soggetti non residenti (detti dividendi in uscita o outbound) sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, nella misura del 27%. La ritenuta è da applicare, in via generale, quale che sia la natura della partecipazione e la natura giuridica del soggetto percipiente (art. 27, comma 3, dpr 600/73). Segue... Tale regime generale non trova applicazione nel caso di dividendi distribuiti: a società ed enti residenti in Stati membri dell'UE inclusi nella white list emanata ex art. 168-bis che sono tassati in tali Stati con l'imposta sul reddito delle società (art. 27, comma 3-bis, dpr 600/73). In questo caso si applica una ritenuta a titolo d’imposta dell’1,375%. In precedenza (fino al 31 dicembre 2007), ai dividendi corrisposti a tali soggetti si applicava una ritenuta a titolo d’imposta del 27%. Segue... A partire dal 2008, le società ed enti residenti e non sono soggetti al medesimo trattamento fiscale, in attuazione del principio di libertà di stabilimento sancito dall’articolo 43 del Trattato UE. L’aliquota da applicare (1,375%) è, infatti, pari al 27,5% della quota imponibile (5%). Dividendi provenienti da società ed enti residenti nei paesi a regime fiscale privilegiato (c.d. paradisi fiscali) Il regime dell’esenzione non si applica agli utili provenienti da società ed enti residenti nei paradisi fiscali, salvo che il percipiente dimostri, mediante interpello, che l’obiettivo non era quello di localizzare il reddito in un paese a tassazione ridotta (per ottenere un vantaggio fiscale). Dividendi distribuiti a persone fisiche I dividendi distribuiti a socio persona fisica non esercente attività d’impresa che detiene una partecipazione non qualificata sono soggetti a ritenuta a titolo d’imposta del 12,50% Dividendi distribuiti a socio persona fisica non esercente attività d’impresa che detiene una partecipazione qualificata: la base imponibile è costituita dal 40% (49,72% dal 2008) del dividendo Dividendi distribuiti a persona fisica (o società di persone) che esercita attività d’impresa:la base imponibile è costituita dal 40% (49,72% dal 2008) del dividendo Partecipazioni qualificate Come previsto al comma 1, dell’art. 67, D.P.R. n. 917/1986, per p. q. si intendono le azioni (diverse da quelle di risparmio) ed ogni altra partecipazione al capitale o al patrimonio della società partecipata che: superano il 2% dei diritti di voto in assemblea ordinaria oppure il 5% del patrimonio o capitale (per le società quotate in mercati regolamentati); superano il 20% dei diritti di voto in assemblea ordinaria o il 25% del patrimonio o capitale (per le società e gli altri soggetti IRES); superano il 25% del patrimonio (per società di persone). Interessi attivi A differenza dei dividendi, gli interessi attivi, con l’eccezione degli interessi di mora, concorrono a formare il reddito imponibile per l’ammontare maturato nel periodo di imposta (principio di competenza). Componenti negativi del reddito di impresa Spese per prestazioni di lavoro (art. 95). Interessi passivi (art. 96). Oneri fiscali e contributivi (art. 99). Oneri di utilità sociale (art. 100). Minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive e perdite (art. 101). Oneri pluriennali (ammortamento) Spese per prestazioni di lavoro In generale, salvo alcune eccezioni espressamente previste, sono deducibili tutte le spese sostenute dal datore di lavoro per i propri dipendenti, comprese le liberalità. L’unico limite alla deducibilità di tali spese riguarda gli oneri di utilità sociale (art. 100), in relazione ai quali la deducibilità è ammessa solo in parte (fino al 5 per mille delle spese per prestazioni di lavoro dipendente). Per finalità antielusive è disposto che non sono deducibili i costi sostenuti per il funzionamento di strutture recettive (es. circoli sportivi e culturali). - - Limiti alla deducibilità sono invece previsti per: Spese di vitto e alloggio relative a trasferte del dipendente. Costi relativi ai fabbricati concessi in uso ai dipendenti. - - Nella disciplina delle spese per prestazioni di lavoro sono contenute anche due deroghe ai principi generali. I compensi agli amministratori sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti (si applica quindi il principio di cassa, in deroga al principio di competenza, ex art. 109, co. 1). Le partecipazioni agli utili dei dipendenti sono deducibili anche se non imputate al conto economico (deroga al c.d. principio della imputazione, ex art. 109, co. 4). Interessi passivi Il d.lgs. n. 344/2003 ha introdotto una serie di misure volte a limitare la deducibilità degli interessi passivi derivanti da finanziamenti concessi alla società dai soci, qualora l’indebitamento della società risulti eccessivo. L’intento è quello di contrastare la sottocapitalizzazione delle società, evitando che ragioni di carattere esclusivamente fiscale inducano le società a preferire l’indebitamento piuttosto che il finanziamento con capitale proprio. … segue L’istituto previsto inizialmente per contrastare il fenomeno suddetto era la Thin capitalization, disciplinata dall’art. 98 del TUIR, da applicarsi in combinazione con gli artt. 97 e 96 (prorata patrimoniale e pro-rata generale). Il nuovo regime di deducibilità degli interessi passivi La legge finanziaria 2008 ha abrogato le norme su indicate e ha introdotto un nuovo regime di deducibilità degli interessi passivi, disciplinato dal novellato art. 96 del TUIR. Gli interessi passivi, per i soggetti IRES, sono deducibili: fino a concorrenza degli interessi attivi; nei limiti del 30% del Risultato operativo lordo (ROL) per l’eccedenza. Risultato operativo lordo (ROL) L’art. 96 del TUIR definisce il ROL come la differenza tra il valore e i costi della produzione, con esclusione dell’ammortamento delle immobilizzazioni materiali e immateriali, e dei canoni di leasing di beni strumentali (come da conto economico redatto secondo lo schema indicato dall’art. 2425 del codice civile). La quota di interessi passivi eccedente (indeducibile in un periodo di imposta) può essere dedotta senza alcun limite nei periodi successivi A partire dal 2010 la parte di Rol rimasta inutilizzata in un periodo di imposta potrà essere riportata in avanti ad incremento del Rol dei periodi di imposta successivi Deducibilità per gli imprenditori individuali e le società di persone La deducibilità degli interessi passivi per gli imprenditori e le società di persone segue regole più semplici (art. 61), basate sul calcolo di un pro-rata generale di deducibilità, dato dal rapporto: ricavi e proventi tassabili o esclusi/totale dei ricavi e proventi. La percentuale che deriva dal calcolo di questo rapporto va applicata all’ammontare degli interessi passivi, dando luogo all’importo degli interessi passivi deducibili dal reddito d’impresa. … segue La parte di interessi passivi non deducibili corrisponde in sostanza alla quota dei ricavi e proventi esenti rispetto al totale dei ricavi e proventi Oneri fiscali e contributivi In generale gli oneri fiscali sono deducibili dal reddito d’impresa, alla stregua di altri costi, quando sono inerenti all’attività d’impresa (es. imposta di bollo, di registro). In tal caso la deducibilità è ammessa nell’esercizio in cui avviene il pagamento (principio di cassa). Anche i contributi sono deducibili per cassa, purché si tratti di contributi obbligatori. - La deducibilità è esclusa per: le imposte sui redditi (IRPEF e IRES); le imposte per le quali è prevista la rivalsa (IVA); quei tributi la cui indeducibilità è prevista da disposizioni esterne al TUIR (es. IRAP e ICI). Indeducibilità (ora parziale) dell’IRAP A decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2008, l’Irap è deducibile nella misura del 10% (art. 5 D.L. n. 185/2008). Si tratta di un meccanismo forfetario per individuare la quota di Irap astrattamente riferibile alle spese del personale dipendente e agli interessi passivi. Oneri di utilità sociale Si tratta di spese non inerenti all’esercizio dell’impresa, ma nondimeno deducibili in considerazione della rilevanza sociale del fine per il quale vengono sostenute (istruzione, ricreazione, culto, ecc.). La deducibilità è ammessa nel limite del 5 per mille delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultanti dalla dichiarazione dei redditi. Sono inoltre previsti limiti specifici per la deducibilità di oneri tassativamente indicati nel co. 2 dell’art. 100 (erogazioni liberali a favore dello Stato od Enti pubblici, Università, Onlus, fondazioni, associazioni, istituzioni pubbliche, ecc.). Minusvalenze patrimoniali a) b) c) Costituiscono un concetto simmetrico a quello di plusvalenza patrimoniale; infatti: traggono origine dagli stessi beni (strumentali, patrimoniali e immobilizzazioni finanziarie cui non si applica il regime della partecipation exemption); derivano dagli stessi eventi: cessione a titolo oneroso dei suddetti beni, risarcimento per la loro perdita od il loro danneggiamento, cessione di azienda; sono calcolate sottraendo al corrispettivo o indennizzo ricevuto il costo fiscalmente riconosciuto del bene. Sopravvenienze passive Analogamente alla sopravvenienze attive, costituiscono poste rettificative, ma in senso negativo, di componenti reddituali già contabilizzati in precedenti esercizi. Mancato conseguimento di ricavi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi (es. revoca di contributi in conto esercizio). Sostenimento di spese a fronte di ricavi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi (es. spese legali per il recupero di crediti). Sopravvenuta insussistenza di attività iscritte in bilancio in precedenti esercizi (es. furti di denaro). Perdite Si distinguono le perdite di beni e le perdite su crediti, deducibili solo qualora risultino da elementi certi e precisi. Le perdite di beni sono deducili solo quando derivano da beni patrimoniali e strumentali. Si differenziano dalle minusvalenze patrimoniali in quanto non derivano, come queste ultime, dalla cessione del bene ma dalla sopravvenuta indisponibilità fisica dello stesso (ad es., in caso di incendio, alluvione, furto). Le perdite su crediti sono quelle che derivano dall’inadempienza del debitore e, come le perdite di beni, sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi, consistenti in prove documentali o presuntive dalle quali possa evincersi l’irrecuperabilità del credito. Non è richiesta alcuna prova della inesigiblità del credito quando il debitore è assoggettato a procedure concorsuali. Ammortamento delle immobilizzazioni materiali L’ammortamento riguarda i costi ad utilizzazione pluriennale, tra cui, in primo luogo, i costi di acquisto delle immobilizzazioni materiali (impianti, macchinari, fabbricati). I costi la cui utilità si estende a più esercizi devono essere ammortizzati, cioè ripartiti nei diversi esercizi in cui sono utilizzati (principio di competenza). L’ammortamento dei beni materiali è ammesso per i soli beni “strumentali” all’esercizio dell’impresa. Non sono ammortizzabili gli immobili che concorrono alla formazione del reddito d’impresa secondo le regole catastali (terreni) Quote di ammortamento Le norme tributarie stabiliscono dei periodi minimi di durata dell’ammortamento. La determinazione avviene mediante coefficienti massimi (è possibile calcolare quote secondo percentuali inferiori) stabiliti da decreti ministeriali per categorie di beni omogenei in base al periodo normale di deperimento e consumo nei vari settori produttivi. Le quote di ammortamento sono deducibili: a partire dall’esercizio di entrata in funzione del bene Nel primo esercizio la quota deve essere ridotta alla metà Valore ammortizzabile Costo storico del bene (art. 110 Tuir) Quota di ammortamento imputata a bilancio > quota fiscalmente ammessa La parte di ammortamento civilistico in eccesso deve essere ripresa a tassazione Il relativo importo potrà essere dedotto con variazioni in diminuzione non superiori al limite massimo, a partire dal primo esercizio successivo a quello in cui cessa l’ammortamento civilistico Quota di ammortamento imputata a bilancio < quota fiscalmente ammessa La parte di ammortamento fiscale in eccesso non può essere dedotta perché non imputata a conto economico La deduzione è rinviata al primo periodo di imposta successivo a quello in cui cessa l’ammortamento civilistico. Le quote da dedurre risulteranno già imputate al conto economico degli esercizi precedenti e potranno essere fatte valere con variazioni in diminuzione di importo non superiore al limite massimo. Beni di modico valore Per i beni materiali il cui costo unitario è inferiore a 516,46 Euro è consentita la deduzione integrale delle spese di acquisizione nell’esercizio in cui sono state sostenute. Ammortamento immobilizzazioni immateriali I diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno: il costo è annualmente deducibile nella misura del 50% (la durata minima dell’ammortamento è pari a due anni) L’avviamento è ammortizzabile annualmente in misura non superiore ad un diciottesimo (5,56%) Soggetti IAS Per i soggetti che redigono il bilancio in base agli IAS, l’ammortamento dei marchi e dell’avviamento segue le regole sopra indicate, ma a prescindere dalla imputazione a conto economico delle relative voci di costo. Le rimanenze di magazzino Per rimanenze o giacenze di magazzino si intendono i beni (fattori “a breve ciclo di utilizzo”) destinati alla produzione (materie prime, sussidiarie e di consumo, semilavorati e prodotti in corso di lavorazione) o alla vendita (merci e prodotti fabbricati dall’impresa) nel corso della normale attività dell’impresa. La valutazione delle rimanenze finali di magazzino costituisce, per l’impresa, uno dei punti cruciali della fase di rilevazione del risultato economico d’esercizio. Al momento della predisposizione dei fatti contabili relativi alla formazione del bilancio d’esercizio, occorre infatti determinare quella parte di costi che non hanno ancora trovato i corrispondenti ricavi, rinviandoli agli esercizi futuri e così determinando un elemento fondamentale della consistenza patrimoniale dell’impresa. Ciò vale a dire che, in virtù del principio di competenza economica, è necessario che il valore delle rimanenze sia stornato dall’esercizio in corso e rinviato all’esercizio successivo. Sia sotto il profilo civilistico che sotto il profilo fiscale, le variazioni del magazzino rispetto alle giacenze iniziali (rimanenze finali dell’esercizio precedente) costituiscono una componente reddituale positiva o negativa a seconda del segno della variazione. Secondo la disciplina tributaria occorre innanzitutto procedere alla individuazione del magazzino, aggregando i beni secondo l’appartenenza al medesimo genere merceologico e attribuendo ad essi un valore tendenzialmente omogeneo. La corretta individuazione del magazzino è essenziale per verificare la condotta fiscale del contribuente: nel caso di vendite effettuate senza predisporre le dovute documentazioni e registrazioni contabili (vendite “in nero”), il magazzino presenterà un valore più elevato sul piano contabile e documentale rispetto a quello effettivamente esistente nei locali dell’impresa (o presso terzi). Del resto, proprio l’accertamento e la verifica del magazzino rappresentano uno dei principali indicatori di eventuali evasioni fiscali. In ragione della rilevanza del magazzino nella determinazione del reddito di impresa, le norme tributarie stabiliscono criteri di valutazione e di stima delle giacenze più rigorosi di quelle civilistiche, valevoli in sede di redazione del bilancio di esercizio, al fine di contenere la discrezionalità dell’imprenditore. Ai sensi dell’art. 92, comma 1, TUIR, le rimanenze finali - vale a dire i beni alla cui produzione e scambio è diretta l’attività di impresa, le materie prime e sussidiarie, i semilavorati e gli altri beni mobili (pezzi di ricambio, materiali per la pulizia, materiale pubblicitario, cancelleria e stampati, etc.) -, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici, sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato a norma delle disposizioni successive, che fanno riferimento al LIFO a scatti annuale. Nel corso del primo esercizio, le rimanenze sono valutate attribuendo ad ogni unità il valore risultante dalla divisione del costo complessivo dei beni prodotti e acquistati nell’esercizio stesso per la loro quantità, applicando, dunque, il metodo del costo medio ponderato (art. 92, comma 2). Negli esercizi successivi, se la quantità delle rimanenze è aumentata rispetto all’esercizio precedente, le maggiori quantità, valutate in base al costo medio ponderato dell’anno, costituiscono voci distinte per esercizi di formazione. Pertanto, le rimanenze finali vengono distinte in due blocchi: il primo corrisponde alle esistenze iniziali e ha già un suo valore; il secondo costituisce l’incremento verificatosi nell’esercizio e viene valorizzato al costo medio ponderato dell’anno. Se le rimanenze finali sono minori delle esistenze iniziali, la diminuzione si imputa agli incrementi formati nei precedenti esercizi, a partire dal più recente (art. 92, comma 3). Si applica, cioè, il metodo del LIFO a scatti annuale, secondo il quale si considerano scaricate per prime le scorte acquisite più recentemente. Ai sensi del comma 5 dell’art. 92, per le imprese che valutano in bilancio le rimanenze finali con il metodo della media ponderata o del FIFO o con varianti del LIFO a scatti, le rimanenze sono assunte per il valore che risulta in bilancio dall’applicazione del metodo adottato, senza dover ricorrere ad alcuna variazione in sede di dichiarazione dei redditi. Ciò significa che il legislatore tributario ritiene ammissibili i metodi di valutazione applicati in bilancio e validi civilisticamente, anche se diversi dal LIFO a scatti, purché, come è ovvio, il valore attribuito alle rimanenze di esercizio non sia inferiore a quello determinato valorizzando i beni con quest’ultimo metodo. Qualora il valore delle rimanenze assunto secondo metodi civilistici sia inferiore al valore minimo determinato in base alla metodologia del LIFO a scatti, andrà eseguita una variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi. Se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato sulla base dei criteri di valutazione ammessi ai fini fiscali è superiore al valore normale medio di essi nell’ultimo mese dell’esercizio, il valore minimo fiscale può essere determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni per il valore normale, definito ai sensi dell’art. 9 TUIR, indipendentemente dall’esercizio di formazione. Viene quindi riconosciuta all’impresa la facoltà di procedere alla svalutazione del magazzino al fine di adeguarne il valore ai prezzi di mercato. Anche in materia fiscale le rimanenze finali di un esercizio, nell’ammontare indicato dal contribuente, costituiscono le esistenze iniziali dell’esercizio successivo. Viene, quindi, sancito il principio della continuità del valore del magazzino nel corso dei vari esercizi in conformità con il principio di continuità dei valori fiscalmente riconosciuti dei beni di impresa. Riepilogo criteri di valutazione delle rimanenze Costo specifico metodo del costo medio ponderato per periodo: per ciascun articolo si calcola il costo medio relativo all’intero periodo amministrativo e lo si applica alla valutazione della quantità in rimanenza; metodo FIFO: le rimanenze risultano valorizzate in base ai prezzi sostenuti per gli acquisti più recenti, partendo dall’assunto che siano state vendute per prime le quantità acquisite in tempi più remoti. La valutazione delle rimanenze che discende dall’applicazione del metodo in parola è quella che risulta più vicina al valore corrente dei beni. … segue Metodo LIFO: le rimanenze sono valutate in base ai prezzi sostenuti per gli acquisti più remoti, in quanto si ipotizza, poco realisticamente, che siano state vendute per prime le quantità acquistate in tempi più recenti. Il LIFO si applica, in sede di contabilità generale, nella variante del LIFO a scatti annuale. Lifo a scatti annuale Le rimanenze finali devono essere messe a confronto con le rimanenze iniziali. Per ciascun articolo possono verificarsi i seguenti tre casi: a) la consistenza finale è uguale alla consistenza iniziale: si considerano vendute tutte le partite acquistate nell’esercizio; la quantità in rimanenza finale coincide pertanto con le esistenze iniziali e si valuta per il medesimo importo; b) la consistenza finale è minore di quella iniziale: si considerano vendute tutte le partite acquistate nell’esercizio e una parte delle quantità esistenti in magazzino all’inizio dell’esercizio (a partire dalle più recenti); le rimanenze finali sono perciò valutate (ai costi unitari medi più remoti); … segue c) la consistenza finale è superiore a quella iniziale: le quantità corrispondenti alle esistenze iniziali si suppone, in quanto più remota, rimasta in magazzino e conserva la valorizzazione precedente; le quantità corrispondenti all’incremento rispetto alla consistenza iniziale (merce acquistata nell’esercizio e non venduta) sono valorizzate al costo medio degli acquisti effettuati nel periodo amministrativo di riferimento. In un contesto di prezzi crescenti, quale è quello usuale di mercato, alla adozione del metodo LIFO consegue una valutazione delle rimanenze a prezzi inferiori a quelli correnti di mercato, che genera la c.d. “riserva LIFO”. Il LIFO riflette una movimentazione di magazzino irreale (ultimo entrato, primo uscito), mentre il FIFO è più aderente ai comportamenti concreti (primo entrato, primo uscito).