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nei mesi scorsi una delegazione di
parlamentari italiani ed europei, composta
dagli onorevoli Locatelli, Khalil e Poletti, si
è recata in Marocco per perorare, presso
il Governo locale l’istanza di grazia a
favore del signor Abou Elkassim Britel;
signor Abou Elkassim Britel al fine di
ottenere la sua definitiva liberazione.
purtroppo tale grazia non è stata
concessa ed il signor Elkassim Britel continua ad essere detenuto in Marocco;
(Sezione 2 – Iniziative con riguardo alla
situazione dell’organico del tribunale di
Parma, in vista dello svolgimento del
processo sul caso Parmalat)
il 14 febbraio 2007 il Parlamento
europeo ha votato la propria « risoluzione
sul presunto uso dei Paesi europei da
parte della Cia per il trasporto e la detenzione illegali di prigionieri » nella
quale:
« 63. Condanna la consegna straordinaria del cittadino italiano Abou Elkassim
Britel, che era stato arrestato in Pakistan
nel marzo 2002 dalla polizia pakistana ed
interrogato da funzionari degli Stati uniti
d’America e pakistani e successivamente
consegnato alle autorità marocchine e imprigionato nella prigione “Temara”, dove è
ancora detenuto; sottolinea che le indagini
penali in Italia contro Abou Elkassim
Britel erano state chiuse senza che egli
fosse incriminato;
64. Si rammarica che, secondo la documentazione trasmessa alla commissione
temporanea dall’avvocato di Abou Elkassim Britel, il ministero dell’interno italiano
all’epoca fosse in “costante cooperazione”
con servizi segreti stranieri in merito al
caso di Abou Elkassim Britel dopo il suo
arresto in Pakistan;
65. Invita il Governo italiano a prendere misure concrete per ottenere l’immediato rilascio di Abou Elkassim Britel e a
fare in modo che Abu Omar possa essere
processato dal tribunale di Milano » –:
(2-00890) « Locatelli, Migliore, Khalil detto
Alı̀ Rashid, Mantovani, Siniscalchi ».
B)
I sottoscritti chiedono di interpellare il
Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
nel dicembre 2003, nel nostro Paese
si è verificato uno scandalo economico
senza precedenti che ha visto coinvolta la
Parmalat, gigante italiano di latticini e
alimentari a proprietà familiare con affari
commerciali e manifatturieri che nel 2002
si estendevano in oltre cento Paesi;
la vicenda ha rivelato come la rapida
ascesa della Parmalat fu facilitata da prestiti enormi concessi da banche e istituzioni finanziarie, da una complessa struttura organizzativa internazionale e da
trucchi finanziari messi in atto per coprire
evasioni fiscali e perdite economiche ingenti;
il collasso della Parmalat è stato il
più grande scandalo finanziario in Europa,
provocato da oscure e spregiudicate transazioni finanziarie finalizzate alla appropriazione indebita di fondi, tramite l’utilizzo di complessi strumenti finanziari e la
deviazione di fondi tramite consociate, il
tutto con il benestare di revisori dei conti,
banche, istituzioni finanziarie e società di
valutazione;
quali iniziative intendano intraprendere per verificare e perseguire le responsabilità di Jeppesen planning e Air routing
international, nonché dei servizi di intelligence dei vari Paesi, nel rapimento di un
cittadino italiano;
è noto come la Parmalt sia stata
travolta alla fine da oltre 14 miliardi di
euro di debiti e che tale scandalo finanziario sia stato provocato da ben quindici
anni di bilanci falsi approvati con il
silenzio colpevole di chi doveva controllarli;
cosa intendano fare i Ministri interpellati in relazione alla situazione del
nel mese di luglio 2007 sono stati
rinviati a giudizio 56 imputati e il dibat-
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timento per la storica bancarotta del dicembre 2003 dovrebbe aprirsi il 14 marzo
2008, con oltre trentacinquemila parti civili ammesse in aula e ben duecentocinquanta testate giornalistiche accreditate a
conferma che l’attenzione sul processo
raggiunge i massimi livelli;
il dibattimento unificato raccoglie i
cinque tronconi principali dell’inchiesta,
quello sul crack di 14 miliardi di euro
dell’azienda alimentare, con imputati principali l’ex patron Callisto Tanzi e il direttore finanziario Fausto Tonna accusati di
bancarotta fraudolenta, il fallimento di
Parmatour, e infine il cosiddetto filone
Ciappazzi, ovvero la controversa vendita
dell’omonima azienda di acque minerali
per cui è rinviato a giudizio l’ex presidente
di Capitalia Cesare Geronzi;
tanto per non dimenticare che siamo
in un Paese dove il ritardo della giustizia
rappresenta un problema insoluto da decenni e dove il rischio prescrizione incombe sulla conclusione dei processi, un
noto quotidiano (Il Corriere della Sera del
6 dicembre 2007) ha richiamato l’attenzione su « una carenza di giudici che
affligge il palazzo di giustizia parmigiano
in vista del processo del secolo », tanto che
a meno di quattro mesi dall’inizio del
processo non risulta ancora costituito il
collegio giudicante che dovrà studiare una
mole di 6 milioni di pagine;
secondo quanto riportato dal quotidiano le cause dello stallo sono molteplici,
legate al fatto che la maggior parte dei
magistrati giudicanti del tribunale penale
di Parma risulta incompatibile con il processo per aver già trattato il caso in sede
di indagini o udienza preliminari, che
molti magistrati civili si rifiutano di passare alla sezione penale e che fino ad ora
è mancata una applicazione delle tabelle;
in data 25 ottobre 2007 anche il
Consiglio superiore della magistratura ha
sottolineato come « gli uffici giudiziari di
Parma siano sottoposti ad impegni e tensioni incompatibili con le dimensioni e le
risorse degli uffici stessi » come il processo
Parmalat costituisca una « straordinaria
emergenza »;
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sembrerebbe, tuttavia, prossima una
decisione per la copertura di due posti
vacanti scoperti nell’organico, come richiesto tempestivamente dal presidente del
tribunale di Parma dottor Stellario Bruno,
affinché siano destinati in applicazione tre
magistrati esperti nel settore penale di cui
al richiesta dello stesso presidente dottor
Bruno;
va tuttavia considerato che il tempo
che intercorre tra il bando per il trasferimento temporaneo e l’arrivo del magistrato nella sede prescelta può arrivare a
diciotto mesi, risulta inoltre che manchino
i magistrati necessari a comporre il collegio penale dell’udienza fissata il 14
marzo 2008 e che il presidente della
sezione penale si rifiuterebbe di presiedere
l’udienza del 14 marzo 2008, vanificando
cosı̀ ogni sforzo per comporre il collegio
ancora mancante;
infine, il presidente della sezione penale avrebbe chiesto la composizione del
collegio penale prelevando gli stessi magistrati dal settore civile, con ciò vanificando
l’attività delle sezioni civili ed influendo
negativamente sulle qualità professionali
dei componenti del collegio di estrazione
diversa da quella per la quale verrebbero
ora destinati –:
se il Ministro interpellato sia a conoscenza delle recenti notizie di stampa
riguardanti la grave situazione creatasi
presso il tribunale di Parma e quali iniziative di sua competenza, ferma restando
l’autonomia del Consiglio superiore della
magistratura, intenda adottare per garantire lo svolgimento di un processo che
interessa ben trentacinquemila parti civili.
(2-00902) « Alessandri, Fava, Barbieri, Fugatti, Fabbri, Gibelli, Filippi,
Marcazzan, Pini, Bernardo,
Brigandı̀,
Goisis,
Bezzi,
Buontempo, Allasia, Bricolo,
Dussin,
Bodega,
Pottino,
Cota, Caparini, Grimoldi, Garavaglia, Costa, Poretti, Paroli, Lussana, Montani, Beltrandi, Misiti, Barbieri ».
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(Sezione 3 – Indirizzi e criteri per la
localizzazione di discariche, con particolare riferimento alla realizzazione di
una discarica nel comune di Pignataro
– Caserta)
C)
I sottoscritti chiedono di interpellare i
Ministri dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare e della salute, per
sapere – premesso che:
il commissario per l’emergenza rifiuti, prefetto Pansa, con proprio decreto
n. 2942 del 30 novembre 2007 notificato al
sindaco di Pignataro il 2 dicembre 2007,
ha comunicato che, in esecuzione del decreto di occupazione d’urgenza n. 425/
2007, si immetterà nel possesso dei beni
appartenenti al patrimonio indisponibile
del comune di Pignataro, distinti al catasto
al foglio 27 particella 28, al foglio 28
particelle 2, 3, 4 e 8, per gli studi di
fattibilità di una discarica di rifiuti solidi
urbani;
i terreni oggetto dell’intervento sono
beni confiscati alla criminalità organizzata
ai sensi della legge n. 575 del 1965 e sulla
particella 9 del foglio 28 insistono strutture abitative che ospitano persone svantaggiate come da progetto presentato dalla
cooperativa sociale a cui il comune le
affidò in gestione con provvedimento
n. 11670 del 18 dicembre 2001 per il riuso
sociale dei beni;
detti beni sono stati, con progetto
esecutivo approvato dal comune e finanziato dalla regione Campania per circa un
milione di euro, in parte già oggetto di
adeguamento e ristrutturazione per l’utilizzo ai fini sociali cui sono destinati e
risultano già occupati da persone svantaggiate che seguono corsi di recupero e
formazione;
detti beni immobili e aziendali confiscati fanno parte del patrimonio indisponibile del comune e la destinazione
d’uso degli stessi è stata effettuata con
provvedimento del direttore centrale del
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demanio del ministero dell’economia e
della finanze e pertanto ai sensi dell’articolo 828 del codice civile gli stessi non
possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle
leggi che li riguardano;
trattandosi di beni confiscati ai sensi
della normativa antimafia, a precetti di
natura giuridica si sommano motivi etici
per il rilievo peculiare che, nell’ambito
della lotta contro la criminalità organizzata, assume l’utilizzo e il riuso a scopo
sociale dei beni;
ai sensi dell’articolo 3 del decreto
legislativo n. 267 del 2000 il comune è
l’ente locale che rappresenta la propria
comunità, ne cura gli interessi e ne
promuove lo sviluppo; sono stati disposti
accertamenti tecnico-scentifici che hanno
evidenziato potenziali devastazioni ambientali e danni alla salute ove mai sul
sito viene realizzata la discarica provinciale, come da relazioni: del professor
Corrado Buondonno dell’università degli
studi di Napoli Federico II; del professor
Franco Ortolani ordinario di geologia dell’università di Napoli Federico II e dei
geologi dottor Giuseppe Cuccaro e dottor
Giuseppe D’Onofrio con allegato stralcio
della relazione geologica allegata al piano
regolatore generale del comune di Pignataro;
è emerso, quindi, da uno studio di
fattibilità, degli enti locali interessati, che
la realizzazione di una discarica in
un’area ad altissima fertilità e potenzialità
produttiva dove le falde acquifere affiorano a 50 centimetri dal piano di campagna nei periodi di massima alimentazione
meteorica sarebbe causa di un vero disastro ambientale con possibili ed estesi
contagi di infezioni e patologie varie in
danno dei cittadini di tutti i comuni limitrofi e il rischio di una devastazione ambientale dell’ecosistema che si è creato rei
dintorni del paese, è certamente insito il
pericolo di una lesione al diritto alla salute
che merita adeguata tutela;
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è stata accertata, sotto diversi profili,
l’assoluta inadeguatezza del sito per la
realizzazione della discarica perché è il
presupposto certo di un preciso danno
ambientale a cui si aggiunge una serie
interminabile di danni ulteriori a tutto il
comparto agricolo individuato dal disciplinare del consorzio tutela di bufala campana come territorio per la produzione del
formaggio a marchio denominazione origine protetta;
dai fatti sopra esposti si evidenzia,
secondo gli interpellanti, un disinvolto e
disattento uso del potere emergenziale e
derogatorio. Per vero anche in situazioni
di emergenza che richiedono l’apertura di
una discarica, l’ubicazione della stessa non
può essere disposta in deroga alle prescrizioni poste a specifica garanzia degli stessi
interessi pubblici (salute pubblica ed ambiente salubre) prioritari e non disponibili,
cui gli interventi urgenti per lo smaltimento dei rifiuti dovrebbero ovviare (vedi
Consiglio di Stato 12 ottobre 1999,
n. 5) –:
se non ritengano di verificare la sussistenza di quanto anzi premesso e, ove
confermato, se non ritengano opportuno
disporre quanto necessario alla tutela
della salute dei cittadini adottando provvedimenti di indirizzo volti alla localizzazione delle discariche in zone improduttive e sterili prive di pregio naturalistico;
se non ritengano di accertare i criteri
tecnici e/o le indicazioni seguite dal prefetto Pansa per l’individuazione dei terreni
confiscati alla criminalità organizzata per
la localizzazione della discarica provinciale.
(2-00892) « Zinzi, Adolfo, Ciro Alfano,
Barbieri,
Bosi,
Capitanio
Santolini, Ciocchetti, Compagnon, D’Agrò, D’Alia, De Laurentiis,
Delfino,
Dionisi,
Drago, Forlani, Formisano,
Galletti, Greco, Lucchese,
Marcazzan, Martinello, Mazzoni, Mereu, Oppi, Peretti,
Pisacane, Romano, Ronconi,
Ruvolo, Tassone, Tucci ».
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(Sezione 4 – Vicende relative al naufragio
del gommone con 44 migranti avvenuto
l’8 agosto 2007 tra Tunisi e Lampedusa,
e iniziative per il pieno rispetto dei diritti
dei migranti)
D)
I sottoscritti chiedono di interpellare il
Ministro dell’interno, per sapere – premesso che:
la notte dell’8 agosto 2007, sette pescatori tunisini imbarcati su due pescherecci (il Mortadha e il Mohammed), partiti
dal porto tunisino di Teboulba, hanno
intercettato un gommone con a bordo 44
migranti tra i quali 11 donne e 2 bambini
che stavano naufragando nel braccio di
Mediterraneo tra Tunisi e Lampedusa con
un mare forza 4;
compiuta l’attività di salvataggio,
l’equipaggio dei due pescherecci è stato
arrestato appena entrato nel porto di
Lampedusa con l’accusa di favoreggiamento della clandestinità a scopo di lucro;
dalle carte del processo, ancora in
corso, risulta che « i clandestini, originari
di Sudan, Eritrea, Etiopia, Marocco, Togo
e Costa d’Avorio, si erano imbarcati il 4 di
agosto 2007 in una spiaggia libica » e che
« il soccorso è avvenuto a 37 miglia da
Lampedusa e a 80 miglia da Tunisi, in
acque internazionali »;
sempre secondo quanto dichiarato,
durante l’udienza di convalida dell’arresto,
dal comandante di una delle due imbarcazioni tunisine (confermato poi da alcune
testimonianze dei naufraghi), il primo
mezzo intervenuto, quello della Guardia di
finanza, avrebbe inizialmente intimato ai
pescherecci di avvicinarsi alle acque dell’isola di Lampedusa, solo dopo una visita
medica, che avrebbe escluso un’emergenza
SAR, i mezzi della Capitaneria di porto
hanno poi (in prossimità delle acque di
Lampedusa) intimato agli stessi di fare
rotta verso le coste nordafricane comunicando a gesti che in caso contrario sarebbero stati arrestati;
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nel frattempo, date le condizioni del
mare e di salute dei naufraghi, le imbarcazioni tunisine avevano comunque deciso
di far sbarcare i naufraghi in territorio
italiano, alcuni tra loro sono stati immediatamente ricoverati in ospedale, di cui
due donne incinte e due bambini, smentendo dunque la versione confusa del
medico che aveva escluso un’emergenza
SAR;
l’articolo 54 del codice penale, che fa
riferimento allo stato di necessità come
causa esimente che esclude la responsabilità penale dı̀ chi agevola un ingresso
irregolare nel territorio italiano, si amplia
sensibilmente per effetto del dettato dell’articolo 12 del testo unico dell’immigrazione del 1998 che afferma espressamente
che « non costituiscono reato le attività di
soccorso e di assistenza umanitaria nei
confronti degli stranieri in condizione di
bisogno comunque presenti nel territorio
dello Stato », come pure che « l’obbligo
dello Stato di cooperare per la conclusione
dell’operazione di soccorso in mare, consentendo lo sbarco dei naufraghi, impone
comportamenti consequenziali che prescindono dal potere dello Stato stesso di
perseguire i presunti favoreggiatori (comandante ed equipaggio) o di adottare
verso i clandestini i provvedimenti previsti
dalla legge »;
nella ricostruzione fornita dalle autorità italiane alla magistratura sembra
non abbia assunto alcun rilievo che tra i
naufraghi vi potessero essere, e vi siano
realmente, potenziali richiedenti asilo, il
tutto in esplicita violazione del divieto di
refoulement previsto dall’articolo 33 della
convenzione di Ginevra;
tutte le pratiche di respingimento in
mare rivolte indistintamente verso un
gruppo di migranti che comportano un’assenza di identificazione individuale, configurano infatti la violazione del divieto di
respingimento collettivo poiché impediscono nei fatti un esame delle singole
posizioni e una assistenza legale, disattendendo cosı̀ sia gli articoli 10 e 24 della
Costituzione italiana, sia le norme di sal-
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vaguardia dei diritti dell’uomo stabiliti
nella Carta di Nizza del 2000 e dalla
Convenzione europea;
lunedı̀ 10 settembre 2007 è stata
concessa la liberazione di cinque dei sette
pescatori tunisini mentre i due capitani
delle navi (Abdelbasset Jenzan e Rayoudh
Abdellcarim) sono stati trattenuti agli arresti domiciliari con l’obbligo di non lasciare la Sicilia;
successivamente, il 21 settembre 2007,
il tribunale del riesame di Palermo ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare in
carcere disponendo l’immediata liberazione dei due comandanti, accogliendo la
tesi definitiva degli avvocati, Leonardo Marino e Giacomo La Russa, che hanno sempre sostenuto la legittimità della condotta
degli imputati dell’ingresso nelle acque territoriali italiane, determinata dalla necessità, imposta dal dovere di soccorso e dallo
stato di necessità indotto dalle condizioni di
salute degli extracomunitari o di alcuni di
essi –:
se, al momento in cui i pescherecci
effettuavano l’intervento di salvataggio
fosse già intervenuta l’autorizzazione dello
stato di bandiera (la Tunisia) come prescritto dalle convenzioni internazionali;
per quali ragioni l’attività delle forze
dell’ordine preposte in occasione del
blocco dei due pescherecci tunisini nelle
acque del canale di Sicilia è stata rivolta
esclusivamente ad escludere la ricorrenza
di un’emergenza sanitaria (SAR), con accertamenti medici sommari e contradditori, mentre alcuna misura immediata di
soccorso è stata adottata nei confronti di
persone che si trovano in condizioni di
salute tali da richiedere un ricovero urgente in ospedale subito dopo lo sbarco a
Lampedusa;
che cosa si intenda fare per procedere al dissequestro delle imbarcazioni
che ancora sono trattenute dalle autorità
italiane sebbene siano l’unico mezzo di
sopravvivenza per queste famiglie di pescatori;
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quali siano state le intese operative
con la Tunisia, maturate durante le operazioni di salvataggio condotte dai due
pescherecci tunisini e su quale base legale
siano fondate;
quali misure legislative o amministrative si intendano varare per rendere effettivo l’accesso alla procedura di asilo in
attuazione all’articolo 10 della Costituzione italiana anche nei casi come quelli
verificatosi in occasione del salvataggio dei
naufraghi da parte dei pescatori tunisini.
Si sa per certo che almeno 8 migranti
salvati in quella occasione, di nazionalità
eritrea e sudanese, hanno fatto istanza di
asilo e sono stati ammessi alla relativa
procedura;
quali siano state le disposizioni impartite dal ministero dell’interno;
quale politica intenda adottare il Governo italiano a fronte degli accordi stipulati tra i diversi Paesi europei previsti
dall’agenzia di controllo delle frontiere
esterne (Frontex) per garantire la difesa
della vita umana e del diritti di asilo;
se non si ritenga opportuno promuovere un’iniziativa congiunta per modificare
il decreto interministeriale del 14 luglio
del 2003 che fa riferimento ad una zona
contigua alle acque territoriali precisando
cosı̀ le competenze di controllo e di soccorso;
se non si ritenga opportuno emanare
una norma di interpretazione dell’articolo
12 del testo unico sull’immigrazione circa
gli interventi di salvataggio in acque internazionali;
se non si ritenga utile formalizzare
l’accesso delle associazioni di tutela dei
diritti dei migranti nei luoghi di frontiera;
se, come iscritto nel programma dell’Unione, il Governo intenda sottoporre a
ratifica del Parlamento tutti gli accordi
bilaterali, compresi quelli esistenti, previa
eventuale rinegoziazione nell’ambito di
un’azione diplomatica generalizzata per il
pieno rispetto dei diritti dei migranti in
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base alla convenzione di Ginevra e alla
convenzione Onu per i diritti del fanciullo.
(2-00885) « Mascia, Zaccaria, Frias, Bonelli, Venier, Migliore, Di
Salvo, Amici ».
(Sezione 5 – Misure relative alla pratica
delle macellazioni rituali delle carni)
E)
I sottoscritti chiedono di interpellare i
Ministri dell’interno e della salute, per
sapere – premesso che:
le macellazioni rituali sono pratiche
conseguenti a prescrizioni religiose sul
consumo delle carni degli animali domestici e si inquadrano in un più ampio
complesso di prescrizioni alimentari, che
interessano in particolare la religione islamica (prescrizioni sul cibo halal) e quella
ebraica (note come prescrizioni sul cibo
kashèr);
il decreto legislativo n. 333 del 1o
settembre 1998, attuazione della direttiva
93/119/CE relativa alla protezione degli
animali durante la macellazione, definisce
lo stordimento come « qualsiasi procedimento che, praticato sugli animali, determina rapidamente uno stato di incoscienza che si protrae fino a quando non
interviene la morte per dissanguamento ».
Pertanto, nelle normali macellazioni, lo
stordimento degli animali è obbligatorio e
precede immediatamente l’operazione di
dissanguamento, ottenuto mediante recisione di almeno una delle due carotidi o
dei vasi sanguigni da cui esse si dipartono.
I metodi ammessi per lo stordimento delle
diverse specie animali, sanciti dal decreto
legislativo 333/98 sono: 1) pistola a proiettile captivo, 2) commozione cerebrale, 3)
elettronarcosi, 4) esposizione al biossido di
carbonio;
le macellazioni rituali possono essere
svolte esclusivamente presso macelli autorizzati e registrati, inseriti in uno specifico
elenco ministeriale degli stabilimenti nei
quali vengono praticate le macellazioni
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secondo riti religiosi Per l’inserimento nell’elenco ministeriale, i titolari degli stabilimenti di macellazione comunicano al
servizio veterinario, per il successivo inoltro al ministero della salute, di essere in
possesso dei requisiti prescritti per l’esecuzione di dette macellazioni. La macellazione rituale deve essere svolta da personale adeguatamente formato in materia
di igiene degli alimenti e in possesso della
preparazione teorica e pratica necessaria a
svolgere tale attività. I macellatori devono
essere in possesso sia dell’attestato di abilitazione rilasciato dall’autorità religiosa
che dell’attestato di formazione igienica in
sostituzione del libretto di idoneità sanitaria. La verifica della corretta esecuzione
del rito è esercitata, cosı̀ come sancito dal
decreto legislativo 333 del 1998, dall’autorità religiosa per conto della quale sono
effettuate le macellazioni; questa a sua
volta, opera sotto la responsabilità del
veterinario ufficiale per le disposizioni
igienico sanitarie;
il costante flusso migratorio che si sta
verificando da alcuni anni, verso il nostro
Paese, ha interessato in maniera particolare la provincia di Reggio Emilia, il cui
tasso d’immigrazione è più alto rispetto
alla media nazionale. La distribuzione
della popolazione extracomunitaria residente nei comuni della provincia si caratterizza per la presenza di quattro gruppi
etnici principali, con usi, consuetudini e
tradizioni peculiari: gli africani del nord,
gli est europei, gli asiatici del centro sud e
gli africani dell’ovest. Il mantenimento da
parte di queste etnie delle proprie tradizioni alimentari, unitamente al rispetto di
prescrizioni alimentari religiose, ha determinato un incremento nella produzione e
nella commercializzazione di sostanze alimentari tipiche. L’introduzione nel mercato locale di queste produzioni ha fatto,
a volte, mutare la strategia dei controlli
dei servizi del dipartimento di sanità pubblica. Particolare attenzione al fine del
rispetto delle norme sul benessere animale, della prevenzione delle malattie infettive e diffusive trasmissibili all’uomo e
agli animali, meritano le macellazioni rituali praticate sugli ovini. L’incremento di
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tali macellazioni, si verifica, per la comunità islamica, soprattutto in occasione
della festa del sacrificio, che cade il 70o
giorno dopo la fine del ramadan, e che
quest’anno è prevista dal 20 al 23 dicembre 2007. Nel corso di questa ricorrenza le
macellazioni rituali sono talmente numerose da suscitare l’interesse da parte degli
organi politici, sanitari e associazioni animaliste locali e in gran parte non avvengono nei luoghi e con le modalità stabilite
per legge. Nell’attuale frammentazione e
vuoto giuridico si suggerisce un nuovo
dispositivo legislativo e amministrativo in
grado di definire un’unica autorità competente a livello regionale affinché si realizzino le condizioni necessarie sanitarie e
di legalità, nell’esercizio di questo rito
religioso;
il comando della polizia municipale
di Reggio Emilia ha previsto con una
circolare (protocollo 1184 del 2004) un
« aggiornamento professionale in materia
di macellazione non conforme alla legislazione nazionale. Macellazione secondo i
riti religiosi ebraici e islamici ». Nel provvedimento, riguardo queste macellazioni,
si prevede che: « l’attività svolta è da
considerarsi lecita, ancorché non eseguita
secondo i dettami di legge, in quanto è
prevalente il riconoscimento della legittimità dei riti religiosi rispetto alle norme in
materia di macellazione. Di conseguenza
la centrale operativa, gli ispettori e quanti
in servizio assumano responsabilità di
coordinamento operativo delle pattuglie
impiegate sul territorio non daranno corso
ad alcun intervento, ma risponderanno ai
possibili richiedenti che l’attività svolta è
lecita »;
la sezione provinciale dell’ente nazionale protezione animali di Reggio Emilia
ha eseguito una diffida ai fini di rettifica
urgente della circolare della polizia municipale di Reggio Emilia. Nella diffida si
legge che l’associazione ha avuto « conferma, a seguito di recenti incontri con
competenti autorità istituzionali e veterinarie, che le macellazioni rituali, proprie
di qualsiasi confessione religiosa devono
avvenire obbligatoriamente ad opera di
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personale appositamente istruito ed autorizzato e presso strutture di macellazione
specificatamente approvate, registrate ed
iscritte in elenchi ministeriali a ciò dedicati e considerate infine le disposizioni
contenute nel decreto legislativo n. 333 del
1998 ». Per questo in vista dell’imminente
periodo di esercizio delle pratiche di macellazione, previste dal rituale islamico, il
comandante della polizia municipale, dottor Antonio Russo, è stato invitato a
rettificare la circolare per la parte che
indebitamente omette l’indicazione della
illegittimità della uccisione a domicilio ed
al di fuori dei macelli autorizzati;
il servizio veterinario dell’azienda sanitaria locale di Reggio Emilia, autorità
competente all’esecuzione dei controlli ufficiali sugli alimenti di origine animale,
benessere e sanità animale, da diversi anni
ha realizzato varie iniziative sulla pratica
delle macellazioni rituali: stesura di linee
guida provinciali, stesura e divulgazione di
locandine-opuscoli informativi tradotti in
più lingue, incontri ufficiali informativi
con i leader delle varie comunità religiose
locali. Tutte queste iniziative di informazione e sensibilizzazione hanno determinato un crescente interesse e presa di
responsabilità da parte dei leader religiosi
che all’atto pratico si è tradotto in un
maggior rispetto della normativa cogente
non solo relativa alla macellazione degli
animali ma anche alle attività correlate
quali compravendita, detenzione e trasporto degli stessi;
il servizio veterinario dell’azienda sanitaria locale di Reggio Emilia insieme agli
altri servizi delle aziende sanitarie locali
contermini, ha portato queste tematiche
all’attenzione del servizio veterinario e
igiene degli alimenti della regione Emilia
Romagna. La conseguenza è stata che, nel
corso del 2007, si è avviato un confronto
a livello regionale con i rappresentanti
delle comunità religiose islamiche nell’intento di stendere un protocollo di intesa
da attuare negli impianti di macellazione
della regione, in grado di rispettare i
principi sanitari e religiosi delle comunità
ebraica e islamica, di limitare gli effetti
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dell’azione traumatica di iugulazione sull’animale cosciente –:
se i Ministri interpellati intendano
chiarire quale sia la corretta interpretazione delle disposizioni normative alla luce
della circolare della polizia municipale di
Reggio Emilia che ritiene « prevalente »
rispettare i dettami del rito religioso invece che i dettami della legge dello Stato
italiano;
quali provvedimenti i Ministri intendano prendere per fronteggiare questa
emergenza e per fare in modo che le leggi
che disciplinano le macellazioni rituali
siano rispettate.
(2-00896) « Poretti, Alessandri, Del Bue,
Allam, Allasia, Astore, Azzolini, Baiamonte, Bandoli, Barani, Beltrandi, Bodega, Bucchino, Buglio, Burtone, Cancrini, Castellani, Ceccacci Rubino, Chiaromonte, Cota,
Crema, Dato, D’Elia, Di
Gioia, Di Girolamo, Dozzo,
Fava,
Garavaglia,
Gibelli,
Goisis, Grillini, Grimoldi,
Mancini, Mellano, Paoletti
Tangheroni, Pedica, Pellegrino, Picchi, Piro, Schirru,
Turci, Turco ».
(Sezione 6 – Interventi per la piena funzionalità delle scuole, con particolare riferimento all’assegnazione di risorse per
incarichi di supplenza)
F)
I sottoscritti chiedono di interpellare il
Ministro della pubblica istruzione, per sapere – premesso che:
le nomine dei supplenti servono ad
assicurare lo svolgimento delle lezioni, in
caso di assenza dell’insegnante titolare e,
pertanto, servono a garantire da parte
dello Stato il diritto dell’alunno alla prestazione;
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tutte le scuole italiane, purtroppo,
lamentano insufficienza di fondi a tal fine,
con particolare riguardo alle scuole di
Milano e della Lombardia, come riportato
anche da Il Corriere della Sera del 19
novembre 2007;
parte del ministero della pubblica istruzione senza i passaggi intermedi degli
uffici scolastici regionali o provinciali, ha
comportato, di fatto, paradossalmente,
un’ulteriore dilazione nei tempi di assegnazione;
le scuole maggiormente in crisi sono
le materne e le elementari, dove i supplenti vanno chiamati anche solo per pochissimi giorni di assenza del titolare;
le scuole lamentano una scarsa attenzione al problema da parte del ministero –:
le scuole, costrette ad effettuare continue anticipazioni di cassa, non hanno
più fondi per le attività relative ai progetti,
vanificando, quindi, qualsiasi seria programmazione, e in alcune scuole la situazione debitoria giunge persino a 100.000
euro;
si è rivelata insufficiente la misura
adottata con il decreto legge n. 147 del
2007, che ha trasferito a carico del ministero dell’economia e delle finanze la spesa
per le supplenze per maternità, ma ha
lasciato a carico delle scuole quelle, altrettanto lunghe, per i congedi parentali;
le risorse assegnate dal ministero
della pubblica istruzione sono, comunque,
insufficienti in quanto invece di basarsi sul
trend della spesa media effettivamente sostenuta dalle scuole negli ultimi anni, sono
costituite da una somma iniziale, calcolata
sui parametri del decreto ministeriale
n. 21 del 2007, e successive integrazioni
anch’esse, comunque insufficienti per la
copertura della spesa;
le scuole, tra l’altro, non sono messe
in condizione di verificare i conti in caso
di discordanza tra il conteggio loro risultante e gli importi assegnati dal ministero,
dal momento che i finanziamenti arrivano
alle scuole senza più distinzioni di voci,
afferendo ad un unico capitolo, e sono
comprensivi, oltre al pagamento dei supplenti, anche dei costi del contratto integrativo di scuola, delle funzioni strumentali dei docenti e delle funzioni aggiuntive
del personale amministrativo, tecnico e
ausiliario;
il tanto reclamizzato accreditamento
diretto dei finanziamenti alle scuole, da
quali interventi il Ministro interpellato abbia adottato e, soprattutto, intenda
adottare per garantire nelle scuole la
piena funzionalità.
(2-00874)
« Frassinetti, La Russa ».
(Sezione 7 – Stato dei lavori di riqualificazione della strada statale n. 36 tra
Monza e Cinisello Balsamo)
G)
I sottoscritti chiedono di interpellare il
Ministro delle infrastrutture, per sapere –
premesso che:
a seguito della sentenza del Consiglio
di Stato, che ha riconosciuto la legittimità
della prima gara d’appalto vinta da Impregilo spa, i lavori di riqualificazione
della strada statale n. 36, che interessano
viale Lombardia nel comune di Monza e
Cinisello Balsamo, sono stati riavviati con
un unico lotto diviso in due tratti. La
realizzazione del primo tratto, che riguarderebbe opere di superficie propedeutiche
all’interramento della strada statale n. 36
in comune di Monza e contemplerebbe lo
svincolo di Cinisello con l’autostrada A4, la
cosiddetta « tangenzialina di Muggiò » e la
riqualificazione degli svincoli con la A52,
dopo una serie di ritardi dovuti a ragioni
economiche, progettuali, giuridiche e burocratiche sembra in procinto di avvio;
il progetto esecutivo del secondo
tratto, che prevede un tunnel artificiale in
sostituzione del viale Lombardia di Monza
(strada statale n. 36), da quanto risulta e
da quanto promesso dovrebbe essere
pronto entro la data del 31 dicembre 2007,
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compresa la perizia di variante con un
miglioramento e un aggiornamento del
progetto;
lo stesso Ministro interpellato, il 19
maggio 2007, in occasione di una visita
alla città di Monza, aveva rassicurato i
cittadini sui tempi di realizzazione dell’opera e sulla scadenza del 31 dicembre
2007;
queste ultime rassicurazioni del Ministro interpellato sono state ripetute dallo
stesso Ministro durante gli incontri formali di questo autunno con gli enti locali
coinvolti e alla presenza dei rappresentanti di Anas;
gli stessi rappresentanti di Anas durante un incontro informale tenutosi a
Roma con i comitati per l’interramento di
viale Lombardia e alla presenza del primo
firmatario della presente interpellanza
hanno garantito la scadenza del 31 dicembre 2007;
anche in risposta all’interpellanza
n. 2-00310, il 18 gennaio 2007, il Governo
aveva fatto sapere in Parlamento che il
progetto sull’interramento di viale Lombardia, con galleria artificiale della strada
statale n. 36 in comune di Monza, lunga
all’incirca 2 chilometri, sarebbe stato
pronto entro il 31 dicembre 2007;
i continui ritardi verificatisi in questi
anni per la realizzazione di questo tunnel
costituiscono un rischio per la salute dei
cittadini, a causa dell’inquinamento acustico ed atmosferico, e provocano pesanti
danni economici alle attività produttive
della zona, mettendo in crisi la competitività del territorio;
viale Lombardia (strada statale n. 36)
rappresenta l’unica strada di passaggio per
città quali Desio, Seregno, Lissone e
l’unico collegamento locale tra Milano e la
parte est della provincia di Como e per le
province di Lecco e Sondrio; infatti, la
strada è percorsa ogni giorno da oltre
100.000 veicoli fra auto e tir e si trova nel
cuore della neo-istituita Provincia di
Monza e Brianza, terza Provincia del
Paese per dinamicità economica e pil;
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i cittadini di Monza, che da 12 anni
aspettano una soluzione, nell’avvicinarsi
della data del 31 dicembre 2007 restano
allarmati per la serie di ritardi e promesse
vane fatte da Anas e dalle rappresentanze
istituzionali del Governo di Roma negli
anni, nonostante siano incominciate da
una ventina di giorni minime opere di
superficie del primo tratto;
i sindaci di alcuni dei maggiori comuni della Brianza e non solo, Desio, Mariano Comense, Lissone, Seregno e Monza,
con una lettera indirizzata al Presidente del
consiglio di amministrazione dell’Anas
hanno manifestato la loro crescente preoccupazione per il troppo incerto evolversi
della questione, che è di estremo rilievo
territoriale, chiedendo una soluzione certa
e operativa che corrisponda con l’imminente scadenza annunciata –:
se le promesse e le garanzie esposte
in premessa rispondano al vero;
se, a meno di un mese dalla scadenza
del termine del 31 dicembre 2007, l’Anas
sia realmente in procinto di concludere il
progetto esecutivo, di predisporre la perizia di variante e di rispettare detta scadenza.
(2-00875)
« Grimoldi, Maroni ».
(Sezione 8 – Chiarimenti in merito all’eventuale commercializzazione in Italia
della pillola abortiva RU486)
H)
I sottoscritti chiedono di interpellare il
Ministro della salute, per sapere – premesso che:
nei prossimi giorni l’Agenzia italiana
del farmaco valuterà, secondo la procedura di mutuo riconoscimento, la documentazione scientifica sul mifepristone, o
Ru486, per autorizzarne l’eventuale commercializzazione in Italia;
l’articolo « Ru486: efficacia e sicurezza di un farmaco che non c’è », pubblicato sul bollettino Aifa n. 4 del 2007
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allo scopo di offrire « un aggiornamento
dettagliato su questa molecola » presenta
una bibliografia non aggiornata sul numero delle morti collegate all’assunzione
del farmaco;
nell’articolo citato si fa riferimento a
sei casi di morte per sepsi, ed altre tre per
altre cause, per un totale di nove donne
morte;
invece, il dossier pubblicato il 6 dicembre 2007 sull’inserto èvita del quotidiano Avvenire ci informa che le donne
morte per sepsi sono nove, alle quali
vanno aggiunte altre sette, sempre a seguito di aborto medico, per cause differenti, per un totale di almeno 16 decessi
conosciuti a tutt’oggi;
si riporta di seguito l’elenco: 1. Canada - agosto 2001, somministrazione non
nota, morte da Clostridium Sordellii; 2.
Usa, California, 17 settembre 2003, Holly
Patterson, 200 mg Ru486 + 800 mcg misoprostol vaginale, morte da Clostridium
Sordellii; 3. Usa, California, 29 dicembre
2003, Hoa Thuy Tran, 200 mg Ru486 + 800
mcg misoprostol vaginale, morte da Clostridium Sordellii; 4. Usa, California, 14
gennaio 2004, Chanelle Bryant, 200 mg
Ru486 + 800 mcg misoprostol vaginale,
morte da Clostridium Sordellii; 5. Usa,
California, 14 giugno 2005, Oriane Shevin,
200 mg Ru486 + 800 mcg misoprostol
vaginale, morte da Clostridium Sordellii; 6.
Cuba, non c’è nome né data, assunzione
del solo misoprostol, morte da Clostridium
non meglio specificato; 7. Usa, non c’è
nome né data, 200 mg Ru486 orale, + 800
mcg misoprostol vaginale, morte da Clostridium Perfringes; 8. Usa, non c’è nome
né data, misoprostol vaginale + laminaria,
morte da Clostridium Perfringes; 9. Usa,
non c’è nome né data, 200 mg Ru486 orale
+ 800 mcg misoprostol orale, morte da
Clostridium Sordellii. Morti avvenute per
altre cause: 10. Francia, 8 aprile 1991,
Nadine Walkowiak, morte da shock cardiovascolare; 11. Usa, 12 settembre 2001,
Brenda Vise, morte dovuta a gravidanza
ectopica; 12. Svezia, 3 giugno 2003, Rebecca Tell Berg, morte da emorragia mas-
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siva; Gran Bretagna, due donne, senza
nome e data, non si conosce la somministrazione, comunicazione avvenuta durante un’indagine parlamentare inglese;
13. Gran Bretagna, gennaio 2006, una
donna, senza nome, non si conosce la
somministrazione, comunicazione avvenuta durante un’indagine parlamentare
australiana; 14. Taiwan, dicembre 2006,
una donna, senza nome, solo mifepristone,
morte dovuta a porpora trombotica;
il dossier di Avvenire riporta anche la
segnalazione della morte di una cittadina
britannica, per eziologia sconosciuta, che
non si sa se sia già compresa nel computo
delle tre morti inglesi emerse durante le
due interrogazioni parlamentari. Se non
fosse stata considerata, le morti note salirebbero a 17. La reticenza delle autorità
sanitarie della Gran Bretagna, e persino
della stampa inglese, su questi casi è inspiegabile. Nel dossier si ricorda anche che su
almeno due ulteriori decessi negli Stati
uniti d’America ancora non si è fatta luce;
negli Stati uniti d’America il Cdc
(Center for disease control and prevention),
l’autorità sanitaria per il controllo e la
prevenzione delle malattie, insieme alla
Fda (Food and drug administration), l’ente
di controllo dei farmaci, hanno avviato
un’indagine internazionale, rivolta ai vari
provider di aborti negli Stati uniti d’America, e poi all’Oms, alla Ippf (International
planned parenthood federation) e a Cina,
Finlandia, Francia, Svezia e Gran Bretagna per identificare casi di infezioni severe
o morti associate con aborto indotto con
mifepristone o misoprostol », ma « nessun
caso al di fuori degli Usa è stato identificato ». Non è chiaro, dal testo, se le
autorità interpellate non hanno risposto, o
hanno risposto negando che vi siano stati
eventi avversi e fatali. In entrambi i casi il
silenzio internazionale non corrisponde
all’assenza di decessi e tantomeno di complicanze. Né il caso di severa infezione
anomala segnalato dalla Nuova Zelanda,
né le morti cubane (n. 6) e di Taiwan
(n. 14) sono emerse durante l’inchiesta;
l’aborto farmacologico è una procedura a più passi, che prevede l’assunzione di
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due farmaci, il mifepristone (la vera e propria Ru486) e una prostaglandina; la prostaglandina indicata nei protocolli europei è di
solito il misoprostol, prodotto dall’azienda
Searle con il marchio Cytotec. Se l’Ivg fosse
affidata esclusivamente alla Ru486 le percentuali di efficacia del metodo chimico
crollerebbero, e non sarebbero considerate
accettabili: l’associazione con la prostaglandina è dunque indispensabile;
la Searle non ha mai registrato il
proprio prodotto per l’uso abortivo. Le
indicazioni ufficiali del Cytotec sono quelle
per la prevenzione dell’ulcera gastrica.
L’Aifa quindi non ha mai registrato il
Cytotec per i suoi effetti di uterotonico,
perché l’azienda non ha mai chiesto che
fosse commercializzato a questo scopo, e
non ha mai fornito la documentazione
scientifica necessaria per farlo. Se la
Ru486 sarà autorizzata, però, il protocollo
richiederà che sia associata all’uso del
Cytotec off label, cioè fuori dalle indicazioni previste per quel farmaco dalla
stessa Aifa;
la Searle non soltanto non ha mai
voluto autorizzare l’uso del farmaco per
indurre l’aborto, ma ha anche ufficialmente messo in guardia dal farlo. In un
documento diffuso dalla Direzione scientifica della Searle, e firmato dal dottor
Michael Cullen, si legge: « L’uso off label
del Cytotec nelle donne in gravidanza ha
prodotto seri eventi avversi, tra cui la
morte materna o fetale; l’iperstimolazione
uterina, la rottura o perforazione dell’utero, emboli da fluido amniotico, emorragie severe, ritenzione placentare, choc,
eccetera. La Searle non ha condotto ricerche sull’uso del Cytotec a scopo abortivo o
per indurre il travaglio, e non intende
condurle. Quindi la Searle non è in grado
di offrire informazioni esaurienti sui rischi
del Cytotec quando usato a questi scopi »;
le informazioni sulle morti da Ru486
sono di difficile acquisizione, non sono
reperibili con completezza nemmeno sulle
pubblicazioni scientifiche, e l’articolo citato sul bollettino Aifa dimostra che anche
l’ente di controllo dei farmaci forse non
possiede tutte le necessarie informazioni;
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soltanto avendo a disposizione tutti i
dati si può decidere garantendo la tutela
della salute pubblica –:
cosa intenda fare per acquisire i dati
effettivi sulle morti in seguito ad Ivg farmacologica, sia in seguito all’assunzione di
mifepristone che di misoprostol, e metterli
a disposizione dell’Aifa;
se intenda chiedere alle autorità sanitarie britanniche quante siano effettivamente le donne decedute in Inghilterra, e
quale ne sia l’eziologia;
se intenda chiedere alla Fiapac la
documentazione relativa al decesso comunicato al convegno internazionale svolto a
Roma nel 2006, e mai reso pubblico (gli
interpellanti ricordano che golden sponsor
del convegno era la Exelgyn, ditta produttrice della Ru486);
se intenda svolgere un’indagine internazionale per acquisire informazioni sui
decessi e gli eventi avversi in seguito a Ivg
farmacologica dalle autorità sanitarie dei
singoli paesi in cui la Ru486 è legale;
se sia prassi consolidata che l’Aifa
autorizzi un farmaco (in questo caso il
mifepristone) adoperato in associazione
con un altro (il misoprostol), di cui non è
stata chiesta la registrazione a scopo abortivo, e che la stessa ditta produttrice mette
in guardia dall’usare a tale scopo;
se sia prassi consolidata che l’Aifa
autorizzi un protocollo in cui un farmaco
venga utilizzato al di fuori delle indicazioni fornite per quel farmaco dallo stesso
ente;
cosa il Ministro intenda fare, nel caso
un simile protocollo venga approvato, per
conciliarlo con la normativa vigente, che
vieta l’uso di farmaci off label se non
all’interno di sperimentazioni cliniche,
come confermato dal Ministro (per bocca
del Sottosegretario Patta) in risposta a una
precedente nostra interpellanza (n. 200350);
cosa intenda fare per acquisire i dati
sulle percentuali di donne che non seguono il follow up, e non si presentano
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alla visita finale di controllo nei paesi in
cui la Ru486 è legale, con grave rischio per
la loro salute;
se, inoltre, la documentazione scientifica fornita dalla Francia all’Aifa sia
disponibile al pubblico, e se non lo è, se il
Ministro intenda renderla tale, a garanzia
di una totale trasparenza sui criteri adottati per respingere o autorizzare un farmaco tanto discusso.
(2-00907) « Volontè, Casini, Lupi, Mazzocchi, Giro, Cesa, Palmieri,
Campa, Tabacci, Sanza, Giuseppe Fini, Palumbo, Pelino,
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Angela Napoli, Giulio Conti,
Acerbo, Licastro Scardino,
Mazzaracchio, Paroli, Giovanardi, Vietti, Galati, Gibelli,
Fugatti, Alessandri, Dussin,
Cota, Caparini, Garavaglia,
Filipponio Tatarella, Romagnoli,
Cossiga,
Bertolini,
Proietti Cosimi, Cirielli, Bocciardo, Carlucci, Pili, Di Virgilio, Ceccacci Rubino, Gardini, Menia, Pedrizzi, Alfredo
Vito, Elio Vito, Santori,
Rosso, Lisi, Castellani ».
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