ESPOSIZIONE ALLA RADIAZIONE SOLARE ULTRAVIOLETTA IN AMBIENTE COSTIERO: VALUTAZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO1 a D. Carbonia, E. Cervadorob, G. Cervadorob, M. De Vincenzic, A. Fauccib, I. Lollid, A. Materassic Dipartimento di Teorie e Ricerche dei Sistemi Culturali Università degli Studi di Sassari b Scuola di specializzazione in Dermatologia e venereologia Università di Pisa c CNR – Istituto di Biometeorologia Sede di Sassari, d Dipartimento di Diritto Pubblico Università di Pisa Riassunto – Da molti anni la ricerca biomedica è giunta alla conclusione che l’esposizione alla radiazione ultravioletta (UV) solare può avere effetti dannosi per la salute, in particolare per la pelle, gli occhi e il sistema immunitario. La individuazione di apposite misure di tutela, soprattutto per quelle categorie di persone che sono esposte alla radiazione UV a causa della propria attività lavorativa, costituisce peraltro una questione particolarmente delicata, anche perché involge una serie di temi che richiedono necessariamente un approccio interdisciplinare. Alla elaborazione di un modello matematico che permetta di stimare, a partire da grandezze meteorologiche più facilmente disponibili e da parametri astronomici, l’intensità della radiazione UV si accompagnano infatti, oltre alla ricostruzione del quadro normativo vigente, la valutazione della incidenza epidemiologica di patologie cutanee correlate e lo studio dei così detti costi sociali derivanti dalla insorgenza di tali patologie. Tappa intermedia di un lavoro di ricerca tuttora in corso, il presente contributo dà conto delle prime conclusioni raggiunte, sia dal punto di vista contenutistico che metodologico, e illustra le linee attraverso le quali la ricerca verrà ulteriormente sviluppata. Abstract – For many years now, biomedical research has reached the conclusion that exposure to solar ultraviolet (UV) radiation can produce harmful health effects, particularly on the skin, the eyes and the immune system. The detection of appropriate caution measures, especially for outdoor workers who are exposed to UV radiation because of their job, constitutes moreover a remarkably sensitive issue, as it involves a series of topics that necessarily require a cross-disciplinary approach. The elaboration of a mathematical model allowing to estimate the intensity of the UV radiation, using more easily available meteorological quantities and astronomical parameters, must indeed be associated by the reconstruction of the legislation in force, the evaluation of the epidemiologic incidence of related cutaneous pathologies and the study of the so-called social costs resulting from the onset of such pathologies. Midway stage of an ongoing research work, this contribution yields the first reached conclusions, from both the contents-related and the methodological points of view, and illustrates the courses through which the research will be even further expanded. 1 Benché il lavoro sia frutto comune tra gli autori D. Carboni ha curato, in particolare, il paragrafo 5, I. Lolli il paragrafo 2, M. De Vincenzi e A. Materassi il paragrafo 3, E. Cervadoro, G. Cervadoro e A. Faucci il paragrafo 4. 690 1. Introduzione Molte ricerche condotte negli ultimi anni hanno mostrato che la riduzione dell’ozono nella stratosfera provoca l’aumento della radiazione ultravioletta solare (UV) che raggiunge la superficie terrestre. Le prime evidenze scientifiche, relative ad effetti biologici indotti sull’uomo dall’esposizione alla radiazione UV, risalgono all’inizio del Novecento. In quel periodo, infatti, Hausser e Vahle effettuano le prime osservazioni qualitative e, successivamente, quantitative sull’effetto eritemigeno della componente ultravioletta solare sulla pelle umana [2]. È, soprattutto a partire dagli anni ′80 del secolo scorso che nel settore biomedicale viene posta grande attenzione sugli effetti nocivi che una prolungata esposizione può produrre alla salute umana. Per l’uomo, infatti, l’esposizione prolungata alle radiazioni UV può avere degli effetti dannosi e cronici a livello cutaneo, oculare e immunitario. Considerati dal punto di vista del loro decorso temporale gli effetti prodotti sull’occhio e sulla pelle possono essere suddivisi in: a) effetti a breve termine o da esposizione acuta, con tempi di latenza dell’ordine di ore, giorni; b) effetti a lungo termine o da esposizione cronica, con tempi di latenza di mesi, anni. In generale per ciascun effetto acuto è possibile stabilire “la dose soglia” al di sotto della quale l’effetto non si verifica. Gli effetti a lungo termine hanno per la maggior parte natura diversa dagli effetti acuti e la loro probabilità (carcinoma cutaneo) o la loro gravità (fotoinvecchiamento della pelle) è tanto maggiore quanto più è elevata la dose accumulata dall’individuo. Alcuni studi [3] hanno evidenziato che la radiazione UV solare è da considerarsi a tutti gli effetti un rischio di natura professionale per tutti i lavoratori che svolgono la loro attività all’aperto e deve essere considerata un rischio per la salute come quelli derivanti dagli agenti fisici, chimici, biologici presenti nei luoghi di lavoro. Figura 1 – Spettro elettromagnetico. La gamma UV è divisibile in tre bande: UVA (315 ÷ 400 nm) UVB (280 ÷ 315 nm) UVC (250 ÷ 280 nm). Figure 1 – The electromagnetic spectrum. The UV range is divided in three bands: UVA (315 ÷ 400 nm) UVB (280 ÷ 315 nm) UVC (250 ÷ 280 nm). 691 Figura 2 – Penetrazione della radiazione solare nella cute in relazione alle lunghezze d’onda (espresse in nanometri). Figure 2 – Penetration of solar radiation into the skin in relation to the wavelengths (expressed in nanometers). Coloro che sono esposti in modo più o meno continuativo alla radiazione solare per motivi lavorativi e che quindi dovrebbero essere tutelati da adeguati programmi di prevenzione possono essere così classificati: lavoratori edili, addetti alle opere di bonifica, sistemazione forestale e di sterro; addetti alle operazioni di carico e scarico in ambiente esterno; marinai ed addetti ad ogni tipo di lavoro svolto in mare; parcheggiatori; operatori ecologici; lavoratori in cave e miniere a cielo aperto; addetti alle attività di ricerca e stoccaggio di idrocarburi liquidi e gassosi nel territorio, nel mare e nelle piattaforme continentali; addetti agli automezzi per la movimentazione di terra; benzinai; operai per le linee elettriche ed idrauliche esterne; bagnini, maestri di nuoto, istruttori di sport all’aperto; vigili urbani, portalettere; netturbini; ecc. Le attività professionali che si svolgono all’aria aperta sono fortemente soggette a una esposizione all’UV, ma l’intensità e la frequenza di questa esposizione sono estremamente varie a seconda della professione; esse possono differire sensibilmente anche tra le persone che esercitano la medesima professione, in funzione delle circostanze locali e delle attività praticate. I marinai e i pescatori sono tra le categorie professionali particolarmente esposte. Se una corretta misura dell’UV è di grande importanza per stabilire i tempi di massima esposizione al fine di tutelare la salute di coloro che svolgono all’aperto attività lavorative o ricreative, questo flusso radiativo è raramente misurato nelle stazioni 692 meteorologiche standard e sono praticamente assenti misure nei siti dove si effettuano attività lavorative e ricreative. Negli ultimi cinque anni, per ovviare alla mancanza di misure dirette, sono stati realizzati modelli matematici basati su reti neurali artificiali in grado di stimare l’intensità della radiazione UV, nelle bande A e B, a partire dalle misure di grandezze comunemente misurate nelle stazioni meteorologiche e dal calcolo di parametri astronomici. Alle difficoltà di misura e alla mancanza di dati della radiazione ultravioletta, si aggiungono questioni rilevanti anche sotto il profilo biomedicale. Risulta, infatti, alquanto complesso stimare l’effetto della radiazione UV solare sugli esseri umani poiché entrano in gioco molti fattori: dati di tipo personale (fototipo, farmaci assunti, patologie), precedenti esposizioni ad UV, grado di copertura (tipo di vestiario, protezioni individuali), ecc. A ciò si deve aggiungere che alcuni lavoratori (equipaggi della marina mercantile, pescatori, ecc.) per la loro attività si spostano continuamente, trovandosi pertanto in località che possono presentare condizioni meteorologiche assai differenti. La protezione dalla radiazione ultravioletta solare assume notevole rilevanza anche sotto il profilo economico e socio-sanitario, stanti il numero dei soggetti coinvolti, la gravità e la dimensione dei danni e i costi che l’eccessiva esposizione può provocare. Gli studi sui costi sociali di una patologia possono dare un contributo al miglioramento della qualità delle decisioni in sanità. In primo luogo completano il quadro offerto accostando a descrizioni sulla diffusione e ai fattori di rischio delle malattie, informazioni sulla dimensione economica. Il merito principale degli studi sui costi sociali è però quello di rendere visibili costi spesso trascurati o addirittura negati: quelli che incidono sulle famiglie. Tabella 1 – Classificazione dei tipi di pelle in base alla loro suscettibilità eritemigena e alla loro capacità di abbronzarsi, in esposizione solare [da 1]. Table 1 – Classification of skin types based on their susceptibility to sunburn and their ability to tan, in solar exposure [from 1]. Fototipo Sensibilità al Sole Suscettibilità eritemigena I Molto sensibile Si ustiona sempre (‹2 SED) Alta (2÷3 SED) II Moderatamente sensibile III IV Moderatamente non sensibile Moderata (3÷5 SED) Moderatamente resistente Bassa (5÷7 SED) V Resistente VI Molto resistente Molto bassa (7÷10 SED) Estremamente bassa (›10 SED) Capacità di abbronzarsi Classi di individui Nessuna abbronzatura Abbronzatura leggera Abbronzatura media Abbronzatura notevole Pelle naturalmente bruna Pelle naturalmente nera Melanocompromessi Melanocompromessi Melano-competenti Melano-competenti Melano-protetti Melano-protetti Nota: Viene definita Dose Minima Eritemigena (MED) l'esposizione radiante che produce un arrossamento (eritema) appena osservabile, dopo 8÷ 24 ore, sulla cute di una persona, precedentemente non esposta. Poiché il valore di MED (1 MED = 250 J m–2 h–1) è riferito al singolo individuo è stata introdotta dal CIE (CIE/ISO 1999) l’unità Standard Erythemal Dose (SED) che quantifica la capacità di una sorgente di produrre eritema. La SED corrisponde a una esposizione radiante efficace di 100 J m–2 . I valori di dose in SED indicate tra parentesi, nella tabella, sono solo indicative. Negli individui melano-compromessi il rischio di sviluppare un tumore cutaneo è maggiore che negli individui melano-competenti. 693 Lo studio, che ha carattere multidisciplinare, ha come oggetto di ricerca: analisi del quadro normativo in materia, anche con riferimento ad esperienze normative di altri ordinamenti; indagine statistica della incidenza delle malattie della pelle in relazione alla radiazione UV nei lavoratori a rischio; valutazione del costo sociale delle malattie causate dalla radiazione UV: tipo di patologie, ricadute sul sistema lavorativo, assistenziale e previdenziale (assenze dal lavoro, costi di ospedalizzazione, prestazioni assistenziali e risarcitorie, uscita dal mondo del lavoro, ecc.); monitoraggio sia delle condizioni meteo-ambientali dei siti considerati, sia delle condizioni fisico-biologiche dei soggetti coinvolti, con conseguente indagine in ordine alla incidenza dell’esposizione alla radiazione UV solare sull’insorgenza ed evoluzione delle malattie della pelle, in relazione al fototipo (tabella 1). 2. Il quadro normativo A fronte della ormai acquisita certezza della pericolosità della esposizione alla radiazione UV solare e della gravità e rilevanza sociale delle patologie che ne possono derivare – e prova ne è il riconoscimento a posteriori del nesso eziologico fra esposizione solare ed insorgenza di talune patologie, riconosciute come malattie professionali per i lavoratori presso gli stabilimenti balneari, a bordo di navi, nelle lavorazioni agricole all’aperto, nei cantieri di edilizia stradale, nelle cave e nelle miniere a cielo aperto di alcune patologie riconosciute come malattie professionali (cfr. le “Nuove tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura” di cui al D.M. 9 aprile 2008, sub 84) – manca ancora, nel nostro ordinamento, una disciplina che offra una efficace tutela in via preventiva. Per quanto alcune delle patologie tabellate (cheratosi attiniche, epiteliomi cutanei delle sedi fotoesposte) godano addirittura della così detta presunzione d’origine, in virtù della quale il lavoratore non deve dimostrare il nesso causale fra la lavorazione e la patologia, ma soltanto di essere stato occupato in quella lavorazione morbigena2, non esiste, nel nostro ordinamento, una disciplina che, a fronte di una puntuale valutazione del rischio, imponga la adozione di opportune misure precauzionali, come viceversa avviene relativamente alla esposizione alle radiazioni ottiche di origine artificiale. Se infatti la esposizione a queste ultime ha trovato, in attuazione della Direttiva comunitaria 2006/25/CE, una compiuta regolamentazione nel recente d. lgs. 81/2008 sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (cfr. in part. gli artt.215 ss. e l’Allegato XXXVII), per quel che concerne la materia della esposizione alla radiazione solare ultravioletta la sola normativa di riferimento è costituita da due norme ad adesione volontaria, la UNI EN 14255-3 e la UNI EN 14255-4, recanti Measurement and assessment 2 In tal senso la nota sentenza della Corte costituzionale n.179 del 1988. La presunzione può essere superata solo con una prova rigorosa ed incontrovertibile della dipendenza della malattia da fattori estranei all’attività lavorativa. Sul punto v., ex pluribus, Cass. civ., Sez. lav., 24 ottobre 2000, n.13992, in Sett. giur. 2000, II 2304. Così non è per le «altre malattie causate dalla esposizione professionale alle radiazioni UV comprese le radiazioni solari» con «ICD-10 da specificare», per le quali il lavoratore deve provare che la patologia è causalmente correlabile, con elevato grado di probabilità, alla esposizione alla radiazione solare. 694 of personal exposures to incoherent optical radiation. In particolare, la norma UNI EN 14255-3 riporta le procedure di misurazione o stima e di valutazione delle esposizioni personali a radiazioni ultraviolette emesse dal Sole, mentre la UNI EN 14255-4 contiene la terminologia e le grandezze utilizzate per le misurazioni delle esposizioni. Più specificamente, quanto alle procedure per la misura o la stima e la valutazione della esposizione alla radiazione UV, la norma UNI EN 14255-3, applicabile alle esposizioni all’aperto sia dei lavoratori che della popolazione in generale (cfr. il punto 1 – Scope) riporta una serie di metodi per la determinazione e la valutazione del rischio da esposizione, indicando, per ciascuno di essi, vantaggi e svantaggi3. Come è noto, le norme UNI EN sono norme tecniche elaborate dal CEN (Comité Européen de Normalisation) e poi recepite dall’UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione), associazione privata riconosciuta quale organismo nazionale di normazione dalla Direttiva comunitaria 83/189/CEE, attuata nel nostro Paese con legge n. 317/19864. A differenza delle così dette regole tecniche, ossia delle prescrizioni ad elevato contenuto tecnico elaborate dal legislatore e da questi inserite in un testo normativo e, come tali, dotate di efficacia precettiva5, le norme così dette tecniche (quali, per l’appunto, le norme UNI EN) sono norme a formazione e adesione volontaria, sono cioè norme consensuali, elaborate da soggetti privati e non pubblici, volte a fotografare, come è stato detto, lo stato dell’arte, ossia «lo stadio di sviluppo raggiunto in un determinato momento dalle capacità tecniche basate su comprovati risultati scientifici, tecnologici o sperimentali»6. Al di fuori delle ipotesi in cui il legislatore, attraverso una disposizione di rinvio, formale o materiale, sussume le norme tecniche consensuali all’interno dell’ordinamento giuridico, sicché queste acquistano efficacia precettiva, con conseguente integrazione di un illecito nel caso in cui vengano violate7, si pongono, per le norme tecniche a produzione ed adesione volontaria, due questioni particolarmente complesse, l’una concernente la possibilità o meno di riconoscere a tali norme i caratteri della giuridicità; l’altra, relativa alla definizione del loro grado di prescrittività. La prima questione sembra ormai aver trovato una soluzione in dottrina. Respinte quelle ricostruzioni che tendevano a configurare le norme tecniche come usi tecnici, a loro volta riconducibili, in un rapporto da species a genus, alle consuetudini8, e respinte anche quelle teorie che consideravano le norme tecniche consensuali come espressione del mondo 3 I metodi sono i seguenti: a) valutazione del rischio usando il solar UV-index; b) determinazione del fattore di esposizione cutanea; c) calcolo dell’esposizione alla radiazione solare in base a parametri geografici; d) misura dell’esposizione eritematosa efficace Her; e) misura dell’esposizione radiante al fine dell’insorgenza di tumore cutaneo non melanomico Hnmsc; f) misura e valutazione secondo EN 14255-1. 4 Sugli enti di normazione italiani ed europei v. l’ampia trattazione di F. Salmoni, [6], spec. p.227 ss. 5 Sulle regole tecniche v. F. Salmoni, [6], passim, ma spec. p.159 ss. 6 Così P. Andreini, [4], p.88. Sulle norme tecniche v. ancora F. Salmoni, [6], passim, ma spec. p.240 ss. 7 È questo il caso, ad esempio, delle norme elaborate dal CEN in materia di tutela dei lavoratori dalla radiazione UV artificiale (ad oggi si tratta delle norme UNI EN 14255-1 e 14255-2), richiamate, con rinvio formale, dall’art. 216 del d. lgs. n. 81/2008. Sul rinvio formale (o non recettizio, o mobile) e materiale (o recettizio, o fisso) v. ancora F. Salmoni, [6], p.248 ss. 8 Cfr. sul punto F. Salmoni, [6], p.361 ss., la quale osserva come osti a tale ricostruzione non solo la velocità con cui tali norme vengono ad esistenza, in contrapposizione alla lentezza che caratterizza la formazione delle consuetudini, ma anche il fatto che esse sono il risultato (scritto) di un procedimento accentrato, al contrario delle consuetudini, che sono invece l’esito di un procedimento diffuso, decentrato e spontaneo. 695 della tecnica, inteso come ordinamento giuridico sezionale9, i commentatori più avvertiti10 propendono per la diversa tesi delle norme tecniche consensuali come prodotto normativo di soggetti privati esercenti pubbliche funzioni, sicché le norme stesse altro non sarebbero che veri e propri atti amministrativi, ed in particolare atti di «normazione amministrativa, certamente non legislativa, con norme secondarie»11. La seconda questione, che da questa prende le mosse, verte invece, lo si è già accennato, sulla individuazione del grado di precettività delle norme tecniche ed in particolare, per quello che ci interessa in questa sede, delle norme tecniche consensuali poste a tutela della salute dei lavoratori. In particolare, si tratterà di accertare se, nel caso in cui il lavoratore lamenti l’insorgenza di una patologia derivante dalla esposizione alla radiazione solare, si possa imputare al datore di lavoro il mancato rispetto delle norme tecniche ovvero, correlativamente, quale sia la posizione processuale del datore di lavoro che, a fronte della allegazione della malattia da parte del lavoratore, adduca il fatto di aver adottato le cautele previste dalle norme tecniche in questione. 3. Il modello matematico per la stima dell’UV Seppure la conoscenza dei valori della radiazione ultravioletta sia basilare per determinare i tempi di massima esposizione di coloro che svolgono attività lavorative e ricreative all’aperto [3], la radiazione UV viene rilevata in stazioni meteorologiche che formano la rete internazionale per la misura dell’UV, mentre in pochissime stazioni meteorologiche standard [12] viene misurato questo flusso radiativo; inoltre sono rarissime quelle poste in prossimità di siti dove si effettuano attività lavorative e ricreative. Uno degli aspetti affrontati in questo lavoro è stato quello di realizzare un modello matematico che dia una stima dell’intensità della radiazione UV, nelle bande A e B, a partire da un numero limitato di grandezze comunemente misurate nelle stazioni meteorologiche e dal calcolo di parametri astronomici. Il tutto al fine di applicare, facendo riferimento alla bibliografia del settore, un modello che valuti l’incidenza dei flussi radiativi UV e il rischio derivante per la pelle umana, in relazione al fototipo (tabella 1). Come riportato in letteratura seppur la pelle umana è sensibile alla radiazione solare ultravioletta che va da 250 nm a 400 nm, solo le gamme B (280 ÷ 315 nm) e A (315 ÷ 400 nm) hanno al suolo una intensità significativa. Inoltre è stato riscontrato in vari studi che circa l’85 % degli eritemi da UV, si manifestano nella gamma dell’UV B solare; l’esposizione al solo UV A (solare) non comporta eritema a meno che la persona non sia affetta da una eccessiva fotosensibilità [9] e sono circa il 10 % di tutti quelli da UV. Inoltre l’effetto eritematoso ha un picco su 308 nm, che è alquanto sensibile al tasso di ozono: aumenta al diminuire di questo gas e viceversa. Per queste ragioni nella prima parte dello studio si sono realizzati modelli per la stima dell’UV B e successivamente quelli per l’UV A. 9 V. ancora F. Salmoni, [6], p.367 ss., ad avviso della quale il ‘gruppo dei tecnici’, per quanto dotato di plurisoggettività e di organizzazione, sarebbe privo di una normazione propria, in ipotesi anche opponibile a quella statale, ossia dell’elemento che distingue, per l’appunto, l’ordinamento giuridico sezionale dal soggetto (privato) esponenziale di una collettività. 10 Così A. Predieri, [5], p.293 ss.; F. Salmoni, [6], p.374 ss. 11 In tal senso ancora A. Predieri, [5], p.295. 696 Da una indagine bibliografica condotta è stata rilevata che sono pochissimi i modelli matematici analitici esistenti; la scarsità di tali modelli è un indice della difficoltà di ottenere una misura analitica indiretta della radiazione UV. La maggior parte dei modelli impiegati nei lavori pubblicati negli ultimi dieci anni sono di tipo semi-empirico [10, 11] che, come per tutti i modelli di questo tipo, tendono a funzionare meglio nei siti e nelle condizioni meteoambientali per i quali sono stati realizzati e calibrati. Applicandoli in altri siti o in diverse situazioni meteo-ambientali forniscono in genere risultati poco soddisfacenti. Studi condotti precedentemente [8] hanno messo in luce che la tipologia di modello che meglio può funzionare ai nostri scopi è quella neurale. Il modello neurale è un particolare sistema di elaborazione che, dopo una fase di apprendimento, riesce a definire i legami funzionali fra le grandezze che intervengono in un certo fenomeno (parametri in ingresso) e il misurando (nel caso del nostro studio, la radiazione ultravioletta A e B). Inoltre per le sue caratteristiche intrinseche una rete neurale non necessità di misure molto accurate delle grandezze di ingresso. In studi condotti negli anni recenti, queste caratteristiche peculiari delle reti neurali hanno spinto alcuni ricercatori a utilizzarle per realizzare modelli per la stima di fenomeni fisico-ambientali e in particolare nella stima dei flussi radiativi [7, 8]. Nel nostro studio le reti neurali sono stato realizzate con il pacchetto Neural Networks di Matlab 2010aTM e sono di tipo feedforward con algoritmo backpropagation. Sperimentazioni precedentemente condotte [8] hanno messo in evidenza che per gli scopi dello studio non ha grande significato misurare nel periodo invernale dell’anno poiché i valori di UV sono bassi e le attività lavorative e ricreative all’aperto sono più limitate e in ogni caso si svolgono con una buona copertura della persona. Per prima cosa sono stati individuati i parametri meteorologi da utilizzare nella stima della radiazione UV, tenendo presente che per la finalità della ricerca i modelli realizzati UVB Livello di uscita sinapsi N E Livello intermedio U R O N I Livello di ingresso Rg ΔT Rteo hmax Figura 3 – Rete neurale artificiale per la stima dei valori giornalieri della radiazione UVB. In ingresso valori giornalieri di: radiazione globale solare (Rg), escursione termica (ΔT), radiazione solare extraterrestre (Rteo) e altezza massima del Sole sull’orizzonte (hmax). Figure 3 – Artificial neural network to estimate the daily values of UV B radiation. The input neurons receive daily values of: global solar radiation (Rg), thermal excursion (ΔT), extraterrestrial solar radiation (Rteo) and maximum height of sun above horizon (hmax). 697 forniscono i valori giornalieri di energia UV che arriva al suolo. Sono stati realizzati un tipo di modello neurale per ciascuna banda della radiazione UV. L’indagine condotta ci ha portato a realizzare reti neurali aventi in ingresso valori giornalieri di: radiazione globale solare (Rg), escursione termica (ΔT), radiazione solare teorica (Rteo) e altezza massima del Sole sull’orizzonte (hmax) (vedi figura 3). I valori in ingresso considerati sono riferiti al dì. Le prime due grandezze sono misurate, le seconde due sono calcolate. Le reti neurali realizzate hanno da 4 a 5 neuroni nello strato intermedio, e un neurone nello strato di uscita (che fornisce una stima dell’energia di UV-B o UV-A al suolo per giorno). I dati sono stati divisi in due insiemi, dopo che erano stati effettuati controlli statistici e formali e aver eliminato sia i giorni piovosi sia quelli nuvolosi. Il 70 % dei dati del primo insieme sono stati utilizzati per l’apprendimento; il 15 % per la validazione (al fine di evitare i fenomeni di overtraining ovvero per evitare che il modello avesse una bassa capacità di generalizzazione) e il rimanente 15 % per il test (necessario per controllare la capacità del modello di generalizzare i risultati). I dati del secondo insieme, con i pesi delle sinapsi calcolati nella fase di apprendimento, sono stati utilizzati per verificare la capacità del modello di stimare il valore della radiazione UV nelle due bande. Per ciascun sito abbiamo realizzato una rete neurale per stimare l’UV A e una per stimare l’UV B; i modelli neurali sono strutturalmente identici ma differiscono per i pesi delle sinapsi. In altri termini i modelli realizzati durante la sperimentazione, analogamente ai modelli non analitici, che hanno in sé coefficienti numerici dipendenti dalla località, sono validi, nei limiti dei loro errori, per le località per le quali sono stati elaborati. In questa fase dello studio le reti neurali sono state realizzate per stimare l’UV in alcuni siti del Nord-Sardegna e della Toscana. Analizzando i risultati ottenuti con le varie reti, per i diversi siti di misura, si è osservata una discreta correlazione 1:1, fra i valori misurati dai sensori UV B e i valori stimati dalla rete. Nella figura 4 è riportato un esempio della capacità di stima delle reti neurali della radiazione UV B in Sassari (marzo-agosto 2008). Come si evince dal grafico la correlazione tra i valori misurati e quelli ottenuti dalla rete neurale risulta significativa ovvero con R2 superiore a 0.90. Inoltre, la pendenza della retta di correlazione è 0.986 9 UVB calcolata [kJ m-2 d-1] 8 7 6 5 4 y = 0.9904 x R2 = 0.9054 3 2 1 0 0 1 2 3 4 5 6 UVB misurata [kJ m-2 d-1] 698 7 8 9 Figura 4 – In ascissa valori di radiazione UV B misurati nel periodo marzoagosto 2008 nella stazione di Sassari; in ordinata i valori di radiazione UV B stimati (stesso periodo e stesso sito) con la rete neurale. Figure 4 – In abscissa, values of UV B radiation measured from March to August 2008 at the Sassari station; in ordinate, the values of UV B radiation estimated (for the same period and same site) with the neural network. ovvero nel periodo considerato il modello neurale sottostima i valori reali al massimo dell’1,4 %. Risultati analoghi sono stati ottenuti per gli altri siti della sperimentazione. Per ciascun sito, i modelli neurali progettati e realizzati per la stima dell’UV, a partire dai dati meteorologici e dal calcolo dei parametri astronomici, possono anche essere applicati per stimare questo flusso radiativo per gli anni precedenti, permettendo così di ricostruire per quel sito l’andamento di questa grandezza. Queste stime potranno risultare di grande aiuto nell’accertare l’incidenza dell’esposizione alla radiazione UV solare sull’insorgenza ed evoluzione delle malattie della pelle, negli ultimi anni nella zona di studio. 4. L’indagine biomedica La raccolta dei dati prende origine dai registri di sala operatoria della Dermatologia dell'Azienda Ospedaliera di Pisa e della U.O. di Dermatologia Universitaria dove sono raccolti i dati relativi ai pazienti, la loro età anagrafica, il loro domicilio e la patologia di cui sono affetti e l'intervento chirurgico a cui sono stati sottoposti. I pazienti vengono poi contattati telefonicamente e viene loro chiesto quale professione hanno svolto nei 10, 20 o 30 anni antecedenti all'intervento. Dai primi risultati ottenuti risulta che in una grossa percentuale degli intervistati esiste una netta prevalenza di coloro i quali hanno svolto nei 10-20 anni precedenti l'intervento chirurgico per patologie cutanee tumorali Sole - dipendenti come basaliomi, epiteliomi o addirittura melanomi o anche semplicemente affetti da cheratosi ed elastosi solari, attività all'aperto in qualità di muratori, lavoratori agricoli, addetti alla asfaltatura delle strade e attività del settore della pesca. Il proseguimento della raccolta dei dati e della collazione dei risultati ci permetterà di confermare e/o escludere il nesso epidemiologico tra alcuni tipi di patologie della cute ed esposizione solare, di verificare l’incidenza statistica delle malattie della pelle legate alla esposizione alla radiazione UV solare in alcune categorie di lavoratori. 5. Il costo sociale Le malattie provocate dall’esposizione all’UV solare oltre ad essere malattie per la singola persona e la sua famiglia, costituiscono una tipologia di patologia ad alto impatto sul sistema sociale ed economico. Dalla seconda metà degli anni Ottanta, in Italia, sono stati oggetto di analisi i costi sociali, cioè l'insieme dei costi sostenuti per la cura e l’assistenza del malato, sia dalla singola persona, sia dalla famiglia, sia dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Gli studi sui costi sociali misurano le risorse economiche assorbite a causa dell’esistenza di una determinata patologia, in particolare quantificano i costi sanitari diretti, i costi non sanitari e il tempo speso da terze persone per l'assistenza ai malati, mostrando una forte complessità del problema. Ma che significato ha accostare l’aggettivo “sociale” ai costi? Vuol dire misurare il costo secondo la prospettiva della società. In questo senso possiamo affermare che i costi sociali si possono classificare in quattro categorie principali. Innanzitutto i costi dei servizi sanitari, ossia i costi sostenuti dalle famiglie o dallo Stato per erogare servizi finalizzati a mantenere o migliorare la salute (ad esempio servizi diagnostici, ospedalieri, riabilitativi, ecc.). In secondo 699 luogo i costi per produrre servizi che si rendono necessari a causa della malattia, ma che non sono di tipo sanitario (l’assistenza sociale, i costi legali). Una terza componente dei costi sociali riguarda l’assistenza erogata non attraverso un esborso monetario. Tale costo non interessa direttamente il sistema sanitario o altre istituzioni pubbliche, ciò nondimeno è una componente del costo sociale in quanto il tempo dei familiari o di amici del paziente è una risorsa economica. E, infine, una quarta categoria è data dal danno per la collettività conseguente all’assenza dal lavoro del malato. In Italia gli studi sui costi sociali delle malattie si sono fino ad ora principalmente concentrati su patologie caratterizzate da andamento cronico-degenerativo, ma esistono anche studi condotti sui costi sociali di altre patologie con caratteristiche diverse (emicrania, diabete, alzheimer, celiachia, ecc.) che presuppongono brevi ma frequenti periodi di assenza dal lavoro, perdita di concentrazione e conseguente abbassamento della produttività. Gli studi sui costi sociali di una patologia non dicono se le risorse destinate alla cura e all’assistenza dei malati sono impiegate bene o male, tuttavia, possono dare un contributo al miglioramento della qualità delle decisioni in sanità. In primo luogo completano il quadro sanitario nazionale, accostando a descrizioni sulla diffusione e ai fattori di rischio della malattia informazioni sulla dimensione economica. Ma il merito principale degli studi sui costi sociali è proprio quello di rendere visibili costi spesso trascurati o addirittura negati: quelli che rimangono sulle famiglie. Spesso accade che queste patologie abbiano un profondo impatto anche sullo stato emotivo e sulla capacità sociale di chi ne è affetto. Di conseguenza si hanno ripercussioni significative non solo sui costi diretti, sostenuti e dal paziente e dalla sua famiglia, strettamente legati agli esami diagnostici, ai ripetuti controlli medici, al trattamento farmacologico e chirurgico. ma anche sui costi indiretti che gravano sul paziente e sulla società che sono essenzialmente sostenuti dagli stessi soggetti e che comportano minor produzione come conseguenza della malattia. Questi ultimi, ad ampio spettro e difficilmente quantificabili, sono ad esempio correlati al generale peggioramento della qualità di vita, alla perdita di giornate lavorative e al calo di produttività che si verifica nel malato, alle difficoltà nel fare progetti per il futuro, al gestire la quotidianità e i rapporti con gli altri che sono sostanzialmente riferibili al disagio e al dolore provocato dalla malattia. Nell’affrontare tali studi esistono difficoltà metodologiche di non semplice soluzione; se, per esempio, si parla del costo della degenza ospedaliera, è necessario considerare non soltanto il costo delle risorse inequivocabilmente attribuibili al malato (la terapia, le visite del medico di medicina generale, le visite specialistiche, gli esami diagnostici, ecc.) ma anche il costo delle risorse che servono a far funzionare l’ospedale (i servizi amministrativi oppure il costo di manutenzione). Spesso, il paziente ha necessità di sottoporsi ad ulteriori accertamenti diagnostici più innovativi o di seguire una terapia farmacologia per il trattamento delle complicanze arrecate dalla malattia. In tutti questi casi in cui non è prevista l’esenzione, la spesa a carico del malato cronico può rivelarsi consistente. Anche misurare il valore economico della perdita di capacità lavorativa presenta alcune difficoltà metodologiche. Solitamente si segue l’approccio cosiddetto del “capitale umano”, che valuta quale sarebbe stato per il resto della vita il contributo della persona all’economia, se non si fosse ammalata. Da questo punto di vista, però, va ricordato che non tutti i pazienti sono professionalmente occupati (es. gli anziani o i bambini). Inoltre, non tutti i soggetti occupati possono essere integralmente sostituiti; vi possono essere meccanismi di rimpiazzo totale o parziale sul posto di lavoro che possono far diminuire il costo indiretto. Vi sono infine i costi intangibili, derivati da stati o fattori soggettivi di dolore, di 700 disagio e ansia associati a una patologia o a una terapia. In poche parole il disagio e le sofferenze fisiche e psichiche misurabili in termini di qualità della vita e utilità perduta. Ancora, piuttosto complicato è attribuire un valore economico al tempo dedicato all’ammalato dalla famiglia o dagli amici. Quello che è fino ad ora emerso da alcuni studi che hanno interessato alcune patologie è che la dimensione dei costi collegati all’assistenza informale e alla perdita di produttività di pazienti e familiari è senz’altro maggiore di quella relativa ai costi di produzione dei servizi sanitari: il danno economico più rilevante, in altre parole, è quello che meno appare perché non collegato alla spesa sanitaria in senso stretto. Gli studi di costo della malattia richiederebbero, inoltre, di includere un orizzonte temporale più ampio, che non sia solo fissato su uno specifico anno, ma che ricerchi il cosiddetto costo di lifetime, di seguire il paziente dalla diagnosi della malattia fino all’evento finale. Al fine di poter valutare il costo socio-sanitario delle patologie dovute alla prolungata esposizione alla radiazione UV solare dei lavoratori all’aperto, si è ritenuto di realizzare un questionario da somministrare in forma anonima alle categorie individuate per la ricerca. Il questionario è diviso in due parti: la prima mira a ottenere informazioni sulla storia del paziente e sui dati clinici, sul carico assistenziale, sui tipi e costi dell'assistenza, sulla spesa farmacologica e degli esami di laboratorio, sulla spesa per i trattamenti non farmacologici ed ausili, la seconda riguarda la raccolta di dati socio-economici e soprattutto informazioni sugli impatti che questa patologia induce sui diversi aspetti della vita quotidiana, la condizione fisica generale, lo stato psicologico, l’impatto sulla attività lavorativa o sull’attività domestica, sulla eventuale modifica dello stato di lavoro, sulla qualità della vita, ecc. Le domande del questionario sono sia a risposta chiusa che a risposta aperta. Esempio di questionario Luogo dell’intervista _____________________________ ora ____ data__________ 1) Età __________, Sesso__________; 2) Qualifica Professionale 3) Da quanti anni pratica la sua attività? 4) La pratica ancora? 5) Per quante ore al giorno il suo corpo rimane esposto al sole? 6) Usa protezioni (creme, farmaci, indumenti particolari)? 7) In quali ore della giornata svolge il suo lavoro? 8) Lei ha sviluppato patologie legate all’esposizione al Sole? 8a) Quando si sono manifestati i primi sintomi della patologia? 8b) Ha dovuto abbandonare il suo lavoro a causa della malattia? 8c) Lo Stato le fornisce una indennità? 8d) Quanto le è costato curarsi? 8e) Quanto le è stato rimborsato? 8f) Quali sono stati i tempi dei rimborsi? 8g) Ha usufruito di prestazioni sanitarie private? 8h) Se sì, quali? 8i) Per quanto tempo? 8l) Quanto ha speso? 9) La sua patologia condiziona la sua vita di relazione? Sì_________ No_________; 9a) Se sì, in che modo? 10) Come “vive” la sua malattia? Ossia quanto e come ha cambiato la sua vita? ; ; ; ; ; ; ; ; ; ; ; ; ; ; ; ; ; ; ; 11) Per prevenire questa esperienza spiacevole cosa consiglierebbe a chi svolge il suo stesso mestiere? ; 701 6. Proseguimento della ricerca I risultati ottenuti in questa fase dell’attività e l’interesse per la tematica trattata porteranno il gruppo di lavoro a proseguire la ricerca approfondendo gli studi su alcuni aspetti che in questa fase sono stati trattati parzialmente. In particolare l’indagine si concentrerà sui seguenti punti: • indagine statistica della incidenza delle malattie della pelle dovute alla radiazione UV nei lavoratori a rischio; • proseguimento del monitoraggio sia delle condizioni meteo-ambientali dei siti considerati sia delle condizioni fisico-biologiche dei soggetti coinvolti, con conseguente indagine circa l’incidenza dell’esposizione alla radiazione UV solare sull’insorgenza e l’evoluzione delle malattie della pelle; • nel caso in cui il lavoratore lamenti l’insorgenza di una patologia derivante dalla esposizione alla radiazione solare, si accerterà quanto ciò possa essere imputato al datore di lavoro per il mancato rispetto delle norme tecniche ovvero, correlativamente, quale sia la posizione processuale del datore di lavoro che, a fronte della allegazione della malattia da parte del lavoratore, adduca il fatto di aver adottato le cautele previste dalle norme tecniche in questione; • valutazione del costo socio-sanitario delle patologie dovute alla prolungata esposizione alla radiazione ultravioletta. A tal fine ci si avvarrà della somministrazione di un apposito questionario che sarà rivolto a categorie di lavoratori che svolgono attività all’aperto. L’analisi dei dati raccolti permetterà di valutare quali sono le professioni maggiormente colpite da malattie dovute alla radiazione UV solare. Inoltre, la somministrazione del questionario permetterà di conoscere i costi diretti (ambulatoriali, ospedalieri, assistenziali extra-ospedalieri, ecc.) e indiretti (assenze lavorative, perdita di produttività, ecc.), gli eventuali risarcimenti ottenuti e infine i costi intangibili (la qualità della vita perduta, i rapporti interpersonali, ecc.). Bibliografia Paragrafo 1 [1] Fitzpatrick T.B., Bologna J.L. – Human melanin pigmentation: Role in pathogenesis of cutaneous melanoma, (1995), 177-182. In: Zeise L, Chedekel MR, Fitzpatrick TB (eds.) Melanin: Its role in human photoprotection. Overland Park, KS, Valdenmar Publishing Company. 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