Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 3 XII COMMISSIONE La seduta comincia alle 10.15. (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente). Audizione dei rappresentanti delle comunità terapeutiche. PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’attuazione della legge n. 45 del 1999 sulla tossicodipendenza, l’audizione dei rappresentanti delle comunità terapeutiche. Saluto innanzitutto i nostri ospiti, anche a nome della presidente della Commissione, che potrà essere presente solo più tardi. L’audizione odierna si inquadra in una serie di audizioni che sono state previste dalla Commissione nell’ambito di un’indagine conoscitiva volta a verificare l’attuazione della legge n. 45 del 1999, che voi tutti ben conoscete. La nostra verifica concerne in modo particolare gli elementi di novità che questa legge ha introdotto rispetto alla precedente normativa sulle tossicodipendenze. Le modifiche riguardano soprattutto i finanziamenti, che vengono sostanzialmente regionalizzati, il rapporto tra i soggetti del terzo settore e le autonomie locali nonché gli altri soggetti istituzionali che, come previsto dalla legge, hanno presentato o intendono presentare progetti, i criteri per il finanziamento dei progetti di competenza delle amministrazioni centrali nonché i principi che devono ispirare i criteri individuati dalle regioni per il finanziamento dei progetti presentati dai soggetti delle autonomie locali e dal terzo settore, le problematiche relative ai SERT, con particolare riferimento alle procedure concorsuali riservate e cosı̀ via. In sostanza, si tratta di valutare se il quadro normativo Indagine conoscitiva – 2 — — SEDUTA DEL 9 DICEMBRE 1999 in questione sia stato tempestivamente definito ed attuato, qual è la situazione nelle singole regioni e soprattutto se questa nuova normativa risulti efficace rispetto alle attese e alle aspettative che si registrano nel mondo che si occupa di questi problemi, anche alla luce dell’esperienza sul campo degli operatori. Nel corso delle audizioni verranno ascoltati il ministro per la solidarietà sociale ed il ministro per la funzione pubblica, i rappresentanti dell’Osservatorio permanente istituito presso la Presidenza del Consiglio, i rappresentanti delle regioni, i rappresentanti dell’UPI e dell’ANCI, i rappresentanti dei SERT, nonché (è il caso dell’audizione odierna) i rappresentanti degli enti ausiliari, delle associazioni di volontariato e delle cooperative sociali operanti nel settore. Sono previste infine missioni presso alcune selezionate realtà del terzo settore e dei SERT. L’indagine dovrebbe concludersi entro il 30 aprile del prossimo anno. L’elenco dei partecipanti all’audizione odierna è molto lungo: sono qui con noi i rappresentati degli enti che operano nel settore attraverso comunità terapeutiche e in alcuni casi attraverso il coordinamento di tali comunità. Qualcuno dei presenti forse ha già partecipato ad altre audizioni. Normalmente, noi procediamo ascoltando innanzitutto i nostri ospiti; successivamente, intervengono i parlamentari che intendano rivolgere domande e interloquire con i presenti, dopo di che vengono svolte le eventuali repliche. Tenuto conto che gli ospiti sono oggi molto numerosi, invito tutti ad essere abbastanza sintetici, per concludere l’audizione entro la mattinata, anche se mi rendo conto che l’argomento è piuttosto vasto e molto importante. Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 4 XII COMMISSIONE Per quanto riguarda l’ordine degli interventi, se non avete obiezioni riterrei opportuno seguire l’ordine dell’elenco dei partecipanti che è stato distribuito. ALESSANDRO DIOTTASI, Rappresentante della Comunità mondo nuovo. Se mi consente, presidente, vorrei fare una domanda. Poiché lei ha parlato di coordinamento delle comunità, vorrei sapere se siano stati invitati a partecipare all’audizione i rappresentanti dell’associazione Rainbow, che rappresenta moltissime realtà del nostro paese. PRESIDENTE. L’associazione cui lei fa riferimento non è oggi rappresentata in questa sede. Devo però precisare che l’elenco dei partecipanti all’audizione che è in distribuzione riguarda solo i soggetti che hanno aderito alla richiesta; gli invitati erano molti di più. Do ora la parola a monsignor Angelo Pittau, rappresentante del Coordinamento delle comunità operanti in Sardegna. ANGELO PITTAU, Rappresentante del Coordinamento delle comunità operanti in Sardegna. Signor presidente, sotto il profilo dell’attuazione devo dire che in Sardegna la legge n. 45 (la cosiddetta Lumia) praticamente non è stata recepita; lo stesso vale per il nuovo atto di intesa, anche se le risorse del fondo nazionale previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 sono già state assegnate alla regione. Quest’ultima non ha emanato alcun atto per emanare il bando che consentirebbe agli enti pubblici e privati di partecipare ai progetti. Siamo quindi fermi alla situazione precedente: anzi, rischiamo di perdere i fondi – 16 miliardi di lire – se entro il 31 dicembre la giunta regionale non approverà un atto di spesa. Occorre quindi una sollecitazione nei confronti della giunta, perché non farà in tempo né a emanare il bando per la presentazione dei progetti né – tanto meno – ad esaminare i progetti stessi. È necessario che in qualche modo queste somme vengano bloccate. Indagine conoscitiva – 2 — — SEDUTA DEL 9 DICEMBRE 1999 Altro problema è che non abbiamo gli accreditamenti definitivi: parecchie comunità stanno lavorando senza convenzione e quindi senza alcuna retta. In assenza del recepimento della legge non possono trovare risposta nemmeno le esigenze delle nuove comunità sperimentali. In sintesi, siamo ancora all’anno zero. In realtà i funzionari si sono attivati, ma il blocco è tutto politico e dipende dalla giunta. In Sardegna la legge Lumia è stata accolta molto favorevolmente dalle comunità. Tuttavia nella disciplina non è stata affrontata la questione edilizia, cioè non si è tenuto conto dei problemi riguardanti la ristrutturazione delle comunità, l’edificabilità e cosı̀ via. Oggi sappiamo che il Comitato per l’edilizia residenziale (CER) dispone di 150 miliardi non spesi: vorremmo si determinasse al più presto la possibilità di accedere nuovamente ai bandi. Mi sembra che l’onorevole Mattioli si fosse impegnato in tal senso. In Sardegna molti comuni si sono affrettati a costruire le strutture per le comunità terapeutiche ed alcuni le hanno anche consegnate, ma senza gli allacciamenti di acqua e luce. In pratica esse sono sprovviste di qualunque agibilità ed abitabilità. Oggi è necessario mettere in circolazione questi miliardi, perché le spese ancora da effettuare sono notevoli. Vorrei sottoporre alla vostra attenzione anche il problema dell’IVA. Non so cosa si verifichi nelle comunità dell’Italia settentrionale, che raccolgono anche cospicui aiuti privati, ma nel nostro caso il mancato recupero dell’IVA penalizza fortemente il volontariato. Paghiamo un’imposta del 20 per cento su tutto, il che significa che su un bilancio di 2 miliardi dobbiamo versare 400 milioni. Per lo stesso meccanismo ci viene dato il 20 per cento di meno anche sui progetti: dal finanziamento viene detratta l’IVA. È una questione che non riguarda la legge Lumia, ma coinvolge sicuramente la funzionalità del nostro lavoro. Riteniamo inoltre necessario che all’interno del piano sanitario regionale siano chiarite le dimensioni del budget, per Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 5 XII COMMISSIONE conoscere con certezza l’entità delle somme destinate agli interventi contro la tossicodipendenza. Oggi gli ingressi dipendono dal SERT ed a noi vengono richiesti determinati parametri in termini sia di strutture sia di personale, il che ci obbliga a mantenere le strutture ed a pagare il personale anche quando mancano i ragazzi. Basta che il SERT impedisca l’ingresso di cinque o dieci ragazzi per provocare il fallimento delle comunità. Credo quindi che il discorso del budget debba essere ripreso. Lo stesso vale per le tariffe: se vogliamo pagare equamente i nostri dipendenti, non possiamo continuare con una tariffa di 62 mila lire al giorno. È un altro aspetto che non è stato ancora determinato. Per quanto concerne la formazione, i tempi di alcune regioni sono lunghissimi. Abbiamo bisogno che l’aggiornamento e la formazione degli operatori delle comunità non dipenda solo dalle ASL o dall’università. Per esempio, in Sardegna è stato organizzato un unico corso, cosı̀ noi siamo ricattati dagli operatori di quel corso. Le soluzioni ipotizzabili sono due: deve affermarsi un mercato anche nell’ambito degli operatori oppure dobbiamo avere la possibilità di svolgere i corsi, sia pure – evidentemente – con un controllo di conformità alla legge ed ai parametri dell’Unione europea. Ma è necessario che ciò avvenga celermente, perché non possiamo procedere con i tempi della burocrazia. Va poi affrontato il problema dell’inserimento (più che « reinserimento ») lavorativo. I giovani che finiscono un programma in Sardegna devono fronteggiare una grave situazione di disoccupazione giovanile (56 per cento) e di disoccupazione generale (24 per cento). Ciò significa che mandiamo i ragazzi allo sbaraglio. Sarebbe il caso che per un certo periodo il ragazzo fosse accompagnato nel rientro per l’inserimento lavorativo; la legge Lumia e il nuovo atto di intesa lo prevedono, ma servono i fondi adeguati. Mi sembra sia prevista una disciplina per il finanziamento degli interventi socio-pedagogici al di là del piano sanitario. Inoltre gli enti Indagine conoscitiva – 2 — — SEDUTA DEL 9 DICEMBRE 1999 locali – dai quali il meccanismo dipenderà – dovrebbero essere sollecitati ad operare per questa fascia di emarginati. In realtà il reinserimento lavorativo e sociale sta diventando il problema centrale di tutte le comunità italiane. Noi chiediamo che vi sia certezza nei corsi di formazione: non possono assegnarci nel 2000 corsi del 1996, per di più finanziati in maniera inadeguata e con docenti talvolta non verificati dagli enti. Signor presidente, le questioni che ho illustrato in questa sede riguardano non soltanto il Coordinamento delle comunità operanti in Sardegna ma anche l’Intercear (Coordinamento degli enti ausiliari regionali che si occupano di tossicodipendenze in Italia); bisognerebbe tener conto di questo organismo, al quale partecipano quasi tutte le comunità terapeutiche d’Italia. FRANCESCO VISMARA, Rappresentante della comunità San Patrignano. Signor presidente, nello scorso mese si è scoperto che in Italia si muore di droga non soltanto con una siringa nel braccio. È un dramma che lascia continuamente sul campo morti e feriti, per esempio sulle strade. Attraverso una ricerca svolta tra il 1995 ed il 1998 in collaborazione con la polizia stradale l’Università di Padova ha dimostrato che il 33 per cento degli automobilisti sottoposti sperimentalmente ad accertamento tossicologico guida in stato di intossicazione acuta da alcoolici ed il 14 per cento sotto l’influenza di stupefacenti. Un’altra ricerca, svolta in Umbria, fa salire al 18,2 per cento quest’ultima quota di automobilisti sottoposti a controllo. Si calcola che il 4 per cento degli autoveicoli circolanti nelle notti del fine settimana sia condotto da persone sotto l’influsso devastante dell’alcool, il 2 per cento sotto l’influsso di droghe. L’ecstasy, la nuova droga che nuova non è, dilaga tra i teenager italiani ed europei da quasi quindici anni, surrogato della paura di vivere dell’adolescenza e sballo normale per i giovani che crediamo (e per questo si credono) normali. I dati parlano chiaro: a cavallo tra il 1998 ed il 1999 sono state Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 6 XII COMMISSIONE intercettate dalle forze di polizia del vecchio continente quattro tonnellate di anfetamina ed oltre quattro milioni di pillole varie. In Italia, secondo l’Osservatorio permanente del Ministero dell’interno, si è assistito nell’ultimo anno ad un incremento nei sequestri di questo tipo di droga pari al 12,99 per cento; in aumento sono anche l’eroina (16,2 per cento), la cocaina (41,76 per cento) e l’LSD (50,57 per cento). Secondo un sondaggio del CIRM condotto su un campione di oltre 600 persone tra i 15 ed i 40 anni, il consumo di droghe riguarda il 38 per cento della popolazione maschile ed il 17 per cento di quella femminile. Per affrontare questa emergenza, nel 1998 il Governo italiano aveva speso circa 9 miliardi per opuscoli e per un sito internet. Parole d’ordine: « Fatti furbo, non farti male »; « No excess » (no agli eccessi). Immagine: una bocca aperta e tre pillole, l’ultima delle quali accesa come una bomba. Obiettivo: convincere i ragazzi ad un uso « ragionevole » della droga. L’obiettivo di insegnare ai consumatori un modo « furbo » di convivere con la droga ha influenzato la metodologia impiegata nella realizzazione di innumerevoli progetti finanziati con il fondo nazionale per la lotta alla droga. L’opuscolo della Lega italiana lotta all’AIDS (LILA), che tanto scalpore ha provocato sui quotidiani per le sue « istruzioni per l’uso », è solo uno dei tanti esempi: simili progetti sono in corso da tempo – almeno da due o tre anni – in molte regioni italiane, ovviamente sempre a carico di quote estremamente significative del fondo nazionale per la lotta alla droga (cioè con soldi dei contribuenti). Nei giorni dell’emergenza è stato convocato un vertice governativo: linea dura per l’ecstasy, al bando tre nuove sostanze, controlli di polizia fuori delle discoteche. Si tratta di misure di propaganda, se non supportate da atti concreti. Il ministro dell’interno dichiara che il Governo si è trovato impreparato di fronte ad un fenomeno di tale portata; il Capo del Governo, in visita in Olanda, ribadisce di Indagine conoscitiva – 2 — — SEDUTA DEL 9 DICEMBRE 1999 essere favorevole ad un’ipotesi di depenalizzazione del consumo di droghe leggere. Cosa hanno fatto e cosa stanno facendo le istituzioni ? Qual è il piano antidroga del dipartimento per gli affari sociali ? Per il momento il Governo si è limitato a siglare un accordo con il sindacato dei gestori dei locali da ballo (SILB), che ha i medesimi contenuti (sembrano fotocopiati) dei progetti già avviati da due anni senza risultati in Emilia Romagna ed in Veneto. Restiamo in attesa di conoscere i contenuti (l’abbiamo chiesto anche al ministro) e la parola d’ordine della prossima campagna ministeriale antidroga, coscienti del fatto che è giunta l’ora di avviare un serio progetto pedagogico-educativo nel quale le istituzioni assumano il ruolo che gli adulti in una società civile devono avere nei confronti dei giovani: un ruolo educativo, fondato sull’esempio e sull’incoraggiamento alla responsabilizzazione. Tutto questo – è noto – può causare impopolarità, almeno ad un primo impatto; ma la lotta alla droga non può essere una torta da spartire per mercanteggiare consensi politici. Per quanto riguarda gli interventi di recupero si evince che la stragrande maggioranza dei tossicodipendenti in trattamento presso le strutture pubbliche (circa 137 mila persone: il 63,8 per cento) è soggetta a terapia farmacologica. Si registra un costante calo degli interventi di carattere psico-sociale e riabilitativo, che sono passati dal 40 per cento del 1994 al 36 per cento del 1998. Nell’ambito dei trattamenti farmacologici, si registra un incremento dei soggetti trattati con metadone, passati dal 36,7 per cento del 1994 al 48 per cento del 1998; aumentano, inoltre, i trattamenti a medio termine (da 30 giorni a sei mesi) ed a lungo termine (oltre i sei mesi). Il numero dei tossicodipendenti inviati dal servizio pubblico alle strutture socioriabilitative evidenzia un decremento pari al 14,87 per cento dal 1994 al 31 dicembre 1998. Inoltre nelle strutture socio-riabilitative, dove alla fine del 1998 sono rimasti soltanto 14 mila ospiti, è in costante diminuzione il numero dei soggetti trattati Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 7 XII COMMISSIONE con programmi residenziali, perché sono troppo difficili e duri da portare avanti, a vantaggio dei programmi semi-residenziali ed ambulatoriali che sempre più spesso utilizzano il trattamento con farmaci sostitutivi sotto l’influenza ed il potere contrattuale dei servizi pubblici, che controllano il privato attraverso il delicato meccanismo delle convenzioni (fra un paio di anni arriveremo all’accreditamento, e sarà una strage). Risulta inoltre una forte diminuzione delle persone che accedono dal carcere a percorsi di recupero alternativi alla detenzione. Si riconferma quanto già denunciato dalla Corte dei conti in un rapporto sul triennio 1994-96: a fronte di 20 miliardi previsti per finanziare percorsi alternativi alla detenzione, ne sono stati utilizzati soltanto 8; le strutture che hanno accolto la maggioranza dei detenuti tossicodipendenti sono due (San Patrignano e Comunità incontro). Ovviamente la denuncia della Corte dei conti, resa nota sulla stampa, è stata prontamente dimenticata – se non ignorata – dal Governo e la situazione non ha subito alcun cambiamento. Vergogna ! Risulta quindi fallito l’obiettivo, prospettato durante la Conferenza di Napoli, di garantire ai tossicodipendenti detenuti il diritto di accedere a misure alternative. Tutte le successive campagne politiche, prive di buon senso e colme di demagogia, hanno propagandato lo svuotamento delle carceri dai detenuti tossicodipendenti. In relazione al fondo nazionale per la lotta alla droga segnaliamo il pericolo che la maggioranza delle risorse destinate alle regioni ed alle province autonome sia utilizzata esclusivamente per progetti di riduzione del danno, sottraendo cosı̀ le già scarse risorse destinate fino ad oggi agli interventi delle comunità. Citiamo per esempio la situazione della regione Emilia Romagna, che conosciamo molto bene. I 31 miliardi destinati dal Governo alla regione sono stati distribuiti alle province in base a due criteri (peraltro non previsti dalle linee guida del ministero): l’entità della popolazione compresa fra i 14 ed i Indagine conoscitiva – 2 — — SEDUTA DEL 9 DICEMBRE 1999 44 anni di età; il numero di tossicodipendenti in carico al servizio pubblico. Nella provincia di Rimini operano San Patrignano, la comunità di don Oreste Benzi e la cooperativa Cento fiori: gli utenti rappresentano complessivamente il 44,66 per cento del totale in carico all’intero territorio regionale. Il risultato dell’applicazione dei due parametri che ho richiamato è che alla provincia di Rimini sono stati destinati 2 miliardi 400 milioni per il triennio (su 31 miliardi !). Tenendo conto che questa cifra sarà utilizzata anche dai comuni, dai SERT, per gli interventi di prevenzione, di riduzione del danno e di reinserimento, alle comunità resteranno gli spiccioli, che non serviranno ad avviare alcun progetto significativo. Dobbiamo andare avanti con le nostre forze e lo stiamo facendo dal 1979 ! È ovvio che i rimanenti 29 miliardi 500 milioni che restano alla regione Emilia-Romagna saranno per la maggior parte impiegati per progetti di prevenzione e riduzione del danno, perché nelle altre province vi sono pochissimi utenti e poche strutture. Quindi i comuni ed i SERT utilizzeranno quelle somme per fare le solite cose; le cooperative distribuiscono nel centro di Bologna il metadone. A noi, con 1.300 ospiti in comunità, daranno 200-300 milioni. Ecco l’applicazione della legge n. 45 ! Per quanto riguarda le restanti fasi attuative della legge n. 45, possiamo soltanto dire che anche la regione Emilia Romagna (che è venuta a vantarsi in tutti i tavoli romani, ministeriali ed internazionali, di essere all’avanguardia) non ha ancora avviato alcun corso di formazione. La legge prevedeva che i corsi dovessero essere avviati entro 3 mesi: da febbraio ad oggi quanti mesi sono passati ? Non è stato avviato ancora nulla. Abbiamo dovuto farci vivi noi; e a partire da gennaio vedremo. Riteniamo che questa politica regionale sia in stridente contrasto con la pari dignità riconosciuta dalla legge n. 45 alle diverse metodologie di intervento. La disciplina è stata il frutto del lavoro del Parlamento e di questa Commissione, che a questo punto la devono far rispettare: la Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 8 XII COMMISSIONE regione Emilia-Romagna deve tornare indietro ed i soldi del triennio devono essere utilizzati in altro modo. Altrimenti faremo un ricorso al TAR e lo vinceremo; ma tutte le altre strutture per poter andare avanti dovranno aspettare il nuovo sblocco dei finanziamenti. Meglio, allora, che lo facciate voi. BARTOLOMEO BARBERIS, Rappresentante della comunità Papa Giovanni XXIII di Rimini. Riguardo all’applicazione della cosiddetta legge Lumia volevamo sottolineare alcuni aspetti che l’amico Vismara ha già illustrato. La lettura del quadro globale della situazione delle tossicodipendenze preoccupa notevolmente anche noi, in particolare per il forte incremento dell’utilizzo dei farmaci sostitutivi, a cui si unisce l’intenzione – proclamata dal Ministero della sanità nell’ultima bozza delle linee guida sull’uso dei farmaci sostitutivi – di ampliare (attraverso l’uso della buprenorfina e del cosiddetto LAM) il tipo ed il numero di sostanze utilizzabili senza aver fatto prima una seria indagine conoscitiva sull’uso e – lasciatemi usare il termine – sull’abuso nel nostro paese del farmaco sostitutivo principale, cioè del metadone. È ben noto agli addetti che ancora oggi in Italia non esiste una normativa che impedisca il fenomeno della doppia prescrizione: qualunque persona tossicodipendente può farsi prescrivere dal proprio SERT un dosaggio di farmaco sostitutivo anche elevato e può ottenere contemporaneamente un’altra prescrizione dal medico di base. Evidentemente situazioni del genere rappresentano la base di partenza per il forte sviluppo del cosiddetto mercato grigio. Chi, come noi e come gli addetti presenti in quest’aula, ha a che fare tutti i giorni con i ragazzi che hanno problemi di tossicodipendenza e con persone che vivono questo grave disagio, può facilmente testimoniare che spesso i farmaci sostitutivi ottenuti per vie legali vengono rivenduti all’interno o nelle immediate adiacenze dei luoghi in cui erano stati, spesso incautamente, distribuiti: è un fe- Indagine conoscitiva – 2 — — SEDUTA DEL 9 DICEMBRE 1999 nomeno quotidiano. Dalla rivendita si ottengono i soldi per acquistare altre sostanze come l’eroina. Uno dei punti cruciali sui quali il Parlamento e la vostra Commissione dovrebbero assumere un’iniziativa specifica è la realizzazione di una seria indagine conoscitiva sullo stato di questo fenomeno. Sempre nella bozza di linee guida proposte dal Ministero della sanità il capitolo intitolato « Ragionamenti preliminari » si sofferma sull’utilizzo medico dell’eroina. Ci sembra una china molto pericolosa; a nostro avviso bisogna stare molto attenti prima di imboccare una direzione del genere. Anche noi abbiamo rilevato la contraddizione derivante dal fatto che i criteri per l’assegnazione dei fondi a livello regionale, provinciale ed aziendale hanno tenuto conto soltanto degli utenti seguiti nei servizi pubblici, cioè nei SERT: è in stridente contrasto con l’ottica della pari dignità, che va riconosciuta alle strutture del privato sociale che operano nel campo della tossicodipendenza (ovviamente a quelle di cui sia nota la serietà professionale e la lunga esperienza). I parametri della popolazione residente e del numero di utenti seguiti nelle strutture pubbliche dovrebbero essere integrati dai dati sulla presenza nel territorio regionale e provinciale di esperienze consolidate di recupero della tossicodipendenza, che hanno bisogno di essere sostenute, incrementate e valorizzate: quest’ultimo parametro dovrebbe quindi rientrare nell’ambito dei criteri di ripartizione dei fondi. Per quanto riguarda i corsi di formazione, la regione Marche ha già cominciato (si è mossa da tre mesi) e mi risulta sia stata la prima in Italia. In proposito credo vi sia il rischio di lasciare all’iniziativa delle regioni un margine eccessivo per l’attuazione delle misure previste dalla legge. Sappiamo molto bene che in Italia la situazione locale è assolutamente diversa tra nord e sud ed all’interno delle varie aree territoriali. Al riguardo sarebbe quindi indispensabile una seria azione di vigilanza. Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 9 XII COMMISSIONE Nel settore di cui ci stiamo occupando vi è inoltre il rischio di muoversi in base a posizioni ideologicamente preconcette. Qualche giorno fa, nell’ultimo incontro della commissione dei settanta esperti, mi ha assai preoccupato il fatto che vengano proposte indagini su sperimentazioni in corso con eroina in alcuni paesi europei mentre non viene prevista alcuna valutazione (sempre in un’ottica di allargamento delle conoscenze al di là dei nostri confini e nell’ambito dell’Unione europea) di altre esperienze che certamente non si sono mosse nella direzione dell’aumento del numero, della quantità e dell’utilizzo come farmaco di sostanze sostitutive o di sostanze stupefacenti come l’eroina. Mi sembra un atteggiamento pericoloso. Giustamente dobbiamo alzare lo sguardo al di là del nostro cancello di casa per valutare esperienze anche diverse, ma ciò va fatto senza pregiudizi di carattere ideologico, cioè a 360 gradi, con il coraggio di guardare anche all’esperienza di paesi europei che ci hanno preceduto sulla strada dell’abbondante utilizzo di farmaci sostitutivi o di sostanze stupefacenti utilizzate come farmaco e che poi hanno dovuto constatare il sostanziale fallimento di questa politica. Il rischio di fondo è di determinare con troppa facilità l’incremento della cronicità del problema: riteniamo che nessuno abbia il diritto di dichiarare l’irrecuperabilità di una persona e crediamo che lo sforzo del recupero debba essere continuato con testardaggine, come previsto dalla stessa legge n. 45. Altrimenti l’ottica del recupero della persona rischia di essere messa un po’ in secondo piano. PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai successivi ospiti, vorrei comunicare che il collega Massidda – che teneva molto ad essere presente a questo incontro – si scusa per non aver potuto partecipare a causa di un grave problema di famiglia. Proseguiamo con gli interventi introduttivi. ANNIBALE COIS, Rappresentante della comunità Mondo X Sardegna. Signor pre- Indagine conoscitiva – 2 — — SEDUTA DEL 9 DICEMBRE 1999 sidente, poiché la nostra associazione fa parte del Coordinamento delle comunità operanti in Sardegna mi associo alle considerazioni già svolte in questa sede da monsignor Angelo Pittau. In proposito vorrei ulteriormente sottolineare un aspetto legato al recepimento delle norme da parte della regione Sardegna. In passato, in occasione del precedente atto di intesa, il recepimento era avvenuto in modo assolutamente passivo, nel senso che la legge regionale aveva riprodotto pedissequamente l’atto di intesa senza alcun tentativo di adattamento. Credo si tratti di un problema centrale per la nostra realtà; infatti tutte le regioni hanno peculiarità specifiche e nel nostro caso proporre norme senza adattarle al contesto di riferimento – come previsto dalla legge – finisce per svilire totalmente la disciplina. In particolare, credo che in Sardegna dovremmo insistere – oltre che sugli aspetti già ricordati da monsignor Pittau – sul fatto che nel recepimento dell’atto di intesa siano previsti meccanismi e modalità per garantire veramente il rispetto della pari dignità nella strutturazione delle modalità di accesso e di verifica. Al di là dei soggetti titolari di queste funzioni (secondo la legge gli organi chiamati alla verifica dei requisiti non possono essere gli stessi che si occupano delle valutazioni cliniche), è necessario stabilire precise modalità di accesso per evitare che l’invio alle varie strutture sia soggetto all’arbitrarietà del singolo operatore del servizio pubblico. La nostra comunità, pur essendo iscritta all’albo, non ha attivato convenzioni; quindi non sto ponendo esclusivamente un problema di tariffe. Si tratta di evitare « lotte » finalizzate a garantire ai servizi pubblici (e, d’altra parte, ai servizi privati) una certa utenza: problemi del genere certamente non sono legati all’interesse dei singoli utenti. Uno dei problemi di applicazione della legge n. 45 è quindi quello di stabilire criteri precisi e modalità che consentano la pari dignità anche rispetto alla valutazione dell’accesso nelle varie Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 10 XII COMMISSIONE strutture. Per quanto ci riguarda il problema non è assolutamente risolto e le premesse non sono molto rosee. Un’ultima considerazione sulle problematiche legate al carcere. Si tratta di una fenomenologia alla quale siamo sensibili perché normalmente accogliamo, cosı̀ come altre realtà della nostra regione, utenti che provengono dalle strutture carcerarie; gran parte dei detenuti – come è noto – sono tossicodipendenti. In realtà l’introduzione di un terzo soggetto, cioè il Ministero di grazia e giustizia, rende ancora più complesso e farraginoso il meccanismo: frequentemente si arriva alla scarcerazione ed all’inserimento in un programma terapeutico in tempi che vanno anche al di là del periodo di detenzione. ETTORE ROSSI, Rappresentante della fondazione Villa Maraini. Signor presidente, la fondazione Villa Maraini si occupa di tossicodipendenza a Roma dal 1975; obiettivo primario è il recupero delle persone usando tutti i mezzi a disposizione ed avvalendosi di qualunque terapia: dagli strumenti di bassa soglia (camper ed unità di strada) ai contesti più elaborati (comunità terapeutica diurna). Abbiamo in carico circa 1.500 utenti e rappresentiamo un po’ la realtà di Roma. Nel 1995 nell’ambito del programma di riduzione del danno della regione Lazio abbiamo avviato il nostro ultimo servizio: l’unità di emergenza. Si tratta di una équipe composta da un medico, da un operatore sociale (generalmente un ex tossicodipendente) e da un volontario in servizio presso la sala operativa. L’unità di emergenza è nata per fronteggiare i casi di overdose, di astinenza, di liti familiari dovute all’uso di sostanze. Recentemente ci siamo specializzati negli interventi con il metadone per casi di astinenza; siamo attivi presso le caserme dei carabinieri e della polizia, nonché presso la pretura (dove si svolgono i processi per direttissima). Mi limiterò a citare alcuni dati su questo servizio. Nel mese di gennaio 1999 siamo intervenuti in 18 casi di astinenza presso i carabinieri, in 19 casi presso la Indagine conoscitiva – 2 — — SEDUTA DEL 9 DICEMBRE 1999 polizia ed in 38 casi presso il tribunale; nel corso dell’anno, fino ad oggi, abbiamo svolto in totale 350 interventi presso i carabinieri, 170 presso le caserme di polizia e 330 presso il tribunale di Roma. Se queste persone avessero avuto la possibilità di un adeguato trattamento medico prima di compiere il reato, sicuramente non le avremmo soccorse noi. È il nostro contributo nei confronti dei fenomeni di microcriminalità. Per simili esigenze immediate ogni città dovrebbe avere secondo noi almeno un servizio aperto ventiquattro ore su ventiquattro. In questa sede ho sentito parlare malissimo del metadone, ma devo dire che nel recente convegno di Pietrasanta è stato evidenziato che secondo gli accertamenti scientifici il metadone è il migliore farmaco per la terapia delle tossicodipendenze. Non siamo a favore soltanto del metadone, ma abbiamo dimostrato di voler garantire tutta una serie di servizi, dall’unità di strada di Termini fino alla comunità terapeutica diurna. Però quando la persona sta male secondo noi c’è bisogno del farmaco; per contribuire alla diminuzione della microcriminalità basterebbe che questi soggetti avessero una dose di metadone: sicuramente molti reati non sarebbero commessi. DANIELE MASCIANGELO, Rappresentante della Comunità mondo nuovo. La nostra comunità può essere definita di piccole dimensioni per il numero di residenti, ma in realtà conta nel Lazio 5 centri accreditati ed in Abruzzo e Lombardia altri 2 centri accreditati. La comunità si occupa prevalentemente del recupero della persona. Mi rendo conto che il problema della tossicodipendenza è complesso e richiede diverse risposte, ma la nostra comunità ha scelto il compito di recuperare la persona caduta nel problema della droga o dell’alcool. Una piccola premessa per rispondere al precedente oratore. Sono un ex tossicodipendente che ha preso il metadone per 4 anni; sono stato per 4 anni in carcere ed ho partecipato ad un programma di recupero in una comunità. Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 11 XII COMMISSIONE Prendevo il metadone per andare a rubare e non per astinenza. Effettivamente il metadone serve a togliere il dolore fisico, ma è anche vero che il tossicodipendente lo utilizza per continuare a delinquere ed a fare uso di droghe. D’altra parte è stato dimostrato scientificamente che di metadone si muore: alcuni ragazzi tossicodipendenti hanno abusato di metadone e purtroppo non ci sono più. ETTORE ROSSI, Rappresentante della fondazione Villa Maraini. Potrei rispondere con altri dati scientifici, ma non mi pare la sede adatta. DANIELE MASCIANGELO, Rappresentante della comunità mondo nuovo. Non è il caso, anche perché non si tratta di fare polemica. Le piccole comunità come la nostra si sono sempre adeguate, negli ultimi vent’anni, a tutte le norme che hanno disciplinato la materia: abbiamo sempre dato risposta alle richieste dello Stato (e di conseguenza delle regioni), per esempio utilizzando professionisti psicologi, psichiatri, assistenti sociali e cosı̀ via. Oggi dobbiamo affrontare un problema nuovo. Il principio del nostro progetto è quello di dare un esempio educativo ai ragazzi che chiedono una mano alla nostra comunità; il principio educativo passa attraverso l’esempio che persone come me possono dare a questi ragazzi. Nel momento in cui lo Stato ci chiede di dare ai nostri operatori – al di là del personale normalmente retribuito che ho citato in precedenza – una professionalità specifica, ci troviamo di fronte ad un grosso problema. La legge prevede una sanatoria per consentire agli operatori attivi nelle comunità di continuare a svolgere la loro attività anche se non in possesso dei titoli professionali; si tratta di seguire un corso regionale. A quanto mi risulta, la regione Lazio non ha ancora attivato il corso, mentre la regione Abruzzo lo ha avviato. Dalla regione Lazio ci è pervenuta una richiesta da parte di un’altra comunità qui rappresentata (non faccio nomi) per un ammontare di 2 milioni 400 mila lire Indagine conoscitiva – 2 — — SEDUTA DEL 9 DICEMBRE 1999 per ogni operatore chiamato a svolgere il corso di aggiornamento; non so nemmeno se la regione riconoscerebbe il corso effettuato da questa comunità. Ecco la realtà in cui vivono piccole comunità come la nostra, che sono iscritte e accreditate ma dicono di no al metadone. Quali sono le nostre prospettive per il futuro ? Oltre al programma di 30 mesi, dovremmo costringere i nostri ragazzi ad andare a scuola, perché la maggior parte di essi, quando va bene, hanno la licenza di scuola media superiore: non hanno un diploma e non possono accedere ai corsi universitari per ottenere il requisito professionale che lo Stato ci richiede. È un problema. Per noi, che siamo presenti in tre regioni, vuol dire chiudere oppure cambiare completamente il progetto non intervenendo più attraverso l’esempio educativo. Si tratta peraltro delle persone che svolgono il lavoro più ampio e più faticoso all’interno delle comunità di recupero: i professionisti sono impegnati per 36 ore settimanali, ma ad una certa ora vanno comunque a casa; invece se un ragazzo sta male l’operatore gli rimane vicino e cerca di aiutarlo in quel momento di difficoltà. Non potremo più farlo. Vi è poi un secondo problema in relazione ai finanziamenti. Dal 1978 abbiamo attivato una cooperativa sociale e laboratori artigianali per la preparazione professionale dei nostri ragazzi (non solo dei residenti, ma anche di altri che non vivono in comunità e che hanno lo stesso problema). I nostri progetti – proposti in collaborazione con la ASL competente – non sono accolti: vengono preferiti nuovi progetti, che non seguono le indicazioni della legge n. 45. Siamo stati allora costretti a presentare un nostro progetto su qualcosa che già facciamo da anni senza avere soldi dallo Stato. I corsi di formazione per i ragazzi che devono svolgere un’attività di reinserimento avvengono il più delle volte all’interno dei nostri centri, con personale da noi stipendiato; ma la legge non ce lo riconosce. Un’altra segnalazione. Nella regione Toscana abbiamo un centro in grado di Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 12 XII COMMISSIONE accogliere circa 30 ragazzi che è in possesso di tutti i requisiti strutturali, verificati dagli ufficiali della ASL. Poiché si tratta di un ente nuovo non possiamo utilizzare gli operatori che abbiamo in altre regioni. Ebbene, nessun operatore professionista è disposto a recarsi sul posto (il centro si trova in un vecchio eremo ristrutturato del XII secolo) e cosı̀ disponiamo di una struttura adatta a fronteggiare i problemi della tossicodipendenza che non può essere ufficialmente riconosciuta perché non troviamo il personale richiesto dallo Stato. Un altro problema riguarda i soggetti detenuti. Attualmente la situazione è molto grave, perché non esiste all’interno del carcere alcuna preparazione per i ragazzi che chiedono di entrare in comunità. All’interno del carcere di Rebibbia è stato attivato un programma di volontariato da un ragazzo che precedentemente aveva vissuto in comunità per un periodo di 3 mesi e che poi purtroppo era andato via. I risultati ottenuti dalla comunità di Rebibbia sono stati incredibili: sono numerosissime le lettere dei ragazzi che partecipano a questo programma e che chiedono di entrare in comunità nel momento in cui saranno scarcerati. Per queste piccole comunità che operano quotidianamente chiediamo la possibilità di attivare all’interno delle carceri corsi di preparazione all’eventuale ingresso di un ragazzo tossicodipendente detenuto. Oggi ciò non accade. RICCARDO DE FACCI, Rappresentante del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza. Signor presidente, poiché il nostro Coordinamento rappresenta 170 gruppi che si occupano di tossicodipendenza e 250 gruppi totali in Italia ho preparato qualche rilevazione sui tempi di applicazione della legge. Un aspetto al quale ha fatto riferimento monsignor Pittau nella parte conclusiva del suo intervento riguarda inoltre gli enti ausiliari regionali: molte realtà si stanno organizzando per costruire coordinamenti a livello regionale che credo dovrebbero trovare una loro visibilità in sedi come Indagine conoscitiva – 2 — — SEDUTA DEL 9 DICEMBRE 1999 quella in cui ci troviamo oggi o in altri ambiti. Di queste realtà fanno parte sia il nostro Coordinamento (CNCA) sia anche il CEIS, la FICT e cosı̀ via. Probabilmente, in una prossima occasione sarà importante avere qualche attenzione nei confronti di questi coordinamenti regionali, che sono enti elettivi e possono rappresentare anche le piccole strutture che non sempre hanno l’occasione di arrivare ad un incontro come quello odierno. Anche rispetto ai coordinamenti ausiliari regionali ho preparato qualche rilevazione, per capire i problemi esistenti. A titolo di informazione, al momento vi sono dieci coordinamenti degli enti ausiliari regionali e cinque sono in preparazione; a poco a poco, quindi, quasi tutte le regioni italiane si stanno attrezzando per trovare (lo dico in maniera molto chiara, anche alla luce di alcuni interventi precedenti) forme chiare di rappresentanza. Lo dico con molta trasparenza (e il Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza non può essere certo accusato di non avere rappresentanza): è importante trovare forme lineari di rappresentanza per tutte quelle realtà che non sempre riescono ad essere rappresentate a livello regionale e a livello nazionale. Noi quindi, come molte altre strutture nazionali, abbiamo spinto perché vi fosse una rappresentanza di tipo regionale. Devo dare rapidamente alcune risposte, anche se sarei voluto entrare subito nel merito della legge, ma quando si citano dei dati credo occorra essere molto precisi. Io credo che la campagna nazionale di prevenzione dell’anno scorso sia stata una delle campagne che ha maggiormente coinvolto le realtà del privato sociale. Almeno cento realtà del privato sociale sono state direttamente coinvolte nella gestione di interventi sul territorio in tutto il paese. Non a caso, a differenza di molte altre campagne, si è cercato, nei luoghi dove veniva presentato il materiale, di coinvolgere direttamente gli enti interessati, e questa mi sembra una modalità assolutamente nuova. La campagna effettuata va a mio avviso difesa, anche perché Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 13 XII COMMISSIONE ha ottenuto un risultato importantissimo: non è stata una campagna solo di tipo informativo; essa ha avuto invece un forte impatto relazionale. Qualcuno mi ha detto (i dati saranno pubblicati fra poco) che dei materiali della campagna sono stati distribuiti otto milioni di pezzi. Probabilmente, molti saranno andati persi ma, secondo quanto ci risulta, i contatti sono stati molti. FRANCESCO VISMARA, Rappresentante della comunità San Patrignano. Il modo con cui è stata fatta non c’entra con i contenuti ! RICCARDO DE FACCI, Rappresentante del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza. Per favore ! Io ti ho fatto parlare. PRESIDENTE. Vi prego ! Il dialogo è tra i convenuti e la Commissione. RICCARDO DE FACCI, Rappresentante del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza. Poiché non voglio fare battaglie ideologiche, voglio darvi dei dati di cui io sono in possesso. Gli interventi realizzati hanno avuto un obiettivo molto chiaro. Sono stati compilati anche dei questionari di gradimento con riferimento ai materiali, all’efficacia della campagna ed al giovamento che ne hanno tratto le persone attraverso i materiali distribuiti, attraverso la relazione attivata e attraverso i contatti successivi all’iniziativa. In molti casi è stato possibile segnalare luoghi cui fare riferimento ed attivare delle relazioni. Possiamo anche discutere su alcuni elementi di contenuto (il confronto è assolutamente aperto), ma credo che i questionari, i contatti stabiliti, il materiale distribuito e le modalità seguite abbiano dato risultati molto precisi. Ritengo quindi sia stata una campagna da difendere, anche se l’intervento in tal senso va sviluppato ulteriormente. Vi è un altro elemento importante. La nostra struttura era presente a Brescia, insieme con il Gruppo Abele, nei giorni in cui è morto il giovane Yannick. In quel Indagine conoscitiva – 2 — — SEDUTA DEL 9 DICEMBRE 1999 sabato notte erano presenti nostri operatori nelle discoteche. Occorre infatti aprire un confronto serio con le realtà dei locali pubblici al fine di definire un accordo, perché vi sono locali pubblici in cui non sempre si rispettano le leggi dello Stato. Credo che un accordo di autotutela e di autoregolamentazione dei gestori delle discoteche sia importantissimo. Quella notte erano presenti nella discoteca, tra l’interno e l’esterno, quasi il doppio delle persone che il locale poteva contenere. Molti malori non erano legati a sostanze ingerite ma a piccoli collassi dovuti all’enormità delle presenze, all’assenza dell’acqua nei bagni, al fatto che le bevande distribuite erano essenzialmente alcooliche. In questo quadro ritengo dunque sia molto importante un accordo con i gestori dei locali da ballo, dei locali pubblici. Le sostanze a rischio che vengono consumate sono ormai estremamente diversificate: non vi è solo l’ecstasy. Non so se a voi siano arrivati, ma ci sono documenti della Consulta che parlano di una serie di proposte articolate di intervento. Non vorrei puntare il riflettore solo su alcune situazioni: se i fenomeni sono complessi, occorrono risposte complesse. Non possiamo fare l’errore che abbiamo commesso negli anni precedenti, quello di impiegare i nostri servizi ed i nostri interventi per contrastare il consumo soprattutto di alcune sostanze. Dobbiamo iniziare a parlare di modalità di consumo, di stili di consumo, di complessità dei fenomeni. Lo ripeto: non esiste più il consumatore puro ! Se mi imbatto in una persona che consuma esclusivamente eroina e non assume anche alcool, psicofarmaci o altro, lo metto in bacheca ! Nel senso che ormai parliamo di policonsumi, di consumi molto misti. Non credo, quindi, che si possano più fare battaglie, campagne o servizi riferiti esclusivamente ad una sostanza. Vi è un altro elemento altrettanto importante collegato alla complessità e diversificazione del fenomeno. È stata sottolineata l’importanza di una riflessione seria sui farmaci sostitutivi, che vada ad analizzare le prestazioni erogate Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 14 XII COMMISSIONE ed i risultati ottenuti per uscire da una lettura ideologica di alcuni dati. C’è un riscontro scientifico, vi sono indicatori di efficacia che si adottano per i farmaci. Ebbene, chiediamo con forza (non solo il CNCA, ma la maggior parte delle realtà che lavorano in questo campo) che venga costituito un gruppo di lavoro al fine di stabilire dei parametri e degli indicatori e di verificare i risultati. Altrimenti, è chiaro che l’utilizzo di farmaci sostitutivi ulteriori o il ricorso ad una serie di altre sperimentazioni rischia soltanto di essere oggetto di una battaglia ideologica, senza che si dia invece importanza alla reale efficacia di simili interventi. Ciò va detto perché vi sono buone pratiche sperimentate: sono ormai quasi 70 mila all’anno le persone che si rivolgono ai servizi e che vengono agganciate anche grazie ai farmaci sostitutivi. Dobbiamo renderci conto che molti servizi pubblici hanno una grande utenza ed un contatto quotidiano con quasi 50 mila persone. Si tratta comunque di contatti. Sicuramente esiste un problema di gestione educativa, relazionale, di eventuale accompagnamento alla somministrazione del farmaco, ma tutto ciò è disciplinato direttamente dalla legge n. 45 del 1999. Attualmente vi sono SERT che non hanno beneficiato in maniera evidente della legge in questione. I concorsi indetti sono stati pochissimi, i servizi pubblici non sono riusciti ad integrare realmente le professionalità mancanti. Vi do un dato significativo: a Milano, su 150 o 180 operatori (a seconda delle interpretazioni) che dovrebbero essere presenti nei servizi pubblici, ce ne sono meno di un centinaio, cioè circa il 50 per cento ! È chiaro, allora, che con un servizio pubblico di questo tipo la somministrazione rischia di sacrificare una serie di altri interventi che il servizio pubblico ed il privato sociale possono porre in essere. L’altro aspetto importante, oggetto di sperimentazioni, è infatti la possibilità delle cogestioni di percorsi da parte del pubblico e del privato. Il ruolo educativo, pedagogico, di accompagnamento sociale legato alla somministrazione del farmaco Indagine conoscitiva – 2 — — SEDUTA DEL 9 DICEMBRE 1999 può essere anche cogestito, solo in presenza, però, di progettazioni condivise. Attualmente, vi sono ancora situazioni ad altissima discrezionalità per quanto riguarda l’applicazione della legge. Ciò vale sicuramente per gli operatori pubblici: soltanto in alcuni casi sono stati indetti i bandi per i concorsi. Tra l’altro sono stati indetti i concorsi soprattutto per le figure di alta professionalità; per quanto riguarda i dirigenti, la legge si sta applicando, e ciò è positivo perché è importante nominare i responsabili dei servizi, ma è necessario che vengano indetti i concorsi anche per le figure di tipo educativo, come ad esempio gli assistenti sociali. Nei SERT si registrano gravi carenze per quanto riguarda gli educatori ed il personale infermieristico. Uno degli obiettivi della legge era quello della parificazione delle varie figure professionali presenti nei SERT: da questo punto di vista non si sono ottenuti grandi risultati. Al riguardo, credo occorra un’azione di monitoraggio. Ci siamo confrontati con la Federsert, ed i servizi pubblici si sono dichiarati disponibili, perché anche i SERT chiedono che la legge sia applicata per quanto concerne questo punto. Purtroppo, l’applicazione della legge si è scontrata con l’organizzazione delle ASL, con l’erogazione dei finanziamenti e con l’orientamento dei medesimi, che in alcune regioni è molto difficile. Vi è un altro elemento importante. La legge non ha facilitato la progettazione condivisa, anche se in essa si parla di parità tra servizio pubblico e privato. Dopo la legge è stato adottato l’atto di intesa, in cui si parla di cogestione, di pari titolarità, ma esistono pochi luoghi strutturati che danno corpo a tale parità. Il privato sociale a volte ha un ruolo eccessivamente egemone perché è molto forte, altre volte ha un ruolo assolutamente succube. Se vogliamo la parità, occorre applicare seriamente il dipartimento per le dipendenze, un dipartimento che è stato previsto nell’atto di intesa successivo alla legge ma che è decollato soltanto in alcune situazioni. Anche quello del dipartimento per le dipendenze è un elemento Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 15 XII COMMISSIONE importante, anzi decisivo, del sistema. Anche da questo punto di vista, vi è una situazione di assoluta discrepanza. Faccio degli esempi concreti, per capire meglio. Abbiamo dipartimenti, in alcune regioni, che non hanno neanche diritto ad orientare la spesa, mentre in altre regioni vi sono dipartimenti che possono fare un piano territoriale e quindi orientare la spesa in modo piuttosto consistente. È chiaro che un dipartimento per le dipendenze che non può nemmeno orientare la spesa è assolutamente privo di efficacia. E se l’orientamento della spesa viene effettuato dal dirigente di un’azienda sanitaria locale, sicuramente le dipendenze non saranno inserite tra le priorità. Vi è un altro elemento determinante con riferimento al fondo nazionale per la lotta alla droga. Credo che la legge sia decisiva per quanto riguarda la possibilità di un’erogazione puntuale dei fondi. Il problema, però, è che anche da questo punto di vista vi sono forti discrepanze tra le regioni. Vi sono regioni che stanno già erogando i finanziamenti e ve ne sono altre che non hanno ancora preparato il bando. Il rischio, ancora una volta, è quello di avere, se tutto va bene, uno o due anni di differenza tra una regione e l’altra per quanto riguarda l’erogazione dei finanziamenti. In una regione i progetti finanziati nel 1997 partiranno a gennaio del 2000, in qualche altra regione si riuscirà a far partire i progetti, forse, sola alla fine del 2000. È un elemento preoccupante, che rischia di aggravare situazioni già gravi, perché le regioni più in difficoltà sono quelle che hanno un sistema dei servizi non particolarmente sviluppato. Nella regione Sicilia, per esempio (poi ne parlerà padre Lo Bue), devono ancora essere erogati i finanziamenti del 1996. Credo che questo sia un elemento significativo su cui occorre intervenire in maniera precisa. Vi sono altri elementi importanti sempre con riferimento al fondo. Al riguardo, sia la legge che la Consulta per le tossicodipendenze hanno individuato delle linee di indirizzo, che però sono state utilizzate nelle varie regioni in maniera Indagine conoscitiva – 2 — — SEDUTA DEL 9 DICEMBRE 1999 estremamente diversificata. Noi rischiamo di avere sistemi di riferimento e unità di offerta profondamente diversi. In alcune regioni si è investito molto sulla riduzione del danno ed in altre la riduzione del danno è quasi sparita dai finanziamenti. Non vorrei fare una battaglia ideologica, ma credo che gli interventi di riduzione del danno abbiano dimostrato l’efficacia di questa filosofia: non è possibile che due regioni la interpretino in maniera cosı̀ ideologizzata, senza prestare attenzione ai bisogni reali. Credo che ciò sia molto grave. Un altro dato importante rispetto all’utilizzazione del fondo è che non sono stati ancora attivati quei luoghi della progettazione condivisa regionale necessari per orientare la spesa. In molte regioni, infatti, non vi sono ancora momenti di coordinamento, indispensabili per l’elaborazione dei bandi nonché per la scelta delle modalità dell’aggiudicazione, con il rischio che tutto finisca nelle mani più o meno buone di qualche funzionario cui questo compito viene delegato e che non sempre è in grado di orientare la spesa in base ai reali bisogni; e parliamo di cifre notevoli: di decine di miliardi nelle varie regioni ! Anche per quanto riguarda la quota del 25 per cento del fondo da destinare al finanziamento dei progetti promossi e coordinati dal dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei ministri, d’intesa con gli altri ministeri, è necessario intervenire rapidamente. Il fondo è stato erogato, i progetti dei vari ministeri sono stati approvati, ma l’erogazione dei finanziamenti rischia di slittare di mesi. Per alcuni progetti, infatti, la normativa, correttamente, prevede per l’assegnazione dei fondi il ricorso a bandi europei. O troviamo una procedura più semplice oppure si rischia di avere un notevole ritardo. Se viene data delega ad un funzionario per decidere l’erogazione, evidentemente il funzionario dovrà applicare le leggi vigenti, comprese le normative europee. Poiché si tratta di un fondo ad altissima valenza politica, destinato a progetti che le varie amministrazioni Camera dei Deputati XIII LEGISLATURA — — 16 XII COMMISSIONE hanno spesso elaborato d’intesa con gli enti del privato sociale operanti sul territorio, credo che si debba trovare il modo di accelerare i tempi dell’erogazione. Certo, le procedure devono essere corrette, ma ricordiamoci che il rischio è di avere un’erogazione in tempi eccessivamente lunghi. Un altro aspetto importante, cui ho già accennato, è il personale. Per quanto riguarda il servizio pubblico, abbiamo visto come non dappertutto siano stati emanati i bandi e come in molte situazioni manchino le professionalità necessarie perché gli stessi servizi possano essere realmente efficaci. Per quanto concerne il privato sociale, vi sono aspetti molto delicati. La legge parla di corsi per l’accreditamento e per il riconoscimento di un titolo. Ebbene, in alcune regioni vengono effettuati dei corsi che funzionano un po’ come sanatoria: consentono agli enti (lo dico anche come rappresentante degli enti) di avere il riconoscimento di ente ausiliario, senza però procurare agli operatori una professionalità spendibile in altre situazioni. Si va a fare formazione per gli operatori di comunità che siano in possesso di un diploma di scuola media superiore o di scuola media inferiore, con il rischio che il titolo ottenuto a riconoscimento della loro professionalità non sia poi spendibile in un sistema più allargato. In altre regioni, sono stati invece istituiti dei corsi di diploma di laurea, che prevedono tirocini e percorsi ben precisi, ciò per offrire agli operatori un titolo spendibile sul mercato, che valga anche come elemento di riferimento per le comunità. Anche da questo punto di vista vi è dunque una discrepanza enorme. Al riguardo, andrebbe al più presto emanato da parte del Ministero della sanità il decreto concernente la riorganizzazione delle professionalità. La mia proposta, su cui si sta discutendo anche a livello di coordinamenti regionali degli enti ausiliari, è quella di definire, da un lato, la figura dell’operatore socioassistenziale, all’interno della quale possa trovare riconoscimento l’operatore di comunità in possesso del diploma di scuola Indagine conoscitiva – 2 — — SEDUTA DEL 9 DICEMBRE 1999 media inferiore e con un certo numero di ore di servizio prestate e, dall’altro, una diversa figura di operatore per persone in possesso di un diploma di scuola media superiore e magari con un certo percorso di professionalità, prevedendo per costoro la possibilità di arrivare a conseguire una laurea breve, un diploma di laurea. Non vorrei distinguere, nell’ambito della comunità, tra operatività e professionalità: ma ritengo che vada riconosciuto alle figure che operano nella comunità un titolo per quello che stanno facendo sia in termini di esperienza sia in termini di professionalità. Mi avvio alla conclusione: scusate se mi sono dilungato, ma le cose che volevo dire erano molte. Un altro elemento importante riguarda l’atto di intesa. Dopo due anni di lavoro, l’atto di intesa finalmente è stato pubblicato e, a differenza di qualcun altro, io credo sia importante. In esso vi sono due elementi rilevanti. Innanzitutto, vengono tutelati gli enti del privato sociale, cioè gli enti ausiliari. Poiché per poter lavorare nel campo delle tossicodipendenze non ci si improvvisa, viene prevista l’iscrizione in appositi albi regionali per dare un riconoscimento formale a chi opera realmente in questo campo; si tende cosı̀ ad evitare che del fondo per la lotta alla droga si faccia, come a volte succede, un vero e proprio saccheggio. Vi sono associazioni, cooperative, realtà che nascono dall’oggi al domani con l’erogazione dei fondi. Credo sia quindi importante che l’atto di intesa preveda l’obbligo per gli enti che intendono lavorare in questo campo di iscriversi in appositi albi regionali. In questo modo si ha quindi una certificazione degli enti abilitati a svolgere questo lavoro. Vi è poi la questione dell’accreditamento, che è collegato al fondo sanitario nazionale. A mio avviso è giusto che l’accesso al fondo sanitario nazionale, come per qualsiasi altro intervento, sia disciplinato da regole chiare, volte a tutelare non l’appartenenza a questa o a quella forza politica, ma il possesso di una determinata professionalità o di un determinato titolo, tenuto conto anche dei servizi offerti. Credo che