geniodonna www.geniodonna.it • www.geniodonna.ch Mensile delle pari opportunità di Como, Varese e del Cantone Ticino - Anno 2 - N. 11 - Settembre 2010 El Baloss L’Odissea in dialetto di Basilio Luoni Grande prima a Como 23 ottobre 2010 ore 21 Teatro Nuovo Rebbio Premiato dalla UE - progetto Geniodonna I.D. 7671128 - Interreg Italia/Svizzera Fondo Fesr Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Como OLTRE LA CRISI il punto Maschile, femminile e post gender di Chiara Ratti Per chi non sa rinunciare al rito del quotidiano l’estate è una pacchia. Messe da parte (più del solito) informazioni taroccate sulla situazione economica, sullo stato di salute della nostra agonizzante, ma sempre rediviva, compagine governativa, spuntano notizie curiose, divertenti e su cui “in tempo di guerra”, cioè dal lunedì al venerdì da settembre a metà luglio, non ci soffermeremmo. Due, e di segno opposto, le notizie che mi hanno colpito: il successo delle “ragazze di Ostia” su Youtube: due sgallettate dei “Castelli” intervistate da un geniaccio di Sky sulla calura, capaci di rendere internazionali “il calippo e la biretta”, cliccate centinaia di migliaia di volte sul canale internet; e la probabile rielezione del giudice Kagan negli Stati Uniti, definita con un’intuizione sintetica senza pari post gender, per la sua capacità di imporsi professionalmente “nonostante” il suo essere donna o, peggio, “per” il suo essere donna, ma semplicemente perché è una straordinaria e intelligente professionista. Pare che i suoi avversari politici siano stati conquistati dalla sua competenza, dal momento che la signora non è proprio una Venere. Certamente probabilmente aiuta non avere un presidente del Consiglio che come capita invece a Rosy Bindi non fa che sottolineare il fatto che sia “diversamente bella”, come direbbero gli appassionati del linguaggio politicaly correct. Ma non è questo il punto. Steinberg 1974. Il punto è: noi donne ci sentiamo pronte a scegliere la strada del post gender? Voglio dire: ci siamo suicidate per fare bella figura alla prova costume, diete da fame, palestra allo sfinimento, sedute dall’estetista, e in spiaggia, alla faccia dei melanomi e della prevenzione eccoci stese come lucertole. Non tutte certo. Ma abbiamo investito la stessa determinazione per far fare ginnastica ai nostri neuroni, a chiedere un aumento di stipendio che spesso ci meritiamo, a sostenere una posizione, a uscire da un empasse con una battuta? Abbiamo implicitamente accettato che essere in forma sia una necessità, un dovere, mentre scusiamo serenamente certe pancette da avvocato e commercialista dei nostri vicini di ombrellone. Niente di male, intendiamoci. Forse però siamo anche noi stesse ad alimentare questa mentalità gender solo nel senso deteriore. Perché? Perché i modelli ci danno sicurezza? Perché il conformismo è rassicurante? Perché siamo “programmate” così? Perché essere realmente post gender ci priva delle nostre arti femminili e, forse, dei nostri alibi? disabilità I disabili uniti contro i tagli A Roma una manifestazione inconsueta davanti a Montecitorio di Ida Sala* sì preoccupante. Così anch’io, esponente del Comitato lombardo per la Vita Indipendente delle persone con disabilità, mettendo da parte le mie perplessità sull’associazionismo dei movimenti per le persone con disabilità, ho deciso in fretta e furia di calare a Roma. L’ho fatto pur pensando (forse illudendomi) di non essere tra coloro che correvano il rischio di perdere l’indennità di accompagnamento (non cammino e non svolgo in autonomia nessuna delle funzioni essenziali della vita) a meno che non si consideri autonomia la possibilità di guidare la carrozzina con un comando elettrico (d’inverno solo per qualche metro, per la verità) e di dettare al computer con un comando vocale. L’ho fatto, come tante e tanti altri, anche per quelli che non hanno potuto partecipare per ragioni fisiche o economiche. Il viaggio in treno per due, le 17 ore della mia brava assistente, gli spostamenti a Roma li ha pagati l’associazione. L’alzarmi alle 3.30, il non fare pipì fino a sera non sono stati motivo di scoraggiamento. Alla manifestazione (secondo gli organizzatori più di 2000 persone), bella, colorata, divertente, festosa, sono arrivata con un’ora di ritardo e non mi sono azzardata a penetrare fino al nucleo centrale. Mi sono fermata con Nunzia Coppedè, agguerrita rappresen- è stata una strana manifestazione, quantomeno inconsueta, quella indetta da Fish (Federazione Italiana Superamento Handicap) e Fand (Federazione Associazioni Nazionali Disabili) le due più grandi confederazioni di associazioni delle persone con disabilità, il 7 luglio davanti a Montecitorio, momento in cui il governo intendeva elevare all’85% il parametro di invalidità necessaria per ottenere l’assegno mensile di assistenza (creando una illegittima disparità fra gli invalidi civili) e fissava nuovi criteri (irraggiungibili se non per chi si trova pressoché in stato vegetativo) per ottenere l’indennità di accompagnamento. Non è mai successo prima che le due organizzazioni riuscissero a manifestare in modo unitario (tolta una riuscita prova generale del 2009), e poi in Italia le persone con disabilità e le loro famiglie non hanno molta pratica a scendere in piazza abituate, come sono ad arrangiarsi e ad accontentarsi, a sentirsi una minoranza incompresa e incomprensibile. Ma mai come con questa manovra finanziaria, si sono profilati tagli così pesanti, così gravi offese e così inquietanti dichiarazioni come quelle di Tremonti, e mai la campagna di stampa sui falsi invalidi fu co- settembre 2010 - GDn. 11 - gd tante della Fish Calabria, nelle immediate vicinanze. A sostituire la mia flebile voce ci hanno pensato i fogli formato A4 che ho distribuito su tutto il corpo appendendoli con mollette dei panni: “… gli invalidi sono spesso, per quanto riguarda il reddito, i più poveri tra i poveri, nonostante il loro bisogno di denaro sia superiore a quello dei normodotati, dal momento che per cercare di condurre un’esistenza normale e di ovviare ai propri handicap, hanno bisogno di più soldi e di più assistenza. (Amartya Sen – Premio Nobel per l’Economia 1998)”; “Onorevoli, ci scambiamo le indennità?”; “Costituzione italiana, art.3: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”; No tagli alle regioni!”… Confesso che un tantino di vanto è affiorato nell’osservare gli sguardi della folla e nel vedermi fotografata dai turisti. La notizia della completa vittoria, cioè che non è stata alzata all’85% come voleva il Governo, la percentuale di invalidità per ottenere l’assegno ma è stata lasciata al 74%, è arrivata mentre Nunzia raccontava a Dino Barlaam (Associazione Vita Indipendente di Roma e tanto altro): “Ma quale Vita Indipendente possiamo chiedere se neanche quella dipendente ci è concessa in Calabria visto che tolgono soldi al sociale per darli alla sanità!” Ci siamo guardati: “Almeno questo pericolo è passato”. è del 12 luglio la notizia di un emendamento della Commissione Bilancio del Senato che prevede l’aumento del numero massimo di bambini nelle classi frequentate da alunni con disabilità. Non è mai finita… e allora: resistere, resistere, resistere. *Presidente “Associazione comasca per la vita indipendente” 1 gd le coppie è il vincolo affettivo che costituisce le unioni civili A Torino una nuova via per l’attestato di famiglia anagrafica – Il Consiglio comunale approva una proposta popolare e ne affida la tutela al Difensore civico è il vincolo affettivo fra persone, cioè il duraturo legame d’amore fra di loro, che costituisce le unioni civili: è questa scelta amministrativa del Comune di Torino, compiuta il 28 giugno scorso, con l’approvazione di una innovativa delibera di iniziativa popolare che ha dato il via al regolamento per il riconoscimento delle unioni civili. L’anagrafe comunale rilascerà “una attestazione di costituzione di famiglia anagrafica basata sul vincolo di natura affettiva... inteso come reciproca assistenza morale e materiale”. L’amministrazione torinese prende atto del “crescere di forme di legami che non si concretano nell’istituto del matrimonio e che si denotano per una convivenza stabile e duratura”. L’articolo 2 dello Statuto del Comune, alla base della delibera, prevede di “tutelare e promuovere i diritti costituzionalmente garantiti attinenti alla dignità e alla libertà delle persone, contrastando ogni forma di discriminazione, e di agire attivamente per garantire pari opportunità di vita e di lavoro a uomini e 2 donne e per rimuovere le discriminazioni basate sulle tendenze sessuali”. è il Difensore Civico il “soggetto competente nella tutela dei diritti.…affinchè possa rispondere ai cittadini.” Dunque la delibera sceglie la verità dei sentimenti, il legame affettivo come requisito per le coppie di fatto che unisce cittadini di qualunque sesso e provvede ad affidare al Difensore Civico l’organizzazione che possa rispondere assicurando ai cittadini il reale godimento di tutti i servizi comunali. La delibera è un pungolo perché si arrivi a una norma legislativa valida sul territorio nazionale. Sul provvedimento quattro circoscrizioni hanno espresso parere favorevole, una favorevole con osservazioni, quattro contrarie e quattro non si sono espresse: in Consiglio comunale i voti favorevoli sono stati 24, astenuti 3, contrari 4, assenti PDL e Lega. L’articolo 1 della delibera definisce che cosa è da intendersi per unioni civili: “un insieme di persone legate da vincoli affettivi coabitanti nello stesso Comune”. Il rapporto di affetto si estrinseca nella “reciproca assistenza morale e materiale”. Il sostegno alle unioni civili verrà tradotto in pratica con specifici “atti e disposizioni degli Assessorati e degli uffici competenti al fine di superare situazioni di discriminazione e favorirne l’integrazione e lo sviluppo nel contesto sociale, culturale ed economico del territorio”. “Le aree tematiche entro le quali gli interventi sono da considerarsi prioritari sono: la casa, la sanità e i servizi sociali, giovani, genitori e anziani; sport e tempo libero; formazione, scuola e servizi educativi; diritti e partecipazione”. Le graduatorie “devono prevedere per le unioni civili condizioni di accesso con particolare attenzione alle condizioni di svantaggio economico sociale”. Fra le prime reazioni si sono registrate quella della Chiesa Valdese che ha espresso il suo plauso alla delibera e, subito dopo, quella della Curia cattolica torinese che ha espresso la sua forte “perplessità e amarezza”. - GD n. 11 - settembre 2010 le coppie I l rilascio di attestato di costituzione di “famiglia anagrafica basata su vincolo affettivo”, deciso dal Comune di Torino apre una nuova, originale strada per il riconoscimento delle unioni civili di fatto, qualunque sia il sesso dei conviventi. Perché? Per tre semplici ma fondamentali ragioni. •La prima è che è stata percorsa una strada veramente democratica che ha visto la partecipazione della popolazione fin dal primo momento, il febbraio del 2009, quando le organizzazioni lesbiche, gay, transessuali e i radicali hanno messo a punto una bozza di delibera e l’hanno sottoposta alla discussione dei cittadini e di tutti. Insomma una delibera di iniziativa popolare che, sottoscritta da 2.582 cittadini, è stata consegnata al Consiglio comunale per la discussione. Di qui dibattiti intensissimi, approvazioni e anatemi, mentre lo stesso sindaco Chiamparino ha partecipato all’unione fra due donne. Una delibera partecipata •La seconda ragione: la decisione di Torino è immediatamente operativa perché individua nel Difensore civico il soggetto competente nella tutela dei diritti da garantire ricorrendo anche all’adeguamento delle strutture. •La terza: la decisione di Torino è adottata per la volontà “di promuovere pari opportunità alle unioni di fatto, favorendone l’integrazione sociale e prevenendo forme di disagio”. Il significato pratico lo si coglie immediatamente se si tiene presente che a Torino vi sono 449.714 famiglie, che quelle composte di due persone sono 10.577 e 21. 516 mila le coppie di fatto con figli: in totale più di 32mila famiglie, tra cui 505 coppie gay. Istituiti nel 1993 i primi Registri. Il primo Registro per le unioni civili venne istituito nel lontano1993 dal Comune di Empoli, in un primo tempo annullato dal Tribunale amministrativo regionale della Toscana, perché ritenuta la strada per permettere agli omosessuali di concludere una sorta di matrimonio, cioè di dare vita a nuovi status giuridi- settembre 2010 ci. In seguito poi lo stesso Tar toscano mutò parere e riconobbe che l’istituzione dei registri rientrava nell’autonomia comunale. Subito grandi Comuni come Brescia, Trieste, Latina e la stessa Torino hanno deliberato l’istituzione del Registro o dell’Elenco delle unioni civili, la cui effettiva istituzione veniva rinviata all’approvazione di una regolamento attuativo, ma in molti casi la procedura non venne portata a termine. Fino al 2007 si sono aggiunti altri 55 grandi Comuni, (Ferrara, Firenze, Bolzano, Perugia, Pistoia, Trento, Livorno, Empoli, Ivrea, Arezzo, Terni, Savona, Ancona, Macerata) e piccoli. Casi a parte sono quelli di Bologna e Padova. Bologna nel 1999 decise che deve essere un ordine del Sindaco all’Anagrafe a fare rilasciare su richiesta degli interessati “l’Attestato di costituzione di famiglia affettiva”. A Padova è stato il Consiglio comunale a stabilire che il Sindaco ha già il potere di ordinare il rilascio della attestazione senza che sia necessaria una delibera del Consiglio. - GD n. 11 - 3 Le donne motore di sviluppo Testi di E. Roda, M. Moretti, F. Blasi Lo spreco dei talenti: donne in attesa di lavoro Benefici per tutta la società derivano da più occupazione, meno differenze salariali, più parità in famiglia, più ruoli decisionali nelle aziende di Elena Roda delle donne è insoddisfatto della ripartizione del lavoro all’interno della coppia mentre il 67% delle mamme che smette di lavorare tornerebbe volentieri al lavoro”, continua Alessandra Casarico. Una percentuale piuttosto alta quella delle donne che vorrebbero lavorare ma che sono bloccate da un meccanismo che in Italia sembra essersi inceppato. D ue parole: donne e attesa. Così accostate non possono che richiamare alla mente il periodo nel quale una donna aspetta la nascita di un figlio. Invece in Italia possono voler dire ben altro. Perché nel nostro Paese le donne, oltre ai figli, attendono anche il lavoro. Lo attendono alla fine degli studi, lo attendono quando vogliono rientrare nel mercato occupazionale dopo aver fatto per qualche anno le mamme. “Anche negli altri Paesi le donne con figli lavorano di meno; ma ciò che caratterizza l’Italia è che le mamme non tornano nel mercato del lavoro; la nascita di un figlio diventa così un momento molto critico.” E per agevolare le donne a rientrare servirebbero servizi migliori, prima di tutto rafforzare l’offerta degli asili nido ma anche strutturare servizi adeguati per la cura degli anziani che, nella maggior parte dei casi, ricade totalmente sulle famiglie e, di conseguenza, sulle donne. “Vogliamo sgombrare il campo dall’idea che l’attesa del lavoro sia il risultato di scelte individuali, non siamo dinanzi solamente a un problema di preferenze”, così Alessandra Casarico, professore alla Bocconi e direttore del centro di ricerca bocconiano Econpubblica, spiega il nucleo del suo ultimo lavoro, Donne in attesa. L’Italia delle disparità di genere (edizione Egea, pp. 140, € 16,50), scritto a quattro mani con Paola Profeta, professore di Scienza delle Finanze in Bocconi. “Il problema è capire se la politica si stia o meno muovendo in questa direzione.” L’Italia sforna ogni anno più laureati donne che uomini ma poi, a un certo punto, quando questo esercito di giovani laureate sarebbe pronto per fare il suo ingresso nel mondo del lavoro, qualcosa si blocca. È un’attesa che molte donne vivono come forzata e come un handicap: “Nel libro facciamo riferimento a due dati significativi: il 25% 4 - GD n. 11 - “Gli altri Paesi funzionano di più perché hanno una cultura e politiche più favorevoli alle donne; in Italia abbiamo un forte problema di accesso”, prosegue l’autrice. Se gli altri Paesi sono più “bravi” nell’assorbire forza lavoro femminile, come l’Italia hanno difficoltà per quanto riguarda l’ascesa lavorativa delle donne, un’ascesa difficoltosa che non permette, se non in rari casi, l’accesso delle donne a posti di prestigio. “Le azioni positive in favore delle donne in questo caso sono uno strumento importante per rompere il monopolio maschile: le donne in generale sono meno competitive però, se sanno che c’è un posto riservato a loro, allora competono.” Un tema, quello delle azioni in favore delle donne, molto discusso. Si parla spesso di azioni positive come azioni di discriminazione nei confronti delle donne che, senza quelle, non sarebbero in grado di raggiungere posti importanti all’interno della società. “Sono favorevole alle azioni positive perché proporle è riconoscere che c’è una diversità e il fatto che si riconosca è già di per sé buono. Anche perché siamo proprio sicuri che il monopolio maschile sta a significare che gli uomini sono davvero più bravi settembre 2010 gd delle donne?”, prosegue la Casarico. E dei “pro” e “contro” delle azioni mirate a stabilire un equilibrio e una parità tra uomini e donne se ne è parlato molto in merito alla proposta di innalzamento dell’età pensionabile delle donne a 65 anni: “Nelle parole dell’Unione Europea c’è un problema di discriminazione con il pensionamento delle donne a 60 anni. Ora, dato che per il pubblico si è già deciso per i 65 anni, il tema rilevante è: come vogliamo muoverci nel privato? Credo che la soluzione migliore sia quella di tornare alla flessibilità, ovvero dare a uomini e donne la possibilità di decidere quando andare in pensione entro un range di età che potrebbe essere tra i 62 e i 67 anni”, conclude Alessandra Casarico. Attesa e disparità di genere, ser- vizi che mancano e lotta per la sopravvivenza in un mondo, quello lavorativo, che nei posti di prestigio è quasi unicamente tinto d’azzurro. Per le donne che si affacciano ora nel mondo del lavoro e per quelle che in quel mondo vorrebbero dire la loro, la sfida è dura. Ma qualcosa comincia a muoversi. Rifletterci è già di per sé positivo. Sei proposte concrete P er mettere fine a questa “attesa forzata” servono azioni concrete. Alessandra Casarico e Paola Profeta hanno individuato 6 campi dove è tempo di agire e sperare di ottenere buoni risultati. Sono i servizi pubblici, il fisco, i congedi di paternità, i vertici delle imprese e della politica, il sistema pensionistico. Ormai non è più tempo per l’attesa perché il 2010, anno di scadenza degli obiettivi di Lisbona sul tasso di occupazione femminile al 60%, è in dirittura di arrivo. Ma la meta, in Italia, è ancora molto lontana. Marie Curie. Premio Nobel per la Fisica nel 1903, (Assieme al marito Pierre Antoine Curie e Henri Becquerel) e nel 1911 Premio Nobel per la chimica per i suoi lavori sul radio. I servizi pubblici “Un aumento dell’offerta di servizi, in particolare un forte incremento degli asili nido, è una misura urgente. […] Per i più piccoli e per gli anziani lo Stato alloca poche risorse. Ma quando parliamo di servizi non dobbiamo pensare solo ad asili nido e ricoveri per anziani. Ci sono anche i servizi alla persona. La spesa per i servizi alla persona è […] una necessità di fronte all’assenza di un’alternativa di servizio pubblico e di persone della settembre 2010 - GD n. 11 - 5 Le donne motore di sviluppo famiglia che possano farsi carico di questa attività. […] Francia e Belgio hanno sperimentato con successo programmi centrati sull’uso dei buoni-lavoro […]; il Regno Unito l’uso di voucher per i servizi all’infanzia (childcare voucher). Anche noi riteniamo interessante sviluppare questo canale di supporto alle famiglie. […] In Francia […] il meccanismo è semplice: l’impresa […] dà al suo dipendente un buono-lavoro che egli utilizzerà per comprare servizi alla persona. Il dipendente è contento, perché ha un aiuto per conciliare la sua attività lavorativa con la cura famigliare, a un costo solitamente inferiore rispetto a quello che affronterebbe se si rivolgesse a un servizio. L’impresa pure, perché può usufruire di generose deduzioni fiscali, oltre a migliorare il suo rapporto con il dipendente.” (da Donne in attesa, pp. 106-110) Rigoberta Menchú Tum. Premio Nobel per la Pace nel 1992. I congedi di paternità “Un segnale forte per scardinare la concezione secondo cui è sempre la donna ad assentarsi dal posto di lavoro in seguito alla maternità potrebbe derivare dall’introduzione di congedi di paternità obbligatori. […]. Vorremmo che ci fosse un periodo di congedo esclusivamente destinato al papà […] che va perso se il papà decide di rinunciarvi. O il papà va in congedo, o la mamma non può comunque beneficiarne con un aumento delle settimane di astensione che le spettano.” (da Donne in attesa, p. 117) Fisco e famiglia “Lo strumento che riteniamo sia più opportuno utilizzare è sempre quello della tassazione su base individuale che […] è neutrale nei confronti delle scelte di partecipazione al mercato del lavoro […]. Potremmo pensare di potenziare le detrazioni per famigliari a carico nelle famiglie con figli in cui entrambi i genitori lavorino. […] Oppure potremmo riconoscere pienamente le spese sostenute per la cura dei figli (o per l’assistenza ai genitori anziani), smettendo di mettere in competizione lo stipendio della mamma con il costo del servizio o delle persone che si prendono cura di bambini e anziani quando si lavora” (da Donne in attesa, p. 113). 6 Donne ai vertici delle imprese “Se le donne sanno che almeno una di loro deve vincere, superano la loro riluttanza e ci provano. L’ingresso di nuove donne amplia l’insieme di talenti tra cui scegliere la persona giusta. Se la prospettiva di vittoria […] diventa tangibile e reale grazie alla presenza di un’azione positiva, più donne entrano nella competizione. […] In una platea di talenti allargata è più facile selezionare quello più - GD n. 11 - adeguato.” (da Donne in attesa, pp. 123-124) Guida politica alle donne “Tutto dipende […] dal ruolo attivo dei partiti, dalla loro sensibilità a garantire un maggior accesso delle donne alle liste elettorali e, in seguito alle elezioni, ad affidare loro incarichi di potere nella politica. […] L’esperienza degli altri Paesi e in parte anche il nostro passato […] ci insegnano che, forse, più che di una quota vincolante c’è bisogno della volontà dei partiti politici.” (da Donne in attesa, pp. 127-128) Nuove pensioni “Reinserire una finestra temporale di uscita dal mercato del lavoro, comune per uomini e donne, al posto di una precisa età di pensionamento. La flessibilità consentirebbe […] di tenere conto delle situazioni individuali, relative per esempio allo stato di salute o alla disutilità del lavoro quando questo sia particolarmente usurante, oppure dal fatto che due coniugi vogliano andare in pensione nello stesso momento.” (da Donne in attesa, p. 132) settembre 2010 gd Donne, carta vincente per uscire dalla crisi Intervista a Monica D’Ascenzo, giornalista finanziaria de Il Sole 24 Ore, una delle autrici di Donne sull’orlo della crisi economica lavoro”). La stessa Banca d’Italia stima che un incremento dell’occupazione femminile pari all’1% corrisponderebbe a un aumento del prodotto lordo italiano dello 0,5%. Tuttavia, con il nostro 47%, in Italia siamo ancora lontanissimi dal target di Lisbona del 60% per l’occupazione femminile. Se economisti, studi universitari e gli stessi manager delle aziende sembrano concordare sul fatto di Manuela Moretti L e donne potrebbero essere la carta vincente per uscire dalla difficile recessione economica, tanto che The Economist ha deciso di dedicare la prima copertina del 2010 all’argomento “We did it! What happens when women are over half the workforce” (“Ce l’abbiamo fatta! Che cosa accade quando le donne sono oltre la metà della forza che il contributo femminile alla ricchezza del Paese potrebbe fare la differenza, perché è così difficile cambiare le percentuali di occupazione rosa? Se lo sono chieste Monica d’Ascenzo e Giada Vercelli, nel loro recente libro Donne sull’orlo della crisi economica. Diventa manager di te stessa: impara a vedere rosa per non rimanere al verde (Rizzoli, € 15). Il volume fa il punto della situazione sul rapporto tra donne ed economia nel Marguerite Yourcenar. Scrittrice. Prima donna eletta nel 1980 all’Académie Française. settembre 2010 - GD n. 11 - 7 Le donne motore di sviluppo giunge anche il momento di crisi economica. Come difendersi? Diversi studi hanno dimostrato come le aziende che hanno un management o un consiglio di amministrazione misto, hanno dei risultati di bilancio migliori rispetto a quelle che sono tutte al maschile: questo perché, apportando punti di vista differenti, si creano competenze diverse e si trovano anche soluzioni migliori e più innovative di fronte ai problemi e, in questo caso, alla nostro Paese, offrendo alle donne anche riflessioni, consigli pratici e strategie per affrontare la difficile congiuntura economica e avere un giusto riconoscimento. Ne abbiamo parlato con una delle autrici, Monica d’Ascenzo, giornalista finanziaria de Il Sole 24 Ore. Oltre alle maggiori difficoltà che le donne incontrano nel mondo del lavoro, ora si ag- crisi. Le donne dovrebbero farsi portatrici del proprio punto di vista, senza aver paura di esprimere la loro opinione, perché è proprio nella loro specificità che possono apportare un “qualcosa di più”, un “valore aggiunto” peculiare. Come può la donna cercare di farsi spazio anche in ambiti tradizionalmente maschili, come quello dell’economia finanziaria dove lei lavora? Con la competenza e la professionalità. Soprattutto, secondo me, nel lavorare in questi settori, il rischio è quello di “mascolinizzarsi” per farsi accettare, mentre le donne dovrebbero imparare a portare le loro caratteristiche specifiche femminili anche negli ambiti maschili, perché soltanto in questo modo arricchiscono davvero il mondo del lavoro. Il libro riporta anche diversi consigli pratici utili alle donne in ambito lavorativo. Potrebbe farci qualche esempio? I consigli che diamo sono, per esempio, imparare a comunicare e valorizzare il proprio lavoro, acquisire delle competenze adeguate a quello che si vuole fare e costruirsi un network, ovvero una rete di contatti che possa essere di supporto alla carriera. Un altro consiglio che diamo è quello di non restare con gli occhi fisVandana Shiva. Ambientalista indiana. Nel 1993 ha ricevuto il Right Livelihood Award. 8 - GD n. 11 - settembre 2010 gd Oltre la crisi: quote di genere per estendere il lavoro alle donne si sul computer, ma osservare il mondo che ci circonda per accogliere le opportunità di crescita che ci sono. Come si può cercare di valorizzare il lavoro delle donne anche dal punto di vista economico? È fondamentale essere in grado di far valere le proprie richieste, di esprimere in modo chiaro le proprie necessità e aspirazioni anche di fronte al proprio capo: se, per esempio, c’è una posizione di responsabilità vacante, avere il coraggio di farsi avanti. È dimostrato che le donne non trattano lo stipendio e hanno uno svantaggio salariale che in Italia, a seconda della tipologia di lavoro, va dal 12 al 25% in meno rispetto agli uomini. Le avvocate addirittura guadagnano la metà dei loro corrispondenti maschi, e questo chiaramente le penalizza. Ricerca del Cnel sulla condizione di lavoro femminile in Italia – Nel sud 105 mila posti in meno per le donne di Felice Blasi I l Consiglio Nazionale del– l’Economia e del Lavoro ha condotto tra febbraio e giugno di quest’anno una ricerca sul rapporto tra donne e lavoro in Italia, costituendo al suo interno il “Gruppo di lavoro Pari opportunità” coordinato dal consigliere e consigliere Giuseppe Casadio, già sindacalista Cgil. Il risultato è un documento approvato all’unanimità dall’assemblea del Cnel il 21 luglio 2010 col titolo “Il lavoro delle donne in Italia”: si tratta della più aggiornata analisi sulla condizione del lavoro femminile e fornisce anche alcune linee guida per una nuova strategia sull’occupazione delle donne. Lo studio ridisegna gli squilibri di genere e lo spreco di risorse e competenze del capitale umano femminile. In un dibattito organizzato dall’associazione “NoisefromAmerika”, gli studiosi Paola Profeta, Andrea Ichino e Stefano Gagliarducci, hanno parlato di “macelleria di genere” delle competenze e dei talenti femminili. Nonostante il forte incremento nell’occu- Le donne, che spesso sono costrette a destreggiarsi tra diversi impegni famigliari e lavorativi, hanno una maggiore flessibilità. Questo può essere utile anche in ambito lavorativo? Sicuramente, il problema è che poi questo aspetto rischia di essere un boomerang. Un altro dei consigli che diamo è quello di imparare a delegare, perché molto spesso le donne hanno la mania della perfezione e vogliono essere contemporaneamente brave donne in carriera, madri, mogli, amiche… e chiaramente non si può riuscire a far tutto al meglio. Si deve andare verso un cambiamento culturale all’interno delle famiglie per permettere alle donne di uscire e avere il tempo e le energie da dedicare anche alla realizzazione professionale. settembre 2010 - GD n. 11 - pazione femminile tra il 1997 e il 2003, un terzo degli occupati era costituito da lavoratrici, nel corso degli ultimi anni il trend si è invertito. Nel 2009 le donne occupate in età tra 15 e 64 anni sono state il 46,4% del totale, un valore ben lontano da quello dell’Unione europea (60%). Particolarmente grave la situazione nel Mezzogiorno, che ha assorbito quasi la metà del calo complessivo delle lavoratrici (105 mila donne hanno perso il lavoro) e dove il tasso di occupazione è del 30,6%, contro il 57,3% del Nord-est. Secondo il Cnel, sono mancate politiche attive a favore dell’occupazione femminile, con espedienti sempre parziali per comparti economici. Assenza di politiche e frammentazione dei rimedi sono dunque la prima causa della mancata crescita del lavoro delle donne. Formazione professionale Un ambito su cui intervenire in modo organico dovrebbe essere, ad esempio, l’attività educativa, sia pubblica che privata, e della formazione professionale: questo permetterebbe di salvaguardare le risorse umane femminili 9 Le donne motore di sviluppo pubblico e a capitale misto, il Cnel suggerisce la sperimentazione di un sistema di quote ri- già presenti nel sistema produttivo e di preparare le giovani generazioni di donne ad entrare nel mondo del lavoro una volta superato il ciclo negativo attuale, specie nei settori legati alla sostenibilità ambientale, alle nuove energie, alla “green economy” e alla tecnologia dell’informazione e della comunicazione. Il ministero dell’Istruzione dovrebbe attivare campagne di orientamento nelle scuole per superare lo stereotipo di genere ancora molto diffuso, secondo il quale le ragazze sarebbero meno portate per le materie scientifiche e tecniche. Altre proposte mirano a favorire l’accesso delle donne ai livelli elevati nella pubblica amministrazione e nelle aziende private. Per quanto riguarda il settore Rita Levi Montalcini. Premio Nobel per la Medicina nel 1986. servate alle donne che abbiano un curriculum adeguato. Per le aziende private si fa riferimento alla Carta per le pari opportunità promossa in Italia, sulla scia dell’esperienza francese e tede- sca, il 5 ottobre 2009 da molte associazioni con l’adesione dei ministeri Lavoro, Salute, Politiche sociali e Pari opportunità: uno strumento ancora a livello di dichiarazione di intenti. Un punto critico è il rapporto tra famiglia e lavoro: non è più rinviabile la concreta attivazione, anche per imprenditrici e lavoratrici autonome, di tutti gli strumenti presenti nella legislazione che rendano possibile una conciliazione tra tempi di vita, tempi di maternità e famiglia, e tempi di lavoro. Andrebbe varata una legge sulle statistiche di genere e predisposto il “bilancio di genere” nella pubblica amministrazione: strumenti contabili e di nuova concezione consentirebbero di valutare l’effetto delle azioni di pari opportunità fra lavoratrici e lavoratori. Solo con iniziative per la parità l’economia crea uguaglianza Per l’economista statunitense Esther Duflo l’aumento del ruolo e del peso delle donne influisce positivamente sullo sviluppo economico e viceversa di Felice Blasi indubbiamente la causa e, nello stesso tempo, la conseguenza delle disuguaglianze di genere”. Una tesi forte con cui, all’università Bocconi di Milano, è iniziato, “Se le donne fossero al potere la loro vita e quella di tutti migliorerebbe. I leader maschi sono 10 - GD n. 11 - lo scorso fine luglio, l’incontro su Uguaglianza di genere e sviluppo economico con Esther Duflo, trentottenne economista che insegna negli Stati Uniti al Massachus settembre 2010 gd sets Institute of Technology ed è stata insignita con la John Bates Clark Medal, il premio al miglior economista sotto i 40 anni. La giovane economista americana sta trasformando la ricerca nel campo dell’economia nei paesi in via di sviluppo sui temi dell’istruzione, del microcredito e della salute pubblica. Sembra ormai assodato che esiste una relazione tra sviluppo economico ed empowerment delle donne. “Sì – ha detto Duflo – il rapporto è profondo. Da una parte lo sviluppo può dare una forte spinta a ridurre la disuguaglianza tra donne e uomini; dall’altra mantenere in vita la discriminazione contro le donne ostacola lo sviluppo generale. Dare potere alle donne, cioè offrire accesso pieno ai diritti universali come la salute, le cure mediche, l’istruzione, l’opportunità di un uguale guadagno, la proprietà, la partecipazione e i diritti politici, tutto ciò alimenta la crescita e lo sviluppo”. Insomma è evidente che lo sviluppo economico riduce la disuguaglianza tra uomini e donne: si tratta dunque di un circolo virtuoso in cui crescita ed uguaglianza, economia e diritti si espandono a vicenda. Tuttavia, ha sostenuto la Duflo, lo sviluppo economico da solo non basta, non elimina completamente la disuguaglianza. “Occorrono anche soluzioni concrete e dirette adottate per legge. In India, per esempio, è vietato determinare il sesso del nascituro; o come in Bangladesh dove i genitori ricevono un incentivo economico se mandano le bambine a scuola”. Sulle quote per assicurare almeno una presenza minima di rottura delle donne, ha dichiarato che certamente sono utili, come dimostra la loro efficacia nei paesi che le hanno adottate. “Tra uguaglianza di genere e sviluppo economico – ha sostenuto Duflo – esiste un legame meno lineare e semplice di quello che politici ed economisti accademici fanno spesso trasparire”. Ad esempio, studiando i programmi pensionistici in Sudafrica, la Duflo ha scoperto che per le bambine vivere con una nonna che riceve una pensione è sufficiente a colmare metà del divario che le separa dalle bambine americane, ma lo stesso effetto non si riscontra invece per i maschi quando è il nonno a percepire la pensione. È una distorsione ridistributiva che genera nuove disparità. La Duflo perciò non cade in ideologie della difesa del femminile in quanto tale: “Né lo sviluppo economico né l’empowerment femminile – ha dichiarato a Milano – sono il rimedio a tutti i mali, come si vuol far credere. Per creare uguaglianza tra uomini e donne sarà necessario continuare a prendere iniziative politiche a favore delle donne ancora per molto tempo”. Esther Duflo. settembre 2010 - GD n. 11 - 11 gd Ai persecutori terra bruciata sul lavoro In Svizzera le vittime di persecuzioni sul lavoro sarebbero circa 350 mila – La legge è dalla loro parte, ma non è semplice dimostrare di essere mobbizzati di Antonella Sicurello La responsabilità delle aziende S econdo l’indagine sul rapporto tra salute e lavoro condotta nel 2007 dall’Ufficio federale di statistica, le condizioni lavorative in Svizzera sono soddisfacenti: il 93% delle persone attive ritiene che il suo stato di salute generale sia buono o molto buono e il 59% dichiara di non vivere tensioni psichiche e nervose sul posto di lavoro. E il restante 41%? È sottoposto soprattutto a stress e nervosismo. Tra questi lavoratori vi sono anche le vittime di un fenomeno con un alto fattore di rischio per la salute, il mobbing. L’8% dei circa 19 mila intervistati (pari a un tasso di partecipazione del 66%) sostiene di essere mobbizzato. Una percentuale che nell’inchiesta europea del 2005 era del 7% e nello studio realizzato nel 2002 dalla Segreteria di stato dell’economia del 7,6. Su un totale di 4 milioni e mezzo di occupati, significa che in Svizzera circa 350 mila lavoratori e lavoratrici subirebbero questo genere di vessazione. 12 Il termine mobbing, introdotto dallo psicologo svedese Heinz Leymann, deriva dal verbo inglese to mob, che significa aggredire. È una forma (qualsiasi) di persecuzione attuata durante il lavoro: calunniare o diffamare un lavoratore, negare informazioni relative all’attività oppure fornirle in modo scorretto, sabotare o impedire l’esecuzione del lavoro eccetera. Il mobbizzato è la vittima, il mobber il persecutore. Nei casi più gravi, il mobbing può causare molte malattie psichiche, come depressione e ansia, e fisiche (vedi Geniodonna n.7, maggio 2010). Spetta alle aziende evitare che simili situazioni si verifichino, pianificando e organizzando il lavoro per prevenire il mobbing e prevedendo procedure che consentano di individuarne i sintomi. Dal canto suo, il mobbizzato deve cercare di avere un confronto con il mobber e con il datore di lavoro. Se non ottiene risultati, deve chiedere aiuto a esperti (sindacati, associazioni, psicologi, eccetera). - GD n. 11 - Tutelati dalla legge Il mobbing può essere punito dalla legge svizzera. Le basi legali vanno ricercate nel codice penale e delle obbligazioni, nella legge sul lavoro e in quella sulla parità dei sessi (quest’ultima è applicabile nel caso di discriminazione a sfondo sessuale). In particolare, l’articolo 328 del codice delle obbligazioni impone al datore di lavoro di “rispettare e proteggere settembre 2010 gd trolla e promuove la tutela della salute fisica e psichica nelle aziende. Finora l’ufficio è intervenuto soltanto nel settore privato in seguito a denunce di subalterni nei confronti dei superiori. “Il nostro intervento si limita alla verifica della corretta applicazione delle disposizioni, senza mai entrare nel merito del conflitto”, puntualizza il capoufficio Federico del Don. “In una seconda fase si sentiranno le parti, e se esiste la volontà di risolvere il conflitto, si concorderanno e pianificheranno in comune i passi successivi.” SENTENZE POSITIVE Otto Dix. la personalità del lavoratore, avere il dovuto riguardo per la sua salute e vigilare sulla salvaguardia della moralità”. La tutela dell’integrità personale dei lavoratori è anche un caposaldo della legge sul lavoro (articolo 6), mentre la protezione dal licenziamento abusivo è prevista dal codice delle obbligazioni (articolo 336) e dalla legge sulla parità dei sessi (articolo 10). Il codice penale settembre 2010 punisce chi minaccia una persona (articolo 180). L’azione della vittima o di chi per essa (sindacati o associazioni) è quindi rivolta al datore di lavoro poiché responsabile dei suoi dipendenti. Se l’azienda non intraprende misure concrete per mettere fine al mobbing, il dipendente può rivolgersi all’ispettorato cantonale del lavoro (www. ti.ch/ispettorato-lavoro), che con - GD n. 11 - Nonostante gli strumenti legali a disposizione, per il mobbizzato non è facile ottenere giustizia. Le procedure sono lunghe e non è così evidente fornire le prove che determinati comportamenti siano riconducibili a mobbing e dimostrare che l’azienda ha fatto tutto il possibile per evitarlo. Vi sono comunque alcune sentenze del tribunale federale che hanno dato ragione alle vittime. Per esempio, una donna ha ricevuto un’indennità di 25 mila franchi per torto morale, dopo che il suo capoufficio l’ha isolata e maltrattata, facendola cadere in uno stato depressivo grave, e ha esercitato pressioni per farla licenziare. A un’altra lavoratrice è stata riconosciuta un’indennità di 12 mila franchi, perché aveva subito per due anni molestie psicologiche dal suo superiore. Un direttore di hotel ha ottenuto 5 mila franchi e altri 14 mila come indennità per licenziamento abusivo. Info: www.seco.admin.ch (cliccare Documentazione - Pubblicazione e formulari - Opuscoli - Lavoro). 13 gd Volevo cambiare le cose... In Ticino una donna di 38 anni, mobbizzata, si ammala e entra in analisi –Per uscire dal baratro, taglia i ponti con l’azienda e se ne va Narrazione raccolta da Antonella Sicurello T utto è cominciato tre anni e mezzo fa. Due miei colleghi, stanchi delle angherie subite dai superiori, si sono licenziati e hanno fondato una società concorrente. Quando il direttore e la vicedirettrice della mia azienda lo hanno scoperto, hanno impedito a me e alla mia collega di frequentarli, pena il licenziamento in tronco. Da allora il rapporto con i capi si è deteriorato giorno dopo giorno. Dopo sei mesi la mia collega ha trovato un altro lavoro e si è licenziata. La direttrice ha continuato ad accanirsi contro di me: mi diceva che bighellonavo invece di fare il mio lavoro di contabile. Il suo ufficio era accanto al mio ed evitavo persino di fare le pause che mi spettavano di diritto. Non avevo via di scampo, visto che era la mia diretta superiora e dovevo rendere conto a lei del mio lavoro. per non lasciare un lavoro in sospeso. Non l’avessi mai fatto: la mia richiesta ha sollevato un polverone. La direttrice ha iniziato a inveire contro di me: “Lei non fa niente, è una persona falsa e fa perdere tempo agli altri”. Urlava come una forsennata per farsi sentire da tutti. Francis Picabia. UN ATTACCO DI PANICO Non mi voleva più in ditta e sperava che mi licenziassi. Qualche tempo dopo ho scoperto il motivo del suo atteggiamento: con il direttore era diventata proprietaria dell’azienda e insieme avevano deciso di fare piazza pulita delle persone che non andavano loro a genio. Tra queste c’ero anch’io e non ho mai capito il perché. Dopo la sfuriata sono rientrata nel mio ufficio e ho iniziato a piangere. I capi entravano e uscivano ridendo. Mi hanno persino minacciato: “Guai se lasci l’ufficio e dici qualcosa”. Sono uscita due ore dopo, a mezzogiorno, e ho vomitato l’anima. Una mia collega mi ha detto che non potevo andare avanti così. Sono rientrata in ufficio e ho vomitato ancora. Ho iniziato a sentire un dolore fitto allo sterno e sono scappata via. In auto ho chiamato la mia dottoressa per dirle che stavo male. Una volta a casa, mia NON MI DAVA SCAMPO La scorsa estate non mi ha concesso le ferie che facevo ogni anno in quel periodo con mia sorella. Ho potuto farle soltanto alla fine di luglio, ma lei era in Sardegna e io sono stata costretta a rimanere a casa. Prima di lasciare l’ufficio per le vacanze, ho sollecitato dei documenti 14 cognata mi ha portato al Pronto soccorso, dove mi hanno dato subito un calmante. Pensavo di avere un attacco di cuore, ma in realtà si trattava di un attacco di panico. Sono stata in ospedale quattro ore e nel certificato di dimissione il medico ha scritto che - GD n. 11 - settembre 2010 gd ero in uno stato di ansia dovuto a una lite con il datore di lavoro. La mia dottoressa mi ha messo in malattia per un mese. Mio marito ha chiamato l’azienda e per tutta risposta i miei capi hanno detto: “Non ce ne frega un c..., faccia quello che vuole”. per mesi ho mandato certificati di malattia. Ho iniziato ad andare in analisi da uno psichiatra e una psicologa, a prendere farmaci perché non dormivo più: sognavo che qualcuno tentava di strangolarmi. Entrambi i medici mi dicevano che ero una vittima del mobbing. Secondo la psicologa l’unica soluzione per uscirne era tagliare i ponti con l’azienda. Anche mio marito mi diceva di licenziarmi, che a 38 anni sarei riuscita a trovare un altro posto di lavo- STRANGOLATA IN SOGNO Sono stata visitata anche dal medico della cassa malati, che mi ha dichiarato inabile al lavoro per un altro mese. Da allora non sono più rientrata in ditta: ro. Ma mi ero incaponita: volevo che la mia direttrice cambiasse opinione su di me e farle capire che prendo sul serio il mio lavoro. Anche se avrebbe dovuto già conoscermi, visto che lavoravo per lei da sei anni. Evidentemente sono stata un’ingenua. Poi è arrivata la proposta dell’assicurazione: “Le paghiamo tre mesi di malattia in anticipo e nel frattempo può cercarsi un altro lavoro. Se lo trova, non deve restituirci i soldi che le verseremo in anticipo.” ...ma sono stata un’ingenua “Ma poi lei si toglie dalla malattia e non rientra più in azienda. E non deve parlare di questo accordo con nessuno”. Inizialmente la mia capa non voleva accettare questa proposta, ma ha cambiato idea quando ho detto all’assicuratore che le avrei fatto causa per mobbing. Ho mostrato l’accordo a un sindacalista, il quale mi ha consigliato di accettare, perché in Svizzera avrei perso una causa per mobbing, visto che è difficile dimostrare di aver subito questo tipo di vessazione. Nel novembre 2009 ho firmato l’accordo. Da allora non prendo più farmaci e non ho più problemi di insonnia. E da gennaio ho un nuovo lavoro come contabile. Andarmene è stata quindi la medicina migliore. Pensavo di poter cambiare le cose e invece serviva solo un taglio netto con il passato. Per motivi di privacy il nome della donna, una frontaliera che vive in provincia di Como, non viene pubblicato. settembre 2010 - GD n. 11 - 15 gd Obiettivo giustizia contro le molestie Il parere di Raffaella Martinelli avvocata del consultorio FAFT – Chi subisce mobbing deve chiedere aiuto a sindacati e associazioni di Antonella Sicurello I l mobbing va affrontato a viso aperto, non subito in silenzio. Prima sul posto di lavoro, poi, se necessario, all’esterno: sindacati, avvocati, associazioni, servizi pubblici e privati possono fornire una consulenza, un sostegno, una via da seguire per uscire da una spirale pericolosa. Forse non avranno sempre una soluzione a portata di mano, ma vale comunque la pena avere un confronto con loro. Fissare un obiettivo “Chi è vittima di mobbing e ha deciso di fare qualcosa per sottrarsi a questa situazione, deve innanzitutto porsi un obiettivo”, spiega l’avvocata Raffaella Martinelli del Consultorio 16 Francis Picabia. - GD n. 11 - settembre 2010 gd giuridico della Faft. “Nella maggior parte dei casi le persone mobbizzate chiedono ‘giustizia’: vogliono che il torto che hanno subito sia riconosciuto, senza pensare alle conseguenze sul posto di lavoro e al loro futuro professionale.” Al consultorio si rivolgono in media 220 persone all’anno, di cui una ventina denuncia situazioni mobbizzanti. “Insieme valutiamo la problematica, cerchiamo di capire in maniera oggettiva come sono andate le cose, se ci sono prove: E-mail, testimonianze, documenti, eccetera. Di solito, però, il mobber non è sprovveduto e non lascia tracce. A questo punto la soluzione è discutere con il datore di lavoro e trovare un accordo: per esempio, se l’azienda è grande, si può chiedere di cambiare reparto; oppure, se la conclusione del rapporto di lavoro è l’unica soluzione, come accade spesso, si può concordare la modalità di disdetta e chiedere un buon ‘certificato’ di lavoro.” rie davanti a un giudice.” Secondo Nando Ceruso, vicesegretario cantonale dell’Ocst, il crescente malessere nelle aziende è riconducibile “all’eccesso dei ritmi e dei carichi di lavoro, quindi allo stress, al rischio permanente di perdere il proprio impiego”. Sarebbero le forme sempre più differenti delle gerarchie decisionali a generare gli abusi. “Si scade così nel mobbing, nel ‘bossing’ (mobbing ‘verticale’) e nelle molestie, a detrimento degli ambienti lavorativi e quindi della vita sociale delle persone”. L’eccesso dei ritmi e dei carichi di lavoro all’origine dello stress e del timore di perdere Pochi casi in tribunale “Molte persone, uomini e donne, chiedono aiuto al nostro sindacato per quello che definiscono mobbing”, spiega Davina Fitas del Coordinamento donnalavoro dell’Organizzazione cri– stiano-sociale ticinese (Ocst). “Il loro numero è costante: non abbiamo notato un aumento in questo periodo di crisi per le aziende ticinesi.” Dopo la richiesta iniziale, il passo successivo è l’approfondimento dei casi. “Sono pochissimi quelli che finiscono in tribunale e non sempre sono riconducibili al mobbing”, evidenzia Davina Fitas. “Inoltre, è molto difficile avere le prove, che sono necessasettembre 2010 il posto di lavoro La salute va preservata Riconoscere subito i sintomi del mobbing è il primo passo per la salvaguardia della propria salute. “La tempestività dell’intervento è basilare al fine di evitare una compromissione dell’abilità lavorativa o, peggio, una fuoriuscita dal mercato del lavoro”, spiega Liala Cattaneo, coordinatrice del Laboratorio di psicopatologia del lavoro, un servizio dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale attivo dal 2006 a Vi - GD n. 11 - ganello (tel. +41 (0)91 8152111). “Le conseguenze possono essere molto gravi e vanno dai disturbi psicosomatici fino allo sviluppo di vere e proprie patologie come il disturbo dell’adattamento o quello post-traumatico da stress.” Oltre alle vittime, a subire le conseguenze del mobbing sono le aziende e il sistema sanitario che deve farsi carico di queste malattie. “La sempre maggiore richiesta di seminari di formazione che giunge al nostro laboratorio dimostra la volontà di alcune aziende, delle scuole e degli istituti sociosanitari di approcciarsi al fenomeno per meglio conoscerlo e dotarsi degli strumenti necessari per prevenirlo e affrontarlo nel modo adeguato.” stop al MOBBING Anche l’amministrazione cantonale cerca di arginare il mobbing attraverso il Gruppo Stop molestie (www.ti.ch/molestie), cui si possono rivolgere i dipendenti statali in caso di conflitti sul posto di lavoro. “Durante gli incontri con la persona che si sente vittima di violenza, si cerca di comprendere la natura del problema”, afferma la coordinatrice Carlotta Vieceli. “Qualora la risoluzione non possa essere unilaterale, è indispensabile prendere contatto con la controparte”. Il servizio è uno sportello che opera come istanza di conciliazione e non come organo che giudica o sanziona. “Nella totalità dei casi, il Gruppo è riuscito a fornire un certo benessere al collaboratore e sollievo alla sua sofferenza. Gli interventi che hanno ottenuto maggior successo sono quelli in cui il collaboratore si è rivolto a noi prima di affrontare qualsiasi altro passo diretto alla risoluzione del conflitto.” 17 gd parità Mass media: ma dov’è la parità? Secondo un’inchiesta, giornali, radio e tv danno poco spazio alle donne – Solo il 19% le intervistate – In Ticino appena il 24% le notizie scritte da donne di Antonella Sicurello giornali, radio e televisioni. Dai risultati preliminari di 42 paesi (il rapporto completo sarà presentato in autunno), solo il 24% delle persone citate nelle news era rappresentato da donne. Un passo in avanti rispetto al 17% di quindici anni fa, ma non un granché dal 2005 (21%). È scesa vertiginosamente la percentuale di reportage radiofonici realizzati da donne (dal 45% del 2005 al 27%) e aumentata leggermente quella dei servizi televisivi (dal 42 al 44%) e degli L e donne sono ancora sottorappresentate nei media, sia come giornaliste sia come persone intervistate o citate. È questo il risultato che emerge dal “Global media monitoring project”, inchiesta condotta a livello mondiale ogni cinque anni, dal 1995. Ben 130 le nazioni monitorate in una sola giornata, il 10 novembre 2009, passando in rassegna le notizie di 18 - GD n. 11 - articoli su carta stampata (dal 29 al 35%). Le donne sono raramente il soggetto di una notizia (25%) e sono poco intervistate anche in qualità di esperte (19%) e di portavoce (18%). La Svizzera è nella media Per la prima volta la Svizzera ha partecipato all’inchiesta con le tre principali regioni linguistiche (Romandia, Ticino e Svizzera tedesca), sotto l’egida della Conferenza svizzera delle delegate alla settembre 2010 gd parità gliorare le competenze dei giornalisti, integrando la prospettiva di genere nella loro formazione. Ma anche sensibilizzare le aziende dei media alle problematiche di genere, affinché promuovano maggiormente le carriere femminili favorendo la conciliazione tra vita professionale e familiare.” E su iniziativa della Commissione consultiva per le pari parità tra donne e uomini. Per avere un quadro più preciso della situazione, sono stati analizzati più organi di informazione di quanti ne prevedesse lo studio internazionale. Nel rapporto aggiuntivo “Qui fait les nouvelles en Suisse” sono stati passati in rassegna tre canali televisivi, tre stazioni radio e 19 giornali, di cui 7 quotidiani. Nel cantone a sud delle Alpi sono stati analizzati il “Corriere del Ticino” per la carta stampata e la Radiotelevisione svizzera di lingua italiana per la radio e la tv (notiziario radiofonico delle 18.30 e tg delle 20). I risultati non si discostano da quelli raccolti a livello mondiale. Le donne menzionate e intervistate sono pari al 22% e soltanto il 34% delle news porta una firma femminile. Sono più presenti nelle notizie culturali (55%) e meno in quelle sull’educazione e la gioventù e risultano mosche bianche nelle notizie economiche. Inoltre, sono poco interpellate come esperte e autorità. In Ticino e nella Romandia la presenza femminile è però più elevata (rispettivamente 44% e 31% di firme femminili) rispetto alla Svizzera tedesca. In controtendenza la televisione di Comano: ben il 70% delle notizie è stato realizzato o presentato da donne. Disparità nei tg italiani I primi risultati raccolti in Italia sono stati elaborati dall’Osservatorio di Pavia e si riferiscono ai notiziari delle emittenti televisive monitorate: Rai Uno, Due e Tre, Rai News 24, Rete 4, Canale 5, Italia 1 e Sky Tg 24. Niente di diverso rispetto ai risultati internazionali: soltanto il 22% delle notizie ha come soggetto delle donne. La presenza femminile è nulla nei servizi economici e scarsissima nelle notizie politiche (3%). Raggiunge il 31% nelle news di cronaca nera (crimine e violenza) e supera quella maschile se si tratta di raccontare un’esperienza personale (53%). Le donne intervistate come esperte e portavoce sono in netta minoranza (rispettivamente 7 e 10%) e ben al di sotto della media internazionale. Sul web: www.equality.ch www.osservatorio.it www.whomakesthenews.org La responsabilità è anche dei giornalisti I risultati raccolti a livello svizzero lasciano l’amaro in bocca. “Bisogna fare più spazio alle donne, soprattutto nella carta stampata”, sottolinea Marilena Fontaine, capo dell’Ufficio della legislazione e delle pari opportunità dell’amministrazione cantonale e responsabile dell’inchiesta per il Ticino. “E per riuscirci, credo che sia fondamentale misettembre 2010 opportunità fra i sessi, dal 2011 sarà istituito in Ticino un premio per giornaliste e giornalisti che promuovono il dibattito sulle tematiche di genere. Ma non è comunque soltanto una loro responsabilità la scarsa presenza femminile nei media. “Bisogna ammettere che le donne sono meno visibili degli uomini”, sottolinea Fontaine. “Lavorano perlopiù in retroguardia, occupano pochi ruoli dirigenziali e politici, sono meno presenti nel mondo economico. E spesso sono poco disponibili a un’intervista perché più impegnate rispetto agli uomini in famiglia. Ma non per questo bisogna continuare a relegarle in rubriche marginali come la posta dei lettori e presentarle come oggetti di piacere, alimentando i soliti stereotipi.” - GD n. 11 - 19 gd detenzione Aprire uno spiraglio nel buio del carcere L’on Chiara Braga (Pd) visita il carcere del Bassone – In Italia 68mila detenuti e celle per 44mila, 72 suicidi l’anno scorso - A Como 488 detenuti su 421 posti di Chiara Braga zioni di eccessivo sovraffollamento (68.206 su 44.000 posti carcere) e il personale di ogni livello così ridotto nell’organico, per i tagli imposti dalle manovre finanziarie del Governo anche a questo settore. Così il carcere sta diventando sempre più e soltanto il luogo della pena (non sempre certa e definita, se si considera che oltre il 40% dei detenuti si trova in una posizione giuridica di imputato in attesa di giudizio e quasi la metà di questi in attesa del primo grado di giudizio). Il principio sancito dall’articolo 27 della Costituzione (“le pene...devono tendere alla rieducazione”) fatica a trovare applicazione, vista la bassissima percentuali di detenuti impiegati in attività lavorative all’esterno e all’interno degli istituti. Le condizioni precarie all’interno del carcere non colpiscono soltanto i detenuti (nel 2009 i suicidi sono stati 72; nei primi sette me- S ono entrata al Bassone alle dieci di mattina di un Ferragosto nuvoloso, temperatura ben al di sotto della media di stagione. Più o meno due anni fa entrai quasi con timore in carcere, accompagnata da un caldo torrido che si leggeva negli sguardi diffidenti dei detenuti. Questa volta entrare in contatto con un mondo così duro è stato meno traumatico. La mia visita al carcere è stata effettuata contemporaneamente a quella di altri 200 parlamentari, consiglieri regionali, garanti per i diritti delle persone private della libertà, che hanno aderito al secondo appuntamento del Ferragosto in carcere. un’occasione per portare all’attenzione di un’opinione pubblica distratta uno spaccato della nostra società. Mai in passato i detenuti erano stati così numerosi e in condi- 20 - GD n. 11 - si di quest’anno 38 e 105 i morti nelle carceri, tra suicidi, malattie e “cause da accertare”) ma anche gli agenti di polizia penitenziaria e chi, con altre mansioni, lavora nelle strutture carcerarie spesso in condizioni difficili, con turni pesantissimi senza neppure il giusto riconoscimento sociale ed economico. Il carcere di Como Rispetto all’ultima visita di qualche mese fa, qualche lieve miglioramento c’è stato. Tuttavia anche questa struttura continua ad avere problemi di sovraffollamento. Gli attuali 488 detenuti superano di molto il limite della capienza regolamentare del carcere; basti pensare che mediamente nelle celle ci sono 2-3 detenuti (a volte anche di più) quando la “regola” prevede invece la presenza di un detenuto per cella. La struttura presenta poi i segni del tempo, ad esempio nella dotazione dei settembre 2010 gd detenzione servizi per l’igiene personale dei detenuti; le docce, comuni, sono sottodimensionate. A Ferragosto, una giornata di festa anche dentro il carcere; alcuni detenuti hanno potuto vivere dei momenti di socialità “eccezionali”, consumando il pasto insieme ad altri detenuti nelle celle. Questa volta ho avuto modo di visitare la sezione femminile del carcere, separata e distinta da quella maschile; sarà per le dimensioni più ridotte (circa 20 celle in cui però sono recluse ben 58 detenute) o per i disegni dei cartoni animati che riempiono i corridoi, la sala del nido o la stanza degli incontri delle detenute con i figli, ma in qualche misura questa sezione appare più “normale” e insieme più dura da accettare. Oggi nessuna delle detenute ha con sé all’interno del carcere figli minori; in passato è successo e le agenti di polizia mi raccontano le difficoltà di bambini costretti a vivere nelle mura di un carcere, in ambienti che, per quanto ingentiliti, conservano sempre il carattere di luoghi innaturali, di reclusione. Rispetto alle condizioni generali alcuni dati colpiscono in maniera particolare: dei 488 detenuti soltanto 4 si trovano in regime di semi-libertà, svolgono cioè attività esterne al carcere e rientrano ogni sera; 6 invece sono impegnati in attività di servizio interne al carcere. Questo dato dà il segno dell’ancora scarsa attivazione ai percorsi alternativi settembre 2010 o complementari alla detenzione, fondati sul reinserimento lavorativo e sociale: si dovrebbero investire maggiori risorse e progettualità, anche attraverso un potenziamento delle figure professionali impiegate all’interno del carcere (educatori, assistenti sociali, psicologi…) e una maggiore coinvolgimento dei servizi sociali territoriali. Mi hanno colpito le parole di un detenuto: “Qui ci sono tante persone che, quando avranno finito il loro periodo di carcerazione, si troveranno nelle stesse identiche situazioni che li hanno portati qui”. Mi domando quanto sia diffusa questa consapevolezza, nella comunità carceraria, nei detenuti e in chi ogni giorno si spende perché non sia un destino inevitabile. All’inizio della visita ho partecipato, come qualche volta mi capita di fare, alla Messa celebrata da don Giovanni, il cappellano del carcere. Come sempre è un momento denso di emozioni, perché la Messa, animata dalla musica di volontari, è molto partecipata; i detenuti ci vanno per fede ma anche perché, lo dicono loro stessi, è un’occasione in più per uscire dalla cella, scambiare qualche parola con altri che non siano i compagni di tutte le ore. Tre parole mi sono rimaste impresse: progetto, avvenire, speranza. Quali progetti possono umanamente costruire queste persone? Quali speranze animano le loro giornate, tutte uguali, - GD n. 11 - segnate certo dal disagio della condizione carceraria ma spesso anche dalla consapevolezza del reato compiuto? Creare le condizioni perché l’avvenire di queste persone sia diverso dal loro passato, per loro stessi e ancora di più per la società nella quale torneranno a vivere, non è questo un compito dello Stato, forse il più importante? All’interno del Bassone esiste anche una realtà ricca di umanità e solidarietà, a partire dal lavoro prezioso, svolto, non sempre in condizioni facili, dagli agenti di polizia penitenziaria e dal personale dell’amministrazione, e dai volontari esterni che operano nella struttura. Occorre però che i politici e le istituzioni si facciano carico di corrispondere alle istanze del mondo carcerario avviando politiche efficaci e di medio periodo, volte a superare la logica emergenziale: un serio piano di edilizia penitenziaria, una corretta determinazione delle risorse professionali, finanziarie e strumentali, investimenti sull’esecuzione della pena all’esterno e su progetti di reinserimento sociale e lavorativo. Fino a quando continuerà a prevalere la logica perversa secondo cui violenze e illegalità “dentro” siano funzionali a garantire la legalità e la sicurezza “fuori”, il carcere resterà un ostacolo insormontabile al raggiungimento di un elevato livello di civiltà della nostra società. 21 Il tuo abbonamento dà forza all’uguaglianza! Non startene sola, unisci la tua voce alla nostra di Geniodonna. Abbiamo dedicato il nostro primo anno di vita alle pari opportunità fra donne e uomini. Uguaglianza e pari opportunità contribuirebbero allo sviluppo della società e dell’economia: ma occorre un rinnovamento culturale che unisca donne e uomini per porre fine a discriminazioni e barriere. Questo è il nostro obiettivo: ti chiediamo di unirti a noi e di abbonarti. Discriminazioni da superare Forse pensi che le donne non abbiano nulla di che lamentarsi? Allora ricorda che le retribuzioni delle donne sono inferiori di circa il 20% rispetto ai maschi; pensa alle difficoltà di conciliare famiglia e lavoro; al ruolo di educazione e assistenza senza alcun riconoscimento sul piano sociale; pensa alla recente punizione, come ringraziamento, dell’allungamento dell’età pensionabile nel pubblico in nome di una falsa uguaglianza europea. Il tuo segnale Le donne sono tenute nelle aziende in ruoli subordinati, discriminate dopo la maternità; pochissime arrivano in ruoli chiave a livello politico tanto che siamo la coda in Europa per la presenza femminile nel Parlamento. Di parità e uguaglianza delle donne si legge solo nella Costituzione, ma siamo ancora lontani dalla realizzazione dei principi. Decidi di sottoscrivere l’abbonamento, per noi questo è il segno che non siamo soli, che il nostro lavoro è ben orientato, che potremo durare nel tempo. Come sostenere Geniodonna 22 - GD n. 11 - FEDERAZIO N IAZION IF SOC E AS NILI TICINO MI Svizzera: sottoscrivi l’abbonamento 2010 versando frs. 50.- ccp 69-7175-8 oppure comunicando i tuoi dati (indirizzo completo) a: FAFT, via Foletti 23, 6900 Massagno oppure a: [email protected] E M Italia: in posta: compila e versa 30 euro con bollettino postale (ccp 96278924 intestato a Il Senato delle Donne) riceverai 10 numeri del mensile a partire dalla data di sottoscrizione. FAFT settembre 2010 idee&parole Quello che le donne scrivono, hanno scritto, pensato, disegnato, dipinto, scolpito, messo in musica. gd Essere poeta di ben 15mila libri. Qui, negli ultimi anni di vita, soleva promuovere una lettura di amici poeti nel isogna arrivare nel Salento per trovare un cuore dell’estate, tradizione che pure è andata perricordo, vivo, di Maria Corti. Basta entrare dendosi nel giro di un paio d’anni dalla sua scomin una libreria qualsiasi di Lecce e L’ora di parsa. E qualche mese fa l’ha raggiunta nel mondo tutti è lì, in evidenza, sullo scaffale dei longseller dei più anche il bibliotecario, Erino Bolla, che avepiuttosto che su quello dei libri che riguardano il va continuato a prendersi amorevolmente cura di territorio. E a Otranto, dove è ambientata questa quel lascito librario. Anche la città di Como ha un straordinaria rilettura polifonica dell’invasione del debito con Maria Corti. In particolare il liceo Volta, turchi, quasi ogni estate, da quando la scrittrice- dove insegnò nei primi anni Cinquanta, ricordati filologa è morta nel 2002, le rendono omaggio con con passione, e non poche critiche, nel suo diario postumo edito da Interliiniziative di altissimo linea nel 2003. vello, come le riduzioni Rivolgiamo un suggeriteatrali e operistiche de mento, anzi un augurio, L’ora di tutti, curate da alla prima preside donna personaggi del calibro di nella storia del liceo clasPamela Villoresi e Fransico di Como, Luciana Telco Battiato. Insomma, la luri: di riuscire a concresua seconda patria, quel tizzare un’intenzione che Salento, dove il padre si era stata manifestata dal era trasferito dopo la presuo predecessore, Bruno matura morte della maSaladino, e cioè quella di dre, non ha dimenticato riportare nell’edificio nela Corti e, soprattutto, oclassico di via Cantù un ha ben presente l’imporsegno tangibile del pastanza della cultura (e dei saggio della Corti in quelsuoi “artefici”) nell’ecole aule e in quei corridoi. nomia, in senso lato ma Un ricordo di quella donanche in quello “stretto”, na fragile, nel corpo ma del territorio. non certo nello spirito, Purtroppo, non si può che non voleva rassegnardire altrettanto della sua si a essere una professoprima patria, la Lombarressa qualsiasi, ma teneva dia in generale (Milano a essere considerata uno dove è nata e vissuta e scrittore. Proprio così: al Pavia dove ha insegnato Nicolas de Staël, Figures, 1953, olio su tela. Martigny, Fondation Pierre Gianadda.18 giugno-21 novembre 2010 maschile, senza distinzioe ha creato il Fondo mani (e discriminazioni) di noscritti di autori congenere. Non una targa, ma un lavoro che susciti temporanei) e il Comasco in particolare, luogo, tra l’altro, del suo eterno riposo nel cimitero di Pellio passione fra gli studenti per la letteratura attraverIntelvi. Nella valle tra il Lario e il Ceresio (molto so i suoi romanzi e i suoi studi su Dante, facendo forti anche i legami della grande donna con il Can- tesoro di alcune righe che, proprio nel suo diario, ton Ticino) c’è la casa della madre della Corti, che dedica alla “missione” dell’insegnante, una critica attende ancora di diventare un centro di studi in- ad alcuni colleghi del Volta un po’ troppo burocrati: ternazionale secondo le ultime volontà della scrit- “Un maestro non è tale, se non è poeta, coltivatore trice, e c’è la biblioteca nata da una sua donazione di fiori.” di Pietro Berra B settembre 2010 - GD n. 11 - 23 idee&parole gd d gQuando Wonder Woman stese Carnera L’emancipazione femminile è passata anche attraverso i fumetti – Lo documenta la collezione del comasco Gavino Puggioni da cui queste immagini sono tratte per sua cortesia di Pietro Berra S e un concetto è difficile da far passare, provate a dirlo con i fumetti. Il genere letterario (sì, anche se molti continuano a ritenerlo una sottocultura) più popolare è stato utilizzato tante volte nella storia per propagandare le idee più diverse. E non sempre le migliori, visto che ne hanno fatto largo uso diversi dittatori del secolo scorso. Ce lo ricorda una collezione molto speciale, quella del comasco Gavino Puggioni, dedicata ai “fumetti di propaganda”. Una carrellata in cui fanno la loro comparsa, a volte come promotori altre volte persino come personaggi, Mussolini e Mao Tse-Tung, John Kennedy e… Gianfranco Fini. Quasi sempre uomini. Con qualche eccezione, che dimostra come l’emancipazione femminile sia passata anche attraverso i “balloons”. Indimenticabile, il secondo numero di Wonder Woman, uscito nel ’42 e quanto mai in clima con gli eventi bellici allora in corso. In una “nuvoletta” l’imperatore giapponese Hiroito si dichiara pronto a intervenire contro Hitler che “sta rendendo l’Italia uno stato vassallo”, purché, in cambio, gli italiani catturino la superdonna che “manda a monte i nostri piani”. Mussolini accetta e spedisce in America il peso massimo Premiero Garvera (parodia del pugile Primo Carnera) per battersi con la bella eroina. La pin-up dai muscoli d’acciaio non si limita a sbaragliare il giganDonnina. Editrice nazionale STEN. 24 - GD n. 11 - settembre 2010 idee&parole La ragazza della comune popolare. Edizioni d’arte del popolo. Shanghai 1964. te (“buono” secondo la storiografia ufficiale, “feroce” nel fumetto), ma arriva a distruggere anche Marte, il più bellicoso degli dei, alleato delle potenze del Patto tripartito. Il numero 2 della supereroina americana è una delle chicche di una collezione che copre quasi un secolo. A partire da Lilì durante la guerra, storia a fumetti (anzi, allora in Italia si usavano ancora le rime baciate in calce alle vignette) pubblicata sul settimanale per teenager Donnina nel ’15-18: i soldati tedeschi cadono puntualmente nelle trappole della giovanissima protagonista, che in una puntata tappa la bocca a un plotone con dei confetti al vischio e in quella successiva li manda a curarsi da un veterinario grazie a uno scambio di insegne. “Anche i comunisti”, afferma Puggioni, “hanno fatto ricorso al fumetto per propagandare le proprie idee”. E mostra alcuni libretti pubblicati in Cina a metà degli anni Sessanta dalle Edizioni d’arte del popolo di Shangai e ristampati in Italia da Laterza. Tra le “idee propagandate” da Mao attraverso le “nuvolette” c’è anche quella della parità tra uomo settembre 2010 e donna, come si evince fin dai titoli di certi albi: Distaccamento femminile rosso e La ragazza della comune popolare. A proposito di comunisti, Puggioni ricorda un singolare “compromesso storico”, stavolta contro i fumetti, tra Nilde Iotti e Palmiro Togliatti, da una parte, e la Dc dall’altra. Era il 1951 quando scoppiò la crociata anti fumetti in Parlamento: i democristiani li ritenevano responsabili del dilagare della violenza e del malcostume tra i giovani e i comunisti li accusavano “di essere strumenti di un imperialismo cinico e fascista”. Imperitura testimonianza di quel clima i numeri di Tex dal 24 al 48 con il marchio Gm (Garanzia morale) in copertina, nonché con scollature e gonnelle rimpinguate. Ma tornando a Wonder woman, era la tipica icona sexy americana o il prototipo della donna emancipata? Il dibattito è aperto da anni, eppure la risposta la diede in principio l’autore del fumetto, William Moultom Marston: “Il miglior rimedio per rivalorizzare le qualità delle donne è creare un personaggio femminile con tutta la forza di Superman e in più il fascino di una donna brava e bella.” - GD n. 11 - 25 gd donne in cammino Sorellanza afro-americana Le proposte di lotta e di autonomia della filosofa statunitense Bel Hooks 26 - GD n. 11 - settembre 2010 gd idee&parole contro sessismo e razzismo di Eleonora Missana A partire dagli anni ’80, all’interno del femminismo e dei nascenti Women’s Studies emergono voci di donne che provocano un ripensamento critico dei paradigmi femministi dominanti. In particolare quello di un soggetto femminile unitario in grado di operare tout court una indistinta sorellanza tra le donne. Tra queste voci, spiccano quelle delle femministe afroamericane che muovono dall’esigenza di riflettere sulla specifica posizione delle donne nere nella storia e società americana. Una storia segnata da un passato di schiavitù, dalla segregazione dei neri e dal razzismo persistenti nella società e nella cultura nordamericana contemporanea. Una storia però segnata anche tra gli anni ‘60 e ‘70 dall’esplosione di un grande movimento di contestazione e di liberazione dei neri, parallelo al movimento femminista e al movimento pacifista di protesta contro la guerra in Vietnam. Contestazione anni ‘60-’70 In tale contesto, alcune femministe nere, già nella seconda metà degli anni ‘70, iniziano a rivendicare una visibilità della loro specifica soggettività, luogo di iscrizione di un duplice regime di dominio basato tanto sulla razza quanto sul sesso. Specificità che in qualche modo era stata oscurata tanto all’interno del movimento di liberazione dei neri quanto del femminismo. La prima antologia di studi delle donne nere, pubblicata nei primi anni ‘80, si intitola ironicamente All the Women Are White, All the Blacks Are Men, but Some of Us Are Brave. (Tutte le donne sono bianche, tutti i neri sono uomini ma qualcuna di noi è coraggiosa). Circa un decennio dopo, negli anni ‘90, quando molte pensatrici femministe cominciano a esplorare la possibilità di declinare in senso politico radicale il discorso filosofico sul post-moderno, si afferma la proposta di una filosofa afroamericana, Bell Hooks (lei usa la lettera minuscola per scrivere il proprio nome e cognome), di cui in Italia viene pubblicata, un’interessante scelta di scritti intitolata Elogio del margine a cura di Maria Nadotti. Nel testo emergono due linee di riflessioni principali. Da un lato, l’autrice pone in luce come l’esplo- settembre 2010 razione della soggettività femminile nera si riveli fondamentale per delineare un punto di vista critico peculiare. Bell Hooks ricorda l’importanza del ruolo delle donne nella comunità nera all’epoca della schiavitù fino all’epoca più recente, sottolineando il valore fondamentale della “casa come sito di resistenza” contro la disumanizzazione e umiliazione, che per le donne nere si basava anche sullo sfruttamento sessuale, subiti dal regime schiavista prima e dalla cultura razzista diffusa. Dall’altro lato, la filosofa intende mostrare in che modo il postmoderno, che segna la crisi delle grandi narrazioni della modernità occidentale, può rivelarsi una chance per la lotta dei neri contro il razzismo e l’oppressione, perché evita la trappola “essenzialista” che rischia per le donne come per i neri di perpetuare i miti dell’oppressore. Il testo è ricco di materiali vari, compresa la critica acuta di come l’immaginario sessista e razzista lavori nella rappresentazione simbolica e nella società dello spettacolo (suggestive le pagine dedicate a esempio a Tina Turner o a Madonna). Sessismo e razzismo Ciò che viene messo in luce in modo convincente è come sessismo e razzismo siano regimi di dominio dei corpi che sovente si incrociano e si sostengono a vicenda. In tale senso, la lotta al sessismo dovrebbe, secondo Hooks divenire parte integrante della lotta di liberazione nera dal momento che proprio l’affermazione del sessismo segna la vittoria di quel suprematismo bianco di cui il sessismo è stato e rimane un’arma fondamentale. Rivolgendosi ai fratelli neri, Hooks ricorda ad esempio che l’immagine dei neri come maschi ipersessuati e violenti, sia stata un’invenzione del regime razzista per giustificare, in epoca post-schiavista, il linciaggio dei neri o la loro condanna alla pena di morte. La lotta al razzismo o la coscienza dei nessi tra regimi di genere e di razza diviene parimenti indispensabile nell’agenda politica femminista al fine di evitare ogni complicità con l’uso di ragioni femministe per giustificare politiche discriminatorie o razziste (io uomo bianco salvo te donna bianca e nera, da maschi neri retrogradi e pericolosi). Un’indicazione che mi pare non abbia perso d’attualità per la riflessione femminista europea. - GD n. 11 - 27 donne in cammino gd l’intelligenza del sentire Secondo la filosofa Maria Zambrano la donna è dotata di senso cosmico 28 - GD n. 11 - settembre 2010 idee&parole un intuire indomabile di Manuela Moretti E siste un’intelligenza che non si sottomette all’astratta logica della ragione, ma risiede nel sentire: si tratta di un’intelligenza d’amore, come ci insegna una straordinaria filosofa spagnola del Novecento, María Zambrano, prima donna a essere insignita del prestigioso Premio Cervantes per la Letteratura nel 1988. Questa capacità del sentire è, secondo questa grande pensatrice, più propria della donna. l’uomo sogna di sottomettere la realtà intera alla sua visione, senza riuscire mai ad accontentarsi. La donna è più vicina alla natura: la sua vita, dotata di un senso cosmico non razionale, si mantiene aderente a essa. Questa volontà di ridurre la realtà agli schemi razionali del soggetto, ha la sua origine, ci insegna María Zambrano, fin dall’antica Grecia di Parmenide ed è qualcosa di intrinseco al pensiero filosofico fin dalle sue origini: l’esperienza è rimasta separata dal pensiero, mentre essa va considerata come qualcosa di originario, che precede ogni metodo. La vita dell’uomo concreto è stata dunque abbandonata in nome di una ragione astratta. È necessaria, secondo María Zambrano, una riforma radicale che riavvicini l’uomo alla vita. Questa capacità di attenersi a ciò che è, questa fedeltà alla realtà, è, secondo la filosofa spagnola, propria della donna: a differenza dell’uomo, la donna non vive nella volontà, ma nell’amore, anche se ciò comporta l’esclusione da una tradizione intellettuale e culturale, ovvero dalla filosofia insegnata accademicamente. Le ragioni dell’anima All’origine del mondo occidentale ritroviamo una radicale divergenza tra l’uomo e la donna. La donna, afferma María Zambrano in All’ombra del dio sconosciuto, “non si è definita intellettualmente, logicamente, come l’uomo; è creatura alogica che cresce e si esprime al di là della logica, o al di qua, mai comunque all’interno”. María Zambrano afferma di aver fatto esperienza lei stessa dell’esclusione femminile dal campo della logica razionalistica e accademica. È necessario pensare alla luce di un’altra logica, nella quale l’intelletto non sia costretto a razionalizzare ma sia presente diversamente, lasciando spazio alle ragioni dell’anima. Nella donna l’anima predomina sul resto, sulla carne e sullo settembre 2010 gd spirito che possiede l’uomo. Il sapere dell’anima ha fondamento nel sentire, e la donna non vuole svincolarsi dal proprio sentire: restare vincolate al proprio sentire non è una schiavitù, ma una libera scelta. Le donne scelgono di restare legate a ciò che sentono e, in questo modo, accumulano un sapere di esperienza che María Zambrano indica con il termine incipit vita novae: un nuovo inizio per il pensiero della filosofia occidentale, un nuovo modo di rapportarsi alla realtà. Non dunque un tipo di sapere che si raggiunge attraverso esplorazioni astratte e oggettivanti, ma una filosofia che propone una nuova e antichissima logica: l’intelligenza dell’amore. “Questa intelligenza, come scrive Annarosa Buttarelli, la più autorevole studiosa italiana di Maria Zambrano nel suo libro Una filosofa innamorata (BrunoMondadori 2004, € 12,50) è il sapere di un’anima che sa innamorarsi, che sa dare alla vita il senso dell’amore che è il senso della vita come offerta, come apertura”: si tratta di una conoscenza in grado di legare insieme pensiero ed esperienza, in una relazione d’alterità. Le lettere scritte e ricevute da Maria Zambrano durante il suo lungo esilio, durato quasi quarant’anni a causa della dittatura franchista, sono una viva testimonianza di questo legame tra pensiero ed esperienza. La collana Corrispondenze, edita dalla casa editrice Moretti & Vitali, dedica un’intera collana di volumi agli epistolari della filosofa spagnola e, come scrive nell’introduzione Annarosa Buttarelli, curatrice del progetto, intende “aprire un luogo ulteriore dove possa scorrere l’insegnamento della filosofa attraverso la sua vita e le sue relazioni in atto e in pratica”. I primi due volumi della collana sono già stati pubblicati: il primo, dal titolo Dalla mia notte oscura, lettere tra Maria Zambrano e Reyna Rivas (Moretti & Vitali 2007, € 18), raccoglie le lettere tra Maria Zambrano la poetessa venezuelana Reyna Rivas, destinataria delle confidenze più difficili riguardanti i momenti più duri della vita della filosofa spagnola; il secondo, dal titolo Mia cara amica Maria, lettere a Maria Zambrano (Moretti & Vitali 2009, € 14), raccoglie le lettere del poeta e scrittore spagnolo José Bergamín rivolte alla filosofa e sono una viva testimonianza dell’esperienza della guerra civile e dell’esilio dovuto alla vittoria di Franco che entrambi hanno subito. - GD n. 11 - 29 Fotografie di Attilio Marasco. gd geniodonnateatro EL BALOSS L’Odissea in dialetto laghée di Basilio Luoni UNA PRIMA TEATRALE A COMO 30 - GD n. 11 - settembre 2010 gd geniodonnateatro Sabato 23 ottobre 2010 ore 21.00 Teatro Nuovo Rebbio Via Lissi 9, Como Info: tel. 0312759236 - [email protected] Teatro in “lezzenese” 30 anni di passione che varca i confini Intervista a Basilio Luoni, professore, drammaturgo, traduttore, attore, pittore… di Katia Trinca Colonel “L’avvenire di un uomo è nelle mani del maestro di scuola” scrisse Victor Hugo. È nell’infanzia che si apprendono i segreti di una buona vita. Quanto più il maestro saprà trasmettere l’amore e la passione per la conoscenza (perché lui stesso ne è intriso), tanto più i suoi allievi cresceranno sicuri e aperti alla vita. Dio sa quanto bisogno ci sia oggi, quanta fame, oserei dire, di veri, appassionati maestri! La fortuna di una compagnia teatrale amatoriale di Lezzeno, un piccolo comune sulla sponda orientale del Lago di Como, è stata di incontrare un maestro così. Dalla scuola media dove ha insegnato lettere per tanti anni sono usciti quei ragazzi e quelle ragazze che di generazione in generazione per trent’anni (il padre che cede la parte al figlio, il fratello maggiore al fratello minore) hanno scoperto, per contagio, come la magia del teatro possa cambiare una vita, l’immaginazione diventare il sale che insaporisce il piacere del sogno. E lui, il maestro, Basilio Luoni, drammaturgo, traduttore, attore e pittore, da caposcuola coerente qual è, ha tenuto sempre fede a una speciale passione presa sui banchi del liceo, un’esaltazione che ha segnato il suo destino e che mai è venuta meno in trent’anni di attività. Sì, perché mentre i suoi coetanei rincorrevano le ragazze, si addormentavano sui libri o riponevano in Marx tutte le speranze, Luoni si buttava sulla commedia francese, Molière in testa. Innamorato del padre di testi immortali (L’avaro, settembre 2010 Georges Dandin, Il Tartufo, Il malato immaginario), cominciò a frullargli nella testa un’operazione quanto mai originale, tradurre quei testi dal francese antico nel dialetto lezzenese. E poi, con una piccola compagnia amatoriale tutta fatta di gente di Lezzeno, recitare il Molière in dialetto. L’Avaro diventa El pioeucc, Georges Dandin il Giorgii rampega e via così. Ed ecco che, inaspettatamente, l’operazione funziona e quelle commedie cominciano a traversare la sponda del Lario per poi sbarcare nei teatri milanesi e persino in Toscana, raccogliendo consensi e recensioni entusiaste da intellettuali del calibro di Gianfranco Ravasi (“rubesto eppur raffinato” disse del dialetto di Luoni), Giovanni Testori, Dante Isella. “Allora il lezzenese,” racconta Luoni, “mi è sembrata la scelta più logica, visto che era la mia lingua madre, oggi il dialetto è una protesta contro un italiano che è sempre meno tale, banalizzato e volgare.” Nella sua casa affacciata sul Lago, specchio di una vita passata tra i libri (quelli che in edizioni pregiate si affacciano dalla sua libreria: i poeti francesi, Quénot, Trenet, Proust e mille altri) intorno alla comoda poltrona dove siede, fanno cerchio Alessandra, Plinia e Giovanni, tre dei suoi giovani attori, ciascuno con il proprio lavoro, gli affetti, i figli, le faticose incombenze quotidiane. Ma nei loro occhi vedi brillare il sacro fuoco del teatro, quando raccontano il divertimento del recitare, il buttarsi a declamare l’Odisseo in dialetto, o tutto quello che - GD n. 11 - 31 gd geniodonnateatro di nuovo frulla nella testa del loro maestro: da Gli uccelli a Le donne in parlamento di Aristofane, fino ai testi scritti dallo stesso Luoni, e chissà quali altri progetti nel cassetto. Il maestro è orgoglioso dei suoi allievi perché sa che quella passione contagerà ancora, passando da quel ragazzo, che di giorno fa il muratore e la sera suda sui copioni scritti in quel dialetto che fu dei suoi nonni, ai suoi amici e agli amici degli amici. “Il dialetto non è una questione nostalgica e tanto meno una lusinga politica,” rimarca Luoni, “è la lingua in cui meglio mi esprimo perché a una precisa emozione o a una situazione corrispondono precise parole; modi di dire che hanno una forza e una coloritura più intensa rispetto all’italiano.” Parole a volte dure e grezze, certo, e che, a volte, invece, sfociano nella poesia. Prendiamo per esempio “pioggerellina”, in dialetto lezzenese si dice calisnèta, un rimando alla caligine, a quel colore grigiastro che prendono il cielo e il lago quando, mentre cade la pioggia fine, si confondono. Intraducibile in italiano, non c’è che da dare atto al maestro Luoni. El Baloss, uno spettacolo da non perdere per quattro ragioni: • Ripercorrerai il mito omerico reso vivo da gente di paese. • Si parla il dialetto laghée, lingua vera e libera in un epoca in cui l’italiano è svaccato e servile. • El Baloss è anche il forestiero, lo sconosciuto e può apparire un pericolo, come a tanti appare anche oggi. • è un’opera scritta e diretta da un grande nostro autore dialettale. 32 - GD n. 11 - settembre 2010 un libro strenna di geniodonna Un’indagine della scrittrice Licia Badesi sui rapporti di Polizia illustrata da Valentina Gianangeli Voci dal silenzio di vite senza nome In un libro stimolante i frammenti del vivere di donne e uomini a Como e nel Cantone Ticino dal 1750 al 1860 Una esclusiva di Geniodonna che puoi prenotare ora e regalare poi ad amici e parenti per le Feste di Natale e di fine anno Brandelli di vita vissuta inghiottiti nelle carte polverose di 200 faldoni dell’Archivio di Stato settembre 2010 - GD n. 11 - 33 i segreti della gente “qualunque” Da rapporti di polizia vecchi di due secoli giungono a noi le vicende di fruttivendole, contrabbandieri, mendicanti, tessitori in rivolta, vagabondi, cantastorie, spazzacamini, garibaldini, ragazze di vita, donne violentate: storie stranamente simili alle nostre Il libro sarà in vendita a soli 20 euro Raggiunto un minimo di 250 prenotazioni prenderà il via la stampa. La prenotazione (dal 1° settembre a fine ottobre 2010): • in redazione (dalle 09.30 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 18.30) viale G. Cesare n.7 a Como, tel.+39 031 2759236 • Versando l’importo sul c/c postale n. 96278924 intestato all’editore “Il Senato delle donne”, causale: contributo a pubblicazione • Per i vecchi e nuovi abbonati sconto del 25%. La Consegna (dicembre): Il libro può essere ritirato direttamente in redazione. Per chi non può: invio postale con spese a carico dell’acquirente. Un libro partecipato: con la tua prenotazione dai avvio alla stampa La pesca del destino 34 - GD n. 11 - settembre 2010 nelle carte giudiziarie di due secoli fa In carcere per una pezza Ecco alcuni passi tratti dal libro Le genti meccaniche e di piccolo affare Le donne a tirare l’aratro ...Gli studi sulla vita economica dell’area di Como e del Ticino a cavallo tra XVIII e XIX secolo ci offrono un’ informazione accurata ed ampia... ...Ci sembra che invece non sia stata indagata in modo altrettanto accurato la vita della gente qualunque, la gente che “non fa notizia”. Ci riferiamo al destino a cui gli umili, i sommersi, fatalmente vanno incontro: l’anonimato. Noi pensiamo che valga la pena di cercare di dare loro un volto, di chiamarli col loro nome, di andare alla ricerca del caso per caso, per capire più da vicino la loro condizione, per aggiungere una tessera, per quanto piccola, al grande mosaico della storia... ...Una tabella relativa al dipartimento del Lario del 1814 sulla notificazione dei grani, mostra che la coltivazione di frumento e granoturco è addirittura inferiore, e non di poco, al bisogno della popolazione. Non diversa è la situazione degli allevamenti, destinati al consumo interno: assente è infatti il commercio dei bovini. La penuria di generi alimentari raggiunge livelli preoccupanti. Una relazione comasca relativa all’annona del 1774 mette in rilievo il fatto che la quota individuale di grano concessa agli agricoltori - inferiore di 8-9 volte a quella concessa ai soldati e ai carcerati - consiste di 4 once scarse di pane al giorno. Così che i contadini “con tal riporto non ponno né vivere né lavorare”. La condizione delle donne è anche peggiore. Quando gli uomini lasciano i campi per l’industria manifatturiera, sono le donne che si occupano dei lavori dei campi. E là dove si può usare l’aratro, non vi si aggiogano i buoi, ma le donne appunto... Carcere per una pezza lasciata a metà ...I documenti del tempo rilevano le lamentele dei fabbricatori, scontenti del lavoro delle donne addette alla trattura, che venivano pagate a cottimo, e che perciò badavano più alla quantità che alla qualità. E non meno critico era l’atteggiamento nei riguardi dei tessitori, tanto che nel 1763 era stato promulgato un editto: 1) se un tessitore lasciava a metà una pezza cominciata rischiava il carcere; 2) se un capo tessitore assumeva un tessitore reo della colpa di cui sopra, sarebbe stato punito con la multa di 10 scudi; 3) un tessitore poteva cercarsi un altro posto di lavoro solo col consenso del fabbricatore; 4) chi sottraeva del materiale che gli era stato affidato, sarebbe stato frustato pubblicamente, e messo alla gogna con un cartello al collo recante la scritta “ladro di manifatture”... settembre 2010 Per i mendicanti obbligo di un distintivo ...Il Magistrato della Sanità interviene: i mendicanti dovranno portare un distintivo, con l’immagine di S. Abbondio, che non dovrà essere ceduto ad altri, l’elemosina dovrà essere richiesta umilmente a voce bassa. Coloro che riceveranno il distintivo dovranno partecipare tutti i lunedì alle giornate sulla dottrina cristiana a loro espressamente riservate dalla Compagnia di Gesù... - GD n. 11 - 35 idee&parole Intervista a Shobhaa Dé, giornalista e autrice di India Superstar Foto: ©Vikram Bawa gd gd È meglio quando comandano le donne! di Maria Tatsos I n India è un’autentica celebrità. Giornalista ed editorialista, è la regina dei salotti di Bollywood ed è anche autrice di popolarissimi bestseller che intrecciano amore, denaro e sesso. Shobhaa Dé è un’icona. Essere ricca e affascinante l’avrà certo aiutata, ma ci vuole intelligenza e sensibilità per riuscire a coniugare una brillante carriera con una famiglia di sei figli. Oggi, a 62 anni, ha deciso di raccontare al mondo la “sua” India, con un saggio che ha l’ambizio- 36 ne di offrire uno sguardo femminile sul Paese. Perché, come racconta, “le donne vedono, toccano, sentono le cose e le culture in un modo differente”. E perché la storia, per tradizione (e non solo in India) l’hanno sempre raccontata gli uomini. L’abbiamo incontrata in occasione del lancio italiano di India Superstar (edito da Tea, € 12). Un libro che è una “lettera d’amore” per l’India, che non è più soltanto la terra dei santoni, dello yoga, del curry e dei mendicanti, ma è una nazione che sta cambiando volto. Grazie a un’economia in crescita malgrado la recessione internazionale. - GD n. 11 - settembre 2010 idee&parole E grazie ai suoi giovani (sono oltre 600 milioni sotto i 30 anni) colti e ambiziosi. In questa India dai mille volti e contraddizioni, anche la posizione delle donne è in fermento. Se non si bruciano più le vedove sulla pira del marito defunto, la violenza in famiglia resta una piaga endemica. Eppure, questo Paese vanta una leadership femminile importante, soprattutto in politica: da Indira e Sonia Gandhi fino all’attuale presidente della Repubblica, Pratibha Patil, nominata nel 2007 e prima donna a ricoprire questo incarico. E c’è anche Kumari Mayawati, primo ministro dell’Uttar Pradesh (lo stato più popoloso dell’India) e prima leader politica proveniente dalla casta degli intoccabili, i dalit. In India le differenze nello stile di vita fra città e campagna sono enormi, soprattutto per le donne. Quanto ci vorrà perché la situazione cambi? Almeno un ventennio. Per secoli, la nostra è stata una società patriarcale, con tante contraddizioni. Per esempio, la posizione femminile migliorava con l’età. Anche oggi, una sessantenne è più autorevole e rispettata in India che in Europa! Dal punto di vista giuridico, la nostra Costituzione promuove l’uguaglianza e le pari opportunità. Una normativa, fortemente voluta da Sonia Gandhi, riserva il 33% dei seggi parlamentari alle donne. Contro la violenza in famiglia, ci sono centri di aiuto presso la polizia e la legge offre protezione. Ma la società non incoraggia le donne a difendersi: denunciare il marito è un atto di slealtà nei confronti della famiglia. Comunque, anche nei villaggi qualcosa si muove. Il Panchayati raj, un organo di autogoverno locale composto da cinque persone, per tradizione era in mano agli uomini. Grazie alle leggi, circa 100.000 capi di questi consigli attualmente sono donne. Nelle loro comunità ci sono meno corruzione e alcolismo, e istruzione e sanità sono migliorate. E pensare che molte di loro sono analfabete! Ma stanno facendo un ottimo lavoro. L’infanticidio femminile esiste ancora? Sì. C’è un villaggio del nord dell’India, per esempio, dove da anni nei registri anagrafici non risulta la nascita di una bambina. Nascono soltanto maschi? Ovviamente no. Le neonate vengono eliminate. Dove è meno difficile nascere donna? In Kerala, per esempio. La società è matriarcale, le donne hanno in mano tutto, inclusi il denaro e l’eredità familiare. Qui l’alfabetizzazione raggiunge il 99% e le donne sono più consapevoli dei loro diritti. Purtroppo questa è una situazione particolare, di un piccolo Stato. settembre 2010 I padri indiani? Meno autoritari, più vicini ai figli Come sta cambiando la società indiana? Abbiamo rivolto questa domanda a Sudhir Kakar, noto scrittore, docente universitario e psicanalista, che con la moglie Katharina ha scritto il saggio Gli Indiani. Ritratto di un popolo (Neri Pozza, € 16). “Il mutamento maggiore riguarda la situazione femminile. È un processo iniziato quaranta anni fa, con l’accesso all’istruzione e poi al mondo del lavoro e alla carriera. Le famiglie nucleari (non più allargate) stanno diventando più importanti. In questo ambito, è interessante sottolineare il nuovo ruolo del padre: una volta era una figura distante dai figli, oggi è più coinvolto nella loro educazione. Ne consegue anche un diverso atteggiamento, anche nelle organizzazioni, nei confronti dell’autorità. Un altro mutamento importante riguarda la sessualità, per tradizione conservatrice, ora più erotica.” Donna e single: è possibile? Nelle grandi città, sì. Ma in campagna non è consentito: si viene costrette al matrimonio. L’India ha regalato al mondo il Kamasutra, ma il sesso da voi resta un tabù. Anche fra i giovani? La situazione sta cambiando, ma lentamente. Oggi non sconvolge più vedere, in un film, una coppia a letto, suggerendo che potrebbero fare o aver fatto sesso, anche se non sono sposati. Fino a 10 anni fa, l’eroina del film doveva apparire vergine e virtuosa. Persino se era nata negli Usa o in Gran Bretagna. E comunque anche oggi, in molti annunci di ricerca dell’anima gemella, gli uomini cercano una compagna “vergine e di pelle chiara”. La colonna portante della società indiana è sempre stata la famiglia allargata, in cui più generazioni convivono sotto lo stesso tetto. Oggi la ricerca del denaro e il desiderio di carriera stanno cambiando il tessuto sociale urbano. La famiglia tradizionale è destinata a occidentalizzarsi? Questa è la mia grande paura, ma temo che sia inevitabile. I divorzi aumentano, ci sono più genitori single, matrimoni e maternità sono rimandati nel tempo… Saremo più felici? Non credo. Intorno a me vedo gente che quando si trova a tavola con i familiari anziché conversare si relaziona con il proprio Blackberry. I giovani vanno a letto con il portatile per continuare a lavorare. Avremo una società di individui sempre più scollegati fra di loro e fragili. - GD n. 11 - 37 Rubrica a cura di Katia Trinca Colonel - [email protected] gd LACONTALIBRI Quelle che si vogliono incazzare Caterina Soffici Ma le donne no. Come si vive nel Paese più maschilista d’Europa (Feltrinelli, 14 euro) Caterina Soffici, fiorentina, vive a Milano con il marito e i due figli. Ha scritto per quotidiani nazionali, per Radio Due e Radio Tre. Bisognerebbe che questo suo libro facesse discutere. E invece… Il 2 giugno 1946 all’Assemblea Costituente entrarono 21 deputate su 556 uomini. L’onorevole Teresa Mattei – la più giovane rappresentante eletta nelle liste del Pci – ricorda le battute con cui gli uomini accolsero la novità: “E durante quei giorni, sì il ciclo, come potrebbero giudicare con serenità?” Sessant’anni dopo la mentalità non è cambiata di molto, il numero delle donne elette, in Italia è appena raddoppiato e rimane tra i più bassi d’Europa, inferiore a tanti Paesi del Terzo Mondo. L’autrice – dalle lacrime della Prestigiacomo all’impossibilità di avanzamento di carriera di Mariangela, ingegnere idraulico, al fenomeno delle veline in politica, alle donne-coraggio che lottano contro le dittature – intraprende un viaggio nell’Italia delle donne e non solo. Confrontata con i casi extraeuropei di discriminazione, la situazione nostrana si differenzia in un aspetto fondamentale: la consapevolezza del diritto. In Italia la divaricazione tra dimensione legale e dimensione etica è drammatica. Le pari opportunità, garantite sulla carta, nella vita quotidiana non trovano ancora applicazione. E le donne, nella maggior parte dei casi, non si avvalgono della legge per farle rispettare. Facciamoci due risate sul mondo della TV Filosofia facile per fare il punto della situazione “In quanto filosofa, ho sentito il dovere di abbandonare la torre d’avorio in cui si trincerano spesso gli intellettuali per spiegare le dinamiche di oppressione che imprigionano la donna italiana”. è raro che una donna si impegni in un “atto d’amore” nei confronti del genere femminile. Le donne scrivono delle donne, certo, ma lo fanno più spesso per raccontare - attraverso romanzi-verità o neri gialli e rosa - di altre come loro, madri, figlie, mogli; come gli uomini, cercano e tessono il filo rosso che collega dolori, sogni, paure. Più raro è che una donna parli a tutte le donne, come si suol dire, con il cuore in mano. Questo bel saggio di Michela Marzano, facile e fluido, spiega tanto di noi. Alieno da toni predicatori, dipana le nostre debolezze e fa leva sui punti forti. La Marzano ci mette in mano il martello per rompere il “soffitto di cristallo”, ci invita a “fare rete” per migliorare insieme. Michela Marzano Sii bella e stai zitta. Perché l’Italia di oggi offende le donne (Mondadori, 17 euro) Michela Marzano è professore associato all’Università Descartes di Parigi. Si occupa di filosofia morale e politica. Noi italiane non siamo fiere di lei come meriterebbe. 38 Alessandra Faiella Il lato B (Fazi Editore, 17.50 euro) Ve la ricordate la cubista del Pippo Kennedy Show? è lei, Alessandra Faiella. Attrice comica, ha lavorato con Dario Fo e Franca Rame. Conosce bene il mondo delle veline e questo suo primo romanzo lo dimostra. “Chi sono? Una ragazza semplice così come sono semplici le mie ambizioni: trovare un ragazzo che mi ami e mettere su famiglia, avere dei bambini, insomma i sogni di tutte le ragazze normali. E… ve lo confesso: sono ancora vergine. Traduzione: Chi sono? Una gran zoccola che si è fatta strada a suon di chupa chups e che arriverà così in alto che neanche ve lo potete immaginare, ricca e famosa che Julia Roberts è una sguattera a confronto ma con una ideuzza in più, un’idea così spudorata e scandalosa che quasi non oso confessarla nemmeno a me stessa”. Cinica, spietata, intelligente e… con un gran bel lato B. Alessandra Faiella ha creato un mostro: si chiama Katia G. è una ragazza ambiziosa che sfrutterà il suo corpo per arrivare in alto, molto in alto. E ci farà sbellicare dalle risate. - GD n. 11 - settembre 2010 Qui si dà conto dei libri in uscita ma è anche il luogo che racconta delle loro storie e delle emozioni che evocano in noi. Chi è alla ricerca di una Kay Scarpetta autentica Come sarebbe fiero Walter Tobagi, giornalista ucciso dalle Brigate Rosse nel 1980, della figlia Benedetta, che al momento della sua morte aveva solo tre anni. Questo non è solo il ritratto circostanziato e lucidissimo di un padre. Questo è un libro scritto con una prosa matura, articolata e avvolgente. E non è solo la storia di una figlia che va alla ricerca del padre, è uno spaccato d’Italia, è una voce che grida tutto il suo sdegno perché ancora oggi giustizia non è stata fatta. Finalmente, chiusa l’ultima pagina, quando Benedetta si trova, faccia a faccia, suo malgrado, con uno degli assassini del padre, si comprende davvero cosa sta nel fondo del suo cuore: “Per quanto cocente e palese, il pentimento di Marano, io non ho le forze per perdonare. Voglio che viva e vada avanti, ma non può chiedermi le risorse per farlo. Ho diritto di non perdonare”. (Mondadori, 17 euro) La dottoressa Cristina Cattaneo, antropologa forense e medico legale, si sveglia spaventata da un terribile incubo. Come ogni tanto accade – la tensione del lavoro, le cose dimenticate, quelle da fare ci vengono a far visita nel sonno – anche la dottoressa ha messo in piedi lo spettacolo notturno dei suoi “casi”. Angosce legate a quel cadavere che non è riuscita a identificare, a quella giovane donna che le chiede conto del suo bambino, a quell’uomo cui hanno sparato in testa, a quell’altro che si è tolto la vita, a quel santo che… ma era davvero “quel” santo? Storie di corpi freddi da sezionare, ossa da misurare e analizzare, nel tentativo di ricomporre la vita di uno sconosciuto, di ridare dignità a brandelli martoriati che vengono alla luce, improvvisamente, oggi o che riemergono dai secoli passati. Con uno stile avvincente la dottoressa Cattaneo ci mette a parte dei suoi enigmi. Quelli che la scienza non sempre può svelare. Leggiamo la vita dell’autrice dalle prime, timide, sperimentazioni all’Università alla direzione di Labanof di Milano, e seguendo la sua carriera ci avviciniamo alla scienza forense, spiegata con umiltà e passione. Cristina Cattaneo è medico legale. Ha studiato biologia, antropologia e paleopatologia in Canada e in Inghilterra. Dirige Labanof, Laboratorio di antropologia e odonotologia forense di Milano. Questo è il suo terzo libro. Il suo stile è un bel mix di divulgazione, gusto per il giallo, autobiografia ragionata. Per quelle che non hanno paura di riflettere sulla morte gine bellissime, pulsanti di vita, sì di vita, non di morte. Una lezione di dignità e coraggio impagabile. La Tatafiore ripercorre le sue ultime giornate e ci narra la sua storia. Una storia che commuove, appassiona, indigna, ma che non lascia l’amaro in bocca. Tutt’altro. Il retro di copertina ci consegna queste sue parole: “A chi appartiene la vita? Alla società? A Dio? A noi stessi? Credo che la vita appartenga a ogni individuo libero di affidarla a chi vuole in base a ciò che gli suggerisce la coscienza”. (Rizzoli, 17 euro) Questo è uno di quei libri che si prendono dallo scaffale con un nodo alla gola e tanto pudore. Roberta Tatafiore, per tante donne, è stata una figura di riferimento del femminismo. Ne ha visto la parabola e il declino, è rimasta ferma in molte sue convinzioni (l’idea sugli uomini che non sempre è condivisibile) ripensandone però le fondamenta. Alla fine del 2008, a 65 anni, scopre di essere malata e decide di togliersi la vita. Ma prima, dal 1° gennaio al 31 marzo 2009, stila queste pa- Benedetta Tobagi Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre (Einaudi, 19 euro) Benedetta Tobagi è nata a Milano nel 1977. Laureata in filosofia collabora con giornali e case editrici. è una colonna della memoria del terrorismo. Roberta Tatafiore, sociologa, giornalista e saggista, ha scritto per diversi quotidiani e si è impegnata a fondo per i diritti delle prostitute. è stata una naufraga felice. settembre 2010 - GD n. 11 - LACONTALIBRI Diritto di non perdonare Cristina Cattaneo Certezze provvisorie. Il vero volto delle scienze investigative forensi. Roberta Tatafiore La parola fine Diario di un suicidio gd 39 gd idee&parole Una grande voce la gioia di vivere e di fare vivere vere emozioni Intervista a Giuliana Castellani, mezzosoprano, uno dei migliori talenti lirici della nuova generazione – La lotta contro la malattia e la ripresa del canto di Emanuela Ravetta Ruini G iuliana Castellani è luminosa e gioiosa come la giornata di sole del nostro incontro. È la persona entusiasta e determinata sentita al telefono. È accompagnata da Pito, un labrador nero e forte, presenza silenziosa e vigile. Giuliana ad aprile ha vinto il Tour de Chant 2010, concorso canoro internazionale riservato alle migliori voci liriche, tra 400 partecipanti. Ha incantato la giuria esibendosi con il finale della Cenerentola di Rossini ed è stata indicata come “la più matura per affrontare il palcoscenico dal vivo”. Ha vinto una scrittura per la prossima stagione con il Teatro Massimo di Palermo. Conosce già qualche particolare? Sono andata al concorso preparata, determinata a vincere, quindi sono stata contenta del successo. Non conosco ancora i dettagli del contratto ma saranno opere del mio repertorio come il Barbiere di Siviglia, Italiana in Algeri, Cenerentola… 40 Ha intrapreso lo studio del canto dopo aver assistito a una rappresentazione della Tosca di Puccini… La musica è una passione di famiglia. Mio padre ha suonato la batteria e mia madre ha cantato per anni il repertorio di Edith Piaf. Ha una voce da contralto anche se canta musica leggera, e io ho preso da lei la vocalità rotonda che mi ha portato alla lirica. Quando a 13 anni ho sentito la Tosca mi si è aperto un mondo incantevole. A 14 anni ho iniziato a studiare canto a Lugano con la soprano Ferracini e il basso Loomis. A 15 anni ho tenuto il primo concerto ma a 17 i sogni si sono infranti. Una forma tumorale e una tracheotomia mi hanno tenuta ferma per anni. Nel 2001 ho ripreso a cantare e un amico medico si è dichiarato stupefatto dei risultati raggiunti. Il canto è il miglior mezzo per trasmettere la mia gioia ed emozionare le persone. Come ha conciliato impegno scolastico e canto? La facilità di apprendimento mi ha accompagnata nel periodo scolastico e nell’attività. Ancora oggi riesco a memorizzare uno spartito e suonarlo al - GD n. 11 - settembre 2010 gd idee&parole pianoforte dopo solo tre letture. Curioso, perché alcune teorie affermano che i medicamenti fanno perdere la memoria, e io ne ho presi molti. Ecco perché sono grata alla vita: nonostante le vicissitudini ho conservato canto e memoria. Ha qualche preferenza tra i grandi Maestri? Li amo tutti. Amo Rossini, la sua sonorità e l’agilità. Quando ascolto la Tosca, ho il rammarico di non poterla cantare, ma conosco i miei limiti... Ho avuto la fortuna di sentire Mirella Freni alla Scala cantare la Fedora di Giordano e ho pianto. Mi emozionano Corelli e Leo Nucci, uno dei più grandi baritoni viventi. è bello sentire l’onomatopeicità di certi suoni che il compositore mette al servizio della parola come ne Il temporale del Guglielmo Tell. Infatti, quando mi esibisco in un concerto, immagino di avere una tela per ogni brano e di dover dipingere, con i colori della voce e la mimica facciale, un quadro per chi ascolta. “Grandi Voci per la ricerca”: concerti lirici organizzati dalla Fondazione IRB (Istituto di Ricerca in Biomedicina), di cui ricorre il decimo anniversario. Il concerto di gala è programmato il 9 settembre al palazzo dei Congressi di Lugano… La ricerca ha permesso di debellare il male che mi ha colpita e di riprendere la mia attività, quindi dò con gioia il mio contributo e mi sento onorata di essere parte di questa iniziativa, nata con l’intento di riunire grandi voci a Lugano. In questo concerto si esibiranno, tra gli altri, il baritono Leo Nucci e Vittorio Grigolo, giovane tenore che canta anche al Giuliana Castellani nasce a Locarno nel 1979 e inizia giovanissima lo studio del pianoforte diplomandosi al Conservatorio Verdi di Como. Ha studiato canto con il soprano M. Grazia Ferracini e il basso James Loomis. Tappe importanti della sua carriera sono state la registrazione dell’opera, su testo di Carlo Goldoni, Le Donne Vendicate di Niccolò Piccinni e l’esecuzione integrale in lingua originale dei 20 Lieder che compongono l’Opus 25 di Franz Schubert, Die Schöne Müllerin. Per il repertorio operistico ha lavorato con il maestro Roberto Negri, con cui ha inciso un Cd di Arie da Camera. Il suo perfezionamento vocale è proseguito sotto la guida del baritono Bruno Pola. Nel 2003 ha vinto il premio Enrico Caruso. Nel 2007 ha cantato a Bergen, in Norvegia, lo Stabat Mater di Gioacchino Rossini diretta da Nello Santi e ha interpretato la Serva Padrona di Pergolesi sotto la direzione di Bruno Amaducci. Nel 2008 ha debuttato nel ruolo di Cenerentola di Rossini al Teatro Nazionale della Valletta a Malta diretta da Michael Laus, con successo di critica e pubblico. Metropolitan, con l’orchestra “I pomeriggi musicali” di Milano. Sarà una serata bella ed emozionante. Il programma è opera dell’agente di Leo Nucci, lo stesso di Domingo. La prevendita è già iniziata e tutte le informazioni sono sul sito www.grandivoci.ch Per il futuro vorrebbe... o le piacerebbe… Spero di avere la fortuna di affiancare i grandi personaggi della lirica e poter imparare qualcosa di nuovo che mi permetta di nutrire il cervello e di perfezionarmi. Sono grata alla vita per quello che mi ha dato e per quello che mi ha tolto, ma mi ha dato di più di quello che mi ha tolto. Sono contenta di vivere. Giuliana Castellani in Cenerentola di G. Rossini. (Cenerentola apre ed entra Alidoro). settembre 2010 - GD n. 11 - 41 gd il racconto Ninna nanna ninna di Alina Rizzi L e pillole sono sparse sul tavolo. Le spinge col polpastrello lungo una linea immaginaria, ordinandole l’una accanto all’altra. Col palmo sfiora la superficie lucida e fredda del piano di marmo, e si ritrae istintivamente. Ha un brivido, ma passa subito. Si copre le mani con le maniche del pullover, raddrizza la schiena contro la spalliera della sieda e respira profondamente. Hanno tutte il medesimo colore e la medesima forma: sono bianche e tonde, simili ad un’unghia di mignolo, enormi. Ne prende una, la prima della fila, a sinistra. Non è difficile, occorre solo un po’ di coraggio e questo a lei non manca. No davvero, se riesce a guardarsi allo specchio ogni mattina, a dormire la notte, qualche volta persino a fare buoni sogni. dimenava sulle sue ginocchia finché le risa le mozzavano il respiro in gola, le guance si infiammavano. Umida di sudore si lasciava allora cadere sul letto. Gli occhi ancora accesi. “Basta solletico papà, ora basta!” implorava. Oh ma lui non ne aveva mai Pillole pallide e bianche Afferra con calma la seconda pastiglia. Non ha paura, ma questo già da tempo ormai. Da quando... Stringe le palpebre con forza, serra le labbra fino a sbiancarle. È tutto a posto, sussurra, non ci sono problemi. Andrà bene, lo sente. Terza pastiglia, con decisione. Il ricordo è lì in agguato, pronto a divorarle la mente in un solo boccone, ma lei sa essere forte, sa stringere i denti. O almeno, sapeva farlo. Ora, invece, qualcosa di morbido le si insinua dentro il petto, scivola dietro le costole, le attorciglia il cuore, glielo avvolge come una calda sciarpa. Abbandonarsi. È una tentazione fortissima, una specie di canto di sirene che la culla. Una ninna nanna. Rapida allunga la mano verso altre pastiglie, che raccoglie a caso. Due, tre, cinque? Basteranno a liberarle la memoria? Liberare la memoria No che non bastano! La musica è sempre lì dentro, e la invade, diventa più acuta, più forte, più allegra. Prende consistenza e vigore, si trasforma in un ritmo indiavolato. Che voglia di muovere le gambe, di dimenarsi e ballare! Come allora, sì, proprio come allora. Abbracciati stretti, incollati assieme. “Fammi ballare, fammi ballare ancora!” E lui non si tirava indietro. Così, così! Saltava e si 42 - GD n. 11 - settembre 2010 gd il racconto nanna ninna nanna abbastanza, mai. Lui voleva vederla ridere ancora e ancora e così il solletico cresceva, la divorava. Si insinuava sotto il vestito e andava dappertutto. Lei non aveva più fiato per respirare, non aveva più la forza di allontanare le sue mani grandi. “Ancora, ancora bambina mia,” lo sentiva sussurrare ed era insopportabile, tremendo, dolcissimo. Una gioia struggente la invadeva. Papà rideva, mentre il sudore della sua fronte le gocciolava sul collo, sulle labbra. La musica era altissima, non potevano smettere di ballare, il ritmo travolgente li incalzava. Cresceva, cresceva sempre più, diveniva devastante, un uragano che la colmava. Voleva sopportarlo ma non ce la faceva più, e allora dalle labbra spalancate le sfuggiva un urlo acuto, che lui subito soffocava con la mano. “Papà!” Finalmente tutto si quietava. La musica svaniva. Poteva abbandonarsi sulle lenzuola stropicciate ad occhi chiusi, sfinita, come morta. Lui la ricopriva con cura, dicendole di riposare. Forse domani Ha gli occhi serrati, il respiro frettoloso. Afferra altre pastiglie e si accorge che le mani tremano leggermente. Ha un peso dentro lo stomaco come se il dolore si fosse trasformato in un ammasso compatto, in una specie di gomitolo d’emozioni che non cercherà più di sbrogliare. Dalla finestra socchiusa entra un odore di pomodoro cotto. È già ora di pranzo. Riconosce i suoni che si levano dalla tavola apparecchiata nell’appartamento accanto. Suoni e profumi dimenticati, ma che non rimpiange. Preferisce le proprie costole appuntite, il petto piatto, la cavità del ventre che rientra tendendo la pelle sulle ossa del bacino. Allo specchio pare doversi spezzare nel gesto successivo, ma non accade mai. È forte, è coraggiosa. Sa tenere la bocca chiusa. Deve tenere la bocca chiusa. Ancora una pastiglia però, forse un paio.... La confezione rettangolare è vuota. La cartina di plastica mostra i vani spremuti: orbite cieche e sterili. Dieci confetti bianchi in cambio di vent’anni di vita. Li stringe nella mano: pesano quanto il macigno che ha nel petto, quanto i ricordi. Si alza dalla sedia con uno sforzo, fa scorrere l’acqua e apre il pugno sopra il lavandino. Le pillole corrono nello scarico, mentre lei si asciuga gli occhi con un gesto brusco del dorso della mano. Forse domani. Starnone 1975. settembre 2010 (Racconto inedito, vincitore del secondo premio del concorso letterario “Storie di Donne”, città di Arco, marzo 2010.) - GD n. 11 - 43 gd idee&parole Al Teatro Sociale di Como uno staff femminile vincente Incontro con Barbara Minghetti, una delle due donne in Italia (l’altra è Rosanna Purchia, del San Carlo di Napoli) che dirige un Teatro Stabile di Katia Trinca Colonel U no staff tutto al femminile. “È solo un caso, ma funziona alla grande!” Uno dei meriti di Barbara Minghetti (unica donna in Italia, assieme a Rosanna Purchia, sovrintendente del San Carlo di Napoli, a dirigere un teatro stabile) è sicuramente quello di essersi saputa circondare di persone motivate e affiatate, un gruppo vincente di donne che in pochi anni ha lavorato per riempire le sale del Sociale di Como dopo anni difficili. “Sono molto soddisfatta degli obiettivi che ho raggiunto,” dice Barbara Minghetti, “quello del teatro è un ambiente in cui poche donne arrivano ai vertici. Nel resto d’Europa il ‘celodurismo’ si sente meno e c’è più collaborazione. Quando partecipo alle riunioni di ‘Opera Europa’ ci si confronta, le problematiche sono tante e diverse ma può darsi che qualcuno che le abbia già affrontate e allora si mettono in comune le esperienze. Nel campo del marketing, per esempio, sono anni luce avanti a 44 noi. Prendendo contatti con altri professionisti del settore, parlandoci a quattr’occhi, si acquista fiducia. In Italia, invece, spesso trovi sovrintendenti che fanno fatica a parlarti.” Un gruppo di sole donne che lavora con il cuore Quanto al suo staff: “Siamo un gruppo affiatato, c’è rispetto e attenzione ai bisogni di tutti. Pochi giorni fa una delle mie collaboratrici è andata in maternità ma ha deciso di portarsi il computer a casa e continuare a lavorare a distanza. Quando ci sarà bisogno, lei aiuterà qualcun’altra”. Oggi raccoglie i frutti della sua competenza ma ci sono stati momenti, all’inizio, in cui Barbara era davvero scoraggiata: “Ci vedevano come quelli ‘venuti da fuori’, ci hanno massacrato ogni volta che il teatro non era pieno. Ma poi, poco alla volta, siamo riusciti a conquistare la stima degli spettatori e la Società dei Palchettisti non ha mai smesso di appoggiarci”. “Ho sempre lavorato tanto,” continua, “ma se penso a come sono arrivata qui mi pare che - GD n. 11 - settembre 2010 gd idee&parole (Foto by Carlo Pozzoni) Barbara Minghetti, già direttrice artistica del Sociale di Como, nel 2009 è stata nominata presidente di As.Li.Co. l’ente che gestisce il teatro cittadino. È curatrice e responsabile del progetto “Opera... domani” che avvicina il mondo della lirica ai bambini. È stata nominata unica rappresentante italiana nel consiglio di “Opera Europa” che raggruppa i maggiori teatri europei tra cui l’Opéra di Parigi, il Teatre Liceu di Barcellona, “La Monnaie” di Bruxelles e la Royal Opera House di Londra. Ha due figli e vive a Como. sia accaduto quasi per caso. Non sono ambiziosa, non mi piace il termine ‘carriera’, credo che la cosa che conta di più sia fare al meglio il proprio lavoro mettendoci tanta passione, far funzionare la struttura partendo da quello che si ha a disposizione, e deve esserci piacere nel farlo. Poi i risultati arrivano. Un altro fattore importante è circondarsi di persone che hanno a cuore la progettualità e con cui si lavora bene. Il fatto che il mio staff sia composto solo di donne è casuale ma devo dire che è risultato vincente.” Il progetto “Opera… domani” Una delle “creature” di cui Barbara Minghetti va più fiera è il progetto “Opera... domani”, ovvero la lirica spiegata ai bambini che prevede il loro coinvolgimento nell’allestimento degli spettacoli. Questo format è risultato vincente anche all’estero dove è stato esportato come “Opera education” e approdato di recente anche a Canale 5 per la trasmissione settembre 2010 Loggione. Ma Barbara Minghetti non si ferma: “Un altro obiettivo, in accordo con la Società dei Palchettisti, è riportare alla sua antica funzione l’Arena (uno spazio all’aperto accanto al Sociale un tempo teatro all’aperto)”. Poi c’è il festival “Como Città della Musica” che quest’anno, grazie al paziente lavoro della direttrice e dei suoi collaboratori, vedrà la partecipazione di compagnie di danza di fama internazionale, quali Momix e Tokio Ballet. Più modernità, più stimoli per i giovani “Voglio più attenzione alla contemporaneità”, si scalda la direttrice, “voglio più stimoli per i giovani e scuotere il torpore culturale che spesso prende questa città”. E se dovesse riassumere in poche battute cosa fa la differenza in una gestione al femminile non ha dubbi: “Più velocità nel prendere le decisioni, più sfaccettature, più facilità nelle relazioni e meno protagonismo a livello personale”. - GD n. 11 - 45 gd alimentazione Il ben mangiare genera salute Ricerche e studi innovativi invitano al recupero della tradizione e della semplicità in cucina per prevenire e controllare disturbi e malattie che minacciano salute e benessere La soluzione non viene da diete limitative e frustranti, ma da golose e colorate ricette. Il segreto è coniugare il risultato di studi scientifici con gusto e fantasia culinaria. di Daniela Mambretti O besità, patologie cardiovascolari e degenerative, diabete e osteoporosi possono essere prevenuti o controllati prediligendo la dieta mediterranea arricchita di nuovi sapori, mentre un’alimentazione basata su cibi integrali, povera di zuccheri e priva di artefazioni industriali può prevenire circa un terzo dei tumori. Partono proprio dalla scelta degli alimenti e dalla loro preparazione la prevenzione e il controllo di alcune patologie tra le più gravi e insidiose per la salute. 46 La parola alla scienza Il dipartimento di Medicina Preventiva e Predittiva dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano da anni studia i cibi che possono davvero contribuire alla prevenzione delle patologie oncologiche. Ne è nata una vera e propria guida culinaria il cui obiettivo principale è la riduzione del livello di glicemia e, conseguen- - GD n. 11 - temente, di insulina nel sangue. Alcuni cibi comportano un aumento della glicemia nel sangue e causano, di conseguenza, un immediato innalzamento del livello di insulina postprandiale che, a sua volta, fa aumentare gli ormoni sessuali e l’Igf-I, a loro volta causa di un maggior rischio legato ai vari tipi di tumori. Per spezzare questa catena, occorre optare per alimenti che contribuiscono a mantenere l’insulina a livelli accettabili e tali da non innescare questa reazione. E allora basta seguire alcune semplici regole. In primo luogo, combattere il settembre 2010 gd alimentazione sovrappeso che favorisce l’insorgenza di patologie oncologiche, oltre a altre complicanze cardiocircolatorie ormai note. Il ruolo del rosmarino Per i carnivori, un aiuto può venire dalla marinatura della carne con rosmarino fresco: uno studio ha dimostrato come l’acido rosmarinico contrasti la formazione delle amine eterocicliche, sostanze cancerogene prodotte durante la cottura. Anche i condimenti possono aiutare nella prevenzione: se è auspicabile una drastica riduzione di burro e margarina, sono invece consigliati l’olio extravergine di oliva, ricco di vitamine antiossidanti, l’olio di sesamo e quello di lino, ricchissimo di Omega-3, gli stessi acidi grassi contenuti nel pesce azzurro, dagli effetti ipotensivi, antitrombotici, antinfiammatori. Ottimo anche il gomasio, un mix di sesamo e sale, una gustosa fonte di calcio per condire zuppe e insalate. Cibi sì Per raggiungere il peso forma, meglio prediligere cibi integrali che saziano velocemente e soddisfano il palato, come il riso integrale, la pasta di grano duro, i cereali e i legumi come ceci, lenticchie, fagioli Azuki, ricchi di proteine ed efficaci controllori dei livelli di insulina. Cibi no Invece è opportuno evitare prodotti a base di farine raffinate, come il pane bianco, la pasta fresca e i dolci, che è meglio contenere anche per l’elevata presenza di zucchero e di conservanti industriali. Attenzione anche ai grassi di origine animale presenti in carni bovine, latte, latticini e uova. I grassi in essi contenuti sono direttamente correlati all’insorgere di alcuni tumori, come quello della mammella, e, inoltre, possono contenere sostanze nocive per l’organismo dovute ai mangimi destinati agli animali. settembre 2010 Tesoretti di vitamine Frutta e verdura sono dei veri tesoretti di vitamine, sali minerali e polifenoli. Fragole, lamponi, ciliegie, mirtilli e more proteggono dall’attacco dei radicali liberi, primi responsabili del precoce invecchiamento cellulare, mentre i ribes rossi, squisiti anche - GD n. 11 - con lattughino e feta, sono ricchi di potassio. Le Crucifere, quali broccoli, rape e cavolfiori, svolgono un’azione preventiva verso vari tumori, invece carciofi, asparagi e spinaci, ricchi di acido folico, prevengono alcune malformazioni neonatali come la labiopalatoschisi, o quelle a carico del tubo neurale, dell’apparato genitourinario, polmonare e cardiaco. E per i più golosi, via libera al cioccolato fondente: riduce la carie e gli ormoni dello stress. Per approfondire con consigli e ricette gustose I magnifici 20 - I buoni alimenti che si prendono cura di noi Marco Bianchi, Ponte alle Grazie Prevenire i tumori mangiando con gusto Anna Villarini e Giovanni Allegro - Sperling & Kupfer Corsi di cucina preventiva: Istituto Nazionale Tumori di Milano - numero verde 800.223295 oppure www.istitutotumori.it (cliccando Cascina Rosa) 47 futuro donna gd Fine della supremazia maschile nel Governo svizzero? Dopo le dimissioni di due ministri la presenza femminile potrebbe divenire maggioritaria – L’urgenza delle pari opportunità per le donne e per il Ticino di Fabrizia Toletti* si fanno nomi anche di donne e potrebbe succedere che 4 o 5 dei Consiglieri Federali da fine ottobre potrebbero essere donne. Recentemente, in Germania, in occasione della nomina del Presidente, si è introdotta una sorta di “quota azzurra” escludendo dall’inizio candidature femminili in modo da evitare che le due cariche più alte dello stato fossero in mano a donne. Mi aspetto dai nostri politici un po’ più di coerenza: nessuno si è preoccupato se negli ultimi secoli il potere politico è stato ad unico appannaggio dei maschi, nessuno si deve quindi scandalizzare per un sorpasso rosa che potrebbe verificarsi per di più in maniera democratica. A queste considerazioni aggiungo una motivazione che negli anni mi è stata proposta più volte al contrario: così come in passato non dovevano essere penalizzati “uomini preparati” a favore delle donne, oggi non devono le candidate fare le spese di una mentalità retrograda che vuole le donne non capaci di lavoro collaborativo e di concordanza. Da sottolineare è l’effetto che una forte rappresentanza femminile potrebbe avere. In molti campi della società il ruolo dei modelli è fondamentale: così C ome reagirebbe il paese ad una maggioranza di donne in Consiglio federale? è da prevedere una levata di scudi e una reazione negativa in Assemblea federale? La domanda è d’attualità dopo le recenti dimissioni dei ministri Moritz Leuenberger (PS) e Hans Rudolf Merz(PLR) hanno scatenato il solito balletto di candidature e sollevato domande che periodicamente vengono riproposte in queste occasioni. La presenza femminile in seno al Consiglio federale (3 donne su 7 ministri) è oggi consolidata. Per la sostituzione di entrambi i ministri dimissionari 48 - GD n. 11 - pure nella politica che vedrebbe sicuramente aumentare l’interesse delle donne. Un’altra riflessione merita la rappresentanza della svizzera italiana nel governo federale. Ormai dall’uscita dalla scena politica di Flavio Cotti, il Ticino sta a guardare senza poter accedere alla stanza dei bottoni. La legge federale sulle lingue del 2007 rappresenta un tassello fondamentale del plurilinguismo svizzero, ciò non di meno la presenza di un Consigliere federale della Svizzera italiana non è solo importante dal punto di vista linguistico ma soprattutto per avvicinare le problematiche di un cantone periferico come il Ticino alla realtà di Palazzo federale. Ultimamente, è stato innescato il dibattito relativo all’aumento dei Consiglieri Federali da 7 a 9, misura che potrebbe assicurare una presenza italofona costante nel Governo e d’altra parte permetterebbe una suddivisione dei Dipartimenti più moderna ed efficiente. Questa però è musica del futuro: i ticinesi non vogliono attendere una riforma del Consiglio federale per poter di nuovo salutare un Consigliere Federale del nostro cantone. Molte sono dunque le aspettative di questo rinnovo parziale del Consiglio Federale. Come sempre da garantire sono le pari opportunità, siano esse per le donne, o per le minoranze linguistiche e culturali. * presidente FAFT settembre 2010 gd futuro donna L’occhio femminile sull’economia futura di Fabrizia Toletti L ’Associazione 2020 ha lanciato il progetto “2020 Il punto di vista femminile sul futuro”. Dietro vi è Alliance F (Alleanza delle società femminili svizzere). Di che cosa si tratta? Il progetto intende formulare la visione del futuro della nostra società secondo la prospettiva delle donne e presentarla in forma appropriata al grande pubblico: questa presentazione si ricollega alle due precedenti esposizioni nazionali svizzere del lavoro femminile (Saffa) del 1928 e del 1958. La decisione di far vivere la terza Saffa venne presa dalle organizzazioni femminili nel 2008 dando vita ad Alliance F con il compito di dare il via al progetto con il nome iniziale di “Donne 2011”. Il tema prescelto, emerso durante questa riunione è risultato essere “Donna e Economia”. Nel corso del 2009 ha quindi avuto luogo la fase preliminare di progetto con l’obiettivo principale di definire i temi prioritari e riassumere gli aspetti finanziari. Anche il Ticino ha partecipato a questa fase, organizzando il 14 novembre presso l’USI, un workshop che ha individuato le tematiche di fondo: formazione, salute, ecologia, connettività (il settembre 2010 La terza esposizione Saffa sul lavoro femminile nostro mondo in rete), globalizzazione, mobilità, new work (il nuovo mondo del lavoro), individualismo, rivoluzione d’argento, female shift (il futuro al femminile). Nel 2010 è iniziata la fase concettuale del progetto (fase2). L’Associazione 2020 organizzerà a partire da un nuovo “Centro mobile della diversità” la terza Saffa. Obiettivo è trasferire le tematiche individuate nella prima fase in una forma di presentazione che sia flessibile, organizzata autonomamente, decentrante, che rispecchi le diversità. Per questo motivo l’associazione ha ripreso l’idea delle Case a tema: si tratta di ricerca, sviluppo, incontro e servizio, che promuovono il punto di vista femminile verso il futuro. Saranno condotte da donne e saranno a disposizione dell’economia, della politica e, soprattutto, della popolazione. Le Case a tema dovranno essere progettate nel corso del 2010 per garantire luoghi d’incontro durevoli nonché la - GD n. 11 - partecipazione di tutte le regioni a culture del nostro paese. Alla fine di quest’anno si organizzerà il Centro Mobile delle Diversità, e seguirà una fase di pubblico concorso per la progettazione di Case a tema in funzione tra il 2012 al 2016. Il progetto 2020 è patrocinato dalle tre consigliere federali Micheline Calmy-Rey, Doris Leuthard, Eveline Widmer-Schlumpf. Il lavoro femminile e il suo riconoscimento quale importante contributo al benessere dell’intera società è il fulcro di Saffa. Ancora oggi il lavoro delle donne e il loro contributo alla società non è riconosciuto e spesso viene compensato, rispetto a quello degli uomini, con retribuzioni inferiori fino al 20%. Per chi fosse interessato a conoscere meglio il progetto 2020 e a seguirne gli sviluppi, si consiglia di visitare il sito www.2020.ch (francese e tedesco). 2020 der weibliche blick auf die zukunft 2020 regard féminin sur l’avenir 2020 il punto di vista femminile sul futuro 49 gd nucleare Gli enigmi di Chernobyl A un quarto di secolo dal disastro nucleare della storia, sono ancora molti i lati oscuri – Bandazhevsky, scienziato bielorusso, ha pagato con il carcere e l’esilio le ricerche sui cibi e la loro pericolosità per contaminazione continua di Pierangelo Piantanida pa Orientale e Scandinavia, nonché, con livelli via via minori di radioattività, in molti altri Paesi europei come Germania, Francia, Italia… Un evento che ebbe conseguenze su vasta scala per anni (e ne ha ancora adesso, a livello sanitario e ambientale per le popolazioni e i territori maggiormente coinvolti…) e che evidenziò la pericolosità dell’energia atomica, determinando nel 1987 la vittoria dei referendum antinucleari nel nostro Paese. S ono passati ben 24 anni dal 26 aprile 1986, quando la sconosciuta località ucraina di Chernobyl al confine con la Bielorussia (entrambe allora in Urss), divenne famosa per il peggior disastro nucleare del mondo. La fortissima esplosione causata da una reazione chimica fuori controllo provocò lo scoperchiamento del reattore numero 4 della centrale, con fuoriuscita di una nube di materiali radioattivi, che ricadde poi al suolo contaminando vaste aree circostanti e rendendo necessaria l’evacuazione di 336.000 persone. Ma nubi radioattive si spinsero in Euro- 50 Il balletto delle cifre E se dopo tanto tempo non appaiono nemmeno oggi chiare le cause del disastro (errore - GD n. 11 - umano, carenze strutturali o un tragico mix fra i due), paradossalmente ancor meno unità di vedute vi è sul numero dei morti direttamente o indirettamente collegati all’evento. Se infatti la stima ufficiale redatta dalle realtà del Chernobyl Forum promosso dall’Onu (Oms, Unscear, Aiea, Fao…) quantifica 65 morti sicuri e “solo” altri 4000 presunti per tumori e leucemie in una proiezione di tempo di 80 anni, Greenpeace valuta in 100-270.000 le vittime, sino a quantificare in addirittura 6 milioni i decessi tumorali nel mondo in qualche modo riconducibili al disastro in una proiezioni di tempo di 70 anni, mentre i Verdi europei indicano settembre 2010 gd nucleare a Chernobyl e al nucleare. Scrive infatti Bonfatti sul sito che fu proprio Bandazhevsky a rendersi conto delle esatte dimensioni della tragedia seguente al disastro, non arrestandosi davanti alle verità ufficiali. (nel rapporto Torch-The Other Report on Chernobyl) come le morti presunte debbano essere fra le 30 e 60.000 unità… Un macabro rincorrersi di cifre nel quale s’inserisce la sconcertante vicenda del professor Yuri Ivanovich Bandazhevsky, oggi 53enne, nato nella regione di Grodno, in Bielorussia, e laureatosi nel 1980 all’Istituto di Medicina della stessa Grodno, rettore dell’Istituto Medico di Gomel nel periodo 1990-99, membro di numerose accademie nazionali e internazionali e autore di centinaia di lavori di ricerca (aiutato dalla moglie Galina, anch’essa medico). cibo contaminato Con precise ricerche il professore ha dimostrato che l’assorbimento delle radiazioni è legato all’uso da parte delle popolazioni di cibi contaminati con effetti devastanti per l’introduzione continua di piccole quantità e basse dosi di radionuclidi: i danni sono soprattutto a livello cardiovascolare. Le autorità hanno mantenuto un silenzio totale sugli effetti pericolosi dei cibi. La sua denuncia sulla pericolosità del cibo bielorusso gli “vale” l’arresto e la condanna nel 2001 a 8 anni di lavori forzati, in base a una legge contro il terrorismo e a pretestuose accuse di tangenti; in carcere poi gli è stata ridotta la minimo la possibilità di vedere la moglie, una volta ogni Fuori dal coro Una vicenda segnalata da Massimo Bonfatti, presidente dell’associazione Mondo in Cammino, sul portale ProgettoHumus (www.progettohumus.it), cui è dedicata un’apposita sezione e sul quale si trova vasto materiale relativo settembre 2010 - GD n. 11 - tre mesi. La mobilitazione internazionale (dal Parlamento Europeo ad Amnesty International, che lo riconosce come prigioniero di coscienza) gli consente di ottenere l’amnistia nel 2005, con allontanamento però dal Paese. Ora Bandazhevsky vive a Kiev, in Ucraina, dopo aver soggiornato in Francia e Lituania, con la moglie ed entrambi si trovano in pesanti ristrettezze economiche. Da qui l’appello su web dello stesso Bonfatti a una sottoscrizione che possa “aiutare sul piano umano chi ha pagato e sta pagando per le proprie idee”, e sostenere le vittime del fallout radioattivo (specie i bambini), con i progetti che lo stesso professore ha avviato tramite un’associazione da lui fondata. La speranza, poi, è di supportare i coniugi Bandazhevsky perché possano venire in Italia entro quest’anno, non soltanto per un breve soggiorno, ma anche per consentire loro di esporre i contenuti delle indagine e presentare “l’altra verità su Chernobyl”. 51 gd quaderno di viaggio Per le strade di Sana’a – Yemen Testo e illustrazioni di Maya Di Giulio O ltrepassare la porta Bab El Yemen è come entrare in una fiaba. Mani sapienti hanno steso un velo di poesia sulle case, decorandole con pizzi e arabeschi di stucco immacolato, mentre fregi ornamentali in mattoni tagliati si rincorrono in equilibrio e armonia sulle facciate monocrome color del suolo. Il centro storico di Sana’a, la capitale dello Yemen, è una distesa di elevate case di mattoni di argilla, di palazzi serrati gli uni agli altri dalle 52 forme irregolari lungo vicoli profondi e animatissimi, sovrastati da alte torri ricamate di bianchi stucchi. Queste tipiche costruzioni yemenite sono i grattacieli più antichi del mondo! - GD n. 11 - Uomini dall’aspetto fiero sostano a gruppetti agli angoli dei vicoli mostrando con noncuranza la propria jambiyah alla cintura. Dai dodici anni fino alla fine dei suoi giorni, ogni yemenita porta il proprio pugnale ricurvo alla cinta e non se ne separa settembre 2010 quaderno di viaggio mai. Cammino tra il formicolare della gente che vende, compra, urla, contratta nelle viuzze pulsanti di vita, alla scoperta dei minareti dalle candide decorazioni geometriche. L’odore delle montagne di spezie mi sommerge ancora prima di vederle. La merce è straripante: frutta, uva sultanina, fichi secchi mescolati a cordami, oggetti di rame, braccialetti d’argento in mezzo a dolci croccanti del colore dell’oro. Le botteghe sono minuscoli bugigattoli invasi da ogni mercanzia; al loro interno, accoccolati e quasi noncuranti, i venditori fumano il narghilè masticando contemporaneamente il qat. Non c’è yemenita che non dedichi buona parte del suo tempo all’utilizzo di queste foglie che provocano senso di benessere, ma anche forte dipendenza. Masticato a lungo e compattato per fargli assumere la forma di una pallina da tennis, il qat è tenuto in bocca per ore fino a deformare le guance. Le piccole foglie settembre 2010 verdi di questo arbusto invadono tutti i mercati; noto ad ogni angolo venditori ambulanti con fasci di qat che mercanteggiano animosamente la merce pregiata. Va consumata fresca, appena raccolta, non c’è molto tempo per la contrattazione! Mi muovo a fatica nel flusso incredibile di persone, tra banchetti di lampade a olio e piccole botteghe di artigiani che vendono decine di jambiyah. Ce ne sono di molte forme e dimensioni, dai pugnali più modesti ed essenziali a quelli più raffinati dall’impugnatura in legno e argento finemente cesellata, o in corno di rinoceronte con il fodero lavorato a filigrana e arricchito di pietre dure. Le donne si aggirano per i vicoli come fantasmi, completamente velate da capo a piedi. Se stanno ferme, non si capisce neanche da che parte stiano guardando. Celano dietro un manto di stoffe scure il loro viso, il loro corpo e la loro età. Me ne passano accanto tre con un lieve fruscio, mi- - GD n. 11 - steriose e silenziose, cariche di merci acquistate nei suq. Sento su di me i loro sguardi curiosi, ma non riesco neanche a scorgere i loro occhi. Mi faccio rapire da un forte profumo di pane e mi ritrovo davanti a una bottega dove enormi dischi di pasta non lievitata vengono lanciati contro le pareti di un grande forno. Appena si staccano sono pronti, profumati, bollenti e irresistibili. La voce invitante del Muezzin che chiama alla preghiera si diffonde improvvisamente nei vicoli e si innalza sopra le torri e i minareti. Il sole inizia a tramontare e riscalda i colori dei muri, gli ocra si accendono per poi trasformarsi in tonalità rosate a mano a mano che la luce si affievolisce. Dalle antiche finestre incorniciate di gesso bianco, cominciano a uscire luci soffuse filtrate da sottili lastre di alabastro e da vetrate colorate. Questa è davvero la città delle mille e una notte! 53 gd violenza/femminicidi focus Educare all’amore Essere maestre d’amore per arginare la violenza di Vera Fisogni complesso, essere donna o uomo fa la differenza, eccome. Ciascuna persona “sente” la realtà, anche e soprattutto in rapporto alla propria condizione di soggetto sessuato: l’essere femminile, più recettivo, si apre e accoglie il mondo molto più di quello maschile, la cui fisiologica intrusività lo rende in qualche modo meno stabile, meno continuativo nel rapporto con le cose o più avventuroso. Attenzione. Non è l’orientamento corporeo a “determinare” le scelte: piuttosto, è il diverso “sentire” ad esso correlato – ingrediente base del volere – a porre di fronte a decisioni più attente alla relazione con gli altri, all’accoglimento del positivo della vita, della realtà. Che cosa voglio dire? Nel portare un argomento antropologico, desun- P uò sembrare strano parlare d’amore al culmine di un’estate di sangue e follia contro le donne, in cui mani maschili hanno declinato la crudeltà nei modi più barbari. Ma forse proprio questa è la strada giusta per cambiare qualcosa, oltre che per ampliare gli orizzonti di un dibattito al femminile mediamente noioso, almeno in Italia, che non riesce a coinvolgere perché non sa entrare in contatto con la vita e i problemi. La mia proposta è di arginare la brutalità esercitando, con più consapevolezza, un’arte in cui le donne si sono sempre distinte, quella di essere maestre d’amore. Mi aspetto subito una critica: “Basta con questa idea che le donne siano, per natura, più portate al bene!” Sono d’accordo in linea di massima. Nessuna prospettiva deterministica aiuta il dibattito. Che sia donna o che sia uomo, la persona segue una condotta, cioè delibera di agire in un certo modo. E poi, diciamola tutta, parlare d’amore – oggi – ha il vago sentore di una farsa, fa pensare alle escort di Silvio Berlusconi e al Pdl, il sedicente “partito dell’amore” distintosi per l’odio tra le sue componenti interne. Eppure, bisogna riconoscere che ciascun essere umano, nell’esprimere il proprio volere, non prescinde mai in assoluto dal modo in cui è nel mondo, anche in virtù del proprio corpo. Insomma, per semplificare un discorso 54 - GD n. 11 - to dalla quotidianità di ciascuno (quindi ampiamente condivisibile e non deterministico), non intendo affermare che la donna sia più buona, ma semmai che ha più responsabilità davanti al bene. Maggiormente interpellata dal positivo della vita, è chiamata con più forza a risponderne. Mi chiedo se questa consapevolezza sia condivisa. Probabilmente no: non come dovrebbe essere. Nel dibattito sulla violenza contro il genere femminile prevalgono riflessioni sul ruolo di vittime a cui le donne sono (drammaticamente) confinate. Non si sta riflettendo a sufficienza su forme di prevenzione che non siano di tipo legislativo o poliziesco. Forse è arrivato il momento di domandarsi quanto faccia una madre, una compagna, una sorella, una collega settembre 2010 gd violenza/femminicidi d’ufficio per affinare, attorno a sé, il senso di rispetto verso il mondo in genere e in particolare verso la condizione delle donne. Che questo sia avvertito, a un livello intuitivo, lo provano alcune prese di posizione, come quella, autorevole, di Vera Montanari, a capo del settimanale Grazia che, proprio nel cuore della torrida sequela di violenze estive, ha invitato le lettrici (madri) a insegnare ai figli l’abc del rispetto. Mi permetto di rilanciare quest’idea con un respiro ancora maggiore, quasi una sorta di azione positiva, esortando chi legge a non perdere occasione per prendere posizione in tutte le circostanze in cui venga meno il riguardo verso le donne. Con il compagno, con il fratello, con il collega del lavoro, con gli estranei. Non sono convinta, tuttavia, che i maggiori risultati siano procacciati dalla logica, dal “discorso” o dal “dialogo” pedagogico, fatto con l’intenzione di orientare la cultura dominante in una certa direzione. Lungi dall’immaginare delle “maestrine dalla penna ros- sa”, cioè stereotipi di educatrici, penso a persone consapevoli e aperte alla relazione. Ritengo, proprio sulla base dell’argomento proposto sopra, che il vero esercizio quotidiano d’amore, per una donna, sia quello di appianare i conflitti, mediare con un sentire fatto di logica, passione, sguardo comprensivo all’insieme e non solo rivolto al particolare. Per far questo, s’intende, bisogna credere nella forza creativa di atti indirizzati al positivo. Ma soprattutto, è importante capire che siamo di fronte a un impegno totale, per il quale si richiede un colpo d’ala etico. In questa sezione illustrazioni di Lorenzo Mattotti gentilmente concesse. settembre 2010 - GD n. 11 - 55 gd violenza/femminicidi Se la moglie è “forte” picchiarla non è violenza La Cassazione annulla una condanna a 8 mesi – La sentenza sancisce l’inferiorità di genere, impaurisce le vittime (scoraggia le denuncie delle offese subite), lede ferocemente la dignità femminile di Giulia Abbate Roma. Mogli che non si sottomettono? Se il marito le picchia può essere giustificato” . La Cassazione ha annullato la condanna a 8 mesi di reclusione di un uomo che per tre anni ha maltrattato la moglie. Il marito ha spiegato che la coniuge “non era per nulla intimorita”e la Suprema Corte gli ha dato ragione: non è “condotta vessatoria” un atteggiamento aggressivo non abituale. “Un regalo ai violenti”, così il ministro delle Pari Opportunità, Mara Carfagna, ha commentato la sentenza. S abato 3 luglio 2010, seduta in un bar di Milano leggo “la Repubblica”. In basso a pagina 18, vedo una foto formato tessera del ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna, accanto un trafiletto brevissimo di dodici righe, di quegli articoli che non legge nessuno, con il titolo: Moglie “forte”, trattarla male non è un reato. La Cassazione assolve un marito violento. L’articolo è il seguente. 56 - GD n. 11 - Quello che ho letto mi pare incredibile. Corro a casa per capire, per documentarmi. Vado su internet sperando di trovare fonti e informazioni. Repubblica, il supposto giornale dei democratici, non ha dato una riga; evidentemente ha ritenuto la sentenza della Corte di Cassazione una notizia che non ha valore. Apprendo che, ad avviso della Corte d’appello, “la responsabilità dell’imputato era provata sulla base di sue stesse settembre 2010 Liberate Sakineh Mohammadi Ashtiani vittima di un castigo barbaro, costretta con la tortura a confessare rapporti extra coniugali e partecipazione all’omicidio del marito ammissioni, anche se parziali, su testimonianze di medici, conoscenti e certificati medici, da cui si ricava una condotta abituale di sopraffazioni, violenze e offese umilianti, lesive della integrità fisica e morale” della moglie sottoposta a “continue ingiurie, minacce e percosse”. Apprendo anche che in Corte di Cassazione l’imputato ha sostenuto, con grande successo, che non si trattava di maltrattamenti in quanto la moglie “per l’ammissione della stessa di carattere forte, non era per nulla intimorita dal suo comportamento”, semmai solo “scossa, esasperata, molto carica emotivamente”. Per la Corte di Cassazione quindi i giudici del primo e del secondo grado avevano “scambiato per sopraffazione esercitata dall’imputato, un clima di tensione tra i coniugi”. Avevamo bisogno di una sentenza che, oltre a sancire l’inferiorità di genere, intimorisce le vittime a tal punto da impedire che queste denuncino le offese subite, lede ferocemente la dignità femminile e conferisce legittimazione e strapotere al sesso predominante, quello maschile? Ne avevamo davvero bisogno? Mi pongo un’altra domanda: in un Paese dove la maggior parte degli omisettembre 2010 cidi, delle violenze, degli abusi sessuali vengono perpetuati da padri, nonni, zii su mogli e figlie e cugine e nipoti, questa sentenza chi protegge? E poi faccio una domanda anche al Ministro: signora Carfagna, è insufficiente commentare una sentenza così atroce con una frase a effetto e basta? Non sarebbe necessario mettere da parte l’indignazione e agire? Questa domanda la faccio anche ad Alessandra Mussolini, a Rosy Bindi all’onorevole Saltamartini e a tutte le donne in Parlamento che, dietro frasi brandite con il tono dell’offesa, hanno fatto scivolare via la notizia e non si sono battute realmente. Ma se non potete e non volete agire almeno state zitte. Non voglio parlare degli abusi fisici e psicologici sulle madri e sulle figlie, sulle sorelle, ma voglio parlare della loro dignità. Questa sentenza è una sentenza contro la dignità. Di chi si è intimoriti? Si è intimoriti da qualcosa che è più forte di noi, dio, un potere, la malattia, la morte? E quando non si è intimoriti? Quando ci confrontiamo con qualcosa o con qualcuno che sappiamo di potere fronteggiare fisicamente o psicologicamente; - GD n. 11 - gd ma anche quando, pur essendo più deboli per svariati motivi, magari che non dipendono da noi, alziamo lo sguardo con un sussulto di dignità e il velo della paura e del timore viene dissolto. Una tragedia di Euripide del V secolo a.C. affronta il tema della donna, della vergogna e della dignità. Perché Medea uccide i propri figli? Nelle ultime battute tra Medea e Giasone Euripide chiarisce il tremendo e misterioso gesto della madre. Giasone: “I figli erano anche i tuoi, non soffri?” Medea: “L’importante è che tu non rida più di me”. Immagino la moglie del marito assolto che, offesa, alza lo sguardo, leggo nei suoi occhi la frase di Medea: in quello sguardo vi è il segno di moltissimi sguardi di dignità. Di cosa hanno paura i giudici, di cosa i padri, i mariti, gli uomini? Di quello sguardo, lo sguardo dell’altro sesso. Perché abbiamo permesso che il 2 luglio 2010 si sancisse la morte della dignità dello sguardo delle donne? E allora perché non alziamo lo sguardo, lo sguardo che intimorisce? 57 gd violenza/femminicidi Io quella l’ammazzo di Ornella Benzoni C hiuso nella sua posizione di potere sulla donna, l’uomo ha evitato di mettersi in discussione, di confrontarsi con i propri limiti, e quindi di poter stabilire relazioni autentiche, intime, feconde non solo con la donna, ma anche con gli altri uomini. Confinando e condannando la donna alla posizione di essere puramente biologico, deprivato di desiderio e autonomia propri, da guidare e sottomettere – anche con la forza, se necessario – l’uomo ha consegnato se stesso a una condizione di essere impoverito, semplificato, brutale, dalla sessualità rozza e scissa, deprivato dallo sguardo su se stesso. Un povero uomo, si può dire, che vive ben al di sotto della sua potenziale ricchezza di essere umano e compensa le proprie mancanze esercitando un brutale rapporto di dominio con una povera donna resa strumento e oggetto passivo. Questa la relazione tra i sessi nella storia. L’autonomia Adesso la donna ha conquistato la propria autonomia, ha recuperato i propri desideri dai luoghi bui dove erano stati imprigionati, adesso sceglie, parla, decide, propone valori etici. Adesso respinge la condizione di appendice dell’uomo, non è più disposta a lasciarsi determinare dai di lui desideri, imposti con le buone e, troppo spesso, con le cattive. Adesso, quando è il caso, dice no. Adesso, quando è il caso, rifiuta il suo compagno, lo abbandona. 58 La virilità Lui questo non lo accetta, ha costruito la propria virilità sul potere e sulla forza. Lui va in guerra, lui smotorizza a grande velocità su ogni strada, lui suona forsennatamente il clacson quando è in coda, lui si ubriaca con gli amici, zittisce figli con uno scapaccione, impone il canale televisivo, lui si paga una prostituta se lo vuole, è lui che porta a casa i soldi, lui gliela fa vedere ai tifosi dell’altra squadra, e anche a quel - GD n. 11 - lo che gli soffia il parcheggio, lui mica fa la coda allo sportello, lui uccide di botte il cane che lo disturba, lui la donna se la prende, mica la implora, se vuole fare sesso, lui non le permette di uscire con le amiche, né di portare la gonna corta! E quest’uomo, davanti all’abbandono, non sa più chi è. L’universo si è capovolto, gli sembra, e lui si è capovolto insieme all’universo. Identificato con l’esercizio della propria forza, ora che la compagna se settembre 2010 gd violenza/femminicidi n’è andata, non si riconosce più. Un generale senza truppa. Come ha potuto quella puttana ribellarsi, decidere da sola? Chi si crede di essere? E com’è che gli manca tanto, a lui, che può avere tutte le donne che vuole? E com’è che i giorni gli paiono vuoti, e c’è troppo silenzio, e non trova i calzini e i piatti si ammucchiano nel lavello? Lui è un maschio, mica può accuparsi di queste inezie da femmina. Di sicuro lei non ha agito di sua volontà. Di sicuro si è fatta influenzare da quelle ficcanaso delle amiche. Magari ha già un altro. Lei, di suo, non avrebbe preso l’iniziativa; mai avrebbe mollato uno come lui. Lui la voleva tutta per sé perché l’amava, è così che vanno le cose no? E l’ingrata invece se n’è andata. Ha voluto fare di testa sua e l’ha piantato lì da solo, lui, che la domenica, di ritorno della partita, le porta a casa il gelato. L’occasione Qui l’uomo potrebbe cogliere l’occasione per guardarsi allo specchio. Potrebbe capire che con il recupero della propria autonomia lei gli sta offrendo l’opportunità di indagare aspetti di sé che l’esercizio del dominio non gli ha permesso di conoscere. Potrebbe rifondare la propria identità in una relazione d’amore finalmente profonda, fiduciosa, teneramente complice, genuina. Respingendo il suo ruolo di povera donna, lei gli propone di riscattare se stesso dalla sua condizione di povero uomo. Ma lui è solo, debole, frustrato, e furioso. La sua forza virile patriarcale impazza intorno a lui, coltivata e vezzeggiata dai politici, dalle gerarchie ecclesiastiche, dai modelli televisivi, dalla maggior parte degli altri uomini. è furente. Deve vendicarsi, deve eliminare la fonte di tutto questo. Ha osato lasciarmi e deve pagare. Cos’ha creduto? Che mi accucciassi come un cagnolino? Le faccio vedere che chi comanda, alla fine, sono sempre io. La faccio fuori quella, deve morire, vado a cercarla e l’ammazzo. Nessuno ha mai fatto di me un ometto senza palle, l’ammazzo e me le riprendo, le mie palle! UCCIDE COI PUGNI LA PRIMA DONNA CHE INCONTRA Si chiamava Emlu Arvesu, madre di due figli: è uscita di casa il 7 agosto a Milano, è stata aggredita e travolta di pugni da un uomo, mai visto, massacrata, uccisa senza motivo. Lui un pugile ucraino, Oleg Fedchenko, 25 anni, in preda ad una depressione psicotica violenta, forse per dissapori con la fidanzata, si è buttato sulla prima donna che ha incrociato, una sconosciuta donna minuta, filippina. Una donna, una femmina, una qualunque da colpire, da annientare, da distruggere. La violenza maschile Perché fidanzati, amanti rifiutati e mariti respinti uccidono così spesso? – Questi femminicidi non sono delitti “passionali”, qui di passione non c’è traccia! di Katia Trinca Colonel considerati “normali”, bravi lavoratori, onesti cittadini, anime candide che hanno immolato sull’altare del sacrificio d’amore quelle donne che hanno vissuto un segmento di vita accanto a loro. Ma perché questi uomini hanno ucciso? Non è ora di domandarsi le ragioni di queste stragi? Non è ora di af frontare con serietà questa emergenza? 11 maggio-11 luglio 2010: 7 donne uccise da uomini lasciati o rifiutati. (Secondo una stima Istat ogni anno, in Italia, 100 donne vengono uccise per mano di ex mariti, fidanzati, sconosciuti…) Donne brutalmente assassinate perché avevano deciso di troncare la relazione con i loro assassini o perché rifiutavano il loro corteggiamento. Alcuni di questi uomini si sono uccisi dopo avere tolto la vita alle loro vittime. Qualcun altro, in prigione, incolpa la propria vittima della decisione estrema di toglierle la vita. Sono uomini settembre 2010 Cristina Gli ex alunni di Cristina Rolle, 32 anni, hanno aperto una pagina in Facebook per ricordare la loro maestra di scuola elementare, affettuosa e benvoluta. Non - GD n. 11 - dall’ex marito che l’ha trucidata con decine di coltellate durante un colloquio con l’assistente sociale l’11 maggio a Collegno. Giampiero Prato, 38 anni, e Cristina si erano separati nel 2008. L’ex marito era convinto che la moglie tramasse contro di lui per la visita alle due bambine nate dalla loro unione. Prato soffriva di disturbi della personalità. Maria Aveva paura Maria Montanaro, 36 anni, del suo ex, Gaetano De Carlo, 55 anni. Si sentiva spiata, 59 gd violenza/femminicidi riceveva miriadi di messaggini di insulti sul cellulare. La storia era finita ma De Carlo perseguitava Maria senza sosta. Si presentava a casa sua e una volta aveva preso a calci il cane che lei adorava. Mercoledì 30 giugno De Carlo l’ha freddata con 3 colpi di pistola alla testa. vita”, ha scritto Regazzetti in un bigliettino ritrovato dopo l’omicidio. L’ha uccisa il 3 luglio nel cimitero di Agnadello con una Glock, con regolare porto d’armi, che poi ha rivolto verso di sé. Sulla gamba Regazzetti si era fatto tatuare “D e R forever”. Simona Roberta 2 luglio: 50 coltellate. Andrea Donaglio, 47 anni, docente di chimica, ex allenatore di basket femminile, uccide così Roberta Vanin, 43 anni, a Spinea. Roberta, allegra e solare, aveva confidato alla madre e alle amiche di avere paura del suo assassino, ma non l’aveva denunciato perché “le dispiaceva”. Si erano lasciati 2 anni fa, dopo una relazione durata 7. Al magistrato Donaglio dice: “Non sopportavo di saperla felice con il suo nuovo amore”. Schivo, freddino, professionale, vegano e cultore di medicina alternativa: questa la descrizione di Donaglio dei suoi conoscenti. I genitori di Simona Melchionda si rivolgono, il 9 giugno, alla trasmissione Chi l’ha visto?, nel tentativo disperato di capire cosa poteva essere accaduto alla figlia, scomparsa il 6 giugno, che non aveva dato mai segnali di volersene andare, che avvisava sempre quando tardava. Un mese dopo, la verità: Simona è stata uccisa da Luca Sainaghi, carabiniere di 28 anni, che aveva una relazione con un’altra donna con cui aveva avuto un bambino. L’ha uccisa la sera stessa della scomparsa, con un colpo della pistola d’ordinanza, e poi l’ha gettata nel Ticino, dov’è stata ritrovata il 3 luglio. Debora Eleonora Debora, 20 anni, aveva deciso di chiudere la sua storia con Riccardo Regazzetti, perché non voleva sposarsi così giovane, come voleva lui. “Solo così potremo stare finalmente assieme per tutta la 11 luglio, ore 9: omicidio-suicidio in una tranquilla domenica nelle campagne intorno a Mestre. Fabio Riccato, 30 anni, uccide con 3 colpi di pistola l’ex fidanzata, Eleonora Noventa, e poi si spa- 60 - GD n. 11 - ra al petto. Metodico, ordinato, ligio al dovere, così è descritto dai conoscenti. Riccato è fresco di laurea in biologia con il massimo dei voti, si prende cura del giardino di casa, ama la natura, gli animali… e le armi. I due si frequentavano da appena 8 mesi. Eleonora aveva solo 16 anni; per lei, forse, era un amore troppo impegnativo. Aveva lasciato Riccato la sera prima dell’assassinio. Sonia Dopo avere ucciso Maria, De Carlo si precipita a Rivolta D’Adda per uccidere Sonia Balconi, 42 anni. A differenza di Maria, Sonia l’aveva denunciato, ben 7 volte. De Carlo raggiunge Sonia e le spara prima di togliersi la vita con la stessa pistola. Proprio mentre i carabinieri, dopo aver scoperto il primo delitto, proteggevano un’altra ex di De Carlo. Sonia aveva avuto una relazione con De Carlo e, nonostante Sonia fosse felicemente sposata con una bambina, De Carlo la perseguitava da mesi. Il proprietario della carrozzeria presso cui lavorava lo descrive come un operaio modello, serio, puntuale, efficiente. “Era ossessionato dai suoi amori finiti; era un tipo violento un po’ romantico”, hanno detto di lui. settembre 2010 gd arte al femminile Prima parte Le donne nella storia delle arti Artemisia Gentileschi, Autoritratto come allegoria della pittura, 1638-39, olio su tela. settembre 2010 - GD n. 11 - 61 gd arte al femminile di Alessandra Fasola “È ottimo, non diresti neppure che è dipinto da una donna.” Questo il giudizio che l’artista Hans Hoffmann, alla fine degli anni Trenta del Novecento, esprime davanti a un’opera dell’allieva pittrice Lee Krasner. Commento infelice, perché sottintende il pregiudizio secondo cui il massimo a cui un’artista (con l’apostrofo) può aspirare è lavorare come un uomo. Ma è un commento allo stesso tempo significativo, perché retaggio dell’eredità di secoli di preconcetti sulla capacità (o incapacità) femminile di contribuire ad attività “alte” quali arte, filosofia e scienza. le donne artiste di Bologna ne ha censite in Europa meno di 6500, considerando un periodo lunghissimo che va dal Medioevo al XX secolo. Fra queste, si trovano alcuni nomi abbastanza noti, come Lavinia Fontana, Artemisia Gentileschi, Rosalba Carriera. Mancano però personalità di primissimo piano, stelle riconosciute del firmamento artistico in grado di competere con i Grandi della storia dell’arte. Ma fu una donna, forse, a “inventare” la grafica Eppure, secondo il mito raccontato da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, le arti grafiche furono inventate proprio da una donna: la vergine Corinzia, figlia del vasaio Butade di Sicione, tracciò su una parete il contorno del volto del suo amato. Tra mito e realtà, la distanza è però notevole. Rarissime sono infatti le donne che hanno conquistato un posto nella storia delle arti, almeno fino al Novecento. Il Centro di documentazione sulla storia del- Ma perché non ci sono state grandi artiste? Da Giotto a Van Gogh, passando per Raffaello, Rubens, Velàzquez, Leonardo, Manet, Dalì, l’arte è un feudo maschile. Le ragioni? La storica Linda Nochlin le ha lucidamente analizzate nel saggio intitolato Perché non ci sono state grandi artiste?, concludendo, in sintesi, che il fatto che non sia mai esistito un Michelangelo femmina è una questione di pari opportunità: a lungo, e per svariate ragioni, le donne non hanno potuto fare arte alla pari con i loro colleghi uomini. Basti pensare, ed è solo uno fra i molti esempi, che per un problema di “decoro” alle aspiranti pittrici era vietata la copia dal vero del nudo. Esercizio considerato “sconveniente”, ma indispensabile per lo studio dell’anatomia e la corretta rappresentazione delle figure. Miniatura dal Liber Scivias di Hildegarda von Bingen, inizio XII secolo. Caterina de’ Vigri, Madonna con bambino e frutto. 62 - GD n. 11 - settembre 2010 Figlie, mogli, amanti… di artisti L’episodica presenza di qualche nome di donna nella storia dell’arte è dunque legata a particolari e contingenti situazioni, familiari e sociali, che hanno “permesso” la deroga a una norma che scoraggiava l’affermazione femminile. Quelle che “ce l’hanno fatta” sono soprattutto figlie, mogli e amanti di artisti, oppure donne privilegiate per estrazione sociale o apertura mentale della famiglia. E, in ogni caso, tutte hanno dovuto combattere contro condiscendenza nel giudizio e diffidenza, armandosi di coraggio e determinazione per scartare da un’esistenza su un binario già tracciato e affermare la propria capacità creativa. Le biografie di Sofonisba, Lavinia, Caterina e le altre svelano un percorso tormentato verso un “pari diritto all’arte”; percorso che coincide, in un contesto più ampio, con la ricerca dell’autonomia in molti campi del sapere e del fare. La storia delle donne artiste parte dai chiostri dei conventi medievali e dalle corti rinascimentali, dove riescono ad affermarsi ritrattiste di talento come Sofonisba Anguissola e Lavinia Fontana. Si passa poi attraverso la Bologna del Seicento, dove la pur bravissima Elisabetta Sirani era costretta a dipingere in pubblico per dimostrare la sua abilità e mettere a tacere le malelingue che mettevano in dubbio l’autenticità delle sue opere. Tappa dopo tappa… fino ai nostri giorni Si prosegue poi, conquista dopo conquista, con l’ammissione nelle Accademie d’arte (la data ufficiale è il 1784, quando all’Accademia Reale francese vengono accettate le pittrici Elisabeth Louise Vigée Le Brun e Adélaide Labille-Guiard), la possibilità di partecipare ai concorsi (spesso sotto uno pseudonimo maschile) e i primi riconoscimenti importanti, come la Legione d’Onore ricevuta da Rosa Bonheur nel 1865, per volere dell’imperatrice Eugénie. Tappa finale di questa sintetica storia è, forse, l’effettiva parità nel mondo dell’arte raggiunta ai giorni nostri: simbolici sono, fra gli altri, i Leoni d’oro della Biennale di Venezia per Marina Abramovic (1997) e Shirin Neshat (1999), e ai prestigiosi premi alla carriera per Carol Rama (2003) e Barbara Kruger (2005). Arte al femminile continua nei prossimi numeri di Geniodonna: verranno man mano presentate le donne artiste, a partire dal Rinascimento (con le pittrici nelle corti europee), per arrivare ai giorni nostri. settembre 2010 La pittura nei conventi: donne e arte nel medioevo I n epoca medievale il dominio della Chiesa su ogni aspetto della vita sociale limitava l’accesso delle donne agli studi, salvo nel caso in cui fossero destinate alla vita monacale. È proprio nelle biblioteche dei conventi che si trovano le prime opere grafiche certamente attribuibili a mani femminili: sono raffinatissime miniature che decorano le pagine dei volumi copiati a mano. A Ende, che si definisce “pittrice e serva di Dio”, si devono le immagini fantastiche di draghi, angeli e demoni che impreziosiscono il Commentario dell’Apocalisse del Beato (975 d.c.), conservato a Gerona. Herrat di Landsberg, badessa alsaziana, è l’autrice della prima enciclopedia illustrata della storia, compilata e miniata nella seconda metà del XII secolo. Hildegarda von Bingen è una monaca e veggente tedesca vissuta a cavallo tra XI e XII secolo che dipingeva le sue visioni mistiche in miniature, oltre a comporre musica e scrivere opere teologiche e filosofiche. Molto importante è l’attività di Caterina de’ Vigri (1413-63), la santa patrona degli artisti. Di famiglia benestante, Caterina cresce come dama di compagnia alla corte degli Este, a Ferrara. Studia latino, musica, poesia e belle arti. Insoddisfatta della vita di corte, prende i voti e fonda nel 1455 un monastero di clausura a Bologna, di cui diventa badessa. Le viene concesso di realizzare un piccolo studio in convento dove dedicarsi con tranquillità alla pittura, considerata uno strumento di comunicazione con Dio. Qui dipinge quadri religiosi (il genere più prestigioso, solitamente riservato agli uomini) e decora i codici. Fra le sue opere, gran parte delle quali sono conservate nel monastero del Corpus Domini a Bologna, la più nota è una Madonna con bambino e frutto. Con Caterina de’ Vigri, figura esemplare di donna religiosa e artista, si chiude il piccolo capitolo dedicato al Medioevo: fattore chiave nella storia delle donne nell’arte sarà, a partire dal Cinquecento, la diffusione di una cultura laica e cortigiana, che permetterà l’affermarsi dell’educazione femminile alle arti e in generale il raggiungimento da parte delle donne di posizioni sociali di prestigio. - GD n. 11 - 63 gd fiere ISOLA CHE C’E’ VII edizione 2010 Fiera provinciale delle relazioni e delle economie solidali – Sabato 18 e domenica 19 settembre – Parco comunale di Villa Guardia, Como di Idapaola Sozzani D a sette anni approdo certo nella navigazione equo-solidale in provincia di Como, la fiera “L’isola che c’è” presenta quest’anno un’edizione fortemente innovativa e ricca di proposte per consumi e stili di vita più responsabili, etici e sostenibili. Sabato 18 e domenica 19 settembre 2010, negli stand allestiti nel parco comunale di Villa Guardia (CO) i protagonisti saranno commercio equo e solidale, gruppi d’acquisto, cooperazione sociale e internazionale, riciclo e riuso, energie rinnovabili e bioedilizia, agricoltura locale e biologica, artigianato, turismo responsabile, pari opportunità e informazione. Accanto agli stand tanti appuntamenti qualificati scandiranno i tempi della fiera con presentazione di libri a tema e interessanti dibattiti e tavole rotonde: si parlerà di esperienze di Finanza Etica e di “Beni collettivi e gestione partecipata: dall’acqua all’informazione”. Ancora, si potrà assistere a una vera sfilata di abbigliamento “sostenibile” e poi seguire il seminario “Rivestiamoci di nuovo… la filiera del tessile attraverso trame di storia in cambiamento”, oppure imparare che esiste una mobilità diversa e sostenibile, quella del progetto “Como si 64 Foto: Giada Negri. muove! Sistemi e Tecnologie per la Mobilità del futuro”. Come di consueto i visitatori potranno contare su piacevoli momenti di degustazione a base di prodotti locali e dal mondo, sulla musica del coro “Macramè” e dei “Sulutumana” e i bambini potranno mettersi alla prova nei laboratori pensati per loro. Sfilerà anche la Parada par tücc e da ultimo … gran finale con percussioni e giocoleria infuocata. Per seguire in tempo reale gli eventi e approfondire la filosofia degli espositori l’Associazione Isola che c’è e CSV Centro servizi per il volontariato di Como inaugurano “News Km Zero”, spazio web dell’Isola 2010, ricco di interviste, foto, filmati video, in presa diretta durante la due giorni della fiera. Coordinato da Ecoinformazioni, vi collaboreranno le redazioni dei media partner presenti all’Isola, giornalisti volon - GD n. 11 - tari e giovani desiderosi di fare un’esperienza di informazione solidale “sul campo”. Per info e candidature dei volontari giornalisti, fotografi e cineoperatori contattate ufficiostampa@ csv.como.it Altra novità da non perdere le iniziative del caleidoscopico work in progress “Tavolo Donne”, che ha già coinvolto 12 tra le oltre 20 associazioni femminili del territorio comasco: anche noi di Senato delle donne abbiamo raccolto la sfida del tavolo e vi invitiamo al seminario “L’immagine della donna tra stereotipo e coscienza”, domenica 19 settembre alle 17.30, per dibattere sul tema dello stereotipo femminile nei mezzi di comunicazione, una vera emergenza – anche educativa – degli ultimi anni. Orari e programma completo della Fiera L’isola che c’è 2010 sul sito www.lisolachece.org settembre 2010