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Mensile delle pari opportunità di Como, Varese e del Cantone Ticino - Anno 2 - N. 11 - Settembre 2010
El Baloss
L’Odissea in dialetto
di Basilio Luoni
Grande prima a Como
23 ottobre 2010 ore 21
Teatro Nuovo Rebbio
Premiato dalla UE - progetto Geniodonna I.D. 7671128 - Interreg Italia/Svizzera Fondo Fesr
Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Como
OLTRE
LA CRISI
il punto
Maschile, femminile e post gender
di Chiara Ratti
Per chi non sa rinunciare al rito del quotidiano l’estate è una pacchia.
Messe da parte (più del solito) informazioni taroccate sulla situazione
economica, sullo stato di salute della nostra agonizzante,
ma sempre rediviva, compagine governativa, spuntano notizie curiose,
divertenti e su cui “in tempo di guerra”, cioè dal lunedì
al venerdì da settembre a metà luglio, non ci soffermeremmo.
Due, e di segno opposto, le notizie che mi hanno colpito: il successo
delle “ragazze di Ostia” su Youtube: due sgallettate dei “Castelli”
intervistate da un geniaccio di Sky sulla calura, capaci di rendere
internazionali “il calippo e la biretta”, cliccate centinaia
di migliaia di volte sul canale internet; e la probabile
rielezione del giudice Kagan negli Stati Uniti, definita
con un’intuizione sintetica senza pari post gender,
per la sua capacità di imporsi professionalmente “nonostante”
il suo essere donna o, peggio, “per” il suo essere donna,
ma semplicemente perché è una straordinaria
e intelligente professionista.
Pare che i suoi avversari politici siano stati conquistati
dalla sua competenza, dal momento che la signora
non è proprio una Venere. Certamente probabilmente aiuta
non avere un presidente del Consiglio che come capita invece
a Rosy Bindi non fa che sottolineare il fatto che sia
“diversamente bella”, come direbbero gli appassionati
del linguaggio politicaly correct. Ma non è questo il punto.
Steinberg 1974.
Il punto è: noi donne ci sentiamo pronte a scegliere
la strada del post gender? Voglio dire: ci siamo suicidate
per fare bella figura alla prova costume, diete da fame, palestra
allo sfinimento, sedute dall’estetista, e in spiaggia,
alla faccia dei melanomi e della prevenzione eccoci stese
come lucertole. Non tutte certo. Ma abbiamo investito
la stessa determinazione per far fare ginnastica ai nostri
neuroni, a chiedere un aumento di stipendio che spesso
ci meritiamo, a sostenere una posizione, a uscire
da un empasse con una battuta?
Abbiamo implicitamente accettato che essere in forma
sia una necessità, un dovere, mentre scusiamo
serenamente certe pancette da avvocato e commercialista
dei nostri vicini di ombrellone. Niente di male, intendiamoci.
Forse però siamo anche noi stesse ad alimentare questa mentalità
gender solo nel senso deteriore. Perché? Perché i modelli
ci danno sicurezza? Perché il conformismo è rassicurante?
Perché siamo “programmate” così? Perché essere realmente post gender
ci priva delle nostre arti femminili e, forse, dei nostri alibi?
disabilità
I disabili uniti
contro i tagli
A Roma una manifestazione inconsueta davanti a Montecitorio
di Ida Sala*
sì preoccupante. Così anch’io,
esponente del Comitato lombardo per la Vita Indipendente delle
persone con disabilità, mettendo
da parte le mie perplessità sull’associazionismo dei movimenti
per le persone con disabilità, ho
deciso in fretta e furia di calare
a Roma. L’ho fatto pur pensando (forse illudendomi) di non essere tra coloro che correvano il
rischio di perdere l’indennità di
accompagnamento (non cammino e non svolgo in autonomia
nessuna delle funzioni essenziali della vita) a meno che non si
consideri autonomia la possibilità di guidare la carrozzina con un
comando elettrico (d’inverno solo per qualche metro, per la verità) e di dettare al computer con
un comando vocale. L’ho fatto,
come tante e tanti altri, anche
per quelli che non hanno potuto partecipare per ragioni fisiche
o economiche. Il viaggio in treno per due, le 17 ore della mia
brava assistente, gli spostamenti
a Roma li ha pagati l’associazione. L’alzarmi alle 3.30, il non fare pipì fino a sera non sono stati
motivo di scoraggiamento. Alla
manifestazione (secondo gli organizzatori più di 2000 persone),
bella, colorata, divertente, festosa, sono arrivata con un’ora di ritardo e non mi sono azzardata a
penetrare fino al nucleo centrale. Mi sono fermata con Nunzia
Coppedè, agguerrita rappresen-
è
stata una strana manifestazione, quantomeno
inconsueta, quella indetta da Fish (Federazione Italiana
Superamento Handicap) e Fand
(Federazione Associazioni Nazionali Disabili) le due più grandi confederazioni di associazioni
delle persone con disabilità, il 7
luglio davanti a Montecitorio,
momento in cui il governo intendeva elevare all’85% il parametro di invalidità necessaria per
ottenere l’assegno mensile di assistenza (creando una illegittima
disparità fra gli invalidi civili) e
fissava nuovi criteri (irraggiungibili se non per chi si trova pressoché in stato vegetativo) per
ottenere l’indennità di accompagnamento. Non è mai successo
prima che le due organizzazioni
riuscissero a manifestare in modo unitario (tolta una riuscita
prova generale del 2009), e poi in
Italia le persone con disabilità e
le loro famiglie non hanno molta
pratica a scendere in piazza abituate, come sono ad arrangiarsi
e ad accontentarsi, a sentirsi una
minoranza incompresa e incomprensibile. Ma mai come con
questa manovra finanziaria, si
sono profilati tagli così pesanti,
così gravi offese e così inquietanti dichiarazioni come quelle
di Tremonti, e mai la campagna
di stampa sui falsi invalidi fu co-
settembre 2010 - GDn. 11 - gd
tante della Fish Calabria, nelle
immediate vicinanze.
A sostituire la mia flebile voce
ci hanno pensato i fogli formato
A4 che ho distribuito su tutto il
corpo appendendoli con mollette dei panni: “… gli invalidi sono
spesso, per quanto riguarda il reddito,
i più poveri tra i poveri, nonostante il
loro bisogno di denaro sia superiore a
quello dei normodotati, dal momento
che per cercare di condurre un’esistenza normale e di ovviare ai propri handicap, hanno bisogno di più soldi e di
più assistenza. (Amartya Sen – Premio Nobel per l’Economia 1998)”;
“Onorevoli, ci scambiamo le indennità?”; “Costituzione italiana, art.3:
È compito della Repubblica rimuovere
gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”; No tagli alle regioni!”…
Confesso che un tantino di vanto è affiorato nell’osservare gli
sguardi della folla e nel vedermi
fotografata dai turisti. La notizia
della completa vittoria, cioè che
non è stata alzata all’85% come
voleva il Governo, la percentuale di invalidità per ottenere l’assegno ma è stata lasciata al 74%,
è arrivata mentre Nunzia raccontava a Dino Barlaam (Associazione Vita Indipendente di
Roma e tanto altro): “Ma quale
Vita Indipendente possiamo chiedere
se neanche quella dipendente ci è concessa in Calabria visto che tolgono soldi al sociale per darli alla sanità!” Ci
siamo guardati: “Almeno questo pericolo è passato”. è del 12 luglio la
notizia di un emendamento della
Commissione Bilancio del Senato che prevede l’aumento del numero massimo di bambini nelle
classi frequentate da alunni con
disabilità. Non è mai finita… e allora: resistere, resistere, resistere.
*Presidente “Associazione comasca
per la vita indipendente”
1
gd
le coppie
è il vincolo affettivo che
costituisce le unioni civili
A Torino una nuova via per l’attestato di famiglia anagrafica – Il Consiglio comunale approva una proposta popolare e ne affida la tutela al Difensore civico
è
il vincolo affettivo fra persone, cioè il duraturo legame d’amore fra di loro, che costituisce le unioni civili: è questa scelta
amministrativa del Comune di Torino, compiuta
il 28 giugno scorso, con l’approvazione di una innovativa delibera di iniziativa popolare che ha dato il via al regolamento per il riconoscimento delle
unioni civili. L’anagrafe comunale rilascerà “una
attestazione di costituzione di famiglia anagrafica basata
sul vincolo di natura affettiva... inteso come reciproca assistenza morale e materiale”. L’amministrazione torinese prende atto del “crescere di forme di legami che non si
concretano nell’istituto del matrimonio e che si denotano per
una convivenza stabile e duratura”.
L’articolo 2 dello Statuto del Comune, alla base della delibera, prevede di “tutelare e promuovere i
diritti costituzionalmente garantiti attinenti alla dignità e
alla libertà delle persone, contrastando ogni forma di discriminazione,
e di agire attivamente per garantire pari opportunità di vita e
di lavoro a uomini e
2
donne e per rimuovere le discriminazioni basate sulle tendenze sessuali”.
è il Difensore Civico il “soggetto competente nella tutela dei diritti.…affinchè possa rispondere ai cittadini.”
Dunque la delibera sceglie la verità dei sentimenti, il legame affettivo come requisito per le coppie
di fatto che unisce cittadini di qualunque sesso e
provvede ad affidare al Difensore Civico l’organizzazione che possa rispondere assicurando ai cittadini il reale godimento di tutti i servizi comunali.
La delibera è un pungolo perché si arrivi a una
norma legislativa valida sul territorio nazionale.
Sul provvedimento quattro circoscrizioni hanno
espresso parere favorevole, una favorevole con osservazioni, quattro contrarie e quattro non si sono
espresse: in Consiglio comunale i voti favorevoli
sono stati 24, astenuti 3, contrari 4, assenti PDL
e Lega.
L’articolo 1 della delibera definisce che cosa è da
intendersi per unioni civili: “un insieme di persone legate da vincoli affettivi coabitanti nello stesso Comune”. Il
rapporto di affetto si estrinseca nella “reciproca assistenza morale e materiale”.
Il sostegno alle unioni civili verrà tradotto in pratica con specifici “atti e disposizioni degli Assessorati
e degli uffici competenti al fine di superare situazioni di
discriminazione e favorirne l’integrazione e lo sviluppo nel
contesto sociale, culturale ed economico del territorio”.
“Le aree tematiche entro le quali gli interventi sono da considerarsi prioritari sono: la casa, la sanità e i servizi sociali,
giovani, genitori e anziani; sport e tempo libero; formazione, scuola e servizi educativi; diritti e partecipazione”. Le
graduatorie “devono prevedere per le unioni civili condizioni di accesso con particolare attenzione alle condizioni di
svantaggio economico sociale”.
Fra le prime reazioni si sono registrate quella della
Chiesa Valdese che ha espresso il suo plauso alla
delibera e, subito dopo, quella della Curia cattolica
torinese che ha espresso la sua forte “perplessità e
amarezza”.
- GD n. 11 - settembre 2010
le coppie
I
l rilascio di attestato di costituzione di “famiglia anagrafica basata su vincolo affettivo”, deciso dal Comune di Torino apre una nuova, originale
strada per il riconoscimento delle unioni civili di fatto, qualunque sia il
sesso dei conviventi. Perché?
Per tre semplici ma fondamentali ragioni.
•La prima è che è stata percorsa una strada veramente democratica che ha visto la partecipazione della popolazione fin dal primo momento, il febbraio del 2009, quando le organizzazioni
lesbiche, gay, transessuali e i radicali hanno messo a punto una bozza di delibera e l’hanno sottoposta
alla discussione dei cittadini e di tutti. Insomma una delibera di iniziativa popolare che, sottoscritta da
2.582 cittadini, è stata consegnata al Consiglio comunale per la discussione. Di qui dibattiti intensissimi,
approvazioni e anatemi, mentre lo stesso sindaco Chiamparino ha partecipato all’unione fra due donne.
Una delibera partecipata
•La seconda ragione: la decisione di Torino è immediatamente operativa perché individua nel Difensore civico il soggetto competente nella tutela
dei diritti da garantire ricorrendo anche all’adeguamento delle strutture.
•La terza: la decisione di Torino è adottata per
la volontà “di promuovere pari opportunità alle
unioni di fatto, favorendone l’integrazione sociale e prevenendo forme di disagio”. Il significato
pratico lo si coglie immediatamente se si tiene presente che a Torino vi sono 449.714 famiglie, che
quelle composte di due persone sono 10.577 e 21.
516 mila le coppie di fatto con figli: in totale più di
32mila famiglie, tra cui 505 coppie gay.
Istituiti nel 1993 i primi Registri. Il primo Registro per le unioni civili venne istituito nel lontano1993 dal Comune di Empoli, in un primo tempo
annullato dal Tribunale amministrativo regionale
della Toscana, perché ritenuta la strada per permettere agli omosessuali di concludere una sorta di
matrimonio, cioè di dare vita a nuovi status giuridi-
settembre 2010 ci. In seguito poi lo stesso Tar toscano mutò parere
e riconobbe che l’istituzione dei registri rientrava
nell’autonomia comunale.
Subito grandi Comuni come Brescia, Trieste, Latina e la stessa Torino hanno deliberato l’istituzione
del Registro o dell’Elenco delle unioni civili, la cui
effettiva istituzione veniva rinviata all’approvazione di una regolamento attuativo, ma in molti casi la
procedura non venne portata a termine.
Fino al 2007 si sono aggiunti altri 55 grandi Comuni, (Ferrara, Firenze, Bolzano, Perugia, Pistoia,
Trento, Livorno, Empoli, Ivrea, Arezzo, Terni, Savona, Ancona, Macerata) e piccoli. Casi a parte sono quelli di Bologna e Padova. Bologna nel 1999
decise che deve essere un ordine del
Sindaco all’Anagrafe a
fare rilasciare su richiesta degli interessati “l’Attestato
di costituzione di
famiglia affettiva”.
A Padova è
stato il Consiglio comunale
a stabilire che il
Sindaco ha già il
potere di ordinare il rilascio
della attestazione senza
che sia necessaria una
delibera del
Consiglio.
- GD n. 11 - 3
Le donne motore di sviluppo
Testi di E. Roda, M. Moretti, F. Blasi
Lo spreco dei talenti:
donne in attesa di lavoro
Benefici per tutta la società derivano da più occupazione, meno differenze
salariali, più parità in famiglia, più ruoli decisionali nelle aziende
di Elena Roda
delle donne è insoddisfatto della ripartizione del lavoro all’interno della coppia mentre il 67% delle mamme che
smette di lavorare tornerebbe volentieri al lavoro”, continua Alessandra
Casarico. Una percentuale piuttosto alta quella delle donne che
vorrebbero lavorare ma che sono bloccate da un meccanismo
che in Italia sembra essersi inceppato.
D
ue parole: donne e attesa. Così accostate
non possono che richiamare alla mente il periodo
nel quale una donna aspetta la
nascita di un figlio. Invece in Italia possono voler dire ben altro.
Perché nel nostro Paese le donne, oltre ai figli, attendono anche
il lavoro. Lo attendono alla fine
degli studi, lo attendono quando vogliono rientrare nel mercato occupazionale dopo aver fatto
per qualche anno le mamme.
“Anche negli altri Paesi le donne con
figli lavorano di meno; ma ciò che caratterizza l’Italia è che le mamme
non tornano nel mercato del lavoro;
la nascita di un figlio diventa così un
momento molto critico.” E per agevolare le donne a rientrare servirebbero servizi migliori, prima
di tutto rafforzare l’offerta degli
asili nido ma anche strutturare
servizi adeguati per la cura degli
anziani che, nella maggior parte
dei casi, ricade totalmente sulle
famiglie e, di conseguenza, sulle
donne.
“Vogliamo sgombrare il campo
dall’idea che l’attesa del lavoro sia il
risultato di scelte individuali, non siamo dinanzi solamente a un problema
di preferenze”, così Alessandra Casarico, professore alla Bocconi
e direttore del centro di ricerca
bocconiano Econpubblica, spiega il nucleo del suo ultimo lavoro, Donne in attesa. L’Italia delle
disparità di genere (edizione Egea,
pp. 140, € 16,50), scritto a quattro mani con Paola Profeta, professore di Scienza delle Finanze
in Bocconi.
“Il problema è capire se la politica si
stia o meno muovendo in questa direzione.” L’Italia sforna ogni anno
più laureati donne che uomini
ma poi, a un certo punto, quando questo esercito di giovani laureate sarebbe pronto per fare il
suo ingresso nel mondo del lavoro, qualcosa si blocca.
È un’attesa che molte donne vivono come forzata e come un
handicap: “Nel libro facciamo riferimento a due dati significativi: il 25%
4
- GD n. 11 - “Gli altri Paesi funzionano di più
perché hanno una cultura e politiche
più favorevoli alle donne; in Italia abbiamo un forte problema di accesso”,
prosegue l’autrice. Se gli altri Paesi sono più “bravi” nell’assorbire forza lavoro femminile, come
l’Italia hanno difficoltà per quanto riguarda l’ascesa lavorativa
delle donne, un’ascesa difficoltosa che non permette, se non in
rari casi, l’accesso delle donne a
posti di prestigio.
“Le azioni positive in favore delle donne in questo caso sono uno strumento
importante per rompere il monopolio
maschile: le donne in generale sono meno competitive però, se sanno che c’è un
posto riservato a loro, allora competono.” Un tema, quello delle azioni in favore delle donne, molto
discusso. Si parla spesso di azioni positive come azioni di discriminazione nei confronti delle
donne che, senza quelle, non sarebbero in grado di raggiungere
posti importanti all’interno della
società.
“Sono favorevole alle azioni positive
perché proporle è riconoscere che c’è una
diversità e il fatto che si riconosca è già
di per sé buono.
Anche perché siamo proprio sicuri che
il monopolio maschile sta a significare
che gli uomini sono davvero più bravi
settembre 2010
gd
delle donne?”, prosegue la Casarico. E dei “pro” e “contro” delle
azioni mirate a stabilire un equilibrio e una parità tra uomini e
donne se ne è parlato molto in
merito alla proposta di innalzamento dell’età pensionabile delle donne a 65 anni: “Nelle parole
dell’Unione Europea c’è un problema
di discriminazione con il pensionamento delle donne a 60 anni. Ora, dato
che per il pubblico si è già deciso per i
65 anni, il tema rilevante è: come vogliamo muoverci nel privato? Credo che
la soluzione migliore sia quella di tornare alla flessibilità, ovvero dare a uomini e donne la possibilità di decidere
quando andare in pensione entro un
range di età che potrebbe essere tra i
62 e i 67 anni”, conclude Alessandra Casarico.
Attesa e disparità di genere, ser-
vizi che mancano e lotta per la
sopravvivenza in un mondo,
quello lavorativo, che nei posti
di prestigio è quasi unicamente
tinto d’azzurro. Per le donne che
si affacciano ora nel mondo del
lavoro e per quelle che in quel
mondo vorrebbero dire la loro,
la sfida è dura. Ma qualcosa comincia a muoversi. Rifletterci è
già di per sé positivo.
Sei proposte concrete
P
er mettere fine a questa “attesa forzata” servono azioni concrete. Alessandra Casarico e Paola
Profeta hanno individuato
6 campi dove è tempo di
agire e sperare di ottenere buoni risultati. Sono i
servizi pubblici, il fisco, i
congedi di paternità, i vertici delle imprese e della
politica, il sistema pensionistico. Ormai non è più
tempo per l’attesa perché
il 2010, anno di scadenza
degli obiettivi di Lisbona
sul tasso di occupazione
femminile al 60%, è in dirittura di arrivo. Ma la meta, in
Italia, è ancora molto lontana.
Marie Curie. Premio Nobel per la Fisica nel 1903,
(Assieme al marito Pierre Antoine Curie e Henri Becquerel) e nel
1911 Premio Nobel per la chimica per i suoi lavori
sul radio.
I servizi pubblici
“Un aumento dell’offerta di
servizi, in particolare un forte
incremento degli asili nido, è una
misura urgente. […] Per i più
piccoli e per gli anziani lo Stato
alloca poche risorse. Ma quando parliamo di servizi non dobbiamo pensare solo ad asili nido
e ricoveri per anziani. Ci sono anche i servizi alla persona. La spesa per
i servizi alla persona è […] una necessità di fronte all’assenza di un’alternativa
di servizio pubblico e di persone della
settembre 2010 - GD n. 11 - 5
Le donne motore di sviluppo
famiglia che possano farsi carico di questa attività. […] Francia e Belgio hanno sperimentato
con successo programmi centrati sull’uso dei buoni-lavoro […];
il Regno Unito l’uso di voucher
per i servizi all’infanzia (childcare voucher). Anche noi riteniamo
interessante sviluppare questo
canale di supporto alle famiglie.
[…] In Francia […] il meccanismo è semplice: l’impresa […]
dà al suo dipendente un buono-lavoro che egli utilizzerà per
comprare servizi alla persona. Il
dipendente è contento, perché
ha un aiuto per conciliare la sua
attività lavorativa con la cura famigliare, a un costo solitamente
inferiore rispetto a quello che affronterebbe se si rivolgesse a un
servizio.
L’impresa pure, perché può usufruire di generose deduzioni fiscali, oltre a migliorare il suo
rapporto con il dipendente.” (da
Donne in attesa, pp. 106-110)
Rigoberta Menchú Tum. Premio Nobel per la Pace nel 1992.
I congedi di paternità
“Un segnale forte per scardinare la concezione secondo cui
è sempre la donna ad assentarsi dal posto di lavoro in seguito
alla maternità potrebbe derivare
dall’introduzione di congedi di
paternità obbligatori. […].
Vorremmo che ci fosse un periodo di congedo esclusivamente
destinato al papà […] che va perso se il papà decide di rinunciarvi. O il papà va in congedo, o la
mamma non può comunque beneficiarne con un aumento delle settimane di astensione che le
spettano.” (da Donne in attesa, p.
117)
Fisco e famiglia
“Lo strumento che riteniamo sia
più opportuno utilizzare è sempre quello della tassazione su base individuale che […] è neutrale
nei confronti delle scelte di partecipazione al mercato del lavoro
[…]. Potremmo pensare di potenziare le detrazioni per famigliari a carico nelle famiglie con
figli in cui entrambi i genitori lavorino. […] Oppure potremmo
riconoscere pienamente le spese sostenute per la cura dei figli
(o per l’assistenza ai genitori anziani), smettendo di mettere in
competizione lo stipendio della
mamma con il costo del servizio
o delle persone che si prendono
cura di bambini e anziani quando si lavora” (da Donne in attesa,
p. 113).
6
Donne ai vertici delle imprese
“Se le donne sanno che almeno
una di loro deve vincere, superano la loro riluttanza e ci provano. L’ingresso di nuove donne
amplia l’insieme di talenti tra cui
scegliere la persona giusta. Se la
prospettiva di vittoria […] diventa tangibile e reale grazie alla presenza di un’azione positiva,
più donne entrano nella competizione. […]
In una platea di talenti allargata è
più facile selezionare quello più
- GD n. 11 - adeguato.” (da Donne in attesa, pp.
123-124)
Guida politica alle donne
“Tutto dipende […] dal ruolo
attivo dei partiti, dalla loro sensibilità a garantire un maggior
accesso delle donne alle liste
elettorali e, in seguito alle elezioni, ad affidare loro incarichi di
potere nella politica. […] L’esperienza degli altri Paesi e in parte anche il nostro passato […] ci
insegnano che, forse, più che di
una quota vincolante c’è bisogno
della volontà dei partiti politici.”
(da Donne in attesa, pp. 127-128)
Nuove pensioni
“Reinserire una finestra temporale di uscita dal mercato del
lavoro, comune per uomini e
donne, al posto di una precisa età
di pensionamento. La flessibilità consentirebbe […] di tenere
conto delle situazioni individuali, relative per esempio allo stato
di salute o alla disutilità del lavoro quando questo sia particolarmente usurante, oppure dal fatto
che due coniugi vogliano andare
in pensione nello stesso momento.” (da Donne in attesa, p. 132)
settembre 2010
gd
Donne, carta vincente
per uscire dalla crisi
Intervista a Monica D’Ascenzo, giornalista finanziaria de Il Sole 24 Ore, una
delle autrici di Donne sull’orlo della crisi economica
lavoro”). La stessa Banca d’Italia
stima che un incremento dell’occupazione femminile pari all’1%
corrisponderebbe a un aumento
del prodotto lordo italiano dello 0,5%. Tuttavia, con il nostro
47%, in Italia siamo ancora lontanissimi dal target di Lisbona
del 60% per l’occupazione femminile.
Se economisti, studi universitari
e gli stessi manager delle aziende
sembrano concordare sul fatto
di Manuela Moretti
L
e donne potrebbero essere la carta vincente per
uscire dalla difficile recessione economica, tanto che The
Economist ha deciso di dedicare la
prima copertina del 2010 all’argomento “We did it! What happens when women are over half the
workforce” (“Ce l’abbiamo fatta!
Che cosa accade quando le donne sono oltre la metà della forza
che il contributo femminile alla ricchezza del Paese potrebbe
fare la differenza, perché è così
difficile cambiare le percentuali
di occupazione rosa? Se lo sono
chieste Monica d’Ascenzo e Giada Vercelli, nel loro recente libro
Donne sull’orlo della crisi economica.
Diventa manager di te stessa: impara a vedere rosa per non rimanere al
verde (Rizzoli, € 15). Il volume fa
il punto della situazione sul rapporto tra donne ed economia nel
Marguerite Yourcenar. Scrittrice.
Prima donna eletta nel 1980 all’Académie Française.
settembre 2010 - GD n. 11 - 7
Le donne motore di sviluppo
giunge anche il momento di
crisi economica. Come difendersi?
Diversi studi hanno dimostrato
come le aziende che hanno un
management o un consiglio di
amministrazione misto, hanno
dei risultati di bilancio migliori
rispetto a quelle che sono tutte
al maschile: questo perché, apportando punti di vista differenti, si creano competenze diverse
e si trovano anche soluzioni migliori e più innovative di fronte
ai problemi e, in questo caso, alla
nostro Paese, offrendo alle donne anche riflessioni, consigli pratici e strategie per affrontare la
difficile congiuntura economica
e avere un giusto riconoscimento. Ne abbiamo parlato con una
delle autrici, Monica d’Ascenzo,
giornalista finanziaria de Il Sole
24 Ore.
Oltre alle maggiori difficoltà
che le donne incontrano nel
mondo del lavoro, ora si ag-
crisi. Le donne dovrebbero farsi portatrici del proprio punto di
vista, senza aver paura di esprimere la loro opinione, perché è
proprio nella loro specificità che
possono apportare un “qualcosa
di più”, un “valore aggiunto” peculiare.
Come può la donna cercare
di farsi spazio anche in ambiti tradizionalmente maschili,
come quello dell’economia finanziaria dove lei lavora?
Con la competenza e la professionalità. Soprattutto, secondo
me, nel lavorare in questi settori,
il rischio è quello di “mascolinizzarsi” per farsi accettare, mentre le donne
dovrebbero
imparare a portare le loro caratteristiche specifiche
femminili anche negli
ambiti maschili, perché
soltanto in questo modo
arricchiscono davvero il
mondo del lavoro.
Il libro riporta anche
diversi consigli pratici
utili alle donne in ambito lavorativo. Potrebbe farci qualche
esempio?
I consigli che diamo
sono, per esempio, imparare a comunicare e
valorizzare il proprio
lavoro, acquisire delle
competenze adeguate a
quello che si vuole fare
e costruirsi un network,
ovvero una rete di contatti che possa essere di
supporto alla carriera.
Un altro consiglio che
diamo è quello di non
restare con gli occhi fisVandana Shiva.
Ambientalista indiana. Nel 1993 ha
ricevuto il Right Livelihood Award.
8
- GD n. 11 -
settembre 2010
gd
Oltre la crisi:
quote di genere
per estendere
il lavoro alle donne
si sul computer, ma osservare il
mondo che ci circonda per accogliere le opportunità di crescita
che ci sono.
Come si può cercare di valorizzare il lavoro delle donne
anche dal punto di vista economico?
È fondamentale essere in grado
di far valere le proprie richieste,
di esprimere in modo chiaro le
proprie necessità e aspirazioni
anche di fronte al proprio capo: se, per esempio, c’è una posizione di responsabilità vacante,
avere il coraggio di farsi avanti.
È dimostrato che le donne non
trattano lo stipendio e hanno
uno svantaggio salariale che in
Italia, a seconda della tipologia di
lavoro, va dal 12 al 25% in meno
rispetto agli uomini. Le avvocate
addirittura guadagnano la metà
dei loro corrispondenti maschi, e
questo chiaramente le penalizza.
Ricerca del Cnel sulla condizione di lavoro femminile
in Italia – Nel sud 105 mila posti in meno per le donne
di Felice Blasi
I
l Consiglio Nazionale del–
l’Economia e del Lavoro ha
condotto tra febbraio e giugno di quest’anno una ricerca
sul rapporto tra donne e lavoro
in Italia, costituendo al suo interno il “Gruppo di lavoro Pari opportunità” coordinato dal
consigliere e consigliere Giuseppe Casadio, già sindacalista Cgil.
Il risultato è un documento approvato all’unanimità dall’assemblea del Cnel il 21 luglio 2010 col
titolo “Il lavoro delle donne in
Italia”: si tratta della più aggiornata analisi sulla condizione del
lavoro femminile e fornisce anche alcune linee guida per una
nuova strategia sull’occupazione
delle donne.
Lo studio ridisegna gli squilibri di genere e lo spreco di risorse e competenze del capitale
umano femminile. In un dibattito organizzato dall’associazione “NoisefromAmerika”, gli
studiosi Paola Profeta, Andrea
Ichino e Stefano Gagliarducci, hanno parlato di “macelleria
di genere” delle competenze e
dei talenti femminili. Nonostante il forte incremento nell’occu-
Le donne, che spesso sono
costrette a destreggiarsi tra
diversi impegni famigliari e
lavorativi, hanno una maggiore flessibilità. Questo può
essere utile anche in ambito
lavorativo?
Sicuramente, il problema è che
poi questo aspetto rischia di essere un boomerang. Un altro
dei consigli che diamo è quello
di imparare a delegare, perché
molto spesso le donne hanno la
mania della perfezione e vogliono essere contemporaneamente
brave donne in carriera, madri,
mogli, amiche… e chiaramente
non si può riuscire a far tutto al
meglio. Si deve andare verso un
cambiamento culturale all’interno delle famiglie per permettere alle donne di uscire e avere il
tempo e le energie da dedicare
anche alla realizzazione professionale.
settembre 2010 - GD n. 11 - pazione femminile tra il 1997 e
il 2003, un terzo degli occupati
era costituito da lavoratrici, nel
corso degli ultimi anni il trend
si è invertito. Nel 2009 le donne
occupate in età tra 15 e 64 anni sono state il 46,4% del totale,
un valore ben lontano da quello
dell’Unione europea (60%). Particolarmente grave la situazione
nel Mezzogiorno, che ha assorbito quasi la metà del calo complessivo delle lavoratrici (105
mila donne hanno perso il lavoro) e dove il tasso di occupazione
è del 30,6%, contro il 57,3% del
Nord-est. Secondo il Cnel, sono
mancate politiche attive a favore dell’occupazione femminile,
con espedienti sempre parziali
per comparti economici. Assenza di politiche e frammentazione
dei rimedi sono dunque la prima
causa della mancata crescita del
lavoro delle donne.
Formazione professionale
Un ambito su cui intervenire in
modo organico dovrebbe essere,
ad esempio, l’attività educativa,
sia pubblica che privata, e della
formazione professionale: questo permetterebbe di salvaguardare le risorse umane femminili
9
Le donne motore di sviluppo
pubblico e a capitale misto, il
Cnel suggerisce la sperimentazione di un sistema di quote ri-
già presenti nel sistema produttivo e di preparare le giovani generazioni di donne
ad entrare nel mondo del lavoro una volta
superato il ciclo negativo attuale, specie nei settori legati alla sostenibilità
ambientale, alle nuove energie, alla “green economy”
e alla tecnologia dell’informazione e della comunicazione.
Il ministero dell’Istruzione dovrebbe attivare
campagne di orientamento nelle scuole
per superare lo stereotipo di genere ancora molto diffuso, secondo
il quale le ragazze sarebbero meno portate per le materie scientifiche e tecniche. Altre proposte
mirano a favorire l’accesso delle
donne ai livelli elevati nella pubblica amministrazione e nelle
aziende private.
Per quanto riguarda il settore
Rita Levi Montalcini.
Premio Nobel per la Medicina nel 1986.
servate alle donne che abbiano
un curriculum adeguato. Per le
aziende private si fa riferimento alla Carta per le pari opportunità promossa in Italia, sulla scia
dell’esperienza francese e tede-
sca, il 5 ottobre 2009 da molte
associazioni con l’adesione dei
ministeri Lavoro, Salute, Politiche sociali e Pari opportunità: uno strumento
ancora a livello di dichiarazione di intenti. Un punto critico
è il rapporto tra famiglia e lavoro: non è più
rinviabile la concreta
attivazione, anche per
imprenditrici e lavoratrici autonome, di
tutti gli strumenti
presenti nella legislazione che rendano
possibile una conciliazione tra tempi di
vita, tempi di maternità e famiglia, e
tempi di lavoro. Andrebbe varata una legge sulle statistiche di genere e predisposto il
“bilancio di genere” nella pubblica amministrazione: strumenti
contabili e di nuova concezione
consentirebbero di valutare l’effetto delle azioni di pari opportunità fra lavoratrici e lavoratori.
Solo con iniziative
per la parità l’economia
crea uguaglianza
Per l’economista statunitense Esther Duflo l’aumento del ruolo e del peso delle
donne influisce positivamente sullo sviluppo economico e viceversa
di Felice Blasi
indubbiamente la causa e, nello stesso tempo, la conseguenza
delle disuguaglianze di genere”.
Una tesi forte con cui, all’università Bocconi di Milano, è iniziato,
“Se le donne fossero al potere la
loro vita e quella di tutti migliorerebbe. I leader maschi sono
10
- GD n. 11 - lo scorso fine luglio, l’incontro
su Uguaglianza di genere e sviluppo
economico con Esther Duflo, trentottenne economista che insegna
negli Stati Uniti al Massachus
settembre 2010
gd
sets Institute of Technology ed è
stata insignita con la John Bates
Clark Medal, il premio al miglior
economista sotto i 40 anni.
La giovane economista americana sta trasformando la ricerca nel campo dell’economia nei
paesi in via di sviluppo sui temi
dell’istruzione, del microcredito
e della salute pubblica.
Sembra ormai assodato che esiste una relazione tra sviluppo
economico ed empowerment delle
donne.
“Sì – ha detto Duflo – il rapporto è profondo. Da una parte lo sviluppo può dare una forte
spinta a ridurre la disuguaglianza tra donne e uomini; dall’altra
mantenere in vita la discriminazione contro le donne ostacola
lo sviluppo generale. Dare potere alle donne, cioè offrire accesso pieno ai diritti universali
come la salute, le cure mediche,
l’istruzione, l’opportunità di un
uguale guadagno, la proprietà, la
partecipazione e i diritti politici,
tutto ciò alimenta la crescita e lo
sviluppo”. Insomma è evidente
che lo sviluppo economico riduce la disuguaglianza tra uomini e
donne: si tratta dunque di un circolo virtuoso in cui crescita ed
uguaglianza, economia e diritti si
espandono a vicenda. Tuttavia,
ha sostenuto la Duflo, lo sviluppo economico da solo non basta,
non elimina completamente la
disuguaglianza. “Occorrono anche soluzioni concrete e dirette
adottate per legge. In India, per
esempio, è vietato determinare
il sesso del nascituro; o come in
Bangladesh dove i genitori ricevono un incentivo economico se
mandano le bambine a scuola”.
Sulle quote per assicurare almeno una presenza minima di rottura delle donne, ha dichiarato
che certamente sono utili, come
dimostra la loro efficacia nei paesi che le hanno adottate.
“Tra uguaglianza di genere e sviluppo economico – ha sostenuto
Duflo – esiste un legame meno
lineare e semplice di quello che
politici ed economisti accademici fanno spesso trasparire”. Ad
esempio, studiando i programmi
pensionistici in Sudafrica, la Duflo ha scoperto che per le bambine vivere con una nonna che
riceve una pensione è sufficiente a colmare metà del divario che
le separa dalle bambine americane, ma lo stesso effetto non
si riscontra invece per i maschi
quando è il nonno a percepire la
pensione. È una distorsione ridistributiva che genera nuove disparità.
La Duflo perciò non cade in ideologie della difesa del femminile
in quanto tale: “Né lo sviluppo
economico né l’empowerment femminile – ha dichiarato a Milano
– sono il rimedio a tutti i mali, come si vuol far credere. Per
creare uguaglianza tra uomini e
donne sarà necessario continuare a prendere iniziative politiche
a favore delle donne ancora per
molto tempo”.
Esther Duflo.
settembre 2010 - GD n. 11 - 11
gd
Ai persecutori
terra bruciata
sul lavoro
In Svizzera le vittime di persecuzioni sul lavoro sarebbero circa 350 mila – La legge è dalla loro parte,
ma non è semplice dimostrare di essere mobbizzati
di Antonella Sicurello
La responsabilità
delle aziende
S
econdo l’indagine sul rapporto tra salute e lavoro
condotta nel 2007 dall’Ufficio federale di statistica, le condizioni lavorative in Svizzera
sono soddisfacenti: il 93% delle
persone attive ritiene che il suo
stato di salute generale sia buono
o molto buono e il 59% dichiara
di non vivere tensioni psichiche
e nervose sul posto di lavoro. E il
restante 41%? È sottoposto soprattutto a stress e nervosismo.
Tra questi lavoratori vi sono anche le vittime di un fenomeno
con un alto fattore di rischio per
la salute, il mobbing.
L’8% dei circa 19 mila intervistati (pari a un tasso di partecipazione del 66%) sostiene di essere
mobbizzato.
Una percentuale che nell’inchiesta europea del 2005 era del 7%
e nello studio realizzato nel 2002
dalla Segreteria di stato dell’economia del 7,6.
Su un totale di 4 milioni e mezzo di occupati, significa che in
Svizzera circa 350 mila lavoratori
e lavoratrici subirebbero questo
genere di vessazione.
12
Il termine mobbing, introdotto
dallo psicologo svedese Heinz
Leymann, deriva dal verbo inglese to mob, che significa aggredire. È una forma (qualsiasi) di
persecuzione attuata durante il
lavoro: calunniare o diffamare
un lavoratore, negare informazioni relative all’attività oppure
fornirle in modo scorretto, sabotare o impedire l’esecuzione del
lavoro eccetera. Il mobbizzato è
la vittima, il mobber il persecutore.
Nei casi più gravi, il mobbing può
causare molte malattie psichiche,
come depressione e ansia, e fisiche (vedi Geniodonna n.7, maggio
2010).
Spetta alle aziende evitare che
simili situazioni si verifichino,
pianificando e organizzando il
lavoro per prevenire il mobbing e
prevedendo procedure che consentano di individuarne i sintomi. Dal canto suo, il mobbizzato
deve cercare di avere un confronto con il mobber e con il datore di lavoro. Se non ottiene
risultati, deve chiedere aiuto a
esperti (sindacati, associazioni,
psicologi, eccetera).
- GD n. 11 - Tutelati dalla legge
Il mobbing può essere punito dalla
legge svizzera. Le basi legali vanno ricercate nel codice penale e
delle obbligazioni, nella legge sul
lavoro e in quella sulla parità dei
sessi (quest’ultima è applicabile nel caso di discriminazione a
sfondo sessuale). In particolare,
l’articolo 328 del codice delle obbligazioni impone al datore di lavoro di “rispettare e proteggere
settembre 2010
gd
trolla e promuove la tutela della salute fisica e psichica nelle
aziende. Finora l’ufficio è intervenuto soltanto nel settore
privato in seguito a denunce di
subalterni nei confronti dei superiori. “Il nostro intervento si
limita alla verifica della corretta
applicazione delle disposizioni,
senza mai entrare nel merito del
conflitto”, puntualizza il capoufficio Federico del Don. “In una
seconda fase si sentiranno le parti, e se esiste la volontà di risolvere il conflitto, si concorderanno e
pianificheranno in comune i passi successivi.”
SENTENZE POSITIVE
Otto Dix.
la personalità del lavoratore, avere il dovuto riguardo per la sua
salute e vigilare sulla salvaguardia
della moralità”. La tutela dell’integrità personale dei lavoratori
è anche un caposaldo della legge sul lavoro (articolo 6), mentre
la protezione dal licenziamento abusivo è prevista dal codice
delle obbligazioni (articolo 336)
e dalla legge sulla parità dei sessi (articolo 10). Il codice penale
settembre 2010 punisce chi minaccia una persona (articolo 180).
L’azione della vittima o di chi per
essa (sindacati o associazioni) è
quindi rivolta al datore di lavoro poiché responsabile dei suoi
dipendenti. Se l’azienda non intraprende misure concrete per
mettere fine al mobbing, il dipendente può rivolgersi all’ispettorato cantonale del lavoro (www.
ti.ch/ispettorato-lavoro), che con
- GD n. 11 - Nonostante gli strumenti legali
a disposizione, per il mobbizzato non è facile ottenere giustizia.
Le procedure sono lunghe e non
è così evidente fornire le prove
che determinati comportamenti
siano riconducibili a mobbing e
dimostrare che l’azienda ha fatto
tutto il possibile per evitarlo.
Vi sono comunque alcune sentenze del tribunale federale che
hanno dato ragione alle vittime.
Per esempio, una donna ha ricevuto un’indennità di 25 mila
franchi per torto morale, dopo
che il suo capoufficio l’ha isolata e maltrattata, facendola cadere
in uno stato depressivo grave, e
ha esercitato pressioni per farla
licenziare.
A un’altra lavoratrice è stata riconosciuta un’indennità di 12 mila
franchi, perché aveva subito per
due anni molestie psicologiche
dal suo superiore. Un direttore
di hotel ha ottenuto 5 mila franchi e altri 14 mila come indennità
per licenziamento abusivo.
Info: www.seco.admin.ch
(cliccare Documentazione
- Pubblicazione e formulari
- Opuscoli - Lavoro).
13
gd
Volevo cambiare
le cose...
In Ticino una donna di 38 anni, mobbizzata, si ammala e entra in analisi –Per
uscire dal baratro, taglia i ponti con l’azienda e se ne va
Narrazione raccolta da Antonella Sicurello
T
utto è cominciato tre anni e mezzo fa. Due miei
colleghi, stanchi delle
angherie subite dai superiori, si
sono licenziati e hanno fondato
una società concorrente. Quando il direttore e la vicedirettrice
della mia azienda lo hanno scoperto, hanno impedito a me e
alla mia collega di frequentarli,
pena il licenziamento in tronco.
Da allora il rapporto con i capi si
è deteriorato giorno dopo giorno. Dopo sei mesi la mia collega
ha trovato un altro lavoro e si è
licenziata. La direttrice ha continuato ad accanirsi contro di me:
mi diceva che bighellonavo invece di fare il mio lavoro di contabile. Il suo ufficio era accanto
al mio ed evitavo persino di fare
le pause che mi spettavano di diritto. Non avevo via di scampo,
visto che era la mia diretta superiora e dovevo rendere conto a
lei del mio lavoro.
per non lasciare un lavoro in sospeso. Non l’avessi mai fatto: la
mia richiesta ha sollevato un polverone. La direttrice ha iniziato
a inveire contro di me: “Lei non
fa niente, è una persona falsa e fa
perdere tempo agli altri”. Urlava come una forsennata per farsi
sentire da tutti.
Francis Picabia.
UN ATTACCO DI PANICO
Non mi voleva più in ditta e sperava che mi licenziassi. Qualche
tempo dopo ho scoperto il motivo del suo atteggiamento: con il
direttore era diventata proprietaria dell’azienda e insieme avevano
deciso di fare piazza pulita delle
persone che non andavano loro
a genio. Tra queste c’ero anch’io
e non ho mai capito il perché.
Dopo la sfuriata sono rientrata nel mio ufficio e ho iniziato a
piangere. I capi entravano e uscivano ridendo. Mi hanno persino
minacciato: “Guai se lasci l’ufficio e dici qualcosa”. Sono uscita due ore dopo, a mezzogiorno,
e ho vomitato l’anima. Una mia
collega mi ha detto che non potevo andare avanti così. Sono rientrata in ufficio e ho vomitato
ancora. Ho iniziato a sentire un
dolore fitto allo sterno e sono
scappata via. In auto ho chiamato la mia dottoressa per dirle che
stavo male. Una volta a casa, mia
NON MI DAVA SCAMPO
La scorsa estate non mi ha concesso le ferie che facevo ogni
anno in quel periodo con mia
sorella. Ho potuto farle soltanto alla fine di luglio, ma lei era
in Sardegna e io sono stata costretta a rimanere a casa. Prima
di lasciare l’ufficio per le vacanze, ho sollecitato dei documenti
14
cognata mi ha portato al Pronto soccorso, dove mi hanno dato subito un calmante. Pensavo
di avere un attacco di cuore, ma
in realtà si trattava di un attacco
di panico. Sono stata in ospedale
quattro ore e nel certificato di dimissione il medico ha scritto che
- GD n. 11 - settembre 2010
gd
ero in uno stato di ansia dovuto
a una lite con il datore di lavoro.
La mia dottoressa mi ha messo
in malattia per un mese. Mio marito ha chiamato l’azienda e per
tutta risposta i miei capi hanno
detto: “Non ce ne frega un c...,
faccia quello che vuole”.
per mesi ho mandato certificati
di malattia. Ho iniziato ad andare in analisi da uno psichiatra e
una psicologa, a prendere farmaci perché non dormivo più: sognavo che qualcuno tentava di
strangolarmi. Entrambi i medici
mi dicevano che ero una vittima
del mobbing.
Secondo la psicologa l’unica soluzione per uscirne era tagliare i
ponti con l’azienda. Anche mio
marito mi diceva di licenziarmi, che a 38 anni sarei riuscita
a trovare un altro posto di lavo-
STRANGOLATA IN SOGNO
Sono stata visitata anche dal
medico della cassa malati, che
mi ha dichiarato inabile al lavoro per un altro mese. Da allora
non sono più rientrata in ditta:
ro. Ma mi ero incaponita: volevo
che la mia direttrice cambiasse
opinione su di me e farle capire che prendo sul serio il mio lavoro. Anche se avrebbe dovuto
già conoscermi, visto che lavoravo per lei da sei anni. Evidentemente sono stata un’ingenua.
Poi è arrivata la proposta dell’assicurazione: “Le paghiamo tre
mesi di malattia in anticipo e nel
frattempo può cercarsi un altro
lavoro. Se lo trova, non deve restituirci i soldi che le verseremo
in anticipo.”
...ma sono stata
un’ingenua
“Ma poi lei si toglie dalla malattia e non rientra più in azienda.
E non deve parlare di questo
accordo con nessuno”. Inizialmente la mia capa non voleva
accettare questa proposta, ma ha
cambiato idea quando ho detto
all’assicuratore che le avrei fatto
causa per mobbing.
Ho mostrato l’accordo a un sindacalista, il quale mi ha consigliato di accettare, perché in
Svizzera avrei perso una causa
per mobbing, visto che è difficile
dimostrare di aver subito questo
tipo di vessazione.
Nel novembre 2009 ho firmato
l’accordo. Da allora non prendo
più farmaci e non ho più problemi di insonnia. E da gennaio ho
un nuovo lavoro come contabile.
Andarmene è stata quindi la medicina migliore. Pensavo di poter
cambiare le cose e invece serviva
solo un taglio netto con il passato.
Per motivi di privacy il nome della donna, una
frontaliera che vive in provincia di Como, non
viene pubblicato.
settembre 2010 - GD n. 11 - 15
gd
Obiettivo giustizia
contro le molestie
Il parere di Raffaella Martinelli avvocata del consultorio FAFT – Chi subisce
mobbing deve chiedere aiuto a sindacati e associazioni
di Antonella Sicurello
I
l mobbing
va affrontato a viso
aperto, non subito
in silenzio. Prima
sul posto di lavoro, poi, se necessario, all’esterno:
sindacati, avvocati,
associazioni, servizi pubblici e privati possono fornire
una consulenza, un
sostegno, una via da
seguire per uscire
da una spirale pericolosa. Forse non
avranno sempre
una soluzione a
portata di mano,
ma vale comunque la pena avere
un confronto con
loro.
Fissare
un obiettivo
“Chi è vittima di
mobbing e ha deciso di fare qualcosa
per sottrarsi a questa situazione, deve innanzitutto porsi
un obiettivo”, spiega l’avvocata Raffaella Martinelli
del Consultorio
16
Francis Picabia.
- GD n. 11 - settembre 2010
gd
giuridico della Faft. “Nella maggior parte dei casi le persone
mobbizzate chiedono ‘giustizia’:
vogliono che il torto che hanno subito sia riconosciuto, senza pensare alle conseguenze sul
posto di lavoro e al loro futuro
professionale.”
Al consultorio si rivolgono in
media 220 persone all’anno, di
cui una ventina denuncia situazioni mobbizzanti.
“Insieme valutiamo la problematica, cerchiamo di capire in
maniera oggettiva come sono
andate le cose, se ci sono prove: E-mail, testimonianze, documenti, eccetera.
Di solito, però, il mobber non è
sprovveduto e non lascia tracce.
A questo punto la soluzione è discutere con il datore di lavoro e
trovare un accordo: per esempio,
se l’azienda è grande, si può chiedere di cambiare reparto; oppure, se la conclusione del rapporto
di lavoro è l’unica soluzione, come accade spesso, si può concordare la modalità di disdetta e
chiedere un buon ‘certificato’ di
lavoro.”
rie davanti a un giudice.” Secondo Nando Ceruso, vicesegretario
cantonale dell’Ocst, il crescente
malessere nelle aziende è riconducibile “all’eccesso dei ritmi e
dei carichi di lavoro, quindi allo stress, al rischio permanente
di perdere il proprio impiego”.
Sarebbero le forme sempre più
differenti delle gerarchie decisionali a generare gli abusi. “Si
scade così nel mobbing, nel ‘bossing’ (mobbing ‘verticale’) e nelle
molestie, a detrimento degli ambienti lavorativi e quindi della vita sociale delle persone”.
L’eccesso
dei ritmi
e dei carichi
di lavoro
all’origine
dello stress
e del timore
di perdere
Pochi casi in tribunale
“Molte persone, uomini e donne, chiedono aiuto al nostro
sindacato per quello che definiscono mobbing”, spiega Davina
Fitas del Coordinamento donnalavoro dell’Organizzazione cri–
stiano-sociale ticinese (Ocst).
“Il loro numero è costante: non
abbiamo notato un aumento in
questo periodo di crisi per le
aziende ticinesi.”
Dopo la richiesta iniziale, il passo
successivo è l’approfondimento dei casi. “Sono pochissimi
quelli che finiscono in tribunale
e non sempre sono riconducibili al mobbing”, evidenzia Davina
Fitas. “Inoltre, è molto difficile
avere le prove, che sono necessasettembre 2010 il posto
di lavoro
La salute va preservata
Riconoscere subito i sintomi del
mobbing è il primo passo per la
salvaguardia della propria salute.
“La tempestività dell’intervento
è basilare al fine di evitare una
compromissione dell’abilità lavorativa o, peggio, una fuoriuscita dal mercato del lavoro”, spiega
Liala Cattaneo, coordinatrice del
Laboratorio di psicopatologia
del lavoro, un servizio dell’Organizzazione sociopsichiatrica
cantonale attivo dal 2006 a Vi
- GD n. 11 - ganello (tel. +41 (0)91 8152111).
“Le conseguenze possono essere
molto gravi e vanno dai disturbi
psicosomatici fino allo sviluppo
di vere e proprie patologie come il disturbo dell’adattamento o quello post-traumatico da
stress.” Oltre alle vittime, a subire le conseguenze del mobbing
sono le aziende e il sistema sanitario che deve farsi carico di queste malattie.
“La sempre maggiore richiesta di
seminari di formazione che giunge al nostro laboratorio dimostra
la volontà di alcune aziende, delle scuole e degli istituti sociosanitari di approcciarsi al fenomeno
per meglio conoscerlo e dotarsi degli strumenti necessari per
prevenirlo e affrontarlo nel modo adeguato.”
stop al MOBBING
Anche l’amministrazione cantonale cerca di arginare il mobbing
attraverso il Gruppo Stop molestie (www.ti.ch/molestie), cui si possono rivolgere i dipendenti statali
in caso di conflitti sul posto di lavoro. “Durante gli incontri con
la persona che si sente vittima di
violenza, si cerca di comprendere la natura del problema”, afferma la coordinatrice Carlotta
Vieceli. “Qualora la risoluzione
non possa essere unilaterale, è
indispensabile prendere contatto con la controparte”. Il servizio è uno sportello che opera
come istanza di conciliazione e
non come organo che giudica o
sanziona. “Nella totalità dei casi,
il Gruppo è riuscito a fornire un
certo benessere al collaboratore
e sollievo alla sua sofferenza.
Gli interventi che hanno ottenuto maggior successo sono quelli
in cui il collaboratore si è rivolto
a noi prima di affrontare qualsiasi altro passo diretto alla risoluzione del conflitto.”
17
gd
parità
Mass media:
ma dov’è la parità?
Secondo un’inchiesta, giornali, radio e tv danno poco spazio alle donne – Solo
il 19% le intervistate – In Ticino appena il 24% le notizie scritte da donne
di Antonella Sicurello
giornali, radio e televisioni. Dai
risultati preliminari di 42 paesi
(il rapporto completo sarà presentato in autunno), solo il 24%
delle persone citate nelle news
era rappresentato da donne. Un
passo in avanti rispetto al 17%
di quindici anni fa, ma non un
granché dal 2005 (21%).
È scesa vertiginosamente la percentuale di reportage radiofonici
realizzati da donne (dal 45% del
2005 al 27%) e aumentata leggermente quella dei servizi televisivi (dal 42 al 44%) e degli
L
e donne sono ancora sottorappresentate nei media, sia come giornaliste
sia come persone intervistate o
citate. È questo il risultato che
emerge dal “Global media monitoring project”, inchiesta condotta a livello mondiale ogni
cinque anni, dal 1995. Ben 130
le nazioni monitorate in una sola giornata, il 10 novembre 2009,
passando in rassegna le notizie di
18
- GD n. 11 - articoli su carta stampata (dal 29
al 35%).
Le donne sono raramente il soggetto di una notizia (25%) e sono
poco intervistate anche in qualità
di esperte (19%) e di portavoce
(18%).
La Svizzera è nella media
Per la prima volta la Svizzera ha
partecipato all’inchiesta con le
tre principali regioni linguistiche
(Romandia, Ticino e Svizzera tedesca), sotto l’egida della Conferenza svizzera delle delegate alla
settembre 2010
gd
parità
gliorare le competenze dei giornalisti, integrando la prospettiva
di genere nella loro formazione.
Ma anche sensibilizzare le aziende dei media alle problematiche
di genere, affinché promuovano
maggiormente le carriere femminili favorendo la conciliazione
tra vita professionale e familiare.” E su iniziativa della Commissione consultiva per le pari
parità tra donne e uomini. Per
avere un quadro più preciso della situazione, sono stati analizzati più organi di informazione di
quanti ne prevedesse lo studio
internazionale. Nel rapporto aggiuntivo “Qui fait les nouvelles
en Suisse” sono stati passati in
rassegna tre canali televisivi, tre
stazioni radio e 19 giornali, di cui
7 quotidiani. Nel cantone a sud
delle Alpi sono stati analizzati il
“Corriere del Ticino” per la carta stampata e la Radiotelevisione
svizzera di lingua italiana per la
radio e la tv (notiziario radiofonico delle 18.30 e tg delle 20).
I risultati non si discostano da
quelli raccolti a livello mondiale.
Le donne menzionate e intervistate sono pari al 22% e soltanto il 34% delle news porta una
firma femminile. Sono più presenti nelle notizie culturali (55%)
e meno in quelle sull’educazione
e la gioventù e risultano mosche
bianche nelle notizie economiche. Inoltre, sono poco interpellate come esperte e autorità.
In Ticino e nella Romandia la
presenza femminile è però più
elevata (rispettivamente 44% e
31% di firme femminili) rispetto
alla Svizzera tedesca. In controtendenza la televisione di Comano: ben il 70% delle notizie è
stato realizzato o presentato da
donne.
Disparità nei tg italiani
I primi risultati raccolti in Italia
sono stati elaborati dall’Osservatorio di Pavia e si riferiscono ai
notiziari delle emittenti televisive
monitorate: Rai Uno, Due e Tre,
Rai News 24, Rete 4, Canale 5,
Italia 1 e Sky Tg 24.
Niente di diverso rispetto ai risultati internazionali: soltanto il
22% delle notizie ha come soggetto delle donne. La presenza
femminile è nulla nei servizi economici e scarsissima nelle notizie politiche (3%). Raggiunge il
31% nelle news di cronaca nera (crimine e violenza) e supera
quella maschile se si tratta di raccontare un’esperienza personale
(53%). Le donne intervistate come esperte e portavoce sono in
netta minoranza (rispettivamente 7 e 10%) e ben al di sotto della
media internazionale.
Sul web: www.equality.ch
www.osservatorio.it
www.whomakesthenews.org
La responsabilità
è anche dei giornalisti
I risultati raccolti a livello svizzero lasciano l’amaro in bocca. “Bisogna fare più spazio
alle donne, soprattutto nella carta stampata”, sottolinea Marilena
Fontaine, capo dell’Ufficio della
legislazione e delle pari opportunità dell’amministrazione cantonale e responsabile dell’inchiesta
per il Ticino. “E per riuscirci,
credo che sia fondamentale misettembre 2010 opportunità fra i sessi, dal 2011
sarà istituito in Ticino un premio
per giornaliste e giornalisti che
promuovono il dibattito sulle tematiche di genere.
Ma non è comunque soltanto
una loro responsabilità la scarsa presenza femminile nei media. “Bisogna ammettere che le
donne sono meno visibili degli
uomini”, sottolinea Fontaine.
“Lavorano perlopiù in retroguardia, occupano pochi ruoli
dirigenziali e politici, sono meno
presenti nel mondo economico.
E spesso sono poco disponibili a un’intervista perché più impegnate rispetto agli uomini in
famiglia. Ma non per questo bisogna continuare a relegarle in
rubriche marginali come la posta
dei lettori e presentarle come oggetti di piacere, alimentando i soliti stereotipi.”
- GD n. 11 - 19
gd
detenzione
Aprire uno spiraglio
nel buio del carcere
L’on Chiara Braga (Pd) visita il carcere del Bassone – In Italia 68mila detenuti
e celle per 44mila, 72 suicidi l’anno scorso - A Como 488 detenuti su 421 posti
di Chiara Braga
zioni di eccessivo sovraffollamento (68.206 su 44.000 posti
carcere) e il personale di ogni
livello così ridotto nell’organico, per i tagli imposti dalle manovre finanziarie del Governo
anche a questo settore. Così il
carcere sta diventando sempre
più e soltanto il luogo della pena
(non sempre certa e definita, se
si considera che oltre il 40% dei
detenuti si trova in una posizione giuridica di imputato in attesa di giudizio e quasi la metà di
questi in attesa del primo grado
di giudizio). Il principio sancito
dall’articolo 27 della Costituzione (“le pene...devono tendere alla rieducazione”) fatica a trovare
applicazione, vista la bassissima
percentuali di detenuti impiegati
in attività lavorative all’esterno e
all’interno degli istituti. Le condizioni precarie all’interno del
carcere non colpiscono soltanto
i detenuti (nel 2009 i suicidi sono stati 72; nei primi sette me-
S
ono entrata al Bassone alle dieci di mattina di un
Ferragosto nuvoloso, temperatura ben al di sotto della media di stagione. Più o meno due
anni fa entrai quasi con timore
in carcere, accompagnata da un
caldo torrido che si leggeva negli sguardi diffidenti dei detenuti.
Questa volta entrare in contatto
con un mondo così duro è stato meno traumatico. La mia visita al carcere è stata effettuata
contemporaneamente a quella di
altri 200 parlamentari, consiglieri
regionali, garanti per i diritti delle
persone private della libertà, che
hanno aderito al secondo appuntamento del Ferragosto in carcere.
un’occasione per portare all’attenzione di un’opinione pubblica distratta uno spaccato della
nostra società.
Mai in passato i detenuti erano
stati così numerosi e in condi-
20
- GD n. 11 - si di quest’anno 38 e 105 i morti
nelle carceri, tra suicidi, malattie
e “cause da accertare”) ma anche
gli agenti di polizia penitenziaria
e chi, con altre mansioni, lavora
nelle strutture carcerarie spesso
in condizioni difficili, con turni pesantissimi senza neppure il
giusto riconoscimento sociale ed
economico.
Il carcere di Como
Rispetto all’ultima visita di qualche mese fa, qualche lieve miglioramento c’è stato. Tuttavia anche
questa struttura continua ad avere problemi di sovraffollamento.
Gli attuali 488 detenuti superano
di molto il limite della capienza
regolamentare del carcere; basti
pensare che mediamente nelle
celle ci sono 2-3 detenuti (a volte anche di più) quando la “regola” prevede invece la presenza di
un detenuto per cella. La struttura presenta poi i segni del tempo,
ad esempio nella dotazione dei
settembre 2010
gd
detenzione
servizi per l’igiene personale dei
detenuti; le docce, comuni, sono
sottodimensionate.
A Ferragosto, una giornata di festa anche dentro il carcere; alcuni
detenuti hanno potuto vivere dei
momenti di socialità “eccezionali”, consumando il pasto insieme
ad altri detenuti nelle celle.
Questa volta ho avuto modo
di visitare la sezione femminile del carcere, separata e distinta da quella maschile; sarà per
le dimensioni più ridotte (circa
20 celle in cui però sono recluse
ben 58 detenute) o per i disegni
dei cartoni animati che riempiono i corridoi, la sala del nido o
la stanza degli incontri delle detenute con i figli, ma in qualche
misura questa sezione appare più
“normale” e insieme più dura da
accettare. Oggi nessuna delle detenute ha con sé all’interno del
carcere figli minori; in passato è
successo e le agenti di polizia mi
raccontano le difficoltà di bambini costretti a vivere nelle mura di un carcere, in ambienti che,
per quanto ingentiliti, conservano sempre il carattere di luoghi
innaturali, di reclusione.
Rispetto alle condizioni generali
alcuni dati colpiscono in maniera particolare: dei 488 detenuti
soltanto 4 si trovano in regime
di semi-libertà, svolgono cioè
attività esterne al carcere e rientrano ogni sera; 6 invece sono
impegnati in attività di servizio
interne al carcere. Questo dato
dà il segno dell’ancora scarsa attivazione ai percorsi alternativi
settembre 2010 o complementari alla detenzione, fondati sul reinserimento lavorativo e sociale: si dovrebbero
investire maggiori risorse e progettualità, anche attraverso un
potenziamento delle figure professionali impiegate all’interno
del carcere (educatori, assistenti
sociali, psicologi…) e una maggiore coinvolgimento dei servizi
sociali territoriali.
Mi hanno colpito le parole di
un detenuto: “Qui ci sono tante persone che, quando avranno
finito il loro periodo di carcerazione, si troveranno nelle stesse
identiche situazioni che li hanno
portati qui”. Mi domando quanto sia diffusa questa consapevolezza, nella comunità carceraria,
nei detenuti e in chi ogni giorno
si spende perché non sia un destino inevitabile.
All’inizio della visita ho partecipato, come qualche volta mi capita di fare, alla Messa celebrata
da don Giovanni, il cappellano
del carcere. Come sempre è un
momento denso di emozioni,
perché la Messa, animata dalla
musica di volontari, è molto partecipata; i detenuti ci vanno per
fede ma anche perché, lo dicono
loro stessi, è un’occasione in più
per uscire dalla cella, scambiare
qualche parola con altri che non
siano i compagni di tutte le ore.
Tre parole mi sono rimaste impresse: progetto, avvenire, speranza. Quali progetti possono
umanamente costruire queste
persone? Quali speranze animano le loro giornate, tutte uguali,
- GD n. 11 - segnate certo dal disagio della
condizione carceraria ma spesso
anche dalla consapevolezza del
reato compiuto? Creare le condizioni perché l’avvenire di queste persone sia diverso dal loro
passato, per loro stessi e ancora
di più per la società nella quale
torneranno a vivere, non è questo un compito dello Stato, forse
il più importante?
All’interno del Bassone esiste
anche una realtà ricca di umanità e solidarietà, a partire dal lavoro prezioso, svolto, non sempre
in condizioni facili, dagli agenti
di polizia penitenziaria e dal personale dell’amministrazione, e
dai volontari esterni che operano
nella struttura.
Occorre però che i politici e le
istituzioni si facciano carico di
corrispondere alle istanze del
mondo carcerario avviando politiche efficaci e di medio periodo, volte a superare la logica
emergenziale: un serio piano di
edilizia penitenziaria, una corretta determinazione delle risorse
professionali, finanziarie e strumentali, investimenti sull’esecuzione della pena all’esterno e su
progetti di reinserimento sociale
e lavorativo.
Fino a quando continuerà a prevalere la logica perversa secondo
cui violenze e illegalità “dentro”
siano funzionali a garantire la
legalità e la sicurezza “fuori”, il
carcere resterà un ostacolo insormontabile al raggiungimento
di un elevato livello di civiltà della nostra società.
21
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dà forza all’uguaglianza!
Non startene sola, unisci la tua voce alla nostra di Geniodonna. Abbiamo dedicato il nostro
primo anno di vita alle pari opportunità fra donne e uomini. Uguaglianza e pari opportunità contribuirebbero allo sviluppo della società e dell’economia: ma occorre un rinnovamento culturale che unisca donne e uomini per porre fine a discriminazioni e barriere. Questo è
il nostro obiettivo: ti chiediamo di unirti a noi e di abbonarti.
Discriminazioni da superare
Forse pensi che le donne non abbiano nulla di che lamentarsi? Allora ricorda che le retribuzioni delle donne sono inferiori di circa il 20% rispetto ai maschi; pensa alle difficoltà di
conciliare famiglia e lavoro; al ruolo di educazione e assistenza senza alcun riconoscimento
sul piano sociale; pensa alla recente punizione, come ringraziamento, dell’allungamento
dell’età pensionabile nel pubblico in nome di una falsa uguaglianza europea.
Il tuo segnale
Le donne sono tenute nelle aziende in ruoli subordinati, discriminate dopo la maternità;
pochissime arrivano in ruoli chiave a livello politico tanto che siamo la coda in Europa per
la presenza femminile nel Parlamento. Di parità e uguaglianza delle donne si legge solo
nella Costituzione, ma siamo ancora lontani dalla realizzazione dei principi.
Decidi di sottoscrivere l’abbonamento, per noi questo è il segno che non siamo soli, che il
nostro lavoro è ben orientato, che potremo durare nel tempo.
Come sostenere Geniodonna
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settembre 2010
idee&parole
Quello che le donne scrivono, hanno scritto, pensato, disegnato,
dipinto, scolpito, messo in musica.
gd
Essere poeta
di ben 15mila libri. Qui, negli ultimi anni di vita,
soleva promuovere una lettura di amici poeti nel
isogna arrivare nel Salento per trovare un cuore dell’estate, tradizione che pure è andata perricordo, vivo, di Maria Corti. Basta entrare dendosi nel giro di un paio d’anni dalla sua scomin una libreria qualsiasi di Lecce e L’ora di parsa. E qualche mese fa l’ha raggiunta nel mondo
tutti è lì, in evidenza, sullo scaffale dei longseller dei più anche il bibliotecario, Erino Bolla, che avepiuttosto che su quello dei libri che riguardano il va continuato a prendersi amorevolmente cura di
territorio. E a Otranto, dove è ambientata questa quel lascito librario. Anche la città di Como ha un
straordinaria rilettura polifonica dell’invasione del debito con Maria Corti. In particolare il liceo Volta,
turchi, quasi ogni estate, da quando la scrittrice- dove insegnò nei primi anni Cinquanta, ricordati
filologa è morta nel 2002, le rendono omaggio con con passione, e non poche critiche, nel suo diario
postumo edito da Interliiniziative di altissimo linea nel 2003.
vello, come le riduzioni
Rivolgiamo un suggeriteatrali e operistiche de
mento, anzi un augurio,
L’ora di tutti, curate da
alla prima preside donna
personaggi del calibro di
nella storia del liceo clasPamela Villoresi e Fransico di Como, Luciana Telco Battiato. Insomma, la
luri: di riuscire a concresua seconda patria, quel
tizzare un’intenzione che
Salento, dove il padre si
era stata manifestata dal
era trasferito dopo la presuo predecessore, Bruno
matura morte della maSaladino, e cioè quella di
dre, non ha dimenticato
riportare nell’edificio nela Corti e, soprattutto,
oclassico di via Cantù un
ha ben presente l’imporsegno tangibile del pastanza della cultura (e dei
saggio della Corti in quelsuoi “artefici”) nell’ecole aule e in quei corridoi.
nomia, in senso lato ma
Un ricordo di quella donanche in quello “stretto”,
na fragile, nel corpo ma
del territorio.
non certo nello spirito,
Purtroppo, non si può
che non voleva rassegnardire altrettanto della sua
si a essere una professoprima patria, la Lombarressa qualsiasi, ma teneva
dia in generale (Milano
a essere considerata uno
dove è nata e vissuta e
scrittore. Proprio così: al
Pavia dove ha insegnato
Nicolas de Staël, Figures, 1953, olio su tela. Martigny,
Fondation Pierre Gianadda.18 giugno-21 novembre 2010
maschile, senza distinzioe ha creato il Fondo mani (e discriminazioni) di
noscritti di autori congenere.
Non
una
targa,
ma un lavoro che susciti
temporanei) e il Comasco in particolare, luogo, tra
l’altro, del suo eterno riposo nel cimitero di Pellio passione fra gli studenti per la letteratura attraverIntelvi. Nella valle tra il Lario e il Ceresio (molto so i suoi romanzi e i suoi studi su Dante, facendo
forti anche i legami della grande donna con il Can- tesoro di alcune righe che, proprio nel suo diario,
ton Ticino) c’è la casa della madre della Corti, che dedica alla “missione” dell’insegnante, una critica
attende ancora di diventare un centro di studi in- ad alcuni colleghi del Volta un po’ troppo burocrati:
ternazionale secondo le ultime volontà della scrit- “Un maestro non è tale, se non è poeta, coltivatore
trice, e c’è la biblioteca nata da una sua donazione di fiori.”
di Pietro Berra
B
settembre 2010 - GD n. 11 - 23
idee&parole
gd
d
gQuando
Wonder Woman
stese Carnera
L’emancipazione femminile è passata anche attraverso i fumetti – Lo documenta la collezione
del comasco Gavino Puggioni da cui queste immagini sono tratte per sua cortesia
di Pietro Berra
S
e un concetto è difficile da far passare, provate a dirlo con i fumetti. Il genere letterario
(sì, anche se molti continuano a ritenerlo una
sottocultura) più popolare è stato utilizzato tante
volte nella storia per propagandare le idee più diverse. E non sempre le migliori, visto che ne hanno
fatto largo uso diversi dittatori del secolo scorso.
Ce lo ricorda una collezione molto speciale, quella del comasco Gavino Puggioni, dedicata ai “fumetti di
propaganda”. Una carrellata
in cui fanno la loro comparsa,
a volte come promotori altre
volte persino come personaggi, Mussolini e Mao Tse-Tung,
John Kennedy e… Gianfranco Fini. Quasi sempre uomini. Con qualche eccezione,
che dimostra come l’emancipazione femminile sia passata
anche attraverso i “balloons”.
Indimenticabile, il secondo numero di Wonder Woman,
uscito nel ’42 e quanto mai in
clima con gli eventi bellici allora in corso. In una “nuvoletta” l’imperatore giapponese
Hiroito si dichiara pronto a
intervenire contro Hitler che
“sta rendendo l’Italia uno stato vassallo”, purché, in cambio, gli italiani catturino la
superdonna che “manda a
monte i nostri piani”. Mussolini accetta e spedisce in America il peso massimo Premiero
Garvera (parodia del pugile
Primo Carnera) per battersi
con la bella eroina. La pin-up
dai muscoli d’acciaio non si
limita a sbaragliare il giganDonnina. Editrice nazionale STEN.
24
- GD n. 11 - settembre 2010
idee&parole
La ragazza della comune popolare. Edizioni d’arte del popolo. Shanghai 1964.
te (“buono” secondo la storiografia ufficiale, “feroce” nel fumetto), ma arriva a distruggere anche
Marte, il più bellicoso degli dei, alleato delle potenze del Patto tripartito.
Il numero 2 della supereroina americana è una delle chicche di una collezione che copre quasi un
secolo. A partire da Lilì durante la guerra, storia a
fumetti (anzi, allora in Italia si usavano ancora le rime baciate in calce alle vignette) pubblicata sul settimanale per teenager Donnina nel ’15-18: i soldati
tedeschi cadono puntualmente nelle trappole della
giovanissima protagonista, che in una puntata tappa la bocca a un plotone con dei confetti al vischio
e in quella successiva li manda a curarsi da un veterinario grazie a uno scambio di insegne.
“Anche i comunisti”, afferma Puggioni, “hanno
fatto ricorso al fumetto per propagandare le proprie idee”. E mostra alcuni libretti pubblicati in Cina a metà degli anni Sessanta dalle Edizioni d’arte
del popolo di Shangai e ristampati in Italia da Laterza.
Tra le “idee propagandate” da Mao attraverso le
“nuvolette” c’è anche quella della parità tra uomo
settembre 2010 e donna, come si evince fin dai titoli di certi albi:
Distaccamento femminile rosso e La ragazza della comune
popolare. A proposito di comunisti, Puggioni ricorda un singolare “compromesso storico”, stavolta
contro i fumetti, tra Nilde Iotti e Palmiro Togliatti,
da una parte, e la Dc dall’altra. Era il 1951 quando scoppiò la crociata anti fumetti in Parlamento: i
democristiani li ritenevano responsabili del dilagare della violenza e del malcostume tra i giovani e i
comunisti li accusavano “di essere strumenti di un
imperialismo cinico e fascista”.
Imperitura testimonianza di quel clima i numeri di
Tex dal 24 al 48 con il marchio Gm (Garanzia morale) in copertina, nonché con scollature e gonnelle
rimpinguate.
Ma tornando a Wonder woman, era la tipica icona sexy americana o il prototipo della donna emancipata? Il dibattito è aperto da anni, eppure la risposta
la diede in principio l’autore del fumetto, William
Moultom Marston: “Il miglior rimedio per rivalorizzare le qualità delle donne è creare un personaggio femminile con tutta la forza di Superman e in
più il fascino di una donna brava e bella.”
- GD n. 11 - 25
gd
donne in cammino
Sorellanza afro-americana
Le proposte di lotta e di autonomia della filosofa statunitense Bel Hooks
26
- GD n. 11 - settembre 2010
gd
idee&parole
contro sessismo e razzismo
di Eleonora Missana
A
partire dagli anni ’80, all’interno del femminismo e dei nascenti Women’s Studies
emergono voci di donne che provocano
un ripensamento critico dei paradigmi femministi dominanti. In particolare quello di un soggetto
femminile unitario in grado di operare tout court
una indistinta sorellanza tra le donne. Tra queste
voci, spiccano quelle delle femministe afroamericane che muovono dall’esigenza di riflettere sulla
specifica posizione delle donne nere nella storia e
società americana. Una storia segnata da un passato di schiavitù, dalla segregazione dei neri e dal
razzismo persistenti nella società e nella cultura
nordamericana contemporanea. Una storia però segnata anche tra gli anni ‘60 e ‘70 dall’esplosione di
un grande movimento di contestazione e di liberazione dei neri, parallelo al movimento femminista e
al movimento pacifista di protesta contro la guerra
in Vietnam.
Contestazione anni ‘60-’70
In tale contesto, alcune femministe nere, già nella
seconda metà degli anni ‘70, iniziano a rivendicare
una visibilità della loro specifica soggettività, luogo
di iscrizione di un duplice regime di dominio basato tanto sulla razza quanto sul sesso. Specificità
che in qualche modo era stata oscurata tanto all’interno del movimento di liberazione dei neri quanto
del femminismo. La prima antologia di studi delle
donne nere, pubblicata nei primi anni ‘80, si intitola
ironicamente All the Women Are White, All the Blacks
Are Men, but Some of Us Are Brave. (Tutte le donne
sono bianche, tutti i neri sono uomini ma qualcuna di
noi è coraggiosa).
Circa un decennio dopo, negli anni ‘90, quando
molte pensatrici femministe cominciano a esplorare
la possibilità di declinare in senso politico radicale
il discorso filosofico sul post-moderno, si afferma la
proposta di una filosofa afroamericana, Bell Hooks
(lei usa la lettera minuscola per scrivere il proprio
nome e cognome), di cui in Italia viene pubblicata,
un’interessante scelta di scritti intitolata Elogio del
margine a cura di Maria Nadotti.
Nel testo emergono due linee di riflessioni principali. Da un lato, l’autrice pone in luce come l’esplo-
settembre 2010 razione della soggettività femminile nera si riveli
fondamentale per delineare un punto di vista critico peculiare. Bell Hooks ricorda l’importanza del
ruolo delle donne nella comunità nera all’epoca
della schiavitù fino all’epoca più recente, sottolineando il valore fondamentale della “casa come sito
di resistenza” contro la disumanizzazione e umiliazione, che per le donne nere si basava anche sullo
sfruttamento sessuale, subiti dal regime schiavista
prima e dalla cultura razzista diffusa.
Dall’altro lato, la filosofa intende mostrare in che
modo il postmoderno, che segna la crisi delle grandi narrazioni della modernità occidentale, può
rivelarsi una chance per la lotta dei neri contro il
razzismo e l’oppressione, perché evita la trappola
“essenzialista” che rischia per le donne come per i
neri di perpetuare i miti dell’oppressore.
Il testo è ricco di materiali vari, compresa la critica
acuta di come l’immaginario sessista e razzista lavori nella rappresentazione simbolica e nella società dello spettacolo (suggestive le pagine dedicate a
esempio a Tina Turner o a Madonna).
Sessismo e razzismo
Ciò che viene messo in luce in modo convincente è
come sessismo e razzismo siano regimi di dominio
dei corpi che sovente si incrociano e si sostengono
a vicenda. In tale senso, la lotta al sessismo dovrebbe, secondo Hooks divenire parte integrante della
lotta di liberazione nera dal momento che proprio
l’affermazione del sessismo segna la vittoria di quel
suprematismo bianco di cui il sessismo è stato e rimane un’arma fondamentale.
Rivolgendosi ai fratelli neri, Hooks ricorda ad esempio che l’immagine dei neri come maschi ipersessuati e violenti, sia stata un’invenzione del regime
razzista per giustificare, in epoca post-schiavista, il
linciaggio dei neri o la loro condanna alla pena di
morte. La lotta al razzismo o la coscienza dei nessi
tra regimi di genere e di razza diviene parimenti indispensabile nell’agenda politica femminista al fine
di evitare ogni complicità con l’uso di ragioni femministe per giustificare politiche discriminatorie o
razziste (io uomo bianco salvo te donna bianca e
nera, da maschi neri retrogradi e pericolosi). Un’indicazione che mi pare non abbia perso d’attualità
per la riflessione femminista europea.
- GD n. 11 - 27
donne in cammino
gd
l’intelligenza del sentire
Secondo la filosofa Maria Zambrano la donna è dotata di senso cosmico
28
- GD n. 11 - settembre 2010
idee&parole
un intuire indomabile
di Manuela Moretti
E
siste un’intelligenza che non si sottomette
all’astratta logica della ragione, ma risiede nel sentire: si tratta di un’intelligenza
d’amore, come ci insegna una straordinaria filosofa
spagnola del Novecento, María Zambrano, prima
donna a essere insignita del prestigioso Premio Cervantes per la Letteratura nel 1988. Questa capacità
del sentire è, secondo questa grande pensatrice, più
propria della donna. l’uomo sogna di sottomettere
la realtà intera alla sua visione, senza riuscire mai
ad accontentarsi. La donna è più vicina alla natura:
la sua vita, dotata di un senso cosmico non razionale, si mantiene aderente a essa.
Questa volontà di ridurre la realtà agli schemi razionali del soggetto, ha la sua origine, ci insegna
María Zambrano, fin dall’antica Grecia di Parmenide ed è qualcosa di intrinseco al pensiero filosofico
fin dalle sue origini: l’esperienza è rimasta separata
dal pensiero, mentre essa va considerata come qualcosa di originario, che precede ogni metodo. La vita
dell’uomo concreto è stata dunque abbandonata in
nome di una ragione astratta. È necessaria, secondo
María Zambrano, una riforma radicale che riavvicini l’uomo alla vita. Questa capacità di attenersi
a ciò che è, questa fedeltà alla realtà, è, secondo la
filosofa spagnola, propria della donna: a differenza dell’uomo, la donna non vive nella volontà, ma
nell’amore, anche se ciò comporta l’esclusione da
una tradizione intellettuale e culturale, ovvero dalla filosofia insegnata accademicamente.
Le ragioni dell’anima
All’origine del mondo occidentale ritroviamo una
radicale divergenza tra l’uomo e la donna. La donna, afferma María Zambrano in All’ombra del dio
sconosciuto, “non si è definita intellettualmente, logicamente, come l’uomo; è creatura alogica che cresce e si esprime al di là della logica, o al di qua, mai
comunque all’interno”. María Zambrano afferma
di aver fatto esperienza lei stessa dell’esclusione
femminile dal campo della logica razionalistica e
accademica. È necessario pensare alla luce di un’altra logica, nella quale l’intelletto non sia costretto
a razionalizzare ma sia presente diversamente, lasciando spazio alle ragioni dell’anima. Nella donna l’anima predomina sul resto, sulla carne e sullo
settembre 2010 gd
spirito che possiede l’uomo. Il sapere dell’anima
ha fondamento nel sentire, e la donna non vuole
svincolarsi dal proprio sentire: restare vincolate al
proprio sentire non è una schiavitù, ma una libera
scelta. Le donne scelgono di restare legate a ciò che
sentono e, in questo modo, accumulano un sapere
di esperienza che María Zambrano indica con il termine incipit vita novae: un nuovo inizio per il pensiero della filosofia occidentale, un nuovo modo di
rapportarsi alla realtà.
Non dunque un tipo di sapere che si raggiunge
attraverso esplorazioni astratte e oggettivanti, ma
una filosofia che propone una nuova e antichissima logica: l’intelligenza dell’amore. “Questa intelligenza, come scrive Annarosa Buttarelli, la più
autorevole studiosa italiana di Maria Zambrano nel
suo libro Una filosofa innamorata (BrunoMondadori
2004, € 12,50) è il sapere di un’anima che sa innamorarsi, che sa dare alla vita il senso dell’amore che
è il senso della vita come offerta, come apertura”: si
tratta di una conoscenza in grado di legare insieme
pensiero ed esperienza, in una relazione d’alterità.
Le lettere scritte e ricevute da Maria Zambrano durante il suo lungo esilio, durato quasi quarant’anni
a causa della dittatura franchista, sono una viva testimonianza di questo legame tra pensiero ed esperienza. La collana Corrispondenze, edita dalla casa
editrice Moretti & Vitali, dedica un’intera collana
di volumi agli epistolari della filosofa spagnola e,
come scrive nell’introduzione Annarosa Buttarelli, curatrice del progetto, intende “aprire un luogo
ulteriore dove possa scorrere l’insegnamento della
filosofa attraverso la sua vita e le sue relazioni in
atto e in pratica”.
I primi due volumi della collana sono già stati pubblicati: il primo, dal titolo Dalla mia notte oscura,
lettere tra Maria Zambrano e Reyna Rivas (Moretti &
Vitali 2007, € 18), raccoglie le lettere tra Maria Zambrano la poetessa venezuelana Reyna Rivas, destinataria delle confidenze più difficili riguardanti i
momenti più duri della vita della filosofa spagnola;
il secondo, dal titolo Mia cara amica Maria, lettere a
Maria Zambrano (Moretti & Vitali 2009, € 14), raccoglie le lettere del poeta e scrittore spagnolo José
Bergamín rivolte alla filosofa e sono una viva testimonianza dell’esperienza della guerra civile e
dell’esilio dovuto alla vittoria di Franco che entrambi hanno subito.
- GD n. 11 - 29
Fotografie di Attilio Marasco.
gd
geniodonnateatro
EL BALOSS
L’Odissea in dialetto laghée
di Basilio Luoni
UNA PRIMA TEATRALE A COMO
30
- GD n. 11 - settembre 2010
gd
geniodonnateatro
Sabato 23 ottobre 2010 ore 21.00
Teatro Nuovo Rebbio
Via Lissi 9, Como
Info: tel. 0312759236 - [email protected]
Teatro in “lezzenese”
30 anni di passione
che varca i confini
Intervista a Basilio Luoni, professore, drammaturgo, traduttore, attore, pittore…
di Katia Trinca Colonel
“L’avvenire di un uomo è nelle mani del maestro
di scuola” scrisse Victor Hugo. È nell’infanzia che
si apprendono i segreti di una buona vita. Quanto
più il maestro saprà trasmettere l’amore e la passione per la conoscenza (perché lui stesso ne è intriso), tanto più i suoi allievi cresceranno sicuri e
aperti alla vita. Dio sa quanto bisogno ci sia oggi,
quanta fame, oserei dire, di veri, appassionati maestri! La fortuna di una compagnia teatrale amatoriale di Lezzeno, un piccolo comune sulla sponda
orientale del Lago di Como, è stata di incontrare
un maestro così. Dalla scuola media dove ha insegnato lettere per tanti anni sono usciti quei ragazzi
e quelle ragazze che di generazione in generazione
per trent’anni (il padre che cede la parte al figlio,
il fratello maggiore al fratello minore) hanno scoperto, per contagio, come la magia del teatro possa cambiare una vita, l’immaginazione diventare
il sale che insaporisce il piacere del sogno. E lui, il
maestro, Basilio Luoni, drammaturgo, traduttore,
attore e pittore, da caposcuola coerente qual è, ha
tenuto sempre fede a una speciale passione presa
sui banchi del liceo, un’esaltazione che ha segnato
il suo destino e che mai è venuta meno in trent’anni di attività. Sì, perché mentre i suoi coetanei rincorrevano le ragazze, si addormentavano sui libri
o riponevano in Marx tutte le speranze, Luoni si
buttava sulla commedia francese, Molière in testa.
Innamorato del padre di testi immortali (L’avaro,
settembre 2010 Georges Dandin, Il Tartufo, Il malato immaginario), cominciò a frullargli nella testa un’operazione quanto
mai originale, tradurre quei testi dal francese antico
nel dialetto lezzenese. E poi, con una piccola compagnia amatoriale tutta fatta di gente di Lezzeno,
recitare il Molière in dialetto. L’Avaro diventa El
pioeucc, Georges Dandin il Giorgii rampega e via così.
Ed ecco che, inaspettatamente, l’operazione funziona e quelle commedie cominciano a traversare la
sponda del Lario per poi sbarcare nei teatri milanesi e persino in Toscana, raccogliendo consensi e
recensioni entusiaste da intellettuali del calibro di
Gianfranco Ravasi (“rubesto eppur raffinato” disse del dialetto di Luoni), Giovanni Testori, Dante
Isella.
“Allora il lezzenese,” racconta Luoni, “mi è sembrata
la scelta più logica, visto che era la mia lingua madre,
oggi il dialetto è una protesta contro un italiano che è
sempre meno tale, banalizzato e volgare.”
Nella sua casa affacciata sul Lago, specchio di una
vita passata tra i libri (quelli che in edizioni pregiate si affacciano dalla sua libreria: i poeti francesi,
Quénot, Trenet, Proust e mille altri) intorno alla comoda poltrona dove siede, fanno cerchio Alessandra, Plinia e Giovanni, tre dei suoi giovani attori,
ciascuno con il proprio lavoro, gli affetti, i figli, le
faticose incombenze quotidiane. Ma nei loro occhi vedi brillare il sacro fuoco del teatro, quando
raccontano il divertimento del recitare, il buttarsi
a declamare l’Odisseo in dialetto, o tutto quello che
- GD n. 11 - 31
gd
geniodonnateatro
di nuovo frulla nella testa del loro maestro: da Gli
uccelli a Le donne in parlamento di Aristofane, fino
ai testi scritti dallo stesso Luoni, e chissà quali altri progetti nel cassetto. Il maestro è orgoglioso dei
suoi allievi perché sa che quella passione contagerà
ancora, passando da quel ragazzo, che di giorno fa
il muratore e la sera suda sui copioni scritti in quel
dialetto che fu dei suoi nonni, ai suoi amici e agli
amici degli amici.
“Il dialetto non è una questione nostalgica e tanto meno
una lusinga politica,” rimarca Luoni, “è la lingua in
cui meglio mi esprimo perché a una precisa emozione o
a una situazione corrispondono precise parole; modi di
dire che hanno una forza e una coloritura più intensa
rispetto all’italiano.” Parole a volte dure e grezze,
certo, e che, a volte, invece, sfociano nella poesia.
Prendiamo per esempio “pioggerellina”, in dialetto
lezzenese si dice calisnèta, un rimando alla caligine,
a quel colore grigiastro che prendono il cielo e il
lago quando, mentre cade la pioggia fine, si confondono. Intraducibile in italiano, non c’è che da dare
atto al maestro Luoni.
El Baloss, uno spettacolo da non perdere
per quattro ragioni:
• Ripercorrerai il mito omerico reso vivo da gente di paese.
• Si parla il dialetto laghée, lingua vera e libera in un epoca
in cui l’italiano è svaccato e servile.
• El Baloss è anche il forestiero, lo sconosciuto e può apparire un pericolo, come a tanti appare anche oggi.
• è un’opera scritta e diretta da un grande nostro autore dialettale.
32
- GD n. 11 - settembre 2010
un libro strenna di geniodonna
Un’indagine della scrittrice Licia Badesi
sui rapporti di Polizia
illustrata da Valentina Gianangeli
Voci dal silenzio
di vite senza nome
In un libro stimolante
i frammenti del vivere
di donne e uomini
a Como e nel Cantone Ticino
dal 1750 al 1860
Una esclusiva di Geniodonna
che puoi prenotare ora
e regalare poi
ad amici e parenti
per le Feste di Natale
e di fine anno
Brandelli di vita vissuta inghiottiti
nelle carte polverose di 200 faldoni dell’Archivio di Stato
settembre 2010 - GD n. 11 - 33
i segreti della gente “qualunque”
Da rapporti di polizia
vecchi di due secoli
giungono a noi le vicende
di fruttivendole,
contrabbandieri,
mendicanti,
tessitori in rivolta,
vagabondi,
cantastorie,
spazzacamini,
garibaldini,
ragazze di vita,
donne violentate:
storie stranamente
simili alle nostre
Il libro sarà in vendita
a soli 20 euro
Raggiunto un minimo di 250
prenotazioni prenderà
il via la stampa.
La prenotazione
(dal 1° settembre a fine ottobre 2010):
• in redazione (dalle 09.30 alle 12.30
e dalle 15.30 alle 18.30)
viale G. Cesare n.7 a Como,
tel.+39 031 2759236
• Versando l’importo
sul c/c postale n. 96278924 intestato
all’editore “Il Senato delle donne”,
causale: contributo a pubblicazione
• Per i vecchi e nuovi abbonati
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La Consegna (dicembre):
Il libro può essere ritirato
direttamente in redazione.
Per chi non può: invio postale
con spese a carico dell’acquirente.
Un libro partecipato:
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La pesca del destino
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- GD n. 11 - settembre 2010
nelle carte giudiziarie di due secoli fa
In carcere per una pezza
Ecco alcuni passi tratti dal libro
Le genti meccaniche e di piccolo affare
Le donne a tirare l’aratro
...Gli studi sulla vita economica dell’area di Como e
del Ticino a cavallo tra XVIII e XIX secolo ci offrono un’ informazione accurata ed ampia...
...Ci sembra che invece non sia stata indagata in
modo altrettanto accurato la vita della gente qualunque, la gente che “non fa notizia”. Ci riferiamo al
destino a cui gli umili, i sommersi, fatalmente vanno incontro: l’anonimato. Noi pensiamo che valga la
pena di cercare di dare loro un volto, di chiamarli col
loro nome, di andare alla ricerca del caso per caso,
per capire più da vicino la loro condizione, per aggiungere una tessera, per quanto piccola, al grande
mosaico della storia...
...Una tabella relativa al dipartimento del Lario
del 1814 sulla notificazione dei grani, mostra che la
coltivazione di frumento e granoturco è addirittura
inferiore, e non di poco, al bisogno della popolazione. Non diversa è la situazione degli allevamenti,
destinati al consumo interno: assente è infatti il commercio dei bovini. La penuria di generi alimentari
raggiunge livelli preoccupanti. Una relazione comasca relativa all’annona del 1774 mette in rilievo il
fatto che la quota individuale di grano concessa agli
agricoltori - inferiore di 8-9 volte a quella concessa
ai soldati e ai carcerati - consiste di 4 once scarse di
pane al giorno. Così che i contadini “con tal riporto non
ponno né vivere né lavorare”. La condizione delle donne è
anche peggiore. Quando gli uomini lasciano i campi
per l’industria manifatturiera, sono le donne che si
occupano dei lavori dei campi. E là dove si può usare l’aratro, non vi si aggiogano i buoi, ma le donne
appunto...
Carcere per una pezza lasciata a metà
...I documenti del tempo rilevano le lamentele dei
fabbricatori, scontenti del lavoro delle donne addette
alla trattura, che venivano pagate a cottimo, e che
perciò badavano più alla quantità che alla qualità.
E non meno critico era l’atteggiamento nei riguardi
dei tessitori, tanto che nel 1763 era stato promulgato
un editto: 1) se un tessitore lasciava a metà una pezza
cominciata rischiava il carcere; 2) se un capo tessitore
assumeva un tessitore reo della colpa di cui sopra, sarebbe stato punito con la multa di 10 scudi; 3) un tessitore poteva cercarsi un altro posto di lavoro solo col
consenso del fabbricatore; 4) chi sottraeva del materiale che gli era stato affidato, sarebbe stato frustato
pubblicamente, e messo alla gogna con un cartello al
collo recante la scritta “ladro di manifatture”...
settembre 2010 Per i mendicanti obbligo di un distintivo
...Il Magistrato della Sanità interviene: i mendicanti
dovranno portare un distintivo, con l’immagine di
S. Abbondio, che non dovrà essere ceduto ad altri,
l’elemosina dovrà essere richiesta umilmente a voce
bassa. Coloro che riceveranno il distintivo dovranno
partecipare tutti i lunedì alle giornate sulla dottrina
cristiana a loro espressamente riservate dalla Compagnia di Gesù...
- GD n. 11 - 35
idee&parole
Intervista a Shobhaa Dé, giornalista e autrice di India Superstar
Foto: ©Vikram Bawa
gd
gd
È meglio quando
comandano le donne!
di Maria Tatsos
I
n India è un’autentica celebrità. Giornalista ed
editorialista, è la regina dei salotti di Bollywood ed è anche autrice di popolarissimi bestseller
che intrecciano amore, denaro e sesso. Shobhaa Dé è
un’icona. Essere ricca e affascinante l’avrà certo aiutata, ma ci vuole intelligenza e sensibilità per riuscire
a coniugare una brillante carriera con una famiglia
di sei figli. Oggi, a 62 anni, ha deciso di raccontare al
mondo la “sua” India, con un saggio che ha l’ambizio-
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ne di offrire uno sguardo femminile sul Paese. Perché,
come racconta, “le donne vedono, toccano, sentono
le cose e le culture in un modo differente”. E perché
la storia, per tradizione (e non solo in India) l’hanno
sempre raccontata gli uomini. L’abbiamo incontrata in
occasione del lancio italiano di India Superstar (edito
da Tea, € 12). Un libro che è una “lettera d’amore” per
l’India, che non è più soltanto la terra dei santoni, dello yoga, del curry e dei mendicanti, ma è una nazione
che sta cambiando volto. Grazie a un’economia in crescita malgrado la recessione internazionale.
- GD n. 11 - settembre 2010
idee&parole
E grazie ai suoi giovani (sono oltre 600 milioni sotto i
30 anni) colti e ambiziosi. In questa India dai mille volti e contraddizioni, anche la posizione delle donne è in
fermento. Se non si bruciano più le vedove sulla pira
del marito defunto, la violenza in famiglia resta una
piaga endemica. Eppure, questo Paese vanta una leadership femminile importante, soprattutto in politica:
da Indira e Sonia Gandhi fino all’attuale presidente
della Repubblica, Pratibha Patil, nominata nel 2007 e
prima donna a ricoprire questo incarico. E c’è anche
Kumari Mayawati, primo ministro dell’Uttar Pradesh
(lo stato più popoloso dell’India) e prima leader politica proveniente dalla casta degli intoccabili, i dalit.
In India le differenze nello stile di vita fra città e
campagna sono enormi, soprattutto per le donne.
Quanto ci vorrà perché la situazione cambi?
Almeno un ventennio. Per secoli, la nostra è stata
una società patriarcale, con tante contraddizioni. Per
esempio, la posizione femminile migliorava con l’età.
Anche oggi, una sessantenne è più autorevole e rispettata in India che in Europa!
Dal punto di vista giuridico, la nostra Costituzione
promuove l’uguaglianza e le pari opportunità. Una
normativa, fortemente voluta da Sonia Gandhi, riserva il 33% dei seggi parlamentari alle donne. Contro la
violenza in famiglia, ci sono centri di aiuto presso la
polizia e la legge offre protezione. Ma la società non
incoraggia le donne a difendersi: denunciare il marito
è un atto di slealtà nei confronti della famiglia. Comunque, anche nei villaggi qualcosa si muove. Il Panchayati raj, un organo di autogoverno locale composto
da cinque persone, per tradizione era in mano agli
uomini. Grazie alle leggi, circa 100.000 capi di questi
consigli attualmente sono donne. Nelle loro comunità
ci sono meno corruzione e alcolismo, e istruzione e sanità sono migliorate. E pensare che molte di loro sono
analfabete! Ma stanno facendo un ottimo lavoro.
L’infanticidio femminile esiste ancora?
Sì. C’è un villaggio del nord dell’India, per esempio,
dove da anni nei registri anagrafici non risulta la nascita di una bambina. Nascono soltanto maschi? Ovviamente no. Le neonate vengono eliminate.
Dove è meno difficile nascere donna?
In Kerala, per esempio. La società è matriarcale, le
donne hanno in mano tutto, inclusi il denaro e l’eredità familiare. Qui l’alfabetizzazione raggiunge il 99% e
le donne sono più consapevoli dei loro diritti.
Purtroppo questa è una situazione particolare, di un
piccolo Stato.
settembre 2010 I padri indiani?
Meno autoritari, più vicini ai figli
Come sta cambiando la società indiana? Abbiamo
rivolto questa domanda a Sudhir Kakar, noto scrittore, docente universitario e psicanalista, che con
la moglie Katharina ha scritto il saggio Gli Indiani.
Ritratto di un popolo (Neri Pozza, € 16).
“Il mutamento maggiore riguarda la situazione femminile. È un processo iniziato quaranta anni fa, con
l’accesso all’istruzione e poi al mondo del lavoro
e alla carriera. Le famiglie nucleari (non più allargate) stanno diventando più importanti. In questo
ambito, è interessante sottolineare il nuovo ruolo
del padre: una volta era una figura distante dai figli,
oggi è più coinvolto nella loro educazione. Ne consegue anche un diverso atteggiamento, anche nelle
organizzazioni, nei confronti dell’autorità. Un altro
mutamento importante riguarda la sessualità, per
tradizione conservatrice, ora più erotica.”
Donna e single: è possibile?
Nelle grandi città, sì. Ma in campagna non è consentito: si viene costrette al matrimonio.
L’India ha regalato al mondo il Kamasutra, ma il sesso da voi resta un tabù. Anche fra i giovani?
La situazione sta cambiando, ma lentamente. Oggi
non sconvolge più vedere, in un film, una coppia a letto, suggerendo che potrebbero fare o aver fatto sesso,
anche se non sono sposati. Fino a 10 anni fa, l’eroina
del film doveva apparire vergine e virtuosa. Persino
se era nata negli Usa o in Gran Bretagna. E comunque
anche oggi, in molti annunci di ricerca dell’anima gemella, gli uomini cercano una compagna “vergine e di
pelle chiara”.
La colonna portante della società indiana è sempre
stata la famiglia allargata, in cui più generazioni
convivono sotto lo stesso tetto. Oggi la ricerca del
denaro e il desiderio di carriera stanno cambiando
il tessuto sociale urbano. La famiglia tradizionale è
destinata a occidentalizzarsi?
Questa è la mia grande paura, ma temo che sia inevitabile. I divorzi aumentano, ci sono più genitori single,
matrimoni e maternità sono rimandati nel tempo…
Saremo più felici? Non credo. Intorno a me vedo gente che quando si trova a tavola con i familiari anziché conversare si relaziona con il proprio Blackberry.
I giovani vanno a letto con il portatile per continuare
a lavorare.
Avremo una società di individui sempre più scollegati
fra di loro e fragili.
- GD n. 11 - 37
Rubrica a cura di Katia Trinca Colonel - [email protected]
gd
LACONTALIBRI
Quelle che si vogliono incazzare
Caterina Soffici
Ma le donne no.
Come si vive nel Paese
più maschilista d’Europa
(Feltrinelli, 14 euro)
Caterina Soffici, fiorentina, vive a Milano con il marito e i due
figli. Ha scritto per quotidiani nazionali, per Radio Due e Radio
Tre. Bisognerebbe che questo suo libro facesse discutere. E
invece…
Il 2 giugno 1946 all’Assemblea Costituente entrarono
21 deputate su 556 uomini. L’onorevole Teresa Mattei – la più giovane rappresentante eletta nelle liste
del Pci – ricorda le battute con cui gli uomini accolsero la novità: “E durante quei giorni, sì il ciclo, come potrebbero giudicare con serenità?” Sessant’anni
dopo la mentalità non è cambiata di molto, il numero
delle donne elette, in Italia è appena raddoppiato e
rimane tra i più bassi d’Europa, inferiore a tanti Paesi del Terzo Mondo. L’autrice – dalle lacrime della Prestigiacomo all’impossibilità di avanzamento di
carriera di Mariangela, ingegnere idraulico, al fenomeno delle veline in politica, alle donne-coraggio che
lottano contro le dittature – intraprende un viaggio
nell’Italia delle donne e non solo. Confrontata con i
casi extraeuropei di discriminazione, la situazione nostrana si differenzia in un aspetto fondamentale: la
consapevolezza del diritto.
In Italia la divaricazione tra dimensione legale e dimensione etica è drammatica. Le pari opportunità,
garantite sulla carta, nella vita quotidiana non trovano
ancora applicazione.
E le donne, nella maggior parte dei casi, non si avvalgono della legge per farle rispettare.
Facciamoci due risate sul mondo della TV
Filosofia facile per fare il punto della situazione
“In quanto filosofa, ho sentito il dovere di abbandonare la torre d’avorio in cui si trincerano spesso
gli intellettuali per spiegare le dinamiche di oppressione che imprigionano la donna italiana”. è
raro che una donna si impegni in un “atto d’amore” nei confronti del genere femminile. Le donne
scrivono delle donne, certo, ma lo fanno più spesso per raccontare - attraverso romanzi-verità o
neri gialli e rosa - di altre come loro, madri, figlie,
mogli; come gli uomini, cercano e tessono il filo
rosso che collega dolori, sogni, paure. Più raro è
che una donna parli a tutte le donne, come si suol
dire, con il cuore in mano. Questo bel saggio di
Michela Marzano, facile e fluido, spiega tanto di
noi. Alieno da toni predicatori, dipana le nostre
debolezze e fa leva sui punti forti. La Marzano ci
mette in mano il martello per rompere il “soffitto
di cristallo”, ci invita a “fare rete” per migliorare
insieme.
Michela Marzano
Sii bella e stai zitta.
Perché l’Italia di oggi
offende le donne
(Mondadori, 17 euro)
Michela Marzano è professore associato all’Università Descartes di Parigi. Si occupa di filosofia morale e politica. Noi italiane
non siamo fiere di lei come meriterebbe.
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Alessandra Faiella
Il lato B
(Fazi Editore, 17.50 euro)
Ve la ricordate la cubista del Pippo
Kennedy Show? è lei, Alessandra Faiella. Attrice comica, ha lavorato con
Dario Fo e Franca Rame.
Conosce bene il mondo delle veline e
questo suo primo romanzo lo dimostra.
“Chi sono? Una ragazza semplice così come sono
semplici le mie ambizioni: trovare un ragazzo che
mi ami e mettere su famiglia, avere dei bambini,
insomma i sogni di tutte le ragazze normali.
E… ve lo confesso: sono ancora vergine. Traduzione: Chi sono? Una gran zoccola che si è fatta strada a suon di chupa chups e che arriverà così
in alto che neanche ve lo potete immaginare, ricca e famosa che Julia Roberts è una sguattera a
confronto ma con una ideuzza in più, un’idea così
spudorata e scandalosa che quasi non oso confessarla nemmeno a me stessa”.
Cinica, spietata, intelligente e… con un gran bel
lato B. Alessandra Faiella ha creato un mostro:
si chiama Katia G. è una ragazza ambiziosa che
sfrutterà il suo corpo per arrivare in alto, molto in
alto. E ci farà sbellicare dalle risate.
- GD n. 11 - settembre 2010
Qui si dà conto dei libri in uscita ma è anche il luogo che racconta
delle loro storie e delle emozioni che evocano in noi.
Chi è alla ricerca di una Kay Scarpetta autentica
Come sarebbe fiero Walter
Tobagi, giornalista ucciso
dalle Brigate Rosse nel 1980,
della figlia Benedetta, che al
momento della sua morte aveva solo tre anni. Questo non
è solo il ritratto circostanziato e lucidissimo di un padre.
Questo è un libro scritto con
una prosa matura, articolata
e avvolgente. E non è solo
la storia di una figlia che va
alla ricerca del padre, è uno
spaccato d’Italia, è una voce
che grida tutto il suo sdegno
perché ancora oggi giustizia
non è stata fatta. Finalmente,
chiusa l’ultima pagina, quando Benedetta si trova, faccia a
faccia, suo malgrado, con uno
degli assassini del padre, si
comprende davvero cosa sta
nel fondo del suo cuore: “Per
quanto cocente e palese, il
pentimento di Marano, io non
ho le forze per perdonare. Voglio che viva e vada avanti, ma
non può chiedermi le risorse
per farlo. Ho diritto di non
perdonare”.
(Mondadori, 17 euro)
La dottoressa Cristina Cattaneo, antropologa forense e medico legale, si sveglia spaventata da
un terribile incubo. Come ogni tanto accade – la
tensione del lavoro, le cose dimenticate, quelle da fare ci vengono a
far visita nel sonno – anche la dottoressa ha messo in piedi lo spettacolo notturno dei suoi “casi”. Angosce legate a quel cadavere che non
è riuscita a identificare, a quella giovane donna che le chiede conto del
suo bambino, a quell’uomo cui hanno sparato in testa, a quell’altro
che si è tolto la vita, a quel santo che… ma era davvero “quel” santo?
Storie di corpi freddi da sezionare, ossa da misurare e analizzare, nel
tentativo di ricomporre la vita di uno sconosciuto, di ridare dignità a
brandelli martoriati che vengono alla luce, improvvisamente, oggi o
che riemergono dai secoli passati. Con uno stile avvincente la dottoressa Cattaneo ci mette a parte dei suoi enigmi. Quelli che la scienza
non sempre può svelare. Leggiamo la vita dell’autrice dalle prime, timide, sperimentazioni all’Università alla direzione di Labanof di Milano, e seguendo la sua carriera ci avviciniamo alla scienza forense,
spiegata con umiltà e passione.
Cristina Cattaneo è medico legale. Ha studiato biologia, antropologia e paleopatologia in
Canada e in Inghilterra. Dirige Labanof, Laboratorio di antropologia e odonotologia
forense di Milano. Questo è il suo terzo libro. Il suo stile è un bel mix di divulgazione, gusto
per il giallo, autobiografia ragionata.
Per quelle che non hanno paura di riflettere sulla morte
gine bellissime,
pulsanti di vita,
sì di vita, non di
morte. Una lezione di dignità
e coraggio impagabile. La Tatafiore ripercorre
le sue ultime giornate e ci narra
la sua storia. Una storia che commuove, appassiona, indigna, ma
che non lascia l’amaro in bocca.
Tutt’altro. Il retro di copertina ci
consegna queste sue parole: “A
chi appartiene la vita? Alla società? A Dio? A noi stessi? Credo
che la vita appartenga a ogni individuo libero di affidarla a chi
vuole in base a ciò che gli suggerisce la coscienza”.
(Rizzoli, 17 euro)
Questo è uno di quei libri che si
prendono dallo scaffale con un
nodo alla gola e tanto pudore. Roberta Tatafiore, per tante donne,
è stata una figura di riferimento
del femminismo. Ne ha visto la
parabola e il declino, è rimasta
ferma in molte sue convinzioni
(l’idea sugli uomini che non sempre è condivisibile) ripensandone
però le fondamenta. Alla fine del
2008, a 65 anni, scopre di essere malata e decide di togliersi la
vita. Ma prima, dal 1° gennaio al
31 marzo 2009, stila queste pa-
Benedetta Tobagi
Come mi batte forte
il tuo cuore.
Storia di mio padre
(Einaudi, 19 euro)
Benedetta Tobagi è nata a Milano nel
1977. Laureata in filosofia collabora
con giornali e case editrici. è una colonna della memoria del terrorismo.
Roberta Tatafiore, sociologa, giornalista e saggista, ha scritto per diversi quotidiani e si è
impegnata a fondo per i diritti delle prostitute. è stata una naufraga felice.
settembre 2010 - GD n. 11 - LACONTALIBRI
Diritto di non perdonare
Cristina Cattaneo
Certezze provvisorie. Il vero volto
delle scienze investigative forensi.
Roberta Tatafiore
La parola fine
Diario di un suicidio
gd
39
gd
idee&parole
Una grande voce
la gioia
di vivere
e di fare
vivere
vere emozioni
Intervista a Giuliana Castellani, mezzosoprano, uno dei migliori talenti lirici
della nuova generazione – La lotta contro la malattia e la ripresa del canto
di Emanuela Ravetta Ruini
G
iuliana Castellani è luminosa e gioiosa
come la giornata di sole del nostro incontro. È la persona entusiasta e determinata sentita al telefono. È accompagnata da Pito, un
labrador nero e forte, presenza silenziosa e vigile.
Giuliana ad aprile ha vinto il Tour de Chant 2010,
concorso canoro internazionale riservato alle migliori voci liriche, tra 400 partecipanti. Ha incantato
la giuria esibendosi con il finale della Cenerentola di
Rossini ed è stata indicata come “la più matura per
affrontare il palcoscenico dal vivo”.
Ha vinto una scrittura per la prossima stagione
con il Teatro Massimo di Palermo. Conosce già
qualche particolare?
Sono andata al concorso preparata, determinata a
vincere, quindi sono stata contenta del successo.
Non conosco ancora i dettagli del contratto ma saranno opere del mio repertorio come il Barbiere di
Siviglia, Italiana in Algeri, Cenerentola…
40
Ha intrapreso lo studio del canto dopo aver assistito a una rappresentazione della Tosca di Puccini…
La musica è una passione di famiglia. Mio padre ha
suonato la batteria e mia madre ha cantato per anni
il repertorio di Edith Piaf. Ha una voce da contralto
anche se canta musica leggera, e io ho preso da lei la
vocalità rotonda che mi ha portato alla lirica. Quando a 13 anni ho sentito la Tosca mi si è aperto un
mondo incantevole. A 14 anni ho iniziato a studiare
canto a Lugano con la soprano Ferracini e il basso
Loomis. A 15 anni ho tenuto il primo concerto ma
a 17 i sogni si sono infranti. Una forma tumorale e
una tracheotomia mi hanno tenuta ferma per anni.
Nel 2001 ho ripreso a cantare e un amico medico si
è dichiarato stupefatto dei risultati raggiunti.
Il canto è il miglior mezzo per trasmettere la mia
gioia ed emozionare le persone.
Come ha conciliato impegno scolastico e canto?
La facilità di apprendimento mi ha accompagnata
nel periodo scolastico e nell’attività. Ancora oggi
riesco a memorizzare uno spartito e suonarlo al
- GD n. 11 - settembre 2010
gd
idee&parole
pianoforte dopo solo tre letture. Curioso, perché alcune teorie affermano che i medicamenti fanno perdere la memoria, e io ne ho presi molti. Ecco perché
sono grata alla vita: nonostante le vicissitudini ho
conservato canto e memoria.
Ha qualche preferenza tra i grandi Maestri?
Li amo tutti. Amo Rossini, la sua sonorità e l’agilità.
Quando ascolto la Tosca, ho il rammarico di non poterla cantare, ma conosco i miei limiti... Ho avuto la
fortuna di sentire Mirella Freni alla Scala cantare la
Fedora di Giordano e ho pianto. Mi emozionano Corelli e Leo Nucci, uno dei più grandi baritoni viventi. è bello sentire l’onomatopeicità di certi suoni che
il compositore mette al servizio della parola come
ne Il temporale del Guglielmo Tell. Infatti, quando
mi esibisco in un concerto, immagino di avere una
tela per ogni brano e di dover dipingere, con i colori
della voce e la mimica facciale, un quadro per chi
ascolta.
“Grandi Voci per la ricerca”: concerti lirici organizzati dalla Fondazione IRB (Istituto di Ricerca
in Biomedicina), di cui ricorre il decimo anniversario. Il concerto di gala è programmato il 9 settembre al palazzo dei Congressi di Lugano…
La ricerca ha permesso di debellare il male che mi
ha colpita e di riprendere la mia attività, quindi dò
con gioia il mio contributo e mi sento onorata di
essere parte di questa iniziativa, nata con l’intento
di riunire grandi voci a Lugano. In questo concerto
si esibiranno, tra gli altri, il baritono Leo Nucci e
Vittorio Grigolo, giovane tenore che canta anche al
Giuliana Castellani nasce a Locarno nel 1979 e inizia giovanissima lo studio del pianoforte diplomandosi al Conservatorio Verdi di Como. Ha studiato canto con il soprano M. Grazia Ferracini e il basso James Loomis. Tappe
importanti della sua carriera sono state la registrazione
dell’opera, su testo di Carlo Goldoni, Le Donne Vendicate
di Niccolò Piccinni e l’esecuzione integrale in lingua originale dei 20 Lieder che compongono l’Opus 25 di Franz
Schubert, Die Schöne Müllerin. Per il repertorio operistico
ha lavorato con il maestro Roberto Negri, con cui ha inciso un Cd di Arie da Camera. Il suo perfezionamento vocale è proseguito sotto la guida del baritono Bruno Pola.
Nel 2003 ha vinto il premio Enrico Caruso. Nel 2007 ha
cantato a Bergen, in Norvegia, lo Stabat Mater di Gioacchino Rossini diretta da Nello Santi e ha interpretato
la Serva Padrona di Pergolesi sotto la direzione di Bruno
Amaducci. Nel 2008 ha debuttato nel ruolo di Cenerentola di Rossini al Teatro Nazionale della Valletta a Malta
diretta da Michael Laus, con successo di critica e pubblico.
Metropolitan, con l’orchestra “I pomeriggi musicali” di Milano. Sarà una serata bella ed emozionante. Il programma è opera dell’agente di Leo Nucci,
lo stesso di Domingo.
La prevendita è già iniziata e tutte le informazioni
sono sul sito www.grandivoci.ch
Per il futuro vorrebbe... o le piacerebbe…
Spero di avere la fortuna di affiancare i grandi personaggi della lirica e poter imparare qualcosa di
nuovo che mi permetta di nutrire il cervello e di
perfezionarmi. Sono grata alla vita per quello che
mi ha dato e per quello che mi ha tolto, ma mi ha
dato di più di quello che mi ha tolto. Sono contenta
di vivere.
Giuliana Castellani in Cenerentola di G. Rossini. (Cenerentola apre ed entra Alidoro).
settembre 2010 - GD n. 11 - 41
gd
il racconto
Ninna nanna ninna
di Alina Rizzi
L
e pillole sono sparse sul tavolo. Le spinge
col polpastrello lungo una linea immaginaria, ordinandole l’una accanto all’altra. Col
palmo sfiora la superficie lucida e fredda del piano
di marmo, e si ritrae istintivamente. Ha un brivido,
ma passa subito. Si copre le mani con le maniche
del pullover, raddrizza la schiena contro la spalliera della sieda e respira profondamente. Hanno
tutte il medesimo colore e la medesima forma: sono
bianche e tonde, simili ad un’unghia di mignolo,
enormi. Ne prende una, la prima della fila, a sinistra. Non è difficile, occorre solo un po’ di coraggio
e questo a lei non manca. No davvero, se riesce a
guardarsi allo specchio ogni mattina, a dormire la
notte, qualche volta persino a fare buoni sogni.
dimenava sulle sue ginocchia finché le risa le mozzavano il respiro in gola, le guance si infiammavano. Umida di sudore si lasciava allora cadere sul
letto. Gli occhi ancora accesi. “Basta solletico papà,
ora basta!” implorava. Oh ma lui non ne aveva mai
Pillole pallide e bianche
Afferra con calma la seconda pastiglia. Non ha paura, ma questo già da tempo ormai. Da quando...
Stringe le palpebre con forza, serra le labbra fino
a sbiancarle. È tutto a posto, sussurra, non ci sono
problemi. Andrà bene, lo sente. Terza pastiglia, con
decisione. Il ricordo è lì in agguato, pronto a divorarle la mente in un solo boccone, ma lei sa essere
forte, sa stringere i denti. O almeno, sapeva farlo.
Ora, invece, qualcosa di morbido le si insinua dentro il petto, scivola dietro le costole, le attorciglia il
cuore, glielo avvolge come una calda sciarpa. Abbandonarsi. È una tentazione fortissima, una specie
di canto di sirene che la culla. Una ninna nanna.
Rapida allunga la mano verso altre pastiglie, che
raccoglie a caso. Due, tre, cinque? Basteranno a liberarle la memoria?
Liberare la memoria
No che non bastano! La musica è sempre lì dentro,
e la invade, diventa più acuta, più forte, più allegra.
Prende consistenza e vigore, si trasforma in un ritmo indiavolato. Che voglia di muovere le gambe,
di dimenarsi e ballare!
Come allora, sì, proprio come allora. Abbracciati
stretti, incollati assieme.
“Fammi ballare, fammi ballare ancora!”
E lui non si tirava indietro. Così, così! Saltava e si
42
- GD n. 11 - settembre 2010
gd
il racconto
nanna ninna nanna
abbastanza, mai. Lui voleva vederla ridere ancora
e ancora e così il solletico cresceva, la divorava. Si
insinuava sotto il vestito e andava dappertutto. Lei
non aveva più fiato per respirare, non aveva più la
forza di allontanare le sue mani grandi.
“Ancora, ancora bambina mia,” lo sentiva sussurrare ed era insopportabile, tremendo, dolcissimo.
Una gioia struggente la invadeva. Papà rideva,
mentre il sudore della sua fronte le gocciolava sul
collo, sulle labbra. La musica era altissima, non potevano smettere di ballare, il ritmo travolgente li
incalzava. Cresceva, cresceva sempre più, diveniva devastante, un uragano che la colmava. Voleva
sopportarlo ma non ce la faceva più, e allora dalle
labbra spalancate le sfuggiva un urlo acuto, che lui
subito soffocava con la mano.
“Papà!” Finalmente tutto si quietava. La musica
svaniva. Poteva abbandonarsi sulle lenzuola stropicciate ad occhi chiusi, sfinita, come morta. Lui la
ricopriva con cura, dicendole di riposare.
Forse domani
Ha gli occhi serrati, il respiro frettoloso. Afferra altre pastiglie e si accorge che le mani tremano leggermente. Ha un peso dentro lo stomaco come se il
dolore si fosse trasformato in un ammasso compatto, in una specie di gomitolo d’emozioni che non
cercherà più di sbrogliare.
Dalla finestra socchiusa entra un odore di pomodoro cotto. È già ora di pranzo. Riconosce i suoni
che si levano dalla tavola apparecchiata nell’appartamento accanto. Suoni e profumi dimenticati,
ma che non rimpiange. Preferisce le proprie costole
appuntite, il petto piatto, la cavità del ventre che
rientra tendendo la pelle sulle ossa del bacino. Allo
specchio pare doversi spezzare nel gesto successivo, ma non accade mai. È forte, è coraggiosa. Sa
tenere la bocca chiusa. Deve tenere la bocca chiusa.
Ancora una pastiglia però, forse un paio....
La confezione rettangolare è vuota. La cartina di
plastica mostra i vani spremuti: orbite cieche e sterili. Dieci confetti bianchi in cambio di vent’anni di
vita. Li stringe nella mano: pesano quanto il macigno che ha nel petto, quanto i ricordi.
Si alza dalla sedia con uno sforzo, fa scorrere l’acqua e apre il pugno sopra il lavandino. Le pillole
corrono nello scarico, mentre lei si asciuga gli occhi
con un gesto brusco del dorso della mano.
Forse domani.
Starnone 1975.
settembre 2010 (Racconto inedito, vincitore del secondo premio del concorso letterario “Storie di Donne”, città di Arco, marzo 2010.)
- GD n. 11 - 43
gd
idee&parole
Al Teatro Sociale di Como
uno staff femminile vincente
Incontro con Barbara Minghetti, una delle due donne in Italia (l’altra è Rosanna Purchia, del San Carlo di Napoli) che dirige un Teatro Stabile
di Katia Trinca Colonel
U
no staff tutto al femminile. “È solo un caso,
ma funziona alla grande!” Uno dei meriti
di Barbara Minghetti (unica donna in Italia, assieme a Rosanna Purchia, sovrintendente del
San Carlo di Napoli, a dirigere un teatro stabile) è
sicuramente quello di essersi saputa circondare di
persone motivate e affiatate, un gruppo vincente di
donne che in pochi anni ha lavorato per riempire le
sale del Sociale di Como dopo anni difficili.
“Sono molto soddisfatta degli obiettivi che ho raggiunto,” dice Barbara Minghetti, “quello del teatro è un ambiente in cui poche donne arrivano ai
vertici. Nel resto d’Europa il ‘celodurismo’ si sente
meno e c’è più collaborazione. Quando partecipo
alle riunioni di ‘Opera Europa’ ci si confronta, le
problematiche sono tante e diverse ma può darsi
che qualcuno che le abbia già affrontate e allora si
mettono in comune le esperienze. Nel campo del
marketing, per esempio, sono anni luce avanti a
44
noi. Prendendo contatti con altri professionisti del
settore, parlandoci a quattr’occhi, si acquista fiducia. In Italia, invece, spesso trovi sovrintendenti che
fanno fatica a parlarti.”
Un gruppo di sole donne che lavora con il cuore
Quanto al suo staff: “Siamo un gruppo affiatato, c’è
rispetto e attenzione ai bisogni di tutti. Pochi giorni
fa una delle mie collaboratrici è andata in maternità
ma ha deciso di portarsi il computer a casa e continuare a lavorare a distanza. Quando ci sarà bisogno, lei aiuterà qualcun’altra”.
Oggi raccoglie i frutti della sua competenza ma ci
sono stati momenti, all’inizio, in cui Barbara era
davvero scoraggiata: “Ci vedevano come quelli ‘venuti da fuori’, ci hanno massacrato ogni volta che il
teatro non era pieno. Ma poi, poco alla volta, siamo
riusciti a conquistare la stima degli spettatori e la
Società dei Palchettisti non ha mai smesso di appoggiarci”. “Ho sempre lavorato tanto,” continua,
“ma se penso a come sono arrivata qui mi pare che
- GD n. 11 - settembre 2010
gd
idee&parole
(Foto by Carlo Pozzoni)
Barbara Minghetti, già direttrice artistica del
Sociale di Como, nel 2009 è stata nominata presidente di As.Li.Co. l’ente che gestisce il teatro cittadino. È curatrice e responsabile del progetto “Opera...
domani” che avvicina il mondo della lirica ai bambini.
È stata nominata unica rappresentante italiana nel
consiglio di “Opera Europa” che raggruppa i maggiori teatri europei tra cui l’Opéra di Parigi, il Teatre
Liceu di Barcellona, “La Monnaie” di Bruxelles e la
Royal Opera House di Londra.
Ha due figli e vive a Como.
sia accaduto quasi per caso. Non sono ambiziosa,
non mi piace il termine ‘carriera’, credo che la cosa
che conta di più sia fare al meglio il proprio lavoro
mettendoci tanta passione, far funzionare la struttura partendo da quello che si ha a disposizione,
e deve esserci piacere nel farlo. Poi i risultati arrivano. Un altro fattore importante è circondarsi di
persone che hanno a cuore la progettualità e con cui
si lavora bene. Il fatto che il mio staff sia composto
solo di donne è casuale ma devo dire che è risultato
vincente.”
Il progetto “Opera… domani”
Una delle “creature” di cui Barbara Minghetti va
più fiera è il progetto “Opera... domani”, ovvero la
lirica spiegata ai bambini che prevede il loro coinvolgimento nell’allestimento degli spettacoli. Questo format è risultato vincente anche all’estero dove
è stato esportato come “Opera education” e approdato di recente anche a Canale 5 per la trasmissione
settembre 2010 Loggione. Ma Barbara Minghetti non si ferma: “Un
altro obiettivo, in accordo con la Società dei Palchettisti, è riportare alla sua antica funzione l’Arena
(uno spazio all’aperto accanto al Sociale un tempo
teatro all’aperto)”. Poi c’è il festival “Como Città
della Musica” che quest’anno, grazie al paziente lavoro della direttrice e dei suoi collaboratori, vedrà
la partecipazione di compagnie di danza di fama
internazionale, quali Momix e Tokio Ballet.
Più modernità, più stimoli per i giovani
“Voglio più attenzione alla contemporaneità”, si
scalda la direttrice, “voglio più stimoli per i giovani e scuotere il torpore culturale che spesso prende
questa città”.
E se dovesse riassumere in poche battute cosa fa
la differenza in una gestione al femminile non ha
dubbi: “Più velocità nel prendere le decisioni, più
sfaccettature, più facilità nelle relazioni e meno protagonismo a livello personale”.
- GD n. 11 - 45
gd
alimentazione
Il ben mangiare
genera salute
Ricerche e studi innovativi invitano al recupero della tradizione e della semplicità in cucina per prevenire e controllare disturbi e malattie che minacciano salute e benessere
La soluzione non viene da diete
limitative e frustranti, ma da golose e colorate ricette. Il segreto
è coniugare il risultato di studi
scientifici con gusto e fantasia
culinaria.
di Daniela Mambretti
O
besità, patologie cardiovascolari e degenerative, diabete e
osteoporosi possono essere prevenuti o controllati prediligendo
la dieta mediterranea arricchita
di nuovi sapori, mentre un’alimentazione basata su cibi integrali, povera di zuccheri e priva
di artefazioni industriali può prevenire circa un terzo dei tumori.
Partono proprio dalla scelta degli
alimenti e dalla loro preparazione la prevenzione e il controllo di
alcune patologie tra le più gravi e
insidiose per la salute.
46
La parola alla scienza
Il dipartimento di Medicina Preventiva e Predittiva dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano
da anni studia i cibi che possono
davvero contribuire alla prevenzione delle patologie oncologiche. Ne è nata una vera e propria
guida culinaria il cui obiettivo
principale è la riduzione del livello di glicemia e, conseguen-
- GD n. 11 - temente, di insulina nel sangue.
Alcuni cibi comportano un aumento della glicemia nel sangue
e causano, di conseguenza, un
immediato innalzamento del livello di insulina postprandiale
che, a sua volta, fa aumentare gli
ormoni sessuali e l’Igf-I, a loro
volta causa di un maggior rischio
legato ai vari tipi di tumori. Per
spezzare questa catena, occorre
optare per alimenti che contribuiscono a mantenere l’insulina
a livelli accettabili e tali da non
innescare questa reazione.
E allora basta seguire alcune
semplici regole.
In primo luogo, combattere il
settembre 2010
gd
alimentazione
sovrappeso che favorisce l’insorgenza di patologie oncologiche,
oltre a altre complicanze cardiocircolatorie ormai note.
Il ruolo del rosmarino
Per i carnivori, un aiuto può venire dalla marinatura della carne
con rosmarino fresco: uno studio ha dimostrato come l’acido
rosmarinico contrasti la formazione delle amine eterocicliche,
sostanze cancerogene prodotte
durante la cottura. Anche i condimenti possono aiutare nella prevenzione: se è auspicabile
una drastica riduzione di burro
e margarina, sono invece consigliati l’olio extravergine di oliva,
ricco di vitamine antiossidanti,
l’olio di sesamo e quello di lino,
ricchissimo di Omega-3, gli stessi acidi grassi contenuti nel pesce
azzurro, dagli effetti ipotensivi,
antitrombotici, antinfiammatori. Ottimo anche il gomasio, un
mix di sesamo e sale, una gustosa
fonte di calcio per condire zuppe
e insalate.
Cibi sì
Per raggiungere il peso forma,
meglio prediligere cibi integrali
che saziano velocemente e soddisfano il palato, come il riso integrale, la pasta di grano duro, i
cereali e i legumi come ceci, lenticchie, fagioli Azuki, ricchi di
proteine ed efficaci controllori
dei livelli di insulina.
Cibi no
Invece è opportuno evitare prodotti a base di farine raffinate,
come il pane bianco, la pasta fresca e i dolci, che è meglio contenere anche per l’elevata presenza
di zucchero e di conservanti industriali.
Attenzione anche ai grassi di origine animale presenti in carni
bovine, latte, latticini e uova. I
grassi in essi contenuti sono direttamente correlati all’insorgere di alcuni tumori, come quello
della mammella, e, inoltre, possono contenere sostanze nocive
per l’organismo dovute ai mangimi destinati agli animali.
settembre 2010 Tesoretti di vitamine
Frutta e verdura sono dei veri tesoretti di vitamine, sali minerali e
polifenoli. Fragole, lamponi, ciliegie, mirtilli e more proteggono dall’attacco dei radicali liberi,
primi responsabili del precoce
invecchiamento cellulare, mentre i ribes rossi, squisiti anche
- GD n. 11 - con lattughino e feta, sono ricchi
di potassio.
Le Crucifere, quali broccoli, rape
e cavolfiori, svolgono un’azione
preventiva verso vari tumori, invece carciofi, asparagi e spinaci,
ricchi di acido folico, prevengono alcune malformazioni neonatali come la labiopalatoschisi,
o quelle a carico del tubo neurale, dell’apparato genitourinario,
polmonare e cardiaco. E per i
più golosi, via libera al cioccolato fondente: riduce la carie e gli
ormoni dello stress.
Per approfondire con consigli
e ricette gustose
I magnifici 20 - I buoni alimenti
che si prendono cura di noi
Marco Bianchi, Ponte alle Grazie
Prevenire i tumori mangiando
con gusto
Anna Villarini e Giovanni Allegro
- Sperling & Kupfer
Corsi di cucina preventiva:
Istituto Nazionale Tumori
di Milano - numero verde
800.223295
oppure www.istitutotumori.it
(cliccando Cascina Rosa)
47
futuro donna
gd
Fine della supremazia maschile
nel Governo svizzero?
Dopo le dimissioni di due ministri la presenza femminile potrebbe divenire
maggioritaria – L’urgenza delle pari opportunità per le donne e per il Ticino
di Fabrizia Toletti*
si fanno nomi anche di donne e
potrebbe succedere che 4 o 5 dei
Consiglieri Federali da fine ottobre potrebbero essere donne.
Recentemente, in Germania, in
occasione della nomina del Presidente, si è introdotta una sorta di “quota azzurra” escludendo
dall’inizio candidature femminili
in modo da evitare che le due cariche più alte dello stato fossero
in mano a donne. Mi aspetto dai
nostri politici un po’ più di coerenza: nessuno si è preoccupato se negli ultimi secoli il potere
politico è stato ad unico appannaggio dei maschi, nessuno si
deve quindi scandalizzare per
un sorpasso rosa che potrebbe
verificarsi per di più in maniera
democratica. A queste considerazioni aggiungo una motivazione
che negli anni mi è stata proposta più volte al contrario: così
come in passato non dovevano
essere penalizzati “uomini preparati” a favore delle donne,
oggi non devono le candidate fare le spese di una mentalità retrograda che vuole
le donne non capaci di lavoro collaborativo e di
concordanza. Da sottolineare è l’effetto
che una forte rappresentanza femminile potrebbe avere.
In molti campi
della società il
ruolo dei modelli è fondamentale: così
C
ome reagirebbe il paese
ad una maggioranza di
donne in Consiglio federale? è da prevedere una levata
di scudi e una reazione negativa
in Assemblea federale?
La domanda è d’attualità dopo
le recenti dimissioni dei ministri Moritz Leuenberger (PS) e
Hans Rudolf Merz(PLR) hanno scatenato il solito balletto di
candidature e sollevato domande che periodicamente vengono
riproposte in queste occasioni.
La presenza femminile in seno
al Consiglio federale (3 donne
su 7 ministri) è oggi consolidata.
Per la sostituzione di entrambi i
ministri dimissionari
48
- GD n. 11 - pure nella politica che vedrebbe
sicuramente aumentare l’interesse delle donne. Un’altra riflessione merita la rappresentanza della
svizzera italiana nel governo federale. Ormai dall’uscita dalla
scena politica di Flavio Cotti, il
Ticino sta a guardare senza poter
accedere alla stanza dei bottoni. La legge federale sulle lingue
del 2007 rappresenta un tassello
fondamentale del plurilinguismo
svizzero, ciò non di meno la presenza di un Consigliere federale
della Svizzera italiana non è solo
importante dal punto di vista linguistico ma soprattutto per avvicinare le problematiche di un
cantone periferico come il Ticino alla realtà di Palazzo federale.
Ultimamente, è stato innescato
il dibattito relativo all’aumento
dei Consiglieri Federali da 7 a 9,
misura che potrebbe assicurare
una presenza italofona costante nel Governo e d’altra parte
permetterebbe una suddivisione dei Dipartimenti più moderna ed efficiente. Questa però è
musica del futuro: i ticinesi non
vogliono attendere una riforma
del Consiglio federale per poter
di nuovo salutare un Consigliere Federale del nostro cantone.
Molte sono dunque le aspettative di questo rinnovo parziale del Consiglio Federale. Come
sempre da garantire sono le pari opportunità, siano esse per le
donne, o per le minoranze linguistiche e culturali.
* presidente FAFT
settembre 2010
gd
futuro donna
L’occhio femminile
sull’economia futura
di Fabrizia Toletti
L
’Associazione 2020 ha
lanciato il progetto “2020
Il punto di vista femminile sul futuro”. Dietro vi è Alliance F (Alleanza delle società
femminili svizzere). Di che cosa
si tratta? Il progetto intende formulare la visione del futuro della
nostra società secondo la prospettiva delle donne e presentarla in forma appropriata al grande
pubblico: questa presentazione
si ricollega alle due precedenti esposizioni nazionali svizzere del lavoro femminile (Saffa)
del 1928 e del 1958. La decisione di far vivere la terza Saffa
venne presa dalle organizzazioni femminili nel 2008 dando vita ad Alliance F con il compito
di dare il via al progetto con il
nome iniziale di “Donne 2011”.
Il tema prescelto, emerso durante questa riunione è risultato essere “Donna e Economia”. Nel
corso del 2009 ha quindi avuto
luogo la fase preliminare di progetto con l’obiettivo principale
di definire i temi prioritari e riassumere gli aspetti finanziari.
Anche il Ticino ha partecipato
a questa fase, organizzando il 14
novembre presso l’USI, un workshop che ha individuato le tematiche di fondo: formazione,
salute, ecologia, connettività (il
settembre 2010 La terza esposizione Saffa sul lavoro femminile
nostro mondo in rete), globalizzazione, mobilità, new work
(il nuovo mondo del lavoro), individualismo, rivoluzione d’argento, female shift (il futuro al
femminile). Nel 2010 è iniziata
la fase concettuale del progetto
(fase2). L’Associazione 2020 organizzerà a partire da un nuovo
“Centro mobile della diversità”
la terza Saffa. Obiettivo è trasferire le tematiche individuate nella prima fase in una forma
di presentazione che sia flessibile, organizzata autonomamente,
decentrante, che rispecchi le diversità. Per questo motivo l’associazione ha ripreso l’idea delle
Case a tema: si tratta di ricerca,
sviluppo, incontro e servizio, che
promuovono il punto di vista
femminile verso il futuro. Saranno condotte da donne e saranno a disposizione dell’economia,
della politica e, soprattutto, della
popolazione. Le Case a tema dovranno essere progettate nel corso del 2010 per garantire luoghi
d’incontro durevoli nonché la
- GD n. 11 - partecipazione di tutte le regioni
a culture del nostro paese. Alla
fine di quest’anno si organizzerà il Centro Mobile delle Diversità, e seguirà una fase di pubblico
concorso per la progettazione
di Case a tema in funzione tra il
2012 al 2016. Il progetto 2020 è
patrocinato dalle tre consigliere federali Micheline Calmy-Rey,
Doris Leuthard, Eveline Widmer-Schlumpf. Il lavoro femminile e il suo riconoscimento quale
importante contributo al benessere dell’intera società è il fulcro
di Saffa. Ancora oggi il lavoro
delle donne e il loro contributo
alla società non è riconosciuto e
spesso viene compensato, rispetto a quello degli uomini, con retribuzioni inferiori fino al 20%.
Per chi fosse interessato a conoscere meglio il progetto 2020 e
a seguirne gli sviluppi, si consiglia di visitare il sito www.2020.ch
(francese e tedesco).
2020 der weibliche blick auf die zukunft
2020 regard féminin sur l’avenir
2020 il punto di vista femminile sul futuro
49
gd
nucleare
Gli enigmi
di Chernobyl
A un quarto di secolo dal disastro nucleare della storia, sono ancora molti i
lati oscuri – Bandazhevsky, scienziato bielorusso, ha pagato con il carcere e
l’esilio le ricerche sui cibi e la loro pericolosità per contaminazione continua
di Pierangelo Piantanida
pa Orientale e Scandinavia, nonché, con livelli via via minori di
radioattività, in molti altri Paesi
europei come Germania, Francia, Italia…
Un evento che ebbe conseguenze su vasta scala per anni (e ne
ha ancora adesso, a livello sanitario e ambientale per le popolazioni e i territori maggiormente
coinvolti…) e che evidenziò la
pericolosità dell’energia atomica,
determinando nel 1987 la vittoria dei referendum antinucleari
nel nostro Paese.
S
ono passati ben 24 anni dal
26 aprile 1986, quando la
sconosciuta località ucraina di Chernobyl al confine con
la Bielorussia (entrambe allora in
Urss), divenne famosa per il peggior disastro nucleare del mondo.
La fortissima esplosione causata
da una reazione chimica fuori
controllo provocò lo scoperchiamento del reattore numero 4
della centrale, con fuoriuscita di
una nube di materiali radioattivi,
che ricadde poi al suolo contaminando vaste aree circostanti e
rendendo necessaria l’evacuazione di 336.000 persone. Ma nubi
radioattive si spinsero in Euro-
50
Il balletto delle cifre
E se dopo tanto tempo non appaiono nemmeno oggi chiare le cause del disastro (errore
- GD n. 11 - umano, carenze strutturali o un
tragico mix fra i due), paradossalmente ancor meno unità di
vedute vi è sul numero dei morti direttamente o indirettamente
collegati all’evento. Se infatti la
stima ufficiale redatta dalle realtà
del Chernobyl Forum promosso
dall’Onu (Oms, Unscear, Aiea,
Fao…) quantifica 65 morti sicuri
e “solo” altri 4000 presunti per
tumori e leucemie in una proiezione di tempo di 80 anni, Greenpeace valuta in 100-270.000 le
vittime, sino a quantificare in addirittura 6 milioni i decessi tumorali nel mondo in qualche modo
riconducibili al disastro in una
proiezioni di tempo di 70 anni,
mentre i Verdi europei indicano
settembre 2010
gd
nucleare
a Chernobyl e al nucleare. Scrive infatti Bonfatti sul sito che fu
proprio Bandazhevsky a rendersi conto delle esatte dimensioni
della tragedia seguente al disastro, non arrestandosi davanti alle verità ufficiali.
(nel rapporto Torch-The Other
Report on Chernobyl) come le
morti presunte debbano essere
fra le 30 e 60.000 unità…
Un macabro rincorrersi di cifre nel quale s’inserisce la sconcertante vicenda del professor
Yuri Ivanovich Bandazhevsky,
oggi 53enne, nato nella regione di Grodno, in Bielorussia, e
laureatosi nel 1980 all’Istituto
di Medicina della stessa Grodno, rettore dell’Istituto Medico
di Gomel nel periodo 1990-99,
membro di numerose accademie
nazionali e internazionali e autore di centinaia di lavori di ricerca (aiutato dalla moglie Galina,
anch’essa medico).
cibo contaminato
Con precise ricerche il professore
ha dimostrato che l’assorbimento delle radiazioni è legato all’uso
da parte delle popolazioni di cibi
contaminati con effetti devastanti per l’introduzione continua di
piccole quantità e basse dosi di
radionuclidi: i danni sono soprattutto a livello cardiovascolare. Le autorità hanno mantenuto
un silenzio totale sugli effetti pericolosi dei cibi. La sua denuncia sulla pericolosità del cibo
bielorusso gli “vale” l’arresto e
la condanna nel 2001 a 8 anni
di lavori forzati, in base a una
legge contro il terrorismo e a
pretestuose accuse di tangenti;
in carcere poi gli è stata ridotta
la minimo la possibilità di vedere la moglie, una volta ogni
Fuori dal coro
Una vicenda segnalata da
Massimo Bonfatti, presidente dell’associazione
Mondo in Cammino, sul
portale ProgettoHumus
(www.progettohumus.it), cui
è dedicata un’apposita sezione e sul quale si trova
vasto materiale relativo
settembre 2010 - GD n. 11 - tre mesi. La mobilitazione internazionale (dal Parlamento Europeo ad Amnesty International,
che lo riconosce come prigioniero di coscienza) gli consente di
ottenere l’amnistia nel 2005, con
allontanamento però dal Paese.
Ora Bandazhevsky vive a Kiev,
in Ucraina, dopo aver soggiornato in Francia e Lituania, con la
moglie ed entrambi si trovano in
pesanti ristrettezze economiche.
Da qui l’appello su web dello
stesso Bonfatti a una sottoscrizione che possa “aiutare sul piano umano chi ha pagato e sta
pagando per le proprie idee”, e
sostenere le vittime del fallout radioattivo (specie i bambini), con
i progetti che lo stesso professore ha avviato tramite un’associazione da lui fondata.
La speranza, poi, è di supportare
i coniugi Bandazhevsky perché
possano venire in Italia entro
quest’anno, non soltanto per un
breve soggiorno, ma anche per
consentire loro di esporre i contenuti delle indagine e presentare
“l’altra verità su Chernobyl”.
51
gd
quaderno di viaggio
Per le strade
di Sana’a – Yemen
Testo e illustrazioni di Maya Di Giulio
O
ltrepassare la porta
Bab El Yemen è come entrare in una fiaba. Mani sapienti hanno steso
un velo di poesia sulle case, decorandole con pizzi e arabeschi
di stucco immacolato, mentre
fregi ornamentali in mattoni tagliati si rincorrono in equilibrio
e armonia sulle facciate monocrome color del suolo. Il centro
storico di Sana’a, la capitale dello
Yemen, è una distesa di elevate
case di mattoni di argilla, di palazzi serrati gli uni agli altri dalle
52
forme irregolari lungo vicoli
profondi e animatissimi, sovrastati da alte torri ricamate di bianchi stucchi. Queste
tipiche costruzioni yemenite sono i grattacieli più antichi del
mondo!
- GD n. 11 - Uomini dall’aspetto fiero
sostano a gruppetti agli angoli dei vicoli mostrando con noncuranza la propria jambiyah alla
cintura. Dai dodici anni fino alla
fine dei suoi giorni, ogni yemenita porta il proprio pugnale ricurvo alla cinta e non se ne separa
settembre 2010
quaderno di viaggio
mai. Cammino tra il formicolare
della gente che vende, compra,
urla, contratta nelle viuzze pulsanti di vita, alla scoperta dei minareti dalle candide decorazioni
geometriche. L’odore delle montagne di spezie mi sommerge ancora prima di vederle. La merce è
straripante: frutta, uva sultanina,
fichi secchi mescolati a cordami,
oggetti di rame, braccialetti d’argento in mezzo a dolci croccanti
del colore dell’oro. Le botteghe
sono minuscoli bugigattoli invasi da ogni mercanzia; al loro
interno, accoccolati e quasi noncuranti, i venditori fumano il
narghilè masticando contemporaneamente il qat.
Non c’è yemenita che non dedichi buona parte del suo tempo
all’utilizzo di queste foglie che
provocano senso di benessere,
ma anche forte dipendenza. Masticato a lungo e compattato per
fargli assumere la forma di una
pallina da tennis, il qat è tenuto
in bocca per ore fino a deformare le guance. Le piccole foglie
settembre 2010 verdi di questo arbusto invadono tutti i mercati; noto ad ogni
angolo venditori ambulanti con
fasci di qat che mercanteggiano
animosamente la merce pregiata. Va consumata fresca, appena
raccolta, non c’è molto tempo
per la contrattazione! Mi muovo a fatica nel flusso incredibile
di persone, tra banchetti di lampade a olio e piccole botteghe
di artigiani che vendono decine
di jambiyah. Ce ne sono di molte
forme e dimensioni, dai pugnali
più modesti ed essenziali a quelli più raffinati dall’impugnatura
in legno e argento finemente cesellata, o in corno di rinoceronte
con il fodero lavorato a filigrana
e arricchito di pietre dure.
Le donne si aggirano per i vicoli
come fantasmi, completamente
velate da capo a piedi. Se stanno
ferme, non si capisce neanche da
che parte stiano guardando. Celano dietro un manto di stoffe
scure il loro viso, il loro corpo e
la loro età. Me ne passano accanto tre con un lieve fruscio, mi-
- GD n. 11 - steriose e silenziose, cariche di
merci acquistate nei suq. Sento su
di me i loro sguardi curiosi, ma
non riesco neanche a scorgere i
loro occhi.
Mi faccio rapire da un forte profumo di pane e mi ritrovo davanti a una bottega dove enormi
dischi di pasta non lievitata vengono lanciati contro le pareti di
un grande forno. Appena si staccano sono pronti, profumati,
bollenti e irresistibili.
La voce invitante del Muezzin
che chiama alla preghiera si diffonde improvvisamente nei vicoli e si innalza sopra le torri e i
minareti. Il sole inizia a tramontare e riscalda i colori dei muri, gli ocra si accendono per poi
trasformarsi in tonalità rosate a
mano a mano che la luce si affievolisce. Dalle antiche finestre
incorniciate di gesso bianco, cominciano a uscire luci soffuse filtrate da sottili lastre di alabastro
e da vetrate colorate.
Questa è davvero la città delle
mille e una notte!
53
gd
violenza/femminicidi
focus
Educare all’amore
Essere maestre d’amore per arginare la violenza
di Vera Fisogni
complesso, essere donna o uomo fa la differenza, eccome. Ciascuna persona “sente” la realtà,
anche e soprattutto in rapporto
alla propria condizione di soggetto sessuato: l’essere femminile, più recettivo, si apre e accoglie
il mondo molto più di quello
maschile, la cui fisiologica intrusività lo rende in qualche modo
meno stabile, meno continuativo nel rapporto con le cose o più
avventuroso.
Attenzione. Non è l’orientamento corporeo a “determinare”
le scelte: piuttosto, è il diverso “sentire” ad esso correlato –
ingrediente base del volere – a
porre di fronte a decisioni più
attente alla relazione con gli altri, all’accoglimento del positivo
della vita, della realtà. Che cosa
voglio dire? Nel portare un argomento antropologico, desun-
P
uò sembrare strano parlare d’amore al culmine di
un’estate di sangue e follia contro le donne, in cui mani
maschili hanno declinato la crudeltà nei modi più barbari. Ma
forse proprio questa è la strada
giusta per cambiare qualcosa, oltre che per ampliare gli orizzonti
di un dibattito al femminile mediamente noioso, almeno in Italia, che non riesce a coinvolgere
perché non sa entrare in contatto
con la vita e i problemi. La mia
proposta è di arginare la brutalità esercitando, con più consapevolezza, un’arte in cui le donne
si sono sempre distinte, quella di
essere maestre d’amore.
Mi aspetto subito una critica:
“Basta con questa idea che le
donne siano, per natura, più portate al bene!” Sono d’accordo in
linea di massima. Nessuna prospettiva deterministica aiuta il
dibattito. Che sia donna o che
sia uomo, la persona segue una
condotta, cioè delibera di agire in
un certo modo. E poi, diciamola tutta, parlare d’amore – oggi
– ha il vago sentore di una farsa, fa pensare alle escort di Silvio
Berlusconi e al Pdl, il sedicente
“partito dell’amore” distintosi
per l’odio tra le sue componenti interne.
Eppure, bisogna riconoscere che
ciascun essere umano, nell’esprimere il proprio volere, non prescinde mai in assoluto dal modo
in cui è nel mondo, anche in virtù del proprio corpo. Insomma, per semplificare un discorso
54
- GD n. 11 - to dalla quotidianità di ciascuno
(quindi ampiamente condivisibile e non deterministico), non
intendo affermare che la donna
sia più buona, ma semmai che ha
più responsabilità davanti al bene. Maggiormente interpellata
dal positivo della vita, è chiamata
con più forza a risponderne.
Mi chiedo se questa consapevolezza sia condivisa. Probabilmente no: non come dovrebbe
essere. Nel dibattito sulla violenza contro il genere femminile
prevalgono riflessioni sul ruolo di vittime a cui le donne sono (drammaticamente) confinate.
Non si sta riflettendo a sufficienza su forme di prevenzione
che non siano di tipo legislativo
o poliziesco. Forse è arrivato il
momento di domandarsi quanto faccia una madre, una compagna, una sorella, una collega
settembre 2010
gd
violenza/femminicidi
d’ufficio per affinare, attorno
a sé, il senso di rispetto verso il
mondo in genere e in particolare
verso la condizione delle donne.
Che questo sia avvertito, a un livello intuitivo, lo provano alcune
prese di posizione, come quella, autorevole, di Vera Montanari, a capo del settimanale Grazia
che, proprio nel cuore della torrida sequela di violenze estive, ha
invitato le lettrici (madri) a insegnare ai figli l’abc del rispetto. Mi
permetto di rilanciare quest’idea
con un respiro ancora maggiore, quasi una sorta di azione positiva, esortando chi legge a non
perdere occasione per prendere
posizione in tutte le circostanze in cui venga meno il riguardo
verso le donne. Con il compagno, con il fratello, con il collega
del lavoro, con gli estranei.
Non sono convinta, tuttavia, che
i maggiori risultati siano procacciati dalla logica, dal “discorso”
o dal “dialogo” pedagogico, fatto con l’intenzione di orientare
la cultura dominante in una certa
direzione. Lungi dall’immaginare
delle “maestrine dalla penna ros-
sa”, cioè stereotipi di educatrici, penso a persone consapevoli
e aperte alla relazione. Ritengo,
proprio sulla base dell’argomento proposto sopra, che il vero
esercizio quotidiano d’amore,
per una donna, sia quello di appianare i conflitti, mediare con un
sentire fatto di logica, passione,
sguardo comprensivo all’insieme
e non solo rivolto al particolare.
Per far questo, s’intende, bisogna credere nella forza creativa
di atti indirizzati al positivo. Ma
soprattutto, è importante capire
che siamo di fronte a un impegno totale, per il quale si richiede
un colpo d’ala etico.
In questa sezione illustrazioni di Lorenzo Mattotti
gentilmente concesse.
settembre 2010 - GD n. 11 - 55
gd
violenza/femminicidi
Se la moglie è “forte”
picchiarla non è violenza
La Cassazione annulla una condanna a 8 mesi – La sentenza sancisce l’inferiorità di genere, impaurisce le vittime (scoraggia le denuncie delle offese subite), lede ferocemente la dignità femminile
di Giulia Abbate
Roma. Mogli che non si sottomettono?
Se il marito le picchia può essere giustificato” . La Cassazione ha annullato la condanna a 8 mesi di reclusione
di un uomo che per tre anni ha maltrattato la moglie. Il marito ha spiegato che la coniuge “non era per nulla
intimorita”e la Suprema Corte gli ha
dato ragione: non è “condotta vessatoria” un atteggiamento aggressivo non
abituale. “Un regalo ai violenti”, così il ministro delle Pari Opportunità,
Mara Carfagna, ha commentato la
sentenza.
S
abato 3 luglio 2010, seduta
in un bar di Milano leggo
“la Repubblica”. In basso a
pagina 18, vedo una foto formato tessera del ministro delle Pari
Opportunità Mara Carfagna, accanto un trafiletto brevissimo di
dodici righe, di quegli articoli che
non legge nessuno, con il titolo:
Moglie “forte”, trattarla male non è un
reato. La Cassazione assolve un marito violento. L’articolo è il seguente.
56
- GD n. 11 - Quello che ho letto mi pare incredibile. Corro a casa per capire, per documentarmi. Vado
su internet sperando di trovare fonti e informazioni. Repubblica, il supposto giornale dei
democratici, non ha dato una
riga; evidentemente ha ritenuto
la sentenza della Corte di Cassazione una notizia che non ha
valore. Apprendo che, ad avviso della Corte d’appello, “la responsabilità dell’imputato era
provata sulla base di sue stesse
settembre 2010
Liberate Sakineh Mohammadi Ashtiani vittima di un castigo barbaro, costretta con la
tortura a confessare rapporti extra coniugali e partecipazione all’omicidio del marito
ammissioni, anche se parziali, su
testimonianze di medici, conoscenti e certificati medici, da cui
si ricava una condotta abituale di
sopraffazioni, violenze e offese umilianti, lesive della integrità fisica e morale” della moglie
sottoposta a “continue ingiurie,
minacce e percosse”. Apprendo
anche che in Corte di Cassazione l’imputato ha sostenuto, con
grande successo, che non si trattava di maltrattamenti in quanto
la moglie “per l’ammissione della stessa di carattere forte, non
era per nulla intimorita dal suo
comportamento”, semmai solo
“scossa, esasperata, molto carica emotivamente”. Per la Corte
di Cassazione quindi i giudici del
primo e del secondo grado avevano “scambiato per sopraffazione esercitata dall’imputato, un
clima di tensione tra i coniugi”.
Avevamo bisogno di una sentenza che, oltre a sancire l’inferiorità
di genere, intimorisce le vittime a
tal punto da impedire che queste
denuncino le offese subite, lede
ferocemente la dignità femminile e conferisce legittimazione e
strapotere al sesso predominante, quello maschile? Ne avevamo davvero bisogno? Mi pongo
un’altra domanda: in un Paese
dove la maggior parte degli omisettembre 2010 cidi, delle violenze, degli abusi
sessuali vengono perpetuati da
padri, nonni, zii su mogli e figlie
e cugine e nipoti, questa sentenza chi protegge?
E poi faccio una domanda anche al Ministro: signora Carfagna, è insufficiente commentare
una sentenza così atroce con una
frase a effetto e basta? Non sarebbe necessario mettere da parte l’indignazione e agire? Questa
domanda la faccio anche ad
Alessandra Mussolini, a Rosy
Bindi all’onorevole Saltamartini e a tutte le donne in Parlamento che, dietro frasi brandite
con il tono dell’offesa, hanno
fatto scivolare via la notizia e
non si sono battute realmente.
Ma se non potete e non volete agire almeno state zitte. Non
voglio parlare degli abusi fisici
e psicologici sulle madri e sulle figlie, sulle sorelle, ma voglio
parlare della loro dignità. Questa
sentenza è una sentenza contro
la dignità. Di chi si è intimoriti?
Si è intimoriti da qualcosa che è
più forte di noi, dio, un potere, la
malattia, la morte?
E quando non si è intimoriti?
Quando ci confrontiamo con
qualcosa o con qualcuno che
sappiamo di potere fronteggiare
fisicamente o psicologicamente;
- GD n. 11 - gd
ma anche quando, pur essendo più deboli per svariati motivi, magari che non dipendono da
noi, alziamo lo sguardo con un
sussulto di dignità e il velo della
paura e del timore viene dissolto.
Una tragedia di Euripide del V
secolo a.C. affronta il tema della donna, della vergogna e della
dignità. Perché Medea uccide i
propri figli? Nelle ultime battute tra Medea e Giasone Euripide
chiarisce il tremendo e misterioso gesto della madre.
Giasone: “I figli erano anche i tuoi,
non soffri?”
Medea: “L’importante è che tu non
rida più di me”.
Immagino la moglie del marito
assolto che, offesa, alza lo sguardo, leggo nei suoi occhi la frase
di Medea: in quello sguardo vi è
il segno di moltissimi sguardi di
dignità.
Di cosa hanno paura i giudici, di
cosa i padri, i mariti, gli uomini?
Di quello sguardo, lo sguardo
dell’altro sesso.
Perché abbiamo permesso che il
2 luglio 2010 si sancisse la morte
della dignità dello sguardo delle
donne? E allora perché non alziamo lo sguardo, lo sguardo che
intimorisce?
57
gd
violenza/femminicidi
Io quella l’ammazzo
di Ornella Benzoni
C
hiuso nella sua posizione di potere sulla donna,
l’uomo ha evitato di mettersi in discussione, di confrontarsi con i propri limiti, e quindi
di poter stabilire relazioni autentiche, intime, feconde non solo
con la donna, ma anche con gli
altri uomini. Confinando e condannando la donna alla posizione di essere puramente biologico,
deprivato di desiderio e autonomia propri, da guidare e sottomettere – anche con la forza, se
necessario – l’uomo ha consegnato se stesso a una condizione
di essere impoverito, semplificato, brutale, dalla sessualità rozza
e scissa, deprivato dallo sguardo
su se stesso. Un povero uomo, si
può dire, che vive ben al di sotto della sua potenziale ricchezza
di essere umano e compensa le
proprie mancanze esercitando
un brutale rapporto di dominio
con una povera donna resa strumento e oggetto passivo. Questa
la relazione tra i sessi nella storia.
L’autonomia
Adesso la donna ha conquistato
la propria autonomia, ha recuperato i propri desideri dai luoghi
bui dove erano stati imprigionati,
adesso sceglie, parla, decide, propone valori etici.
Adesso respinge la condizione di
appendice dell’uomo, non è più
disposta a lasciarsi determinare
dai di lui desideri, imposti con le
buone e, troppo spesso, con le
cattive. Adesso, quando è il caso, dice no. Adesso, quando è il
caso, rifiuta il suo compagno, lo
abbandona.
58
La virilità
Lui questo non lo accetta, ha costruito la propria virilità sul potere e sulla forza. Lui va in guerra,
lui smotorizza a grande velocità su ogni strada, lui suona forsennatamente il clacson quando
è in coda, lui si ubriaca con gli
amici, zittisce figli con uno scapaccione, impone il canale televisivo, lui si paga una prostituta
se lo vuole, è lui che porta a casa
i soldi, lui gliela fa vedere ai tifosi
dell’altra squadra, e anche a quel
- GD n. 11 - lo che gli soffia il parcheggio, lui
mica fa la coda allo sportello, lui
uccide di botte il cane che lo disturba, lui la donna se la prende, mica la implora, se vuole fare
sesso, lui non le permette di uscire con le amiche, né di portare la
gonna corta! E quest’uomo, davanti all’abbandono, non sa più
chi è. L’universo si è capovolto,
gli sembra, e lui si è capovolto
insieme all’universo. Identificato con l’esercizio della propria
forza, ora che la compagna se
settembre 2010
gd
violenza/femminicidi
n’è andata, non si riconosce più.
Un generale senza truppa. Come
ha potuto quella puttana ribellarsi, decidere da sola? Chi si crede
di essere? E com’è che gli manca tanto, a lui, che può avere tutte le donne che vuole? E com’è
che i giorni gli paiono vuoti, e
c’è troppo silenzio, e non trova
i calzini e i piatti si ammucchiano nel lavello? Lui è un maschio,
mica può accuparsi di queste inezie da femmina. Di sicuro lei non
ha agito di sua volontà. Di sicuro si è fatta influenzare da quelle ficcanaso delle amiche. Magari
ha già un altro. Lei, di suo, non
avrebbe preso l’iniziativa; mai
avrebbe mollato uno come lui.
Lui la voleva tutta per sé perché
l’amava, è così che vanno le cose
no? E l’ingrata invece se n’è andata. Ha voluto fare di testa sua e
l’ha piantato lì da solo, lui, che la
domenica, di ritorno della partita, le porta a casa il gelato.
L’occasione
Qui l’uomo potrebbe cogliere l’occasione per guardarsi allo
specchio. Potrebbe capire che
con il recupero della propria autonomia lei gli sta offrendo l’opportunità di indagare aspetti di
sé che l’esercizio del dominio
non gli ha permesso di conoscere. Potrebbe rifondare la propria
identità in una relazione d’amore
finalmente profonda, fiduciosa,
teneramente complice, genuina. Respingendo il suo ruolo di
povera donna, lei gli propone di
riscattare se stesso dalla sua condizione di povero uomo. Ma lui
è solo, debole, frustrato, e furioso. La sua forza virile patriarcale
impazza intorno a lui, coltivata
e vezzeggiata dai politici, dalle
gerarchie ecclesiastiche, dai modelli televisivi, dalla maggior parte degli altri uomini. è furente.
Deve vendicarsi, deve eliminare
la fonte di tutto questo. Ha osato
lasciarmi e deve pagare. Cos’ha
creduto? Che mi accucciassi come un cagnolino? Le faccio vedere che chi comanda, alla fine,
sono sempre io. La faccio fuori
quella, deve morire, vado a cercarla e l’ammazzo. Nessuno ha
mai fatto di me un ometto senza
palle, l’ammazzo e me le riprendo, le mie palle!
UCCIDE COI PUGNI LA PRIMA DONNA CHE INCONTRA
Si chiamava Emlu Arvesu, madre di due figli: è uscita di casa il 7 agosto a Milano, è stata aggredita e travolta
di pugni da un uomo, mai visto, massacrata, uccisa senza motivo. Lui un pugile ucraino, Oleg Fedchenko,
25 anni, in preda ad una depressione psicotica violenta, forse per dissapori con la fidanzata, si è buttato sulla prima donna che ha incrociato, una sconosciuta donna minuta, filippina. Una donna, una femmina, una
qualunque da colpire, da annientare, da distruggere.
La violenza maschile
Perché fidanzati, amanti rifiutati e mariti respinti uccidono così spesso? – Questi
femminicidi non sono delitti “passionali”, qui di passione non c’è traccia!
di Katia Trinca Colonel
considerati “normali”, bravi lavoratori, onesti cittadini, anime candide che
hanno immolato sull’altare del sacrificio d’amore quelle donne che hanno
vissuto un segmento di vita accanto a
loro. Ma perché questi uomini hanno
ucciso? Non è ora di domandarsi le ragioni di queste stragi? Non è ora di af
frontare con serietà questa emergenza?
11 maggio-11 luglio 2010: 7 donne
uccise da uomini lasciati o rifiutati.
(Secondo una stima Istat ogni anno, in
Italia, 100 donne vengono uccise per
mano di ex mariti, fidanzati, sconosciuti…) Donne brutalmente assassinate perché avevano deciso di troncare
la relazione con i loro assassini o perché rifiutavano il loro corteggiamento.
Alcuni di questi uomini si sono uccisi
dopo avere tolto la vita alle loro vittime. Qualcun altro, in prigione, incolpa
la propria vittima della decisione estrema di toglierle la vita. Sono uomini
settembre 2010 Cristina
Gli ex alunni di Cristina Rolle,
32 anni, hanno aperto una pagina in Facebook per ricordare la
loro maestra di scuola elementare, affettuosa e benvoluta. Non
- GD n. 11 - dall’ex marito che l’ha trucidata
con decine di coltellate durante un colloquio con l’assistente
sociale l’11 maggio a Collegno.
Giampiero Prato, 38 anni, e Cristina si erano separati nel 2008.
L’ex marito era convinto che la
moglie tramasse contro di lui per
la visita alle due bambine nate
dalla loro unione. Prato soffriva
di disturbi della personalità.
Maria
Aveva paura Maria Montanaro,
36 anni, del suo ex, Gaetano De
Carlo, 55 anni. Si sentiva spiata,
59
gd
violenza/femminicidi
riceveva miriadi di messaggini di
insulti sul cellulare. La storia era
finita ma De Carlo perseguitava
Maria senza sosta. Si presentava
a casa sua e una volta aveva preso a calci il cane che lei adorava.
Mercoledì 30 giugno De Carlo
l’ha freddata con 3 colpi di pistola alla testa.
vita”, ha scritto Regazzetti in un
bigliettino ritrovato dopo l’omicidio. L’ha uccisa il 3 luglio nel
cimitero di Agnadello con una
Glock, con regolare porto d’armi, che poi ha rivolto verso di sé.
Sulla gamba Regazzetti si era fatto tatuare “D e R forever”.
Simona
Roberta
2 luglio: 50 coltellate. Andrea
Donaglio, 47 anni, docente di
chimica, ex allenatore di basket
femminile, uccide così Roberta
Vanin, 43 anni, a Spinea. Roberta, allegra e solare, aveva confidato alla madre e alle amiche di
avere paura del suo assassino, ma
non l’aveva denunciato perché
“le dispiaceva”. Si erano lasciati 2 anni fa, dopo una relazione
durata 7. Al magistrato Donaglio
dice: “Non sopportavo di saperla
felice con il suo nuovo amore”.
Schivo, freddino, professionale,
vegano e cultore di medicina alternativa: questa la descrizione di
Donaglio dei suoi conoscenti.
I genitori di Simona Melchionda si rivolgono, il 9 giugno, alla
trasmissione Chi l’ha visto?, nel
tentativo disperato di capire cosa
poteva essere accaduto alla figlia,
scomparsa il 6 giugno, che non
aveva dato mai segnali di volersene andare, che avvisava sempre quando tardava.
Un mese dopo, la verità: Simona
è stata uccisa da Luca Sainaghi,
carabiniere di 28 anni, che aveva
una relazione con un’altra donna
con cui aveva avuto un bambino. L’ha uccisa la sera stessa della scomparsa, con un colpo della
pistola d’ordinanza, e poi l’ha
gettata nel Ticino, dov’è stata ritrovata il 3 luglio.
Debora
Eleonora
Debora, 20 anni, aveva deciso di
chiudere la sua storia con Riccardo Regazzetti, perché non voleva
sposarsi così giovane, come voleva lui. “Solo così potremo stare finalmente assieme per tutta la
11 luglio, ore 9: omicidio-suicidio
in una tranquilla domenica nelle
campagne intorno a Mestre. Fabio Riccato, 30 anni, uccide con
3 colpi di pistola l’ex fidanzata,
Eleonora Noventa, e poi si spa-
60
- GD n. 11 - ra al petto. Metodico, ordinato,
ligio al dovere, così è descritto
dai conoscenti. Riccato è fresco
di laurea in biologia con il massimo dei voti, si prende cura del
giardino di casa, ama la natura,
gli animali… e le armi. I due si
frequentavano da appena 8 mesi.
Eleonora aveva solo 16 anni; per
lei, forse, era un amore troppo
impegnativo. Aveva lasciato Riccato la sera prima dell’assassinio.
Sonia
Dopo avere ucciso Maria, De
Carlo si precipita a Rivolta D’Adda per uccidere Sonia Balconi,
42 anni. A differenza di Maria,
Sonia l’aveva denunciato, ben 7
volte. De Carlo raggiunge Sonia
e le spara prima di togliersi la vita con la stessa pistola. Proprio
mentre i carabinieri, dopo aver
scoperto il primo delitto, proteggevano un’altra ex di De Carlo.
Sonia aveva avuto una relazione con De Carlo e, nonostante
Sonia fosse felicemente sposata con una bambina, De Carlo
la perseguitava da mesi. Il proprietario della carrozzeria presso
cui lavorava lo descrive come un
operaio modello, serio, puntuale,
efficiente. “Era ossessionato dai
suoi amori finiti; era un tipo violento un po’ romantico”, hanno
detto di lui.
settembre 2010
gd
arte al femminile
Prima parte
Le donne nella storia
delle arti
Artemisia Gentileschi, Autoritratto come allegoria della pittura, 1638-39, olio su tela.
settembre 2010 - GD n. 11 - 61
gd
arte al femminile
di Alessandra Fasola
“È ottimo, non diresti neppure che è dipinto da una
donna.” Questo il giudizio che l’artista Hans Hoffmann, alla fine degli anni Trenta del Novecento,
esprime davanti a un’opera dell’allieva pittrice Lee
Krasner. Commento infelice, perché sottintende il
pregiudizio secondo cui il massimo a cui un’artista (con l’apostrofo) può aspirare è lavorare come
un uomo. Ma è un commento allo stesso tempo significativo, perché retaggio dell’eredità di secoli di
preconcetti sulla capacità (o incapacità) femminile
di contribuire ad attività “alte” quali arte, filosofia
e scienza.
le donne artiste di Bologna ne ha censite in Europa
meno di 6500, considerando un periodo lunghissimo che va dal Medioevo al XX secolo. Fra queste, si
trovano alcuni nomi abbastanza noti, come Lavinia
Fontana, Artemisia Gentileschi, Rosalba Carriera.
Mancano però personalità di primissimo piano,
stelle riconosciute del firmamento artistico in grado di competere con i Grandi della storia dell’arte.
Ma fu una donna, forse, a “inventare” la grafica
Eppure, secondo il mito raccontato da Plinio il
Vecchio nella sua Naturalis Historia, le arti grafiche
furono inventate proprio da una donna: la vergine
Corinzia, figlia del vasaio Butade di Sicione, tracciò
su una parete il contorno del volto del suo amato.
Tra mito e realtà, la distanza è però notevole. Rarissime sono infatti le donne che hanno conquistato
un posto nella storia delle arti, almeno fino al Novecento. Il Centro di documentazione sulla storia del-
Ma perché non ci sono state grandi artiste?
Da Giotto a Van Gogh, passando per Raffaello,
Rubens, Velàzquez, Leonardo, Manet, Dalì, l’arte
è un feudo maschile. Le ragioni? La storica Linda
Nochlin le ha lucidamente analizzate nel saggio
intitolato Perché non ci sono state grandi artiste?, concludendo, in sintesi, che il fatto che non sia mai
esistito un Michelangelo femmina è una questione
di pari opportunità: a lungo, e per svariate ragioni,
le donne non hanno potuto fare arte alla pari con i
loro colleghi uomini. Basti pensare, ed è solo uno
fra i molti esempi, che per un problema di “decoro”
alle aspiranti pittrici era vietata la copia dal vero
del nudo. Esercizio considerato “sconveniente”, ma
indispensabile per lo studio dell’anatomia e la corretta rappresentazione delle figure.
Miniatura dal Liber Scivias di Hildegarda von Bingen, inizio XII secolo.
Caterina de’ Vigri, Madonna con bambino e frutto.
62
- GD n. 11 - settembre 2010
Figlie, mogli, amanti… di artisti
L’episodica presenza di qualche nome di donna
nella storia dell’arte è dunque legata a particolari e
contingenti situazioni, familiari e sociali, che hanno
“permesso” la deroga a una norma che scoraggiava
l’affermazione femminile. Quelle che “ce l’hanno
fatta” sono soprattutto figlie, mogli e amanti di artisti, oppure donne privilegiate per estrazione sociale o apertura mentale della famiglia. E, in ogni
caso, tutte hanno dovuto combattere contro condiscendenza nel giudizio e diffidenza, armandosi di
coraggio e determinazione per scartare da un’esistenza su un binario già tracciato e affermare la propria capacità creativa.
Le biografie di Sofonisba, Lavinia, Caterina e le altre svelano un percorso tormentato verso un “pari
diritto all’arte”; percorso che coincide, in un contesto più ampio, con la ricerca dell’autonomia in
molti campi del sapere e del fare. La storia delle
donne artiste parte dai chiostri dei conventi medievali e dalle corti rinascimentali, dove riescono ad
affermarsi ritrattiste di talento come Sofonisba Anguissola e Lavinia Fontana. Si passa poi attraverso
la Bologna del Seicento, dove la pur bravissima Elisabetta Sirani era costretta a dipingere in pubblico
per dimostrare la sua abilità e mettere a tacere le
malelingue che mettevano in dubbio l’autenticità
delle sue opere.
Tappa dopo tappa… fino ai nostri giorni
Si prosegue poi, conquista dopo conquista, con
l’ammissione nelle Accademie d’arte (la data ufficiale è il 1784, quando all’Accademia Reale francese
vengono accettate le pittrici Elisabeth Louise Vigée
Le Brun e Adélaide Labille-Guiard), la possibilità di
partecipare ai concorsi (spesso sotto uno pseudonimo maschile) e i primi riconoscimenti importanti,
come la Legione d’Onore ricevuta da Rosa Bonheur
nel 1865, per volere dell’imperatrice Eugénie.
Tappa finale di questa sintetica storia è, forse, l’effettiva parità nel mondo dell’arte raggiunta ai giorni nostri: simbolici sono, fra gli altri, i Leoni d’oro
della Biennale di Venezia per Marina Abramovic
(1997) e Shirin Neshat (1999), e ai prestigiosi premi
alla carriera per Carol Rama (2003) e Barbara Kruger (2005).
Arte al femminile continua nei prossimi numeri di Geniodonna: verranno man mano presentate le donne artiste,
a partire dal Rinascimento (con le pittrici nelle corti europee), per arrivare ai giorni nostri.
settembre 2010 La pittura nei conventi:
donne e arte nel medioevo
I
n epoca medievale il dominio della Chiesa su ogni
aspetto della vita sociale limitava l’accesso delle donne
agli studi, salvo nel caso in cui fossero destinate alla vita
monacale. È proprio nelle biblioteche dei conventi che si
trovano le prime opere grafiche certamente attribuibili
a mani femminili: sono raffinatissime miniature che decorano le pagine dei volumi copiati a mano.
A Ende, che si definisce “pittrice e serva di Dio”, si devono le immagini fantastiche di draghi, angeli e demoni
che impreziosiscono il Commentario dell’Apocalisse del
Beato (975 d.c.), conservato a Gerona.
Herrat di Landsberg, badessa alsaziana, è l’autrice
della prima enciclopedia illustrata della storia, compilata
e miniata nella seconda metà del XII secolo. Hildegarda von Bingen è una monaca e veggente tedesca
vissuta a cavallo tra XI e XII secolo che dipingeva le sue
visioni mistiche in miniature, oltre a comporre musica e
scrivere opere teologiche e filosofiche.
Molto importante è l’attività di Caterina de’ Vigri
(1413-63), la santa patrona degli artisti. Di famiglia benestante, Caterina cresce come dama di compagnia alla
corte degli Este, a Ferrara. Studia latino, musica, poesia e
belle arti. Insoddisfatta della vita di corte, prende i voti e
fonda nel 1455 un monastero di clausura a Bologna, di
cui diventa badessa. Le viene concesso di realizzare un
piccolo studio in convento dove dedicarsi con tranquillità alla pittura, considerata uno strumento di comunicazione con Dio. Qui dipinge quadri religiosi (il genere più
prestigioso, solitamente riservato agli uomini) e decora i
codici. Fra le sue opere, gran parte delle quali sono conservate nel monastero del Corpus Domini a Bologna,
la più nota è una Madonna con bambino e frutto. Con
Caterina de’ Vigri, figura esemplare di donna religiosa e
artista, si chiude il piccolo capitolo dedicato al Medioevo:
fattore chiave nella storia delle donne nell’arte sarà, a
partire dal Cinquecento, la diffusione di una cultura laica
e cortigiana, che permetterà l’affermarsi dell’educazione
femminile alle arti e in generale il raggiungimento da
parte delle donne di posizioni sociali di prestigio.
- GD n. 11 - 63
gd
fiere
ISOLA CHE C’E’
VII edizione 2010
Fiera provinciale delle relazioni e delle economie solidali – Sabato 18 e domenica 19 settembre – Parco comunale di Villa Guardia, Como
di Idapaola Sozzani
D
a sette anni approdo
certo nella navigazione
equo-solidale in provincia di Como, la fiera “L’isola che c’è” presenta quest’anno
un’edizione fortemente innovativa e ricca di proposte per consumi e stili di vita più responsabili,
etici e sostenibili.
Sabato 18 e domenica 19 settembre 2010, negli stand allestiti nel
parco comunale di Villa Guardia
(CO) i protagonisti saranno commercio equo e solidale, gruppi
d’acquisto, cooperazione sociale
e internazionale, riciclo e riuso,
energie rinnovabili e bioedilizia,
agricoltura locale e biologica, artigianato, turismo responsabile,
pari opportunità e informazione.
Accanto agli stand tanti appuntamenti qualificati scandiranno
i tempi della fiera con presentazione di libri a tema e interessanti dibattiti e tavole rotonde: si
parlerà di esperienze di Finanza
Etica e di “Beni collettivi e gestione partecipata: dall’acqua
all’informazione”.
Ancora, si potrà assistere a una
vera sfilata di abbigliamento “sostenibile” e poi seguire il seminario “Rivestiamoci di nuovo…
la filiera del tessile attraverso
trame di storia in cambiamento”, oppure imparare che esiste
una mobilità diversa e sostenibile, quella del progetto “Como si
64
Foto: Giada Negri.
muove! Sistemi e Tecnologie per
la Mobilità del futuro”. Come di
consueto i visitatori potranno
contare su piacevoli momenti di
degustazione a base di prodotti
locali e dal mondo, sulla musica
del coro “Macramè” e dei “Sulutumana” e i bambini potranno
mettersi alla prova nei laboratori
pensati per loro. Sfilerà anche la
Parada par tücc e da ultimo …
gran finale con percussioni e giocoleria infuocata. Per seguire in
tempo reale gli eventi e approfondire la filosofia degli espositori l’Associazione Isola che c’è
e CSV Centro servizi per il volontariato di Como inaugurano
“News Km Zero”, spazio web
dell’Isola 2010, ricco di interviste, foto, filmati video, in presa
diretta durante la due giorni della fiera. Coordinato da Ecoinformazioni, vi collaboreranno le
redazioni dei media partner presenti all’Isola, giornalisti volon
- GD n. 11 - tari e giovani desiderosi di fare
un’esperienza di informazione
solidale “sul campo”.
Per info e candidature dei volontari giornalisti, fotografi e cineoperatori contattate ufficiostampa@
csv.como.it
Altra novità da non perdere le
iniziative del caleidoscopico
work in progress “Tavolo Donne”, che ha già coinvolto 12 tra
le oltre 20 associazioni femminili
del territorio comasco: anche noi
di Senato delle donne abbiamo
raccolto la sfida del tavolo e vi
invitiamo al seminario “L’immagine della donna tra stereotipo e
coscienza”, domenica 19 settembre alle 17.30, per dibattere sul
tema dello stereotipo femminile
nei mezzi di comunicazione, una
vera emergenza – anche educativa – degli ultimi anni.
Orari e programma completo
della Fiera L’isola che c’è 2010
sul sito www.lisolachece.org
settembre 2010
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