Gabrio Piola Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio www.liberliber.it Questo e–book è stato realizzato anche grazie al sostegno di: E–text Editoria, Web design, Multimedia http://www.e–text.it/ QUESTO E–BOOK: TITOLO: Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio AUTORE: Piola, Gabrio TRADUTTORE: CURATORE: NOTE: DIRITTI D'AUTORE: no LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/ TRATTO Uranio Pietro [1! p. DA: Lettere scientifiche di Evasio ad / Piola, Gabrio <1791-1850> ; Reggio : per Fiaccadori, 1825. - Edizione IV. – [4!, 83, ; 8o CODICE ISBN: non disponibile 1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 26 gennaio 2010 INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità media 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO: Paolo Alberti, [email protected] REVISIONE: Catia Righi, [email protected] PUBBLICAZIONE: Catia Righi, [email protected] Informazioni sul "progetto Manuzio" Il "progetto Manuzio" è una iniziativa dell'associazione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque voglia collaborare, si pone come scopo la pubblicazione e la diffusione gratuita di opere letterarie in formato elettronico. 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Nel raccomandar la lettura di questo aureo libretto, noi credemmo che assai bene vi stesse in fronte ciò che disse un illustre francese, certamente non sospetto di superstizione: = La Religione esige l'ossequio nostro, ma ragionevole: essa non ha in abborrimento una luce, che ci guidi sino al punto dell'impenetrabilità de' suoi Misteri; ma quando ci abbia per una via luminosa sino a questo segno condotti, nulla vi ha per parte nostra di più ragionevole, che il sottomettere il nostro intelletto all'obbedienza della Fede. = Du Marsais. 5 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola I. Di molto aggradimento mi fu la notizia, che tu mi desti, o mio diletto Uranio, d'esserti con impegno e con amore dedicato allo studio delle scienze esatte, e di trovarle sommamente deliziose al tuo spirito, e tali che non mai noia o stanchezza, ma sempre in te producono un nuovo e maggiore incitamento. Io assai mi compiaccio, che a vieppiù confermare la nostra amicizia si aggiunga l'argomento dell'uniformità d'inclinazione nello stesso genere di studi, e ben consapevole de' tuoi talenti, mi congratulo colla nostra medesima scienza, avendo ferma fiducia di veder per te accrescersi qualche fronda a quelle nobili palme, ch'essa va mietendo sul suolo ove nacquero Galileo e Lagrange. Su via, avanzati coraggiosamente nella bella carriera, e rendi così utile a te ed alla patria quel tempo, che ti è concesso dagli agi di tua condizione, e che i tuoi pari passano per la maggior parte (è penoso il dirlo) in un ozio mal augurato, per cui si fa viziosa la vita, e fin anco increscevole l'esistenza. Che tu ritrovi nelle matematiche un riposo, e un contento della mente, io lo credo ben volontieri, e conosco, che così appunto debb'essere; perchè essendo il loro fondamento la verità, il loro progresso nella verità, il loro obbietto sempre la verità, non possono a meno di consolare un essere pensante ed attivo, che per natura è spirito senza posa alla ricerca del vero. Tale è poi l'indole di queste 6 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola scienze che mentre arricchiscono lo spirito di preziose cognizioni, portano un perfezionamento alle sue medesime doti, essendo loro frutto una drittura nel pensare, una prontezza nel concepire, una forza nel ragionare, una sobrietà nell'immaginare, per cui con felice vicenda cresce sempre più l'attitudine a penetrare nelle medesime; sicchè trovo naturale, che tu risenta, lo studio crescere in te la brama di maggiore studio. Oh! quanto da qui a non molto ti parrà di avere avvantaggiato sul resto degli uomini. Pieno delle idee matematiche, troverai nei fenomeni stessi più comuni, a cui il volgo non dona un sol pensiero, come nel giro di una ruota, nel tratto di una pietra, nel riverbero di un raggio di luce, troverai argomenti di meditazione e di meraviglia; e con lo stesso interessamento contemplerai i movimenti degli astri nel cielo, immenso campo della gloria di Newton, e lo scorrere tra sasso e sasso dell'acqua di un ruscelletto, che forma i suoi zampilli, e muove le sue piccole onde gravide di quelle leggi recondite, a scoprir le quali sudarono, e non con pieno trionfo, i Geometri più sublimi. Tu vedi, o caro amico, che siam d'accordo nell'esaltare con piene lodi lo studio delle matematiche; s'io qui però mi arrestassi, e in null'altro che in un suono di plauso si risolvesse questa mia lettera, parrebbemi di non aver compiti tutti i doveri dell'amicizia. Sì: questo sacro affetto, che ci fa premurosi de' reciprochi vantaggi, mi suggerisce grande materia a proseguire: ed io conoscitore de' tuoi ingenui modi, e dell'ottimo tuo cuore, ho per certo, che non 7 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola già vorrai prendere quanto io son per dire quasi voce di un pedante, ma piuttosto come segno non dubbio del sodo amore di uno, che ti precede d'età se non di merito nel tuo medesimo arringo. Abbiamo, o mio Uranio, un tesoro ben più prezioso d'ogni umana sapienza, un tesoro, che non come questa può perdersi per malattie, o per morte, ma che può esserci rapito sgraziatamente, se attenti non vegliamo a custodirlo: intendo la Religione. Esso ci è insidiato, specialmente a dì nostri, con grande malvagità, con grande astuzia; e credimi che una gran parte di queste insidie è tesa in quegli stessi libri, a cui noi andiamo ad attingere le umane scienze. Io perciò, nello stesso tempo che ti fo' animo ad inoltrarti in quel sublime studio, t'esorto a vegliare e star bene in guardia per ogni assalto, che in esso ti possa venire contro di quella fede, la quale intima al saggio del pari che all'ignorante: umiliati, e adora. Sono però ben lontano dal credere e dal dire, che lo studio delle matematiche possa per se stesso nuocere alla Religione; gran torto mi parrebbe di fare ad una scienza figlia della ragione, se la credessi in guerra contro Quello, che vibrò nell'umana mente quel lampo del suo volto divino; e gran torto a quella Religione medesima, la quale non teme l'esame di un retto filosofo, in cui taciano le passioni. I fonti dell'incredulità sono la corruzione del cuore, e l'orgoglio della mente; del primo non può cadere sospetto, servendo anzi moltissimo le matematiche a distaccar dal sensibile, col fissarci in oggetti intellettuali ed astratti; potrebbe non essere irragionevole un sospetto sopra il secon8 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola do. Infatti un giovine che sente il sodo delle cognizioni acquistate, e che s'accorge di possedere nel calcolo un istrumento, il quale gli regge ancora a gran lena dove vacilla e si perde il ragionamento: avendo ancor recente il senso della sorpresa, nè ben con freddezza ordinate le idee, e distinta quella barriera, che separa la scienza delle quantità dalle scienze morali; prova qualche difficoltà a chiamarsi ignorante, e a cedere e ad inchinarsi sotto il peso dell'autorità. Ma questo può essere il difetto del principiante, non già di chi fatto provetto nelle matematiche trova ad ogni passo in queste medesime scienze mille argomenti per umiliarsi. Più che si studia, più che si penetra addentro nelle viste de' grandi Geometri vedesi da tutte parti ingrandirsi la provincia di ciò che potrebbe sapersi, e che pur non si sa; si scuopre, per esempio, che di un numero indefinito possono essere i calcoli derivati, e non se ne conoscono che tre o quattro, di cui nondimeno è così corpulenta la mole da sconfortare i meno coraggiosi. Quasi ogni verità che si impara ci costa la contemporanea cognizione di molte ignoranze, di cui non aveasi per l'addietro, essendone al bujo, quel rincrescimento che viene poscia ad intorbidarci il piacere della verità conosciuta. L'idiota, cui manca la notizia stessa delle scienze, non s'affligge di sua ignoranza; e però mentre tratta la marra o conduce la stiva, s'applaude, e si consola di sapere quest'arte, rimpetto alla quale disprezza forse in cuor suo, quasi un piatir di fanciulli, le dispute dei letterati. Dopo ciò vedesi il motivo, per cui il vero saggio debb'essere il più lontano dall'or9 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola goglio della mente, e il meno alieno dal credere, che possa esservi un ordine di verità, cui il suo intelletto non può raggiungere o penetrare; avventuratamente l'esperienza ce ne fornisce luminosi esempli in Geometri di primo rango: dove un La-Metrie motteggiava, un Newton credeva; ed un Pascale adorava, dove un Voltaire bestemmiava. I cervelli indocili e caparbi trovansi in buon numero tra la turba de' semidotti, simili alle spighe vuote di grano, che nel campo s'innalzano sopra le altre. Ma io vado più innanzi, e dico cosa che sulle prime, o Uranio, ti potrà sembrare strana. Quando penso meco stesso a quel linguaggio, che odo di sì frequente, cioè che la Religione esige un sacrifizio della ragione, di quella ragione, la quale trionfa nelle matematiche, dove tutto è luce ed evidenza, non so persuadermene sì di leggeri, parendomi anzi che la mia ragione trovisi bene spesso nello studio delle matematiche in tali circostanze, ove la sua libertà non è maggiore di quando la Fede le propone a credere i misteri ed i dogmi della rivelazione. Per farmi strada a svolgere questo pensiero, domando a chiunque conosca l'analisi sublime, s'egli veda in quel modo che dicesi di ostensione la verità della maggior parto di quei risultamenti, che il calcolo gli somministra. Che fra tutte le curve la cicloide sia quella della più veloce discesa: che di tutte le superficie, le quali racchiudono una medesima solidità, la minima sia la sferica: che tanto la cicloide, come la spirale logaritmica, curve differentissime, abbiano nondimeno comune la proprietà d'essere evolute di se medesi10 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola me; queste e tant'altre verità, che sarebbe lungo passare in rassegna, si credono perchè il calcolo le dice, ma non perchè se ne ravvisi la ragione intuitiva, come si vedono nel quadrato eretto sull'ipotenusa di un triangolo rettangolo contenuti i quadrati dei due lati. Un analista che voglia essere sincero non cesserà di magnificare quel calcolo, che lo trasporta a traverso dell'infinito; ma confesserà che questo maraviglioso viaggio è fatto all'oscuro, non essendo concesso alla sua mente di esserne testimonio: ecco le parole di un celebre matematico. (Brunacci Cal. Sub. T. 2. pag. 147.) "Noi affidiamo un problema al calcolo, il quale per una specie di meccanismo ci conduce alla soluzione, senza che si veda alcuno di quegli anelli intermedii che uniscono i dati del quesito col risultato: rimaniamo convinti, ma non persuasi". Qual è dunque il processo, che segue il Geometra ogni qual volta si convince di verità del genere delle già esposte? egli forma il seguente sillogismo: Io so, che i principii, ed i metodi del mio calcolo sono infallibili, e che quando ne uso giustamente, esso non può condurmi all'errore; ma questa volta io son sicuro di non aver sbagliate le mie operazioni intermedie, che mi condussero a questo risultamento: dunque questo risultamento è vero. Ora osserva, o Uranio, se sia molto differente quest'altro sillogismo, in virtù del quale noi crediamo i misteri della Rivelazione. Io so, e la provo colla mia ragione, l'esistenza della Rivelazione, e conosco che quanto in essa si contiene, essendo parola di Dio, debb'essere tutto vero; 11 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola ma il tal mistero o il tal dogma è veramente contenuto tra le cose rivelate: dunque sarà verissimo, ed io debbo crederlo francamente. Confronta i due sillogismi: vedrai che in ambi i casi le due conseguenze per se direttamente impercettibili si credono in virtù delle premesse, che dalla ragione vengono dimostrate: le dimostrazioni per le premesse del secondo sillogismo, tu puoi vederle presso i nostri sacri Apologisti. Dimmi ora, o caro amico, se ti pare un retto linguaggio quel chiamare la ragione trionfante nel primo caso, e sagrificata nel secondo. Odo però l'obbiezione di qualche moderno miscredente: se non possiamo veder di fronte certe verità matematiche, vi troviamo almeno colla ragione una convenienza, che esclude ogni ripugnanza e contraddizione: non così di alcuno tra i misteri rivelati: motivo per cui vi sono degl'increduli in religione, e non vi sono degli increduli in matematica. Tutto questo discorso è una solenne menzogna. Che niun mistero rivelato presenti soggetto di vera contraddizione, è cosa vittoriosamente provata presso i nostri controversisti: e se qualche apparenza fallace se ne affaccia alcuna volta alla nostra mente, ciò nasce dal non aver ella allora presenti tutte quelle idee, che si richieggono per fare sì gran giudizio, e dall'usare nelle cose divine di quelle stesse viste colle quali suole ragionare nelle cose umane: eccoti una similitudine. Chi dicesse di conoscere un gran fanale, col quale s'illuminano nello stesso tempo diverse stanze in diverse case in diverse città in diverse provincie, ti parrebbe uscito di senno, e troveresti facilmente 12 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola che la sua asserzione può tacciarsi di contradditoria, perchè hai nella mente l'idea consueta di un fanale quanto vogliasi grande; ma se quel fanale ingrandito enormemente, non è più terrestre, ma celeste, se è il sole: ecco la contraddizione è svanita. Colui poi che ci spaccia non trovarsi mai nelle matematiche queste apparenze di contraddizione, dà a divedere che non le conosce. Io fra mill'altri citerò quel solo paradosso scoperto pel primo dal Torricelli nello spazio asintotico d'un'iperbola equilatera Apolloniana, il quale quantunque veramente infinito, se si ravvolge intorno all'asintoto genera un solido finito e commensurabile, che eguaglia un cilindro retto avente tanto per altezza, come per raggio la potenza dell'iperbola. Quest'è quel paradosso, che il celebre Gregorio Fontana chiama uno de' più strani e singolari, e di cui così scrive il chiarissimo Cametti sulla fine del suo bel trattato di sezioni coniche. "Hoc autem etsi ob evidentissimam demonstrationem nullae dubitationi obnoxium esse queat, incomprehensibile tamen est, neque imperitis Geometriae persuaderi ullo modo poterit. Quare discant increduli non ideo religionis nostrae sacrosancta Mysteria aspernari, et inter fabulas reputare, quod comprehendi et intelligi a nobis non valeant". Quanto poi al resto dell'obbiezione, cioè esservi degl'intelletti, i quali si rifiutano ad alcune verità della Religione, e non esservene di quelli che si rifiutano alle verità matematiche; se il fatto fosse vero, io ne avrei in pronto una ragione nell'interesse, che hanno i libertini di combattere la Religione, senza dubbio maggiore di quello, che 13 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola possa avere qualche cattivo filosofo nel combattere le matematiche; ma la verità è, che il fatto è falso. Fino dall'origine dell'analisi infinitesimale i Nieuventyt, i Rolle, i Volderi esercitarono la pazienza di un Leibnitz e dei Bornoulli: ed anche a' dì nostri alcuni pure si trovano, i quali si offendono dell'impero, che sui movimenti celesti tiene dopo Newton quella gran legge, che è universale e semplice come la natura; ed anche qualch'altro, che rigetta i luminosi principii posti dal sommo Geometra di Torino al suo calcolo delle funzioni. Di tutto il fin qui detto la conseguenza per te consolante, o mio diletto Uranio, è che lo studio delle matematiche considerato in se stesso non può essere pericoloso alla Fede per chi conserva l'ingenuità de' costumi, e la docilità dell'intelletto. Ma se innocenti sono le matematiche, tali non sono tutti quelli che le professano, e le scrivono. Talvolta l'ape ed il serpe suggono lo stesso umore, ma con diversa sorte; chè lo stesso alimento si fa mele nell'una, e tossico nell'altro. Su quella amena via dove or tu corri a gran passi, sonovi delle api che svolazzano sui fiori, ma sonovi ancor delle serpi insidiosamente appiattate. Parliamo più chiaro: in alcuni di que' libri dove tu andrai cercando la scienza, leggonsi pur anco alcune proposizioni, alcuni tratti, che feriscono o apertamente o di nascosto la nostra santissima Fede. Non è mio pensiero il tenerti ora discorso di alcuno di essi, in cui chiaramente si enuncia qualche empia massima, o si attacca di fronte un mistero od un dogma: non è questo il caso di un serpe che insidia 14 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola il calcagno, ma di una fiera, che in faccia viene all'assalto. Voglio dirti alcuna cosa appunto degli agguati segreti, cioè di certi moti più o meno maligni, i quali, quando non si scuopre il loro veleno, soglion essere in estremo dannosi. Nel momento infatti, in cui la mente è aperta per ricevere una bella verità matematica, in cui il lettore ha dell'autore la più alta opinione vedendo l'aggiustatezza de' suoi ragionamenti, e la finezza del suo criterio in punto di scienza, questi colpi che vengono di traverso, penetrano sino all'anima. Essi vogliono essere distinti in varie classi. Metterò per i primi quelli, che senza alcuna manifesta parola vanno a ferire la religiosa credenza: eccone alcuni esempi cavati da una moderna pregievolissima astronomia, la di cui seconda edizione fu impressa a Parigi in 3 volumi nel 1810. alla pag. 79. del tom. 2 facendo correr del pari colle verità della scienza le gratuite ipotesi fisiche, si citano alcuni fatti di storia naturale, indi si soggiunge: "Quelle preuve plus frappante d'un ancien état des choses, dans le quel l'homme n'existait pas"? Più innanzi (pag. 170), determinando l'epoca, in cui la linea degli apsidi nell'elisse solare ha dovuto coincidere colla linea degli equinozi, e trovandola a quattro mille anni circa prima dell'era cristiana, l'autore dice: "Par une rencontre assez singuliére, c'est à-peu-prés vers ce tems, selon la plus part des chronologistes, que remontent les premiéres traces du séjour de l'homme sur la terre, quoiqu'il paraisse d'ailleurs par un grand nombre de preuves physiques, que la terre elle-méme est beaucoup plus ancienne". Più 15 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola innanzi ancora (pag. 291) recandosi l'opinione di alcuni filosofi per ispiegare i fenomeni della temperatura della terra, corre discorso di due cagioni, una delle quali può accumulare, e l'altra disperdere il calore terrestre, e a questo proposito si aggiunge: "Ces deux causes contraires agissant, peut-être, depuis des milliers de siècles". Chi riflette a questi passi può credere, ch'essi si avvicinino al novero di molti altri, che specialmente da' moderni scrittori furono avanzati in varie opere scientifiche e filologiche contro la storia di Mosè. Io però prendo di qui occasione di domandare a tutti costoro, dove sia su questo punto non dirò la critica, e la filosofia, ma la semplice buona fede. Con qualche fisica apparenza, di cui ne abbian vedute già tante risolversi in niente: con qualche numero esprimente epoche non ben conosciute: con un forse trattar da impostura una storia rispettata da secoli, creduta da centinaja di generazioni, esaminata da uomini dottissimi: proscrivere un libro, a cui rendono testimonianza per la conformità di molte idee, tra i Greci Platone ed Esiodo, e tra i Latini l'autor delle metamorfosi; anzi una nuvola di testimoni, siccome lo provarono con grande erudizione Eusebio tra gli antichi, e tra i moderni l'Uezio ed il Grozio: un libro, con cui vanno chiaramente d'accordo alcune traccie, che ci rimangono nella storia dei Fenici, de' Caldei, de' Persiani, degl'Indiani, e d'altri antichissimi popoli: rompere il filo di quelle idee, per cui l'uomo vede rendersi la sola ragione plausibile della sua origine: distruggere la fede ne' libri dell'antico Testamento, e preparare così la miscredenza 16 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola anche per quelli del nuovo: ecco l'attentato, che si proposero alcuni dotti del secolo XIX. Vengo ad altri tratti di un genere differente, il cui oggetto non è che di gettar qualche sprezzo sopra le pratiche religiose, o i sacri Ministri. Trattasi dell'apparizione di una cometa? si derideranno come goffamente superstiziosi quei timori, per cui s'ingiungevano pubbliche preghiere; e nulla si dirà di quei timori filosofici destati nel secolo scorso dall'ipotesi del cozzo d'una cometa nella terra o nel sole. Si deplorerà con ragione l'ignoranza dei fautori dell'astrologia, ed a questo proposito non si dirà già, che un tal errore offuscò la gloria dei primi anni del gran Cassini, ma che il Papa Innocenzo XI fece buon viso ad una predizione sulla città di Vienna. Non si finirà mai di compiangere il povero Bacone perseguitato da' suoi confratelli, e nulla sì dirà della persecuzione mossa a Ticone dal governo di Danimarca, per cui il grand'uomo spogliato delle sue rendite, allontanato dal suo soggiorno, violentato fin nei suoi propri studi, finì esule e tapino nel migliore de' suoi anni una vita tutta dedicata al bene de' posteri; così via discorrendo. Metto in terzo luogo certe proposizioni sguaiate, che non corredate di prova, e accompagnate per lo più da qualche stizzosa parola, portano il marchio della calunnia e dell'ignoranza; a queste la migliore risposta è un semplice sentimento di compassione. Leggerai così in un saggio sulla storia delle matematiche, che da alcuni dotti "la società avrebbe potuto ritrarre i maggiori vantaggi, se la potenza ecclesiastica sempre intollerante, sempre arma17 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola ta di fulmine non avesse troppo spesso fermata, e compressa la loro carriera"; e poco dopo: "malgrado gl'inquisitori, malgrado i passi della Bibbia, ec.". Se non che l'astuta malizia d'esornare, d'ingrandire, di far vedere le cose dal loro aspetto più sinistro, di aggiungere circostanze false alla narrazione di qualche fatto, trovasi pur altrove, e non una sola volta praticata. Citerò la sola storia di quegli avvenimenti, che travagliarono il Galileo, la quale delineata in cento scritti a neri e mentiti colori, se riducasi entro i suoi giusti termini, come nel Tiraboschi, non ha più di che fare sorpresa. Dopo la scuola di quelle due micidiali penne di Ferney e di Ginevra, è massima generale per qualunque libro, in cui trovinsi asserzioni contrarie alla Religione, che bisogna riserbarsi il diritto di dubitare, anche quando l'autore protesta d'aver egli stesso veduto, udito, letto: anzi bisogna accrescere maggiormente la differenza, quanto più si scuopre in esso l'insistenza onde produrre la persuasione; non essendo spenta affatto la genìa di quegli scrittori, che non si fanno coscienza di falsi racconti, di alterate citazioni, di testi mutilati, i quali ridotti alla vera lezione presentano un senso diverso, ed anche opposto a quello, che si vuole lor dare. Pongo dopo questi que' passi, la cui malizia non a tutti è palese, e son quelli, in cui si danno lodi sperticate ad alcuna di quelle tante operette, che negli anni addietro volavano a stormo in tutte le parti sotto i titoli di saggi, di opuscoli, di lettere, di pensieri per qualche tratto filosofico che contenga: senza far cenno di tante empie massime che 18 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola ne imbrattano tutte le pagine; così troverai lodato a cielo il Bayle per avere con certo scritto contribuito a dissipare i timori sulle apparizioni delle comete, senza alcuna parola contro lo sfacciato propugnatore dell'ateismo. Finalmente accenno alcune espressioni, che possono essere male interpretate, ma che forse dagli autori saranno state poste innocentemente, e son quelle per cui spargesi qualche nebbia sulle luminose testimonianze rese alla Divinità da qualche grande ingegno, od anche dalle stesse cose inanimate. Così dopo che Newton ci ha fatta evidente quella Mano, che slanciò i pianeti secondo la tangente delle loro orbite, di tal forza di proiezione dicesi in quell'opera, che è il più gran monumento dell'analisi moderna: "La force de projection que ces corps peuvent étre supposés avoir reçue dans l'origine de choses". Così il nominar Dio, il Creatore, la Sapienza infinita, la Provvidenza regolatrice del mondo, come non mai stancavansi di fare i Galilei, i Leibnitz, gli Euleri, è ora ito tra i matematici in disuso, e ad ogni caso si sostituisce il nome più filosofico di Natura, e si dice la Natura che ha fatto, ha previsto, ha preordinato; la Natura che fa, che mantiene, che provvede ec., senza forse avvedersi che questa usanza è assai vecchia, e già riprovata da Seneca, il quale fin da' suoi tempi scrivea ad uno che avea fatto questo scambio di vocaboli: "Non intelligis te mutare nomen Deo? Quid est enim aliud natura, quam Deus, et divina ratio toto mundo, et partibus ejus inserta"? (de Benef. l. 4 c. 7). Ripeto di non credere che tutto ciò facciano per malizia; ma, presso qualche debole 19 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola mente, suonando il nome di Natura talvolta come di cagione, e talvolta come di effetto, può farsi una confusione dell'una e dell'altro, e così avviarsi verso il Panteismo dello Spinosa, come ne abbiamo un esempio nello stesso Plinio che lasciò scritto (l. I c. 17) "Per quae declaratur haud dubie naturae potentia: idque esse, quod Deum vocamus". Non voglio ommettere d'accennarti alcuni altri passi, veramente assai rari, ma che pure si trovano, i quali nuocono alla Religione per voler dir troppo. Ti sarà noto, per esempio, che i matematici possono fra tutte le leggi, a cui poteva essere assoggettato un fenomeno fisico, determinar quella, che conduce a qualche proprietà di massimo o di minimo: e che esaminandosi le leggi realmente esistenti in natura, trovansi ad alcuna di tali proprietà conducenti. "Cum enim (così Eulero Meth. cur. add. I) cum enim mundi universi fabrica sit perfectissima, atque a Creatore sapientissimo absoluta, nihil omnino in mundo contingit, in quo non maximi minimive ratio quaepiam eluceat". Questo mirabile accordo tra le leggi fisiche e le idee speculative, questo eco, con cui la natura risponde all'omaggio reso dalla nostra mente alla Sapienza infinita, può certamente fornire una prova dell'esistenza di Dio. Ma il sig. di Maupertuis, che da questa vista metafisica passò a formare il suo principio della minima azione, si lasciò colpir troppo dalla medesima, poichè nel suo saggio di cosmologia per dare maggior risalto alla prova dell'esistenza di Dio da questo principio dedotta, la proclamò più valente di quel20 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola la, che dall'ordine, dalla bellezza, dall'armonia dell'universo rifulge in ogni mente anche non matematica: anzi si avanzò sino al segno di sollevare alcuni dubbi per offuscare quest'ultima. Ora un tal procedere è dannoso, giacchè ne conseguita, che un idiota non avrebbe un argomento sicuro dell'esistenza di Dio: ed è poi poco assennato, perchè quel principio delle cause finali ha, secondo Lagrange, qualche cosa di vago, e d'indeterminato: le conclusioni potrebbero qualche volta essere erronee in quella guisa, che dietro una simile vista erroneamente il Cartesio determinò le leggi della percossa. Le prove dell'esistenza di Dio riverberano da tutte le parti del creato, come la luce del sole: chi non è cieco nel corpo non può non vedere il sole, e chi non è cieco nello spirito non può non veder Dio. L'uomo il più stupido è certissimo, che vi è il sole, quantunque abbia alcune prove di meno di un fisico, il quale sa, per esempio, che il grand'astro è la primaria cagione del vento d'est, che spira fra i tropici, e dell'aumento, che sentono le marce nelle sisigie; nella stessa maniera, se la esistenza di Dio trova nelle matematiche alcune prove inaccessibili al più degli uomini, questi anche senza di esse hanno di che convincersi di una tal verità coll'ultimo grado della certezza. Raccogliendo il discorso, conchiuderemo essere buona cosa lo studiare le scienze, migliore il saper conservare la prima e la più importante di esse, che ci fu insegnata da un Maestro divino: essere conveniente il consultare le opere dei dotti scrittori, ma insieme di essenziale prudenza, spe21 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola cialmente a dì nostri, il non consolidarsi mai con alcuno in una università di opinioni. Infatti quegli stessi, che ci vorrebbero insidiare la religione, non sono essi i primi a millantare un dominio sui propri giudizi, una libertà di pensare, una costanza negli assunti principii? Ora mantiene in verità il diritto di giudicare chi non si arrende a vieti sofismi, meno poi a certi frizzi maligni, che non vestono larva di ragionamento; fa l'uso più perfetto di sua libertà chi umilia la ragione davanti alla Fede con un ossequio, che dalla ragione stessa esaminato viene riconosciuto doveroso; è veracemente d'animo forte, e di carattere fermo chi per qualunque urto non si smuove dai fondamenti della sua religiosa credenza. Tu dunque, o mio caro Uranio, fatti pur dotto nelle matematiche discipline: ma poni insieme e precipuamente ogni cura nel conservarti, quale ora tu sei, di massime intemerate; e se nello studio ti avvicini a qualche autore sospetto, imita la rondinella, la quale rasenta talvolta col volo la superficie delle acque, ma non vi si tuffa già, e vi si affoga; batte l'ali, e quasi diresti, che le intinge, e le spruzza, ma pur sempre le sostiene nell'aria. Sono ec. 22 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola II Ben lo sapea, che ingannato non mi sarei quando scrissi dietro la conoscenza delle ottime doti del tuo ingegno, e del tuo cuore, o mio diletto Uranio, che a te pure sarebbe tornato gradevole il progetto di questo nostro epistolare trattenimento, e senza noia quel primo tentativo, col quale io procurai di ridur subito all'atto l'utile divisamento. Tu infatti accogliesti quella mia lettera nei modi più cortesi, e così aggiugnesti forza alla inclinazione già in me spontanea di proseguire a discorrerla teco intorno alle medesime materie. Eccomi al secondo esperimento: e se nell'antecedente io parlai in generale delle Matematiche considerate in se stesse, e poi nelle opere de' loro scrittori, per iscoprire se un tale studio possa qualche nocumento recare ai principii religiosi per divina bontà in noi radicati: tenterò questa volta, discendendo più al particolare, di esaminare una questione importante, la di cui trattazione gioverà a munirci contro uno scandalo de' nostri giorni, nei quali vedemmo alcune obbiezioni della miscredenza vestita di quel linguaggio, e di quelle fogge, che io chiamai nella mia lettera per se medesime innocenti. Essendo gravissimo l'argomento, e sottile la disputa, non potrò a meno, o amico, di gravarti talvolta lo spirito con astratte, e poco amene considerazioni: ma di ciò fare io mi credo in diritto presso chi non rifugge dalle spine dell'alta Geometria. 23 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola Fuvvi già tempo, che essendo ancor fervida l'ammirazione per gl'insperati progressi, che in tutte le loro parti facevano le Matematiche, invase gli animi certa manìa di voler ridurre sotto il dominio di tali scienze ogni altra provincia delle umane cognizioni, fino ad imprigionare entro note tutte irte di cifre algebraiche le vivaci inspirazioni della musica, e a rendere schiave di figure poco intese alcune teoriche dell'arte salutare. Più posati pensatori i filosofi da noi per età meno lontani, riconobbero la vanità di quelle troppo ardite ricerche, e lasciaronle cader nell'obblìo, tranne una sola, la più ardita di tutte, che si proposero di sostenere, e d'ingrandire con tutti gli sforzi dei loro molti talenti: è dessa l'applicazione delle matematiche a varie questioni proprie delle scienze morali. Condorcet vuole persuaderci dietro l'opinione di un suo amico sul principio della prefazione alla sua opera intorno alla probabilità delle decisioni rese a pluralità di voci, che le verità delle scienze morali e politiche sono suscettibili di ottenere coll'aiuto delle matematiche una certezza simile a quella delle scienze fisiche: e Laplace nel suo Saggio filosofico sulle probabilità (4 ed. pag. 34) c'invita anche più palesemente ad applicare alle prime lo stesso metodo fondato nella osservazione, e nel calcolo, che sì bene ci serve per le seconde. Eppure io già ti scrissi, che una barriera separa le scienze morali dalla scienza delle quantità: la mia asserzione è dunque in conflitto con quella di alcuni grandi geometri. Che pertanto si dovrà dire? Qual peso accordare alle contrarie sentenze? Ecco il soggetto, ch'io 24 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola scelsi per trattenere, o Uranio, questa volta le nostre attente riflessioni. Trovo sul principio assai conveniente avvertire, che quando io dico non potersi le matematiche applicare alle scienze morali, sono ben lungi d'intendere l'applicazione di quel metodo geometrico, che usato precipuamente in quei libri, ove si tratta per sintesi delle proprietà dell'estensione, venne anche da chiarissimi autori adoperato in molte altre questioni filosofiche niente affini colla Geometria. Un tal metodo non è in rigore, se non il dettato di una fina dialettica, onde in poche parole si serrino i ragionamenti, e si dirigano con tutta la loro forza per la via più breve a convincere l'intelletto. Egli è indubitato, come ben lo sentiva il Metafisico Inglese, ch'esso deve il suo perfezionamento alla Geometria, dove avendo ritrovato un soggetto in modo egregio alla sua indole conforme, si educò, e crebbe in vigore dietro il lungo uso delle scuole, e delle accademie: ma è pure certissimo, ch'esso non è colla Geometria così intrinseco, che non potesse nascere, e sussistere senza di esso. Quindi non è meraviglia, se in qualche argomento proprio delle scienze morali, il metodo geometrico riuscì per avventura il più idoneo: per tacere di molti, citerò io in un unico esempio l'opuscolo sull'immaterialità dell'anima, di cui l'Italia va debitrice ad un Geometra illustre, che trasse di recente, ahi troppo presto, intorno alla sua tomba l'amaro compianto de' veri amici dell'onor nazionale, ed insieme (è glorioso il dirlo) degli amici della Religione. 25 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola In seguito è d'uopo riflettere quando si parla d'applicazione delle matematiche, che una gran parte di queste scienze (ed è di quelle che si appellano miste) è essa stessa il risultamento dell'applicazione a' diversi rami della filosofia naturale, della semplice analisi logica, o d'un'altra analisi, che propriamente dicesi matematica. Intendo per quest'ultima quella scienza, che ha il suo elemento nella numerazione, il suo progresso nelle regole generali per operare sulle espressioni simboliche letterali rappresentanti ogni numero, il suo perfezionamento in quelle teoriche più elevate, che formando colle lettere, e coi segni delle operazioni altre espressioni più o meno composte chiamate formole, o funzioni, insegnano a dedurre dietro la forma delle cognite quella eziandio delle incognite. Intendo quella scienza, che sorge sulle quantita discrete, o almeno sulla considerazione di parti multiple e summultiple col solo pensiero fra loro distinte dentro le quantità continue; quella scienza, che si ritrova tanto nei libri di Euclide sulle proporzioni delle figure, ed in altri, nei quali i geometri non aveano ancora il coraggio di perdere di vista i concreti, come nelle moderne opere sublimi, che ci presentano il calcolo puro sollevato in uno stato d'indifferenza per tutte le quantità, alle quali nelle applicazioni possa essere rivolto. Quindi è che ogni applicazione delle matematiche si risolve in fine ad applicare i metodi d'una o dell'altra delle due nominate analisi: e quantunque dicasi talvolta di applicare la Geometria, o la meccanica; se questo facciasi solo per via di confronti, o di similitudini, è ancora l'opera 26 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola del semplice ragionamento; e se si passi a significare i teoremi, e i principii di quest'ultime scienze, di nuovo abbisogna il linguaggio del calcolo. E convenendo di non potere a rigore chiamare matematica ogni applicazione dell'analisi logica, benchè vestita di modi, e di termini propri delle scienze esatte; rimane che la seconda delle due analisi è propriamente l'unico stromento per fare qualsivoglia applicazione matematica. Io perciò credo di non restringere la generalità della mia prima asserzione, se mi limito a mostrare l'impossibilità di applicare il calcolo alle scienze morali. Questo calcolo, che tanto t'innamora, o dolce mio amico, è, non v'ha dubbio, un ammirabile ritrovamento, che grandemente onora l'umano ingegno: ma il suo dominio quantunque sì esteso, è pur sempre terminato su tutto ciò, che è quantità. Qui solo può quello trovare un fondo sodo, in cui gettare i fondamenti di ogni sua opera: se questi limiti di pochissimo valica, ben tosto cade negli sdruccioli della menzogna. Non più essendo infallibili i principii delle sue operazioni, nulla gioverà che ne sia infallibile il progresso; anzi talvolta per picciolissimo sbaglio trascorso a viziarne l'origine, le conseguenze saranno le più strane, ed assurde. Ed ecco nascere un'umiliazione, ed un vincolo per l'umano intelletto colà, dov'ei già fece sì glorioso acquisto: ecco sorgere il pregiudizio sulla via medesima, che l'uomo s'aprì per evitarla. Io non rammenterò quegli esempi, di cui vanno avidamente in cerca i detrattori delle matematiche per indicarci con uno sprezzo insultante un 27 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola qualche Geometra, che si ostina a difendere certe meschinità manifestamente false, trovate quali conseguenze di alcuni disgraziati computi; dirò soltanto essere assai compassionevole lo scorgere qualche indocile ingegno, che cerca fuggire da quelle venerande caligini, nelle quali talvolta si avvolge la Religione, e poi tenendo dietro a calcoli fallaci, s'obbliga in un cammino traditore, dove si addensa egli stesso d'intorno le tenebre, e si crea sul passo gl'inciampi. Se brami, o Uranio, degli esempi, leggi la quarta memoria del Ruffini in confutazione del Saggio filosofico sulle probabilità, e vedrai in quali traviamenti si viene, seguendo calcoli di erronei principii; leggi, e poi mi dirai quale sia più libera, e sovrana di sè, o la mente del porporato filosofo ivi più volte citato, che passa sulle questioni colla più invidiabile drittura, e franchezza de' raziocini, o quello di lui, che s'arrabatta nel laberinto delle sue formole senza il coraggio di cavare da quei viluppi la sua ragione. La mia proposizione è presentemente ridotta a provare, che nelle applicazioni alle scienze morali non può l'analisi matematica trovare il modo di scrivere le questioni nel suo linguaggio, se non per supposizioni gratuite, che rendono dubbii, anzi di loro natura erronei i principii, ai quali s'appoggiano i calcoli: dopo ciò, e dopo quanto qui sopra si è detto, sarà del tuo senno, Uranio, dedurre prontamente le conseguenze. Entrando nel soggetto, io trovo, che in due diverse maniere si può cercare di vincere la lite; la prima facile e già nota; la seconda più difficile, e forse non per 28 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola anco ben conosciuta. Accennerò brevemente la prima, perchè un Geometra assai valente se ne è servito con felice successo nello stesso argomento: mi tratterrò più a lungo ad indicare quale sia l'altra strada, per la quale un pensatore di me più profondo potrebbe, se io ben m'avviso, giugnere ad un pieno trionfo. Primieramente egli è assai manifesto (Vedi Ruffini. Rif. Crit. pag. 48 n. 6), che non è possibile introdurre l'analisi dove non si può dapprima introdurre il numero, essendo questo l'elemento di cui essenzialmente si forma. Ora nelle cose morali si può bensì aver idea di un maggiore, e di un minore, ma non mai di un multiplo, e di un summultiplo: riesce ridevole il solo progetto di stabilire l'unità da ripetersi nelle cose, che si avrebbero a misurare; e tra le molte ragioni, che persuadono tale impossibilità, basti quella di non poter ravvisare l'omogeneità perfetta, che pure è necessaria in ogni rapporto tra l'unità, che misura, e la quantità, che è misurata (vedi opera cit., pag. 110 n. 2, pag. 120 n. 8). Quest'obbiezione si fa sentire con tanta forza, che gli avversari non possono a meno di convenire nel sostanziale: ma però ripigliano, che si può supporre di conoscere almeno per approssimazione sì fatti numeri. Nondimeno una tale ritirata non vale ad essi di scampo, perchè è noto fra i matematici, che per fare buon uso delle quantità approssimate, bisogna aver delle vere almeno quella cognizione, che basta ad assicurarci essere sprezzabili le differenze, che passano fra esse, e le prime: di più si esige di 29 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola tener d'occhio nell'andamento del calcolo ogni altra quantità piccola, che cadendo in denominatori, in esponenti negativi, altrove può coll'essere trascurata da principio produrre errori gravissimi. Su questi due ultimi punti non hanno con che soddisfarci i difensori della contraria sentenza. Ma io vado più innanzi, ed aggiungo, che significando in generale per mezzo di lettere quelle cose, che ora dicemmo non potersi mai ridurre a numero, non è nemmeno possibile trovare il modo di combinare queste lettere, onde formare le formole dell'algebra. E per verità ognuno che nelle applicazioni del calcolo astratto è per alcun poco esercitato, conosce, che prima di occuparsi dei valori, bisogna occuparsi delle forme, nelle quali soltanto sta espressa la vera natura della questione, e per le quali le quantità incognite risultano dalle cognite sempre allo stesso modo, quantunque ne' diversi casi de' problemi simili, diversissimi siano i valori numerici di queste ultime. Il filosofo, che pensa di scrivere in calcolo l'andamento di una curva già formata, ovvero di un attuale movimento della natura, non pone da principio, il pensier principale sui valori numerici delle quantità interessate in quella questione: ma sapendo di avere a trattenersi in un'altra ricerca più elevata, e recondita, si solleva a tutte le questioni d'indole simile, e si studia di trovare la forma di funzioni, che la proposta ha comuni con esse. Terminata questa prima, e più difficile parte del suo lavoro passa poi per tutt'altri mezzi alla seconda, e talvolta anche l'abbandona a chi si 30 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola occupa di grafiche costruzioni o esamina e misura i fenomeni fisici, e che trovando così i valori numerici da attribuirsi alle quantità letterali, rende utili e pratici i dettati dell'astrusa teorica. È dunque ben chiaro, che nella scrittura analitica la determinazione delle forme delle funzioni è un affare assai diverso dalla misura: se quest'ultima non può farsi nelle cose morali, non può nè manco farsi la prima: già vedemmo come l'una di queste impossibilità basta a far trionfare la nostra causa; pure vo' fare osservare, che anche l'altra vi può bastare egualmente, e questo è il nuovo argomento, sul quale, o Uranio, io domando la tua seria attenzione. Bada sulle prime, che io parlo dell'applicazione del calcolo a quelle questioni, la cui natura sussiste indipendentemente dal filosofo, che la esamina. Il vagheggiare certe proprietà degli estesi, o de' movimenti dietro alcune, previe ed arbitrarie supposizioni intorno alla loro indole, le quali agevolmente si prestano a somministrare formole ed equazioni, non è cosa di molta difficoltà. Le verità, che così si trovano, appartengono ad un mondo ideale, mentre nel nostro mondo quelle curve o quei moti non si saranno per avventura giammai verificati. Ma il prender già formata una curva od una superficie, l'osservare in natura un movimento, di cui s'ignora ogni qualità, e salire a rinvenirne l'equazione, che ne disveli l'indole nascosta; qui stà l'impresa e la fatica. Si arrivò nondimeno alcune volte a sciogliere i problemi difficilissimi di quest'ultima specie per via di mezzi, di cui farò in seguito parola: e questi 31 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola mezzi intanto hanno condotto all'intento, in quanto che hanno fatto conoscere al Geometra altre forme di funzioni più semplici, sulle quali egli potè appoggiare i fondamenti del calcolo. Il ritrovare una di queste forme più semplici, che c'introducono nell'analisi della questione, quanto è necessario per quest'analisi, è altrettanto, giova ripeterlo, difficile ad ottenersi, e vale niente meno, che la scoperta di una legge di natura. Insegnandoci la legge della gravitazione universale, Newton non ha fatto che trovare come la forza d'attrazione fra due punti materiali è espressa da una costante divisa pel quadrato della loro distanza. Le questioni morali, che interessano l'umanità, se potessero tradursi in calcolo, sarebbero paragonabili ai problemi difficilissimi, che or menzionammo, nei quali la natura delle cose non permette al matematico di nulla frammischiar d'ipotetico. Per recarne un esempio, una probabilità composta, che si esprimesse per delle probabilità semplici sotto una forma di funzione arbitrariamente supposta, ha ben poco con che interessarci, giacchè non sapremmo in qual caso essa si potrebbe verificare: ma la probabilità, con cui riguardare un fatto verisimile riferito da molti testimonii di veracità non assoluta, c'interessa assaissimo, essendo avvenimento, che tuttodì abbiamo famigliare. Questo avvenimento è un fatto, la cui indole nell'ordine delle cose morali è così pronunciata indipendentemente dall'uomo, come nell'ordine delle cose fisiche quella del moto de' pianeti. Per giungere ad esprimerla, dovrebbe il Geometra dapprima escogitare qualche altra più semplice 32 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola forma di funzione, che dicesse una legge a quella questione conveniente, e così lo introducesse nell'applicazione analitica. Or è questa un'impresa di leggier fatica? Quali mezzi ci metteranno addentro in queste astruse ricerche? Sono tali mezzi in potere dell'uomo? Potrebbero essi essere simili a quelli, coi quali studiamo l'indole dei fenomeni della natura? Questo genere di scoperte, tanto più prezioso di quello delle leggi fisiche, quanto le sue conseguenze interessano più da vicino l'umanità, è esso stato fatto dai geometri specialmente moderni? Siami lecito un qualche debole tentativo in una disamina sì rilevante. Quando io rifletto a tanto studio, a tante cautele usate dai geometri per assegnare dietro l'ispezione dei fenomeni le fisiche leggi: quando osservo quell'impegno di ridurre al minor numero possibile i principii presi fuori dell'analisi, talchè non perdonando a fatiche, ed a calcoli, credono a ragione di aver conseguito un trionfo per avere in una sola equazione scritti tutti i movimenti, e tutti gli equilibrii; penso fra me stesso, che almeno di simile difficoltà, e degna di egual impegno dovrebbe essere la ricerca di quei principii, sui quali, se fosse possibile, scrivere in analisi le questioni morali: poi mi pongo a meditare sui libri, che di queste ultime trattano, e non trovando modo di accontentare l'intelletto, mi fugge un'esclamazione. Ed è pur vero, che siano gli stessi autori, che scrissero que' primi libri, e questi secondi! Colà tanta profondità di ricerche, e qui tanta leggierezza: colà un'ammirabile armonia fra di loro, qui una pugna di opinioni, per cui la stessa questione vie33 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola ne scritta da diversi con formole diversissime: colà una costante corrispondenza de' risultamenti coi fatti, che si osservano in natura, qui spesse volte un'uscita di conseguenze ripugnanti evidentemente al buon senso. Di questa leggierezza nelle indagini, di questa pugna nelle opinioni, di questa frequente assurdità nelle conseguenze, io te scelgo, o Uranio, per giudice, anzi ogni filosofo di buona fede. Guarda, per esempio, in qual modo nel cap. XI della Teorica analitica delle probabilità si stabiliscano le formole appartenenti alla probabilità delle testimonianze. Ti pare, che tengano luogo di dimostrazione quelle espressioni: On doit faire une somme...... en la multipliant par le produit des véracités des témoins, on aura... il faut la multiplier par le produit des probabilités..... ec.? Usò egli in questo luogo, il chiarissimo Autore, un'eguale profondità di ricerche, che quando stabilì le leggi dell'attrazione capillare? In seguito confronta queste formole con quelle di un altro acuto analista il Bicquillas (Cal. des prob. Cap. VIII.), e rendimi ragione di quella discrepanza, che pure tra esse è manifesta. Finalmente per persuaderti delle molte assurdità, a cui tali formole conducono, non hai che a leggere la IV Memoria delle Rifl. crit. del Ruffini. Io insisto, e domando su questo punto tutta l'attenzione, che possono meritare le mie parole. La più forte ragione, onde mostrare l'erroneità dell'applicazione del calcolo delle probabilità alle cose morali, sta appunto nella falsità di quelle forme di funzioni, che si assumono per iscrivere le questioni. Questa falsità è di tal natura, che è facilissimo 34 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola illudersi sulla medesima: anzi essa non può a meno di fuggire alla vista di chi è poco esercitato nelle applicazioni dell'analisi. Dissi primieramente, che è facilissimo ad illudersi, perchè in ogni applicazione del calcolo nelle matematiche miste la verità di quelle forme non si conosce intuitivamente, ma per lo più è raccolta sopra un gran numero di casi particolari assoggettati ad osservazioni, e sperienze: e però come in affare di puro ragionamento è facile smarrire alcuno degli elementi in mezzo alla loro moltitudine, e così persuadersi per vera una forma, che non lo è. Non sono ignoti gli esempi di qualche legge fisica, che da principio creduta in una maniera, fu poi trovata diversa. Stettero lungo tempo circolari le orbite de' pianeti: poi si rinvennero elittiche: poi si riconobbe, che nemmeno tali possono rigorosamente dirsi in virtù delle perturbazioni, colle quali gli uni sugli altri agiscono i corpi mondani. Così avvezzo lo spirito nello stabilir quelle forme, anche dove lo può, a non correre di piè franco e sicuro; non è difficile, che dietro alcuni lassi ragionamenti si persuada qualche forma erronea nelle applicazioni alle cose morali. Dissi in seguito, che quest'errore non è riconoscibile dai meno esperti nell'analisi, perchè non arrischiandosi questi in quelle prime indagini più profonde portano tutta la loro attenzione sui calcoli pratici e numerici, e trovandoli esattissimi, si sbalordiscono sulla stranezza delle conseguenze finali. Incorso una volta per dissimulazione o per isvista l'errore il meno appariscente nella prima posizione delle formole, è rotto ogni filo per uscire dal laberinto. Si farà 35 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola pompa in séguito della più fina analisi: si useranno metodi per se stessi degnissimi d'ogni lode; e operando senza il minimo sbaglio si arriverà a risultamenti lontani assai dalla verità. L'esattezza e l'eccellenza de' metodi adoperati per via, sarà un'altra funesta circostanza, che fissando ed abbagliando l'immaginazione, sopirà o toglierà del tutto il desiderio di risalire, e con laborioso travaglio andar frugando ne' primordii del calcolo. Non si lascierà poi di mettere le forme finali nell'aspetto più vistoso, simmetrico, comodo nelle applicazioni: e allora qual sarà mai quell'occhio sì perspicace, che potrà vedervi l'errore? Se dunque di tanta importanza è l'assicurare i principii, certamente i matematici non dovrebbero mai aver finito intorno ai medesimi per cure e cautele: eppure io temo assai, che tutto diverso sia stato talvolta il loro procedere. Ti rimando, o Uranio, per non dipartire dallo stesso esempio, al cap. XI della Teorica delle probabilità, sul quale ti ho fatto qui sopra un cenno de' miei sentimenti. E qui poni mente, o mio buon amico, che per avere il diritto di negar fede ai risultamenti di quell'analisi, basta solamente il non trovare rigorosamente, e pienamente dimostrati i suoi principii: sarà tutto un di più, se potrai avere delle ragioni onde convincerti, che quei principii sono poi realmente falsi. Nondimeno relativamente alle forme di funzioni assunte per la probabilità delle testimonianze nel suddetto cap. XI, non è sì malagevole il tentare questa confutazione soprabbondante. Mi restringo (rimandando alla Memoria IV. del Ruffini) a quella, che assegna la probabilità di un 36 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola evento osservato e riferito da molti testimonii contemporanei, formando un prodotto della probabilità semplice dell'evento, e della veracità di tutti i testimonii. Questa forma palesa manifestamente la sua fallacia in alcuni casi particolari. Quando la probabilità semplice dell'evento, ovvero una delle veracità diventa l'unità, si dovrebbe avere la certezza; e nondimeno la formola dà una frazione minore dell'unità: crescendo il numero de' testimonii, che indipendentemente gli uni dagli altri concordano nell'asserzione, la probabilità deve evidentemente crescere, eppure secondo la formola diminuisce. Però in tal caso non solo la forma dei prodotti, che si assume per esprimere con quegli elementi la probabilità composta, deve dirsi non rigorosamente dimostrata, ma può francamente asserirsi falsa. Il volere sostener una forma, mentre alcuni casi la proclamano erronea, è un volere volontariamente esporsi all'inganno: è un deviare dalle regole e dal costume tenuto nelle altre parti delle matematiche miste. Se si fosse dato un solo caso ben provato, in cui la legge Newtoniana avesse condotto in contraddizione col fatto intorno a qualche punto della teorica dei pianeti, pensi tu, che quella legge sarebbe ancora regolatrice di tutti i moti celesti? Fuvvi un momento, in cui si credette dietro i calcoli di tre grandi geometri di averla colta in difetto intorno al movimento dell'apogeo lunare: l'obbiezione fu solennemente annunziata in una seduta dell'Accademia Francese, e già i Cartesiani ne trionfavano, sperando di veder crollare su tutti i punti il sistema dell'attrazione; e certamente le loro 37 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola speranze erano ragionevoli, se fosse stato vero quel mancamento; e intanto andarono a vuoto, in quanto che la rettificazione dei calcoli eliminando quell'obbiezione, la volse in cambio in novella prova. Rimane ad esaminare, se sarà mai possibile l'avere dei mezzi, onde rinvenire quelle forme finora da me combattute, che esprimano una legge in quelle questioni morali, la cui natura sussiste indipendentemente dall'uomo. Per quanto si estende la veduta del mio intelletto, parmi di poter asserire, che tali mezzi non mai si ritroveranno: sì perchè l'indole degli elementi, di cui quelle sono composte, ripugna coll'indole delle cose, ove non è quantità: sì perchè, supposta ancora, ciò ch'io non credo, la loro possibilità, non potrebbero i mezzi per ritrovarle essere confrontabili con quelli, che si adoperano per le leggi fisiche. Queste, come già accennai, si desumono da un gran numero di fatti, indovinate come per ispirazione dal genio de' grandi filosofi, i quali passano poi ad applicarle ad un grandissimo numero di altri fatti, e non le credono vere, se non dopo che una esatta ed assai lunga corrispondenza dei risultamenti dedotti dalle medesime coi fenomeni della natura abbia fatto loro acquistare quel grado di probabilità, che confina colla certezza. Fu da una immensa copia di numeri, che estrasse il Keplero le sue famose leggi del sistema mondano: fu sopra una moltitudine di esperienze, che assicurò il Galileo la primaria fra le scoperte, la legge della accelerazione dei gravi cadenti. Ora io non credo, che un simile metodo possa seguirsi per indovinare le for38 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola me da me impugnate: e perchè, come sopra vedemmo, non è mai possibile ridurle a numeri, che esprimano i loro valori ne' casi particolari: e perchè supposta anche e non concessa la possibilità di ottenere tali numeri, sarebbe, per quanto parmi, tutta discordante dalla mentovata, la natura de' confronti. Per esempio, di un fatto riferito da più testimonii, il calcolo verrebbe a dare una probabilità, espressa da una frazione, mentre in natura dovendo di necessità quel fatto essere o non essere accaduto, sarà rappresentato o dall'unità, o dallo zero: come dunque confrontare i risultamenti per verificare le formole? Mi guarderò nondimeno dal negare, che altri mezzi possano rinvenirsi, onde inviare verso il perfezionamento le nostre cognizioni intorno alle questioni morali: non saranno però questi mai gli analitici, nè sarà mai vero, che questo perfezionamento possa essere simile a quello introdotto nelle scienze fisiche. Così dicendo non parmi (secondo l'accusa del sig. Laplace, Essai, p. 134) di opporre al progresso dei lumi una forza quanto perniciosa, altrettanto inutile. Parmi anzi utile l'avvertire l'umanità di non lasciarsi ne' suoi studi traviare dietro lusinghe, che seducono il suo orgoglio, quando si crede, che siano fallaci le strade, sulle quali vuolsi impegnarla, e che camminando per esse, piuttosto nelle tenebre, che nei lumi possa essere il suo progresso. M'accorgo, mio caro Uranio, che per l'attenzione voluta dalla severità di queste ricerche ti sarà riuscita alquanto grave la lettura di questa mia lettera: ma credimi, che l'ar39 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola gomento ne era degno. Se infatti giungerai a persuaderti, com'io già lo sono da qualche tempo, della disconvenienza, e dell'inganno, che seco porta l'applicazione del calcolo alle questioni morali, a te, come già a me, non farà più alcun'impressione il contrasto di alcuni risultamenti del calcolo con certe massime sicure di ragione, e di Religione. A dì nostri, ne' quali la miscredenza cercò nelle figure, nelle cifre il modo di cingersi d'intorno una novella armatura abbagliante, e non penetrabile dai colpi della moltitudine; e in aria balda e sprezzatrice ottenne pur troppo fra i meno cauti qualche conquista: è opera di prudenza il formarsi colle precedenti generali riflessioni una difesa valente per rintuzzarla su tutti quei perigliosi punti, ov'ella si affacciasse a chiedere passaggio. Non è, che la Religione, avvezza da tanti secoli ai trionfi, abbia per se stessa a temere questi nuovi assalti della sua nemica: ma il danno, che a lei nella generalità non giungerebbe, può sgraziatamente arrivare ad alcuno di noi in particolare. Procurando quindi di consociare le precedenti avvertenze coi nostri matematici studi, potremo insieme all'amore per la nostra scienza, e alla stima ben grande, che per tanti altri riguardi si merita co' suoi illustri colleghi, il primo tra i viventi geometri francesi, conservare custodito da ogni attacco il deposito della Fede, così prezioso, e di tanta importanza, che rimpetto ad esso ogni pregio di umana scienza deve nella nostra estimativa impicciolirsi, come in un punto. Sono ec. 40 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola III. Dopo di avere colle due precedenti lettere, o mio dolcissimo Uranio, procurato di mettere in chiaro quelle avvertenze e quelle cautele, per cui lo studio delle matematiche non abbia a divenire pregiudizioso, col produrre in noi sentimenti riprovati dalla nostra santissima Religione; vorrei, se è in grado al Dator d'ogni lume, far passaggio a mostrare que' conforti, che da questo medesimo studio possiamo procurarci nella credenza, e nella condotta conforme alla nostra vocazione. So, che da taluni chiamansi le nostre scienze mute, ed infeconde di quelle voci, che parlano al cuore, di que' felici germogli, da cui sorgono opere di virtù; ed io, che venero la sagra sapienza di coloro, che ci sono maestri nelle vie dello spirito, fo' plauso volontieri a quei salutari avvertimenti, ch'essi ne danno, onde di pii esercizi frammischiamo i nostri studi per non lasciare ir lungi il pensiero da lui, che ne deve essere il primo oggetto sublime, e poter tratto tratto presentargli in ossequio l'affetto del cuore, e la sommission della mente. Nondimeno dirò che quel sapientissimo e provido consiglio, il quale ha voluto, che talora si vedessero frutti dolcissimi nati in mezzo a rami spinosi, ed acque pure e salubri sgorganti da durissime rupi, può far sì, che anche non allontanandoci dagli oggetti di nostra giornaliera applicazione, questi stessi a noi forniscano edificanti pensieri, che ci parlino utilmente dell'essere nostro, di Dio, della 41 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola Religione, e dei nostri privati e sociali doveri. Io bramerei di poter espandere l'anima mia, e a lungo trattenermi in un così soave argomento. Essendo vasto il campo da percorrersi, nè convenendo il farlo fugacemente, in una sola sua parte m'indirizzerò per questa volta: riserbandomi a migliore occasione le matematiche applicate, mi occuperò presentemente delle pure ed astratte, campo, che universalmente si crede il più sterile ed ingrato, e il meno atto ad essere irrorato da celeste rugiada. La prima e più facile riflessione, che ci somministrano queste scienze figlie dell'umano pensiero, si è sull'eccellenza del nostro spirito dotato di quella maravigliosa facoltà, che dicesi dell'astrarre, per cui egli ragiona sulle essenze delle cose spogliandole degli accidenti, che le accompagnano nei concreti, e corre sopra tutto l'esistente, ed anche sopra il possibile con generali, e rapidissime considerazioni. Quando io penso a questa facoltà d'astrazione, di cui non si è mai potuto riconoscere alcun'orma ne' bruti, mi par di veder l'uomo di gran tratto elevato su tutto ciò, dove i suoi sensi si incontrano: veggo spezzata quella fantastica catena, che fu immaginata congiungere per piccolissimi ed insensibili anelli il sasso coll'essere ragionevole; un sentimento, non so, se di compassione o di dispetto, mi sorge in cuore per quel cieco filosofismo, che non vuole veder nell'uomo, se non materia. Quando il mio spirito prende questo volo su tutto il creato, sento in lui una voce, della cui veracità non ho dubbio, la quale parmi che dica: io vi trapasso, o inferiori sostanze: conosco, che il mio es42 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola sere è di molto sul vostro più elevato: m'accorgo di quel lume del divino volto, che sopra di me è stato impresso. Quanto è mai soave una tal voce! come è possibile, che non la senta, chiunque si avvezza alle astrazioni matematiche? E in vero tre di queste astrazioni, o generalizzazioni, e le più ardite si fanno dall'analista una sull'altra per giungere nei recessi della sua scienza. La prima, quando si forma l'idea del numero astratto, che riesce sempre identico con se stesso, qualunque sia stata la quantità concreta, da cui fu tolto per mezzo della misura: la seconda, quando si crea quella quantità letterale, che può rappresentare qualunque numero: la terza, quando sopra un'indefinita moltitudine di formole composte ad une, o più variabili, si forma l'idea della funzione indeterminata. Chi professa le matematiche, ha tutto dì famigliari queste prodigiose operazioni affatto dissimili da tutte quelle, che si vedono nell'universo: egli dunque esser dovrebbe il nemico implacabile de' materialisti, il primo a predicar l'eccellenza, e l'altezza delle nature spirituali. Ma la dignità dello spirito umano rilevasi anche di più per quella forza stupenda, ch'esso trae dalle matematiche scienze. Trattar l'incognito egualmente, come il noto: formar dei criteri per discoprir l'impossibile: ragionar del fatto così bene, come di ciò, che esiste soltanto in potenza: fra innumerabili possibili assegnar l'ottimo: spingersi senza pericolo eziandio nell'infinito: queste sono meraviglie, quanto vere, altrettanto difficili a persuadersi a chi è straniero all'analisi sublime. Un essere sì elevato potrà mai 43 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola persuadersi simile a tutte quelle inerti sostanze, che il circondano nell'universo? Sarà egli un'essenza di que' fluidi sottilissimi, che pur talvolta non isfuggono al dominio de' suoi calcoli? Un tessuto di fibre, e di molle, delle quali egli giunge a determinar le tensioni, e gli elaterii? Una materia in somma, che per quanto vogliasi sublimata, se è materia, va lungi sì spesso dalle sue viste, che sin ne cade la rappresentazione e la memoria? In verità a me sembra, che un matematico materialista sia qualche cosa d'inconcepibile, e direi eziandio d'impossibile, se non sapessi altre misere contraddizioni, che talora s'incontrano nell'uomo. Che uno stupido selvaggio, od un brutal mussulmano non pregi la nobiltà del suo essere, o la sagrifichi a sordidi vizi, è cosa lacrimevole; ma che si degradi sì turpemente colui, che ha tuttodì, (per così dire) la sua anima fra le sue mani, sa di furore, e di delirio. Se le astrazioni dell'analisi possono sì bene giovare per sollevarci sopra tutto il sensibile, e persuaderci l'altezza della nostra natura, io mi inoltro e asserisco, ch'esse di più c'innalzano verso Dio, e ci parlano dell'infinità de' suoi attributi. Ella è consuetudine quasi spontanea nell'animo nostro tuttavolta, che veggiamo in molti esseri una progressione di perfezioni, l'immaginarne altri, ne' quali quelle perfezioni siano maggiori: è finalmente un ultimo, in cui esse siano nel loro massimo grado. E ciò coi giusti dettati della ragione ben s'accorda, perchè primieramente ella è certissima almeno la possibilità di un essere, il quale abbia perfezioni maggiori di un'altro, in cui queste sono limitate. 44 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola In fatti in tanto queste ultime si dicono limitate, in quanto che si conosce, che qualche cosa loro manca; e l'idea di ciò che manca, dà subito l'idea dell'essere, che non mancandone sarebbe migliore del primo; e come essendo sempre finite le perfezioni, si può sempre immaginarle mancanti, così chiaramente si comprende la possibilità dell'Essere infinito, cui nulla più manca. Ma la possibilità di un Ente infinito nelle perfezioni ne scopre a dirittura l'esistenza; perchè se esso fosse soltanto possibile, vi sarebbe forzatamente una cagione, che potrebbe produrlo, e questa cagione non potendo di necessità essere minore del suo effetto, sarebbe ella stessa ciò, che si vorrebbe dedurre da lei. Questo premesso, quanto è mai facile, o Uranio, che le nostre contemplazioni ci facciano scala a Dio! Nelle matematiche più, che in ogni altra provincia delle umane cognizioni, riesce lucida la gradazione di teorema in teorema, di scoperta in scoperta, di metodo in metodo: e si veggono tratto tratto sorgere degli ingegni straordinari, che rimuovono i confini della scienza, e tutta la corrono a passi di conquista: dunque nelle matematiche più che altrove, per ciò che si è detto, è facile argomentare l'esistenza di una Sapienza infinita, rispetto a cui ogni nostra s'impicciolisce, e si perde. Se io m'affatico su calcoli penosi per giungere dopo molti stenti a trovare una verità: tu dunque vi sei, o Mente infinita, che miri di un solo slancio ogni vero! Se m'accorgo, che un metodo è migliore dell'altro, e che tutti insieme non sono, che mezzi, per aiutar la mia 45 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola debolezza: Tu esisti, che senza aiuto indiretto possiedi l'evidenza in ogni cosa. Quando veggo una moltitudine di teoriche, che si raggruppano spesso in una più generale, risalgo col pensiero a quell'Unità semplicissima, che tiene il cumulo di tutte le cognizioni. Oh! quante volte nella complicazione delle funzioni analitiche incluse le une nelle altre, io mi formo nell'immaginazione una speculazione indefinita, di cui non posso tenermi, che nei principii! Chi tutto vedrà quest'immenso edificio, se non una intelligenza interminata? Quante volte m'accorgo dell'infermità del mio spirito, che per aver idee chiare delle cose bisogna, che consideri le quantità parte per parte nei loro diversi stati sino ai valori numerici! Te dunque venero, o sommo intelletto, la cui scienza è tutta presente a se stessa senza la minima confusione. E quelle immagini false, delle quali, non ostante il grido della ragione, vuole a forza la fantasia aggravare le idee delle cose spirituali? Esse mi parlano della semplicità dell'Essere sapientissimo. E quelle idee fantastiche di tempo e di moto, che io conosco straniere all'analisi pura, ma che pur sovente non so da lei dissipare? sono cagione ch'io pensi a Lui, che è senza tempo e successione, perchè eterno ed immenso. E quel bisogno continuo di richiamare le acquistate cognizioni, per non perderne la ricordanza? Mi umilia davanti a Dio, che è immutabile e onnisciente. Così nello studio l'anima s'erge al suo fattore: e questi sentimenti vengono senza sforzo, come è facile provare per via d'esempi; tra i quali mi giovano i seguenti del Ga46 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola lileo. Alla fine della giornata prima del troppo celebre dialogo "il modo, col quale Iddio conosce le infinite proposizioni, delle quali noi conosciamo alcune poche, è sommamente più eccellente del nostro: il quale procede con discorsi, e con passaggi di conclusione in conclusione; dove il suo è di un semplice intuito; e dove noi per esempio per guadagnar la scienza di alcune passioni del cerchio, che ne ha infinite, cominciando da una delle più semplici, e quella pigliando per sua definizione, passiamo con discorso ad un altra, e da questa alla terza e poi alla quarta ec.: l'intelletto divino colla semplice apprensione della sua essenza comprende senza temporaneo discorso tutta la infinità di quelle passioni". E poco dopo: "Or questi passaggi, che l'intelletto nostro fa con tempo, e con moto di passo in passo, l'intelletto divino a guisa di luce trascorre in un istante, che è lo stesso, che dire: gli ha sempre tutti presenti. Concludo pertanto, l'intender nostro, e quanto al modo, e quanto alla moltitudine delle cose intese, esser d'infinito intervallo superato dal divino; ma non però l'avvilisco tanto, ch'io lo reputi assolutamente nullo: anzi quando io vo considerando quante, e quanto maravigliose cose hanno intese, investigate, ed operate gli uomini, pur troppo chiaramente conosco io, e intendo, esser la mente umana opera di Dio, e delle più eccellenti". E quell'altro nobilissimo passo alla fine della giornata quarta e di tutta l'opera: "Vaglia dunque l'esercizio permessoci, e ordinatoci da Dio per riconoscere, e tanto maggiormente ammirare la grandezza sua, quanto meno ci troviamo idonei a pene47 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola trare i profondi abissi della sua infinita sapienza". Anzi, non solo, come questi esempii e molti altri provar lo possono, il nostro spirito ne' nostri studi s'innalza talvolta a Dio senza fatica: ma a lui si dirige, e lo trova quasi forzatamente. Eccone un esempio nel Laplace, che nel mentre (Saggio filosofico sulle prob. pag. 4.) va traviando nell'immaginare una formola, in cui siano contenuti tutti i movimenti della natura; vede a traverso delle sue ipotesi quella sublime intelligenza, che conosce tutte le forze, da cui la natura è animata, e alla quale nulla v'è di incerto, essendo l'avvenire come il passato presente a' suoi occhi; e conchiude parlando dello spirito umano "tous ses efforts dans la rechérche de la véritè tendent á le rapprocher sans cesse de l'intelligence, que nous venons de concevoir, mais dont il restera toujours infiniment éloigné". Che se le matematiche possono di tal maniera innalzar l'anima, saranno poi esse affatto mute di quella favella, che penetra il cuore? Io nol so, ma mi sembra, che contemplando tanta pompa di perfezioni nell'Essere supremo, e poi discendendo al mio essere, di cui ravviso ogni prerogativa, come da quel primo tutto derivata, i miei affetti non rimangono addormentati; sento, che li scuote quella voce medesima, che prima ha destati i miei pensieri. Si sveglia un'altissima ammirazione, perchè l'Ente in se beatissimo abbia voluto far di nulla una creatura, ed arricchirla di nobilissime doti: sorge in appresso la gratitudine per beneficio sì segnalato, e l'amore mette l'ali verso quel centro d'ogni bene, che quantunque infinito è pur quel solo, 48 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola che basta ad appagar le sue brame. La mente, ed il cuore mantengono fra loro una mutua intelligenza: mentre quella scopre l'Essere sapientissimo, e onnipotente, questo il desidera amabilissimo, e pietoso; e allora subito ripiglia la prima, che l'Essere infinito debba esser tale egualmente in tutte le perfezioni, sì che se è infinita la sua sapienza, infinita è pure la sua bontà. Ed ecco una felice disposizione per conforto di quella Fede, senza di cui ogn'altra credenza intorno alla Divinità non ci gioverebbe a salute: intendo la fede sui misteri della Redenzione. Giacchè un'anima credente compresa dell'idea d'un Dio infinitamente buono, non troverà soggetto di scandalo, ma piuttosto maraviglie ineffabili d'amore nelle umiliazioni incomprensibili, cui volle soggettarsi il Divin Verbo per oprar il nostro riscatto. Potendo così per la cognizione dell'uomo, e per la cognizione di Dio rendersi utili le nostre scienze, nemmeno taciturne del tutto resteranno su quelle relazioni, che passano fra l'uomo e Dio, e l'uomo e l'uomo. Per dir delle prime, io ben so, che la Religione è un dono celeste, che vien concesso al dotto ed all'idiota, e che sovente rende quest'ultimo più caro agli occhi di Dio, che non il primo: ben so, che alcuni ingegni prevaricati, invece di usar la loro ragione per correre la via del raziocinio in tutela di quella fede, che ci viene infusa dalla grazia soprannaturale, e proveniente, ne abusarono deplorabilmente per farle oltraggio; ciò non ostante io son d'avviso, che un matematico, in cui la Religione è già fondata, può talvolta dalle sue 49 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola cognizioni trar dei conforti per corroborarsi in quella credenza, ch'egli professerebbe anche senza questi estranei aiuti, giusta il detto del santo dottore d'Ippona: quaero, Domine, non intelligere ut credam, sed credo ut intelligam. A far qualche cenno in prova di quest'ultima asserzione, io ti richiamo, o Uranio, alla mente le nostre idee intorno all'infinito. "L'unità (dice Pascal, Pensieri cap. VII.) aggiunta all'infinito, non l'accresce di nulla, non più che un piede ad una misura infinita; il finito s'annichila in presenza dell'infinito, e diviene un puro nulla: così pure il nostro spirito al cospetto di Dio: così la nostra giustizia davanti alla Divina". Quest'idea è famigliare al matematico: per addurne fra cento un esempio quando considera la parabola, come un elisse, il cui asse maggiore è divenuto infinito, egli nell'equazione della curva trascura francamente il quadrato dell'ascissa rimpetto al termine, che contiene quest'asse. Una siffatta idea se venga a trovar sede nell'anima, oh come è atta a guardarci dal fascino delle creature, dall'incanto di tutte le cose sensibili! svanisce ogni finito benchè grande rimpetto all'infinito: tosto che io abbia occupata la mente del pensiero dell'eternità, che cosa è più l'intera mia vita, e tutta la successione de' tempi? Mi sfuggono: io nulla vedo: conosco, che il primo uomo, che per morte entrò in quell'infinito, che ci attende al di là del sepolcro, e l'ultimo che vi entrerà, si giudicheranno in quanto al futuro nella stessa condizione, quantunque il primo vi abbia già avuto più del secondo una dimora tanto lunga, 50 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola quanto tutta la durazion delle cose. Svanisce ogni finito rimpetto all'infinito: oh Dio! come si restringe in un punto ogni grandezza umana, ogni bene terreno, ogni peso di umana sapienza! Le gare de' principi, gli studi de' letterati, le occupazioni che tanto affaccendano i mortali, mi sembrano paragonabili ai trastulli dell'infanzia, e immeritevoli di mia attenzione. Io sono destinato per questo infinito, come me ne convince, dopo tante altre ragioni, l'idea stessa, ch'io me ne formo sentendomene capace, e quella progressione indefinita nei successivi gradi di perfettibilità del mio essere, a cui idoneo mi trovo per progresso di cognizione in cognizione, che nella mia scienza, più che altrove, mi si rende manifesto; dunque una felicità eterna è un bene al quale non è presunzione aspirare: una disgrazia eterna è un male sì spaventoso ed orrendo, che il solo pensiero fa fremere, e opprime l'intendimento. Nella vivacità di queste riflessioni quali stimoli ad operare, e vivere rettamente! Svanisce il finito rimpetto all'infinito: se pertanto io mi ritrovo d'aver alcune cognizioni più di colui, che conduce sul campo l'aratro, potrei io mai insuperbirmi, o disprezzar quel mio simile, quasi fosse un automa? quando tutta la mia scienza si perde, più che una gocciola nell'oceano, rimpetto a ciò che ambedue insieme ignoriamo? Svanisce il finito rimpetto all'infinito; dunque le virtù dirette ad onorare l'Essere infinito, i vizi, che tendono ad oltraggiarlo, avranno premi e pene, che non possono essere finiti, perchè se tali fossero, sarebbero come nulli; così l'eternità 51 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola applicata a questi premi, e a queste pene, non è già un dogma, che sconvolge la mia ragione, ma che è conforme a' suoi dettati . Svanisce il finito rimpetto all'infinito: se dunque mi abbandona la mia ragione quando m'affisso ne' misteri adorabili della Rivelazione, ella è cosa ben giusta e conveniente, distando per natura la mia mente infinitamente dalla Divina. E qui caduto essendo il discorso sopra i misteri, se io non mi riconoscessi affatto indegno di portar le mie parole in argomenti così elevati, dove appena s'arrischiano d'aprir labbro i più consumati Teologi, vorrei dirti, o Uranio, di passaggio, che una mente avvezza alle forti astrazioni dovrebbe più dell'altre essere facile a persuadersi, che non mai in contraddizione colla ragione possono essere anche le più incomprensibili verità rivelate. Troppo le idee di tempo, e di spazio, ovvero di successione, e di estensione, sono a noi famigliari, perchè indivisibili da tutto ciò, che ad ogni momento cade sotto ai nostri sensi: ora è appunto il non togliere queste idee, quando alziamo la mente a certi altissimi misteri, sui quali tu già mi previeni, che fassi cagione di que' torbidi, e di quelle inquietudini, ond'è sgombra la più sicura, ed invidiabil fede del semplice, e del fanciullo. Ma se alcuno (ed è veramente possibile) arriva a convincersi, che può darsi un modo d'esistere indipendente dalla successione, e dall'estensione, questi esser deve il Geometra, il quale calcola il tempo, e lo spazio sotto espressioni indeterminate, e si forma un costume di guardar colla stessa indifferenza i brevi intervalli, ed i lun52 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola ghissimi. Quegli astronomi che colla medesima facilità tengono di mira il lentissimo moto dell'asse terrestre, e l'inconcepibile rapidità della luce, discutendo quivi un periodo di ventisei mila anni, quinci le frazioni piccolissime di minuto secondo, ben mostrano di aver sollevata la nozione del tempo, che il volgo non giunge a distaccare dalle sue particolari misure. Boscovich, che dicea di poter intendere tutta la materia del mondo ridotta nello spazio di un atomo, e Leibnitz, che in vece dentro alcuni atomi poneva altrettanti mondi, ben eran giunti a dominare sull'idea degli spazi. Circa ad altre maniere, colle quali, per via di allusioni e di confronti tolti nelle nostre scienze può essere favoreggiata la fede de' sagrosanti misteri, io non credo di poter far meglio, che rimandarti, o Uranio, alla lettura dei primi due capitoli di un'appendice posta ad un'opera sulla verità della Religione Cristiana del P. Bartolommeo Ferrari, nome chiaro, e del quale la Religione, e le matematiche possono compiacersi concordemente. Un altro modo di essere utile alla Religione consiste nel difenderla da qualche obbiezione de' suoi nemici: or eccone una, che potrà servire a sollevarci alquanto dalla severità della precedente meditazione. Come mai, disse l'incredulo, da due soli progenitori in sì breve tempo tanto popolo ne venne da formar le nazioni? Come mai furono queste sì tosto dopo il diluvio riparate da sei sole persone? E sì pochi animali salvati nell'arca hanno potuto ricoprir di nuovo la terra? E le piante e l'erbe ed i fiori, di cui le sementi furono nelle acque disperse e disfatte, come ricom53 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola parvero a vestir la collina? Egli certamente spaccia, siccome gran senno, cotali inchieste, o le accompagna di quel malizioso sogghigno, che è la sua arma più poderosa, ed oltre il quale non passa per ordinario la forza de' suoi raziocini. Ma questa volta assai male gli sta, chè su lui lo ritorce un Geometra illustre: maxime ridiculae (dice Eulero: Intr. in anal. inf. T. I. Cap. VI. tit. 110) maxime ridiculae sunt eorum incredulorum hominum obiectiones, qui negant tam brevi temporis spatio ab uno homine universam terram, incolis impleri potuisse. E infatti basta un assai facile calcolo a provare (vedi Gregorio Fontana Add. XVII. all'istoria delle mat. del Bossut), che supponendo duplicarsi da ogni vent'anni la stirpe umana, Adamo verso l'anno 500 della sua vita ha potuto vedere una posterità di 1048576 persone. La moltiplicazione degli animali, se non trovasse ostacoli nella difficoltà della sussistenza, nella distruzione, che gli uni procurano agli altri, e nel servizio dell'uomo, diverrebbe cotanto grande, che ricoprirebbe tutta la superficie terrestre. Un'aringa sola (vedi luogo citato) in breve tempo riempirebbe l'oceano: anzi facendo un'ipotesi sulla fecondità di lei, che è conforme alla natura, può provarsi, che in otto anni la sua discendenza occuperebbe uno spazio maggiore di quello corrispondente a tutto il globo terraqueo. Certe specie di piante danno tanti semi, che se tutti fruttificassero, una sola di esse riempirebbe in quattro anni tutta la superficie terrestre. Queste conseguenze sembrano molto strane, ma discendono da calcoli esatti, come puoi tutte, o Uranio, verificarle presso 54 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola il citato autore. Dopo tutto questo, qual porti giudizio sul peso di quell'obbiezione degli increduli? Vengo a più serio argomento, nel quale può trarsi dalle matematiche in favor della religione un appoggio non dispregievole, secondo ne pensò anche il Leibnitz, come appare dal principio della lettera 88 del suo commercio epistolare. La Provvidenza, quell'attributo sì adorabile della Divinità, che trovar dovrebbe gratitudine in ogni cuore, benedizione sopra ogni lingua, trova invece chi talvolta ne bestemmia a motivo dei mali, ch'ella permette nel mondo. Dall'antico Manicheo sino al moderno Deista la vista di questi mali divenne per colpa dell'uomo uno scandalo fatale; ed esso presumendo di assegnarne l'origine, cadde prima nella eresia, poi nella totale miscredenza. Se Dio è infinito nella sapienza e nella bontà, perchè mai nella fabbrica dell'universo frammischiò colle cose utili, e belle le deformi, e nocive? Perchè mai nascose il serpe fra i fiori? e pasce la tigre nella foresta? Perchè pose il cardo, e la cicuta vicino al frumento, e al cinamomo? Perchè mai permette, che desolata dalle grandini, sconvolta da' terremoti, ammorbata dalle pestilenze, e da tant'altri flagelli oppressa sia quella terra, che Egli assegnò per abitazione alla sua prediletta creatura? Se Dio è saggio e giusto, perchè lascia talvolta l'iniquo assiso sopra il carro dorato, e il buono stramazzato nella polvere? Perchè toglie talvolta le forze del corpo a chi è tutto cuore per beneficare i suoi simili, e le concede a chi ne usa in violenze, e in assassinii? Ecco le querele degli irriverenti mortali; ecco presso a poco 55 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola quelle domande, onde il patriarca degli increduli pirronisti nel dizionario istorico-critico fece imbaldanzire la cieca incredulità. O uomo, che sei un punto sulla terra, la quale è pure quasi un punto nell'universo: tu la cui mente nel novero delle intelligenze create, e in mezzo a' tuoi simili appena si scorge: la cui vita presente rispetto a tutta la serie de' tempi, e più rispetto all'eternità si perde di vista; chi sei tu, che osi investigar le vie della Sapienza infinita? Egli è certissimo, che molti di quelli, che noi chiamiamo mali, sono realmente beni: che noi ne giudichiamo con idee fallaci, e menzognere, perchè le nostre basse vedute non si ergono a fini più eccelsi: tra quali debbonsi questi noverare, che nelle traversie della vita la Provvidenza esercita, ed affina le virtù, e fornisce un forte argomento per credere i premi, e le pene della vita futura. Il Cardinale di Polignac nel suo Antilucrezio pone in nobilissimi versi una bella similitudine di chi fa oltraggio alla Provvidenza a motivo dei mali, ch'egli crede di scorgere nel mondo, con chi giudica spregievoli, e mostruose alcune figure disegnate da un fisico sopra una tavola con arte finissima, e singolare. Quest'ultimo apparentemente ha ragione; chè in fatti sono sì strane quelle forme, e così fuori d'ogni ordine conosciuto le loro parti, e i loro colori, che ognuno le direbbe produzion bizzarra del caso: eppure se tu vi poni un lucido cono nel mezzo, ed alla sua punta dirigi la tua pupilla, ecco da quel punto di vista con gran sorpresa que' mostri cangiati in bellissimi aspetti di esattissime proporzioni. 56 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola Ma sia pure, che diansi de' mali nel mondo: sarà quindi ragionevole prender motivo di accusare la sapienza, l'onnipotenza, la bontà, la giustizia divina? tutt'altrimenti: secondo la dottrina luminosa, e vincitrice del santo dottor d'Aquino, dai mali esistenti può trarsi una prova apologetica della divina Provvidenza: ed è appunto questa dottrina, ch'io dico doversi assai chiaramente comprendere da quel Geometra, che si erudì nelle belle teoriche analitiche intorno ai massimi, e ai minimi. Per farmi strada a ben trattare l'argomento, fingiamo, che taluno di quegli uomini or or menzionati orgogliosi e censori, si faccia a visitare nell'atto del suo esercizio una macchina complicatissima costrutta da peritissimo artefice. Costui dopo molto esaminare dica all'abile meccanico: guarda, amico, quella girella va assai lenta, quel vette quasi per nulla si muove: perchè sì massiccia la mole di quel cilindro? perchè quel contrappeso, che ritarda il movimento? se tu sei così sapiente, dovevi dare un moto prestissimo al vette e alla girella, render leggiere tutte le parti, e far sì, che ciascuna di esse somministrasse il massimo effetto per lei possibile. Perdona, risponderà tosto l'artefice saggio: se io avessi data a tutte le parti tale disposizione, che ciascuna producesse per se il massimo effetto, credi tu, che massimo sarebbe risultato l'effetto totale della macchina? Vai grandemente ingannato: quest'effetto totale è stato il principale mio scopo, e per renderlo massimo bisognava, che fosse tarda la girella, immobile il vette, e che anche qualche moto parzialmente si eseguisce contrario a quello, ch'io voglio nell'ultimo ri57 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola sultamento ottenere: se a me non credi, interroga quel geometra, che sottopone a calcolo gli effetti delle macchine, ed esprime per mezzo di formole i movimenti. Viene questo geometra, e palesemente asserisce, che il meccanico ha ragione: quindi generalmente dichiara, che avendo una formola complicata composta di tante parti, che sono ciascuna funzione, di molte variabili, i valori di queste variabili, che portano al massimo la funzione totale, non sono ordinariamente quelli che inducono il massimo nelle singole funzioni parziali; chè anzi possono portare in queste ultime valori dal massimo ben distanti, ed anche nulli, ed anche negativi. Ciò ben inteso, facciamone l'applicazione. Egli è indubitato, che nel gran sistema dell'universo ciascuno di noi non ne ha sotto gli occhi, che piccolissime parti: se in queste parti non ci pare di scorgere tutta la perfezione, di cui le crediamo capaci: se vediamo dei mali produrre un effetto contrario a quello da noi desiderato, dobbiamo persuaderci, che questa particolare disposizione porterà poi la massima perfezione in quel gran tutto, che sta sotto gli occhi della Mente Infinita. Noi vorremmo veder tanti massimi nelle parti, e non pensiamo, che se questi fossero, non avrebbe luogo il massimo nel gran complesso: quale riflessione più idonea per sedare le nostre inquietudini? Il male non essendo, che una privazione del bene, s'introduce, come s'introducono talvolta valori negativi nelle parti di quella formola totale, che si fa massima: però la sua esistenza non è ingiuriosa all'Essere Perfettissimo, nè fa bisogno del principio cattivo de' Manichei per 58 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola ispiegarne l'origine. Questa è in breve la dottrina di S. Tommaso accompagnata dalle nostre similitudini matematiche: ecco le principali parole del Filosofo angelico (Lib. III. Cont. Gent. Cap. 71.): "Bonum totius praeeminet bono partis... si malum a quibusdam partibus universi subtraheretur, multum deperiret perfectionis universi, cujus pulcritudo ex ordinata bonorum, et malorum adunatione consurgit, dum mala ex bonis deficientibus proveniunt... Non igitur per Divinam Providentiam debuit malum a rebus excludi". Io potrei su di altri punti cercare tra le matematiche, e la Religione un nodo di amistà e di concordia: e ben dolce mi sarebbe, e avrei speranza di non tentare affatto invano l'arringo; ma un altro stadio a percorrer mi resta, e lo farò velocissimamente volgendo un pensiero alle nostre scienze, e insieme alle nostre relazioni colla società. E in prima sarà egli facile, che lo spirito dell'applicato Geometra si lasci svolgere da quella vertigine, che vi schianta i principii morali, e sociali piantati da una religiosa educazione? Sarà egli facile, che rompa la quiete delle sue meditazioni per gettarsi in quelle tenebrose ragunate, dove si van macchinando corone alla plebe, e catene ai regnanti? No: che chi ha preso diletto a spaziare nel mondo intellettuale, dove tutto è pace e soavità, ed anche tra le maraviglie del mondo fisico, dove ogni cosa sotto il più esatto ed immutabile magistero ubbidisce alle sapientissime leggi del Creatore, dovrebbe sentire orrore per quelle dottrine, che predicano la sovversione, ed amano suonare dalle bigon59 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola cie in mezzo al trambusto di un popolo, che corre alle violenze ed alle rapine: quelle, che promettono dovizie e libertà, e invece conducono l'empietà a gavazzar nel sangue cittadino. Nè già, che dalle nostre scienze represso venga quel nobile affetto, che carità di patria si appella, o tolto lo stimolo alle magnanime imprese. Il frastuono d'una città presa d'assalto non giunge a staccar Archimede dalla considerazione di alcune figure geometriche: ma quella scienza, che allora il tenne immobile fin sotto il colpo mortale, era quella stessa, che avealo reso nella sua patria il nemico più formidabile de' Romani. E sopra altri punti della morale filosofia alla società risguardanti, quali esser dovrebbero le massime del Geometra pensatore? Non già per certo quelle di lui, che cercò nelle selve lo stato naturale dell'uomo. Il matematico, che ritrova la sua scienza formata dalla connessione, e dalla corrispondenza di tanti dotti ragunati come in una sola famiglia, ad onta delle diverse età, e delle diverse regioni, in cui vissero: egli, che trova così prezioso il conversare co' suoi simili, che per l'istruzione, che ne riceve, impara spesso in pochi momenti ciò, che fu il frutto della meditazione di alcuni secoli: egli, che sente un desiderio vivissimo di espandere in altri le sue cognizioni, e talvolta si fa grata illusione col suffragio delle future generazioni; conoscerà ben chiaramente, ch'egli è per natura destinato a vivere nella società: ove più, che di piaceri sensibili, può fare acquisto di piaceri intellettuali tanto ai primi superiori, quanto lo spirito è da più della materia. E rispetto ai diritti, crederà egli di vedere l'origine 60 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola nella forza, riguardando il potente qual suo oppressore, il debole come sua preda? no: ch'egli è avvezzo a stimar l'uomo per la sua parte migliore, per quella, che il fa degno di conoscere la verità, d'indagarla, e di convincerne gli altri. Perciò egli non disprezzerà il poverello per la rozza lana, che appena il copre; nè s'inchinerà al ricco per la porpora, di cui fiammeggia, ma cercherà più addentro l'origine del vero merito: e dove non potrà rispettare l'attual pregio del sapere, rispetterà almeno la potenza per acquistarlo. Io so, che un ente ideale illude presentemente la mia immaginazione: ma se egli non diventa reale, ed esistente, ciò è colpa delle umane passioni, che giungono a depravarne l'indole, e a svanirne i lineamenti. Gettiamo finalmente un rapido sguardo sopra l'uomo considerato in se stesso. Egli è ben certo, che una porzione delle interne amarezze, e de' continui disgusti viene da quegli oziosi pensieri, che investono una mente non occupata, e fanno ch'essa si formi da se medesima il proprio tormento. Allora le piccole negligenze in altri diventano falli enormi: le azioni più indifferenti compaiono di malizia ripiene: la gelosia quasi verme rode, e consuma la vita, e l'uomo è noioso a se stesso, e insoffribile ai suoi simili. Altre passioni alzano mille torbidi, che annuvolano la sorte più serena: e chi è mai sì avventurato da potersi almeno in parte sottrarre a tali molestie? Egli è colui che interchiude l'adito agli importuni pensieri: e tale può essere, chi nelle nostre scienze tiene applicato lo spirito; essendo esse, più delle altre discipline, molto proprie ad ottener 61 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola questo scopo. Platone sorride nel vedersi trattato da' remiganti come uno de' loro compagni: e Newton per amor della pace, si ritira perfino dalla scientifica palestra. Ho qui poste queste sole riflessioni, perchè si è altrove indicato quel perfezionamento, che dalle scienze esatte deriva alle forze del pensiero, e del ragionamento, e a quel aggiustato sistema di vita, che è frutto del ben sentire, e dell'attento considerare. Eccoti, o Uranio, il matematico, che nelle sue stesse scienze può trovare una voce amica della Religione, una voce amica dell'ordine sociale, una voce amica del suo proprio ben essere. E sì che finora ci siamo limitati alle sole matematiche astratte, e non abbiamo ancora aperto il gran libro della natura, dove l'apologia della Divina Onnipotenza, e della Sapienza Infinita si ritrova ad ogni tratto ne' caratteri più luminosi. Tenteremo altra volta quest'ardua impresa: e se ci sarà dato di leggervi alla sfuggita la più piccola delle maraviglie, che contiene, finirai allora di persuaderti, o mio buon amico, che le nostre scienze non sono poi affatto mute, e infeconde nel senso, che da taluni si crede. 62 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola IV. La filosofia, dice Galileo (nel Saggiatore), è scritta nel gran libro dell'universo, e i caratteri, con cui vi è scritta, sono le figure, e le cifre matematiche. Noi dunque, o caro Uranio, che abbiamo appreso a leggere questi caratteri, dovremmo alcuna cosa intendere in questo libro, ed impararvi ad essere filosofi. Ma ohimè! che alcuni esperti in tale linguaggio diedero molti anni a questa lettura, e nello stesso tempo si mostrano seguaci o professori di una filosofia tutta malvagia e bugiarda. Sarebbe egli mai, che una tale filosofia fosse scritta nella natura? no per fermo, o mio amico; altri ingegni maggiori vi lessero altrimenti: e quanto a quelli, accadde sì miserando scambio della verità colla menzogna per una colpa loro propria, di cui nella mia prima lettera ti ho accennate le ree cagioni. Queste lasciano vedere alcune parti di quel libro, ove si viene ad erudirsi intorno alle opere naturali; ma nello stesso tempo tengono chiuse alcune altre parti, dove s'impara a ben conoscerne il Sommo Artefice. Così riuscendo imperfetto quello studio, vuolsi poi che la parte mancante venga supplita dall'orgoglio, che fabbrica i sistemi e moltiplica gli errori. Affinchè possiamo metterci in guardia per non incorrere noi stessi in tanta sventura, procuriamo questa volta di rilevare alcuni tratti fra quelli, sui quali s'accecò più d'una mente prontissima ad altre vedute, leggendo qualche dettato di una filosofia veramente scritta nella natura, che 63 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola lungi dall'inspirarci quella presunzione, che facendosi scrutatrice della maestà viene oppressa dalla gloria, ci fa invece sclamare dal fondo dell'animo umiliato, e compunto: oh altezza! oh dovizie della sapienza e della scienza di Dio! Qualora però senza propormi un ordine e restringermi fra certi limiti io mi avventurassi nel divisato argomento, imiterei l'ardire di quel nocchiero, che su piccolo e sdruscito legno affronta un pelago interminabile. Dovendo liberar la fede della già fatta promessa, io stetti lungo tempo in forse non sapendo come evitare tanti pericoli di smarrirmi, e insieme dire almeno quel tanto, che valga a confortar di qualche prova l'assunto. Ma in buon punto mi sovvenne di considerare successivamente le diverse parti della creazione, tenendo quelle stesse tracce che già serbar volle l'Onnipotente nell'eseguirla. A questo fine lascio da parte i folleggiamenti, e le macchinazioni di que' falsi saggi, che s'attentarono di sostituire al Divino Consiglio le viste della orgogliosa e debole loro sapienza: prendo il primo capitolo del Genesi per meditarvi le parole dell'inspirato scrittore, e m'attengo strettamente a quella narrazione, che ad una mirabile semplicità unisce tratti sublimi e inimitabili. Di mano in mano che l'opera dell'Universo si presenta alle mie considerazioni, sentendo io un desiderio di scorgere alquanto più in là del dove giunge la possa dell'uomo semplice e rozzo, cerco rischiararmi di una facella accesa al lume delle scienze matematiche: ma nello stesso tempo tengo ben ferma persuasione, che quanto tut64 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola tavia si sottrae alla mia veduta è un abisso senza fondo, dove o più presto o più tardi si perde ogni umano intelletto. La storia di Mosè intorno alla creazione del mondo, sparsa di qualche osservazione corrispondente al disegno di queste lettere, ecco in breve il tentativo per questo quarto trattenimento. Avverto poi, che il migliore di tutte le seguenti riflessioni si troverà cavato dalle opere di Newton, delle quali io farò copiose citazioni, che ho scelte appostatamente a preferenza di ogni altra, onde mostrare come era sottomesso l'intelletto del più grande de' filosofi che abbiano studiata la natura: e come possa trovare con che arrossire alcuno di coloro, i quali ostentano incredulità per guadagnare opinione di bello spirito, confrontandosi un momento (se il suo amor proprio glielo permette) col grand'uomo, che ci ha svelato il magistero de' cieli. Comincia il sacro storico il suo racconto col descriverci la materia creata in quello stato imperfetto, in cui le mancava ogni regolarità di forma e di disposizione, e nel quale essendovi i principii delle cose non poteva però dirsi fatta alcuna cosa, in quella guisa che non può dirsi esistente nel marmo la statua, prima che l'industre scalpello non ne la tragga. A che fine lasciò Dio il mondo per qualche tempo come un rude ammasso di elementi inerti e confusi? sembra ch'Ei fatto l'abbia per distruggere anche prima che fossero i sistemi fabbricati da que' filosofi, i quali non domandano se non materia e movimento, e s'impegnano a produrci l'universo tale come noi l'ammiriamo. Sì, o mio Urano, anche sopra l'indigesta mole del caos sta scritta 65 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola una sentenza di sana filosofia. Di qui nulla emerge di per sè: qui durerà sempre la confusione, se la voce di Dio, che tutto ciò trasse dal nulla, non impera, che l'ordine apparisca. Tratteniamoci alquanto in questa idea, e riflettiamo che ivi stavano disfatte tutte le parti, con che doveano essere formati tutti gli astri del firmamento; ma che senza il comando di Dio non avrebbe brillato alcuno di essi in sempiterno: che ivi trovavansi tutti i principii, dalla cui concordia o contrarietà risulta tanta bellezza sulla nostra terra; ma che senza il comando di Dio questa sarebbe rimasta sempre informe e vuota. Sì, quella gran massa coperta di acque ed interrotta d'abissi ci avverte, che fa un abuso del suo spirito chi non vuole riconoscere necessario, che la divina mano metta un ordine a ciò, che la divina mano ha creato. Se alcuno si adonta di questo linguaggio, io non temo di dirgli anche più chiaramente, che la sua alterigia non solo offende la Religione, ma è indegna della filosofia. Così la sentiva il principe de' filosofi, del quale sono le seguenti memorande parole, che qualche moderno avrebbe pur bisogno di meditare: "Decuit Eum, qui res omnes creavit, easdem disponere quoque et in ordinem collocare. Quae si vera rerum origo fuit, jam indignum erit philosopho alias mundi condendi rationes exquirere, vel comminisci quemadmodum e Chao per meras leges naturae mundus universus oriri potuerit" (Newton Opt. L. III. Quae. XXXI.)1 1 Per le citazioni di quest'opera scritta originariamente in inglese mi servo della versione latina di Samuele Clarke, la quale, come è noto, è stata eseguita sotto gli occhi dell'autore e da lui approvata. 66 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola La voce dell'Onnipotente intima di quel tenore, che solo può convenire alla Divinità: sia fatta la luce: e la luce fu fatta. Un'opera sì meravigliosa è già formata; eppure non è ancora creata quella pupilla, che deve goderne l'aspetto. Sembra che il Divin Facitore abbia così prevenute le obbiezioni di que' filosofi, che impugnando con troppa forza il principio delle cause finali ricusano di riconoscere nella natura una preordinazione di mezzi al conseguimento di un fine. La luce fu fatta prima dell'occhio, e così si potè riconoscere, che allorquando la Sapienza Divina si propose di formare l'organo della visione, ne diresse la costruzione secondo le leggi, cui Ella stessa sottopose quel fluido ammirabile: "Fieri ne potuit, domanda Newton, ut oculus sine scientia optices fuerit constructus?" (Op. Q. XXVIII). Che cosa è la luce? la diremo noi, o Uranio, la più bella fra le creature inanimate? sì certamente, se per lei sola vien dipinta ogni bellezza sulla faccia del creato. Ma questa bellezza ci parla di Dio: "unde orta est, domanda di nuovo Newton, eximia mundi species et pulchritudo?" (Op. ivi). Veder la luce cogli occhi e non veder Dio collo spirito, egli è mai questo possibile? se la consideriamo un po' più in là che colle prime notizie dei sensi, un miracolo di sapienza si manifesta alla nostra mente. Sai tu, io vorrei dire ad un ateista, con quali leggi si muove questo fluido, quando si riflette dalle superficie de' corpi, e viene al tuo occhio? quando si rinfrange fra gli umori del medesimo, e va a pingere l'immagine sopra il suo fondo? Sono leggi recondite, che contengono una ragione di massimo e di mi67 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola nimo trovata da que' geometri, che sottoposero i fenomeni della riflessione e della rifrazione ai loro calcoli astrusi. Qui la necessità di una intelligenza è tanto palese, quanto per ogni fatto la necessità di una ragione sufficiente. Forse l'incredulo ignora l'esistenza di queste leggi; ma la sua stessa ignoranza può addottrinarlo, che se esse superano le di lui cognizioni, sarebbe un tanto maggior delirio il crederle nate per se medesime in mezzo ad una stupida materia d'atomi, che si accozzano, o di polvere che va roteando nei vortici. "Omnis, siegue Newton, in hac philosophiâ factus progressus certe propius propiusque nos ad caussae primae cognitionem perpetuo adducit, eaquae re permagni est existimandus." Della quale sentenza noi sentiamo tutta la verità, se riflettiamo a que' stupendi ottici strumenti, alcuni de' quali portano i nostri sguardi ne' remotissimi spazi; altri li fissano sopra gli atomi, de' quali ingrandiscono prodigiosamente i volumi apparenti, scoprendoci un ordine affatto nuovo di cose; e gli uni e gli altri ci estendono di tal guisa l'aspetto del creato, che la nostra immaginazione si stanca ed esaurisce le sue forze. È allora, che la nostra mente forma una grande idea dell'Onnipotenza, e dice con Newton: "concedendum est utique posse Deum creare materiae particulas variis magnitudinibus et figuris, vario quoque numero et quantitate pro ratione spatii, in quo insunt, forte etiam et diversis densitatibus, diversisque viribus: eoque pacto variare leges naturae, mundosque condere diversa specie in diversis spatii universi partibus. Certe 68 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola in his omnibus nihil est, quod vel secum ipsum, vel cum ratione pugnet. (Op. Q. XXXI.) La luce brillava ed era in moto anche prima che fosse raccolta ne' corpi luminosi, in quella guisa ch'eranvi l'acque prima della formazione del mare: ma non ancora potevansi produrre i più vaghi fenomeni, che per lei abbelliscono la natura. Quando Iddio nel secondo giorno preparò quel gran vano, in cui dovea venir collocata la moltitudine innumerabile degli astri, e intorno alla terra tuttora informe formò l'atmosfera, e vi alzò i vapori col dividere le acque dalle acque; in questa atmosfera, in questi vapori ecco i riverberi della luce, ed ecco variarsi quasi in infinito le sue più leggiadre apparenze. Già tutta è pinta in azzurro la volta immensa del firmamento, ed è la luce che rimbalzando da mille corpi e non potendo col più debole de' suoi raggi come cogli altri attraversar l'atmosfera, ripiega indietro col primo mentre i secondi trae per diritto; da un'altra parte si accendono di color vivido e rubicondo alcune immote nuvolette, ed è la luce, che di basso all'alto lanciata e da quelle riflessa, col solo più forte de suoi raggi arriva sulla terra; da un'altra parte sopra un fondo di fosche nubi risalta un'iride di svariate fasce, che poi in un arco maggiore si ripete più sbiadata, ed inversa, ed è ancor la luce che si rifrange e si riflette dalle gocciole sospese, come ce l'addita il fisico Geometra, il quale d'ogni parte di sì bel fenomeno sa darci compiuta spiegazione. Che diremo del crepuscolo prodotto appunto dall'atmosfera, e così utile per l'uomo? v'è qui, o Uranio, sì manifesto il fine 69 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola propostosi dal Creatore, e così luminosa la traccia di sua sapienza, che io non posso a meno di soffermarmi un momento. Doveva sorgere il sole sull'orizzonte, e poi sotto di esso tornare per darci la vicenda del giorno e della notte: ma che? per tutto il tempo in cui stava invisibile, alcun suo lume non poteva attenuare quel buio, nel quale avremmo a lungo brancolato, e appena spuntava il suo raggio sarebbe venuto a ferir per diritto le deboli nostre pupille, che non avrebbero sofferto sì subito trapasso da folta oscurità a vivace splendore. Quale rimedio a questo duplice danno? e per diminuire la lunghezza della notte e per disperdere insensibilmente le tenebre sino a cambiarle col fulgor del meriggio? eccolo appunto in quel fluido ambiente tutt'intorno il nostro globo, che incurva i raggi e ce li trattiene dopo il tramonto, non permettendo che ci siano sottratti se non a poco a poco: ed egualmente ci provvede in sul mattino facendo sì, che l'oriente dapprima leggermente s'imbianchi; poi rinforzi gradatamente lo splendore, sinchè s'indori colle rosee tinte dell'aurora per modo, che il disco del sol nascente trova già tutto aperto l'occhio dell'uomo, e capace a sostenerne l'aspetto. Oh! quanti fenomeni nell'atmosfera degni di attenta osservazione! io vorrei, o amico, mostrarti da una parte il guizzo del baleno e il volo della saetta, dall'altra l'infiammarsi di un astro fatuo, che segna cadendo lucida riga; più lungi l'inaspettato spettacolo di un accensione boreale, la quale tinge in rosso una gran parte del cielo, donde si spande un tristo lume vermiglio, che ripercosso fra l'ombre sembra ardere le sel70 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola ve, e infuocar le onde. Quinci sarebbe ad indagarsi l'origine, che muove i venti e loro assegna talvolta periodico il ritorno: poscia avremmo a salire colà, dove si stilla la rugiada, e si compone la gragnuola, e la neve si congela a lievi sprazzi sempre costanti nella forma. Non ci scordiamo però, che lunghissimo è ancora il nostro viaggio: epperò fia meglio affrettarci a contemplare sulla terra l'opera del terzo giorno. Intanto i mentovati oggetti, mentre ci persuadono quanto delizioso ed utile sia lo studio della natura, possono servire a manifestarci l'altro più nobile scopo di questo medesimo studio indicatoci in quelle parole di Newton; "Philosophiae naturalis id revera praecipuum est officium et finis, ut ex phœnomenis sine fictis hypotesibus arguamus, et ab effecti ratiocinatione progrediamur ad causas, donec ad ipsam demum causam primam (quae sine omni dubio mechanica non est) perveniamus". (Op. Q. XXVIII.) La terra è preparata per essere l'abitazione dell'uomo: ne cercheremo noi i fondamenti, o la forza che la tiene sospesa nello spazio? non fa bisogno, ci vien subito detto, di fondamenti e di appoggi: la gravità di tutte le sue parti al suo centro forma la sua consistenza e la sua stabilità. Ottimamente: ma di queste parti, dirò con Newton: unde est, quod ad se invicem gravitent? (Op. ivi). La forza che le tiene unite, e che la materia non potè dare a se stessa, ci palesa un tutto diverso principio fuori della materia. Perchè mai la superficie della terra non è tutta involta dalle acque, come lo è dell'aria? quale forza fisica ha scavata 71 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola quella gran fossa, in cui furono radunate tutte le acque? io penso, e non ne trovo la ragione, se non in quelle parole; congregentur aquae, quae sub coelo sunt, in locum unum, et appareat arida: et factum est ita. (Gen. v. 9). Questo globo in parte solido ed in parte fluido dovea avere dei movimenti: io trovo in essi qualche circostanza, che mi riempie di alta ammirazione. Pensa, meco, o Uranio, che sulla terra doveva esservi una diversità di climi, una diversa lunghezza nei giorni e nelle notti, il giro continuo delle stagioni. Senza di ciò che sarebbe stato il nostro soggiorno? non è a dirsi, quanta vita doni alla natura quella perenne vicissitudine, che dopo aver tenute inerti sotto il gelo le fertili zolle, fa nei giorni più tiepidi sbocciar da ogni seme con tanta vigoria tutta la pompa de' fiori: e dopo avere colle vampe estive condotto ogni frutto alla sua maturità, concede un tempo più mite per conforto delle campestri fatiche. A produrre tanti vantaggi provenienti dal succedersi e dal mutarsi delle stagioni, io son d'avviso, che i filosofi tutti uniti non avrebbero saputo anche dopo secoli convenire nella scelta dei mezzi: io godo di figurarmi il loro imbarazzo, nel mentre mi par di vedere il dito dell'Onnipotente, che inclina alquanto sul piano dell'eclittica l'asse della rotazione terrestre. O meraviglia! con questo solo mezzo egli scioglie il gran problema; conseguita la moltitudine innumerevole dei desiderati effetti da un così semplice principio. Gettiamo per un momento uno sguardo sulla superficie di questo globo. Perchè è così scabra ed irregolare? qui 72 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola fiumi, e là foreste, qui valli, e là montagne: forse questa bizzarra disposizione è opera del caso? Ah! no, dice il sig. di Buffon (Téorie de la Terre): questa apparente imperfezione della figura del globo è una favorevole disposizione, ch'era necessaria a conservare su di esso la vegetazione e la vita. Per esserne accertati, si provi a immaginarsi per un istante che cosa sarebbe la terra, se la sua superficie fosse tutta eguale e regolare. Si vedrà, che invece di queste graziose colline, donde scorrono pure acque a mantenere la verzura; di queste campagne floride ed ubertose, ove gli animali e le piante trovano il loro sostentamento, un tristo immenso oceano coprirebbe l'intero globo, nè resterebbe alla terra fra gli attributi suoi, che quello di essere un pianeta oscuro, abbandonato, e al più destinato all'abitazione dei pesci. Tocca il grande istorico della natura in queste parole la stupenda diramazione delle acque apportatrici della fecondità nei terreni: il quale argomento merita un breve cenno di speciale considerazione. Da una fonte, che sgorga fra le fenditure di una rupe, formasi un ruscello, e poscia un fiume e talvolta un lago; quanti giri tortuosi fa sulle prime quell'onda, che scende da più clivi e si rompe fra molti sassi! quasi diremmo, ch'essa va a disperdersi senza legge; eppure s'indirizza ad un alveo determinato. Nel corso di questo fiume in più luoghi da lui si derivano nuovi rigagnoli, che divisi e suddivisi si piegano e s'intrecciano sopra il terreno a similitudine di un sistema di vene e d'arterie in un corpo. E siccome l'arte s'accoppia colla natura: ecco talvolta i zampilli di quelle acque che 73 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola s'alzano e formano le fontane: ecco l'amenità di qualche larga e fragorosa loro caduta: in un luogo esse profonde e tranquille sostengono le cariche navi: in un altro ristrette e precipitose danno moto a svariatissime macchine. Di tanto movimento, e di tanta vita semplicissimo è il principio: pose il Creatore le scaturigini de' fiumi più alte del loro livello nelle pianure. Tanto è vero, che nell'esaminare con attenzione qualche apparente disordine nella natura, si trova sovente, ch'esso altro non è, se non un ordine più elevato e nascosto. Dal moto delle acque ne' grandi ricettacoli passiamo al moto di que' fluidi tenuissimi, che ci vengono scoperti dai forti microscopi. Ogni gambo, ogni foglia di que' tanti vegetabili, che in questo terzo giorno con sì gran pompa apparvero sulla faccia della terra, contiene ne' suoi filamenti i canaletti, che conducono i vitali umori; altra maraviglia nelle varietà di quelle forze, che decomponendo la luce alla loro superficie producono il bianco del giglio, il vermiglio della rosa, il cilestro della viola. Siami qui permesso inserire un nobile passo di reputato scrittore (Pluche histoire du ciel. T. 2). "La filosofia, che ritorna finalmente in lega colla fisica di Mosè qualora trattisi di spiegar l'organizzazione di un grano di miglio, ritornerà, come io spero, alla fisica medesima, cioè alle volontà speciali del Creatore, per rendere ragione della struttura della terra, e della sua corrispondenza con tutte le parti dell'universo. È cosa strana, che si stia ancora in forse su questo proposito, e che si rompano i moderni filosofi il capo con lunghi cal74 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola coli per distillare da qualche ipotesi di moto, o d'attrazione la causa, la quale ha fatto che il sole occupi il centro del sistema planetario; la quale ha provveduta la terra di un grande specchio atto a perpetuare in essa la luce del sole in tempo di notte: e la quale ha corredato Saturno di un cerchio luminoso. I raziocini, i calcoli, e la geometria ci guidano nel nostro bisogno a cause illusorie ed apparenti. Ma l'esperienza, e Mosè c'insegnano senza fatica e senza questioni la verità che noi cerchiamo. Se la mano di Dio, e non poca materia messa in moto, ha prodotto il ricco ammanto del tulipano, i ricami e le frastagliature delle piccole e delle grandi foglie di un anemone, la natura invariabile delle sementi, per certo non più un semplice moto, non una pressione o una resistenza di polveri, ma una volontà specialissima avrà pure ordinate le dimensioni del globo terrestre: ed una fisica tutta buon senso sarà il dire colla comune degli uomini, che chi ha preparati e fabbricati i fiori, ha preparato e costrutto il giardino che li porta, e insieme sì gran bacino, ove si contiene la materia del loro irrigamento". Così ragionano i veri filosofi; e in simil guisa ragionava anche Newton, del quale mi giova qui riferire una sublime sentenza degna di seria riflessione dopo di avere ammirata la stupenda varietà di tanti oggetti creati. Questa varietà sarebbe assurda nell'ipotesi di una cieca necessità dell'universo. "A caeca necessitate metaphysicâ, quae utique eadem semper est et ubique, nulla oritur rerum variatio. Tota rerum conditarum pro locis et temporibus diversitas ab ideis et voluntate Entis necessario exi75 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola stentis solummodo oriri potuit". (Princ. Mat. Lib. 3 in fine). Alziamo, o Uranio, gli sguardi a contemplare l'opera del quarto giorno: e seguendo le vie della luce fissiamoli arditamente nella struttura de' cieli. Ci abbisogna dapprima tutta la forza della nostra mente per reggere all'idea dell'ampiezza degli spazi, e delle distanze. Noi che acquistiam da fanciulli l'idea della grandezza tra il recinto di anguste mura e sull'estensione di pochi passi, duriamo uno sforzo ad ingrandire il nostro concetto, quando da qualche eminenza ci si affaccia una vasta pianura o l'aspetto del mare. Che se dopo aver considerato il diametro del nostro globo, rimpetto a cui l'altezza delle montagne diventa come nulla, passiamo a considerare quello di un corpo mille volte più voluminoso, come Giove, di un corpo maggiore un milione di volte, come il Sole, sentiamo il bisogno di prendere unità di misure diverse dalle terrestri per non opprimerci la mente col concetto di numeri grandissimi. Ed ecco che progredendo nello studio del cielo passiamo a considerare i diametri delle orbite de' pianeti, e allora ci troviamo da capo a formarci l'idea delle lunghezze, perchè i diametri dei corpi mondani si considerano il più sovente nella teorica come nulli rimpetto a quelli. Se non che se ci avvisiamo di passare dall'osservazione de' pianeti a quella delle stelle; se, per esempio, misuriam l'angolo che fanno due visuali condotte dal nostro occhio a due fisse, ecco che tornano a diventar pressochè zero anche le seconde lunghezze dei diametri delle orbite, riu76 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola scendo quell'angolo quasi eguale veduto sul nostro pianeta, e sul pianeta da noi più lontano. Oh quante volte ci facciam da principio! la terra, creduta in prima sì vasta, è un punto nello spazio occupato dal nostro sistema planetario: e questo sistema è di nuovo un punto considerato in quelli spazi, ne' quali si possono immaginare tanti simili sistemi, quante sono quelle stelle, che a milioni di milioni appaiono nelle nebulose, e sempre in maggior numero, quanto più oltre la forza de' telescopi porta la facoltà visiva. Dopo avere corso col pensiero a piacimento per questi immensi campi sino a stancare più volte ogni volo più ardito della immaginazione, fermiamoci un momento a prendere respiro, e diciamo: un tanto spazio che è al fine? uno spazio finito: in conseguenza è ancora un vero nulla insieme a tutta la creazione che contiene, davanti alla potenza infinita e creatrice. Così ritorniamo donde eravamo partiti; lo sparire di tutte le idee della grandezza acquistata con tanta fatica davanti al pensiero della grandezza di Dio, ci annienta al suo cospetto, ci riempie della idea di lui e ci mette sulle labbra quel bell'inno di Newton: "Æternus est et infinitus, omnipotens et omnisciens, id est durat ab aeterno in aeternum, et adest ab infinito in infinitum: omnia regit, et omnia cognoscit, quae fiunt aut fieri possunt". (Prin. Mat. ivi). Riavutici dallo stordimento che ci cagiona il voler percorrere di una occhiata tutta l'estensione de' cieli, appigliamoci a più savio consiglio: limitiamoci a qualche considerazione sul nostro sistema planetario, ben sicuri, che la 77 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola perfezione del tutto dovrà corrispondere a quella di una parte, giusta quel detto di Newton: "Si stellae fixae sint centra similium systematum, haec omnia simili consilio constructa suberunt unius dominio: praesertim cum lux fixarum sit eiusdem naturae ac lux solis, et systemata omnia lucem in omnia invicem immittant". (Princ. ivi). E qui dapprima diciamo: pianeti e comete che si muovono intorno al sole, satelliti che si muovono intorno ai loro primari: quale molteplicità di fenomeni in tanti movimenti! eppure vi è un principio, che tutti li lega; quello della gravitazione universale. "Senza di esso, dice Laplace (Syst. du M. L. 4 C. 27) l'elliticità delle orbite planetarie, le leggi che i pianeti e le comete seguono nei loro movimenti intorno al sole, le loro ineguaglianze secolari e periodiche, le numerose inegualità della luna e de' satelliti di Giove, la precessione degli equinozi, la nutazione dell'asse terrestre, i movimenti dell'asse lunare, infine il flusso ed il riflusso del mare non sarebbero che risultamenti della osservazione fra loro staccati. È una cosa veramente ammirabile la maniera, con cui tutti questi fenomeni, che sembrano al primo aspetto così disparati, discendono da una medesima legge, che li lega col movimento della terra". Quanto egli è adunque sublime l'idea di questo principio semplice ed uno, come la mente di chi lo pose nella natura! Ma la forza, che conserva e ritiene i pianeti nelle loro orbite, non basta a tutto spiegare. Dice di essi lo stesso scopritore del principio che ammiriamo: "Perseverabunt quidem in orbibus suis per leges gravitatis, sed regularem orbium situm 78 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola primitus acquirere per leges hasce minime potuerunt" (Princ. T. 4 in fine Sch. Gen.). Le posizioni dei piani delle orbite, le direzioni de' moti nelle medesime potevano essere in diverse maniere, ed essendo in una maniera determinata ci scoprono il consiglio e l'arbitrio del Supremo Architetto. "Elegantissima haecce solis, planetarum, et cometarum compages, non nisi consilio et dominio Entis intelligentis et potentis oriri potuit" (Newton ivi). Vogliamo di ciò un argomento, che è atto a strappar l'assenso degli spiriti più caparbi? basta porre attenzione all'uniformità tenuta nei già detti movimenti de' pianeti, di cui Newton "dum cometae moventur in orbibus valde excentricis, undique et quoquo versus in omnes coeli partes: utique nullo modo fieri potuit, ut caeco fato tribuendum sit, quod planetae in orbibus concentricis motu consimili ferantur eodem omnes" (Opt. Q. XXXI). L'irregolarità del moto delle comete in luogo di formare un'obbiezione, pare appositamente diretta a dimostrare, che la regolarità del moto de' pianeti non poteva avere origine da una cagione meccanica o fisica, come osò dirlo un illustre moderno. Così ne pensava Newton, quando scrisse: "hi omnes motus regulares originem non habent ex caussis mechanicis: si quidem cometae in orbibus valde excentricis et in omnes coeli partes libere feruntur" (Princ. Sch. Gen.). E se niuna causa meccanica ha potuto originare quella uniformità, la mano Divina non è qui manifesta? diciamolo col gran filosofo inglese: "tam miram uniformitatem in planetarum systemate necessario fatendum est, intelligentia et consilio 79 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola fuisse effectam" (Opt. Q. XXXI). Forse obbietterà taluno, che questi moti soffrono qualche alterazione per l'azione reciproca de' pianeti, e crederà di vedere in ciò un'imperfezione della gran fabbrica? ah! no: chè quelle ineguaglianze sono sempre piccolissime, ed hanno lenti periodi, che riconducono i primieri stati: anzi è mirabile il vederne l'economia in quegli elementi, la di cui notabile alterazione avrebbe potuto farsi cagione di sensibil disordine. Fu l'incredulo di Ferney, che a motivo di quella mezza scienza che giova all'ateismo, osò in quel suo scritto sulla filosofia Newtoniana muovere alla Religione un'obbiezione dedotta dal lento moto, che altera l'inclinazione dell'eclittica coll'equatore terrestre, supponendo che in un tempo sia stata un angolo retto. La scienza intera, che torna a formare il credente, avrebbe potuto insegnargli, che quella diminuzione si distrugge, e riconduce il primiero stato dopo un'intera rivoluzione di nodi, che la total variazione in quell'angolo non passa la grandezza di un grado circa. Se poi, o Uranio, badiamo alla velocità, con cui si muovono globi sì corpulenti, tale che il pensiero si stanca a tener loro dietro: se poniam mente, che nelle traiettorie da essi descritte si verifica sempre una proprietà di massimo e di minimo in quella quantità, che dai geometri è detta quantità di moto, o d'azione: se consideriamo i contemporanei moti di rotazione dei pianeti sui loro assi: se il complesso ed il miracolo stimiamo di tutte queste meraviglie; non è egli vero, che non è possibile trattenersi dall'esclamare col 80 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola Newton: "Deum summum necessario existere in confesso est"? (Princ. Sch. Gen.). La terra e il cielo erano perfettamente formati: qual cosa ancor mancava nella natura? mancava la vita. Nel quinto e sesto giorno creò Dio un ordine tutto nuovo di esseri, e aprì un tutto diverso aspetto di opere prodigiose, su cui stupirono, cred'io, le stesse angeliche intelligenze, che stavano spettatrici di quanto faceva l'Onnipotente. Creò gli animali, e ne furono popolati i campi dell'aria e quelli del mare: ebbero i loro abitatori le selve e le pianure: dirò di più: uno stagno di poca acqua, una piccola gleba di terra: di più ancora una goccia di liquore, una tenuissima polvere furono ripieni di esseri viventi. In tanto numero, quanta diversità di istinti, e di inclinazioni, e di bisogni! eppure ognuno resta al suo posto, ognuno mantiene la sua specie, ognuno adempie gli ordini del Creatore. Dovrei, o Uranio, dirti qualche cosa della struttura mirabilissima de' loro corpi; ma io non valgo a tanto, chè mi abbisognerebbero troppe cognizioni straniere alle nostre scienze; molti valenti autori hanno corso questo arringo, ed hanno provato la verità di quel detto di Plinio, che in niun luogo la natura si trova tutta, quanto ne' suoi minimi lavori. Valga però per questa mia mancanza quel passo di Newton "idem dici potest de uniformitate, quae est in corporibus animalium….. partes illae corporis tam exquisitâ arte atque consilio fabricatae, oculi, aures, cerebrum, musculi, glandes, cor, pulmones, diaphragma, larinx, manus, alae, vesicae ad natandum, membranae pellucidae animalium 81 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola quorundam oculis instar conspicillorum obductae, aliaque sensus et motus organa instinctusque in animalibus brutis et insectis: horum sane omnium conformatio prima nulli rei tribui potest, nisi intelligentiae et sapientiae Entis potentis, semperque viventis". (Opt. Q. XXXI). Era fatto il mondo, ed era pieno di esseri viventi: qual cosa ancor vi mancava? vi mancava una creatura atta a conoscere il suo Creatore e ad adorarlo. Iddio creò l'uomo, e intese con ciò di riempire questo vuoto. Benediciamo, o mio amico, quella mano pietosa, che ha composte le nostre ossa, quello spirito vivificatore che ha animate con un soffio le nostre membra, quell'amore divino, che ha acceso nella nostra mente il lume della ragione. Noi siamo, e viviamo sopra la terra: ma vi siamo noi e vi viviamo in ordine a quel fine, per cui vi ci ha posti il nostro Creatore? quale soggetto di meditazione e fors'anche d'interno rimprovero e di pentimento! Consoliamoci però, finchè resistendo ad ogni urto di falsa dottrina amiamo di studiare nel gran libro dell'universo quella sana filosofia, di cui in questo trattenimento abbiamo rilevato qualche tratto. Resta a proseguire in sì bella impresa, e a cogliere il miglior frutto; e dopo aver riconosciuto Dio meditando le sue opere, riconoscere ancora il suo dominio sopra di noi, i beneficii che gli dobbiamo, e i nostri doveri verso lui, e tra noi stessi. Ciò pure ci vien detto da Newton con quella sentenza, colla quale do termine: "Quatenus ex philosophiâ naturali intelligere possimus, quaenam sit prima rerum caussa, et quam potestatem et jus Ille in nos habeat, et quae bene82 Lettere scientifiche di Evasio ad Uranio Gabrio Piola ficia Ei accepta sint referenda: eatenus officium nostrum erga Eum, aeque ac erga nosmetipsos invicem quid sit per lumen naturae innotescet". (Opt. Q. XXXI). FINE 83