Periodico bimestrale · “Poste Italiane SpA - Spediz. abb. post. - 70% Aut.: CBPA-SUD/CS/240/2009” val. dal 21/07/09
Trasporti
Turismo
Energia
Ambiente
movimento europeo
universita’ - 40 anni
volontariato
parchi calabresi
euro - 10 anni
EDUCAZIONE AMBIENTALE
ARTIGIANATO
n16
Anno 2012
Gen.-Feb.
benigni - laurea h.c.
isolamento sismico
arte
archeologia
storia
islam
LIBRI
Dogs on the snow, Traversata della Sila e del Pollino
con i cani da slitta - VI edizione febbraio 2012
Foto Shadow Riccardo
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Ferdinando Tarzia
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CONSIGLIO ITALIANO DEL MOVIMENTO EUROPEO
Il Consiglio Italiano del Movimento europeo (CIME) è una organizzazione ombrello, espressione di
tutte le forze democratiche – partiti, sindacati, enti, organizzazioni e associazioni varie – consapevoli
della rilevanza per l’Italia del conseguimento dell’Unità europea, quale federazione fra tutti gli Stati Europei a regime democratico che possano e vogliano aderirvi in piena parità di diritti e di doveri.
Aperto all’adesione di qualsiasi organizzazione che in Italia condivida tali finalità, il CIME promuove attività di vario tipo, dallo stimolo verso le istituzioni nazionali ed europee e le forze politiche, all’attività di approfondimento politico e culturale su tematiche internazionali, nonché campagne di sensibilizzazione e informazione verso i cittadini rispetto all’operato dell’Unione.
La sua struttura composita,inoltre, lo rende un importante referente per tutte quelle istituzioni che
a diversi livelli si pongono il problema di allargare il dibattito pubblico europeo, anche mediante progetti
innovativi di comunicazione politica europeaIl CIME inoltre è fondatore del Movimento Europeo Internazionale, il quale oggi mediante i suoi 43 Consigli nazionali e le sue 27 organizzazioni europee aderenti,
rappresenta una delle realtà più rappresentative della società civile organizzata a livello continentale.
L’Associazione CIME è stata fondata nel 1948.
Dopo Altero Spinelli, dal 1985 in poi si sono succeduti nella Presidenza Mauro Ferri, Mario Zagari e Giorgio Napolitano.
Attualmente il Presidente è Pier Virgilio Dastoli
Segretario Generale: Stefano Milia
Sede: Roma - Piazza della Libertà,13 - 00192 - tel.0636001705
Il CIME, riconoscendo il primo nucleo della federazione europea nelle strutture istituzionali esistenti nell’ambito dell’attuale Unione Europea, ritiene di sostenere una decisa evoluzione in
senso “costituzionale” di tale realtà. In particolare si batte a favore di tutte quelle riforme che renderebbero l’Unione Europea capace di esprimere una politica estera di sicurezza unitaria e di realizzare una propria politica economica e sociale.
Solo rafforzando l’integrazione tra gli stati membri si potrà consentire alla democrazia europea di avere nel futuro un ruolo di protagonista nel mondo globalizzato e di contribuire ad un ordine internazionale fondato sulla pace e sulla promozione dei diritti umani e civili.
Il CIME svolge in primo luogo la funzione di organo coordinatore tra le forze aderenti e di strumento di proposta, di stimolo e di pressione nei confronti del Parlamento, del governo Nazionale
e delle istituzioni internazionali, sia indipendentemente che attraverso il Movimento Europeo Internazionale (MEI) di cui fa parte.
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editoriale
Ferdinando Tarzia
Aspettando la primavera…
N
on è stato un inverno facile,quello che sta andando via.
Non si era mai vista tanta neve da molti anni, in montagna e al
mare ed anche in posti dove non era pensabile, come a Roma.
Tutta l’Italia ferma, con un blocco del traffico che ha stroncato le
attività e ha fatto patire non poche località in montagna.
Chi non era direttamente coinvolto ha parimenti vissuto
psicologicamente le varie fasi, risentendone per la partecipazione
mediatica incombente e talvolta oltre misura, quasi che il pericolo fosse
fuori dalla propria porta.
Si tratta fortunatamente di un ricordo, recente, ed il bel tempo ci
promette a breve la primavera.
Vi sono già i germogli sulle piante, la terra presenta un avvio timido
di fioritura.
E’ il magnifico risveglio che mette in moto la natura che è prodiga
nel darci la propria ricchezza e che ci porta a nuova vigoria, con la
rappresentazione di una promessa che poi viene mantenuta nella stagione
del raccolto.
La stessa promessa che ognuno di noi vorrebbe intravedere nel mondo
economico, flagellato anch’esso da tempeste globalizzate che hanno
generato dissesti e preoccupazioni non tanto preventivate.
Mentre la promessa della natura ci trova soltanto spettatori di uno
spettacolo mirabile, quella che ci si augura dalla vita economica ci porta
a considerare quanta partecipazione occorre da ognuno di noi, per la
propria parte.
Le difficoltà che le famiglie oggi subiscono, i disagi dei giovani nel
trovare lavoro, la tragedia di chi il lavoro lo perde, ci devono condurre ad
una speranza alimentata da una spinta a superare.
In primo luogo il dovere civico, da pretendere da tutti ed in
particolare da chi produce e lavora, rispettando le esigenze pubbliche
attraverso un contributo di lealtà sociale.
Dopo le recenti esperienze e con una situazione economica da
riprendere in un contesto più ampio rispetto a quello nazionale, la
speranza non può che accompagnarsi al sentire i doveri verso la
comunità.
3
trasporti
Trasporti
pubblici
in cerca
di identità
D
i recente il Consigliere regionale incaricato dei
trasporti, Orsomarso, ha ipotizzato la creazione
e quindi il ripristino di un assessorato per il settore.
Tale assessorato in passato faceva parte della giunta regionale e poi, non si sa per quale imperscrutabile decisione,
è stato eliminato e la cura, si fa per dire, del settore è stata
affidata alla competenza di altro assessorato; quale ad esempio quello attuale e cioè il Dipartimento infrastrutture e lavori pubblici.
E’ come dire che non era necessario che il settore trasporti fosse affidato ad un organismo amministrativo ad hoc
e che, data la sua non certa importanza, poteva essere inserito nella competenza, tra l’altro, di un complesso assessorile di ben più consistente portata.
Da ciò si può capire quanta attenzione negli anni sia stata riservata al sistema dei collegamenti, su strada e su ferro, e quale conseguenza nefasta ne sia derivata ad un settore che per antonomasia viene indicato quale veicolo di sviluppo sociale.
In sostanza la Regione si è limitata a prevedere in bilancio uno stanziamento per contributi chilometrici dovuti alle aziende pubbliche e private (che oggi si aggira sui 95 milioni di euro), lasciando inalterato un disorganico complesso regionale di linee, al di fuori di un quadro di sviluppo.
Da non più di cinque anni si è passati da un sistema concessionale ad un ibrido sistema a contratto con la creazione obbligatoria di cinque Consorzi nel territorio regionale,
per poi permanere nello stesso sistema del passato e quindi
con il mantenimento della realtà operativa di ciascuna singola azienda.
Tutto ciò a detrimento anche delle stesse aziende che
operano senza un diretto titolo giuridico, in quanto facenti
parte dei Consorzi divenuti titolari del rapporto contrattuale con la regione, e quindi in uno stato di complessa precarietà rispetto alla necessità di una visione operativa futura.
La manifestata opportunità, o necessità, di riprendere un assessorato o dipartimento specificamente operativo
conferma quanta strada non si è potuta percorrere dall’agosto del 1999, quando è stata approvata la legge regionale che
4
recepiva i dettami comunitari in materia di gare e contratti di servizio e che prevedeva deleghe e tempi di attuazione
per avviare i collegamenti verso la creazione di servizi a rete nell’ambito di bacini territoriali.
L’applicazione di tale legge quadro è stata nel tempo
frammentaria e contraddittoria, attraverso provvedimenti
di legge ed amministrativi via via modificati o abrogati, che
hanno generato controversie di ogni tipo con le aziende oltre che una discontinuità dispositiva che lasciava i servizi
senza alcuna risposta alle reali esigenze di trasporto.
La questione del trasporto pubblico locale non può essere risolta se non con un organico intervento potestativo
dell’ente regione quale titolare del servizio, il cui svolgimento per reti deve essere affidato a seguito di gare e quindi di contratti di servizio; fatto salvo quanto previsto in ordine alle competenze provinciali.
E’ da considerare che i nostri trasporti pubblici hanno
raggiunto via via caratteristiche di utilizzazione minimale,
nel senso che nella pratica quotidiana il servizio è stato indirizzato, e non sempre adeguatamente, allo stretto bisogno
della parte meno dotata della popolazione di raggiungere i
luoghi di lavoro, di studio, di cura.
Ai cittadini è mancata da sempre la possibilità di utilizzare il mezzo pubblico in via ordinaria ed anche per ragioni di svago, di sport o di turismo interno, quale alternativa al mezzo privato ed alle difficoltà economiche e di stress
che ne derivano.
Ha ragione qualche amico che da tempo si rammarica
che di domenica non vi siano collegamenti tra le varie località e comunque con centri di svago o variamente qualificati.
L’inefficienza concettuale e pratica del nostro non sistema del trasporto pubblico ha generato nei cittadini un depauperamento dell’idea di utilizzare il mezzo pubblico in alternativa a quello privato, ed il suo riaffiorare darebbe il segnale che i trasporti pubblici siano pensati per un miglioramento della vita individuale e collettiva.
Se il ripristino dell’assessorato significa aver preso atto delle inefficienze e della confusa situazione del settore e
quindi non perdere più tempo nell’intervento, allora sì che
è una lodevole iniziativa.
Ferdinando Tarzia
QUARANT’ANNI FA,
L’UNIVERSITà…
Q
uarant’anni fa, con l’insediamento
del Comitato ordinatore e dello staff
dirigente, diventava realtà il sogno della
prima Università di stato in Calabria
mentre iniziavano le iscrizioni per i primi corsi di
laurea che poi si sarebbero svolti nel “Polifunzionale” di
Arcavacata, in mezzo a un’ aperta campagna.
La politica, che ne era stata l’unica promotrice e
realizzatrice con adeguati finanziamenti e normative
d’avanguardia, registrava le prime polemiche e divisioni
pre-elettorali ma soprattutto si trovava per la prima volta
davanti alla fondazione di un anti-corpo istituzionale e di
un contropotere autonomo dalla già contestata “industria
della politica”.
L’avvento del potere accademico mirava a sollecitare
la promozione e l’affermazione di una società civile
autopropulsiva nel contesto del profondo sud, come a dire
il progetto di instaurare relazioni funzionali e razionali
al posto di quelli familiari e tradizionali, valoriali e di
vicinato, tipiche di una società contadina.
Basti il richiamo a un apprezzatissimo saggio sulla
Calabria di Einaudi della prof.ssa Fortunata Piselli.
Il primo Rettore, Beniamino Andreatta, dinamico
e modernizzante, fu l’alfiere di questo progetto di
ampliamento e pluralismo della società democratica nella
“Atene della Calabria” e anche se ne temeva la ineludibile
“naturalizzazione” collaborava al suo decollo con le
autorità più rappresentative di quel tempo non senza
qualche incomprensione.
Paradossalmente, fu proprio Andreatta la prima
vittima eccellente della progressiva politicizzazione
accademica post-Sessantotto perché venne chiamato da
Aldo Moro ad occuparsi di questioni nazionali ancora
più pressanti, ma il suo seme ha dato e continuerà a
dare frutti che non sono certo quelli dell’odierna “antipolitica”, che nasconde brame carrieristiche e “invasioni
di campo” di altri poteri che subiscono il fascino del
Parlamento.
Una tendenza che si accentua alla vigilia delle elezioni
generali. Intanto, l’anno prossimo, si voterà per il
nuovo Rettore e sono incominciati sulla stampa i primi
confronti tra le coalizioni dei candidati in pectore.
I modi di attuare la riforma Gelmini – quella dei
Pietro Rende *
“tagli” alla “industria del sapere” e alle speranze dei
ricercatori più giovani - sono il sale della contesa, ma
finora si è sentita l’assenza della passione di allora, di uno
sprint che conservi all’Unical il primato di un’eccellenza
per cui era nata, al di là della sua gestione corrente.
Abbiamo o no il diritto in Calabria di essere i
primi in qualcosa? Il campus, le lauree abilitanti, il
tempo pieno dei docenti, il numero programmato degli
studenti, la presenza dei cinesi, ecc. rappresentavano
un primato nello scenario universitario del dopoSessantotto.
Oggi che il neo Ministro, Francesco Profumo, già
presidente del CNR e Rettore del Politecnico di Torino,
propone qualcosa di più e di nuovo nel Sud, la Calabria
non sembra muoversi in questa direzione e lascia ad
altri vecchi Atenei, p.e.Napoli, l’iniziativa di accroccarsi
una nuova Scuola Normale come quella di Pisa, con
“garanzie” occupazionali ai suoi laureati e con docenti
internazionali a liberi contratti triennali – un Erasmus
dei docenti – e dottorati di ricerca nelle aziende dove si
creano i posti di lavori produttivi.
L’entropia di creatività nel confronto in corso, che
somiglia piuttosto a una querelle intra-moenia di
gestione del potere interno, sarà pagata cara dal giudizio
che un organismo di valutazione universitaria come
l’ANVUR – composto da docenti quasi tutti del nord esprimerà in vista dell’abolizione del valore legale della
laurea.
Perciò auspichiamo e attendiamo un risveglio anzi
un ritorno allo spirito e alle attese dei promotori e
fondatori di 40 anni fa, non inutili o stupide polemiche
rivendicative e solitarie, povere di ricadute sulla società
civile e sul futuro dei giovani.
L’Unical, appunto, e il porto di Gioia Tauro con
l’aeroporto di Lametia e l’Autostrada rappresentano
l’eredità più cospicua dei “fatti” strategici che il primo
centro-sinistra ha realizzato in Calabria per toglierla
dall’isolamento, modernizzarla e aprirla al nuovo mondo.
Gli eredi di oggi devono raccoglierla e scrostarla
del provincialismo senza respiro selezionando gli
interlocutori indispensabili, che parlino almeno l’inglese
(come esigeva Andreatta).
* Vice Presidente Associazione
Nazionale ex Parlamentari della Repubblica
[email protected]
5
to” – una definizione comune con parametri condivisi che
comprendano il carattere non retribuito delle attività svolte, il coinvolgimento per propria libera iniziativa, l’impegno
a vantaggio di un terzo esterno al proprio ambiente familiare o di amicizie e la non-discriminazione.
Se dovessi suggerire dei temi di riflessione che ci conducano verso uno spazio di condivisione, responsabilità e codecisione proporrei ai cittadini attivi di impegnarsi in comune per un lavoro di scrittura collettiva di una carta europea comprendente gli elementi essenziali della democrazia partecipativa/paritaria/di prossimità, dei diritti collettivi
(ma non solo l’esercizio collettivo di diritti individuali), dei
beni comuni e del ruolo dell’Europa nel mondo. Sarebbe interessante verificare se i partiti fossero pronti ad usare il nuovo potere “costituente” affidato dal Trattato di Lisbona al Parlamento europeo chiedendo la convocazione di una Convenzione/3 alla quale attribuire il mandato di finalizzare il testo
di questa nuova Carta.
Lo sviluppo della democrazia partecipativa a livello europeo può rafforzare la democrazia rappresentativa o meglio
può creare le condizioni per dare forma e sostanza ad una
democrazia rappresentativa che esiste nelle istituzioni euPier Virgilio Dastoli *
ropee ancora allo stato embrionale.
Fra le pratiche partecipative vi è la Convenzione di
Aarhus in materia ambientale che è entrata in vigore nel
2001 ed è stata fatta propria dall’Uniol tema della partecipazione giovane europea con una decisione del Connile legata in particolare alle vasiglio nel 2005 .
rie forme di volontariato e di imPur prevedendo oltre all’informapegno nella cittadinanza attiva
zione anche la partecipazione dei cittama anche all’inserimento nel mercadini e l’accesso alla giustizia, la Convento del lavoro interessa e preoccupa da
zione di Aarhus è ancora largamente ditempo le istituzioni europee ed in spesattesa dai governi nazionali e dalle isticial modo la Commissione europea ed
tuzioni europee mettendo in evidenza
il Consiglio d’Europa che dedicano, da
che l’obbligatorietà di una norma non
anni, attenzione e proposte ora tramuprovoca direttamente la sua attuazione
tate in politiche. Esse costituiscono orma che è necessario incentivarne l’apmai un importante patrimonio europeo
plicazione e prevedere sanzioni nei casi
ed un valore aggiunto rispetto a quel
in cui essa sia stata violata.
che si realizza negli Stati membri come
In questo spirito, sarebbe importanè dimostrato dai programmi dell’Uniote l’inserimento nei prossimi regolane europea per i giovani (“Gioventù in Pier Virgilio Dastoli durante i lavori di presen- menti delle politiche comuni con impliazione”) che coprono il periodo 2007- tazione dell’anno del volontariato
cazioni finanziarie (ricerca, ambiente,
2013 o la Convenzione sulla promoziocultura, giovani, educazione..) l’obbligo
ne del Servizio volontario di lungo periodo per i giovani ap- di consultazione previsto nei regolamenti dei fondi struttuprovata dal Consiglio d’Europa nel 2000.
rali. Anche in vista dei negoziati europei sul finanziamento
Il tema della partecipazione giovanile ed in particolare dell’Unione, si distingue il bilancio partecipativo inventato a
del volontariato è importante nel momento in cui si dovran- Porto Alegre in Brasile e sviluppatosi prima in America Latino affrontare in comune le sfide della democrazia partecipa- na e poi in un numero crescente di città europee.
tiva e del conseguente ruolo della società civile, della solidaAllo strumento dei bilanci partecipativi in Europa è starietà in un mondo ed in un continente travagliato dagli effet- ta dedicata una ricerca della Fondazione Hans-Böckler con
ti devastanti di irrazionali paure legate alle proprie identità studi monografici che si possono trovare sul sito www.buered al sentimento di insicurezza, della crisi economica e della gerhaushalt-europa.de. Nel presentare i risultati della ricercrescita apparentemente inarrestabile del precariato soprat- ca, il professor Yves Sintomer ha parlato significativamente
tutto giovanile che si aggiunge alla disoccupazione struttu- del “ritorno delle Caravelle” poiché per la prima volta le strarale.
de dell’innovazione istituzionale sono andate da Ovest a Est
Nell’affrontare un’analisi sulla dimensione del volonta- e dal Sud al Nord.
riato in Europa e pur tenendo conto delle differenze che esistono all’interno dei paesi membri dell’Unione europea, sa* Presidente del Movimento Europeo
www.movimentoeuropeo.it
rebbe importante concordare – anche in vista di politiche
[email protected]
comuni e dell’adozione della “Carta Europea del volontaria-
Partecipazione
giovanile
alle varie forme
di volontariato
e all’inserimento
nel mercato
del lavoro
I
6
I parchi
calabresi
Massimo Veltri *
I boschi, i prati, le coltivazioni
hanno significato se rientrano
in un sistema di pianificazione
a larga scala
A
dicembre del 1991 il Parlamento approvò in via definitiva la legge n. 394 sulle
Aree Protette.
Una legge organica, sistemica, sui
parchi, le riserve naturali, i sistemi di
gestione e di governo, gli organismi,
la partecipazione delle comunità locali, le risorse finanziarie e umane...
Una buona legge, insomma, che si
inseriva a pieno titolo in una stagione
ricca di altri provvedimenti normativi, tutti recepenti il dibattito nel paese, le pulsioni e le aspettattive che
s’agitavano in campo territoriale e
ambientale. Da poco era stata varata
la legge n.183 sulla Difesa del Suolo;
di lì a qualche anno avrebbe visto la
luce la legge ‘Galli’ sulle Risorse Idriche; prim’ancora si ebbe la legge sui
Servizi Tecnici Nazionali e la Protezione Civile.
Molto si discusse su una nuova legge urbanistica ma le resistenze furono
tali e tante da far naufragare le varie
proposte pure al vaglio del legislatore.
Era una stagione, quella, in cui emergevano essenzialmente tre direttrici: occuparsi di temi strutturali; farlo recuperando lo spirito della pianificazione e della programmazione, allegerito però dagli orpelli e dai vinco-
li troppo rigidi dei decenni precedenti; riconoscere alle tematiche ambientali dignità e precedenza.
I frutti ci sono stati, il paese in
buona misura ha risposto, molte cose sono cambiate, da allora, in termini
virtuosi. Poi subentò la stagione della deregulation, del ‘faiunpòcometipare’, dell’edonismo, e altri furono i temi, gli approcci: ma questa è un’altra
storia, diciamo così.
I parchi nazionali, appunto.
Quando mi documentai e girai un
pò di qua un pò di là, per presentare in
Parlamento la proposta di legge volta a istituire il Parco della Sila avevo
alle spalle due realtà. La prima: c’era
già un Parco della Calabria, licenziato
dal legislatore, ma che nella pratica
era smembrato in tre, con Pollino e
Aspromonte, e la Sila esisteva solo per
memoria. La seconda: ci sono parchi e
parchi: alla Sila quale serviva? I parchi
che visitai, dalla Svezia fino alle Alpi
passando per l’Italia centrale, mi convinsero che quello centritalico era il
taglio giusto.
In Svezia pianure alberate sconfinate e mummificate, senza l’ombra di
antropizzazione: bello a vedersi.
Le Alpi: parchi minuscoli, pietre e
vette e uccelli vorticanti, ma pure qui
uomini e insediamenti pochi. Da noi
serviva altro, mi convinsi, e la legge
394, di fresco varata, mi sorreggeva.
Condivisione, rispetto, sviluppo, ecco
le tre parole chiave. Senza l’approvazione dei cittadini niente si fa, non c’è
norma che tenga.
La natura va amata e rispettata e
protetta, non è nostra, l’abbiamo solo
in... comodato d’uso.
E sviluppo: parchi come agenzie
per lo sviluppo sostenibile. Coniugare, cioè, economia e ecologia. La legge fu approvata, alla fine degli anni
novanta, il Parco iniziò le sue attivita
un lustro dopo, per lungaggini formali, mettiamola così. E quindi abbiamo
ben tre Parchi nazionali, in regione,
un bel primato, una bella cosa. Primato che deve però avvertirsi, percepirsi
di più e meglio rispetto a quanto finora s’è verificato e tuttora pure.
La constatazione che mi sento di
suggerire è che sbollita la sbornia del
‘faidate’ e dei paradigmi liberisti che ci
hanno lasciato con il sedere per terra
occorre rimettersi al lavoro, una volta che le ipotesi di sviluppo, lo stesso
modello di sviluppo che finora si pensava potessero regolare le nostre esistenze, hanno mostrato le loro falle,
le loro voragini.
Occupazione indiscriminate di
suolo, risorse depredate, abbandono
di collina e montagna, congestione ipertrofica delle città, emergenze energetiche...: occorre ripensare
tutto. La ‘Green Economy’ che cosa
ci suggerisce? E un equilibrato ritorno al settore primario? Per non dire
>>>
7
>>>
d’un’armonizzazione fra i vari comparti teritoriali.
Più di una scuola di pensiero ha
rivolto i propri approfondimenti, le
proprie proposte, su un new deal, che
faccia tesoro delle distorsioni che tanto hanno segnato la nostra vita negli
ultimi quindici anni almeno e che
recuperino obbiettivi e traguardi che
sono alla nostra portata.
Per restare ai parchi, ai nostri
parchi. Occorre ripartire dal progetto
Ape, Appennino Parco d’Europa, nato grazie al Ministero dell’Ambiente
qualche lustro fa, che metteva in sinergia tutti i parchi del Mezzogiorno:
la rete come strumento di vitalità e
di efficienza, Ma sopra tutto occorre
riscoprire la mission del parco come
istituto per lo sviluppo. Uno sviluppo
sostenibile nella triplice accezione:
ambientale, strumentale e economica. Le popolazioni, le istituzioni locali, i settori produttivi - alcuni troppo
abbarbicati su visioni non più praticabili perchè inefficaci, obsoleti - hanno
un ruolo determinante, lungo questo
processo, tutto da costruire. Far recepire il parco non come limitativo
e vessatorio, accompagnare le scelte
con condivisione e partecipazione,
utilizzare al meglio le numerose opportunità che mercati e norme prevedono.
Esiste, per legge, il Piano del Parco, il Piano di Sviluppo Socioeconomico: dipende dagli orgni di gestione del
Parco stesso costruirli insieme, non
contro né a prescindere, e costruirli
per crescere, non per imbalsamare.
La stagione di prati, boschi, pascoli, coltivazioni... come occasioni di
crescita ha poco significato, non funziona più, se questi non rientrano sotto il marchio doc o dop del parco, se
non entrano in un discorso complessivo.di pianificazione su larga scala,
elastica, accorta, attuale, tecnica ma
pure politica.
Sembrerebbe, pure questo, un argomento in qualche misura derubricato, questo dei parchi, d’un altro tipo
di sviluppo, e invece no. Gli ultimi avvenimenti, quel che stiamo vivendo ce
lo dimostrano.
Star fermi non significa aspettare.
Vuol dire arretrare.
* Professore ordinario di Idraulica,
Presidente Nazionale
dell’Associazione Idrotecnica Italiana
8
La sicurezza
degli amministratori
calabresi
Gli atti di intimidazione
ai danni di sindaci e consiglieri
sono attacchi alla libertà
e alla democrazia
Giovanni Russo *
D
esta sempre più preoccupazione l’attacco mosso dalle organizzazioni criminali agli organi dello Stato e, più specificatamente, agli amministratori locali: ricordiamo tutti le azioni di intimidazione nei confronti dei Sindaci di
Isola Capo Rizzuto, di Rosarno, di Monasterace, di San Giovanni in
Fiore. Questi sono i casi più recenti, forse quelli più conosciuti, ma
viene da chiedersi la reale portata ed i numeri di tale offensiva. Una
risposta esaustiva è data dal Rapporto “Amministratori sotto tiro” di
Avviso Pubblico (www.avvisopubblico.it), secondo il quale nel corso del 2010 sono stati censiti 212 episodi di minacce e di intimidazioni di tipo mafioso e criminale diretti, in 145 casi (il 68% del totale) nei confronti di amministratori locali. Secondo il Rapporto,
il numero più elevato di casi di minacce e intimidazioComuni interessati
ni è stato registrato in Calada atti intimidatori
bria (87), seguito dalla Sicilia
anni 2010-2011
(49) e della Campania (29). Si
accodano la Sardegna (25 casi) e, con un sensibile distacco, la Puglia (11 casi). L’ennesimo triste primato, tra i tanti che portano costantemente
alla ribalta dell’opinione pubblica la nostra regione.
Per minacce ed intimidazioni, ricordiamolo, si intendono atti gravissimi quali l’incendio di auto, l’incendio delle abitazioni, quello di imprese di proprietà di amministratori locali o di loro congiunti, l’invio di buste contenenti lettere minacciose e proiettili, spari, danneggiamenti, minacce, ingiurie, aggressioni fisiche, sino ad arrivare
a gesti macabri quali l’invio di
una testa di animale tagliata.
Limitando la nostra riflessione alla Calabria, si rivela
molto utile il recente rapporto sulla “Sicurezza degli am-
ministratori locali calabresi dieci anni dopo” presentato
nello scorso gennaio dalla sezione calabrese della Legautonomie (www.autonomiecalabria.it). Ancora una volta
un documento estremamente ricco di dati, grafici ed informazioni che, nella loro crudezza, hanno un impatto
diretto ed immediato. La parola ai numeri: nel 2011 sono
stati rilevati 103 atti intimidatori contro amministratori
calabresi, con un picco nel mese di aprile-maggio, coincidente, come già rilevato nel 2010, con una tornata di elezioni amministrative; per quanto attiene la distribuzione
nelle province, prevale quella di Reggio Calabria (32), seguita da Crotone (22), Cosenza (19), Vibo Valentia (18) e
Catanzaro (12). Dal 2000 al 2011 gli atti intimidatori registrati - si badi bene, solo quelli “ufficiali” e, quindi, denunciati - sono stati complessivamente circa 1000, con
bel 68 comuni interessati solo nell’ultimo anno.
Vi sono inoltre delle situazioni a dir poco paradossali,
come quella vissuta dal Comune di Platì (RC), oggi commissariato. A Platì, con alle spalle uno scioglimento per
condizionamento mafioso nel 2006, le elezioni sono programmate per maggio, ma probabilmente, com’è succes-
so negli anni ’90, nessuna lista sarà presentata. Ed allora
il giudice Romano De Grazia, 71 anni, originario di Lamezia Terme e famoso Presidente aggiunto onorario della Suprema Corte di Cassazione, autore della c.d. Legge
Lazzati (che vieta ai sorvegliati speciali di fare propaganda elettorale), ha deciso di candidarsi formando una lista
composta anche da candidati in divisa.
Le cifre, quindi, non sono altro che lo specchio di una
situazione drammatica, in cui, così come dichiarato da
Carolina Morace, Sindaco di Isola Capo Rizzuto, “I ripetuti e reiterati atti di intimidazione ai danni di amministratori degli enti locali sono attacchi alla libertà e alla democrazia dell’intera comunità, oltre a rappresentare una minaccia all’integrità fisica e alla vita dei rappresentanti istituzionali e dei propri familiari”. Ma, allo stesso tempo, rendono ben chiaro anche che in Calabria vi sono decine, anzi centinaia di amministratori che
quotidianamente si impegnano e rischiano la vita per affermare, con orgoglio e anche in Calabria, il principio di
legalità.
* Avvocato in Cosenza
Dieci anni
dopo
la tenuta dei principi fondamentali dell’Europa unita. Un
dato molto preoccupante è rappresentato dalla perdita del
potere d’acquisto che, secondo il CODACONS, dal gennaio
2002 ad oggi, per il ceto medio, è stato del 39,7%. All’indomani dell’introduzione dell’Euro, poiché, le autorità preposte non sono intervenute, si è assistito ad un vertiginoso aumento dei prezzi e quindi non è solo colpa dell’euro.
Infatti successivamente in alcuni settori commerciali, i
prezzi sono diminuiti molto come nell’elettronica e nella grande distribuzione, mentre nel mercato immobiliare
l’aumento è stato molto sensibile.
Nel bilancio della moneta unica, di questo decennio,
è doveroso porsi la domanda se tutti gli Stati membri
dell’UE abbiano operato in piena sintonia e collaborazione con spirito europeistico o se invece hanno prevalso logiche nazionalistiche soprattutto dal punto di vista economico. Lo scenario di questi mesi in cui i paesi membri
dell’UE stanno attraversando una profonda crisi, come la
Grecia, il Portogallo e l’Italia, sembrerebbe mettere in discussione la stessa permanenza nell’UE.
Un altro dato evidente da cogliere nella crisi è quello che “ha messo a nudo le differenze di efficienza e di
produttività che si erano accumulate dopo la costruzione
dell’euro” (Romano Prodi).
La situazione economica odierna, purtroppo, mette in
discussione la gestione della moneta unica in quanto ha
prodotto effetti negativi che si ripercuoteranno per i prossimi anni in termini di recessione e disoccupazione nei paesi storicamente più deboli dell’eurozona. La causa principale è da individuare prioritariamente alla mancanza di
una struttura unica comunitaria , come era necessaria se
non obbligatoria, nei settori fiscali, monetari e non solo.
Un altro aspetto, non secondario, è dovuto al rapporto con
il dollaro che si è visto detronizzato dello scettro di supremazia rispetto alle tante monete presenti fino al 2001 in
Franco Mollo *
A
dieci anni dall’introduzione dell’Euro ci saremmo
aspettati di raccogliere i frutti di quello che possiamo definire il più importante evento sociale ed
economico fra i paesi dell’Unione europea, il cui
fine doveva essere sviluppo e crescita dei paesi membri. Il
2012 è segnato dalla crisi europea, già iniziata nel precedente anno, dagli esiti incerti che mettono a dura prova
>>>
9
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Europa, facilmente controllabili. Dal 2002 il dollaro ha dovuto confrontarsi con una moneta unica europea che aveva alle spalle una solida coesione sociale ed era diventata un faro per tutti i mercati mondiali. L’avvento dell’Euro aveva rotto un equilibrio economico e di egemonia creando seri problemi alle finanze USA perché vedevano nella moneta unica l’allontanamento dei paesi che costituivano una risorsa per far fronte al proprio crescente deficit interno. Prezzo che gli alleati pagavano nel sostenere la leadership americana.
Per uscire dalla crisi e ridare slancio alla moneta unica è necessario sapere che il benessere economico di uno
Stato membro dell’UE è un bene per tutti gli altri e di contro un paese in ritardo trattiene tutto il resto. È necessario, pertanto, che le politiche economiche e di bilancio di
ogni paese siano una questione di interesse comune e deb-
bano essere meglio coordinate.
Ciò nonostante l’Euro ha certamente agevolato gli spostamenti dei cittadini europei ed eliminato i rischi dovuti al cambio per le imprese ed oggi è pur sempre la seconda Moneta più usata come riserva internazionale, dopo il
dollaro, e rappresenta una pietra miliare dell’integrazione
europea che può e deve fornire ulteriori benefici in futuro.
Solo l’Unione Monetaria Europea (UEM) potrà affrontare
le sfide urgenti legate alla globalizzazione, le scarse risorse
naturali, il cambiamento climatico e l’invecchiamento della popolazione. Questo potrà avvenire migliorando il suo
funzionamento per il prossimo decennio e oltre. Più forte
sarà l’UEM e maggiore sarà il ruolo guida dell’UE nell’economia globale.
* Giornalista
Benigni
laurea honoris causa
Nel quarantennale
dell’Unical
Franco Bartucci *
L
a Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria, presieduta dal
Prof. Raffaele Perrelli, ha
conferito a Roberto Benigni la laurea
honoris causa in Filologia Moderna,
motivata dalla vasta produzione artistica, di cinema e teatro, nonché letteraria dell’attore.
La cerimonia di consegna è avvenuta il 17 gennaio scorso in occasione della inaugurazione dell’anno accademico 2011-12 presieduta dal Rettore Prof.Giovanni Latorre e coincidente con il quarantesimo anno
dall’inizio delle attività didattiche e
scientifiche dell’Ateneo.
Dopo la relazione di rito del Preside Perrelli e gli interventi dei docenti
Roberto De Gaetano e Nuccio Ordine,
che hanno preceduto la lettura delle
motivazioni del conferimento della
laurea honoris causa e la conseguente consegna della pergamena, Roberto Benigni ha svolto la sua “Lectio
10
Magistralis” che ha lasciato una straordinaria testimonianza, al di là delle
battute ironiche e simpatiche, di verità ed amore che non possono rimanere isolate nel contesto di un ambiente, come quello universitario, dove la
ricerca e la cultura, come i processi
formativi, sono di casa ed una regola fissa, non sempre vissuta e goduta
per mancanza di spirito e valori umani, etici e morali.
Con il suo dire ci ha raccontato alcuni brani della Divina Commedia attualizzandola a situazioni del nostro
tempo facendoci prendere consapevolezza della ricchezza e bellezza del patrimonio culturale calabrese grazie a
personaggi come Folco Ruffo, il monaco di Seminara Baarlam e del suo
discepolo prediletto Leonzio Pilato,
che furono precettori di Francesco
Petrarca e Giovanni Boccaccio ed a
seguire Bernardino Telesio,Tommaso
Campanella, Gioacchino da Fiore, citato da Dante Alighieri e indicato da
Benigni come un personaggio di rilevante importanza nella storia complessiva dell’evoluzione dell’umanità,
per finire con Domenico Mauro, fondatore del periodico “Il Calabrese”,
che ha contribuito a riportare in auge
l’opera di Dante Alighieri. Tutto questo per dire che “il pensiero è al sud”
e il Nord sbaglia decapitandosi con la
richiesta di indipendenza della Padania. In fondo l’Italia nasce a Sud ed in
particolare in Calabria e di questo bisogna esserne orgogliosi e tramandare questa memoria nel tempo.
Ma ciò che ha stupito sono stati i
riferimenti alla figura di Gesù Cristo,
attraverso il Vangelo, il più grande rivoluzionario dell’umanità e del pensiero filosofico – religioso, il più grande poeta di tutti i tempi che ha inventato i sentimenti ed ha saputo dare alla “parola” il “significato dell’azione”,
alla “pietà”, quale immagine della sofferenza e violenza, il “valore della carità e dell’amore” sancito dal cristianesimo.
Ha parlato di cielo e di stelle, della bellezza e della dignità delle donne, dell’innocenza dei bambini come
delle responsabilità degli adulti per la
creazione di un mondo migliore citando delle espressioni evangeliche:
“Lasciate che i bambini vengano a
me” ed ancora “Finché non sarete come questi bambini non entrerete nel
Regno dei Cieli”.
I bambini per la prima volta nella storia dell’umanità – è l’affermazione di Roberto Benigni - sono stati classificati come oggetti di amore
estremo. Un amore che compete testimoniare dagli adulti ed ecco la fase “Ama il prossimo tuo come te stesso” . Non si può amare il prossimo se
non si ama se stessi, o meglio, se ami
te stesso il tuo prossimo è parte integrante di te, con atti di amore verso
gli altri, la promozione della dignità
e personalità della persona, la ricerca della verità e della giustizia per un
Foto: Franco Arena
Pochi istanti di straordinario interesse del pubblico, che sono stati immortalati dalle telecamere e dai teleobiettivi dei cameramen e fotografi
puntati su quel fuori programma che
è risultato ben integrato nel complesso della manifestazione.
* Giornalista
luogo (famiglia, lavoro, tempo libero)
e un mondo di pace. Un grazie di cuore a Roberto Benigni per queste parole attese e sperate al fine di poter dare maggiore incisività al proprio modo di essere nella società e nel posto
di lavoro.
Ci sono state le battute ironiche e
di compiacimento, come quelle rivolte agli studenti cinesi dell’UniCal che
hanno fatto felice il Preside della Facoltà di Farmacia e Scienza della Nutrizione, prof. Sebastiano Andò, ed infine la recitazione dell’ “Inno alla Vergine Maria”, contenuto nel trentatreesimo Canto del Paradiso, che ha creato emozione toccando e stimolando
le coscienze delle persone che hanno
avuto la grande opportunità di vivere
quei momenti storici nel teatro auditorium dell’Università della Calabria.
A chiusura della cerimonia abbiamo visto e sentito bene Roberto Benigni dare un saltello ed una esclamazione di meraviglia e di compiacimento nel momento in cui il dott.
Aldo Bonifati, chiamato sul palco dal
Rettore Giovanni Latorre, gli ha consegnato la pergamena di socio onorario dell’Associazione Internazionale
Amici dell’Università della Calabria.
11
L’isolamento
sismico
un’idea moderna,
anzi antica…
e spesso pure
economica !!!
Raffaele Zinno *
seconda parte - 2/2
Continuiamo il discorso iniziato nel numero precedente e relativo alla protezione antisismica delle strutture ed, in
particolare, alla tecnica dell’isolamento sismico. Si è mostrato come l’idea risalga addirittura agli antichi Greci e
che la differenza con il passato risieda unicamente nella tecnologia attualmente a disposizione e che consente, fra l’altro, l’adozione di isolatori di ultima generazione e di vario
tipo. Si è anche mostrato come il cambiamento di filosofia
operativa che, invece di cercare di assorbire all’interno della
struttura l’energia, dissipandola in vario modo, cerca di far
si che le accelerazioni del terremoto non si trasferiscano alla
struttura, conduce alla realizzazione di edifici che si spostano rigidamente senza subire pericolose tensioni e deformazioni, causa di conseguenti rotture, fratture localizzate o generalizzate. In questa seconda parte si da qualche altro dettaglio sulle nuove tecnologie e si fa una breve panoramica
su ciò che avviene nel Mondo, in Italia ed in Calabria ancora più specificamente.
C
on gli isolatori sismici e con la tecnica del sollevamento messa a punto dalla Consta S.p.A. potrebbero rendersi sismicamente sicuri innumerevoli edifici di carattere storico o monumentali, interi borghi e quartieri antichi di tutt’Italia.
Ed ancora, esistono metodi alternativi che utilizzano
l’hi-tech d’avanguardia. Dissipatori elastoplastici: acciai che
si lasciano deformare fortemente dal terremoto perchè non
si rompa l’edificio. Oppure i dissipatori elettro-induttivi che
creando un campo magnetico variabile, attirano l’energia del
terremoto su se stessi e la estinguono. E infine il sistema di
materiali superelastici che protegge la Basilica di San Francesco, ad Assisi: leghe, per esempio di nichel-titanio, a memoria di forma.
La loro struttura molecolare cambia sotto le onde del terremoto per tornare, subito dopo, com’era prima. Queste leghe, usate dall’industria aeronautica e in odontotecnica,
vengono ora applicate con ottimi risultati in funzione antisismica.
L’isolamento sismico è già realizzato in Italia in circa 90
12
edifici a partire dalla scuola di San
Giuliano di Puglia, nella quale durante il terremoto del 2002 morirono 27 bambini e una maestra.
In tutto il mondo, gli edifici isolati sono circa cinquemila. Questa
tecnologia è stata messa in atto in
Giappone in un progetto edilizio
di ampio respiro che interessa 60
palazzine con un’altezza non superiore ai quattro piani.
Non sono stati isolati uno
per uno, i singoli edifici, ma le
16 piattaforme, su ciascuna delle
quali poggeranno più palazzine. Il
solo precedente è l’enorme “artificial ground” antisismico di Sagamihara vicino Tokyo: un’unica Locandina evento del 15.2.2012
piattaforma di 12mila metri quadri in cemento armato sostiene 21 edifici alti fino a 14 piani. Con la stessa tecnica, recentemente, si è intervenuti per
la realizzazione del progetto C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili) dell’Aquila, purtroppo noto
anche per le vicende giudiziarie che riguardano proprio l’appalto per la fornitura e l’installazione degli isolatori sismici.
Ed arriviamo alla Calabria. Cosa si fa? Intanto è in
prima applicazione la nuova normativa antisismica regionale. Ma sul fronte della costruzione di case sismicamente sicure ancora prevale la visione della realizzazione di strutture progettate e dimensionate in modo da aumentarne la resistenza e la duttilità.
Si accetta, cioè, ancora l’idea che bisogna far assorbire
l’evento sismico alla struttura, con le sue capacità dissipative e di resistenza. Stessa filosofia si segue nel recupero e nel
rinforzo strutturale. Ovviamente tutto è corretto dal punto
di vista normativo e, se le costruzioni sono eseguite a regola d’arte seguendo le indicazioni progettuali, garantiscono la
sicurezza degli utilizzatori.
Ma perché non essere moderni e fare dei passi avanti?
Anche in considerazione del fatto che frequentemente l’adozione di queste nuove tecnologie non comporta più neppure
un extra-costo iniziale ma (soprattutto in considerazione del
forte incremento dei costi dell’acciaio) potrebbe, addirittura,
ridurre il costo di costruzione.
Ed in ogni caso, potremmo, anzi dovremmo, spendere
qualche spicciolo in più sulla struttura portante di un edificio, magari risparmiando su qualche marmo o lavandino di
lusso, per salvare vite umane, che poi sarebbero le nostre e
quelle dei nostri cari!
Serve una maggiore sensibilità verso l’argomento e, a
mio modesto parere, servirebbe un Servizio Sismico Regionale del tipo già funzionante in alcune Regioni italiane del
Centro-Nord (Emilia Romagna, Toscana, Friuli, etc.) che operi in stretta connessione con Protezione Civile, Comuni, Enti locali, liberi professionisti, ma anche con Centri di Ricerca
ed Università che si occupano di innovazione e di formazione
post-laurea in campo di protezione dalle azioni sismiche.
Per giungere alla nascita di un tale Centro, cioè di una
struttura stabilmente e continuamente operante in ambito regionale, c’è bisogno di formare il “capitale umano” di eccellenza partendo da giovani laureati e dottorandi brillanti che,
dopo congrui periodi di formazione in centri specializzati di
caratura internazionale (USA, Giappone, Italia stessa) trovino stabile occupazione in Calabria e si dedichino ad ammodernare la nostra edilizia ed anche a contribuire alla modifica della mentalità operativa dei tecnici locali, nonché dei dirigenti e dei quadri delle istituzioni locali, prima fra tutte la Regione Calabria.
Contemporaneamente si potrà agire dal basso modificando, attraverso opportune campagne di sensibilizzazione e di
divulgazione, il comportamento dei singoli cittadini, facendo
loro comprendere che non è del terremoto che bisogna aver
paura, ma delle costruzioni mal progettate, mal realizzate o
non monitorate, non adeguate o non riparate a tempo debito e
che, crollando, provocano danni, feriti e vittime o, comunque,
danni economici e sociali ingenti.
A tal riguardo è da segnalare una significativa iniziativa
della Regione Calabria, Assessorato programmazione nazionale e comunitaria, che ha deciso di finanziare con 1.200.000
euro il progetto di cooperazione RISPEISE (Rete Internazionale per lo Scambio di buone Pratiche in Edilizia Innovativa,
Sismicamente sicura ed Ecocompatibile). Tale finanziamento
avviene nell’ambito dell’Asse V del POR-FSE Calabria 20072013, finalizzato ad interventi per favorire la “transnazionalità ed Interregionalità” delle azioni di alta formazione e di ricerca scientifica e tecnologica.
Con tale finanziamento potranno finanziarsi contratti di ricercatore a tempo determinato, assegni di ricerca, borse di studio di dottorato di ricerca, ed altre attività complementari, quali
permanenza di ricercatori e professori stranieri, organizzazione
di convegni, seminari e workshop, attività di divulgazione.
Può così concretizzarsi la generazione del nucleo di “capi-
tale umano” di eccellenza che potrebbe, poi, costituire la base del Centro Regionale per la protezione antisismica, ma anche per l’innovazione in edilizia e per l’ecocompatibilità, tutti
aspetti di una moderna edilizia in Calabria.
Tale iniziativa sarà presentata (o sarà stata già presentata, per chi leggerà tale articolo) il 15 Febbraio a Vibo Valentia nell’evento annuale FSE “oltre l’orizzonte: costruiamo insieme il futuro della Calabria”, alla presenza delle massime
autorità della Regione Calabria, a partire dal presidente Scopelliti e dagli assessori Mancini, Caligiuri e Stillitani, nonché
alla presenza dei commissari della Comunità Europea, incaricati di monitorare gli interventi della Regione, volti a meglio infrastrutturare, anche in campo ricerca ed alta formazione, la regione. L’Università della Calabria, tramite il Dipartimento di Modellistica per l’Ingegneria, svolgerà un ruolo centrale, ed importante sarà la collaborazione con l’istituzione regionale, che potrà cooperare strettamente alle attività, fruendo in maniera diretta delle ricadute in termini di alta formazione dei propri dirigenti e quadri, nei campi di interesse del progetto RISPEISE.
Insomma il primo passo che, se seguito da interventi di infrastrutturazione, potrà portare la Calabria al livello di Regioni come la Toscana, l’Emilia ed il Friuli.
Fonti bibliografiche:
L. dell’Aglio - articoli su “Il Sole 24 ore” del 7.6.2002 e su “La
Repubblica del 21.11.2005.
D. Foti, M. Mongelli - Isolatori sismici per edifici esistenti e
di nuova gene razione
* Professore Scienza delle Costruzioni - Unical
Alla scoperta dei segreti
del Convento di San Domenico
attraverso la lettura
delle sue “mura”
Giulia Fresca *
I
l complesso monastico di San
Domenico, una delle meraviglie
ancora poco note della Città di
Cosenza è un grande patrimonio culturale da scoprire: una miniera
di testimonianze, di memorie, di emozioni, che ci accolgono nella maestosità della storia. Un luogo conosciuto a
pochi perché fino a qualche anno nella sua destinazione a Caserma “Fratelli Bandiera” è stato “limite invalicabile” e, come per tutte le aree militari,
sono anche pochi i riferimenti storico-bibliografici disponibili sulla parte
prettamente conventuale comportan-
Foto storica
do la monopolizzazione dell’adiacente
Chiesa Domenicana quale meta di visitatori e studiosi.
Dalle rare fonti difficilmente reperibili, apprendiamo che il complesso monastico-conventuale fu «fondato
il 10 dicembre 1448 da Antonio Sanseverino, principe di Bisignano, con
il breve assenso del Papa Niccolò V e
che, cinque mesi dopo, iniziarono i lavori di costruzione che furono completati con la prima celebrazione del
vespro il 25 gennaio 1469».
Esattamente 543 anni fa, che hanno visto tra quelle mura, la presenza di
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13
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padri domenicani, alluminatori di mirabili codici manoscritti e miniaturisti, ma anche speziali e predicatori come Tommaso Campanella, Vincenzo
Bandello, Generale dell’Ordine dei domenicani nel 1501 ed autore di opere
sacre ed il nipote Matteo, noto novelliere del Cinquecento che in quel luogo par quasi di vederli entrare nel Capitulum e nel Refectorium.
Quando Domenico di Guzman
(1170-1221), preso dall’ansia della salvezza delle anime, nel 1216 fonda l’Ordine dei Predicatori, tramuta questa
sua impellente preoccupazione in aiuto concreto verso ogni essere umano
alla ricerca di Dio. Da qui la premura di convertire i suoi frati in “mendicanti della verità”, inviandoli presso le
migliori università del tempo, per conoscere e studiare le diverse peculiarità dell’uomo. In virtù di ciò, anche
il patrimonio architettonico degli ex
conventi domenicani permette all’uomo contemporaneo di considerare valori persi e da ritrovare: silenzio, ascolto, dialogo e testimonianza. Ciò attraverso la semplicità e la purezza delle linee che danno vastità e luminosità agli spazi, agli imponenti colonnati del chiostro, i luminosi corridoi,
le modeste ma pur funzionali celle, il
conviviale refettorio, l’indispensabile
“Officinae” dove confezionavano rimedi farmaceutici, ma anche i luoghi per
gli incontri con il popolo bisognoso.
La dimensione della predicazione cristiana è quella di essere itinerante, in virtù del suo carattere universale: e per tale motivo i conventi domenicani, benché costruiti fra le case de-
chiostro
14
gli uomini, venivano collocati in prossimità dell’uscita di una città, per permettere ai frati d’essere sempre pronti
e disponibili all’urgente necessità della
predicazione. La spiritualità domenicana consente di percorrere un itinerario
nella storia dell’uomo, attraverso i suoi
aspetti gioiosi e drammatici, verso un
altro mondo possibile, perché più positivo e più bello, e che si identifica con la
“città di Dio”. In una parola, le strutture architettoniche aiutavano il frate nel
“vivere la comunità e abitare la città”.
Il complesso monastico conventuale di San Domenico a Cosenza, non
è ancora attribuito ad alcun progettista specifico e sebbene si siano succeduti, scalpellini e maestranze locali, le
sue caratteristiche peculiari e l’anno
di realizzazione, nascondono, con altissima possibilità, una firma importante, quella dell’architetto napoletano, allievo di Angelo Aniello Fiore, No-
Lapide
vello da San Lucano che ha legato il
suo nome al restauro rinascimentale,
dopo i danni del terremoto del 1456,
della chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli e quella del Palazzo Sanseverino, nel quale introdusse per la facciata, l’utilizzo di blocchi bugnati in
piperno.
Alla firma “mancante “ dell’architetto, importante è invece la presenza dei “committenti” che hanno lasciato la loro traccia negli ornamenti
architettonici e ciò non solo in virtù
della volontà a realizzare il convento
ma perché il cenobio potesse goderne
della protezione, ed in particolare del
principe Antonio Sanseverino di Bisignano e di sua moglie la principessa
Erina Kastriota Skanderbeg.
Facendo inoltre riferimento alla
notorietà che la predicazione dome-
rosone visto da dentro
nicana si manifesta anche nella costanza di alcuni caratteri architettonici, il convento di San Domenico a
Cosenza non fa eccezione, presentando anche esso degli elementi ricorrenti: chiostro e portico con volta a crociera, grandi aperture con arco a tutto
sesto e balconate, elementi ornamentali con fiori e frutta e naturalmente
la ricorrenza dei colori tipici della blasonatura dello stemma dei Domenicani: il bianco ed il nero. Il “bianco”,
per il Frate domenicano è segno e simbolo di purezza e di castità, mentre il
“nero”, di rinuncia e di penitenza. La
“stella”, per la tradizione domenicana,
è simbolo di predestinazione e segno
personale di San Domenico, poiché si
narra che, nel giorno del battesimo, la
madrina vide risplendere una fulgida
stella sulla fronte del Santo. Il “giglio”
è invece simbolo di integrità e moralità, ma tanti, ancora da decifrare sono i simbolismi presenti del Convento cosentino.
Il luogo della memoria domenicana da far conoscere “nel rispetto della struttura quadra con sei dormitori
nelli quali vi sono camere in numero
di cinquanta con li suoi quattro claustri ed officine necessarie” come scriveva nelle memorie domenicane Padre Guglielmo Esposito in “S. Domenico di Cosenza (1447-1863)”.
Un luogo che diviene un “Vuoto a
Memoria” da colmare, che può essere
riscoperto e che aiuterà a superare il
mal di vivere dell’uomo contemporaneo. È sufficiente solo “varcare” una
soglia!
* Giornalista
educazione
ambientale
come occasione
per ripensare
il futuro
Silvia Cammarata *
P
otrebbe sembrare anacronistico dare spazio all’ Educazione ambientale in tempi difficili come questi, con
la crisi economica che serpeggia per
tutto il pianeta.
Eppure, uno degli slogan dei movimenti di “indignati” sparsi per il
mondo è “meno banche, più scuole”,
insieme alla richiesta che i cittadini
tornino ad essere protagonisti della propria vita e non agitati dal potere delle finanziarie. E’ ormai generalmente condivisa l’idea che lo sviluppo senza limiti e la concezione proprietaria delle risorse hanno determinato la crisi ecologica del pianeta, nel
mentre si allarga sempre più il disagio psichico e sociale.
L’attuale realtà del mondo fa
emergere il bisogno di nuove identità e linguaggi che riscoprano il valore delle emozioni, dell’intuizione e
della creatività, come elementi di una
diversa scala di valori, basata sul riconoscimento delle differenze biologiche e culturali, tenendo conto che
l’aumento delle diversità genetiche e
della complessità biologica segnalano
la vitalità degli ecosistemi.
Da qui l’esigenza di una nuova etica socio-ambientale volta a sostituire
alla mentalità predatoria e consumista la coscienza del limite e il valore
della solidarietà di specie, da identificare nella responsabilità che abbiamo
verso le generazioni future.
Attraverso la scuola dobbiamo investire nelle nuove generazioni perché gestiscano la salute e la bellezza del pianeta con maggiore consapevolezza e responsabilità di noi, cercando, nel contempo, di capire dove
stiamo andando e quali modelli di vita e di sviluppo vogliamo prefigurarci come obiettivo auspicabile e insieme possibile.
In quest’ottica lavora il Centro
di esperienza ambientale “Casa della Natura” di Rende – attualmente impegnato nello svolgimento del
programma regionale InFEA (Infor-
mazione, Formazione ed Educazione Ambientale) - coinvolgendo nelle sue attività di lettura interpretativa del territorio le scuole di ogni ordine e grado.
Utilizzando circa novemila metri
quadri di terreno intorno alla struttura centrale, offre la possibilità di fare esperienza direttamente sul campo, perché l’educazione ambientale comincia quando si aprono le finestre, le porte della scuola e ci si lascia
trasportare dal gusto dell’esplorazione, della scoperta, dell’avventura co-
noscitiva ed emozionale.
L’ambiente non si presenta come
l’oggetto statico del vedere, ma chiede di essere esplorato in quanto unità spazio-temporale, permanente e al
tempo stesso variabile, i cui significati cambiano da persona a persona, da
un luogo all’altro e nel tempo. Ambiente come spazio psicologico, non
coincidente con lo spazio fisico.
Sentirsi parte e non padroni della Terra, ritrovare il rapporto diretto,
non mediato culturalmente, tra noi e
la natura, riconoscersi elementi di un
tutto che ubbidisce a leggi di armonia e di equilibrio, scoprirsi parte organica del cosmo, consente di costruire nuove strutture concettuali proprio perché si prende atto della complessità dell’ambiente, sistema interrelato che rimanda sempre dal locale al globale, così che ogni nostra singola azione non è mai indifferente per
il Pianeta.
Il messaggio ecologico si rivolge
ai singoli individui chiedendo loro di
condividere con altri la responsabilità
della tutela dell’ambiente, con l’obiettivo condiviso di conservare e mantenere in equilibrio il bene ambientale
senza che le risorse vengano sperperate, non superando il limite oltre il
quale il sistema ambiente si collassa,
va in crisi, si ammala, ci fa male.
Ecco perché il ruolo dell’educazione ambientale assume una rilevanza
che va oltre l’esperienza che può svilupparsi all’interno delle scuole, ma
si estende alla dimensione dell’educazione permanente così che il cambiamento possa essere proposto e accolto a tutti i livelli della società.
Educazione ambientale quindi,
non come spazio aggiuntivo rispetto
ai contenuti didattici consolidati, ma
come costruzione di nuovi paradigmi
che si strutturano secondo le categorie dello “spazio” e del “tempo biologico”, dando concretezza a un “apprendimento per l’evoluzione” volto
a sviluppare responsabilità individuali e collettive che rendano praticabile
un’educazione al futuro fondata sulla
coscienza del limite e sulla solidarietà di specie.
* Responsabile Centro di esperienza
ambientale “Casa della Natura” di Rende
15
Calabria: ultimo rifugio
italiano della tartaruga marina,
specie simbolo per la tutela
delle coste e del mare
Antonio T. Mingozzi *
S
ono molto vari e contrastanti i sentimenti che le specie animali suscitano nell’immaginario umano: possono essere di attrazione, repulsione o indifferenza. Vi sono
specie che, più di altre, per ragioni simboliche o in virtù delle loro caratteristiche morfologiche, biologiche o comportamentali (si pensi alla cicogna o al panda), mostrano un particolare valore attrattivo per larghi strati dell’opinione pubblica. Sono le specie che gli zoologi chiamano “specie bandiera” per la grande importanza strategica che hanno nel-
Primo piano di una femmina di tartaruga marina, in emersione notturna
su una spiaggia reggina per la nidificazione (foto P. Storino).
la conservazione della natura, tanto più se per le loro caratteristiche ecologiche svolgono un ruolo chiave negli ecosistemi: la loro tutela implicala automaticamente la conservazione di numerose altre specie, a esse direttamente o indirettamente legate, attraverso la salvaguardia di estensioni
di habitat e paesaggi naturali.
La tartaruga marina (Caretta caretta) è certamente una
di queste. Una “misura” della sua popolarità è l’elevatissimo
numero di pagine Internet a lei dedicate, anche come riflesso dello stato di allarmante declino di molte sue popolazioni. Se si considera, poi, il doppio legame di questo animale
con la terraferma (le spiagge) e il mare, nonché varie altre
16
sue peculiarità biologiche, se ne comprende la grande rilevanza naturalistica e le particolari attenzioni conservazionistiche di cui è oggetto.
La tartaruga marina è una delle venti specie di vertebrati più rare e minacciate a livello nazionale e fortemente a rischio di scomparsa in tutto il Mediterraneo.
In passato, la sua nidificazione in Italia era, con ogni
probabilità, un fenomeno relativamente diffuso lungo le coste del Meridione, ma i dati al riguardo sono piuttosto sporadici e imprecisi. In anni più recenti, la nidificazione era
oramai ritenuta, a livello nazionale, come sporadica o occasionale, eccezion fatta per le Isole Pelagie (2-3 nidificazioni/anno, nel ventennio 1980-1999), ma nessuna ricerca era
mai stata realmente condotta lungo la costa ionica centromeridionale della Calabria, dove, sino al 1999, risultavano
una decina di casi certi di nidificazione.
Da questo quadro così lacunoso di conoscenze che, tuttavia, lasciava ipotizzare una realtà diversa da quella ufficialmente riconosciuta, nasce nella primavera 2000 un progetto di ricerca dell’Università della Calabria. Le indagini
dell’Università portano a risultati oltre ogni previsione. Si
scopre, infatti, che “l’ultimo rifugio” della tartaruga marina
in Italia non sono le Isole Pelagie, bensì proprio la costa ionica della Calabria, dove il nostro chelone si riproduce ancora regolarmente, ed in numero ben più consistente, in
particolare lungo il tratto di costa reggina.
Certo, non si tratta di centinaia di nidi, come ancora si
verifica sulle spiagge della Grecia, ma “solo” di 10-20 deposizioni a stagione, che, tuttavia, rappresentando, secondo gli
anni, dal 60 al 90% dei nidi segnalati in Italia. Dagli inizi del
progetto a oggi, la ricerca dell’Università ha garantito l’arrivo al mare di oltre 7000 piccole tartarughe. Sono numeri
che fanno della costa ionica calabrese la più importante e la
più regolare area di riproduzione di Caretta a livello nazionale. Si aggiunga, che le tartarughe calabresi si sono rivelate essere un “unicum” biologico, poiché mostrano caratteristiche genetiche - evidenziate dagli studi condotti da UNICAL in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata - che le differenziano da tutte le altre popolazioni mediterranee.
Il futuro di questa importante area di nidificazione, relitto di una ben più consistente popolazione del passato, è,
tuttavia, fortemente a rischio. Le abitudini di vita di questi
rettili, si scontrano con il crescente uso antropico delle coste e del mare. I rischi a cui vanno incontro le nidiate sono
molteplici, se si considera che il periodo di schiusa coincide
Schiusa di piccoli di Tartaruga marina dal nido deposto sotto la sabbia
(Foto T. Mingozzi).
in larga misura con il periodo di massimo affollamento turistico delle spiagge: lo spianamento e la pulizia meccanica
degli arenili, il passaggio di mezzi fuoristrada possono es-
sere causa di distruzione di intere nidiate. Così come lo sono le luci artificiali di lungomare, lidi o altro, forse il maggior fattore di rischio, oltre all’erosione costiera. Le cause
del grave declino di questa specie sono da ricercarsi anche
nel forte incremento della mortalità nella fase di vita marina. Le cause riguardano il diretto impatto che l’inquinamento marino, lo sviluppo del traffico nautico e, soprattutto, le attività di pesca, hanno su questi animali.
Tutelare la tartaruga marina significa, in effetti, tutelare il mare e le spiagge dal degrado. La speranza è che la Costa Ionica reggina possa diventare davvero la “Costa delle
tartarughe”, unica in Italia, nel segno di un maturato impegno delle amministrazioni e di tutti i cittadini per il rispetto
e la tutela di questi straordinari animali e dell’ambiente in
cui si riproducono. Allora, la nostra tartaruga potrebbe veramente diventare un richiamo forte (il “valore aggiunto”)
per uno sviluppo turistico di quest’area costiera, basato sulla salvaguardia e la fruizione intelligente delle sue peculiari risorse naturali.
* Dipartimento di Ecologia, Università della Calabria, Rende CS
Responsabile Progetto TARTACare Calabria
I 110 Signori
del Mare
Esplorazione di grotte
nel territorio del Comune
di Placanica
Giovanna Tenuta *
P
lacanica è un posto molto
particolare, prediletto da Dio
dove si cela un mondo del
tutto nuovo, mai conosciuto prima, chiamato la Grotta dei 110
Signori del Mare. Scoperto ed esplorato da un team di giovani speleologi
e studiosi dei suggestivi ambienti sotterranei nel territorio delle Serre Calabresi, si tratta di una struttura ipogea abbastanza ampia che forma numerose curve ed anfratti e offre potenzialmente protezione sia a uomini che
a bestiame.
I suoi ambienti risultano semplici e al contempo molto interessanti e
– sebbene caratterizzati da grosse frane, oltre che da una coltre calcitica
che ne riveste le pareti – sono attualmente percorribili e adattabili all’uso
antropico. La grotta termina a ridosso di grossi massi che sono serviti per
stabilizzare la sovrastante strada forestale. Questa grotta è potenzialmente d’interesse archeologico per la sua
posizione protetta e nascosta, la sua
entrata piuttosto stretta e facilmente
controllabile, contrapposta agli am-
pi ambienti interni. Sotto lo strato di
terra e di massi crollati potrebbero celarsi interessanti reperti.
Infatti, la storia di questo luogo bellissimo è legata alle scoperte archeologiche effettuate da parte dell’avvocato Mario Tolone che, tra
gli anni Settanta e Novanta, ha rinvenuto nella zona di Girifalco un centinaio di statuette e tavolette in pietra o terracotta cosparse di iscrizioni
realizzate in una lingua iberica simile al basco, utilizzata dai popoli primitivi del Mediterraneo, dove viene narrata la storia di una civiltà, quella dei
Pelasgi, antichi abitatori della Grecia
che furono, con molta probabilità,
una popolazione di origine non greca ma presente in Grecia e nelle isole dell’Egeo nel II millennio a.C. e migrata anche in varie regioni del Vicino
Oriente e dell’Italia. Tali reperti ceramici indicavano inoltre l’uso dei megaliti quali centri rituali da parte di
genti del primo neolitico, comprendendo alcune mappe della zona di
Placanica.
Il mito ci racconta che intorno
al 7000 a.C. uomini di questa civiltà provenienti dall’Egitto e dalla Siria
avrebbero lasciato le loro terre per rifugiarsi in Calabria a seguito di un
immenso tsunami che avrebbe deva-
>>>
17
stato le loro terre dopo lo scioglimento dei ghiacci dell’ultima era glaciale,
nell’epoca circa del Terzo Diluvio.
Questi uomini avrebbero portato
con sé i feretri dei loro sovrani depositandoli in questa grotta in attesa di
una migliore sepoltura e che fossero
completate le nuove tombe di cui si
suppone l’esistenza nei pressi dei siti
megalitici della vicina Nardodipace.
Alcune di queste tavolette descrivono il rito di sepoltura dei Re del
Mare. E una delle scritte menziona
appunto le 110 bare dei sovrani di
stirpe pelasgica tratti in salvo nel
6.700 a.C. da un diluvio che sarebbero approdate presso l’odierna Squillace, per poi raggiungere la zona di
Placanica ed essere custodite temporaneamente nella grotta di Monte Gallo. Qui sarebbero rimaste per
oltre sei anni, per poi essere conservate in strutture megalitiche (formate cioè da grossi massi,) nell’area di
Nardodipace.
Fino a ieri tutto questo era solo
una leggenda. Oggi invece comincia ad assumere i tratti di un’inda-
gine scientifica, che potrebbe portare a scoperte molto interessanti come il geroglifico inciso nella roccia
a circa tre metri di altezza rinvenuto proprio all’ingresso della Grotta
dei Re, in località Monte Gallo, che
corrisponderebbe alla scritta iberica
“sepolture” (CU-TO-L) e che indicherebbe la presenza di una necropoli di
Pelasgi, Popoli del Mare.
L’origine della storia di Placanica
viene di norma fatta risalire al medioevo. Ma alcune scoperte recenti
suggerirebbero datazioni più lontane
nel tempo. Alcune ricognizioni di superficie, ad esempio, hanno permesso di individuare nella zona alcune
cave per l’estrazione di metalli, che
probabilmente risalgono al periodo
magno-greco (VIII sec. a.C.). In contrada Titi, inoltre, qualche anno fa
sono stati rinvenuti dei resti di scheletri umani probabilmente appartenenti a una necropoli della prima età
neolitica.
Il team, dopo l’ispezione, attraverso ardite calate in parete, di altri luoghi di interesse speleologico
come la Grotta delle Fate e il Covolo
dell’Anfranco – due ambienti presentanti graziose concrezioni, sviluppati
per circa 20 metri – ha raggiunto infine siti già individuati in precedenza, in particolare nella zona del Monte Gallo e Survia.
La missione ha coinvolto ben
quattro associazioni (Pangea, Gruppo Speleologico CAI di Feltre, Akakor Geographical Exploring e Città della Porta di Alfonso Carè) composte ciascuna da un gruppo eterogeneo i cui componenti hanno specifiche competenze ed è stata realizzata con il supporto del Comune di Placanica, paese ormai diventato noto
punto di interesse archeologico grazie all’emozionante avventura degli
speleologi che ha fatto il giro dei social network, suscitando la curiosità
di numerosi loro colleghi, esperti ed
appassionati di settore.
Il prossimo passo, data la notevole presenza dei segnali geologici e
archeologici in questo territorio, sarà scoprire se nella Grotta dei Re sono stati davvero inumati i 110 Re Pelasgi. Pertanto futuri scavi saranno
rivolti alla ricerca di scorie litiche,
utensili e ossa.
* Archeologa (Cs)
18
Il mito di Atlantide
è nato a Crotone
Da Pitagora
a Platone
Domenico Canino *
I
l mito di Atlantide è uno dei più affascinanti misteri dell’antichità, è la storia di un continente scomparso migliaia di anni fa a causa di un cataclisma. Fantastica la descrizione che ne fa Platone nelle sue opere Timeo e Crizia: un isola più grande della Sicilia e della Libia messe insieme, con una pianta della capitale a cerchi concentrici divisi da canali navigabili, e sopra ogni cosa depositaria di avanzatissime conoscenze tecnologiche, sprofondata
per un evento catastrofico negli abissi in un solo giorno! E’
un racconto che ha solleticato la curiosità di tanti studiosi nei
secoli, poiché se davvero fosse esistita nell’antichità una civiltà così avanzata, la storia dell’evoluzione della civiltà umana
andrebbe riscritta.
Platone afferma di aver appreso la storia di Atlantide dal
sapiente greco Solone, che l’avrebbe sentita a sua volta dai
sacerdoti di Sais in Egitto. Ma forse è stato un espediente narrativo per nascondere la vera fonte da cui apprese il mito, la
scuola di Pitagora a Crotone. Infatti moltissimi storici antichi
ci raccontano la storia in un altro modo.
Nel “De Antiquitate et situ Calabriae” del 1571 Gabriele
Barrio ci racconta : “Come Ermippo presso Laerzio e Plutarco
a proposito di Platone tramandano, comprò tre libri di Filolao
di Crotone della scuola Pitagorica dai suoi compagni con cento mine alessandrine d’argento, somma ricevuta dal tiranno
Dionigi e da questi libri Platone trascrive molti elementi nel
suo Timeo. Li leggeva con tanta attenzione che furono trovati nella sua tomba presso il suo capo”.
Il Timeo è il dialogo in cui Platone parla dell’ isola di Atlante, che quindi sarebbe un lavoro della scuola dei Pitagorici di Crotone e non dei racconti di Solone di Atene.
Pitagora infatti studiò per quasi dieci anni in Egitto presso dei sacerdoti, prima di giungere nel 432 a.C. a Crotone
per insegnare, ed aveva avuto dunque una reale frequentazione della sapienza egizia. Aveva imparato dai sacerdoti caldei ed egizi tutto il sapere antico della umanità: astronomia,
matematica, musica, storia, e fisica. Il cosiddetto teorema di
Pitagora, era in realtà una comune conoscenza mesopotamica come si evince dalle tavolette cuneiformi sumere in cui è
dimostrato chiaramente. Noi occidentali però non avremmo
mai conosciuto questa antica sapienza orientale, se Pitagora
non avesse fondato la scuola di Crotone. Egli trasmise ai suoi
allievi tutto il suo sapere, ma con il divieto espresso di scriverne. Solo alla sua morte, alcuni tra loro scrissero dei libri,
Filolao di Crotone e Timeo di Locri furono tra questi. Tutto
sapere Pitagorico è giunto a noi tramite le opere dei suoi allievi. Platone viaggiando in Magna Grecia venne a conoscenza di questi libri fondamentali per l’umanità, e spese una cifra folle per averli.
Molti altri storici della antichità confermano la storia dei
tre libri di Filolao.
Porfirio: “fino a Filolao non fu possibile conoscere il pensiero di Pitagora; fu Filolao il solo che divulga i tre famosi libri, che Platone si fece comprare al prezzo di cento mine”
Aulo Gellio: “È stato tramandato che il filosofo Platone,
pur avendo un patrimonio familiare assai modesto, acquistò
tre libri del filosofo pitagorico Filolao del 10.000 denari ...”
Timone nel suo libro Sillos (Satira), apostrofa in modo
ingiurioso Platone:
“Tu pur, Platone, istruir ti volesti: Con molti soldi un piacevol libro comprasti con l’aiuto del quale il Timeo scrivesti...”
Diogene Laerzio: “Dicono alcuni, tra cui anche Satiro,
che (Platone) scrisse a Dione in Sicilia di comprargli i tre libri
pitagorici di Filolao per cento mine.
Cento mine erano una vera fortuna, Platone avrebbe potuto vivere da nababbo per il resto della vita, invece comprò questi famosi libri di Filolao da cui trasse il Timeo. Ma
chi era Timeo, il protagonista del dialogo platonico? Era Timeo di Locri, un altro allievo di Pitagora! Timeo ed Arione
di Locri furono infatti i fondatori di una fiorente scuola di Pitagorismo alla quale si interessò lo stesso Platone che, stando a quanto attesta Cicerone (De Finibus Bonorum et Malorum, V - 29, 87), si recò di persona a Locri per apprenderne
i fondamenti. Insomma Platone andò a Locri a farsi raccontare la storia da Timeo in persona, ed intitola il dialogo proprio a lui.
Pitagora e la sua scuola sarebbero dunque la vera fonte del
Timeo e del racconto di Atlantide, e confermano come la sapienza scientifica, storica, filosofica della scuola Pitagorica di
Crotone fosse in quel tempo la più avanzata del mondo, e di
come ancora oggi a distanza di 25 secoli noi ancora utilizziamo quel patrimonio di conoscenza .
* Architetto
19
“NEL SEGNO DELLA
MEZZALUNA ARABA”
Il rapporto tra Cristiani
e Musulmani:
dialogo o scontro?
C
orreva l’anno 1219 quando Francesco di Assisi,
“per puro spirito di martirio”, decise di incontrare, in occasione dell’assedio crociato alla città egizia di Damietta, il
nipote di Saladino, il sultano AyyUbide al-Malik al kamil. Da allora, come
suol dirsi, molta acqua è passata sotto i ponti, e molto sangue è stato sparso nello scontro tra gli esponenti delle più grandi religioni monoteiste del
mondo, l’Islam ed il Cristianesimo.
Oggi, nei paesi della “mezza luna”, all’indomani della “primavera
araba”, regna un clima di incertezza,
laddove i primi passi delle neonate democrazie Libica ed Egizia, si contrappongono alle notizie di tanti cristiani
trucidati in Nigeria durante le festività Natalizie.
Ho l’occasione di parlarne con Simone Nardella, un amico cosentino
che all’età di 18 anni si è convertito
dal cattolicesimo all’Islam.
Egli vive ad Alessandria d’Egitto e
proviene da Londra dove studia arabo
presso la “Scuola di studi Orientali ed
Africani; appena può torna a Cosenza
dai suoi familiari.
In arabo il suo nome è Sa’id che
vuol dire felice.
Si definisce musulmano sunnita,
ma non Salafita o Wahhabita (che rappresentano le frange estremiste).
Ha uno sguardo sincero, mentre tiene tra le mani il “rosario” arabo con cui si recitano, tra l’altro, i 99
nomi di Dio.
Prima di iniziare la nostra conver-
20
Pino Barbarossa *
sericordia ed alla giustisazione chiede di poter terzia verso tutti e la Jihad
minare la sua preghiera; lo
è una eccezione in conguardo ammirato.
dizioni di oppressione o
Dopo un po’ gli chiepersecuzione”.
do: ha senso parlare di un
Sembra, però, che,
Islam moderato, oppure è
dinanzi a gesti tanto efuna scaramantica invenferati, l’ufficialità del
zione dell’Occidente, visto,
mondo musulmano tacperaltro, che non si sente
cia…
mai parlare di buddisti o
“I testi del Corano
induisti moderati?
e gli insegnamenti del
“Più che parlare di
profeta, condannano di
Islam moderato, parlerei Simone Nardella
per sé questi estremidi musulmani estremisti;
l’Islam fin dal principio, ha un ap- smi; esistono già organizzazioni inproccio moderato alla vita spirituale, ternazionali di sapienti che cercano
sociale e religiosa, tant’è che il mona- di istruire la gente, di far capire che
chesimo viene considerata una forma questa non è la religione islamica”.
A Roma sorge una delle più grandi
estrema di religiosità. Dio ci dà una
legge semplice da vivere e seguire; Moschee d’Europa, ma non mi risulta
l’Islam non è quello che si fa spazio, che in Arabia Saudita o in Iran sia così
uccidendo membri di altre religioni”. semplice solo celebrare una Messa!
“Sull’Iran sciita non rispondo, non
Gli faccio presente un versetto del
Corano dove si legge: “getterai il ter- conoscendo a fondo la sua legislaziorore nei cuori dei miscredenti: colpi- ne. Ai tempi del Profeta, una Messa
teli tra capo e collo, su tutte le falan- venne celebrata nella moschea di Medina, quando una congregazione di
gi”:
“In Egitto ho potuto toccare con cristiani gli fece visita; oggi l’Arabia
mano come sia reale e leale la colla- è concepita come luogo inviolabile,
borazione tra arabi e cristiani; questi perché lì c’è il senso di tale vicinanza
ultimi ad organizzare veglie di pre- all’Islam che non consentiamo di ceghiera per i morti durante gli scon- lebrarvi un mistero trinitario, in cui,
tri tra polizia e manifestanti in Piaz- evidentemente non crediamo”.
In sostanza, il problema del rapza Tarir; i primi, resisi disponibili a
fare da scudi umani, per consentire porto inter-religioso, pare resti proai cristiani copti, di partecipare alla prio quello relativo alla terra dove CriMessa di natale. Il versetto citato non sto scelse di nascere. Gli Ebrei conteva preso singolarmente, ma va riferi- stano ai musulmani di aver violato il
to ad un contesto storico particolare; Tempio di Salomone, costruendo la
non è l’esortazione all’inimicizia, ma Moschea di Oman; dal canto loro, i
la legittimità a salvarsi, se oppressi. musulmani stentano a riconoscere lo
Del resto il Corano è pieni di altri ver- Stato d’Israele, fino a volerlo anniensetti che incitano all’amore, alla mi- tare, come sostengono gli Iraniani:
“Il problema è cronologico e di lettura dei testi sacri. I Musulmani considerano la loro religione come una
continuazione di quella ebraica e cristiana. Gli Ebrei non riconoscono Gesù e Maometto come profeti; Maometto giunse sulla spianata del tempio quando lo stesso era stato distrut-
to secondo la profezia di Gesù, e da lì
ascese al cielo”.
Sarà mai possibile, dunque, una
pacifica convivenza tra credenti
nell’unico Dio?
“In Egitto, cristiani copti e musulmani vanno d’accordo da secoli. In effetti, il problema è la negazione dei diritti dei palestinesi; se continueranno
ad essere negati, una guerra potrebbe
scoppiare; coloro che detengono il potere dovrebbero far di tutto perché lo
Stato Ebraico e quello Palestinese abbiano gli stessi diritti”.
Ma ciò non può che essere nelle
mani di Dio. Propongo a Sa’id di pregare insieme: non esita a farlo; recitiamo, uno accanto all’altro, la prima
sura del Corano, chiamata “l’Aprente” proprio perché dà inizio al Libro
Sacro e viene recitata almeno 17 vol-
te nel corso delle 5 preghiere quotidiane dei Musulmani; a seguire il “Padre Nostro.” Mi sembra di riascoltare
le parole di Giovanni XXIII: “A ciascuno di noi non verrà chiesto se ha fatto
l’unità, ma se per essa ha pregato, lavorato, sofferto”.
Saluto Sa’id sperando di incontrarlo nuovamente, magari in uno dei
due luoghi di culto, dedicati ai musulmani, che sorgono a Cosenza, uno
vicino all’edificio delle Poste Centrali, uno nei pressi del centro socio-culturale “Stella Cometa”, convinto come sono che, nel rapporto inter-religioso, ogni passo resti un’orma indelebile, su cui altri potranno muoversi… naturalmente, in sha allah, (se
Dio vuole!).
* Giornalista pubblicista
L’industria
del rame
nella storia
economica
calabrese
Franco Michele Greco *
L’
artigianato in rame, nei secoli passati, è stato tanto
fiorente da far annoverare
Dipignano, paese dell’entroterra cosentino, come uno dei più
cospicui centri del regno meridionale. I calderai, infatti, consolidarono
un sistema industriale con largo anticipo sulle più consistenti esperienze
settecentesche, mancando poi all’ap-
puntamento della grande crescita della struttura industriale in formazione nell’Italia unificata. Il tessuto produttivo cresciuto attraverso il medioevo e i primi secoli dell’età moderna,
riguardò una stretta integrazione tra
industria del rame e attività agro-pastorali legate alla produzione dei beni
alimentari indispensabili alla sopravvivenza della comunità. Ogni manu-
fatto in rame, dal più umile al più raffinato, era frutto di una puntuale ricerca ed incorporava secoli di storia
e di civiltà applicati alla creatività artigiana. E ogni pezzo raccontava gli
echi e i rumori delle fumose forge, dove i riflessi patinati e il calore del metallo rosso rievocavano l’arte del rame
e dei suoi protagonisti.
Con la fonderia delle campane, ra-
>>>
21
Arte
>>>
rissimi bronzi considerati autentici
capolavori dell’artigianato artistico,
si ha la certezza dell’esistenza in Dipignano di un’attività metallurgica
assai importante.
Come tanti altri gruppi di artigiani nomadi e come tanti altri praticanti di antichi mestieri, i calderai (varbottari o erbari), vissero per
secoli senza dimenticare il loro misterioso linguaggio, conosciuto come “a parra ammâšcânte”, che era
per metà gergo professionale e per
metà retaggio curioso del loro girovagare. Artigiani itineranti, sin dal
1300, generazione dopo generazione, raggiunsero quasi tutti i centri
del Mezzogiorno, spingendosi anche
oltre, per esportare il lavoro svolto
nelle forge. Un documento del ‘600,
che ho riportato alla luce qualche
anno fa e che ci informa dell’omicidio di “un calderaio maltese nelle pertinenze del casale dipignanese”, conferma come Dipignano fosse il più importante centro per la lavorazione del rame dell’intera Calabria. L’ultima grande impresa della consorteria artigiana dipignanese
fu la rifusione, nel 1920, della “campana santa” per la chiesa dell’Ecce
Homo, meglio conosciuta come la
“campana di Marciano” risalente al
1633: quasi un canto del cigno per
i ramai-artisti, che diedero il meglio
di sé stessi per dare al paese l’ultimo
parto della loro creatività.
Tramontava così un’arte millenaria, in una terra dove i calderai invecchiavano con le loro creazioni tra
le mani.
Soltanto oggi mi è facile comprendere certe abitudini che da
22
bambino mi sembravano senza senso, quell’attaccamento che mio padre, uno degli ultimi artigiani dipignanesi, aveva per ogni oggetto, anche il più insignificante. Gli alambicchi per distillare l’acquavite, le
pompe in rame per inzolfare i vigneti, le oliere, le lanterne, gli imbuti, le stadere, gli “spitilli” per tostare il caffè, gli sfasciati utensili di
rame che conservava, erano ricordi.
E i ricordi non si buttano via mai.
Anche se sono memorie di un periodo triste, di guerra e di fame. Chi ha
conosciuto la miseria, come i “quadarari” dell’ultima generazione, non
può dimenticare. Custodire gli oggetti, gli antichi manufatti, per mio
padre non era solo un modo per tenere vivo il passato, ma serviva a non
dimenticare un’economia importante: “quel passato-diceva- può sempre
tornare presente”.
Ripensando all’esperienza di mio
padre, rivedo il suo laboratorio come
un mondo a parte, un luogo sospeso
nel tempo, estraneo ai ritmi convulsi di oggi.
Mio padre si estraniava dal mondo e questo laboratorio era il suo
mondo. C’è una vita intera tra queste mura, anzi più di una. Ogni angolo, ogni oggetto ha una sua storia da raccontare, da tramandare.
Nel romanzo “Le baracche”, scritto
da Fortunato Seminara nel 1934 e
pubblicato nel 1942, si staglia nitida
e suggestiva l’immagine di un calderaio e della sua bottega: “ Il lavoro non è una vergogna; l’ozio è una
vergogna”, disse il calderaio a mo’ di
sentenza. E con una sorta di orgoglio mostrò le sue mani annerite e
incallite dal lavoro […] Questa è la
mia bottega: ben fornita, come vedete…”.
E mentre sto per concludere, mi
vengono in mente le parole di Antonio Gaudì, considerato uno dei più
grandi architetti degli ultimi due
secoli tanto da meritare l’appellativo di “architetto di Dio”: “Io posseggo questa qualità di vedere lo spazio perché sono figlio, nipote e pronipote di calderai. Il calderaio è colui che da una lastra piana compone un volume e, prima di iniziare il
suo lavoro lo ha già concepito nello spazio”.
XX
Quattro importanti
Mostre dal Futurismo
al Secondo Novecento
realizzate
dal 2009 al 2011
Roberto Sottile *
Q
uatto mostre realizzate dal
2009 al 2011 per celebrare
il Novecento promosse dal
Centro per l’Arte e la Cultura Achille Capizzano di Rende hanno
caratterizzato l’attività del Centro stesso, nato nel 1997 per iniziativa dell’On.
Sandro Principe che assieme ad un
gruppo di intellettuali ha dato vita ad
una lunga stagione di eventi che vanno
dalle mostre personali di importanti artisti calabresi come Luigi Magli, Giuseppe Gallo, Donato Magli e Francomà,
alle mostre di Domenico Lo Russo Luigi Di Sarro a mostre con la presenza
di importanti artisti come De Chirico,
Morandi, Guttuso, Levi, Sironi, tanti
altri ancora. Il 2009 in occasione del
centenario del Futurismo due gli eventi
programmati: il primo sostenuto interamente dall’Amministrazione Comunale di Rende, Omaggio ad Umberto
Boccioni a cura di Bruno Corà e Tonino Sicoli, con doppia sede espositiva
presso il Museo di Lugano e il MAON,
* Studioso di storia e antropologia
C. Carrà, Ritmo di cavallo, 1909 (opera in mostra) ZANG SUD SUD
secolo
Museo d’Arte dell’Otto e Novecento di
Rende e la Galleria Nazionale di Cosenza. Per la prima volta vennero esposte
in Calabria nella loro interezza le opere
boccioniane della famosa e nota collezione Chiattone di Lugano, le opere della collezione Nicotra di Catania con i
disegni della collezione americana Winston Malbin custodite presso la Galleria
Nazionale di Palazzo Arnone. Sempre
il 2009, presso il Museo del Presente,
Zang Sud Sud Boccioni Balla Severini
e il Futurismo Meridionale, a cura di
Tonino Sicoli e Alessandro Masi, cofinanziata dal Comune di Rende e dalla
Regione Calabria, 100 le opere in mostra che hanno condotto il visitatore ad
una riflessione sull’esperienza creativa
che il Futurismo ha contribuito a formare nel nostro Paese. Grazie alla presenza di opere artisti come Boccioni,
Balla, Severino e la presenza di artisti
del calibro di Antonio Marasco, Ardegno
Soffici, Emilio Notte, Enzo Benedetto e
Achille Lega messi in dialogo con altri
artisti provenienti dalla Calabria, Sicilia, Puglia, Campania e Basilicata la
mostra ha sottolineato il contributo
che il movimento futurista ha dato, per
la costruzione della cultura italiana. La
prima metà del Novecento, da Sartorio
al Ritorno all’Ordine, Achille Capizzano Arte Pubblica e Arte Privata a cura
di Tonino Sicoli e Massimo Di Stefano è
stata la terza mostra realizzata nel 2010.
Con la fine del primo conflitto mondiale,
la mostra racconta l’esigenza dell’arte di
un ritorno all’ordine attraverso i grandi
maestri del primo novecento italiano
come De Chirico, Carrà, De Pisis, Mafai,
Rosai, Severini, Notte, Guttuso, Levi e
attraverso l’omaggio ad Achille Capizzano, nato a Rende l’11 maggio 1907 protagonista assieme a Moretti delle deco-
Alighiero Boetti, Aeroplani in mostra, SECONDO NOVECENTO
Umberto Boccioni, Campagna romana.
J. Kounellis, Senza titolo,
opera in mostra SECONDO NOVECENTO
razioni dei mosaico del Foro Mussolini
oggi Foro Italico. La mostra riprende in
esame il rapporto tra modernità e tradizione proponendo al visitatore oltre 100
opere capaci di mischiare la tradizione classica figurativa dell’arte italiana,
con gli “eccessi” e le “sregolatezze” del
Futurismo, Surrealismo e Dadaismo
ancora percepibili in alcune opere in
mostra, senza dimenticare di documentare il passaggio complesso e articolato
di artisti come Corpora, Turcato, Capogrossi che successivamente, nel secondo dopoguerra svilupperanno altre
soluzioni e percorsi artistici. A cura di
Bruno Corà e Tonino Sicoli, la mostra
Secondo Novecento Pitture e Sculture
cofinanziata dal Comune di Rende e
dalla Regione Calabria, inaugurata al
Museo del Presente il 4 dicembre 2011,
chiude questo percorso iniziato il 2009
attraverso importanti artisti del periodo
che va dagli anni Cinquanta ai Novanta in Italia, scelti fra quelli che hanno
fatto parte degli ultimi gruppi organizzati e rappresentato l’arte italiana nel
mondo. In mostra due protagonisti del
gruppo Azimuth come Enrico Castellani e Agostino Bonalumi; Emilio Vedova
maestro dell’informale, gli astrattisti
del “Gruppo Uno” Achille Perilli, Piero
Dorazio, Giulio Turcato e Carla Accardi
del gruppo “Forma”; il minimalista Nicola Carrino gli artisti pop Mario Schifano, Tano Festa, Mario Ceroli; Jannis
Kounellis esponente di primo piano
dell’arte povera insieme con Alighiero
Boetti; Sandro Chia, Mimmo Paladino,
Francesco Clemente e Nicola De Maria,
capiscuola della transavanguardia internazionale Giuseppe Gallo e Gianni
Dessì, appartenenti al gruppo romano
di San Lorenzo.
* Critico d’arte
23
L’ultimo film
di Eastwood
J. Edgar
Anton Livio Perfetti *
Sullo schermo la vita di uno
dei personaggi più discussi
e controversi della storia
americana del Novecento
C’
era molta attesa per l’ultimo lavoro di Clint Eastawood anche perché abbondantemente pubblicizzato prima dell’arrivo al botteghino.
L’attore-regista,più noto al grande pubblico
come il pistolero-samurai dei western di Sergio Leone,questa
volta si è impegnato nella rivisitazione di un personaggio che
ha attraversato, in un cono d’ombra di quasi 50 anni, le fasi
più delicate della storia americana.
Dire che John Edgar Hoover è stato a capo dell’FBI per
mezzo secolo è una semplificazione, dal momento che Hoover l’FBI l’ha creato quasi dal nulla,come documenta il film.
Ma la sua invenzione più celebrata rimangono gli archivi e
il lavoro di dossieraggio per il quale nutriva una vocazione
ossessiva.
Significativa la scena quando porta la nuova collaboratrice, che ha invitato a cena, a vedere il primo archivio di sua
realizzazione e ne illustra, con maniacale entusiasmo, l’efficacia ai fini del lavoro di intelligence.Hoover resta certamente il personaggio politico-istituzionale che più ha indagato,
spiando, nella vita privata dei potenti, a cominciare dagli inquilini della Casa Bianca.
E il film lascia intendere che Hoover, in più di una occasione, si è avvalso dei dossier in suo possesso per scoraggiare
tentativi di rimozione dal comando dell’FBI.
Ma il film di Eastwood, tutto centrato sulla figura di Hoover, non è, come ci si aspetterebbe, la ricostruzione del ruolo
avuto dal capo del Federal Bureau Investigation nelle vicende
più delicate e anche più oscure della lotta contro il crimine in
tutte le sue forme e articolazioni. Il film ripercorre, con mano
leggera e una buona dose di ambiguità, quella che è stata la
vita privata di Hoover e, soprattutto, il suo rapporto con l’uomo che, quando lo incontra per la prima volta, lo fece sudare
e balbettare, nella percezione esistenziale che non avrebbe
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potuto fare a meno di lui.Una dichiarazione ambigua di innamoramento che Hoover fa al suo partner e suo vice a tarda
età, quando ormai sono entrambi incanutiti e malandati. Non
si può tuttavia affermare, semplificando per eccesso, che il
film abbia come tema narrativo l’omosessualità di Hoover,
largamente chiacchierata ma ancora oggi negata dall’FBI.
Anche nel film mancano espliciti riferimenti se si toglie
quello che, più di altri, rivela la liason sentimentale, sottostante al rapporto d’ufficio, e cioè la scena in cui Hoover
annuncia al suo amico e vice-capo che avrebbe deciso di fidanzarsi perché sarebbe ora di pensare al matrimonio.Nella
colluttazione in cui degenera la reazione dell’amico, che si
sente tradito, bisogna cogliere, nelle intenzioni del regista, la
vera natura del rapporto tra i due. Un altro passaggio del film,
in questa direzione, è quella carezza che Hoover si concede,
salendo in macchina, prendendo la mano del suo vice, sempre a lui vicino, nel doppio ruolo pubblico e privato.
A sostegno e spiegazione delle sensibilità omosessuali di
Hoover c’è la figura materna, fallica e castrante, che Hoover
subisce senza reagire.
Stucchevole e scontata la scena dove Hoover – Di Caprio
si guarda allo specchio, addolorato per la morte della madre,
indossandone il vestito e la collana. Al riguardo si racconta,
nei palazzi newyorchesi, che una volta Hoover avrebbe partecipato, con gonnellino e calze a rete, ad una festa in un hotel
di Manhattan ma siamo fra gossip e maldicenza.
La verità è che Eastwood non se l’è sentita di rendere esplicito ciò che esplicito non è, anche se Hoover nominò come
unico erede delle sue ricchezze il suo amico e vice nell’FBI ed
oggi, per volontà di entrambi, riposano nello stesso cimitero,
l’uno accanto all’altro.
Alla fine del film c’è meno mistero nella vita privata di
Hoover ma si rimane distanti dalla verità, così come non sapremo mai cosa contenevano i dossier riservatissimi affidati
alla fedelissima segretaria con l’impegno, rispettato, che alla
sua morte li avrebbe distrutti.
Il limite del film sta tutto nella telefonata che Hoover fa a
Bob Kennedy, ministro della Giustizia, per annunciargli con
poche e gelide parole l’assassinio del “presidente” a Dallas,
vicenda nella quale non è mai stato chiarito e definito il ruolo
di Hoover, notoriamente ostile ai 9 fratelli Kennedy.
Sotto il profilo tecnico-narrativo è di indubbia bravura
Leonardo Di Caprio, 12 centimetri più alto del vero Hoover,
meno danneggiato del partner Hammer-Tolson invecchiato
da un trucco improponibile. Buona la fotografia e gli abiti
d’epoca che rendono il contesto storico credibile e la narrazione fluida.
* Giornalista
libri
Gabriella de Falco
Passi nel tempo
Luoghi e storie della vecchia Cosenza
PASSI
NEL
TEMPO
Luoghi e storie
della vecchia
Cosenza
Presentazione di
Coriolano Martirano
ediz. Le nuvole, 2011
di Giovanna Baglione
Un libro
di Gabriella de Falco
pagg. 220
I
Recensione
l titolo riassume in modo perfetto ciò che il testo offrirà
al lettore.
La presentazione di Coriolano Martirano, storico e
profondo conoscitore della città, sintetizza mirabilmente gli
intenti dell’autrice.
La stessa, nelle premesse, spiega con chiarezza e
onestà culturale quali sono le motivazioni che l’hanno
portata a ripercorrere passi e pensieri in luoghi a lei noti e
infinitamente cari.
Gabriella De Falco mostra, sin dalle prime pagine,
una profonda conoscenza dei luoghi ed una vasta cultura
storico-sociale, non disgiunte da un periodare scorrevole e
spesso poetico. Riesce pertanto a farmi vedere e sentire la
città, guidandomi in un itinerario ricco di sorprese, non solo
architettoniche, ma anche, e soprattutto, interiori.
La città è una cosa viva, pulsante. Generata dalle nozze
di due fiumi, misteriosi e imprevedibili; da essi trae linfa e
fascino.
Lo sguardo dell’autrice, mobile e attento, coglie i
dettagli e li trasforma in immagini poetiche, dall’incrociarsi
e intessersi di vecchie tegole, allo sciogliersi dei due fiumi
e dei vicoli intricati, ingentiliti dal rigoglio di rami lucenti
e delicati fiori spontanei; le vecchie case prendono vita,
guardandosi dalle due sponde del Crati, mentre le antiche
chiese fanno da sentinella ai due fiumi, cornici ideali di un
quadro mutevole che rinnova colori e sfumature, in base
all’ora e alla stagione.
Cullata quindi dal sciabordio delle acque e dalla voce
dell’autrice, mi lascio guidare e mi addentro nella città
vecchia, accolta da nuovi rumori e risonanze. Mi inerpico
lungo il corso antico, deviando su vicoli stretti, che si aprono
su slarghi incantati, in atmosfere fuori dal tempo.
Un vociare continuo riempie l’aria, cuddrurièddri,
chiappari, cacummari, ricòttafresca, voci e scampanellii,
che rimandano a sapori semplici e gustosi; e poi ancora
suoni e schiamazzi nei giochi pericolosi dei ragazzi, o le
cantilene nelle filastrocche delle fanciulle.
Insieme all’autrice mi ritrovo in un’epoca passata,
in cui la vita scorre più lenta, scandita dal rinnovarsi di
eventi quotidiani, e la comunicazione è forse più umana e
senz’altro più diretta e caratteristica. Ed eccomi di fronte al
Teatro Real Ferdinando, che altro non è se non l’equivalente
ottocentesco del nostro Rendano! Serata memorabile,
15 novembre 1842, serata di riapertura, serata di fasti; la
cronaca divertente e sferzante, non priva di critica musicale
e di commenti vivaci su cantanti, musici e pubblico.
… e poi, un divertente sguardo a un gossip ante litteram,
durante una serata a villa Rendano, ospiti di Alfonso,
assieme ad un gruppo di suoi parenti e amici.
L’amore per i luoghi, alla fine del percorso, si fa poesia,
sciogliendosi in versi; in “Pellegrinaggio” l’autrice parla a se
stessa, sdoppiandosi e osservandosi, colpita dall’ immagine
di sé, smarrita in luoghi consueti, che non sono più gli
stessi. Le voci, i suoni, fra mura desuete e angoli vuoti.
Estraneamento!
Emerge in ogni pagina un senso di tenera nostalgia,
un rimpianto per le cose passate, persone e luoghi intimi
al cuore, passatempi semplici ed appaganti, rapporti più
umani, attenzione per l’altro.
La nascita della città nuova, al di là dei due fiumi e il
suo espandersi ancora oltre, provocano mutamenti senza
ritorno. Il vecchio cuore batte sempre più lentamente e solo
il silenzio può riportarne il rumore lieve. Ma solo in chi sa
ascoltare.
Questo libro è una dichiarazione d’amore per una città
che ha saputo dare molto; l’autrice le rende omaggio, con le
sue approfondite conoscenze storiche ed artistiche, con la
fantasia che sa creare immagini incantate, con l’arte che le
consente di farla rivivere.
Un libro, quindi, da percorrere, con passo lieve,
fermandosi ad osservare i dettagli, sedendosi sui gradini
che incorniciano una piazza, prestando orecchio ad ogni
suono, a voci, canti, grida, levando lo sguardo ai balconi, agli
archi, alla vegetazione, attenti ad ogni richiamo. Un libro
per il visitatore curioso di conoscere la città, ma altrettanto
interessante per il residente, che vi troverà notizie,
rimembranze, riflessioni e spunti per approfondimenti.
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libri
del
populismo
Un libro
di Franco Crispini
Luigi Pellegrini
editore
pagg.168
Franco Crispini
P
er lo specifico tema di cui si occupa il libro, è stato come voler soddisfare il gusto di una ricerca che ha trovato una altra occasione per rivolgersi ad uno di quei
sostrati di idee che stanno dietro la operazione identificatrice di un fenomeno.
Nel caso del ‘populismo’ era necessario vedere come se ne fosse costruita una impalcatura
concettuale che, ovviamente, non rimanesse sovrapposta alle manifestazioni storiche ed
empiriche del fenomeno stesso. Di quali idee è portatore il ‘populismo’? Alla luce di quali idee se ne chiarisce meglio la natura? C’è un ‘populista’ “risentito”? Il “risentimento” è
tra le componenti del ’populismo’? Si sono cercate le risposte a tali interrogativi interni
ad una antropologia del ’populismo’, verificando al tempo stesso: a) in quali termini si è
venuta ponendo una “questione populismo”; b) quali i nodi problematici di essa; c) dove
trova giustificazione la vasta letteratura critica cui ha dato vita tale questione.
Lettera dell’Autore
L’Autore vuole affidare questo suo libro ad un pubblico di lettori che ama informarsi
sulle tante sfaccettature della realtà sociopolitica contemporanea per come vengono analizzate e valutate negli studi critici che ad esse si rivolgono.
L’argomento trattato, il “populismo”, è di grande attualità ed incuriosisce molto a conoscere il significato nell’uso, specialmente giornalistico, che ne viene fatto; si coglieranno subito i tanti perché sussiste una “questione populismo”, che ha assunto particolare
rilevanza, e si avrà modo di vedere ancor meglio come su tale”questione” è sorta una letteratura critica che era il caso di rivisitare opportunamente sottoponendo al lettore analisi e giudizi in essa ricorrenti.
L’Autore ritiene anche che il bilancio critico compiuto, ché di questo si tratta non pecca di rimarchevoli incompletezze e che alla fine non ha lasciato il “problema populismo”
nella nebulosità semantica che continua a circondarlo.
Si è potuto riscontrare, ed il Lettore lo verificherà egli stesso, che sul terreno della
comprensione del “populismo”, ossia di una messa a fuoco del concetto e della sua natura, c’è un incontro fruttuoso e virtuoso, e non poteva essere diversamente, di metodologie diverse - della storia delle idee, della filosofia e della scienza della politica, della riflessione socio-antropologica -, le quali hanno permesso di affacciarsi su di uno spaccato storico-teorico e concettuale abbastanza ampio ed articolato, di un fenomeno politico-sociale divenuto invasivo e per certi aspetti anche aggressivo.
L’Autore
FRANCO CRISPINI, storico della filosofia e delle idee, è stato anche Preside della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università della Calabria. Nei suoi corsi universitari e nei
suoi scritti, si è occupato di periodi, autori e temi del pensiero moderno. Tra i suoi libri:
L’etica dei moderni. Shaftesbury e le ragioni della virtù, Donzelli, Roma 2001; Idee e forme di pensiero, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003; (a cura di), Fontenelle. Della ragione e altro - Opuscoli, Rubbettino, 2007; Profilo dell’osservatore naturalista, Il Melangolo, Genova 2009. Dirige la collana I dispersi, Pellegrini Editore, nella quale ha curato: F.S.
Salfi Elogio di Bernardino Telesio, 2009; Id «Progressioni» dell’Uomo verso la “Civil Società”, 2010; Dott. Pasquale Rossi - Della memoria e dell’immaginazione sociale, 2011.
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A piedi
nei parchI
dell’appennino
calabrese
Antonino Falcomatà *
I
l C.A.I. (Club Alpino Italiano) calabrese, in poco più
di due anni, ha realizzato un progetto, denominato “A piedi nei parchi
dell’Appennino Calabrese”, finalizzato alla valorizzazione e tutela del territorio nei parchi nazionali calabresi.
L’esecuzione delle opere eseguite
nei Parchi Nazionali dell’Aspromonte,
della Sila e del Pollino, veniva affidata
dal Presidente regionale calabrese alle
sezioni di Castrovillari, Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria che a loro volta hanno coinvolto, su base volontaria,
molti dei soci calabresi.
Il comune denominatore è stata l’informatizzazione del catasto dei sentieri
mediante G.I.S. e la relativa gestione.
Dopo la rilevazione con G.P.S. e la segnatura, soprattutto del Sentiero Italia,
è stata ultimata la fase di restituzione
dei dati.
Esiste il Catasto sentieri dei Parchi
dell’Aspromonte, della Sila e del Pollino. Sono in rete i WEBGIS realizzati
dalle Sezioni di Castrovillari e Reggio
Calabria.
Se ci si collega al sito del CAI di
Reggio Calabria, (www.caireggio.it) o a
quello di Castrovillari, (www.caicastrovillari.it) si ha la possibilità di consultare i sentieri più importanti dell’Aspromonte o del Pollino: invece di andare in
giro con mappe, libri, ecc. già da casa
si può, di ogni sentiero, sapere l’andamento altimetrico, i punti informativi,
l’acqua, la difficoltà, gli aspetti storici,
la mappa e quindi di avere informazioni
che certamente consentono di visitare
con maggiore interesse e trasporto in
questi luoghi.
Il catasto sentieri si pone come uno
strumento fondamentale per la pianificazione del territorio montano.
I parchi non possono fare a meno di
questo strumento.
La sezione di Catanzaro ha ristrutturato due ruderi siti in agro del comune di Zagarise (CZ) in località “Pisarello
latteria”.
Si trattava di due strutture, in muratura di pietra, a piano terra, realizzate
nei primi decenni del secolo scorso ed
ormai diroccate.
Adiacenti al Monte Gariglione, ad
una altezza di circa 1600 metri s.l.m., le
due strutture, prospicienti l’una all’altra
sono state conservate, complessivamente, con le loro caratteristiche originarie
sia nell’uso dei materiali sia nel mantenimento delle loro sagomature e profili
di progetto.
La sezione di Cosenza, invece, ha ristrutturato un immobile, adibito a vecchia fermata, di proprietà delle Ferrovie
della Calabria.
Il rifugio si trova a quota 1337 metri
s.l.m. ed è raggiungibile sia dalla statale
sia dalla ferrovia che da Cosenza conduce a Camigliatello.
La sezione di Castrovillari, invece,
avendo ultimato la ristrutturazione di
un immobile, ubicato in località Campolongo del Comune di Mormanno
(CS), ha oggi un rifugio “B. Longo” nel
cuore del Parco Nazionale del Pollino.
La sezione di Reggio Calabria, oltre ad aver realizzato l’informatizzazione del catasto dei sentieri mediante
G.I.S., ha concluso un’attività di ricerca
nell’area del Parco Nazionale dell’Aspromonte.
Si è distinta, infatti, per avere ricercato, studiato e, attraverso un pregevole
testo, divulgato, la presenza umana nelle terre alte.
Tale iniziativa ha acquistato un significato particolare, trovando riscontro nella collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici della
Calabria per quanto attiene i siti di interesse archeologico e della Facoltà di
Architettura dell’Università degli Studi
Mediterranea di Reggio Calabria.
Una iniziativa, quindi, di ampio respiro che ha trovato nelle successive
azioni previste, quali la pubblicazione di
un corposo volume ed attività divulgative nelle scuole, un enorme successo. Sempre nell’ambito delle attività
progettuali, sono state realizzate, le
pregevoli pubblicazioni “Segni dell’uomo nelle Terre Alte d’Aspromonte”, “15
suggerimenti per conoscere il Parco
Nazionale del Pollino”, la cartoguida “A
piedi nel Parchi nazionale della Sila”, “il
mio libretto di montagna”, “CamminAspromonte” e “A piedi nei Parchi nazionali dell’Appennino calabrese”.
Gli interventi più importanti, quindi, riguardavano la segnaletica, la sentieristica e la realizzazione del catasto
sentieri. Il Club Alpino Italiano della Regione Calabria, non è un’associazione di
progettisti, ma un’associazione di soci
volontari, all’interno della quale ci sono
persone esperte, come architetti, forestali, guardie forestali che hanno messo
a disposizione del sodalizio le loro competenze.
* Presidente della sezione Aspromonte
del CAI di Reggio Calabria
27
Sull’Autostrada
Salerno - Reggio Calabria
area di servizio
Rogliano Est
Corsia Nord
(nei pressi di Cosenza)
Oltre ai normali servizi propri
degli impianti autostradali
nell’area si trova:
La Bottega del Contadino,
attrezzato locale per la vendita
di una vasta gamma di prodotti
tipici calabresi.
Zona pic-nic SILA,
grande ed accogliente area
verde che offre una gradita sosta nella pineta attrezzata con
tavoli di legno per pic-nic, panchine e giochi per bambini.
Gestione: TAFER s.r.l.
Impianto: Comune di Marzi (CS)
Sede Sociale: via Nicola Parisio 4, Cosenza
tel. 0984.969189 - fax 0984.980817 - [email protected]
Bar - Ristorante - tel. 0984.980815
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