ALMA MATER STUDIORUM UNIVERSITA' DI BOLOGNA FACOLTA' DI CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI Corso di Diploma in OPERATORE DEI BENI CULTURALI LA FOTOGRAFIA STENOPEICA. STORIA ED EVOLUZIONE DI UNA TECNICA. Tesi in STORIA E TECNICA DELLA FOTOGRAFIA Relatore Presentata da Prof. Luigi Tomassini Campana Irene Cor relator e Prof. Roberto Balzani III Sessione Anno Accademico 2003­2004
A Marco e Giulietta Grazie.
INDICE Introduzione p. 3 1. La fotografia prima della fotografia: la camera oscura da Alhazen Ibn Al­Haitam a Niepce. p. 5 2. Dall’Ottocento ad oggi. Un confronto storico attraverso alcuni periodici fotografici italiani. p. 24 AREA STORICA AREA CONTEMPORANEA 1. La giornata mondiale della fotografia stenopeica. p. 39 2. Un confronto tra gli autori di oggi. p. 50 AREA DIDATTICA 1. Come costruire una macchina a foro stenopeico. p. 80 2. Prototipo d’autore: la Bat camera . Come costruire una macchina a foro stenopeico da un foglio A4. p. 87 3. Laboratorio di educazione all’immagine: il Ludobus – Fotoinscatola – Exchange. p. 100 Conclusioni p. 106 APPENDICE 1. Articoli completi tratti dai seguenti periodici fotografici: “ Il dilettante di fotografia: giornale popolare Illustrato” ,“ Progresso Fotografico” , “ Tutti fotografi” . p. 110 2. Questionari compilati da diversi autori contemporanei. p. 144 BIBLIOGRAFIA p. 220
Intr oduzione Nella storia della fotografia, la camera obscura ha rappresentato sicuramente il primo metodo sperimentato, avente come scopo una riproduzione più precisa e prospetticamente corretta della realtà. Nella sua forma, una camera oscura equivale ad una stanza buia, dove, su di una parete, si presenta un piccolo foro (stenopeico) dal quale penetra la luce che, sulla parete opposta, proietta l’immagine presente all’esterno. Questo processo fisico, conosciuto già dagli arabi nel Medioevo e addirittura già accennato da Aristotele, rappresentò un’importante scoperta ed il punto di partenza di un percorso volto a raggiungere perfezionamenti e soluzioni sempre più accurate nel campo della riproduzione di immagini. La nascita della fotografia (1839) coincise con il momento storico in cui venne messo a punto un sistema atto ad un mantenimento duraturo dell’ immagine impressa su di un supporto sensibile; prima di questa data, però, essa era già stata brevettata attraverso prove ed esperimenti e quindi era già potenzialmente “viva” nella società del tempo. Questo elaborato parte da un percorso storico che ritrae tutti i passaggi e gli studi effettuati antecedentemente alla creazione della prima immagine stampata e si concentra, poi, sul cammino che la fotografia stenopeica ha intrapreso da allora. Ho provato a ripercorrere questa strada (dall’ultimo decennio dell’Ottocento ad oggi) attraverso una ricerca approfondita, effettuata tramite alcuni periodici fotografici italiani rinvenuti alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze ed alla Casa Editrice Progresso di Milano, per capire se la fotografia stenopeica avesse lasciato il posto a nuovi metodi e procedimenti di ripresa o se fosse riuscita a mantenere una propria indipendenza dal progresso fotografico. Per avere una visione più completa rispetto al ruolo che essa è riuscita a mantenere fino ad oggi, ho ritenuto necessario ed interessante sviluppare un questionario da proporre a diversi stenopeisti contemporanei, i quali hanno espresso opinioni circa questa tecnica ed hanno contribuito a darle una dimensione legata alla nostra epoca; infine, non potevo tralasciare la parte legata alla didattica e quindi alla creazione pratica
di tale strumento, il quale oggi rappresenta un buon espediente per avvicinare grandi e piccini al mondo della fotografia. Ho scelto di sviluppare questa tesi, perché personalmente mi appassiona in modo particolare la fotografia ed il suo valore artistico, il quale ha per altro provocato lunghi dibattiti e riflessioni per riuscire ad essere riconosciuto. Ho trovato, in particolar modo, importante ed interessante poter esaminare ed approfondire una parte quasi sommersa della fotografia, che appare superata agli occhi del progresso e delle nuove tecnologie, ma che in realtà porta con sé qualità tecniche, significati nascosti ed una sensibilità visibile nei “morbidi” risultati e solo intuibile attraverso l’uso che oggi ne viene fatto. Lo stenoscopio garantisce la semplicità in fotografia e sostituisce i più complicati obiettivi: con questa procedura, definita stenopeica, la registrazione della luce sui materiali fotosensibili è diretta, non mediata. Questa tematica rimane al centro di ogni possibile considerazione metodologica ed allo stesso tempo diventa motivo di riflessione “concettuale”: i lunghi tempi di esposizione che essa impone e la conquista di risultati così vicini al pensiero di chi fotografa, la rendono una tecnica unica, da rivalutare in questo mondo fatto di tecnologia ed immediatezza e da non dimenticare, per poter ricevere tutto ciò che ancora oggi può offrire e regalare.
AREA STORICA 1. La fotogr afia pr ima della fotogr afia: la camer a oscura da Alhazen Ibn Al­Haitam a Niepce. La Fotografia ha origini assai lontane e il suo antico percorso si apre grazie a numerose sperimentazioni nel campo dell’ottica, ad attente osservazioni legate ad un particolare fenomeno astronomico quale l’eclissi di sole e ad un bisogno legato alla riproduzione prospettica nel campo dell’arte e dell’architettura. Fin dai tempi antichi era noto il fenomeno ottico che sarebbe stato chiamato camera obscura , ossia la proiezione di una immagine ­ su una parete di una stanza oscurata ­ attraverso un piccolo foro denominato stenopeico, 1 praticato sulla parete opposta. In tal modo la scena esterna poteva essere visibile all’interno della camera, capovolta ed invertita lateralmente. Tornando indietro nei secoli, il primo accenno alla camera oscura venne fatto da Ar istotele (384­322 a.C.) il quale “appare un ricercatore attento all’esperienza, uno scienziato per il quale decisiva è l’osservazione tanto quanto il rigore della argomentazione logica.” 2 Il filosofo greco si era accorto della possibilità di proiettare l’immagine del sole in una stanza buia attraverso un piccolo foro: ne parla nei “ Problemata” affermando che " I raggi del sole che passano per un'apertura quadrata formano un’ immagine circolare la cui grandezza aumenta con l'aumentare della distanza dal foro ” . Aristotele osservò inoltre l’immagine a forma di mezzaluna che il sole in eclissi parziale proiettava sul terreno attraverso i fori di uno staccio e gli squarci tra il fogliame di un platano: notò che quanto minore era il foro tanto più nitida si formava l’immagine. 3 1 “Comunemente si usa l’espressione “foro stenopeico” , ma si dovrebbe semplicemente dire “piccolo foro” oppure “ foro stretto” . Stenopeico, infatti,deriva dal greco stenòs = str etto e opé = for o. Addirittura il vocabolo potrebbe trarre origine da Charles Mahon conte di Sthanhope, inventore verso la fine del Settecento dello “stanhope” = microscopio basato su una piccolissima lente di vetro.” ( Vedi “La fotografia Stenopeica storia­tecnica­estetica delle riprese stenopeiche” di Vincenzo Marzocchini Agora35 2004 ) 2 Mario Trombino, “La filosofia occidentale ed i suoi problemi 1” edizione Poseidonia, 1995 p. 240 3 Helmut e Alison Gernsheim “Storia della fotografia” Edizioni Frassinelli 1996 p. 10
Furono però gli arabi tra il X e l’ XI sec. a realizzare la prima camera obscura , in particolare il filosofo­astronomo Alhazen Ibn Al­Haitam, il quale diede una descrizione più chiara del fenomeno. Egli la utilizzò per poter studiare un’eclissi di sole e nel suo libro di ottica riportò quanto scritto: “ Se l’immagine del sole al momento di un’eclisse, purchè questa non sia totale, cade attraverso un forellino rotondo su di una superficie piana opposta, essa avrà la forma di una mezzaluna. L’immagine del sole rivela questa proprietà solo quando il foro è molto piccolo” 4 Alhazen, nato a Bassora nel 965 d.C., scrisse un centinaio di opere fra cui traduzioni dal greco e opere originali (tra le quali è compresa, appunto, la grande “ Ottica” ), sopravvissute in migliaia di manoscritti tradotti e commentati nell’occidente ­ in latino ed ebraico ­ già dall’ XI secolo: fu nel XIII secolo che il monaco Vitellione tradusse alcuni dei suoi studi legati al principio della camera oscura che vennero poi pubblicati nel 1572 a Basilea in un’opera intitolata “ Opticae Thesaurus Alhazeni Arabis” . Dal XIII secolo, la camera obscura si evolse con estrema facilità: essa venne infatti citata in tutti i testi scientifici di quel secolo a noi noti. Rugger o Bacone (1214­1294), monaco e fisico inglese, parla di un fenomeno simile a quello già descritto da Aristotele e ne “traccia una figura schematica esatta” 5 nel “ De Multiplicatione specierum” del 1267; Guillaume de Saint­Cloud, astronomo francese, nel 1290 riferisce, attraverso un Almanacco, che tale fenomeno veniva utilizzato per osservare più comodamente le eclissi di sole 6 e osserva a sua volta con una camera oscura, nell’ “anno del Signore 1285, il 5° giorno di Giugno”, le fasi di un’eclissi solare facendo “nel tetto di una stanza chiusa una apertura rivolta verso la parte del cielo dove doveva apparire”: lo spiraglio aveva un diametro 4 Helmut e Alison Gernsheim “Storia della fotografia” Edizioni Frassinelli 1996 p. 10 G. Potonniée, Cent ans de photographie,1839­1939, Société d’Editions Géogrphiques, Maritimes et Coloniales,Paris 1940, p. 10. Riferimento tratto da “Storia e tecnica della Fotografia” di Italo Zannier, Editori Laterza 2001. 6 ms.7281 fondo latino della Bibliotheque Nazionale di Parigi.
5 simile al foro che “si pratica in un barile per togliere il vino”, ossia un paio di centimetri. 7 Riferimenti a tale strumento si trovano anche negli scritti di Levi Ben Ger son (1320); “Attorno al 1425 l’architetto rinascimentale Filippo Br unelleschi usa un dispositivo dotato di piccola apertura per riprodurre su carta la prospettiva di panorami e monumenti” 8 , usando un marchingegno con caratteristiche tipiche della camera obscura; nel “ De pictura” (1430), Vasari ne attribuisce l’invenzione a Leon Battista Alberti, ma la prima descrizione veramente precisa e completa della camera oscura, nel senso moderno del termine, si deve a Leonar do da Vinci che, intorno al 1500, la descrisse nel Codice Atlantico denominandola oculus artificialis (collegando il suo principio al funzionamento dell’occhio umano) e definendone così il processo: “ La sperentia che mostra come li obbietti mandino le loro spetie over similitudini intersegate dentro all’occhio nello umore albugino si dimostra quando per alcuno piccolo spiraculo rotondo penetrano le spetie delli obbietti alluminati in abitatione fortemente oscura: alora tu riceverai tale spetie in vna carta bianca depola, posta dentro a tale abitatione alquanto vicina a esso spiraclo e vedrai tutti li predetti obbietti in essa carta colle lor proprie figure e colori ma saran minori e fieno sotto sopra per causa della intersegationa li quali simulacri se nascieranno di loro alluminato del sole saran proprio dipinti in essa carta, la quale uole essere sottilissima e veduta dal rovescio e lo spiraculo detto sia fatto in piastra sottilissima di ferro” . 9 ( Leonardo da Vinci – Codice Atlantico) “L’esperienza che dimostra come gli oggetti mandino le loro immagini riflesse nell’occhio e nel suo umore lucido, è palese quando le immagini d’oggetti illuminati entrano attraverso una piccola apertura rotonda in una stanza molto buia. 7 Ivi, p. 11. Cinzia B. Thompson , “La fotografia ed il foro stenopeico” www.fotopadova.it/stenopeico.htm 9 Luca Beltrami, A chi si possa attribuire l’invenzione della camera oscura tratto da “Il dilettante di Fotografia: giornale popolare illustrato” Anno VIII, Novembre 1897, n. 91.
8 Potrete catturare quindi queste immagini su un pezzo di carta bianca che sia posto verticalmente nella stanza,non lontano dall’ apertura, e vedrete l’oggetto su questa carta nella sua forma e colori naturali, ma essi appariranno più piccole e capovolte, per l’intersecarsi dei raggi all’apertura”. 10 Abbiamo una descrizione del fenomeno accompagnata dall’accenno di particolarità le quali dimostrano quanto Leonardo avesse già perfezionato la disposizione della camera oscura: vi si dice infatti che l’immagine si deve ricevere “in carta bianca depola” (debole), dal che appare il concetto di osservare l’immagine per trasparenza sul fondo della camera oscura, come venne praticamente adottato nella fotografia; il concetto risulta ancor più nettamente dalla successiva osservazione che la carta “vole essere sottilissima, veduta del rovescio”: di più troviamo che, per ottenere il foro sottilissimo e breve, Leonardo propone un metodo ben più pratico di quelli indicati dai successivi Cesare Cesarino e Giovanni Battista della Porta, raccomandando che “lo spiracolo sia fatto in piastra sottilissima di ferro”. 11 Camera obscura rappresentata come se fosse un occhio, agli inizi del '500. 10 Cinzia B. Thompson , “La fotografia ed il foro stenopeico” www.fotopadova.it/stenopeico.htm 11 Luca Beltrami, A chi si possa attribuire l’invenzione della camera oscura tratto da “Il dilettante di Fotografia: giornale popolare illustrato” Anno VIII, Novembre 1897, n. 91
La prima descrizione stampata del fenomeno fu scritta da Cesar e Cesar ino, seguace di Leonardo, nel 1521: egli parlò della camera obscura in una nota del “ De architectura” di Vitruvio, stampato a Como in quell’anno: “ Et perho Vitruvio quiui excelentemente tange una pulcherrima ratione del optica quale fu experta et uerificata del monastico architetto Don Papnutio de Sancto Benedictio. Si concauo al torno farai un circulo in qualche assicura di quantitate di uncie quatro vel sei: il concauo uncie due vel circa: et questo habia nel centro del concauo uno paruo et breuissimo spectaculo seu foramine qui scopos etiam dicitur: et infixo concordantemente in una ualua seuanta di qualche fenestre clause per tal modo in lo loco doue sei non possa introire altra luce: et habi un poco di bianco papero uel altra cosa che recepia susa quello che si representerà da epso foramine. Facto con diligentia uedrai ogni cose quanto a la piramide di epso in sino in tuta la tera et coelo sono contenute così colorate et affigurate” ( Lib. II Fol. 23 Tergo) 12 “ In un assicella di once quattro o sei in quadro si faccia un concavo di diametro di once due circa, nel cui centro si possa praticare un piccolo e previssimo foro: applicando tale assicella all’imposta di finestra di un locale che non abbia alcun altra luce, all’infuori di quella data da quel foro, si potrà sopra una carta bianca raccogliere l’immagine colorata degli oggetti esterni ”. 13 Leonardo aveva già dato due descrizioni scritte del fenomeno, ma questa parte della sua opera fu pubblicata solo nel 1797. 14 Un fisico matematico olandese, Rainer Gemma Fr isius, nel Gennaio del 1544, sperimentò la camera oscura osservando un’eclissi e ne illustrò il procedimento un anno dopo attraverso un’ immagine (la prima, secondo Gernsheim 15 ) inserita nel “De Radio 12 Luca Beltrami, A chi si possa attribuire l’invenzione della camera oscura da “Il dilettante di Fotografia: giornale popolare illustrato” Anno VIII, Novembre 1897, n. 91 13 Luca Beltrami, A chi si possa attribuire l’invenzione della camera oscura da “Il dilettante di Fotografia: giornale popolare illustrato” Anno VIII, Novembre 1897, n. 91 14 Helmut e Alison Gernsheim “Storia della fotografia” Edizioni Frassinelli 1996 p. 10 15 H. e A. Gernsheim, “Un secolo di fotografia dalla collezione Gernsheim” Triennale di Milano, catalogo (a cura di L. Vitali), 1957, p. 5.
astronomico et geometrico liber” , stampato in quell’anno ad Anversa e a Lovanio. 16 Illustrazione che registra l’eclissi solare del 24 Gennaio 1544 eseguita dallo scienziato Rainer Gemma Frisius nel 1545. Miglioramenti sostanziali, tendenti alla costruzione di una macchina da ripresa come la intendiamo noi oggi, vennero apportati dal medico milanese Gir olamo Car dano, il quale ottenne un’immagine più nitida applicando al forellino anteriore della camera obscura una lente convessa, antenata dell’obiettivo fotografico (“ De subtilitate” , 1550 17 ); in seguito “ il patrizio veneziano Daniele Bar bar o (1513­ 70), patriarca d’Aquileia oltre che scienziato, perfeziona ulteriormente questo strumento applicando, dietro la lente, un diaframma, com’egli stesso informa in “ Practica della prospettiva” edito a Venezia nel 1569”: 18 dimostra così la necessità della messa a fuoco con lo scopo di ottenere immagini più definite: "Con mirabile diletto la natura ci insegna la proportionata digradatione delle cose, e ci aiuta in ogni modo a formare i precetti dell'arte. Per il che dovemo essere diligenti osservatori di quella in ogni occasione. Ma per hora toccherò una bellissima isperienza d'intorno alla perspettiva. Se vuoi vetére come la natura póne le 16 Italo Zannier, “Storia e tecnica della fotografia”, Editori Laterza 2001 p.3 Vincenzo Marzocchini, “La fotografia stenopeica storia­tecnica­estetica delle riprese stenopeiche” Agora35 2004 p. 2 18 Italo Zannier, “Storia e tecnica della fotografia” Editori Laterza 2001 p. 4
17 cose digratate ne solamente quanto ai contorni del tutto, e delle parti, ma quanto i colori, e le ombre, e le simiglianze, farai un buco nello scura d'una finestra della stanza di dove vuoi vedere, tanto grande quanto è il vetro d'un occhiale. Et piglia un occhiale da vecchio, che habbia alquanto de corpo nel mezzo, e non sia concavo, come gli occhiali da giovani, che hanno la vista curta. E incassa questo vetro nel bucco, serra poi tutte le finestre, e le porte della stanza. Sicché non vi sia luce alcuna, se non quella che viene dal vetro, piglia poi uno foglio di carta, et ponilo incontra il vetro tanto discosto, che tu veda minutamente, sopra il foglio tutto quello che è fuori di casa, il che si fa in una determinata distanza piú distintamente. Il che troverai accostando, ovvero discozando il foglio al vetro, finché ritrovi il sito conveniente. Qui vi vederai le forme nella carta come sono e le digradationi, e i colori, e le ombre, e i movimenti, le nubi, il tremolar delle acque, il volare de gli uccelli, e tutto quello che vi può succedere. A questa isperienza bisogna che ci sia il sole chiaro e bello, perché la luce del sole ha grande forza in cavare le specie visibili, come tuo piacere ne farai la isperienza, nella quale farai scielta di quelli vetri, che fanno meglio, e se vorrai coprire il vetro tanto, che vi lasci poca di circonferenza nel mezzo, che sia chiara e scoperta, ne vederai anchora piú vivo effetto. Vedendo adunque nella carta i lineamenti delle cose tu puoi con uno pennello segnare sopra la carta tutta la Perspectiva, e apparirà in quella. E ombreggiarla, e colorirla teneramente secondo la natura ti mostrerà, tenendo ferma la carta, finché haverai fornito il disegno". 19 L’esposizione più completa ed esatta del principio della camera obscura fu però pubblicata da uno scienziato napoletano, Giovanni Battista della Por ta, nel trattato “ Magiae Naturalis: sive de Miraculis rerum naturalium” (1558) in cui per la prima volta se ne suggeriva l’uso come di uno strumento ausiliare per disegnare: “ Se non sapete dipingere,potete con questo sistema disegnare ( il contorno delle immagini) con una matita. Non dovrete poi fare altro che aggiungere i colori. Otterrete questo facendo riflettere 19 Wladimiro Settimelli “Storia della fotografia” Editori Riuniti (Libri di base)
l’immagine verso il basso su di un tavolo da disegno sul quale sia stata posta della carta. E per una persona abile far questo è molto facile” Nella seconda edizione largamente ampliata che fu pubblicata trent’un anni più tardi, della Porta estese l’applicazione pratica della camera oscura alla ritrattistica: la persona veniva posta sotto la luce diretta del sole fuori della stanza, di fronte all’apertura praticata nell’imposta della finestra. Inoltre il Porta descrisse, nel libro II della sua opera, la camera oscura in questo modo: “ Si quis it videre affectarit, fenestras omnes claudat oportet, proderidque si spiramenta quoque obturentur : ne lumen aliquod intro irrumpens, omne destraut : unam tantum tenebrato : ac foramen rotundae pyramidis formam habeat, cuijus basis solem, conus vero cubilucum aspiciat e regione pariates albos, vel linteis et papyro tectos oppones. Sic a sole illustrata omnia et deambulantes per plateas uti antipodes spectabis, quaeque dextra sinistra, commutataque omnia videbuntur, et quo longius a foramine distabunt, tanto maiorem sibi adsciscunt formann et si papyrum vel tabulam appropinquabis ea visuntur minora” (Capo II, pag. 135, Edizione 1558) “Se nella parete di una camera interamente priva di luce si pratica un foro, a forma di piramide avente il vertice verso l’esterno e la base verso l’interno della camera, e se sulla parete opposta a quella forata si distende una tela o una carta bianca, si vedrà su questa l’immagine capovolta degli oggetti esterni illuminati dal sole, la quale immagine andrà diminuendo in dimensioni quanto più la tela o la carta si avvicinerà alla parete forata” 20 20 Luca Beltrami, A chi si possa attribuire l’invenzione della camera oscura da “Il dilettante di Fotografia: giornale popolare illustrato” Anno VIII, Novembre 1897, n. 91
“ Magiae Naturalis” fu uno dei libri di scienza più diffusi tra quelli pubblicati nel corso del XVI secolo; per questa ragione il suo autore fu a lungo considerato l’inventore della camera obscura . 21 In seguito Ignazio Danti, matematico e astronomo fiorentino, in “ La prospettiva di Euclide” (1573) rese noto di avere ottenuto risultati ancora migliori aggiungendo uno specchio concavo per raddrizzare l’immagine. 22 E’ importante sottolineare che fino al XVI secolo la camera oscura era una vera e propria stanza buia (da ciò deriva il nome di “ camera” tuttora largamente usato per indicare una macchina fotografica 23 ) per cui, nel caso di un’artista, l’utilizzo di quest’ultima era possibile solo nel momento in cui volesse ritrarre il paesaggio di fronte alla propria dimora o persone che posassero davanti ad un forellino praticato nell’imposta di una finestra. Fu solo nel XVII secolo che la camera oscura trovò finalmente una sua più funzionale ed estesa applicazione: in questo secolo si diffusero infatti diverse camere oscure portatili, “talvolta tanto grandi che l’uomo poteva entrarvi”. 24 Ben presto diverranno più maneggevoli e di svariate forme, utilissime e quasi indispensabili per il mestiere di disegnatore: pittori e miniaturisti, con l’utilizzo della stessa, agevoleranno il normale lavoro dal punto di vista tecnico, in quanto verrà facilitato il rilievo grafico e si abbrevieranno, con questa, i tempi d’esecuzione. Nel 1646, “Athanasius Kir cher , un dotto gesuita, professore a Roma, descrisse e illustrò in “ Ars magna lucis et umbrae” una camera obscura abbastanza leggera da essere trasportata a spalle su due sbarre. Essa consisteva in un cubo esterno fatto di materiale leggero ma resistente,con una lente al centro di ogni parete, e in un tubo interno di carta trasparente su cui si disegnava: l’artista entrava attraverso una botola aperta nel pavimento”. 25 21 Helmut e Alison Gernsheim “Storia della fotografia” Edizioni Frassinelli 1996 p. 10­11 Helmut e Alison Gernsheim Storia della fotografia Edizioni Frassinelli 1996 p. 11 23 Marinella Calisi “Le origini della fotografia astronomica” www.albinoni.brera.unimi.it/atti­ como­96/calisi.html 24 Jean­A. Keim “Breve storia della fotografia” Piccola biblioteca Einaudi 1976 p. 4 25 Helmut e Alison Gernsheim “Storia della fotografia” Edizioni Frassinelli 1996 p. 13
22 Athanasius Kircher: “camera obscura” portatile, 1646. Nel 1671, in una nuova edizione dello stesso libro, Kircher propone ­ e sembra sia stato il primo – un’altra macchina ottica, che può essere considerata una trasformazione della camera oscura: la lanterna magica . 26 Athanasius Kircher: Lanterna magica,1671. Mentre la camera obscura è uno strumento per la riproduzione, la lanterna magica serve allo spettacolo, quindi alla comunicazione; questi strumenti consentono di realizzare veri e propri spettacoli quali le fantasmagorie, proiezioni di immagini in movimento, che promuovono e avviano la ricerca sulla percezione cinetica, che si 26 Italo Zannier “Storia e tecnica della fotografia” Editori Laterza 2001 p. 4
sviluppa in seguito tramite la fotografia, sino all’applicazione nel Kinetoscope di Edison (1891) e nel cinématographe dei Lumière (1895). 27 Risale invece al 1676 la prima descrizione di una camera oscura di tipo reflex 28 delineata da J ohann Chr istoph Stur m, professore di matematica ad Altdorf, in “ Collegium experimentale sive curiosum” . Uno specchio piano posto ad angolo retto rispetto alla lente rifletteva l’immagine direttamente su di un foglio di carta oleata steso attraverso l’apertura della parete superiore della camera, che, allo scopo di migliorare la visibilità dell’immagine, era nascosta sotto un cappuccio scuro. Nove anni dopo J ohann Zahn, monaco dell’ordine di san Norberto, a Wurzburg, illustrava nel suo “ Oculus Artificialis teledioptricus” (1685­86) diversi tipi di camerae obscurae a forma di cassetta e abbastanza piccoli da essere trasportati dovunque; 29 tra questi ne realizzò uno di tipo reflex, dove l’immagine, per favorire il lavoro del disegnatore, veniva proiettata su di un piano orizzontale mediante uno specchio inclinato a 45°, presente all’interno della scatola. Camera oscura portatile di tipo reflex, Johann Zahn 1685. Le dimensioni di questa macchina erano di soli 23 cm. circa in altezza e di 61 cm. circa in lunghezza. Per la prima volta vengono descritti perfezionamenti quali uno schermo di vetro opalescente per 27 Italo Zannier “Storia e tecnica della fotografia” Editori Laterza 2001 p. 4­5 Per reflex si intende un apparecchio fotografico in cui l’immagine è proiettata nel mirino direttamente dall’obiettivo attraverso specchi e prismi rifrangenti. Dall’inglese reflex, “riflesso”. 29 Helmut e Alison Gernsheim “Storia della fotografia” Edizioni Frassinelli 1996 p. 13
28 la messa a fuoco e l’annerimento delle pareti interne e del tubo della lente al fine di evitare riflessi dannosi. 30 Con questa tecnica operatori poco esperti potevano realizzare disegni di scene reali con ottima precisione geometrica e buoni dettagli nei particolari. Il sistema veniva usato anche da grandi pittori per la realizzazione preliminare di ampie vedute di paesaggi o per lo studio della prospettiva; anche il lavoro del lucidista diveniva così più agevole. Lucidista all'opera. Nei secoli XVII e XVIII , “non c’è pittore che non utilizzi questo attrezzo, costruito in varie misure e forme”. 31 Le camere oscure costituiscono infatti un accessorio indispensabile per il pittore, una vera macchina per disegnare, uno degli strumenti più utili per correggere e precisare la messa a fuoco sulla realtà naturale. Nel Settecento, particolare fortuna incontrò in pittura la veduta reale, che, nella sua esigenza di riprodurre fedelmente la realtà, concretizzava in modo esemplare le istanze di una cultura illuministicamente orientata. Nel corso di questo secolo, la corrente pittorica del “Vedutismo” visse il suo massimo splendore; avviatasi già dalla fine del Cinquecento a Roma, sviluppatasi ampiamente nel corso del Seicento soprattutto come pittura di ruderi e di antichità, il Vedutismo assume le sue caratteristiche di veduta realistica negli 30 31 Helmut e Alison Gernsheim “Storia della fotografia” Edizioni Frassinelli 1996 p. 14 Italo Zannier “Storia e tecnica della fotografia” Editori Laterza 2001 p. 5
ultimi decenni del Seicento, trovando a Venezia un ambiente ideale e personalità artistiche congeniali. 32 Tra Seicento e Settecento, Gaspar d Van Wittel (che italianizzò il suo nome in Gaspar e Vanvitelli), pittore olandese, “riconosciuto come l’iniziatore del genere della veduta”, 33 dipinge le prime vedute veneziane autentiche colte dal vero. Vanvitelli mette a punto una tecnica originale prendendo spunto dai vedutisti e dai cartografi nordici di fine cinquecento, ma allo stesso tempo discostandosene e riuscendo a sintetizzare le architetture monumentali in un tessuto urbano semplice e modesto, con una luce aerea e nitida o cupa e crepuscolare. Senza alcun dubbio il pittore impiegò uno strumento ottico per tracciarle, probabilmente una camera oscura, e ciò viene confermato da numerosi dati oggettivi, come la nitida delineazione del panorama architettonico. Vanvitelli usava tracciare una quadrettatura sul foglio e poi fare un abbozzo dei contorni degli edifici (che in seguito perfezionava) servendosi di una camera oscura con una quadrettatura simile applicata sul vetro di proiezione e un obiettivo che, ovviamente, deformava le parti periferiche della veduta (effetto visibile anche nei disegni). La trascrizione dell’immagine dalla camera quadrettata spiega altresì la mancanza di punti prospettici nella maggior parte dei disegni. 34 Gaspard Van W ittel , Bacino di San Marco con il molo, la piazzetta e il Palazzo Ducale, 1697. 32 Carlo Bertelli,Giuliano Briganti,Antonio Giuliano “Storia dell’arte italiana 3” Electa – Bruno Mondadori 1991 p. 422 33 Fabio Benzi “ARTedossier” Novembre 2002 n. 183 Giunti Editore p. 38 34 Fabio Benzi “ARTedossier” Novembre 2002 n. 183 Giunti Editore p. 40
La familiarità dell’artista con strumenti quali la camera oscura deve collocarsi nella natia Olanda, percorsa nel Seicento da un marcato interesse scientifico, in particolare legato allo studio dell’ottica; nel campo dell’arte, questo oggetto fu un’importante innovazione, perchè permetteva di ribaltare la realtà su un vetro satinato o su uno specchio, enfatizzandone i contorni, accentuandone luci e chiaroscuri. Fu però Giovanni Antonio Canal, detto il Canaletto, l’autentico promotore della grande fortuna del Vedutismo veneziano del XVIII secolo; nella sua ricerca pittorica diventa dominante l’attenzione per la rappresentazione dal “vero” e per la resa naturalistica della luce, attraverso la quale si sofferma ad indagare i particolari. 35 Egli eseguì dal vero disegni preparatori utilizzando la camera ottica, che poi rielaborò liberamente: a seconda delle esigenze di rappresentazione usava contemporaneamente più punti focali, e non uno solo come previsto dalle regole prospettiche tradizionali. Fin dagli esordi, negli anni 1723­1726 circa, il vedutismo topografico di Canaletto si precisa nelle sue componenti essenziali per il rigoroso e saldo telaio prospettico che organizza l’immagine; con l’ausilio della camera ottica il pittore verifica direttamente sulla realtà il suo schema prospettico: “facendo roteare l’obiettivo per cogliere in sequenza le varie porzioni della veduta reale, egli è in grado di tracciare di questa, giungendo tanti piccoli schizzi, le linee prospettiche generali come per mezzo di un grande angolare” (Susinno). 36 L’abitudine e la meticolosità di schizzare sul posto il soggetto da rappresentare è una caratteristica del suo modo di lavorare che conserverà per sempre. 37 La tecnica rappresenta però per il Canaletto non solo un mezzo per riprodurre fedelmente il paesaggio, ma anche un modo per affermare in pittura la tesi illuminista della capacità razionale della mente di conoscere la realtà e quindi di “vederla chiaramente”. 38 Il pittore elegge Venezia a soggetto praticamente esclusivo delle sue vedute le quali permettono a volte di ricostruire alcuni frammenti di storia topografica della città. 35 Carlotta Lenzi Iacomelli “ La grande storia dell’arte” il settecento/seconda parte Gruppo Editoriale l’Espresso 2003 p. 100 36 Carlo Bertelli,Giuliano Briganti,Antonio Giuliano “Storia dell’arte italiana 3” Electa – Bruno Mondadori 1991 p. 422 37 I maestri del Colore “Dentro la pittura di Canaletto” Fabbri editori 1991 38 I maestri del Colore “Dentro la pittura di Canaletto” Fabbri editori 1991
Canaletto, Piazza San Marco 1723 circa. Canaletto, Il Canal Grande 1725. Un altro strumento ottico che ebbe un ruolo importante nella preistoria della fotografia fu la Camera Lucida (o chiara) 39 , la quale divenne popolare nel primo Ottocento presso gli artisti e, in misura ancora maggiore, presso gli aspiranti artisti e dilettanti. Si attribuisce generalmente quest’ invenzione al fisico e chimico britannico William Hyde Wollaston, che la brevettò nel 1806: ma potremmo anche definirla una reinvenzione, in quanto lo stesso strumento era stato descritto alla perfezione da Keplero duecento anni prima, nel 1611. 40 La camera lucida di Wollaston (poi perfezionata da Giovanni 39 40 Italo Zannier “Storia e tecnica della fotografia” Editori Laterza 2001 p. 5 Heinrich Schwarz “Arte e fotografia” Bollati Boringhieri 2002 p. 28
Battista Amici, il quale ne fece l’argomento di molti trattati scientifici) 41 consiste in un prisma di vetro applicato a un’astina sopra una tavoletta, dove viene appoggiato un foglio di carta; il disegnatore può eseguire quasi contemporaneamente, con la coda dell’occhio, l’oggetto da riprodurre e il foglio sottostante, dove sta tracciando il disegno. 42 Tutte le invenzioni finora citate, legate al miglioramento e perfezionamento della iniziale camera oscura, hanno avuto in comune l’obbiettivo di voler riprodurre la realtà in modo sempre più preciso e verosimile su di un supporto fisso. Il ritardo sulla datazione della nascita della Fotografia non è imputabile ad un problema “meccanico”, alla mancanza di una fotocamera, poiché perfettamente nota in ogni suo particolare, bensì al problema del suo mantenimento nel tempo: non basta ottenere l’immagine, bisogna anche poterla conservare. Attraverso ricerche ed esperimenti sulle sostanze fotosensibili fu possibile raggiungere diverse soluzioni. Geor ge Fabr icius (1516­71) aveva osservato e descritto nel 1565 in “ De Rebus metallicis variae observationes” , che materiali contenenti cloruro d’argento si alteravano se esposti alla luce e chiamò questa sostanza luna cornea ; 43 nel 1694, all’Accademia reale delle scienze di Parigi, fu presentato dal tedesco Wihelm Homber g il primo rapporto scientifico che anneriva ossa di bue, impregnate d’acido nitrico in una soluzione d’argento; fin dall’ VIII secolo d.C. l’alchimista arabo Ger ber segnalò che il nitrato d’argento poteva annerire per effetto della radiazione solare... ma “ fu solo nel 1725 che J ohann Heinr ich Schulze, professore di anatomia ad Altdorf, osservò che l’annerimento dei sali d’argento (fenomeno su cui si basano la maggior parte delle tecniche fotografiche) non era dovuto, come si era creduto in precedenza, al calore del sole o dell’aria, ma esclusivamente alla luce.” 44 Cercando di produrre del fosforo, Schultze saturò una certa quantità di gesso con acido nitrico che conteneva un po’ d’argento; egli stava facendo l’esperimento vicino a una finestra aperta in pieno sole ed ebbe la sorpresa di vedere che il 41 Heinrich Schwarz “Arte e fotografia” Bollati Boringhieri 2002 p. 28 Italo Zannier “Storia e tecnica della fotografia” Editori Laterza 2001 p. 5 43 Italo Zannier “Storia e tecnica della fotografia” Editori Laterza 2001 p. 6 44 Helmut e Alison Gernsheim “Storia della fotografia” Edizioni Frassinelli 1996 p. 15
42 preparato anneriva sul lato della beuta di vetro rivolto verso la luce, mentre quello che si trovava sul lato più lontano diventava bianco. Usando un preparato contenente una maggior dose di argento, il cambiamento di colore avvenne molto più rapidamente. In seguito Schulze ricoprì la beuta con una carta su cui aveva ritagliato alcune lettere, “ dopo un po’ scopersi che i raggi del sole, sul lato in cui essi avevano toccato il vetro del recipiente attraverso le aperture praticate sulla carta, scrivevano le parole o le frasi così accuratamente e distintamente sul sedimento di gesso che molte persone erano propense ad attribuire il fenomeno a ogni sorta di trucchi”. 45 Schulze si limitò a fare alcune immagini a stampino e non portò avanti i propri esperimenti verso la fotografia, ma offrì la prima descrizione di come ottenere delle immagini grazie all’azione della luce su carbonato d’argento, in “ Scotophorus pro Phosforo Inventus” (Norimberga 1727), intitolando così la sua comunicazione “perché mentre stava cercando di produrre il fosforo, cioè il portatore di luce, aveva invece scoperto lo scotoforo, cioè il portatore di buio.” 46 Approfondendo le osservazioni di Schulze il chimico svedese Kar l Wilhelm Scheele dimostra cinquant’anni dopo che “il nero che la luce dà alla luna cornea (cloruro d’argento) è argento trasformato” 47 ed insolubile all’ammoniaca. 48 Mentre si concludeva il “Secolo dei lumi”, l’idea di fotografia si materializzava: nel 1802 Thomas Wedgwood ed Humphr y Davy ottengono la prima immagine fotochimica (nota) che non riescono a conservare poiché ignorano come arrestare il lento ma inesorabile processo d’annerimento dell’argento. Essi ottennero disegni fotogenici su carta e su pelle bianca imbevuta di nitrato d’argento, facendo cadere sulla loro superficie “l’ombra di una figura”, ossia effettuando quel “meraviglioso concatenamento” tra ottica e fotochimica; 49 Davy, concentrando la luce con un microscopio solare, riprodusse immagini di piccoli oggetti su strati di cloruro d’argento che risultarono però labili: la radiazione diffusa nell’ambiente produceva un annerimento uniforme e di conseguenza 45 Helmut e Alison Gernsheim “Storia della fotografia” Edizioni Frassinelli 1996 p. 16 Helmut e Alison Gernsheim “Storia della fotografia” Edizioni Frassinelli 1996 p. 16 47 Jean ­ A. Keim “Breve storia della fotografia” Piccola Biblioteca Einaudi 1976 p. 5 48 Helmut e Alison Gernsheim “Storia della fotografia” Edizioni Frassinelli 1996 p. 16 49 Italo Zannier “Storia e tecnica della fotografia” Editori Laterza 2001 p. 16
46 l’immagine non si fissava sulla carta appositamente preparata con il cloruro. Wedgwood e Davy sono stati i primi a prendere coscienza, in concreto, delle possibilità grafiche della luce utilizzando il microscopio solare e la camera oscura, ma il merito dell’invenzione della fotografia come registrazioni di immagini durevoli è universalmente riconosciuto al francese J oseph Nicéphor e Niepce che, assieme al fratello Claude , nel 1822 scoprì l’insolubilità del bitume di Giudea 50 esposto alla radiazione luminosa e se ne servì per la preparazione di superfici fotosensibili. L’immagine poteva essere ottenuta da una matrice di carta resa trasparente con olio o cera e posta a contatto con la lastra bitumata, oppure mediante l’uso della camera ottica, anche se nel secondo caso l’esposizione indispensabile all’indurimento del bitume durava parecchie ore. Il procedimento di Niépce, descritto con chiarezza in una sua Notizia sull’eliografia (1824), risolve il problema del fissaggio dell’immagine ottenuta con la luce aggirando l’ostacolo creato dall’uso dei sali d’argento. Nel 1833 Niépce morì e Louis ­ J acques ­ Mandé Daguer r e, amico di Niépce e conoscitore delle tecniche dal lui messe a punto, si impegnò a portare avanti le ricerche sulle sostanze fotosensibili ed a migliorare e semplificare l’invenzione e la scoperta dell’amico: egli trovò il modo di impressionare una lastra di metallo con lo iodio e di fissarla col sale marino e con il mercurio. 51 Il procedimento è messo a punto e il suo inventore lo battezza Dagherrotipo. Il 6 Gennaio 1839, sulla “Gazette de France”, era comparso il primo annuncio dell’invenzione di Daguerre; il 7 Gennaio 1839 è tuttora considerata la data ufficiale della nascita della Fotografia. 50 Questo asfalto era d’uso comune a quel tempo, essendo utilizzato nella composizione di vernici per la stampa e ne era anche conosciuta l’alterabilità alla luce, fondamentale per gli scopi dei Niépce. Esso inoltre tendeva a schiarire, determinando con lo sfondo della lastra d’argento o di peltro, rimasta scoperta dopo lo “sviluppo” ( e anche annerita con vapori di iodio ), un chiaroscuro che riproduce con sufficiente precisione il disegno dell’immagine. ( Italo Zannier “Storia e tecnica della fotografia” Editori Laterza 2001 pp. 29 – 30 ) 51 Jean ­ A. Keim “Breve storia della fotografia” Piccola Biblioteca Einaudi 1976 p. 9
Le Gras, Francia, estate dell'anno 1826. Questa è la prima 'fotografia' della storia dell'umanità. Nicéphore Nièpce la ottenne cospargendo di Bitume di Giudea una lastra di peltro per eliografia. Essa ritrae il cortile della sua casa visto dalla finestra della sua stanza. Enormemente lungo il tempo di esposizione: 8 ore. Il risultato della lunga posa è visibile anche dalla luce del sole che illumina le facciate delle case sia di sinistra che di destra. Oggi l'immagine è conservata presso l'Università del Texas ad Austin (USA).
2. Dall’ Ottocento ad oggi: la fotogr afia stenopeicaattraver so alcuni Per iodici Fotografici Italiani. Par te Intr oduttiva “Solo nel 1839, la fotografia si afferma come tecnica pienamente autonoma, al termine di un lungo processo di sviluppo che in certi periodi si era manifestato in modo evidente, mentre in altri era rimasto nell’ombra.” 52 La fotografia stenopeica è strettamente legata all’utilizzo ed al processo della camera obscura , ovvero al primo approccio dell’uomo con la possibilità di riprodurre un’immagine reale attraverso la luce. La camera obscura riuscì infatti, per la prima volta, a restituire le immagini della realtà attraverso un piccolo foro (Stenopé) in modo matematicamente esatto e senza alcuna deformazione, acquistando grande importanza per la riproduzione di monumenti e per riduzioni di disegni, carte, incisioni. Questa scoperta fu l’inizio di una ricerca sempre più mirata al perfezionamento di tale metodo, il quale permetteva inizialmente di poter osservare e studiare più precisamente le eclissi di sole ed in seguito ottimizzava i risultati nel campo dell’arte e dell’architettura. Si arrivò quindi alla nascita della fotografia ed alla sua ufficiale affermazione (1839), con la consapevolezza e l’intento di trovare soluzioni sempre più complete e nello stesso tempo veloci, per ottenere esiti migliori nella riproduzione della realtà. Da quel momento, la fotogr afia stenopeica viene allora “abbandonata” ? Da qui parte la mia ricerca, attraverso un percorso storico sviluppato consultando periodici fotografici italiani dalla fine dell’ Ottocento ad oggi, per capire e comprendere il valore intrinseco di questa affascinante, se pur primitiva, tecnica, per accompagnarla nel tempo e per seguirne i passi che l’hanno guidata fino ai giorni nostri. 52 Heinrich Schwarz “ARTE E FOTOGRAFIA Precursori e influenze” Bollati Boringhieri editore 2002 p.22
La prima rivista fotografica presa da me in esame è stata “Progresso F otografico” ; questa scelta è dovuta alla data di nascita che corrisponde a questo periodico (1894) ed alla sua durata nel tempo che l’ha fatta sopravvivere fino ad oggi (nonostante attualmente presenti un nome differente ­“ PC Foto” ­). Presentandosi difficoltà nel poter consultare tutta la collezione attraverso biblioteche, la mia ricerca si è direzionata verso la Casa Editr ice Pr ogr esso di Milano, la quale ha sempre curato la rivista e messo a disposizione tutte le copie da loro conservate. Purtroppo andarono perse e bruciate, durante la seconda guerra mondiale, molte delle pubblicazioni custodite in archivio; la mia analisi si è quindi limitata all’esaminazione di queste annate: 1933, 1934 1951­1974. 53 Attraverso un’attenta lettura del periodico, sono emerse le sue principali caratteristiche, volte a trattare e privilegiare le nuove scoperte ed i nuovi utilizzi in campo fotografico e a tralasciare, anno dopo anno, tecniche e strumenti fotografici passati. E’ stato quindi difficile (ma non impossibile) trovare articoli che riportassero informazioni sulla fotografia stenopeica, non avendo a disposizione le prime annate della rivista. La mia indagine si è quindi concentrata su un altro periodico (anche se più recente), pubblicato dalla stessa Casa Editrice: “Tutti F otografi”. Di questa rivista ho esaminato tutta la collezione: dalla sua fondazione (1969) all’ultima annata disponibile (2000), avendo la conferma dalla segreteria di redazione che nulla sulla fotografia stenopeica fosse stato pubblicato dal 2001 al 2003. A differenza del mensile “Progresso Fotografico”, “Tutti Fotografi” presenta diverse finalità legate al mondo della fotografia, spaziando dall’arte alla didattica e ripercorrendo di tanto in tanto percorsi storici e tecniche passate. Nonostante la rivista tratti diversi aspetti e momenti della fotografia, gli articoli trovati sono stati, comunque, poco numerosi; il mio 53 La collezione completa è stata ricomposta da Rodolfo Namias dopo la seconda guerra mondiale il quale, attraverso mercatini, conoscenti e ricerche personali, riuscì a recuperare tutti i numeri pubblicati mancanti.
percorso ha quindi cambiato direzione e ha spostato la sua attenzione su periodici di fine Ottocento, analizzati alla Biblioteca Nazionale Centr ale di Fir enze. In particolare, la scelta di analizzare tale periodo storico è stata da me intrapresa per verificare se l’argomento in questione venisse trattato in modo più approfondito ed interessato e per capire che tipo di significato fosse ad esso attribuito in questa fascia temporale così vicina alla nascita e scoperta della fotografia connessa ai nuovi mezzi fotografici. I periodici presi in esame e le relative annate sono i seguenti: “L’archivio fotografico: giornale perprofessionisti e dilettanti” mensile di fotografia Annate a disposizione 1889 ­ 1890 Annate consultate 1889 ­ 1890 “Il dilettante di fotografia: giornale popolare mensile illustrato” Annate a disposizione 1890 (fondazione) ­1908 Annate consultate 1890 ­ 1900, 1902,1904,1908 “Italia artistica: periodico settimanale con fotografia” Annate a disposizione 1886 ­ 1888 Annate consultate 1886 – 1888 Il materiale rinvenuto riguardante la fotografia stenopeica è stato unicamente tratto da “Il dilettante di fotogr afia: gior nale popolar e mensile illustr ato”, diretto dal Dott. Luigi Gioppi, edito da LEPAGE E C. . Per quanto riguarda i restanti periodici “L’archivio fotografico: giornale mensile di fotografia per professionisti e dilettanti” ed “Italia artistica: periodico settimanale con fotografia”, nulla è stato rintracciato riguardante tale argomento.
Gli articoli reperiti alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze ed alla Casa Editrice Progresso di Milano sono a disposizione, nella loro forma completa, in appendice. Analisi e confronto dei testi “La fotografia senza obiettivo è un fenomeno strano nella storia delle invenzioni; nel principio gli apparecchi più semplici danno sempre cattivi risultati, di modo che si è obbligati a renderli complicati perché funzionino in modo soddisfacente. Più tardi però, quando sono stati studiati i principii nei quali si appoggiano, quando la scienza a cui si riferiscono ha fatto dei progressi sensibili, si torna indietro e si domanda se non sarebbe meglio rimettersi al punto di partenza, se gli apparecchi primitivi non erano assai più adatti, almeno per certe applicazioni… la camera oscura a semplice apertura, conosciuta assai prima della fotografia e punto di partenza di questa invenzione, può essere adoperata con grande vantaggio perché possiede certi requisiti che mancano assolutamente alle camere oscure con l’obbiettivo.” 54 Partendo da questa affermazione tratta da un periodico italiano del 1890, si verifica una riflessione ed un interesse che si sviluppa, come dimostrato dagli articoli analizzati, per tutto l’ultimo decennio di fine Ottocento; nonostante la vicina scoperta del dagherrotipo e quindi di processi più avanzati rispetto a quelli della camera oscura, questo metodo fotografico viene già ripreso in considerazione per le caratteristiche e per le sue qualità uniche, non riscontrabili nei più moderni metodi fotografici. La camera oscura è il punto di partenza della fotografia, ma, secondo Mareschal, “nei suoi primordi è stato impossibile utilizzare un apparecchio tanto semplice, si fu perché le sostanze sensibili alla luce conosciute allora (bitume di Giudea ed azotato d’argento) non erano abbastanza impressionabili con una così debole illuminazione. Si dovettero adoperare le lenti convergenti”. 55 Questo sistema di ripresa, “al quale fu dato nome di stenope­fotografo (dal greco e significa apertura stretta) può sostituire gli obbiettivi usuali per i vantaggi che presenta e cioè: 54 “Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno I, Maggio 1890, n. 1 p.p. 6 ­ 8 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze 55 “Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno I, Maggio 1890, n. 1 p.p. 6­8 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
abbraccia un campo che raggiunge quasi i 100 gradi e che permette di fotografare degli oggetti o degli spazi di grandi dimensioni anche ponendosi a piccole distanze. Le immagini che si ottengono sono di una esattezza matematica e non presentano deformazioni; le linee rette sono mantenute tali, e ciò è assai importante quando si debbono riprodurre dei monumenti. Per effetto di tale precisione si possono ottenere delle riproduzioni e delle riduzioni di disegni, carte, incisioni, con una perfezione grande. Tutti gli oggetti sono in fuoco e sempre netti anche se la posizione delle superfici sensibili variasse di qualche cm; si può adoperare, quindi, un telaio negativo qualunque, purchè possa essere adatto alla camera oscura ed entrare nelle sue scanalature laterali, e sostituire alle lastre delle pellicole, delle carte alla gelatina­bromuro, anche se la loro superficie non è perfettamente piana, perché la nettezza delle immagini non viene punto alterata. Oltre alla soppressione dell’obbiettivo, si può far senza anche del vetro spulito, essendo sempre a fuoco la superficie sensibile. Con questo sistema si possono prendere delle vedute stereoscopiche che danno l’effetto del rilievo, ben noto a quelli che maneggiano questo istrumento; delle vedute panoramiche ed anche semplicemente molto estese, adoperando o un telaio negativo curvo in legno a compensazione o un telaio a rullo del tipo Eastman, Mendola, Poulenc, ecc… Con questo istrumento si può calcolare sulla prova la vera grandezza dell’oggetto riprodotto conoscendo la sua distanza dalla camera oscura, e , viceversa, conoscere la dimensione che esso avrà sulla prova.” 56 Nel 1890, ’91, ’92, vengono in tutto pubblicati sette articoli dove si trovano specificati, in particolare, i processi tecnici per poter costruire questo strumento e per poter, nel miglior modo, applicare questa ripresa fotografica: vengono indicate le norme per la realizzazione del diametro del foro, a seconda degli effetti che si desiderano ottenere: “la nettezza dipende essenzialmente dal diametro e dalla forma della apertura; il diametro deve variare colla distanza fra lo schermo e l’apertura; ed infatti per una distanza di 0m 56 “Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno I, Maggio 1890, n. 1 p.p. 6­8 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
08 il diametro deve essere di 3/10 di millimetro, per una distanza di 0m 30, deve essere di 5/10 di millimetro, e cioè si riscontrerà una differenza di diametro di 2/10 di millimetro per una variazione di distanza di 0m 22: il miglior genere d’apertura è quello circolare; è indispensabile che gli orli non presentino sbavature. Il foro si fa in una lama di metallo di circa 2/10 di millimetro di spessore, bisogna forarlo con una punta di trapano, di quelle così dette a becco di lancia, a lame inclinate, in modo da fare come un cono piuttosto largo, giacchè questo artifizio aumenta il campo che può essere di 100 gradi, con un foro di 5/10 e superiore a 90 gradi, con un foro di 3/10. Adottando questo limite di 90 gradi si avranno delle prove nette anche sugli orli” 57 ; vengono date informazioni sulla durata della posa, la quale “dipende dalla distanza fra lo schermo e l’apertura, diminuendo l’illuminazione di mano in mano che questa distanza aumenta. Essa varia da 10 a 15 minuti, col collodio, con un tempo coperto, con un foro di 5/10 di millimetro e con una stanza di 0m 25 fra la lastra e l’apertura; varia da 30 a 40 secondi soltanto colle lastre monkhoven alla gelatina­bromuro con un tempo coperto; non è che di 10 secondi al sole, con un foro di 3/10 di millimetro ed una distanza di 0m 085. Ciò per i paesaggi; queste cifre sono suscettibili di aumento per oggetti vicini; allora la posa è di un minuto per un oggetto ben illuminato, nello studio, ad una distanza di 3 metri dalla camera oscura e con una distanza 0m 30 fra la lastra ed il foro” 58 . L’illustre professore Vidal, persuaso che uno studio accurato del tempo di posa necessario alle fotografie fatte senza obbiettivo contribuirebbe a popolarizzare questa originale applicazione dell’arte e della scienza nostra, ha creduto utile calcolare questa durata dell’ esposizione secondo certe lunghezze focali date, tenendo conto della variazione della intensità della luce e prendendo per base la sensibilità delle lastre lumiére (marca azzurra) “note a tutti per essere le più rapide che si trovino in commercio e le più regolari per fabbricazione. Il risultato degli studi del dotto professore si possono riassumere in un prospetto che presentiamo ai nostri lettori, estraendolo dall’ottimo 57 “Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno I, Maggio 1890, n. 1 p.p. 6­8 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze 58 “Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno I, Maggio 1890, n. 1 p.p. 6­8 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
giornale “La science en famille”.” 59 Il prospetto qui indicato corrisponde ad una tabella che rappresenta una dettagliatissima descrizione dei tempi di posa per diversi gradi di luce dati dal fotometro (disponibile in appendice per una eventuale consultazione). Viene in seguito 60 illustrata un’altra tabella corrispondente al rapporto tra diametro del foro e lunghezza focale, con relativi dati anche per il tempo di posa: Apertura in 1/10 di mm. Fuoco in mm. Rapporto dei tempi di posa. 1 12,3 1 2 49,3 4 3 111,2 9 4 197,5 16 5 508,7 25 6 444,5 37 (36) 7 605,0 50 (49) 8 793,6 66 (64) 9 1000,0 83 (81) 10 1234,0 103 (100) Un interessante articolo viene pubblicato, sempre sul periodico in questione, nel Novembre del 1897, dove si intraprendono una riflessione ed un percorso storico riguardanti l’attribuzione dell’applicazione della camera oscura; partendo dall’incertezza legata alla priorità data a G. B. Porta per quanto concerne l’invenzione della camera oscura, viene specificato che “il Porta pubblicò i quattro libri che compongono la sua opera “ Magiae Naturalis” , sive de miraculis rerum nel 1558, quando aveva solo diciotto anni, dimodochè egli scrisse certo in età ancor più giovanile, il cenno relativo alla camera oscura, che si trova nel libro II… si è allora indotti a ritenere che quel cenno, anziché rappresentare il risultato di studi e ricerche compiuti dal Porta, sia semplicemente la 59 “Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno II, Marzo 1891, n. 11 p.p. 163 –165 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze 60 Nel Maggio 1892, sul n. 25 di “Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” .
descrizione di un fenomeno fisico già noto e studiato nel mondo scientifico ai tempi del Porta.” 61 L’articolo procede segnalando descrizioni antecedenti gli scritti riguardanti la camera oscura del Porta, ricordando quelle già pubblicate otto anni prima nel libro “De subilitate” di Cardano e nei “Commenti a Vitruvio” di Cesare Cesarino stampati nel 1521. “Se il passo del Cesarino è da considerarsi come la descrizione più antica della camera oscura che sia stata data alle stampe, altre descrizioni del fenomeno esistevano già in manoscritti anteriori all’epoca della pubblicazione del Cesarino. Leonardo da Vinci, che a quest’epoca era già morto da un anno, aveva nei suoi numerosi manoscritti lasciato, affatto inedite, varie descrizioni della camera oscura. E’ nota la descrizione contenuta nel “Codice Atlantico” conservato nella nostra Biblioteca Ambrosiana, e l’altra del “Codice D” nella Biblioteca dell’istituto di Francia, la quale spiega il capovolgersi dell’immagine, ma nello stesso “Codice D” al foglio otto, abbiamo una descrizione del fenomeno accompagnata dall’accenno di particolarità le quali, sebbene non siano state sin qui rilevate come si meritavano, dimostrano quanto Leonardo avesse già perfezionato la disposizione della camera oscura.” 62 In conclusione, viene attribuita a Leonardo da Vinci la prima applicazione della camera oscura con le seguenti spiegazioni: “..la esattezza e la minuzia colla quale Leonardo descrive e spiega il fenomeno, non lascia alcun dubbio che in questo, come negli altri svariati argomenti trattati nei suoi manoscritti, egli siasi basato sopra osservazioni e ricerche personali. Sino a prova in contrario dobbiamo quindi ritenere Leonardo, se non l’inventore della camera oscura – il cui principio si riduce ad un semplice fenomeno da constatare – quegli che pel primo studiò il fenomeno della camera oscura, e ne indicò la pratica applicazione: chiuderemo questo cenno coll’osservazione come il passo relativo alla camera oscura nel Codice Atlantico, possa ritenersi scritto durante la lunga dimora di Leonardo a Milano, trovandovisi qualche parola con ortografia alla Lombarda. Cosicché non è fuori di proposito ritenere che a Milano la 61 “Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno VIII, Novembre 1897, n. 91 p.p. 1444­1446 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze 62 “Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno VIII, Novembre 1897, n. 91 p.p. 1444­1446 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
camera oscura abbia avuto con Leonardo la sua prima applicazione”. 63 Trovo che questa testimonianza sia importante, in quanto rivela il bisogno di comprendere e capire a fondo ciò che la storia ha portato con sé fino a quel momento ed in che modo sia stata poi rivista o valutata: una presa di coscienza non trascurabile. L’ultimo articolo rintracciato, datato 1900 64 , si distingue da tutti gli altri: racchiude infatti valutazioni a favore delle diverse caratteristiche che lo “ Sténopé” possiede, sia sul piano tecnico che su quello estetico­artistico, non ancora preso in considerazione nei precedenti testi analizzati; colui che scrive (Conte D’Assche), specifica che “…esso presenta vantaggi per certi lavori speciali…” ed in più “… possiede una qualità che vince tutte le altre, cioè la dolcezza dei contorni che fornisce.” Egli ci tiene a precisare che il risultato sfocato che tale tecnica restituisce, rappresenta una qualità (che solo lo stenopeico possiede) da valorizzare, e non un difetto da dover disprezzare: “I fotografi di professione rimproverano allo sténopé di dare delle immagini sfocate, e quando hanno pronunciato questo aggettivo si figurano di aver rinfacciato al povero istrumento l’insulto che esso non può raccogliere. Sfocato! Ciò ricorda i migliori fiaschi della carriera; il bambino che si è mosso durante la posa, l’albero agitato dal vento che loro ha rovinato (?) una negativa, una lastra sensibile messa a rovescio nel telaio; e della parola: sfocato, fanno nella loro lingua speciale un termine di disprezzo. Lo sviano dal suo vero senso, poiché anche noi diciamo che quelle immagini sono sfocate ed è una qualità che amiamo fra i pittori come Henner, Latour, Corot e molti altri 65 ; e come un Fusain è più sfocato di un disegno a lapis, di un pastello, di un acquarello, così lo sténopé dà una sfocatura maggiore che non l’obbiettivo. Ed è appunto che ciò vogliamo ed anzi vi sono dei casi in cui ci lamenteremmo di ottenere ancora troppa nettezza collo sténopé. Noi vogliamo dei paesaggi con un fare semplice e largo e come un pittore o uno scultore si sforza di semplificare la natura interpretando con un largo tocco di pennello o stecca una infinità di dettagli dei quali vuol 63 “Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno VIII, Novembre 1897, n. 91 p.p. 1444­1446 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze 64 “Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno XI, Dicembre 1900, n. 128 p.p. 2034­2037 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze 65 Tranquillo Cremona, insuperabile nel genere, ed i suoi imitatori. N.D.T.
rendere solo la massa, così noi vogliamo anche sopprimere i dettagli inutili di foglie, gli steli d’erba di un prato e rendere soltanto l’effetto opponendo a masse, l’ombra alla luce. Qualunque opera d’arte deve lasciare posto all’immaginazione di chi la contempla; ognuno deve trovarci, interpretandola col pensiero, un po’ del suo ideale particolare. Un’opera troppo precisa rinchiude l’idea in limiti troppo ristretti, troppo secchi, ed impedisce così allo spettatore di interpretare, col suo proprio temperamento, il pensiero principale del quadro. Corot ha detto: “ I dettagli sono sempre di troppo”. Ruskin, il maestro della critica, il creatore della religione della bellezza, ha scritto che: ­ Qualunque capo d’opera è impreciso, che l’eccellenza, a grado elevato, non può esistere senza l’oscurità ­ Infine Emerson, il cui talento è pari alla modestia, poco noto, che si dovrebbe studiare come il creatore ed il maestro della fotografia pittorica, dice giustamente: ­ Nulla in natura possiede un contorno duro, ogni oggetto è veduto contro un altro oggetto, tutti i contorni si fondono dolcemente, talora in modo così sottile che non si può distinguere esattamente dove l’una finisce e l’altra comincia ­ . I dettagli ingombranti, i contorni duri, l’apparenza delimitata dei soggetti, generalmente dati dall’obbiettivo fotografico, scompaiono coll’uso dello sténopé, e quando si sappia servirsene ed applicarlo ad oggetti adatti, questo piccolo istrumento produce delle immagini complete, bene avviluppate, di fare largo ed incerto senza essere vaghe ed indistinte…. Non voglio nemmeno dire che bisogna fotografare tutto collo sténopé; ognuno seguendo il proprio temperamento o l’ideale che desidera di tradurre, deve poter scegliere l’istrumento che gli sembra più conveniente; il pittore l’olio ed il pastello, il disegnatore la matita ed il Fusain, il fotografo l’obbiettivo e lo sténopé. Ognuno impieghi i mezzi più adatti a riprodurre quello che sente. ” Trovo che queste opinioni rappresentino l’esistenza nel ‘900 di una coscienza in cui lo stenopeico occupa, come strumento e come tecnica, un posto alla pari di altri fondamentali metodi artistici, rivendicando il valore personale ed espressivo che un’opera deve possedere per essere considerata tale; le parole sopra citate confermano contemporaneamente che questa consapevolezza non
appartiene a tutti, ma che sta andando attenuandosi nel tempo a favore di mezzi che possano restituire in fotografia risultati più vicini ad una ripresa veritiera ed esatta della realtà. Per rafforzare il valore di questa tecnica, vengono espressi nell’articolo anche altri vantaggi che la rappresentano “…che dal punto di vista della tecnica fotografica non sono da disprezzarsi: angolo di vista che può andare fino a 120 gradi, nessuna messa a fuoco, nessuna distorsione o deformazione da temersi, possibilità di prendere, modificando l’estensione del soffietto, la stessa veduta dallo stesso punto, a scale diverse, una profondità di campo sensa limiti, nessun timore di velature anche quando si abbia il sole di fronte. Tutto ciò fa dello sténopé uno degli accessorii più utili di ogni corredo fotografico…” Il Conte D’Assche chiarisce anche quanto sia importante conoscere i processi tecnici di tale strumento, senza i quali non ne sarebbe possibile un buon utilizzo ed una buona resa: “…lo sténopé consiste essenzialmente in una apertura di un diametro molto piccolo forato in un corpo opaco sottile. Un foglio di carta nera forato con un ago arrossato al fuoco; si incolla questa carta sulla apertura destinata a ricevere l’obbiettivo e si ha un istrumento un po’ primitivo ma sufficiente per le prime prove. E’ preferibile però il forare un’apertura con una fresa in una lamiera sottile; si taglia questa lamiera in forma di un diaframma e la si introduce nella montatura di un obbiettivo dal quale pel momento si siano tolte le lenti. Si può pure servirsi di una lamiera di ottone piegata più volte su sé stessa: si spezza per metà un ago, si rende perfettamente unita la rottura con una pietra all’olio e si perforano i fogli di ottone con questa punta, battendo a piccoli colpi con un martello, e curando di poggiare l’ottone sopra un pezzo di legno posto nel senso del filo; il foglio di mezzo sarà perforato con un buco senza sbavatura. L’assenza di sbavature è di grande importanza e qualunque sia il processo adottato bisognerà curare di farlo scomparire. Ma è più semplice e poco più dispendioso il comperare uno sténopé presso i negozianti di articoli fotografici. L’esperienza prova che il diametro dell’apertura deve variare colla distanza a cui si desidera di porre la lastra sensibile, sugli sténopé del commercio questi diametri sono segnati; si evita così di dover prendere delle misure molto delicate,
dato che le aperture variano a decimi di millimetro. L’apertura deve variare colla distanza che separa la lastra sensibile dallo sténopé; gli autori sono ben lontani dall’andare d’accordo su cifre esatte: Sir W. De Abney, il Capitano Colson, Lord Raleigh hanno dato delle misure che variano dal semplice al doppio; ciò prova, parmi, che le misure non devono essere così rigorose come lo vogliono questi matematici. Per mio conto personale trovo che basta che l’apertura aumenti a misura che si allontana la lastra sensibile dallo sténopé e mi sono fissato ai diametri seguenti che hanno almeno il vantaggio di essere facili a ritenersi in causa della analogia delle cifre 66 ”. Pronunciando, in seguito, altri dati relativi al procedimento da effettuare per ottenere una fotografia stenopeica, il Conte D’Assche conclude dicendo: “…spero di aver deciso ancora qualcuno dei miei confratelli a provare questo genere di fotografia; sono convinto che essa darà loro delle grandi soddisfazioni almeno per i grandi quadri; è un processo che un fotografo deve aver provato; la spesa è nulla, e, senza parlare della parte pittorica, vi sono dei casi in cui si può essere ben felici di avere con sé nel proprio bagaglio fotografico uno sténopé.” Questo articolo rappresenta, a mio avviso, la dimostrazione di come il foro stenopeico venisse ancora preso in considerazione ed indicato per effettuare fotografie, le quali, in quel particolare periodo storico, avrebbero acquistato un valore artistico riconosciuto e rappresentato dalle peculiarità insite in questa tecnica, unica per caratteristiche, procedimenti e risultati. 66 E’ abbastanza delicato il misurare così delle piccole aperture, e per evitare questa pena a chi desiderasse conoscere il diametro esatto dell’apertura del loro sténopé ho misurato con un calibro Palmer, gli aghi della Casa Kirby, di via Auber. Ecco il risultato di questa operazione; le misure sono prese ad un cm dalla punta: Aghi n. 12 3/10 ossia esattissimamente 33/100 di mm Aghi n. 10 4/10 ossia esattissimamente 44/100 di mm Aghi n. 9 5/10 ossia esattissimamente 50/100 di mm Aghi n. 7 6/10 ossia esattissimamente 60/100 di mm Aghi n. 6 7/10 ossia esattissimamente 72/100 di mm Aghi n. 4 8/10 ossia esattissimamente 81/100 di mm Aghi n. 3 9/10 ossia esattissimamente 92/100 di mm Aghi n. 2 1 ossia esattissimamente 102/100 di mm Questa tabella permetterà ad ognuno sia forando della carta nera con questi numeri di aghi, sia introducendoli nello sténopé metallici che posseggono, di rendersi conto del diametro delle aperture che adoperano.
Dal 1900 al 1908 non venne più trattato l’argomento su questo periodico e lo spazio temporale che va dal 1908 al 1933, purtroppo rimane privo di contenuti legati alla fotografia stenopeica, non essendoci stata la possibilità di consultare i fascicoli precedenti al 1933 su “Progresso fotografico” a causa della perdita di questi carteggi durante le guerre mondiali. Concluso quindi il percorso effettuato attraverso “Il Dilettante di fotografia”, dove si sono svelate informazioni importanti per quanto riguarda l’aspetto sociale che rappresentava questo metodo fotografico nell’ultimo decennio dell’Ottocento, passiamo ora ad analizzare gli articoli tratti da “Progresso Fotografico” e “Tutti Fotografi”. Le mie ricerche si sono concentrate sul primo periodico sopra nominato e, partendo dal 1933, si sono soffermate sui primi due articoli riguardanti la fotografia stenopeica rintracciati, appartenenti a fascicoli del 1970: il primo risale al mese di Gennaio ed inizia affermando che “Un obiettivo con focale variabile di 170° fino al tele di pochi gradi e che possa essere usato con qualsiasi formato di negativo …. Non è in commercio perché non esiste. Infatti, non può esistere perché non è fatto con vetri d’ottica, ma è fatto di niente: è un buco. …si chiama foro stenopeico. Oggi lo si contesterebbe (assieme a tutto il libro che fosse impostato su questo inizio). Ma il foro è una realtà incontestabile, che produce una fotografia, magari poco nitida (se dovesse essere ingrandita), ma prospetticamente più corretta e precisa di quella di qualsiasi obiettivo anche costosissimo.” Viene qui fatta una considerazione su tale metodo la quale fa trasparire, a mio avviso, un dato particolare: questa tecnica è stata negli anni dimenticata e messa da parte, tanto che viene qui descritta come qualcosa di contestabile, con la consapevolezza, però, che possa riprodurre una realtà incontestabile dal punto di vista della prospettiva definita “più corretta e precisa di qualsiasi obiettivo costosissimo”. Incontestabile realtà viene considerata anche “la variazione dell’angolo di ripresa che, nella posizione di massimo avvicinamento al piano focale, dà ciò che danno i cosiddetti obiettivi a <<occhio di pesce >> ma senza le distorsioni prospettiche che essi comportano.” Viene poi descritto il modo giusto e vengono puntualizzati i materiali necessari per poterla costruire, assieme all’indicazione delle misure essenziali da rispettare per il diametro
del foro. L’altro articolo dello stesso anno, ma del mese di Agosto, esplicita ciò che è avvenuto in seguito alla pubblicazione del servizio redatto a Gennaio “che richiamava alla memoria dai secoli antichi il foro stenopeico”: questo “ha fatto proseliti e con risultati davvero eccellenti”. Vengono presentate due fotografie prodotte da un certo Claudio Nobile (un probabile lettore), le quali hanno portato gli autori del periodico a farsi una domanda: “Come sarebbero simili fotografie fatte a colori? Questa sfocatura così piacevole alla vista non corrisponde forse a quella che si vede in certe pitture?”. Da queste parole si rileva che la “sfocatura”, caratteristica delle immagini stenopeiche, viene quindi riconosciuta come qualità distintiva e non come difetto da riparare, riflessione già avvenuta nel 1900. Nel Maggio del 1972, viene poi presentato un breve servizio che descrive tutti i passaggi necessari per la realizzazione di una macchina stenopeica specificando che quelle “costruite in casa con mezzi di fortuna, cartone, fogli di alluminio, scatole da caffè, sono economicissime e permettono di raggiungere buoni risultati se costruite e adoperate convenientemente”. Una peculiarità non trascurabile di questa tecnica è infatti quella della sua convenienza economica, la quale non è determinante per il risultato, ma invece garantisce una possibilità di utilizzo per chiunque voglia provare a fare fotografie. Da questo periodo fino al 1974 nulla più viene scritto per quanto riguarda questo metodo, anche perché gli argomenti centrali che caratterizzano questa rivista rimangono quelli legati (come testimonia il nome della stessa rivista) al progresso ed alle nuove scoperte fotografiche. Prendendo in esame la rivista mensile “Tutti Fotografi”, consultando i fascicoli dalla sua fondazione (1969), il primo articolo rintracciato risale al 1977. Si tratta di un “Corso di fotografia” che ha come scopo “…insegnare a tutti a fotografare e ad eseguire i procedimenti, più o meno misteriosi, che permettono di fissare su un pezzo di carta tutto quanto sta davanti alla macchina fotografica.” La premessa, riportata prima della descrizione procedurale riguardante la macchina stenopeica, risulta significativa, perché circoscrive ed esprime aspetti e necessità legate a quel particolare momento storico­ sociale:
“Negli ultimi cinquant’anni le comunicazioni tra gli uomini, oltre che attraverso i mezzi consolidati nel tempo come la scrittura, il disegno, l’arte la parola, il canto, ecc., avvengono anche tramite la fotografia, cioè attraverso un mezzo che potremmo chiamare nuovo, moderno. E’ vero che l’invenzione del procedimento fotografico si fa risalire a metà del secolo scorso, ma la fotografia come siamo abituati a vederla sui giornali e sui libri, ha i primi sviluppi con il nostro secolo, sviluppo che è andato man mano crescendo fino al livello che ben conosciamo. Se vogliamo renderci conto di questo fatto proviamo a sfogliare un giornale qualsiasi, un settimanale per esempio, scopriremo che l’immagine fotografica occupa molto spazio, spesso è lasciato a lei stessa il compito di << raccontare >> di << descrivere un avvenimento >> di << illustrare >> una determinata cosa. I testi scolastici, dal canto loro, utilizzano pure la fotografia per le sue insostituibili proprietà illustrative. Se non fosse stata inventata la fotografia quanti di noi saprebbero come è fatta la superficie del nostro satellite, come è fatta una navicella spaziale? Quanti saprebbero riconoscere uno scoiattolo, una vipera, un paesaggio africano, il Golfo di Napoli, Giacinto Facchetti? << Ma queste sono cose che ci mostra la televisione, il cinema >> E cosa sono la televisione e il cinema se non una successione di tante fotografie? ….. tutto risale alla fotografia che cinema e televisione hanno ereditato e sfruttato, ma la grande scoperta è sempre lei: l’immagine fissata sulla carta, la fotografia! La nostra civiltà non a torto è stata battezzata << civiltà dell’immagine >> perché non c’è momento della nostra vita quotidiana che non venga condizionato da questo straordinario mezzo di comunicazione. …. Quanti di voi sanno però realizzare una fotografia? Certamente molto pochi e pensare che tra le tante cose che a scuola vi vengono insegnate, fare fotografia è una delle più semplici e al tempo stesso affascinanti”. In questo numero di “Tutti Fotografi” viene esposta la prima di sei lezioni, la quale riguarda appunto la costruzione della camera oscura; le restanti analizzano invece La luce, L’apparecchio fotografico, I materiali sensibili, La stampa, Le possibili elaborazioni in camera oscura.
AREA CONTEMPORANEA 1. La gior nata mondiale della fotogr afia stenopeica. La giornata mondiale della fotografia stenopeica è un avvenimento internazionale nato nel 2001 e creato per promuovere e celebrare l'arte della fotografia a foro stenopeico. In questo particolare giorno, persone di tutto il mondo sono invitate a prendersi un momento per uscire dall'universo sempre più tecnologico nel quale viviamo, partecipando, con la creazione una fotografia a foro stenopeico, a questo avvenimento. In questo modo viene a loro data l’occasione di mettere in comune diversi sguardi contribuendo, nello stesso tempo, alla diffusione di questo storico procedimento fotografico. Questo evento ha luogo tutti gli anni l’ultima domenica di Aprile; è un evento non commerciale, aperto a tutti, in tutto il mondo. La partecipazione al Worldwide Pinhole Photography Day (WPPD) è totalmente gratuita; non ci sono tasse d'iscrizione né costi per la pubblicazione delle fotografie sul sito internet del WPPD. Questa manifestazione è assolutamente popolare, egualitaria e aperta a chiunque, ovunque, in ogni regione del mondo. Tutti gli appassionati della fotografia senza l'uso di lenti, così come coloro che non hanno mai sperimentato questa tecnica creativa e divertente, sono incoraggiati a partecipare. Le fotografie sono fatte con mezzi semplici e poco costosi: dalla scatola delle scarpe alla lattina dei pelati oppure modificando macchine fotografiche normali. Un mondo di pura creatività, un approccio gioioso alla fotografia, alla scoperta dell'emozione e dello stupore dell'atto fotografico in sé, distanti dal potere oppressivo della tecnologia. Ogni partecipante può presentare una fotografia, la quale: 1. Deve essere stata realizzata con un dispositivo senza lenti: foro stenopeico, fori stenopeici multipli, zone plate, slit, ecc., con qualsiasi tipo di macchina fotografica commerciale o autocostruita.
2. Può essere stata realizzata utilizzando qualsiasi materiale fotografico: pellicola, carta, emulsione liquida, bianco e nero, colore, e qualsiasi altro procedimento fotografico. 3. Può ritrarre qualsiasi soggetto. 4. Deve essere presentata dalla persona che ha fatto la fotografia, o con il permesso di chi ha fatto la fotografia, nel rispetto delle leggi internazionali sul Copyright e i diritti d'autore. 5. Deve rispettare le regole della comune decenza e i diritti dell'uomo (è vietata la pornografia). 6. Deve essere stata fatta il giorno relativo a questo evento. 7. Non deve essere stata pubblicata prima. Ciascun autore deve essere in grado di provare che la fotografia proposta non è contraria ai diritti fondamentali di altre persone. Il partecipante deve assicurare d'avere il consenso delle persone ritratte, o dei proprietari delle cose fotografate, alla ripresa e alla pubblicazione delle immagini. Per essere proposta, un’ "iscrizione" deve includere una scansione di una fotografia ed un " modulo d'iscr izione" debitamente compilato. L'immagine dovrà essere in formato JPEG e l'estensione del file dovrà essere ".jpg". L'immagine non dovrà superare i 500 pixels per ogni lato. La dimensione del file non dovrà superare i 50.000 bytes (50k). Per iscriversi, ogni partecipante dovrà scegliere una delle due "Procedure d'iscrizione" descritte alla pagina "Come iscriversi" (How to Submit) del sito web www.pinholeday.org .Tutte le immagini proposte ed accettate dal Comitato di Coordinamento saranno pubblicate, insieme alle informazioni che le accompagnano, sul sito ufficiale www.pinholeday.org : il “Worldwide Pinhole Potography Day” è autorizzato ad utilizzare ogni immagine ricevuta in qualsiasi modo non commerciale al fine di promuovere ogni evento futuro organizzato da pinholeday.or g, purché l'autore della fotografia venga citato; l'autore conserverà il Copyright e la proprietà dell'immagine presentata e si impegnerà a non reclamare alcun compenso materiale per l'utilizzo della sua immagine nei termini di cui sopra. I membri del Comitato di Coor dinamento hanno l'autorità per interpretare ed applicare tutte le regole necessarie alle domande di iscrizione ricevute e potranno, a loro discrezione ed a
loro giudizio, decidere quali immagini accettare per la mostra. Le loro decisioni sono inappellabili. Ogni iscrizione che non rispetta in tutti i punti le presenti regole e direttive, sarà respinta e non potrà apparire sul sito WPPD. Il Comitato di Coor dinamento si riserva inoltre il diritto di modificare, in caso di necessità, le attuali regole di partecipazione; in tale eventualità, le decisioni degli organizzatori sono insindacabili. Una persona può presentare un'immagine da esporre sul sito web www.pinholeday.org. Esiste quindi un regolamento ben preciso e prestabilito per poter aderire a questa iniziativa che nasce e si sviluppa attraverso un sito internet già sopra nominato (www.pinholeday.org) il quale "ospita" al suo interno una galleria unica ed internazionale dove vengono raccolte tutte le fotografie dei partecipanti, ogni anno. L'esposizione sul sito web WPPD del 2001 mostrava 291 fotografie di altrettanti fotografi stenopeisti provenienti da 24 nazioni, quella del 2002 conteneva immagini di 903 fotografi di 35 nazioni; nel 2003 hanno partecipato 1082 fotografi di 43 nazioni. Statistiche del sito W eb P ages Served in 2004 Jan 77,439 Feb 99,282 Mar 108,912 W eb P ages Served By Y ear 2001 443,105 2002 907,095 2003 1,268,356 2004 285,633 (Updated April 1, 2004 01:32) Il 25 Aprile 2004 saranno innumerevoli gli eventi dedicati alla fotografia a foro stenopeico in tutto il mondo: incontri, conferenze, workshops e riunioni informali per celebrare la Quarta Giornata Mondiale della Fotografia a Foro Stenopeico ed incrementare il successo delle edizioni precedenti. WPPD è il risultato del lavoro di un gruppo di volontari di tutto il mondo, i loro sforzi combinati e le loro abilità individuali
contribuiscono al successo sempre crescente di questo evento, permettendo ad un numero di persone sempre maggiore di scoprire la bellezza ed i misteri della fotografia a foro stenopeico. Ogni anno un team composto da persone rappresentanti diversi paesi del mondo si riunisce per promuovere ed organizzare questo momento; hanno collaborato tra loro: Nel 2004 Gr uppo di coor dinamento Tom Miller (USA ­ team leader), Zernike Au (Hong Kong), Paolo Aldi (Italy), Peter Bengsten (Denmark), Jean Daubas (France), Guy Glorieux (Canada), Gregg Kemp (USA), Edward Levinson (Japan), Guillermo Peñate (Canada), Rosanne Stutts (USA). Pubblicità Paolo Aldi (coordinatore), Nick Dvoracek (poster). Avvenimenti Tom Miller (cordinatore). Scuole Rosanne Stutts (cordinatore) Risor se Tom Miller (cordinatore) Web Site Gregg Kemp (coordinator) Tr aduzioni Peter Bengsten (coordinator, Danish), David Balihar (Czech), Lena Källberg (Svenska), Edward Levinson (Japanese), Guillermo Peñate
(Español), Ana Maria Schultze (Português), Patrizia di Siro (Italiano), Wolfgang Thoma (Nederlands), Andreas Wolkerstorfer (Deutsch). Altr o Martin Adler, Inge Mueller, Manfred Ritter. Nel 2003 Gr uppo di coor dinamento Tom Miller (USA ­ team leader), Zernike Au (Hong Kong), Jean Daubas (France), Bill Erickson (USA), Guy Glorieux (Canada), Gregg Kemp (USA), Edward Levinson (Japan), Guillermo Peñate (Canada), Rosanne Stutts (USA). Pubblicità Rosanne Stutts (coordinator) Risor se (Gruppo di coordinamento) Avvenimenti Bill Erickson (coordinator) Scuole Rosanne Stutts (coordinator) Web Site Gregg Kemp (coordinator) Tr aduzioni Jean Daubas (coordinator), Danish: Peter Bengtsen, Deutsch: Dieter Bublitz, Español: Guillermo Peñate, Japanese: Edward Levinson.
Nel 2002 Gr uppo di coor dinamento Guy Glorieux (Canada, team leader), Gregg Kemp (USA, team leader), Zernike Au (Hong Kong), Jean Daubas (France), Edward Levinson (Japan), Tom Miller (USA), Guillermo Peñate (El Salvador), Ana Maria Schultze (Brazil), Rosanne Stutts (USA). Pubblicità Rosanne Stutts (coordinator), Paolo Aldi (Italy), Dennis Johanson (Sweden), Marco Dreher (graphics), (Gruppo di coordinamento). Risor se (Gruppo di coordinamento), Dieter Bublitz (Germany), Tom Miller (web page), George L Smyth (web page). Avvenimenti Tom Miller (coordinator) Tr aduzioni Gregg Kemp (coordinator), Chinese: Zernike Au Fei Zheng, Danish: Peter Bengtsen, Deutsch: Dieter Bublitz , Martin Adler, Dutch: Wolfgang Thoma, Wally Thoma­Schuermans, Frans van Dijk, Español: Guillermo Peñate, Français: Jean­Luc Coulon, Guy Glorieux, Jean Daubas, Italiano: Patrizia di Siro, Japanese: Edward Levinson, Polski: Anna Oldak, Kasia Oldak, Português: Guilherme Galarraga, Ana Maria Schultze, Members of Lata Magica, Srpski Vladimir Mikovic, Slovensko: Vojko Flis, Svenska: Jan Hinderson, Dennis Johanson, Peter Wiklund. Nel 2001 Gr uppo di coor dinamento Gregg Kemp, (USA) (leader), Zernike Au (Hong Kong), Diana Bloomfield (USA), Jean Daubas (France), Larry Fratkin (USA), Guy
Glorieux (Canada), James Kellar (USA), Edward Levinson (Japan), Pam Niedermayer (USA), Guillermo Peñate (El Salvador), George Smyth (USA). Pr ess Release Guy Glorieux (leader), Diana Bloomfield, Jean Daubas, Tom Miller, Pam Niedermayer, Colin Talcroft Tr aduzioni Jean Daubas (leader), Chinese: Zernike Au, Mei Fung, Michael Lui, Leung Wai Yin, Deutsch: Dieter Bublitz, Martin Adler, Dutch: Peter Halpern, Michel Claus, Español: Guillermo Peñate, Carlos H. Santana, Manuel Galán Molina, Français: Jean Daubas, Guy Glorieux, Italiano: Paolo Aldi, Japanese: Toshihiro Hayashi, Rieko Isoi, Edward Levinson, Polski: Simon Cygielski, Portugês: Guilherme Galarraga, Ana Maria Schultze, Srpski: Vladimir Mikovic, Slovensko: Vojko Flis, Polona Petelinsek, Svenska: Peter Wiklund, Jan Hinderson. Altr o Leezy Hightower, Carmela DiDomenico, Larry Fratkin, Gregg Kemp, Diana Bloomfield (support coordinator), George Smyth (resources page), Pam Niedermayer (Logo Design). La Quarta Giornata Mondiale della fotografia stenopeica viene celebrata in tutto il mondo Domenica 25 Aprile 2004; il sito internet è una parte integrante di questo avvenimento che comunque si manifesta anche attraverso iniziative culturali organizzate in diverse città. In Italia verranno proposte a:
Savignano sul Rubicone (FC)
· Giornata del Collezionista Visione, prova e mostra­scambio di apparecchiature eimmagini stenopeiche.
· Franco Vaccari presenta "La fotogr afia Stenopeica – stor ia, tecnica, estetica delle r ipr ese stenopeiche" di Vincenzo Marzocchini.
· "Per cor si fotogr afici stenopeici" di Ennio Vicario e Massimo Stefanutti. Mostra fotografica tratta da esperienze personali raccolte intorno al tema della fotografia a foro stenopeico. A cura di SavignanoIncontri. Cuneo " Gior nata Mondiale Della Fotogr afia Stenopeica" Cuneofotografia Incontro/mostra di fotografia stenopeica Interverranno Giorgio Olivero e Pierluigi Manzone Cuneo ­ Via Statuto L'Occhio di Cristallo orario 10­19:30 Ar co (Tr ento) " Ritr atti in piazza" Piazza 3 Novembre ARCO (Trento) Paolo Aldi eseguirà ritratti fotografici a foro stenopeico in piazza durante l'intera giornata. Giuseppe Alzetta ed altri amici illustreranno costruzione ed uso di fotocamere stenopeiche. Piccola mostra di apparecchi pinhole. Per capire cosa potessero rappresentare in realtà queste occasioni di incontro e scambio culturale, ho partecipato in prima persona alla
giornata del 25 Aprile 2004 a Savignano sul Rubicone in provincia di Forlì­Cesena dove, in un primo momento, ho assistito ad incontri e confronti tra autodidatti, professionisti e appassionati di questo genere fotografico. Alcuni di loro avevano con se ed in esposizione macchine fotografiche auto costruite o modificate, diverse l’una dall’altra per forme e dimensioni, preziosi e cari “gioielli” da osservare e da esaminare attentamente. Ciò che in particolare ha attirato la mia attenzione e mi ha incuriosito è stato il modo in cui ogni singolo presente parlasse della propria macchina o di questo modo di fotografare come di qualcosa che non potesse più prescindere da se stesso; come se fosse avvenuta una simbiosi tra il proprio modo di affrontare la realtà ed il modo in cui la macchina a foro stenopeico riuscisse ad interpretarla. La fotografia stenopeica può rendere tutto ciò che viene definito “oggettivo”, estremamente soggettivo. Questa credo sia la sua grande forza e ciò che, per ogni presente in quella particolare occasione, possa paradossalmente rappresentare una bellissima novità da custodire e da riscoprire. In un secondo momento, l’attenzione si è spostata sulla conferenza indetta per la presentazione del libro "La fotogr afia Stenopeica – stor ia, tecnica, estetica delle r ipr ese stenopeiche" di Vincenzo Marzocchini, primo libro “post­moderno” 67 edito in Italia riguardante in specifico la fotografia stenopeica (escludendo quelli di Carla Novi incentrati però sulla didattica). Mario Beltrambini (organizzatore di “SavignanoImmagine”), Franco Vaccari (autore di diversi libri sulla fotografia), Vincenzo Marzocchini hanno dato inizio alla conferenza specificando l’importanza di questo libro, il quale, secondo la loro valutazione, rappresenta “un primo passo” verso la conoscenza e l’interesse di questa tecnica fotografica nel nostro paese. Franco Vaccari ne scrive l’introduzione e, prendendo la parola, afferma di essere “ affascinato da una tecnica che unisce il minimo di tecnologia con il massimo di magia dei risultati”; questo tipo di fotografia, secondo Vaccari, “ sposta l’attenzione non tanto sul risultato, ma sull’atto di fotografare, su tutto ciò che precede la scelta del soggetto ecc. : è infondo un modo di operare molto omogeneo con la fotografia Concettuale, unisce una tecnica 67 Franco Vaccari, presentazione del libro "La fotogr afia Stenopeica – stor ia, tecnica, estetica delle r ipr ese stenopeiche", Savignano sul Rubicone, 25 Aprile 2004.
apparentemente semplice con un’ attitudine mentale estremamente sofisticata. Oggi desta un interesse crescente perché realizza una forma di igiene mentale: accresce l’autostima e la soddisfazione personale, rende possibile l’acquisizione di una sensazione psicologica di benessere ottenendo risultati esteticamente validi con strumenti semplici; può inoltre essere definita una pratica “anarchica”, perché invece di seguire i dettami dell’industria fotografica fa si che ogni persona si possa inventare un percorso tecnico proprio, per arrivare al piacere dell’immagine. E’ una pratica particolarmente filosofica, in quanto rimane al centro dell’attenzione il rapporto che esiste tra l’interiorità di chi fotografa e la realtà sensibile ed oggettiva. E’ anche uno strumento molto economico, anti­globalizzante, in sintesi un sintomo della riluttanza nei confronti di pressioni culturali e sociali o di manipolazioni: rappresenta un desiderio di indipendenza. In un mondo dove c’è un dilagare di immagini che smeriglia il nostro globo oculare, la fotografia stenopeica ha un’immediato futuro nella sua applicazione didattica: è una tecnica che riesce a produrre libertà mentale”. Questo libro, a suo parere, risulta estremamente interessante perché va a colmare una lacuna nell’editoria italiana. Vincenzo Marzocchini, autore di questo testo, afferma che “lo stenoscopio rappresenta la sintesi materializzata del pensiero occidentale, ma anche il punto di collegamento con le dottrine orientali: avviene, con la fotografia stenopeica, il massimo rendimento con il minimo sforzo”. Altra dichiarazione importante che esprime per l’occasione è che “la democraticità della fotografia è avvenuta grazie al foro stenopeico, perché ha introdotto la tematica legata alle pari opportunità”. Concluso il dibattito, si sono aperte le sale che ospitavano la mostra di Massimo Stefanutti ed Ennio Vicario, dedicata a percorsi fotografici stenopeici. L’esposizione racchiudeva lavori realizzati esclusivamente attraverso questa tecnica, opere ermetiche, ricche di significati da scoprire e comprendere: opere d’arte. Ciò che ho potuto constatare da un punto di vista visivo è che questo modo di fotografare riesce a rendere l’immagine morbida, indefinita, sfumata, estremamente simbolica, perfettamente legata agli intenti e alle sensazioni di chi la produce. Ne deriva un risultato che custodisce insieme forme di pensiero e di quotidiana realtà, sofisticata bellezza
nelle linee ed intime interpretazioni di tutto ciò che può essere definito oggettivo. E’ stato interessante assistere ad una giornata dedicata a questo “modo di produrre arte”, ma soprattutto ha, a mio parere, rappresentato una conferma della validità ed importanza che assume ancora oggi la fotografia stenopeica e dell’interesse che permane nel volerla trasmettere. Oggi è evidente il cambiamento che negli anni il progresso ha portato nella nostra società; una delle conseguenze è la trasformazione del modo di percepire le immagini e di usufruirne; nonostante ciò, questo metodo fotografico mostra come sia possibile creare fotografie attraverso strumenti non tecnologici e produrre, attraverso questi, opere che acquistano un valore unico, che racchiudono in sé un vissuto soggettivo e non solo dati oggettivi della realtà.
2. Un confr onto tra gli autor i di oggi. In Italia sono presenti diverse persone che si occupano, in modi differenti, della fotografia stenopeica. Anche se l’utilizzo di questa tecnica sembra rimanere poco conosciuto, in realtà anch’essa occupa un posto nel mondo dell’arte. Per approfondire e mettere alla luce quale sia il suo valore intrinseco e quali motivazioni fanno sì che assuma un ruolo nell’odierna società, ho creduto importante interpellare diverse persone che praticano tale tecnica e ne fanno un uso personale ed artistico: provando ad entrare nell’argomento con un questionario composto di quindici domande, passando attraverso diversi aspetti artistico­culturali, il risultato ottenuto equivale ad una sorta di statistica che mette in relazione motivazioni individuali, talvolta legate tra loro, talvolta discordanti. Gli autori presi in esame sono undici, di cui tre americani, uno danese ed i restanti italiani: Peter Bengsten (Copenaghen, Danimarca), Gregg Kemp (Roanoke Island, North Carolina), Tom Miller (Coon Rapids, Minnesota), Rosanne Stutts (Augusta, Georgia), Mario Beltrambini (Santarcangelo di Romagna), Vincenzo Marzocchini (Friuli Venezia Giulia), Massimo Stefanutti (Venezia), Mauro Tozzi (Siena), Lorenzo Tommasoni (Trieste), Pierluigi Manzone (Cuneo), Alessandra Capodacqua (Firenze). Ho trovato utile e piuttosto rilevante fare una prima indagine sul tipo di lavor o che queste persone svolgono attualmente nella loro vita, per capire se riguarda in qualche modo la fotografia o se se ne distacca completamente. L’esito finale afferma la seconda ipotesi: quasi nessuno di loro svolge come primo impiego un lavoro inerente a questo campo dell’arte; ciò incide, a mio avviso, sul modo di affrontare e di vivere questo tipo di tecnica, anche se in ognuno si rivela una vera e propria passione ed un interesse approfondito, confermato dalle mostre e dai progetti ai quali partecipano attivamente. Ho trovato opportuno raggruppare qui di seguito tutte le domande esposte nel questionario, per poter mettere a confronto e valutare le relative risposte degli intervistati:
Quando, come e per ché sono nati inter esse, passione e r icer ca nei confr onti della tecnica a For o Stenopeico? Che valor e e significato dà e viene dato alle Sue oper e? Hanno un fine di r icer ca per sonale? Sono legate ad un mer cato? Come giudica il pr ogr esso fotogr afico e le nuove tecniche ad esso legate? Ogni autore ha avuto il primo approccio con questo tipo di tecnica fotografica in modo differente. Questo metodo, per qualcuno, ha rappresentato un’esigenza molto personale, legata ad un rapporto con la fotografia di tipo Concettuale: un’occasione per prendere tempo e lasciare spazio ad una ricerca che come obiettivo non ha solamente la validità del risultato finale, ma soprattutto si propone di arrivare ad una riflessione intima, interiore. Altri iniziali interessi sono derivati dalla sperimentazione di una tecnica di ripresa “quanto mai problematica e sfuggente”, dalla curiosità nel provare ad ottenere una fotografia attraverso un insolito percorso, dalla casualità dovuta ad esigenze pratiche (come affrontare un calo della vista quando gli occhi sono lo strumento del proprio lavoro?), dallo studio e dalla lettura di testi riguardanti questo metodo antico, da un viatico per spiegare il principio base della fotografia, dalla frequentazione di corsi e dall’insegnamento. Ognuna di queste persone ha acquisito questa tecnica e l’ha fatta propria, coltivando una passione che, in alcuni casi, si è quasi trasformata in “ossessione”, un continuo mettere alla prova le proprie capacità, i propri limiti e le proprie esigenze personali, altrimenti rese marginali attraverso l’utilizzo di mezzi fotografici tradizionali. Ogni opera prodotta assume un significato importante ed un indiscutibile ed intimo valore per colui che la crea. Secondo i pareri dei fotografi presi in esame, non è importante o poco interessa la vendita dei propri lavori: “Valore e significato delle opere sono relativi: relativi a chi le ha prodotte, e per ogni autore esse significano tanto ed assumono un valore massimo” “Non produco per il mercato, fotografo innanzitutto per me stesso, per cercare di rispondere alle mie aspettative, per
esternare quello che sento” “Alle mie opere non viene attribuito alcun valore venale, ciononostante per me significano molto: hanno contribuito a calmierare alcune tensioni mie personali, e mi hanno permesso di esprimere una parte altrimenti inespressa ed intima di me stesso” “Le mie foto sono essenzialmente ricerca, e per me rappresentano un inaspettato allargamento del mio orizzonte creativo” “La ricerca personale è vitale, perché porta a trovare nuove strade ed a perfezionare le proprie conoscenze.” “Il mercato è talmente vasto che diventa difficile capire quando un fotografo entra a far parte della schiera di coloro che riescono a vendere una fotografia”, afferma uno di loro. “Per vendere bisogna fare un tipo di fotografia che prima di tutto piaccia a chi la deve comprare: devi essere disposto a muoverti in certi canali/ambiti legati alle richieste del mercato. A mio parere il vero artista, o colui che si considera tale, non pensa di dover vendere le proprie fotografie ­ La fotografia a volte può essere un piacere, a volte è una necessità ­ Avere una necessità significa aver bisogno di trasmettere qualcosa, significa dare risposte a se stessi: cade, in questi casi, l’importanza di dover o poter vendere.” “Le mie opere non sono legate a nessun mercato, perché non c’é nessun mercato. Ci fosse venderei anch’io, forse. Abbiamo capito ed imparato che l’arte contemporanea si vende solo se sta bene nel proprio salotto, aldilà di quello che può rappresentare.” Per rendere un’immagine alla portata del mercato diventa indispensabile, nella maggior parte dei casi, adattare la propria forma espressiva a richieste commerciali e quindi a canoni estetici “oggettivi”; il principale scopo rimane, però, per ognuno degli intervistati, quello di intraprendere un percorso individuale che investe la sfera emotiva piuttosto che quella razionale, meccanica: nessuno di loro sarebbe disposto a rinunciare a questo aspetto fondamentale che determina il significato dei loro lavori. La fotografia analogica sta sempre più ridimensionandosi sui mercati a vantaggio di quella digitale, più moderna, più rispondente al dinamismo dei modelli culturali ed economici e quindi più vicina alla mentalità delle nuove generazioni. Per alcuni è inevitabile l’attrito che si è venuto a creare con l’avvento delle nuove
tecnologie, questo perché, come tutte le novità, il progresso porta con sé il bene ed il male, spesso così stretti che non se ne vedono i contorni. Un tipo di disagio espresso tra questi fotografi è la prevaricazione culturale e la pressione pubblicitaria mistificatoria tendente ad affrettare il passaggio dall'analogico al digitale con il restringimento dell'offerta per i prodotti “fine art”; i media parteggiano per il nuovo sconfessando il vecchio, divulgando informazioni inesatte tra le quali quella della scomparsa, tra qualche anno, della pellicola fotografica. Il progresso rimane comunque inevitabile ed imprescindibile, come in ogni caso tutti loro confermano, ma qualcuno sostiene che con la tecnologia digitale la fotografia abbia perso il suo statuto di verità: diventa infatti possibile creare realtà apparenti, slegate dal mondo reale. La fotografia si evolve con le invenzioni dell’uomo ed il suo sviluppo porta con sé anche una percezione di nuove creazioni, che rendono necessariamente obsoleto il “vecchio”, senza però cancellarlo. Una conseguenza negativa che il progresso ha portato con se è la perdita di un fattore importante: la qualità delle immagini, le quali ora possono essere create e allo stesso tempo distrutte in tempi velocissimi. Nonostante tutto, oggi è ancora possibile la convivenza di metodi così differenti tra loro per età e caratteristiche i quali, a volte possono fondersi insieme per dare vita a prodotti nuovi, sperimentali, a volte invece rimangono imprescindibilmente separati tra loro. Qual è la Sua for mazione per sonale? Che impor tanza ha assunto nel Suo per cor so for mativo la conoscenza e l’utilizzo di tale tecnica fotogr afica? Fa r ifer imento a par ticolar i ar tisti o scr ittor i? Ha par ametr i estetico­ cultur ali legati ad un cer to tipo di avanguar die? A quali avvenimenti ar tistico­cultur ali ha par tecipato pr esentando i suoi lavor i? Ha avuto r iscontr i positivi o negativi? Le conoscenze e le competenze che ognuno di questi fotografi ha acquisito nell’ intraprendere un “percorso stenopeico” derivano dalla frequentazione di corsi, da incontri rivelatori, da influenze culturali, da letture e da ricerche personali. La passione e la scelta di
approfondire sempre più questo cammino ha portato ognuno di loro a lavorare sull’argomento per tanti anni, fino alla conquista di un bagaglio educativo completo ed individuale: “Ho sperimentato tutte le tecniche di ripresa e stampa, scegliendo poi quelle che meglio mi avrebbero accompagnato nella fase creativa della mia produzione. Ho cercato di approfondire le conoscenze tecniche per riuscire a realizzare più compiutamente le idee che avevo in testa, arrivando perfino a seguire un corso di chimica”. Imparare a guardare, capire come guardiamo e perché ci attirano certe cose piuttosto che altre, rappresenta sicuramente un elemento importantissimo nel percorso formativo di ogni individuo. In primo luogo, per non essere uno spettatore passivo, in secondo luogo per prendere coscienza delle nostre scelte visive, di quanto possiamo essere “giocati” dalle immagini nel corso della nostra giornata e nella nostra esperienza di vita. La comprensione di questa tecnica fotografica ha assunto un valore importante per chi ha deciso di intraprendere progetti interamente sviluppati con lo stenopeico, è stata “un’iniezione di curiosità e di stimoli culturali” e ha reso possibile esprimere al massimo pensieri ed ideologie esclusivi legati alla percezione della realtà: “Imparare a fotografare è prima di tutto una presa di coscienza del mondo esterno, degli altri e di noi stessi.” Influenze e motivazioni artistico­culturali non sono mancate: per alcuni sono parte integrante della propria formazione, per altri rimangono relativamente importanti. “Sono stato in parte influenzato da fotografi e scrittori che hanno contribuito ad allargare i miei orizzonti estetico­culturali ma ho sempre seguito un mio filo conduttore, anche sul piano più specificamente estetico.” “Ogni tanto penso che la fotografia non sia altro che letteratura visiva.” Sul fronte artistico vengono citati diversi nomi di riferimento : Man Ray, Arthur Tress, Mario Giacomelli, Turner, Cezanne, Surat, Caravaggio per quanto concerne il rapporto luce­ombra, i pittori moderni Chuck Close, Ralph Goings, Audrey Flack i neorealisti in genere, i fiamminghi, fotografi come E. Ciol, G. B. Gardin, J. Koudelka, Paolo Gioli, E. Renner, D. Sillani, Sudek, Keith Carter, Max Pam, Elina Brotherus, Sandy Skoglund, Cindy Sherman, Lucas Samaras, Alfred Steiglitz.
Sul fronte letterario scrittori come I. Calvino “che scrive immaginando immagini”, le poesie di Emily Dickinson, le Visioni di William Blake. In particolare, vengono presi in considerazione movimenti come il Dadaismo ed il Surrealismo, i quali hanno avuto come caratteristica la sperimentazione, dove l’utilizzo di macchine fuori dagli schemi portava la fotografia a non essere più oggettiva, ma soggettiva: elemento distintivo che rappresenta un modo di porsi, verso questo ambito artistico, comune a quello di coloro che praticano la fotografia stenopeica oggi. Ogni autore ha partecipato con i propri lavori a mostre nazionali o internazionali all’interno di importanti centri di fotografia o di Festival di arte contemporanea come “Visionaria” (Siena), a Circoli fotografici, a concorsi e a manifestazioni legate allo stenopeico come il WorldWidePinholePhotography. L’intento è quello di aderire ad avvenimenti culturali per poter condividere assieme ad altri l’interesse di questa forma di fotografia e per potersi con loro confrontare. Le opere hanno sempre ricevuto riscontri sia positivi che negativi, ma nella maggior parte dei casi si sono rivelati costruttivi, in quanto sottoposti anche a critiche senza le quali un’opera risulterebbe, probabilmente, fine a se stessa. Conosce altr e per sone che seguono e pr aticano questo metodo? Quale tipo di r appor to esiste tr a di voi? (Avvengono scambi di or dine pr atico o cultur ale e quindi di infor mazione?) Per ché questo “mondo” r imane così nascosto e semi­ sconosciuto? Quali sono le motivazioni che La por tano a continuar e questo per cor so? Valutando le risposte a mia disposizione, traspare un evidente conferma del fatto che, coloro che praticano questo metodo fotografico, rimangono in contatto tra loro attraverso rapporti di amicizia, di scambio culturale e mediatico. C’è chi si è conosciuto attraverso l’organizzazione di mostre ed eventi indetti per tale argomento e chi invece ama la propria solitudine, più o meno creativa, e lascia ad altri la possibilità di comunicare ed avere
confronti. I rapporti sono infatti i più vari ed in ogni caso questo ambiente rimane molto aperto al confronto ed allo scambio. In Italia non esiste una vera e propria rete, ma i “pinholici” sono più o meno tutti in contatto tra loro, anche se i professionisti sono pochissimi. In America esiste invece un giornale internazionale, il “ Pinhole Journal” , pubblicato da oltre trent’anni, il quale rappresenta “la bibbia” di ogni fotografo stenopeico. Il suo creatore è forse colui che maggiormente ha dato impulso a questo “genere” fotografico, Eric Renner. Questo giornale pubblica tutte le più significative ricerche nel mondo e dalle sue pagine sono passati tutti i più importanti artisti stenopeici. Nel nostro paese esiste pochissima documentazione legata allo stenopeico ed uno degli autori presi in esame dichiara che ciò “..è dovuto al fatto che questa fotografia rappresenta una nicchia nella nicchia.” Sicuramente in America è presente una sensibilizzazione maggiore connessa alla fotografia stenopeica, perché c’è una libertà ed una elasticità legata all’immagine che qui in Italia non sussiste: ancora oggi siamo influenzati da stilemi che dal Neorealismo in avanti non ci hanno mai abbandonato, siamo stati “vittime” della cultura romana, greca, etrusca e l’idea di immagine artisticamente perfetta che, ad esempio, viene assegnata ai grandi della pittura, ci ha bloccato e continua a bloccarci dal punto di vista fotografico. L’America, avendo un trascorso storico artistico molto diverso e molto meno ricco, riesce ad essere più libera nel produrre oggi immagini e nel trovare e provare metodi come quello citato finora. Qualcuno afferma che “ .. solo apparentemente la fotografia stenopeica rappresenta una nicchia della pratica fotografica; in verità, gli addetti ai lavori sanno benissimo che molte opere attualmente esposte nelle gallerie sono state realizzate con tale tecnica "primitiva" (poi magari ritoccate al computer), solo che non sempre viene dichiarato dagli autori.”; qualcun altro pensa invece che rimanga un mondo sconosciuto perché “ in tanti provano a fare fotografie stenopeiche, ma in pochi riescono a realizzarne: la più immediata conseguenza corrisponde all’abbandono di questa pratica”. La fotografia, da sempre, sconta un peccato originale: quello di essere prodotta da una macchina e di essere infinitamente
riproducibile. Lo sviluppo di massa delle macchine fotografiche ha favorito una conoscenza generica dell’immagine ed, inoltre, ha contribuito a nascondere il reale valore di molte opere. E’ vero: gli stenopeici, oltre a scontare i limiti stessi della storia della fotografia, producono immagini attraverso una tecnica di nicchia, ma attenzione! Si tratta di una nicchia che utilizza una finestra grande come il mondo, Internet. Se infatti si digita sul web la parola Pinhole, appare tantissimo materiale a disposizione. Questa tipologia di fotografo non tende a nascondersi, anzi, ma non cerca di imporsi né di esportare un modello estetico; lascia che ci siano contaminazioni perché ciò rientra nella sperimentazione. All’estero la tecnica del pinhole e’ più usata in fase didattica, per poi essere accantonata a favore delle nuove scoperte tecnologiche in campo fotografico. Nonostante tutto, ognuno di coloro che ha risposto alle mie domande mantiene un profondo e non trascurabile interesse per questo modo di fotografare, perché si rivela come vera passione e necessità, come ricerca e come modo di vivere: “Continuerò ad usare lo stenopeico fino a quando mi sosterrà la curiosità di vedere e far vedere agli altri quello che vedo io.” “L’arte non è proprio la mia professione, è il mio modo di vivere, è quello che sono. Il pinhole è uno dei mezzi con cui ciò che vedo lo rendo visibile anche agli altri.” “Le motivazioni che mi portano a continuare questo percorso sono legate alla ricerca, innanzi tutto. Anche di me stesso”. La macchina che utilizza l’ ha costr uita per sonalmente? Cosa significa per Lei quest’oggetto? Come si potr ebbe definir e colui che oggi pr atica questa tecnica fotogr afica? Lei dà una definizione par ticolar e a se stesso? Come si sente nei confr onti del mondo della fotogr afia “moder na”? Tra le valutazioni di ogni fotografo, sono emerse differenti opinioni sul significato che una macchina stenopeica possa acquisire. In relazione a questo, qualcuno costruisce da se la propria macchina, qualcun altro provvede ad acquistarne modelli presenti sul mercato.
Nel primo caso questi mezzi risultano utili ed indispensabili per una necessità di ripresa fotografica individuale ed acquistano nello stesso tempo un valore unico, trasformandosi in "oggetti d'affezione" per chi personalmente provvede a costruirli; nel secondo caso rappresentano uno strumento soprattutto funzionale: avere una macchina già perfettamente pensata per fotografare con lo stenopeico semplifica il lavoro e diminuisce l’incertezza del risultato. In questo ambito fotografico, la macchina utilizzata può acquistare un significato portato all’estremo, rischiando alle volte di diventare un “oggetto di culto”, ma c’è chi afferma che al centro del processo fotografico questo mezzo non possa assumere più importanza di quanta ne abbia invece la persona che lo costruisce e che ne fa uso. “…la “scoperta” stenopeica non dovrebbe dar luogo ad un rapporto morboso né con le “macchine” né tanto meno con le fotografie. Quando si arriva a lavorare con il foro stenopeico, quasi sempre si è già percorsa molta strada, si è fotografi esperti. Occorre perciò spogliarsi di tutta una serie di luoghi comuni, tra cui anche di quel feticismo che si tende ad avere verso le macchine (di cui tutti siamo stati contagiati) come una sorta di adorazione per questo oggetto, nelle sue parti costruttive, nella bellezza delle linee..” C’è anche chi considera questi “apparecchi” strumenti di lavoro da utilizzare nel momento in cui se ne ha bisogno e da abbandonare quando invece questo bisogno svanisce. “Il confine tra utile e non utile sta nel prodotto finito: se lo strumento impiegato non è abbastanza soddisfacente per ottenere il risultato desiderato, va cambiato senza nessuno scrupolo.” Esiste una grande quantità di modelli personalizzati, con caratteristiche diverse e curiose: c’è chi ha costruito macchine con i Lego, con acqua ghiacciata, con scatole di legno, con il cartone, con un foglio di carta, chi ha modificato ed adattato una Polaroid rendendola priva di lenti ed obiettivo…tutte bizzarre e personali invenzioni funzionanti ed utilizzate. “La miglior definizione per colui che oggi utilizza lo stenopeico è quella che lo dichiara anti­tecnologico”, “lo stenopeico è " slow­ photography " in opposizione ad una " fast­photography " usa e getta.”
Tutto gira intorno a procedimenti mentali, profondamente interiori, sviluppati per trovare un giusto spazio ed un equilibrio con la realtà. Ciò concede a chi fotografa di intraprendere un percorso espressivo, che si concretizza con il risultato finale: una fotografia estremamente simbolica, ricca di significati, degna di essere chiamata opera d’arte. In questo senso alcuni dei fotografi finora analizzati sentono di potersi definire e di poter definire un “fotografo stenopeico” un artista, anche perché, come uno di loro afferma, “Artista è chi l’artista fa”! Altra interessante considerazione esposta nei questionari viene qui di seguito riportata: “Vedo che ci sono due ampie categorie di persone che utilizzano il pinhole: i fotografi e gli artisti visivi: i primi tendono ad essere più tecnici e ad aspettarsi che una macchina stenopeica sia come una macchina convenzionale; gli artisti visivi sono meno interessati agli aspetti tecnici della fotografia e più incuriositi dall’esplorare i modi, l’atmosfera e l’immagine inusuale possibile con l’uso della macchina stenopeica.” C’è anche chi si considera semplicemente un amatore o chi non si ritrova in nessuna possibile definizione. “..qualche volta mi sento più un troglodita che un homo tecnologicus, ma non sempre ­ o meglio quasi mai ­ i robotizzati diventano poi sapiens.” Con l’avvento delle nuove tecnologie, sofisticati strumenti hanno preso piede nel mondo della fotografia e hanno posto nuove ed immediate condizioni che rendono più facili e veloci i passaggi necessari per ottenere un’immagine. Per chi pratica riprese stenopeiche, si sono creati nuovi equilibri dati dall’unione di dispositivi moderni e procedimenti antichi. Nella maggior parte dei casi ci si sente comunque a proprio agio (ed inoltre facilitati in molte operazioni) nei confronti dei nuovi metodi fotografici. In definitiva, trovo perfetta questa metafora, espressa da uno dei fotografi in questione, per esprimere l’esistente rapporto tra fotografia contemporanea e fotografia stenopeica: “Io paragono la fotografia moderna ad un jet supersonico ed il pinhole ad un ultraleggero costruito in garage: uno in certi casi è necessario, l’altro dà soddisfazione…"
Cosa r appr esenta nella società di oggi la Fotogr afia? Cosa r appr esenta nella società di oggi la fotogr afia a For o Stenopeico e cosa invece r appr esentava nel passato? Per quanto riguarda queste domande, ho trovato interessante ed opportuno citare le risposte dirette di ognuno dei fotografi presi in esame: “Per fotografia intenderei tutto il mondo delle immagini, anche perché essa si divide in tante branchie. Oggi siamo dei divoratori di immagini e da queste siamo ogni giorno bombardati. Ne deriva, purtroppo, la sempre più scarsa e scadente qualità e la perdita del senso della bellezza di queste ultime. A mio parere la fotografia stenopeica non ha mai rappresentato molto, sia in passato che nel presente. È sempre stata una sfida. Inizialmente veniva considerata un mezzo pratico, necessario per raggiungere più velocemente ed in modo migliore risultati nel campo dell’arte, dell’architettura e dell’astronomia. Con il progresso fotografico viene abbandonata e sostituita da macchine più efficienti e sofisticate. Essa rinasce recentemente, nel momento preciso in cui viene riscoperta e rivalutata in ambito artistico­creativo, cosa che poi è accaduta anche ad altre tecniche del passato.” Mario Beltrambini “Le immagini hanno inflazionato la realtà visiva, tentano di orientare ostinatamente le nostre scelte di vita. A causa della sovraesposizione dei messaggi iconici a cui siamo sottoposti e dell’ambiguità insita in ogni fotogramma, alto è per noi il rischio di un continuo condizionamento ideologico. La fotografia, non smentendo le sue caratteristiche originarie di essere negativa e positiva nel contempo, può essere utilizzata negativamente per condizionare o positivamente per educare. Nel passato, tra il 1890 ed il 1915 c.a., vale a dire nel periodo definito pittorialista, si utilizzava lo stenoscopio per finalità estetiche, oggi le motivazioni sono diverse: quelle che più mi affascinano e che guidano il mio operare rinviano ad una lenta visione del mondo. Osservare e catturare il mondo in modo lento ci
permette di percepire più intensamente la realtà, di penetrarla in profondità, verticalmente e non solo orizzontalmente in superficie. La scelta della lunghezza focale e della dimensione del foro scandiranno le poetiche individuali finalizzate a suggerire una percezione ora più realistica altre volte più espressiva, ma il denominatore comune tra tutti i fotografi che operano con lo stenoscopio al posto dell’obiettivo sarà metaforicamente il recupero della visione riflessiva, non mediata tecnologicamente.” Vincenzo Marzocchini “In una società senza democrazia e senza pluralità di forme di comunicazione, la fotografia sarebbe un’arma formidabile di consenso sociale e di rappresentazione univoca del mondo. Ma in una società democratica e sul presupposto di una coscienza comune basata sul fatto che la fotografia non rappresenta ( più ) la verità, è una potente arma di dubbio. Nel passato, la fotografia stenopeica era un esperimento scientifico ed era legata al concetto di camera oscura in campo pittorico. Ora si è evoluta verso una dimensione espressiva e tanti cercano di sfruttare il senso onirico che ogni immagine stenopeica possiede: qualche volta riuscendoci, spesso no.” Massimo Stefanutti “Secondo me oggi la fotografia non rappresenta più nulla. In quanto tale ha perso quell’aura artistica che la poneva, anche se non senza problemi, tra le discipline artistiche; si è democratizzata a tal punto da non avere più neppure la necessità di possedere macchine specifiche. La si trova infatti anche sui telefonini (che, date le dimensioni estremamente ridotte, deve usare per forza un foro stenopeico!) e ben presto sarà installata anche su molti accessori della vita quotidiana. La fotografia esiste ancora perché è necessario pubblicare foto su riviste e giornali, ma non possiede più nessun altra qualifica che la ponga ad un livello di creazione. La fotografia è talmente diffusa che nessuno sa più come funziona, così come non sappiamo come funzionano molte delle cose che usiamo, né tanto meno quali siano i principi fondamentali di tale funzionamento.
In passato la fotografia stenopeica non poteva rappresentare nulla, nel senso che quando esisteva la “camera obscura” (anche se il fenomeno era conosciuto fin dall’antichità, le prime camere furono costruite nel tardo medioevo) non esistevano i rivelatori fotografici; essa veniva usata dai pittori (anzi probabilmente inventata per la sua concezione prospettica) per ritrarre la prospettiva che poi disegnavano in un foglio posto su un vetro nel quale si formava l’immagine. Ben presto ci si è resi conto che una lente al posto del foro migliorava la qualità complessiva dell’immagine. Il fenomeno della fotografia stenopeica, per quanto conosciuto e saltuariamente utilizzato qua e là, nasce alla fine degli anni ’60 in America con Renner. Ci troviamo perciò dinanzi ad un fenomeno “nuovo”: è infatti errato parlare di “rifare” fotografie stenopeiche. Credo che l’unica possibilità di sopravvivenza della fotografia (almeno per un altro po’ di tempo), intesa come operazione artistica, sia nella salvaguardia della sua manualità, nei suoi procedimenti di base e nella capacità di re­inventare immagini a bassa tecnologia.” Mauro Tozzi “Oggi la fotografia rappresenta immagini a corredo di pubblicità che ci bersagliano in quantità attraverso riviste, cartelloni ecc., ma è come ascoltare la radio mentre si guida o si fa qualcos’altro: si guarda senza davvero vedere. La fotografia si dovrebbe guardare volendola vedere, anche se oramai questo avviene raramente: sarebbe come mettersi le cuffie ed ascoltare musica classica. Credo comunque non rappresenti ne abbia mai rappresentato molto.” Lorenzo Tommasoni “D’istinto mi viene da dire che oggi la fotografia equivale ad essere una Piaga, ma poi tutte le letture fatte in merito mi costringono a dire che è stata la molla che ha fatto cambiare molto il nostro modo d’essere, di rapportarci con la realtà. Nel dare fiducia o nel valutare fatti e situazioni…. Credo che lo stenopeico non abbia rappresentato niente, ne prima ne dopo. Forse questa mia risposta scatenerebbe una reazione direi
violenta in Signorini e Vaccari, ma sinceramente non saprei cosa altro dire.” Pierluigi Manzone “La fotografia rappresenta, a mio avviso, un mezzo artistico e di comunicazione indispensabile. Nel passato la fotografia stenopeica è stata, per qualche tempo, Il modo di fotografare.” Alessandra Capodacqua “La fotografia ha molto potere sulla mente umana, come suggerisce il detto “vedere per credere”; un fotografo può informare velocemente le persone sulla verità di qualcosa, ma quando utilizza male i propri mezzi, può anche deviare le persone. Il pinhole è usato oggi dagli artisti visivi per esplorare l’immagine in un unico modo e da tanti altri per esplorare la fotografia dentro. Nel passato era uno strumento o elemento utile nella scoperta della comprensione visiva, degli elementi della luce, della visione della prospettiva ecc.” Gregg Kemp “Per la maggior parte delle persone, la fotografia è la documentazione di eventi familiari: nascite, funerali, vacanze, riunioni… Con l’avvento di macchine “punta e scatta” nelle mani di tutti, l’industria è cresciuta velocemente. Oggi il pinhole è un buon strumento d’insegnamento in molte discipline. Per quanto mi riguarda è una vera forma d’arte. In passato era un sacco di cose, incluso un “imbroglio” per artisti che potevano pennellare e mischiare colori, senza ottenere grandi risultati.” Rosanne Stutts “Ogni tipo di arte visiva è, a mio avviso, il più importante linguaggio del mondo. Nella società moderna siamo esposti ad immagini ogni giorno e così come siamo stati abituati, impariamo a codificare ogni cosa molto velocemente. L’immagine comunica così tanto più delle parole, che trovo sia importante che le persone prendano coscienza
riguardo i duri effetti che questi imput possono provocare; questa consapevolezza può far si che la gente non venga manipolata così facilmente. Il pinhole è fotografia ridotta all’osso. All’inizio della storia della fotografia, il pinhole ERA fotografia. Oggi è un’arte che rimane molto più oscura. Comunque, come si può vedere dal numero dei partecipanti al WPPD, la diffusione è in crescita. Io però non credo che il pinhole sarà mai qualcosa che tutti conosceranno, il che a me sta bene.” Peter Gebsten “La fotografia dà un’intenzione visiva alla conoscenza. Siamo capaci di VEDERE ciò che prima poteva essere solo immaginato, discusso o descritto. Penso alle prime edizioni dei viaggi di Marco Polo dove illustratori dipingevano i castelli e la ricchezza della Cina come quelli europei, perché quella era l’unica immagine della quale erano a conoscenza. Le persone si soffermano a studiare immagini catturate in brevi secondi; noi possiamo passare molto tempo ad osservare il momento di una raffica di bombe o una corsa di animali selvaggi o un fiume. Ci sono cose che, dati i nostri normali sensi, non potremmo mai o non vorremmo mai fare. La conoscenza e la pratica del pinhole diventa affascinante perché è fuori dall’abituale gamma di esperienze. La precisione delle lenti fotografiche e la natura onnipresente delle super­immagini all’interno dei giornali, hanno creato una falsa visione del mondo che la società crede sia quello reale. Io non cerco di calcolare questo con il pinhole, ma credo che la fotografia stenopeica dia un autenticità all’immagine di cui spesso è priva la tradizionale fotografia. Il pinhole, tutto ciò che lo riguarda e le tecniche primitive della fotografia costituiscono un vasto universo che si è appena cominciato ad esplorare. Tutto questo offre un’ intenzione creativa così vasta, profonda, varia ed in grado di esprimere le svariate esperienze umane più di ogni altro mezzo artistico.” Tom Miller I questionari completi di ogni fotografo preso in esame, con relative fotografie, sono a disposizione in appendice.
Colonia Roma, Bellaria Mario Beltrambini
Vincenzo Marzocchini
Massimo Sefanutti, Venezia.
Mauro Tozzi
Risaia GelO2 Lorenzo Tommasoni Torre Velasc
M artina con cuscino. P ierluigi Manzone Silvia.
Alessandra Capodacqua Un autore contemporaneo che ha lasciato un’ impronta importante lavorando con questo metodo fotografico e che vale la pena almeno citare è Paolo Gioli.
“La figura di Gioli costituisce, all’interno della storia della fotografia sia italiana che internazionale, una sorta di ponte fra le arti classiche, di cui conserva memoria, e le arti tecnologiche, che egli interroga negli aspetti più intimi; fra l’insistenza sugli aspetti ancora manuali della fotografia e del cinema, da un lato, e la progettazione concettuale e il gesto, dall’altro. Uno dei fautori del rinnovamento della fotografia contemporanea, presente nelle più importanti storie della fotografia e riconosciuto come maestro, Gioli ha ricevuto ampio riconoscimento internazionale: pittore, film­maker, fotografo, appartiene a quella generazione di artisti che fra anni Sessanta e Settanta sia in Europa che negli USA scelsero la fotografia, il cinema oppure il video come nuovi strumenti di lavoro sui quali misurare e rinnovare i codici dell’arte. In particolare, si devono a lui molte ricerche innovative attuate attraverso la riscoperta e l’uso radicale del foro stenopeico quale principio fondante della fotografia e di camere autocostruite o oggetti trovati utilizzati come camere in luogo delle apparecchiature industriali; l’impiego “alternativo” di materiali Polaroid a colori e in bianco e nero in cerca dei valori materici della fotografia (trasferti su carta da disegno, seta serigrafica, con acrilico e rosso d’uovo, matita, tela, composizioni di più Polaroid in un’ unica ripresa, sperimentazioni e indagini sui processi di sviluppo); il Cibachrome, impiegato come supporto in sé o utilizzato insieme alla Polaroid; la tecnica del fotofinish sottoposta a una personale rivisitazione in fitte ricerche sui segni, il movimento, la scrittura, la luce. L’opera fotografica di Paolo Gioli costituisce un episodio assai particolare, possiamo dire eccezionale, nel panorama non solo italiano, principalmente per un motivo: non vi è nessun altro artista che abbia così a lungo e così intensamente lavorato nel tempo a convogliare i codici delle arti manuali dentro i codici di un’arte tecnologica quale è la fotografia. E’ molto interessante ricordare a questo proposito che Gioli, alla fine degli anni Ottanta, realizza una serie di fotografie utilizzando la sua stessa mano come camera obscura contenente la pellicola sensibile, indicando come sia possibile affidare al corpo stesso dell’artista la funzione di camera, di luogo che accoglie la luce che darà esistenza all’immagine; vi è dunque, in questa azione, il significato di una liberazione da ogni tipo di strumentazione meccanica atta a convogliare segni sul
supporto sensibile, e l’intenzione di rimandare il farsi del segno fotografico al lontano lavoro della mano dell’uomo. Il totale abbandono della fotocamera e l’impiego, da parte di Gioli, della fotografia stenoscopica, operata vuoi con una conchiglia, un bottone, o con la stessa mano chiusa a pugno, annulla proprio quell’apporto tecnologico che verrebbe a costituirsi quasi come interferenza nel fissarsi dell’immagine che così, invece, nell’utilizzo di un minuscolo foro privo di lente praticato, o trovato, in un comune oggetto, si attua nell’immediato suo essenziale definirsi, eludendo compromissioni e ristabilendo il semplice, ma meraviglioso dato, che la fotografia è il mondo, poiché tutto ciò che in esso è, come nella fotografia, è determinato dall’azione della luce. Nel lavoro di Gioli si palesa la sua ricerca sulle 'origini' della fotografia ed in particolare l'esplorazione quasi archeologica con diverse possibilità tecniche di questo medium…” Egli stesso dice: “Ho assunto il foro stenopeico come "punto di vista" sia plastico che ideologico. L'immagine fotostenopeica mi è sorta perché non avevo una macchina fotografica. Più tardi si è trasformata, questa immagine, in una vera e propria fissazione della raffigurazione totale. Mi affascina la purezza del gesto del riprendere "povero" e la restituzione altrettanto pura ma per niente povera, anzi clamorosa. La mia non vuole essere breve azione scolastica, ma un risoluto modo di capire lo spazio attraverso proprio un punto nello spazio. Così il ribaltamento come quinte di scena; le magnifiche figure che ci circondano portate da raggi purissimi; senza sbarramenti ottici, senza mirino, niente chiusure e distanze ne altezze.” 68 Nelle pagine che seguono ho ritenuto interessante inserire la parte del Glossario presente nel libro di Paolo Gioli “ Gran positivo nel crudele spazio stenopeico” , nel quale vengono delineate diverse e curiose possibilità sperimentate dall’autore, per ottenere una fotografia stenopeica. Infine, ringrazio personalmente il Sig. Paolo Gioli per la gentile concessione espressa riguardo al materiale che segue. 68 www.paologioli.it
AREA DIDATTICA 1. Come costr uire una macchina a foro stenopeico. “ …per la fotografia, senza obiettivo, la comune camera oscura non è, a rigore, assolutamente necessaria Basta una cassetta di cartone che ogni dilettante può con facilità costruire.” Luigi Sassi La costruzione di una macchina a piccolo foro può costituire un percorso facile, immediato ed importante per capire i processi ed i passaggi di una ripresa fotografica, liberandosi per un momento della sofisticata tecnologia che renderebbe complicato ciò che in realtà assume una forma semplice ed alla portata di tutti. C’è chi pensa che una macchina fotografica a foro stenopeico sia solo una macchina fotografica nella quale l’obiettivo è sostituito da un forellino praticato in un materiale sottile. Non è sbagliato, ma non è nemmeno completo. Una macchina fotografica a foro stenopeico è ANCHE questo, ma quando la si costruisce è innanzi tutto uno strumento che permette di comprendere la fotografia e di riscoprire le sue regole primitive. Viene qui di seguito suggerito un metodo per poter costruire una macchina stenopeica proposto da Carla Novi nel suo libro “ ­ F OTOGRAF IA DIDATTICA ­ Come costruirsi una macchina fotografica ”. Per costr uir e una macchina a for o stenopeico è sufficiente disporre di una scatola il cui coperchio sia ben aderente alle pareti e che, una volta chiusa, si possa dire a tenuta di luce. Il funzionamento di questa macchina è indipendente sia dalla forma che dalle dimensioni della scatola: per ottenere immagini più nitide è consigliabile opacizzare le pareti interne della scatola dipingendole di nero o rivestendole con del cartoncino (sempre nero). Perché si
possa effettuare la ripresa fotografica è poi necessario oper ar e un piccolo for o nella parete dal quale entrerà la luce necessaria ad impressionare il materiale sensibile; il piccolo foro fungerà da obiettivo ed è importante che venga praticato su di un materiale non trasparente, ma di minimo spessore, come ad esempio l’alluminio per alimenti, il quale ha il vantaggio di essere estremamente sottile e non fibroso come invece è la carta. Per ottenere un ottimo risultato basta appoggiarlo su di una base semi­rigida forandolo con un ago. Così facendo, la sbavatura che si crea quando lo spillo lo trafigge si appiattisce direttamente ed il foro diventa netto. Poiché la parete di cartone della scatola non risulterà mai abbastanza sottile, è consigliabile asportare un tassello con le forbici ed applicare, al suo posto, il materiale precedentemente forato. Se il foro stenopeico è sufficientemente piccolo, permetterà il passaggio ­ virtualmente ­ di un solo raggio per ciascun punto illuminato del soggetto e, più precisamente, di quel raggio la cui traiettoria non incontra la parete frontale della macchina o si disperde attorno ad essa. Per la loro inclinazione, i raggi luminosi che entrano nella macchina attraverso il foro stenopeico formano un’immagine capovolta alto­basso ed invertita destra­sinistra rispetto al soggetto reale; per r egistr ar e tale immagine è necessario collocare il materiale sensibile contro la parete opposta al foro, con la gelatina rivolta verso la luce: per mantenerlo in posizione sarà sufficiente un pezzetto di adesivo. Il car icamento della macchina con il materiale fotosensibile deve essere effettuato in luce di sicurezza. Per evitare che la luce indesiderata colpisca la carta fotografica prima e dopo la normale esposizione, la scatola deve essere munita di un otturatore: un pezzetto di cartoncino nero, trattenuto dall’adesivo, funziona perfettamente. In generale il campo inquadrato attraverso il foro stenopeico è tanto ampio che la necessità di un mirino non è avvertita. L’importante è ricordare che, se la macchina durante la ripresa è appoggiata in posizione arretrata su di un piano, ne fotograferà gran parte: meglio dunque appoggiarla sul bordo dell’appoggio. L’esposizione, la cui durata può essere calcolata empiricamente facendo qualche prova, viene effettuata aprendo l’otturatore per il tempo necessario ad impressionare il materiale sensibile che, una
volta sviluppato, fissato e stampato in camera oscura, mostrerà la finale fotografia. Attraverso questo tipo di macchina possiamo calcolare anche le dimensioni dell’immagine prescelta: Se la Distanza Focale 69 è pari alla distanza del soggetto dall’apparecchio, l’immagine avrà le stesse dimensioni del soggetto che l’ha prodotta. Se raddoppiamo la focale, l’immagine avrà dimensioni doppie rispetto al soggetto e così via. Avviene invece l’inverso se la distanza focale è minore della distanza del soggetto: dimezzando la focale otterremo un’immagine le cui dimensioni sono la metà di quelle del soggetto. Quindi la regola generale è: LA DISTANZA FOCALE E’ DIRETTAMENTE PROPORZIONALE ALLE DIMENSIONI DELL’IMMAGINE. Per avere la certezza che la macchina sia stata ben costruita si può caricare con un pezzetto di carta vergine portandola poi al sole e lasciandovela per alcuni minuti senza aprire l’otturatore. Se il pezzetto di carta fotografica rimane perfettamente bianco, avrete la certezza che la macchina sia perfettamente funzionale; se invece si ingrigirà leggermente o addirittura annerirà, dovrete arginare l’invadenza della luce. Infine, è sconsigliabile eseguire riprese in interni, poiché per quanto luminosa, una stanza non lo è mai tanto da consentire riprese in tempi ragionevoli, a meno che non disponiate di potenti illuminatori; al contrario, anche con tempo nuvoloso, è generalmente possibile fotografare in esterni. Vincenzo Marzocchini specifica nel libro “ LA FOTOGRAFIA STENOPEICA Storia­Tecnica­Estetica delle riprese stenopeiche” l’importanza della misura del diametro del foro da applicare sulla nostra macchina, il quale poi fungerà da obiettivo: “…il forellino può essere effettuato su carta argentata da cucina. Chi vuole misure precise, senza lasciare spazio a sorprese e a sperimentazioni varie con prove e controprove, non deve far altro che recarsi in una merceria ed acquistare un set di aghi.” 69 Distanza tra il piano frontale della macchina (nel quale è stato praticato il foro stenopeico) e il piano posteriore al quale aderisce la carta fotosensibile
Marzocchini fa riferimento ad una antica tabella con le relative corrispondenze ago­diametro del foro, indicata da Luigi Sassi, il quale scriveva: “ …Con un punteruolo adunque o con uno di questi aghi si perforerà una lastrina metallica, preferibilmente di ottone, cui si darà la dimensione di 4 o 5 centimetri di lato, procedendo nel modo seguente: Si posa la lastrina su di un vetro o su di un grosso foglio di carta e, dopo avervi tracciate con una punta due linee diagonali (fig. 90) con un ago grosso puntato sulla intersecazione A, al qual si dà un legger colpo di martello, si forma un incavo che, al rovescio della lastrina, produce una protuberanza. Su questa si sfrega allora una carta smerigliata finissima fino a che rimanga uno strato sottilissimo di metallo che si perfora con un punteruolo o con un ago il cui diametro sia accertato…” A
Fig. 90 “ …La messa in fuoco quindi non può che effettuarsi per mezzo del calcolo; e mi affretto ad esortare il lettore a non spaventarsi nel sentir parlare di calcoli poiché, per special merito del Combe, la cosa non potrebbe più facile. Infatti la formola per la messa in foco è: F = D alla seconda /8 in cui F rappresenta la distanza focale, D il diametro del foro. Così se si opera con un foro di 30 centesimi di millimetro avremo 30 x 30, 900 900:8, 112,5. La cifra 112,5 stabilisce la distanza in millimetri a cui dev’essere collocata la lastra sensibile dal foro.” Aghi del N. 12 super. Spessore 33/100 di millimetro " 11 " " 38/100 " " 10 " " 46/100 " " 9 " " 52/100 "
Antica Tabella indicata da Luigi Sassi. 70 IL NEGATIVO E IL POSITIVO “…le macchine stenoscopiche è bene che abbiano le guide per il negativo sistemate a semicerchio al fine di garantire che i raggi della luce giungano tutti contemporaneamente sull’emulsione ( in questo modo si evita o si ridimensiona moltissimo la caduta di luce ai bordi)…” Questo è un consiglio che Marzocchini espone a tutti coloro che proveranno a costruirsi una macchina stenopeica, in più elenca differenti tipologie di negativi utilizzabili all’interno di una macchina ed una serie di metodologie per ottenere i positivi:
· Il Negativo su Car ta Vantaggi: 1. Il foglio (destinato a diventare il negativo) va posizionato nelle apposite guide con l’emulsione rivolta verso il foro. Questo passaggio deve avvenire alla luce della lampada di sicurezza e non al buio totale. 2. Applicando questo metodo non ci sarà indifferente il risparmio economico… Svantaggi: 1. La bassa sensibilità della carta, rispetto ai negativi tradizionali (5­6 contro i 25­3200 c.a) fa si che per le riprese diventi indispensabile il treppiedi, in quanto l’esposizione può variare, anche in pieno sole, dai due ai quattro minuti. 70 Tratta da J. Combe “Sans obiectif. Lettre à ma fille sur la photographie au moyen d’un trou d’aiguille. (Paris, 1899) 2. Con sole intenso, cioè in presenza di forti contrasti, è da preferire la carta di gradazione n. 0; essendo quest’ultima di difficile reperibilità, occorrerà una grossa cifra per acquistarne più di un foglio. Per questo tipo di ripresa, quindi utilizzando come negativo la carta, si consiglia: ­ la n. 0 con forte sole ­ la n. 1 con cielo velato ­ la n. 1 oppure la n. 2 con illuminazione molto piatta o cielo nuvoloso.
· Il Negativo Tr adizionale su pellicola E’ reperibile sul mercato un’infinita gamma di pellicole nei vari formati a rullo e piane. A parte i materiali Polaroid e le emulsioni in rullo (che possono essere caricati a luce tenue), le pellicole piane richiedono il buio assoluto per il loro inserimento nelle scatole stenopeiche. Rispetto ai negativi di carta, con questi materiali i tempi di esposizione si abbreviano fino ad arrivare ad un secondo scarso. Il vantaggio principale rispetto al negativo cartaceo è dato dalla varietà dei prodotti; per contro, i costi sono maggiori.
· Il Positivo Calotipico (Stampa a Contatto da negativo di car ta) L’immagine positiva si ottiene per contatto e si può utilizzare per l’esposizione sia la luce di un ingranditore che quella proveniente da una comune lampada bianca. Il sandwich (foglio da impressionare sotto e foglio negativo sopra, emulsione contro emulsione) va posizionato da una fonte di illuminazione ad una distanza che varia da 60 a 100­150 cm a seconda della potenza in watt. Effettuato il provino si espone per il tempo prestabilito e si passa alle fasi nei bagni di sviluppo­arresto­fissaggio­lavaggio. La carta più indicata nella stampa a contatto è in genere la n. 1. E’ il metodo didatticamente più valido.
· La Stampa Solar e o “ad anner imento dir etto” Nei manuali dell’ Ottocento definita anche stampa a immagine evidente o apparente o visibile o stampa diretta. Questa tecnica è stata usata fino alla fine del secolo, soppiantata poi da quella a sviluppo per esigenze industriali. La stampa finale si ottiene per contatto esponendo negativo e positivo sotto una qualsiasi fonte luminosa. Si possono usare sia negativi di carta che in poliestere (9x12 cm, 4"x5", 13x18 cm, 10"x12"). Il procedimento, che è quindi fotolitico, permette il controllo diretto dell’annerimento della carta nel torchietto. Si raggiungono raffinatissimi risultati che rimandano alla fotografia pittorica. Unica condizione: è necessario prepararsi le carte da stampa secondo i procedimenti relativi alle antiche tecniche di stampa.
· La Stampa Tr adizionale o “a sviluppo” E’ il procedimento dominante dai primi del Novecento fino ai nostri giorni. Viene chiamato a immagine latente perché per vederla dobbiamo attendere il processo chimico (fotochimico) a cui viene sottoposta l’emulsione.
· Il Positivo Dir etto I materiali Polaroid a sviluppo immediato offrono una validissima alternativa a tutti i metodi sopra proposti.
2. Prototipo d’autor e: la Bat camera . Come costr uir e una macchina a foro stenopeico da un foglio A 4. Questa pinhole camera coniuga l’essenzialità ed il recupero oltre ad essere un oggetto carino (mia moglie ­Laura­ mi ha proposto di farne delle bomboniere per l'ultimo nato, Matteo). La "macchina" è nata dall'esigenza di fare un qualcosa di economico e funzionale da proporre tramite il LIS 71 (Laboratorio dell'Immaginario Scientifico di Trieste). Recentemente ci sono stato con due dei miei figli e mi ha entusiasmato; curiosamente però non c'era molto sulla luce o sulla fotografia e ho avuto quindi l’idea di contattarlo in occasione del suo quinto anniversario (20­25 Giugno 2004) per proporgli il mio progetto riguardante la bat­camera . Già da tempo nutrivo dentro di me l’esigenza di condividere questo tipo di esperienza, ma i miei tentativi di contatto con cooperative di assistenza, il comune, o associazioni fotografiche, (proponendo l’uso di questo tipo di fotografia all’interno di progetti di sostegno) non sono mai andati a buon fine. Inizialmente pensavo di proporre al Lis le scatolette di cartone (macchine a foro stenopeico costruite con scatole di carta), ma la loro lavorazione è piuttosto lunga: si possono usare scatole pronte (ad esempio scatole da scarpe), ma non danno la stessa soddisfazione; nello stesso tempo far predisporre da una ditta i cartoncini pre­stampati e pre­piegati avrebbe comunque rappresentato un costo… per questa occasione volevo qualcosa di più coinvolgente, insomma mancava l'idea giusta. Un giorno in ufficio avevo a disposizione un certo tempo­macchina (tempo di elaborazione del PC, nel quale crea un assemblaggio di diverse cartografie), e ho cercato di fare qualcosa piegando un foglio. Inseguivo una forma curva che avevo in mente (tipo fetta di torta) e ad un certo punto, piega che ti piega, mi esce questa “cosa”... E' come se lei fosse sempre stata lì: bisognava solo trovarla. Non ho mai fatto origami e non so dire se l'avessi mai vista. Mi ha subito 71 Il LIS è una struttura nuova e moderna, una sorta di "museo" interattivo che dà diverse possibilità per far capire alcuni fenomeni fisici attraverso una serie di semplici ed efficaci esperimenti , rivolto principalmente ai ragazzi, ma non solo.
affascinato per la sua essenzialità, la “pulizia”, la bellezza; quelle punte sembravano le orecchie di Batman (da cui deriva poi il nome di questa macchina): dovevo solo ricavarne le istruzioni per poterla rendere accessibile a tutti. Il tempo necessario per ripercorrere la strada già fatta e per ricavarne tutti i passaggi e le piegature giuste è stato più lungo ed impegnativo di quanto immaginassi, soprattutto in relazione al momento della sua creazione. Una volta definito tutto il percorso necessario per la sua costruzione, ho sottoposto a colleghi, moglie, amici, figli le istruzioni, modificando mano a mano i passaggi meno comprensibili fino ad avere poco testo e molte illustrazioni. Ora sono giunto ad una versione definitiva che qui di seguito verrà proposta e che probabilmente tradurrò in inglese per renderla scaricabile da Internet, in modo che chiunque possa (spero!) gioirne, gratuitamente. In molti campi ho la sensazione che ci si addentri in meccanismi complicati e che questi spesso portino ad ulteriori problemi; forse la soluzione vera può essere semplice ed a portata di mano, il punto è che non riusciamo più a vederla. In questo caso è andata bene, l'abbiamo trovata: io penso di essere stato uno strumento, ma penso anche di aver svolto bene il mio compito, e ne sono orgoglioso. Spero un giorno di entrare in un posto assolutamente sconosciuto e trovare una Bat­camera su di una scrivania! Lorenzo Tommasoni Come ottenere un apparecchio fotografico da un foglio di carta formato A4: la Bat­camer a . Di Lorenzo Tommasoni, Trieste. Seguendo le istruzioni e consultando le figure allegate, si costruisce una scatoletta di carta, atta ad essere trasformata in una pinhole camera partendo da un semplice foglio A4, meglio se di cartoncino nero. Per pinhole camera si intende un oggetto cavo e stagno alla luce (camera oscura), nel quale quest’ultima entra esclusivamente attraverso un foro praticato su una parete. Sulla parete opposta,
all’interno della camera oscura, si forma un’immagine rovesciata rispetto al soggetto che intendiamo fotografare; ponendo qui del materiale fotosensibile (quale può essere la pellicola o la carta da stampa fotografica), si inizia un processo di riproduzione fotografica: si ottiene infatti un’immagine latente che sarà rivelata nel processo di sviluppo (e relativo fissaggio) da svolgere in una camera oscura fotografica, possibilmente con l’assistenza di qualcuno che ha già esperienza di stampa in bianco e nero. A) Prendere il foglio di carta nera, piegarlo a metà lungo il lato più corto come illustrato in fig. 1, facendo coincidere i quattro spigoli del foglio fra loro, due a due: gli “0” e le “I” degli angoli (si realizza così la piegatura 1); piegarlo nuovamente a metà come sopra (piegatura 2). Riaprire il lembo ottenuto con l’ultima piegatura e piegarlo nuovamente sulla sua metà (piegatura 3); ridistendere il foglio che apparirà così;
E’ consigliabile ripetere le piegature sulla faccia opposta, ribaltando la carta; e’ inoltre possibile aiutarsi facendo scorrere lo spigolo di uno squadretto lungo la piegatura. B) Piegare i quattro angoli del foglio, lungo le diagonali a 45 gradi che, dalle piegature precedenti (“2” e “(2)” in fig. 1), vanno verso il lato corto del foglio, come in fig. 2 (piegature da 4 a 7). Lasciare queste “orecchie d’asino”; C) Piegare il foglio nella sua lunghezza in modo da formare due linee che congiungono gli incroci delle diagonali con i lati corti del
foglio, individuati al punto “B” come illustrato in fig. 3 (piegature 8 e 9). Ridistendere il foglio;
D) Prendere le forbici e tagliare lungo le linee di piegatura “3” e “(3)” già effettuate in fig. 1 (come nella seguente fig. 4). Si realizzano così i tagli da 1 a 4 (partendo dalla linea centrale “1” di fig. 1, andando verso i lati corti si tagliano le prime linee che si incontrano, fino agli incroci con le piegature 8 e 9 illustrate in fig. 3);
E) Sollevando il foglio dal tavolo, ricavare ora le diagonali mancanti in ogni quadrato d’angolo, come illustrato in fig. 5 (5 piegature da 10 a 13). Ridistendere il foglio;
F) Sempre sollevando il foglio dal tavolo, realizzare una piegatura lungo le ultime linee diagonali in modo da congiungere fra loro i punti marcati X con X e quelli marcati Y con Y, come nella seguente figura 6; Ribadire le ultime piegature, ripiegare il lembo triangolare risultante verso l’esterno e fermare con la pinzatrice. Ripetere sugli altri spigoli.
Si ottiene pressappoco una forma simile all’illustrazione seguente: G) Si piegano le “ali” laterali fino a metà della loro lunghezza, e si fermano con due punti della cucitrice. Ripiegandolo su se stesso, si chiude lo scatolotto in modo da ottenere una camera oscura delle dimensioni di un pacchetto di gomma da masticare, sospesa su quattro zampette:
Per far “fotografare” la nostra nuova creazione (che potremmo chiamare Bat­camera ) e’ necessario recarsi in una stanza assolutamente buia: la si apre, si posiziona al suo interno (anche aiutandosi con un po’ di nastro adesivo) uno spezzone di pellicola o di carta fotografica (di 3x6 cm circa) su un lato (apporre un segno di riconoscimento all’esterno), la si richiude e si fissa il tutto con un elastico. Si esce dalla stanza con uno spillo sottile e la Bat­camera e la si appoggia di fronte alla scena da fotografare (si possono piegare leggermente le zampette per dare maggiore stabilità). Con lo spillo si fora delicatamente la parete opposta a quella dove si e’ fissata la carta/pellicola (diciamo al centro della faccia, come nella figura precedente), possibilmente senza penetrare oltre la punta; tolto lo spillo inizia l’esposizione fotografica (dando un tempo di posa congruo…) che durerà da alcuni secondi, se utilizziamo pellicola e siamo al sole, ad alcuni minuti, se la scena e’ poco luminosa o se utilizziamo carta fotografica per la quale possiamo ipotizzare una sensibilità di circa 7­10 Iso. Dato che le scatolette che abbiamo costruito sono tutte diverse fra loro, così come le dimensioni dei fori ed i materiali fotosensibili usati, non e’ possibile dare indicazioni più precise: sarà sufficiente qualche tentativo, variando i tempi inizialmente della metà, se le foto appaiono troppo chiare o del doppio, se appaiono troppo scure. Eventualmente, verificare che il foro sia stato praticato, che sia libero, e che si trovi sulla parete opposta alla carta/pellicola. Terminata la posa si prende la Bat­camera in mano (avendo cura di tappare il foro, magari anche con un dito), si rientra in camera oscura, la si apre e si sviluppa il materiale foto­sensibile. Alla prossima foto, ricordarsi di tappare il foro già mentre si esce dalla camera oscura. In generale se ne consiglia l’uso in luce diurna, sotto la supervisione di un adulto. Ricordo che esistono un metodo ed una formula per il calcolo del diaframma: praticato il foro, lo si misura; supponendo che abbia il diametro di 0,3 mm (=d), si misura la distanza fra il piano del foro e quello del materiale fotosensibile (lunghezza focale = l.f.) che dovrebbe essere, in questo caso, di circa 75 mm. Il valore “f” del
diaframma si ottiene dal rapporto fra la lunghezza focale ed il diametro del foro, entrambi in millimetri: f = l.f. / d = 75 mm / 0,3 mm = 250 Se rapportiamo questo valore di diaframma ad un diaframma di una normale macchina fotografica, otteniamo una comparazione (verosimile) sui tempi di esposizione per pellicole di pari sensibilità: rispetto ai tempi di esposizione del diaframma 22, dovremmo aumentare il tempo di 130 volte… (se con f=22 espongo per 1/60 di secondo, con f=250 l’esposizione sarà di circa due secondi o più, fino a tre o quattro). Con un po’ di tentativi otterremo in breve dei buoni risultati. Lorenzo Tommasoni Trieste, 25 aprile 2004 Pr imi esper imenti pr atici con la Bat­Camera , car icata con car ta fotogr afica B/N. Tr ieste 2 maggio 2004, or e 16:15 (in poi). Il foro è stato praticato (come da istruzioni) con uno spillo sulla parete di carta della Bat­Camera. Esposizione da 2 minuti a circa 5 minuti. Sviluppo chimico con bagni Ilford. Trieste, 2 maggio 2004: prima foto della Bat­Camera in via Giulia tempo: circa 2 minuti.
Trieste, 2 maggio 2004: prima foto di una seconda Bat­Camera con foglio più grande fissato in posizione ricurva, tempo: circa 5 minuti. Altri esperimenti, stessa data, in un cortile di via Galilei 20. Immagini “invertite” con Photoshop. Lorenzo Tommasoni.
3. Labor atorio di educazione all’immagine intor no al mondo: il Ludobus ­ Fotoinscatola ­ Exchange. Imparare a conoscere i principi fondamentali di funzionamento della fotografia equivale, per prima cosa, ad emanciparsi dalla posizione di inferiorità di fronte a strumenti ad alto contenuto tecnologico e ciò serve ad utilizzarli non solo meglio, ma anche più creativamente. In relazione a questo principio, nasce l’idea di organizzare un’unità mobile attrezzata come laboratorio fotografico itinerante, un servizio di educazione all’immagine rivolto a bambini e ragazzi dai 6 ai 13 anni. Il progetto corrisponde alla trasformazione di un Caravan di medie dimensioni (omologato per sei posti ) in “camera obscura”, per arrivare ad ottenere un Ludobus ­ PhotoBus. Che cos’è un Ludobus? Un Ludobus rappresenta un veicolo nel quale è possibile giocare grazie alla sua attrezzatura ed arredamento interni ed, essendo un mezzo mobile, ha la particolarità di poter trasportare diversi materiali ludici ovunque sia necessario o prestabilito. Esso è catalogabile nel campo della pedagogia extrascolastica, in quanto le sue attività si svolgono durante il tempo libero dei bambini, senza condizioni di accesso di capacità dei partecipanti e con due caratteristiche principali: il gioco e la mobilità. Il PHOTO­BUS come unità mobile permetterà di risolvere il problema di attrezzare di volta in volta una stanza in "laboratorio fotografico"; collocato nelle vicinanze o all'interno di scuole faciliterà lo svolgimento del laboratorio mentre permetterà, se collocato in altri spazi, lo svolgimento di campagne fotografiche più articolate. I laboratori che si propongono sono un'occasione per affrontare, con un professionista dell'area dell'educazione all'immagine, temi importanti che possono venire poi ripresi nella programmazione scolastica .
La macchina fotogr afica a for o stenopeico diventa un sussidio didattico­inter disciplinar e, capace di rendere piacevole l'apprendimento di molti concetti fotografici e non. Gli studenti riescono ad apprendere nozioni che solitamente rimangono sul piano teorico; al contrario, nel laboratorio, la verifica avviene in tempo reale, in quanto la spiegazione viene subito messa in pratica. Questo permette di valutare i risultati, discuterne e riprovare, fino ad un raggiungimento soddisfacente. Una volta ottenuto, il bambino avrà acquisito una sicurezza che renderà maggiore la sua autostima, elemento importante soprattutto per coloro che hanno problemi legati al ciclo dell’ apprendimento. Le esperienze delle mostre a fine laboratorio hanno dimostrato come molti ragazzi, spontaneamente, presentassero e commentassero i propri lavori esposti. La loro soddisfazione cresce quando l'interlocutore è un adulto incredulo, interessato a capire come si possano realizzare belle fotografie partendo da semplici scatole . Altro fattore importante è la presentazione di un metodo di lavoro, senza il quale non sarebbe possibile raggiungere nessun obiettivo: si scopre cos'è la fotografia costruendo la macchina fotografica, imparando ad usarla, a stampare le fotografie ed infine a discuterne. Si parte dalla descrizione dell’uso della “camera obscura” descritta da Leonardo da Vinci e si sperimenta (dove è possibile) cosa succede in una giornata di sole praticando un piccolo foro nell'oscuramento di uno spazio buio. Si passa poi a trasformare qualsiasi scatola a tenuta di luce in una “camer a obscur a por tatile" e a realizzare fotografie affrontando tutti i problemi tecnici relativi all’uso di strumenti poveri, quali la scatola e un piccolo foro come obiettivo. Una volta realizzate le fotografie ci saranno momenti importanti di riflessione sulle singole immagini e sul loro possibile uso. La fotografia non è contemplata come materia di studio nei programmi scolastici, tuttavia è importante arrivare a saperla legger e e a r iconoscer la: non ci si può fermare alla superficie, decodificando solo il messaggio della rappresentazione della "cosa" fotografata, ma occorre imparare a distinguere quel " quid" in più che ne determina la validità. Sarà proprio l'individuazione di questo che ci mostrerà quali fotografie selezionare nel gruppo. Una volta individuate, si passerà ad analizzarle una accanto all'altra, si discuterà e si
sperimenterà come disporle in sequenza, come accostarne un testo…in definitiva, come comunicare per immagini. La presenza sull'unità mobile di una attrezzata postazione costituita da computer, stampante, scanner, masterizzatore, permetterà di verificare l'utilizzo delle nuove tecnologie nel trattamento delle immagini. Inoltre sul PHOTO ­ BUS sarà a disposizione una libreria per la consultazione di volumi fotografici. Le unità didattiche comprese all’interno di questi laboratori sono le seguenti: 1. Luce Attraverso la luce si osserva, si gioca, si sperimenta; si scopre cos’è il foro stenopeico, si mette in pratica il funzionamento della “camera oscura” e si entra nella storia, raccontando come veniva utilizzata dai pittori e come, nel tempo, si è evoluta diventando macchina fotografica. 2. Car ta fotogr afica Vengono indicate le principali caratteristiche della carta fotografica, si osserva come quest’ ultima reagisce alla luce e ciò che succede se viene immersa in particolari liquidi chiamati sviluppo, arresto, fissaggio; si creano “fotogrammi” imparando così a produrre delle immagini senza usare un apparecchio fotografico; si entrerà sempre nell’ambito storico parlando di coloro che con le loro invenzioni arrivarono a fissare per sempre un’immagine sulla carta e a decretare così la nascita della fotografia. 3. Costr uzione della macchina fotogr afica Partendo da scatole di diverse forme e dimensioni, si costruiranno le nostre macchine fotografiche: si studieranno le loro caratteristiche e si inizierà a capirne il funzionamento. Si calcolerà come inquadrare il soggetto da fotografare, come stabilire la messa a fuoco, come definire la quantità di tempo necessaria perché la luce, passando dal forellino, possa impressionare la carta fotografica che verrà utilizzata al posto del negativo; sarà possibile impostare il manuale d’uso della
nostra particolarissima macchina fotografica, descrivendo le sue caratteristiche. 4. Ripr ese e sviluppo Si darà inizio alle riprese, allo sviluppo del negativo di carta, controllando e commentando i risultati e compilando, per ogni fotografia, una scheda tecnica che permetterà di ragionare sugli errori commessi e su come porvi rimedio. 5. Stampa dei positivi e valutazioni Avverrà la stampa dei positivi partendo dalla selezione dei negativi migliori. Ci saranno commenti sui risultati ed infine sarà possibile disegnare e colorare le fotografie non ritenute “valide”. Il Ludobus ­ fotoinscatola racchiude in sé diversi fattori critici di successo quali: la Professionalità, la Progettualità, la Novità del servizio, il Sussidio Didattico (che comprende la lettura delle immagini, la preparazione di una mostra, la composizione di un libro finale ), il Lavoro in rete e la Diffusione sul territorio. Gode inoltre di un alto grado di interesse da parte degli istituti didattici e dei singoli individui per il Tema ( non essendo la fotografia materia di insegnamento nelle scuole); per la sua Articolazione che permette di intraprendere un percorso partendo dalla storia della fotografia fino ad arrivare alla presentazione di una mostra finale attraverso un percorso didattico interdisciplinare; per il modo in cui vengono trattati l’aspetto della lettura e l’utilizzo delle immagini, non limitandosi ad insegnare come fare una fotografia; come Strumento utile ai ragazzi per realizzare progetti multimediali, rendendoli consapevoli di come poter utilizzare immagini, valutandole non solo come illustrazioni "riempitive" di spazi, ma come forme aventi una "vita propria". La figura professionale individuata nel caso del Ludobus ­ PhotoBus è quella del liber o pr ofessionista ­ animator e pr ofessionale nel settore delle ar ti visive.
" Dal latino animatio; animazione indica l'azione di comunicare o conferire la vita e contiene al suo interno sia il soffio vitale ­ anima ­ sia l'azione a partire da un certo contesto. Con l'azione si determina un cambiamento, col soffio si "toglie la polvere", si dà impulso ad immaginare oltre lo status quo. A immaginare che cosa? Nuovi scenari, nuove relazioni sociali e comportamenti interpersonali, nuove prospettive culturali ed artistiche. Tuttavia la dimensione vitalistica, pedagogica, non deve restare confinata nell'etimologia della parola, ma il modo di pensar e ­ por si ­ agir e deve diventare parte essenziale di una forte tensione laica. L'animazione è, prima di tutto, un atteggiamento della persona, un modo di porsi ed essere, una …"tensione verso…", in un contesto dinamico e dialettico. " 72 La curatrice ed organizzatrice di questo particolare ed interessante progetto è Nor is Lazzar ini, la quale ha un’esperienza alle spalle di fotografa e gallerista, coordinatrice di centinaia di esposizioni; questo tipo di formazione le ha permesso con facilità ed entusiasmo di portare i ragazzi a capire come sia possibile creare un'immagine fotografica, di spiegare come si possano ottenere delle fotografie trasformando delle semplici scatole in macchine fotografiche, ma soprattutto, grazie alle sue conoscenze interiorizzate nel tempo, ha avuto la possibilità di spiegare loro qual è la strada più adatta per riuscire a leggere un'immagine e come quest' ultima possa acquistare una vita propria e all’occasione diventare un racconto, anche attraverso l'utilizzo delle nuove tecnologie. Noris Lazzarini nasce nel 1952; alla fine degli anni settanta inizia ad interessarsi di fotografia. Lavora a Milano alla galleria “ Il Diaframma” per una decina di anni, dove ha la possibilità di conoscere persone provenienti da tutto il mondo e di lavorare con una fotografia non commerciale, fattore che la portò a relazionarsi soprattutto con fotografi che si interrogavano sull'uso della fotografia e che non ne facevano solo uno strumento di guadagno. Nel 1992 si licenzia e si trasferisce a Parigi dove rimane per tre anni svolgendo lavori di traduzione e consulenza per fotografi, collaborando con organismi francesi per l’indagine sulla produzione della fotografia africana, approfondendo così la sua conoscenza della 72 “Il nuovo Manuale delle Professioni culturali” UTET – libreria 1999
fotografia. Nel 1995 fa il suo primo viaggio a Bogotà (Colombia) per organizzare, per conto del Ministero degli Esteri Colombiano, una mostra del fotografo Leo Matiz. . E' a Cartagena, una piccola cittadina coloniale al nord della Colombia, che nel '96 inizia a lavorare con i bambini organizzando il primo laboratorio di fotografia con il “foro stenopeico”. Con questo tipo di esperienza capisce che è possibile trasmettere non solo un metodo di lavoro, ma dimostrare anche che si può imparare divertendosi e nello stesso tempo esprimere la propria creatività. E’ proprio questo il punto fondamentale che la porta ad ideare un “Laboratorio Itinerante”, un percorso guidato alla scoperta della fotografia. Dal 1996 tiene laboratori di fotografia per bambini con l’uso del foro stenopeico, utilizzando materiali di riciclo come scatole e lattine. Fino ad ora sono stati realizzati laboratori in America Latina ed in Italia i cui lavori sono stati presentati (oltre che nelle mostre di fine esperienza) a Milano allo Spazio Solidea (novembre ­ dicembre 1997); alla Fondazione Corrente (ottobre 1998); in collaborazione con COOP Lombardia e con il Comitato per il Telefono Azzurro (novembre 1999); Laboratorio Munari di Beba Restell (aprile 2000); Prima Settimana di Cultura Colombiana a Milano (ottobre 2000); Comune di Imbersago (febbraio 2001). L'esperienza di laboratori di fotografia didattica su larga scala è stata condotta nella scuola dalla metà degli anni '70 alla metà degli anni '80 dalla ILFORD SCUOLA diretta da Carla Novi, da FOTO GRAM diretto da Ando Gilardi e dall'Istituto Europeo del Design. Furono formati degli insegnanti a cui veniva consegnato un Kit per impostare i laboratori nelle scuole. L'esperienza fu interrotta alla metà degli anni '80. Non essendo materia di insegnamento, la fotografia oggi fa capolino nei programmi scolastici solo per l'interesse del singolo insegnante.
Conclusioni Arrivata al termine di questo elaborato, posso dire che gli obiettivi prefissati nell’intraprendere questo percorso storico, legato alla fotografia stenopeica, sono stati raggiunti; la ricerca volta al recupero di articoli riguardanti tale tecnica si è concretizzata attraverso il ritrovamento di testi di fine Ottocento molto interessanti ed abbastanza rivelatori, appartenenti al periodico fotografico “ Il Dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” ed al rinvenimento di altri testi del XX secolo tratti da altre due riviste: “ Progresso Fotografico” e “ Tutti Fotografi” . Questi documenti rappresentano una valida ed importante testimonianza per delineare ciò che questa tecnica ha rappresentato nel tempo e come sia cambiato il suo utilizzo nel momento in cui nuovi e sempre più sofisticati strumenti hanno preso piede nella società. In particolare vengono rivendicate le sue qualità tecniche (la completa messa a fuoco, l’esattezza matematica e la mancanza di deformazioni nelle immagini, la possibilità di abbracciare un campo che raggiunge quasi i 100 gradi e che permette di fotografare degli oggetti o degli spazi di grandi dimensioni anche ponendosi a piccole distanze, etc…), che hanno permesso a questo antico metodo fotografico di sopravvivere al progresso senza essere completamente abbandonato o dimenticato. Un altro rilevante confronto è avvenuto tramite la raccolta di materiale contemporaneo, dove incidono in particolar modo i questionari compilati da diversi fotografi che attualmente applicano questo metodo antico. E’ stato importante fare la conoscenza ed avere le opinioni di queste persone, perché infondo rappresentano il moderno “motivo di esistere” della fotografia stenopeica e racchiudono segreti ed ossessioni verso questo mondo fotografico ben lontane da quelle presenti nel passato… Questo metodo di ripresa si è comunque sempre dimostrato una sfida: inizialmente lo stenopeico veniva considerato uno strumento necessario per raggiungere più velocemente ed in modo migliore risultati nel campo dell’arte, dell’architettura e dell’astronomia; con il progresso fotografico, macchine più efficienti e sofisticate hanno poi provveduto a sostituirlo; la sua considerazione riaffiora solo
recentemente, nel momento preciso in cui viene riscoperto e rivalutato in ambito artistico­creativo. E’ stato interessante approfondire una parte della fotografia sulla quale i libri non si soffermano a lungo: spero che questa tesi possa contribuire in qualche modo a lasciare, tra gli altri, un segno e mi auguro di essere riuscita ad infondere una maggiore consapevolezza riguardo al valore che ancora oggi la Fotografia Stenopeica racchiude.
APPENDICE Anno I IL DILETTANTE DI FOTOGRAFIA n.1 Appunti storici sulla fotografia Quando il Porta nel libro “Magiae Naturalis libri viginti”, pubblicatosi nel 1553, descriveva con giusto orgoglio queste sue esperienze ed asserviva di “poter scoprire i più grandi segreti della natura” prevedeva forse i progressi della fotografia! Lavorando da sé, costruì una cassettina al cui forellino primitiva sostituì una lente piano convessa convergente ed uno specchio inclinato col quale, come risulta dal suo libro pubblicatosi ad Hannover nel 1589, egli raddrizzava l’immagine degli oggetti esterni. In altre parole, creò la camera chiara, che oggi, nella stessa forma o migliorata nei dettagli e non nella sostanza, gli sopravvive ancora. M. RIZZARDI Tratto da “Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno I, Maggio 1890, n. 1 p. 3 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Anno I n.1 IL DILETTANTE DI FOTOGRAFIA La Fotografia senza obbiettivo ( La Nature ) E’ un fenomeno strano nella storia delle invenzioni; nel principio gli apparecchi più semplici danno sempre cattivi risultati, di modo che si è obbligati a renderli complicati perché funzionino in modo soddisfacente. Più tardi però, quando sono stati studiati i principii nei quali si appoggiano, quando la scienza a cui si riferiscono ha fatto dei progressi sensibili, si torna indietro e si domanda se non sarebbe meglio rimettersi al punto di partenza, se gli apparecchi primitivi non erano assai più adatti, almeno per certe applicazioni. Ecco un esempio lampante che la lettura di un interessante opuscolo del capitano del genio, Colson, pubblicatosi dal Gauthier­Villars sulla fotografia senza obbiettivo, ci presenta. L’autore dimostra che la camera oscura a semplice
apertura, conosciuta assai prima della fotografia e punto di partenza di questa invenzione, può essere adoperata con grande vantaggio perché possiede certi requisiti che mancano assolutamente alle camere oscure con l’obbiettivo. Gli ottimi risultati ottenuti dall’autore con mezzi così semplici meritano di essere menzionati in modo speciale, ed abbiamo pensato che un articolo era assai meglio che un semplice cenno bibliografico. Tutti i trattati di fisica danno la teoria della formazione delle immagini degli oggetti esterni sopra uno schermo posto in un ambiente oscuro le cui imposte lascino passare la luce soltanto per un foro in esse praticato. E’ questo il punto di partenza della fotografia, e se nei suoi primordi è stato impossibile utilizzare un apparecchio tanto semplice, si fu perché le sostanze sensibili alla luce conosciute allora (bitume di Giudea ed azotato d’argento) non erano abbastanza impressionabili con una così debole illuminazione. Si dovettero adoperare le lenti convergenti.A poco a poco si ebbero dei grandi progressi nella fabbricazione delle lastre sensibili, e le sostanze oggi adoperate (gelatina­bromuro), permettono di ottenere, coll’uso delle lenti, delle curiosissime prove istantanee. Ma per quanto utili, ed indispensabili in certi casi, siano le lenti convergenti, bisogna ben confessare ch’esse presentano degli inconvenienti, e fra gli altri gravissimi quelli di deformare le immagini quando il campo di visione sia piuttosto esteso, di rendere necessaria una messa in fuoco molto esatta per avere la massima nettezza, e di rendere impossibile questa messa in fuoco contemporaneamente per oggetti posti a differenti distanze, in piani diversi. La causa che ne avea determinato l’uso (illuminazione intensa per impressionare una sostanza poco sensibile) non esiste più. Si è dunque provato di farne a meno. Se si esamina attentamente la teoria del cammino dei raggi che riproducono l’immagine degli oggetti esterni nella camera oscura a stretta apertura, si vedrà che se questa apertura ha soltanto qualche decimo di millimetro, si può spostare lo schermo di parecchi centimetri dalla posizione precisa della messa a fuoco, senza che la nettezza si alteri sensibilmente; per conseguenza i primi e gli ultimi piani possono essere in fuoco contemporaneamente. Si vedrà, inoltre, che il campo coperto dipende unicamente dal diametro e dallo spessore dei bordi dell’apertura e che può essere maggiore di 90 gradi. Si vedrà, infine, che le immagini non sono deformate e che la loro posizione è determinata sullo schermo con una precisione geometrica. Esaminando la teoria del percorso dei raggi nelle lenti, invece, si osserva che nessuna di queste condizioni è data cogli apparecchi muniti di obbiettivo. Sebbene la illuminazione sia meno intensa, vi sarà dunque un certo vantaggio sempre nell’uso di una camera oscura a semplice apertura in certe applicazioni che noi esamineremo rapidamente, dopo aver dato qualche dettaglio sul modo di costruirla. Il capitano Colson, dopo molti tentativi, dà le norme seguenti per il diametro del foro a seconda degli effetti che si desiderano: “ la nettezza dipende
essenzialmente dal diametro e dalla forma della apertura; il diametro deve variare colla distanza fra lo schermo e l’apertura; ed infatti per una distanza di 0m 08 il diametro deve essere di 3/10 di millimetro, per una distanza di 0m 30, deve essere di 5/10 di millimetro, e cioè si riscontrerà una differenza di diametro di 2/10 di millimetro per una variazione di distanza di 0m 22”. Il miglior genere d’apertura è quello circolare; è indispensabile che gli orli non presentino sbavature. Il foro si fa in una lama di metallo di circa 2/10 di millimetro di spessore, bisogna forarlo con una punta di trapano, di quelle così dette a becco di lancia, a lame inclinate, in modo da fare come un cono piuttosto largo, giacchè questo artifizio aumenta il campo che può essere di 100 gradi, con un foro di 5/10 e superiore a 90 gradi, con un foro di 3/10. Adottando questo limite di 90 gradi si avranno delle prove nette anche sugli orli. La durata della posa dipende dalla distanza fra lo schermo e l’apertura, diminuendo l’illuminazione di mano in mano che questa distanza aumenta. Essa varia da 10 a 15 minuti, col collodio, con un tempo coperto, con un foro di 5/10 di millimetro e con una stanza di 0m 25 fra la lastra e l’apertura; varia da 30 a 40 secondi soltanto colle lastre monkhoven alla gelatina­bromuro con un tempo coperto; non è che di 10 secondi al sole, con un foro di 3/10 di millimetro ed una distanza di 0m 085. Ciò per i paesaggi; queste cifre sono suscettibili di aumento per oggetti vicini; allora la posa è di un minuto per un oggetto ben illuminato, nello studio, ad una distanza di 3 metri dalla camera oscura e con una distanza 0m 30 fra la lastra ed il foro. L’autore ha anche adoperato la carta alla gelatina­bromuro hutinet e le pellicole thiébaut; nel suo trattatello si troveranno tutte le indicazioni dettagliate per le manipolazioni, per la costruzione della camera oscura, per il modo di avere una buona messa in fuoco, anche senza bisogno di ricorrere al vetro spulito. G. MARESCHAL Dal giornale La Nature Tratto da “Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno I, Maggio 1890, n. 1 p.p. 6­8 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
Anno I IL DILETTANTE DI FOTOGRAFIAn.3 La fotografia senza obbiettivo In seguito al nostro articolo pubblicatosi nel numero di Maggio del Dilettante sulla fotografia senza obbiettivo, ci sono giunte d’ogni parte domande di schiarimenti e comunicazioni diverse dai nostri cortesi abbonati. Poiché vediamo che l’argomento ebbe il merito di destare tanto vivamente la loro curiosità, crediamo utile di descrivere succintamente un apparecchio destinato appunto a questo genere di fotografie. Questo nuovo sistema al quale fu dato nome di stenope­fotografo (dal greco e significa apertura stretta) può sostituire gli obbiettivi usuali per i vantaggi che presenta e cioè: abbraccia un campo che raggiunge quasi i 100 gradi e che permette di fotografare degli oggetti o degli spazi di grandi dimensioni anche ponendosi a piccole distanze. Le immagini che si ottengono sono di una esattezza matematica e non presentano deformazioni; le linee rette sono mantenute tali, e ciò è assai importante quando si debbono riprodurre dei monumenti. Per effetto di tale precisione si possono ottenere delle riproduzioni e delle riduzioni di disegni, carte, incisioni, con una perfezione grande. (fig. 2) Tutti gli oggetti sono in fuoco e sempre netti anche se la posizione delle superfici sensibili variasse di qualche cm; si può adoperare, quindi, un telaio negativo qualunque, purchè possa essere adatto alla camera oscura ed entrare nelle sue scanalature laterali, e sostituire alle lastre delle pellicole, delle carte alla gelatina­bromuro, anche se la loro superficie non è perfettamente piana, perché la nettezza delle immagini non viene punto alterata. Oltre alla soppressione dell’obbiettivo, si può far senza anche del vetro spulito, essendo sempre a fuoco la superficie sensibile. Con questo sistema si possono prendere delle vedute stereoscopiche che danno l’effetto del rilievo, ben noto a quelli che maneggiano questo istrumento; delle vedute panoramiche ed anche semplicemente molto estese, adoperando o un telaio negativo curvo in legno a compensazione o un telaio a rullo del tipo Eastman, Mendola, Poulenc, ecc. L’apparecchio speciale con cui si possono fare queste fotografie si compone semplicemente di una lastra metallica forata con grande esattezza da vari buchi di diverso diametro, di cui daremo più innanzi le dimensioni. Questa piastra di metallo che gira sul suo centro, si applica sulla tavoletta anteriore, porta obbiettivo della camera oscura, e presenta quello de’ fori che si è scelto, di fronte ad una apertura praticata sulla menzionata tavoletta. (fig. 3) Se si vogliono fare delle vedute usuali, basta una sola apertura in questa piastrina, ma se si fanno delle vedute stereoscopiche ne occorrono, naturalmente, due.
Volendo avere un istrumento a doppio uso, si prenderà una tavoletta con tre fori disposti a triangolo equilatero, in cui il foro superiore servirà per le vedute semplici ed i due inferiori per quelle stereoscopiche. I fori saranno fatti a modo di coni, colla parte svasata nell’interno della camera oscura, affinché i raggi che vi entrano possano continuare liberamente il loro cammino. Essi hanno diversi diametri da 3/10 di millimetro fino ad 1 millimetro e mezzo. Con un foro di 3/10 di millimetro, che richiede una breve lunghezza focale, si otterranno delle prove Diametri Distanze focali Diametro delle Quadrati inscritti Grandezze corrispondenti dei fori. per ogni foglio. circonf. coperte. nelle circonferenze. delle superf. sensibili. contenenti molti oggetti, ma in dimensioni assai ridotte. Con fori più grandi, ma con eguale superficie sensibile, si dovrà allungare il fuoco e si avranno degli 3/10 di mm 10 cm 20 cm 15 cm 9 x 12 oggetti più grandi, più dettagliati, ma in minore quantità. Ecco in proposito un 4/10 20 cm 40 cm 28 cm 21 x 27 5/10 30 cm 60 cm 40 cm prospetto che dimostra quali sono le lunghezze focali corrispondenti ad 30 x 40 ogni 6/10 44 cm 88 cm 60 cm 50 x 60 diametro di ciascun foro, nonché il campo rispettivamente coperto. 7/10 61 cm 8/10 80 cm 9/10 100 cm 1 mm 123 cm 1 mm e 1/2 300 cm 122 160 200 246 600 cm 85 cm cm 112 cm cm 144 cm cm 170 cm cm 420 cm
Come si vede, le aperture da 3 a 5 decimi di millimetro sono più che sufficienti, poiché aumentando il campo coperto si può ricorrere non più a lastre ma bensì a carte negative, che necessitano a lor volta l’uso di telai speciali. Le due figure che presentiamo mostrano l’apparecchio più perfezionato, di grande precisione, tutto in metallo con otto fori, dei quali sei sono doppi e paralleli, per vedute stereoscopiche, e due separati, per vedute semplici. I numeri che si vedono segnati vicino alle aperture indicano il loro diametro in decimi di millimetro. Per le vedute stereoscopiche, si adopera pure una camera speciale sempre sullo stesso principio e della forma indicata dalla figura. Posto l’apparecchio sul suo treppiede e rivolto verso il monumento o panorama da riprodursi, si gira la piastrina metallica in modo che il foro necessario sia posto di fronte alla apertura della tavoletta porta obbiettivo sottostante, e verso il telaio negativo alla distanza conosciuta, secondo il formato che si può ottenere, se ne rialza l’imposta coprendo il tutto col panno nero per evitare l’azione della luce bianca. Fatta la posa si sviluppa la prova nei soliti modi. Con questo istrumento si può calcolare sulla prova la vera grandezza dell’oggetto riprodotto conoscendo la sua distanza dalla camera oscura, e , viceversa, conoscere la dimensione che esso avrà sulla prova. (fig. 5) Di questo, come pure della posa, avremo occasione di trattare in un altro articolo, in uno dei prossimi numeri. (Continua) L. GIOPPI Tratto da “ Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno I, Luglio 1890, n. 3 p.p. 39 – 41 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze Anno I IL DILETTANTE DI FOTOGRAFIA n.4 La fotografia senza obbiettivo E’ noto il principio che quanto più si allontana un apparecchio fotografico da un soggetto e tanto più l’immagine è piccola. I raggi luminosi emanati dal soggetto si dirigono verso la camera oscura, si riuniscono e si incrociano al punto che corrisponde all’apertura dell’apparecchio, formano un triangolo acuto la cui base, su cui viene a formarsi l’immagine, corrisponde alla lastra sensibile. Questo triangolo diventa sempre più acuto se si allontana la camera oscura dal soggetto, e la grandezza di questo sarà proporzionale alla distanza fra la lastra sensibile e l’apertura da un lato, e la distanza fra questa apertura ed il soggetto dall’altra. Supponiamo, ad esempio, che la distanza fra la camera oscura ed il soggetto sia di 2 metri, e quella fra il telaio negativo ed il foro sia di 50 cm, siccome 50 cm corrisponde a 2:4, l’immagine sarà ridotta al quarto.Vediamo un altro esempio, ancora più pratico. Si abbia un albero alto 4 metri; per una camera oscura posta ad una distanza di 5 metri e con una lunghezza focale di 30 cm, si avrà la seguente proporzione: 500cm : 400cm = 30cm : x da cui per il noto principio matematico si ricaverà il valore di x in questo modo: 400 x 30 x = = 0,24 cm 500 se la distanza focale fosse di 20 cm,si avrà: 400 x 20 x = = 0,16 cm
500 se infine, tale distanza non fosse che di 10 cm, si avrà: 400 x 10 x = = 0,08 cm 500 Con queste combinazioni si troverà che quanto più lontana dal foro si troverà la superficie sensibile, e tanto più grande riescirà l’immagine. L’apparecchio a semplice foro, che gli americani chiamano a buco di spillo, dà il mezzo di conoscere la grandezza reale del soggetto riprodotto. La grandezza del soggetto da riprodurre è proporzionata alla distanza fra esso e l’apparecchio da un lato, e la distanza fra il foro e la lunghezza focale dall’altro. Supposto che: la distanza fra il soggetto e l’apparecchio sia 150 metri, la distanza focale sia 0 metri e 50 cm, la grandezza dell’immagine riprodotta sia 0 metri e 03 cm, per avere la grandezza del soggetto si stabilirà la seguente proporzione: 0m 50cm : 150m = 0m 03cm : x da cui riducendo i termini ad una sola misura, a centimetri si avrà: 0,50 : 15,000 = 0,03 : x ossia 9 metri L’oggetto quindi che nella prova aveva 0,03 cm di dimensione sarà realmente alto 9 metri. Procedendo inversamente si potrà conoscere la grandezza del soggetto sulla prova, sapendo le sue dimensioni reali. Allora si stabilirà la proporzione: 150m : 9m = 0m e 50cm : x da cui riducendo come sopra a centimetri, si otterrà: 15,000 : 900 = 0,50 : x ossia 0,03 centimetri Come regole pratiche per ottenere una immagine di una data dimensione, avvertiremo che, quando si tratti di una incisione ad esempio, essa dovrà trovarsi ad una distanza dal foro dell’apparecchio, pari a quella che intercede tra il foro e la superficie sensibile. Per avere la prova doppia dell’originale si porrà il disegno a 30 cm dall’apparecchio e la lastra sensibile al doppio di questa distanza, cioè a 60 cm. Per avere la prova metà dell’originale, viceversa, si porrà il disegno a 60 cm e la superficie a 30 cm. Lo stesso si farà per avere delle riduzioni al terzo, al quarto, al quinto, ecc., dell’originale. Data un’apertura di 4/10 di mm (è quella più adatta per queste riproduzioni) con una buona illuminazione si dovrà posare da 30 a 35 minuti prima per una incisione.
Il campo coperto, ossia l’ampiezza dell’angolo abbracciato, si può constatare facilmente per mezzo del terzo forche si trova sulla piastra metallica, ponendosi col capo sotto il panno nero. Stabilito ciò che si intende di fare, si girerà la piastrina fino a che il foro della dimensione voluto si trovi al suo posto. Quale sarà il tempo di posa necessario? L’esposizione è sensibilmente eguale per diverse distanze focali; varia da 10 a 15 secondi per vedute lontane ben illuminate, da 1 a 2 minuti per i primi piani in piena luce, e da 4 a 2 minuti se questi primi piani sono poco illuminati. Questi dati approssimativi possono variare a seconda della intensità della luce e della sensibilità della lastra o della carta adoperata; del resto essendo molto limitata l’azione della luce si può esagerare anche la posa senza un grave danno. Il capitano Colson, che pubblicò uno studio speciale sull’argomento, calcola il tempo di posa su lastre lumiére marca violetta (le più rapide conosciute) nel modo seguente: per orizzonti molto lontani, con un diametro di apertura di 3/10 di mm e con una distanza focale di 10 cm – 4 secondi. Per movimenti al sole da 10 a 200 metri con un diametro di apertura di 5/10 di mm e con una lunghezza focale di 30 cm – 15 secondi. Per ritratti a 2 metri dall’apparecchio, con buona luce, con un diametro di apertura di 4/10 di mm e con una lunghezza focale di 20 cm – 20 secondi. Per riproduzioni di incisioni a breve distanza e bene illuminate, con un diametro di apertura di 4/10 di millimetro ed una lunghezza focale di 40 cm, supposta a pari distanza dal foro l’incisione – 15 secondi. Naturalmente, colle lastre usuali di una rapidità molto minore si potrà dare un terzo più di posa. Lo sviluppo si fa nei modi soliti. Consigliamo però l’ossalato ferroso se si tratta di lastre mentre il pirogallolo è più indicato (come pure l’iconogeno) per le carte o le pellicole negative. L. GIOPPI Tratto da “ Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno I, Agosto 1890, n. 4 p.p. 50 – 51 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze Anno II IL DILETTANTE DI FOTOGRAFIA n.11 La fotografia senza obbiettivo L’illustre professore Vidal, persuaso che uno studio accurato del tempo di posa necessario alle fotografie fatte senza obbiettivo contribuirebbe a popolarizzare questa originale applicazione dell’arte e della scienza nostra, ha creduto utile per
tutti di calcolare questa durata della esposizione secondo certe lunghezze focali date, tenendo conto della variazione della intensità della luce e prendendo per base la sensibilità delle lastre lumiére (marca azzurra) note a tutti per essere le più rapide che si trovino in commercio e le più regolari per fabbricazione. Il risultato degli studi del dotto professore si possono riassumere in un prospetto che presentiamo ai nostri lettori*, estraendolo dall’ottimo giornale “La science en famille”. L’esame di questo prospetto e delle sue cifre ci fa comprendere che il n. 10 ad esempio corrisponde ad una luce intensa quale può darla il sole d’estate dalle 10 alle 12 o dalle 2 alle 4 e d’inverno dalle 11 alle 3 a cielo puro; mentre il n. 1 corrisponde ad una luce più debole (almeno un decimo della prima per intensità). Il calcolo è stato fatto in base al fotometro dello stesso professore Vidal (da adoperarsi a luce diretta e non come il decoudun ed altri a luce riflessa) ma con un poco di esercizio si può anche far senza di fotometro e regolarsi ad occhio senza gran danno giacchè le differenze di posa sono minime, ed in caso di sovraesposizione di già nota si potrà indebolire lo sviluppatore. Tutti coloro che si interessano di questo genere di studi devono essere grati al professore Vidal delle esatte ed accurate sue esperienze. * vedi pagina seguente L. GIOPPI Tratto da “ Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno II, Marzo 1891, n. 11 p.p. 163 –165 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze Anno III IL DILETTANTE DI FOTOGRAFIA n.25 La fotografia senza obbiettivo L’Hasheck nella “ Photographische rundschau” ha pubblicato un prospetto da cui risulta che a un diametro di stenope corrisponde una data lunghezza focale. Ecco i dati relativi anche per il tempo di posa: Apertura in 1/10 di mm. Fuoco in mm. Rapporto dei tempi di posa. 1 12,3 1 2 49,3 4 3 111,2 9 4 197,5 16 5 508,7 25 6 444,5 37 (36)
7 605,0 50 (49) 8 793,6 66 (64) 9 1000,0 83 (81) 10 1234,0 103 (100) F. RIZZARDI Tratto da “ Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno III, Maggio 1892, n. 25 p. 399 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze Anno VI L DILETTANTE DI FOTOGRAFIA n.57 La fotografia senza obbiettivo Della stenopefotografia si è occupato più volte il Dilettante negli scorsi anni e sulla fede di pratici e dotti, aveva asserito che dato un foro di diametro così ridotto era impossibile l’istantanea. Già l’illustre prof. Vidal con foro di mm 0,5 aveva tentato l’assunto, ma la palma spetta incontestabilmente ad un nostro connazionale, artista fotografo, il Sig. Vincenzo Farnatele, di Napoli, che espose la meravigliosa prova alla Mostra Internazionale di Fotografia testè chiusasi, ove attirava gli sguardi dei visitatori. Il Sig. Farnatele opera con fori del diametro di 1 mm, con lastre rapidissime che sviluppa con rivelatore energetico. (Foto, mancante) Dobbiamo alla squisita cortesia del suo autore la prova che inseriamo nel seguente numero e che è riprodotta in fototipografia dal fototipo originale. Sono da ammirarsi in tale prova la rettitudine delle linee, la profondità di campo o di piano focale e la riuscita generale. Grazie sentite all’egregio e valente artista. L. GIOPPI Tratto da “ Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno VI, Gennaio 1895, n. 57 p. 905 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze
Anno VIII n.91 IL DILETTANTE DI FOTOGRAFIA A chi si possa attribuire l’applicazione della camera oscura Non è raro il caso di trovare, anche in pubblicazione d’indole scientifica, attribuita al napoletano G. B. Porta (1530­1615) la invenzione della camera oscura, sulla quale si basa ogni applicazione della fotografia nel fatto, tale attribuzione non risulta giustificata da prova alcuna: se noi esaminiamo ciò che il Porta scrisse intorno alla camera oscura, nel libro II della sua opera “ Magiae Naturalis” , sive de miraculis rerum, naturalium, noi non troviamo, all’infuori della semplice descrizione del fenomeno ottico, alcuna spiegazione scientifica, e neppure troviamo l’accenno a disposizioni speciali per il pratico funzionamento della camera oscura, da cui risulti un particolare studio del Porta per l’applicazione scientifica del fenomeno. La descrizione data del Porta si può tradurre e riassumere in queste poche parole: “ Se nella parete di una camera interamente priva di luce si pratica un foro, a forma di piramide avente il vertice verso l’esterno e la base verso l’interno della camera, e se sulla parete opposta a quella forata si distende una tela o una carta bianca, si vedrà su questa l’immagine capovolta degli oggetti esterni illuminati dal sole, la quale immagine andrà diminuendo in dimensioni quanto più la tela o la carta si avvicinerà alla parete forata”. (a) Ora, se si avverte il fatto che il Porta pubblicò i quattro libri che compongono la sua opera nel 1558, (b) quando aveva solo diciotto anni, dimodochè egli scrisse (a) Ecco il testo nella sua integrità: « Si quis it videre affectarit, fenestras omnes claudat oportet, proderidque si spiramenta quoque obturentur : ne lumen aliquod intro irrumpens, omne destraut : unam tantum tenebrato : ac foramen rotundae pyramidis formam habeat, cuijus basis solem, conus vero cubilucum aspiciat e regione pariates albos, vel linteis et papyro tectos oppones. Sic a sole illustrata omnia et deambulantes per plateas uti antipodes spectabis, quaeque dextra sinistra, commutataque omnia videbuntur, et quo longius a foramine distabunt, tanto maiorem sibi adsciscunt formann et si papyrum vel tabulam appropinquabis ea visuntur minora » (Capo II, pag. 135, Edizione 1558) (b) Il Tiraboschi nella sua Storia della Letteratura Italiana dice che la prima edizione dell’opera “Magiae Naturalis” è del 1561, avendo il Porta ottenuto il privilegio da Filippo II nel 1559; nella Biblioteca Ambrosiana iuvece si trova una edizione del 1558 col seguente titolo: Magiae Naturalis (sive) De Miraculis (rerum naturalium)Libri III (Jo Bptista). MAGIAE NATURALIS SIVE DE MIRACULIS R E R U M N A T U R A L I U M LIBRI I I I I JO. BAPTISTA PORTA NEAPOLITANO AUCTORE —————————
certo in età ancor più giovanile, il cenno relativo alla camera oscura, che si trova nel libro II, si è indotti a ritenere che quel cenno, anziché rappresentare il risultato di studi e ricerche compiuti dal Porta, sia semplicemente la descrizione di un fenomeno fisico già noto e studiato nel mondo scientifico ai tempi del Porta. Non ci soffermeremo neppure a cercare se gli accenni alla camera oscura dati dal Cardano nel libro “ De subilitate” , pubblicato otto anni prima dell’opera del Porta, abbiano potuto servire a questi per la descrizione del fenomeno, giacchè vediamo come, prima che il Cardano pubblicasse i suoi scritti, si trovasse già data alle stampe una descrizione più particolareggiata della camera oscura. Infatti Cesare Cesarino ­ nei “ Commenti a Vitruvio” stampati in Como nel 1521­ dà colla bizzarra ed oscura sua locuzione, una descrizione della camera oscura che riassumeremo e chiariremo con queste parole: “ In un assicella di once quattro o sei in quadro si faccia un concavo di diametro di once due circa, nel cui centro si possa praticare un piccolo e previssimo foro: applicando tale assicella all’imposta di finestra di un locale che non abbia alcun altra luce, all’infuori di quella data da quel foro, si potrà sopra una carta bianca raccogliere l’immagine colorata degli oggetti esterni”. (c) Come si vede questo procedimento – che il Cesarino attribuisce all’architetto Benedetto Don Pupnutio – si presenta più particolareggiato di quello del Porta, giacchè vi si accenna alla condizione che il foro debba essere brevissimo, disposizione che si ottiene con maggior effetto col partito, indicato dal Porta, di dare al foro la forma di piramide. Basterebbe quindi il semplice raffronto dei due passi succitati per mettere in evidenza come, nemmeno nel funzionamento della camera oscura, il Porta abbia recato un vero contributo di ricerche personali. NEAPOLI APUD MATTHIAM CANCER MDLVIII Si spiega l’esistenza alla Biblioteca Ambrosiana di questa e delle altre edizioni degli scritti del Porta, col fatto che questi fu in relazione col cardinale Federico Borromeo fondatore della Biblioteca. (c) Ecco il passo nella sua forma genuina: “ Et perho Vitruvio quiui excelentemente tange una pulcherrima ratione del optica quale fu experta et uerificata del monastico architetto Don Papnutio de Sancto Benedictio. Si concauo al torno farai un circulo in qualche assicura di quantitate di uncie quatro vel sei: il concauo uncie due vel circa: et questo habia nel centro del concauo uno paruo et breuissimo spectaculo seu foramine qui scopos etiam dicitur: et infixo concordantemente in una ualua seuanta di qualche fenestre clause per tal modo in lo loco doue sei non possa introire altra luce: et habi un poco di bianco papero uel altra cosa che recepia susa quello che si representerà da epso foramine. Facto con diligentia uedrai ogni cose quanto a la piramide di epso in sino in tuta la tera et coelo sono contenute così colorate et affigurate” ( Lib. II Fol. 23 Tergo)
E qui dobbiamo aggiungere che, se il passo del Cesarino è da considerarsi come la descrizione più antica della camera oscura che sia stata data alle stampe, altre descrizioni del fenomeno esistevano già in manoscritti anteriori all’epoca della pubblicazione del Cesarino. Leonardo da Vinci, che a quest’epoca era già morto da un anno, aveva nei suoi numerosi manoscritti lasciato, affatto inedite, varie descrizioni della camera oscura. E’ nota la descrizione contenuta nel “ Codice Atlantico” conservato nella nostra Biblioteca Ambrosiana, e l’altra del “ Codice D” nella Biblioteca dell’istituto di Francia, la quale spiega il capovolgersi dell’immagine, ma nello stesso “ Codice D” al foglio otto, abbiamo una descrizione del fenomeno accompagnata dall’accenno di particolarità le quali, sebbene non siano state sin qui rilevate come si meritavano, dimostrano quanto Leonardo avesse già perfezionato la disposizione della camera oscura: vi si dice infatti che l’immagine si deve ricevere “ in una carta bianca depola” (debole), dal che appare il concetto di osservare la immagine per trasparenza sul fondo della camera oscura, come venne praticamente adottato nella fotografia: il quale concetto risulta ancor più nettamente dalla successiva osservazione che la carta “ vole essere sottilissima, veduta del rovescio”: di più troviamo che, per ottenere il foro piccolissimo e breve, Leonardo propone un metodo ben più pratico di quelli indicati dal Cesarino e dal Porta, raccomando che lo “ spiracolo sia fatto in piastra sottilissima di ferro”. (d) Non ci è dato determinare a quale epoca abbia vissuto il frate Benedettino, cui il Cesarino attribuisce l’applicazione del fenomeno della camera oscura, cosicché non ci è dato stabilire se questo frate abbia avuto cognizione degli studi di Leonardo o viceversa. Ma la esattezza e la minuzia colla quale Leonardo descrive e spiega il fenomeno, non lascia alcun dubbio che in questo, come negli altri svariati argomenti trattati nei suoi manoscritti, egli siasi basato sopra osservazioni e ricerche personali. Sino a prova in contrario dobbiamo quindi ritenere Leonardo, se non l’inventore della camera oscura – il cui principio si riduce ad un semplice fenomeno da constatare – quegli che pel primo studiò il fenomeno della camera oscura, e ne indicò la pratica applicazione: chiuderemo questo cenno coll’osservazione come il passo relativo alla camera oscura nel Codice Atlantico, possa ritenersi scritto durante la lunga dimora di Leonardo a Milano, trovandovisi qualche parola con ortografia alla Lombarda. (d) Ecco il passo del Codice D. fol. 8 recto: “ La sperentia che mostra come li obbietti mandino le loro spetie over similitudini intersegate dentro all’occhio nello umore albugino si dimostra quando per alcuno piccolo spiraculo rotondo penetrano le spetie delli obbietti alluminati in abitatione fortemente oscura: alora tu riceverai tale spetie in vna carta bianca depola , posta dentro a tale abitatione alquanto vicina a esso spiraclo e vedrai tutti li predetti obbietti in essa carta colle lor proprie figure e colori ma saran minori e fieno sotto sopra per causa della intersegationa li quali simulacri se nascieranno di loro alluminato del sole saran proprio dipinti in essa carta, la quale uole essere sottilissima e veduta dal rovescio e lo spiraculo detto sia fatto in piastra sottilissima di ferro”.
Cosicché non è fuori di proposito ritenere che a Milano la camera oscura abbia avuto con Leonardo la sua prima applicazione. (Rivista) LUCA BELTRAMI Tratto da “ Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno VIII, Novembre 1897, n. 91 p.p. 1444­1446 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze Anno XI IL DILETTANTE DI FOTOGRAFIA n.128 Lo Sténopé Dopo i primi articoli pubblicati anni or sono in questo giornale sulla fotografia senza obbiettivo dall’autore su questa linee, si può dire che lo Sténopé ha fatto nei nostri ranghi dei numerosi adepti. Oltre ai vantaggi che presenta per certi lavori speciali, esso possiede una qualità che vince tutte le altre,cioè la dolcezza dei contorni che fornisce. Molti artisti furono sedotti di primo slancio da questa dolcezza e guardandoci più da vicino, furono obbligati a convenire che dal punto di vista pittorico e per certi soggetti le immagini così prodotte nulla lasciano a desiderare. I fotografi di professione rimproverano allo sténopé di dare delle immagini sfocate, e quando hanno pronunciato questo aggettivo si figurano di aver rinfacciato al povero istrumento l’insulto che esso non può raccogliere. Sfocato! Ciò ricorda i migliori fiaschi della carriera; il bambino che si è mosso durante la posa, l’albero agitato dal vento che loro ha rovinato (?) una negativa, una lastra sensibile messa a rovescio nel telaio; e della parola: sfocato, fanno nella loro lingua speciale un termine di disprezzo. Lo sviano dal suo vero senso, poiché anche noi diciamo che quelle immagini sono sfocate ed è una qualità che amiamo fra i pittori come Henner, Latour, Corot e molti altri 73 ; e come un Fusain è più sfocato di un disegno a lapis, di un pastello, di un acquarello, così lo sténopé dà una sfocatura maggiore che non l’obbiettivo. Ed è appunto che ciò vogliamo ed anzi vi sono dei casi in cui ci lamenteremmo di ottenere ancora troppa nettezza collo sténopé. Noi vogliamo dei paesaggi con un fare semplice e largo e come un pittore o uno scultore si sforza di semplificare la natura interpretando con un largo tocco di pennello o stecca una infinità di dettagli dei quali vuol rendere solo la massa, così noi vogliamo anche sopprimere i dettagli inutili di foglie, gli steli d’erba di un prato e rendere soltanto l’effetto opponendo a masse, l’ombra alla luce. 73 E fra noi Tranquillo Cremona, insuperabile nel genere, ed i suoi imitatori. N.D.T.
Qualunque opera d’arte deve lasciare posto all’immaginazione di chi la contempla; ognuno deve trovarci, interpretandola col pensiero, un po’ del suo ideale particolare. Un’opera troppo precisa rinchiude l’idea in limiti troppo ristretti, troppo secchi, ed impedisce così allo spettatore di interpretare, col suo proprio temperamento, il pensiero principale del quadro. Corot ha detto: “ I dettagli sono sempre di troppo”. Ruskin, il maestro della critica, il creatore della religione della bellezza, ha scritto che: “ Qualunque capo d’opera è impreciso, che l’eccellenza, a grado elevato, non può esistere senza l’oscurità”. Infine Emerson, il cui talento è pari alla modestia, poco noto, che si dovrebbe studiare come il creatore ed il maestro della fotografia pittorica, dice giustamente: “ Nulla in natura possiede un contorno duro, ogni oggetto è veduto contro un altro oggetto, tutti i contorni si fondono dolcemente, talora in modo così sottile che non si può distinguere esattamente dove l’una finisce e l’altra comincia”. I dettagli ingombranti, i contorni duri, l’apparenza delimitata dei soggetti, generalmente dati dall’obbiettivo fotografico, scompaiono coll’uso dello sténopé, e quando si sappia servirsene ed applicarlo ad oggetti adatti, questo piccolo istrumento produce delle immagini complete, bene avviluppate, di fare largo ed incerto senza essere vaghe ed indistinte. Ma non voglio più insistere sul valore dei quadri ottenuti senza obbiettivi, né parere difendere una causa guadagnata da tanto tempo, come lo provano esuberantemente le meravigliose fotografie che tutti i conoscitori hanno ammirato nei vari Salons. Non voglio nemmeno dire che bisogna fotografare tutto collo sténopé; ognuno seguendo il proprio temperamento o l’ideale che desidera di tradurre, deve poter scegliere l’istrumento che gli sembra più conveniente; il pittore l’olio ed il pastello, il disegnatore la matita ed il Fusain, il fotografo l’obbiettivo e lo sténopé. Ognuno impieghi i mezzi più adatti a riprodurre quello che sente. Oltre ai vantaggi che ho indicati, lo sténopé ne possiede degli altri, che dal punto di vista della tecnica fotografica non sono da disprezzarsi: angolo di vista che può andare fino a 120 gradi, nessuna messa a fuoco, nessuna distorsione o deformazione da temersi, possibilità di prendere, modificando l’estensione del soffietto, la stessa veduta dallo stesso punto, a scale diverse, una profondità di campo sensa limiti, nessun timore di velature anche quando si abbia il sole di fronte. Tutto ciò fa dello sténopé uno degli accessorii più utili di ogni corredo fotografico; ma però bisogna saper adoperare questo istrumento e vorrei dare qui alcune note pratiche del suo uso: lo sténopé consiste essenzialmente in una apertura di un diametro molto piccolo forato in un corpo opaco sottile. Un foglio di carta nera forato con un ago arrossato al fuoco; si incolla questa carta sulla apertura destinata a ricevere l’obbiettivo e si ha un istrumento un po’ primitivo ma sufficiente per le prime prove. E’ preferibile però il forare un’apertura con una fresa in una lamiera sottile; si taglia questa lamiera in forma di un
diaframma e la si introduce nella montatura di un obbiettivo dal quale pel momento si siano tolte le lenti. Si può pure servirsi di una lamiera di ottone piegata più volte su sé stessa: si spezza per metà un ago, si rende perfettamente unita la rottura con una pietra all’olio e si perforano i fogli di ottone con questa punta, battendo a piccoli colpi con un martello, e curando di poggiare l’ottone sopra un pezzo di legno posto nel senso del filo; il foglio di mezzo sarà perforato con un buco senza sbavatura. L’assenza di sbavature è di grande importanza e qualunque sia il processo adottato bisognerà curare di farlo scomparire. Ma è più semplice e poco più dispendioso il comperare uno sténopé presso i negozianti di articoli fotografici. L’esperienza prova che il diametro dell’apertura deve variare colla distanza a cui si desidera di porre la lastra sensibile, sugli sténopé del commercio questi diametri sono segnati; si evita così di dover prendere delle misure molto delicate, dato che le aperture variano a decimi di millimetro. L’apertura deve variare colla distanza che separa la lastra sensibile dallo sténopé; gli autori sono ben lontani dall’andare d’accordo su cifre esatte: Sir W. De Abney, il Capitano Colson, Lord Raleigh hanno dato delle misure che variano dal semplice al doppio; ciò prova, parmi, che le misure non devono essere così rigorose come lo vogliono questi matematici. Per mio conto personale trovo che basta che l’apertura aumenti a misura che si allontana la lastra sensibile dallo sténopé e mi sono fissato ai diametri seguenti che hanno almeno il vantaggio di essere facili a ritenersi in causa della analogia delle cifre 74 . Io adopero l’apertura di 3/10 per 30 cm di allungamento, 4/10 per 40 cm, 5/10 per 50, 6/10 per 60 cm e così di seguito. Riserbo il foro di 1 mm per la messa in lastra quando l’allungamento del soffietto è limitato,ma per le grandi dimensioni, l’illuminazione data da questa apertura è affatto insufficiente ed è forza ricorrere ad altri mezzi. Il primo consiste nell’avere un obbiettivo della lunghezza focale voluta; si compone la veduta coll’obbiettivo e vi si sostituisce lo sténopé per operare. Ma questo mezzo non è pratico perché sopprime uno dei grandi vantaggi dello sténopé, la facilità che offre di modificare le proporzioni 74 E’ abbastanza delicato il misurare così delle piccole aperture, e per evitare questa pena a chi desiderasse conoscere il diametro esatto dell’apertura del loro sténopé ho misurato con un calibro Palmer, gli aghi della Casa Kirby, di via Auber. Ecco il risultato di questa operazione; le misure sono prese ad un cm dalla punta: Aghi n. 12 3/10 ossia esattissimamente 33/100 di mm Aghi n. 10 4/10 ossia esattissimamente 44/100 di mm Aghi n. 9 5/10 ossia esattissimamente 50/100 di mm Aghi n. 7 6/10 ossia esattissimamente 60/100 di mm Aghi n. 6 7/10 ossia esattissimamente 72/100 di mm Aghi n. 4 8/10 ossia esattissimamente 81/100 di mm Aghi n. 3 9/10 ossia esattissimamente 92/100 di mm Aghi n. 2 1 ossia esattissimamente 102/100 di mm Questa tabella permetterà ad ognuno sia forando della carta nera con questi numeri di aghi, sia introducendoli nello sténopé metallici che posseggono, di rendersi conto del diametro delle aperture che adoperano.
del quadro col solo allungamento e accorciamento del soffietto. Un altro mezzo è quello di mirare lungo un cordino passante sopra un chiodo piantato nel mezzo del davanti e terminante ai due lati della lastra; ci si rende conto così della veduta compresa fra i prolungamenti dei cordini. Ma il migliore di tutti è il mezzo fornito dal riquadro della grandezza della lastra sensibile posto sopra la tavoletta dello sténopé e completata da una alidada mirino fissato sopra la lastra sensibile. Qualunque sia l’allungamento della camera, guardando per il mirino si ha sempre inscritta nel riquadro la dimensione esatta della veduta che sarà riprodotta. Come in tutti gli altri processi fotografici, il tempo di esposizione ha qui una importanza capitale; gli autori hanno dato delle tabelle che non concordano fra loro e che presentano l’inconveniente di richiedere dei calcoli che non si ha il comodo di fare all’aria aperta; esse sono poco utili in pratica. D’altra parte siccome per guida non si ha l’aspetto della veduta sul vetro spulito, ritengo indispensabile un esposimetro per garantire dei buoni risultati, ed ecco la regola a cui mi sono fermato e colla quale mi trovo benissimo. Adopero indifferentemente esposometro Watkins o Wynne. Sono ambedue buoni e considero lo sténopé come un obbiettivo diaframmato a f/100; cerco il tempo di esposizione sull’esposometro e leggo la risposta in minuti primi anziché in minuti secondi. Come si vede la cosa è semplicissima ma perché il calcolo sia esatto occorre naturalmente che lo sténopé sia usato adoperato come fu detto precedentemente, cioè con aperture in rapporto coll’allungamento del soffietto. Quanto alla grandezza della lastra coperta, ho detto che l’angolo può andare fino a 120 gradi; in tal caso permette di ottenere delle vedute di monumenti che sarebbe impossibile il fotografare con un obbiettivo. Nel caso della fotografia documentaria è questo un vantaggio che non è da disprezzarsi, ma per la fotografia pittorica bisognerà guardarsi bene dal lavorare in simili condizioni. Ho detto precedentemente qual’era la mia opinione circa l’angolo che deve abbracciare un quadro e non ho ragione di modificarla oggi. Anzi giacchè il solo inconveniente che presenta l’angolo stretto cogli obbiettivi (illuminazione delle pareti della camera che producono una velatura quando non si prendono certe precauzioni) non esiste collo sténopé, conservo dunque le stesse misure e persisto a credere che bisogna adoperare degli allungamenti di soffietto eguali, almeno, alla diagonale della lastra da coprire. Ciò vale dire che l’apertura di 3/10 con un allungamento di 30 cm servirà per il 13 x 18; 4/10 e 5/10 con 40 e 50 cm per il 18 x 24; 5/10 e 6/10 con 50 e 60 cm per il 24 x 30. Tali sono le misure che mi permetterei di raccomandare per la fotografia pittorica, tanto più che quando si adopera un soffietto corto collo sténopé la nettezza è meno buona probabilmente perché le immagini dei punti si accavallano l’una sull’altra. Non ho nulla da dire di speciale sullo sviluppo delle negative; sarà bene, come in altri casi, l’astenersi dai rivelatori troppo rapidi; malgrado tutto non si è mai molto sicuri del tempo di esposizione e val meglio procedere con una certa precauzione e servirsi di un bagno lento facilmente modificabile nel corso delle operazioni: terminando queste note, spero di aver deciso ancora qualcuno dei
miei confratelli a provare questo genere di fotografia; sono convinto che essa darà loro delle grandi soddisfazioni almeno per i grandi quadri; è un processo che un fotografo deve aver provato; la spesa è nulla, e, senza parlare della parte pittorica, vi sono dei casi in cui si può essere ben felici di avere con sé nel proprio bagaglio fotografico uno sténopé. (Photo Gazette) CONTE D’ASSCHE Tratto da “ Il dilettante di fotografia: giornale popolare illustrato” Anno XI, Dicembre 1900, n. 128 p.p. 2034­2037 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze Gli articoli successivi sono tratti da “ Progresso Fotografico” e “ Tutti Fotografi” : riporto qui di seguito le indicazioni necessarie che appartengono ad ognuno di questi. Progresso F otografico “Un obiettivo che costa niente” Gennaio 1970 n. 1 p.p. 56­57 “Foro Stenopeico” Agosto 1970 n. 8 p.p. 14­15 IDEE E INGEGNOSITA’ “Come costruire e usare una macchina fotografica a foro stenopeico” Maggio 1972 n. 5 p. 56 Tutti F otografi “Corso di fotografia” Novembr e 1977 n. 11 p.p. 40­41­42­43­44­45 La fotografia nella scuola “Le scatole magiche” Novembr e 1986 n. 11 p.p. 46­47­48
NOME: Mario COGNOME: Beltrambini DATA di NASCITA: 31 Agosto 1953 LUOGO di PROVENIENZA: Santarcangelo di Romagna LAVORO ATTUALE: Operaio (Meccanico) 1­ Quando, come e per ché sono nati inter esse, passione e r icer ca nei confr onti della tecnica a For o Stenopeico? L’ interesse per la fotografia stenopeica è nato nel momento in cui ho sentito la necessità, facendo un confronto con me stesso, di avere tempi più lunghi, di andare più lentamente nel fare fotografie; uno dei metodi fotografici che esige una maggior lentezza di esecuzione è appunto quello legato alla fotografia stenopeica, in quanto il tempo di esposizione per ottenere un’immagine fotografica diventa molto più lungo rispetto a quello necessario ad una macchina “tradizionale”: così ho intrapreso il mio percorso facendo questa scelta, la quale mi ha portato a realizzare un progetto per me importante (non ancora concluso) chiamato “Nelle oasi del vuoto”. 2­ Qual è la Sua for mazione per sonale? Sono autodidatta, fotografo da ventiquattro anni, sono cresciuto nell’ambiente culturale di Savignano sul Rubicone dove la fotografia ha segnato un percorso importante e di conseguenza ha influenzato coloro, compreso me, che di questa si interessavano. Nel momento in cui ho sentito di avere esigenze personali legate ad una crescita e quindi ad un cambiamento ho percepito il bisogno di utilizzare uno strumento che potesse rappresentare nel miglior modo la mia poetica, ciò che volevo esprimere. 3­ Fa r ifer imento a par ticolar i ar tisti o scr ittor i? Ha par ametr i estetico­cultur ali legati ad un cer to tipo di avanguar die? Sicuramente le avanguardie hanno la loro rilevanza: i movimenti che sono nati negli anni ’20 ’30 del secolo scorso come il Dadaismo o il Surrealismo erano legati a diversi tipi di sperimentazione;
personalmente mi sono interessato alla fotografia surrealista, dove l’utilizzo di macchine fuori dagli schemi portava la fotografia a non essere più oggettiva, ma soggettiva. Man Ray ed una certa schiera di fotografi mi hanno inizialmente ispirato. 4­ La macchina che utilizza l’ ha costr uita per sonalmente? Cosa significa per Lei quest’oggetto? Io prediligo la pellicola Polaroid, quindi utilizzo delle macchine Polaroid opportunamente modificate; ne ho modificate due, alcune le ho invece costruite per particolari esigenze, per vari tipi di utilizzo: ho, per esempio, una macchina in legno molto corta quindi supergrandangolare, utilizzo il banco ottico con obiettivo a foro stenopeico… ma in realtà solamente una o due sono quelle da me più utilizzate. Cosa significano per me queste macchine? Le considero solamente Mie e difficilmente decido di cambiarle. Non bisogna comunque dimenticare la tecnica che, anche per un buon autodidatta, è una parte molto importante, dalla quale non si può prescindere; le macchine che costruisco non hanno alcun tipo di difficoltà esecutiva in quanto conosco tutte le “geometrie” indispensabili per fare fotografie. 5­ Che valor e e significato dà e viene dato alle Sue oper e? Hanno un fine di r icer ca per sonale? Sono legate ad un mer cato? Ogni autore dà alle sue opere il massimo del valore: le mie hanno sicuramente un fine di ricerca personale ed esprimono significati che derivano da un percorso interiore e da lunghe riflessioni, di conseguenza sono molto legato ad esse e le ritengo molto importanti. Lavorando su un tipo di fotografia Concettuale, estremamente soggettiva, legata ad una chiave di lettura complessa, la vendita rimane complicata e forse improbabile. Il mercato è talmente vasto che diventa oltretutto difficile capire quando un fotografo entra a
far parte della schiera di coloro che riescono a vendere una fotografia. Per vendere bisogna fare un tipo di fotografia “ ruffiana” , ovvero un tipo di fotografia che prima di tutto piaccia a chi la deve comprare: devi essere disposto a muoverti in certi canali/ambiti legati alle richieste del mercato. A mio parere il vero artista, o colui che si considera tale, non pensa di dover vendere le proprie fotografie: “La fotografia a volte può essere un piacere, a volte è una necessità” una necessità significa aver bisogno di trasmettere qualcosa, significa dare risposte interiori a se stessi: cade, in questi casi, l’importanza di dover o poter vendere. Due mie fotografie entreranno a far parte della collezione Polaroid di Boston e questo comunque mi gratifica. 6­ A quali avvenimenti ar tistico­cultur ali ha par tecipato pr esentando i suoi lavor i? Ha avuto r iscontr i positivi o negativi? Ho fatto diverse mostre ( Cuneo, Montefiore, a Novembre sarò a Venezia ….) e ho partecipato a diversi concorsi, anche se per questi ultimi ho sempre avuto delle difficoltà nel presentare i miei lavori essendo uno degli organizzatori di “Portfolio in piazza”, il concorso fotografico che si svolge ogni anno a Savignano sul Rubicone. Fondamentalmente ho avuto, però, riscontri positivi: lo dimostra il fatto che c’è in progetto un libro sul mio lavoro fotografico (che porto avanti più o meno da cinque anni) intitolato “Nelle oasi del vuoto” e lo dimostrano recensioni importanti realizzate da esperti fotografi. 7­ Conosce altr e per sone che seguono e pr aticano questo metodo? Quale tipo di r appor to esiste tr a di voi? (Avvengono scambi di or dine pr atico o cultur ale e quindi di infor mazione?) Organizzando da due anni a Savignano la “Giornata Mondiale della Fotografia Stenopeica” sono in contatto con quasi tutti coloro che praticano questo tipo di fotografia in Italia, anche se, come si nota
consultando il sito www.pinholeday.org, negli ultimi tre anni sono aumentati coloro che applicano questo particolare metodo. Sicuramente avviene un confronto e uno scambio tra di noi …. 8­ Che impor tanza ha assunto nel Suo per cor so for mativo la conoscenza e l’utilizzo di tale tecnica fotogr afica? Ha assunto un valore importante in particolare legato al lavoro, già sopra citato, che in questi anni ho portato avanti, sviluppato interamente con questa tecnica; sono talmente riconoscente a questo metodo fotografico che da due anni mi sono impegnato nell’organizzare a Savignano la “Giornata Mondiale della Fotografia Stenopeica”, la quale mi sembra un punto di riferimento per tutti coloro che praticano questo genere fotografico oltre che la conferma della mia passione nei confronti di quest’ ultimo. 9­ Per ché questo “mondo” r imane così nascosto e semi­ sconosciuto? Più che semi­sconosciuto direi sommerso: se digiti su internet la parola magica Pinhole c’è tantissimo materiale a disposizione. In Italia non si trova in effetti molta documentazione e questo è dovuto al fatto che questa fotografia rappresenta, a mio avviso, una nicchia nella nicchia. Sicuramente in America è presente una sensibilizzazione maggiore connessa alla fotografia stenopeica, perché c’è una libertà ed una elasticità legata all’immagine che qui in Italia non sussiste. Ancora oggi siamo influenzati da stilemi che dal Neorealismo in avanti non ci hanno mai abbandonato; siamo stati “vittime” della cultura romana, greca, etrusca. L’idea di immagine artisticamente perfetta che, ad esempio, viene assegnata ai grandi della pittura, ci ha bloccato e continua a bloccarci dal punto di vista fotografico. L’America, avendo un trascorso storico artistico molto diverso e molto meno ricco, riesce ad essere più libera nel produrre oggi immagini e nel trovare e provare metodi come quello citato finora.
10­ Come giudica il pr ogr esso fotogr afico e le nuove tecniche ad esso legate? Questo è un momento di estremo marasma. Ancora non si è ben capito cosa sia la nuova fotografia Digitale, che fotografia viene chiamata, ma a mio avviso, non la rappresenta: fotografare significa scrivere con la luce, non con i numeri. La Fotografia è un effetto fisico legato alla luce che colpisce un soggetto e lo impressiona, o meglio, lo scolpisce su un negativo tramite un meccanismo chimico. Il Digitale registra dei numeri su un file virtuale. Questa estrema differenza non toglie però una possibilità di dialogo tra le due, le quali possono convivere benissimo tanto più che, dal mio punto di vista, è giusto che si intersechino tra loro. Non si può però nascondere che in questo momento esiste molta confusione amplificata dai media, i quali parteggiano per il nuovo sconfessando il vecchio, divulgando informazioni inesatte come la scomparsa tra qualche anno della pellicola fotografica; in realtà oggi si possono ancora applicare tecniche antiche di inizio secolo trovando il materiale necessario. Si possono infatti trovare carte fotografiche pregiate rimesse in commercio per evidenziare il contro bilanciamento che si è venuto a creare con l’arrivo delle nuove tecniche moderne. 11­ Come si sente nei confr onti del mondo della fotogr afia “moder na”? Personalmente mi sento perfettamente a mio agio, perché anche utilizzando una tecnica “primitiva” riesco ad ottenere i risultati che desidero: mi ritengo estremamente pratico e di conseguenza non ho nessuna difficoltà nell’unire questa tecnica antica a strumenti moderni e sofisticati. Inoltre reputo la fotografia stenopeica indubbiamente moderna, pensate: hanno creato macchine digitali stenopeiche! 12­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la Fotogr afia?
Per fotografia intenderei tutto il mondo delle immagini, anche perché essa si divide in tante branchie. Oggi siamo dei divoratori di immagini e da queste siamo ogni giorno bombardati. Ne deriva, purtroppo, la sempre più scarsa e scadente qualità e la perdita del senso della bellezza di queste ultime. 13­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la fotogr afia a For o Stenopeico e cosa invece r appr esentava nel passato? A mio parere la fotografia stenopeica non ha mai rappresentato molto, sia in passato che nel presente. È sempre stata una sfida. Inizialmente veniva considerata un mezzo pratico, necessario per raggiungere più velocemente ed in modo migliore risultati nel campo dell’arte, dell’architettura e dell’astronomia. Con il progresso fotografico viene abbandonata e sostituita da macchine più efficienti e sofisticate. Essa rinasce recentemente, nel momento preciso in cui viene riscoperta e rivalutata in ambito artistico­creativo, cosa che poi è accaduta anche ad altre tecniche del passato. 14­ Come si potr ebbe definir e colui che oggi pr atica questa tecnica fotogr afica? Lei dà una definizione par ticolar e a se stesso? Ci sono persone che hanno intenti personali o fini artistici precisi, mentre ce ne sono altre che applicano la tecnica semplicemente perché legati alla moda del momento. Mi piacerebbe poter essere definito un artista, e personalmente mi sento molto vicino a questa definizione: “Artista è chi l’artista fa”. Pratico comunque Fotografia da Amatore, quindi prima di tutto mi considero tale. 15­ Quali sono le motivazioni che La por tano a continuar e questo per cor so? Io sto facendo un Portfolio e quindi un lavoro lungo, di riflessione. Fino a che non riterrò esaurita l’esplorazione delle Oasi del vuoto e quindi la necessità di esprimere ciò che voglio trasmettere, continuerò questa strada e non abbandonerò questa tipologia di immagine.
Lavori tratti dal portfolio Nelle Oasi del Vuoto. Colonia Roma, Bellaria 1999.
Lavori tratti dal portfolio Nelle Oasi del Vuoto. Colonia Roma, Bellaria 1999.
NOME: Vincenzo COGNOME: Marzocchini DATA di NASCITA: 1 Maggio 1948 LUOGO di PROVENIENZA: Di origine marchigiana residente in Friuli LAVORO ATTUALE: Pedagogo. Docente pensionato 1­ Quando, come e per ché sono nati inter esse, passione e r icer ca nei confr onti della tecnica a For o Stenopeico? Alla metà degli anni Ottanta ho incominciato ad insegnare Fotografia per due ore settimanali durante le libere attività complementari (facoltative) presso la scuola media statale di Tolmezzo (Ud) all'interno di un progetto sull'educazione all'immagine…e, ad un certo punto, abbiamo iniziato a percorrere a ritroso il cammino tecnologico alla scoperta delle origini e degli elementi base del linguaggio fotografico: gli effetti della luce sui vari materiali fotosensibili, l'inversione dei valori tonali (negativo e positivo), come si realizza una camera oscura e quindi una semplice macchina fotografica… 2­ Qual è la sua for mazione per sonale? Per quanto concerne la pratica fotografica, ho iniziato come autodidatta, poi ho sentito la necessità di ampliare le mie conoscenze e competenze partecipando a Workshop di vario genere per la tecnica di ripresa, a diversi corsi di stampa, di storia ed antichi procedimenti, a tavole rotonde, visitando tante mostre, leggendo riviste e soprattutto libri di autori famosi o per niente noti ma che mi proponevano qualcosa che sentivo corrispondere alle mie aspettative e desideri.
3­ Fa r ifer imento a par ticolar i ar tisti o scr ittor i? Ha par ametr i estetico­cultur ali legati ad un cer to tipo di avanguar die? Più che artisti o scrittori direi artisti e scrittori: mi affascina il binomio scrittura­immagine; a seconda dei casi i due media li utilizzo nei miei lavori in modo ridondante, l'uno a supporto dell'altro, oppure in maniera del tutto autonoma. Ci sono due teorie su questo aspetto: una che trae origine dai viaggi ottocenteschi, passa attraverso il reportage sociale per giungere al fotogiornalismo e alla diffusione dei rotocalchi e che trova la più sofisticata e subdola applicazione nella pubblicità; l'altra che sostiene l'autonomia dell'immagine come medium e quindi crede nell'universalità e nell'onnipotenza del suo linguaggio. A me piacciono gli scrittori come Calvino che scrivono immaginando immagini e i fotografi che sanno costruire storie…e non sono pochi. Per quanto concerne le avanguardie il discorso è ancora più complesso: per quanto mi riguarda, sono un convinto sostenitore dei "corsi e ricorsi storici" del Vico, credo nel ripetersi della storia seppur ­ad ogni tornata­ con i dovuti adeguamenti tecnici ed ideologici: questo per dire che le teorie del concettualismo, dell' object trouvé, dello sperimentalismo off­camera in fotografia ecc…dai primi decenni del Novecento si "ripetono" periodicamente fino ai nostri giorni…e solo chi non conosce la Storia dell'arte ­ e all'interno di essa della fotografia in particolare ­ pensa di trovarsi di fronte a delle novità. I fantasmi di Duchamp, Magritte, Man Ray, Moholy­Nagy e soci appariranno e scompariranno a intermittenza ancora per molto tempo nel mondo dell'arte. 4­ La macchina che utilizza l’ha costr uita per sonalmente? Cosa significa per lei quest’oggetto? I primi modelli, semplici scatole di legno, me li sono costruiti alcuni da solo mentre altri con l'aiuto di un falegname. Con queste macchine utilizzo negativi di carta. Successivamente ne ho acquistate di nuove più sofisticate con le quali posso ampliare la mia sperimentazione applicandovi degli chassis contenenti pellicole
piane diverse (con "il dorso intercambiabile"!). Sono dei veri feticci, degli "oggetti d'affezione", per dirla alla Man Ray. 5­ Che valor e e significato dà e viene dato alle sue oper e? Hanno un fine di r icer ca per sonale? Sono legate ad un mer cato? Valore e significato delle opere sono relativi: relativi a chi le ha prodotte, e per ogni autore esse significano tanto ed assumono un valore massimo; a chi le guarda, i fruitori attribuiscono valore e significato in relazione alle proprie conoscenze, alle esperienze, al proprio vissuto culturale. Non produco per il mercato, fotografo innanzitutto per me stesso, per cercare di rispondere alle mie aspettative, per esternare quello che sento… se poi vengo gratificato attraverso varie forme di riconoscimenti è uno sprone in più e mi fa indubbiamente piacere. 6­ A quali avvenimenti ar tistico­cultur ali ha par tecipato pr esentando i suoi lavor i? Ha avuto r iscontr i positivi o negativi? Ho partecipato a mostre nazionali e locali e, come sempre avviene, a fronte di apprezzamenti ho all'attivo anche critiche…che servono, servono! Tutto va osservato attraverso un'ottica positiva. 7­ Conosce altr e per sone che seguono e pr aticano questo metodo? Quale tipo di r appor to esiste tr a di voi? (Avvengono scambi di or dine pr atico o cultur ale e quindi di infor mazione?) Ho molti amici coi quali scambio foto e consigli…ma conosco anche qualche personaggio geloso delle proprie "creazioni" e che diventa balbuziente o smemorato se lo interroghi. 8­ Che impor tanza ha assunto nel suo per cor so for mativo la conoscenza e l’utilizzo di tale tecnica fotogr afica?
È stata una iniezione di curiosità e di stimoli culturali perché mi sono dedicato all'approfondimento di particolari aspetti storici della pittura e della fotografia: camere obscure, camere ottiche, i problemi relativi alla resa prospettica, alla ritrattistica…quali materiali fotosensibili per il tal progetto… 9­ Per ché questo “mondo” r imane così nascosto e semi­ sconosciuto? Apparentemente, solo apparentemente, rappresenta una nicchia della pratica fotografica; in verità, gli addetti ai lavori sanno benissimo che molte opere attualmente esposte nelle gallerie sono state realizzate con tale tecnica "primitiva" ­ poi magari ritoccate al computer ­ solo che non sempre viene dichiarato dagli autori. 10­ Come giudica il pr ogr esso fotogr afico e le nuove tecnologie ad esso legate? La fotografia analogica sta sempre più ridimensionandosi sui mercati a vantaggio di quella digitale, più moderna, più rispondente al dinamismo dei modelli culturali ed economici e quindi più vicina alla mentalità delle nuove generazioni. Per pochi anni il vantaggio o plus­valore della fotografia tradizionale è rimasto ancorato alla qualità dei materiali pregiati su cui venivano stampate le immagini. Ora, con la stampa digitale ai pigmenti di carbone tale vantaggio si è notevolmente ridotto. A me non dispiace il progresso in sé, mi disturba la prevaricazione culturale e la pressione pubblicitaria mistificatoria tendente ad affrettare il passaggio dall'analogico al digitale con il restringimento dell'offerta per i prodotti fine art. Certo, i palati raffinati ­ e ancora per diverso tempo ­ credo che non potranno fare a meno di rivolgersi al mercato dei prodotti fine art…in particolare i grandi collezionisti ed i musei. Resta, comunque, da chiarire una questione di fondo: se fotografare significa "scrivere", "dipingere" con la luce, come da Talbot in poi hanno fatto presente nei titoli delle loro pubblicazioni i tanti fotografi dell'Ottocento e dei primi del Novecento, la fotografia digitale ­ utilizzando bit elettrici ­ è impropriamente fotografia.
Sarebbe più corretto parlare di nuovo modo di creare immagini…Nella grande famiglia delle immagini trovano posto accanto alle fotografie anche le riprese e le stampe in digitale, col loro lessico specifico. 11­ Come si sente nei confr onti del mondo della fotogr afia “moder na”? Io amo tutte le immagini, anche se tra queste prediligo quelle analogiche. Le percepisco più vicine al mio mondo culturale. Certo, qualche volta mi sento più un troglodita che un homo tecnologicus, ma non sempre ­ o meglio quasi mai ­ i robotizzati diventano poi sapiens. 12­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la Fotogr afia? Le immagini hanno inflazionato la realtà visiva, tentano di orientare ostinatamente le nostre scelte di vita. A causa della sovraesposizione dei messaggi iconici a cui siamo sottoposti e dell'ambiguità insita in ogni fotogramma, alto è per noi il rischio di un continuo condizionamento ideologico. La fotografia, non smentendo le sue caratteristiche originarie di essere negativa e positiva nel contempo, può essere utilizzata negativamente per condizionare o positivamente per educare. Proprio perché aumenta l'incidenza delle immagini nel vivere sociale, dovrebbe essere potenziata nelle scuole la possibilità di utilizzare la fotografia didatticamente. Rispetto alle immagini in movimento, ognuna delle quali tende ad annullare il ricordo della precedente, l'immagine statica favorisce lo sviluppo delle capacità critiche, riflessive. La frase di Moholy­Nagy pronunciata nel lontano 1930 "L'analfabeta di domani sarà colui che non saprà leggere le immagini" ­ apparentemente più appropriata oggi alla conoscenza del computer ­ conserva tutta la sua validità e sarebbe ora che si istituissero delle cattedre di Fotografia sin dagli istituti superiori. 13­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la Fotogr afia Stenopeica e cosa invece r appr esentava nel passato?
Nel passato, tra il 1890 ed il 1915 c.a., vale a dire nel periodo definito pittorialista, si utilizzava lo stenoscopio per finalità estetiche ­ veniva raccomandato nella ritrattistica e nella riproduzione di opere d'arte scultoree e d'architettura ­ in quanto la resa più morbida, meglio rispondeva ai canoni estetici improntati all'imitazione della visione umana secondo le teorie fotografiche di Emerson; nel primo decennio del Novecento, invece, Alvin Langdon Coburn ne fece un uso artistico tendente ad indagare le possibilità intrinseche al mezzo stesso ed a trovare nuovi sbocchi alla visione fotografica : siamo entrati nel clima avanguardistico che influenzerà a fasi alterne, ma ogni volta con un substrato ideologico diverso, l'universo fotografico fino ai nostri giorni. Oggi le motivazioni sono diverse: quelle che più mi affascinano e che guidano il mio operare rinviano ad una lenta visione del mondo. Osservare e catturare il mondo in modo lento ci permette di percepire più intensamente la realtà, di penetrarla in profondità, verticalmente e non solo orizzontalmente, in superficie. La scelta della lunghezza focale e della dimensione del foro scandiranno le poetiche individuali finalizzate a suggerire una percezione ora più realistica altre volte più espressiva, ma il denominatore comune tra tutti i fotografi che operano con lo stenoscopio al posto dell'obiettivo sarà metaforicamente il recupero della visione riflessiva e non mediata tecnologicamente. 14­ Come si potr ebbe definir e colui che oggi pr atica questa tecnica fotogr afica? Lei dà una definizione par ticolar e a se stesso? Filosofo in generale e panteista panico in particolare, benpensante, bendisposto, altruista, ottimista, ecologista, acuto osservatore, socialmente utile…anarchico artisticamente...politicamente radicale !
NOME: Massimo COGNOME: Stefanutti DATA DI NASCITA: 22 Novembre 1957 LUOGO DI PROVENIENZA: Venezia LAVORO ATTUALE: Avvocato 1­ Quando, come e per ché sono nati inter esse, passione e r icer ca nei confr onti della tecnica a For o Stenopeico ? La mia passione per il " pinhole " è nata nel 2000, dopo aver comprato una macchina stenopeica ad Hong Kong. Dopo aver visionato un pò di autori stenopeici ( pur conoscendo prima il lavoro di Paolo Gioli ) ho voluto sperimentare una tecnica di ripresa quanto mai problematica e sfuggente. Problematica in quanto lo stenopeico è, per definizione, senza mirino e richiede delle doti di previsualizzazione notevoli. Sfuggente in quanto il risultato finale (sia tecnico che espressivo) è controllabile fino ad un certo punto e non oltre, per cui la sorpresa nel vedere l’immagine finale è sempre presente. 2­ Qual è la sua for mazione per sonale ? Mi interesso di fotografia, a livello non professionale, da circa 25 anni e da pari periodo sono socio dello storico Circolo Fotografico La Gondola di Venezia, del quale sono stato anche presidente. Il mio interesse per la fotografia è totale ed assorbente: faccio parte di quella schiera di persone ­ con un fenomeno che credo tipicamente italiano ­ che si interessano di fotografia ( ed operano in diversi ambiti professionali ), le dedicano quasi tutto il tempo libero, considerandola una vera forma di cultura. 3­ Fa r ifer imento a par ticolar i ar tisti o scr ittor i ? Ha par ametr i estetico­cultur ali legati ad un cer to tipo di avanguar die ? Non mi sembra di subire particolari influenze, né di far riferimento a parametri estetico culturali legati ad avanguardie.
Ogni tanto penso che la fotografia non sia altro che letteratura visiva e che nelle immagini si possa rintracciare sia un richiamo a letture che ad esperienze o conoscenze visive nel campo della pittura o, più in generale, dell’arte. Poi però mi accorgo che quanto più l’immagine fotografica è lontana dalla pittura o dalla letteratura, più si avvicina al suo vero specifico, pur appartenendo al mondo dell’arte. 4­ La macchina che utilizza l’ha costr uita per sonalmente ? Cosa significa per lei quest’oggetto ? Possiedo due macchine stenopeiche, entrambe acquistate. Sono degli oggetti esteticamente molto belli, ma soprattutto sono funzionali. Secondo tanti miei colleghi, se la macchina stenopeica non è autocostruita non vale nulla: io non sono d’accordo. Avere una macchina già perfettamente pensata per fotografare con lo stenopeico mi semplifica il lavoro e diminuisce l’incertezza del risultato. 5­ Che valor e e significato dà e viene dato alle sue oper e ? Hanno un fine di r icer ca per sonale ? Sono legate ad un mer cato ? La risposta è difficilissima. Io lavoro " a progetto ", per cui parto da un’idea fotografica che porto avanti nel tempo ( spesso per mesi ) per approfondirla al massimo e l’abbandono quando non ho più curiosità. Alla fine ho sempre un portfolio di almeno 50 immagini che posso selezionare per preparare un percorso meramente visivo, concettuale o simbolico. Le mie odierne produzioni stenopeiche sono certamente differenti da quelle svolte in passato con una normale macchina, in quanto vi è la ricerca dello spazio stenopeico. Non sono legato al mercato, per cui la mia libertà espressiva è massima: lavoro fotograficamente solo per la gloria e non per il denaro. Le mie ultime due produzioni ( Cor pi Stenopeici e Venezia Stenopeica ) ­ segno anche di una sensibilità stenopeica in evoluzione ­ sono state accolte con molto favore, soprattutto nel settore specializzato, con vari riconoscimenti.
Venezia Stenopeica è anche pubblicata sul sito web della Polaroid, in quanto, per la realizzazione, ho utilizzato quel tipo di materiale. Anche Cor pi Stenopeici è realizzata con supporto Polaroid: è costoso, ma ha il pregio di restituire subito il risultato e di permettere, di conseguenza, la correzione di eventuali errori (anche se , normalmente, mi basta uno scatto). 6­ A quali avvenimenti ar tistico­cultur ali ha par tecipato pr esentando i suoi lavor i? Ha avuto r iscontr i positivi o negativi? I miei lavori sono sottoposti all’esame del Circolo Fotografico cui appartengo, a varie letture di portfolio e, ultimamente, Cor pi Stenopeici è stato selezionato da Nino Migliori per la sezione Autori Emergenti in Fotopadova 2003 e anche esposto a Savignano sul Rubicone in occasione del Pinhole Day 2004. I riscontri sono stati molto positivi. Tre immagini di un precedente lavoro sono state recentemente pubblicate su PINHOLE JOURNAL, edito da Eric Renner e Nancy Spencer: unico giornale sullo stenopeico nel mondo. 7­ Conosce altr e per sone che seguono e pr aticano questo metodo ? Quale tipo di r appor to esiste tr a di voi ? (Avvengono scambi di or dine pr atico o cultur ale e quindi di infor mazione ?) I fotografi stenopeici italiani sono pochi e siamo tutti in contatto tra noi. Recentemente uno di questi, Marzocchini, ha pubblicato il primo libro sullo stenopeico in Italia, senza considerare il precedente che è dei primi anni del '900; se non erro, i professionisti sono pochissimi. Anche nel mondo la situazione non è diversa: ci sono non più di 50 siti (di singoli o di associazioni) che si possono reperire attraverso internet, ma le foto realizzate con lo stenopeico sono milioni; pochi lo sanno, ma i telefoni cellulari integrati da una macchina fotografica usano lo stenopeico in luogo dell’obiettivo.
8­ Che impor tanza ha assunto nel suo per cor so for mativo la conoscenza e l’utilizzo di tale tecnica fotogr afica ? Non mi sento certo meno di un fotografo che utilizza i nuovi potenti mezzi digitali, anche perché credo che sia molto più difficile ottenere una buona foto con lo stenopeico sia tecnicamente che concettualmente. La grande difficoltà è che occorre saper vedere, comprendere preventivamente " lo spazio stenopeico ". Questo "spazio" è completamente differente da quello percepito da una macchina fotografica normale o meglio, dal suo obiettivo, in quanto quest’ ultimo manca e viene sostituito dal piccolo foro, il quale dà sempre lo stesso angolo di ripresa di circa 104°: sfruttando la linearità dei raggi di luce e l’assenza delle distorsioni date dalle lenti, lo stenopeico organizza lo spazio avanti a se in modo anomalo, annullando i rapporti esistenti tra le masse e ponendo tutte le cose su uno stesso piano. E’ un procedimento analogo a quello utilizzato dall’occhio umano, solo che nell’occhio è presente una lente (il cristallino) ed in più il cervello corregge le proporzioni e lavora sulle tre dimensioni. La resa dello stenopeico dipende soprattutto dalla focale che si usa: inutile utilizzarlo a focale tra il 30 e il 70 mm, in quanto solo sopra o sotto queste focali, lo spazio stenopeico si rivela in tutta la sua eccezionalità. Più la focale è corta (nei miei ultimi lavori ho usato una focale di 10 mm), più si deve essere vicini al soggetto, spesso a pochi centimetri: lo spazio davanti al foro si allargherà verso l’infinito. Il soggetto viene visto (più dalla macchina che dal fotografo, il quale può spesso solo intuire il risultato finale) secondo delle linee di prospettiva e delle sequenze di piani che non si ritrovano né nella fotografia convenzionale né tanto meno nella visione diretta dell’occhio umano. Paolo Gioli lo definisce " Il crudele spazio stenopeico " in quanto può non solo deludere chi non entra in sintonia con esso, ma anche disvela una percezione della realtà altrimenti in conoscibile da farne presumere l’appartenenza ad un’altra dimensione. Spesso, guardando una foto stenopeica, mi sorprendo a pensare che lo spazio possa essere curvo e che le dimensioni possano essere solo una forma di organizzazione del
reale il quale esiste, così come lo percepiamo, perché è il nostro cervello a vederlo così. 9­ Per ché questo “mondo” r imane così nascosto e semi­ sconosciuto ? E’ un mondo poco conosciuto in quanto tanti provano a fare foto stenopeiche, ma pochi riescono…per cui in molti abbandonano. La fotografia stenopeica richiede doti e qualità empatiche non indifferenti e tanti vorrebbero trasferire la propria visione con la macchina ordinaria a quella stenopeica. E’ assolutamente impossibile passare immediatamente da una macchina con mirino ad una senza! Tanti provano a mettere lo stenopeico ad una Leica o all’ Hasselblad, ma non serve a nulla. Lo spazio stenopeico è infinito, non ha destra, sinistra, sopra, sotto, forse è curvo e ci avvolge e come tale occorre pensarlo, anche se il risultato finale è un rettangolino fisico di realtà. 10­ Come giudica il pr ogr esso fotogr afico e le nuove tecniche ad esso legate ? Dal bitume di Giudea al pixel, nulla è cambiato. La tecnologia fa parte della fotografia che si evolve con le invenzioni dell’ uomo per riprodurre la realtà, solo che con la tecnologia digitale la fotografia ha perso il suo statuto di verità: se prima dell’avvento del digitale si doveva far riferimento ad un’immagine ricavata dalla realtà oggettiva, per cui lo specifico era " è stato ", oggi tutto questo non possiamo più dirlo. Si possono creare realtà apparenti, slegate dal mondo reale. Potremmo inventarci persone o cose che sembrano plausibili, ma che esistono solo per la capacità tecnica di un operatore che lavora con il mouse. 11­ Come si sente nei confr onti del mondo della fotogr afia “moder na” ? La fotografia stenopeica ha consentito un salto di qualità nella mia produzione e, soprattutto, mi ha dato nuovi stimoli. Prima, pur
essendo un fotografo non professionista di un certo livello e dotato di una certa creatività ­ a dire di chi mi seguiva ­ , non riuscivo bene a focalizzare la mia attenzione su certi passaggi. Ora, con lo stenopeico, c’è stata prima di tutto una severa e continua riflessione concettuale sul mezzo e sulla realtà. Lo stenopeico è " slow­photography " in opposizione ad una " fast­ photography " usa e getta. 12­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la Fotogr afia ? In una società senza democrazia ( e senza pluralità di forme di comunicazione ) la fotografia sarebbe un’arma formidabile di consenso sociale e di rappresentazione univoca del mondo. Ma in una società democratica e sul presupposto di una coscienza comune che la fotografia non rappresenta ( più ) la verità, è una potente arma di dubbio. 13­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la fotogr afia a For o Stenopeico e cosa invece r appr esentava nel passato ? Nel passato, la fotografia stenopeica era un esperimento scientifico ed era legata al concetto di camera oscura in campo pittorico. Ora si è evoluta verso una dimensione espressiva e tanti cercano di sfruttare il senso onirico che ogni immagine stenopeica possiede: qualche volta riuscendoci, spesso no. 14­ Come si potr ebbe definir e colui che oggi pr atica questa tecnica fotogr afica ? Lei dà una definizione par ticolar e a se stesso ? La miglior definizione di colui che oggi utilizza lo stenopeico è " anti­ tecnologico ", anche se poi vi è tanta e tale tecnologia ( dal calcolo delle dimensioni del foro, alla determinazione dell’esposizione ) che non mi sembra più tanto corretto affermarlo. Comunque anche io, in aperta ribellione alle macchine che fanno tutto schiacciando un bottone, mi sento anti­tecnologico: alla fine è la riflessione sulla realtà e sul rapporto con il mezzo che si usa che
porta a scegliere una digitale o lo stenopeico, non certo la comodità di utilizzo. 15­ Quali sono le motivazioni che la por tano a continuar e questo per cor so ? Continuerò ad usare lo stenopeico fino a quando mi sosterrà la curiosità di vedere e far vedere agli altri quello che vedo io. Corpi Stenopeici , 2003
NOME: Mauro COGNOME: Tozzi DATA DI NASCITA: 23 Marzo 1955 LUOGO DI PROVENIENZA: Siena LAVORO ATTUALE: Responsabile sede senese Mediateca Regionale Toscana 1­ Quando, come e per ché sono nati inter esse, passione e r icer ca nei confr onti della tecnica a For o Stenopeico ? Di solito, per i fotografi di un tempo, diversamente da chi oggi inizia con il digitale, era un passaggio quasi obbligato quello di imbattersi nel foro stenopeico. Leggiucchiando, frequentando qualche corso, anche quelli più scalcinati, sbirciando riviste, non era difficile incontrare tale tecnica. Per gli insegnanti rappresentava un buon viatico per spiegare il principio base della fotografia. E’ stato così anche per me. Ho iniziato nel 1979, anche se prima di allora avevo già fatto qualche buon scatto con una vecchissima polaroid. Non ho frequentato scuole o corsi formativi sulla fotografia. La mia formazione è da autodidatta benché, aggregandomi ad un gruppo di fotografi “naturalisti”, che si chiamavano “Abril” e avevano una sede che definire fatiscente era un complimento, abbia appreso molte tecniche frequentando quotidianamente la camera oscura assieme a loro. In quei primi anni di apprendistato, in un negozio di fotografia della mia città, vidi una scatola di cartone della FotoGram (e di Ilford Scuola), denominata “tri­camera obscura” – perché aveva tre scatole una dentro l’altra che estendendole, come fosse un soffietto, si ottenevano immagini grandangolari oppure ravvicinate – e la comprai. Fu quello il primo approccio con il Foro Stenopeico. Ma non si trattò che di qualche esperimento. La pessima qualità delle immagini ottenute, dovute anche da un foro piuttosto approssimativo, mi convinse a lasciar perdere. Del resto la mia cultura fotografica era ancora molto limitata ed in generale preferivo costose macchine fotografiche, anche se rigorosamente manuali, come le Nikon F2, considerate allora come le migliori in assoluto dai cultori del bianconero.
Per la passione stenopeica bisognerà attendere ancora parecchi anni. Nel 2000 infatti il mio carissimo amico e fotografo triestino Alessandro Mlach mi disse che si era imbattuto, tramite internet, in gente che nel mondo propagandava il pinhole. Lì per lì, non lo presi molto sul serio, ma quando tornò a parlarmene mostrandomi alcune foto, ebbi una folgorazione. Da qual momento è stato un crescendo di informazioni e di sperimentazioni. Nacque in quel modo anche l’idea di fare una grande mostra internazionale a Siena con i più grandi fotografi stenopeici del mondo, che si concretizzò nel 2002 con la rassegna “Senza Obiettivo, mostra internazionale di Fotografia Stenopeica” cui presero parte oltre trenta fotografi del pianeta. Con la mostra ho preso atto che attorno a questa tecnica può coagularsi un grande interesse da parte di un pubblico tutt’altro che ridotto e soprattutto nei confronti di giovani e di esperti che già si rivolgono alla fotografia come un media capace di restituire loro un prezioso tassello di conoscenza. In quindici giorni di esposizione (poi protratti a trenta), ho tenuto sei visite guidate, ognuna delle quali con oltre quaranta persone. Avevamo anche costruito una grande camera oscura di 3x3 m. per dimostrare dall’interno che cosa sarebbe successo quando la luce avesse attraversato il foro. 2­ Qual è la sua for mazione per sonale ? A questa domanda credo d’aver risposto al punto precedente. Posso aggiungere che, specie nei primi anni, ho sperimentato tutte le tecniche di ripresa e stampa, scegliendo poi quelle che meglio mi avrebbero accompagnato nella fase creativa della mia produzione. Comunque, anche successivamente a questa prima fase, che definirei più “ scolastica” , ho cercato di approfondire le conoscenze tecniche per riuscire a realizzare più compiutamente le idee che avevo in testa, arrivando perfino a seguire un corso di chimica, perché desideravo miscelare da me i rivelatori fotografici. Negli anni ’80 ho lavorato moltissimo in camera oscura anche per altri fotografi. Oggi, credo di potermi definire un buon stampatore del bianco e nero. Ho alternato l’attività fotografica a quella di organizzatore di eventi cinematografici (muto in particolare) e ho dato vita ad un
festival internazionale di cortometraggi e di arte contemporanea, Visionaria. 3­ Fa r ifer imento a par ticolar i ar tisti o scr ittor i ? Ha par ametr i estetico­cultur ali legati ad un cer to tipo di avanguar die ? Nessuno in particolare. Sono stato in parte influenzato da fotografi e scrittori che hanno contribuito ad allargare i miei orizzonti estetico­ culturali ma ho sempre seguito un mio filo conduttore, anche sul piano più specificamente estetico. Tra i grandi maestri, potrei citare Caravaggio per quanto concerne il rapporto luce­ombra. Egli ha contribuito ad affinare uno sguardo più attento ai dettagli nella parte oscura ed ha, paradossalmente, allargato molto il mio concetto di fotografia, in una fase più matura della mia vita. Devo qualcosa anche ad Arthur Tress, a Mario Giacomelli (che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente) ed in genere ai neorealisti. Ho seguito con particolare interesse anche le sperimentazioni del cinema muto come quelle di Clair, di Bunuel e di Renoir. Sul piano più puramente letterario ho assorbito molto dalla lezione leopardiana e di Pavese, ed in anni più recenti a quella di Borges, Calvino, Camus e Saramago. In definitiva, vorrei dire che mi sono lasciato affascinare da tutti loro per ciò che mi hanno trasmesso, vero o falso che fosse il loro messaggio da me interpretato. 4­ La macchina che utilizza l’ha costr uita per sonalmente ? Cosa significa per lei quest’oggetto ? Ho costruito alcune “macchine” ma non ho nei loro confronti alcun rapporto feticistico, forse anche perché non sono oggetti che hanno richiesto un lavoro particolarmente abile. Ci sono alcuni fotografi che costruiscono oggetti di culto, come la Hal del trentino Paolo Aldi, ad esempio, che mette in vendita ad oltre 500 euro. Costruita in ciliegio, ostenta un design accattivante e varie possibilità realizzative (dorso polaroid, teleobiettivo, grandangolare, vari fori ecc.). Ma oggetti di culto sono anche quelli di riciclo come le lattine di tè e caffé dell’agrigentino Fabio Quadarella o dell’americana Julie
Schachter con i suoi portaombrelli stenopeici o di molti altri fotografi forse più interessanti come costruttori che come artisti. Personalmente, sono convinto che la “scoperta” stenopeica non dovrebbe dar luogo ad un rapporto morboso né con le “macchine” né tanto meno con le fotografie. Quando si arriva a lavorare con il foro stenopeico, quasi sempre si è già percorsa molta strada, si è fotografi esperti. Occorre perciò spogliarsi di tutta una serie di luoghi comuni, tra cui anche di quel feticismo delle macchine di cui tutti siamo stati contagiati, come una sorta di adorazione della macchina, delle sue parti costruttive, dalla bellezza delle linee, dai suoi erotici meccanismi. Se non si procede in questa direzione non possiamo capire la grande potenzialità creativa della fotografia stenopeica. Ecco perché non condivido coloro che riproducono questa adorazione anche con delle scatole di legno, con delle lattine da tè. E non condivido neppure coloro che si ostinano a proteggere le loro immagini come si trattasse del famoso vaso di fiori di Van Gogh. O che vogliono essere rassicurati, oltre ogni limite, in caso di mostre, di come esse saranno protette, curate, imballate. Per me una foto stenopeica è solo un foglio di carta impresso dalla luce, spesso con gli scotch appiccicati per tenerlo fermo nel suo contenitore, oppure pellicole che neppure si arrotolano tanto bene nel proprio alloggiamento, tanto che sovente si prendono lampi di luce, quando le togli dalla macchina e che inevitabilmente si riproducono nella copia positiva. Le foto stenopeiche non dovrebbero avere un grande valore di per sé, contano molto di più come esperienza estetica, come progetto creativo e culturale. Anzi, se non si espone anche l’oggetto con cui sono state realizzate, possono sembrare foto come le altre, né più né meno. E’ proprio l’esposizione coeva della “macchina” che le rende particolari, affascinanti, esplosive in tutti i loro significati estetico­artistici. L’uso di oggetti comuni (scatole, cilindri di varia foggia e forma), in questa sorta di protofotografia, come fosse un’avvincente introspezione nell’immagine “pura”, sposta la nostra normale percezione della fotografia, dilata i nostri orizzonti estetici, svia dal consueto punto di vista, ci introduce in un percorso visivo del tutto nuovo.
5­ Che valor e e significato dà e viene dato alle sue oper e ? Hanno un fine di r icer ca per sonale ? Sono legate ad un mer cato ? Le mie foto sono essenzialmente ricerca, e per me rappresentano un inaspettato allargamento del mio orizzonte creativo. Lo erano anche quando usavo le macchine tradizionali, lo sono ancora di più adesso. Non sono legate a nessun mercato, perché non c’é nessun mercato. Ci fosse venderei anch’io, forse. In Italia, poi, parlare di mercato è come parlare degli ufo. Si vende poco e solo le foto d’epoca perché hanno raggiunto ormai lo status di antiquariato, certo non quello di opera d’arte, che del resto mi parrebbe improprio, se teniamo conto della sua capacità di riprodursi praticamente all’infinito e quasi senza alcuna perdita della qualità iniziale. Abbiamo capito ed imparato che l’arte contemporanea si vende bene solo se sta bene nel proprio salotto, aldilà di cosa può rappresentare, specie da quando la sua riproducibilità tecnica ha imposto criteri interpretativi nuovi che hanno messo in crisi il mercato dell’arte dalla quale non è più uscito. Poi la gente vuole arredare la propria casa e qualcosa ancora si vende. All’estero il discorso è leggermente diverso, ma poi neppure troppo. Contano le mode, soprattutto, ma in America non hanno nient’altro da comprare se non arte moderna, e lì infatti si vende anche molta fotografia. 6­ A quali avvenimenti ar tistico­cultur ali ha par tecipato pr esentando i suoi lavor i ? Ha avuto r iscontr i positivi o negativi ? Da venticinque anni a questa parte ho esposto le mie foto in decine di mostre, personali e collettive, ricevendo buoni riscontri, anche se più di una volta mi sono trovato a discutere con chi mi riteneva o fuori moda, o troppo oscuro, o esageratamente pessimista, ecc. ecc. Con le foto stenopeiche ho preso parte ad alcune mostre internazionali in Italia e a Veracruz, in Messico. Saranno esposte anche a Brno, nella Repubblica Ceca a fine 2004 e a Porto, in Portogallo, nel 2005, in un importante centro di fotografia. I riscontri ricevuti sono stati piuttosto positivi.
7­ Conosce altr e per sone che seguono e pr aticano questo metodo ? Quale tipo di r appor to esiste tr a di voi ? (Avvengono scambi di or dine pr atico o cultur ale e quindi di infor mazione ?) Prima che me ne parlasse l’amico fotografo triestino Alessandro Mlach non conoscevo la rete della fotografia stenopeica, né i fotografi che la praticavano. Ho avuto modo, organizzando la mostra senese, di conoscere molti fotografi, operatori, centri e giornali che si dedicano al foro. Esiste un giornale internazionale in America, Pinhole Journal, che si pubblica da oltre trent’anni e che rappresenta la bibbia di ogni fotografo stenopeico. Il suo creatore è forse colui che maggiormente ha dato impulso a questo “genere” fotografico, Eric Renner. Questo giornale pubblica tutte le più significative ricerche nel mondo, dalle sue pagine sono passati tutti i più importanti artisti stenopeici. E merita qui ricordare quello che secondo me è il più geniale di tutti, anche se ha usato le sue ricerche sul foro per realizzare opere non inquadrabili soltanto come fotografie stenopeiche, Paolo Gioli, un sessant’enne che oggi vive molto appartato e molto deluso per gli scarsi riconoscimenti ricevuti in patria. Oltre al giornale, esistono alcune reti di interscambio finalizzate per lo più all’incontro tra i fotografi e alcune di esse organizzano il Pinhole Day che mi pare sia il 23 aprile di ogni anno, arrivando a pubblicare sul web centinaia di foto da tutto il mondo. In Italia, non esiste una vera e propria rete, ma i “pinholici” si conoscono più o meno tutti, anche se tra di loro raramente avvengono scambi culturali degni di questo nome. Ognuno sembra amare la propria solitudine, più o meno creativa. C’è però anche chi cerca qualche scambio, ma non è frequente. Personalmente, con il gruppo formatosi attorno alla mostra, ho rapporti abbastanza frequenti, specie con alcuni di loro: Alessandro Mlach (Trieste), Lorenzo Tommasoni (Trieste), Ilio Scali (Siena), Dominique Stroobant (Carrara), Fabio Quadarella (Agrigento), Maurizio Gioco (Verona), Teresa Cicero (Bergamo), Lucy Clink (Roma).
Un aspetto decisamente interessante è la partecipazione femminile alla tecnica del foro. Generalmente, si accredita alle donne uno scarso 30% come partecipazione alla fotografia tradizionale, raggiunge e forse supera il 50% se parliamo di quella stenopeica. Non ho avuto tempo e modo di approfondirne gli aspetti e le motivazioni, ma devo dire che sono rimasto molto piacevolmente stupito di incontrarne così tante e soprattutto così brave. Europee, giapponesi ed americane, sembrano essere non solo preparate ma dotate di un notevole appeal creativo. Alcuni nomi: l’indo­inglese Nilufar Izadi, la giapponese Mieko Tadokoro, le americane Peggy Ann Jones, Penny Harris, Jesseca Ferguson, Nancy Spencer, la finlandese Marja Pirila, la canadese Dianne Bos,l’olandese Bethany De Forest e l’italiana Teresa Cicero che ha esposto le più suggestive foto della mostra. 8­ Che impor tanza ha assunto nel suo per cor so for mativo la conoscenza e l’utilizzo di tale tecnica fotogr afica ? Imparare a guardare, capire come guardiamo e perché ci attirano certe cose piuttosto che altre rappresenta sicuramente un elemento importantissimo nel percorso formativo di ogni individuo. In primo luogo, per non essere uno spettatore passivo, merce nelle mani dei tele imbonitori e di pubblicitari senza troppi scrupoli. Ed in secondo luogo per prendere coscienza delle nostre scelte visive, di quanto siamo giocati dalle immagini nel corso della nostra giornata e nella nostra esperienza di vita. Imparare a fotografare è prima di tutto una presa di coscienza del mondo esterno, degli altri e di noi stessi. Per qualcuno questo percorso prosegue investendo la propria creatività utilizzando il mezzo fotografico. Personalmente, ma credo sia una esperienza simile a molti anche se non a tutti, nel corso degli anni ho visto mutare le mie scelte estetiche, gli oggetti fotografici, la riflessione attorno alle tecniche. 9­ Per ché questo “mondo” r imane così nascosto e semi­ sconosciuto ?
Per anni ho preso parte ad interminabili diatribe se la fotografia fosse arte o meno. Ben presto mi sono stancato, continuando per la mia strada, fregandomene della risposta. Che ancora oggi non sembra essere definitiva. La fotografia, da sempre, sconta un peccato originale: quello di essere prodotta da una macchina e di essere infinitamente riproducibile. Per dirla con Benjamin, non possiede la famosa “aura” che la colloca ipso facto nell’Olimpo degli dei. Oggi, molti artisti, se andiamo per mostre, espongono foto, peraltro neanche tanto ritoccate, semplici foto che in molti casi non sono neppure tanto belle, né “artistiche”, ma sono tali solo perché fatte da artisti. I fotografi, perciò, esclusi pochi fortunati ed irraggiungibili epigoni, non possono essere definiti tali, ma solo, appunto, fotografi, considerandoli tutt’al più bravi operatori visivi. Vi è anche da dire che lo sviluppo di massa delle macchine fotografiche ha favorito una conoscenza generica dell’immagine fotografica ed, inoltre, ha contribuito a nascondere il reale valore di molte opere fotografiche. In Italia molto più che all’estero, dove esistono importanti collezioni pubbliche e private ed i grandi musei acquistano regolarmente fotografie, questo fenomeno è assai più evidente. L’ingresso del digitale, a mio parere, ha provocato una frattura col passato ancora più decisiva: i fotografi, ora che possono adoperare con grande facilità e spregiudicatezza il computer, non saranno neppure più tali. In questo senso, la fotografia ha concluso il suo ciclo, sembra essere morta. Per gli stenopeici il discorso va ulteriormente precisato: oltre a scontare i limiti stessi della storia della fotografia, essi producono immagini attraverso una tecnica di nicchia. Ma attenzione! Si tratta di una nicchia che utilizza una finestra grande come il mondo, cioè Internet. Non si nascondono, anzi, ma non cercano di imporsi né di esportare un modello estetico. Lasciano che ci siano contaminazioni perché ciò rientra nella sperimentazione, ma non si definiscono fotografi tout court, anzi talvolta fanno mestieri che nulla hanno a che vedere con la fotografia, come ad esempio Dominique Stroobant che è scultore (anche se come fotografo è di gran lunga superiore). Non sono una setta, né espongono in gallerie specifiche, fuori dai circuiti internazionali, anzi cercano in tutti i modi di “infiltrare” lo stenopeico in molte realtà anche culturalmente lontane. E’ un mondo
che sa il proprio valore, ma a cui non interessa dominare il mondo. Infatti, nel mondo esiste una sola rivista e poche associazioni dichiaratamente stenopeiche. 10­ Come giudica il pr ogr esso fotogr afico e le nuove tecniche ad esso legate ? Inevitabile. E imprescindibile. Come tutte le novità, il progresso porta con sé il bene ed il male, spesso così stretti che non se ne vedono i contorni. Ma porta con sé anche una percezione della creazione nuova, diversa che rende necessariamente obsoleto il vecchio, anche se non lo cancella. Anzi, paradossalmente le nuove tecnologie sono fin troppo democratiche, inglobano procedimenti applicati ad altre tecniche che le hanno precedute. Basti pensare al processo tipografico, prima esclusivamente basato sulla concezione fotografica dell’impressione della lastra, oggi completamente computerizzato. E ingloba anche il foro stenopeico, tanto che alcuni fotografi realizzano foto pinholiche che poi digitalizzano e che espongono, senza passare per la stampa fotografica sotto l’ingranditore e i bagni dei rivelatori. Ma questo progresso porta con sé inevitabilmente anche il declino industriale dei vecchi supporti, rendendo di fatto sempre più difficile produrre fotografie tradizionali. I rullini, le carte, i reagenti chimici cominciano a scarseggiare, i negozi fotografici hanno ormai abbracciato il digitale, ripulendo gli scaffali dei vecchi materiali. Ormai, le pellicole sono divenute un prodotto di nicchia, di un gruppo di persone sempre più sparute. Agguerrite sì, ma sempre meno in grado di orientare e condizionare il mercato. 11­ Come si sente nei confr onti del mondo della fotogr afia “moder na” ? Come dicevo al punto precedente, certamente mi sento facilitato in molte operazioni. Adesso anch’io non provino più i miei negativi o le dia, le passo direttamente allo scanner, e porto con me la digitale se devo fotografare eventi, situazioni da ricordare ecc. Però, non mi stimola più ad uscire, con la macchina al collo, per cercare immagini come un tempo. La macchina digitale è in sé poliedrica, bella,
duttile, ma non è più quel prolungamento dell’occhio di cui parlavano i grandi fotografi di una volta: uno imparava soprattutto a pensare la realtà attraverso le proprietà tecniche della macchina e del suo processo tecnico: i controluce, la scala di grigi o i contrasti che sapevi di poter ottenere, l’escursione focale, il mosso, la profondità di campo. Un fotografo vede la foto prima di farla, ma è vero anche il contrario, che certe foto si vedono solo quando mettiamo il fotogramma sotto la lampada dell’ingranditore perché la stampa, quasi sempre, offre al fotografo una gamma di possibilità (dalle maschere, ai contrasti, alla qualità dei bagni di sviluppo e delle carte fotografiche) incredibili, ma inesistenti, se pensiamo solo alla fase di ripresa. Il fotografo che possiede questo bagaglio tecnico e culturale è allora in grado quando scatta di sapere che cosa uscirà da quello scatto, una volta che dalla pellicola giungerà a destinazione sulla carta, dopo aver percorso tutto il proprio processo tecnico e creativo. Cioè egli pensa e guarda secondo questo bagaglio. Sulla perfezione del digitale non si discute, ma escono foto “normali”, non ci sono sbavature, non c’è intervento del fotografo, se non quello di scegliere l’inquadratura. Una volta a casa si passa la foto sotto Photoshop, si tolgono dettagli non interessanti, si ricolora o si decolora, si riquadra l’immagine. Eppure, tutto ciò non è l’equivalente della camera oscura. L’immagine è quasi sempre troppo perfetta, uguale a tutte le altre, fredda, oserei dire perfino inutile. Il che non significa che non sia possibile realizzare buone foto. Il sistema digitale non è però il massimo della creatività, lo vedo bene per professionisti della moda, della foto industriale, dei matrimoni ecc. Oppure come ausiliario della fotografia “a bassa tecnologia”. 12­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la Fotogr afia ? Secondo me, più nulla. In quanto tale ha perso quell’aura artistica che la poneva, anche se non senza problemi, tra le discipline artistiche, si è democratizzata a tal punto da non avere più neppure la necessità di possedere macchine specifiche. La si trova infatti anche sui telefonini (che, date le dimensioni estremamente ridotte, deve usare per forza un foro stenopeico!) e ben presto sarà installata anche
su molti accessori della vita quotidiana. La fotografia esiste ancora perché è necessario pubblicare foto su riviste e giornali, ma non possiede più nessun altra qualifica che la ponga ad un livello di creazione. Qualcuno ha anche pensato, per nobilitarla, di organizzare mostre di foto fatte con i telefonini. Mah! Dopo la prima, tutte le altre non avranno più il minimo interesse. Comunque, la fotografia è talmente diffusa che nessuno sa più come funziona, così come non sappiamo come funzionano molte delle cose che usiamo, né tanto meno quali siano i principi fondamentali di tale funzionamento. Per divertirmi, chiedo spesso se qualcuno sa dirmi come e quando è nato il fax. Dinanzi a tutto questo sfacelo, la risposta a cui alcuni guardano con molto interesse è la fotografia stenopeica, cioè l’assenza assoluta di tecnologia, la creazione primigenia, il rifiuto (anche se non di tutti) dei moderni mezzi digitali. Personalmente concordo in linea teorica, ma non possiamo non fare i conti con il nuovo che avanza inesorabile e che mostra aspetti variegati ed interessanti. Del resto, la tecnologia digitale ed informatica sta modificando molte delle precedenti discipline artistiche e ormai anche l’arte contemporanea procede ad una profonda revisione delle proprie concezioni, anche se ormai da tempo sembra essere più importante il procedimento creativo, l’atto estetizzante, che non l’opera in sé, che sovente ha perso le sue caratteristiche di oggetto d’arte. 13­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la fotogr afia a For o Stenopeico e cosa invece r appr esentava nel passato ? In passato non poteva rappresentare nulla, nel senso che quando esisteva la “camera obscura” (anche se il fenomeno era conosciuto fin dall’antichità, le prime camere furono costruite nel tardo medioevo) non esistevano i rivelatori fotografici, infatti essa veniva usata dai pittori (anzi probabilmente inventata per la sua concezione prospettica) per ritrarre la prospettiva che poi disegnavano in un foglio posto su un vetro nel quale si formava l’immagine. Ben presto ci si è resi conto che una lente al posto del foro migliorava la qualità complessiva dell’immagine. Quando all’inizio dell’Ottocento si è arrivati alla definizione dei primi rivelatori, la camera oscura aveva
già la lente e anche le prime foto (se si escludono forse i primi esperimenti di Niepce) non erano realizzate solo con la camera oscura, ma con una camera dotate di lente. In seguito, direi fino ad un’epoca recente, il progresso dei mezzi tecnici ha logicamente orientato la sperimentazione. Il fenomeno della fotografia stenopeica, per quanto conosciuto e saltuariamente utilizzato qua e là, nasce alla fine degli anni ’60 in America con Renner. Ci troviamo perciò dinanzi ad un fenomeno “nuovo”: è infatti errato parlare di “rifare” fotografie stenopeiche. Calabrese, nell’introduzione al catalogo della mostra “Senza Obiettivo” dice che, guardando le foto, si ha “una impressione avanguardistica”, anzi di trovarci a risalire tutto l’arco dei movimenti artistici del ‘900, dal surrealismo alla pop art, fino all’arte cinetica. Conclude sostenendo che conta molto di più l’esperienza estetica piuttosto che il risultato finale in sé, cioè conta più l’aver utilizzato questa tecnica piuttosto che la qualità delle foto che ne sono uscite. Il che forse è vero, ma tutto ciò dimostra quanto sia innovativo l’impatto con il mondo stenopeico e che per nulla si possa parlare di nostalgia del mondo che fu, di un ritorno a qualcosa che non c’è mai stato. Credo che l’unica possibilità di sopravvivenza della fotografia (almeno per un altro po di tempo), intesa come operazione artistica, sia nella salvaguardia della sua manualità, nei suoi procedimenti di base e nella capacità di re­ inventare immagini a bassa tecnologia. 14­ Come si potr ebbe definir e colui che oggi pr atica questa tecnica fotogr afica ? Lei dà una definizione par ticolar e a se stesso ? Non saprei. Ogni definizione mi pare molto limitativa. Fotografo è una parola fin troppo abusata; fotografo stenopeico abbastanza orribile e necessita di lunghe spiegazioni; fotografo pinhole, come scrive Amodeo nell’introduzione al catalogo della mostra senese di due anni fa, è ancora più orribile perché usa un termine che non ci appartiene e che quasi nessuno conosce. Semplicemente artista, forse, ma forse non lo siamo. Credo che non restino molte possibilità oltre a quella di non definirmi affatto. In un’epoca in cui si deve necessariamente etichettare tutto, per catalogare tutto, appartenere a
qualcosa di abbastanza indefinito forse è in sé un’altra divertente novità. 15­ Quali sono le motivazioni che la por tano a continuar e questo per cor so ? Quelle della ricerca. Innanzitutto. Anche di me stesso. Campagna. Cilindro con tre fori. Esposizione sequenziale. Formato 30x40 carta negativa in pura cellulosa.
Campagna. Cilindro con tre fori. Esposizione sequenziale. Formato 30x40 carta negativa politenata. Ombrelloni. Cilindro con un solo foro. Formato 30x40 ca. carta negativa politenata M onteriggioni. Cilindro con tre fori. Esposizione contemporanea. Formato 30x40 carta negativa in pura cellulosa.
NOME : Lorenzo COGNOME: Tommasoni DATA di NASCITA: 15 Aprile 1964 LUOGO di PROVENIENZA: Trieste, Italy LAVORO ATTUALE: Dipendente pubblico 1­ Quando, come e per ché sono nati inter esse, passione e r icer ca nei confr onti della tecnica a F oro Stenopeico*? In momenti ben diversi e distanti: sentii parlare per caso della possibilità di ottenere delle foto con un panino tagliato a metà quando avevo circa 13 anni (1977 interesse), ma soltanto 20 anni dopo ebbi il secondo contatto (1998 passione) e da li’ all’ossessione il passo fu breve; ora praticamente non fotografo più con una macchina fotografica “ tradizionale” , se non per riportare in modo “ oggettivo” (foto di figli, per lavoro, ecc.): se faccio ricerca o meno, dovrebbero dirlo gli altri. *foro … : dovrebbe essere una dizione ultronea essendo già compresa la parola foro nello stenopeico (stenos opaios: dotato di piccolo foro, o con piccolo foro), io utilizzo di solito il “ piccolo foro” o “ pinhole” , termine inglese più accattivante. 2­ Qual è la Sua for mazione per sonale? In senso fotografico: mi sono accostato alla fotografia in età adulta (ero già sposato e con due figlie) ho cercato tramite corsi*, lettura, internet ecc. di crescere in questo mio interesse. Quando il fotografo Piccolo Sillani D. mi ha spiegato il funzionamento del piccolo foro, mi sono dedicato progressivamente a questo specifico aspetto della fotografia in modo sempre più esclusivo: sono iscritto al Circolo Fotografico Fincantieri­Wartsila di Trieste. * Il primo corso l’ho fatto con Franco Fontana a Trieste, poi MarioPiccolo Sillani a Trieste, Gianni Berengo Gardin a Spilimbergo (PN), Roberto Salbitani a Tredozio, altri.
Il mio percorso parte da quando qualcuno (chi?) mi parlò, vagamente, della possibilità di ottenere una foto con un panino tagliato a metà. Questa informazione probabilmente errata, farà sì che io rimanessi folgorato da una lezione sul pinhole che il fotografo Sillani tenne circa 25 anni dopo, al contrario del resto degli astanti che in effetti rimasero abbastanza indifferenti alla stessa. Fui ammirato dall’essenzialità, dal design e dalla sintesi del pinhole; inizio così una ricerca sullo stenopeico­pinhole, apprezzando dapprima le camere di cartone del sig. Olpe Peter di Basilea (CH), ed iniziando a progettare e costruire le mie “macchine*” in seguito. Fra queste: la “macchina” a due rulli che mi ha permesso di ottenere la foto di piazza Unità d’Italia a Trieste (prima foto al mondo “scattata” per metà in bianco e nero e per metà a colori), la macchina di Lego ® e, ultima in ordine di tempo, la macchina di ghiaccio. * se la definizione di “ macchina” è quella di un qualcosa che svolge un dato lavoro, le camere­pinhole non sono in effetti definibili macchine. 3­ Fa r ifer imento a par ticolar i ar tisti o scr ittor i? Ha par ametr i estetico­ cultur ali legati ad un cer to tipo di avanguar die? A livello fotografico mi piacciono molti artisti (direi piuttosto tradizionali), in particolare ricordo i lavori di E. Ciol, G B Gardin, J Koudelka, diversi fra loro e diversi dal mio lavoro e potrei ricordarne altri, anzi , direi che di ogni fotografo mi piace almeno qualche foto. Consulto varie riviste e pubblicazioni e le gallerie e mostre d’arte quando posso, ma credo che sulle mie scelte possano influire sia questi che altri stimoli visivi; cerco di leggere poesie e libri (Il Piccolo principe, Lezioni Americane di J L Borges), leggo o discuto di argomenti attinenti l’immagine con persone (le più varie), ne ascolto altre che vengono ai miei corsi. Inevitabilmente apprezzo il lavoro di Paolo Gioli, E. Renner ed altri con il piccolo foro. Non credo di essere legato ad alcuna avanguardia; mi ritengo un isolato, perfino un felice ignorante: credo che non sempre la
conoscenza (e l’influenza) dell’esperienza di un altro mi porti piu’ avanti sul mio cammino. 4­ La “ macchina” che utilizza l’ha costr uita per sonalmente? Cosa significa per Lei quest’oggetto? Utilizzo più di una “macchina”: ne avrò una quindicina, tutte autocostruite, per lo più in cartone leggero, per lo più ispirate ai modelli di Peter Olpe (CH), acquistati per corrispondenza alcuni anni fa; inoltre ne ho una di Lego, una in legno ed una d’acqua (ghiacciata…). A questi oggetti sono in qualche modo affezionato (ad alcuni più che ad altri) con quel che ne consegue. Non li ritengo comunque al centro del processo fotografico più di quanto sia la persona che li costruisce e li usa (io di solito). 5­ Che valor e e significato dà e viene dato alle Sue oper e? Hanno un fine di r icer ca per sonale? Sono legate ad un mer cato? Alle mie opere non viene attribuito alcun valore venale, ciononostante per me significano molto: hanno contribuito a calmierare alcune tensioni mie personali, e mi hanno permesso di esprimere una parte altrimenti inespressa ed intima di me stesso. Hanno indubbiamente un fine di ricerca personale cui tengo e cui cerco di essere fedele al di là ed oltre le altrui valutazioni. 6­ A quali avvenimenti ar tistico­cultur ali ha par tecipato pr esentando i suoi lavor i? Ha avuto r iscontr i positivi o negativi? Ho esposto in diverse mostre anche internazionali, ho un mio sito dedicato alla fotografia stenopeica www.lorenzotommasoni.it , ma ritengo di essere tuttora alla ricerca di una collocazione artistica o fotografica.
­ Nel 1999 partecipo ad una collettiva d’arte contemporanea nell'ambito dell'iniziativa "Avostanis" organizzata dalla Neoassociazioneculturale di Udine, nei pressi di Codroipo (UD) a Villacaccia di Lestizza; ­ Nel 2001 partecipo ad una mostra collettiva organizzata a Rovigno (HR) dal Photo Art Gallery Batana; ­ Partecipo ad un incontro di giovani artisti regionali organizzato dalla Neoassociazioneculturale con Luciano Fabro presso Villacaccia di Lestizza (UD); ­ Tengo la mia prima mostra personale presso la libreria Indertat di Trieste nel maggio 2001 (solo con immagini stenopeiche), e pubblico il sito sul web (“Un’altra fotografia”); ­ Ad ottobre 2002 partecipo alla mostra internazionale sul pinhole “Senza obiettivo” al Santa Maria della Scala, a Siena nell’ambito di Visionaria2002; ­ A febbraio 2003 espongo una mostra personale di fotografie tradizionali “Sono fra noi” al Circolo fotografico Fincantieri­ Wärtsilä di Trieste, di cui sono socio; ­ Fra Marzo ed Aprile tengo un corso sulla fotografia stenopeica alla Scuola del Vedere di Trieste; ­ Ad Aprile 2003 partecipo ad una collettiva sul pinhole a Savignano sul Rubicone (FC) “Lo sguardo stenopeico”; ­ A Settembre organizzo e partecipo alla mostra collettiva “L’emergenza di un’altra fotografia” presso la libreria Knulp di Trieste; ­ A Novembre partecipo alla mostra “Senza obiettivo” organizzata dalla Temple University, sede di Roma; ­ Fra novembre e dicembre partecipo alla preparazione del libro “ La fotografia Stenopeica” ed. Agora 35 di V. Marzocchini (et altri…). ­ Fra febbraio e marzo 2004 tengo il secondo corso di fotografia Pinhole alla Scuola del Vedere;
­ A marzo 2004 tengo alcuni incontri di presentazione della fotografia pinhole agli studenti del Dams di Trieste. Attraverso il sito e le manifestazioni cui partecipo, cerco di condividere l’interesse per questa particolarissima forma di fotografia (direi di nicchia). 7­ Conosce altr e per sone che seguono e pr aticano questo metodo? Quale tipo di r appor to esiste tr a di voi? (Avvengono scambi di or dine pr atico o cultur ale e quindi di infor mazione?) Sì, parecchie: grazie alle mostre e ad Internet è abbastanza facile e comodo conoscere e contattare altri ossessionati in giro per il mondo. I rapporti sono i più vari, secondo me in generale e’ un ambiente molto aperto al confronto ed allo scambio. Vi sono comunque i gelosi, i maestri ed i mediocri, i presuntuosi ecc. , quindi direi che dipende… 8­ Che impor tanza ha assunto nel Suo per cor so for mativo la conoscenza e l’utilizzo di tale tecnica fotogr afica? A me è servita e molto: mi piacerebbe e cerco di renderla fruibile ad altri. 9­ Per ché questo “mondo” r imane così nascosto e semi­ sconosciuto? In Italia siamo legati a fenomeni di tipo consumistico (i negozi “ di fotografia” sono negozi di materiali fotografici, le riviste specializzate parlano della novità tecnica, del dato obiettivo o della nuova digitale: manca la cultura verso l’immagine). Si pensa di poter colmare la distanza fra la fotografia che si voleva scattare e l’immagine che si è ottenuta acquisendo un qualcosa di esterno a noi comprandolo, mentre si potrebbe coltivare un qualcosa che abbiamo dentro magari con lo studio, il confronto ecc.
All’estero so che la tecnica pinhole e’ più usata in fase didattica, per poi essere accantonata a favore di fenomeni di cui sopra; ma se si consulta il sito del pinhole day, salta all’occhio che il numero di pagine di autori nord americani è superiore al numero di autori italiani. Comunque, se le scelte sono suggerite dal mercato, chi ha interesse a vendere macchine, obiettivi ed accessori ha una posizione come minimo di influenza su molte scelte. 10­ Come giudica il pr ogr esso fotogr afico e le nuove tecniche ad esso legate? Non giudico e non vorrei commentare, mi sembra che se si è presa una data strada, ci sarà stato un motivo. Mi duole che – ad esempio sui giornali – la qualità dell’immagine non sia più un fattore importante: basta un’ immagine veloce che “ copra” il dato avvenimento, e con il telefono cellulare siamo tutti fotoreporter… Credo che al di là del progresso tecnico, un 5­10 % di interesse potrebbe essere dedicato ad altre forme espressive, fra cui anche “ l’altra fotografia ” . 11­ Come si sente nei confr onti del mondo della fotogr afia “moder na”? Io paragono la fotografia moderna ad un jet supersonico ed il pinhole ad un ultraleggero costruito in garage: uno in certi casi è necessario, l’altro da’ soddisfazione… 12­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la Fotogr afia? Posso esprimere al più un opinione: le immagini a corredo di pubblicità ci bersagliano in quantità attraverso riviste, cartelloni ecc., ma è come ascoltare la radio mentre si guida o si fa qualcos’altro: si guarda senza davvero vedere. La fotografia si dovrebbe guardare volendola vedere, anche se oramai questo avviene raramente: sarebbe come mettersi le cuffie ed ascoltare musica classica.
13­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la fotogr afia a For o Stenopeico e cosa invece r appr esentava nel passato? Credo non rappresenti ne abbia mai rappresentato molto. 14­ Come si potr ebbe definir e colui che oggi pr atica questa tecnica fotogr afica? Lei dà una definizione par ticolar e a Se stesso? Preferirei evitare, grazie. 15­ Quali sono le motivazioni che La por tano a continuar e questo per cor so? I soldi, la fama, il successo… Chiesa.
P iazza Unità. Macchina a due rulli. Prima fotografia stenopeica al mondo metà a colori, metà in b/n. P ioggia unita.
NOME: Pierluigi COGNOME: Manzone DATA di NASCITA: 10 Luglio 1959 LUOGO di PROVENIENZA: Cuneo LAVORO ATTUALE: Dipendente Azienda Ospedaliera 1­ Quando, come e per ché sono nati inter esse, passione e r icer ca neiconfr onti della tecnica a For o Stenopeico? Premettiamo una cosa: io sono un “dilettante”, anche se la parola mi disturba un po’. Quindi libero da vincoli contrattuali e da imposizioni lavorative…questo è importante per chi produce fotografie per il piacere di farle, come dire… fuori dagli schemi. Se ricordo bene mi sono avvicinato per la prima volta alla fotografia stenopeica nel 1985. Era un periodo ove sperimentavo un po’ di tutto, pochi anni prima (1982­83) avevo frequentato per un po’ Gianna Ciao Pointer, studiando il suo approccio alla fotografia, ed ero rimasto entusiasta di quella filosofia anche se poi il mio lavoro è diventato diverso, meno “ empirico” ….forse è una mia deformazione professionale; io provengo da una scuola tecnica…. La fotografia stenopeica mi piacque perché più permissiva e contemporaneamente molto più severa di quella “ con lenti” . Più permissiva perché la percentuale lasciata al caso, allo strumento vero e proprio, nella costruzione dell’immagine è assai più alta; si parla di taglio della scena ma anche degli effetti ottenuti dalla variazione della prospettiva, profondità di campo e movimento (dovuto al tempo di possa assai lungo), tipici della fotografia stenopeica. Più severa perché se si vuol ottenere una certa ripetitibilità bisogna applicarsi molto di più, con una visione più scientifica rispetto alla fotografia che normalmente conosciamo. 2­ Qual è la Sua for mazione per sonale? Ho fatto l’ I.T.I.S. (chimica industriale), poi mi sono specializzato in chimica ad indirizzo sanitario con un corso para­universitario (oggi Laurea Breve).
Questo per vari motivi è diventato il mio lavoro. Ho studiato fotografia con Francesco Bontadi, un fotografo industriale specializzato in fotografia scientifica e con Michele Pellegrino, un bravo fotografo di paesaggio, amico di Schwarz e fanatico del bianco nero. Come una meteora li in mezzo è passata Gianna Ciao Pointer che ha spostato non poco il mio equilibrio. Se avrà del tempo legga: Non date ai cesari. La temporalità e il ritratto fotografico ­ Traccedizioni 1990 3­ Fa r ifer imento a par ticolar i ar tisti o scr ittor i? Ha par ametr i estetico­cultur ali legati ad un cer to tipo di avanguar die? Si e no. Non si può fare a meno di essere suggestionati da quanto ci sta attorno, da quello che vediamo o leggiamo. Che ci piaccia o no, è così. Se ami la fotografia, vedi e studi gli autori storici, ma anche i contemporanei, e qualche cosa di loro resta in te inesorabilmente.. qualcuno ti lascia più di altri, ma tutto incide. Stesso discorso vale per tutto il resto. Poesie, romanzi…tutto lascia un segno. Le offro un paio di nomi tra gli scrittori che preferisco: C. Potok, G. Marquez, T. Terzani, ma leggo volentieri Oz, Hesse, Eco, Sartre e mi piacciono i lavori di Canetti, Singer…. Come vede un po’ di tutto, che si contraddice o armonizza, dipende. Ascolto il Jazz ma adoro il Klezmer. Tra gli artisti amo Chagall, Mirò, Max Ernst ma mi piacciono anche O’Keeffe, de Stael, Van Gogh, Otto Dix, Ligabue. Una bella miscellanea per nulla lineare. I fotografi sono: Weston, Salgado, Sieff, Sally Mann, I. Cunningham, Sarah Moon…ma amo anche le foto di Reichenbach, Sander, Mapplethorpe, Flor Garduno, Penn, L. Somlòsi, Saudek e perché no Vittorio Sella. Tra i fotografi che scrivono e non fotografano ho letto volentieri Freund, Naomi Rosenblum, Ando Gilardi…Lyons…Scimè. Come vede le influenze volute o trovate sono molte. Alcune negano altre, ma forse è proprio questo che stimola. L’avanguardia (credo lei parli di quella contemporanea) e i suoi esponenti mi mettono un po’ in crisi, sovente non capisco cosa dicono. Ci sono delle cose belle, è vero, ma mediamente trovo
questo genere di immagini vuote. Certamente è colpa mia, almeno spero… Stiamo parlando di chi utilizza vari mezzi per esprimere il suo pensiero, giusto? video­digitale­pittorico­fotografico ecc. Io sono ancora legato alla fotografia chimica tradizionale, tipica del ‘900. Come per la pittura, la scultura…. Non rifiuto nulla per principio, ma mi permetto di essere diffidente. 4­ La macchina che utilizza l’ha costr uita per sonalmente? Cosa significa per Lei quest’oggetto? Si. In realtà lo considero uno strumento di lavoro, lo uso, lo abbandono quando non mi serve più. Il confine tra utile e non utile sta nel prodotto finito cercato. Se non mi basta quanto ho per ottenere quello che desidero lo cambio….Nessuno scrupolo. Questo non vale per il resto delle “cose” che compongono la mia vita, ma per gli strumenti fotografici si. 5­ Che valor e e significato dà e viene dato alle Sue oper e? Giudicare le proprie opere è difficile, in genere mi piacciono di più quelle degli altri. Dò ai miei lavori un valore sentimentale, intimo, perché fatti da me, ma devono essere comprensibili anche agli altri, almeno quelli che decido di esporre. Quindi li considero un mezzo di comunicazione…. Non so cosa pensano gli altri dei miei lavori, in realtà non mi interessa nulla. Chi mi capisce non ha bisogno di raccontarmi le sue sensazioni, chi non mi capisce…be non si comunica. Non vuol dire che non lo si potrà fare ma, ora no. Hanno un fine di r icer ca per sonale? Si. Sono legate ad un mer cato? No. 6­ A quali avvenimenti ar tistico­cultur ali ha par tecipato pr esentando i suoi lavor i? Mi permetta una cosa: chi lavora in ambienti completamente diversi da quelli della fotografia non sempre ha tempo e soldi per
promuovere le sue “cose”, non che non lo desideri ma ci sono delle priorità da seguire. Ho partecipato per un po’ di anni agli incontri di fotografia organizzati da Spazio Fine & F.I.F. a Torino. Ho al mio attivo un po’ di mostre locali. V. Marzocchini mi ha inserito nel suo libro sulla fotografia stenopeica (LA FOTOGRAFIA STENOPEICA – AGORA35 , 2004). Ho un po’ di immagini che vagano per internet, assieme a qualche altro miliardo di foto di altri. Ha avuto r iscontr i positivi o negativi? Entrambi 7­ Conosce altr e per sone che seguono e pr aticano questo metodo? Si Quale tipo di r appor to esiste tr a di voi? Corretti, amichevoli, formali, detestabili…dipende. Avvengono scambi di or dine pr atico o cultur ale e quindi di infor mazione? Si. Certo, credo che i segreti non siano utili per nessuno. Se provo o scopro qualche cosa di positivo/utile lo dico agli altri senza riserve. Siamo persone civili e come tali dovremmo comportarci, non solo in fotografia stenopeica sia chiaro. 8­ Che impor tanza ha assunto nel Suo per cor so for mativo la conoscenza e l’utilizzo di tale tecnica fotogr afica? Non saprei che dire, le rispondo così: un bravo scrittore non trae vantaggio dall’uso del computer o della macchina da scrivere; che scriva a matita su un foglio di carta o con microsoft word su un CD se ha qualche cosa da dire lo dice. 9­ Per ché questo “mondo” r imane così nascosto e semi­ sconosciuto? Mode? 10­ Come giudica il pr ogr esso fotogr afico e le nuove tecniche ad esso legate?
Ottime, detestabili. Utilissime, inutili al 100%. Mi permetta di rispondere con una domanda. Che cosa pensava la società dell’800 della fotografia chimica? Non cambia nulla, c’è chi urla al miracolo e chi nega. C’è chi vede il progresso come la salvezza dell’anima e chi diventa Amish (credo si scriva così ma non me ne voglia se è sbagliato). Il tempo darà ragione a chi merita la ragione. Noi dobbiamo fare e produrre cose belle ed interessanti senza preoccuparci di cosa usiamo per farle. Abbia la cortesia di non prendere questa frase come un assoluto; limiti nella libertà dell’uso delle risorse ci devono essere ma, riferendomi alla sua domanda mi pare di aver risposto onestamente. 11­ Come si sente nei confr onti del mondo della fotogr afia “moder na”? Spero di interpretare bene il termine “moderno” considerandolo “contemporaneo” e non come “moderno” (metà del ‘900). Perdoni l’arroganza ma mi serve per dire che mi sento vicino a buona parte della fotografia del ‘900, un po’ meno a quella attuale. Perché di immagini, oggi, ne vediamo troppe e spesso insignificanti, mistificanti, inutili… e perché sempre più queste immagini hanno bisogno di un commento prolisso per essere capite. È vero, non è solo così, e forse ci poniamo troppi problemi (ho amato molto il libro di G.C. Giacobbe sull’argomento)” su queste immagini. In realtà io mi sento in equilibrio con la fotografia di oggi, credo sia arroganza dire che ne faccio parte ma in realtà è così. Anche lei ne fa parte come me, altrimenti non saremmo qui a discuterne. 12­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la Fotogr afia? D’istinto mi viene da dire una Piaga, ma poi tutte le letture fatte in merito mi costringono a dire che è stata la molla che ha fatto cambiare molto il nostro modo d’essere. Di rapportarci con la realtà. Nel dare fiducia o nel valutare fatti e situazioni…. vedasi Hine, Mapplethorpe, Capa, Smith, Toscani, Salgado…tra i produttori di
“foto statiche” e il cinema per le “foto in movimento”. Non sempre nel bene, la fotografia ha creato problemi seri, ha danneggiato molto la mente dell’uomo ma ha anche aperto strade impercorribili prima. Se presa con le dovute cautele la fotografia oggi è una grande cosa, se utilizzata come normalmente ce la propinano è una piaga. Noi stiamo comunque parlando della società, di una piccola parte del mondo. Non so cosa rappresenti la fotografia per un indios del Mato Brasiliano o per un nomade della Steppa Mongola. Forse proprio niente. 13­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la fotogr afia a For o Stenopeico e cosa invece r appr esentava nel passato? Credo niente, ne prima ne dopo. Penso che questa mia risposta scatenerebbe una reazione direi violenta in Signorini e Vaccari ma sinceramente non saprei cosa altro dire. 14­ Come si potr ebbe definir e colui che oggi pr atica questa tecnica fotogr afica? Proviamo a chiamarlo fotografo? Che ne dice? Lei dà una definizione par ticolar e a se stesso? No 15­ Quali sono le motivazioni che La por tano a continuar e questo per cor so? Non credo che la fotografia stenopeica sia un percorso a se. Io faccio con una folding pinhole camera 5x7 inch da me costruita, le stesse cose (perdoni il mio Ego che si sta gonfiando) che Weston faceva con la sua 8x10, che Brihat faceva con una banco ottico 5x7 inch, che non mi ricordo più chi faceva con una Toy Camera, che Hockney faceva incollando tante stampe 10x15 cm, che Man Ray faceva posando oggetti su un foglio di carta sensibile …. Sally Mann usa una fotocamera 8x10 inch con un obiettivo che non sempre copre, per creare le sue stupende foto. Tutto quello che viene chiamato difetto, dagli altri, lì diventa parte integrante
dell’immagine. Eppure nessuno le ha mai chiesto quali sono le motivazioni che la portano a continuare questo percorso, le chiedono le motivazioni che la portano alla scelta dei soggetti, che è diverso. Mi piace la foto stenopeica morbida, miope, permissiva perché li si gioca solo con la capacità di comporre l’immagine, non c’è il dettaglio che incuriosisce o aiuta. C’è un tempo lungo, eterno per il mondo d’oggi, che costringe a rivalutare l’immagine e l’atto del fare la fotografia…ma stiamo di nuovo parlando troppo. Credo che la fotografia stia diventando la forma d’arte/artigianato più logorroica che conosca. . Kiw i anamorfico.
NOME: Alessandra COGNOME: Capodacqua DATA di NASCITA: 27 Ottobre 1956 LUOGO di PROVENIENZA: Nata a Napoli, vivo a Firenze dal 1980 LAVORO ATTUALE: Fotografa ed insegnante di fotografia 1­ Quando, come e per ché sono nati inter esse, passione e r icer ca nei confr onti della tecnica a For o Stenopeico? Ho iniziato a fotografare con il foro stenopeico per caso. Nel 1992 sono stata sottoposta a due interventi agli occhi per levare delle cisti; nel periodo precedente a queste due operazioni e per un bel po’ di mesi in seguito, la mia vista non è stata molto buona. Mi sono quindi trovata di fronte a un dilemma: come affrontare un calo della vista quando gli occhi sono lo strumento del proprio lavoro? Per diverso tempo è stato per me molto difficile affrontare la questione. Trovarmi davanti alle mie fotografie sfocate perché non ero in grado di mettere a fuoco è stata una profonda frustrazione, e ho di conseguenza vissuto un periodo di depressione artistica e produttiva. Un giorno mi è capitato fra le mani un catalogo di una mostra di artisti che usavano il foro stenopeico. Era solo un piccolo catalogo, ma molto ben fatto, con una breve storia del foro stenopeico, cenni sulla tecnica e fotografie di artisti americani e delle loro strane macchine fotografiche. A quel punto mi sono detta che tanto valeva provare. Il foro stenopeico per lo meno mi offriva la possibilità di fotografare senza dover mettere a fuoco, e in più mi permetteva di fotografare senza neanche guardare nel mirino (che per l’appunto non esiste in tali macchine fotografiche!). Ormai sono passati 12 anni e non ho mai abbandonato questa tecnica. Certe volte penso che mi abbia in qualche modo salvato la vita (fotografica e non solo). 2­ Qual è la Sua for mazione per sonale? Mi sono laureata in lingue e letterature straniere moderne all’Istituto Universitario Orientale di Napoli, dove sono nata. Nel 1980 mi sono
trasferita a Firenze dove ho frequentato dei corsi di fotografia e ho poi studiato da autodidatta. Ho aperto uno studio con altri fotografi e abbiamo lavorato nel campo del teatro e della pubblicità. Parallelamente abbiamo cominciato a insegnare fotografia in corsi brevi per un’associazione studentesca. 3­ Fa r ifer imento a par ticolar i ar tisti o scr ittor i? Ha par ametr i estetico­cultur ali legati ad un cer to tipo di avanguar die? Amo Turner e le sue esplosioni di luce. I fiamminghi. Ho imparato tantissimo da fotografi come Sudek, Keith Carter, Max Pam, Elina Brotherus. Leggo di tutto, privilegiando la letteratura contemporanea americana e inglese, i giovani scrittori italiani, la letteratura classica e moderna russa e francese; amo gli haiku e le poesie di Emily Dickinson, le Visioni di William Blake. Potrei parlare per ore… 4­ La macchina che utilizza l’ha costr uita per sonalmente? Cosa significa per Lei quest’oggetto? Costruisco le mie macchine ma mi avvalgo anche di macchine costruite da altri (in particolare all’estero). 5­ Che valor e e significato dà e viene dato alle Sue oper e? Hanno un fine di r icer ca per sonale? Sono legate ad un mer cato? In genere lavoro seguendo il mio istinto e la mia ricerca personale. Non seguo le leggi del mercato dell’arte, ma il mio lavoro è richiesto per mostre in italia e all’estero. 6­ A quali avvenimenti ar tistico­cultur ali ha par tecipato pr esentando i suoi lavor i? Ha avuto r iscontr i positivi o negativi? A tal proposito allego un curriculum aggiornato. Mi considero fortunata, perché in genere ho ricevuto commenti positivi e lusinghieri al mio lavoro.
7­ Conosce altr e per sone che seguono e pr aticano questo metodo? Quale tipo di r appor to esiste tr a di voi? (Avvengono scambi di or dine pr atico o cultur ale e quindi di infor mazione?) Ho un buon scambio con altri artisti che praticano il foro stenopeico, sia in italia che all’estero. 8­ Che impor tanza ha assunto nel Suo per cor so for mativo la conoscenza e l’utilizzo di tale tecnica fotogr afica? Credo di aver risposto nella domanda 1). 9­ Per ché questo “mondo” r imane così nascosto e semi­ sconosciuto? A mio parere non è poi così vero che sia nascosto e semi­ sconosciuto. Sono piuttosto dell’opinione che sia riduttivo parlare di fotografi che lavorano con il foro stenopeico. Io preferisco pensare al mio lavoro come un lavoro fotografico che non viene etichettato per il mezzo che uso. Infatti, spesso mescolo tecniche (macchine a foro stenopeico con macchine fotografiche giocattolo tipo la Holga). 10­ Come giudica il pr ogr esso fotogr afico e le nuove tecniche ad esso legate? Irrinunciabile, fa parte della nostra evoluzione! Uso molto il digitale per acquisire e rielaborare le mie immagini. 11­ Come si sente nei confr onti del mondo della fotogr afia “moder na”? Se con questa domanda si intende etichettare il foro stenopeico come una “tecnica antiquata”… non credo di essere in grado di rispondere! Cosa si intende per fotografia moderna?
12­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la Fotogr afia? Un mezzo artistico e di comunicazione indispensabile. 13­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la fotogr afia a For o Stenopeico e cosa invece r appr esentava nel passato? Vedi risposta precedente. Nel passato è stato per qualche tempo “il” modo di fotografare (vedi Flinders Petrie per quanto riguarda l’aspetto puramente fotografico e l’uso che ne hanno fatto Leonardo, Brunelleschi, Canaletto, Vermeers, etc. nell’arte, per non parlare delle sue origini). 14­ Come si potr ebbe definir e colui che oggi pr atica questa tecnica fotogr afica? Lei dà una definizione par ticolar e a se stesso? A rischio di sembrare monotona, una fotografa. 15­ Quali sono le motivazioni che La por tano a continuar e questo per cor so? La passione per la scoperta, l’inesplorato. Nel corso degli anni ho affinato la mia tecnica e ho esplorato le varie possibilità che un tale mezzo espressivo offre. Mi sono anche lasciata affascinare da macchine fotografiche giocattolo come la Holga, per le possibilità che mi offrono di filtrare la realtà. La mia visione si è andata sempre più accostando a quella sfocatura e non definizione dei soggetti che in qualche modo aveva provocato il mio avvicinamento al foro stenopeico. Di questa tecnica amo il fatto che sono obbligata a tempi di esposizione lunghi: mi piace l’idea di sentirmi in qualche modo dentro la macchina fotografica, percepire la luce e il tempo che si depositano sull’emulsione sensibile. Delle macchine giocattolo mi piace la semplicità: questa caratteristica mi rende molto libera e mi permette di ottenere immagini che sono la diretta espressione delle mie emozioni.
Ho scoperto di fotografare senza sapere cosa sto effettivamente fotografando, quello che affiorerà dalle fotografie. Spesso non guardo dentro il mirino. Mi metto in uno stato di attesa fino al momento in cui guarderò i provini. Le fotografie sono emersioni del mio inconscio. Firenze.
Firenze. Firenze, Boboli.
NOME: Gregg COGNOME: Kemp DATA di NASCITA: 4 Luglio 1947 LUOGO di PROVENIENZA: Roanoke Island, North Carolina LAVORO ATTUALE: Programmatore di computer e visual artist 1­ Quando, come e per ché sono nati inter esse, passione e r icer ca nei confr onti della tecnica a For o Stenopeico? Nel 1972. 2­ Qual è la Sua for mazione per sonale? Ho studiato arte al college, ma non sono arrivato al diploma. Ho una BS in psicologia, un MS in scienze librarie e una MED in design istituzionale. 3­ Fa r ifer imento a par ticolar i ar tisti o scr ittor i? Ha par ametr i estetico­cultur ali legati ad un cer to tipo di avanguar die? Gli impressionisti Cezanne e Surat, i pittori moderni Chuck Close, Ralph Goings, Audrey Flack e i fotografi moderni Sandy Skoglund, Cindy Sherman, Lucas Samaras. 4­ La macchina che utilizza l’ha costr uita per sonalmente? Cosa significa per Lei quest’oggetto? Sì, ho fatto alcune macchine e mi sono divertito, ma le vedo come strumenti e non le costruisco per esibirle. 5­ Che valor e e significato dà e viene dato alle Sue oper e? Hanno un fine di r icer ca per sonale? Sono legate ad un mer cato? Per esplorare me stesso, i miei valori, come mi relaziono al mondo, non in connessione ad un mercato.
6­ A quali avvenimenti ar tistico­cultur ali ha par tecipato pr esentando i suoi lavor i? Ha avuto r iscontr i positivi o negativi? Ho presentato i miei lavori ad alcuni eventi: l’ho trovato interessante ed ho sempre ricevuto commenti sia positivi che non. 7­ Conosce altr e per sone che seguono e pr aticano questo metodo? Quale tipo di r appor to esiste tr a di voi? (Avvengono scambi di or dine pr atico o cultur ale e quindi di infor mazione?) Sì, conosco molti altri che lavorano con la fotografia pinhole e ci scambiamo informazioni circa il lavoro che facciamo, le tecniche e i luoghi dove esponiamo i nostri lavori. 8­ Che impor tanza ha assunto nel Suo per cor so for mativo la conoscenza e l’utilizzo di tale tecnica fotogr afica? E’ sempre più necessario avere una comprensione accurata delle tecniche e degli strumenti che si usano per poterli padroneggiare e per poter creare, di conseguenza, una visione unica. 9­ Per ché questo “mondo” r imane così nascosto e semi­ sconosciuto? Non credo che sia nascosto o sconosciuto. Sono in contatto con molte persone nel mondo che creano arte, curano mostre o in altri modi usano il pinhole e altri approcci alternativi alla fotografia. 10­ Come giudica il pr ogr esso fotogr afico e le nuove tecniche ad esso legate? Non ho molto interesse per la fotografia convenzionale o per le “nuove” tecniche fotografiche, eccetto per le immagini digitali: infatti utilizzo macchine per catturare immagini le quali manipolo, poi, come elementi d’arte digitale. Non ho alcun interesse per la
fotografia digitale in sé, ma la ritengo uno strumento utile per la creazione di “qualcos’altro”. 11­ Come si sente nei confr onti del mondo della fotogr afia “moder na”? Non so molto riguardo la fotografia moderna. Mi piacciono i primi fotografi e il lavoro delle persone che usano i processi fotografici per esplorare idee e figure. Uno scatto veloce di qualsiasi cosa, comporre­bene o cos’altro, per me è solitamente molto noioso. 12­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la Fotogr afia? I fotografi sono tremendamente affetti da “quello che capiamo e crediamo riguardo a tutto ciò che ci circonda”. La fotografia ha molto potere sulla mente umana, come dice il detto “ vedere per credere”; un fotografo può informare velocemente le persone sulla verità di qualcosa, ma quando utilizza male i propri mezzi, può anche deviare la gente. 13­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la fotogr afia a For o Stenopeico e cosa invece r appr esentava nel passato? Il pinhole è usato oggi dagli artisti visivi per esplorare l’immagine in un unico modo e da tanti altri per esplorare la fotografia dentro. Nel passato era uno strumento o elemento utile nella scoperta della comprensione visiva, degli elementi della luce, della visione della prospettiva etc. 14­ Come si potr ebbe definir e colui che oggi pr atica questa tecnica fotogr afica? Lei dà una definizione par ticolar e a se stesso? Vedo che ci sono due ampie categorie di persone che utilizzano il pinhole: i fotografi e gli artisti visivi: i primi tendono ad essere più tecnici e ad aspettarsi che una macchina stenopeica sia come una macchina convenzionale; gli artisti visivi sono meno interessati agli
aspetti tecnici della fotografia e più incuriositi dall’esplorare i modi, l’atmosfera e l’immagine inusuale possibile con l’uso della macchina stenopeica. Dipingo, anche, ed ho usato il pennello per molti anni, ho scolpito il legno e costruito strumenti musicali… 15­ Quali sono le motivazioni che La por tano a continuar e questo per cor so? Mi diverte e mi piacciono i risultati. Ho molti insuccessi, cose che non vanno come mi aspetto, ma quando ho successo è una bella sensazione. NOME: Rosanne COGNOME: Stutts DATA di NASCITA: 26 Aprile 1953 LUOGO di PROVENIENZA: Augusta, Georgia LAVORO ATTUALE: Insegnante d’arte e fotografia 1­ Quando, come e per ché sono nati inter esse, passione e r icer ca nei confr onti della tecnica a For o Stenopeico? Feci la mia prima esperienza nel 1979, anche se rappresentò una piccola parte delle molte e diverse tecniche artistiche conosciute; feci poi un corso di pinhole durante la mia laurea di specializzazione in educazione artistica (appena prima del dottorato) nel 1989. In seguito fui subito ingaggiata per alcuni corsi di fotografia stenopeica, mostre e lezioni del pinhole agli studenti ed agli operatori in laboratori. 2­ Qual è la Sua for mazione per sonale? Se intendi in fotografia stenopeica, vedi risposta n. 1.
3­ Fa r ifer imento a par ticolar i ar tisti o scr ittor i? Ha par ametr i estetico­cultur ali legati ad un cer to tipo di avanguar die? L’ influenza più profonda l’ho avuta attraverso le fotografie di Alfred Steiglitz. 4­ La macchina che utilizza l’ha costr uita per sonalmente? Cosa significa per Lei quest’oggetto? Utilizzo diverse macchine e molte di queste le ho costruite: una piccola scatola (3,8 cm x 5,7 cm), una scatola a semicerchio, una fatta con un contenitore per il pranzo, due di legno di balsa ( una di 4x5 pollici di negativo, l’altra di 8x10 pollici di negativo), un’ ENORME scatola di cartone per la quale è necessario un foglio di carta fotografica da 20x24 pollici. Tutte quelle in foto sono fatte da me, tranne la Leonardo (in alto a destra), la Zero 2000 (in basso al centro destra) e la variante Speed Grafic (al centro a sinistra). 5­ Che valor e e significato dà e viene dato alle Sue oper e? Hanno un fine di r icer ca per sonale? Sono legate ad un mer cato? Sono un’insegnante d’arte e fotografia, un’artista e fotografa; ogni cosa che faccio ha per me un valore, anche solo il praticare o sperimentare una nuova tecnica per una mia conoscenza futura. La
ricerca personale è vitale per me, perché mi porta a trovare nuove strade ed a perfezionare le mie conoscenze. Faccio mostre e vendo le mie opere e fotografie. 6­ A quali avvenimenti ar tistico­cultur ali ha par tecipato pr esentando i suoi lavor i? Ha avuto r iscontr i positivi o negativi? Ho mostrato le mie sculture di creta alla convention di Scienze della Fantasia/Finzione (feci draghi, maghi ed altre sculture del genere). La gente compra la mia arte e questo per me è positivo; nell’economia di oggi l’arte fotografica non si vende bene come prima, ma non credo che sia una cosa negativa. 7­ Conosce altr e per sone che seguono e pr aticano questo metodo? Quale tipo di r appor to esiste tr a di voi? (Avvengono scambi di or dine pr atico o cultur ale e quindi di infor mazione?) Conosco persone da tutto il mondo grazie al mio amore per la fotografia, l’arte ed il pinhole. Per quanto riguarda i rapporti che esistono tra di noi, comunico attraverso mail con alcuni insegnanti, ho incontrato e conosciuto i membri del team coordinatore durante la giornata mondiale della fotografia stenopeica ed ho mantenuto l’amicizia con loro. 8­ Che impor tanza ha assunto nel Suo per cor so for mativo la conoscenza e l’utilizzo di tale tecnica fotogr afica? Alcune persone diranno che il pinhole consiste nel liberare la loro “vera” fotografia, la loro fotografia professionale; l’immagine pinhole rappresenta per me una “bella arte” che coltiva la creatività. 9­ Per ché questo “mondo” r imane così nascosto e semi­ sconosciuto?
Non so se sia realmente un mondo “sconosciuto ed oscuro”: ci sono università che insegnano il pinhole nei loro corsi. Penso che la gente non creda che una scatola fatta con un barattolo di biscotti o di te o di cartone possa produrre una buona immagine.. 10­ Come giudica il pr ogr esso fotogr afico e le nuove tecniche ad esso legate? Per giudicare tu intendi avere uno sguardo critico su ciò che è critico? Se così fosse, noto che tutta l’arte viene criticata allo stesso modo: composizione, qualità del design, artigianato, etc… 11­ Come si sente nei confr onti del mondo della fotogr afia “moder na”? Io non racchiudo la fotografia in tempi detti “moderni”; penso che ogni fotografo abbia uno stile ed un modo di lavorare differente, individuale ed ognuno di questi lo ritengo valido. Se per moderno intendi digitale, vedi la risposta n. 12. 12­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la Fotogr afia? Per la maggior parte della gente, la fotografia è la documentazione di eventi familiari: nascite, funerali, vacanze, riunioni… Con l’avvento di macchine “punta e scatta” nelle mani di tutti, l’industria è cresciuta velocemente. A casa di amici gli album sono pieni di fotografie che mostrano bambini, matrimoni, o qualsiasi altra cosa a portata di mano. Ora, le persone stanno abbracciando la rivoluzione della fotografia digitale e per la maggior parte di loro rappresenta “alta tecnologia”, costosa documentazione dei loro eventi familiari .. le famiglie hanno la possibilità di spedire queste foto e se vuoi vedere Susan in piscina o John in forma smagliante, basta attendere il tempo necessario per scaricare una fotografia su computer, altrimenti, se non lo ritieni necessario, puoi decidere di non farlo. 13­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la fotogr afia a For o Stenopeico e cosa invece r appr esentava nel passato?
Oggi? Il pinhole è un buon strumento d’insegnamento in molte discipline. Per quanto mi riguarda è una vera forma d’arte. In passato era un sacco di cose, incluso un “imbroglio” per artisti che potevano pennellare e mischiare colori, senza ottenere grandi risultati. Il filosofo cinese Mo­Ti (V secolo a.C.) ricorda la creazione di un’ immagine rovesciata formata da raggi di luce passati attraverso un foro in una scatola nera. Aristotele (384 ­ 322 a.C.) capì il principio ottico della camera oscura. Nel 1490 Leonardo da Vinci diede due descrizioni chiare della camera oscura nei suoi taccuini. 14­ Come si potr ebbe definir e colui che oggi pr atica questa tecnica fotogr afica? Lei dà una definizione par ticolar e a se stesso? Chi utilizza questa tecnica seriamente, lo definirei artista e fotografo. Per quanto mi riguarda…mi sento un’artista, una fotografa ed una educatrice dell’arte. 15­ Quali sono le motivazioni che La por tano a continuar e questo per cor so? L’arte non è proprio la mia professione, è il mio modo di vivere, è quello che sono. Il pinhole è uno dei mezzi con cui ciò che vedo lo rendo visibile anche agli altri.
NOME: Peter COGNOME: Bengsten DATA di NASCITA: 24 Novembre 1978 LUOGO di PROVENIENZA: Copenhagen, Danimarca LAVORO ATTUALE: Studente 1­ Quando, come e per ché sono nati inter esse, passione e r icer ca nei confr onti della tecnica a For o Stenopeico? Ho cominciato ad interessarmi a questa tecnica quando studiavo in una scuola di fotografia qui a Copenhagen. A quel tempo la fotografia istantanea era molto di moda, ed ero stanco di questi stili. Volevo fare qualcosa di completamente diverso e quando un insegnante esterna mi introdusse al pinhole, sapevo di aver trovato quello che cercavo. 2­ Qual è la Sua for mazione per sonale? Ho studiato in due scuole di fotografia diverse, a Copenhagen. Da quando ho finito l’ultima scuola ( Estate 2001) ho fatto mostre e piccole pubblicazioni, cominciando anche un nuovo percorso. 3­ Fa r ifer imento a par ticolar i ar tisti o scr ittor i? Ha par ametr i estetico­cultur ali legati ad un cer to tipo di avanguar die? Fino a non tanto tempo fa ti avrei detto che non sono influenzato da un artista in particolare. Di recente ho riscoperto un quadro al quale mi accostai inizialmente nel 1994 ed ho capito che questa pittura ha avuto un’influenza enorme sul mio lavoro, anche se non l’aveva fatto ad un livello cosciente. L’artista è un pittore chiamato Caspar David Friedrich e il quadro di cui parlo è “ Wanderer above the sea of fog” (“Viaggiare sopra il mare di nebbia”). Sono anche molto ispirato da diversi generi musicali. E’ chiaro che mi piace vedermi in opposizione alla principale corrente fotografica della società; penso anche che puoi vedere il pinhole come una ribellione verso
l’andatura veloce della società di oggi, la cultura del buco usa e getta nella quale ci sembra di vivere oggi. 4­ La macchina che utilizza l’ha costr uita per sonalmente? Cosa significa per Lei quest’oggetto? Ho costruito la macchina che sto usando. E’ una macchina speciale per me ed è l’unica a foro stenopeica che attualmente possiedo. Ne ho costruite altre, ma non funzionano così bene come la prima, così utilizzo solo quella. Non ho una speciale “fetish­camera”, così… 5­ Che valor e e significato dà e viene dato alle Sue oper e? Hanno un fine di r icer ca per sonale? Sono legate ad un mer cato? Considero il mio lavoro arte. Mi definisco un artista fotografico. Di certo c’è una grande risorsa personale in ciò che faccio, il mio lavoro è molto importante per me. Infatti lo sviluppo e la comprensione personale sono il risultato più importante quando si fa il pinhole; a causa della lentezza del processo, sento davvero che arrivo a toccare il luogo che sto fotografando. Utilizzo le mie foto per un tipo di mercato. Faccio molte copertine artistiche di dischi musicali, per piccole band qui in Europa. Sono stato influenzato spesso dalla musica degli artisti, nel fare le foto e si può dire che ci siamo ispirati a vicenda. 6­ A quali avvenimenti ar tistico­cultur ali ha par tecipato pr esentando i suoi lavor i? Ha avuto r iscontr i positivi o negativi? Faccio continuamente mostre. Attualmente sono concentrato sulla lavorazione di un libro che contiene alcune delle mie foto stenopeiche, che sarà pubblicato insieme ad un CD di un artista francese. Uno dei più importanti legami culturali che ho instaurato, è stato far parte della comunità internazionale di fotografi pinhole su internet. Attraverso pinhole.com sono entrato in contatto con Gregg Kemp, il quale mi ha aperto un sacco di porte.
7­ Conosce altr e per sone che seguono e pr aticano questo metodo? Quale tipo di r appor to esiste tr a di voi? (Avvengono scambi di or dine pr atico o cultur ale e quindi di infor mazione?) La maggior parte le ho conosciute su internet. Ho fatto traduzioni per il World Wide Pinhole Photography per un paio d’anni ed ora ci scambiamo spesso e­mail. A livello più locale conduco laboratori di pinhole, attraverso i quali conosco nuovi stenopeisti. La Danimarca è quieta e piccola e non c’è una gran cultura del pinhole. Qui però ho molti contatti, con cui scambio informazioni, opinioni e così via. Spesso avviene a livello pratico, mentre con le persone conosciute in internet il livello è più culturale. Sono tutt’altro che interessato al vasto materiale tecnico. Finchè la mia macchina funziona sono felice. 8­ Che impor tanza ha assunto nel Suo per cor so for mativo la conoscenza e l’utilizzo di tale tecnica fotogr afica? Penso di aver già risposto in parte a questa domanda. Il pinhole è molto importante perché mi mette in una posizione particolare, specialmente in un piccolo paese come la Danimarca, dove la maggior parte della gente non sa cos’è il pinhole. E’ una nicchia speciale, solo mia, e mi piace; ma è qualcosa che bisogna equilibrare, perché a volte le persone sono affascinate solo dalla tecnica e per me la tecnica non è così importante. Per lo più io guardo ai risultati e se per me è buona arte sono contento. Cerco persone che giudichino le mie fotografie stenopeiche non in quanto tali, ma come farebbero con altri pezzi dell’arte visiva. 9­ Per ché questo “mondo” r imane così nascosto e semi­ sconosciuto? Bene, penso che abbia a che fare con la società in cui viviamo. Ogni cosa diventa digitale. Tutti sanno come usare una macchina digitale ed un computer, ma nessuno conosce tutto il materiale tecnico di base che forma la fotografia, il materiale che E’ fotografia
stenopeica. Le persone non sanno perché le cose funzionano e finchè funzionano non se ne curano. Credo che il pinhole sia qualcosa di oscuro per molta gente, anche perché è stato praticato dalle persone dell’Università (insegnanti di scienze!) e i praticanti non sono stati molto bravi a seminare il messaggio. Credo che il WPPD costituisca un buon passo per assicurare che più persone apprendano queste tecniche e che non debbano spendere milioni in una buona camera per fare foto interessanti. 10­ Come giudica il pr ogr esso fotogr afico e le nuove tecniche ad esso legate? Credo che il progresso digitale sia importante. Quando ho cominciato a lavorare con la fotografia, giurai che non avrei più usato un computer per redigere le mie foto, il quale avrei messo da parte. Ora, anni dopo, tutte le mie foto stanno finendo nello scanner attraverso photo shop, prima di essere pubblicate da qualche parte. Allo stesso tempo, devo dire, la sperimentazione nella camera oscura è stata fondamentale per la mia comprensione della fotografia e credo che subirei una grande perdita se i nuovi fotografi abbandonassero il contatto con quella parte della fotografia. Io ancora sviluppo tutte le mie immagini nella camera oscura. 11­ Come si sente nei confr onti del mondo della fotogr afia “moder na”? Come ho detto, penso che sia importante aggiornarsi sulle nuove possibilità che la tecnica avanzata offre. Allo stesso tempo credo sia ugualmente importante essere consci di quali tecniche tu scegli di usare e quali no. Devi sempre avere il controllo delle possibilità tecniche, senza “girarci attorno”. Fare strane cose con Photo Shop ad una fotografia che è perfettamente bella senza la manipolazione digitale, solo perché puoi farlo, è un modo dannoso di procedere.
12­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la Fotogr afia? Ogni tipo di arte visiva è, a mio avviso, il più importante linguaggio del mondo. Nella società moderna siamo esposti ad immagini ogni giorno e così come siamo stati abituati, impariamo a codificare ogni cosa molto velocemente. L’immagine comunica così tanto più delle parole, che trovo sia importante che le persone prendano coscienza riguardo i duri effetti che questi imput possono provocare; questa consapevolezza può far si che la gente non venga manipolata così facilmente. 13­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la fotogr afia a For o Stenopeico e cosa invece r appr esentava nel passato? Come sai, il pinhole è fotografia ridotta all’osso. All’inizio della storia della fotografia, il pinhole ERA fotografia. Oggi, come tu stessa hai detto, esso è una cosa molto più oscura. Comunque, come puoi vedere dal numero dei partecipanti al WPPD, la diffusione è in crescita. Io però non credo che il pinhole sarà mai qualcosa che tutti conosceranno, il che a me sta bene. 14­ Come si potr ebbe definir e colui che oggi pr atica questa tecnica fotogr afica? Lei dà una definizione par ticolar e a se stesso? Stavo per dire parole come “romantico” o “vecchio affascinato”, ma questa è solo una parte della verità. Penso che, di certo, è vero per me. Ci sono anche persone nella comunità del pinhole che non sono così interessate ai risultati artistici delle foto, ma sono focalizzate a creare la macchina ottimale (condizione ottimale è la perfetta combinazione della misura pinhole, distanza dal materiale fotografico, nitidezza e così via). Ancora certa gente (solo alcuni) vede il pinhole come una cosa meditativa; me compreso. 15­ Quali sono le motivazioni che La por tano a continuar e questo per cor so?
Ho trovato che i risultati ottenuti con il pinhole non sono come le cose che io posso fare con una macchina fotografica tradizionale. Trovo anche che le persone che fanno parte della comunità del pinhole sono molto aperte, amichevoli ed interessanti e questo è un grosso fattore a favore del mio “usare” questo mezzo comunicativo. Sono il solo tra gli insegnanti di pinhole in Danimarca che è anche, io sento, in un certo senso una responsabilità. Trovo che le persone che si avvicinano al pinhole per la prima volta, sono spesso molto interessate e, come ho detto, credo sia importante avere una conoscenza di base su come la macchina funziona; questo perché anche se tu non toccherai più una macchina a foro stenopeico dopo un laboratorio, i principi sono gli stessi in ogni altra macchina fotografica, e tu li hai con te. NOME: Tom COGNOME: Miller DATA di NASCITA: 1 Ottobre 1953 LUOGO di PROVENIENZA: Minnesota, USA LAVORO ATTUALE: Posizione di volontario come leader del team coordinatore della giornata mondiale della fotografia stenopeica. 1­ Quando, come e per ché sono nati inter esse, passione e r icer ca nei confr onti della tecnica a For o Stenopeico? Non ho ma usato una camera fotografica prima dei 37 anni. Poi ho cominciato da autodidatta nell’uso delle macchine fotografiche. La prima fotografia stenopeica che ho visto, in un testo riguardante la fotografia di base, comprato ad un mercatino di libri usati, fu “Our Lady of the nectarines of San Francisco” di Willie Anne Wright. Questa immagine straordinaria mi fece decidere di provare prima o poi il pinhole. La possibilità arrivò quando vidi e ordinai il libro di Eric Renner “fotografia stenopeica, riscoprire una tecnica storica”. Il libro arrivò il giorno che cominciai un corso pomeridiano sulle
tecniche del bianco e nero in camera oscura. Questo avvenne nel vicino 1996. Da allora è il tipo di fotografia che uso maggiormente. 2­ Qual è la Sua for mazione per sonale? Sono stato un programmatore di computer per più di vent’anni ed ho una laurea in economia aziendale. In campo fotografico sono cresciuto da solo, sebbene abbia fatto continui studi (di notte) e corsi al college d’arte e design di Minneapolis e abbia fatto un paio di relativi laboratori. 3­ Fa r ifer imento a par ticolar i ar tisti o scr ittor i? Ha par ametr i estetico­cultur ali legati ad un cer to tipo di avanguar die? Non c’è un singolo artista o scrittore che influenza il mio lavoro o che cerco di emulare consciamente. Ammiro molti fotografi che, lavorando e scrivendo, forse hanno un’influenza profonda sulla mia mente. Questi potrebbero includere Eric Renner, David Vestal, John Sexton, Clarence Jhon Laughlin, Henry Bosse, Ralph Eugene Meatyard, H. Bennett, Jeff Korte, Marnie Cardoso e molti altri. Il mio lavoro non fa parte di nessuna scuola o di qualcosa connesso alle avanguardie. 4­ La macchina che utilizza l’ha costr uita per sonalmente? Cosa significa per Lei quest’oggetto? Io utilizzo scatole fatte da me e camere pinhole disponibili in commercio. La maggior parte del mio lavoro è fatto con macchine auto costruite; quelle che io utilizzo sono semplici strumenti. Nella fotografia stenopeica, è possibile che alcune macchine possano diventare prodotti artistici. A me ancora non è accaduto; le mie macchine fatte a mano sono strumenti che mi permettono di fare un tipo di lavoro che non può essere fatto da nessun’altra macchina pinhole disponibile in commercio: per esempio usare piani ricurvi con negativi di carta grande o vecchie macchine di latta con un grand’angolo approssimativo, che possono essere appesi alle pareti di gallerie e mostre fotografiche.
5­ Che valor e e significato dà e viene dato alle Sue oper e? Hanno un fine di r icer ca per sonale? Sono legate ad un mer cato? L’unico valore o intenzione nel mio lavoro è che costituisce un altro modo, per la gente, di guardare alle cose. Il valore e l’intenzione vengono fuori quando altri punti di vista toccano il mio lavoro trovando un punto di unione con esso; pertanto è sempre stato creato qualcosa di nuovo. La fotografia non è per me un modo di imparare qualcosa su me stesso. Mi diverte la creazione e la sfida mentale. Questi sono entrambi aspetti essenziali della fotografia stenopeica. Sono stato anche un “bambino in un negozio di caramelle”, cercando le più diverse tecniche e macchine pinhole. Questo per un po’ occupò il mio tempo, confondendomi nella produzione di fotografie nei più diversi stili. Ora che insegno sempre più fotografia stenopeica, realizzo che quello era la cosa giusta da fare. Io non creo fotografie per un particolare mercato; i miei sforzi nel vendere fotografie non hanno avuto molto successo. 6­ A quali avvenimenti ar tistico­cultur ali ha par tecipato pr esentando i suoi lavor i? Ha avuto r iscontr i positivi o negativi? Per lo più espongo i miei lavori in affermate mostre locali. Ho curato mostre di pinhole di media e piccola importanza. Le persone mi hanno supportato entusiaste e spesso completamente stupite che il lavoro era stato possibile usando un tubo di latta o una scatola di sigari come macchina fotografica. La fotografia stenopeica che solitamente faccio lascia le persone sconcertate; esse non hanno un contesto artistico o culturale in cui inserire le mie opere e, nel momento in cui le osservano, si presentano rinfrescanti e gratificanti espressioni sulle loro facce. 7­ Conosce altr e per sone che seguono e pr aticano questo metodo? Quale tipo di r appor to esiste tr a di voi? (Avvengono scambi di or dine pr atico o cultur ale e quindi di infor mazione?)
Quattro anni fa, il mio vecchio amico Bill Erickson ed io cominciammo regolarmente a contattare i fotografi di pinhole qui nello stato americano del Minnesota. Ci sono otto o dieci fotografi che praticano abitualmente questa tecnica fotografica i quali attendono questo ritrovo che avviene ogni sei mesi. Ci scambiamo idee e fotografie ed aiutiamo chi fa mostre di pinhole a coinvolgere con entusiasmo il grande pubblico. 8­ Che impor tanza ha assunto nel Suo per cor so for mativo la conoscenza e l’utilizzo di tale tecnica fotogr afica? Il 90 % della fotografia che faccio è stenopeica, per ciò è tremendamente importante per me! 9­ Per ché questo “mondo” r imane così nascosto e semi­ sconosciuto? Le macchine stenopeiche sono lente e non si presentano come miracoli tecnologici. La gente ama la tecnologia, i computer, i registratori e gli impianti stereo. Tubi di latta e scatole di cartone non provocano alcun fascino. Le macchine fotografiche tradizionali hanno un fascino tecnico. Sono strumenti di una sofisticata precisione e possono facilmente produrre risultati interessanti. Il pinhole all’interno della fotografia professionale occupa una piccola parte che investe ritratti, matrimoni, giornalismo fotografico e pubblicità. Per queste ragioni viene visto come un hobby e non viene preso seriamente. Questo riguarda anche me. L’esposizione del pinhole necessita di troppo tempo in un mondo dove sono richiesti risultati istantanei. Dato che il pinhole non fa parte dell’area commerciale, tende a non essere molto trattato nelle scuole. 10­ Come giudica il pr ogr esso fotogr afico e le nuove tecniche ad esso legate? Non sono sicuro di cosa chieda questa domanda, ma la risposta potrebbe far parte di altre in questo questionario.
11­ Come si sente nei confr onti del mondo della fotogr afia “moder na”? Chi era, Duke Ellington che disse riguardo alla musica “Se è un buon un suono è buono”? Così è come io percepisco la fotografia “moderna”. Di cose ce ne sono tante, tante di nuove. Non c’è una “scuola” legata a questo momento, come potevano essere i secessionisti fotografici o l’approccio del Gruppo f64 nel 1930. La gente adesso sta solo facendo tante cose di cui la maggior parte è fatta abbastanza bene. Nell’arena digitale, io onestamente non penso che si sia ancora sviluppata un’estetica. L’immagine digitale è come uno strumento potente. Il pinhole è, sfortunatamente, spesso visto in contrapposizione a tutto ciò che è moderno nella fotografia; il pinhole è seguito dalle persone che vogliono qualcosa di più semplice che rifugge dagli strumenti moderni. Così tanti stenopeisti, incluso me qualche volta, usano il pinhole per catturare un’immagine e poi lavorarla digitalmente per produrre la fotografia finale. Internet e la comunicazione via mail, hanno contribuito ad incrementare notevolmente la popolarità della fotografia stenopeica. 12­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la Fotogr afia? La fotografia dà un’intenzione visiva alla conoscenza. Siamo capaci di VEDERE ciò che prima poteva essere solo immaginato, discusso o descritto. Penso alle prime edizioni dei viaggi di Marco Polo dove illustratori dipingevano i castelli e la ricchezza della Cina come quelli europei, perché quella era l’unica immagine della quale erano a conoscenza. Le persone si soffermano a studiare immagini catturate in brevi secondi; noi possiamo passare molto tempo ad osservare il momento di una raffica di bombe o una corsa di animali selvaggi o un fiume. Ci sono cose che, dati i nostri normali sensi, non potremmo mai o non vorremmo mai fare. La conoscenza e la pratica del pinhole diventa affascinante perché è fuori dall’abituale gamma di esperienze. La precisione delle lenti fotografiche e la natura onnipresente delle super­immagini all’interno dei giornali, hanno creato una falsa visione del mondo che la società crede che sia reale. Io non cerco di calcolare questo con il pinhole, ma credo che la
fotografia stenopeica dia un autenticità all’immagine di cui spesso è priva la tradizionale fotografia. 13­ Cosa r appr esenta nella società di oggi la fotogr afia a For o Stenopeico e cosa invece r appr esentava nel passato? Il pinhole, tutto ciò che lo riguarda e le tecniche primitive della fotografia costituiscono un vasto universo che si è appena cominciato ad esplorare. Tutto questo offre un’ intenzione creativa così vasta, profonda, varia ed in grado di esprimere le svariate esperienze umane più di ogni altro mezzo artistico. 14­ Come si potr ebbe definir e colui che oggi pr atica questa tecnica fotogr afica? Lei dà una definizione par ticolar e a se stesso? Io solitamente uso la parola “Pinholer” per descrivere un fotografo stenopeista. In alternativa mi riferisco a questa tipologia di fotografo come “fotografi che utilizzano aperture di latta”, sebbene questo termine non sia corretto per chi usa una lente combinata con un’apertura fl56. Un “bambino in un negozio di caramelle” è la definizione che più mi si addice. Ci sono così tante persone che si avvicinano alla fotografia stenopeica; un buon posto dove cercare fotografi di pinhole è il sito web www.pinholeresource,com . Tutti i fotografi indicati in questa galleria sono eccellenti. 15­ Quali sono le motivazioni che La por tano a continuar e questo per cor so? Non so perché mi occupo di questo lavoro. Farlo è la risposta.
Bibliogr afia “Italia artistica: periodico settimanale con fotografia” ANNATE: 1886­1887 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze “ L’archivio fotografico: giornale mensile di fotografia per professionisti e dilettanti” ANNATE: 1889­1890 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze “Il dilettante di fotografia: giornale popolare mensile illustrato” ANNATE: Dal 1890 ­anno della fondazione­ al 1900, 1902­1904­1908. Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze “Progresso fotografico” ANNATE: Dal 1951 al 1974 Casa Editrice Progresso “Tutti Fotografi” ANNATE: Dal 1969 ­anno della fondazione­ al 2000 ­ultima collezione disponibile­ Casa Editrice Progresso “ Un secolo di fotografia dalla collezione Gernsheim” H. e A. Gernsheim Triennale di Milano, catalogo a cura di L. Vitali 1957
“ Storia della fotografia” Helmut e Alison Gernsheim Edizioni Frassinelli 1966 “ L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” Arte e società di massa Walter Benjamin Einaudi Editore 1966 “ Breve storia della fotografia” Jean­A. Keim Piccola biblioteca Einaudi 1976 “ Dentro la pittura di Canaletto” I maestri del Colore Fabbri editori 1991 “ Gran positivo nel crudele spazio stenopeico” Paolo Gioli A cura di Paolo Costantini, Silvio Fuso, Sandro Mescola, Italo Zannier Fratelli Alinari, Firenze 1991 “ Storia dell’arte Italiana 3” Carlo Bertelli,Giuliano Briganti,Antonio Giuliano Electa – Bruno Mondadori 1991 “ FOTOGRAFIA DIDATTICA ­ come costruirsi una macchina fotografica” Ed. Ilford Scuola Carla Novi FrancoAngeli libri 1992
“ La filosofia occidentale e i suoi problemi” Mario Trombino Casa Editrice Poseidonia 1995 “ Fluttuazioni” Paolo Aldi Edizioni Stella 1999 PROGETTO “ Dalla FotoINscatola alla fotografia digitale” Laboratori di educazione all’immagine intorno al mondo. a cura di Noris Lazzarini Febbraio 2000 “ Storia Sociale della fotografia” Ando Gilardi Edizione Feltrinelli 1976 Edizione B. Mondadori 2000 “ Storia e tecnica della fotografia” Italo Zannier Editori Laterza 2001 “ ARTedossier” Fabio Benzi Giunti Editori Novembre 2002 n. 183
“ ARTE E FOTOGRAFIA Precursori e influenze” Heinrich Schwarz Bollati Boringhieri editore 2002 “ La grande storia dell’arte” il settecento ­ seconda parte Testi di Carlotta Lenzi Iacomelli Gruppo Editoriale l’Espresso 2003 “ La fotografia stenopeica, storia­tecnica­estetica delle riprese stenopeiche” Vincenzo Marzocchini Agora35 2004. “ La camera chiara, Nota sulla fotgrafia” Roland Barthes Piccola biblioteca Einaudi 2004 “ Storia della fotografia” Wladimiro Settimelli Editori Riuniti (Libri di base) “ Prima della fotografia” Peter Galassi Edizione Bollati Boringhieri “ Arte e fotografia” Aaron Sharf Edizione Einaudi
Testi consultati su inter net “La camera oscura” www.fotografianegliannitrenta.com/camosc.htm Pinhole photogr aphy “Fotografia stenopeica o a foro di spillo” www.quipo.it/villaggioglobale/bassora.htm “ Una breve storia della fotografia mondiale” www.ffplm.it/pinholephoto.htm “Le origini della fotografia astronomica” di Marinella Calisi www.albinoni.brera.unimi.it/atti­como­96/calisi.html “La fotografia ed il foro stenopeico” Cinzia B. Thompson www.fotopadova.it/stenopeico.htm La meravigliosa storia della fotografia “La camera oscura: un’invenzione della natura” www.fotochepassione.com/Storia/camera­oscura.htm “La camera obscura” www.photogallery.it/storia/iobscura.html
Gr azie a Luigi Tomassini, Roberto Balzani, Mario Beltrambini, Vincenzo Marzocchini, Massimo Stefanutti, Mauro Tozzi, Lorenzo Tommasoni, Pierluigi Manzone, Alessandra Capodacqua, Paolo Aldi, Gregg Kemp, Rosanne Stutts, Peter Gebsten, Tom Miller, Franco Vaccari, Noris Lazzarini, Paolo Gioli, Ennio Vicario, Nino Migliori, Cinzia Busi Thompson, Italo Zannier, Casa Editrice Progresso, Andrea Vasini, Valeria Moretti, Antonio Tolo, MariaStella Lodovichetti. E a tutti coloro che hanno saputo ascoltarmi e starmi vicino. Un ringraziamento speciale a Mar io Beltr ambini, il quale si è sempre reso nei miei confronti disponibile e paziente, regalandomi la sua conoscenza e contribuendo enormemente alla realizzazione di questa tesi.
I DOVUTI, SINCERI RINGRAZIAMENTI Ed eccomi qui, finalmente giunta alla fine di questi anni scolastici, di questa mia avventura universitaria, sono stati lunghi, intensi, ricchi di sorprese e di regali che non avrei mai pensato di ricevere in questo cammino. Le delusioni non sono mancate e nemmeno le paure, ma qualcuno mi insegnò che le emozioni possono vestire abiti diversi, neri o colorati, ed indossare gli uni o gli altri significa semplicemente essere partecipi della propria vita in ogni suo piccolo­ grande momento. In questo senso posso essere sicura di essere viva e sopravvissuta e di aver imparato ad accantonare le mie debolezze per lasciare spazio alle mie forze. Indi per cui mi ritrovo con in mano un libro che in qualche modo racchiude le mie fatiche e le mie soddisfazioni insieme, che rappresenta la mia testardaggine e la mia volontà. Sono felice e stranamente amareggiata, perché ora si chiude un capitolo ed inevitabilmente se ne dovrà aprire un altro di cui ancora, però, non conosco bene le forme... posso solo, per il momento, lasciare all’immaginazione il compito di delinearlo! Giunta comunque a questo punto, mi restano i dovuti, sinceri, ringraziamenti che tengo a fare, con il cuore in mano, a chi non ha mai mollato insieme a me, a chi ha deciso di tenere sempre un piccolo posto dentro di sé anche per le mie parole, per le mie pazzie, per i mie difetti, per le mie risate, per i miei pensieri, per i miei silenzi, per i miei sfoghi, per i miei abbracci. In primis, il mio Grazie va ad Er ica, compagna di viaggio immancabile ed insostituibile… ha dato un significato in più ad ogni singolo esame passato insieme perché insieme siamo riuscite a divertirci, a ridere sopra alle nostre mancanze, a non rinunciare alle nostre attitudini, a starci vicine, a mangiarci pizze su pizze per sperare di ricevere un buon voto in cambio delle nostre fatiche passate sui libri, a rendere l’arte qualcosa di intimo e di significativo, a berci (più di) un bicchiere di vino per festeggiare le nostre piccole conquiste… Ho trovato un’amicizia, un legame ed una fiducia che terrò sempre stretti a me e alla quale non rinuncerò; ringrazio tutti i “reduci” del nostro corso, che hanno tenuto duro e sono arrivati alla fine, e non solo…in particolare Grazie a Chiar a (“diForlì”) per tutti
i libri prestati e le dritte indispensabili confidate! Grazie a Giulia, all’Ale, ad Iside per la compagnia, le chiacchiere, i confronti, i festeggiamenti e l’ospitalità mai negata e sempre regalata; a Silvano per la sua semplice gentilezza e disponibilità sempre mostrata, a Beppe per le sue perle di saggezza, a Mor o per il conforto, i pensieri, le risate condivise; grazie a tutti quelli che non mi hanno mai conosciuta tanto a fondo, ma che hanno sempre mostrato affetto incondizionato ed una calda accoglienza nei miei confronti. Grazie a tutti voi…siete riusciti a darmi qualcosa che non potrò mai dimenticare, qualche piccolo regalo che vi rappresenta e che saprò custodire. Naturalmente Grazie a tutti i fotografi pazzi conosciuti, che hanno reso questa tesi un prezioso tesoro ricco di inaspettate, bellissime sorprese. Ringrazio tutta la mia famiglia, Babbo Mar co, Mamma Giulietta, Tommaso, Ar ianna: mi sono stati vicini, a loro modo, e hanno sostenuto questa “causa” con me, mostrando immancabilmente fiducia ed affetto. Grazie ad Andr ea per non aver ceduto prima di me a questo stato di transizione che mi ha posseduto in tutto questo tempo…grazie davvero per il sostegno e l’amore sempre dimostrati; Grazie alla Vale per non essere mai mancata, per i confronti e conforti indispensabili, per i pensieri mai negati, per l’amicizia che ci lega; Grazie a tutte le amiche e le persone che hanno mantenuto una vicinanza ed hanno saputo capire senza vivere nei miei panni. Grazie davvero a Voi, alla vostra presenza e al vostro rispetto nei confronti dei miei diversi stati d’animo. Questa tesi è dedicata a due Persone che hanno ricevuto meno riconoscimenti di quanto si siano mai meritate e che hanno lasciato correre libere le mie aspettative ed i miei desideri: per questo, mamma e babbo, non potrò mai smettere di renderVi Grazie. Irene
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La fotografia stenopeica. Storia ed evoluzione di una tecnica