[Volume 1, Issue 1]
www.narth.com Teoria riparativa: Documentazione scientifica
Sommario
Articoli di particolare
interesse
Il Primato dell’affetto
Chi ha paura della terapia riparativa?
Terapia riparativa: riparare che cosa?
NARTH ITALIA
DOCUMENTI TRATTI DAL SITO NARTH.COM
NARTH MISSIONE
Rispettiamo il diritto di tutti gli individui di scegliere il proprio destino. NARTH è
Un Ex-Gay Descrive il Processo di
Cambiamento: Gordon Opp
La Storia di un Ex-Omosessuale nel
Mondo della Pop Music
Omosessualità e fattori biologici:
Prove reali — Nessuna;
Interpretazioni fuorvianti: Molte
“Ascolti anche gli Ex-Gay”
Il Potere Terapeutico della Sintonia
un'organizzazione scientifica professionale che offre speranza a coloro che lottano
con l'omosessualità indesiderata. Come organizzazione, siamo diffondere
informazioni educative, condurre e raccogliamo la ricerca scientifica, promuovere un
trattamento terapeutico efficace, e fornire riferimenti per coloro che cercano il
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cura. Accogliamo con favore la partecipazione di tutti gli individui che si uniranno a
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noi nel perseguimento di questi obiettivi.
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L’Esperienza del Double-Loop
La Cura Dei Disturbi Della….
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l’obiezione Gay alla nascita? La
scienza non lo prova
Intervista con Michael Glatze
L’Ex Presidente dell’APA Dr.
Nicholas Cummings Descrive il
proprio Lavoro con Clienti SAS
Un Leader nella lotta per i “diritti dei
gay” diventa eterosessuale
Testimonianza di apertura del presidente
di ExodusAiutare donne che provano
attrazione per lo stesso sesso
Il Primato dell’affetto
di Joseph Nicolosi, Ph.D.
La guarigione si verifica nei momenti in cui il cliente prova ciò che sembra
un’emozione "insopportabile" mentre, nello stesso momento, sperimenta il sostegno
del terapeuta.
I recenti progressi nella psicoterapia si sono concentrati sull'importanza fondamentale
degli “affetti” (manifestazione osservabile dei sentimenti o emozioni di una persona).
Aumentano le prove a sostegno del legame terapeutico come "esperienza affettiva
correttiva" (Schore, 1991). Gli “affetti” - i neurotrasmettitori delle relazioni umane –
connettono la persona con il suo mondo emozionale. La Terapia incentrata sugli affetti
(AFT) riguarda il modo in cui ci colleghiamo, ci scolleghiamo e ci ricolleghiamo. Il
trattamento si concentra sulla rimozione dei blocchi che scollegano il cliente dai suoi
sentimenti più profondi.
Il particolare luogo di incontro della terapia riparativa e della Terapia Incentrata
sull’Affetto (AFT) risiede, a nostro avviso, nel riconoscimento che l'omosessualità è
fondamentalmente un problema di attaccamento. Per molti dei nostri clienti il
comportamento omosessuale sembra essere un tentativo di riparare un incerto legame con
il padre. Il disordine emozionale, che si manifesta il più delle volte sotto forma di
sentimenti di vergogna che bloccano l’affermazione mascolina, spinge molti dei nostri
clienti attratti verso persone dello stesso sesso (SSA) a mettere in pratica i propri
sentimenti omosessuali. L'attività omosessuale, le fantasie e l’idealizzazione sono una
compensazione temporanea del fallimento dell’attaccamento.
Ma non riduciamo la SSA unicamente al mancato attaccamento padre-figlio; in realtà,
crediamo che parte dello sviluppo omosessuale possa iniziare a causa di problemi nella
sintonia madre-figlio. Infatti, l'efficacia della terapia riparativa è aumentata grazie
all'utilizzo di tecniche che esplorano anche i problemi dell’attaccamento tra madre e
figlio nei primissimi anni di vita. Poiché il legame madre-figlio plasma e affina il senso
del Sé nel momento in cui questo si forma, la terapia deve rivisitare anche tale legame.
Il rapporto interpersonale è, in ultima analisi, ciò che caratterizza la nostra umanità più
profonda e determina il nostro equilibrio interno. E’ per questo motivo che il trattamento
terapeutico si è allontanato dai tentativi più tradizionali di risolvere il conflitto intrapsichico, volgendosi più nella direzione di una “regolazione degli affetti” e il terapeuta ha
la funzione di agevolare tale regolazione.
Il modello per eccellenza del contatto affettivo è il doppio anello (Double Loop), un
potente risultato terapeutico frutto del rapporto interpersonale tra paziente e terapeuta.
Una Radicale Risonanza Terapeutica
1
Il flusso degli affetti è determinato dall’attaccamento. I tradizionali concetti
psicodinamici come ad esempio gli "oggetti interiorizzati" costituiscono una metafora di
questo fenomeno con base biologica della trasmissione neurologica. Ciò che noi
chiamiamo "interiorizzazione dell'oggetto", ad esempio, è in realtà un corpo trattenuto
nella memoria - una risposta affettiva condizionata.
La AFT richiede al terapeuta riparativo un livello di coinvolgimento emotivo e di empatia
che va molto al di là, anche contraddittoriamente, del tradizionale approccio
psicoterapeutico. La AFT si concentra sui sottili dettagli dello scambio terapeutico
intersoggettivo. Il terapeuta deve essere pienamente "presente" sul piano emotivo in
modo da facilitare e condividere profondamente l'esperienza viscerale del cliente.
E’ stato dimostrato che l’espansione affettiva si verifica quando vi è un livello radicale di
risonanza tra cliente e terapeuta. Utilizzando tecniche della AFT, il terapeuta riparativo
tenta non soltanto di evocare nel cliente l'espressione di un nucleo di affetti ma anche di
favorire la sua consapevolezza somatica. Man mano che la fiducia aumenta, durante
questo loro scambio, il cliente acquisisce una maggiore sicurezza che gli consente di
sperimentare uno scambio autentico con gli altri uomini. In seguito il cliente potrà
cominciare ad interagire anche con le donne in maniera più autentica.
La Sintonia Modifica la Struttura del Cervello
La Struttura neurologica di ciascuna persona è progettata per essere sincronizzata con le
strutture neurologiche di altre persone. Come Stern ci ricorda, "I nostri cervelli sono stati
progettati per connettersi con altri cervelli" (2002). Ma i legami umani possono
interrompersi (come illustrato dal Double Bind) e ricollegarsi (attraverso il Double
Loop). L’interruzione dell’affetto - causata dall’angoscia, dalla vergogna, e da altri
inibitori - disconnette la persona dal suo ambiente emotivo, provocando una chiusura.
Lo sviluppo dell'identità personale è il risultato cumulativo di anni di sintonia con gli
altri. Il nostro livello di sintonia con altre persone determina il rapporto interiore con noi
stessi. Una cattiva sintonia - la conseguenza inevitabile della comunicazione Double Bind
- genera vergogna, e la vergogna crea distacco intrapsichico. Al contrario, la sintonia con
il terapeuta nell'Alleanza che si crea (una conseguenza dell’esperienza del Double Loop)
abbatte questa barriera di vergogna e favorisce la riconnessione con se stessi.
Pertanto, l'obiettivo della terapia riparativa è una "accensione" o apertura affettiva. Nella
AFT, il terapeuta cerca di mantenere una sintonia empatica per facilitare l'unificazione
degli emisferi sinistro e destro del cervello. In tal modo, egli "si intercala"
metaforicamente tra i due emisferi cerebrali del cliente.
E 'attraverso questa connessione con il terapeuta che il cliente permette a se stesso di
percepire le sensazioni corporee che sono associate alle sue prime esperienze dolorose. I
momenti di guarigione si verificano quando il cliente riesce a sentire, nel profondo del
suo essere, ciò che sembra una sensazione insopportabile, mentre, nello stesso momento,
2
sperimenta l’attenzione e il sostegno del terapeuta. In questo modo, mediante un processo
interattivo di riparazione, la sintonia del rapporto modifica la struttura neurologica del
cervello.
Nel cliente cresciuto in una famiglia narcisistica il trauma iniziale del Double Bind ha
interrotto la sintonia. Attraverso la risintonizzazione, il Double Loop ricollega il cliente
con se stesso, e quindi il sé con gli altri. La sintonia con un'altra persona riconduce ad
una maggiore sintonia con il sé.
Dall’Ansietà alla Spontaneità
La Terapia incentrata sull’affetto accelera velocemente l’incontro del cliente con la sua la
vita affettiva densa di paure. Il terapeuta lo incoraggia a sentire e ad esprimere le
sensazioni corporee e i sentimenti che gli provocano ansia, mentre al tempo stesso, lo
sostiene mantenendo il contatto interpersonale. La tolleranza di questa percezione, in
precedenza insopportabile, è ora possibile a causa di questo reciproco rapporto emotivo.
Attraverso l’esperienza del Double Loop il cliente impara che le emozioni dolorose non
sono intollerabili di per sé -- ma è stata, piuttosto, l’associazione di quelle emozioni con
il senso iniziale di abbandono da parte dei genitori a renderle insopportabili.
L'obiettivo della terapia, quindi, è l'integrazione di affetti in conflitto. Quando il cliente
sperimenta la reintegrazione di questi sentimenti apparentemente negativi, egli sente
un’esplosione sorprendente di spontaneità, di autenticità e vitalità, una sensazione di
integrità del Sé - tali sentimenti sono l’espressione della ricostruzione del Vero Sé.
Questa ricostruzione si esprime con un maggiore flusso di energia nelle relazioni con gli
altri e con una minore preoccupazione per se stessi.
Con l'emergere del vero sé a poco a poco sperimentiamo la nascita di nuove amicizie e il
rafforzamento di vecchi e a lungo trascurati legami familiari.
Una Sottile Sincronia
Quando la Terapia incentrata sull’affetto funziona al meglio assistiamo ad una esperienza
correttiva. Essa avviene quando tra il cliente e il terapeuta si verifica quella sublime
sintonizzazione della sottile ed altamente sfumata comunicazione umana. Il terapeuta e il
cliente condividono un sapere implicito – quell’esperienza non-verbale, pre-esplicita, che
si verifica tra due persone quando riconoscono che "Io So che tu Sai che Io so. "
Analizzando le numerose registrazioni audio e video di reali sedute di psicoterapia
svoltesi nella mia clinica, ho visto il modo in cui emerge questa sottile sincronicità:
ciascuna persona nella diade terapeutica ha finalmente la sensazione di conoscere ciò che
l'altro sta cercando di esprimere. Stern offre l'esempio di due persone che si baciano: la
velocità, la direzione, l'angolo di approccio - tutti perfettamente coordinati per un
3
"atterraggio morbido" (senza schiacciare i denti) - è un miracolo di intimità psichica con
"la massima complessità" del pensiero, con l'intenzione e quindi con l’azione. Stern lo
dice in modo semplice:
"Le nostre menti non sono create separatamente, sono co-create. Il nostro sistema
nervoso è pronto per interagire con il sistema nervoso di altre persone, e ciò ci
trasforma."
La Psicoterapia è una seconda opportunità per integrare la propria vita emotiva. Nel
tentativo di spiegare come funziona questa seconda opportunità terapeutica attraverso il
modello della sublime sintonia, Stern parla dell'importanza di stabilire il tempo giusto per
"procedere" – le regole non scritte del ritmo, dell'intensità, dei movimenti che
caratterizzano l’interazione tra due persone. Egli osserva inoltre l'importanza della
"regolazione del campo", che è la valutazione della ricettività dell’altro con domande
come "Ti piaccio davvero?" e "Cosa sta succedendo tra di noi in questo momento?" Egli
è particolarmente interessato a ciò che chiama "il momento presente", vale a dire al
momento in cui l'intera cornice dell'immagine si modifica per zummare sulle due persone
nel momento in cui sperimentano il momento presente, il momento in cui vivono
un’intensa "presenza esistenziale".
Questi "istanti" sono caratterizzati da un’elevata ansietà e dalla sensazione che in qualche
modo, "questo momento sia importante", nel bene o nel male, nel rapporto. L’esposizione
personale e la vulnerabilità sono una parte fondamentale di questi momenti;
un‘eccitazione, un riconoscimento reciproco ad un livello più profondo e forse un
leggero, imbarazzato sorriso testimoniano questa talvolta imbarazzante vulnerabilità ed
esposizione personale. Questi momenti, che Martin Buber chiama "momenti di incontro"
non possono essere forzati ma il terapeuta può certamente, come dice Stern, "riuscire a
cogliere tali opportunità quando queste si profilano".
La descrizione di Stern della trama complessa di questi fondamentali momenti costituisce
il nostro Double Loop (Doppio Legame).
Due Affetti Binari: Affermazione e Vergogna
La terapia incentrata sull’affetto (AFT) ci aiuta a distinguere gli affetti "on" (che
collegano) dagli affetti "off" (che scollegano). Gli affetti che “scollegano” sono l'ansia, la
paura e la vergogna. Gli affetti che “collegano” sono la fiducia, l'empatia e l'amore.
Questa fondamentale distinzione "aperto/chiuso", descritta da Fosha come il “segnale
verde” rispetto al segnale "segnale rosso" è equivalente alla risposta neurologica
simpatica e a quella parasimpatica.
Operando la stessa distinzione, ma con parole diverse, Schore descrive l'apertura e la
sintonia affettiva in contrasto con una reazione “gelida”. La risposta gelida è molto simile
alla reazione di “vergogna” nella terapia riparativa - quando il ragazzo si sente umiliato
in riferimento alla sua mascolinità.
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I clienti hanno descritto questa esperienza di spostamento affettivo come:
esplosione - implosione
cuore aperto - cuore chiuso
gonfio - sgonfio
espansivo - costrittivo
La contrapposizione tra gli stati d’animo caratterizzati da vitalità e gli stati d’animo
inibitori è illustrata nel “Pike Phenomenon” - Fenomeno del Luccio - (Wolverton, 2005).
In un esperimento, un pesce luccio è posto in una vasca con alcuni pesciolini vivi. Il
luccio inizia subito a mangiare tutti i pesciolini che vede. Poi un cilindro di vetro
invisibile viene posizionato sopra il luccio, separandolo dai pesciolini. Ogni volta che il
luccio cerca di mangiare i pesciolini, colpisce il cilindro di vetro, e ciò gli provoca dolore.
Il cilindro viene poi rimosso ma il luccio, anticipando il dolore, non fa più alcun tentativo
di mangiare i pesciolini. La risposta energica (vitalità) è stata persa e sostituita con una
risposta inibita.
Il Pike Phenomenon illustra una risposta condizionata che inibisce una sana
affermazione. Nei nostri clienti l’affermazione di genere è stata inibita ed il sentimento di
vergogna anticipa tale inibizione.
“La vergogna anticipatrice” rappresenta un “flashback” somatico che devia il nostro
corpo in una modalità difensiva, di chiusura.
Arresto Emotivo a livello biologico
A volte è utile spiegare al cliente che la sua chiusura è una reazione fisiologica del corpo.
Questa spiegazione lo aiuta a comprendere le diverse risposte del suo corpo nel momento
in cui si verificano. Lo sviluppo di questo atteggiamento di attenzione nel cliente, mentre
osserva il suo corpo (non "se stesso", ma "il suo corpo") passare alla modalità di chiusura,
lo aiuta a rafforzare la sua Identità. L’osservazione del cliente della propria risposta
corporea è simile alle istruzioni che vengono impartite ripetutamente alle persone che si
sottopongono alla Terapia di Desensibilizzazione attraverso il Movimento dell’Occhio: si
chiede al cliente di “tornare su” e poi "lasciare andare" l'immagine traumatica.
Un altro termine per descrivere il “Momento di Vergogna” è “la risposta che congela",
quella in cui la persona perde la sua vitalità somatica e il corpo diventa rigido e duro. E’
simile al concetto freudiano di dissociazione, il primo fenomeno studiato nella storia
della psicoanalisi, che si verifica quando la persona anticipa nel presente la ricorrenza di
un trauma del passato. Nella dissociazione c'è una segmentazione "delle menti", ciascuna
con un proprio "gruppo di pensieri, sentimenti e ricordi" (Jung) strettamente connessi con
il corpo. Quando la persona è "in una mente" (un ammasso di ricordi incarnati), è difficile
per lui ricordare l'altra "mente", e se l’altra mente viene ricordata - vale a dire sentita nel
corpo - allora la persona ha già lasciato la prima mente.
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Ad esempio, quando una persona entra in un ristorante con una sensazione di fame,
sentendo il profumo del cibo, egli si trova in una "mente"; due ore più tardi, quando esce
dal ristorante dopo aver consumato la sua cena, egli si trova in una "mente" molto
diversa, ed è praticamente impossibile per lui ricatturare la totalità di quel precedente
stato di appetito ed anticipazione.
Un cliente mi ha riferito di essere partito con i suoi amici un fine settimana per una
vacanza in campeggio. Questa esperienza lo ha collocato in uno “Stato Assertivo” in cui
non riusciva a ricordare l'altra "mente", quella della tentazione omosessuale. La settimana
seguente, quando é rientrato nella “zona di vergogna” (la “mente” della tentazione
omosessuale) si é verificato l'opposto: non riusciva a ricordare lo Stato Assertivo.
Vergogna e Stato Assertivo
La terapia riparativa esamina attentamente gli stati dell’individuo, specialmente per
quanto riguarda lo scenario che precede il forte desiderio omosessuale. L'esperienza
simultanea di sentire con il corpo il sentimento di vergogna e, al tempo stesso, di
sperimentare l'accettazione e la comprensione del terapeuta con cui l’individuo è entrato
in sintonia, ha la funzione di diminuire la fisiologica "carica" di vergogna.
Quando i clienti si trovano nello “Stato Assertivo” riescono vagamente ricordare, ma non
possono sentire intensamente, le loro attrazioni omoerotiche. Quando scivolano nella
Postura della Vergogna, non riescono a ricordare come si sentivano quando non
provavano irresistibili sentimenti omoerotici.
La vergogna, come abbiamo notato, ha, come tutti gli altri stati dell’individuo, una
funzione evolutiva di sopravvivenza. Si tratta di un potente strumento di controllo
utilizzato dal "branco" per la socializzazione e per la sopravvivenza del gruppo - e quindi
dell'individuo. (La Vergogna, va osservato, è diversa dal senso di colpa - il senso di colpa
scaturisce da un giudizio negativo sul proprio comportamento mentre la vergogna è una
risposta fisiologica basica). Alcuni ricercatori ipotizzano che questa risposta autonoma di
vergogna possa costituire la base biologica della coscienza.
Lo “stato di vergogna” richiama alla mente il lavoro del mentore di Freud, Pierre Janet,
conosciuto come il padre della dissociazione. Janet ha gettato le basi per il lavoro di
Freud sull'isteria - in cui gli eventi passati, quando si svolgono al di fuori della coscienza,
conservano ancora un'influenza sul comportamento presente. La dissociazione
rappresenta il tentativo della mente di bloccare i ricordi di un'infanzia traumatica che
ancora, a livello inconscio, vengono percepiti come fortemente minacciosi.
Il Cambiamento Somatico conduce a un Nuovo Significato
La terapia riparativa si concentra sul lavoro sul corpo poiché abbiamo compreso che la
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mente inconscia tiene sepolta una "memoria del corpo" che opera senza coscienza
cognitiva. Il corpo non ci illude, ma la mente può farlo. Freud ha sintetizzato l'obiettivo
della psicoanalisi nel modo seguente "Dove era l’Id’*, lì ci sarà l’ego" (1933). Voleva
dire che la psicoanalisi sostituisce impulsi inconsci e irrazionali con la consapevolezza e
la razionalità. Possiamo rivedere questo dictum a proporre il seguente: "Dove c’è il
cambiamento somatico, lì vi sarà un nuovo significato", poiché la mente può fornirci una
nuova comprensione dei ricordi del corpo mentre questi vengono rivissuti.
Ecco un esempio: un uomo che si identifica come gay vede un maschio attraente e
sperimenta eccitazione sessuale. Il suo ragionamento è il seguente: "Sono sessualmente
attratto da lui perché sono gay. Questa attrazione é normale e naturale per me". Per
quest’uomo un maschio attraente è associato alla gratificazione sessuale ed egli crede che
tali sentimenti lo definiscano autenticamente.
Un omosessuale non-gay, invece, ha la stessa reazione somatica per lo stesso uomo
attraente, ma il suo ragionamento è molto diverso. Egli dice: "Sono attratto da quell'uomo
perché possiede qualità mascoline che io non ho dentro di me. Che cosa posso fare per
cambiare questa situazione?"
E’ questa la differenza essenziale tra l'uomo che si identifica come gay e la persona con
orientamento omosessuale non-gay - il loro modo di interpretare le risposte del proprio
corpo.
La persona con orientamento omosessuale non-gay sceglie di mettere in discussione ciò
che l'uomo gay da per scontato. L'uomo gay ritiene che questa attrazione rifletta la sua
vera identità.
Ma l’uomo "non-gay" considera quell’attrazione come un catalizzatore per chiedere a se
stesso: "Non si tratta solo di aspetto fisico. Che cosa sta accadendo “dentro di me” in
questo momento, che fa si che nascano questi sentimenti che contraddicono la mia vera
natura?"
Riferimenti
Fosha, Diana (2000). The Transforming Power of Affect: A Model for Accelerated
Change. N.Y.: Basic Books.
Freud, S. (1933). New introductory lectures on psychoanalysis. S.E., volume 22, p. 80.
Schore, A. (1991) "Early Superego development: The emergence of shame and
narcissistic affect regulation in the practicing period," Psychoanalysis and Contemporary
Thought, 14, 187-205.
Stern, D. (2002). "Why Do People Change in Psychotherapy?" Presentation. University
of California at Los Angeles, March 9, 2002; Continuing Education Seminars, 1023
Westholme Ave., Los Angeles, CA 90024.
Wolverton
Mountain
Enterprises,
2005,
www.wolvertonmountain.com/articles/pike.htm.
7
Traduzione di Patrizia
http://omosessualitaeidentita.blogspot.com/
8
PSICOLOGIA
Chi ha paura della terapia riparativa?
La terapia riparativa è, per sé,
dannosa?
È quello che sostengono le associazioni gay1, ripetendolo come
se fosse un fatto, una verità assodata e incontrovertibile, al punto
da non ritenere necessario fornire
elementi che possano fornire un
sostegno o una verifica di tale affermazione.
Dovrebbe essere semplicissimo
trovare testimonianze o studi
scientifici che dimostrino, senza
lasciare spiragli al dubbio, che la
terapia cosiddetta riparativa provoca per sé, direttamente, dei
danni a chi liberamente vi si sottopone. Purtroppo non è così facile trovare materiale e riferimenti per vagliare questa tesi.
Tanto che, quando su You-tube2 è
comparso un filmato3 nel quale
un ex paziente del dottor Joseph
Nicolosi4 racconta la sua esperienza di fallimento della terapia
riparativa, ha suscitato notevole
clamore. Se questa è la norma,
perché tanto entusiasmo?
Un filmato
su You Tube
Il filmato è stato realizzato in
collaborazione con due bloggers
gay italiani5, e l’ex paziente è
Daniel Gonzales, tra i coautori
del sito Ex-Gay Watch6, nato con
lo scopo di smascherare le sempre più numerose testimonianze
di persone che hanno cambiato
orientamento sessuale. Pur essendo una unica testimonianza –
e non uno studio a tappeto sui pazienti del dottor Nicolosi –, per di
più da parte di un attivista gay,
questo filmato è stato considera-
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to la «prova» che la terapia riparativa non funziona. Ovviamente,
è assurdo, dal punto di vista logico, affermare che un tipo di terapia «non funziona» basandosi su
un solo insuccesso7: a nessun tipo di trattamento clinico medico
o psicoterapeutico è chiesta una
efficacia del cento per cento; anche l’aspirina a volte non funziona. Inoltre, lo stesso Nicolosi afferma che «questa terapia non è
adatta a tutti gli omosessuali»8 e,
in un suo libro di casi clinici, riporta – atteggiamento tanto encomiabile quanto poco diffuso – un
caso di fallimento terapeutico9.
Cura & fede
Gonzales racconta, con toni accorati, del fallimento della sua terapia, e conclude la sua testimonianza con il danno che la terapia
riparativa gli avrebbe causato:
«Ma la cosa più tragica è stata la
perdita della fede». Pur non
avendo in sé alcuna rilevanza clinica, la perdita della propria fede
religiosa è senz’altro un dramma
ma, anche se non chiarisce il nesso tra la perdita della fede e il fallimento della terapia riparativa,
sul punto Gonzales è chiaro: è
stato l’esito negativo del trattamento a causargli la perdita della
fede, non è stata la terapia riparativa in sé. Se dovessimo negare ai
pazienti un trattamento psicoterapeutico perché, in caso di eventuale fallimento, si troverebbero
ad affrontare il senso di delusione, avremmo decretato la fine
della psicoterapia, e di qualsiasi
altra attività di cura. La cosa
paradossale è che Gonzales, con
la sua testimonianza, sembra
confermare una di quelle che lui
chiama le «grandi bugie che portano le persone verso la terapia
ex-gay», ossia «che non si può
essere gay e cristiani».
Un raro – se non unico – esempio
di pubblicazione clinica nella
quale è possibile trovare qualche
riferimento in seguito all’affermazione della pericolosità della
terapia riparativa è costituito da
un capitolo10 – a dire la verità
piuttosto imbarazzante per virulenza ideologica, ai limiti del delirio persecutorio – dedicato alla
terapia cosiddetta «riparativa»
scritto dallo psichiatra gay Paolo
Rigliano.
L’autore fa riferimento, in una
nota, a sei lavori che dovrebbero
dimostrare le sue affermazioni;
eppure, passando in rassegna gli
articoli citati, si viene colti da un
senso di delusione.
Pubblicazioni
& attivisti Gay
1. Lee Beckstead, psicoterapeuta
gay, riporta11 gli esiti di due ricerche da lui condotte nel corso
delle quali ha intervistato 50 persone (45 uomini e 5 donne), appartenenti alla comunità mormone dello Utah, i quali si erano sottoposti a terapie riparative. Secondo quanto rilevato da Beckstead, 20 di queste persone riferivano un cambiamento di orientamento sessuale da omosessuale a
eterosessuale. Beckstead, alla fine del suo articolo, fa un breve
accenno, senza citare alcun dato,
ad «aumento di odio di sé, perdi-
ta della speranza, e paura, la quale ha indotto alcuni partecipanti a
tentare il suicidio»12, attribuendo
queste sensazioni negative non
tanto alla terapia riparativa in sé,
quanto al suo fallimento.
2. Martin Duberman è professore
di storia presso la City University
of New York e attivista gay. Nel
1992 ha pubblicato, con il titolo
Cures: a gay man’s odyssey13, il
diario che ha tenuto fin da quando aveva diciassette anni. Nel
2001, la rivista Journal of Gay
and Lesbian Psychotherapy ha
pubblicato alcuni stralci14 del suo
libro di memorie. In questi brani
Duberman narra di due tentativi
di terapia riparativa, di diverse
relazioni omosessuali e di vari
problemi clinici, come depressione, ansia, epatite, herpes, non direttamente imputabili (soprattutto gli ultimi due) alla terapia riparativa.
3. Douglas Haldeman, psicologo,
è un attivista gay. Nel suo articolo15, Haldeman sostiene – senza
sentire il bisogno di dare riferimenti che permettano di verificare le sue tesi – che il fallimento
della terapia riparativa (e non la
terapia in sé), «può essere denso»16 di conseguenze emotive,
per esempio «depressione, disfunzioni sessuali e turbamenti
religiosi e spirituali»17. Nello
stesso articolo, tuttavia, l’autore
aggiunge: «Non tutti i soggetti
sembrano essere stati danneggiati dalla terapia riparativa. Non è
infrequente, infatti, che alcuni riportino che un tentativo riparativo fallito ha avuto un particolare,
indiretto effetto benefico»18; e
più avanti aggiunge che ciò che
ha scritto «…non è per sostenere
che tutte le terapie riparative siano pericolose, o che le professioni della salute mentale debbano
tentare di fermarle»19.
4. Lawrence Hartmann sostiene,
in un breve articolo20, che «molti
professionisti della salute mentale che conosco considerano che
la semi-autorizzata esistenza della “terapia riparativa” probabilmente danneggia milioni di persone gay non sottoposte a trattamento»21; e aggiunge: «Persino
se la “terapia riparativa” aiuta
qualcuno in qualche modo, quasi
certamente danneggia un numero
di persone molto maggiore»22.
Escludendo che Hartmann intenda auspicare che un numero molto maggiore di persone con tendenze omosessuali si sottoponga
alla terapia riparativa di quanti lo
abbiano fatto finora, evidentemente l’autore desidera fare riferimento a un non meglio definito
«danno politico», «probabilmente»23 arrecato dall’esistenza della
terapia riparativa alle battaglie
degli attivisti gay. Questo, tuttavia, ha poco a che fare con eventuali danni direttamente inflitti a
persone che si sono sottoposte alla terapia riparativa.
5. Quello di Richard Isay, psicoanalista gay tra i principali riferimenti della Gay Affirmative Therapy (Gat) – che porta ad accettare le tendenze omosessuali indesiderate come innate, «naturali»
e immodificabili – è il secondo
racconto di esperienza personale
citato da Rigliano, dopo quello di
Duberman. Il suo racconto24 non
è particolarmente illuminante a
proposito di eventuali possibili
danni causati direttamente dalla
terapia riparativa, ma è molto interessante per capire le dinamiche soggiacenti le pulsioni omosessuali: distacco dal padre, senso di inferiorità nei confronti di
altri ragazzi, bassa autostima...
6. Michael Schroeder e Ariel
Shidlo hanno intervistato 150
persone che si erano sottoposte a
una terapia riparativa, utilizzando il metodo del self-report retrospettivo. Il titolo originale della
ricerca era «Terapie omofobiche:
documentando il danno»25; l’obiettivo iniziale dei due autori era
quello – certamente non neutrale
– di «...documentare effetti negativi o danni delle terapie riparati-
ve»26. Lo studio era finanziato da
una associazione di professionisti
della salute mentale gay, la National Lesbian and Gay Health
Association, e da una associazione che si batte per la promozione
di diritti gay e lesbici, la National
Gay and Lesbian Task Force27;
inoltre, non si può dire che il
campione fosse certamente rappresentativo: i ricercatori reclutarono i soggetti con un annuncio –
pubblicato su siti e riviste gay –,
che recitava: «Aiutateci a documentare i danni delle terapie
omofobiche!»28. Dopo le prime
interviste, tuttavia, i due autori si
accorsero di qualcosa di inaspettato: «...abbiamo scoperto che alcuni partecipanti che riportavano
la sensazione di essere stati feriti,
riportavano anche quella di essere stati aiutati»29; inoltre «Siamo
stati contattati da partecipanti che
riportavano esclusivamente benefici positivi»30. Fu così che decisero di cambiare il titolo della
ricerca con un più neutro «Cambiare l’orientamento sessuale:
funziona?», e decisero di approfondire gli aspetti deontologici
sperimentati dai pazienti nel corso delle terapie riparative.
Prove
apparenti
In definitiva, le referenze indicate dal dottor Rigliano – in parte
aneddotiche – sono ben lontane
dal dimostrare qualsiasi eventuale danno causato direttamente
dalla terapia riparativa a coloro
che vi si sottopongono.
Viene spesso citato, a sostegno
della tesi che afferma la pericolosità della terapia riparativa, il documento denominato Position
Statement on Therapies Focused
on Attempts to Change Sexual
Orientation31, dell’American Psychiatric Association (Apa). In
realtà, in questo documento, si
legge: «Attualmente, non ci sono
risultati scientifici scientificamente rigorosi che determinino
sia l’attuale efficacia che la peri-
507
colosità dei trattamenti riparativi»32. Il documento si chiude con
queste parole: «L’Apa incoraggia
e sostiene la ricerca da parte del
National Institute of Menthal
Health (Nimh) e della comunità
accademica che si occupa di ricerca per indagare ulteriormente
sui rischi e i benefici della terapia
riparativa»33.
La possibilità
di cambiare
Per rispondere a quest’appello, il
dottor Robert Spitzer – celebre
per aver deliberato, negli anni
‘70, l’eliminazione dell’omosessualità dal manuale diagnostico
dell’Apa – decise di intervistare
200 persone (143 uomini e 57
donne) che si erano sottoposte a
terapia riparativa almeno cinque
anni prima; la maggior parte degli intervistati, che prima del trattamento avevano un orientamento esclusivamente omosessuale,
non riportavano più attrazione
per lo stesso sesso34.
Ovviamente, questo studio venne
attaccato ferocemente dalla comunità gay, e Spitzer, che fino alla pubblicazione del suo lavoro,
era considerato una icona da parte del movimento per i diritti
omosessuali, venne additato come omofobo. Certo, il suo studio
era retrospettivo anziché prospettivo, e non era longitudinale (come quelli di Beckstead, Schroeder e Shidlo); ha esaminato un
campione auto-selezionato (ancora una volta, come hanno fatto
Schroeder e Shidlo); sono certamente difetti in una ricerca, ma,
in assoluto, difficilmente aggirabili. Tuttavia è bene ricordare che
Spitzer non aveva intenzione di
condurre uno studio prospettivo
sull’efficacia del trattamento, ma
semplicemente rispondere alla
domanda «Il cambiamento è possibile?»; e anche un solo caso documentato di cambiamento confuta l’affermazione secondo la
quale il cambiamento non è mai
possibile35.
508
Oltre a dimostrare la possibilità
del cambiamento, Spitzer indagò anche possibili danni causati
dalla terapia riparativa: «Per i
partecipanti il nostro studio, non
c’è evidenza di danno. Al contrario, essi riferiscono che [la terapia] è stata utile in molti modi
oltre al cambiamento di orientamento in sé»36.
Oltre al già citato documento dell’American Psychiatric Association, viene spesso citato a sostegno della pericolosità della terapia riparativa anche il documento
dell’American Psychological Association, intitolato Appropriate
Therapeutic Responses to Sexual
Orientation37. In questo documento si legge: «Considerato che
l’etica, l’efficacia, i benefici e il
potenziale danno delle terapie
che cercano di ridurre o eliminare l’orientamento omosessuale
sono oggetto di un dibattito in atto nella letteratura professionale
e sui media popolari [...]», locuzione che, di per sé, non è una
presa di posizione a sostegno della tesi secondo la quale la terapia
riparativa sarebbe pericolosa.
Spitzer, Jones
& Yarhouse
Questa affermazione è corredata
da una nota con tre riferimenti
(«Davison, 1991; Haldeman,
1994; Wall Street Journal,
1997»): come notano Stanton Jones e Marc Yarhouse, «I riferimenti inseriti nella risoluzione
[...] rimandano ad articoli concettuali o d’opinione dove autori individuali esprimono il loro punto
di vista per concludere che tali
terapie causano danno, o riferiscono aneddoti circa persone che
conoscono o che hanno sentito
lamentarsi di essere stati danneggiati da tali interventi. In ogni
modo, alcuna evidenza scientifica di qualsivoglia danno è prodotta per sostenere l’affermazione che questi interventi causano
danno»38.
Come Spitzer nei confronti del-
l’invito dell’American Psychiatric Association, anche Jones e
Yarhouse hanno voluto dare il loro contributo verificando le affermazioni dell’American Psychological Association39. Hanno
messo a punto uno studio che
fosse in grado fornire le maggiori garanzie di scientificità, attraverso un disegno sperimentale
prospettivo, longitudinale, con
un campione ampio e rappresentativo della popolazione studiata
e che utilizzasse i migliori strumenti di misura multifattoriali.
Hanno così selezionato 98 soggetti (72 uomini e 26 donne) prima che si sottoponessero al trattamento, per intervistarli tre volte, dopo il trattamento, dal 2000
al 2003, e utilizzando una serie di
strumenti in grado di valutare l’identificazione di sé (come eterosessuale, bisessuale o eterosessuale), l’orientamento sessuale e
il comportamento sessuale.
Il benessere
confermato
I soggetti hanno riportato un
cambiamento favorevole nel
38% dei casi, un cambiamento in
process per il 29% e nessun cambiamento per il 33%. Jones e Yarhouse hanno anche studiato
eventuali danni provocati dalla
terapia riparativa, partendo dall’ipotesi sperimentale che questo
tipo di lavoro clinico sia dannoso. Per rilevare i danni attesi, gli
autori della ricerca si sono affidati a uno strumento standardizzato
in grado di rilevare il disagio psicologico (il Sympton Check List90-Revised); hanno verificato
eventuali «danni spirituali» (come quello riportato da Gonzales)
attraverso la Spiritual Well-Being
Scale e la Faith Maturity Scale;
infine, hanno voluto analizzare i
dati secondo la peggiore condizione sperimentale connessa all’ipotesi: se la terapia riparativa è
dannosa, il livello di benessere
del campione dovrebbe risultare
più basso eliminando dall’analisi
dei dati i soggetti che hanno abbandonato la terapia. I risultati
della ricerca hanno disconfermato completamente l’ipotesi sperimentale: non solo gli autori non
hanno riscontrato alcun danno,
ma al contrario la terapia riparativa risulta correlata positivamente con un incremento del benessere generale, sia psicologico
che spirituale (in sintonia con gli
esiti riscontrati da Spitzer).
Allarme nel mondo
dei gay
Come si evince dal materiale
analizzato, non esiste alcuna evidenza scientifica della pericolosità della terapia riparativa. I riferimenti che dovrebbero dimostrare
tale pericolosità riguardano aneddoti riportati da delusi della terapia riparativa40, oppure allarmi
provenienti dall’ambiente gay. È
bene ricordare che il termine gay,
sebbene usato impropriamente
per indicare tutte le persone con
tendenze omosessuali, in realtà
riguarda una minoranza di queste, ideologizzata41 e identificata
con una cultura e uno stile di vita42. Soprattutto queste fonti
sembrano intendere il presunto
danno provocato dalla terapia riparativa come «pericolosità sociale», confermando così la loro
natura ideologica: «Commetteremmo un grave errore se sottovalutassimo l’estremo pericolo
rappresentato dalla diffusione
delle terapie riparative. Esse rispondono a esigenze, strategie,
forze e strutture diffuse refrattarie al cambiamento e, soprattutto,
portatrici di valori, certezze, ordine, rassicurazioni, valorizzazioni di sé. Tutt’altro che sprovveduti e inermi, i terapeuti che
vogliono convertire gli omosessuali esprimono l’opposizione
formidabile alla modernità e alla
democrazia affettiva [sic] di ampi settori della popolazione, soprattutto statunitense, ispirati dai
valori fondamentali della fede,
del sacro e della giustezza di una
natura concepita sempre secondo
particolari schemi trasmessi da
una determinata interpretazione
della tradizione. [...] I difensori
della conversione non si limitano
a presentare nella nuova forma di
una ricerca scientifica sbagliata il
pensiero persecutorio di sempre,
ma rispondono a un disegno lucido e lungimirante. Essi vogliono
lanciare una sfida fondamentalista al pluralismo, alla diversità, al
processo di liberazione dalla morale monolitica, imponendo alla
sfera politico-legislativa di restaurare l’Ordine sacro e naturale. Il fine è impedire che si esprima, anche in sede legislativa, la
democrazia affettiva [sic] che oggi rappresenta il vero, nuovo
fronte della liberazione gay e lesbica – cioè, semplicemente
umana»43. Chi volesse lasciare
alle sedi appropriate il dibattito
politico-ideologico sulla «democrazia affettiva» e occuparsi del
benessere delle persone, non
mancherà di porsi gli stessi
preoccupati interrogativi ai quali
abbiamo voluto rispondere a proposito della terapia riparativa in
merito a un altro tipo di terapia
che riguarda le persone con tendenze omosessuali: la Gay Affirmative Therapy.
Identità & norma
La Gay Affirmative Therapy
(Gat) è guidata «dalla convinzione che l’omosessualità è una condizione assolutamente normale e
naturale. Il suo obiettivo clinico
essenziale deve essere quello di
aiutare la paziente [o il paziente]
a liberarsi il più possibile dai
conflitti che interferiscono con la
sua capacità di vivere una vita
gratificante in conciliazione con
la propria identità»44.
Contrariamente a ciò che succede
nei confronti della terapia riparativa, nessuno denuncia il fatto
che la Gat incoraggia le persone
con tendenze omosessuali ad assumere una identità e uno stile di
vita che è ampiamente dimostrato essere pericoloso.
Rispetto agli eterosessuali, le
persone con tendenze omosessuali sono più facilmente soggetti a depressione maggiore45, ideazione suicidaria46, disturbo d’ansia generalizzato, abuso di sostanze, disordine bordeline di
personalità47, schizofrenia48, disturbo narcisistico di personalità49. La ricerca più conosciuta
circa la suicidalità omosessuale è
quella di Remafredi, che ha dimostrato come i tentativi di suicidio nella popolazione giovanile
siano più frequenti tra soggetti
omosessuali che tra eterosessuali: tra gli uomini ha tentato di togliersi la vita il 28% dei soggetti
omosessuali rispetto al 4% dei
soggetti eterosessuali, e tra le
donne il 20% contro il 15%50.
Una maggior incidenza di pensieri suicidari e tentativi di suicidio sono stati riscontrati anche
tra la popolazione gay e lesbica
in Italia: «...un terzo dei gay e un
quarto delle lesbiche italiane
hanno pensato qualche volta a
[sic] togliersi la vita e che il 6%
ha provato a farlo [...]. Mancano
dati che permettano un confronto
rigoroso fra la popolazione omosessuale e quella eterosessuale.
Ma quelli disponibili fanno pensare che, come avviene negli Stati Uniti, i tentativi di suicidio siano più frequenti fra gli omosessuali che fra gli eterosessuali e
che le differenze siano più forti
nel caso dei gay che in quello
delle lesbiche»51.
Omosessualità
& suicidio
La lettura assiomatica che gli attivisti gay fanno di questi inconfutabili dati è univoca: è colpa
dell’omofobia52.
La ricerca scientifica sembra, però, dimostrare altro.
Un importante studio53 ha confermato il malessere psichico
della popolazione omosessuale:
«I disturbi psichiatrici sono risul-
509
Le donne omosessuali hanno
avuto, nell’ultimo anno, una maggior prevalenza di disturbi da utilizzo di sostanze rispetto alle donne eterosessuali. Nel corso della
vita gli indici di prevalenza riflet-
tono identiche differenze, con
l’eccezione dei disturbi dell’umore, che sono stati osservati più
frequentemente nelle donne omosessuali piuttosto che in quelle
eterosessuali. […] I risultati supportano l’ipotesi che le persone
con comportamenti sessuali omosessuali corrono rischi maggiori
per disturbi psichiatrici».
Questo studio è particolarmente
significativo perché è stato condotto su un enorme numero di
soggetti: oltre settemila (7.076),
tra i 18 e i 64 anni.
Presenta inoltre una particolarità
che lo rende decisamente interessante: è stato condotto in Olanda,
Paese nel quale, per ammissione
degli stessi autori, «il clima so-
ciale nei confronti dell’omosessualità è da tempo e rimane considerevolmente più tollerante» rispetto a quello di altri Stati.
In altri termini, persino in un
Paese dove la cosiddetta «omofobia» è inesistente, le persone
con tendenze omosessuali presentano un livello di benessere
considerevolmente inferiore
agli eterosessuali.
La ricerca è stata replicata qualche anno più tardi54, e ha (nuovamente) evidenziato che l’omosessualità è significativamente
correlata con suicidalità e disturbi mentali; nuovamente, gli autori sottolineano che «persino in un
paese con un clima relativamente
tollerante nei confronti dell’omo-
Le parole «omosessuale» e gay non sono sinonimi. Mentre la prima indica una
persona attratta in modo prevalente e stabile dalle persone del proprio sesso, la
parola gay indica una persona che ha fatto della sua inclinazione una identità socio-politica, fonte di particolari diritti. I
gay rappresentano una minoranza, seppur evidente e chiassosa, delle persone
con tendenze omosessuali.
2 Sito che permette la condivisione di filmati: http://www.youtube.com/, consultato il 25/06/08.
3 http://www.youtube.com/watch?v=f0f
HtCaubd8, consultato il 25/06/08.
4 Joseph Nicolosi, psicoterapeuta statunitense, tra i fondatori del Narth (National
Association for Research and Therapy of
Homosexuality.
cfr http://www.narth.com/index.html, consultato il 13 luglio 2008.
5 http://unvotogay.blogspot.com/2007/03
/paziente-di-nicolosi-la-terapia-per.html;
http://daw.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=1413240, consultati il 13 luglio
2008.
6 http://www.exgaywatch.com/wp/, consultato il 13 luglio 2008.
7 In rete esistono anche testimonianze di
persone che hanno cambiato orientamento sessuale; per esempio http://www.youtube.com/watch?v=6G-nB4-XBGY, consultato il 13 luglio 2008.
8 Joseph Nicolosi, Oltre l’omosessualità.
Ascolto terapeutico e trasformazione, San
Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2007, p. 15.
9 Cfr ivi, pp. 151-168.
10 Paolo Rigliano, Le terapie riparative
tra presunzioni curative e persecuzione,
in P. Rigliano, Margherita Graglia (a cura di), Gay e lesbiche in psicoterapia,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2006,
pp. 143-207.
11 A. Lee Beckstead, Understanding the
Self-Reports of Reparative Therapy «successes», in «Archives of Sexual Behavior», vol. 32, n. 5, pp. 421-423; in Jack
Drescher, Kenneth J. Zucker, Ex-gay Research. Analyzing the Spitzer Study and
Its Relation to Science, Religion, Politics,
and Culture, Harrington Park Press, New
York (Ny) 2006, pp. 75-81.
12 Ivi, p. 79.
13 Martin Duberman, Cures: a gay man’s
odyssey, Plume, New York (Ny) 1992.
14 M. Duberman, Excerpts from Cures: a
gay man’s odyssey, in «Journal of Gay
and Lesbian Psychotherapy», vol. 5, n. 34, 2001, pp. 37-50; in Ariel Shidlo, Michael Schroeder, Jack Drescher, Sexual
conversion therapy. Ethical, clinical and
research perspectives, The Haworth Medical Press, Binghamton (Ny) 2001, pp.
37-50.
15 Douglas C. Haldeman, Therapeutic
Antidotes: Helping Gay and Bisexual
Men Recover from Conversion Therapy,
in «Journal of Gay and Lesbian Psychotherapy», vol. 5, n. 3-4, 2001, pp. 117130; in A. Shidlo, M. Schroeder, J. Drescher, Sexual conversion therapy. Ethical, clinical and research perspectives,
op. cit., pp. 117-130.
16 Ivi, p. 120.
17 Ivi.
18 Ivi, p. 120.
19 Ivi, p. 128.
20 Lawrence Hartmann, Too Flawed: Don’t Publish, in «Archives of Sexual Behavior», vol. 32, n. 5, pp. 436-438; in J.
Drescher, K. J. Zucker, Ex-gay Research.
Analyzing the Spitzer Study and Its Relation to Science, Religion, Politics, and
Culture, op. cit., pp. 125-129.
21 Ivi, p. 127.
22 Ivi.
Ivi.
Richard A. Isay, Becoming Gay: A
Personal Odyssey, in «Journal of Gay
and Lesbian Psychotherapy», vol. 5, n. 34, 2001, pp. 51-67; in A. Shidlo, M.
Schroeder, J. Drescher, Sexual conversion therapy. Ethical, clinical and research perspectives, op. cit., pp. 51-67.
25 M. Schroeder, A. Shidlo, Ethical Issues in Sexual Orientation Conversion
Therapies: An Empirical Study of Consumers, in «Journal of Gay and Lesbian
Psychotherapy», vol. 5, n. 3-4, 2001, pp.
131-166; in A. Shidlo, M. Schroeder, J.
Drescher, Sexual conversion therapy.
Ethical, clinical and research perspectives, op. cit., p. 135.
26 Ivi.
27 Ivi.
28 http://www.narth.com/docs/PhelanReportSummaryFact.pdf, consultato il
25/06/08; cfr Stanton L. Jones, Mark A.
Yarhouse, Ex-gays? A Longitudinal
Study of Religiously Mediated Change in
Sexual Orientation, InterVarsity Press,
Downers Grove (Il) 2007, p. 84.
29 Ivi.
30 Ivi.
31 Commission on Psychotherapy by
Psychiatrists (Copp), American Psychiatric Association, Position Statement on
Therapies Focused on Attempts to Change Sexual Orientation, in «American
Journal of Psychiatry» n. 157, 2000, pp.
1719-1721.
32 Ivi.
33 Ivi.
34 Robert L. Spitzer, Can Some Gay Men
and Lesbians Change Their Sexual
Orientation? 200 Participants Reporting
a Change from Homosexual to Heterosexual Orientation, in «Archives of Sexual
Behavior», vol. 32, n. 5, pp. 403-417; in
tati prevalenti tra la popolazione
omosessualmente attiva piuttosto
che in quella eterosessualmente
attiva. Gli uomini omosessuali
hanno avuto, nell’ultimo anno,
una prevalenza maggiore di disturbi dell’umore e di disturbi ansiosi rispetto agli uomini eterosessuali.
Gli indici
di prevalenza
1
510
23
24
sessualità, gli uomini omosessuali sono esposti ad un rischio suicidarlo molto più elevato rispetto
agli uomini eterosessuali»55.
Un dogma
in pericolo
In conclusione, si ribadisce che
non esiste, al momento, alcuna
evidenza scientifica della pericolosità della terapia riparativa, anzi: questo tipo di terapia sembra
associata a un certo aumento di
benessere nei soggetti che vi si
sottopongono.
L’avversione nei suoi confronti
dimostrata da parte del movimento gay, sembra giustificata non
J. Drescher, K. J. Zucker, Ex-gay Research. Analyzing the Spitzer Study and
Its Relation to Science, Religion, Politics, and Culture, op. cit., pp. 35-63.
35 Cfr S. L. Jones, M. A. Yarhouse, Exgays? A Longitudinal Study of Religiously Mediated Change in Sexual
Orientation, op. cit., p. 91.
36 R. L. Spitzer, Can Some Gay Men and
Lesbians Change Their Sexual Orientation? 200 Participants Reporting a
Change from Homosexual to Heterosexual Orientation, op. cit.; in J. Drescher,
K. J. Zucker, Ex-gay Research. Analyzing the Spitzer Study and Its Relation to
Science, Religion, Politics, and Culture,
op. cit., p. 57.
37 http://www.apa.org/pi/lgbc/policy/appropriate.html, consultato il 13 luglio
2008.
38 S. L. Jones, M. A. Yarhouse, Ex-gays?
A Longitudinal Study of Religiously Mediated Change in Sexual Orientation, op.
cit., p. 101.
39 Ivi.
40 «Le narrative degli ex hanno un loro
posto nello studio di qualsiasi gruppo religioso o sociale: a patto però – come
hanno chiarito fra gli altri gli studi di David Bromley e di Bryan R. Wilson – di
considerarle come narrative socialmente
costruite da apostati il cui genere letterario è normalmente la storia di atrocità.
L’ex ha diritto al rispetto e a fare intendere la sua voce, ma un’opera che si pretende scientifica dovrà mettere a confronto la sua narrativa con quelle di altri
(coloro che nella comunità sono rimasti e
si trovano bene, le persone che intessono
con la comunità a titolo diverso relazioni
sociali, gli osservatori esterni) e non pretenderà di ricavare la verità dall’uso ossessivo di questo solo tipo di narrativa.
tanto dal tentativo di proteggere
la popolazione omosessuale da
eventuali rischi (la Gat, che incoraggia ad abbracciare uno stile di
vita evidentemente pericoloso,
viene da essi sostenuta e diffusa),
bensì da quello di togliere di mezzo la più evidente dimostrazione
della falsità di uno dei dogmi gay:
l’immutabilità (e quindi la «naturalità») dell’omosessualità.
La denuncia della pericolosità
della terapia riparativa può quindi essere rubricata come terrorismo psicologico ideologicamente fondato, del quale le prime vittime sono le persone con tendenze omosessuali.
Roberto Marchesini
Per sapere se le navi normalmente conducono in porto non è saggio chiedere la
loro opinione soltanto ai naufraghi»
(http://www.cesnur.org/testi/naufraghi.ht
ml, consultato il 18/07/2008).
41 Cfr Marshall Kirk, Hunter Madsen, After the ball. How America will conquer
its fear & hatred of Gays in the 90’s, Plume, New York 1990; cfr Roberto Marchesini, «After the ball»: un progetto
«gay» dopo il baccanale, in «Cristianità», n. 327, gennaio-febbraio 2005, pp. 711.
42 Cfr S. L. Jones, M. A. Yarhouse, Exgays? A Longitudinal Study of Religiously Mediated Change in Sexual
Orientation, op. cit., p. 32.
43 P. Rigliano, Le terapie riparative tra
presunzioni curative e persecuzione, in P.
Rigliano, M. Graglia (a cura di), Gay e
lesbiche in psicoterapia, op. cit., p. 201.
44 Antonella Montano, Psicoterapia con
clienti omosessuali, McGraw-Hill, Milano 2000, p. 137. Cfr Roberto Del Favero,
Maurizio Palomba, Identità diverse. Psicologia delle omosessualità. Counselling
e psicoterapia per gay e lesbiche, Edizioni Kappa, Roma 1996.
45 D. Fergusson, L. Horwood, A. Beautrais, Is sexual orientation related to
mental health problems and suicidality in
young people?, in «Archieves of General
Psychiatry», vol. 56, n. 10, 1999, pp.
876-888. Fergusson ha dimostrato che
soggetti gay, lesbiche e bisessuali hanno
tassi significativamente superiori, rispetto al campione eterosessuale, di ideazioni suicidarie (67,9% contro 29,0%), tentativi di suicidio (32,1% contro 7,1%) e,
tra i 14 e i 21 anni, di disordini psichiatrici (depressione maggiore 71,4% contro
38,2%, disturbo d’ansia generalizzata
28,5% contro 12,5%, disturbo della con-
dotta 32,1% contro 11,0%, dipendenza
da nicotina 64,3% contro 26,7%, abuso e
dipendenza da altre sostanze 60,7% contro 44,3%).
46 R. Herrell, J. Goldberg, W. True, V.
Ramakrishan, M. Lyons, S. Eisen, M.
Tsuang, A co-twin control study in adult
men: sexual orientation and suicidality,
in «Archieves of General Psychiatry»,
vol. 56, n. 10, 1999, pp. 867-874.
47 J. Parris, H. Zweig-Frank, J. Guzder,
Psychological factors associated with
homosexuality in males with bordeline
personality disorder, in «Journal of Personality Disorder», vol. 9, n. 11, 1995,
pp. 56-61 («È interessante notare che 3
pazienti borderline omosessuali su 10 riferiscono anche di incesti padre-figlio»,
p. 59); G. Zubenko, A. George, P. Soloff,
P. Schulz, Sexual practices among patients with borderline personality disorder, in «American Journal of
Psychiatry», vol. 144, n. 6, 1987, pp.
748-752 («L’omosessualità era dieci volte più frequente tra gli uomini e sei volte
tra le donne con disordine borderline di
personalità piuttosto che nella popolazione generale o in un gruppo di controllo
con soggetti depressi», p. 748).
48 John C. Gonsiorek, The use of diagnostic concepts in working with gay and lesbian populations, in Homosexuality and
Psychoterapy, Haworth, New York (Ny)
1982, pp. 9-20.
49 Gustav Bychowsky, The structure of
homosexual acting out, in «Psychoanalytic Quarterly», n. 23, 1954, pp. 48-61; E.
Kaplan, Homosexuality: A search for the
ego-ideal, in «Archieves of General
Psychology», n. 16, 1967, pp. 355-358.
50 Gary Remafredi, Risk factors for attempted suicide in gay and bisexual
youth, in «Pediatrics», 1991, pp. 869875.
51 Marzio Barbagli, Asher Colombo,
Omosessuali moderni. Gay e lesbiche in
Italia, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 6162. Cfr Chiara Bertone, Alessandro Casiccia, Chiara Saraceno, Paola Torrioni,
Diversi da chi? Gay, lesbiche, transessuali in un’area metropolitana, Guerini e
associati, Milano 2003, pp. 195-197.
52 Cfr R. Marchesini, Il feticcio (omosessuale) dell’omofobia, in «Studi cattolici», n. 528, febbraio 2005, pp. 112-116.
53 Theo G. M. Sandfort, Ron de Graaf,
Rob V. Bijl, Paul Schnabel, Same-Sex Sexual Behaviour and Psychiatric Disorders, «Archives of General Psychiatry»,
vol. 58, gennaio 2001, pp. 85-91.
54 Ron de Graaf, Theo G. M. Sandfort,
Margreet ten Have, Suicidality and Sexual Orientation: Differences Between
Men and Women in a General Population-Based Sample From The Netherlands, «Archives of Sexual Behavior»,
vol. 35, n. 3, 1 giugno 2006, pp. 253-262.
55 La ricerca ha preso in considerazione
anche l’effetto interattivo della «discriminazione percepita».
511
Poterzio psicoterapia.qxp
29/09/2009
12.38
Pagina 600
PSICOLOGIA
Terapia riparativa: riparare che cosa?
La documentata e accurata ricerca di Roberto Marchesini sulle
terapie riparative (Studi cattolici
n. 581/82: «Chi ha paura della terapia riparativa?») merita ancora
uno sguardo più ampio sul significato e sui metodi delle terapie
riparative, ma soprattutto sulla
posizione del terapeuta (psicoanalista, psicologo o psichiatra
che sia) di fronte ai problemi
scientifici, antropologici e morali
che una tale terapia e una tale tipologia di utenti propone.
Alcune
premesse
l Possiamo davvero imputare
all’«omofobia interiorizzata» l’unica ragione di una ego-distonia
(o disagio che dir si voglia) rispetto all’orientamento omosessuale?
Così in effetti si sostiene da molte
parti anche in àmbito scientifico,
ma per molti omosessuali il loro
orientamento è una inattesa scoperta fatta ancor bambini o preadolescenti che determina gli stessi
sentimenti di diversità e di estraneità di una malformazione fisica
o di un’incapacità sociale qualsiasi (non riuscire a far ginnastica,
parlare senza difetti di pronuncia,
venire assaliti da invincibili timidezze, avere un tic, ritenersi di
aspetto sgradevole e naturalmente
venire derisi).
l Va davvero centrato il focus
della psicoterapia esclusivamente sul tema dell’omosessualità o
non piuttosto va preso in considerazione tutto l’assetto della
personalità del soggetto che chiede cura, i suoi sentimenti negativi verso di sé, la fobia dell’altro
600
sesso cercando di ottenere una
«auto-bonifica» di tutto il mondo
istintivo affettivo perturbato e
talvolta denegato?
l Possiamo davvero rinunciare,
come fanno tanti psicoterapeuti,
a prendere in considerazione la
morale, soprattutto la morale
sessuale?
l Siamo infine come terapeuti
consapevoli o no della nostra personale antropologia, ossia della
nostra concezione dell’uomo e
delle sue ripercussioni nel rapporto con coloro che richiedono cure?
Né persuasione
né «conversione»
La terapia riparativa, di cui si discorre nell’articolo citato, per la
gestione del disagio nei soggetti
con orientamento omosessuale
egodistonico effettivamente viene
praticata dagli anni ’85 circa in
America, promossa dallo psichiatra Joseph Nicolosi (Reparative
Therapy of Male Homosexuality.
A New Clinical Approach, Jason
Aronson Ed., California 1997), attuale presidente dell’Istituto Narth
(National Association for Research and Therapy of Homosexuality) in California. L’Istituto
presenta interessanti risultati di
oltre mille casi di riformulazione
maturativa dell’orientamento sessuale (Joseph Nicolosi: conferenza del 5 giugno 2003) in un quinquennio di trattamenti.
Chiamata anche terapia ricostitutiva, si propone di rimettere in
moto lo sviluppo istintivo affettivo dell’utente bloccato durante i
primi anni di vita da mal riusciti
processi di identificazione con le
figure genitoriali (aver cioè maturato da loro che cosa vuol dire essere uomo o essere donna ed essersi introiettati i rispettivi ruoli
complementari). All’analisi genetica e dinamica, compresa la verifica dei movimenti transferali,
viene aggiunto un approccio di tipo cognitivo in cui il soggetto
prende coscienza del significato
profondo del suo bisogno di unirsi sessualmente a persone pari
sesso. Contemporaneamente si
tenta di esorcizzare, nei soggetti
di sesso maschile, i profondi sentimenti di inferiorità tanto verso
gli uomini quanto soprattutto verso le donne, accompagnati a volte
da vere e proprie repulsioni (quasi a orientamento fobico con le
conseguenti strategie di evitamento) sul piano fisico e intolleranza,
in alcuni casi, della stessa vista
dei genitali femminili. Il soggetto
di sesso maschile gradualmente
recede dalle classiche disposizioni
fallocentriche e fallocratiche mediante una migliore integrazione
tra sessualità, affettività e progetto
di vita. Abbandona così a poco a
poco la famelica ricerca dei partner sovente sostituiti con vertiginosa rapidità. Il terapeuta affronta
il mondo del suo paziente anche
in termini comportamentistici
promuovendo in primo luogo l’amicizia vera e «diserotizzata» con
soggetti pari sesso e incentivando
un percorso verso l’assertività.
Non si praticano, che io sappia,
interventi direttivi di persuasione«conversione».
Con metodologie relativamente
simili in Europa lo psichiatra
olandese van den Aardweg afferma di ottenere modificazioni maturative sin dal 1985 (Gerard van
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den Aardweg, Omosessualità e
speranza, Edizioni Ares, Milano
1999). Vien data speciale importanza a un cammino verso l’affermatività a partire dai complessi di inferiorità evidenziabili sin
dall’infanzia, mentre l’identità di
genere viene presa in considerazione mediante lo studio dei modelli genitoriali introiettati. L’intervento cognitivo di van den
Aardweg si allarga alla famiglia,
particolarmente bisognosa di sostegno e di chiarimenti se il soggetto con tendenze omofiliche è
ancora abitante nella casa di origine. Il peso emotivo dei genitori
e della costellazione di altri parenti grava pesantemente sul soggetto in terapia: avviene molto
spesso di riscontrare tra quelli
che il linguaggio della psicoanalisi chiama «oggetti interni» una
forte presenza attiva della figura
materna con cui esistono importanti fenomeni di identificazione
nel sesso maschile. Come le cure
di Nicolosi, anche l’approccio di
van den Aardweg appare multiforme e forse ibrido, ma tuttavia
capace di offrire risultati di cambiamento: l’autore riporta su 260
casi una riformulazione in termini eterosessuali (egli parte dal
presupposto, tutto da verificare,
ma suggestivo, che l’omosessuale sia un eterosessuale latente) di
2/3 dei soggetti e una stabilizzazione istintuale meglio organizzata nel terzo restante.
Società
omofoba?
In opposizione a tali interventi
psicoterapeutici si svolge in
America la Gat (Gay Affirmative
Therapy). Proposta dal movimento di liberazione Gay sin dal
1989 (Marshall Kirk, neuropsichiatra, e Hunter Madsen, pubblicitario: After the ball, 1990) e
ben analizzata da Marchesini nel
saggio al quale ci si riferisce, viene praticata da terapeuti omosessuali e intende favorire i processi
di adattamento psicologico alla
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condizione omosessuale, se mai
vi fosse ancora qualche omosessuale ego-distonico in fase dubitosa o di conflittuale ripensamento. Tutto il disagio, essi sostengono, proviene dalla società omofoba, dalle derisioni, dalle emarginazioni e dalle colpevolizzazioni
inflitte dalla famiglia o dalla società. Perché cambiare? L’omosessualità è nient’altro che una
variante normale dell’essere
umano, come il colore dei capelli, la statura, la costituzione. Vi
sono già delle dichiarazioni in tal
senso dell’Apa e dell’Oms. L’affermatività profilata consiste nel
coming-out, nell’uscire gioiosamente allo scoperto dalla condizione di clandestinità in cui sovente vive un soggetto con tendenze omosessuali e di protestare
il proprio diritto (outing) a essere
riconosciuti da tutte le fasce sociali e dalla legge.
Dai risultati riportati dai promotori della Gat i soggetti dalla terapia acquistano sicurezza, autonomia, libertà interiore rispetto
alla colpa dettata dall’omofobia
interiorizzata. La terapia ottiene
dunque risultati di adattamento e
di cambiamento.
Dalla disamina di queste due forme opposte di approccio terapeutico alla condizione omosessuale
si possono evincere le seguenti
conclusioni:
l la condizione omosessuale necessita di un incentivo psicoterapeutico, se richiesto, orientato
verso l’affermatività, in quanto ci
si trova di fronte a sentimenti di
insicurezza, inferiorità, vergogna
in un’organizzazione personologica generalmente immatura;
l la condizione omosessuale
produce nella maggioranza silenziosa degli omosessuali fenomeni di ego-distonia, che mai si verificano nella situazione eterosessuale;
l una forma di disagio psichico
inerente in primo luogo all’identità è innegabile e molti soggetti
richiedono legittimamente un
aiuto psicoterapeutico;
l ogni psicoterapia mira al cam-
biamento, ossia a una riorganizzazione consapevole e autonoma
dell’assetto istintivo affettivo solitamente perturbato e difficilmente gestibile. Non si vede alcuna ragione di rinunciare a un
percorso maturativo di adattamento e, perché no?, di orientamento verso quell’eterosessualità
nascosta, forse rimossa, che conflittualmente e problematicamente sembra albergare in fondo all’animo delle persone con tendenze omofiliche.
Diritto/dovere
della psichiatria
In seguito a tali considerazioni è
lecito affermare il diritto/dovere
della psichiatria (psicoterapia, psicologia, psicoanalisi) a occuparsi
del fenomeno dell’omosessualità.
Bisogna ribadire il diritto-dovere
a curare chi chiede aiuto e manifesta una sofferenza.
Infine. di quale sofferenza si tratta? Che cosa bisogna curare se,
secondo alcuni, nessuno soffre?
Che cosa bisogna riparare se nulla si è rotto?
Il disagio del soggetto portatore
di un’inclinazione omosessuale
non sembra, come detto, esclusivamente generato dal clima omofobo che lo circonda. Né l’egodistonia riguarda soltanto l’orientamento omosessuale. Il più delle
volte la tendenza omosessuale è
una dolorosa scoperta, non
un’opzione o scelta di genere che
dir si voglia (A. Persico, Omosessualità: tra scelta e sofferenza, Ed. Alpes, Roma 2007). Tale
scoperta viene vissuta inizialmente nella sorpresa, nel nascondimento, nel dubbio sul futuro,
nell’introversione con connotati
depressivo-rinunciatari. Si accompagna all’inevitabile incertezza sulla propria identità con i
correlati sentimenti di inferiorità,
di inadeguatezza fisica, di incapacità a reggere il confronto con
i coetanei pari sesso. Ne deriva la
ricerca di una persona simile a sé
per rinforzare la propria identità
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di genere. Contemporaneamente
risulta problematico e intriso di
emozioni negative il relazionarsi
con l’Altro in modo realistico
prendendolo per ciò che l’Altro
in effetti è e non per ciò che il
soggetto immagina o fantastica
che sia rendendolo narcisisticamente parte di sé, a seconda dei
casi, simbionte, alter-ego, complice, partner collusivo, confusivo e illusorio (come spesso avviene di riscontrare nei partner
omosessuali, se si ha la pazienza
di esaminare in profondità la
coppia) dal quale discostarsi poi
con repentini processi di disinvestimento affettivo. Wister e Matteson dopo aver esaminato 160
coppie di omosessuali non ne
hanno trovata una della durata
superiore ai 5 anni. Per Pollak
(1985) le unioni omosessuali non
durano oltre due anni. I meccanismi di scissione tra affettività e
sessualità facilmente evidenziabili conducono a un eccessivo
fallocentrismo con la tendenza a
erotizzare le situazioni (va annotato che uno degli obiettivi di
ogni buona psicoterapia è consentire all’utente di istituire relazioni interpersonali sessuate, ma
de-istintualizzate, ossia sottratte
all’arco riflesso stimolo-risposta,
e inserite invece in un progetto
consapevole di vita).
La frequenza del collasso depressivo con un’alta percentuale di
tentativi di suicidio (si veda l’articolo di Marchesini nel n.
581/82 di Studi cattolici, p. 509),
spesso per abbandono del partner, l’ambivalenza maschile verso il sesso femminile, alternante
tra atteggiamenti effeminati, travestimenti vistosi e viceversa
ostentato virilismo paramilitare,
la persistenza di una problematica sessuale post-adolescenziale
bisognosa di conferme, di esibizioni e di rassicuranti confronti, i
comportamenti di eccitamento
euforoide collettivamente incentivati nei quali, accanto alle intenzioni provocatorie, non si capisce se prevalgano meccanismi
di negazione piuttosto che di for-
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mazioni nel contrario, infine la
strutturazione profondamente diversa dell’orientamento omosessuale negli uomini e nelle donne
nelle quali sembra prevalere una
genesi traumatica del fenomeno
richiederebbero approfonditi studi oltre che la necessaria presa in
carico terapeutico.
Il problema
morale
È inevitabile infine che non solo
il soggetto utente, ma anche il terapeuta si incontrino con il problema morale.
L’atto sessuale, qualsiasi atto sessuale, avviene in una relazione
interpersonale con imprevedibili
ricadute emotive su entrambi i
protagonisti e iscrizione di ciascuno nella storia dell’altro. In
quanto relazione tra due persone,
vissuta con un atto libero e cosciente, lo si voglia o no, diviene
ipso facto oggetto di valutazione
morale.
Nonostante pareri alquanto difformi in tema di morale sessuale,
sovente il terapeuta, per seguire il
rigoroso criterio di astenersi dal
trasmettere all’utente qualsiasi
forma di giudizio morale, potrebbe essere indotto egli stesso a
confondere la spiegazione con la
giustificazione. La profondità
con cui il terapeuta può interpretare la genesi dinamica di un atto
non esaurisce la portata e le conseguenze dell’atto stesso sul soggetto, sul partner e sul contesto in
cui egli vive. Si vorrebbe cioè
suggerire che ogni buon terapeuta dovrebbe conoscere i princìpi
della sua stessa morale personale, della morale comune ed eventualmente anche del sistema morale dei suoi pazienti.
In breve, prudentemente non dovrebbe ammettere che in virtù del
suo lavoro terapeutico un ossessivo inibito diventi un criminale
felice, un’agorafobica si trasformi in un’allegra adulterina, insomma che un soggetto abbandoni una morale con la convinzione
che è nient’altro che un tabù e diventi un amorale o un immorale
soddisfatto. Il terapeuta insomma
dovrebbe conoscere i princìpi
della morale senza ovviamente
imporli.
A volte la mancanza di qualsiasi
commento, riflessione o analisi
del problema morale, soprattutto
se il terapeuta non governa ancora bene i moti transferali e controtransferali, viene scambiata
dall’utente come «autorizzazione» ad agire come meglio crede
per il suo piacere secondo una visione della cura ispirata a un particolare individualismo emancipativo proposta oggi da molti terapeuti, al di fuori dell’uso responsabile e consapevole della libertà che è un segno di maturità.
La morale non è un tabù, ma la
garanzia di buone relazioni.
In Italia e in molti Paesi ci si riferisce soprattutto alla morale cristiana. Va chiarito una volta per
tutte che la Chiesa cattolica non
condanna l’orientamento omosessuale e le sue pulsioni, se non
come propensione a comportamenti contrari alla legge divina.
Semplicemente considera offesa
a Dio la consumazione di un rapporto omosessuale, così come
l’adulterio, la violenza sessuale,
la pedofilia, la poligamia. In particolare, il rapporto omosessuale
è ritenuto anche contrario alla
legge di natura.
Quali presupposti
antropologici?
Ecco allora la connessione con il
tema dei valori. Una terapia ben
fatta dovrebbe consentire all’utente di relazionarsi in modo autentico e consapevole, liberamente voluto, a quei valori che in
fine aiutano l’uomo a vivere da
uomo, eliminando, si capisce, i
falsi valori inseriti in una struttura nevrotica.
Indipendentemente dal suo personale credo, lo psicoterapeuta di
fronte al suo paziente si trova a
dover verificare continuamente
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la propria personale visione dell’uomo. Quale antropologia vive
nella sua mente? In che modo
egli pensa all’essere umano?
La carenza di punti di riferimento
antropologici balza evidente precisamente in relazione alla sessualità. Una semplice riflessione in
termini di fenomenologia antropologica sulla sessualità umana ci
palesa subito con chiarezza cristallina che il sesso non può essere consegnato al transitorio, all’effimero, al contingente, al banale,
all’intercambiabile, al virtuale, alla mera comunicazione extraverbale, al «poco importa chi tu sia e
quale sia il tuo sesso, importa che
tu adesso mi faccia piacere»,
sganciato dagli affetti, dal progetto di vita, dalla morale. L’istinto
sessuale da un punto di vista antropologico possiede invece innegabili caratteristiche di unitività (e
non singolarità individuali in un
rapporto fruitivo), di donatività (e
non di possesso), di reciprocità (e
non di accaparramento), di pariteticità (e non di sopraffazione), di
complementarità (e non di similarità), di creatività oltre che di procreazione generativa (e non di
consumazione sterile), di totalità
(e non di parzialità), di conoscenza personificante (e non di confusione nell’intercambiabilità), di
intimità (e non di dissipazione), di
trasmissione affettiva che parte
dal linguaggio del corpo. L’istinto
sessuale costituisce il substrato fisiologico dell’identità di genere e
dei rapporti interpersonali mentre
modella lo stile affettivo e relazionale della personalità.
Se poi per completezza del discorso si volesse fare una digressione sulla fenomenologia antropologica teocentrica, allora si
troverebbe che precisamente l’istinto sessuale rende la persona
disponibile alla relazione ossia
rispecchia nella trascendenza
dell’Io nell’Altro, l’immagine e
l’amore divino. Così almeno nella fede cristiana.
Aver presenti certi presupposti
antropologici non può che giovare al paziente che viene tratta-
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L’autocommiserazione inconscia
Il nucleo centrale della teoria che da anni il prof. Gerard
van den Aardweg sviluppa in sede scientifica e nelle applicazioni cliniche «è il concetto dell’autocommiserazione inconscia dell’omosessuale. Questa radicata tendenza all’autocommiserazione non è intenzionale, bensì involontaria e dà origine a un comportamento masochista. Il desiderio omosessuale e i sentimenti di inferiorità sessuale a esso
correlati, sono radicati nell’autocommiserazione inconscia. Questa teoria fonde tra loro gli studi e le osservazioni comportamentali di Alfred Adler (1930; il complesso
d’inferiorità e il desiderio di compensazione come atteggiamenti che aspirano a un riscatto dall’inferiorità), dello
psicanalista austroamericano Edmund Bergler (1957; l’omosessualità come masochismo psichico), e dello psichiatra olandese Johan Arndt (1961; il concetto dell’autocommiserazione incontrollata).
«Alcuni atteggiamenti più o meno specifici dei genitori e in
generale i rapporti genitori-figli possono predisporre un
individuo allo sviluppo di un complesso d’inferiorità sessuale. Tuttavia il fattore che influisce più pesantementes sul
comportamento di una persona è la mancanza di adattamento all’interno di un gruppo di individui dello stesso sesso. La psicoanalisi tradizionale riconduce tutte le nevrosi e
le malformazioni emozionali a rapporti disturbati tra genitori e figli; malgrado ciò, senza voler negare la grande importanza che ricopre l’interazione genitori-figli, il fattore
determinante è generalmente l’immagine che l’adolescente
ha di sé in termini di identità sessuale, il confronto con i simili dello stesso sesso.
«La paura del sesso opposto è un atteggiamento frequente,
ma non è la causa principale delle inclinazioni omosessuali. Tale paura è piuttosto un sintomo della presenza di sentimenti di inferiorità sessuale; questi infatti possono essere
generati da soggetti del sesso opposto, di fronte ai quali
l’omosessuale sente di non poter sostenere quei ruoli sessuali che ci si aspetta».
Gerard van de Aardweg, Una strada per il domani - Guida
all’(auto)terapia dell’omosessualità, Città Nuova, Roma
2004, pp. 17-18.
to con il massimo rispetto e,
perché no?, con affetto, come
persona umana unica e irripetibile così che la relazione terapeutica guadagna uno spessore
esistenziale pieno di responsabilità. Gli stessi valori traspaiono nella moralità e nelle modalità con cui il terapeuta si mette
in rapporto con il paziente.
La riflessione antropologica in
tema di sessualità umana indica
la necessità di un percorso di bonifica preventiva della psicosessualità e soprattutto delle prime
relazioni familiari in cui la prole
ha bisogno di identificarsi nella
diversità sessuale della coppia
genitoriale e nel reciproco amore
nella diversità per maturare la
propria identità di genere coerente con l’identità del sesso.
Franco Poterzio
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Un Ex-Gay Descrive il Processo di Cambiamento: Gordon Opp
Che cosa può aspettarsi un uomo dal processo di cambiamento? Con sincerità
disarmante, Gordon Opp descrive i successi ma anche le lezioni, a volte molto
dolorose, apprese lungo il cammino. E' intervistato dal Direttore Esecutivo di
NARTH, Joseph Nicolosi.
JN: Gordon, ti ringrazio molto per l'offerta di condividere la tua storia. Iniziamo subito a
percorrere le tappe fondamentali della tua vita. Sei stato il presidente del Credit Bureau
di Lincoln, Nebraska, per 21 anni e sei sposato da 20 anni. Stai per completare il Master
in consulenza e per qualche tempo hai gestito un gruppo di sostegno per uomini che
lottano con l'omosessualità. Quando hai pensato per la prima volta di avere un problema
con l'omosessualità?
GO: E’ stato alle scuole medie che mi sono reso conto di provare attrazione per i ragazzi
invece che per le ragazze; ciò mi ha causato moltissima ansia. Non c'era nessuno con cui
parlare in quei giorni, così lo nascondevo.
JN: A quei tempi non c’era nella tua scuola un consulente del "Progetto 10" per
affermare la tua omosessualità e per introdurti nella comunità gay.
GO: Esatto, e sono contento di questo. Almeno non sono stato spinto a pensare che non
fosse un problema. Ero cristiano, avevo fede e credevo nella moralità. Così non ho
messo in pratica i miei desideri fino all'età di 21 anni. Ci sono riuscito nei primi tre anni
di college. Poi, come per la maggior parte degli omosessuali, la mia prima esperienza
sessuale è stata incredibilmente ... è come essere stato in un deserto per due settimane
senza acqua e a un tratto giungi ad un oasi. E' estremamente coinvolgente.
Ho avuto rapporti omosessuali dai 21 ai 25 anni, tantissimi rapporti che quasi sempre
duravano una sola notte. Ho frequentato i parchi e ho avuto qualche relazione - forse tre
- che sono durate alcuni mesi. In quel periodo ero molto depresso, vivevo una specie di
doppia vita. Inoltre, non mi sono mai sentito soddisfatto o realizzato in quelle relazioni.
Dopo un pò perdevo interesse anche per uomini spesso più attraenti di me. Ma a quei
tempi non ne comprendevo le dinamiche.
JN: Quali erano le dinamiche?
GO: Adesso, guardando indietro, riesco a vedere che cos’é l'omosessualità - in
particolare nella mia vita - anche se l'esperienza di ognuno é un pò diversa.
JN: Che cosa è l'omosessualità nella tua vita?
GO: E' un modo per soddisfare determinati bisogni attraverso il sesso.
JN: Che tipo di bisogni?
GO: Il bisogno di essere accettato... di sentirsi come uno dei ragazzi ... il bisogno di
compassione e di comprensione da parte degli uomini. In effetti è interessante come…
anche adesso, mi rendo conto che i miei residui desideri omosessuali hanno poco a che
fare con il sesso. Guardando un uomo, se mi spingo fino a pensare come potrebbe essere
senza abiti indosso - in questo momento della mia vita - trovo tale pensiero disgustoso.
Desidero che si avvicini a me, che mi stringa la mano, che mi parli e mi presti un pò di
attenzione.
Ma quando ero un ragazzo non comprendevo quelle dinamiche. Oggi capisco quei
sentimenti e come d'incanto si trasformano quando li comprendi. E’ molto intrigante
osservare una persona che esegue un gioco di prestigio. Si vuole vedere più volte in
modo da poter capire come riesca a far scomparire quella cosa. Ma quando si
comprendono appieno i sentimenti - vale a dire, quando si impara che cosa c'è dietro il
trucco - scompare gran parte dell'eccitazione e l'attrazione non é più "magica".
JN: Quale é l'analogia con l'omosessualità?
GO: Per me l'omosessualità è questo. Guardo un uomo che trovo interessante e non
faccio nulla per dare seguito a questa attrazione perché, per così dire, "conosco il
trucco". Cioè, so in cosa consiste la fantasia. So che cosa c'è dietro l'illusione. E ho la
comprensione logica che non soddisferebbe realmente i miei bisogni. Se perseguissi un
qualsiasi tipo di rapporto sessuale, so che avrebbe soltanto un effetto negativo su di me.
Ma c’è dell’altro, però.
JN: Non é soltanto una consapevolezza cognitiva.
GO: È più di un semplice consapevolezza cognitiva. E' il riconoscimento che l'intera
esperienza è contraffatta. E' una conoscenza basata sui mio ripetuti tentativi nell'arco di
quattro anni di vita gay.
Nel tuo libro hai scritto che Elisabeth Moberly spiega che il bisogno insoddisfatto di
amore da parte di persone dello stesso sesso costituisce la radice del problema, ma poi
hai ampliato molto l'argomento. Hai descritto come le amicizie tra persone dello stesso
sesso servano a soddisfare tali esigenze. Ho scoperto che quando ho uno stretto rapporto
di amicizia con un uomo etero che trovo attraente, posso desessualizzare quei bisogni.
Posso appagarli in maniera soddisfacente.
JN: Moltissimi uomini mi dicono questo. Dicono che le loro attrazioni omosessuali o
fantasie diminuiscono o addirittura scompaiono.
GO: Esatto, accade proprio questo. Accade in molti casi. Il problema, però, come spiega
il Dr. Satinover in "Omosessualità e la Politica della Verità", si presenta quando si é già
entrati in uno schema di dipendenza. L'esperienza sessuale è come una droga. E’
rilassante, é anestetizzante ed é un "rimedio rapido". Ciò può rendere molto difficile
lasciare l'omosessualità. Quando sessualizziamo queste esigenze emotive, quando
impariamo a soddisfare temporaneamente tali esigenze in un modo sessuale, abbiamo in
realtà preso un bisogno normale e legittimo, datoci da Dio, e lo abbiamo soddisfatto con
una "droga".
Invece, quando riusciamo a soddisfare i nostri bisogni attraverso una relazione non
sessuale con un ragazzo, una relazione totalmente sana, non avremo quella "scossa" che
produce un incontro omosessuale. Questa è una delle cose che ho dovuto riconoscere ed
accettare; e cioè, che lo scopo di una relazione sana non é quello di generare una
"scossa".
JN: JN: È vero, perché la "scossa" é artificiale e non dura nel tempo. Inoltre, darà origine
soltanto al desiderio di un'altra "emozione" più forte con un altro partner. Stiamo
iniziando ad assistere all'ammissione di questa verità da parte di scrittori gay, almeno
indirettamente. In "Love Undetectable" Andrew Sullivan dice che non ci si può affidare
a relazioni erotiche per ottenere un amore che duri nel tempo e che gli amici sono l'unica
fonte fidata di sostegno e di affetto.
GO: La "scossa" è artificiale ma è molto coinvolgente ed è ciò che trattiene molti uomini
nella vita gay.
JN: Esattamente. Jeffrey Satinover parla dei percorsi del piacere neurologico che
vengono tracciati nel cervello - strutturalmente tracciati - e spiega che sebbene si
possano apprendere nuove fantasie da sovrapporre a quelle vecchie, nonché modi
migliori per soddisfare le esigenze emotive, tuttavia, non si potranno mai cancellare
completamente le risposte neurologiche sottostanti. È possibile definire nuovi percorsi
su quelli già esistenti. Ma molti uomini devono veramente lottare con una reale
dipendenza.
GO: Si. E purtroppo, lasciarsi coinvolgere in tale abitudine, come ho fatto io, si rivelerà
una scelta decisamente miope. Ma la cosa che mi incoraggia, pensando al cervello, é che
gran parte di esso non viene utilizzato... e che ci sono tanti altri tipi di "scosse" che una
persona può sperimentare. Veniamo intrappolati nell'idea che l'unico modo in cui
possiamo godere della vita, o sperimentare qualsiasi tipo di forte emozione, è quello
malsano a cui siamo abituati. Io cerco di incoraggiare gli uomini con cui lavoro ad
ampliare le loro prospettive. Anche se altre esperienze potrebbero non dargli le forti
emozioni a cui sono abituati, essi devono andare avanti, perseguire sani rapporti con
persone di sesso maschile e trovare anche qualcosa di diverso a cui dedicarsi con
passione.
JN: Sono d'accordo. E a proposito di trovare qualcosa di diverso a cui dedicarsi...
parlami del vostro matrimonio. Hai 46 anni e sei sposato ormai da vent'anni.
GO: Sì. Come ho detto, ho vissuto uno stile di vita gay per circa quattro anni, fino a 25
anni, ma ero molto depresso perché per me non funzionava. Sono del Nebraska e decisi
di trasferirmi in California. Pensavo che sarebbe stato il posto migliore per vivere una
vita gay e, se questo non avesse funzionato, forse lì avrei trovato aiuto.
In California ho incontrato un pastore. Aveva sette anni più di me, sposato e con due
figli. Non conosceva il tuo libro – a quei tempi non era stato ancora scritto - lui ha
lavorato con me proprio come tu suggerisci. Nessuno di noi due sapeva che cosa stava
succedendo. Era un bell'uomo che si preoccupava per me e vedeva in me una persona
che desiderava fare la cosa giusta ma non sapeva come.
Mi ricordo che una volta nel suo ufficio mi disse: "puoi avere un’attrazione per me ma
non accadrà mai nulla perché io sono diverso". Poi aggiunse: "questo non cambia quello
che sento per te; ti voglio bene e mi prenderò cura di te". Il suo atteggiamento spense
totalmente la mia attrazione. Questo per fu l'inizio del suo aiuto. Mi recai da lui per
quasi un anno. Durante quel periodo ho incontrato la mia futura moglie e siamo diventati
molto amici. Prima di sposarmi ho voluto astenermi da qualsiasi tipo di attività sessuale
per almeno un anno.
JN: Ti sentivi sessualmente attratto da lei?
GO: Non vi è stata alcuna attrazione sessuale fino a poco prima del nostro matrimonio.
Poi ho iniziato a pensare “tra poco mi sposerò”, così ho cominciato a vedere la mia
fidanzata in un altro modo. Sono convinto che in realtà siamo tutti eterosessuali perciò
incoraggio gli uomini a sposarsi, se sono convinto che saranno in grado di onorare il loro
impegno. Non voglio che mettano in difficoltà o deludano una donna. Ma se l'uomo
prende sul serio l'impegno e lo onora superando qualsiasi tentazione passeggera, allora
la questione é diversa. Io sono una persona piuttosto disciplinata e ciò aiuta.
JN: Naturalmente la donna dovrebbe essere al corrente.
GO: Assolutamente. La donna deve sapere. Io l'ho detto a mia moglie prima di sposarci.
E 'stata una ventata di ossigeno per lei, avere qualcuno che non la desiderasse solo
sessualmente e che l'avrebbe amata anche come un amico. Credo che questo sia stato il
punto di forza del nostro matrimonio. Oggi sono nonno. Abbiamo tre figli - due ragazze
e un ragazzo di 13 anni.
JN: JN: Com'è la vostra vita familiare adesso?
GO: Nei primi anni del mio matrimonio é stata più una questione di "fare la cosa giusta".
Tuttavia, quando si trascorre tanto tempo con qualcuno, si hanno figli insieme e si vive
insieme, non si può fare a meno di imparare ad amare veramente quella persona. Oggi
amo mia moglie come la maggior parte degli uomini amano la loro mogli, se non di più.
L'esperienza sessuale può essere non esattamente come quella degli uomini che non
hanno mai lottato con l'omosessualità, ma mi soddisfa e attendo con impazienza quei
momenti. Sarei completamente devastato se perdessi mia moglie. Devo dire che ho
cambiato non solo il mio comportamento ma anche il modo di considerare me stesso. Ho
cambiato la mia identità. Mi sento molto a mio agio nel ruolo di marito, padre e adesso
anche nonno.
JN: I vostri figli conoscono la tua storia?
GO: Sì. Le mie figlie hanno 19 e 17 anni e quella di 19 anni si sposerà ad agosto. Il mio
rapporto con le mie figlie è fantastico. Ma credo che alcuni di noi, con un passato
omosessuale, pensano che forse non possono essere un buon padre per i loro figli
maschi.
JN: Sì, soprattutto una persona con moltissime preoccupazioni riguardo la propria
mascolinità.
GO: Quindi, dopo le prime due figlie femmine ho pensato "bene, il Signore mi ha dato
delle figlie, così non dovrò preoccuparmi di essere un buon padre per un figlio
maschio". Ti assicuro, amare le mie figlie é stato incredibilmente naturale per me, uno
dei più grandi piaceri della mia vita. È sempre stato così, anche quando sono diventate
adolescenti. Poi mia moglie ha voluto un terzo figlio e abbiamo avuto un maschio. E'
stata una gioia incredibile. Entrare la sera nella sua stanza, rimboccare le sue coperte,
raccontargli una storia o dargli delle pacchette sulla schiena e arruffargli i capelli, è
quasi come avere qualcuno che lo fa a me. E’ incredibilmente costruttivo - Sto
"guarendo attraverso il dare" e ne sono così grato. È come avere una seconda possibilità.
JN: JN: Stai risolvendo alcuni dei tuoi vecchi bisogni soddisfacendo quelli di qualcun
altro. Pensi che questo accada a tutti i padri.
GO: Io credo di sì, perché ognuno ha alcuni bisogni insoddisfatti che si trascina dietro
dal passato. Sono estremamente soddisfatto della mia vita. Non la cambierei con quella
di nessun altro. All'inizio, durante i primi dieci anni di matrimonio ricadevo
occasionalmente in uno stato di depressione, mi sentivo giù e avevo l'impressione che
mi stessi perdendo qualcosa, ma ormai non lotto più con la depressione da anni.
JN: Conosci qualche altro ex-gay sposato? Hai una cerchia di amici a cui appoggiarti?
GO: Per alcuni anni ho diretto un gruppo di sostegno di otto/dieci uomini. Gli uomini
andavano e venivano ma ce ne sono alcuni che si sono sposati e hanno figli, e con questi
ho un buon rapporto. Me ne viene in mente uno in particolare, il mio amico Bill, che mi
ha appena detto che sua moglie è incinta del loro secondo figlio, ed è entusiasta di
questo. Come hai scritto nel tuo libro, alcune persone che superano l'omosessualità
possono essere buoni amici e alcune di queste amicizie sono estremamente preziose; non
voglio assolutamente minimizzare ciò. Ma per quanto riguarda la guarigione ho ricevuto
molto di più da uomini etero.
JN: Da uomini che sono sempre stati eterosessuali.
GO: Si. Ci sono "uomini etero da sempre" con cui amo stare, e ciò mi aiuta molto. Poi
ce ne sono alcuni particolarmente attraenti che mi sforzo di conoscere meglio, in modo
da non sentirmi intimidito da loro e in modo da non provare quella sensazione di
debolezza, di essere "meno di" loro, che potrebbe far scattare un’attrazione indesiderata
da parte mia.
JN: Sì, esattamente. Questa é un'ottima osservazione. Le persone che stanno cercando di
superare l'omosessualità devono sapere che tu hai imparato a respingere le intimidazioni,
soprattutto con i ragazzi attraenti. Devi sforzarti di conoscerli per abbatterne il fascino.
GO: E 'davvero divertente quando lo faccio perché, come ho detto, mi costringo a farlo.
A volte mi capita di imbattermi in qualcuno - ad esempio in una riunione o in qualsiasi
altra situazione - e noto che il mio vecchio modello di comportamento sarebbe quello di
rinchiudermi in me stesso e di sentirmi inadeguato e poi di iniziare a provare un certo
tipo di interesse per loro. Si tratta di un residuo del passato – un’attrazione che scaturisce
da un vecchio modo di rapportarsi. Così, invece, cerco di conoscerli, a volte li tocco
dandogli una pacca sulla schiena, una salutare stretta di mano o qualcos'altro, a volte
cerco di irritarli solo un pochino e poi, ad un tratto, vedo le loro debolezze - "é soltanto
un uomo come tanti" - e l'attrazione é spezzata.
JN: Ciò che vedi è la loro umanità, l'elemento comune. Ti rendi conto che tu e lui siete
realmente collegati. Così spezzi quella tensione, e con essa, le fantasie.
GO: Questo era ciò che sentivo, ciò che per me è stata l’omosessualità. Era pensare…
“c'è quest’ "uomo misterioso" là fuori, come è fatto? Perché non mi sento come lui?” E
così, imparando a conoscere questi uomini un po’ più intimamente, allontano le fantasie.
JN: C’é stato un momento critico nella tua vita in cui hai avuto un’intuizione che ti ha
aiutato a comprendere quanto hai appena esposto?
GO: Sì, circa dieci anni fa stavo attraversando una crisi di mezza età - avevo circa 35,
36 anni - avevo tre figli sani, la mia azienda andava bene, avevamo una bella casa,
guidavo automobili nuove, “ce l’avevo fatta”. In quei momenti le persone si chiedono,
"ho avuto veramente tutto?" Per me la grande domanda era "beh, non ho mai veramente
sperimentato quella 'cosa' rispetto agli uomini. Mi sono perso qualcosa?"
Per me il modo per ottenere "quella cosa" era attraverso l'omosessualità, e nei primi anni
di matrimonio, per proteggere me stesso, ho affrontato i residui sentimenti omosessuali
prendendo le distanze da uomini attraenti.
Alcuni ragazzi conosciuti in passato oggi direbbero: "Sai, conoscevo Gordon, facevamo
delle cose insieme, e poi ad un tratto ci siamo semplicemente persi di vista. Non so cosa
sia successo". Beh, io so cosa è successo. Non volevo fare di loro un oggetto sessuale.
Non volevo avere quel problema, così mi sono “ritirato”, si è trattato di un distacco
difensivo.
Vi è stato tuttavia un ragazzo - in realtà è mio cognato. Abbiamo attraversato il paese
per andare a ritirare un auto antica. Ho iniziato a parlargli della mia lotta con i pensieri
omosessuali indesiderati. Sapeva del mio passato ma aveva pensato: "Beh, Gordon è
sposato e il problema è risolto".
Non mi ha affatto biasimato per i miei sentimenti. Tornando a casa abbiamo parlato
della mia lotta e siamo diventati buoni amici. Non voleva che mi distaccassi da lui.
Voleva continuare a mantenere quella connessione. Diceva: "Non lo so, io non sono uno
psicologo ma mi sembra giusto continuare a mantenere questo rapporto con te."
Aprirmi con mio cognato mi ha aiutato ad uscire dalla mia crisi. Il mio rapporto con lui
ha favorito la guarigione emotiva che già conoscevo a livello intellettuale.
JN: Oggi diresti che non senti alcuna attrazione omosessuale?
GO: No, non lo direi. Ma i sentimenti sono così diversi. Vorrei spiegarlo in questo
modo, all'inizio é stato come indossare una felpa che aveva una grande "O" sul davanti.
Era ciò che ero: la felpa diceva "Omosessuale". Adesso é più o meno come avere un
biglietto da visita, piuttosto consumato e spiegazzato, infilato nel taschino della mia
camicia. Talvolta mi ritrovo ad infilare la mano nel taschino e a tirare fuori quel vecchio
biglietto, e un pò mi da fastidio, ma la vita va al di là di questo. Si tratta di un irritazione
occasionale, non più di un'ossessione. Oggi la mia vita è molto piacevole.
JN: La tua esperienza ci dice molto circa la natura del cambiamento psicologico.
Qualunque siano le difficoltà di un uomo - tossicodipendenza, bulimia, alcolismo, bassa
stima di sé - è improbabile che con il cambiamento vengano semplicemente "cancellate".
Hai operato in te un’enorme trasformazione emotiva attraverso la conoscenza e le nuove
esperienze. Ma alcuni sentimenti legati al sesso si ripresentano. Tuttavia, poiché adesso
sai che cosa significano, essi hanno perduto gran parte del loro potere.
A volte un uomo deve anche semplicemente prendere la decisione di mettere da parte i
persistenti resti della sua vecchia personalità omosessuale, come hai fatto tu, ed
impegnarsi a procedere nel cammino e a sposarsi, se questo è ciò che vuole nella vita.
Grazie tante Gordon per aver condiviso le tue esperienze di vita con tanta onestà e
chiarezza.
Ultimo aggiornamento: 8 febbraio 2008
Traduzione di Patrizia
http://omosessualitaeidentita.blogspot.com
La Storia di un Ex-Omosessuale nel Mondo della Pop Music
di Roberto Marchesini
Rappresentante Internazionale NARTH - NARTH Italia
La manifestazione italiana "Festival di San Remo", il più importante evento
musicale nel mio paese, visto in televisione da milioni di italiani, è diventata
quest’anno l’improbabile piattaforma per una potente testimonianza exomosessuale. Il cantante Giuseppe Povia, vincitore del festival nel 2006, ha
presentato una canzone dal titolo "Luca Era Gay" - - VEDI VIDEO QUI. Il titolo
della sua canzone, suggerendo che alcuni omosessuali possono diventare
eterosessuali, è stato sufficiente a destabilizzare il movimento omosessuale
italiano. Attivisti gay hanno minacciato di bloccare il festival e l’europarlamentare
Vittorio Agnoletto ha chiesto una risoluzione europea per impedire a Povia di
eseguire il suo brano. Povia stesso ha ricevuto minacce di morte. L’associazione
gay "EveryOne" ha denunciato Povia alla Procura della Repubblica per presunta
"omofobia". Non essendo questi sforzi rivelatisi sufficienti, gli attivisti gay hanno
chiesto agli organizzatori del Festival di "controbilanciare" Povia con una canzone
di un artista gay, dedicata alla "perfezione dell’amore omosessuale". Anche questa
iniziativa è fallita.
Infine, il 17 febbraio, Povia ha cantato la sua canzone in prima serata. "Luca era
gay" racconta la trasformazione di un omosessuale di nome Luca. Senza l'aiuto di
psicologi e psichiatri, egli scava dentro di sé per comprendere le radici delle sue
attrazioni omosessuali. Un padre distante ed emotivamente distaccato e una madre
soffocante, egli dice, lo hanno reso confuso riguardo la sua identità sessuale:
"cercavo negli uomini chi era mio padre, andavo con gli uomini per non tradire
mia madre". La canzone allude anche ad una superficialità nei rapporti
omosessuali: "tra amore e inganni spesso ci tradivamo". Il brano termina con
questo versetto: "questa è la mia storia, solo la mia storia. Nessuna malattia.
Nessuna guarigione. Caro papà, ti ho perdonato anche se qua non sei più tornato.
Mamma, ti penso spesso, ti voglio bene e a volte ho ancora il tuo riflesso, ma
adesso sono padre e sono innamorato dell’unica donna che io abbia mai amato".
La musica, un morbido rap con toni drammatici, sostiene un testo diretto ed onesto
che non giudica mai le persone omosessualmente orientate, per le proprie scelte di
vita personali.
Prima dell’esecuzione della canzone, il comico Roberto Benigni ha presentato uno
spettacolo di una ventina di minuti in cui ha condannato Povia, dicendo che
l'omosessualità non è un peccato e che gli omosessuali sono stati storicamente
perseguitati "perché amano qualcuno". Ha poi letto un estratto dal "De Profundis"
di Oscar Wilde.
Dopo la canzone di Povia, contrariamente alla consuetudine, il conduttore ha dato
il microfono a Franco Grillini, ex parlamentare ed ex presidente di ARCIgay, la
principale associazione gay in Italia. Grillini ha detto di aver ricevuto un
messaggio dal cellulare di un amico (anche se tutti i cellulari dovevano essere
spenti durante il festival...), il quale aveva pianto dopo aver ascoltato Benigni
leggere il "De Profundis", perché gli aveva ricordato il suo partner morto di AIDS.
Grillini ha concluso dicendo che Povia deve imparare che cosa sia l'amore
omosessuale.
Poi è accaduto l'imprevedibile: le persone presenti nel teatro hanno iniziato a
fischiare Grillini (in Italia il fischio è un’espressione di disapprovazione). La
simpatia della folla era per Povia, non per l'attivista gay.
La canzone di Povia è andata in finale e sabato sera il cantante si è aggiudicato il
secondo posto al Festival di Sanremo, mentre fuori dal teatro, gli attivisti gay
hanno continuato a protestare contro di lui. Povia stesso ha detto: "Anch'io ho
avuto una fase gay - è durata sette mesi, poi l’ho superata".
La popolarità di "Luca Era Gay" ha dato coraggio e dignità alla comunità di exomosessuali in Italia che, fino ad ora, era stata totalmente intimidita dagli attivisti
gay. La profondità delle intuizioni di vita reale contenute nel testo, relative
all’esperienza dell’ex omosessuale, è innegabile.
Ultimo aggiornamento: 9 marzo 2009
Traduzione di Patrizia
http://omosessualitaeidentita.blogspot.com
Ristampato dal bollettino NARTH, Inverno 2005
Omosessualità e fattori biologici:
Prove reali -- Nessuna;
Interpretazioni fuorvianti: Molte
Il Dr. van den Aardweg spiega perché egli crede che le rivendicazioni di una base biologica per la
SSA (Attrazione per lo Stesso Sesso) abbiano scarso valore.
di Gerard van den Aardweg, Ph.D., Holland
Nel 1898 l’imperatrice austriaca Elisabetta fu pugnalata a morte, a Genova, dal venticinquenne Luigi
Lucheni. L’assassino era orgoglioso del suo atto che, come lui stesso dichiarò, “vendicava la sua vita”.
Dopo alcuni turbolenti anni in prigione, nel 1910, Lucheni si impiccò. Il professor Mégevant, un tipico
rappresentante della corrente di pensiero del diciannovesimo secolo riguardo il comportamento
anormale, eseguì l’autopsia per scoprire eventuali anomalie del cervello, che si supponeva fossero alla
base della “disposizione psicopatica” dell’assassino. Non fu scoperto nulla di anormale; anche il peso
del cervello di Eni rientrava nella norma. Deluso, il professore pose la testa in un contenitore di vetro,
insieme a della formaldeide, e lo depositò nei locali dell’istituto di Medicina Legale.
Uno psicopatico neuroanatomicamente normale costituiva un enigma scientifico!
Tuttavia la spiegazione della personalità arrogante, spietata e ostile di questo criminale poteva essere a
portata di mano se si fosse prestata attenzione a ciò che egli ebbe da dire riguardo la sua storia
psicologica. Figlio illegittimo, abbandonato e vittima di violenti abusi e sfruttamenti da parte di diversi
“genitori” adottivi, le sue azioni erano guidate dalla frustrazione e dall’amarezza. Ma a quei tempi la
psicogenesi non era, per così dire, ancora stata scoperta, e la psichiatria era dominata dal postulato di
Kraepelin: le aberrazioni mentali derivano da anomalie nel cervello che, peraltro, sono ereditate. Per
quanto riguarda il comportamento criminale, la variante era la teoria di Lombroso del delinquente nato.
Esaminando attentamente le ricerche compiute sull’omosessualità negli ultimi 15-20 anni, si può
riconoscere la stessa mentalità del diciannovesimo secolo.
Il lettore non professionista, non conoscendo le regole, avrà l’impressione che non vi siano dubbi sulle
cause biologiche dell’omosessualità o che, comunque, sia stata accertata una forte predisposizione
costituzionale. Se non siete esattamente nati omosessuali, possedete in ogni caso una qualche
disposizione omosessuale biologica, che in pratica equivale a dire la stessa cosa. E se la scienza non ha
ancora scoperto le cause biologiche definitive, lo sta facendo adesso, poiché le indicazioni sperimentali
si stanno moltiplicando. Pertanto, la scienza sembrerebbe sostenere la nozione dell’omosessuale nato.
[1]
A grandi linee, questo è il messaggio convogliato dalla maggior parte degli articoli riportati nelle riviste
professionali. Quando i fattori inerenti lo sviluppo psicologico vengono presi in considerazione, essi
vengono anche immediatamente minimizzati, nel migliore dei casi, come elementi di secondaria
importanza; spesso non vengono menzionati affatto. Dunque, qual’è la verità? Per prima cosa, non è
stata dimostrata alcuna correlazione genetica, fisiologica, anatomica o neuroanatomica con
l’omosessualità. Secondo, contrariamente all’impressione data, proprio gli studi degli ultimi 15-20 anni
hanno dimostrato ancora più improbabile l’esistenza di tali correlazioni. Terzo, queste verità, o non
sono percepite o vengono di proposito ignorate, poiché la maggior parte delle pubblicazioni
accademiche sull’omosessualità sono influenzate o determinate dalla predominante ideologia gay.
Nessuna Correlazione Ormonale
La conclusione raggiunta da Perloff nel 1965, secondo la quale non era stata dimostrata l’esistenza di
alcune peculiarità ormonali negli omosessuali, è valida ancora oggi. Nel 1993 Byne e Parsons hanno
riassunto così la loro analisi specialistica degli studi compiuti sui fattori biologici dell’omosessualità,
ivi compresi gli studi sugli ormoni: “Non esiste alcuna prova ... che dimostri la fondatezza della teoria
biologica.” [2] E dopo il 1993? Nulla che somigli anche lontanamente a una prova dell’esistenza di
influenze ormonali sull’omosessualità. Tuttavia una versione “riscaldata” della teoria intersex
(Zwischenstufen) di Magnus Hirschfeld, secondo la quale i maschi omosessuali hanno un cervello
femminilizzato e le lesbiche hanno un cervello mascolinizzato dagli ormoni, continua ad essere
“servita” come se fosse fondata su realtà scientifiche. L’insufficienza o l’eccesso di ormoni androgeni
nel periodo prenatale (rispettivamente, negli uomini e nelle donne omosessuali) sono considerate
responsabili. [3] Questa opinione è, ad ogni modo, un’indifferenziata bozza programmatica più che una
teoria verificabile. Poiché, cosa si intende, per esempio, per cervello maschile “femminilizzato”?
Si intende che in alcune strutture del cervello, finora postulate, il centro del riconoscimento percettivo
del “femminile”, “l’immagine” della Gestalt femminile è stata sostituta dalla Gestalt del “maschile”?
Ciò suona piuttosto fantasioso (e che cosa ha causato allora, nel pedofilo omosessuale, la sostituzione
dell’immagine femminile con quella del “ragazzo”? E così anche per altri “orientamenti” sessuali). Il
cervello “femminilizzato” di un maschio sta ad indicare che il comportamento del ragazzo è diventato
femminile o significa, piuttosto, che la spinta aggressiva del ragazzo, ridotta a causa di una mancanza
di audacia e di spirito fisicamente combattivo, sia molto più legata all’omosessualità che alla
“femminilità”? [4] In quest’ultimo caso, la supposta anomalia del cervello non contiene nulla che
generi o inerentemente predisponga a desideri omosessuali. La ridotta aggressione maschile (e la sua
controparte: accresciuta aggressione femminile/comportamento da maschiaccio) come tratto
caratteriale (il termine attuale è “non-conformità di genere”) potrebbe quindi essere considerata, al
massimo, un fattore “che predispone in maniera indiretta”, o meglio ancora, “pseudopredisponente”. In
realtà, è l’ambiente e la visione che il ragazzo ha di se stesso che determina il ruolo che tale
temperamento avrà nella genesi dell’omosessualità. In questa variante della teoria dell’atipicità del
cervello legata alla tendenza sessuale, l’origine dell’omosessualità stessa non è spiegata; in linea di
principio essa può essere facilmente inclusa in una visione propria della psicologia dell’età evolutiva e
non giustifica certamente l’orribile nozione di “bambini gay”.
Ci sarebbero semplicemente bambini caratterialmente calmi e bambine “selvagge”, la cui stragrande
maggioranza cresce normalmente eterosessuale.
Ad ogni modo, la questione cruciale è la seguente: quali sono gli elementi di prova a favore di un
legame tra questo (o altri) tratto comportamentale e una qualsiasi irregolarità ormonale o del cervello?
Una spiegazione alternativa come ad esempio la formazione di abitudini, o una visione del proprio io
scaturita dell’educazione e da altre influenze sociali, non è certamente meno probabile. I ragazzi
“mammoni” e/o i ragazzi con padri “psicologicamente assenti” tendono ad essere, per così dire “troppo
addomesticati”, ed è stato mostrato che precisamente questi fattori inerenti il rapporto genitore-figlio
sono stati incontestabilmente associati con l’omosessualità maschile. [5]
Le “coccole” di papà, le ragazze la cui personalità non è stata molto plasmata dalla propria madre e le
ragazze con altri background defemminilizzanti, possono adottare atteggiamenti e abitudini più
mascoline o più simili a quelle di un ragazzo. Ad ogni modo, specifiche interazioni con i genitori e con
i propri coetanei sono state ampiamente dimostrate, mentre la spiegazione ormonale-neuronale ha
molto poco da offrire, se non speculazioni. Non vi è alcuna indicazione che gli omosessuali abbiano
sofferto di squilibri ormonali prima o dopo la nascita; il loro sistema ormonale è normale e in accordo
con il proprio sesso biologico.
Gli elementi di prova presentati dai proponenti della teoria di un cervello
mascolinizzato/femminilizzato si limitano a poche e scarsamente rilevanti osservazioni: il riflesso di
lordosi femminile nei topi maschi che si presentano dopo che questi vengono privati di testosterone
(tale riflesso non è comunque indicativo del loro impulso sessuale); un possibile aumento delle
tendenze lesbiche in donne che soffrono di iperplasia surrenale congenita o CAH (che sono state
esposte a ormoni androgeni prenatali) [6]; e alcuni dati contraddittori riguardanti i rapporti tra la
lunghezza delle dita.
Per quanto concerne la CAH, la maggior parte di queste donne sono eterosessuali, pertanto la supposta
mascolizzazione del cervello concernerebbe soltanto una minoranza. Se il lesbismo fosse davvero
relativamente frequente tra questi pazienti (i dati non sono conclusivi [7]), è difficile comprendere
perché ciò deporrebbe a favore di una causa o perfino una predisposizione ormonale in lesbiche sane
con un normale equilibrio ormonale e i cui genitali non sono semi-mascolinizzati come nel caso di
questi pazienti CAH. Una spiegazione psicologica per il lesbismo in ragazze con genitali “poco
femminili” e le varie esperienze traumatiche associate a tale condizione è più realistica di una
spiegazione fisiologica. Infatti, sentimenti di inferiorità femminile sono praticamente inevitabili in
ragazze che soffrono di una tale condizione ed è così che spesso inizia uno sviluppo lesbico.
Per quanto riguarda gli uomini che presentano disturbi che conducono a una deficienza o insensibilità
prenatale androgena (e che per questo alcuni credono che posseggano centri del cervello
“femminilizzati”), non è stato individuato alcun collegamento con l’omosessualità. [8] Questo è stato il
regolare esito dei primi studi sull’omosessualità in persone che effettivamente soffrono anche di alcune
aberrazioni degli ormoni o cromosomi sessuali: non diventano psicosessualmente deviati. Secondo
alcuni autori la loro sessualità può essere però piuttosto rudimentale, “infantile”, sottosviluppata, e
questo è comprensibile. [10]
Gli omosessuali hanno un rapporto di 2D:4D (dito indice: anulare) come quello tipico del sesso
opposto? E’ stato affermato che ciò “suggerisce” ormoni prenatali e formazione del cervello
sessualmente atipica. Ma il fenomeno è molto probabilmente niente di più di un peculiare manufatto,
come altri dello stesso genere, [11] per cui è meglio dimenticarlo.
In definitiva, i “promettenti” indizi di correlati ormonali dell’omosessualità, avanzati periodicamente, si
sono invariabilmente rivelati vicoli ciechi; a testimonianza di ciò vi sono quasi 90 anni di storia. E’ in
contrasto con la prudenza scientifica balzare con passi da gigante dalle osservazioni sui topi (d’altronde
non sufficientemente studiati) al complicato livello della sessualità umana. E’ tempo che la critica di
Byne (1995, p. 337) pervenga agli psichiatri, agli psicologi e ad altri professionisti che a volte tendono
a farsi eccessivamente impressionare dagli studi concernenti indizi biologici. Byne afferma che vi sono
troppe
“…interpretazioni affrettate, basate su campioni limitati, su metodologie incerte, su una conoscenza
estremamente limitata delle funzioni di particolari strutture del cervello e su una conoscenza ancora
più limitata dei substrati biologici della mente”.
In altre parole, c’è molta speculazione dilettantesca anziché seri studi scientifici. Egli spiega:
“Tentativi di dimostrare che gli uomini omosessuali hanno risposte gonatropine femminilizzate [12]
sono stati fatte diversi decenni dopo la scoperta di forti elementi di prova che suggerivano che il
meccanismo del cervello che regola la risposta negli uomini non è diverso da quello delle donne” e
“ci sono voluti 25 studi per convincere qualcuno che i livelli di testosterone in età adulta non rivelano
l’orientamento sessuale” (p. 336; vedasi anche Byne, 1997).
Fino a quando la colpevolezza di un sospettato non è stata dimostrata, esso deve essere considerato
innocente. Si può credere, a livello personale, che gli omosessuali abbiano peculiarità neuroanatomiche
e ormonali, ma scientificamente non vi è alcuna ragione per non considerarli fisicamente sani e normali
(studi sul cervello: sotto).
Nessuna Prova Genetica
Nonostante i numerosi suggerimenti del contrario, gli ultimi 15 anni di rinnovata ricerca hanno
condotto persino i genetisti comportamentali, favorevoli a una spiegazione genetica dell’omosessualità,
alla conclusione che i fattori genetici per le inclinazioni omosessuali non esistono. Questo interessante
fatto non riceve l’attenzione che merita. L’altro punto degno di nota è che, in conseguenza di ciò, le
attuali speculazioni genetiche si focalizzano su fattori predisponenti di natura non sessuale. Ne risulta
un’implicita ammissione che le cause primarie e decisive sono da ricercarsi nella storia della vita della
persona. La prova indiretta di queste conclusioni è scaturita da studi compiuti su gemelli, la prova
diretta dall’esplorazione dei linkage genetici.
Le percentuali di concordanza in studi effettuati su base volontaria variano da 25 a 66 per i gemelli
monozigotici (MZ), circa il doppio dei valori percentuali riferiti ai dizigotici (DZ). [13] Si tratta di un
quadro molto dissimile da quello che descrive casi di fattori genetici incontestati, come il colore degli
occhi, alcune malattie, etc.
Indipendentemente dal fatto che gli studi sui volontari non rappresentano adeguatamente la totale
popolazione degli omosessuali con gemelli (vedi più avanti), questi risultati non costituiscono prova
della determinazione genetica dell’omosessualità. Primo, perché in questi gruppi di volontari soltanto la
metà dei co-gemelli omosessuali MZ erano omosessuali. Secondo, perché la concordanza media dei
maschi omosessuali DZ, stando a studi su base volontaria, è del 20%, mentre la percentuale di
omosessualità tra fratelli non-gemelli di maschi omosessuali “si aggirava attorno al 9%”. [14] I fratelli
gemelli DZ degli omosessuali sono geneticamente più simili degli altri fratelli, pertanto la scoperta
secondo la quale i gemelli omosessuali DZ dei maschi omosessuali sono il doppio dei comuni fratelli
omosessuali di un uomo omosessuale invalida una spiegazione genetica.
Sia la maggiore concordanza nelle coppie MZ rispetto alle coppie DZ, sia la più alta incidenza nei
gemelli DZ rispetto a fratelli non gemelli, orientano verso una spiegazione psicologica (ambientale).
Purtroppo la dimensione psicologica è effettivamente trascurata in tutti questi studi, eccetto in
sporadiche osservazioni come quella di Bailey e Pillard nella nota a pié di pagina (1995, note 34):
Abbiamo scoperto, atttraverso studi compiuti su entrambi i sessi, che anche gemelli MZ discordanti
hanno riferito di esperienze infantili piuttosto diverse… i gemelli omosessuali hanno riferito un
comportamento più “sessualmente-atipico”...
(“Un comportamento sessualmente-atipico” è il concetto di non-conformità di genere di cui si è
trattato sopra).
Perché un’osservazione come questa non ha indotto a collazionare dati dettagliati sullo sviluppo
psicologico di questi soggetti, di identica strutttura genetica, focalizzando l’attenzione sul loro rapporto
con i genitori e i coetanei e sulla loro immagine in rapporto con quella del co-gemello? Ad ogni modo,
l’osservazione di Bailey e di Pillard viene spiegata in maniera soddisfacente dalla psicologia dei
gemelli. L’immagine che un gemello ha di se stesso prende forma grazie all’intenso confronto con il
proprio co-gemello (e alle comparazioni tra i due fornite dal contesto in cui vivono; si sentono
“identici” (vogliono essere ed agire come il loro alter ego) oppure enfatizzano eccessivamente le
proprie differenze, ad esempio rispetto alla propria virilità o femminilità. [15] Terzo, l’11% dei fratelli
adottivi di maschi omosessuali risultano essere omosessuali. [16] Questa scoperta che, né la genetica né
gli ormoni perinatali possono spiegare, getta più di un dubbio sulla spiegazione genetica
dell’omosessualità di figli maschi biologici e, conseguentemente, su tutta l’ipotesi genetica.
Ad ogni modo, il numero di concordanze in campioni di volontari sembrano essere state gonfiato
poiché i gemelli omosessuali, in particolare i gemelli MZ, sono di regola eccessivamente rappresentati.
[18] Bailey et al. (2000) hanno scoperto che 3 maschi omosessuali MZ su 2, inseriti nel registro dei
gemelli australiani, sono concordanti (11%), rispetto a 0 su 16 gemelli dizigotici dello stesso sesso
(12%). Su 22 gemelle MZ, 3 (14%) erano concordanti contro l0 gemelli dizigotici su 16 dello stesso
sesso (0%) e 2 su 19 dizigotici di sesso opposto (12%). Si tratta di “dati statisticamente non
significativi a sostegno dell’importanza dei fattori genetici”, e il lettore può facilmente rendersene
conto semplicemente leggendo i numeri riportati sopra. E’ significativo, però, che in seguito si sia
tentato di spremere dai quei dati così ovvi quanta più “ereditarietà” possibile, applicando criteri più
“flessibili” per l’omosessualità (e perciò più discutibili) utilizzando una formula di “ereditarietà”.
Ed ecco!, la formula magica trasforma la sconfitta della spiegazione genetica in una vittoria. Così, da
quel momento, ciò che evidentimente “non era una prova a sostegno dei fattori genetici” può essere
venduta come prova modestamente “a favore” (Kirk et al., 2000)! Un simile trattamento di dati così
evidenti confina con ciò che i francesi chiamano “massage statistico”; in ogni caso, non è una prova
della validità del modello non-genetico rispetto a quello genetico. [19] Ciò é vero anche per
l’interpretazione che è stata data di uno studio analogo, in cui si afferma che “l’orientamento [omo]
sessuale è stato notevolmente influenzato da fattori genetici”. [20]
Anche in questo caso i semplici numeri sono più significativi di qualsiasi sofisticato calcolo basato su
un modello speculativo [21]: due uomini omosessuali MZ su 10 avevano un fratello gemello
omosessuale (20%) contro i 4 di un gruppo combinato di 28 coppie di gemelli maschi DZ e di coppie di
fratelli non-gemelli, uno dei quali era omosessuale (14%). 4 su 9 coppie di femmine MZ erano
concordanti (44%) contro le 8 di un gruppo combinato di 28 gemelle femmine DZ e di sorelle non-
gemelle, una delle quali era lesbica (29%). Ciò indica una lieve, ma non significativa dal punto di vista
statistico, preponderanza di concordanza MZ.
In un campione non casuale di gemelli che non si sono mai sposati (tratto dal Registro dei Gemelli del
Minnesota, in cui sembra sia registrata la maggior parte dei gemelli di questo Stato), Hershberger
(1997) ha scoperto coefficienti di ereditarietà moderatamente conformi alle influenze genetiche per
quanto riguarda le lesbiche ma non i maschi omosessuali. [22]
In breve, la concordanza monozigotica diminuisce con l’aumentare dei campioni rappresentativi; Nello
stesso tempo, la differenza tra concordanze MZ e DZ diventa meno convincente. [23] Ad ogni modo, la
conclusione più importante è che l’ipotesi genetica è diventata sempre meno plausibile e sembra aver
ingaggiato un’azione di retroguardia. Infatti, non esistono più teorici delle influenze genetiche che
credono nell’esistenza di un vero e proprio “gene gay”. L’opinione sul ruolo dei geni ha subito un
silenzioso ma significativo cambiamento: atualmente i geni non sono più considerati come le principali
cause che determinano l’omosessualità; al massimo vengono considerati fattori predisponenti. In breve,
le cause (a) che determinano l’omosessualità non sono ereditarie .
Perfino Hamer, l’uomo che nel 1993 ha fatto parlare di sé nei media per la sua “scoperta imminente”
del gene gay [24] ammette:
Non ci aspettiamo di trovare (in futuro) un gene che sia il medesimo in ciascun uomo gay… ma
soltanto un gene che sia in correlazione con l’orientamento sessuale. [25]
Nonostante la frase non sia stata formulata in modo del tutto chiaro, egli sembra alludere a fattori
predisponenti. Le teorie di Bailey si dirigono nella stessa direzione, dopo aver scoperto che la non
conformità di genere dell’infanzia era (fino a un certo punto) compatibile con un modello
statisticamente genetico mentre i sentimenti omosessuali non lo erano. [26] Ma anche l’argomento a
sostegno dell’origine genetica del genere è tutt’altro che solido. Non è stato lo stesso Bailey a notare
precedentemente che era proprio questo elemento di non conformità di genere a distinguere i gemelli
omosessuali da quelli eterosessuali in coppie MZ discordanti per omosessualità? [27]
Da una parte c’è stato un drastico calo degli elementi di prova prodotti della moderna ricerca sui
gemelli, mentre dall’altra, la ricerca di un linkage genetico si è fermata completamente.
La famosa scoperta di Hamer, et al., nel 1993, non ha certamente dimostrato l’esistenza di un gene
singolo, in quanto non è stato provato che il gruppo altamente selezionato di uomini omosessuali che
mostravano una moderata correlazione tra DNA markers e una regione del cromosoma X, condivideva
una particolare sequenza molecolare. [28] Pertanto il supposto fattore genetico potrebbe essere stato un
qualsiasi somiglianza caratteriale o fisica con la madre (dalla quale viene ereditato il cromosoma X).
Tutto questa indagine è stata, in fin dei conti, solo una tempesta in un bicchier d’acqua. Una successiva
ricerca analitica ha sostenuto il verdetto della famosa autorità francese del settore, Jerome Lejeune,
affermando che i difetti metodologici dell’indagine erano così consistenti che “se non fosse stato per il
fatto che questo studio riguarda l’omosessualità, non sarebbe mai stato accettato per la pubblicazione”.
[29]
Una prima replica della ricerca compiuta dallo stesso team su un piccolo gruppo, ha prodotto una
appena significativa conferma per quanto riguarda gli uomini omosessuali, non le lesbiche [30]; i
calcoli del team di ricerca furono, ad ogni modo, rifiutati da esperti in statistica. [31] E un team
canadese indipendente non è riuscito a scoprire un collegamento tra l’omosessualità maschile e il
cromosoma X in un più vasto campione. [32] Questo per quanto riguarda l’esplorazione diretta dei
geni. Prove indiziarie vengono a volte dedotte da scoperte relative alla famiglia e all’albero
genealogico. E’ noto da molto tempo che l’omosessualità si presenta in maniera relativamente più
frequente in certe famiglie ed ascendenze, ma le spiegazioni genetiche non sono plausibili in
considerazione dell’irregolare distribuzione dell’omosessualità all’interno delle famiglie: “Non
abbiamo mai trovato una singola famiglia in cui i casi di omosessualità erano distribuiti secondo lo
schema delineato da Mendel.” [33]
E questa affermazione di Hamer è perfino un understatement. Riguardo la più stretta relazione, già
citata, tra le lesbiche e le loro madri piuttosto che tra le lesbiche e le loro sorelle, [34] egli commenta:
“La percentuale era un esorbitante 33 percento, il che significava che la figlia di una lesbica aveva una
possibilità su tre di essere anch’essa lesbica. Geneticamente parlando, questo risultato era impossibile”.
[35] Psicologicamente no. [36] Molte abitudini specifiche che contribuiscono a plasmare la personalità
sono trasmesse da una generazione all’altra attraverso l’apprendimento. Ciò può spiegare vari fenomeni
familiari che le ipotesi genetiche non sono in grado di spiegare. E’ perciò arbitrario presentare un
maggiore numero di casi di omosessualità maschile tra parenti materni come prova a sostegno di
influenze genetiche, come è stato fatto in una recente pubblicazione. [37] (Fortunatamente gli autori
ammettono che è “tuttavia possibile” attribuire i loro dati a “tratti ereditati culturalmente, anziché
geneticamente”). [38]
Nel tentativo di presentare il fenomeno, da lungo tempo conosciuto [39] e recentemente ben replicato
[40], di uomini omosessuali (non di donne) che hanno, in rapporto agli uomini eterosessuali, un
maggior numero di fratelli più grandi, è stata inventata una teoria inverosimile a riprova dell’esistenza
di una causa biologica dell’omosessualità maschile.
Le madri di omosessuali maschi produrrebbero progressivamente un “anticorpo” diretto ai feti maschi
quando restano incinta di un bambino; tale anticorpo renderebbe femminile il cervello in via di
sviluppo dei giovani embrioni maschi (la teoria ha attinenza soltanto con il 15% dei maschi
omosessuali, e cioè con quelli che hanno più fratelli maggiori). [41] Meccanismi fisiologici antibambino non sono comunque mai stati dimostrati, e lo status totalmente speculativo di questa teoria di
un cervello di maschio femminilizzato, è già stato descritto. Perché non provare con una spiegazione
psicologica? Già nel 1937 il professore di psichiatria Schultz ha messo in rilievo l’impatto dello status
di “bravo fratellino” (liebe Brüderchen) in mezzo a tanti fratelli più grandi, sul suo sviluppo
psicosessuale. [42]
Nessuna Correlazione Neuroanatomica
Come il professor Mégevant un secolo fa, i ricercatori che attualmente si occupano del cervello non
sono mai stati veramente ricompensati per le loro indagini sulle anomalie nei cervelli degli
omosessuali. Per esempio, un iniziale rapporto concernente fasci di fibre inter-emisferici, più grossi
negli uomini omosessuali, non potrebbe essere replicato. [43] Né esiste una ragione convincente per
spiegare l’osservazione eccessivamente pubblicizzata di LeVay nel 1991, riguardo un nucleo
ipotalamico più piccolo (INAH3) in alcuni uomini omosessuali, deceduti a causa dell’AIDS, rispetto a
quello di utilizzatori di droghe per via endovenosa; tale osservazione è stata addotta come prova a
sostegno di un cervello femminilizzato. La causa potrebbere risiedere nelle differenze tra i gruppi e non
nella variabile omosessuale: modalità di preparazione del tessuto, durata del periodo di malattia, altre
precedenti malattie veneree o medicinali.
Uno studio di Byne et al. (2001), accolto come “prova” di un “cervello omosessuale”, [44] ha in realtà
reso tale spiegazione ancora più improbabile. In un piccolo gruppo di uomini omosessuali deceduti per
AIDS, essi hanno scoperto una tendenza a un rapporto tra volume INAH3 e peso del cervello, minore
di quello rilevabile negli uomini eterosessuali deceduti per utilizzo di droghe. La tendenza non era
statisticamente significativa e quindi incontestabile. Byne sospetta che poiché il peso del cervello degli
uomini eterosessuali con AIDS era molto minore sia rispetto al peso del cervello degli uomini
eterosessuali HIV-negative sia rispetto a quello degli omosessuali con AIDS, la tendenza
“... potrebbe riflettere le migliori cure ricevute dal gruppo di omosessuali maschi rispetto al gruppo di
maschi eterosessuali con AIDS, i quali erano tutti utilizzatori di droghe endovenose” [45].
Né esclude che il preparato istologico abbia causato la contrazione del INAH3 negli omosessuali:
“Poiché i pazienti omosessuali ed eterosessuali provenivano da diverse istituzioni ospedaliere,
possono esserci state variazioni nelle procedure di fissazione e di autopsia e queste possono essere
state confuse con l’orientamento sessuale. Infatti, in alcuni ospedali di New York vi è una
preponderanza di pazienti HIV omosessuali, mentre in altri vi è una preponderanza di pazienti HIV
che fanno uso di droghe.”
Per queste ragioni egli crede che la sua seconda scoperta sia la più attendibile e la più importante: i
nuclei degli omosessuali contenevano un numero di neuroni equivalenti a quelli degli uomini
eterosessuali. Vale a dire il 60% in più di neuroni rispetto al nucleo della donna. Ciò è ancora più
interessante in quanto la INAH3 sembra esssere la sola struttura anatomica del cervello sessualmente
dimorfica. [46] In breve: nessuna prova per “li mal protesi nervi” (come le corde di una chitarra) che il
poeta Dante ascrive agli omosessuali! [47]
Conclusioni
La principale conclusione è ovvia, a patto che non si distolga lo sguardo dalle interessanti osservazioni
basate su dati di fatto, contenute nelle relazioni degli ultimi decenni e a condizione di non permettere
che il nostro sguardo venga appannato dalle interpretazioni distorte della biologia che caratterizzano
tali relazioni. Non è stato dimostrato alcun termine di correlazione fisica con l’omosessualità. Come
accade con il mostro di Loch Ness, ci sono periodiche asserzioni concernenti l’individuazione di un
fattore biologico, ma a un più accurato esame, tali asserzioni evaporano. [48] Ciò rende superflua
qualsiasi discussione sul fatto che un determinato correlato possa essere una causa, un effetto, oppure
un insignificante sottoprodotto di un’altra variabile collegata all’omosessualità.
Ma c’è dell’altro. Mentre le teorie costituzionali appaiono sempre più speculative, esse costituiscono
gli unici, consolidati termini di correlazione con l’omosessualità. Le correlazioni più forti sono state
sistematicamente scoperte in ciò che viene attualmente indicato come non-conformità di genere
nell’infanzia e nell’adolescenza: scarsa integrazione nel mondo dei ragazzi/ delle ragazze e un senso di
non appartenenza al mondo del proprio sesso. [49]
Questa sindrome è stata stabilita con campioni clinici e non, in vari paesi e in diverse generazioni.
Significativamente, è stata riconosciuta anche da autori che preferiscono credere in teorie biologiche
(Hamer, LeVay, Bailey). Altre correlazioni molto significative sono state individuate nei “difettosi”
rapporti con il genitore dello stesso sesso; infine, al terzo posto, le correlazioni individuate nel rapporto
tra il maschio omosessuale e una madre dominante/ eccessivamente protettiva e, per le donne lesbiche,
in vari fattori legati al rapporto con il padre. [50] Empiricamente, quindi, la spiegazione psicologica è
la più realistica.
Inoltre, la credenza in un contributo causale di alcune (in gran parte non specificate) variabili
biologiche, condivisa da molti professionisti che considerano fondamentalmente l’omosessualità come
un fenomeno fisiologico, è puramente ipotetica. Penso che Schultz-Hencke, uno dei corifei della
psichiatria tedesca, aveva ragione quando scrisse nel lontano 1932: L’omosessualità e ogni suo
correlato è “psicologicamente spiegabile, senza lasciare residui”.” [51] Anche le caratteristiche poco
maschili di molti ragazzi pre-omosessuali possono essere viste più come un effetto di fattori intrafamiliari, della formazione di abitudini, della considerazione che il ragazzo ha di se stesso, piuttosto
che come una questione di temperamento. [52] E parlare di “bambini gay” è certamente irresponsabile,
non solo moralmente, ma anche scientificamente. Non c’è nulla di intrinsecamente “gay” nella natura
biologica o psicologica dei bambini, nulla che spontaneamente li spingerebbe verso sentimenti
omoerotici. L’improbabilità teorica dell’esistenza di specifici correlati fisiologici per l’omosessualità
può apparire più chiaramente se vengono presi in considerazione la pedofilia omosessuale ed
eterosessuale, il trasvestitismo, l’esibizionismo ecc. (curiosamente, questo non viene mai fatto). Per
ciascuno di questi casi sono stati postulati fattori ormonali, ormonali-cerebrali o altri fattori, oppure si
crede che la causa sia “legata all’ambiente”. La prima opzione è vaga, la seconda mette in dubbio le
concause biologiche dell’omosessualità poiché, per quali motivi l’omosessualità dovrebbe essere
un’eccezione , visto che i desideri dei pedofili, ecc. hanno le stesse caratteristiche di quelli degli
omosessuali (esclusività, ossessività)?
Provate Variabili Psicologiche Ignorate
Metodologicamente è un peccato che la maggior parte degli studi esaminati non abbiano incluso le
variabili psicologiche di cui è stata dimostrata la validità per quanto concerne la loro relazione con
l’omosessualità. E a maggior ragione, in quanto i loro risultati sono in gran parte utilizzati come
argomenti a sostegno di una teoria (biologica). Ma qual’è il valore di una teoria basata su una ricerca
che ha ignorato alcune delle più importanti variabili? In particolare i vari studi sui gemelli MZ e DZ
avrebbero potuto produrre una ricchezza di dati se approfonditi esami psicologici fossero stati condotti
sull’ambiente della loro infanzia/adolescenza, su fattori legati ai genitori e ai coetanei, alla loro
autostima ed emotività nevrotica. [53] ciò vale anche per gli studi incentrati su gruppi familiari o
dell’albero genealogico e per gli studi del fenomeno dei tanti-fratelli in un sottogruppo di maschi
omosessuali. Questa opportunità mancata indica ignoranza della psicologia dell’omosessualità oppure
riluttanza ad attribuire ad essa il credito che merita (o entrambe).
Gli Attivisti Gay Dominano la Ricerca
Come si spiega questo matrigno trattamento della psicologia, tipico del diciannovesimo secolo, da parte
dei professori Mégevant dei giorni nostri? Si spiega in quanto, tranne poche eccezioni, si tratta di
persone omosessuali che hanno sposato l’ideologia gay. Essi sono i Weinbergs, i LeVays, gli Hamers, i
Baileys, gli Hershbergers etc., i quali hanno ammesso apertamente che le radici biologiche
dell’omosessualita favoriscono l’accettazione sociale dell’agenda gay (ed hanno ragione). E’ nel loro
interesse avere questa forte inclinazione verso la biologia. E poiché l’ideologia gay è diventata la linea
comune nell’establishment ufficiale delle scienze umane, e anche nella maggior parte delle riviste
professionali, tutte le scoperte “sostengono” l’origine biologica e la normalità dell’omosessualità, o
almeno, la suggeriscono. La libera ricerca e il libero pensiero diventa tabù non appena sembra
minacciare la causa gay. La scienza ideologicamente distorta così prodotta e sponsorizzata induce in
errore il pubblico. A un livello più profondo, è spesso motivata non da sete di verità, ma dal desiderio
di razionalizzare o di giustificare la normalità cercata da tantissime persone che vivono uno stile di vita
sessualmente anormale.
Note Finali
Questa rappresentazione travisata dello stato attuale della ricerca viene imitata da molti autori che
evidentemente la accettano senza compiere un esame critico. Un esempio doloroso è l’opinione di
Serra (2004) secondo la quale esisterebbe “un coerente complesso di osservazioni che indicano con
sufficiente forza che… una componente biologica (causale) non può essere esclusa, suggerendo perfino
che essa ha un peso apprezzabile” (p. 232). Ciò equivale a suggerire l’esistenza dell’omosessuale nato,
sebbene la formulazione di Serra sia piuttosto vaga. Faccio menzione di questo esempio perché padre
Serra è un professore di genetica in pensione dell’Università Gregoriana di Roma e membro onorario
della Pontificia Accademia per la Vita. Il suo fuorviante articolo nel periodico Gesuita La Civiltà
Cattolica farà probabilmente una certa impressione in alcuni circoli Cattolici.
1.
2. P. 228. A differenza degli autori che, privi di una solida conoscenza in questo campo, sognano
sconsideratamente “spiegazioni” fisiologiche, Byne è un’autorità nel campo della neuroanatomia
psichiatrica, Parsons nella genetica psichiatrica (entrambi dell’Istituto di Psichiatria di New York).
3. Ad esempio, Mustanski et al., 2002; Hershberger & Segal, 2004. Essi citano Meyer-Bahlburg
(2001), sebbene questo autore non abbia prodotto alcuna prova di peculiarità ormonali o del cervello
negli omosessuali, soltanto lo sviluppo psicosessuale di donne con un disturbo cromosomico (CAH
classica). Secondo alcuni (non tutti) studi, esse manifestano più inclinazioni lesbiche di altre donne;
tuttavia il loro “milieu ormonale prenatale non impone un esito lesbico o bisessuale” e “poche si
considerano lesbiche” (p. 163).
4. Dati della ricerca: van den Aardweg, 1986, cap. 15; Freund & Blanchard, 1987; Hockenberry &
Billingham, 1987.
5. Per quanto concerne la spiegazione della formazione del temperamento audace ed aggressivo tipico
del ragazzo, oppure della mancanza di esso, è istruttivo il confronto tra il comportamento di ragazzi di
famiglie operaie con quello di ragazzi cresciuti in famiglie con cultura universitaria. I ragazzi di queste
ultime famiglie sono generalmente “più delicati”, più “femminili”, se preferiamo questo termine
psicologico, meno fisicamente aggressivi. Confronta, inoltre, i ragazzi cresciuti negli slums con i
ragazzi appartenenti a famiglie del ceto medio.
6. Meyer-Bahlburg, 2001. Byne & Parsons (1993) chiariscono quanto sia poco convincente l’ipotesi di
una cervello mascolinizzato per spiegare questo fenomeno, peraltro, non dimostrato conclusivamente.
(p. 232).
7. Vedi sopra, nota 2.
8. Byne & Parsons, 1993, p. 232.
9. Per esempio, lo studio più datato di Raboch & Nedoma, 1958.
10. Züblin, 1957. Curiosamente, Züblin ha osservato che la debole sessualità di questi uomini
fisicamente anomali sembra fortemente determinata dalla loro bisogno di “comportarsi come altri
uomini”. Meyer- Bahlburg (2001) indica la spinta rudimentale sessuale delle donne con CAH.
11. Mustanski et al., 2002.
12. Gonadotropi: ormoni che operano nelle ghiandole sessuali. Risposte gonadotropine effeminate:
risposte paragonabili a quelle del ciclo fisiologico femminile.
13. Su 56 coppie MZ di maschi americani, 59 (29%) erano concordanti, contro 12 (22%) delle 54
coppie DZ (Bailey & Pillard, 1991); su 20 coppie britanniche MZ di maschi e femmine, 5 (25%) erano
concordanti, contro 3 (12%) delle 25 coppie DZ. La differenza non era significativa (King &
McDonald, 1992). Su 38 coppie MZ di maschi americani, 25 (66%) erano concordanti, contro 7 (30%)
delle 23 coppie DZ (Whitam et al., 1993). Su 71 coppie MZ di femmine americane, 34 (48%) erano
concordanti, contro 6 (16%) delle 37 coppie DZ (Bailey et al., 1993).
14. Bailey & Pillard, 1995, p. 136.
15. Conosco alcuni di questi casi. Il gemello omosessuale di queste coppie MZ si considerava (ed era
considerato dai suoi genitori) il più debole dei due, il cocco della mamma (l’altro, il cocco del padre).
Farber (1981) ha descritto due sorelle MZ cresciute separatamente, una lesbica, l’altra eterosessuale. In
contrasto con la sua co-gemella, la gemella lesbica aveva una relazione molto conflittuale con la madre
adottiva e un forte attaccamento con il padre adottivo, che imitava. La psicologia ci fornisce degli
indizi!
16. Bailey & Pillard, 1995, nota 30. In generale l’omosessualità sembra essere relativamente frequente
nei figli adottivi; ciò ha a che fare con la tendenza di molti di questi bambini a sentirsi esclusi (meno
preziosi) rispetto ai loro fratelli biologici.
17. Il fenomeno delle “distorsioni nell’accertamento della concordanza,” è stato la causa della
percentuale sospetta del 100% per quanto concerne la concordanza MZ (contro l’11.5% di concordanza
DZ; oppure, secondo una più ampia definizione dell’omosessualità, il 42.3% di concordanza DZ) nel
gruppo di maschi di Kallmann (1952). Le cifre di Kallmann generano alcune domande. Discepolo
favorito dello psichiatra Ernst Rüdin, la più alta autorità Nazista sugli aspetti sanitari “dell’igiene
razziale” nonché avvocato zelante della sterilizzazione forzata delle persone affette da disturbi mentali
e degli “psicopatici”,” Kallmann, come Rüdin, considerò la ricerca sui gemelli un mezzo per
migliorare le diagnosi dei familiari di persone “inferiori per razza”. Egli richiese la sterilizzazione degli
schizofrenici e di molti dei loro familiari apparentemente sani che, presumibilmente, erano portatori del
postulato gene recessivo malato, stimando che ciò rendeva necessaria la sterilizzazione di circa il 5%
della popolazione (!). Probabilmente non fu una coincidenza la sua scoperta di alti tassi di concordanza
negli schizofrenici MZ. Che cosa aveva inizialmente in mente per gli omosessuali, prima di volare
verso gli Stati Uniti? (Müller-Hill, 1984; Blondet, 1995).
18. Non è chiaro, tuttavia, in che misura possa essere rappresentativo, in quanto non possono essere
esclusi gli effetti dovuti alla “volontarietà” dei partecipanti. Soltanto circa la metà dei gemelli invitati a
prendere parte allo studio hanno effettivamente partecipato. Inoltre, il registro stesso è stato compilato
su base volontaria. Ciò significa che potrebbe contenere non più del 10-20% dei gemelli MZ e DZ
australiani (Kirk et al., 2000, note 39).
19. Le formule di ereditarietà sono statistiche che stimano la parte relativa alle varianti che potrebbero
accordarsi con un proposto modello di ereditarietà. Inoltre, essendo basate su presupposizioni
suscettibili di dibattito, i coefficienti di ereditarietà non costituiscono misurazioni dell’influenza
genetica, ma semplicemente quantificazioni del grado delle osservazioni compatibili con un postulato
modello genetico. In realtà, esse non accrescono la plausibilità dei coefficienti di ereditarietà della
personalità in quanto, secondo questi calcoli, le idee riguardanti la pena di morte, l’aborto su richiesta e
perfino una virtù come “l’umiltà” sono, per il 50%, geneticamente determinate (Excellent analyses:
Whitehead & Whitehead, 1999). Un’altra fonte di confusione scaturisce dall’utilizzo di percentuali di
concordanza “proband-wise” al posto delle usuali percentuali “pair-wise”. La formula proband
sovrastima la “reale” concordanza, producendo risultati geneticamente distorti. Formula Proband-wise:
2(++): [2(++)+-] x 100%; formula Pair-wise: (++) : N x 100%.
20. Kendler et al., 2000, p. 1843. Il campione venne da uno studio nazionale compiuto negli Stati Uniti,
ma non è rappresentativo degli omosessuali con gemelli, né può essere escluso il fattore della
volontarietà.
21. Gli autori utilizzano la formula di concordanza “proband-wise”, sovrastimando la somiglianza tra
gemelli MZ; in questo testo vengono fornite percentuali “pair-wise”.
22. In riferimento a questa “moderata concordanza” con un modello genetico, si vedano le scoperte
contraddittorie di Pattatucci and Hamer (1995), secondo le quali la più alta correlazione per quanto
concerne gli interessi lesbici non era tra le lesbiche e loro sorelle, ma tra le lesbiche e le loro madri.
Vedasi anche l’insuccesso di Hu et al. (1995) nel tentativo di scoprire un gene responsabile del
lesbismo.
23. Non possiamo escludere l’ipotesi che la concordanza MZ per l’omosessualità (e per altri aspetti)
fosse in passato più alta che ai giorni nostri. E’ possibile che i figli MZ di precedenti generazioni
venissero cresciuti e considerati come identici più di quanto accade attualmente, mentre i figli MZ delle
generazioni più recenti vengono maggiormente trattati come individui distinti, enfatizzando le loro
diversità piuttosto che le caratteristiche comuni. L’esame delle relative proporzioni tra gemelli MZ e
DZ in culture non-occidentali potrebbe aiutare a chiarire la questione.
24. Hamer et al.,1993.
25. Hamer & Copeland, 1994, p. 198.
26. Bailey et al., 2000.
27. Bailey & Pillard, 1995, footnote 34.
28. Byne, 1994.
29. Lejeune mi ha scritto questo (1993) in risposta alla mia domanda riguardo la sua opinione
sull’articolo di Hamer in Science. Lejeune era un grande e dotto scienziato, colui che ha scoperto il
gene della sindrome di Down.
30. Hu et al., 1995.
31. Risch et al., 1993.
32. Rice et al., 1999.
33. Hamer & Copeland, 1994, note 47.
34. Pattatucci & Hamer, 1995.
35. Hamer & Copeland, 1994, p. 191.
36. La scoperta deve essere ripetuta prima di poter fare generalizzazioni. E’ certamente rilevante in
relazione al dibattito sulla cura dei figli e sull’adozione da parte di coppie lesbiche.
37. Camperio-Ciani et al., 2004. Questo è uno studio piuttosto mediocre. La “misurazione” delle
inclinazioni omosessuali dei parenti è consistita nell’opinione degli stessi omosessuali intervistati (la
tendenza auto-difensiva degli omosessuali a proiettare l’omosessualità in altri è un fenomeno che
conosciamo bene). Inoltre, gli informatori erano volontari, quindi il risultato potrebbe essere falsato.
D’altra parte, gli autori enfatizzano che soltanto il 20% delle varianze nell’orientamento sessuale dei
componenti di un albero genealogico familiare potrebbe essere spiegato dall’ipotesi genetica.
38. Ibidem, p. 2220. “Culturalmente ereditato” suona strano. Perché non: “Trasmesso da abitudini
educative e dall’istruzione”? Per esempio, gli squilibri tra ruolo maschile-femminile che chiaramente
derivano da abitudini osservabili in certe famiglie; l’eccessiva protezione materna può a volte essere
fatta risalire a diverse generazioni, per non parlare delle credenze o delle visioni del mondo che
plasmano la personalità.
39. Per esempio, lo studio di Lang, 1936.
40. Bogaert, 2003. Statisticamente, le probabilità che un ragazzo in certe famiglie con diversi fratelli
diventi omosessuale aumenta del 38% per ogni fratello maggiore in più. Vista la crescente rarità di
famiglie con molti fratelli, questo fattore familiare influisce in maniera molto esigua nella società
Occidentale.
41. Bogaert, 2003. Il 15% di Bogaert si accorda bene con quello di Lang, 1936, che stimava il 10-20%.
42. Gli uomini omosessuali con fratelli si sentivano spesso inferiori a loro, erano più iperprotetti e
venivano trattati con maggiore delicatezza.
43. Lasco et al., 2002.
44. Nel suo libro, Bailey (2003) ha frainteso una comunicazione fattagli da Byne, comprendendo che si
trattava della conferma della scoperta di LeVay. Egli scrive, euforicamente, che gli sarebbe piaciuto
investire molto denaro nella ricerca di Byne (se lo avesse avuto, naturalmente), probabilmente nella
speranza che questo scienziato scoprisse la prova biologica così ardentemente desiderata. La qualità
scientifica delle pubblicazioni di Byne indica che finanziare la sua ricerca non è una cattiva idea, ma: i
risultati farebbero la felicità di Bailey?
45. Lettera a questo autore del 20 luglio 2005. Anche la seguente citazione è tratta da questa lettera.
46. Byne et al., 2001, p. 90.
47. Inferno, XV, verso 114: li mal protesi nervi.
48. Una delle recenti “farfalle” che vivono un solo giorno: la scoperta Svedese della preferenza degli
uomini omosessuali per l’odore di un corpo effeminato. Si tratta della prova della causa genetica
dell’omosessualità o del senso dell’umorismo degli autori?
49. Un indagine sugli studi compiuti fono agli anni ‘80: van den Aardweg, 1986, tabella 13.1; per studi
più recenti: ad esempio, Bem, 1996.
50. van den Aardweg, 1986, tabelle 15.1 e 27.5; Fisher & Greenberg, 1996, p. 137.
51. “restlos psychologisch erklärbar” (p. 300).
52. L’analisi delle prove riguardanti la specifica “femminilità” o la non-aggressività in ragazzi preomosessuali e le tendenze “mascoline” in alcune ragazze prelesbiche costituisce un capitolo a parte.
Qui posso semplicemente affermare la mia conclusione.
53. All’inizio del testo ho richiamato l’osservazione di Bailey secondo la quale gemelli maschi MZ
omosessualità-discordanti differivano per quanto riguarda la non conformità con il genere nel periodo
della fanciullezza.
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______________________________________________________________________________
Reprinted from the NARTH Bulletin, Winter 2005
"Ascolti anche gli Ex-Gay"
Un nostro lettore (e membro di Narth) ha inviato la seguente lettera alla
trasmissione radiofonica "Love Line", in cui il Dr. Drew, psicoterapeuta, risponde
alle domande degli ascoltatori. Essendo lui stesso un ex-gay, era stato infastidito
dalla comprensione parziale e unilaterale dell’omosessualità da parte del Dr.
Drew. Il nostro lettore rileva che le persone non devono necessariamente mettere
in pratica i propri sentimenti di attrazione per lo stesso sesso in quanto tali
attrazioni possono essere radicate in un deficit che non può essere sanato tramite
una relazione omosessuale.
Ha scritto:
Sono stato un ascoltatore di "Love Line" per alcuni anni. Ammiro le risposte
franche e dirette che lei fornisce alle persone che le telefonano per porle domande.
Tuttavia credo che il suo parere sull’omosessualità non sia del tutto esaustivo. Nel
corso degli ultimi anni ho ascoltato numerosi ascoltatori omosessuali dichiarare la
propria insoddisfazione e rappresentarle le proprie profonde incertezze riguardo la
propria sessualità.
Ricordo una telefonata in particolare: era un adolescente omosessuale che
sosteneva di essere attratto soltanto da uomini eterosessuali, non da omosessuali.
Quella telefonata mi ha indotto a scrivere questa lettera per condividere i miei
sentimenti e la mia storia con lei, nella speranza che lei voglia condividerli con i
suoi ascoltatori.
Quando avevo 16 anni, sono diventato sessualmente attivo con un ragazzo della
mia età. Il nostro rapporto sessuale è andato avanti per due anni. Lui mi ha fatto
conoscere la pornografia e la “scena” gay. Con questo, intendo dire che incontravo
alti uomini anonimamente nei parchi e nei bagni pubblici per fare sesso. Quando
ho iniziato l’università, a 18 anni, ho creduto che la mia attività omosessuale si
sarebbe interrotta. Tuttavia le pressioni e lo stress aumentarono e i miei rapporti
sessuali anche, fino a raggiungere livelli di dipendenza. A quel punto mi sono reso
conto che il mio comportamento e l’attrazione omosessuale non erano solo una
"fase passeggera". Ho capito che ero veramente omosessuale.
Per alcuni anni ho continuato ad avere incontri sessuali anonimi con altri uomini.
Tuttavia quel modo di vivere mi provocava molte sofferenze dal punto di vista
emotivo e così ho iniziato a cercare aiuto. Non volevo essere un omosessuale o
continuare la mia attività sessuale con gli uomini.
Ho iniziato a lavorare con un terapeuta che mi ha insegnato a migliorare i rapporti
sociali. Ho anche trovato un’organizzazione che finanziava ritiri nel fine settimana
e gruppi di sostegno per uomini. Sono entrato in uno dei gruppi e ho continuato a
lavorare con dei terapeuti per guarire la mia omosessualità. Nel corso di tre o
quattro anni, ho vissuto una fase di transizione che ha cambiato la mia vita.
Attraverso l'uso di potenti tecniche terapeutiche, come il rimodellamento dei
processi del pensiero, “reparenting”, analisi della transazione (lavoro sul bambino
interiore), “core energetics” e giochi di ruolo psico-drammatici, le mie attrazioni
omosessuali sono diminuite e il mio vero essere come uomo eterosessuale é
emerso.
Attraverso la mia esperienza terapeutica ho imparato che il mio comportamento e
le attrazioni omosessuali sono sintomi di un bisogno più profondo, il bisogno di
ricevere amore da altri uomini in un modo non sessuale.
Abusi sessuali durante l’infanzia, un padre emotivamente distaccato, un rapporto
malsano con mia madre e le mie nonne, e un sentimento di non accettazione da
parte di altri ragazzi e uomini hanno causato la omosessualità.
Poiché ero stato ferito in tenera età, mi ero chiuso emotivamente per proteggere me
stesso. Questo teneva fuori il dolore ma mi ha anche impedito di ricevere l’amore
da parte di persone del mio stesso sesso di cui avevo disperatamente bisogno.
Attraverso il corso della mia guarigione, ho avuto moltissimi contatti fisici nonsessuali con altri uomini. Questi contatti e il fatto di poter liberare il dolore
emotivo che era chiuso dentro di me mi ha aiutato a guarire le mie ferite.
Adesso ho 26 anni e sono libero da impulsi omosessuali da tre anni.
Non sono più sessualmente attratto da altri uomini, e la mia precedentemente
inesistente attrazione eterosessuale è emersa. La mia spinta a cercare il
cambiamento sessuale era basata sul mio dolore emotivo interno, non sulle
pressioni esercitate dalla società a "diventare etero."
Ho provato a vivere uno stile di vita gay, ma l’ho trovato insoddisfacente e vuoto.
La guarigione non sta nella repressione delle attrazioni omosessuali, ma nel
riconoscerle per quello che sono e per quello che veramente simboleggiano.
Io credo che l'omosessualità sia un sintomo (come l'alcolismo o la
tossicodipendenza) di ferite più profonde. Il fatto stesso che il 90% delle coppie
omosessuali non sono monogame, e che la maggior parte degli uomini gay
riferiscono di aver subito abusi sessuali nell’infanzia, attestano, secondo me, in
modo chiaro che l'omosessualità è di per sé un problema di sviluppo. Ci sono
troppi denominatori comuni legati all’ambiente, tra gli omosessuali, per poter
concludere che le cause sono casuali o biologiche.
L’ho sentita fare un collegamento, parlando con alcuni suoi ascoltatori, tra gli
abusi sessuali da loro subiti e il loro successivo comportamento omosessuale.
L’attrazione omosessuale simboleggia lo stimolo a connettersi con altri uomini e
quindi con la mascolinità. Ma due uomini che cercano la mascolinità al di fuori di
sé non possono trovarla sessualmente attraverso altri uomini. A mio giudizio, è il
motivo per cui i rapporti omosessuali, in definitiva, falliscono.
In determinate occasioni, l’ho sentita discutere di come la gente non deve
necessariamente mettere in pratica le proprie attrazioni. L'omosessualità è un
grande esempio. Gli omosessuali cercano la propria identità di genere attraverso il
contatto sessuale con lo stesso sesso. Tuttavia, non la troveranno lì. Poiché alle
radici dell’omosessualità vi sono bisogni non-sessuali, l’omosessuale non può
essere guarito attraverso rapporti sessuali con lo stessso sesso. Può essere guarito
da un profondo legame non sessuale con persone dello stesso sesso.
In riferimento al suo ascoltatore teenager omosessuale che non si sente attratto da
altri omosessuali, mi sembra chiaro che è attratto da uomini eterosessuali a causa
della loro mascolinità, e che è precisamente alla mascolinità che lui ha bisogno di
connettersi non sessualmente.
Il mio intento non è quello di colpire i gay. Ho molta empatia per gli uomini e le
donne omosessuali. La mia speranza è che più persone si rendano conto che c'è una
opzione per coloro che sono infelici della propria omosessualità e che desidaro
veramente cambiare.
Mi rendo conto che è politicamente e professionalmente rischioso parlare di
guarigione dall’omosessualità. Rispetto tale problema e rispetto il fatto che alcuni
sostengono di essere felici. Altri, invece, non sono felici di essere gay.
Mi auguro sinceramente che leggerà questa lettera durante una delle sue
trsmissioni radio. Poiché lei ha molti ascoltatori, la sua trasmissione è un grande
luogo di incontro per la discussione. Molti dei vostri ascoltatori sono in età molto
impressionabile e si rivolgono a voi per ottenere aiuto. Vorrei incoraggiarla ad
offrire loro un’alternativa, e lasciare che indaghino su ciò che è meglio per i loro
cuori.
A chi si dovrebbero rivolgere? L’Associazione Nazionale per la Ricerca e la
terapia dell’Omosessualità è un’associazione professionale che crede che gli
omosessuali, attraverso la terapia e altri mezzi, possano cambiare.
Possono essere contattati al numero 818-789-4440, o tramite internet al
www.narth.com.
Cordiali saluti
Senza firma
Il Potere Terapeutico della Sintonia
di Joseph Nicolosi, Ph.D.
“Le nostre menti non sono create per restare isolate, ma sono co-create. Il
nostro sistema nervoso è pronto per imparare dai sistemi nervosi di altre
persone, che interagendo con il nostro, lo trasformano”(1)
L’esperienza della sintonia costituisce, in psicoterapia, il processo centrale di
guarigione. Tale esperienza consente al cliente di collegare gli aspetti cognitivi agli
aspetti emotivi della sua vita interiore. Un rapporto caratterizzato da una forte
sintonia crea nuove connessioni neurologiche nel cervello.
Quando il cliente spalanca la sua vita affettiva al terapeuta, egli si impegna in un
rapporto di fiducia che lo unisce al terapeuta in una elegante ed intima danza.
Entrambi sviluppano una sottile sincronia in cui ognuno, intuitivamente, sente ciò che
l'altro sta cercando di esprimere.
Durante la sessione, il terapeuta valuta la ricettività del cliente con domande del tipo:
"Cosa sta realmente accadendo tra di noi in questo momento?" Il terapeuta è
particolarmente interessato a realizzare l’“adesso”, a creare con il suo cliente
un’intensa connessione emotiva nel presente. Entrambi sperimentano una sorta di
ansia e percepiscono che la loro relazione potrebbe, in qualche modo, cambiare
improvvisamente, in peggio o in meglio, proprio in quel momento.
La sensazione di vulnerabilità e di sentirsi “esposti” é una parte fondamentale di
queste interazioni. Vi è una sorta di eccitazione - un riconoscimento reciproco a un
livello più profondo e, a volte, un lieve, imbarazzato sorriso accompagna questo
“mettere a nudo” i propri sentimenti più intimi.
I malintesi, i sentimenti feriti e i risentimenti nascosti sono comunque inevitabili nel
rapporto terapeutico. Essi offrono al cliente l’opportunità di imparare a re-impegnarsi
emotivamente dopo aver sperimentato una frattura emotiva. Queste esperienze gli
permettono di comprendere che i rapporti possono sopravvivere al critico processo di
sintonizzazione-- desintonizzazione-- risintonizzazione, e che la fiducia, anche se
perduta, può essere riacquistata. Il cliente osserva il funzionamento di questo
processo e impara a regolare il ritmo e l'intensità degli alti e dei bassi della relazione,
man mano che la frattura emotiva viene gradualmente sanata.
I momenti di risintonizzazione ricreano il legame tra il cliente e il terapeuta, ma
anche tra il cliente e se stesso. Attraverso questo processo, egli accresce
gradualmente la sua capacità di tollerare il dolore emotivo.
Dopo che la frattura è stata riparata, il cliente riceve l’espressione di rispetto e di
stima del terapeuta, e può assaporare l'esperienza di essere riuscito ad esprimere
onestamente la propria sofferenza o la propria rabbia, sentendosi, tuttavia, compreso
ancora una volta. Questi momenti intersoggettivi ricordano i primi momenti di
“sintonia” tra madre e bambino. Attraverso una comunicazione sottile e molto
sfumata il cliente e il terapeuta condividono molti momenti di sintonia—
un’esperienza pre-esplicita e non verbale che si verifica tra due persone quando
riconoscono che “Io so che tu sai che io so”.
Riconnessione con la propria Vita Affettiva
Un’altra importante lezione che il cliente apprende, durante le sedute
psicoterapeutiche, è l’importantissima capacità di descrivere un sentimento. Poiché
egli ha rinnegato alcuni aspetti della propria vita affettiva (emotiva), realizzare la
connessione tra descrizione e sentimento, in presenza di un’altra persona, è quasi
sempre un’esperienza dolorosa.
Quando i genitori non riescono a rispecchiare con precisione l’esperienza interiore
del bambino e a fargli sentire che può senza timori sentire ed esprimere i propri
sentimenti, il figlio/a sarà disorganizzato affettivamente ed emotivamente isolato. Il
bambino cresce imparando a diffidare delle sue percezioni interiori e diventa incline a
chiudersi ai rapporti affettivi, provando un sentimento infuso di vergogna.
Le sue difese lo porteranno a spostare continuamente la sua attenzione dal contenuto
ai sentimenti, e poi di nuovo al contenuto, ma evitando il collegamento tra i due.
In momenti critici di forte emotività, sento spesso il bisogno di incoraggiare il cliente,
dicendo: "Prova a rimanere in contatto con me e con i tuoi sentimenti,
contemporaneamente".
L’istituzione di questo legame neurale tra pensiero e sentimento da l’avvio, attraverso
il mezzo dell’interazione umana, al vitale processo di unificazione tra emisfero
sinistro ed emisfero destro del cervello, tra cognitivo e affettivo, tra conscio e
inconscio.
Lo Spostamento Somatico Conduce a un Nuovo Significato
La mente inconscia racchiude “ricordi legati a sensazioni corporee” che operano
senza coinvolgere la nostra coscienza cognitiva. La mente cosciente può trarci in
inganno, ma il corpo non può farlo.
Freud ha sintetizzato l'obiettivo della psicoanalisi nel modo seguente "Dove era
l’‘Id’*, lì ci sarà l’ego". Intendeva dire che gli impulsi irrazionali e inconsci devono
essere sostituiti con l’auto-consapevolezza (conoscenza) e la razionalità. Possiamo
modificare questo dictum e proporre il seguente: "Qualora si verifichi un mutamento
delle esperienze somatiche (corporee), vi sarà un nuovo significato". La mente potrà
allora comprendere in modo nuovo le nostre esperienze incarnate.
Ad esempio, l’uomo che si autoidentifica come gay dice: “Il mio essere gay
determina la mia eccitazione sessuale nei confronti di un maschio attraente. Questi
sentimenti sono normali e naturali per me”. Per lui, un maschio attraente è associato
alla gratificazione fisica, e si convince che tali sentimenti delineano veramente la sua
identità.
L’omosessuale non-gay, invece, pur avendo la stessa reazione somatica verso lo
stesso uomo attraente, dice qualcosa di completamente diverso: “Mi sento attratto da
quell’uomo perché egli possiede qualità mascoline che sento di non avere in me.
Questo sentimento di attrazione non determina chi sono io”. Poi si chiede “Come mi
sento in questo momento? Cos’è in me che fa scatenare questa attrazione sessuale? E
cosa posso fare per cambiare questa situazione?"
Imparare a riconoscere il Doppio Legame**
Il tipo di comunicazione denominata “Doppio Legame” ha spesso ingenerato
confusione nel cliente. Egli può riconoscere questo tipo di comunicazione da
un’istantanea sensazione di paura e disagio. Improvvisamente sente che qualcosa non
va; una sorta di ingiustizia è accaduta, ma non sa cosa, esattamente. Non solo si sente
confuso, ma anche arrabbiato. Eppure non esprime la propria rabbia a causa della
paura e dei dubbi che lo paralizzano.
Un uomo la descrive così: "In quei momenti di comunicazione provo rabbia e
incertezza riguardo ciò che sta accadendo, e non so cosa dire. Non sono veramente
sicuro se sono stato io a causare il problema oppure se l’altra persona si è comportata
in maniera ingiusta con me.
“Ma anche se la sua mente è confusa, il suo corpo, che sente la rabbia, “conosce” il
vero messaggio della comunicazione. Sente che “sta accadendo qualcosa che mi fa
sentire ... [triste, arrabbiato, deluso, ferito, sminuito, escluso, ecc], ma non riesco a
identificare esattamente il motivo per cui mi sento così”.
Gli indizi per comprendere che vi trovate in una situazione di Doppio Legame sono i
seguenti:
Quando provate sentimenti negativi dopo un’interazione ma non sapete il perché.
Quando sentite che si è verificata una sorta di ingiustizia ma non riuscite a definirla.
Quando vi sentite frustrati ma non riuscite ad individuare la contraddizione che causa
la frustrazione.
Aspettative Abituali inerenti i Rapporti Umani.
Una caratteristica insidiosa della comunicazione del Doppio Legame, che è spesso
legata alle esperienze infantili dei nostri clienti, è la seguente: quando questo tipo di
comunicazione viene ripetuto per lunghi periodi di tempo, la persona sviluppa una
ipersensibilità verso la ri-stimolazione della stessa inibizione. Essa ha imparato a
ignorare le risposte del proprio corpo (“viscere”) a qualsiasi messaggio (processo)
implicito. Ha imparato ad essere sospettosa nei confronti di qualsiasi cosa percepisce
attraverso il tono della voce, i tempi di reazione, la postura, l’espressione del viso
dell’altra persona (vale a dire, "ciò che realmente sta accadendo") rispondendo,
invece, soltanto a messaggi (contenuti) espliciti.
Esiste una tacita regola nella comunicazione del Doppio Legame: il destinatario non
può svincolarsi dalla comunicazione. Il suo ruolo è quello di partecipare al gioco. Vi
è un tabù che non permette di smascherare la contraddizione. Per una sana
reintegrazione dell’Io è necessario che il cliente impari a rifiutare di partecipare a tale
comunicazione. Alla sua mente consapevole viene ora insegnato ad entrare in
sintonia con la risposta del suo corpo così da poter valutare con precisione ciò che sta
effettivamente accadendo, nell’attimo in cui accade.
E’ fondamentale insegnare al cliente come riuscire a sopravvivere a questo stile di
comunicazione affettivo-destabilizzante senza compromettere la sua verità interna,
poiché se scende a compromessi con la sua effettiva percezione di tali episodi, egli
passerà da un sano stato assertivo ad una destabilizzante vergogna, e infine, a
sentimenti omosessuali non desiderati.
La Terapia riparativa aiuta il cliente a compiere il passaggio da una condizione
inibitoria di vergogna, che genera “chiusura”, ad una vitale capacità di affermazione.
Nei nostri clienti è osservabile il sentimento di vergogna per l’affermazione della
propria identità sessuale. Si tratta di un "flashback" somatico che proietta il corpo in
uno stato difensivo di chiusura. Il ritorno alla condizione di affermazione diventa
possibile solo quando il cliente supera la postura “di vergogna” e il suo stato di
chiusura.
Il contrasto tra vitalità e inclinazioni inibitorie è stato illustrato da ciò che gli
psicologi comportamentalisti chiamano il “Fenomeno del Luccio”. Durante un
esperimento, un luccio viene collocato in un contenitore insieme ad alcuni pesciolini
vivi. Il luccio inizia immediatamente a mangiare tutti i pesciolini che vede. Poi un
invisibile cilindro di vetro viene posto sopra al luccio. Conseguentemente, ogni volta
che il luccio cerca di mangiare i pesciolini, urta il muso contro il cilindro, provando
dolore. Il cilindro viene poi rimosso, ma il luccio, anticipando il dolore, non fa più
alcun tentativo di mangiare i pesciolini. La risposta energica è stata perduta ed è stata
sostituita con la risposta inibitoria.
La memoria è un fenomeno psico-fisiologico. Ciò significa che non è soltanto un
fenomeno cognitivo, ma è anche somatico – è un trauma incarnato nel corpo. Una
potente esperienza terapeutica può ri-codificare le connessioni sinaptiche del sistema
della memoria (Schore, 2003).
Non è possibile annullare completamente un vecchio trauma; tuttavia la relazione con
un terapeuta capace di stabilire una forte sintonia con il cliente può disegnare nuovi e
positivi tracciati neurologici sopra ai vecchi, traumatici ricordi neurologici.
-------------------------------------------------------------------------------*Secondo la teoria psicoanalitica freudiana, l’Id è uno dei tre aspetti della personalità umana: E’
stato definito “la parte più profonda della psiche”. Da esso si sviluppano l’ego e il superego. L’ID è
la fonte sia degli impulsi istintivi, come l’impulso sessuale o quello aggressivo, sia dei bisogni
primitivi, che esistono fin dalla nascita. L’Id è totalmente irrazionale, funziona in base al principio
del piacere-dolore, è sempre alla ricerca di una soddisfazione immediata. I suoi processi sono
completamente inconsci nell’adulto, ma forniscono energia ai processi mentali consci. L’Id ha un
ruolo molto importante nelle espressioni umane basate su elementi non razionali, come la creazione
di un’opera d’arte. I principali metodi per smascherarne il contenuto sono, secondo Sigmund Freud,
l’analisi dei sogni e la libera associazione.
**Le origini di una mente scissa e, quindi, le origini del trauma sono da ricercarsi nello stile di
comunicazione della famiglia denominato Doppio Legame. Si tratta del comune tipo di
comunicazione della Famiglia Triadica-Narcisista, un tipo di famiglia spesso descritta dai nostri
clienti di orientamento omosessuale. La Comunicazione del Doppio Legame crea due scismi; il
primo all’interno dell’Io, e il secondo, tra l’Io e gli altri. (Per meglio comprendere la comunicazione
Doppio Legame si consiglia di leggere il post “ Joseph Nicolosi: L'Esperienza del Double-Loop”
Nota
(1) Stern, Daniel (2002) "Why Do People Change in Psychotherapy?" (1) Stern, Daniel (2002):
"Perché la gente cambiamento in Psicoterapia?" Continuing Education Seminar,
[email protected] , Los Angeles CA. Seminario di Formazione continua, [email protected],
Los Angeles, CA.
Riferimenti
Schore, Alan (2003) Affect Regulation and the Repair of the Self. NY: Norton. Schore, Alan (2003)
Influenza regolamento e la riparazione del Sé. New York: Norton.
Aggiornato: 18 dicembre 2008
Traduzione di Patrizia
http://omosessualitaeidentita.blogspot.com/
E così volete diventare un Terapeuta Riparativo ....
Di Joseph Nicolosi, Ph.D.
Negli ultimi anni mi ha gratificato vedere un numero
sempre maggiore di studenti laureati, interessato a
lavorare con clienti che provano attrazione per persone
dello stesso sesso (SSA) * e che desiderano cambiare.
Alcuni di questi giovani studenti hanno lottato con
questo problema e desiderano utilizzare ciò che hanno
appreso per aiutare gli altri.
"Ma ne vale la pena?" si chiedono.
Nel rispondere, vorrei descrivere sia gli aspetti positivi
sia quelli negativi.
Aspetti Negativi
Coloro che non sono in grado di gestire le controversie
"è meglio che lascino perdere”. Imparerete presto ad astenervi dal dire al
passeggero cordiale, seduto accanto a voi su un aereo, ciò che davvero fate
per vivere. (Potreste scoprire che questa nuova conoscenza non ha una
mentalità così aperta come sembrava in un primo momento). Idem per i
cocktail party. Alcune persone vi loderanno come un eroe moderno, mentre
altri vi accuseranno intollerantemente di intolleranza – completamente ignari
dell’intrinseca contraddizione. Preparatevi ad essere fraintesi.
Se utilizzate il termine "terapia riparativa" per descrivere il vostro approccio,
sappiate che tale termine è sia una benedizione sia una maledizione. Preso alla
lettera, il termine può sembrare offensivo (il concetto di "riparare" qualcuno,
come si farebbe con un auto), ma questo non è il suo vero significato. Il
vocabolo "riparativa" si riferisce al concetto di omosessualità come impulso a
riparare, che è in realtà una buona notizia per il cliente con sentimenti SSA
indesiderati.
Molti uomini sono stati portati a credere che i loro sentimenti di attrazione per
persone dello stesso sesso stanno a significare che sono "strani", "perversi" e
"degeneri". Ma ora, attraverso il concetto di spinta riparativa, si rendono
conto che i loro bisogni sono un normale e sano (anche se in ritardo con lo
sviluppo) tentativo di stabilire quel legame con persone dello stesso che non
hanno stabilito nella loro infanzia. La comprensione del concetto di spinta
riparativa fa si che si attenuino i sentimenti di disgusto e di vergogna che il
cliente prova nei confronti di se stesso, ed implica anche un progetto positivo
per il cambiamento, attraverso l'acquisizione di un rapporto intimo, non
sessuale, con un uomo. Tutto questo richiede molte spiegazioni, ma per molti
clienti, tali spiegazioni iniziano gradualmente a suonare come vere, in quanto
rispecchiano la loro vita.
Il cliente scopre rapidamente che il terapeuta riparativo gli offre una più
profonda accettazione di quella che aveva trovato nella comunità gay, dove
regna il tabù: "Mai chiedere perché sei gay". (Vedi la mia intervista sul sito
web NARTH con l'ex attivista gay Michael Glatze). Al contrario, nella terapia
riparativa, il cliente è incoraggiato a indagare apertamente i deficit nei legami
emotivi della sua infanzia.
Un altro svantaggio... vi sentirete ripetutamente frustrati nel vedere come i
mass media travisano ciò che dite e citano frasi fuori del loro contesto.
Preparatevi a essere traditi da quel simpatico giornalista del LA Times che vi
chiama a casa, vi intervista per mezz’ora, e alla fine, usa soltanto una sola
frase – fuori contesto – proprio quella che da di voi un’idea completamente
falsa.
Qualche tempo dopo, potrete farvi convincere da un’affabile cronista del
Washington Post che la sua intenzione, a differenza di altri cronisti, è quella di
scrivere davvero una storia chiara ed equilibrata, in cui l’imparzialità possa
finalmente prevalere. Ma poi, quando l'articolo esce, vi sentirete ancora una
volta indignato.
Ecco un altro paradosso: aspettatevi che, in privato, un buon numero di
colleghi terapeuti vi incoraggi e vi rassicuri: "Stai facendo un grande lavoro".
Essi ammirano il vostro lavoro e dicono che sono dalla vostra parte. Ma,
ammettono: "Non potrei mai dirlo pubblicamente, sarebbe troppo distruttivo
per la mia carriera".
Forse l’aspetto negativo peggiore è il seguente: aspettatevi di lavorare in
maniera sincera con un adolescente che sta male e che sta esplorando le
opzioni della sua identità sessuale, che crede sinceramente che l'umanità sia
stata progettata per l'eterosessualità e che lavora bene nel corso del mese che
trascorre con voi.
Poi, cinque anni dopo, scoprite che è stato eletto presidente del Club di Gay e
Lesbiche del suo collegio - e, con vostro sgomento, adesso ha un video su
YouTube attraverso il quale insulta voi e il vostro lavoro.
Non è raro per i giovani che si interrogano sulla propria sessualità, fare marcia
indietro una o due volte prima di decidere riguardo la propria identità
sessuale.
Il giovane cliente, con il quale avete uno stretto rapporto di comprensione
oggi, può benissimo trovare conforto e sostegno in un gruppo di attivisti e
amici gay, e poi decidere di rifiutare pubblicamente voi e le vostre idee.
Aspetti Positivi
Se non vi siete ancora scoraggiati, continuate a leggere.
I benefici superano di gran lunga i costi. Avete il privilegio di studiare e
sviluppare un nuovo settore di trattamento che sfida ciò che l'APA – con il
suo silenzio forzato sulle origini dell’omosessualità – sta cercando di realizzare
in questo settore. Vi è una soddisfazione contro-culturale nel raggiungere il
successo in un settore in cui vige la correttezza politica. (Questa soddisfazione
è di gran lunga superiore alla paralizzante indignazione che si prova ogni volta
che si sente parlare di un altro episodio dell’Oprah Winfrey Show.)
Ma soprattutto, avete il privilegio di lavorare, molto intimamente, con uomini
idealisti che sono decisi a non restare vittime di sentimenti omosessuali che
non vogliono, e a realizzare il proprio sogno di un matrimonio tradizionale e
di una famiglia.
Vi è grande soddisfazione nel vedere per la prima volta, nel tuo studio di
consulenza, un uomo che ha alle spalle una vita di privata tortura; per anni
egli ha lottato contro la sua SSA indesiderata, senza avere idea del perché
essa lo tormenta così, o di che cosa può fare per cambiare. Come vittima della
correttezza politica, non gli è mai stata offerta un'altra prospettiva sulle origini
dei suoi sentimenti indesiderati.
Venire da voi rappresenta l'ultimo passo, e in 45 minuti, egli "sa che sapete", e
inizia ad assemblare tutti i piccoli frammenti della sua vita – la sofferenza, la
confusione, la vergogna, il dolore, l'alienazione, la solitudine – Dopodiché voi,
come terapeuti, potete entrare in mezzo a tutto ciò ed aiutarlo a riordinare i
frammenti in modo da farne scaturire il significato profondo; tale
comprensione trasformerà la sua vita. Per il terapeuta, questo lavoro richiede
una capacità di donare se stesso e di creare una squisita armonia, che lascia
esausti, ma paradossalmente euforici, alla fine della giornata.
Una soddisfazione marginale ma potente si ha quando, nel momento in cui ci
si sente scoraggiati e si comincia a credere che il dibattito non potrà mai
essere portato a termine con successo, si riceve una lettera per posta con
allegata una foto di una coppia di sposi. La nota all'interno dice "grazie" da un
uomo che ha lavorato con te molti anni fa.
Oppure, quando si riceve una lettera da un uomo che vi esprime la sua
profonda riconoscenza per averlo aiutato a salvare il suo decennale
matrimonio – dopo che gli era stato detto, da un altro psicologo, che era nato
omosessuale e che avrebbe trovato pace solo se avesse lasciato moglie e figli
per iniziare una nuova vita con un altro uomo.
Nel cassetto della mia scrivania, ho una raccolta di tali lettere e immagini per
ricordare a me stesso il senso del mio lavoro.
In effetti, noi abbiamo il privilegio di camminare con molti di questi clienti fino
all’Inferno, per poi tornare indietro.
*Same Sex Attraction: Attrazione per persone dello stesso sesso
I miei due anni in Terapia Riparativa
di "Ben Newman"
Tutti i nomi sono stati modificati per tutelare la riservatezza. "Ben Newman" è il
webmaster del sito web "PeopleCanChange.com", una pagina web che offre molte
utili e penetranti storie di cambiamento. Direttore di pubbliche relazioni di
professione, l'autore risiede in Virginia con la sua famiglia. Può essere contattato
all’indirizzo email: [email protected].
Nel maggio del 1997, mentre mi accingevo ad iniziare la terapia riparativa per
dipendenza omosessuale, stavo attraversando un periodo di profonda crisi. Mia
moglie aveva scoperto un’altra delle mie menzogne, che raccontavo per
nascondere la mia doppia vita. Sicuramente questa sarebbe stata l'ultima goccia.
Sicuramente questa volta lei mi avrebbe lasciato e non sarebbe più tornata; avrebbe
portato con sé i nostri due bellissimi bambini. Ero totalmente in preda al panico.
La prima volta che sono entrato nell'ufficio del mio terapeuta non mi sono sentito
particolarmente a disagio; il panico che provavo per il mio matrimonio aveva
eclissato qualsiasi nervosismo per ciò che sarebbe potuto accadere durante la
terapia.
Avevo incontrato il mio nuovo terapeuta, "Matt", solo sei settimane prima,
attraverso un gruppo di self-help per uomini che lottano contro desideri
omosessuali indesiderati. Matt mi aveva colpito per due motivi: per il suo aspetto
giovanile e mascolino – i suoi occhi sembravano scrutare nella mia anima - e per
avermi raccontato che lui stesso, un tempo, aveva lottato contro desideri
omosessuali e che era riuscito a risolvere il problema. Soprattutto quest’ultimo
particolare mi diede enorme fiducia e speranza.
Avevo letto alcuni scritti di persone che affermavano genericamente "Altri sono
usciti dall’omosessualità, perciò anche tu lo puoi", ma non avevo letto mai nulla
che effettivamente identificasse questi cosiddetti ex-omosessuali, e così per anni
avevo dubitato della loro esistenza.
Matt è stato il primo vero essere umano a dirmi "Mi sentivo gay e pensavo di voler
vivere la mia vita in quel modo, ma ho trovato una via d'uscita che mi ha fatto
sentire più felice e in pace con me stesso".
Non sapevo cosa volesse dire esattamente, ma avevo fiducia che lui, più di
chiunque altro, mi avrebbe potuto aiutare a trovare il modo per uscire dal buco in
cui mi trovavo.
Ed era un buco profondo. Avevo una doppia vita. In apparenza, marito e padre
felice, cristiano praticante e professionista di successo, ma in realtà, omosessuale
sesso-dipendente e pieno di rabbia.
Dopo 14 anni di questa vita, mi ero arreso, convinto che sarei vissuto per sempre in
questo modo e sperando che la mia vita intima e la mia facciata esterna non si
sarebbero mai scontrati l’una con l’altra, distruggendo la mia vita.
Adesso, nello studio del mio terapeuta, la mia vita segreta entrava veramente in
rotta di collisione con la mia falsa facciata. Potevo vedere la mia vita in procinto di
crollare intorno a me.
Il Rifiuto dell’APA:
Non funziona e potrebbe essere dannosa
In occasione della mia prima seduta terapeutica con Matt mi è stato chiesto di
firmare un modulo per il consenso alla trattazione dei dati. E’ un atto richiesto
dalla clinica a causa delle deliberazioni dell’Associazione Psicologica Americana
volte a scoraggiare questo tipo di trattamento.
L’efficacia della terapia riparativa non è dimostrabile, diceva il modulo; la
posizione ufficiale dell’APA consisteva nel non credere che sia possibile cambiare
orientamento sessuale; tentare di farlo avrebbe potuto persino causare danni
psicologici.
Sì, giusto, pensai, come se la doppia vita che stavo vivendo non me ne stesse
causando.
Ad ogni modo, mi irritava il suggerimento che l’unica soluzione “corretta” (o
comunque politicamente corretta) per me fosse quella di abbandonare mia moglie e
i miei figli e di gettarmi nello stile di vita gay. Non era quello che volevo. Avevo
avuto la possibilità di farlo prima di incontrare Diana e di avere dei figli con lei,
quando la posta in gioco era molto più bassa – adesso mi rendevo conto che non
era ciò che volevo.
Mentre all’inizio avevo trovato esaltante avere rapporti sessuali con uomini,
adottare un’identità gay ed immergermi in uno stile di vita gay, ben presto ebbi la
sensazione che quel tipo di vita stava uccidendo il mio spirito, mi stava
allontanando dagli obiettivi che mi ero prefisso nella vita, da Dio e da scopi più
elevati.
Mi accorsi che non volevo essere un gay dichiarato, al contrario, volevo essere
affermato come uomo.
Ma durante i primi anni del mio matrimonio, incapace di trovare un aiuto
significativo nella mia lotta contro l’omosessualità che ancora sentivo forte entro di
me, ho fatto ricorso a un’orribile doppia vita. Prima di incontrare Matt, avevo
abbandonato ogni speranza di poter cambiare. Sentivo che Matt era la mia unica
speranza.
Durante la nostra prima seduta, svelai tutta la mia storia con una franchezza e un
abbandono senza precedenti per me. Mi sentivo al sicuro con Matt. Non dovevo
preoccuparmi né ottenere la sua approvazione né delle possibili conseguenze per
avergli rivelato la mia storia. Lui mi disse con franchezza: "La tua vita è un caos".
Mi sorprese la sua schiettezza, ma sapevo che era vero. "Posso aiutarti a lavorare
sui tuoi momenti di crisi”, disse, “ma se non scenderai molto più in profondità,
ritornerai al punto di partenza, ritardando solamente l’inevitabile ricaduta –
probabilmente con conseguenze persino più gravi la prossima volta”.
Ho accettato. Avevo toccato il fondo. Ero pronto a fare tutto il necessario per
riportare ordine nella mia vita. Durante le settimane seguenti, mi recavo,
praticamente correndo, nell’ufficio di Matt ogni martedì sera. Lì trovavo un luogo
che mi dava sicurezza e sollievo, un luogo dove potevo ottenere aiuto e trovare
orientamento nei labirinti bui della mia vita.
Ho parlato con Matt della sofferenza che provavo per l’intenso dolore causato a
mia moglie, gli ho parlato di come mia moglie si sentiva offesa e arrabbiata nei
miei confronti, e di quanto mi sentii sollevato quando lei, vedendo la mia
determinazione a lavorare con Matt, decise di non andarsene, almeno per il
momento.
Scoprire le ferite
In seguito dovetti prepararmi a fare una piena confessione ai massimi
rappresentanti della chiesa dove servivo come pastore laico.
Sapevo che non sarei mai potuto cambiare in maniera permanente se avessi
continuato a nascondere la mia vita segreta, e mi ero impegnato con Diana a fare
ciò a condizione che lei fosse rimasta con me. Ma confessare tutto a questi uomini
di potere di cui temevo il rifiuto, era la cosa più terrificante che potessi
immaginare.
Tuttavia, quando lo feci, essi reagirono con cortesia e sollecitudine. Tuttavia non
potevano tollerare questo tipo di comportamento sessuale da parte di un pastore.
Così decisero di scomunicarmi e di darmi l’opportunità di essere ribattezzato un
anno dopo, se avessi dimostrato di essere in grado di restare fedele a mia moglie.
La mia scomunicazione fu gestita in modo da non provocarmi umiliazioni. Ero
sempre il benvenuto alle riunioni e la mia condizione di “scomunicato” non era
stata resa nota ai membri della chiesa. Ciononostante, l’intera esperienza suscitò in
me un sentimento intenso di emarginazione e di vergogna. Le paratoie crollarono e
durante la terapia Matt ed io esplorammo un intera vita di rifiuto (così almeno lo
percepivo) da parte degli uomini. Durante quegli incontri piangevo e mi infuriavo.
Con mia grande sorpresa, Matt incoraggiava la piena espressione di questa rabbia;
io, invece, volevo irrigidirmi, paralizzato dalla paura e dalla vergogna. La rabbia
non è negativa? Pensavo. Non era incontrollabile? I bravi ragazzi non si infuriano.
E peggio ancora, cosa avrei potuto scoprire sotto quella paralisi? Tuttavia Matt mi
spiegò che stavo autodistruttivamente rivolgendo contro di me questi celati
sentimenti di rabbia e di vergogna e che proprio questi sentimenti mi spingevano
ad avere rapporti sessuali. La rabbia doveva essere espressa. Bisognava
riconoscergli i suoi legittimi diritti.
Cercò di insegnarmi ad esprimerla, a sentirla con il mio corpo. Non riuscivo a
capire. Mi sentivo come un bambino delle elementari alle prese con un problema
da universitari. Che cosa mi stava incitando a fare? Alla fine, me lo ha spiegato con
un linguaggio che potevo capire: “E’ come il sesso al telefono, ma usando la rabbia
anziché il sesso.” Oh! Dissi ridendo, perché non lo hai detto prima!
E così la rabbia prese a furiuscire: rabbia verso mio padre perché era stato sempre
emotivamente distante; rabbia verso Mike “il Prepotente” per avermi
costantemente messo in ridicolo alle scuole superiori; rabbia nei confronti di mia
madre per avermi fatto provare vergogna per la mia mascolinità; un dolore che
avevo portato con me per la mia intera vita e che poteva continuare ad attaccarmi
da dentro. Seguendo le indicazioni di Mike, immaginavo di reagire a tutto ciò,
espellendo i rimproveri sarcastici, gli insulti, la vergogna e l’emarginazione dal
mio cuore, dopodiché li distruggevo. Abbiamo ripetuto questo processo per mesi
fino a quando non provai più rabbia. finalmente, avendo svuotato la mia anima
ferita da un intera vita di rabbia repressa; ero finalmente pronto a “mollare” e a
perdonare.
Altre volte Matt lavorava con me sui miei cicli di dipendenza. Esploravamo in
profondità quelli che sembravano i motivi scatenanti della mia ricerca di rapporti
sessuali: stress, rabbia, paura, qualsiasi emozione sgradevole mi spingeva a cercare
sollievo tra le braccia di altri uomini. Decisi di rientrare nel gruppo “Sexaholics
Anonymous”, dove un tempo avevo iniziato a fare progressi. Mentre frequentavo
questo gruppo, e mentre con Matt ogni settimana esaminavo in profondità la mia
vita emotiva, i ciclici periodi di dipendenza iniziarono a diradarsi ed in seguito
diminuirono drammaticamente.
Entrare nel mondo degli uomini
Matt mi spiegò cos’è il distacco difensivo ed io capii che avevo sempre respinto gli
uomini per proteggere me stesso da qualsiasi sofferenza potessero infliggermi. Mi
immersi nella lettura di un libro del dottor Dr. Joseph Nicolosi, intitolato
"Reparative Therapy of Male Homosexuality" e fui stupito di trovarci la
descrizione del mio esatto profilo psicologico, caratterizzato da un distacco
difensivo.
Matt mi ha aiutato ad aprire la mente e il cuore alla possibilità di trovare uno o più
uomini eterosessuali a cui poter rivolgermi per avere aiuto e sostegno. Ero
terrorizzato, ciononostante ho avvicinato Mark, un uomo della mia chiesa, più
anziano di me di circa otto anni, e gli ho chiesto di essere il mio consigliere
spirituale. Lui ha accettato subito. Non sapeva nulla di omosessualità ma
conosceva Dio e conosceva la sofferenza, e fu più che disposto ad aiutarmi.
Parlavo con lui almeno una volta alla settimana, a volte anche di più, mettendo a
nudo la mia anima. Lo chiamavo ogni volta che ero tentato di mettere in pratica i
miei desideri. Lo chiamavo quando inciampavo e lui mi aiutava a risollevarmi.
La gioia che Matt provava per i miei successi e per la mia crescita era palpabile ed
autentica. Stavo davvero iniziando ad amare quest’uomo come un fratello, come
non mi era mai successo in tutta la mia vita.
In passato mi ero sempre irrigidito al pensiero di fare amicizia con altri uomini.
Ero convinto che gli uomini eterosessuali non avessero amici -- che addirittura non
avessero bisogno di amici. Le loro mogli o fidanzate erano sufficienti per loro. Di
sicuro mio padre non ha mai avuto amici e non andava mai da nessuna parte senza
mia madre. Riuscivo a ricordare soltanto un amico dei miei tre fratelli maggiori.
Come potevo pensare di stringere un’amicizia con uomini eterosessuali per far
fronte ai miei bisogni di affermazione e di compagnia? Avevo sempre creduto che i
soli uomini interessati alla compagnia di altri uomini fossero gay.
Matt mi indusse ad aprire gli occhi, a guardare oltre le mie radicate percezioni. Mi
disse: “La tua anima richiede una connessione con una persona di sesso maschile e
questo desiderio dell’anima ha bisogno di esprimersi in un modo o nell’altro.
Vuole venire fuori. Sopprimerlo funzionerà soltanto per un pò, dopodiché l’argine
cederà. Se non sperimenti un’autentica ed intima connessione con un uomo in
modo platonico, il tuo bisogno ti spingerà a trovare questa connessione in maniera
sessuale. In un modo o nell’altro il bisogno verrà soddisfatto”.
Queste parole risuonavano dentro di me: “in un modo o nell’altro, il bisogno verrà
soddisfatto”. Sapevo che era vero. Mi sforzai di uscire dal mio guscio. Iniziai ad
osservare più attentamente gli uomini eterosessuali. iniziai ad osservare gli uomini
che uscivano insieme a cena, che andavano insieme al cinema. Notai che durante i
party gli uomini si riuniscono in gruppi prima dell’arrivo delle donne. Notai come
si ritrovano insieme per guardare e commentare una partita alla tv, per giocare a
biliardo o per altre attività, come ad esempio riparare un’automobile.
Mi sembrò di scoprire il mondo degli uomini per la prima volta. Durante la
sessione terapeutica rendevo Matt partecipe delle mie scoperte, mentre cercavo di
comprendere e di demistificare il mondo degli uomini. Parlavamo delle cose che
gli uomini fanno, di come si comportano alle feste, sia tra di loro sia con le donne.
Iniziai a comprenderli, poi ad apprezzarli, e infine, un po’ alla volta, a sentire che
non ero così diverso da loro.
Matt divenne il mio sostituto di padre, di fratello e la mia guida nel viaggio alla
scoperta del mondo degli uomini. A un certo punto, ricordo di aver guardato
profondamente dentro i suoi occhi scuri mentre il silenzio scendeva tra noi. Sentivo
quanto mi fidassi di lui, quanto affetto nutrissi nei suoi confronti. Sentivo quanta
gioia provava per la mia crescita. Sentivo che guardandomi negli occhi Matt mi
affermava come uomo, e per la prima volta mi resi conto: “sto assimilando la sua
mascolinità e sento che lui sta affermando la mia, e non lo sto neanche toccando né
tanto meno lo desidero sessualmente. Posso farlo attraverso gli occhi! Non ho
bisogno di farlo attraverso i miei genitali o le mie mani. Riesco a sentire il suo
amore e a connettermi con la sua mascolinità silenziosamente, senza toccarlo. Fu
un momento di gioia - un momento in cui mi sono sentito completamente maschio
e completamente affermato come uomo.
Uno dei passi più difficili per me fu quello di chiedere ad un uomo che frequentava
la mia stessa chiesa, Rob, di insegnarmi a giocare a basket. Non fu Matt a
suggerirmelo, ma la paura che provavo quando si tattava di praticare uno sport
rasentava la fobia, e qualcosa dentro di me mi diceva che dovevo affrontare questa
paura. E’ stato difficile avvicinarmi a Rob e chiedergli di insegnarmi a giocare, ma
presentarmi al campo di basket per la mia prima lezione mi gettò nel panico.
Provavo più imbarazzo per la mia inettitudine nello sport che per il mio trascorso
da omosessuale. Rivelando a Rob di non sapere assolutamente nulla di basket, mi
stavo rendendo totalmente vulnerabile.
Rob mi allenò ogni sabato mattina per diverse settimane ed io raccontavo a Matt
dei miei successi e delle mie paure. Infine, accettai di partecipare ad alcune partite;
la prima volta fui oggetto di scherno da parte dei bulli della scuola. Ma la
settimana seguente andò meglio. Una volta scrissi orgogliosamente a Matt in una
email: "riesco a fare un jump shot! Per la prima volta nella mia vita ho realizzato
un jump shot!" Matt mi rispose che era entusiasta e che poteva capirmi. Chi altri
avrebbe potuto comprendere cosa ciò potesse significare per un uomo di 36 anni?
Mentre continuavamo a lavorare insieme, Matt mi parlò di un’organizzazione di
uomini chiamata New Warriors che si riuniva in un accampamento in montagna a
due ore di distanza da lì. All’inizio esitai, ma in seguito, attenuatasi la mia paura
degli uomini, decisi di andare. Tornato dal mio primo weekend nell’agosto del
1998, entrai nell’ufficio di Matt praticamente fluttuando. “È stato fantastico!” Gli
dissi. “Ho scoperto gli uomini!” Ero come loro; e loro erano come me! Ero un
uomo tra gli uomini. Non mi ero mai sentito così prima di allora.
Ci furono molti alti e bassi, scivoloni e ricadute, momenti di coraggio e di paura,
ma adesso avevo molte fonti da cui trarre forza - Matt, Mark, Rob, il gruppo di
integrazione New Warriors che frequentavo settimanalmente, il gruppo Sexaholics
Anonymous e, sempre, Diane. Lei mi restava accanto, mi amava e mi incoraggiava
mentre assisteva al reale cambiamento che stava avvenendo, non soltanto del mio
comportamento ma anche nel mio cuore.
Nel febbraio del 1999, essendo rimasto fedele a Diane per un anno e mezzo e
sentendo che ero cresciuto e guarito abbastanza da poter rinnovare il mio impegno
con lei e con la mia chiesa, fui battezzato; fu una cerimonia intima e bella. Mark,
Rob, ed altri amici della Chiesa erano lì. C’era anche Diana con le lacrime agli
occhi, raggiante di orgoglio e rasserenata dal “mio ritorno a casa”.
Il Mio Uomo
Negli ultimi mesi di terapia Matt, percependo che il mio bisogno del suo aiuto
professionale si stava esaurendo, fece in modo che tutte le questioni sospese che
richiedevano ancora il suo intervento venissero trattate fino in fondo: persistenti
sentimenti di emarginazione; offese che dovevo perdonare.
Sempre più spesso, durante le sessioni di terapia, riferivo di momenti di gioia
anziché di dolore, rabbia o paura, condividendo con lui il mio crescente senso di
identità e di potenza come uomo; gli riferivo inoltre delle nuove amicizie che stavo
costruendo e dei nuovi rischi che stavo affrontando per mettere alla prova la
sempre più grande forza interiore.
Memtre ci preparavamo all’inevitabile momento della separazione, Matt mi fece
distendere sul divano dopo aver messo della musica soft. Poi si sedette dietro di
me, cullandomi la testa e le spalle tra le sue braccia, disse: "SEI un uomo," Udii la
la voce forte e profonda che affermava “Tu sei forte. Sei potente. Hai spezzato il
potere che ti legava all’identità di tua madre. Hai dimostrato di essere un uomo tra
gli uomini. Gli uomini ti ammirano e ti affermano. Sei uno di loro. Sei un marito e
un padre buono e affettuoso. Sei completo”. Non sei perfetto ma sei lo stesso ok.
Sei completo”.
Le lacrime mi scendevano sulle guance. Io gli credevo! Era vero e finalmente lo
sapevo. Ero completo! Non desideravo più gli uomini sessualmente. Ero uno di
loro, non il loro opposto. Non avevo bisogno di un uomo per completarmi.
Tuttavia l’ironia è che mi sentivo più connesso e legato agli uomini e alla virilità di
quanto non mi ci sia sentito in tutta la mia vita.
E’ QUESTO ciò che avevo sempre cercato in tutti quegli uomini e in tutti quegli
anni. QUESTO è ciò che avevo sempre desiderato – questa connessione REALE,
non quella fantastica. La Connessione con Dio. La Connessione con gli uomini. La
Connessione con la mia virilità. La Completezza dentro di me. Sentivo che il mio
cuore stava quasi esplodendo di gioia nel mio petto.
Sono uscito dall’uffico di Matt per l’ultima volta il 25 agosto 1999, dopo 27 mesi
di terapia. Ero un uomo diverso. Più felice, più sicuro. Completo. Non avevo avuto
rapporti sessuali con uomini ed ero restato fedele a mia moglie per due anni – e
così facendo avevo trovato pace e gioia.
Al termine dell’ultima seduta terapeutica, abbracciai Matt con fermezza,
sprofondando il viso nel suo petto. “Ti voglio bene”, gli dissi. “Non dimenticherò
mai ciò che hai fatto per me”. Con le lacrime agli occhi mi disse “anch’io ti voglio
bene”.
Se solo potessi restare suo amico per sempre. Ma qualcosa dentro di me mi diceva:
“L’amicizia è per sempre. Anche se non puoi essere suo amico in questa vita, lo
sarai nella prossima. Questo potente legame tra voi durerà per sempre”.
E forse la cosa ancora più importante è che da allora in poi avrei portato con me in
ogni altra relazione ciò che Matt mi aveva donato. Non avevo più bisogno di Matt
come terapeuta perché potevo finalmente avere rapporti sinceri con altre persone.
Potevo farmi degli amici. Potevo chiedere aiuto. Potevo essere vero.
E più di ogni altra cosa, riuscivo ad amare. Avevo imparato a donare e a ricevere
amore da altri uomini come se fossero fratelli, e ad avere fiducia in loro. Avevo
scoperto ciò che avevo cercato per tutta la mia vita.
Aggiornato: 8 febbraio 2008
Patrizia B.
http://omosessualitaeidentita.blogspot.com/
Abbandonare il Lesbismo e
Confrontarsi con l’Attivismo LGBT*
- La Mia Storia -
Avendo ingaggiato una battaglia personale con il lesbismo sono estremamente
consapevole dell’infelicità, della confusione e della sofferenza che esso può
causare nella vita di una persona.
Cé chi dice che il solo modo per le persone di orientamento omosessuale di trovare
pace e felicità nella vita sia semplicemente quello di accettare la propria
omosessualità, di immergersi completamente nella Terapia di Affermazione-Gay e
infine di venire allo scoperto (“come out”).
La mia esperienza, invece, ha dimostrato che questa idea è falsa. Mi sono
sottoposta alla Terapia Riparativa e l’ho trovata estremamente efficace; mi ha dato
non solo un’enorme sollievo ma anche un profondo senso di pace che non ho mai
provato prima.
I miglioramenti che ho sperimentato sono stati così grandi che mi sono sentita
fortemente motivata a fare tutto il possibile per mutare l’opinione di quelle persone
che si oppongono con aggressività a questo tipo di terapia.
Ma una persona laica da dove può iniziare una tale impresa? Dove può andare per
far sentire la propria voce e la propria esperienza, e di conseguenza, esercitare una
qualche influenza su come l’omosessualità viene considerata e trattata?
Decisi di iniziare scrivendo una lettera all’Associazione Psichiatrica Americana
(APA) riguardante le mie opinioni e la mia esperienza della Terapia Riparativa.
Fino ad oggi non ho ancora ricevuto neanche una semplice notifica di ricezione
della mia lettera.
Dopodiché, ho deciso di cercare di contattare in qualche modo Ellen DeGeneres*
per tentare, attraverso la mia testimonianza, di aprire la sua mente alla possibilità
che trattamenti alternativi come la Terapia Riparativa possono essere efficaci.
Il "coming out" di Ellen, nel 1997, e il suo successivo sostegno e promozione della
Gay-Affirmative Therapy come unico trattamento salutare ed accettabile ha
profondamente influenzato le vite di molte persone di orientamento omosessuale,
non soltanto negli Stati Uniti ma in tutto il mondo. La testimonianza pubblica di
Ellen ha anche contribuito al notevole rafforzamento del movimento attivista gay e
all’intensificarsi della sua pressione politica per far bandire la Terapia riparativa e
per far riconoscere dall’APA la Terapia di Affermazione –gay quale unica modalità
di trattamento sana ed accettabile.
Ho cercato di contattare Ellen all’inizio dell’anno scrivendole una lettera
riguardante la storia della mia vita, la mia esperienza dell’omosessualità e la
terapia alla quale mi sono sottoposta. Speravo che, ricevendo e rileggendo la mia
lettera (tra migliaia di altre lettere), avremmo potuto iniziare una sorta di dialogo
su questa tematica. Purtroppo non ho mai ricevuto alcuna risposta a quella lettera.
Quindi decisi di cercare di contattarla postando un commento nel suo sito Web.
Ecco una copia del mio post:
Cara Ellen,
Ti trovo molto simpatica, generosa e piena di talento….. adoro il tuo senso
dell’umorismo e penso che tu sia sincera… ed è proprio perché ho una
grande ammirazione per te che desidero condividere alcuni pensieri con te
riguardo qualcosa di molto importante per entrambe, su cui forse ti farebbe
piacere riflettere.
Da quando avevo 18 anni ho sperimentato sentimenti omosessuali e ho
avuto diverse relazioni con persone del mio stesso sesso. Ad ogni modo,
dopo aver fatto molte ricerche e studi sull’argomento e dopo un profondo
esame di coscienza, sono giunta alla conclusione che l’omosessualità non è
normale, naturale o salutare.
Da un punto di vista totalmente biologico, mi appare piuttosto chiaro che i
nostri corpi non sono stati “naturalmente progettati” per avere rapporti
sessuali con persone del nostro stesso sesso. Voglio dire, se fossimo stati
destinati ad avere rapporti con lo stesso sesso, il nostro corpo avrebbe in sé
una conformazione naturale per poter soddisfare i desideri sessuali di
entrambi i partners.
Ma data la sua conformazione, il piacere può essere raggiunto soltanto con
mezzi artificiali –vale a dire che sia gli uomini sia le donne omosessuali
devono utilizzare delle “cose” di cui è difficile dire che siano state designate
dalla natura per i rapporti sessuali (ad esempio, ano, bocca, vibratore, peni
di gomma, mano, ecc. ecc….mi scuso di essere stata così esplicita ma
dobbiamo essere davvero onesti, affrontare la realtà della situazione e non
sorvolare sulla verità).
Il fatto è che la conformazione naturale dei nostri corpi rivela chiaramente
il loro vero scopo, e durante l’atto omosessuale è chiaro che non usiamo i
nostri corpi nel modo in cui dovrebbero essere naturalmente usati; al
contrario, ce ne serviamo in modo innaturale e per questo ciò non può
essere normale o salutare.
Qualsiasi cosa fatta contro natura non può essere giusta o sana.
Inizialmente potremmo pensare di poter “farla franca” e che tutto è “OK”,
ma come con tutte le altre cose della natura, quando queste vengono
oltraggiate, ignorate o non rispettate, prima o poi dobbiamo pagarne le
conseguenze.
Forse sta pensando: se non è “naturale” allora che cos’è che provoca
attrazione per lo stesso sesso? Mi sono molto documentata su questo e
adesso sono assolutamente convinta che si tratta di un disturbo psicologico
ed emotivo, causato in primo luogo da influenze ed esperienze sociali e
familiari della prima infanzia e dalla nostra reazione inconscia a tali
influenze (reazione che dipende in gran parte dal temperamento e dalla
personalità di ognuno)… Ed essa può essere trattata efficacemente, o
perlomeno alleviata, in quelle persone che desiderano farsi aiutareo.
Per qualche tempo ho seguito una terapia che mi ha aiutato a riparare i
danni emotivi sofferti che, ne sono convinta, hanno causato gran parte dei
miei problemi che hanno a che fare con l’attrazione omosessuale, e posso
onestamente testimoniare l’efficacia di tale terapia. Sto finalmente iniziando
a sentirmi “viva” per la prima volta nella mia vita. Nello stesso tempo, sto
anche iniziando a scoprire ciò che credo essere il mio “io reale”, la “vera
me”… finalmente; vale a dire, la persona che ero destinata ad essere fin
dall’inizio… la persona originariamente”disegnata”.
In altre parole, sto lentamente diventando dentro di me, 1a persona che
riflette l’aspetto fisico con cui sono nata… La mia identità sessuale,
psicologica ed emotiva interna si sta lentamente allineando con l’identità
del corpo con il quale sono nata. Le due identità (interna ed esterna) non
sono più così in conflitto l’una con l’altra e si stanno lentamente
riallineando per diventare una sola entità, cioé: femmina, dentro e fuori. E
la cosa ancora più incredibile è che sto veramente sentendo che i miei
impulsi omosessuali iniziano a diminuire e che l’attrazione eterosessuale sta
cominciando a svilupparsi dentro di me!
Tutto questo è stato così liberatorio e mi ha dato una grandissima pace
interirore, diversa da qualsiasi sensazione conosciuta prima. Ciò non
significa che è stato facile. C’è stato bisogno di moltissimi “interventi di
chirurgia emotiva” per arrivare a questo punto (e ce ne vorranno ancora) e
di tanto coraggio, determinazione e forza di volontà, ma alla fine, credo
davvero che ne valga la pena per l’estremo sollievo che arreca.
Spero che prenderà in considerazione tutto ciò… lei può credere di aver
vissuto alcuni grandi momenti nella sua vita, ma mi creda, se realmente
apre la sua mente a ciò che sto dicendo e sceglierà di seguire il mio
consiglio… il meglio deve ancora venire!”
Naturalmente, nel postare quel commento, non avevo idea se sarebbe mai giunto
nelle mani di Ellen, ma in ogni caso, ecco che cosa è accaduto: entro 24 ore esso
non solo è stato rimosso dal sito Web ma mi é stato proibito di inviare altri
commenti!
Ogni volta che cercavo di nuovo di postare qualcosa, appariva una pagina con la
frase “non ti è permesso di postare commenti in questo sito”!
Evviva la libertà di espressione, pensai! Dove è finita la tolleranza e l’accettazione
delle opinioni altrui? Perché ad Ellen è permesso di parlare apertamente della sua
esperienza riguardo la propria omosessualità ma a me non è consentito di parlare
della mia esperienza personale e dei miei sentimenti riguardo lo stesso argomento?
Più tardi ho postato di nuovo il mio commento sul sito Web di Ellen attraverso il
computer di un’altra persona, chiedendo anche quali fossero i motivi della
rimozione del mio post – e, di nuovo, sono stata bandita dal sito. Il post è stato
rimosso e mi è stato proibito di inviare commenti anche attraverso quel secondo
computer!
Ho inviato quattro volte il mio commento con alcune domande aggiuntive riguardo
la loro risposta discriminatoria e intollerante al mio post, e ogni volta, il mio post è
stato rimosso.
Circa una settimana dopo, ho pensato di provare di nuovo ad inviare commenti dal
mio computer, ed ecco, per chissà quale ragione, avevano tolto il bando. Così ha
deciso di inviare una versione leggermente diversa dal mio commento originale.
Quando il mattino dopo ho controllato il sito Web, non soltanto il mio nuovo post
era sparito ma erano stati rimossi anche gli strumenti che consentivano l’invio di
commenti. Tutti le opzioni per inviare commenti/feedback erano scomparse!
Per quale ragione? Non lo so, ma anche se la bacheca dei commenti sul sito Web
di Ellen è stata chiusa, non lo è stata la mia personale ricerca!
In un modo o nell’altro sono determinata, avendo trovato la Terapia Riparativa
immensamente utile, a trovare un modo per poter esprimere la mia opinione in
questo importante dibattito pubblico. Gli attivisti gay non dovrebbero essere i soli a
poter dire la loro quando si tratta di decidere che cosa è efficace e accettabile nel
trattamento dell’omosessualità. Quelli di noi che hanno tratto giovamento nella
Terapia Riparativa hanno bisogno di essere ascoltati e presi in considerazione. La
Terapia Riparativa funziona per me, e nessuno ha il diritto di negarmi la possibilità
di usufruirne.
-----Siena de la Croix
*LGBT : Acronimo di “Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender”
*Ellen DeGeneres: Ellen Lee DeGeneres (Metairie, 26 gennaio 1958) è un’attrice,
comica e conduttrice televisiva statunitense, presentatrice del talk show The Ellen
DeGeneres Show. Attivista per i diritti degli omosessuali, Ellen ha spinto molte
altre lesbiche ad "uscire allo scoperto" ed è una persona capace di esercitare grande
influenza.
Traduzione di Patrizia B.
http://omosessualitaeidentita.blogspot.com/
Il Paradosso dell’Auto-Accettazione
di Joseph Nicolosi, Ph.D.
" I problemi non possono essere risolti
allo stesso livello di conoscenza che li ha creati"
--Albert Einstein-11 marzo 2008 – Secondo alcuni critici, i terapeuti specializzati nella
terapia riparativa semplicemente stimolano i clienti a sopprimere, negare
e rifiutare i propri sentimenti nei confronti di persone dello stesso sesso.
Ma un’osservazione più attenta rivela un approccio piuttosto diverso.
Questo è il paradosso della terapia riparativa: essa ha successo soltanto
se il cliente riesce, per prima cosa, ad affrontare i propri sentimenti
indesiderati. Più la persona riesce ad individuare dentro di sé ciò che egli
rifiuta, considerandolo alla luce della verità, più ciò che rifiuta si
dissolve. Il suo compito è quello di non fuggire i propri sentimenti ma, al
contrario, di esaminarli con cura.
Quando durante la terapia utilizziamo il sistema del “Triangolo di
Contenimento”, viene chiesto al cliente di concentrarsi direttamente su
un pensiero o su una fantasia omosessuale. Contemporaneamente, egli
deve focalizzare la propria attenzione sulle sensazioni suscitate da tali
fantasie nel suo corpo. Mentre si concentra sulle fantasie sessuali e sulle
sensazioni che tali fantasie generano nel suo corpo, gli viene chiesto di
mantenere il contatto con il terapeuta.
Quando il cliente si concentra su un’immagine omoerotica, egli di solito
sperimenta eccitamento sessuale (alcuni uomini lo descrivono come
qualcosa di impetuoso, un’ondata di energia). Se riesce a restare
sintonizzato sulle proprie sensazioni fisiche omoerotiche mentre
mantiene la connessione con il terapeuta, il sentimento sessuale presto si
trasforma in qualcos’altro: nel riconoscimento di bisogni emotivi più
profondi, sentimenti generati da una sofferenza, bisogni che non hanno
niente a che fare la sessualità.
Alcuni ministeri per ex-gay possono rifiutare l’idea di affrontare e di
partecipare all’esperienza di sentimenti omoerotici. (Ad esempio,
unpassaggio della Scrittura dice “chiunque guarda una donna per
desiderarla ha già peccato nel suo cuore”). Ma la differenza qui è nelle
intenzioni - noi non incoraggiamo l’intenzione di mettere in pratica
comportamenti omosessuali, ma piuttosto, incoraggiamo il cliente a
vivere fino in fondo, senza sentirsi giudicato, questa esperienza (di solito
associata a sentimenti di vergogna) mentre resta connesso con un
terapeuta di sesso maschile.
Ri-sperimentare tali sentimenti in presenza di un terapeuta che mostra
accoglienza e accettazione, aiuta la persona a rimuovere il sentimento di
vergogna; egli è adesso in grado di vedere il suo desiderio per persone
dello stesso sesso per ciò che realmente è. Un uomo ha descritto così la
propria liberazione dal sentimento di vergogna, osservando in profondità
l’illusione omoerotica: “osservandola alla luce del giorno” -ha detto- “mi
appare come liberata dalla “lebbra”.
Il sentimento di vergogna ci dice “Non valgo nulla, sono sbagliato”.
Contrariamente, il senso di colpa ci dice “ho fatto qualcosa di sbagliato”.
Il senso di colpa più essere appropriato e ci trasmette un messaggio utile.
Ma il senso di vergogna, che viene sentito anche con il corpo come
crollo e delusione, mortifica la persona nel suo intimo e distrugge il suo
valore e la sua dignità. La rimozione del sentimento di vergogna
contribuisce alla rivelazione del Vero Io, e nell’antropologia GiudeoCristiana, quel Vero Io è stato progettato dal suo creatore per
l’eterosessualità.
Tre Esempi
Un cliente, un ragioniere sposato di 43 anni, mi parlava di un uomo che
aveva recentemente visto in un aeroporto mentre era in viaggio di affari.
Ciò aveva risvegliato le sue fantasie sessuali e i suoi sogni. Gli chiesi di
concentrarsi su quell’immagine e di osservare attentamente le proprie
sensazioni fisiche, senza perdere il contatto con me. Mentre faceva
questo, provò un desiderio sessuale molto intenso. Ma continuando a
seguire quella fantasia, attraverso uno scenario sessuale immaginario, i
suoi sentimenti cambiarono e, inaspettatamente, sperimentò un profondo
sentimento di tristezza, di desiderio e di vuoto. Tra le lacrime, mi parlò
del suo sentimento di profonda mancanza di valore. Mi disse “Vorrei
soltanto che quell’uomo diventasse mio amico! È il genere di uomo che
ho sempre desiderato avere vicino”. Dopo quel momento di intuizione
profonda, gli tornarono alla mente ricordi vividi di abusi subìti dai suoi
coetanei, il disprezzo e il rifiuto, il senso di solitudine e di alienazione
che lo avevano reso infelice per gran parte della sua infanzia. L’uomo
dell’aeroporto rappresentava l’altro ragazzo, quello che era sempre stato
irraggiungibile - il potenziale amico che era “a un livello più alto del
mio”.
Un altro cliente, uno studente di 22 anni, è stato posto nel Triangolo di
contenimento con un’immagine di un ideale figura maschile che era
stato oggetto delle sue fantasie, una figura che aveva visto poco tempo
prima in un film porno.
Questo giovane non aveva inibizioni quando si trattava di descrivere in
dettaglio le sfumature del suo comportamento sessuale con questo mitico
partner ultra-macho. Egli si immaginava uno scenario fantastico,
descrivendo ogni possibile attività sessuale tra due uomini. Alla fine, mi
guardò e dopo essere rimasto in silenzio per un momento, disse con
tristezza “Tuttavia, voglio qualcosa di più”. Poi mi parlò del suo
profondo desiderio di sposarsi e di costruire una famiglia.
Un terzo cliente, un professore di mezza età, si concentrò sulle proprie
sensazioni fisiche mentre fantasticava sull’immagine di uno studente di
15 anni dal quale era ossessionato. Dopo aver descritto dettagliatamente
ciò che facevano insieme nelle sue fantasie, iniziò a descrivere
qualcos’altro: la sensazione di vuoto che provava nella parte bassa del
petto. Quando gli viene chiesto di dar voce a quel senso di vuoto, egli
parlò di quanto profondamente desiderasse di poter essere quel ragazzo
adolescente mascolino e sicuro di sé.
Quando mettiamo da parte la vergogna e guardiamo dritto in faccia le
temute fantasie possiamo osservare la vera natura dell’attrazione
omoerotica, che consiste nella perdita di un legame affettivo.
L’attrazione omoerotica è diversa dall’attrazione sessuale in quanto è
guidata da un deficit di legame affettivo risalente all’infanzia; perciò le
radici dell’attrazione omoerotica non affondano in una ricerca rivolta
verso l’esterno di qualcuno che sia veramente “diverso da me”, ma in
una sofferenza che ha a che fare con la mancanza di un legame affettivo,
con la deprivazione, la perdita e una sensazione di vuoto.
Con la terapia riparativa l’uomo impara a combattere i sentimenti
omoerotici imparando a riconoscere la sua vera identità, chi realmente è,
anche dopo ripetuti fallimenti. E impara a non attribuire troppa
importanza alle ricadute, alle battute di arresto, ma a penetrare il loro
significato. Ciò lo conduce a guardare oltre simbolo maschile carico di
erotismo- icona di una parte mancante della sua identità – e ad iniziare a
colmare quel bisogni di attaccamento affettivo a un uomo, che
costituisce il suo desiderio più profondo.
Tradotto da Patrizia
http://omosessualitaeidentita.blogspot.com/
L’Esperienza del Double-Loop
di Joseph Nicolosi, Ph.D.
"...Ogni vita vera è incontro" -- Martin Buber
Il punto centrale del processo di guarigione della teoria riparativa è l’esperienza del
Double-Loop (Doppio Anello). Durante questo processo il terapeuta, entrando in
sintonia e in empatia con il cliente, lo aiuta a risperimentare i sentimenti che hanno
diviso la sua psiche e a ricongiungersi con le parti di se a cui aveva rinunciato.
Riteniamo che tale rinuncia sia stata causata da sentimenti di vergogna consci o
inconsci.
Alcuni recenti studi neurobiologici hanno contribuito a chiarire meglio questo
processo di ricongiungimento della persona con se stessa. Tali scoperte
suggeriscono che la teoria psicodinamica tradizionale della suddivisione della
mente tra conscia-inconscia, repressa-non repressa e affettiva-cognitiva si rifletta
anche anatomicamente nell’attività degli emisferi destro e sinistro del cervello.
Nella teoria riparativa, queste due parti separate dell’Io vengono riunite grazie a
ciò che chiamiamo Intensive Body Work o Terapia focalizzata dell’affezione.
Gli studi neurologici ci offrono un quadro della effettiva riconfigurazione del
cervello dopo che il cliente si è sottoposto con successo alla psicoterapia.
Queste nuove informazioni non ci dicono nulla di radicalmente diverso da ciò che
qualsiasi psicoanalista preparato sapeva cinquanta anni fa. Ma la cosa più
importante è che adesso esiste nell’ambito della neurobiologia un insieme di dati
empirici che dimostrano le modalità di funzionamento della terapia. Ancora più
importante è il fatto che tale ricerca continuerà ad aiutarci a scoprire quali sono gli
interventi più efficaci.
Le Origini della Scissione nella Mente
Le origini di una mente scissa e, quindi, le origini del trauma sono da ricercarsi
nello stile di comunicazione della famiglia denominato Doppio Legame. Si tratta
del comune tipo di comunicazione della Famiglia Triadica-Narcisista, un tipo di
famiglia spesso descritta dai nostri clienti di orientamento omosessuale. La
Comunicazione del Doppio Legame crea due scismi; il primo all’interno dell’Io, e
il secondo, tra l’Io e gli altri.
Lo sviluppo dell’identità personale è il risultato cumulativo di anni di armonia
affettiva con gli altri. E’ attraversio la sintonia con gli altri che si determina la
nostra intima relazione con noi stessi. Una disarmonia traumatica – l’inevitabile
conseguenza della comunicazione del Doppio Legame – da origine a un sentimento
di vergogna e la vergogna causa il distacco della persona da se stessa. Al
contrario, la sintonia abbatte questa barriera creata dal sentimento di vergogna e
favorisce il ricollegamento con il proprio Io.
In maniera più semplicistica: L’esperienza del Double-Loop ripara il danno
psichico creato dallo stile di comunicazione del Doppio Legame. Il Double Loop
ricollega la persona con se stessa e con gli altri. L’essere in sintonia con un’altra
persona riconduce ad una maggiore armonia con se stessi. Per molti uomini, un
particolare beneficio dell’esperienza del Double Loop consiste nel poter
sperimentare una relazione emotiva con un altro uomo senza coinvolgimento
sessuale e nel constatare che i sentimenti che emergono da questo rapporto
empatico sono positivi e salutari.
La Relazione Simultanea Intrapsichica e Interpersonale
Il terapeuta inizia ponendosi all’ascolto del cliente. Esprime la propria empatia e
risponde con attenzione e rispetto alle parole del cliente, aiutandolo in questo modo
a far emergere tutti i sentimenti relativi all’esperienza. Contemporaneamente, il
terapeuta cerca di instaurare la seconda parte del Double Loop – quella che
stabilisce un collegamento emotivo tra lui e il cliente. Lo fa incoraggiando il
cliente a rivivere le proprie esperienze come se accadessero in quel momento.
Durante tale processo il cliente lascia riaffiorare le proprie emozioni mentre
continua a mantenere il contatto emotivo con il terapeuta.
Nella prima fase del trattamento, l’ansietà o il sistema di difesa del cliente
causeranno lo spostamento continuo della sua attenzione rendendogli difficile
restare collegato sia ai propri sentimenti sia al terapeuta.
Un cliente ha descritto così questa esperienza "... è come guardare un treno
passare; non faccio in tempo a raccontare i miei sentimenti che il treno è già
passato." In questi momenti critici il terapeuta può delicatamente dire al cliente
“Cerca di restare contemporaneamente in contatto con me e con i tuoi sentimenti ”.
Il momento trasformativo più potente si ha quando il cliente, nell’attimo in cui
sperimenta un vecchio trauma, riesce a restare emozionalmente presente nel
rapporto intersoggettivo con il terapeuta. In quei momenti, quando tutto ciò che
esiste per le due persone è un intenso “qui e adesso” – assistiamo ad un
ricongiungimento con il proprio Io per mezzo dell’altro (il terapeuta). E’ attraverso
questa connessione che il cliente riesce a sentire le sensazioni corporee associate
alle sue dolorose esperienze.
I momenti in cui il cliente trae i più grandi benefici sono quelli in cui riesce a
provare sentimenti dolorosi sperimentando, contemporaneamente, le cure,
l’attenzione ed il sostegno del terapeuta. In questo modo, tramite questo processo
di riparazione interattiva, la loro relazione empatica altera la struttura neurologica
del cervello.
La comunicazione—il tradurre in parole i propri sentimenti—non è soltanto un atto
cognitivo ma è un atto di fiducia. Ed è questa fiducia che permette l’unificazione
tra gli emisferi destro e sinistro del cervello; tra cognitivo ed affettivo e tra conscio
ed inconscio—tutto per mezzo del corpo. Questo processo integrativo diviene
sempre più profondo grazie all’empatia che unisce il cliente al terapeuta. Pertanto,
attraverso un’accurata sintonia e attraverso l’instaurarsi del Double-Loop, il
terapeuta incoraggia le capacità cognitive di discernimento di sentimenti
lungamente repressi del cliente.
Terminata l’esperienza del Double-Loop, il cliente riceve affettuose espressioni di
rispetto e di stima da parte del terapeuta, sperimentando così la sensazione di
sentirsi completamente conosciuto e compreso. Ciò richiama alla mente la sintonia
delle prime fasi del rapporto tra madre e bambino.
I Tre passi del Double-Loop
1. L’Io – Prova e rivela all’altro i propri autentici bisogni
2. L’Altro – Risponde affermativamente (sintonia, convalida dei bisogni , etc.)
3. L’Io – Riceve ed acccetta questa conferma.
Risultati del Double-Loop:
• Il cliente abbandona le interpretazioni negative dei propri sentimenti
• Integra il proprio legittimo bisogno di ricongiungersi con il suo Io
• Si unisce emotivamente a se stesso e ad altri
SPECIALI UTILIZZI DEL DOUBLE-LOOP
Dissolvimento del sentimento di vergogna mediante Esposizione
Il sentimento di vergogna è ciò che impedisce all’uomo di orientamento
omosessuale di assumere un Atteggiamento Assertivo. Questo sentimento scinde la
mente e separa la persona da se stessa mentre, al contrario, l’esperienza del
Double-Loop unifica. L’eperienza del Double-Loop è lo strumento più potente per
neutralizzare l’effetto inibitorio della vergogna. Il sentimento di vergogna si
dissolve tramite lo smascheramento.
L’esperienza della vergogna racchiude la convinzione di non essere degno del
contatto umano, di conseguenza l’impulso autoprotettivo è quello di nascondersi,
di farsi piccolo. Interiormente, il sentimento di vergogna è un inibitore affettivo,
uno stato di chiusura. Lo scopo terapeutico è quello di far si che il cliente, nel
momento in cui prova vergogna (compresi i sentimenti correlati e sottostanti ad
essa) sperimenti il contatto con un terapauta comprensivo e accogliente (ne
conseguirà la sua espansione affettiva).
Vergognarsi di provare vergogna
La rivelazione da parte del cliente del proprio senso di disagio e di vergogna è
spesso preceduta da commenti come "Ciò suonerà stupido." "Non è niente. Non so
perché questa cosa mi sconvolge." Queste osservazioni apologetiche e
minimizzanti rivelano una reazione di “vergogna per la propria vergogna”.
E’ la risposta empatica del terapeuta che permette al cliente di abbandonare il
sentimento di vergogna per lasciare affiorare la profonda rabbia sottostante (verso
l’altro) oppure la tristezza (verso se stesso). Come ciò possa accadere può essere
compreso soltanto in termini di transfert e modeling.
Esistono due modi per dare inizio all’esperienza del Double-Loop, che conduce al
superamento del sentimento di vergogna -- rivelare al terapeuta un Momento di
Vergogna del passato ( dell’infanzia o più recente), e (2) rivelare un Momento di
Vergogna mentre accade durante la seduta terapeutica.
Molti Momenti di Vergogna ruotano intorno a un profondo senso di inferiorità di
genere.
Il processo del Double-Loop non trae vantaggio da opportunità terapeutiche per
focalizzarsi sull’interpretazione—per quanto seducente possa essere per lo
psicoterapeuta in quel momento. L’interpretazione si rivela più efficace dopo il
completamento del Double-Loop e durante la fase finale di Trasformazione di
Significato della terapia.
L’esperienza del Double-Loop in psicoterapia è un evento unicamente umano tra
due persone e contiene una sorta di qualità interpersonale ed intima al margine del
surreale. Quando il cliente fa cadere le proprie difese, il Double-Loop offre
l’opportunità di una trasformazione profonda nello scambio emotivo. Per le sue
intrinseche caratteristiche di scambio intimo interpersonale, riuscire ad instaurare il
Double-Loop può esssere considerato non tanto un successo tecnico o scientifico
quanto piuttosto un vero sforzo artistico.
Dall’Ansietà alla Spontaneità
Lo scopo della terapia è quello di far confrontare il cliente con la sua vita affettiva,
colma di paure. Il terapeuta incoraggia il cliente sia ad entrare in contatto con i
sentimenti che gli provocano ansietà sia ad esprimerli; mentre ciò accade il
terapeuta lo sostiene mantenendo il contatto interpersonale. Il cliente riesce a
tollerare questi sentimenti, prima insopportabili, grazie alla relazione emotiva tra
lui e il terapeuta.
Lo scopo della terapia, pertanto, consiste nell’integrare sentimenti in conflitto.
Quando il cliente sperimenta la reintegrazione di questi sentimenti apparentamente
negativi, egli sperimenta anche un sorprendente scoppio di spontaneità, autenticità,
vitalità e di integrità del suo Io – tutto ciò è la conseguenza della ricostruzione del
Vero Io. Man mano che il Vero Io inizia ad emergere, non più compresso da
illusioni e distorsioni, e non più costretto nella camicia di forza del Falso Io,
assistiamo ad un notevole aumento del flusso di energia nel relazionarsi con gli
altri e a una diminuzione della preoccupazione auto-protettiva.
(Questo capitolo è tratto da un libro di prossima pubblicazione)
Patrizia B.
http://omosessualitaeidentita.blogspot.com/
LA CURA DEI DISTURBI DELLA SESSUALITÀ
L’ideologia nega il dolore che invece va ascoltato
CLAUDIO RISÉ
L’ ascolto e l’accoglienza del dolore umano (la parte più difficile, ma decisiva, della psicoterapia)
ha un grande nemico: l’ideologia, che pretende di distinguere tra sofferenze 'giuste', ascoltabili, e
sofferenze sbagliate, inaccettabili.
Quando Freud, alla fine dell’800, a Vienna, incominciò a prestare ascolto (anche) alle fantasie o ai
disagi sessuali di ottimi mariti e padri, o delle loro mogli e figlie inquiete, la cosa infastidì i
benpensanti, e i relativi Ordini. Cosa mai poteva esserci di strano nella sessualità di una coppia
regolarmente sposata? Perché quello psichiatra ebreo ascoltava queste storie? Cosa aveva a che fare,
tutto ciò, con la malattia psichiatrica, organica, l’unica 'ufficialmente riconosciuta'?
Un secolo dopo, ancora si rifiuta, in un nuovo modo, di dar voce al dolore umano dissonante con
pregiudizi potenti. Che oggi sostengono (tra l’altro) che nella persona omosessuale tutto va bene, e
quindi non ci può essere un dolore che un terapeuta debba ascoltare, per aiutarla, se lo desidera, a
porvi rimedio.
Questo, e non altro è lo sfondo della penosa vicenda (di cui Avvenire
si è già occupato il 6 e il 10 gennaio scorsi), che ha visto un collaboratore del quotidiano
Liberazione
presentarsi sotto le spoglie di un omosessuale desideroso di mutare il proprio orientamento, dal
professor Cantelmi, presidente dell’Associazione Psicologi e Psichiatri Cattolici, per poi procedere
al suo linciaggio mediatico.
Un’operazione rivelatrice del cinismo con cui certa politica guarda al dolore umano che non porti
voti al proprio partito. Poi, però, il presidente dell’Ordine nazionale degli Psicologi, su
sollecitazione del presidente dell’Arcigay, ha scritto al quotidiano del Partito di Rifondazione
Comunista. La lettera cita opportunamente l’art. 4 del Codice Deontologico degli Psicologi:
«Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto...
all’autodeterminazione... di chi si avvale delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze,
astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, …
sesso di appartenenza, orientamento sessuale». Perfetto. Poi conclude: «È evidente quindi che lo
psicologo non può prestarsi ad alcuna 'terapia riparativa' dell’orientamento sessuale di una
persona». Ora, come si concilia il «diritto all’autodeterminazione e all’autonomia del paziente» col
rifiuto di terapie che accolgano il bisogno che egli esprima di modificare il proprio orientamento
sessuale? Se una persona credente, con tendenze omosessuali, si rivolge ad un terapeuta perché
queste gli causano disagio, lo psicologo può derogare al rispetto di «opinioni e credenze»? In quel
caso non rispettando, cioè, la sua fede religiosa, perché ha un orientamento omosessuale?
In realtà, l’omosessualità egodistonica, indesiderata, è prevista come disturbo nei due principali
manuali diagnostici oggi in uso nella comunità scientifica.
Vale a dire innanzitutto il DSM-IV-TR (pubblicato dall’American Psychiatric Association), che
riporta tra i sintomi del Disturbo Sessuale Non Altrimenti Specificato (302.9): «Persistente e
intenso disagio riguardo all’orientamento sessuale».
Omosessuale o eterosessuale non fa differenza: se qualcuno soffre per la propria sessualità, va
ascoltato, e preso in carico. Inoltre il manuale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ICD-10,
riporta il disturbo F66.1 Orientamento Sessuale Egodistonico, prevedendo che «l’individuo può
cercare un trattamento per cambiare... la propria preferenza sessuale». Anche in Italia dunque, come
negli altri Paesi democratici, gli psicologi rispondano al bisogno di cura di chi soffre, e non alle
intimazioni di partiti e ideologie.
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l’obiezione
Gay alla nascita? La scienza non lo prova
«L’orientamento sessuale non è una scelta».
Èla tesi dell’ormai noto manifesto della Regione Toscana, in cui è fotografato un neonato. Abbiamo
consultato al riguardo Roberto Marchesini, psicologo e psicoterapeuta, che collabora con
Iun gruppo che si chiama Chaire (www.obiettivo-chaire.it/), che sostiene persone con tendenze omosessuali
indesiderate. Secondo Marchesini «questa tesi non ha nessun fondamento scientifico». È vero, ci sono
ricercatori, essi stessi spesso gay, che hanno tentato di dimostrare l’origine biologica dell’omosessualità.
Tuttavia, «nessuno di essi è riuscito a dimostrare alcunché».
Anzi, «le ricerche di Bailey sui gemelli sono un indizio a favore dell’origine ambientale dell’omosessualità,
e tale teoria ha il sostegno di ricerche più rigorose, ad esempio quella di Bieber del 1962». Nel primo
studio di Bailey, infatti, due gemelli identici erano entrambi omosessuali solo nel 52% dei casi; dato che i
gemelli identici condividono il 100% dei geni, se la causa dell’omosessualità di questi gemelli fosse stata
genetica, essendo uno dei due omosessuale, avrebbe dovuto esserlo anche l’altro nel 100% dei casi, e
non solo nel 52% dei casi. Inoltre, quando Bailey replicò il suo studio nel 2000 (poiché il primo studio si
basava su soggetti che non erano stati scelti a caso, ma erano volontari della comunità gay), la
concordanza fu molto più bassa: dal 20 al 37,5%.
nsomma, per Marchesini, «lo slogan di questo manifesto ha lo stesso fine delle campagne per le unioni
omosessuali: non vuole rispondere a una domanda (i registri delle unioni omosessuali sono quasi vuoti),
bensì equiparare le unioni omosessuali a quelle eterosessuali, l’omosessualità all’eterosessualità».
Marchesini dice che lo scopo di Chaire «è offrire maggiore libertà alle persone con tendenze omosessuali
indesiderate, le cui idee e valori, a volte, non concordano con lo stile di vita gay». Infatti, aggiunge, «è
importante distinguere: il termine 'omosessuale' designa la persona con tendenze omosessuali, mentre il
termine 'gay' indica un’identità socio-politica, rappresentata da una minoranza, che si riconosce in uno stile
di vita, istanze e rivendicazioni».
olti potrebbero dubitare che si possa uscire dall’omosessualità, ma Marchesini garantisce: «ci sono, e
purtroppo, vengono trattati malissimo.
Alcuni ex omosessuali che conosco sono stati derisi dal Corriere e in televisione (a 'Il bivio') o aggrediti
su Radio 24 ». Di più, «gli stessi gay li trattano come dei poveri dementi a cui è stato fatto un lavaggio del
cervello». A chi insinua questo, Marchesini replica che «la proposta di Chaire non si rivolge ai gay
soddisfatti, ma alle persone con tendenze omosessuali non desiderate, che non si riconoscono come gay,
e che vivono nella sofferenza e nel nascondimento».
Insomma, «si tratta di una proposta, mai di un’imposizione, una risposta a una libera domanda. Se una
persona desidera fare questo percorso è giusto che possa intraprenderlo; impedirglielo sarebbe
Mdiscriminante».
Giacomo Samek Lodovici
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Copyright (c) Avvenire
http://edicola.avvenire.it/eebrowser/frame/3_0f.ver.fin.enc.arch/php-script/fullpage.ph... 02/11/2007
Intervista con Michael Glatze
Un ex attivista gay spiega in che modo ha lasciato l’omosessualità
Michael Glatze (nella foto) si è dichiarato gay all’età di 13 anni e infine
ha fondato “Young Gay America”, un progetto non-profit di diffusione
attraverso i mezzi di informazione. In seguito ad una serie di incidenti
Glatze ha iniziato a rendersi conto che non era gay ma che aveva a che
fare con paure inerenti alla propria mascolinità. Da allora ha rifiutato la
propria identità gay. Nell’intervista con il dottor Joseph Nicolosi egli
descrive il proprio viaggio spirituale ed emotivo.
Dott. Joseph Nicolosi: Grazie Michael per la tua disponibilità a parlare
pubblicamente della tua vita. Hai già discusso in passato della tua
trasformazione religiosa e noi sappiamo che le esperienze religiose
possono avere un effetto profondo sul senso della propria identità. Ma mi
piacerebbe discutere anche della dimensione psicologica. In particolare,
che cosa ti viene in mente quando ripensi ai momenti trasformativi o ai
momenti di introspezione personale.
Michael Glatze: La prima cosa che mi viene in mente è che ho iniziato a
rendermi conto della natura dei miei desideri e del fatto che ero in grado di
modificarli.
J.N.
E’ una frase interessante: “la natura del desiderio.”
M.G. Anche se quando ripenso alla mia vita nella comunità gay, c’era
sempre quella regola tacita di “ non mettere mai in dubbio i tuoi desideri
per lo stesso sesso.”
J.N. Si. Questa è una regola molto importante nella comunità gay.
M.G. Giusto. In effetti – è la regola numero uno.
J.N. Regola numero uno: “Non chiederti perché.” Le persone “lo sono e
basta.” Nessuna domanda circa il perché.
M.G. Appena ti unisci al club, questa è la prima regola. Puoi esaminare la
causa di qualsiasi altra cosa, eccetto dell’omosessualità.
J.N. Posso esplorare le ragioni del mio alcolismo, del mio eccessivo
appetito, della mia depressione – ma non della mia omosessualità.
M.G. Giusto. E, ironicamente, è ok perfino per gli eterosessuali mettere
in dubbio la propria eterosessualità.
J.N. (annuisce)
M.G. Così, quando infine mi resi conto che potevo mettere in dubbio la
mia omosessualità divenne tutto molto religioso. Iniziai a cercare la
volontà di Dio e a tentare di comprenderne il significato. Man mano che
acquisivo una maggiore conoscenza iniziai a dubitare di cose in cui avevo
creduto per tanto tempo. Avevo creduto in concetti che non avevano alcun
senso, alcun peso. E scoprii che non avevo più bisogno di crederci per
avere un senso di identità.
J.N. OK… quindi dici che quando hai iniziato a seguire la volontà di Dio
hai iniziato anche a rifiutare alcuni dei presupposti e delle credenze che si
associano all’idea che l’omosessualità riflette “ciò che sei,” nel senso più
profondo.
M.G. Si – ho iniziato ad esaminare questioni politiche, sociali e anche
questioni più interpersonali. Ad esempio la natura della dinamica del
potere tra due uomini è una questione riguardo alla quale ero molto
ingenuo. Ogni volta che mi trovavo in disaccordo con l’uomo che era il
mio partner in quel periodo – questo prima che iniziassi a relazionarmi con
Dio e con me stesso, autonomamente da chiunque altro – mi lasciavo
convincere dalle sue argomentazioni.
J.N. Quindi, a causa della tua relazione sempre più profonda con Dio hai
iniziato a sviluppare un’identità distinta, autonoma…
M.G.
notato.
Esattamente. Questa è stata decisamente la prima cosa che ho
J.N.
in che modo Dio è entrato nella tua vita? Come è successo?
M.G. Ebbene, in realtà lui (Dio) lo ha fatto. Mio padre era morto a causa
di un’improvvisa malattia cardiaca ed io pensavo di aver sviluppato la
stessa malattia. Avevo una specie di panico – una reazione ipocondriaca.
Per circa un mese, mentre attendevo i risultati dei test, pensavo che stessi
per morire.
J.N. OK, quindi soffrivi di attacchi di ansietà. Eri convinto che avresti
avuto un attacco di cuore come tuo padre e questo ti riempiva di paura.
M.G.
Assolutamente, perché mio padre è morto mentre stava
semplicemente camminando sulla spiaggia. E dopo feci una cosa stupida:
provai ad autodiagnosticarmi cercando informazioni su Internet.
J.N. Il che faceva accrescere la tua ansietà perché ti sembrava di avere
ogni sorta di sintomo…
M.G.
Esattamente (ride). Quindi pensavo che ogni mio passo
probabilmente sarebbe stato l’ultimo; attesi i risultati del test è alla fine ho
scoperto di non avere quella malattia.
J.N. (annuisce col capo) Si dice spesso che ciò che davvero ci conduce a
Dio é la paura della nostra mortalità… vivere l’esperienza di dubitare della
nostra sopravvivenza.
M.G. E’ proprio così. Ho scoperto di non avere quella malattia cardiaca e
ho ringraziato Dio. È stata la prima volta nella mia intera vita in cui ho
letteralmente riesaminato ogni concetto conosciuto dalla mia mente, la mia
intera esistenza.
J.N.
Quindi, all’inizio hai provato paura, poi gratitudine, e infine
“metanoia”… un risveglio della tua vera identità.
M.G. E’ stato quello il momento. Non avevo più dubbi. E’ stata la fine di
una lotta intensa tra me e Dio.
J.N.
Avete fatto pace?
M.G.
Si è trattato di una pace istantanea.
J.N.
Meraviglioso. Assolutamente fantastico.
M.G. E in quell’esperienza, improvvisamente, mi sono ricongiunto con
tutte le altre parti dell’umanità con le quali ero sempre stato in lotta.
J.N.
Ti sei ricongiunto con l’esistenza.
M.G. Si, ma in quel momento non ero consapevole di questo. Sentivo
semplicemente che mi ero ricollegato a qualcosa di primario. Ho provato
una sensazione di autonomia, e così ho iniziato lentamente a comprendere
che cosa significasse tutto ciò.
J.N.
Ho utilizzato le parole “ricongiunto con l’esistenza”, ma quali
sarebbero state le tue parole? Come descriveresti l’esperienza?
M.G.
La prima cosa che ho provato è stato un senso di libertà, di
personale autonomia; in seguito, quando ho iniziato a leggere i Vangeli ed
in particolare le parole di Gesù, ho cominciato a capire ciò che mi stava
veramente accadendo – la nozione di una nuova vita. Nei Vangeli Gesù
rinunciava alla sua vita per me – donandomi una nuova vita …e tutti quei
concetti che non avevo mai conosciuto prima di allora.
J.N.
Non sei stato cresciuto in una famiglia religiosa?
M.G. Sono cresciuto in una famiglia cristiana, ma in realtà era tutto come
in una fiaba. Mio padre non era cristiano; ha indebolito ancora di più le
verità divine che hanno cercato di insegnarci. Le trasformava in una sorta
di storielle simpatiche e sciocche per festeggiare il Natale.
J.N. Tua madre era religiosa?
M.G. Si. Era cristiana, non confessionale. Ci ha portati nelle chiese Unity
dove adoravano Dio-Padre, Dio-Madre e cose simili. Era una brava donna
con il desiderio di compiacere suo marito – un uomo molto agnostico che
era stato un hippie di Berkeley negli anni ‘60.
J.N. Parlami della tua comprensione psicologica della situazione in cui ti
trovi?
M.G. Dunque, come ho detto, la prima cosa che mi è successa è stato il
crescente senso di autonomia. In seguito ho iniziato a notare come
funziona la dinamica del potere all’interno delle relazioni gay.
J.N. Tra maschi
M.G. Tra maschi – Ho notato che c’è sempre una differenza di potere,
che due uomini non possono giungere davvero a qualche sorta di accordo
reciproco senza che una parte domini l’altra. Ed è stato allora che ho
iniziato a rendermi conto di questo. La mia relazione con il mio partner
cominciò a finire perché eravamo letteralmente giunti in un vicolo cieco,
non volevamo più accordarci. Quando ciò è accaduto lui non sapeva cosa
fare perché era abituato alla mia sottomissione.
J.N.
Stavi cambiando?
M.G. Dopo che ci siamo lasciati ho iniziato a sviluppare una maggiore
autonomia. Per un po’ ho cercato ogni possibile spiegazione per quanto
stava accadendo – ho preso in considerazione tutto tranne l’omosessualità.
Un giorno, mentre ero seduto, pregando tra le lacrime, dissi “Che cosa mi
accade? Non capisco – Che cosa c’è che ancora non va?” E fu come se
tutto all’improvviso diventasse ovvio. Scrissi sullo schermo del mio
computer— “Sono eterosessuale.” L’ho scritto, e dopo averlo scritto,
semplicemente non potevo crederci. Mi sentivo come se avessi infranto la
legge.
J.N. Una svolta nella comprensione?
M.G. E tuttavia è stato terrificante; avevo la sensazione che milioni di
persone stessero ridendo di me, condannandomi per aver scritto quelle
parole.
J.N.
Qualcosa del tipo “come osi dire che sei eterosessuale!”
M.G.
Si. Ma da quel momento in poi mi sono reso conto che era la
verità. Adesso dovevo capire il perché di quei desideri e da dove venivano.
J.N.
In altre parole, “se sono eterosessuale, allora perché provo questa
attrazione?
M.G.
Giusto.
J.N. Questo è esattamente il primo passo della terapia del riorientamento,
dichiarare “Sono eterosessuale.”
M.G.
Si.
J.N.
Quindi stai dicendo che “non sei omosessuale; sei un eterosessuale
con un problema omosessuale.”
M.G.
Esattamente. E mi fa piacere sentire che è tu hai lo stesso
approccio perché è questa la verità. Voglio dire, l’identità gay è totalmente
un’invenzione.
J.N. Un costrutto sociale. E quando la consideri in questo modo, inizi a
chiederti, allora perché provo attrazione per lo stesso sesso?
M.G. E’ così. Nel mio caso mi ha aiutato molto la meditazione. Mi sono
unito a una comunità – non è settaria, ma hanno alcuni legami con il
buddismo.
J.N.
Di che tipo di meditazione si tratta?
M.G. È semplice, stai in posizione eretta e ti concentri sul tuo respiro.
J.N.
E poi, qualunque pensiero ti venga in mente, lo osservi.
M.G. Esattamente. In questo modo ogni cosa che viene in mente non è
nulla di più di un pensiero, poi scendi sempre più in profondità fino a
quando osserverai pensieri e costrutti più grandi. Alla fine scivolano via
tutti. La stessa cosa iniziò ad accadere con i desideri per lo stesso sesso. In
quel periodo leggevo anche i tuoi articoli dove parlarvi del Falso Io. Le tue
parole mi hanno colpito molto perché erano perfettamente in linea con ciò
che avevo già iniziato a scoprire con la meditazione – che abbiamo un Io
Vero e che, per me, era l’Io che avevo già riconosciuto come l’autentico
ed autonomo Io-con-Dio.
J.N. L’Io ispirato da Dio che emerge con la meditazione.
M.G.
Esattamente. Restavo attaccato a quel Vero Io, e mentro
riconoscevo tutti gli altri Falsi Io, li vedevo crollare.
J.N.
Molto interessante. Così hai iniziato ad osservare tutti questi
costrutti dell’Io partendo dalla prospettiva del Vero Io.
M.G. Quando ho letto il tuo pezzo sul Falso Io e anche quando parlavi
della mascolinità e del forte desiderio di mascolinità, ho capito che era
esattamente ciò che mi era successo. Leggevo molto e cercavo di acquisire
una maggiore conoscenza, dal punto di vista politico, di tutti i concetti in
cui una volta avevo creduto. Iniziai a comprendere come la nostra cultura
avesse soffocato la mascolinità.
Già in passato avevo esaminato queste nozioni sulla mascolinità del punto
di vista prospettico del liberalismo, del socialismo e della psicologia
umanistica. Avevo capito che la mascolinità doveva essere equiparata alla
femminilità ma avevo abbracciato idee femministe. Così quando ho letto il
tuo pezzo la questione della mascolinità mi è divenuto chiaro.
Quando ripenso a mio padre, a come aveva paura della mascolinità…
imparai anch’io ad aver paura. Di conseguenza, quando all’età di nove
anni vidi mia madre che stava piangendo per causa sua, divenni il suo
protettore contro mio padre e contro tutte “le forze maligne” della
mascolinità.
J.N. Sembra che questa sia stata per te l’origine del Falso Io – un rifiuto
di rivendicare la mascolinità dentro di te. Si tratta di uno schema comune
tra gli uomini. Hanno un’immagine negativa di ciò che significa essere
maschio, si alleano con la propria madre contro il padre, e così facendo
non abbracciano mai pienamente la propria identità mascolina.
M.G. Assolutamente. Non volevo associarmi con qualcosa che potesse
fare del male ad una donna così come lo aveva fatto a mia madre.
J.N.
Poiché tua madre era la figura fonte sicura di affetto.
M.G. E’ così.
J.N.
E senza tua madre non eri nulla.
M.G. E’ così.
J.N.
E quindi, in un certo senso, non stavi proteggendo soltanto tua
madre ma stavi proteggendo anche te stesso dall’annientamento.
M.G. Si, esattamente – come hai scritto nel tuo saggio. Esattamente.
J.N.
Um-hmm.
J.N. Così la tua era ciò che noi chiamiamo la Classica Famiglia triadica –
dici di aver avuto una madre eccessivamente presente e un padre distante e
distaccato.
M.G Si. E in seguito, naturalmente, proprio come lo hai descritto, con
l’inizio della pubertà, il corpo è colmo di energia sessuale ed io desidero
fortemente la mascolinità perché ovviamente ho bisogno di averla dentro
di me. Ma nello stesso tempo non la desidero perché ne ho paura. Tutto ciò
è perfettamente logico – e tuttavia il vero detonatore è stato questa identità
gay inventata [offerta dalla società]. Ricordo molto chiaramente, quando
avevo 14 anni, che un mio amico si avvicinò a me e mi spiegò che ero gay.
J.N.
Quell’etichetta è la risposta a tutto, non è vero?
M.G. Esattamente. È questo il problema, è proprio questo.
J.N.
È una risposta semplice e rapida a un problema molto complicato.
M.G. E’ vero. Se continuiamo a fornire questa identità le persone non
risolveranno mai i propri problemi.
J.N. Perché l’etichetta dell’Io Gay è come una mano di vernice passata su
un’aspetto disordinato della nostra vita.
M.G. Si, è come uno strato di glassa. Ed è davvero insidioso, quando ti
accorgi che come editore di una rivista gay per giovani, stai facendo
proprio questo ai teenager! E’ questo che alla fine mi ha fatto smettere.
J.N.
Quindi eri editore di una rivista gay…
M.G. Si. Iniziavo lentamente a comprendere la mia identità gay ma non
volevo parlarne ancora con nessuno al lavoro. Ma poi ho letto che nelle
scuole elementari stavano introducendo libri di testo che affermano
l’identità gay e mi resi conto che dovevo smetterla. Ovviamente, sono
soltanto una persona ma forse, dicendo queste cose adesso, posso aiutare
qualcuno.
Quando penso alla mia vita, se quell’identità gay non mi fosse mai stata
offerta su un piatto, e se nella nostra società avessimo un chiaro approccio
morale verso la questione – di essa [dell’attrazione verso i maschi] mi sarei
già occupato da tempo.
J.N. Giusto.
M.G. È pazzesco. Proprio non lo capisco. Ti dirò che quando per la prima
volta ho guardato il sito NARTH, mi sono sentito in colpa. Naturalmente
ne avevo già sentito parlare – ero un’attivista e vi avevo già catalogati
insieme agli “odiosi gruppi di estrema destra.” Sapevo di voi perché
dovevo mantenermi aggiornato su tutte “le persone odiose” in giro.
Onestamente, quando cliccai su un articolo del sito NARTH, ebbi la
sensazione di violare la legge; come se non avessi dovuto leggerlo.
Riuscivo soltanto a leggere alcune parole, dopodiché dovevo fermarmi.
J.N. Leggere materiale di NARTH era come un tabù per te.
M.G. È stato orribile. Era incredibile – e mi fa rendere conto di come
fossi soggiogato – e anche di come lo sono tante altre persone.
J.N. Sentire quel genere di controllo sociale è come essere in una setta,
non è vero?
M.G. E’ come una setta. Adesso parlano di me come se fossi morto
davvero – è ciò che [gli attivisti gay] dicono. C’era un titolo in un giornale
gay “Vita e Morte di un Americano Gay” – parlavano di me.
J.N. Si, l’ironia è che in realtà sei venuto alla vita!
M.G. Proprio così!
J.N. Quando leggi gli scritti di romanzieri gay, trovi sempre una nota di
fondamentale decadimento, ogni cosa alla fine si deteriora – le cose
semplicemente si degradano, scompaiono e muoiono. C’è un
perseguimento della bellezza della gioventù ma con una reale assenza di
trascendenza. Se leggi la vita di Oscar Wilde, per esempio, noti la stessa
cosa, quella radice pessimistica. E’ uscito un nuovo libro su Wilde scritto
da un uomo gay, che presumeresti essere un alleato di Wilde – tuttavia egli
parla di come la vita di Wilde fosse bizzarra e perversa. Sono certo che
conosci queste cose meglio di me.
M.G. Di queste cose ne ho viste molte. I più anziani sono semplicemente
attirati dalla bellezza di ragazzi più giovani e cercano di catturarla…sia per
concupiscenza sia perché cercano di apparire fisicamente più
giovani.Vogliono ottenere quella bellezza e quella mascolinità che non
hanno.
J.N.
Provi attrazione per lo stesso sesso adesso? Che cosa fai quando
accade?
M.G. In realtà non mi succede molto spesso. Quando sono assorto nella
meditazione e un pensiero oppure un desiderio affiora, piuttosto che
concentrarmi su di esso o perseguirlo, “lascio semplicemente che esista”
Il mio Autentico io cresce ed il Falso Io alla fine sparisce insieme a quel
desiderio.
J.N. Quindi la consideri come una lotta tra il Vero ed il Falso Io?
M.G. Si.
J.N.
Così ogni volta che l’attrazione del Falso Io per persone dello
stesso sesso affiora…?
M.G. Prima l’afferravo semplicemente, mi dichiaravo “gay” e tutto il
resto, inclusi tutti gli altri sentimenti, come il farsi sottomettere.
J.N. Adesso invece cerchi di resistergli.
M.G. Veramente non è che lo combatti perché – forse questo viene dal
buddismo – il combatterlo implica una lotta.
J.N.
Giusto. Non lo combatti… semplicemente non fuggi e lo tolleri.
M.G. Stai con lui e quindi lo consideri per ciò che é.
J.N.
Esatto.
M.G. E così facendo scendi sempre più in profondità.
J.N.
Si.
M.G. Tanta parte di questa attrazione per lo stesso sesso è in realtà una
sorta di umiliazione. C’è anche tanta superficialità e la paura ti fa pensare
che questo è semplicemente ciò che tu sei. L’ho notato di nuovo proprio un
paio di settimane fa. Per un attimo sono stato preso dal panico e ho detto
“questa cosa la vuoi davvero,” ma è durato soltanto una frazione di
secondo. Non ho perso il controllo e non ho afferrato quel desiderio, lo
lascio andare.
J.N. Giusto. E hai fatto questo in stato di meditazione?
M.G.
No, nel corso della giornata. Le tecniche di meditazione si
applicano alla vita quotidiana.
J.N. Capisco.
M.G. Così, quando l’attrazione per lo stesso sesso si fa viva di nuovo, la
lascio stare, e così facendo mi sento più me stesso, nutro il mio autentico
Io.
J.N.
Mediti spesso?
M.G. Non seguo un programma fisso. Alcuni giorni mi siedo e medito
per un’ora, di solito lo faccio una volta ogni tre o quattro giorni. Ho anche
frequentato quattro o cinque programmi durante i weekend.
J.N.
Pensi che questo ti porterà all’eterosessualità?
M.G. Lo sta già facendo.
J.N.
Sta modellando la tua vita.
M.G. Non ti devi soltanto disfare, attraverso un processo di crescita, del
Falso Io… devi costruire un Nuovo Io a partire dall’eterosessualità.
J.N.
Esattamente. Stai dicendo molte delle cose che insegno nei miei
seminari.
M.G.
È vero, perché quando lasci andar via i sentimenti diventi
gradualmente più forte. E quando accade, non hai neanche bisogno di
creare l’eterosessualità.
J.N. È spontanea a quel punto, perché è latente…
M.G. E’ già li.
J.N.
E’ nella tua natura.
M.G. Ed è così diversa dall’omosessualità.
J.N. Spiegaci perché.
M.G. Tu lo hai descritto molto bene – l’omosessualità ti mette dentro un
Falso Io. È tutto nella tua mente – e su questo ovviamente ho focalizzato
molto la mia attenzione – è letteralmente tutto nella tua mente. La
differenza tra l’omosessualità e l’eterosessualità è immensa ma penso che
moltissime persone omosessuali non se ne rendano conto perché sono così
abituati a questa sessualità creata nella mente che non riconoscono la
differenza.
J.N. Quando dici “nella mente” gli uomini gay ribatteranno “è nel mio
corpo. Quando vedo un ragazzo attraente, non è la mia mente – io sento
quella scossa nel mio corpo.”
M.G. Si, diranno così. Tuttavia, quella scossa è una messaggio di Dio
che ti dice che quella cosa al di fuori di te che desideri tanto, dovresti
invece svilupparla dentro di te.
J.N. Questo è l’elemento “riparativo”. L’omosessualità è uno sforzo per
riparare una parte integrale della tua natura cercando al di fuori di te ciò
che ti manca dentro.
M.G. Esattamente. Se mi sentissi attratto da qualche attributo mascolino,
direi “ Bene, ho due possibilità di scelta: la prima è quella di gettarmi nel
rapporto omosessuale e sentire quella mascolinità. La seconda è quella di
fermarmi, fare una pausa, rendermi conto del perché mi sento attratto
verso quell’attributo e dire “no, non ne ho bisogno. In realtà, c’è l’ho già.”
J.N. Giusto.
M.G. E? come una specie di illuminazione perché è un chiaro messaggio
che c’è qualcosa che puoi sviluppare dentro di te. La fai crescere dentro di
te, dopodiché non la desideri più.
J.N.
E in questa liberazione dal forte desiderio sessuale ha un ruolo
importante la meditazione.
M.G. Almeno come punto di riferimento. E funziona soltanto perché
sono in grado di riconoscere qual’è il Vero Io e non mi lascio spaventare
da esso.
J.N. Questo è molto importante. Prima della meditazione devi riconoscere
il tuo Vero Io…
M.G. E’ così.
J.N. Per quanto tempo lo hai fatto? Per quanto tempo ti sei sottoposto a
questa trasformazione?
M.G. Dunque, se partiamo dalla prima volta che ho riconosciuto l’Io
autentico – non sapevo veramente che si è trattato di questo quella volta
che ho avuto l’esperienza di Dio circa quattro anni fa – ho iniziato a
lavorare seriamente su tutti questi desideri circa un anno e mezzo fa.
J.N. Um-hmm
M.G. Ed è stata la prima volta che mi sono recato in un luogo buddista e
ho iniziato a meditare e ad apprendere un nuovo linguaggio – un
linguaggio nuovo che mi ha insegnato ad osservare la mia mente.
J.N. Quindi, fondamentalmente, entri in uno stato meditativo e osservi
questi pensieri mentre affiorano.
M.G. Non si tratta tanto di “entrare” in questo stato, perché esso non è
diverso dal mio normale stato mentale. Esiste la percezione che la
meditazione sia uno stato ma in realtà anche questa è una falsa dualità.
Non c’è alcuna differenza tra come sono adesso e come sono quando sono
seduto in meditazione. È solo che la meditazione mi concede lo spazio per
calmare i miei pensieri e ridiventare forte, così, quando torno alla vita di
tutti i giorni, ho ancora quel punto di riferimento.
J.N.
Per tornare a cosa?
M.G. Per ritornare a me stesso.
J.N.
Capisco.
M.G. A volte non ne ho bisogno perché sento di essere stato abbastanza
autentico o abbastanza solido.
J.N.
(annuisce col capo)
M.G. Ma è interessante anche notare come tutto questo si allaccia alla
religione perché ho avuto diverse esperienze in cui ho cercato di
focalizzare la mia confusione su Gesù. Si è trattato di esperienze molto
profonde. Era come se lui fosse una presenza reale – capace di prendere
tutta la mia confusione, e perfino tutti i miei desideri, e di trasformarli.
J.N.
Si…
M.G. E una volta trasformati sono diventati parte del mio Vero Io.
J.N. Assolutamente. E’ il potere che il trascendente ha di trasformarci.
M.G. Esattamente. Non direi mai a nessuno che l’omosessualità si può
curare semplicemente con la sola meditazione, perché non è vero.
J.N.
OK….
M.G. Ci sono molte persone gay che sperimentano la meditazione e che
dicono di essere ancora gay.
J.N.
Si. Non meditano sulla loro sessualità dalla tua stessa prospettiva.
M.G. Per me la meditazione è stato un modo per non sottopormi alla
terapia; sarebbe stato quasi impossibile poiché non avevo denaro. La
meditazione ti fornisce un linguaggio ma Dio ti dà la direzione e la
motivazione. Nessuno dei miei cambiamenti sarebbe avvenuto senza Dio o
Gesù. Conosco persone che hanno meditato per molti, molti anni, e forse
adesso sono molto più calmi e più saggi di me – ma la direzione che hanno
preso è diversa e adesso sono ancora gay.
J.N.
Dunque, dici che porti con te, nella meditazione, quella verità
riguardo il Falso Io e l’omosessualità. Per meditazione non intendi uno
stato mentale diverso o alterato – è soltanto di una “ rivelazione della
verità”. La meditazione crea l’occasione per bloccare le distrazioni esterne
e per “giungere alla verità”, e quella verità, per te, è ispirata da Dio.
M.G.
E’ proprio così. Devo dire però che l’organizzazione della
meditazione mi infastidiva perché sono anticristiani. Era una cosa che
dovevo risolvere e ho pregato molto al riguardo. Avevo la sensazione che
Dio mi stesse dicendo: “No, non smettere, ti fa bene…. prendi da questa
esperienza ciò che di buono ti può dare.
Non voglio che questo suoni come “puoi cambiare anche senza Dio”
poiché non penso che sia possibile. Non lo so, forse voi avete successo con
persone che sono senza Dio…
J.N. Abbiamo successo con persone che non sono religiose, ma in quanto
cattolico, credo che lo Spirito Santo stia operando anche nelle loro vite.
Molti uomini diventano più religiosi durante il processo terapeutico. In
quanto psicologo non rientra nel mio ruolo introdurre idee religiose, ma i
clienti stessi spesso iniziano gradualmente a ricercare la conoscenza di un
creatore man mano che crescono in umiltà e trasparenza. In realtà, la
ricettività verso un rapporto con Dio spesso sembra rientrare in un più
largo processo di maturazione emotiva.
Michael, tante grazie per le tue profonde intuizioni sul processo di
cambiamento.
Traduzione di Patrizia B.
http://omosessualitaeidentita.blogspot.com
L’Ex Presidente dell’APA Dr. Nicholas Cummings
Descrive il proprio Lavoro con Clienti SAS
il 20% dei clienti ha mutato orientamento sessuale; per il resto c’è stata una
riduzione dei comportamenti promiscui
Il Dr. Nicholas Cummings è stato presidente dell’ Associazione Psichiatrica
Americana (APA) e per anni ha rivestito l’incarico di Direttore del Mental Health
con la Kaiser-Permanente Health Maintenance Organization. E’ coautore, insieme al
Dr. Rogers Wright, del libro Destructive Trends In Mental Health: The WellIntentioned Path to Harm. Wright e Cummings hanno tenuto due importanti discorsi
in occasione della Conferenza NARTH del 2005.
D: Quando lavorava per l’organizzazione Kaisser-Permanente, quanti clienti
omosessuali ha incontrato?
Dr. C: Durante i 20 anni in cui sono stato alla Kaiser-Permanente (1959-1979), la
popolazione gay e lesbica di San Francisco è esplosa, per cui incontravamo molti più
pazienti di questo tipo di quanti ne avremmo incontrati nel solito studio
psicoterapeutico. Personalmente ho trattato più di 2000 pazienti e il mio staff ne ha
trattati altri 16.000. Abbiamo annotato molti dati mentre ci impegnavamo con
profonda serietà a sviluppare un approccio psichico-terapeutico che venisse incontro
ai bisogni di questi pazienti. Sotto molti aspetti siamo stati pionieri, i primi ad
occuparci di questi bisogni.
D: Quante di queste persone sono state riorientate verso l’eterosessualità, quanti
hanno fallito, e quanti hanno continuato ad identificarsi come omosessuali?
Dr. C: Tra le persone che abbiamo trattato con la psicoterapia, il 67% ha ottenuto
buoni risultati. Non abbiamo tentato di riorientare nessuno verso l’eterosessualità a
meno che questo non fosse lo scopo terapeutico primario del paziente. Pertanto, Il
20% di quel 67% che ha avuto buon esito si è riorientato, mentre l’80% dello stesso
67% ha perseguito uno stile di vita gay sano e sessualmente responsabile.
Q: Un terzo dei suoi clienti non è stato aiutato per niente dalla terapia. Come
descriverebbe questi individui? Compulsivi? Ossessivi?
Dr. C: Tenendo a mente che queste percentuali non descrivono tutta la comunità
omosessuale, ma soltanto quegli individui che hanno cercato un trattamento presso di
noi, le rispondo che circa un terzo era sessualmente compulsivo, con una forte spinta
a ricercare incontri sessuali anonimi, mai soddisfatti, e costantemente ossessionati da
ciò che essi definivano la loro “dipendenza sessuale”. In questo gruppo abbiamo
rilevato un’alta incidenza di abuso di droghe; erano spesso spaventati dal pensiero di
poter avere ripetuti rapporti sessuali con lo stesso individuo. Ricordo un paziente che
pensava di avere un incontro anonimo quando l’uomo, con il quale aveva dimenticato
di avere avuto un precedente rapporto, lo chiamò con il suo nome di battesimo. Il
paziente fuggì atterrito.
D: Lei ha criticato la comunità psicologica per il ruolo che essa ha avuto nel
distorcere la ricerca sull’orientamento sessuale. Può spiegarci perché è critico nei
confronti dell’APA?
Dr. C: Per prima cosa mi lasci dire che sono stato per tutta la vita un difensore dei
diritti civili, inclusi i diritti delle lesbiche e dei gay. Sono stato io a nominare, in
qualità di presidente (1979), la prima Task Force per le questioni omosessuali, che
divenne poi una divisione dell’APA.
In quel periodo la questione si incentrava sul diritto di una persona di poter scegliere
uno stile di vita gay, mentre adesso è messa in discussione il diritto di scelta
dell’individuo di non essere gay, e questo perché la leadership dell’APA sembra aver
concluso che l’attrazione verso persone dello stesso sesso é immutabile.
La mia esperienza ha dimostrato che ci sono tanti tipi diversi di omosessuali quanti
ve ne sono di eterosessuali. Relegare l’attrazione per lo stesso sesso nel novero delle
cose non si possono cambiare – alla stregua di una minoranza oppressa, del tipo afroamericano ed altre -- distorce la realtà. E i tentativi passati di rendere la terapia del
riorientamento sessuale “immorale”, vìola la scelta del paziente e di fatto trasforma
l’APA in un’organizzazione che determina gli scopi terapeutici.
D: Qual’è la premessa fondamentale del libro Destructive Trends in Mental Health?
Dr. C: L’APA ha permesso alla “political correctness” di trionfare sulla scienza,
sulla conoscenza clinica e sull’integrità professionale. Il pubblico non può più fare
affidamento sulla psicologia organizzata visto che i suoi pronunciamenti non si
basano più sull’evidenza ma piuttosto su ciò che essa considera essere politicamente
corretto.
D: che cosa dovrebbe essere fatto per correggere questa situazione?
Dr. C: attualmente la direzione dell’APA è stata assegnata ad un gruppo elitista di
200 psicologi, che si alternano a rotazione in una sorta di “ gioco delle sedie”, in tutti
i differenti uffici, consigli, comitati e Consiglio dei Rappresentanti. La vasta
maggioranza dei 100.000 membri è fondamentalmente priva di diritti. Nella
Convenzione APA del 2006, tenutasi a New Orleans, ho tenuto un discorso dal titolo
“Psicologia e necessità di una riforma dell’APA”, che è stato fatto ampiamente
circolare, ma che è stato totalmente ignorato dalla leadership dell’APA. E’
improbabile che decida di attuare delle riforme che comportino la perdita del posto!
Traduzione di Patrizia
http://omosessualitaeidentita.blogspot.com
Testimonianza di apertura del presidente di Exodus
Alan Chambers
Dibattito sul matrimonio con persone dello stesso sesso - U.C. Berkeley
(17 aprile 2004)
Mi chiamo Alan Chambers, sono Cristiano, sposato; io e mia moglie Leslie eravamo
omosessuali. Desidero chiarire che io non ho scelto di sentirmi attratto verso il mio
stesso sesso né ho volontariamente adottato un orientamento omosessuale, ma la mia
risposta ad entrambi i miei comportamenti, é stata una scelta.
Ricordo che a 18 anni mi sentivo solo ed ero alla ricerca dell'uomo "giusto". Ricordo che
desideravo moltissimo avere un uomo che mi tenesse tra le braccia, che mi proteggesse,
mi amasse e dedicasse a me la sua vita. Ricordo di aver pensato che avrei fatto qualsiasi
cosa per colmare quell'insaziabile bisogno. Feci di tutto, tranne che pregare che il mio
cavaliere si presentasse davanti alla mia porta con splendente armatura. Non avevo alcun
dubbio che il pezzo mancante al puzzle della mia vita lo avrei trovato nell'uomo dei miei
sogni.
Sono passati 14 anni; adesso sono felice e soddisfatto emozionalmente, fisicamente,
spiritualmente, sessualmente. Ciò che mi ha permesso di uscire dalla prigione che rende
schiave tante meravigliose persone è stato un processo di autodeterminazione e di scelta
volontaria. il cambiamento è possibile ed io ne sono una prova vivente. Ero omosessuale
ed oggi non lo sono più.
Se il matrimonio con persone dello stesso sesso fosse stato legale nel 1990 sono certo
che anch'io lo avrei sperimentato. Ho conosciuto un uomo che desideravo sposare.
Eppure oggi, da uomo maturo, adulto e con una sobria prospettiva, mi rendo conto che
non ero alla ricerca di un uomo quanto piuttosto di una risposta, perfino di una droga,
chi mi rendesse insensibile al dolore e mi facesse sentire meglio riguardo me stesso. La
legge mi impedì di fare uno, se non molti, errori che cambiano una vita.
Recentemente Dennis Teti ha scritto in "The Weekly Standard": "lo scopo dei "Governi"
non è quello di dispensare diritti ma è quello di assicurare i diritti creati dalla natura e
dalla natura di Dio". Le leggi attuali hanno salvato la mia vita e continuano a salvare le
vite di altri giovani come me che hanno bisogno di questi limiti vitali.
Come ex-omosessuale, so che questa battaglia ha poco, se non nulla, a che fare con il
matrimonio, ma ha piuttosto che fare con un bisogno assoluto di approvazione e di
accettazione sociale. Questo esperimento con il matrimonio, promosso da alcuni, ha che
fare con il tentativo di far tacere il senso di colpa, la sofferenza e la terribile verità che
risiede dentro ogni persona lesbica e omosessuale, vale a dire che i loro desideri non
verranno mai soddisfatti nel modo in cui cercano di soddisfarli e cioè in maniera
omosessuale. L'appoggio legale e l'approvazione del matrimonio con persone dello
stesso sesso garantirà semplicemente che più vite, quelle dei ragazzi di oggi e di domani,
saranno rovinate. Viviamo già in una società veramente tollerante e la legge ci considera
uguali. La razza, la religione, il sesso, l'età o l'invalidità influenzano le nostre libertà
personali. Le leggi vigenti che proteggono il matrimonio hanno lo scopo di proteggere
un'istituzione che è stata il fondamento delle società per migliaia di anni e, soprattutto,
hanno lo scopo di proteggere i ragazzi. Una famiglia con due genitori, un uomo e una
donna, costituisce il miglior ambiente in cui far crescere la prossima generazione.
Dobbiamo fare tutto il possibile per proteggere questa unità familiare.
Lo ripeto, sono uno delle decine di migliaia di persone che hanno cambiato con successo
il proprio orientamento sessuale. Sono grato al messaggio di cambiamento e alle leggi
vigenti che hanno salvato la mia vita.
Alan Chambers <http://www.exodus-international.org/exodusspeakers_chambers.shtml> é uno dei membri fondatori di Exodus Youth
<http://www.exodusyouth.net/> ed é attualmente il Direttore Esecutivo del ministero
Exodus International..
(Traduzione di Patrizia B.)
Aiutare donne che provano attrazione per lo stesso sesso
By Janelle M. Hallman, MA, LPC
1. Il Bisogno Fondamentale di una Donna che prova attrazione per lo stesso
sesso: Attaccamento e Identità
La qualità dell' attaccamento tra una bambina e la propria madre (biologica o
adottiva) influenzerà direttamente la crescita della futura ragazza e lo sviluppo del
nucleo della sua personalità. Un attaccamento solido, sicuro e costante nel tempo
produrrà un io solido e sicuro nel periodo di crescita e di sviluppo della ragazza.
Inoltre, il fatto di avere un attaccamento saldo e continuo in quello che é il suo
primo e principale rapporto consentirà alla ragazza di sperimentare legami saldi
anche nei suoi futuri rapporti.
Infatti, per le donne, l' io non può iniziare ad esistere se non attraverso il rapporto
con gli altri, in primo luogo con la madre. E' perciò devastante e tragico, per
quanto riguarda lo sviluppo, che il rapporto iniziale e fondamentale della bambina
con la madre sia inesistente oppure denso di insicurezze o spaccature. Un
attaccamento instabile o incerto con la propria madre crea generalmente nella
ragazza un io instabile, insicuro e insufficientemente sviluppato, che darà origine al
sentimento di non sentirsi al sicuro nella propria pelle e nel mondo delle relazioni
umane.
Da un'analisi dei racconti di queste donne si é potuto rilevare che le interferenze e i
fallimenti nell'attaccamento alla propria madre sono tipicamente radicati in:
1) un reale deficit o debolezza nella madre derivato da problemi di attaccamento e
di sviluppo che la stessa madre ha vissuto nella propria infanzia;
2) maltrattamenti o traumi causati dalla madre;
3) separazione accidentale;
4) un distacco difensivo che può derivare dalle percezioni della figlia, da
suscettibilità, da conclusioni immature e/o da convinzioni formatesi sulla propria
madre.
Questa incertezza nella prima esperienza di relazione può oscurare la sua intera
vita; una vita che sarà caratterizzata da depressione, dubbi e insicurezze. Può anche
creare ostacoli ad un sano sviluppo del fondamentale senso dell'io di una ragazza
(l'io femminile, l'io dei rapporti con gli altri, l'io in quanto unico e prezioso). Il
senso del “sé”, della propria identità, é del tutto mancante oppure estremamente
fragile in una donna con tendenze omosessuali. Ed è questo senso di mancanza del
"sé" e di insicurezza che spinge queste donne a cercare il proprio sé mancante,
sicurezza e attaccamento, attraverso un rapporto emozionalmente dipendente con
persone dello stesso sesso.
La mancanza di un nucleo del "sé" pienamente sviluppato è una delle più
importanti caratteristiche distintive di queste donne. Quando gli si chiede "chi
sono" o "che cosa sentono", possono esclamare enfaticamente, "non lo so". E'
spesso difficile per il terapeuta formarsi un quadro chiaro dell'identità della donna
SSA e, di conseguenza, sviluppare un trattamento efficace.
La donna SSA sperimenta una profonda disconnessione e incapacità di esplorare le
sue emozioni, i suoi spazi più intimi, né tanto meno riesce a parlarne o ad invitare
un'altra persona in questi spazi. Naturalmente ciascuna donna SSA è unica per
quanto concerne il proprio personale grado di crescita e di sviluppo. Alcune
possono aver sviluppato un maggiore senso del sé e sono in grado in parte di
connettersi con le proprie sensazioni intime, desideri o avversioni; ma anche in
questo caso permangono alcuni aspetti di un senso del sé scollegato, sconosciuto
ho non sufficientemente sviluppato.
Di conseguenza la donna SSA é intrappolata in un dilemma:
senza un “io” stabile e definito, una donna non sarà in grado di formare un
attaccamento, di
connettersi o relazionarsi come ci si aspetterebbe da una donna adulta.
senza un solido attaccamento e una relazione costante, una donna non potrà
essere in
grado di stabilire un solido nucleo o senso del sé.
Non potendo risolvere questo dilemma, la donna SSA potrà soltanto sopravvivere
in un mondo vuoto e in un sé vuoto oppure sentirsi spinta verso una relazione con
un'altra donna dalla quale, al di là della sua volontà, diventerà dipendente, proprio
mentre cercherà di trovare la propria identità e indipendenza.
Il suo bisogno fondamentale, pertanto, è quello di formare un solido legame e, al
tempo stesso, di scoprire, accettare e rinsaldare il suo “io” attraverso questa
connessione o relazione.
II. Il Compito Terapeutico Fondamentale:
Al fine di risolvere il suddetto dilemma è indispensabile:
• Creare un ambiente protetto in cui una donna possa essere autentica e possa
esporre competamente le proprie difficoltà relazionali, la propria immaturità,
manovre di difesa e il proprio sé estremamente vulnerabile e fragile
• Costruire fiducia e infine
• Stabilire un attaccamento solido e sicuro che le consenta di sviluppare e
rinsaldare il nucleo del proprio sé, la sua identità unica.
Ulteriori tecniche e contenuti terapeutici dovranno essere costruiti tenendo conto
dei suddetti principi fondamentali.
A. Primo Compito: Creare Sicurezza
Un luogo sicuro fornisce protezione fisica ed emotiva
Un luogo sicuro dona un senso di pienezza, non di vuoto.
Un luogo sicuro offre attenzione e riservatezza.
Un luogo sicuro é costante, senza spiacevoli sorprese.
Un luogo sicuro favorisce il rispetto.
Un luogo sicuro é caldo e rilassante.
Un luogo sicuro è dove si è conosciuti ed accettati.
Un luogo sicuro crea fiducia.
Un luogo sicuro può diventare una casa per i senzatetto.
Un luogo sicuro permette di sentire profondamente e di parlare.
Un luogo sicuro ti permette di essere te stesso.
Un luogo sicuro è dove puoi crescere e svilupparti.
A causa della mancanza di un solido attaccamento che getti le basi per la
costruzione del proprio io, la donna SSA spesso lotta con la sensazione di non
sentirsi al sicuro nella vita o con gli altri. Per questo motivo, anche se la donna
SSA non sta vivendo un momento particolarmente critico, il terapeuta, fin dalla
prima fase della terapia, dovrà comunque creare un ambiente protetto. Il terapeuta
deve dimostrare, con il suo modo di porsi, con le azioni e con le parole, di essere
una persona innocua e fidata.
Per il terapeuta non sarà facile instaurare un’atmosfera di sicurezza con la donna
SSA se assumerà un atteggiamento analitico, interpretativo o di oggettività
distaccata. La donna non si sente al sicuro con persone non autentiche o distaccate.
Ha bisogno di qualcuno con cui connettersi che sia reale, autentico e altruista.
Attraverso il suo rapporto con il terapeuta la donna potrà confrontarsi con i suoi
atteggiamenti controproducenti, con i suoi schemi, il suo modo di relazionarsi con
gli altri, con le sue convinzioni, ed eventualnmente potrà modificarli.
Qui di seguito sono riportati alcuni stili terapeutici che contribuiscono a far sentire
la paziente in un ambiente sicuro e protetto:
• “Va dove va il paziente”
I terapeuti devono comunicare al paziente che il loro compito principale è
quello di costruire insieme un rapporto che diventerà esso stesso “agente di
cambiamento”. È estremamente difficile insegnare queste abilità in un corso
intensivo, utilizzando un protocollo.
E’ molto importante che il terapeuta sia pronto ad andare ovunque il paziente
vada, a fare tutto ciò che è necessario per continuare a costruire fiducia e
sicurezza nel rapporto.
Il consiglio di Yalom è molto importante quando si lavora con donne SSA.
"Andare ovunque vada il paziente" richiede una volontà di agire, di spendere
energie, di fare sacrifici, di rischiare come terapeuti. In altre parole, se la donna
con la quale lavorate non è in grado di concentrarsi sui ricordi che riguardano
ingiurie o maltrattamenti subiti, ma preferisce focalizzare la propria attenzione
sull'attuale relazione con voi, vi rimetterete alla sua decisione. Una volta
stabilito un rapporto di fiducia e di sicurezza la donna potrà lasciarsi guidare da
voi.
•
Siate il suo specchio e restate sintonizzati
Fungere da specchio è una potente tecnica che può comunicare alla donna
che voi siete "con" lei. Ciò contribuisce a creare anche un senso di sicurezza. Se
il mio cliente ha il mento abbassato mentre parla, anch'io abbasso il mio mento
in modo simile. Quando lei muove il corpo di lato e solleva il capo io le faccio
da specchio spostando il mio corpo e sollevando la testa. Quando lei guarda
fuori dalla finestra io seguo il suo sguardo, quindi ridirigo lo sguardo verso di
lei. Quando lei sorride anch'io sorrido. Quando aggrotta le ciglia io aggrottò le
ciglia con lei. Quando lei partecipa con intensità alla conversazione, anch'io
faccio altrettanto aiutandomi con le parole e con i gesti. Quando lei parla
metaforicamente per descrivere, ad esempio, il suo stato d'animo, io rispondo
utilizzando il suo stesso linguaggio metaforico. Lo scopo del terapeuta è quello
di rimanere coinvolto e sintonizzato con l'esperienza intima di ciascuna donna,
senza però smettere di valutare e di considerare attentamente il suo carattere
unico e lo stadio del suo sviluppo.
•
Aspettatevi manovre di Difesa e dimostrazioni di Sfiducia
Sfortunatamente molte donne SSA si sono inconsciamente convinte che a
nessuno importa di loro e che non ci si può fidare di nessuno. In passato la loro
fiducia è stata tradita e le loro relazioni sono state deludenti e dolorose. Perciò,
per sopravvivere, la donna SSA ha sempre evitato i rapporti intimi basati sulla
fiducia. Questa è una delle ragioni per cui instaurare un rapporto di fiducia deve
essere, per il terapeuta, il frutto di una decisione deliberata e non può essere
gestito distrattamente. Non vi aspettate che il cliente apprezzi immediatamente
o risponda con calore alla vostra offerta di sicurezza e di “connessione
emotiva”. La donna potrebbe:
•
Rimanere chiusa e distante.
•
•
Mettere in dubbio la vostra sincerità e le vostre intenzioni; ciò
potrebbe a sua volta portarvi a mettere in dubbio le sue.
Continuare a trincerarsi dietro le proprie convinzioni negative
riguardo gli altri, e fissarsi sugli stessi ruoli e le stesse risposte che ha
inconsciamente costruito nel tempo per proteggere se stessa.
"Un essere umano non può improvvisamente rinunciare a tutte le immagini, ai
ruoli e ai simboli della propria esistenza, poiché ciò lo metterebbe faccia a
faccia con un ignoto terrificante. L'essere umano ha bisogno di qualcuno che
possa accompagnarlo all'interno e attraverso il il proprio "disordine", verso la
realtà dei propri impulsi, pensieri ed espressioni. Ha bisogno di creare un
contatto con un altro essere umano".
Come terapeuti, dobbiamo essere in grado di gestire il "disordine" della donna
SSA se vogliamo instaurare un rapporto di fiducia e di sicurezza. Dovete
“andare dove lei va” per entrare nel suo mondo. Melanie, una donna di 45 anni
che aveva abbracciato un'identità lesbica per più di 11 anni, mi ha raccontato la
sua esperienza con un precedente terapeuta. Al loro secondo o terzo incontro,
Melanie si sentì talmente agitata che si alzò dalla sedia e iniziò a camminare
mentre entrambe continuavano a parlare. Ad un certo punto il terapeuta di
Melanie le chiese di sedersi perché il suo andare avanti e indietro la
distraevano. Come avrete indovinato Melanie non tornò mai più.
Questa terapeuta ha perduto una grande opportunità. Non è stata capace di
entrare nel "disordine" di Melanie. Se avesse semplicemente chiesto a Melanie
che cosa stesse provando mentre camminava, avrebbe fatto un'importante
irruzione nel mondo della sua cliente. Dobbiamo incontrare la donna SSA
proprio dove si trova e non aspettarci di relazionarci con lei in maniera più sana
e matura fino a quando non sarà cresciuta nella sua maturità. Se ci presentiamo
con delle attese su come Lei dovrebbe comportarsi o funzionare all'interno della
relazione terapeutica, la paziente si sentirà potenzialmente rifiutata, incompresa,
estremamente insicura e, in definitiva, senza protezione.
- Fare affidamento su manovre difensive quali il sarcasmo,
l'umorismo o l'intellettualizzazione per ottenere un senso di
sicurezza e di distanza.
La sicurezza per molte donne SSA sta nel non sentirsi sicure. Sentirsi sicura
implica che le proprie difese possono crollare e Lei non può permettere che ciò
accada, è troppo rischioso. Sentirsi sicura potrebbe anche significare provare
altri sentimenti; sentimenti dai quali ha cercato di difendersi per tutta la sua
vita. Anche questa prospettiva può spaventarla. Così, appena un senso di
sicurezza o di fiducia inizia a svilupparsi, la donna SSA può automaticamente
reagire erigendo barriere difensive contro di esso. Tutto ciò richiede la massima
pazienza e perseveranza da parte del terapeuta.
Ci sono stati molti casi in passato in cui proprio quando mi stavo rilassando in
una confortevole sensazione di calore e di reciprocità con una cliente, venivo
bruscamente risvegliata da una risposta beffarda e sarcastica ad un mio ultimo,
sincero commento. E’ di cruciale importanza, in questi momenti, ricordare a me
stessa che fondamentalmente la mia cliente si stava sentendo al sicuro, ma che
ancora non si fidava di me a tal punto da concedersi di riposare nell'esperienza
della sicurezza. Ha bisogno di altro tempo. Devo rispondere con gentilezza e
pazienza, non con rabbia e frustrazione. Quando la donna SSA sceglie
finalmente di lasciarsi andare, forse per la prima volta nella sua vita, e di
concedersi di sentirsi al sicuro, potete stare certi che il rapporto di fiducia é
iniziato.
B. Secondo Compito: Costruire Fiducia
Costruire un rapporto di fiducia con una donna SSA non è come costruire un
rapporto con altri clienti.
Quando affrontate le manovre difensive di una donna potreste essere tentati di
credere che lei sappia già come fidarsi ma che semplicemente si stia rifiutando di
farlo. Ciò accade raramente.
È possibile infatti che la paziente con la quale state lavorando non si sia mai fidata
di nessuno, incluso Dio. Anche se per Lei è importante il rapporto con Dio, essa
crede nel suo intimo che le promesse di Dio valgano per tutti ma non per lei. Può
aver provato fiducia all'inizio del suo percorso spirituale o nel mezzo di una delle
sue relazioni emotivamente dipendenti, ma si è trattato di un sentimento di fiducia
molto fugace. Pertanto la donna SSA può essere fondamentalmente incapace di
fidarsi. Ciò significa anche che non ha mai avuto l'opportunità di sviluppare questa
capacità.
Fortunatamente, in quanto esseri umani che crescono e si sviluppano (creature che
vivono in continuo divenire), possiamo continuare ad essere ottimisti e a credere
che ciò che sembrava apparentemente perduto o non adeguatamente sviluppato nei
nostri precedenti stadi di sviluppo, può essere tuttavia recuperato nei futuri stadi di
sviluppo. Infatti, gli specialisti in "legami affettivi" fanno notare che mentre
continuiamo ad interagire con il nostro ambiente, possiamo realmente cambiare le
nostre risposte e i nostri tratti emotivi, comportamentali e sociali."
La nostra innata capacità di crescere e di svilupparsi " indica inoltre che aiuti
esterni, quali ad esempio i programmi di educazione dei propri figli e gli interventi
terapeutici, possono contribuire molto ad attenuare le prime avvisaglie di
difficoltà" (Levy &Orlans,1998, p.20).
Erik Erikson, in Identity and the Life Cycle, discute la natura di un efficace
intervento terapeutico sulle persone che hanno una profonda sfiducia in se stessi e
negli altri. Egli suggerisce al terapeuta di “assumere essenzialmente il compito di
una madre che introduce un bambino all'affidabilità della vita" (p.144). Ciò
significa che dobbiamo offrire la stessa coerenza, costanza, calore, attenzione,
cura, gentilezza, pazienza, amore incondizionato e considerazione che una buona e
sana madre offrirebbe normalmente al proprio figlio. Se offriamo tutto questo con
regolarità e costanza e lo facciamo assumendo un impegno a lungo termine, il
rapporto di fiducia si svilupperà naturalmente, ma soltanto dopo che la donna SSA
avrà completamente messo alla prova la vostra costanza e il vostro impegno.
Instaurare un rapporto di fiducia è uno degli aspetti maggiormente curativi del
lavoro che farete con una donna SSA. Non bisogna mai minimizzare il tempo che
può essere necessario per costruire un rapporto di fiducia. Naturalmente, se
desiderate che Lei abbia fiducia in voi, dovete dimostrarvi degni di fiducia. Qui di
seguito troverete una lista di comportamenti e di atteggiamenti che, dal punto di
vista della donna SSA, sono generalmente considerati i tratti distintivi di una
persona degna di fiducia:
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Non costituite un pericolo, così come descritto nella discussione di cui sopra
Potete "dare" senza pretendere nulla in cambio
Sapete come parlarle
Quando venite messi alla prova dalla donna SSA lo considerate un segno di
paura e di ansietà e non di meschinità e resistenza
Siete pazienti
Mantenete le vostre promesse
Siete costanti nei vostri appuntamenti
Arrivate in tempo agli appuntamenti
Non annullate gli appuntamenti se non in casi di emergenza
Fate sacrifici per il suo benessere
Non oltrepassate i limiti
Non approfittate del vostro potere
Non usate la vostra cliente
Siete sinceri ed autentici
Le consentite di vedere la vostra umanità e il vostro " percorso di vita"
quando opportuno
Vi preoccupate per lei
Mostrate le vostre emozioni
Chiedete scusa e riconoscete i vostri fallimenti
Siete onesti e diretti
Non vi spaventate anche se vi dice che é innamorata di voi o che vi odia
Vi piace veramente la sua compagnia
Non la umiliate e non la mettete a disagio
Siete disposti ad impiegare tutto il tempo necessario per guadagnare la sua
fiducia
Accettazione Incondizionata
Accettazione non significa giustificare sempre e comunque. Io non giustifico la
molestia ai bambini ma la accetto come una realtà del nostro mondo corrotto e
confuso. Non incoraggio la manipolazione come mezzo per ottenere ciò che si
vuole ma accetto che anche io e la maggior parte delle persone usiamo talvolta la
manipolazione a questo scopo. Accettare un individuo incondizionatamente non é
condonare o negare aspetti del suo essere o della sua vita, ma é piuttosto la volontà
di conoscerlo, di fare un percorso con lui e di amarlo per quello che é. Nello stadio
iniziale della terapia dovrete accettare:
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L'esistenza dei suoi sentimenti di attrazione per lo stesso sesso e i
comportamenti che ne derivano
Il suo aspetto
Il suo modo di vestire
Il suo modo di agire
Il suo lavoro
La sua automobile
Gli scopi che vuole raggiungere attraverso la terapia
Il suo partner o coniuge
Il suo atteggiamento verso gli uomini e verso le donne
Le sue convinzioni spirituali
Non è consigliabile iniziare una sfida, un confronto o perfino una conversazione su
un qualsiasi aspetto della sua vita fino a quando non si sarà instaurato un rapporto
di fiducia. Non è che queste questioni non siano importanti ma sono comunque di
secondaria importanza rispetto allo scopo principale che è quello di costruire un
rapporto di fiducia e di formare un legame solido.
Affinché la fiducia si sviluppi saldamente, una donna ha bisogno di sapere che è
amata e accettata per quello che è, adesso. Se crede di dover cambiare prima che
voi possiate accettarla, potrebbe di nuovo cedere al suo solito impulso di "piacere
agli altri", invece di concentrarsi sul lavoro di completamento della sua
formazione interiore, della costruzione del suo sé. Quando accettiamo
incondizionatamente la donna SSA, le diamo l'opportunità di iniziare ad accettare
finalmente se stessa semplicemente per quello che é.
La vostra cliente potrebbe impiegare diverso tempo per riconoscere che può fidarsi
di voi. Una cosa è rendersi conto che siete persone degne di fiducia, diversa cosa
per la donna SSA è fidarsi del proprio giudizio quando pensa che siete una persona
degna di fiducia. È un passo molto importante per lei riuscire ad ammettere con se
stessa che davvero ha fiducia in voi. Ad ogni modo, una volta fatta questa semplice
(ma enorme) ammissione, la donna può iniziare a concentrarsi su altri aspetti della
propria vita non avendo più bisogno di preoccuparsi solamente della propria
sicurezza.
Siegel (1988) osserva che quando i clienti imparano ad aver fiducia nel processo
terapeutico e nel terapeuta sono poi in grado di affrontare la loro storia di
“privazioni” e di mancanza ( percepita) di appropriate cure materne (p.30)
C. Terzo Compito: Stabilire il Legame
Il compito terapeutico finale nello stadio iniziale del lavoro con una donna SSA, è
quello di stabilire il solido legame che è stato “ perduto” o che é del tutto mancato
nell’infanzia della donna. La paziente ha bisogno di un attaccamento nella sua
accezione classica: un legame affettuoso e durevole tra lei e una figura genitoriale.
A sua volta, come già detto, questo solido attaccamento le consentirà “ di
svilupparsi come individuo distinto ed autonomo” (Levy &Orlans, 1998, p. 23).
Levy and Orlans (1998, pp. 112-144), specialisti della terapia dell’attaccamento
correttivo con i ragazzi osserva che i seguenti ingredienti sono essenziali per il
processo terapeutico:
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Struttura
Sintonia
Empatia
Affetto positivo
Sostegno
Reciprocità
Amore
Questi sono gli stessi ingredienti necessari per stabilire un solido legame con una
donna SSA; l’ingrediente più importante è naturalmente l’amore. Subito dopo
viene l’empatia. Rivolgiamo adesso la nostra attenzione all’empatia.
III. I Processi Terapeutici Primari: Empatia e il “Qui e Adesso”
A. Empatia
“La terapia migliora se il terapeuta entra in modo corretto nel mondo del
paziente. I pazienti profittano enormemente della semplice esperienza di essere
completamente visti e completamente compresi”.
C’é empatia quando una persona comprende, anche se temporaneamente, e
condivide esperienzialmente lo stato emotivo e psicologico di un’altra persona.
Quando si riceve empatia si sperimenta la calda sensazione di essere
completamente ascoltati, compresi e conosciuti. L’empatia é al tempo stesso un
sentimento di sollievo (finalmente sono compreso) e di unione (sono connesso con
la persona che ha compreso). E’ il canale attraverso il quale scorrono l’affetto e la
compassione e sul quale si basa un solido attaccamento. L’empatia è la base per
creare un “ambiente confortevole”.
Come illustrerò nel dialogo che seguirà, creare un ambiente empatico implica:
• Una fondamentale attenzione ai bisogni interiori e all’esperienza emotiva della
persona (sintonizzazione)
• Distoglimento dell’attenzione dal contenuto della situazione immediata
• Accurato rispecchiamento e convalida
• Autentica attenzione e curiosità
• Incoraggiamento e sostegno
• Possibile identificazione con i sentimenti di una persona.
“ Ciao Stefanie, come stai oggi?” chiede il terapeuta.
“ Oh, sono proprio stufa di tutto, annuncia con un tono esacerbato. “ sono stufa di
elaborare, sono stanca della mia depressione e sono stanca di questi incontri. Nulla
mi è di aiuto. È inutile. E lei mi ha fatta veramente arrabbiare la scorsa settimana.”
“Mi rendo conto di quanto tu sia stanca e disperata”. Sembri anche arrabbiata con
me (accurato rispecchiamento e convalida). Queste sono questioni importanti. Di
quale vorresti parlare prima?
“Oh, non lo so e non m’importa, scelga lei.”
“Ok, iniziamo con la rabbia. Hai detto di esserti arrabbiata con me la scorsa
settimana. Non deve essere stato facile per te venire qui oggi.” (concentratevi con
attenzione e compassione sulla sua esperienza intima. Non focalizzatevi ancora sui
motivi della sua rabbia).
“Sì,” mentre fa un cenno di assenso con il capo.
“Hai mai pensato di annullare l’appuntamento? (identificazione con l’esperienza
della donna. Se avessi provato rabbia nei confronti del mio terapeuta avrei pensato
di annullare l’appuntamento.)
“Sì – ma ho deciso, “che diamine, se non posso dirti che sono arrabbiata allora a
cosa serve venire qui?”
“Grazie Stephanie per aver abbastanza fiducia in me da ammettere i tuoi veri
sentimenti (incoraggiamento e sostegno). Sarebbe stata una delusione per me se tu
avessi annullato l’appuntamento (autentica preoccupazione).
Fate una breve pausa per vedere se desidera aggiungere altro riguardo la sua
rabbia.
“Deve essere stato molto difficile provare tanta rabbia la scorsa settimana
(autentica preoccupazione). Potresti dirmi di più al riguardo? (autentica curiosità).
Il terapeuta entra nel suo mondo grazie all’esplorazione dei sentimenti della donna
in tutta la loro intensità e al modo in cui la donna vive ed elabora questi sentimenti.
Il terapeuta non si pone sulla difensiva. Non si concentra sulle motivazioni della
rabbia di Stefanie, almeno non all’inizio.
Affinché l’empatia produca i suoi positivi effetti curativi, il terapeuta deve mettere
da parte il contro-transfert o le sue reazioni verso gli atteggiamenti, le convinzioni
e le accuse della donna. Una volta che la donna avrà sperimentato simpatia e
compassione potranno essere esplorati i motivi della sua rabbia.
“Pensi di potermi dire che cosa ti ha fatto arrabbiare la scorsa settimana?” chiede il
terapeuta.
“Penso di sì. E’stato quando parlavamo del mio rapporto con Susan. A un certo
punto hai enfatizzato il fatto che io sapessi, ancora prima di venire coinvolta nella
relazione con Susan, che probabilmente se ne sarebbe andata. Ma mentre mi dicevi
questo hai puntato il dito contro di me. Mi sono sentita come una bambina che
veniva rimproverata. Non merito questo da te.”
“Hai ragione Stephanie, non ti meriti questo. Capisco perché eri così arrabbiata con
me.”
“Mi hai ricordato mio padre. Agitava il suo dito verso di me tutto il tempo.”
“Mi dispiace davvero molto che tu abbia pensato che ti stavo rimproverando. Deve
essere stato molto difficile per te. So che se fossi stata nei tuoi panni e mi fossi
sentita rimproverata dal mio terapeuta, mi sarei sentita estremamente offesa e
arrabbiata. Grazie per avermene parlato.”
Fare una breve pausa per attendere una risposta e per un ulteriore eventuale
interazione.
“Stephanie, potresti dirmi qualcosa di più su tuo padre, di quando agitava il dito
verso di te e ti rimproverava. Ti ricordi di un episodio in particolare?” (Stephanie e
il suo terapeuta possono adesso passare, senza rischi, ad esaminare il materiale
storico che potrebbe aver scatenato la forte reazione di Stephanie).
Se Stephanie avesse chiesto al terapeuta a cosa stesse pensando quando agitava il
dito, il terapeuta avrebbe potuto essere completamente onesto riguardo i propri
sentimenti, pensieri, consapevolezza o mancanza di consapevolezza di quel gesto.
Ad ogni modo, il terapeuta deve stare molto attento a non invalidare i sentimenti di
Stephanie fornendo questa informazione casualmente. È molto più importante
confermare ed empatizzare con il dolore e la rabbia di Stephanie che fornire
spiegazioni in propria difesa. È attraverso questa empatia che Stephanie acquisirà
la sensazione che il suo terapeuta è con lei, è legato a lei, sebbene sia una persona
imperfetta.
Mentre riconosce che l’empatia implica dei rischi, Siegel (1988), dopo aver
lavorato con diverse donne SSA, concorda con l’osservazione che “attenzione,
identificazione e l’empatia sono i soli mezzi per comprendere pienamente i bisogni
infantili di persone con un problema di arresto dello sviluppo (p.43).
Se vogliamo essere in grado di giungere al nucleo dei bisogni di una donna SSA,
dovremmo rassicurarla, attraverso l’empatia, che l’accompagneremo nel suo
viaggio dentro il dolore e dentro le emozioni dei suoi bisogni più profondi. Non le
sarà consentito di fare questo viaggio da sola. Utilizzate l’empatia:
• Prima di iniziare a parlare delle sue convinzioni negative o delle sue idee
distorte
• Quando avete accidentalmente offeso la vostra cliente
• Per affrontare comportamenti difensivi
• Per confrontarsi
• Quando non sapete cosa fare
• Per rassicurarla alla fine della sessione
• Per riportare equilibrio nella conversazione (amica ed esperto).
L’empatia può essere rafforzata dal continuo utilizzo della:
•
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•
•
•
•
Conferma
Reciprocità
Autenticità
Ascolto riflessivo
Incoraggiamento
Affermazione
Gaiezza
B. Qui-e-Adesso oppure Terapia dell’Interpretazione
Il “qui-e-adesso” è un altro dei procedimenti fondamentali più efficaci nel
trattamento delle donne SSA. Il qui-e-adesso si riferisce a ciò che accade durante
l’ora terapeutica”, non agli scopi o ai risultati della nostra agenda o schema di
trattamento. La cosa più importante è ciò che accade tra il terapeuta e la donna
SSA. L’approccio del qui-e-adesso de-enfatizza (ma non ne nega l’importanza) il
passato storico del paziente o gli eventi della sua vita attuale e, al tempo stesso,
enfatizza il potere curativo di un significativo legame sincero con il vostro cliente
(Yalom, 2002, p.174).
Yalom (2002) osserva quanto sia comune per molti terapeuti attribuire
all’interpretazione e all’intuizione profonda molta più importanza di quanta non
venga attribuita dai clienti. Noi terapeuti sopravvalutiamo grossolanamente
“l’intellettuale caccia al tesoro”; è stato così fin dall’inizio (p. 46). La donna SSA
attribuisce valore e trae beneficio dal processo della “caccia” molto più che dalle
intuizioni profonde ottenute. Come terapeuti, dobbiamo entrare nel processo di
costruzione di un’autentica relazione con la donna SSA. Dobbiamo decidere da un
momento all’altro se sia più importante che il cliente capisca “ad esempio” perché
e in che modo ha sviluppato i suoi processi difensivi oppure se sia più importante
sperimentare, nel momento presente, un rapporto aperto, intimo e privo di difese.
Fino a quando la donna SSA non avrà sviluppato un senso di sicurezza e di fiducia,
non sarà in grado di apprezzare pienamente la nostra “sapiente saggezza”, le nostri
interpretazioni o analisi intuitive. La donna SSA è fondamentalmente alla ricerca
di qualcuno che si preoccupi per lei, che possa stare con lei in modo sincero e che
si impegni con lei a lungo termine. L’analisi e l’interpretazione sono inutili se poi
le si chiederà di continuare il suo cammino nella vita da sola. Lei sa intuitivamente
che ciò di cui ha bisogno è un rapporto, più delle informazioni o delle
interpretazioni.
Quando sarà arrivato il momento giusto per l’analisi e per l’interpretazione, sarà
comunque sempre utile tornare al qui-e-adesso, ponendo domande quali “come ti
senti mentre discutiamo della tua attrazione verso Annie?”. Si può quindi ricorrere
all’empatia per far sentire la vostra preoccupazione e compassione per lei e per
riconfermarle che è davvero ancora saldamente attaccata a voi. Dato che il nostro
scopo è quello di stabilire un attaccamento saldo e continuo con la donna SSA, i
procedimenti che implicano l’empatia e il qui-e-adesso dovrebbero essere ripresi
sia che vi troviate all’inizio, a metà pure negli stadi finali della terapia.
IV. Conclusioni
Il processo di attaccamento può essere traumatico per la donna SSA. Esso può far
crollare tutte le sue difese, paure, false convinzioni, schemi di isolamento e di
autoprotezione con i quali è sopravvissuta per la sua intera vita. Se questa è la
prima volta che il vostro cliente forma un legame, un’attaccamento, la paura di
essere ferito o di perdervi sarà immensa. Dovete perciò essere disposti ad
impegnarvi a lungo termine ancora prima di incontrarvi con loro per la prima volta.
Quando la cliente si convincerà che siete disposti ad andare ovunque lei vada –
oppure ovunque lei sia, comincerà a sentirsi confermata, accettata e
fondamentalmente al sicuro. Sulle fondamenta della fiducia può essere costruito un
solido attaccamento che le permetterà di crescere e di diventare la donna speciale
ed unica che era destinata ad essere fin dal principio. Riuscirà a colmare il vuoto
dei suoi spazi intimi e alla fine sarà in grado di entrare nel mondo di un altro senza
schemi difensivi o sentimenti di dipendenza o paura.
È questa la base per la costruzione di un’intimità sana e adulta. Ed è questo il dono
autentico e vero, il dono del legame umano che abbiamo il privilegio di offrire alle
donne che Dio conduce a noi.
Riferimenti
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Karle, W., Woldenberg, L. & Hart, J. (1976). “Feeling therapy: Transformation in
Psychotherapy.” In V. Binder, A. Binder & B. Rimland (Eds.), Modern
Therapies (pp. 87-89). Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall, Inc.
50
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D.C.: Child Welfare League of America, Inc.
Miller, J. (1991) “The Development of Women’s Sense of Self.” In Jordan, J.,
Kaplan, A., et al, (Eds.) Women’s Growth in Connection (pp. 11-26). New
York: The Guilford Press.
Siegel, E. (1988). Female Homosexuality: Choice without Volition. Hillsdale, New
Jersey: The Analytic Press.
Yalom, I. (2002) The Gift of Therapy. New York: HarperCollins Publishers.
Un metodo psicodinamico con clienti che desiderano modificare la SSA
(Attrazione per lo Stesso-Sesso)
Paul Popper, Ph.D.
Sette anni fa avevo presentato qui una relazione sul perchè avevo deciso di
cominciare ad occuparmi di clienti con problemi di attrazione per lo stessosesso (Same Sex Attraction, SSA) che desiderano cambiare. Allora avevo
presentato la storia clinica di quattro clienti, raccontando l'inizio della loro
terapia e la speranza che avevano sperimentato mentre cominciava a
ridursi l’attrazione compulsava per lo stesso-sesso (Popper, 1995).
Paul Popper,
Oggi, un terzo della mia pratica come terapeuta a tempo pieno consiste
Ph.D.
nella attività clinica con uomini che hanno deciso di impegnarsi nella
modifica della loro attrazione per lo stesso-sesso. Desidero parlarvi di
alcuni di loro, del corso della loro terapia, di quelli che hanno realizzato una
eterosessualità completa e delle sfide che ancora affrontano.
La fase riparativa iniziale
I clienti con SSA vengono solitamente da me consapevoli che sono un cosiddetto
terapeuta riparativo, cioè un professionista che crede che loro abbiano il diritto di sperare
che il cambiamento è possibile e lavora per questo, anche con il rischio di non poterlo
realizzare.
Dopo la raccolta della storia, personale (anamnesi) presento solitamente ai miei clienti una
sinossi della loro storia inerente al probabile iter di sviluppo, basata su una interpretazione
riparativa delle loro attrazioni per lo stesso-sesso (Moberly 1983, Nicolosi 1991).
L’anamnesi, raccolta da loro in prima persona, a partire da un'età giovanile, potrebbe
suonare così:
Mi sento profondamente colpito, ferito, deluso, trascurato da mio padre. So che non sono
come lui. Non voglio essere come lui (protesta). Sono diverso, inaccettabile per lui e per
tutti gli uomini. Gestire tutto questo è troppo, sono sopraffatto nel sentirmi così differente
e così solo (disperazione). Non ho bisogno di lui. Non ho bisogno di nessuno simile a lui.
Non ho bisogno degli uomini. Non ho bisogno della mascolinità (distacco).
Non mi sento a mio agio nel mio corpo, lo percepisco come un estraneo io, sono sensibile
e creativo. Odio i ragazzi forti, aggressivi, competitivi ed a loro agio. Sono attratto dai
ragazzi che sono forti, aggressivi, competitivi ed a loro agio. Nel segreto sogno le loro
mascelle quadrate, le spalle grandi, la camminata sicura, desidero,invidio quelle qualità,
vorrei essere accettato da loro, essere uno di loro, essere loro. Nel frattempo a scuola e
in strada li temo, mi sento preso in giro da loro e li sperimento come “altro da me”
rinforzando ulteriormente la mia separazione da loro e da quelle qualità in loro dalle quali
sono ambivalentemente attratto.
La storia procede su come questi meccanismi riparativi diventano erotizzati nella fase
edipica lo nelle fasi di sviluppo adolescenziale creando i dilemmi nei restanti periodi di vita
del cliente. Questi aspetti sono stati più completamente sviluppati dal dott. Satinover nel
suo articolo (1995).
Più il potenziale cliente entra in risonanza con questa lettura della sua storia, più
fortemente si identifica con “il piccolo” rimasto distaccato dal padre, migliore è la sua
prognosi potenziale verso il reale cambiamento. Per “risonanza” intendo la capacità del
cliente di regredire ad un particolare momento nella storia avvertendola come proprio sua.
A titolo illustrativo, lasciatemi raccontare una seduta iniziale con un cliente. È un giovane
un po’ impacciato, goffo, cresciuto in una famiglia con un padre fisicamente disponibile ma
emozionalmente distante e una madre ipercritica e dominante. In questa seduta, stava
descrivendo un ricordo di quando aveva cinque anni, di essere nel soggiorno assieme al
fratellino più giovane, ballando e di piroettando col padre al pianoforte. Egli rivisse quella
scena e se stesso nella mia stanza di consultazione. Si è ricordato di come a quel tempo
si fosse immaginato di indossare una gonna che si sollevava mentre piroettava,
mostrando la sua biancheria intima. Si sentiva una ragazzina.
Gli ho chiesto di immaginarsi seduto vicino a suo padre sullo sgabello del piano. Si è
descritto all'estremità dello sgabello del piano, mentre suo padre lo ignora. Si è percepito
come fastidioso e titubante. Gli ho chiesto di avvicinare il suo corpo a suo padre e di
accennare ad alcune note sul piano. Lui ha segnalato di avvertire il rifiuto da parte di suo
padre, infastidito con lui per l'interruzione. Ha preferito tornare indietro nella scena sul
pavimento continuando a ballare come una ragazzina. Più tardi, sempre nella stessa
seduta, gli ho chiesto se fosse disposto a rientrare nella scena con suo padre, ma questo
volta appoggiandosi al corpo del padre mentre stanno seduti vicino, vicendevolmente a
contatto sullo sgabello del pianoforte. Con un certo sforzo si è impegnato ad immaginarsi
seduto più vicino, e poiché si era visibilmente rilassato, gli ho chiesto di immaginare che
suo padre lo prendesse in braccio e lo lasciasse strimpellare alcune note. Abbiamo
terminato la scena immaginando suo padre che accompagnava con le sue mani le mani
del piccolo sul piano, guidandole sui tasti.
A quel punto, l'atmosfera all’intero nella stanza era cambiata. Il paziente era disteso,
sembrava stare meglio nel suo corpo, la sua voce era più profonda e più sonora. Più tardi,
egli mi segnalò spontaneamente che per alcuni momenti, essendo vicino a suo padre, si
era sentito molto più come un ragazzo che come una ragazza.
I clienti che traggono beneficio dalla terapia riparativa rivivono spesso ricordi dell’età
giovanile, memorie fortemente indicative dei periodi in cui hanno avvertito la loro
alienazione dal padre. Questi sono momenti di forza, perché sono le prime avvisaglie al
cliente del fatto che la loro separazione, il distacco dal padre sono state scatenate da
esperienze di rabbia, da ferite emotive, da desideri e da bisogni inappagati.
Sia che un cliente riviva la scena di vedere negli occhi del suo padre una mancanza totale
di comprensione nei suoi confronti all'età di cinque anni, o riviva l’accapponarsi della pelle
mentre suo padre passa vicino alla sua sedia, questi momenti si trasformano in metafore
del dolore esistito in quel rapporto.
Così come scene della prima infanzia quali il ricordo di ore spese a stirare con un ferro
da stiro accanto alla mamma mentre lei stira, l’essere cresciuto con cinque sorelle
giocando soltanto con le bambole, o essendo stato vestito come una ragazza ed esibito
dalla nonna sono metafore dolorose dell’essere stato troppo identificato con le femmine.
Nella relazione terapeutica questi clienti entrano in risonanza con la necessità di essere
finalmente richiamati da un uomo, via, lontano dalla madre, nel mondo degli uomini, in cui
sono accettati, sfidati ed incoraggiati a svilupparsi come effettivi componenti della
fratellanza maschile.
In questa fase del trattamento, i clienti cominciano a riconoscere che i loro desideri
sessualmente compulsivi per lo stesso-sesso sono basati più su un'esigenza di
mascolinità che hanno rifiutato e di cui sono tuttavia invidiosi piuttosto che su una
preferenza costituzionale per soggetti del stesso-sesso. Il seguente commento sintetizza
il lavoro di questa fase:
“Pensare che riguardi il sesso è ridicolo; riguarda piuttosto un foro aperto nel mio cuore”.
La fase riparativa di integrazione
E’ in questa fase di lavoro che i progressi riparativi vengono consolidati.
Un cliente, dopo un anno di lavoro, fu in grado di identificare le caratteristiche di cui
sentiva il bisogno presenti negli uomini da cui lui era stato attratto e che lui tendeva a
porre sopra un piedistallo: dovevano essere persone riservate, fredde, annoiate e ciniche.
Qualcuno che non rientrasse in quello schema era “una mammola” (dork) e non era
desiderabile. Si sarebbe continuamente infatuato di uomini come questi, li aveva messi su
un piedistallo e sbavava per loro. Il fumetto irreale, attinente ad una inesistente natura
unidimensionale degli uomini che egli aveva idealizzato e che invidiava e desiderava nello
stesso tempo, ha iniziato a incrinarsi per poi crollare non appena il paziente ha permesso
a se stesso di entrare in rapporto continuativo e non-sessuale con questo stesso tipo di
uomo. Poichè sono diventati esseri reali, tridimensionali, le loro “dorky” qualità umane gli
hanno permesso che lui entrasse in rapporto reale con loro. Mentre ha cominciato ad
identificarsi sempre più con loro, ha cominciato che accettare in se stesso quelle stesse
qualità “dorky” che prima disprezzava. Proviene da questa posizione di auto-accettazione
di essere un uomo imperfetto la possibilità reale della ri-emersione degli impulsi
eterosessuali.
Il cliente che aveva risperimentato nel ricordo infantile la sensazione di orripilazione della
pelle all’avvicinarsi del padre alla sua sedia, ha potuto ricostruire un nuovo approccio
emozionale con suo padre dopo avere rivissuto terapeuticamente queste sensazioni, ed
avergli espresso il suo dolore e la sua collera, dopo un periodo durato un lungo anno di
dolore e recriminazione. Ciò è culminato in un sogno in cui sentì le braccia di suo padre
intorno lui, sperimentò un senso di fusione nelle sue braccia percependosi finalmente
protetto e sicuro.
A questo punto nella sua terapia, i suoi rapporti maschili sono diventati più forti, le sue
attrazioni per lo stesso-sesso sono diventate quasi minime e il mondo forma femminile ha
cominciato ad attirare la sua attenzione sempre più.
Ha cominciato a lottare con il suo timore d'avvicinamento alle femmine ed ha sperimentato
la confusione dovuta alla percezione di come la sua attrazione eterosessuale in aumento
provocasse nel contempo un blocco.
Non appena il tema del suo rapporto con la sua madre emergeva nella terapia, il paziente
è diventato sempre più impaurito, i suoi vecchi sintomi hanno cominciato a riapparire, in
modo da ha deciso gestire i suoi problemi intimi con le donne con l'aiuto di un sessuologo.
Clienti che non entrano in pieno in questa fase della terapia normalmente sperimentano
solo una riduzione transitoria della SSA e non cominciano avvertire gli impulsi
eterosessuali. Tuttavia, esistono delle eccezioni.
Un cliente giovane, dopo essere rimasto in uno stile di vita gay per parecchi anni, durante
un anno e mezzo di terapia aveva coscienziosamente modificato i suoi modi di fare
effeminati, coltivato amicizie maschili con le quale viveva assieme, faceva corse in bici,
andava in montagna, sperimentando una forte riduzione della attrazione sessuale verso di
loro. Unitosi ad un gruppo di sostegno, aveva smesso di trovarsi fuori con le sue amicizie
femminili, si era messo a lavorare sull’aspetto della necessaria separazione dalla madre
ed ha avuto un colloquio serio e soddisfacente con suo padre a proposito del tema
dell’attrazione per lo stesso sesso. La sua capacità eterosessuale si era sviluppata
completamente e mentre era fidanzato ebbe un periodo difficile nel trattenersi dall'essere
attivo sessualmente con la sua ragazza, benché l’esprimere la sessualità fuori dal
matrimonio andasse contro i suoi valori. Quando ruppe il fidanzamento, (era stato molto
coinvolto con lei) ha avvertito una perdita dolorosa, ha smesso il lavoro terapeutico iniziato
a cercare il conforto delle vecchie suoi amicizie femminili ed ha cominciato una marcia
indietro verso il suo vecchio stile di vita gay.
Era un cliente che aveva fatto la maggior parte del lavoro riparativo uscendo in gran parte
dalla posizione del “bravo ragazzo” principalmente dalla necessità di soddisfare gli altri
per evitare il conflitto. Ma non si era mai concesso di risperimentare – l’esperienza il dolore
del suo essere stato un bambino imbranato, solo, sbeffeggiato che non aveva
sperimentato il supporto di suo padre. Si è protetto dall’esperienza della disperazione del
sentirsi diverso e quindi non ha potuto mai diventare cosciente di come aveva sviluppato
la sua separazione difensiva, che lo aveva separato dagli altri uomini e dal suo terapeuta.
Si è nascosto dietro all’essere cooperativo, ancora una volta un “bravo ragazzo” ed una
volta incontrati gli sforzi e le battute d'arresto inaspettate nella sua vita, è ritornato verso le
comodità che ha conosciuto meglio, le sue amicizie femminili ed lo stile di vita gay.
La fase di Intimità
Alcuni clienti raggiungono l'attrazione completa ed il funzionamento eterosessuali, avendo
integrato il lavoro riparativo nella loro vita. Riescono a sposarsi e arrivano ad un faccia a
faccia con il loro timore della prossimità eterosessuale e della intimità. Reagendo a questo
confronto cadono spesso nuovamente dentro i loro vecchi modelli, fonte di isolamento, di
fantasie sullo stesso-sesso e di crogiolamento nella vergogna. Un cliente si scoprì sempre
più in allontanamento dalla moglie mentre questa tendeva a perdere di vista i bisogni di lui
essendo maggiormente preoccupata del suo lavoro e delle sue fatiche personali. Il
paziente non era in grado di comunicarle il suo bisogno di attenzioni raffreddandosi ogni
qualvolta pensava di avvicinarsi a lei.
La realtà di questi problemi era rinforzata all’interno del rapporto di transfer, quando ha
cominciato sperimentare con il suo terapeuta una minore disponibilità. Quando il suo
terapeuta è andato in vacanza per una settimana, ha protestato, “mi sta lasciando solo
tutto questo tempo, ripetutamente e sempre di più”. Questa esperienza all'interno del
transfer lo ha tuttavia introdotto a sua volte nella sua consapevolezza della memoria di sè
come bambino quando la sua madre lo lasciava ripetutamente a casa della nonna talvolta
per i mesi.
Soltanto dopo avere lavorato con l'esperienza di questo senso di perdita, di abbandono
per un anno, il suo estremo ed immobilizzante timore di abbandono si ridusse e
finalmente aumentò la sua capacità di comunicare i suoi bisogni alla moglie. Inutile dirlo, i
suoi desideri per lo stesso-sesso sono diminuiti ad un livello impercettibile a questo punto
e lui ha potuto godere di un solido rapporto eterosessuale.
E’ durante questa fase della terapia che problematiche edipiche possono riemergere. Un
cliente, che stava avendo continuamente un'esperienza di depersonalizzazione ogni volta
che si sentiva emozionalmente implicato con una donna, sia sul lavoro che nella sua vita
personale, ha iniziato ad portare queste sue sfaccettature in sede di consultazione.
Mentre camminava nella stanza aveva la sensazione che i suoi occhi cominciassero a
galleggiare, il suo respiro diventava leggerissimo, la sua testa gli sembrava volata via e
aveva l'apparenza di qualcuno che stesse effettivamente galleggiando. Quando dopo un
certo periodo di tempo, abbiamo esaminato a fondo la sua esperienza, mi riferì che aveva
paura di avere emozioni sessuali in presenza del suo terapeuta, della possibilità di non
poter resistere ad afferrarlo sessualmente. Inizialmente, l’interpretazione era che questo
fosse un impulso guidato dall’attrazione per lo stesso-sesso. Tuttavia, quell'interpretazione
non era rispondente alla realtà, poiché questo cliente aveva già affrontato le pietre miliari
del lavoro riparativo ed inoltre il sintomo di assenza e di “galleggiamento” non si
riducevano in corso di consultazione o con le donne come avrebbe dovuto essere se
l’interpretazione fosse stata corretta. Mentre lottava per rimanere nella stanza e non
“galleggiare” (estraniarsi), il cliente è divenuto cosciente di un pensiero sottaciuto, e cioè
che se si fosse permesso una erezione, il suo pene avrebbe corso il pericolo di essere
danneggiato, più probabilmente da suo padre. Questo sensazione gli ha riportato alla
memoria una pletora di ricordi sulle sensazioni innescate dalla prossimità percepita come
“inappropriata “ tra sua madre e lui, e ad un ricordo specifico di quando aveva quattro
anni, e aveva risposto eroticamente (con una erezione) alla silouette delle cosce e delle
natiche di sua madre mentre lo stava vestendo.
A momento presente, questo cliente sta ancora risolvendo le sue sensibilità erotiche
contrastanti verso la sua madre, ma l'ansia di castrazione non provoca un'esperienza di
depersonalizzazione quando sta intrecciando i rapporti di maggiore prossimità con donne.
Alcuni clienti affrontano le difficoltà sia del lavoro attinente alla intimità che riparativo e le
integrano nella loro vita con relativa facilità. Un cliente di questo tipo entrò in terapia per
una relazione schiacciante e opprimente con un collega maschio. Era già stato coinvolto
nel lavoro riparativo nell'ambito di un programma di autoaiuto ma non era riuscito a
districarsi dal groviglio dei bisogni inevasi che ancora lo hanno tenevano sotto controllo.
Nel primo anno della sua terapia, si è concesso di lasciarsi coinvolgere in un rapporto di
transfert con il suo terapista. Fu in grado di arrabbiarsi poichè ha sperimentato nel suo
terapista una capacità di adeguato contenimento e ha cominciato a diventare cosciente
delle sue capacità di contribuire alla corretta distanza nel rapporto. Presto ha recuperato
ricordi dolorosi del suo rapporto con suo padre, ha riconosciuto il suo proprio ruolo nella
esclusione di suo padre cioè, la sua separazione (distacco difensivo) verso lui.
Permettendo che questa consapevolezza oltrepassasse le sue difese, ha potuto provare il
dolore per la perdita del ruolo di suo padre nella sua vita e ciò ha permesso che il suo
padre si prendesse cura di lui, e la storia si è conclusa con un abbraccio tra le lacrime
l’uno tra le braccia dell’altro. A questo punto, la sua tendenza formare legami conflittuali e
schiaccianti con altri uomini si è drammaticamente ridotta e la sua capacità eterosessuale
ha cominciato sbocciare. Si è sposato in un anno, ha lavorato duramente sulle tematiche
attinenti alla intimità, si è laureato dopo quattro anni, con la consapevolezza che il suo
timore di avere bambini e dell'essere un padre potrebbe in seguito riportarlo a rivolgersi di
nuovo alla ricerca di un aiuto terapeutico.
Sommario e conclusione
Il concetto riparativo in primo istanza è stato delucidato da Moberly (1983) e
successivamente è stato adottato da Nicolosi (1991). È basato sul presupposto che uomini
che a causa della loro separazione difensiva non si identificano con il loro padre,
cercheranno inconsciamente il maschile in altri uomini per superare il loro arresto inerente
allo sviluppo della identità e possono continuare a svilupparsi nella loro identificazione
maschile.
Moberly (1983) ha sviluppato il concetto di distacco attraverso il lavoro di Bowlby (1960),
che ha studiato la reazione dei bambini e delle bambine nella prima infanzia, quando
vengono separati dalle loro madri, ed ha scoperto che i piccoli passano attraverso tre fasi
di dolore: una prima fase di protesta, quindi una di disperazione, seguita quindi da una
fase di completo distacco dall'oggetto di amore. Ha applicato questo concetto al distacco
del ragazzo dal collegamento con suo padre: qui, predominando il distacco difensivo, si
arresta la possibilità di un ulteriore internalizzazione della mascolinità con conseguente
blocco dello sviluppo. Inoltre ha usato il concetto dell'esigenza degli oggetti-Sè, sviluppata
da Kohut (1977). In questo caso, gli oggetti-Sè sono maschili, la loro presenza può offrire
una soluzione ai problemi sperimentati dall'uomo con i bisogni inevasi inerenti lo sviluppo
maschile.
Nella fase riparativa iniziale del trattamento, il terapeuta serve principalmente da oggetto
personale per il cliente. La sua presenza, il suo incoraggiamento, consiglio e la sua fiducia
nell'esistenza di un “ragazzino” ancora in grado di unirsi alla confraternita maschile, come
era prima che il disadattamento con il padre provocasse la creazione di una barriera
difensiva contro il tutto quello che fosse identificabile come maschile, è un elemento
essenziale del processo d'inizio di cambiamento. Il cliente è sfidato a cercare i rapporti
maschili non-sessuali, a sperimentare le attività maschili più tradizionali con il proverbiale
consiglio di rimettersi in sella alla bicicletta ogni volta che cade.
Solitamente il cliente tenta di uscire dalla posizione di “bravo ragazzo” cooperativo per
timore del conflitto, per un periodo che potrebbe durare anni e può provocare alcuni
miglioramenti, spesso compresa una diminuzione significativa dell'attrazione per lo stesso
sesso.
Per la maggior parte dei uomini che superano questo processo, è la successiva fase di
integrazione riparativa che determina la riscoperta della loro capacità eterosessuale. È
soltanto con la loro disponibilità a prendere parte e risperimentare diverse volte il dolore
della disperazione che hanno sofferto da ragazzini, assieme con la collera che hanno
sperimentato, che possono buttare giù in modo esperienziale le barriere del distacco,
diventare sempre più consapevoli della potere di controllo su di loro, e scegliere
ripetutamente di non identificarsi più con questi vecchi meccanismi auto-protettivi.
Fino a che non regrediscono di nuovo alle esperienze di essere sensibili, deboli, estraniati,
diversi, effeminati, “dorky”, una vittima dei bulli, non potranno capire da che cosa si stanno
difendendo distaccandosi e non potranno scegliere se rischiare ancora di sperimentare la
stessa sensazione avvicinandosi agli uomini in modo sincero, con le loro vere esigenze
più profonde di vicinanza connessione, collegamento.
In questa fase il terapeuta si trasforma in sempre più nell'oggetto della loro esperienza di
transfert. Egli è percepito come onnipotente, come abusivo, insensibile, un bullo, cioè
“l'altro”, un maschio. Il cliente lavora con questa esperienza, nascondendosi
occasionalmente dietro la sua posizione in distacco difensivo ma anche riapparendo per
sfidare il terapista e crescere assieme a lui. Ciò provoca nel cliente una interiorizzazione
progressiva della mascolinità entro la quale non teme automaticamente l’essere curato e
l'autorità maschile ed in effetti può sempre più identificarsi in essa.
Alleviato il dolore per essere differente (disperazione), ripossedendo l’aggressività
(protesta), il cliente può ammettere il suo bisogno del terapeuta, di suo padre e degli
uomini in generale e conservare la scelta resistere alla tentazione di nascondersi dietro la
sua tendenza ora non più inconsapevole di distaccarsi in senso difensivo dalla
mascolinità.
La fase di intimità della terapia riguarda le tematiche psicologiche del cliente che non
sono esclusivamente collegate alla ricongiunzione con il mondo maschile.
Le questioni edipiche, l’abbandono iniziale, sono tematiche analizzate all'interno del
rapporto di transfert con il terapeuta A questo punto la posizione del terapeuta diventa
più neutra, poiché la sua funzione ora è meno quella di “oggetti-Sè” maschile per il cliente
e più quella di un co-osservatore che aiuta il cliente ad esplorare il suo proprio psichismo.
La focalizzazione dell'esplorazione terapeutica tende ad essere più sui rapporti del cliente
con le donne ed il rapporto di transfer è maggiormente quello del rapporto del cliente con
sua madre. Questa fase assomiglia al corso della terapia con quei clienti che non portano
tematiche attinenti all'attrazione per stesso-sesso alla terapia come loro preoccupazione
principale.
Come con tutto ciò che concerne il cambiamento, particolarmente quello che riguarda
cambiamento al livello dell'organizzazione di personalità, l’umiltà è essenziale.
Quando i clienti lasciano la terapia, devono capire che la vita porterà loro una sfida in più:
un matrimonio, che potrebbe vacillare a meno che non vi dedichino attenzione e sforzi;
bambini che devono essere gradualmente distaccati dalla madre; perdita dei genitori, ecc.
Il pericolo più grande è che affrontando tali difficoltà e le vicissitudini incontrate nella vita di
tutti i giorni, si permettano di scegliere ancora, con regolarità, un distacco difensivo come
modalità per fare fronte al dolore inevitabile e al disappunto.
In una terapia orientata psicodinamicamente a lungo termine hanno l'occasione di
avvertire ripetutamente la loro tendenza scegliere la scorciatoia del ristabilimento dei loro
modelli di distacco difensivo. Con l'aiuto del terapeuta, possono identificare questa
tendenza, diventarne sempre più consapevoli ed avvertirne relativi “costi” ed affrontare la
vita dotati di un migliore preparazione per evitare il pendio sdrucciolevole di una ulteriore
concessione a questo meccanismo di distacco difensivo in avvenire.
Alfred Charles Kinsey e i suoi «rapporti»: «sesso e frode»
Roberto Marchesini - Cristianità n. 334 Marzo-Aprile 2006
Nel marzo del 2005 è uscito in Italia un film dedicato alla vita del dottor Alfred C. Kinsey,
intitolato appunto Kinsey. E ora parliamo di sesso..., protagonista l’attore Liam Neeson e
regista Bill Condon, attivista gay (1), rinnovando così l’attenzione verso l’entomologo
statunitense, le sue ricerche e le sue tesi.
1. Alfred Charles Kinsey, le sue ricerche e il loro metodo
Alfred Charles Kinsey nasce a Hoboken, nello Stato del New Jersey, nel 1894 da Alfred
Seguine Kinsey, insegnante d’ingegneria, e da Sarah Anne Charles, e muore, per un
infarto cardiaco, nell’agosto del 1956 (2).
Da bambino è affetto da rachitismo, febbri reumatiche e tifoidi che lo portano più volte in
fin di vita (3).
Impossibilitato per motivi di salute a frequentare i coetanei, sviluppa, nel corso di lunghe
passeggiate, la passione per l’osservazione degli animali. Si licenzia in biologia e
psicologia al Bowdoin College, nello Stato del Maine, e ottiene una laurea in tassonomia
ad Harvard. Nel 1920 viene chiamato come assistente di zoologia all’Indiana University,
grazie ai suoi studi sulle vespe delle galle.
Kinsey comincia a interessarsi alla sessualità — praticando il nudismo in famiglia e con gli
allievi e diffondendo la contraccezione — quando, nel 1938, ottiene di poter condurre,
presso la sua università, un corso di educazione sessuale. Questo corso gli dà la
possibilità di fare proselitismo nella sua battaglia contro la «morale sessuale vittoriana»(4)
e di disporre di un buon numero di soggetti per iniziare il suo progetto circa la raccolta di
dati sul comportamento sessuale umano.
Nel 1940, Kinsey ottiene un cospicuo finanziamento dalla Rockefeller Foundation, creata
nel 1913 da John Davison Rockefeller (1839-1937), un industriale statunitense del
petrolio, fondatore della Standard Oil Company, con l’obiettivo di promuovere il benessere
dell’umanità nel mondo. Così, la ricerca di Kinsey, fino a quel momento condotta in modo
artigianale, può avvalersi di notevoli mezzi.
Nel 1941 Kinsey ha il sostegno, anche per la ricerca sul comportamento sessuale umano,
di un suo assistente laureato in economia, Clyde Eugene Martin, che si occupa delle
analisi statistiche; nel 1943 si unisce a loro lo psicologo Wardell B. Pomeroy (1913-2001);
nel 1947 entra nel gruppo l’antropologo Paul H. Gebhard, completando il nucleo di quello
che verrà chiamato Indiana Institute for Sex Research, ora Kinsey Institute for Sex,
Gender and Reproduction Research (5).
Gli esiti delle ricerche di Kinsey e dei suoi collaboratori sono raccolti in due volumi,
generalmente indicati come «rapporti Kinsey» (6), la cui edizione italiana omette
purtroppo, «col consenso dell’Autore» (7), due importanti capitoli, sui metodi statistici e sui
criteri di validità dei dati, oltre ad alcune tabelle. Il rapporto sul comportamento dell’uomo è
particolarmente caro agli attivisti gay, perché da esso si ricava il dato — non confermato
da successive ricerche — secondo il quale «il 10 per cento dei maschi sono più o meno
esclusivamente omosessuali [...] per almeno tre anni tra i sedici ed i 55 anni. Ciò significa
uno su dieci della popolazione maschile di razza bianca» (8). Noto come, nella
presentazione dei dati statistici, Kinsey e i suoi collaboratori uniscano esperienze
omosessuali adolescenziali con quelle adulte.
Il motivo per cui questo dato non viene confermato è molto semplice: Kinsey manipola il
campione d’individui intervistato.
Lo psicologo statunitense Abraham Maslow (1908-1970) — celebre per la
concettualizzazione della cosiddetta Hierachy of needs, «gerarchia dei bisogni o
necessità» —, saputo delle ricerche di Kinsey, vuole incontrarlo per confrontarsi con lui.
Una volta compreso il suo metodo d’indagine, Maslow mette in guardia l’entomologo dal
«volunteer error», ossia dalla non rappresentatività di un campione composto
esclusivamente da volontari per una ricerca psicologica sulla sessualità.
Ma Kinsey decide d’ignorare il suggerimento di Maslow e di proseguire nella raccolta delle
storie sessuali di volontari (9). Inoltre, circa il 25% dei soggetti maschi intervistati nella
ricerca sono detenuti per crimini sessuali (10). «[...] solo una scuola superiore fu inclusa
nella ricerca, era una scuola “aberrante” a causa della percentuale insolitamente elevata di
esperienze omosessuali tra gli studenti » (11), circa il 50% (12); fra i soggetti è presente
anche un numero sproporzionato di «prostituti» maschi, almeno 200 (13). Inoltre, «le
statistiche che sono state riportate in questo volume [Il comportamento sessuale
dell’uomo] sull’incidenza dell’attività omosessuale e quelle che verranno date in questa
parte del capitolo, sono basate su persone che hanno avuto contatti fisici con altri maschi,
e che pervennero all’orgasmo per mezzo di tali contatti. [...] Questi non sono dati sul
numero delle persone che sono “omosessuali”, ma sul numero delle persone che hanno
avuto almeno un episodio omosessuale — anche se talora non più di uno — fino all’età
indicata» (14).
Faccio notare non solo che esiste una notevole differenza fra la pratica di attività
omosessuali e l’omosessualità, e che la maggior parte delle attività omosessuali registrate
da Kinsey è costituita da giochi omosessuali: «Tra i 16 ed i 20 anni quasi la metà (41%)
dei maschi hanno qualche contatto omosessuale» (15). Infine, nel calcolare la percentuale
di omosessuali, Kinsey fa sparire — senza darne spiegazione — circa 1.000 soggetti (16).
2. Le manipolazioni nella prospettiva di un «grande progetto» e gli assunti della
ricerca
Perché Kinsey opera queste manipolazioni? Wardell Pomeroy, collaboratore di Kinsey,
rivela che il professore aveva un «grande progetto » (17), ossia fornire le basi scientifiche
per una nuova moralità sessuale ed educare il mondo in base a questi nuovi princìpi. Nelle
ricerche Kinsey si basa esplicitamente su quattro assunti:
1. non esiste alcuna differenza fra lo studio del comportamento sessuale degli animali e
quello degli uomini: «La trasposizione dal campo degli insetti a quello degli esseri
umani non è illogica, poiché è stata la trasposizione di un metodo che può essere
applicato allo studio di qualsiasi popolazione variabile in qualsiasi campo» (18). Questo
assunto permette inoltre di capire quale sia stata l’influenza di Charles Robert Darwin
(1809-1882) su Kinsey, chiamato «un secondo Darwin» (19);
2. il sesso è un «[...] meccanismo relativamente semplice che provvede alla reazione
erotica quando gli stimoli fisici e psichici sono sufficienti » (20);
3. «l’omosessualità e l’eterosessualità di un individuo non sono due qualità nettamente ed
assolutamente distinte. [...] I maschi non si dividono in due gruppi distinti, gli
eterosessuali e gli omosessuali. Il mondo non è diviso in pecore e capri. Non tutte le
cose sono nere e non tutte sono bianche. È un principio fondamentale della
tassonomia che raramente nella natura si riscontrano categorie nettamente separate.
Soltanto la mente umana inventa le categorie e tenta di costringere i fatti in caselle
separate. Il mondo vivente rappresenta una continuità in tutti i suoi aspetti. Quanto più
presto noi impareremo questa nozione applicandola al comportamento sessuale
dell’uomo, tanto prima comprenderemo chiaramente quella che è la realtà del sesso»
(21); «[...] la realtà è un continuo formato da individui che appartengono non soltanto
alle sette categorie segnalate qui [si tratta di una scala ideata da Kinsey nella quale il
grado 0 corrisponde all’eterosessualità esclusiva e il grado 6 all’omosessualità
esclusiva], ma a tutte le gradazioni esistenti tra le categorie» (22). Quindi,
l’orientamento sessuale è un continuum, il cui centro, la bisessualità, rappresenta la
normalità;
4. è normale che ogni persona abbia sperimentato ogni tipo di contatto sessuale:
omosessuale, pedofilo, zoofilo e così via, dal momento che «[...] la capacità di un
individuo di rispondere eroticamente a qualsiasi specie di stimolo è fondamentale nella
specie» (23).
Nelle conclusioni del primo rapporto leggiamo: «[...] i dati scientifici che si stanno
accumulando fanno apparire che se le circostanze fossero state favorevoli la maggior
parte degli individui si sarebbero orientati in una direzione qualsiasi, anche verso attività
che adesso sembrano a loro assolutamente inaccettabili. Vi sono poche prove
dell’esistenza di una perversione congenita anche tra quegli individui le cui attività sono
meno accette dalla società» (24).
3. Oltre la frode scientifica
Eppure vi sono aspetti delle attività svolte all’Indiana Institute for Sex Research più
inquietanti della frode scientifica.
Nel 2000 vengono pubblicate in volume (25) 159 fotografie erotiche e pornografiche scelte
fra le oltre 75.000 presenti nell’archivio del Kinsey Institute: «Possediamo ora originali o
copie di circa 16.000 opere d’arte, contemporanee e non contemporanee, che forniscono
materiale al presente studio» (26). Non si tratta di scatti casuali, ma di vere e proprie pose.
Secondo Wardell Pomeroy, la raccolta di materiale erotico e pornografico di Kinsey è la
più vasta del mondo: «la più grande collezione di materiale erotico nel mondo...
presumibilmente più grande della leggendaria collezione Vaticana» (27).
Questo materiale è arricchito da riprese cinematografiche effettuate presso l’istituto, alle
quali Kinsey, i suoi collaboratori e le rispettive mogli spesso partecipano nel ruolo di attori.
«Abbiamo pertanto ritenuto necessario supplire, alle osservazioni dirette, con pellicole
documentarie che noi e parecchi altri nostri osservatori abbiamo ripreso sull’attività
sessuale di quattordici specie di mammiferi » (28) fra le quali l’uomo.
Ciò che tuttavia continua a restare in ombra, fra le attività dell’Indiana Institute for Sex
Research, sono gli esperimenti sessuali condotti su bambini. L’opera dedicata alla
sessualità maschile contiene un capitolo, intitolato Sviluppo e attività sessuali precoci; in
esso si trova la descrizione di esperimenti sessuali condotti su centinaia di soggetti, con
un’età compresa fra i cinque mesi e i quattordici anni (29). Probabilmente questi
esperimenti sono stati condotti anche su bambini di età inferiore: «Nelle nostre statistiche
noi troviamo segnalato un orgasmo in una bambina di 4 mesi» (30). Il rapporto sul
comportamento sessuale dell’uomo parla di 317 bambini (31) — anche se i dati sono
confusi —, ma indagini successive hanno elevato notevolmente questo numero. La
dottoresa Judith A. Reisman ipotizza la cifra di 1.746 bambini (32).
I bambini sono affidati ad «[...] adulti che hanno contatti sessuali con individui assai
giovani e che con la loro esperienza di adulti sono capaci di riconoscere e interpretare le
sensazioni dei ragazzi. [...] Taluni di questi adulti sono persone che hanno ricevuto una
istruzione tecnica, e che hanno tenuto dei diari o note che hanno messo a nostra
disposizione» (33). In una lettera alla dottoressa Reisman, Gebhard specifica che alcuni di
questi individui sono insegnanti o direttori di asili, altri «omosessuali maschi interessati a
bambini più grandi, ma sempre in età prepuberale» (34), ossia pedofili.
Nulla viene specificato a proposito dell’addestramento tecnico ricevuto da questi individui.
Essi, principalmente con le mani o con la bocca (35), provocano nei bambini ripetuti
orgasmi mentre questi cercano di opporsi «[...] con gemiti, singhiozzi, o grida più forti,
talora con abbondanza di lacrime» (36), di «[...] allontanarsi violentemente dal compagno
ed arrivano a fare tentativi violenti per evitare il parossismo » (37); in altri bambini
sottoposti a tale pratica furono osservati «tremori accentuatissimi, collasso, impallidimento
e talora svenimento» (38). Queste reazioni vengono interpretate da Kinsey come la
manifestazione di un orgasmo; scrive infatti che i bambini si oppongono a queste pratiche
«[...] non ostante che essi provino nettamente un piacere in tale situazione» (39). Il tutto
mentre Kinsey e i collaboratori osservano, filmano e cronometrano l’intervallo di tempo
trascorso fra un orgasmo e l’altro. Alcuni bambini sono sottoposti a questi trattamenti per
24 ore consecutive, «[...] ed il rapporto indica che sarebbe stato possibile ottenere anche
di più [di 26 orgasmi] nello stesso periodo di tempo» (40); e di cinque «soggetti impuberi»
(41) per i quali «[...] le osservazioni furono proseguite per periodi di mesi o di anni» (42).
Purtroppo — come ho già segnalato — l’edizione italiana del rapporto su Il comportamento
sessuale dell’uomo è mancante di alcune tabelle; per esempio, quella sul tempo e sul
numero di orgasmi raggiunti dai bambini (43). Da essa si ricava che sono due i soggetti
sottoposti a questi trattamenti per ventiquattro ore consecutive, uno di quattro e uno di
tredici anni; quello di tredici è stato sottoposto a due trattamenti, come un bambino di due
anni e uno di dodici. La tabella non riporta la durata del trattamento del bambino di cinque
mesi, che ha raggiunto 3 orgasmi.
Questi esperimenti sono stati condotti anche su almeno sette bambine al di sotto dei tre
anni, i cui orgasmi sono stati osservati da Kinsey e colleghi (44). La dottoressa Reisman
ha raccolto e pubblicato la testimonianza di una donna che, a partire dall’età di quattro
anni, fu sottoposta ad atti incestuosi da parte del padre presso il laboratorio di Kinsey il
quale, con i colleghi, cronometrava, filmava e prendeva appunti; «Esther» ricorda che gli
venne insegnato che le convulsioni, accompagnate da pianto irrefrenabile e fortissimi
scuotimenti, che manifestava, si chiamavano «orgasmo» (45).
La conclusione di Kinsey è la seguente: «[...] si deve accettare come un fatto accertato
che un certo numero, e probabilmente una notevole percentuale di bambini e di maschi
più anziani ancora impuberi, possiedono la capacità di reazioni specificamente sessuali
fino a giungere all’orgasmo, se lo stimolo a cui sono sottoposti è sufficiente» (46).
Questo gli è sufficiente per giustificare e, anzi, per incoraggiare la pedofilia: «Se la
bambina non fosse condizionata dall’educazione, non è certo che approcci sessuali del
genere di quelli determinatisi in questi episodi [contatti sessuali con maschi adulti], la
turberebbero. È difficile capire per quale ragione una bambina, a meno che non
sia condizionata dall’educazione, dovrebbe turbarsi quando le vengono toccati i genitali,
oppure turbarsi vedendo i genitali di altre persone, o nell’avere contatti sessuali ancora più
specifici. Quando i bambini vengono posti in guardia di continuo dai genitori e dagli
insegnanti contro i contatti con gli adulti, e quando non ricevono alcuna spiegazione sulla
natura esatta dei contatti proibiti, sono pronti a dare in manifestazioni isteriche non appena
una qualsiasi persona adulta li avvicina, o si ferma a parlar loro per strada, o li carezza, o
propone di fare qualcosa per loro, anche se quella persona può non avere alcuna
intenzione sessuale. Alcuni tra i più esperti studiosi di problemi giovanili, sono addivenuti
alla convinzione che le reazioni emotive dei genitori, dei poliziotti e di altri adulti i quali
scoprono che il bambino ha avuto contatti, possono turbare il fanciullo più seriamente degli
stessi contatti sessuali.
L’isterismo in voga nei riguardi dei trasgressori sessuali può benissimo influire in grave
misura sulla capacità dei fanciulli ad adattarsi sessualmente alcuni anni dopo, nel
matrimonio. Vi sono, naturalmente, esempi di adulti che hanno inflitto lesioni fisiche a
bambine con le quali avevano tentato contatti sessuali, e possediamo le biografie di alcuni
maschi responsabili di tali lesioni. Ma i casi del genere sono la minoranza, e il pubblico
dovrebbe imparare a distinguere i contatti di tale gravità da altri contatti con adulti che, con
ogni probabilità, non possono fare alla bambina alcun male apprezzabile, purchè i genitori
non si turbino. Il numero straordinariamente piccolo dei casi in cui la bambina riporta danni
fisici è indicato dal fatto che fra 4.441 femmine delle quali conosciamo i dati, ci risulta un
solo caso chiaro di lesioni inflitte ad una bimba, e pochissimi esempi di emorragie vaginali
che, d’altronde, non determinarono alcun inconveniente apprezzabile» (47).
La visione della sessualità proposta da Kinsey — in particolare il concetto secondo cui
l’eterosessualità e l’omosessualità sono i due estremi di un continuum lungo il quale
l’orientamento sessuale della persona può spostarsi liberamente — è stata adottata dal
NIMH, il National Institute of Mental Health, che ha costituito una task force, il cui Final
report ha avuto una grande influenza nella decisione dell’American Psychiatric Association
di depennare dai manuali diagnostici l’omosessualità quando non percepita come
problema (48). Uno dei membri più influenti della task force, lo psicologo e sessuologo
statunitense John William Money (49), discepolo di Kinsey, ha coniato il termine «genere»
riferito al ruolo sessuale non legato all’identità sessuale della persona, ma socialmente
determinato; oggi è fra i maggiori sostenitori dell’idea che la pedofilia non sia
necessariamente dannosa per i bambini, ma anzi potenzialmente positiva (50).
Ispirato ai «rapporti Kinsey», in particolare alla percentuale di persone con tendenze
omosessuali presenti nella popolazione degli Stati Uniti d’America, è il cosiddetto Project
10 (51), che ha «[...] l’obiettivo di insegnare agli studenti ad apprezzare, e non
semplicemente tollerare, la diversità sessuale» (52).
NOTE
(1) Cfr. Kinsey. E ora parliamo di sesso... (Kinsey. Let’s Talk About Sex) (Stati Uniti
d’America, 2004). Regista: BILL CONDON. Interpreti principali: Liam Neeson, Laura
Linney, Chris O’Donnell, Peter Sarsgaard, Timothy Hutton, John Lithgow, Tim Curry,
Oliver Platt.
(2) Cfr. JAMES H. JONES, Alfred C. Kinsey. A life, W. W. Norton Company, New YorkLondra 1997, p. 11.
(3) Ibid., p. 15.
(4) Ibid., p. 335.
(5) Cfr. <http://www.indiana.edu/~kinsey> (visitato l’8-5-2006).
(6) Cfr. ALFRED C. KINSEY, WARDELL B. POMEROY e CLYDE E. MARTIN, Sexual
behaviour in the human male, Saunders, Philadelphia 1948, trad. it. Il comportamento
sessuale dell’uomo, Bompiani, Milano 1950, con Prefazione di Cesare Luigi Musatti (18971989); e A. C. KINSEY, W. B. POMEROY, C. E. MARTIN e PAUL H. GEBHARD, Sexual
behaviour in the human female, Saunders, Philadelphia 1948, trad. it. Il comportamento
sessuale della donna, Bompiani, Milano 1956.
(7) Ibid., p. 73.
(8) A. C. KINSEY, W. B. POMEROY e C. E. MARTIN, Il comportamento sessuale
dell’uomo, cit., p. 636.
(9) Cfr. JUDITH A. REISMAN e EDWARD W. NICHEL, Kinsey, sex and fraud, Dr. John H.
Court & Dr. J. Gordon Muir Editors, Lafayette 1990, pp. 20, 62, 181-183, 221.
(10) Cfr. ibid., pp. 22-23, 185 e 187.
(11) Ibid., p. 23; cfr. anche ibid., p. 187.
(12) Cfr. ibid., p. 187.
(13) Cfr. ibid., pp. 29 e 186; cfr. A. C. KINSEY, W. B. POMEROY e C. E. MARTIN, Il
comportamento sessuale dell’uomo, cit., p. 157.
(14) J. A. REISMAN e E. W. NICHEL, op. cit., p. 611.
(15) Ibid., p. 617.
(16) Cfr. ibid., pp. 20 e 187.
(17) W. B. POMEROY, Dr. Kinsey and the Institute for Sex Research, Harper and Row,
New York 1972, p. 4, cit. in J. A. REISMAN e E. W. NICHEL, Kinsey, sex and fraud, cit., p.
202.
(18) A. C. KINSEY, W. B. POMEROY e C. E. MARTIN, Il comportamento sessuale
dell’uomo, cit., p. 13.
(19) J. H. JONES, op. cit., p. 570.
(20) A. C. KINSEY, W. B. POMEROY e C. E. MARTIN, Il comportamento sessuale
dell’uomo, cit., pp. 668-669.
(21) Ibid., pp. 628-629.
(22) Ibid., p. 633.
(23) Ibid., p. 643.
(24) Ibid., p. 669.
(25) Cfr. Peek. Photographs from the Kinsey Institute, Arena Editions, Santa Fe 2000.
(26) A. C. KINSEY, W. B. POMEROY e C. E. MARTIN, P. H. GEBHARD, Il
comportamento sessuale della donna, cit., p. 117.
(27) Cit. in J. A. REISMAN e E. W. NICHEL, op. cit., p. 205, nota 13.
(28) A. C. KINSEY, W. B. POMEROY e C. E. MARTIN e P. H. GEBHARD, Il
comportamento sessuale della donna, cit., p. 123; cfr. pure JAMES H. JONES, op. cit., pp.
605-614.
(29) Cfr. A. C. KINSEY, W. B. POMEROY e C. E. MARTIN, Il comportamento sessuale
dell’uomo, cit., p. 106.
(30) Ibid., pp. 106-107.
(31) Cfr. ibid., p. 112.
(32) Cfr. J. A. REISMAN, Kinsey, Crimes & Consequences, The Institute for Media
Education, Crestwood 2000, p. 132.
(33) A. C. KINSEY, W. B. POMEROY e C. E. MARTIN, Il comportamento sessuale
dell’uomo, cit., pp. 105-106.
(34) J. A. REISMAN e E. W. NICHEL, op. cit., p. 223.
(35) Cfr. ibidem.
(36) A. C. KINSEY, W. B. POMEROY e C. E. MARTIN, Il comportamento sessuale
dell’uomo, cit., p. 90.
(37) Ibid., p. 91.
(38) Ibidem.
(39) Ibidem.
(40) Ibid., p. 110.
(41) A. C. KINSEY, W. B. POMEROY e C. E.MARTIN, Il comportamento sessuale
dell’uomo, cit., p. 107.
(42) Ibidem.
(43) Cfr. J. A. REISMAN e E. W. NICHEL, op. cit., p. 39.
(44) Cfr. A. C. KINSEY, W. B. POMEROY, C. E. MARTIN e P. H. GEBHARD, Il
comportamento sessuale della donna, cit., p. 140; cfr. pure J. A. REISMAN, Kinsey,
Crimes & Consequences, cit., p. 152.
(45) Cfr. J. A. REISMAN, op. cit., pp. 151-152.
(46) A. C. KINSEY, W. B. POMEROY e C. E. MARTIN, Il comportamento sessuale
dell’uomo, cit., p. 112.
(47) A. C. KINSEY, W. B. POMEROY, C. E. MARTIN e P. H. GEBHARD, Il
comportamento sessuale della donna, cit., pp. 159-160.
(48) Cfr. J. A. REISMAN e E. W. NICHEL, op. cit., p. 141.
(49) Cfr. il mio Storia del bimbo che qualcuno volle bimba, in il Domenicale. Settimanale di
cultura, anno 4, n. 5, 19-3-2005, pp. 1-2.
(50) Cfr. <www.danped.fpc.net/italiano/moneyit.php> (visitato l’8-5-2006).
(51 Cfr. <www.project10.org/index.html> (visitato l’8-05-2006).
(52) JOSEPH NICOLOSI e LINDA AMES NICOLOSI, Omosessualità. Una guida per i
genitori, trad. it., con Prefazione di Chiara Atzori, Sugarco, Milano 2003, pp. 136-137; cfr.
la mia recensione dell’opera, in Cristianità, anno XXXIII, n. 330-331, luglio-ottobre 2005,
pp. 46-49; cfr. pure J. A. REISMAN e E. W. NICHEL, op. cit., pp. 11 e 227.
Trattamento della omosessualità maschile:
Un approccio cognitivo-comportamentale ed interpersonale
A. Decano Byrd, Ph.D.
L'autore è vice presidente di NARTH ed è professore di psichiatria clinica presso
l’Università dello Utah.
È difficile descrivere esattamente quali siano gli approcci terapeutici al trattamento della
omosessualità maschile, perché esistono pochi “puristi” fra noi. Anche se ciò che
facciamo è identificabile come terapia riparativa (o riorientamento), il modo in cui
realmente interveniamo può variare da un terapista all’altro. Il termine che uso più
spesso per caratterizzare il mio lavoro è “terapia affermativa di genere.„
Anche se non ho un formazione specificamente inquadrabile nel modello psicanalitico, nel
trattamento riparativo trovo teoricamente e concettualmente utile l’approccio
psicanalitico. Tuttavia, nella pratica, il trattamento che ho adattato nella prassi clinica con
uomini con orientamento omosessuale nel mio lavoro degli ultimi venti anni è
inquadrabile più correttamente come una prassi cognitivo- comportamentaleinterpersonale.
Trovo l’ intervento cognitivo-comportamentale utile nell’affrontare i sintomi, mentre l’ approccio interpersonale
fornisce la chiave per una reale guarigione-trasformazione profonda. Anche se apprezzo l'importanza analizzare
lo sviluppo infantile, ho trovato utile dare un'importanza maggiore alle spiegazioni bio-psico sociali
nell’instaurarsi di un orientamento omosessuale. Lo sviluppo infantile, in questo di modello, probabilmente
fornisce il contesto in cui le caratteristiche di personalità e di temperamento interagiscono con la famiglia ed il
contesto sociali nell’ indurre l'emersione dell’orientamento sessuale dell'individuo.
Vorrei in primo luogo descrivere la popolazione dei pazienti che ho curato per più di 20 anni. Si tratta per lo più
di maschi di età compresa tra i 30 e i 45 anni, che hanno passato una parte significativa della loro vita nello
stile di vita gay e ne sono stati delusi. Molti descrivono questo stile di vita non insoddisfacente, improntato da
solitudine, deprimente, e soprattutto carente di rapporti significativi. Frequentemente, mi sono sentito dire
da questi uomini che l'attività omosessuale aveva per loro soprattutto un significato antidepressivo .
Prima di mettere a fuoco alcuni interventi clinici specifici, descriverò la metodologia “generale” di trattamento
che ho trovato maggiormente utile. Ho diviso il trattamento in quattro fasi. Sottolineo che queste fasi non sono
fisse ma molto adattabili e flessibili da caso a caso; tuttavia, rappresentano la scansione generale classica
della terapia. Come in tutte le psicoterapie, il paziente deve avere certo grado di motivazione iniziale, deve
arrivare a capire le origini delle sue attrazioni omosessuali e deve essere seriamente impegnato nel processo
terapeutico.
FASE I
I requisiti preliminari sopra descritti sopra sono determinanti durante la prima fase del trattamento. Durante
questa fase conduco una valutazione complessiva, che esamina la possibile coesistenza di disordini psicologici
con il desiderio di contrastare l’ omosessualità indesiderata.
Trovo di frequente riscontro varie gradazioni di narcisismo, dipendenza emotiva, isteria, ansia e depressione.
Durante questa fase va raccolta accuratamente l’anamnesi sociale e sessuale che deve diventare materia di
riflessione per il paziente oltre che per il terapeuta. Raccolgo sempre la storia sessuale nel corso della raccolta
anmnestico-sociale perché desidero che il paziente concettualizzi la sua lotta in questa prospettiva. Per molti,
questo approccio fornisce un nuovo modo di guardare ad una vecchia lotta.
Durante questa fase viene messo quindi in evidenza il funzionamento globale, sociale ed emozionale del
paziente e non ci si focalizza sull'omosessualità. Frequentemente però è in questa fase che vengono fornite
informazioni sulle origini ed il trattamento dell'omosessualità rispondendo a domande attinenti la possibilità di
cambiamento e “la cura.„ La stesura del diario comincia in questa fase ed è usata durante tutto il processo di
trattamento.
FASE II
La fase II è caratterizzata da un forte approccio comportamentale. L'obiettivo di questa fase della terapia è di
aiutare i pazienti ad organizzare e stabilizzare la loro vita. Un’ampia maggioranza di questi uomini vivono “fuori
controllo. Lo sforzo è quindi concentrato nella messa in atto di strategie comportamentali. per aiutarli a
guadagnare un certo controllo. In questa fase del trattamento, il controllo comportamentale è visto come
requisito preliminare per arrivare ad una vera modificazione del comportamento (attenzione alla distinzione tra
controllo del comportamento rispetto a modificazione dello stesso). I pazienti vengono aiutati ad identificare
degli obiettivi comportamentali concreti per migliorare socialmente, intellettualmente, spiritualmente,
emozionalmente, fisicamente e sessualmente. Gli interventi specifici includono il monitoraggio (come sta
andando), strategie di rinforzo, di distrazione, la modellizzazione, l'inibizione della risposta, strategie
paradosse.
L'individuo è rafforzato dall’autocontrollo che acquisisce gradualmente. L'instaurarsi del controllo, l'esperienza
del successo nell’autocontrollo e un certo grado di stabilità sono importanti tappe in questa fase del
trattamento.
FASE III
La fase III mette si focalizza sull'interruzione dei pattern di risveglio della pulsione omosessuale. L'enfasi
durante questa fase della terapia è di aiutare il paziente ad esplorare, interrompere e finalmente rompere i
circuiti di pulsione omosessuale. Durante questa fase del trattamento, il fuoco sposta dall’enfasi
comportamentale a quella cognitiva. Gli interventi cognitivi quali rilassamento ed l’immaginazione guidata
sono usati per aiutare i pazienti a diventare più consapevoli ed a guadagnare un maggior controllo della loro
attività cognitiva, fantasia ed emozioni.
Gli interventi quali il mappaggio emozionale, la deframmentazione e la discriminazione emotiva vengono
impiegati per interrompere circoli viziosi neuro-psicologici. Molti di questi uomini hanno dipendenze sessuali e
queste vengono messe in evidenza correggendo sistemi di credenza errati, rompendo miti, espandendo le
opzioni per la consolidamento personale, imparando a gestire 'ansia e sviluppando uno stile di vita conforme ai
valori personali. Ai pazienti viene insegnato come chiedere aiuto e come sviluppare l’auto-affermazione.
FASE IV
Durante la fase IV del trattamento può essere usata una combinazione di metodi di terapia individuale, di
gruppo e famigliare, secondo i bisogni dei pazienti. L'enfasi durante questa fase del trattamento è abbastanza
affettiva ed interpersonale ed è incentrata nell’aiutare il pazienti a capire meglio l’importanza di impostare
modalità adeguate di rapporto interpersonale (cioè, amicizia, intimità non-sessuale con altri uomini).
Vengono esplorati e risolti in un contesto di terapia del gruppo i problemi attinenti alla difficoltà ad instaurare
intimità non sessuale, auto-stima, amore per gli altri, amore per Dio, il distacco difensivo, le distorsioni (sia
come rapporto disuguale, asimmetrico con gli altri uomini che come intensità delle relazioni), lo sviluppo di
sistemi di supporto non-erotico con gli altri uomini, la assertività, la rabbia (verso uomini e donne), la
mascolinità, il senso di colpa, la vergogna, il senso di solitudine e di abbandono.
Frequentemente, durante questa fase, introduco ogni paziente ad una coppia di sposi con la funzione di
compagni speciali. I risultati desiderati includono l'assenza di comportamento omosessuale, riduzione o
eliminazione delle attrazioni omosessuali, un senso della congruità e di pace interna che derivano
dall'integrazione e dallo sviluppo di rapporti soddisfacenti ed adeguati con uomini e donne. Gli interventi
spirituali (non religiosi) vengono usati frequentemente in questa fase (anche se possono essere impiegati
anche nelle altre fasi.)
Ora, dopo questo piccolo sommario, vorrei brevemente descrivere alcuni degli interventi accennati sopra, e in
particolare:
•
•
•
•
Il diario
La tracciatura delle emozioni
La deframmentazione
Gli interventi spirituali
Il diario
Tenere un diario è una utile modalità di aiuto per uomini con orientamento omosessuale in quanto aiuta a
chiarire i loro processi di pensiero, esprimere liberamente la loro sensibilità e in generale ad esaminare quali
sono i nodi importanti nella loro vita. Invece di lasciare ronzare i pensieri nella loro testa, i pensieri vengono
canalizzati entrando nel diario (presa di contatto).
Inizialmente, nel processo, la maggior parte di questi uomini usano il diario come modo per verificare i loro
pensieri, fantasie ed attrazioni omosessuali. Questa maggiore consapevolezza provoca frequentemente una
diminuzione delle attrazioni omosessuali. In seguito il diario si trasforma in una forma di autoaiuto poichè
attraverso il diario possono fare collegamenti, registrare le variazioni di percezione e confrontare le distorsioni.
I pazienti comprano tipicamente due taccuini. Le registrazioni sono fatte nel primo taccuino e sono date al
terapista per il commento. Cominciano quindi le annotazioni nel secondo taccuino che è scambiato con il
terapista durante la sessione seguente. Personalmente compilo per loro dei commenti ragionevolmente ampi
per la loro successiva considerazione.
Un vantaggio del diario è che non solo induce ad una maggiore partecipazione nel processo terapeutico ma
indirizza il paziente verso i nodi salienti e maggiormente significativi per quanto riguarda la sua lotta
individuale. Alla conclusione del trattamento, il paziente organizza una versione rivista del suo diario e questa
versione è poi utilizzabile come mezzo di prevenzione per una possibile ricaduta.
Tracciatura emozionale (mappa delle emozioni)
L’attività omosessuale rappresenta, in modo simbolico o esplicito, il tentativo di soddisfare esigenze legittime.
Molti di questi uomini sono dominati dalla affettività e sono quindi abbastanza reattivi mentre tentano di
soddisfare queste esigenze attraverso l’erotizzazione dei rapporti con individui dello stesso-sesso. Molti hanno
un talento istrionico. La tracciatura o mappatura emozionale è un intervento destinato ad identificare e
rispondere adeguatamente ai bisogni soprattutto emozionali. Spesso chiedo loro semplicemente di esplorare
che cosa stavano provando
subito prima del sorgere dell'attrazione omosessuale. Sovente, segnalano
sensazioni di noia, depressione o rabbia, quest’ultima soprattutto insorta come reazione ad un dolore, ad una
sensazione di paura o frustrazione. Cerco di far rivivere queste emozioni anticipatorie e esploro col pazienti
la loro origine. Frequentemente, questo processo aiuta il paziente stesso a chiarire l’ origine dell’attrazione
omosessuale, con il risultato che questa stessa diminuisce perché se ne è in qualche modo chiarita la genesi
(non quindi primariamente sessuale) .
Deframmentazione
Questo intervento è collegato con la mappatura delle emozioni ma è più attivo. Il suo scopo è aiutare a deerotizzare i rapporti con individui dello stesso-sesso. Van den Aardweg parla della psicologia dell’ invidia come
centrale nella lotta degli uomini omosessuali. Gli uomini omosessuali eroticizzano quello cui non si sono
identificati. Molti degli uomini che ho avuto in cura hanno multipli partners, senza rapporti continuativi.
Sovente, l'ansia non contenuta si fissa su caratteristiche particolari e desiderate dell’altro. Questi uomini cioè
non entrano in contatto con altri uomini, eterosessuali o omosessuali, in un senso olistico, completo ma su
aspetti particolari di cui inconsciamente si sentono mancanti, e perciò attratti. Ritengo che questo sia uno dei
motivi dell’instabilità dei loro rapporti. È come se incompletezza lottasse con l'incompletezza.
Il processo del deframmentazione si occupa esattamente del problema della frammentazione della relazione
con l’altro, cioè affronta il modo incompleto di entrare in contatto con gli altri che si ritorce inevitabilmente sul
soggetto. In sintesi funziona in questo modo: in una sessione individuale, chiedo a ciascuno di mettere a
fuoco una relazione passata e il tratto caratteristico della specifica attrazione. Questa attrazione è messa a
fuoco spesso su una caratteristica o su una caratteristica particolare con cui il paziente non ha consuetudine,
che è vista come una carenza, un difetto individuale, e perciò percepita con invidia dal soggetto stesso.
Queste caratteristiche invidiate sono spesso proprio le caratteristiche percepite come maschili.
Faccio esplorare al paziente anche le altre caratteristiche, sia fisiche che di altro tipo, in modo da indurre a
riconsiderare la relazione con questo uomo in un senso olistico. Domande del tipo, “come erano le sue altre
caratteristiche fisiche?„ “Che cosa esprimeva lui come persona?„ hanno lo scopo di fare affiorare i bisogni
emozionali specialmente riferibili all’intimità affettiva.
Il bisogno di avere vicino, di sentire vicino un altro uomo può avvenire senza la sessualizzazione della
relazione con quell'uomo. Questo intervento aiuta il cliente a riequilibrare il rapporto ed a focalizzare la
reciprocità per sviluppare rapporti significativi non-erotici con uomini eterosessuali.
Interventi Spirituali
La maggior parte degli uomini che ho curato ha un senso profondo di disconnessione spirituale. Sperimentano
una alienazione da Dio. Freud indicava Dio come un'estensione della figura del padre. Questo sembra vero
riguardo al punto di vista di vista che questi uomini possiedono di Dio. Nel descrivere il loro rapporto con la
divinità molti di questi uomini descrivono un'immagine di Babbo Natale spiritualizzato Posseggono una certa
paura di Dio.
Gli individui nelle posizioni di autorità, i sacerdoti o i capi ecclesiastici in queste persona
innescano reazioni di sensibilità ansiosa con risultati di paura e di separazione. Lavoro invece molto bene con
figure ecclesiastiche equilibrate in grado di fornire ottimi modelli di relazione padre/figlio, che consolidano i
la capacità di rapporto con
questi uomini. Tali rapporti sono molto utili per potere trattare il tema del
perdono.
Gli interventi spirituali specifici includono:
• personalizzare il rapporto con le scritture.
• il lavoro sull’immagine di Dio che faccia percepire correttamente Dio come amore, come un padre che si
preoccupa della persona e il cui amore è incondizionato.
• Servizio ad altri. Questo intervento in modo speciale aiuta questi uomini ad imparare a dare. Spesso si
ritengono indegni di donarsi . Segnalano spesso il desiderio di sentirsi “accettabili da Dio”. (e quindi la
percezione di non esserlo, di esserne indegni). L'aiuto spirituale e i vari tipi di intervento con questi uomini li
inizia alla gioia nel percepire il processo di scoperta del vero io ed ad articolare i loro valori, a percepire il
nucleo profondo della loro preziosa identità, lo scopo di base della vita e sviluppare la loro natura spirituale col
relativo progressivo dispiegarsi. Gli interventi li aiutano a chiarirsi i loro valori più profondi, attraverso la
contemplazione la meditazione. Questi interventi inoltre permettono che questi uomini decidano e orientino i
loro valori, identificando nel presente la forza per imparare a viverli, con gradualità, da soli.
Vedersi mentre si fa il bene fa bene, e attraverso la riflessione su come ci si sente a fare il bene, aiuta a
ritenere naturale fare il bene . Molti di questi uomini segnalano, in questa prassi, di avvertire come esperienza
concreta l'amore, la gioia, la pace e quindi poi aiutano quasi “spontaneamente” altri a fare lo stesso.
Gli interventi spirituali coinvolgono temi come integrità, il rinforzo della volontà, le relazioni interpersonali e il
trovare lo scopo più grande nella vita.
È con gli interventi spirituali i che questi uomini realmente sono ancorati e ricevono la forza per risolvere le loro
lotta in quella che loro chiamano il “personale processo di guarigione”.
Cristianità n. 333, gennaio - febbraio 2006, pp. 19 - 21
Obiettivo Chaire, ABC per capire l’omosessualità, con Prefazione di
Ferdinando Colombo OFM, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano)
2005, pp. 62, t 2,00
L’opuscolo ABC per capire l’omosessualità è il frutto del lavoro di una èquipe multidisciplinare
comprendente medici, psicologi, psicoterapeuti e psicoanalisti, sacerdoti, pedagogisti e avvocati;
questa èquipe gestisce anche un sito internet (cfr.<www.obiettivo-chaire.it/>). Il gruppo prende il
nome dall’invocazione che l’arcangelo Gabriele rivolse a Maria: «Chaire (gioisci), Maria!» (cfr. Lc. 1,
28). L’obiettivo degli autori è duplice: da un lato fornire un’informazione corretta dal punto di vista
scientifico e illuminata dal Magistero della Chiesa Cattolica su questo delicato tema; dall’altro,
confutare gli argomenti propalati dai propagandisti dell’ideologia gay.
Gli argomenti trattati sono disposti in ordine alfabetico, in modo che a ogni lettera dell’alfabeto
corrisponda un tema, e sono suddivisi in quattro sezioni. Nella prima, la sezione gialla — lettere A, B e
C —, vengono esposti alcuni elementi introduttivi, fornendo una chiara definizione dei termini e
inquadrando il problema dal punto di vista dell’identità di genere; la seconda, la sezione arancione —
lettere D-G —, è dedicata alla storia, chiarendo la questione dell’omosessualità nell’antichità classica,
evidenziando i rapporti fra il femminismo e l’ideologia gay e tracciando una storia del movimento gay;
nella terza sezione, di colore rosso — lettere H-Q —, sono esposti argomenti propri delle discipline
scientifiche: psicologia, pedagogia, biologia e medicina; nell’ultima sezione, contrassegnata dal colore
verde — lettere R-Z — si tratta dell’esegesi biblica su questo tema e viene esposto l’insegnamento
della Chiesa Cattolica sull’omosessualità.
L’omosessualità è un’inclinazione sessuale verso persone del proprio sesso. Essa non è determinata
dal comportamento sessuale: vi sono infatti persone con tendenze omosessuali che vivono in castità ed
eterosessuali che hanno esperienza omosessuali. Essendo un’inclinazione — o tendenza, o preferenza
— non è uno «stato», un’«identità» o una «condizione» (p. 5); non costituisce infatti un aspetto
essenziale della persona, ma un accidente. Per questo motivo, correttamente, il Magistero insiste sulla
locuzione «persone omosessuali», o «persone con tendenze omosessuali» piuttosto che «omosessuali»
tout court (cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica
sulla cura pastorale delle persone omosessuali, dell’1-10-1986, n. 16). L’omosessualità, pur
riguardando l’orientamento sessuale, ha le sue origini in un problema dell’«identità di genere» (p. 5);
ciò non significa che gli uomini con tendenze omosessuali credono di essere delle donne, quanto
piuttosto che — per vari motivi — non si sentono abbastanza virili da soddisfare le aspettative della
società rispetto agl’individui del loro genere. L’omosessualità è dunque il sintomo di una ferita che la
persona ha subito nella sua identità di genere. Non esistendo una natura omosessuale, non si può
parlare di «omosessualità latente» (cfr. Irving Bieber e coll., Omosessualità, trad. it., «Il Pensiero
Scientifico» Editore, Roma 1977, p. 241); si può invece correttamente affermare che le persone con
tendenze omosessuali hanno una eterosessualità latente, che per qualche motivo è impedita od
ostacolata. Il termine «omosessuale» non è sinonimo di gay; infatti, laddove il termine «omosessuale»
designa semplicemente la persona con tendenze omosessuali, il termine gay indica un’identità sociopolitica, rappresentata da una minoranza — per quanto chiassosa — di persone con tendenze
omosessuali, che s’identifica nello stile di vita gay e crede che l’omosessualità sia normale e buona per
sé e per la società (p. 6).
Nell’opuscolo viene confutata (pp. 7-8) la percentuale di persone omosessuali presenti nella società
propalata dagli attivisti gay, il famoso «10 %» frutto delle manipolazioni statistiche che l’entomologo
statunitense Alfred Charles Kinsey (1894-1956) operò nella stesura dei rapporti — uno del 1948 e
l’altro del 1953 — che presero il suo nome (cfr. A. C. Kinsey, Wardell B. Pomeroy [1913-2001] e
Clyde Eugene Martin, Il comportamento sessuale dell’uomo, trad. it., Bompiani, Milano 1950; e A. C.
Kinsey, W. B. Pomeroy, C. E. Martin e Paul H. Gebhard, Il comportamento sessuale della donna, trad.
it., Bompiani, Milano 1955); inoltre si evidenzia (p. 8) l’elevata promiscuità e fragilità delle relazioni
omosessuali: il medico, psicologo e psicoterapeuta statunitense David P. McWirther (1948-2004) e
Andrew M. Mattison, studiosi delle relazioni omosessuali ed essi stessi coppia gay, esaminarono 156
coppie formate da omosessuali maschi; di queste, solo sette avevano avuto una relazione sessualmente
esclusiva, e nessuna di esse aveva avuto una durata maggiore di cinque anni: in genere, una relazione
omosessuale viene considerata di lunga durata se supera i cinque anni (cfr. D. P. McWhirter e A. M.
Mattison, The male couple. How relationship develop, Reward Books, Englewood Cliff [NJ] 1984, p.
252). Una ricerca italiana condotta da Marzio Barbagli e da Asher Colombo, sociologi dell’università
di Bologna, in collaborazione con esponenti del mondo gay, è giunta alla conclusione che, per le
coppie formate da omosessuali maschi, «[...] è probabile [...] che la stabilità dell’unione sia tanto
maggiore quanto più la coppia è aperta» (M. Barbagli e A. Colombo, Omosessuali moderni. Gay e
lesbiche in Italia, il Mulino, Bologna 2001, p. 214).
Fra le questioni affrontate nella sezione storica si trova (pp. 11-12) lo spinoso tema
dell’omosessualità nell’antichità greca e romana, chiarendo che non si trattava in realtà di
omosessualità — cioè di un’attrazione nei confronti di persone dello stesso sesso —, ma di
comportamenti omosessuali — strettamente regolati —, tollerati in funzione della preparazione
dell’adolescente alla vita sociale e politica. Si chiarisce poi (pp. 19-20) che l’accusa di omofobia,
mossa dagli attivisti gay a chiunque metta in discussione in loro argomenti, è in realtà inconsistente e
frutto di una tattica intimidatoria.
Nella sezione «scientifica» del testo viene affrontata (pp. 21-24) la questione di un’eventuale causa
organica dell’omosessualità. L’esito delle ricerche scientifiche conferma che non esistono un «gene
gay», un «cervello gay» o un «ormone gay»: gli studi sui gemelli di John Michael Bailey e Richard C.
Pillard escludono definitivamente una causa genetica (cfr. J. M. Bailey e R. Pillard, A genetic study of
male sexual orientation, in Archives of general psychiatry, vol. 48, n. 12, Chicago 1-12-1991, pp.
1089-1096). Altri studi, per esempio quello di Dean H. Hamer sui marcatori genetici (cfr. D. H.
Hamer, Stella Hu, Victoria L. Magnuson, Nan Hu e Angela M. L. Pattatucci, A Linkage Between DNA
Markers on the X Chromosome and Male Sexual Orientation, in Science, vol. 261, Washington DC
luglio 1993, pp. 321-327) e quello del neuroscienziato inglese Simon Le Vay sul terzo nucleo
interstiziale dell’ipotalamo anteriore, presentano diversi errori metodologici (cfr. S. Le Vay, A difference in hypothalamic structure between heterosexual and homosexual men, in Science, vol. 253,
Washington DC agosto 1991, pp. 1034-1037). Si può quindi soltanto ipotizzare un’eventuale predisposizione biologica, non certo una causa. Cosa, quindi, determina lo sviluppo di un orientamento
omosessuale? In ultima analisi si può affermare che sono gl’influssi ambientali — famiglia, società ed
esperienze di vita — a determinare lo sviluppo omosessuale, come affermano diversi psicologi fra i
quali l’austriaco Alfred Adler (1870-1937), lo statunitense Irving Bieber (1908-1991), l’inglese Elizabeth Moberly, lo statunitense Joseph Nicolosi e l’olandese Gerard van den Aardweg. Fra le varie
questioni affrontate vi sono quelle dei comportamenti omosessuali fra gli animali (pp. 25-26) e della
derubricazione dell’omosessualità dai manuali diagnostici (pp. 31-32).
Nella quarta sezione vengono confutate le interpretazioni omosessualiste del testo biblico (pp. 49-50)
e tratteggiate le indicazioni pastorali contenute nel Magistero (pp. 51-54).
Concludono il fascicolo la preziosa testimonianza di un giovane che ha ritrovato la sua
eterosessualità dopo un cammino personale e spirituale (pp. 55-56), un elenco di siti e di pubblicazioni
consigliati (pp. 57-60) e un Post-scriptum (pp. 61-62) dedicato al discusso e attuale tema dei cosiddetti
PACS o Patti Civili di Solidarietà.
A proposito di questo argomento, viene ricordato che le leggi civili svolgono un importante ruolo nel
promuovere una mentalità e un costume; un riconoscimento civile delle unioni omosessuali
comporterebbe inevitabilmente un indebolimento della famiglia, che svolge un ruolo fondamentale per
la tutela della società e del bene comune.
Chi sostiene il riconoscimento delle unioni omosessuali afferma che si è in presenza di un vuoto
normativo che riguarda sia le coppie omosessuali che quelle eterosessuali, e che vi è una realtà che ha
diritto a un riconoscimento pubblico. Questa argomentazione è perlomeno curiosa, se solo si pensa che
fino a pochi anni fa i sostenitori delle coppie di fatto dichiaravano che l’amore fra due persone è un
fatto privato che non ha bisogno di un «pezzo di carta» che lo sancisca. Come mai, ora, diventa così
importante che le coppie di fatto abbiano un riconoscimento pubblico, tanto più che è già possibile
ottenere con le leggi vigenti tutte le tutele che vengono addotte come motivazioni per questo
riconoscimento? Lo spiega Gianni Rossi Barilli, attivista gay e autore di una storia del movimento gay
in Italia: «[...] il punto vero è che le unioni civili sono un obiettivo simbolico formidabile.
Rappresentano infatti la legittimazione dell’identità gay e lesbica attraverso una battaglia di libertà
come quelle sul divorzio o sull’aborto, che dispone di argomenti semplici e convincenti: primo fra tutti
la proclamazione di un modello normativo di omosessualità risolto e rassicurante. Con la torta nel
forno e le tendine alle finestre, come l’ha definito una voce maligna. Il messaggio è più o meno il
seguente: i gay non sono individui soli, meschini e nevrotici, ma persone splendide, affidabili ed
equilibrate, tanto responsabili da desiderare di mettere su famiglia. Con questo look “affettivo” non
esente da rischi di perbenismo si fa appello ai sentimenti più profondi della nazione e si vede a portata
di mano il traguardo della normalità» (G. Rossi Barilli, Il movimento gay in Italia, Feltrinelli, Milano
1999, p. 212). La realtà delle coppie gay è un ulteriore argomento contro il riconoscimenti civile delle
unioni omosessuali; infatti, nonostante le persone con tendenze omosessuali sognino una relazione
stabile, le relazioni omosessuali sono caratterizzate — come si è visto — da breve durata e da un
elevato grado d’infedeltà.
Si è detto che il comportamento omosessuale è una cosa diversa dall’omosessualità. Questa
differenza è importante anche dal punto di vista morale, poiché l’atto omosessuale — praticato da
chiunque, qualunque tendenza sessuale esso abbia — è un peccato, non l’omosessualità, che è pur
sempre un’inclinazione oggettivamente disordinata poiché contraria alla natura umana. Questo
significa che vi è una responsabilità nel compiere un atto omosessuale da parte di chiunque; e che,
tuttavia, non vi è responsabilità nell’essere omosessuali, così come non vi è responsabilità nell’avere la
depressione o qualche fobia oppure qualsiasi altro disturbo psicologico o psichiatrico. Nella
valutazione della responsabilità morale delle persone omosessuali nei confronti degli atti omosessuali
va considerata inoltre una forte componente di coazione, senza che ciò elimini completamente la sua
libertà e quindi la responsabilità per i suoi atti.
Si può parlare di vizio nel caso di comportamento omosessuale, ma l’omosessualità, di per sé, non è
un vizio.
L’omosessuale ha responsabilità nei confronti anche dell’omosessualità e non solo dei
comportamenti omosessuali? Può averla nel caso rifiuti deliberatamente di accettare il piano che la
divina bontà ha predisposto per lui, ossia nel caso in cui consideri la propria omosessualità come buona
per sé e per la società. In altri termini, è responsabile se accetta l’ideologia gay; bisogna considerare
comunque che, fino a poco fa, l’unico riferimento che gli omosessuali avevano — e, spesso, l’unica
alternativa alla solitudine — era costituito dalle strutture e dai luoghi d’incontro predisposti dal
movimento gay. Per questo motivo è importante mettere in atto nei confronti delle persone omosessuali
quegli atteggiamenti descritti dal Catechismo della Chiesa Cattolica — «[...] devono essere accolti con
rispetto, compassione, delicatezza» (n. 2358) —, ed è urgente che si dia applicazione alle indicazioni
contenute nella Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone
omosessuali.
Cambiare si può
Di Roberto Marchesini
“Il Timone”, anno VIII, novembre 2005, pp. 39 – 41
Uno dei “miti” della propaganda gay afferma che gli omosessuali non possono cambiare
orientamento; ne conseguirebbe che l’unica cosa che possono fare è rassegnarsi alla
propria omosessualità e interrompere gli sforzi per opporvisi. Ogni tentativo di cambiare
orientamento, non sarebbe altro che un inutile tormento dettato da una sadica “omofobia”
travestita da benevolenza.
Peccato che le cose non stiano affatto così: gli omosessuali possono cambiare
orientamento.
Lo dimostrano l’esperienza clinica degli psicoterapeuti Nicolosi e van den Aardweg, e da
una ormai storica ricerca condotta dallo psicoanalista Irving Bieber, secondo la quale circa
il 27% dei pazienti con tendenze omosessuali sottopostisi a un trattamento psicoanalitico
aveva cambiato orientamento sessuale. Non va dimenticato il prezioso ed inaspettato
sostegno ai sostenitori della possibilità di cambiamento giunto nel 2003 da parte del prof.
Robert Spitzer della Columbia University di New York il quale, dopo aver esaminato il
percorso di cambiamento di circa 200 ex-omosessuali, ha dichiarato: "Come molti
psichiatri io pensavo che alla tendenza omosessuale si potesse solamente resistere e che
non potesse realmente cambiare l'orientamento sessuale. Ora credo che questa
convinzione sia falsa. Alcune persone con orientamento omosessuale possono cambiare
e cambiano".
La psicoterapia riparativa – ossia la psicoterapia che ha come obiettivo il ri-orientamento
sessuale - non è l’unica via di cambiamento per le persone che soffrono per un
orientamento omosessuale indesiderato: soprattutto negli Stati Uniti ci sono diversi gruppi
religiosi – per la maggior parte protestanti – che propongono un cammino spirituale e
umano che può portare a superare le ferite che hanno causato l’orientamento
omosessuale. Il più importante di questi gruppi, operante anche in Europa, è Living
Waters, fondato da Andrew Comiskey, ex omosessuale ed ora pastore protestante
coniugato.
Diverse testimonianze di cambiamento e ricerche che dimostrano la possibilità di un riorientamento si possono trovare sul sito http://www.pathinfo.org/, del forum denominato
Positive Alternative sto Homosexuality - alternative positive all’omosessualità - che
raccoglie associazioni e gruppi, scientifici e pastorali, che propongono una visione
dell’omosessualità “positiva”, ossia differente a quella della rassegnazione gay.
Tra le varie testimonianza di cambiamento è disponibile sul sito del NARTH - National
Research and Therapy of Homosexuality, l’Associazione Nazionale per la Ricerca e la
Terapia dell’Omosessualità, diretta dal dott. Nicolosi, quella di Steffan che, attraverso un
percorso spirituale, ha riconquistato la sua eterosessualità: “Potrei dire che non ho avuto
un modello di padre e di uomo. Per riassumere un po', ho avuto un'infanzia poco felice,
anche se sembrava che miei genitori facessero del loro meglio. Durante l’adolescenza non
mi sentivo all'altezza d'essere un maschio: la pressione in me era intensa, tutto prendeva
proporzioni sempre più grandi, il desiderio erotico-sessuale diventava ossessivo, la
masturbazione, da anni praticata più volte al giorno come sollievo, era ancora più
immaginativa e di consolazione. Ricercavo la forza e la sicurezza in altri uomini, volevo
dagli altri quello che non possedevo! […] Non voglio dire che sono guarito, perché
vorrebbe dire ch'ero malato, e che l'omosessualità è dunque una malattia; ma piuttosto
che prima vivevo separato della mia identità, non ero mai stato confermato come uomo da
mio padre! Il processo di maturazione era bloccato. Cercavo solamente di acquistare la
mia mascolinità d'un modo sbagliato! Non ritornerei indietro nel passato e in quel falso io,
e sono contento d'avere capito cosa in me e fuori da me ha fatto sì che io abbia avuto dei
problemi d'omosessualità”.
Purtroppo, in Italia, grazie al clima terroristico creato dagli attivisti gay attorno ai tentativi di
cambiamento, le testimonianze sono ancora poche. Eppure, anche nella nostra penisola,
qualcosa comincia a muoversi, e le prime, timide testimonianze cominciano ad affiorare:
“Ho capito che l’omosessualità era come una via di fuga, una uscita d’emergenza che
potevo utilizzare quando il gioco si faceva troppo duro per le capacità che pensavo di
avere… ora non ho più pensieri omosessuali”; “Più mi relazionavo con uomini che mi
intimorivano e dai quali mi sentivo attratto, più sentivo diminuire l’attrazione nei loro
confronti… adesso i pensieri omosessuali durano un attimo e sono rarissimi…”; “Fino a
quando pensavo di non poter uscire dall’omosessualità mi sentivo completamente
dominato da essa, la percepivo costante… adesso ho capito che è una reazione ai
momenti di difficoltà e di vergogna”.
Gli attivisti gay sostengono che non esiste altra risposta possibile all’omosessualità se non
quella da loro proposta; per questo motivo attuano una vera e propria strategia terroristica
nei confronti della terapia riparativa, in modo che venga proibita, condannata e nessun
omosessuale tenti il ri-orientamento. Una delle accuse più terribili che essi muovono nei
confronti della terapia riparativa è di essere una violenza alla “vera natura” della persona,
tanto terribile da causare il suicidio. Intervistato su questo punto, il dottor Nicolosi ha
dichiarato che nessuno dei suoi pazienti ha mai nemmeno tentato il suicidio; e per quanto
riguarda la pericolosità della terapia riparativa per il benessere delle persone che vi si
sottopongono, è nuovamente il dott. Spitzer ad affermare che “Al contrario, i soggetti della
mia ricerca riferiscono che essa è stata utile a prescindere dallo stesso cambiamento di
orientamento sessuale”.
La terapia riparativa quali percentuali di successo ha? Approssimativamente, secondo le
testimonianze sia del dottor van den Aardweg che del dottor Nicolosi, 1/3 di pieno
successo (persone che hanno superato compiutamente l’omosessualità, orientandosi
stabilmente e armoniosamente verso l’eterosessualità anche con forme di legame
sessuale stabile con l’altro sesso); 1/3 di miglioramento della identità globale della
persona, con capacità di gestirsi in modo più equilibrato; infine 1/3 di “fallimento”, inteso
come persistenza nella omosessualità indesiderata (includendo anche gli abbandoni della
terapia). E’ opportuno sottolineare che queste percentuali sono pressappoco quelle di ogni
altra psicoterapia.
E le persone che si sottopongono alla terapia riparativa con successo, non avranno più
pensieri di tipo omosessuale? Non è detto. Come scriveva Freud nella sua Introduzione
alla psicoanalisi: "Se gettiamo per terra un cristallo, questo si frantuma, ma non in modo
arbitrario; si spacca secondo le sue linee di sfaldatura in pezzi i cui contorni, benché
invisibili, erano tuttavia determinati in precedenza dalla struttura". Questo significa che una
persona che ha cambiato orientamento, se sottoposta ad un forte stress, a umiliazioni, alla
fatica, a quelle situazioni, insomma, dove l’autostima può subire uno scossone, potrebbe
avere nuovamente pensieri omosessuali; ma il meccanismo consolatorio è ormai svelato,
e la persona è in grado di reagire in maniera positiva alla tentazione. Eccone una
testimonianza: “La perdita di interesse per l‘omosessualità è stata progressiva, e, anche
se tuttora ho dei momenti in cui i pensieri omosessuali si riaffacciano alla mente, riesco
subito a capire che quella tentazione sta solo cercando di colmare qualche mancanza
nella mia vita e allora io colmo questo vuoto con qualcosa d’altro, semplicemente”.
Sono possibili anche delle ricadute? Certo. Esattamente come nella terapia di qualsiasi
altro disturbo; il che non impedisce che si continui a tentare di porvi rimedio.
Come abbiamo visto, il riorientamento non è semplice, e non è garantito per tutti; è la
proposta di un cammino difficile che a volte può durare tutta la vita. Ma è possibile. E
questo significa che l’omosessualità non è uno “stato”, una “condizione”; che non è
immutabile né per sempre; e soprattutto che ci sono alternative possibili alla resa, e allo
stile di vita gay.
E’ importante chiarire un punto: il ri-orientamento è sempre una proposta, mai una
imposizione; anche perché nessuno può essere obbligato a tentare di avere nuovamente
fiducia nella propria virilità.
Il ri-orientamento è dunque una proposta di libertà, non solo intesa come libera adesione
ad un cammino o come liberazione da una tendenza non desiderata; ma anche perché
offre alle persone con tendenze omosessuali una possibilità di scelta tra l’ideologia gay e il
combattimento contro pulsioni non desiderate e percepite come estranee.
L’ideologia gay vuole invece limitare questa libertà, affermandosi come unica risposta
all’omosessualità.
Non è così: una alternativa positiva all’omosessualità è possibile.
Ricorda:
“Ad una teoria si può rispondere con un’altra teoria; ma chi può confutare una vita?”
(Evagrio Pontico, monaco del IV secolo).
“Bisogna vivere come si pensa, altrimenti si finirà per pensare come si è vissuto” (Paul
Bourget, Il demone meridiano).
Bibliografia
- Gruppo Chaire, ABC per capire l’omosessualità, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo,
2005.
- Gerard van den Aardweg, Omosessualità e speranza, Milano, Edizioni Ares, 1995.
- Gerard van den Aardweg, Una strada per il domani, guida all’(auto) terapia
dell’omosessualità, Roma, Città Nuova, 2004.
- Joseph Nicolosi, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, Milano, Sugarco
Edizioni, 2002.
- J. Nicolosi, L. Ames Nicolosi, Omosessualità: una guida per i genitori, Milano, Sugarco
Edizioni, 2003.
- Andrew Cominskey, Come superare le ferite sessuali e relazionali, Cinisello Balsamo,
San Paolo, 2005.
La terapia riparativa dell’omosessualità
Colloquio con Gerard J. M. van den Aardweg
Studi Cattolici n. 535, settembre 2005, pp. 616 – 622.
Nel n. 71, datato maggio 2005, la rivista gay Pride ha pubblicato un lungo
articolo con il quale attaccava la terapia riparativa dell’omosessualità come
antiscientifica e dannosa; l’articolo era immediatamente ripreso da la
Repubblica, a firma di Natalia Aspesi (3 maggio). In seguito ai due articoli su
Pride e la Repubblica, l’onorevole Franco Grillini, presidente onorario
dell’Arcigay, ha presentato un’interrogazione parlamentare per bloccare,
tramite gli ordini professionali, la terapia riparativa. Il dott. J.M. van den
Aardweg (foto), che per le Edizioni Ares ha pubblicato il saggio Omosessualità
& speranza, ha cortesemente accettato di rispondere ad alcune domande sulla
scientificità della terapia riparativa (o terapia dell’omosessualità) e sulla
posizione dell’American Psychiatric Association, citata dall’onorevole Grillini.
La rivista gay Pride asserisce che l’associazione americana di psicologi APA dal
1973 non diagnostica più l’omosessualità come una malattia, e che anzi ne
condanna la terapia “riparativa” in quanto sarebbe antiscientifica e pericolosa. È
all’incirca quello che afferma l’Onorevole Grillini, Presidente Onorario dell’Arcigay, in
un’interpellanza al Ministro della Sanità, intesa a che l’Ordine dei Medici e l’Ordine
Nazionale degli Psicologi proibiscano ai loro membri di trattare l’omosessualità,
perché ciò sarebbe antiscientifico e comporterebbe, inoltre, discriminazione di un
cosiddetto “orientamento sessuale”.
Ho letto con attenzione gli articoli di Pride e de la Repubblica, e l’interpellanza
dell’Onorevole Grillini. Tanto per cominciare, l’APA in questione è quella degli
psichiatri, non quella degli psicologi. Pride e Grillini cercano di spacciare la
dichiarazione dell’APA del 2000 come l’oracolo intangibile della scienza; ma che
cos’è, veramente, l’APA? L’associazione che, nel 1973, senza la minima motivazione
scientifica, si è arresa all’assalto di un’aggressiva lobby gay, sostituendo la
descrizione classica, scientificamente fondata, di omosessualità come “disturbo” con
quella di “condizione”. E questo nonostante che la schiacciante maggioranza degli
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psichiatri americani pensasse il contrario. Nel corso degli anni successivi questa
associazione ha concretato sempre di più questo termine, di “condizione”, che di per
sé non significa nulla, dandogli un contenuto sempre più conforme all’ideologia gay,
facendone una situazione “normale”. Ci pensi un po’ su: un’associazione di psichiatri
proclama che una “condizione” come l’omosessualità maschile, che comporta per
una quantità enorme di omosessuali praticanti una promiscuità sfrenata (centinaia di
partner nel corso di una vita!), sarebbe normale e naturale! E negli ultimi anni tende
addirittura a proclamare la normalità della pedofilia, e magari anche quella di disturbi
come il sadomasochismo. Che razza di associazione è questa? Chiaramente una
suddita del movimento gay, che intende realizzare riforme radicali della società;
un’associazione che si comporta così è ormai un gruppo di interesse politico, non è
più un’associazione di scienziati e professionisti indipendenti. Di fatto, la situazione
presenta analogie con quella della Germania degli anni Trenta del secolo scorso,
quando praticamente tutte le organizzazioni mediche e scientifiche abbracciavano
ufficialmente le teorie razziste; il che, naturalmente, di scientifico non aveva niente,
ma era solo espressione della più miserabile vigliaccheria e correttezza politica. Che
questa APA, o meglio il gruppo dei gay che ne fanno parte, e che vi detta legge in
fatto di omosessualità, presuma di dare lezioni su ciò che è o non è scientifico, è il
colmo dell’arroganza! È chiaro che per loro è scientifico solo ciò che si aggiusta alla
loro ideologia.
Corresponsabilità dell’APA
Quali sono le manipolazioni contenute negli articoli e nell’interpellanza?
L’APA non ha “proibito” niente, e d’altra parte non ha nemmeno il potere di farlo, ma
non fa altro che “raccomandare” di astenersi “per il momento” da “tentativi di
cambiare l’orientamento sessuale di individui”. Motiva la raccomandazione con due
ragioni: “… non esistono ancora studi rigorosamente scientifici che consentano di
stabilire se i trattamenti ‘riparativi’ siano benefici o dannosi”. Vale a dire che non
sapremmo ancora niente sui risultati di terapie “riparative”, e queste potrebbero
presentare rischi per il cliente o paziente. L’APA asserisce che i resoconti disponibili
di
risultati
del
trattamento
avrebbero
carattere
“aneddotico”,
mentre
non
mancherebbero indizi di conseguenze sfavorevoli. Ma attenzione alla furbata! In
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realtà, di resoconti su risultati del trattamento ce ne sono, e versano su un numero
molto ampio di casi, mentre è proprio su effetti sfavorevoli – psichici o di altro tipo –
della terapia che non abbiamo nemmeno l’ombra di un resoconto! Soltanto
affermazioni e allarmi infondati… emanati proprio da fonti gay. Insomma, qui si
pretende di mettere sullo stesso livello affermazioni infondate e resoconti scientifici di
ricerca. Consideri anche la sfacciataggine dell’APA: insinua che chi cerca di aiutare
le persone a controllare o a superare le loro tendenze omosessuali esercita un
influsso dannoso. E loro stessi, che fanno? Sconsigliano la terapia e, propugnando
da anni la normalità del comportamento omosessuale, legittimano l’ondata di
promiscuità omosessuale che si diffonde in tutto il mondo, provocando un danno
enorme alla salute mentale e fisica degli omosessuali da loro fuorviati, che incorrono
in malattie veneree, assuefazioni, AIDS, suicidi e via dicendo. Sull’APA pesa dal
1973 un’enorme corresponsabilità in tutto questo. Una responsabilità che ricade
anche sulle organizzazioni gay, sull’Arcigay in Italia e sull’Onorevole Grillini. È
ridicola la presunzione con cui si azzardano a denunciare come dannosi trattamenti e
altre forme di orientamento, che invece sono intesi proprio a mitigare il danno che
loro hanno contribuito ad arrecare, con il loro proselitismo gay. L’APA, comunque,
non ha affermato, ma solo insinuato, che la terapia possa presentare problemi.
L’APA non afferma nemmeno che le “terapie riparative” (che io preferisco chiamare
semplicemente “terapie”) siano di per sé antiscientifiche. Al contrario, l’APA
“incoraggia e appoggia la ricerca … per confrontare meglio i rischi della … terapia
con i risultati positivi”. Se una terapia fosse “antiscientifica”, nessuno si prenderebbe
la briga di farci ricerche. Lascio per il momento da parte la questione di che
intendano dire con terapia “antiscientifica”. Se prende, però, il testo dell’APA alla
lettera, la conclusione logica è che, per saperne di più, quello che ci vuole è proprio
fare molta più terapia. D’altra parte in tutto il mondo si fa ancora troppo poco in fatto
di terapia o di orientamento, e il clima suscitato dal movimento gay e da suoi
“compagni di strada” come l’APA non è sicuramente favorevole ad un trattamento
sistematico dell’omosessualità. Per questo, le parole con cui l’APA dice di
“incoraggiare ed appoggiare” la ricerca sulla terapia puzzano di ipocrisia. Di una cosa
possiamo essere sicuri: nessuna ricerca o resoconto di trattamento, passato al vaglio
dei pregiudizi dell’APA, ne uscirà con il marchio di “rigorosamente scientifico”.
L’ideologia gay detta il dogma che lo “orientamento” omosessuale è naturale e sano;
il corollario è che qualsiasi cambiamento è impossibile e “contro natura”.
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Allora non ha ragione l’APA, quando afferma che non esistono “studi scientifici
rigorosi sui risultati”?
Dipende da che cosa si intende per “rigoroso” e “scientifico”. Se lo si intende
pensando alle scienze naturali, nessuno studio di cui disponiamo soddisfa ai
requisiti: non esistono, per esempio, strumenti obiettivi e di uso sicuro per “misurare”
l’omosessualità. Lascio qui da parte il metodo fisiologico proposto da alcuni, che
peraltro non è esente da complicazioni. Non si può fare una campionatura
rappresentativa; e, soprattutto, una ricerca che coinvolga i diversi metodi di
trattamento che si praticano, richiederebbe una quantità enorme di ricercatori, tempo
e denaro, oltre ad un buon numero di terapeuti che (almeno per il momento) non
abbiamo. Non si può contare sull’apparizione a breve termine di studi del genere; ci
dobbiamo accontentare di quello che in pratica possiamo conseguire. Se siamo
realisti e onesti, però, vedremo che non è di questo che, adesso, abbiamo più
bisogno. Di fatto, l’argomento dell’assenza di “studi scientifici” è una manovra intesa
a scoraggiare la terapia. Per giunta è un argomento sbagliato. Il fatto che non sia
possibile realizzare studi di rigore sugli effetti della terapia del tipo di quello delle
scienze naturali, non significa che i resoconti presenti nella bibliografia specializzata
siano antiscientifici. “Scientifico” significa il più possibile aperto alla realtà, utilizzando
i metodi di cui si dispone nelle circostanze concrete. Prima che si costruissero i
moderni telescopi, le osservazioni astronomiche avevano una portata minore, ma
questo non vuol dire che con telescopi più rudimentali non si fosse in grado di
studiare in certa misura la realtà. Se l’APA imponesse gli stessi requisiti
“rigorosamente scientifici” agli studi sui risultati di tutte le psicoterapie di nevrosi,
depressioni, psicosi, disturbi emotivi o del comportamento, oppure a qualsiasi
metodo farmacologico, si dovrebbe porre fine a tutte le forme di trattamento. Di studi
del genere, infatti, non se ne trovano in nessun campo della psicoterapia e della
psichiatria. A questo punto l’APA farebbe meglio a consigliare ai suoi membri di
cambiare mestiere. Ce ne sono, invece, di studi scientificamente accettabili sugli
effetti: studi che non sono più imperfetti della stragrande maggioranza di quelli sugli
effetti dei trattamenti nel campo della psicologia, della psichiatria e della medicina.
Antiscientifico, anzi, è proprio l’atteggiamento di chi le terapie le sconsiglia. Sarebbe
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la fine del progresso scientifico, dato che quasi tutte le conoscenze e le ipotesi
attendibili sull’omosessualità di cui disponiamo derivano proprio dalla pratica
psicoterapeutica.
Una nevrosi sessuale
Dobbiamo concludere che quegli studi scientificamente accettabili l’APA non li
conosceva?
Nella loro dichiarazione del 2000 riportano in bibliografia soltanto una o due
pubblicazioni con dati pertinenti a risultati terapeutici, basati su gruppi abbastanza
ampi. Poi, però, non ne tengono conto. Per il resto la loro bibliografia contiene
resoconti personali – questi sì “aneddotici”! – di persone che hanno fatto qualche
tentativo per cambiare, ma poi hanno rinunciato; ed è proprio a questi che il
documento dell’APA presta la maggiore attenzione. È un atteggiamento parziale, ad
uso dell’ideologia gay.
Può raccontare qualcosa di concreto sulle conclusioni di studi sui risultati? Che
percentuali abbiamo di cambiamento?
Lei parla opportunamente
“guarigione”,
perché parole
di “cambiamento”; preferisco questo termine
come
“guarire”
e
“malattia”
suscitano
a
spesso
l’impressione che le persone con sentimenti omosessuali siano fisicamente malate; il
che non è vero.
Ciò non toglie che alcuni di loro presentino seri disturbi mentali, o abbiano sviluppato
un comportamento omosessuale di proporzioni tali che non sarebbe tanto sbagliato
chiamarli “malati”. Se parliamo di cambiamento, dobbiamo tenere d’occhio,
naturalmente, il comportamento sessuale e le fantasie sessuali, ma senza
dimenticare quei sentimenti e caratteristiche di personalità nevrotici che a tali
comportamenti e fantasie sono collegati. I desideri omosessuali non sono impulsi
isolati, ma sorgono da un complesso di inferiorità rispetto al proprio essere-uomo o
essere-donna. L’omosessualità è una nevrosi sessuale. Suoi caratteri frequenti sono
una puerilità emotiva, per esempio nelle relazioni interpersonali, o nei confronti dei
genitori, una certa inconscia drammatizzazione di sé stessi, egocentrismo infantile,
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sintomi nevrotici e psicosomatici, depressioni. C’è molto di più che la semplice
attrazione erotica per il proprio sesso. Un autentico cambiamento si deve riflettere
anche in una più forte identificazione con la propria virilità o femminilità, cioè nel
ristabilimento della fiducia in sé stessi come uomo o come donna, in una vita emotiva
più stabile ed adulta, con una riduzione dell’egocentrismo infantile e della tendenza
ad autocommiserarsi. Se l’interessato non si libera in misura sufficiente dal suo
complesso di inferiorità e dalla sua emotività nevrotica, non cambierà gran che nei
suoi sentimenti sessuali.
Premesso questo, farò menzione di alcune percentuali ricavate da due studi su
risultati. In primo luogo i risultati che io stesso ho raccolto, intervistando 100 clienti
trattati da me, alcuni anni dopo che avevano seguito un trattamento di una certa
durata; sono dati che ho pubblicato già nel 1986. Parlo, quindi, in base alla mia
esperienza, e parlo di persone che ho conosciuto bene. Tra quelli che non avevano
smesso dopo pochi mesi di seguire il metodo, il 19% ha registrato un “cambiamento
radicale” di sentimenti sessuali: con interessi eterosessuali dominanti e al massimo
pochi impulsi o associazioni di idee omosessuali sporadici, leggeri e transitori. Alcuni
di loro non avevano più provato sentimenti omosessuali negli ultimi due anni. Ho
avuto notizie di alcuni che appartengono a questo 19%, e posso dire che, a vent’anni
di distanza, la loro situazione è rimasta costante. Il 46% aveva fantasie e
comportamenti
prevalentemente
eterosessuali,
ma
sperimentava
ancora
saltuariamente sentimenti chiaramente omosessuali. Il 19% constatava un più
leggero “miglioramento”, mentre per un 16% la situazione emotiva era “immutata”. Il
miglioramento dei caratteri comportamentali ed emotivi nevrotici procedeva più o
meno di pari passo con il cambiamento sessuale. Con il diminuire della nevrosi,
infatti, la persona è più libera e allegra. Questi cambiamenti si verificavano di regola,
gradualmente, dopo un certo periodo di autotrattamento. Magari qualcuno potrà
considerare deludenti questi risultati. Ma una deformazione nevrotica della
personalità non è un fatto superficiale. Da nessun trattamento delle nevrosi possiamo
aspettarci risultati facili o rapidi; lo stesso vale per i risultati dei trattamenti di fobie,
depressioni, o altre nevrosi sessuali. Voglio aggiungere che per molti omosessuali,
anche se non sono tra quelli che registrano un cambiamento “radicale”, si può già
parlare di un miglioramento notevole se solo hanno abbandonato la loro dipendenza
dal sesso. Per arrivare a questa prima meta nel cambiamento o nella guarigione ci è
voluta, spesso, un’autentica lotta.
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Come secondo studio non posso fare a meno di menzionare quello, famoso e
violentemente attaccato dall’establishment gay, del Prof. Spitzer, del 2003. In base ai
suoi criteri più restrittivi, l’11% degli uomini omosessuali e il 37% delle donne
omosessuali esaminati era cambiato completamente sul piano sessuale, e, secondo i
suoi criteri meno restrittivi, le percentuali erano rispettivamente del 29% e del 63%.
Com’è noto, proprio Spitzer ha avuto, nel 1973, un ruolo di protagonista nel
cambiamento di definizione operato dall’APA. Adesso, invece, sostiene che bisogna
ammettere la possibilità del cambiamento. Com’era prevedibile, l’establishment gay
l’ha presa molto male!
A ben vedere, i suoi risultati non differiscono molto dai miei. Spitzer ha notato, inoltre,
un fenomeno interessante: la maggior parte dei cambiamenti più notevoli si
manifestavano nelle persone con una profonda motivazione religiosa, sorta, in certi
casi, da una conversione. È un dato di fatto sicuro; e si trattava di conversione
definitiva, dei cui benefici aveva risentito tutta la persona, non di un entusiasmo
religioso passeggero. Un’altra conclusione di Spitzer è stata il non aver trovato il
minimo indizio di danni psichici causati da trattamenti e metodi di orientamento.
Quest’accusa, infatti, è pura fantasia. È frutto del tipico vittimismo gay, con il suo
procedimento di autodrammatizzazione: dicono che la terapia è una “mutilazione
spirituale”, e altre cose del genere, e che per questo va proibita! Purtroppo questo
procedimento ha una gran efficacia propagandistica.
La sofferenza degli omosessuali non è conseguenza della discriminazione sociale?
È quello che gli ideologi gay non fanno che ripetere, ma è un’assurdità. In Paesi
come l’Olanda e la Germania, dove ormai, da anni, possono vivere come vogliono,
gli omosessuali non hanno smesso di manifestare sintomi psicopatologici di ogni
genere, come risulta anche da una ricerca piuttosto recente dell’Università di Utrecht
(Olanda). Chi esamina l’interiorità e i precedenti di queste persone non ha dubbi sul
fatto che le cause della nevrosi risiedono nel fondo della loro personalità, non nel
mondo esterno.
Ci sono ricadute?
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Sicuro! A volte di breve, a volte di lunga durata. Ecco perché non mi pare bene che
persone che hanno beneficiato da poco di un cambiamento si mettano subito ad
aiutare altre persone afflitte da problemi di omosessualità; come si fa – certamente
con le migliori intenzioni – in certi ambienti di ex-gay cristiani. Tutti i cambiamenti
nelle strutture emotive e comportamentali procedono per alti e bassi. Per questo i
gay hanno buon gioco a citare casi di ricaduta per dimostrare che “il cambiamento è
impossibile”. Chi dà rilievo a questi casi, senza tenere conto di quello che ci
insegnano i resoconti e le autobiografie di persone che hanno conosciuto un
cambiamento radicale, è che non si vuol togliere i paraocchi.
Come viene seguita la raccomandazione dell’APA del 2000, che sconsiglia la
terapia?
Gli psicologi che l’omosessualità la trattano fanno spallucce: vedono chiaramente
che qui la posizione dell’APA non è scientifica, ma politica. Tanto più che negli ultimi
anni si comincia a sentire anche altra musica. Poco fa l’ex Presidente dell’APA degli
psicologi (American Psychological Association), ha espresso la sua convinzione che
agli omosessuali deve essere riconosciuta la libertà di accedere alla terapia. Pure
l’American Counselling Association (per psicologi che praticano l’orientamento) si è
fatta sostenitrice del principio che alle persone con tendenze omosessuali va lasciata
la libertà di scegliere se farsi trattare o no. Tali prese di posizione sarebbero
impensabili, se l’esperienza insegnasse che tali trattamenti sono dannosi. Articoli in
cui si fanno presenti risultati positivi di trattamenti sono già apparsi in riviste
specializzate di psicologia (p.e. in un numero di Professional Psychology: Research
and Practice, 2002).
Che pensa dell’affermazione secondo la quale i trattamenti dell’omosessualità
sarebbero una forma di discriminazione?
L’ideologia gay non fa che capovolgere la realtà. Non sono i terapeuti a discriminare,
ma proprio questi omosessuali accecati. Moltissime persone con tendenze
omosessuali, che non hanno intenzione di aderire al movimento gay e alle sue follie,
non hanno a chi affidarsi per affrontare i loro problemi. Molti vorrebbero cambiare,
ma non sanno come fare. Lo insegna l’esperienza: ogni volta che si rende noto al
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pubblico il nome di un terapeuta che tratta l’omosessualità, questo si vede sommerso
da una valanga di richieste di orientamento e aiuto. Queste persone, che o non
hanno simpatia per l’ideologia e lo stile di vita gay, o ne sono rimaste deluse,
vengono zittite dall’establishment gay, vengono schernite se esprimono i loro
desideri, e messe alla gogna se, poi, si azzardano a rendere nota la storia del loro
cambiamento. Proprio perché l’offerta di aiuto costruttivo da parte della psichiatria e
della psicologia è scarsa o nulla, è sorto – come una necessità – il movimento degli
ex-gay. «Se tutto quello che ci sanno dire è che dobbiamo metterci a vivere da
omosessuali, dobbiamo cercare di risolvere il problema da soli». È evidente che, chi
più chi meno, i gruppi di auto-aiuto hanno un che di dilettantistico, ma in generale il
movimento ex-gay è un fenomeno molto positivo, che dà speranza. Una spina nel
fianco per il movimento gay, ma un grande sostegno per le persone coinvolte da
questa problematica. Presenta molte analogie con l’AA, l’associazione degli alcolisti
anonimi.
La dimensione morale della psiche
Quasi tutte le organizzazioni ex-gay hanno un fondamento cristiano. Secondo il
movimento gay, esse insegnano alle persone a reprimere i propri sentimenti
sovrapponendovi le norme morali cristiane.
Anche qui devo osservare che i gay capovolgono la realtà. Proprio loro insegnano a
reprimere: a reprimere gli aspetti sani e normali che sono sempre presenti in persone
con sentimenti omosessuali, come, per esempio, sentimenti eterosessuali che
spesso si manifestano in forma attenuata, e a reprimere, in ogni caso, il buon senso,
e la voce della coscienza. D’altra parte, alcuni gruppi di ex-gay o loro capi peccano, a
mio avviso, di eccessivo carismatismo, e dovrebbero essere più realistici, perché, in
fin dei conti, il processo di cambiamento è in gran parte un training da affrontare
realisticamente, giorno per giorno; lo stesso vale, d’altra parte, per qualsiasi vittoria
su deviazioni evolutive e nevrosi. Questo non basta, però, per affermare che tutto
quello che fanno questi gruppi, ciascuno con il suo stile, sia inutile. Ci sono, peraltro,
altri gruppi, nei confronti dei quali questa mia critica non è pertinente, o lo è di meno.
Anche loro si servono delle conoscenze psicologiche sviluppate e approfondite negli
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ultimi decenni, proprio – si noti! – nel periodo in cui l’ambiente ufficiale si è reso
sempre più repressivo nei confronti dei tentativi di cambiamento.
Tanto più che una profonda fede personale è già un fattore che dà orientamento alla
vita interiore, aiuta a risanare i propri sentimenti e conferisce speranza, allegria e
pace; tutte cose che spesso rendono molto più efficaci gli sforzi di autotrattamento.
Questo spiega perché Spitzer ha potuto osservare che il fattore “religione” ha in sé
evidenti virtù terapeutiche. Noti che Spitzer non è credente: è un ebreo libero
pensatore ed ateo. Ma è un fatto che la psiche ha una dimensione spirituale e
morale, che non può essere trascurata da una psicoterapia che voglia andare a
fondo: si tratti di deviazioni sessuali, nevrosi, delinquenza o addirittura psicosi. L’odio
nutrito dai gay ideologizzati contro l’autentico spirito cristiano è, in fin dei conti,
un’avversione alla coscienza; nel fondo del loro animo si sentono accusati, perché –
lo vogliano o no – la vita da omosessuale è un peso per la loro coscienza. Ecco il
perché della veemenza con cui sentono il bisogno di giustificarsi, sia nei confronti del
mondo esterno sia nei confronti di loro stessi.
Quanto alla repressione o alla cosiddetta “rimozione” di sentimenti omosessuali,
bisogna fare una distinzione. “Rimuovere” significa negare di avere determinati
sentimenti o motivazioni; cosa che, naturalmente, non è positiva. Ma imparare a
controllare e (come io preferisco dire) contenere coscientemente tendenze e passioni
immature, egocentriche e autodistruttive, è indispensabile per raggiungere la salute
psichica e l’equilibrio emotivo. Per molti omosessuali il sesso è un’ossessione, e
sono totalmente in balìa dei loro impulsi. Soffrono la massima privazione di libertà. È
come per l’alcolismo: quanto più si impara a contenere gli impulsi non desiderati,
tanto più libertà si conquista. Chi impara a contenersi conquista la vittoria. I
cambiamenti comportamentali ed emotivi sono il risultato di un apprendimento.
Apprendere qualcosa vuol dire smettere qualcos’altro. Ma anche qui l’obiezione
dell’ideologia gay è scontata: figurati! Dire “No” alla propria venerata omosessualità?
Non sia mai!
Il movimento gay presenta spesso la terapia come coercizione morale.
Come ho già detto, proprio i gay negano la libertà di scelta a chi non vuole pensare
ed agire come loro. È come nel caso dell’aborto. Il movimento abortista nega –
nonostante le sue dichiarazioni in contrario – libertà alla donna, con vari mezzi, tra i
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quali la privazione di informazioni veritiere. Il movimento omosessuale non rispetta il
principio della libera scelta: agli enti pubblici della Sanità e ai professionisti abilitati
deve essere interdetto, secondo loro, qualsiasi “trattamento” che non sia mirato alla
“accettazione”, il che significa perversione in salsa sanitaria o psicologica. È vero
che, ogni tanto, si sente dire da omosessuali militanti che loro il principio di libera
scelta lo rispettano. Un esempio è Le Vay, il ricercatore che tempo fa riteneva di
avere riscontrato nel cervello di alcuni uomini omosessuali una caratteristica
distintiva. Quelli che la libertà di scelta in ogni caso la rispettano sono proprio il
movimento ex-gay e gli orientatori e terapeuti. Chi tratta l’omosessualità sa che non
si ottiene niente se il cliente non si rivolge a lui per sincera convinzione, e che un
elemento essenziale di qualsiasi cambiamento decisivo è la libera volontà.
La terapia ha come scopo un cambiamento completo e radicale?
Questo è l’ideale, naturalmente! Ma, in pratica, no. Lo scopo immediato è lo
“smontaggio” dell’emotività nevrotica ed omosessuale, con le abitudini annesse e
connesse; insegnare al cliente come deve lottare con sé stesso e vivere in maniera
più costruttiva. Una persona che sia anche solo “migliorata”, pure nei suoi interessi
erotici, ha già conseguito una grande vittoria, perché non è sempre necessario, per
parlare di “successo”, che il risultato sia perfetto. L’uno avanza più dell’altro. Bisogna,
d’altra parte, tenere conto del fatto che anche il punto di partenza differisce da
persona a persona, quanto a intensità della nevrosi o resistenza delle abitudini ad
essa connesse, in fatto di comportamento, pensieri e sentimenti. È un po’ come per
le affezioni reumatiche. Pure queste si presentano in forme più o meno gravi, ma tutti
gli interventi, gli strumenti e le medicine che favoriscono il miglioramento del paziente
sono benvenuti. Dire che “se non si può garantire un cambiamento perfetto, la
terapia, l’orientamento o la formazione non servono a niente” è da miopi; è un’idiozia
che, se consideriamo quant’è forte il bisogno che persone con sentimenti
omosessuali hanno di un sano aiuto psichico e morale, e spesso di un duraturo
sostegno, dobbiamo rigettare con decisione.
Come gruppo sociale di pressione, l’ideologia gay è potente. Riuscirà ad imporre la
propria volontà, e a proibire i trattamenti?
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Secondo questa ideologia bisogna arrivare ad una profonda “omosessualizzazione”
della società, vale a dire a che si consideri normale il comportamento omosessuale e
lo si promuova fin dall’infanzia. Ci sono già riusciti più di quanto la maggior parte
della gente trent’anni fa avrebbe potuto immaginare. La maggioranza della
popolazione non riesce ancora a comprendere quanto sia pericolosa l’ideologia gay.
Molti pensano che, in fondo, non sarà questo gran disastro. È un’ingenuità
paragonabile a chi negli anni Trenta del secolo scorso non si preoccupava delle
teorie razziste che dominavano in Germania: “prima o poi – si pensava – le cose si
sistemeranno”. L’ideologia gay è cieca e tiranna. Per di più viene portata avanti con
estrema energia dalla “chiesa” laicista, e viene considerata come un ariete per aprire
una breccia nel muro delle norme cosiddette tradizionali in materia di sessualità, di
“ruoli” uomo-donna, e soprattutto di matrimonio e famiglia normale. È per questo che
l’ideologia gay suona come un primo violino nell’orchestra dell’Organizzazione
mondiale della sanità (WHO) e nei diversi organismi dell’ONU e dell’UE. Questo
consapevole
accoppiamento
di
controllo
demografico
e
promozione
dell’omosessualità nei programmi dell’ONU e dell’UE presenta analogie ed affinità
con analoghi programmi ideati dai nazisti. Questi studiavano come ridurre
drasticamente la popolazione degli Slavi in Europa orientale, e vedevano nella
normalizzazione dell’omosessualità un’arma psicologica atta a scalzare la morale
sessuale tradizionale, portando così ad una riduzione delle nascite. Quanto più si
normalizza l’omosessualità nella vita pubblica, tanto più si relativizza la morale
sessuale. Pertanto, adesso non facciamoci illusioni: non è un fenomeno che sparirà
presto da sé, ma una strategia mondiale, ben studiata e abbondantemente
finanziata, attuata con forme più o meno sottili di coercizione. Esiste un pericolo reale
che questa ideologia, dopo aver seminato incertezza e dubbio tra le masse, le
indottrinerà e tirannizzerà sempre di più, a meno che non ci decidiamo a lanciare una
reale controffensiva. Per fare questo bisogna abbandonare l’idea falsamente
ottimista che il problema si limiti a quella minima percentuale di persone con
sentimenti omosessuali, che bisogna lasciare che decidano per conto loro come si
devono comportare nelle loro faccende private.
Un’avversione naturale
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Riuscirà l’indottrinamento gay a cambiare il pensiero della gente su sessualità
normale ed anormale?
È l’utopia che accarezzano i gay e l’élite intellettuale e politica prigioniera della
stessa ideologia. Ma si illudono. Penso che vedremo svilupparsi due ordini di
fenomeni – sempre che non ci decidiamo a svegliarci e a reagire energicamente. Da
una parte l’ideologia gay estenderà e rafforzerà la sua tirannia su tutti i settori della
vita sociale. Sarà l’omosessualizzazione della società. Per fare qualche esempio,
sarà sempre più limitata la libertà di scrivere e parlare di omosessualità in un certo
modo; sarà interdetta qualsiasi ricerca scientifica che non sia stata approvata da una
qualche commissione gay; pubblicazioni e film saranno soggetti ad una censura gay;
le chiese si guarderanno dal pronunciare parole di “disapprovazione” sul
comportamento omosessuale; tutte le professioni e funzioni sociali saranno soggette
al rilascio di un certificato di “buona” condotta, vale a dire di condotta pro-gay, o di
una dichiarazione di adesione alla “ortodossia” gay; omosessuali praticanti verranno
privilegiati in tutte le maniere possibili, molto al di là del livello della “pari opportunità”;
sarà obbligatorio fare sì che i bambini già in tenera età abbiano familiarità con il
comportamento omosessuale. Tutto ciò sotto il controllo inquisitorio di un’Autorità
Giudiziaria “illuminata” e pro-gay. Sono tutte cose che già adesso si verificano: basta
avere occhi per vedere. Possiamo stare sicuri che anche la pedofilia, alla fine, sarà
“normalizzata” e propagata; in maniera ipocrita, con il bambino “consenziente” –
naturalmente dopo che gli sarà stato lavato abbondantemente il cervello. I pedofili
sono sempre stati un’ala influente e attiva del movimento gay, e, una volta che
l’omosessualità, con la sfrenatezza e la promiscuità che le sono insiti, avrà raggiunto
il giusto grado di istituzionalizzazione, non ci sarà più ragione di continuare a
praticare la pedofilia in forma “clandestina” e di negarle la “parità di diritti”. Un piano
folle? Certo! Ma chi può contare su potere, denaro, coercizione politica,
indottrinamento e media servili, può arrivare molto lontano. Questa è una faccia della
medaglia.
Dall’altro lato le masse non assimileranno mai completamente la concezione
antinaturale che viene loro imposta. Andrà come con il comunismo. Molti,
probabilmente i più, presteranno all’innaturale “religione” omosessuale un culto
formale, dettatogli dalla paura, ma si finirà col crederci sempre di meno. Allora il
comportamento sociale si farà sempre più schizofrenico: da una parte le persone si
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comporteranno e parleranno come il potere si aspetta da loro, dall’altra l’avversione
naturale per l’omosessualità non farà che aumentare. Sono fenomeni che già adesso
vediamo verificarsi sotto i nostri occhi, per esempio in Olanda e in Germania, dove,
secondo le illusioni di “accettazione sociale” nutrite dai gay, dovresti aspettarti che
l’indottrinamento – qui già in corso da decenni – abbia dato ormai i suoi “frutti”. Al
contrario: adesso la stessa parola homo (“omosessuale”) è diventata un insulto tra i
giovani olandesi. Non hanno più bisogno di ricorrere ai coloriti sinonimi tradizionali,
equivalenti dell’italiano “checca” e “finocchio”. Quanto più lo Stato protegge il lifestyle
gay, tanto più isolato si trova ad essere l’omosessuale nei suoi rapporti personali.
Senza contare, poi, che la comunità islamica che cresce in Europa non accetterà mai
l’indottrinamento gay, e lo considererà sempre un segno di decadenza dell’Occidente
o del Cristianesimo. Se ne sono già accorti gli omosessuali attivi di Amsterdam, che
pensavano di aver fatto di questa città la loro Mecca. Un’inchiesta piuttosto recente
tra i giovani di Monaco di Baviera e dintorni ha dimostrato che il 70% di loro vede
l’omosessualità come una cosa “non buona”. Non mancano, peraltro, inchieste
manipolate, che possono dare l’impressione erronea che una gran parte del pubblico
abbia già assunto un atteggiamento di accettazione nei confronti dell’omosessualità,
ma, se le domande si pongono correttamente, si scopre che la maggioranza continua
a considerarla anormale, e che, in realtà, quella che sembra accettazione è, invece,
indifferenza o correttezza politica. I gruppi omosessuali che hanno ottenuto il
permesso di propagare l’idea della loro normalità nelle scuole medie, hanno adottato
negli ultimi tempi la tattica di mandare come loro rappresentanti giovani uomini
omosessuali dall’aspetto virile e lesbiche dall’aspetto femminile, figure certamente
non rappresentative della media degli omosessuali e delle lesbiche; hanno capito,
infatti, che “checche” e “virago” ottengono soltanto l’effetto contrario a quello
desiderato.
Non mi azzardo a dire in che modo raggiungerà il suo apogeo questa tirannia
omosessuale che vediamo avanzare a grandi passi, ma sono sicuro che, prima o poi,
finirà. Per la semplice ragione che è troppo anormale. È meglio, però, non aspettare
con le mani in mano che si sgonfi da sé, perché, nel frattempo, il fanatismo degli
ideologi avrà provocato tanta miseria psichica e un tale caos da farci sprofondare in
uno stato di anarchia sessuale e sociale.
A cura di Roberto Marchesini
14
Cristianità, n. 327 gennaio-febbraio 2005, pp. 7 - 11
«After the ball»: un progetto
«gay» dopo il baccanale
I. La Rivoluzione sessuale ha contribuito, con altre concause, alla crisi dell’istituzione
familiare, e questa crisi non è a sua volta estranea all’emergere di problemi connessi con
l’omosessualità, definita come una preferenza sessuale predominante e persistente per
persone dello stesso sesso.
Una componente tanto chiassosa quanto minoritaria del mondo omosessuale è costituita
dagli attivisti gay, che si prefiggono l’accettazione, da parte della società, dell’omosessualità
come variante «naturale» dell’orientamento sessuale umano.
È importante distinguere fra omosessuali e gay: il termine «omosessualità » indica una
tendenza o inclinazione sessuale, mentre il termine gay indica un’identità sociopolitica. Non
tutte le persone con inclinazione omosessuale s’identificano nello stile di vita gay, anzi: la
maggioranza di loro non è orgogliosa di tale inclinazione, non considera «normale» la propria
omosessualità e non teorizza il riconoscimento dello stile di vita gay come positivo per sé e
per la società (1).
II. Gli attivisti gay si prefiggono una vera e propria Rivoluzione omosessualista della società?
Essi lo negano, bollando questa ipotesi come espressione di complottiamo paranoico. Un
interessante saggio, scritto ormai poco più di quindici anni fa ma ancora attuale, sembra però
confermare questa ipotesi. L’opera, intitolata After the ball. How America will conquer its fear
& hatred of Gays in the 90’s, «Dopo il ballo. Come l’America sconfiggerà la sua paura e il suo
odio verso i gay negli anni 1990» (2), è stata pubblicata nel 1989 da Marshall Kirk,
«ricercatore in neuropsichiatria, logico- matematico e poeta» (p. I), e da Hunter Madsen,
«esperto di tattiche di persuasione pubblica e social marketing» (ibidem). Il «ballo» a cui gli
autori fanno riferimento è il baccanale provocatorio e oppositivo innescato dalla Rivoluzione
gay degli anni 1970 e 1980.
Si tratta di una lettura decisamente sorprendente: nel caso non si voglia credere al complotto
o a un’efficacia magica della strategia di «persuasione pubblica» e di «social marketing»
esposta nell’opera, bisogna riconoscere agli autori un’incredibile capacità previsionale; vi si
trova infatti un’accurata descrizione degli obiettivi e dei metodi dell’attuale movimento gay.
«The gay revolution has failed», «La rivoluzione gay è fallita» (p. XV). Secondo gli autori il
movimento gay degli anni 1970 e 1980, ispirandosi al modello marxista (3), ha collezionato
una serie di fallimenti che hanno reso la comunità gay ancor più isolata e malvista dal resto
della popolazione.
Gli anni 1990 presentano tuttavia una nuova possibilità per rilanciare la Rivoluzione gay.
Cosa rende questi anni particolarmente favorevoli a essa? Gli autori lo spiegano senza
pudore: «Per quanto cinico possa sembrare, l’AIDS ci dà una possibilità, benché piccola, di
affermarci come una minoranza vittimizzata che merita legittimamente l’attenzione e la
protezione dell’America» (p. XXVII). Kirk e Madsen intendono analizzare il fallimento e
proporre strumenti concreti per sfruttare la nuova possibilità offerta dall’AIDS al movimento
gay: «Pensiamo a una strategia accurata e potente quanto quella che i gay sono accusati dai
loro nemici di perseguire — o, se preferite, a un piano altrettanto manipolatorio quanto quello
sviluppato dai nostri stessi nemici. [...] I gay devono lanciare una campagna sul larga scala —
che noi abbiamo chiamato Waging Peace campaign — per raggiungere gli eterosessuali
attraverso i media commerciali. Stiamo parlando di propaganda» (p. 160). La denominazione
della campagna è costruita sulla base di un gioco di parole, dal momento che waging war
significa «muovere guerra», e il nemico individuato è il «bigottismo antigay» (p. 134).
III. Nella prima parte dell’opera gli autori analizzano i «bottoni sbagliati » (p. 134) premuti dal
movimento gay nei due decenni precedenti.
1. «La discussione, o l’aumento della consapevolezza» (p. 136). Questa tattica non ha
funzionato, secondo Kirk e Madsen, perché fondata sul presupposto erroneo che il
pregiudizio — tale sarebbe il «bigottismo antigay» — non è una credenza che si possa
confutare argomentando, ma un sentimento da affrontare come tale.
2. «Il combattimento, o l’assalto alle barricate» (p. 140). Questa tattica ha avuto, secondo gli
autori, l’effetto di suscitare irritazione e fastidio negli eterosessuali; pertanto è da ritenersi
dannosa.
3. «Lo shock, o l’inversione di genere» (p. 144). Il riferimento in questo caso è alle marce
dell’orgoglio gay, che in genere hanno lo scopo di affermare in modo provocatorio e bizzarro
la cultura gay come «diversa». Poiché l’obiettivo è quello di cambiare la mentalità della
società, tali manifestazioni di affermazione della «diversità» sono controproducenti. Invece, si
deve «[...] per prima cosa mettere un piede nella porta, rendendosi il più simile possibile a
loro; dopo, e solamente dopo — quando l’unica tua piccola differenza è stata accettata —
puoi iniziare a imporre altre tue caratteristiche, una alla volta» (p. 146).
A queste tre tattiche gli autori ne contrappongono altre tre, tre «bottoni giusti» (p. 147) da
premere per «fermare, far deragliare o far marciare all’indietro il motore del pregiudizio»
(ibidem).
1. «La desensibilizzazione». Come tutti i meccanismi di difesa psicofisiologici, spiegano gli
autori, anche il pregiudizio antigay può diminuire con l’esposizione prolungata all’oggetto
percepito come minaccioso (4). Bisogna quindi «inondare» (p. 149) la società di messaggi
omosessuali per «desensibilizzare» (ibidem) la società stessa nei confronti della minaccia
omosessuale.
2. «Il grippaggio» (p. 150). Questa tattica consiste nel presentare messaggi che creino una
dissonanza cognitiva (5) nei bigotti antigay, per esempio mostrando a soggetti che rifiutano
l’omosessualità per motivi religiosi come l’odio e la discriminazione non siano «cristiani»;
oppure mostrando le terribili sofferenze provocate agli omosessuali dalla crudeltà omofobica
(6).
3. «La conversione» (p. 153). Con questa tecnica s’intende suscitare sentimenti uguali e
contrari rispetto a quelli del bigottismo antigay, ossia infondere nella popolazione sentimenti
positivi nei confronti degli omosessuali e negativi nei confronti dei bigotti antigay.
Gli autori indicano poi «otto principi pratici» (p. 172) per la persuasione della popolazione
tramite i mass media.
1. «Non esprimere semplicemente te stesso: comunica!» (p. 173). L’espressione di sé può
avere un effetto liberante, ma è scarsamente efficace. Molto meglio comunicare: «[...] gli
eterosessuali devono essere aiutati a credere che tu e loro parlate lo stesso linguaggio» (p.
174).
2. «Non curarti dei salvati e dei dannati: rivolgiti agli scettici» (p. 175). Gli autori individuano
tre gruppi di persone divisi in base al loro atteggiamento nei confronti del movimento gay: gli
«intransigenti» (ibidem), stimati in circa il 30/35% della popolazione, gli «amici» (ibidem),
circa il 25/30%, e gli «scettici ambivalenti» (ibidem), circa il 35/45%; questi ultimi
rappresentano il target designato: a loro bisogna dedicare gli sforzi maggiori applicando le
tecniche di desensibilizzazione con quelli meno favorevoli e di blocco e conversione con i più
favorevoli. Le altre due categorie, i «dannati» e i «salvati», vanno rispettivamente «silenziati»
(p. 176) e «mobilitati» (p. 177).
3. «Parla continuamente» (ibidem). Il metodo migliore per desensibilizzare gli «scettici
ambivalenti» sta nel «[...] parlare dell’omosessualità finché l’argomento non sia diventato
assolutamente noioso» (p. 178) (7). Inoltre, è bene dare spazio ai teologi del dissenso perché
forniscano argomenti religiosi alla campagna contro il bigottismo antigay (8).
4. «Mantieni centrato il messaggio: sei un omosessuale, non una balena» (p. 180). Gli attivisti
sono tenuti a parlare esclusivamente dell’omosessualità; associare questo messaggio ad altri
può essere controproducente per vari motivi: le organizzazioni che si battono per cause
umanitarie o ambientalistiche sono generalmente impopolari, più piccole dei gruppi gay e
solitamente si occupano di argomenti remoti ed effimeri, come — per esempio — il destino
delle balene; inoltre si rischia di confondere le idee rispetto al target. Molto meglio rimanere
centrati esclusivamente sull’omosessualità.
5. «Ritrai i gay come vittime, non come provocatori aggressivi» (p. 180). Per stimolare la
compassione i gay devono essere presentati come vittime a. delle circostanze — perciò,
dicono gli autori, «[...] sebbene l’orientamento sessuale sembri il prodotto di complesse
interazioni fra predisposizioni innate e fattori ambientali nel corso dell’infanzia e della prima
adolescenza» (p. 184) (9), l’omosessualità dev’essere presentata come innata — e b. del
pregiudizio, che dev’essere indicato come la causa di ogni loro sofferenza.
6. «Da’ ai potenziali protettori una giusta causa» (p. 187). Ossia: non bisogna chiedere
appoggio per l’omosessualità, ma contro la discriminazione.
7. «Fa’ che i gay sembrino buoni » (ibidem). I gay devono essere presentati non solo come
membri a tutti gli effetti della società, ma addirittura come «pilastri» (p. 188) di essa. Un
ottimo modo per farlo sta nel presentare una serie di personaggi storici famosi, noti per il loro
contributo all’umanità, come gay: chi mai potrebbe discriminare Leonardo da Vinci (14521519)?
8. «Fa’ che gli aggressori sembrino cattivi» (p. 189). Un ottimo metodo consiste nell’accostare
gli «intransigenti », per esempio, ai nazionalsocialisti. Poiché intendono proporre agli attivisti
gay un metodo pratico, gli autori non trascurano d’inserire nella loro opera un portfolio di
manifesti pro-gay, valutati in base alla loro aderenza agli «otto princìpi pratici » (pp. 215-245).
Non mancano neppure un’attenta analisi dei mass media per la scelta dei più efficaci (pp.
200-204) e un piccolo manuale di fund raisingper il finanziamento delle campagne sui mezzi
di comunicazione sociale (pp. 262-270).
La messa in opera della «strategia » deve però affrontare un notevole ostacolo: gli stessi gay,
meglio: lo stile di vita gay. Questo stile di vita, descritto da Kirk e Madsen come amorale (p.
289), «narcisistico » (p. 297) e patologico (pp. 296- 297), rischia di rendere gli attivisti
testimonial poco credibili per il messaggio normalizzante e rassicurante che si vuole
trasmettere. A questo scopo è accluso un «Codice di autocontrollo sociale» (p. 360), che
comprende «regole» (ibidem) per le relazioni con gli eterosessuali, con altri gay e con sé
stessi. Se ancora fosse possibile stupirsi a questo punto della lettura, sarebbe il caso di farlo
di fronte a questo «codice»: proibendo una serie di condotte, esso costituisce l’ammissione
degli stessi comportamenti che si vogliono negare; per esempio, nell’elenco si trova «Non
farò sesso in pubblico» (ibidem), «Se sono un pedofilo o un masochista lo terrò nascosto e
starò lontano dalle parate del Gay Pride» (ibidem), «Non tradirò il mio compagno » (ibidem),
«Smetterò di tentare di essere perennemente un diciottenne e mi comporterò secondo la mia
età; non mi punirò perché non sono ciò che vorrei» (ibidem), «Non berrò più di due drink
alcolici al giorno; non farò assolutamente uso di droghe» (ibidem), e così via.
IV. Che dire di questa «strategia»? Ha trovato applicazione? Siamo forse nel pieno
dell’offensiva predisposta da Kirk e da Madsen? Si può osservare qualche coincidenza.
Nel 1993 l’ILGA, l’International Lesbian & Gay Association, la più importante lobby gay
mondiale, che unisce più di 400 organizzazioni di 90 paesi in tutto il mondo fra le quali
l’Arcigay — la principale organizzazione gay italiana, fondata a Bologna nel 1985 — espelle
la NAMBLA, la North American Man/Boy Love Association, associazione che ha fra i suoi
scopi la diffusione della pedofilia, dopo oltre dieci anni di stretta collaborazione e nonostante il
fatto che i rappresentanti della NAMBLA avessero collaborato alla costituzione dell’ILGA (10).
La NAMBLA protesta pubblicamente ma la posizione dell’ILGA viene «rafforzata» nel 1994 da
un emendamento del Senato degli Stati Uniti d’America, che subordina la prosecuzione dei
finanziamenti statunitensi all’ONU, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, alla garanzia che
«nessuna agenzia affiliata alle Nazioni Unite garantisca alcuno status, accreditamento o
riconoscimento ufficiale a qualsiasi organizzazione che promuova, tolleri o cerchi la
legalizzazione della pedofilia, o che includa come consociate o membri una qualunque di tali
organizzazioni» (11). Quindi, per continuare a usufruire dei finanziamenti statunitensi, l’ONU
minaccia l’ILGA di espellerla dall’ECOSOC, l’Economic and Social Council, se avesse
mantenuto i rapporti con la NAMBLA.
E Kirk e Madsen, affrontando l’argomento delle affiliazioni controproducenti, citano proprio il
caso della NAMBLA: «[...] permettere ai difensori della legalizzazione dell’amore fra uomini e
ragazzi di partecipare alle marce del Gay Pride è, dal punto di vista delle pubbliche relazioni,
un puro disastro» (p. 146; cfr. pure pp. 146-147, 184 e 306).
Qualcosa di simile avviene anche in Italia. Il 13 luglio 1993 undici persone vengono arrestate
a Milano con l’accusa di abusi sessuali su minori; fra esse Francesco Vallini, redattore di
Babilonia. Mensile gay e lesbico — la rivista gay fondata a Milano nel 1982 — e animatore
del Gruppo P, un’associazione di pedofili. Il presidente dell’Arcigay, on. Franco Grillini, invece
di prendere le difese del redattore della maggiore testata gay italiana, dichiara: «[...] bisogna
essere masochisti, o non capire che chi rivendica politicamente la pedofilia danneggia i
movimenti di liberazione sessuale, alimentando il pregiudizio popolare contro i gay» (12).
La redazione di Babilonia. Mensile gay e lesbico risponde denunciando come puramente
strategico l’atteggiamento dell’Arcigay: «[...] siccome la pedofilia è repellente, non bisogna
difendere i gay pedofili ingiustamente accusati. Anzi, bisogna prendere le distanze, perché
esprimere solidarietà può “sporcare” l’immagine del movimento. Questa benedetta immagine
che è diventata tutto per l’Arcigay, a scapito della sostanza. L’importante è la facciata.
L’importante è apparire [...]. Ecco, il botto è scoppiato per questa ragione: perché qualcuno,
noi, ha rifiutato di accontentarsi della sola politica di “immagine” e si è ostinato a perseguire
quella dei “fatti”. Il Gruppo P è solo un pretesto: il conflitto è in realtà fra due modi di intendere
la politica dei diritti civili» (13). Dal canto loro, Kirk e Madsen prevengono anche questa
critica: «Sarà sollevata l’obiezione — e sarà sollevata spesso — che noi vorremmo
“ziotommizzare” (14) la comuni-tà gay; che stiamo cambiando uno stereotipo falso con un
altro ugualmente falso; che i nostri messaggi sono bugie; che questo [l’icona della normalità]
non è il modo in cui tutti i gay attualmente appaiono; i gay lo sanno e i bigotti lo sanno. Certo,
ovviamente, anche noi lo sappiamo. Ma non è importante se i nostri messaggi sono bugie;
non per noi, perché li stiamo usando per un effetto eticamente buono, per opporci a stereotipi
negativi che sono sempre un pochino falsi, e molto di più malvagi; non per i bigotti, perché i
messaggi avranno il loro effetto su di loro sia che ci credano sia che non ci credano» (p. 154).
Che l’Arcigay persegua un piano strategico molto simile a quello proposto da Madsen e da
Kirk è confermato da Giovanni Rossi Barilli, giornalista, scrittore e militante gay: «Nell’epoca
della tivù e del virtuale, con un crescente predominio dell’apparire sull’essere, costruirsi una
buona immagine pubblica era estremamente importante ed era un obiettivo che l’Arcigay si
mise a perseguire con determinazione. Grazie soprattutto al metodico lavoro di Franco Grillini
[...] l’associazione aveva ben presente che uno dei suoi scopi fondamentali era far parlare di
sé, avere il massimo dell’attenzione da parte dei mezzi di informazione. Per dirla con una
formula destinata a grande successo, “essere visibili”. [...]
«L’Arcigay, nella rappresentazione dei mass media, è diventata la portavoce quasi unica degli
omosessuali italiani, la massima proiezione di quello che altrove si chiama a buon diritto
comunità gay» (15). A proposito di quest’ultima considerazione di Rossi Barilli, si può
osservare che Kirk e Madsen pongono, per il perseguimento degli obiettivi prefissati, la
seguente condizione: «Vi dovrebbe essere soltanto una organizzazione gay, riconosciuta
come tale» (p. 249). È facile immaginare quali siano le conseguenze di questa scelta, per
esempio, per gli omosessuali che non condividono lo stile di vita gay i quali, infatti, pur
essendo la maggioranza, sono praticamente invisibili.
Questa strategia è stata condotta attraverso campagne mirate, scelte accuratamente.
Propongo un esempio di bruciante attualità: «Si apre un pubblico dibattito sulle unioni civili,
che sempre più diventano la questione prioritaria nell’agenda dell’Arcigay. E questo non
accade perché migliaia di coppie omo scalmanate diano l’assedio al quartier generale per
poter coronare il loro sogno d’amore. Anzi, il numero delle coppie disposte a impegnarsi per
avere il riconoscimento legale è addirittura trascurabile [...].
«Ma il punto vero è che le unioni civili sono un obiettivo simbolico formidabile. Rappresentano
infatti la legittimazione dell’identità gay e lesbica attraverso una battaglia di libertà come
quelle sul divorzio o sull’aborto, che dispone di argomenti semplici e convincenti: primo fra
tutti la proclamazione di un modello normativo di omosessualità risolto e rassicurante. Con la
torta nel forno e le tendine alle finestre, come l’ha definito una voce maligna. Il messaggio è
più o meno il seguente: i gay non sono individui soli, meschini e nevrotici, ma persone
splendide, affidabili ed equilibrate, tanto responsabili da desiderare di mettere su famiglia.
Con questo look “affettivo” non esente da rischi di perbenismo si fa appello ai sentimenti più
profondi della nazione e si vede a portata di mano il traguardo della normalità. [...] A questa
porta si bussa con discrezione, assicurando che non si vuole assolutamente il matrimonio
omosessuale: questa prospettiva fa inorridire gli stessi gay. E nemmeno si rivendica la
possibilità di adottare figli per le coppie omo, perché i tempi non sono maturi. Ci si
accontenterebbe di regolare la questione dell’eredità, della pensione, dell’affitto, della
reciproca assistenza fra i partner» (16). Kirk e Madsen, che consigliano l’utilizzo strategico
dell’argomento delle unioni gay, sottolineano il modo più efficace per presentare il messaggio:
«Noi non stiamo combattendo per sradicare la Famiglia: stiamo combattendo per il diritto a
essere Famiglia» (p. 380).
V. Che dire? È davvero folkloristico il parlare di una lobby gay? È frutto di complottismo
paranoico pensare a una strategia messa in atto dal movimento gay? Oppure After the ball.
How America will conquer its fear & hatred of Gays in the 90’s può aiutare a «distinguere i
segni dei tempi» (Mt. 16, 3)? «Dopo ogni rivoluzione — insegna Nicolás Gómez Dávila (19131994) — il rivoluzionario ci avvisa che la vera rivoluzione sarà la rivoluzione di domani» (17).
E Kirk e Madsen confermano: «For, you see, the ball is over. [...] Tomorrow, the real gay
revolution begins», «Come vedi, il ballo è finito. [...] Domani inizia la vera rivoluzione gay»
(ibidem).
Roberto Marchesini
(1) Cfr. JOSEPH NICOLOSI, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, trad. it., con
Presentazione di Chiara Atzori e Postfazione di Livio Fanzaga S.P., Sugarco, Milano 2002,
pp. 15-17 (recensione di Bruto Maria Bruti, in Cristianità, anno XXXII, n. 321, gennaio
febbraio 2004, pp. 18-22).
(2) Cfr. MARSHALL KIRK e HUNTER MADSEN, After the ball. How America will conquer its
fear & hatred of Gays in the 90’s, Plume, New York 1990. Tutte le citazioni senza rimando in
nota sono tratte da quest’opera e la loro paginazione è posta nel testo fra parentesi.
(3) Cfr. il riferimento al marxismo del movimento gay italiano, in GIANNI ROSSI BARILLI, Il
movimento gay in Italia, Feltrinelli, Milano 1999; e in MARIO MIELI, Elementi di critica
omosessuale, a cura di G. Rossi Barilli e Paola Mieli, Feltrinelli, Milano 2002.
(4) Cfr. la teoria della «desensibilizzazione sistematica», in JOSEPH WOLPE (1915-1997),
Psychotherapy by reciprocal inhibition, Stanford University Press, Stanford (California) 1958;
cfr. pure PIO SCILLIGO, La psicoterapia: Storia, modelli, orientamenti e tendenze moderne,
in Psicologia Psicoterapia e Salute, vol. 2, n. 1, Roma 1996, pp. 1-34.
(5) Cfr. LEON FESTINGER, Teoria della dissonanza cognitiva, trad. it., con Prefazione di
Gustavo Iacono, Franco Angeli, Milano 2001.
(6) Cfr. il mio Il feticcio (omosessuale) dell’omofobia, in Studi Cattolici. Mensile di studi e
attualità, anno XLIX, n. 528, Milano febbraio 2005, pp. 112-116.
(7) Cfr. Omosessualismo: nuova ondata di propaganda nei mass-media, in Corrispondenza
Romana, n. 880, Roma 27-11-2004, p. 1.
(8) Cfr., per esempio, JEANNINE GRAMICK S.S. N.D. e ROBERT NUGENTM S.D.S., Anime
gay. Gli omosessuali e la Chiesa cattolica, trad. it. a cura di Andrea Ambrogetti, Editori Riuniti,
Roma 2003; sui due autori, cfr. sui due autori, cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede,
Notificazione riguardante Suor Jeannine Gramick, SSND, e Padre Robert Nugent, SDS.,
Roma 31 maggio 1999, in L’Osservatore Romano, Città del Vaticano 14-7-1999; cfr. pure
DOMENICO PEZZINI, Le mani del vasaio. Un figlio omosessuale: che fare?, prefazione di
Giannino Piana, Ancora, Milano 2004, su cui cfr. il mio Omosessualità, un libro equivoco per
un problema serio, ne il Timone. Mensile di informazione e formazione apologetica, anno VI,
n. 38, Fagnano Olona (Varese) dicembre 2004, p. 10.
(9) Cfr. J. NICOLOSI, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, cit.; IDEM e LINDA
AMES NICOLOSI, Omosessualità. Una guida per i genitori, trad. it., con Presentazione di C.
Atzori, Milano, Sugarco 2003; GERARD VAN DEN AARDWEG, Omosessualità e speranza.
Terapia & guarigione nell’esperienza di uno psicologo, trad. it., con Introduzione di Paul C.
Vitz, Ares, Milano 1995; IDEM, Una strada per il domani, guida all’(auto)terapia
dell’omosessualità, trad. it., Città Nuova, Roma 2004; B. M. BRUTI, Omosessualità: vizio o
programmazione biologica?, in Cristianità, anno XXIII, n. 243- 244, luglio-agosto 1995, pp. 512; e IDEM, Domande e risposte sul problema dell’omosessualità, ibid., anno XXX, n. 314,
novembre dicembre 2002, pp. 7-24.
(10)
Cfr.
<http://groups.google.it/groups?q=ilga+nambla&hl=it&lr=&selm
=2icgo2%24t6%40panix2.panix. com&rnum=2>, visitato il 28 febbraio 2005.
(11) Cfr. 103d Congress, 2d Session, 26 january 1994, Sec. 102. International Organizations,
Programs
and
Conferences,
(g)
Withholding
of
funds,
in
<http://frwebgate.access.gpo.govcgibin/useftp.cgi?IPaddress=162.140.64.89&filename=h233
3enr.pdf&directory=/disk3/wais/data/103_cong_bills>, visitato il 28 febbraio 2005.
(12) FRANCO GRILLINI, Intervista a Il Giorno, cit. in G. ROSSI BARILLI, op. cit., p. 217.
(13) Via la maschera, in Babilonia. Mensile gay e lesbico, n. 115, Milano ottobre 1993, cit. in
G. ROSSI BARILLI, op. cit., p. 217.
(14) Il riferimento è al protagonista del romanzo La capanna dello zio Tom, del 1852, opera
della scrittrice statunitense Harriet Beecher Stowe (1811-1896), in cui lo zio Tom viene
descritto come uno schiavo sottomesso ai padroni, dei quali cerca d’imitare i comportamenti
al fine di soddisfarne i desideri: HARRIET BEECHER STOWE, La capanna dello zio Tom,
trad. it., con Introduzione di Vito Amoroso, Rizzoli, Milano 2001.
(15) G. ROSSI BARILLI, op. cit., pp. 161-162.
(16) Ibid., p. 212; cfr. pure TFP COMMITEE ON AMERICAN ISSUES, Defending A Higher
Law. Why We Must Resist Same-Sex «Marriage» and the Homosexual Movement, The
American Society for the Defense of Tradition, Family and Property, Spring Grove
(Pennsylvania) 2004, pp. 43-45.
(17) NICOLÁS GÓMEZ DÁVILA, In margine a un testo implicito, trad. it., a cura e con una
postfazione, Un angelo prigioniero nel tempo, di Franco Volpi, Adelphi, Milano 2001, p. 18.
Il Domenicale
19 marzo 2005
Storia del bimbo che qualcuno volle bimba
Un film su Alfred Kinsey, il rivoluzionario dell'identità sessuale, riapre la questione
sull'ideologia transgender. Un intervento chirurgico banale che si trasforma in tragedia. Un
medico famoso, un'idea fissa. Un bambino costretto a cambiare sesso. Una lunga sequela
di sofferenze. Un libro che ha sconvolto gli USA e che Peter Jackson vorrebbe portare sul
grande schermo
di Roberto Marchesini
Nature or nurture? Natura o educazione? La nostra identità di genere, ossia la coscienza
dell'appartenenza a un determinato sesso, delle differenze con l'altro sesso, dei fattori
psicologici e culturali connessi al ruolo che gli individui di un sesso o dell'altro svolgono
nella società, è inscritta profondamente nella nostra natura o piuttosto è "socialmente
costruita", frutto dell'apprendimento, come affermano da decenni attive culture femministe
e gay che accusano il maschio di aver progettato la società occidentale allo scopo di
conservare privilegi economici e sociali? Esistono una natura maschile e una natura
femminile, o sono mero esito di indottrinamento socioculturale? Se un bambino, anziché
giocare con pistole e soldatini, giocasse con le bambole e i nastrini colorati, da adulto
gliene verrebbe un comportamento dolce e materno piuttosto che virile e pragmatico?
C'era una volta Bruce
La drammatica storia di David Reimer sembra smentire qualsiasi teoria "educativa" della
sessualità.
David Reimer nacque il 22 agosto del 1965 a Winnipeg, in Canada. Allora non si chiamava
David, bensì Bruce. Nacque con un fratello gemello omozigote, Brian. I due gemelli
presentavano una fimosi piuttosto marcata, e i genitori decisero di sottoporrli a un
intervento di circoncisione. Un'operazione routinaria e banale, che tuttavia cambiò la vita
della famiglia Reimer e soprattutto di Bruce.
Il 27 aprile 1967 la madre, Janet Reimer, portò i suoi bambini all'ospedale di Winnipeg
come programmato, nonostante sulla cittadina si fosse scatenata una tempesta di neve. Il
medico che solitamente operava le fimosi era assente. Il suo sostituto decise di non
effettuare l'operazione con un bisturi, ma con una macchina per cauterizzare. Nel corso di
un primo tentativo non riuscì ad incidere la pelle. Aumentò il voltaggio. Secondo
fallimento. Il voltaggio fu aumentato di nuovo. Il cauterizzatore bruciò il pene di Bruce. Non
ci fu un tentativo su Brian. La sua fimosi si sarebbe risolta spontaneamente dopo qualche
mese.
Ron e Janet, i genitori di Bruce, si chiusero in un isolamento assoluto, per la vergogna e il
rimorso. Una domenica sera, tuttavia, un uomo carismatico, suadente, ben vestito e
dall'eloquio forbito fece loro credere che tutto si sarebbe risolto. Che si sarebbero
risvegliati dall'incubo e che la loro vita sarebbe stata quella che avevano sempre sognato.
Quell'uomo era il dottor John Money, chirurgo del Johns Hopkins Hospital di Baltimora;
stava illustrando in televisione i suoi successi nel campo del cambio di sesso.
Durante la trasmissione il dottor Money chiese a una donna, decisamente affascinante e
femminile, di entrare nello studio e di sedersi accanto a lui. Dopodiché spiegò che quella
donna quattro anni prima si chiamava Richard.
Qualche giorno dopo il dottor Money incontrò Ron e Janet. Mantenne la sua
imperturbabilità professionale, ma l'occasione era ghiotta. Fino a quel momento aveva
operato persone con problemi di ermafroditismo, ossia che presentavano organi genitali
appena abbozzati, oppure sia maschili che femminili; si trattava di casi estremi, con una
sessualità indefinita. Ora, invece, non soltanto aveva la possibilità di trasformare
chirurgicamente un bambino nato con organi genitali normali in una bambina; ma c'era
pure un gemello con lo stesso patrimonio genetico. Era l'esperimento perfetto e gli
veniva offerto su un piatto d'argento. Avrebbe dimostrato in maniera definitiva che l'identità
di genere è socialmente costruita e assolutamente indipendente dal sesso genetico. Una
piccola operazione, bambole e nastrini, qualche dose ormonale: questo è tutto ciò che
serve per trasformare una persona da maschio in femmina. E per dimostrare che non
esiste alcuna natura maschile o femminile, alcun progetto divino, alcun ordine naturale
eterno e immutabile.
La pipì in piedi
Il 3 luglio 1967 il dottor Money asportò i testicoli di "Brenda" Reimer e modellò lo scroto
dandogli la forma delle grandi labbra. Ordinò a Ron e a Janet di vestirla come una
bambina, trattarla da bambina, parlarle come si parla a una bambina. Una volta all'anno lui
avrebbe effettuato una visita di controllo. E tutto sarebbe andato bene.
Ma l'esperimento del dottor Money incontrò un ostacolo imprevisto: Brenda. Brenda (cioè
Bruce, che nulla sapeva della sua nascita) si muoveva, parlava e camminava come un
maschietto; interveniva a difendere il fratello facendo a botte con i compagni di classe;
rubava a Brian i giocattoli "da maschio" e i suoi vestiti; faceva la pipì in piedi. Le
insegnanti, preoccupate per gli atteggiamenti poco femminili di Brenda, convocavano
continuamente i genitori e, insieme a loro, facevano pressione su Brenda perché si
decidesse a comportarsi come avrebbe dovuto. Brenda, dal canto suo, tentava in ogni
modo di comportarsi come una brava bambina per far felici genitori e insegnanti; ma gli
esiti erano sconfortanti.
Nel frattempo il rendimento scolastico della bambina peggiorava; Brenda era sempre più
chiusa e taciturna. Le insegnanti cominciarono ad accennare ai genitori il timore che
Brenda fosse lesbica; suggerirono di portare la bambina da uno psicoterapeuta, per
indagare i sempre più evidenti sintomi depressivi che la bimba mostrava. Il dottor Money
consigliò invece ai genitori di girare per casa nudi e di frequentare spiagge per nudisti.
Sempre su suggerimento del dottor Money, Ron e Janet vendettero ogni cosa, lasciarono
il lavoro e andarono a vivere in un camper, in una località montana, isolata e scarsamente
abitata. Ma Brenda continuò a peggiorare. Il fratello Brian mostrava atteggiamenti
aggressivi nei confronti degli altri ragazzi; Ron cominciò a bere smodatamente. Janet
evidenziò disturbi psicologici e tentò il suicidio. Chiese il divorzio. Infine, un incendio
distrusse il camper e con esso la maggior parte delle loro cose.
I Reimer tornarono a Winnipeg nel novembre del 1976, nel tentativo di ricostruirsi una vita;
Brenda fu infine portata da uno psicoterapeuta.
Ron e Janet avevano sempre portato i bambini dal dottor Money, come concordato, una
volta all'anno. Ma i gemelli, Brenda in particolare, mostravano resistenze sempre più
violente. I genitori non capivano: il dottor Money era sempre dolce e gentile. Non potevano
immaginare ciò che accadeva nello studio mentre loro aspettavano in sala o in albergo.
Non potevano sapere che Money esercitava su Brenda e Brian violenze psicologiche, che
mostrava loro fotografie e filmini pornografici, che chiedeva loro di mimare rapporti
sessuali scattando fotografie. Intanto Money insisteva perché Brenda fosse sottoposta a
un'operazione definitiva di scavo della vagina, ma Brenda non ne voleva parlare; finse di
accettare la terapia ormonale, ma nella maggior parte dei casi riusciva a sputare le
pillole. Per nascondere il seno e i fianchi cominciò a mangiare a dismisura.
Quando Money, nel corso della visita del 1978, la fece accogliere da un transessuale,
Brenda fuggì terrorizzata e disse ai genitori che si sarebbe suicidata piuttosto che tornare
in quello studio. Da quel momento decise di smettere la commedia della brava ragazza;
rifiutò l'identità femminile e cominciò a comportarsi da maschiaccio.
Due anni più tardi Ron chiese a Brenda di accompagnarlo a prendere un gelato. Le
raccontò tutto: la circoncisione e quel che era seguito. Brenda chiese semplicemente:
«Qual era il mio nome?».
Decise di farsi amputare il seno e cominciò a farsi chiamare David. David Reimer tentò il
suicidio ingerendo un flacone di antidepressivi della madre; in seguito comprò una pistola
ed entrò nello studio del medico che, quindici anni prima, gli aveva bruciato la vita. Non lo
uccise; uscì dallo studio e gettò la pistola nel fiume. Nel 1981 si sottopose a un intervento
per la costruzione di un rudimentale pene; cominciò a farsi degli amici e a
frequentare le ragazze. Nel 1986 si sottopose a un altro intervento di ricostruzione del
pene e nel 1989 sposò Mary, una giovane donna con tre figli avuti da tre uomini diversi.
Decise di raccontare la sua storia al giornalista John Colapinto; voleva denunciare gli
esperimenti ai quali era stato sottoposto ed evitare ad altre persone le sue sofferenze.
L'esito di quell'incontro è il toccante libro As Nature Made Him: the Boy Who was
Raised as a Girl (2000), entrato fra i best seller del New York Times e insignito di vari
premi (ma mai tradotto in Italia).
Il 5 maggio 2004 David Reimer si è suicidato. E John Money è acclamato come uno dei
più autorevoli psicosessuologi americani. Ora è il portabandiera della teoria secondo la
quale la pedofilia non sarebbe sinonimo di violenza sui bambini.
Omosessualità, un libro equivoco per un problema serio
Roberto Marchesini
Il Timone n° 38, anni VI, dicembre 2004, p.10.
Le mani del vasaio – Un figlio omosessuale: che fare? di don Domenico Pezzini (Ancora,
2004) è un libro che si rivolge ai genitori che scoprono di avere un figlio con un problema
omosessuale e che cercano consiglio e sostegno. Scritto da un sacerdote e docente
universitario, avrebbe le premesse per una riflessione seria e adeguata su un tema che
sta diventando importantissimo nella vita quotidiana, anche delle comunità ecclesiali.
Invece non è così e cercherò, molto sinteticamente di spiegare perché.
Ai genitori don Pezzini risponde che se vogliono essere dei bravi genitori devono
“accogliere”, “comprendere” e “aiutare” il figlio omosessuale. Questi tre verbi sono infatti i
titoli delle tre parti in cui è diviso il libro.
Accogliere: «Continuo a credere che l’omosessualità esista da quando esiste l’umanità –
scrive don Pezzini - e che di fatto compaia, seppure sotto forme svariate, in molte culture,
se non proprio in tutte. Mi chiedo se possa essere qualificato come “fatalismo” l’accettare
un dato di fatto così abbondantemente dimostrato, e se sia lecito orientare una persona a
essere quello che non è, a violentare la propria natura in nome di una “natura” che finisce
per essere la sacralizzazione di una maggioranza, certo vitale per la prosecuzione
dell’umanità, ma non al punto da escludere chiunque non si ritrovi nella identità
eterosessuale, o faccia scelte (si pensi ai celibi) non finalizzate alla continuazione della
specie umana» (pp. 32 – 33).
Comprendere: «In questo capitolo si vorrebbe partire da qui per suggerire una serie di
tappe lungo le quali far crescere la propria “comprensione” dell’omosessualità secondo
una visione più articolata, più complessa e, alla fine, più vera» (p. 37).
Aiutare: «C’è un lungo apprendistato da fare su cosa sia un amore autentico, su cosa conti
il corpo nella relazione affettuosa, su quali siano le strategie per costruire un rapporto
solido, su come si possano superare attriti, incomprensioni, litigi. In questo ambito,
l’esperienza degli omosessuali non è diversa da quella degli eterosessuali, e qui si può
creare un utile terreno di confronto tra genitori e figli (p. 83)».
«C’è chi trova orrendo che due omosessuali abbiano rapporti omosessuali; io trovo più
orrendo che due omosessuali, liberi dai vincoli di una famiglia, vivano egoisticamente da
irresponsabili, scialacquando le loro risorse in vacanze esotiche e abiti firmati (p. 84)»
Chi crede, sulla scorta del Magistero, che l’omosessualità sia una condizione
«oggettivamente disordinata» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2358) ha una posizione
fondamentalista, approssimativa e offensiva della ragione, secondo don Pezzini, dalla
quale va tecnicamente guarito (per don Pezzini si tratta addirittura di una “sindrome”, cfr.
p. 28); invece chi riconosce la sostanziale bontà e la naturalità dell’omosessualità è
ovviamente persona sensata e matura.
Come risolve don Pezzini il contrasto tra le sue idee e l’insegnamento del Magistero?
Innanzitutto, secondo il sacerdote, non è vero che la Scrittura condanni l’omosessualità: si
tratta semplicemente di «valutare le testimonianze bibliche» (p. 49) e di ricondurre i passi
della Scrittura «al loro contesto storico» (ibidem). Ad esempio don Pezzini spiega che il
peccato di Sodoma (Gn 19, 1 – 11) non sarebbe l’atto omosessuale, ma «un peccato
contro l’ospitalità» (p. 50); e che san Paolo, in Rm 1, 26 – 27, non condanna gli atti
omosessuali ma… l’idolatria (p. 52).
Il punto centrale del problema sollevato, mi pare comunque consistere nell’accettare o
meno l’esistenza di una natura, che ciascuno riceve da Dio e non può cambiare se non
andando incontro al rifiuto di sé: nessuno ha una natura omosessuale. Gli omosessuali
hanno – come tutti – una natura eterosessuale che non ha trovato, per vari motivi, un
adeguato sviluppo; così scriveva lo psicoterapeuta Irving Bieber in una sua importante
ricerca sull’omosessualità: «E’ nostra opinione che ogni omosessuale sia, in realtà, un
eterosessuale “latente”» (I. Bieber e coll., Omosessualità, Roma, “Il Pensiero Scientifico”
Editore, 1977, p. 241). E’ per questo va aiutato con la massima disponibilità a ritrovare la
propria condizione naturale, nella convinzione che il Signore non cesserà di amarlo e
aiutarlo neppure per un attimo.
Bibliografia
Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, 1999, 2 ed.; 2357 – 2359;
Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone
omosessuali, 1 ottobre 1986.
Joseph. Nicolosi, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, Milano, ed.
Sugarco,2002.
J. Nicolosi, L. Ames Nicolosi, Omosessualità - Una guida per i genitori, Milano, Sugarco,
2003.
Mario Palmaro, Omosessualità? Si può uscirne, in “Il Timone”, n. 25, maggio/giugno 2003,
pp. 43 – 45.
Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla
collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, 31 maggio 2004.
Il feticcio (omosessuale) dell’omofobia
di Roberto Marchesini
Studi Cattolici n° 528, febbraio 2005, pp. 112 - 116
Il 29 giugno scorso, in Svezia, il pastore protestante Åke Green è stato condannato ad
un mese di carcere per un sermone tenuto l’anno precedente, nel corso del quale aveva
criticato la recente legge sulle unioni omosessuali rifacendosi a brani biblici. La
motivazione dell’arresto è “incitamento all’odio” nei confronti degli omosessuali 1.
Nemmeno un mese dopo il collettivo degli omosessuali e transessuali madrileni
(COGAM) ha accusato i vescovi di "apologia di omofobia" per essersi espressi a difesa
del matrimonio cristiano e ha chiesto alla Magistratura di "procedere d'ufficio contro tutti
coloro che compiono un tale crimine che non deve restare impunito"2.
Il 27 luglio ultimo scorso il governatore del Friuli Venezia Giulia, durante una intervista
in diretta radiofonica (Radio 24), è stato accusato di “omofobia” da un ascoltatore per
aver – mesi prima - riconosciuto il valore della famiglia eterosessuale3.
L’omofobia non sarebbe un crimine da punire ma una malattia da curare per il
parlamentare italiano onorevole Franco Grillini, presidente dell’associazione Arcigay, il
quale scrive: “Ecco perché è decisivo che […] si riesca a sconfiggere il pregiudizio e
l’ignoranza e, soprattutto, l’omofobia, vera patologia moderna come ugualmente
patologici sono il rifiuto della diversità, l’intolleranza e il razzismo”4.
Gli fa eco G. Rossi Barilli, che scrive: “Prima o poi si dovrà riconoscere che la vera
malattia non è l’omosessualità ma l’omofobia”5.
Non manca chi, all’interno del mondo scientifico, preme perché venga al più presto
inserita la “omofobia” all’interno dei manuali diagnostici, come ad esempio la dottoressa
Katherine A. O'Hanlan, ginecologa e presidente emerita della Gay and Lesbian Medical
Association, che in un articolo sostiene che “Homophobia as Psychiatric Pathology”6.
Esso sarebbe già diagnosticabile tramite il DSM IV utilizzando la categoria diagnostica
riservata all’omosessualutà “egodistonica”, ossia “Persistente e intenso disagio riguardo
all’orientamento sessuale”7.
Ma cos’è l’omofobia? Un crimine, una malattia o cos’altro? Cosa si intende con questo
termine, e perché viene usato come un’accusa?
1
Cfr. “Corrispondenza Romana” 865/01 del 17/07/04. Il progetto di legge n° 6582, presentato il 23
novembre 1999, primo firmatario l'allora Presidente del Consiglio Massimo D'Alema insieme al Ministro
per le Pari Opportunità Laura Balbo, affiancato dal testo unificato del 1 luglio 1999 riguardante le
"Disposizioni per la prevenzione e la repressione delle discriminazioni motivate dall'orientamento
sessuale", è stato accantonato per la caduta del governo D’Alema e la vittoria, nelle elezioni del 2001,
della Casa delle Libertà. Questi disegni di legge prevedevano sanzioni penali non solo per chiunque
esprimesse pubblicamente critiche su una qualunque perversione sessuale, ma anche per chi
partecipasse ad "associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alle loro attività" ritenute
"incitamento alla discriminazione per motivi di orientamento sessuale", che deve essere punito "per il solo
fatto della partecipazione all'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni" (art. 2 del Testo
Unico).
2
Cfr. "ABC", 22 luglio 2004.
3
Cfr. “Avvenire”, 30 luglio 2004.
4
F. Grillini, Prefazione, in Del Favero, Palomba, Identità diverse, Roma, ed. Kappa, 1996, p. 12.
5
Giovanni Rossi Barilli, Il movimento gay in Italia, Milano, Feltrinelli, 1999, p. VIII.
6
Homophobia As a Health Hazard: Report of the Gay and Lesbian Medical Association.
7
American Psychiatric Association, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali IV, Maqsson,
Milano, 2000. Si tratta del più diffuso manuale diagnostico, tanto da costituire uno standard per la
diagnosi dei disturbi mentali. La categoria diagnostica in questione è la F52.9 – Disturbo Sessuale Non
Altrimenti Specificato. Tale interpretazione di questa categoria è chiaramente una forzatura, in quanto il
persistente e intenso disagio è da intendersi riguardo al proprio orientamento sessuale, e non quello altri.
Il termine “omofobia” è in genere attribuito al dottor George Weinberg, che lo coniò nel
1965 per poi utilizzarlo nei sui scritti negli anni ’708. La definizione che Weinberg da nel
1972 di “omofobia” è la seguente: “La paura espressa dagli eterosessuali di stare in
presenza di omosessuali, e l’avversione che le persone omosessuali hanno nei loro
stessi confronti”.
In questa definizione il termine omofobia viene utilizzato per esprimere due concetti che
attualmente sono distinti, ossia la “omofobia” e la cosiddetta “omofobia internalizzata”.
La distinzione tra “omofobia” e “omofobia internalizzata” è in uso dal 1988, quando
Gonsiorek creò questa seconda espressione dandone la seguente definizione:
"l'incorporazione da parte di gay e lesbiche dei bias antiomosessuali prevalenti nel
mondo sociale"9; da allora il termine “omofobia” ha in genere una definizione piuttosto
vaga, riassumibile tuttavia in questo modo: “atteggiamenti, comportamenti e convinzioni
che sono discriminatorie e pregiudizievoli nei confronti dell’omosessualità”10.
Non sentimento, ma disturbo
E’ evidente dunque che la definizione corrente di “omofobia” si riferisce ad un
atteggiamento, definito come “un sentimento positivo o negativo, generale e durevole
nei confronti di una certa persona, oggetto o argomento”11. Si possono classificare
come atteggiamenti l’ammirazione nei confronti di una squadra di calcio, l’antipatia
verso un politico, la preferenza per una marca di cioccolato piuttosto che un’altra.
Le fobie sono invece disturbi psichici definibili come “paure intense, esagerate,
immotivate per situazioni, oggetti o azioni che il soggetto prova nonostante spesso non
ne capisca la ragione. […] Il fobico posto a contatto con lo stimolo specifico temuto
presenta in genere vere e proprie crisi d’ansia più o meno intense e paralizzanti”12.
Alcune fobie tipiche sono ad esempio la claustrofobia (paura per gli spazi chiusi o senza
finestre), l’agorafobia (paura eterogenea che racchiude la paura degli spazi aperti come
il timore di restare intrappolati qualora possa sopraggiungere un malessere o la morte),
l’acrofobia (paura dei luoghi elevati e dell’altezza), la nictofobia (paura del buio),
l’aracnofobia (paura dei ragni)…
Perché venga diagnosticata una crisi d’ansia in seguito ad una fobia il DSM IV13
stabilisce che debbano essere presenti almeno quattro dei seguenti sintomi:
- palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia
- sudorazione
- tremori fini o a grandi scosse
- dispnea o sensazione di soffocamento
- dolore o fastidio al petto
- nausea o disturbi addominali
- sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento
8
Cfr. “NARTH Bulletin”, vol. 13, N. 2, agosto 2004, p. 20.
L. Pietrantoni, La gestione dello stigma antiomosessuale: omofobia internalizzata e autostima, in
"Rivista di Scienze Sessuologiche", n. 1-2, Del Cerro Editore, 1996.
10
Del Favero, Palomba, Identità diverse, op. cit., p. 200. A pagina 56 dello stesso volume possiamo
leggere un’altra definizione di “omofobia”: “Ignoranza, insensibilità, stereotipi, modo di pensare,
pregiudizi, discriminazioni e altri attributi negativi possono essere raggruppati sotto il concetto di
omofobia”. I due autori si dichiarano nel primo capitolo “professionisti” psicoterapeuti “e uomini gay” (p.
17).
11
Petty e Cacioppo, Attitudes and Persuasion: classic and contemporary approaches, Dobuque, Iowa,
Wm C. Brown, 1981, p. 7; cit. in Hewstone, Stroebe, Codol, Stephenson, Introduzione alla psicologia
sociale, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 162. Per una esauriente riflessione sul concetto di “atteggiamento” si
veda ibidem, pp. 162 – 165.
12
G. Colombo, Manuale di Psicopatologia Generale, Padova, Cleup, 1996, p. 211.
13
American Psychiatric Association, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali IV, op. cit.
9
derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da
sé stessi)
- paura di perdere il controllo o di impazzire
- paura di morire
- parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio)
- brividi o vampate di calore
Considerato tutto ciò, il termine “omofobia” sembra decisamente inappropriato per
designare un atteggiamento; infatti lo stesso DSM IV non riporta, tra le fobie, la
“omofobia”.
Recentemente14, un gruppo di psicologi della University of Arkansas ha sottoposto 138
persone ad una serie di test e a tre questionari per la misurazione del livello di ansia e
paura. Tra i test somministrati l’Index of Attitudes towards Homosexuals (IAH), la
Sexual Attitudes Scale, il Disgust Emotion Scale e il Padua Inventory; il primo è
considerato lo strumento che misura la “omofobia”; il secondo indaga il pensiero delle
persone nei confronti della sessualità umana; il terzo strumento aveva il compito di
misurare le risposte delle persone in termini di disgusto mentre il Padua Inventory
misura la paura di contaminazioni.
Le analisi statistiche compiute sui risultati hanno mostrato una correlazione negativa tra
gli atteggiamenti nei confronti degli omosessuali e la misura di paura e ansia; invece i
risultati del IAH erano correlati positivamente con i risultati della Sexual Attitudes Scale,
del Disgust Emotion Scale e del Padua Inventory.
In altre parole, i soggetti che mostrano punteggi elevati all’Index of Attitudes towards
Homosexuals mostrano attitudini sessuali “tradizionali”, elevati livelli di disgusto e timore
di diventare omosessuali: non paura e ansia. La “omofobia” sarebbe quindi un
atteggiamento, non una fobia. Lo stesso professor Lohr, che ha guidato la ricerca e che
da anni studia le fobie, ha commentato i risultati con queste parole: “Se il disprezzo e il
disgusto guidano l’omofobia, essa sembra più un problema morale o sociale che un
problema psicopatologico. Se cominciamo a considerare patologici gli atteggiamenti
negativi – con l’implicazione che c’è qualcosa di sbagliato dal punto di vista medico
nelle persone con pregiudizi, che essi sono in qualche modo malati nei loro
atteggiamenti –, ciò mi sembra aberrante”.
C’è una evidente e probabilmente voluta confusione tra atteggiamento e patologia, e un
utilizzo ideologico e strumentale delle categorie mediche e psichiatriche.
Si profila uno scenario fantascientifico per cui gli attivisti gay, i quali sono riusciti tramite
pressioni politiche15 a far depennare la diagnosi di omosessualità a causa dello stigma
sociale che questa poteva portare, ora cercano di stigmatizzare l’atteggiamento
“omofobo” proprio attraverso una diagnosi psicopatologica.
Come accenna il dottor van den Aardweg "Chiunque non accetti l'omosessualità come
cosa normale viene accusato di discriminazione a danno di persone diversamente
dotate, persone che sono «sostanzialmente» diverse; forse - si dice - costui discrimina
perchè egli stesso reprime la componente omosessuale della propria vita emotiva o,
peggio, perchè soffre di «omofobia», timore patologico dell'omosessualità"16. Così il
dottor Anatrella: “L’omofobia è il termine utilizzato dalle associazioni omosessuali per
designare l’atteggiamento di tutti quelli che si interrogano e criticano la volontà di
imporre alla società la banalizzazione e la normalizzazione dell’omosessualità. Secondo
questi militanti, ogni critica sociale dell’omosessualità manifesta, in coloro che la
formulano, una paura dell’omosessualità, se non addirittura persino il timore che loro
-
14
Olatunji, B. O., Sawchuk, C. N., Lohr, J. M., & de Jong, P. J. (in press), Disgust domains in the
prediction of contamination fear. Behaviour Research and Therapy.
15
Cfr. J. Nicolosi, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, Milano, ed. Sugarco,2002, pp. 18 – 21.
16
G. van den Aardweg, Omosessualità e speranza, Milano, Ares, 1995, p. 16.
ispira la propria omosessualità inconsciente”17. “L’argomento più utilizzato a fini
propagandistici da associazioni omosessuali, quando si scontrano con argomentazioni
che non sono in grado di discutere né di contraddire, è quello dell’«omofobia». Questa
nozione di omofobia (utilizzata in occasione della sfilata del Gay pride del 1999) è
diventata un termine feticcio, che inibisce ogni riflessione e cerca di stigmatizzare coloro
che ritengono che, socialmente, l’omosessualità pone un problema”18.
Causa di tutti i mali?
In un crescendo paranoico, la “omofobia” sembra essere diventata la causa di tutto ciò
che avviene alle persone con tendenze omosessuali: “la fragilità e la confusione”19, una
“sessualità disincarnata e destituita di relazione, autenticità e progetto”20, “un linguaggio
camp, un abbigliamento appariscente, un atteggiamento frivolo”21, una particolare
“sensibilità”22 eccetera; la “omofobia”, e la conseguente “persecuzione” della società
“omofobica”, diventa il principio esplicativo per ogni caratteristica che distingue le
persone con tendenze omosessuali dagli eterosessuali.
Scrive Nicolosi: "Anche se, per definizione, una fobia è uno spropositato timore
irrazionale, il termine «omofobia» è ormai impiegato per descrivere e spiegare qualsiasi
reazione negativa nei confronti dell'omosessualità. Ogni problematica e sofferenza
dell'omosessuale è attribuita o a un'omofobia sociale o a un'omofobia interiorizzata. In
questa ottica, un rapporto scadente tra pare e figlio dipende dall'atteggiamento
omofobico del padre che si sente minacciato dall'effemminatezza del figlio; oppure
l'isolamento del ragazzo dai suoi coetanei è da ascrivere a una omofobia interiorizzata,
così come l'alienazione dell'omosessuale adulto dalla famiglia e dalla società. Negli
anni dell'adolescenza, l'omofobia provoca depressione, scarsa autostima, abuso di
droghe e alcolici, ma le possiamo attribuire anche al narcisismo, oppure agli
atteggiamenti passivi e l'incapacità di autoaffermarsi. L'ambiente ostile genera anche
problemi interpersonali - come l'incapacità di avere una relazione che duri nel tempo -,
nonchè conflitti all'interno della psiche, che vengono alla luce nel corso della terapia
(Malyon 1982). La ricerca di sesso anonimo, infine, è attribuita al desiderio dell'individuo
di autopunirsi a causa dell'omofobia interiorizzata. Nessuno vuole ammettere l'esistenza
di problematiche insite nella condizione omosessuale. Weimberg (1972), l'uomo che ha
coniato il termine «omofobia», si serve di ben cinque criteri di definizione, ma la
17
T. Anatrella, voce Omosessualità e omofobia, in Lexicon, Città del vaticano, LEV, 2003, p. 686. In data
16 giugno 2003 è stata proposta una querela - presso la questura di Bologna - da Paola Dell’Orto in
Dall’Orto, nella qualità di presidente e legale rappresentante della associazione AGEDO (Associazione
Genitori di Omosessuali); il PM ha chiesto l’archiviazione in data 23 giugno 2003 dichiarando “Ma se è
incontestabile la piena liceità di tali pubblicazioni ed iniziative [da parte dell’AgeDO], stupisce invece che
la querelante non voglia riconoscere una simmetrica e pari libertà ad esponenti del mondo cattolico, di
raccogliere in un volume il loro pensiero. […] Per fortuna viviamo in un Pese libero. L’art. 21 della
Costituzione è il caposaldo di ogni dibattito culturale, anche su temi sociali e religiosi (sui quali ultimi
concorre anche la libertà garantita dall’art. 19 Cost.).
I libri, strumento essenziale della nostra civiltà e della nostra cultura per il progresso collettivo della
società ed individuale delle persone - in altri tempi e in altri luoghi venivano bruciati pubblicamente, ma
oggi non possono essere sequestrati (come già spiegato nel provvedimento citato in data 20 giugno
2003) né penalizzati.
Ritenuta quindi l’infondatezza assoluta della notizia di reato devesi richiedere immediatamente
l’archiviazione, per insussistenza dei reati ipotizzati dalla querela”. L’AgeDO ha reagito chiedendo a
simpatizzanti ed iscritti di denunciare a titolo personale la stessa pubblicazione e fornendo un fac simile
della querela.
18
T. Anatrella, voce Omosessualità e omofobia, in Lexicon, Città del vaticano, LEV, 2003, p. 691.
19
P. Rigliano, Amori senza scandalo, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 101.
20
Ibidem, p. 129.
21
Ibidem, p. 148.
22
Ibidem, p. 156.
caratteristica citata con maggior frequenza è quella di «minaccia per i valori» (pp. 16 17). Tuttavia, il termine è stato esteso oltre l'originaria definizione di Weimberg e oggi si
riferisce a qualsiasi teoria che consideri l'omosessualità superiore alla e/o «più
naturale» dell'omosessualità (Morin 1977). Se consideriamo questa definizione,
qualsiasi cultura o tradizione religiosa della storia del mondo può esser considerata
omofobica. Se chiedessimo a tutti i genitori del mondo se avrebbero voluto un figlio
omosessuale, scopriremmo con certezza che siamo quasi tutti omofobici. Il termine è
stato esteso ad nauseam. Eppure, coloro che amano usare il termine non vogliono
ammettere che è piuttosto naturale rifiutare lo stile di vita omosessuale all'interno dei
propri valori, senza per questo avere una natura «fobica». Questo non significa temere
che questo stile di vita possa mettere in pericolo i vari valori, vuol dire semplicemente
non accettarlo come una via alternativa naturale e percorribile"23.
In particolare sarebbe colpa della società “omofoba” – e non dell’egodistonia provocata
dall’omosessualità - la maggior incidenza negli omosessuali di abuso di droghe e di
bevande alcooliche, di tentativi di suicidio e di prostituzione.
I rischi psichiatrici degli omosessuali
Un importante studio24 ha confermato il malessere psichico della popolazione
omosessuale: “I disturbi psichiatrici sono risultati prevalenti tra la popolazione
omosessualmente attiva piuttosto che in quella eterosessualmente attiva. Gli uomini
omosessuali hanno avuto, nell’ultimo anno, una prevalenza maggiore di disturbi
dell’umore e di disturbi ansiosi rispetto agli uomini eterosessuali. Le donne omosessuali
hanno avuto, nell’ultimo anno, una maggior prevalenza di disturbi da utilizzo di sostanze
rispetto alle donne eterosessuali. Nel corso della vita gli indici di prevalenza riflettono
identiche differenze, con l’eccezione dei disturbi dell’umore, che sono stati osservati più
frequentemente nelle donne omosessuali piuttosto che in quelle eterosessuali. […] I
risultati supportano l’ipotesi che le persone con comportamenti sessuali omosessuali
corrono rischi maggiori per disturbi psichiatrici”25. Questo studio è particolarmente
significativo perchè è stato condotto su un enorme numero di soggetti: oltre settemila
(7076), tra i 18 e i 64 anni. Presenta inoltre una particolarità che lo rende decisamente
interessante: è stato condotto in Olanda, paese nel quale – per ammissione degli stessi
autori “Il clima sociale nei confronti dell’omosessualità è da tempo e rimane
considerevolmente più tollerante” rispetto a quello di altri stati. Se davvero le sofferenze
degli omosessuali sono causate dal pregiudizio, dall’intolleranza e dallo stigma sociale
– in una parola, dall’omofobia –26, le differenze registrate in Olanda tra il benessere
psichico degli omosessuali e degli omosessuali devono avere un’altra causa. E se
questa causa fosse costituita dalle “problematiche insite nella condizione
omosessuale”?
Gli omosessuali fanno registrare anche una maggior incidenza di tentativi di suicidio
rispetto agli eterosessuali. La spiegazione di questo fenomeno sarebbe la seguente:
“Sottoposti a prove tanto difficili, non sentendosi accettati o capiti dalle persone alle
23
J. Nicolosi, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, op. cit., pp. 104 - 105
Theo G. M. Sandfort, Ron de Graaf, Rob V. Bijl, Paul Schnabel, Same-Sex Sexual Behaviour and
Psychiatric Disorders, « Archives of General Psychiatry” vol. 58, gennaio 2001, pp. 85 – 91.
25
Va osservato che i soggetti sono stati classificati come omosessuali (2.8 % degli uomini e 1.4 % delle
donne) ed eterosessuali in base ai comportamenti sessuali riferiti avuti nell’ultimo anni. Innanzitutto non
appare corretto definire le persone come omosessuali esclusivamente in base al comportamento
sessuale, che può essere anche occasionale o episodico e non indicativo di inclinazioni omosessuali;
secondariamente queste percentuali, seppure gonfiate in tal modo, rappresentano l’ennesima smentita
delle percentuali riportate dal celebre Rapporto Kinsey (10 % della popolazione) generalmente
sbandierate dagli attivisti gay.
26
Gli autori della ricerca, nonostante gli esiti del loro lavoro, affermano di condividere quest’idea.
24
quali tengono di più, alcuni omosessuali possono finire nella disperazione, almeno per
brevi periodi di tempo. Non è dunque sorprendente che qualcuno di loro pensi o
addirittura tenti di togliersi la vita”27. Tuttavia la causa sembra da attribuirsi perlopiù da
frustrazioni nella vita di coppia (gelosie, infedeltà) che non alla “persecuzione
omofobica”28. Commenta il dottor Nicolosi: “Un gruppo di ricerca guidato da Gary
Remafedi ha messo a confronto un gruppo di adolescenti omosessuali e bisessuali che
hanno tentato il suicidio con un gruppo di adolescenti omosessuali, e bisessuali che non
vi hanno mai pensato. Nel 44 per cento dei casi, i soggetti attribuivano il tentativo di
suicidio a «problemi familiari, fra cui i rapporti conflittuali con i membri della famiglia, la
crisi matrimoniale dei genitori, il divorzio o l’alcolismo». A dire il vero, non è una novità il
fatto che l’omosessualità sia associabile alle disfunzioni strutturali della famiglia di
origine del soggetto.
Affermare che i tentativi di suicidio siano dovuti solo (o principalmente) ai pregiudizi
della società sembra essere una spiegazione semplicistica a un problema ben più
complesso”29.
L’omofobia è dunque solamente di un tranello verbale, uno stratagemma ideologico?
Potrebbe non essere così semplice.
Un altro recente studio30 è stato condotto con l’obiettivo di dimostrare che lo stato di
salute psicologica, l’integrazione sociale e la qualità della vita degli omosessuali è
inferiore a quella degli eterosessuali. Anche in questo caso (1.161 uomini, tra i quali 656
si sono definiti gay, e 1018 donne, tra le quali 430 si sono definite lesbiche) i risultati
hanno confermato che “Uomini gay e lesbiche presentarono un rischio psicologico
maggiore degli eterosessuali […] La quantità dei disturbi da uso di sostanze è risultato
più alto tra gli uomini gay e le lesbiche, i quali riferirono di aver fatto uso di sostanze
ricreative più frequentemente della loro corrispettivi eterosessuali. Le lesbiche rifurono
più frequentemente delle donne eterosessuali di bere alcol in modo eccessivo”. I
ricercatori, tuttavia, partendo dal presupposto (come abbiamo visto, non giustificato)
che le sofferenze degli omosessuali siano da attribuire esclusivamente alla
discriminazione e all’intolleranza della società omofoba, hanno indagato sugli atti di
bullismo subiti dai soggetti, omosessuali ed eterosessuali e sulla causa percepita di
questi. I risultati sono particolarmente stimolanti: i gay e gli eterosessuali hanno riferito
di aver subito atti di bullismo a scuola o episodi di violenza negli ultimi cinque anni in
percentuali molto simili, statisticamente non significative. Ciò che distingue i due gruppi
di soggetti è invece l’attribuzione del motivo dell’aggressione subita: “Uomini gay e
lesbiche hanno spesso attribuito la molestia o la violenza alla loro sessualità”, ossia: per
gay e lesbiche il motivo delle aggressioni subite (in numero uguale a quelle subite dagli
eterosessuali) è l’intolleranza nei confronti del loro orientamento sessuale, in altre
parole, di nuovo, la “omofobia”.
In una intervista, Joel Masure, del centro Ascolto lesbico e Gay di Parigi, a proposito
della difficoltà dell’essere omosessuali, risponde: “Se i pregiudizi persistono, essi sono,
tuttavia, meno violenti che in passato. Sebbene nell’ambiente gay e lesbico vi sia la
tendenza ad ingrandirli, a immaginare che il mondo intero sia ostile, è comunque vero
che in provincia, negli strati popolari, la situazione rimane estremamente complicata”31.
27
Barbagli, Colombo, Omosessuali moderni, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 57.
G. van den Aardweg, «Matrimonio» omosessuale & affidamento a omosessuali, in “Studi cattolici”,
449/50, luglio/agosto 1998, p. 501.
29
Nicolosi, Ames Nicolosi, Omosessualità - Una guida per i genitori, Milano, Sugarco, 2002, p. 126.
30
M. King, E., McKeown, J. Warner, A. Ramsay, K. Johnson, C. Cort, L. Wright, R. Blizard, O. Davidson,
Mental Health and Quality of Life of Gay Man and Lesbians in England and Wales, “British Journal of
Psychiatry”, vol. 183, 2003, pp. 552 – 558.
31
Del Favero, Palomba, Identità diverse, op. cit., p. 49.
28
Tutto ciò conferma quella tendenza all’autocommiserazione, al vittimismo, al senso di
inferiorità e di persecutorietà osservato, tra gli altri, da van den Aardweg e da Nicolosi32.
La “omofobia” percepita come universale e causa di ogni ferita emotiva e psicologica
potrebbe quindi, in accordo con questi rilievi, essere una forma di proiezione sul mondo
esterno delle proprie sofferenze; la personalità narcisistica, costruita dagli omosessuali
come difesa dalla propria inadeguatezza percepita, utilizzerebbe questa proiezione
come un’arma ideologica e verbale con la quale punire tutti coloro che vengono
identificati con la causa della propria sofferenza.
Argomento in malafede
Una argomentazione simile è esposta in queste riflessioni conclusive del dottor
Anatrella: "L'omofobia è un argomento di malafede e un prodotto dell'ansietà della
psicologia omosessuale. In nome dell'omofobia, dei militanti vogliono soprattutto
colpevolizzare gli eterosessuali. Riescono del resto a raggiungere questo obiettivo e a
seminare il dubbio nella mente delle persone, come sa farlo il discorso del perverso
narcisista che lascia intendere agli altri che ne sa di più sulla loro psicologia per meglio
manipolarli. [...] Ogni critica, ogni riflessione che indica che l’omosessualità rappresenta
un serio handicap psichico nell'elaborazione sessuale, ogni discorso umoristico che
assumesse atteggiamenti derisori nei confronti dell’omosessualità, o ancora, il fatto di
ricordare che la pratica dell’omosessualità non è moralmente corretta e che la maggior
parte delle religioni la considerano come una contraddizione antropologica di valore
universale e che soltanto la relazione di coppia uomo – donna sta alla base della
società e del diritto, è giudicata come se fosse razzismo o, secondo lo slogan ormai di
moda, come fosse omofobia. Questa interpretazione psicologica non fondata traduce
una carenza del pensiero che ha di mira le persone, per loro squalificare i loro discorsi e
gli interrogativi che essi pongono.
Così lo slogan dell’omofobia viene ripreso in maniera incantatoria, emozionale, e in una
logica quasi settaria, poiché non si tratta tanto di riflettere e di sapere ciò che significa il
fatto di volere istituire una realtà sessuale, ma di esercitare una manipolazione e
un’influenza sulle menti colpevolizzandole. […] L'utilizzazione dello slogan dell'omofobia
è un effetto del linguaggio, che non rende conto della realtà. La maggior parte delle
persone sono indifferenti agli omosessuali, di più ancora in una società individualistica
dove ciascuno fa quello che vuole. [...] L'utilizzazione abusiva, da parte di dottrinari della
causa omosessuale, dell'immagine dell'omofobia, ci pone soprattutto di fronte a
un'interpretazione proiettiva. La fobia, la paura, è probabilmente più presente in coloro
che se ne servono come di una bandiera che in coloro che vengono pressi di mira dalle
parole di questi militanti. Il meccanismo abituale della fobia consiste nel far ricadere sul
mondo esterno l'angoscia che una mozione pulsionale ispira, ma che è vissuta come un
pericolo e un disappunto originati dall'esterno. Freud aveva ragione di sottolineare che è
talvolta impossibile essere intesi quando si denuncia una proiezione come una
percezione erronea. Le interpretazioni proiettive possono strappare, per un periodo,
l’adesione psicologica (che produce il fenomeno delle sette) o l’adesione politica (che
produce la dittatura dei costumi), perché offrono un sistema di riferimenti concernenti la
gestione che è assai rassicurante nella società individualistica attuale. Fin quando le
menti saranno mature per affrancarsi da questa tirannia.
La repressione intellettuale si mobilita fino a immaginare la creazione di una sanzione
penale. Si ha la pretesa, infatti, in certi ambienti associativi, se non addirittura politici, di
voler creare «un delitto di omofobia», che sarebbe sanzionato dalla legge identificando
la situazione degli omosessuali con quella di coloro che sono le vittime
32
Cfr. G. J. Nicolosi, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, op. cit., pp. 75 – 85; van den
Aardweg, Omosessualità e speranza, op. cit., pp. 69 - 89.
dell'antisemitismo e del razzismo. Una frode intellettuale si cela dietro questa
confusione tra il razzismo e il rifiuto di porre su un piede di parità, nella società,
l'omosessualità (che non è se no una tendenza sessuale tra le altre) con le due identità
sessuali le quali, da sole, prevalgono nell'ambiente sociale"33.
33
T. Anatrella, voce Omosessualità e omofobia, in Lexicon, Città del vaticano, LEV, 2003, passim.
JOSEPH NICOLOSI e LINDA AMES NICOLOSI, Omosessualità. Una guida per
i genitori, con Presentazione di Chiara Atzori, trad. it., Sugarco, Milano
2002, pp. 240, t 18,40
Cristianità N. 330 - 331, luglio - ottobre 2005, pp. 46 - 49
Il dottor Joseph Nicolosi è uno dei punti di riferimento della terapia riparativa dell’omosessualità; è
cofondatore e direttore del NARTH, l’Associazione Nazionale per la Ricerca e la Terapia
dell’Omosessualità (cfr. <www.narth.com/>, visitato il 30-10-2005), e membro dell’APA, l’Associazione
Psicologica Americana. Ha pubblicato diversi studi sul tema dell’omosessualità (cfr. Omosessualità
maschile: un nuovo approccio, trad. it., con Presentazione di Chiara Atzori e Postfazione di Livio Fanzaga
S.P., Sugarco, Milano 2002, recensito da Bruto Maria Bruti, in Cristianità, anno XXXII, n. 321, gennaiofebbraio 2004, pp. 18-22); esercita la professione presso la Thomas Aquinas Clinic di Encino, in California.
Nicolosi ha scritto con la moglie Linda Ames Omosessualità. Una guida per i genitori per rispondere alle
numerose domande di genitori e di educatori circa il comportamento non conforme al proprio genere che
un numero sempre maggiore di bambini mostrano; dunque, si tratta di un’opera a quattro mani, nella quale
però le parti propriamente cliniche sono del solo dottor Nicolosi, da cui l’alternanza del «noi» e dell’«io»
per indicare la paternità delle affermazioni (cfr. p. 18, nota).
L’opera si compone di una Presentazione del medico infettivologo Chiara Atzori (pp. 5-8), di una pagina
di Ringraziamenti (p. 9) e di nove capitoli, lungo i quali gli autori accompagnano genitori ed educatori alla
comprensione e alla prevenzione dell’omosessualità (pp. 11-220); l’esposizione è corredata da numerosi
esempi clinici e dall’apparato critico (pp. 221-234).
Nell’Introduzione (pp. 11-18) gli autori espongono la loro esperienza rispetto al sempre maggiore
bisogno, da parte di genitori e di educatori, di un’informazione chiara e onesta sull’omosessualità. Questa
necessità nasce non solamente dall’incremento del numero dei bambini che presentano il GID, il Gender
Identity Disorder, «Disturbo dell’Identità di Genere», ma anche dagli esiti della propaganda gay che, in
modo sempre più efficace, sta manipolando l’informazione circa l’omosessualità (cfr. il mio «After the
Ball»: un progetto «gay» dopo il baccanale, in Cristianità, anno XXXIII, n. 327, gennaio-febbraio 2005,
pp. 7-11).
I coniugi Nicolosi affermano che, al di là delle convinzioni etico-politiche di ognuno, prevenire
l’omosessualità è possibile ed è necessario perché espone le persone a una serie di rischi psico-fisici molto
seri, nei confronti dei quali gli eterosessuali sono maggiormente tutelati. Infatti gli omosessuali sono più
frequentemente soggetti a depressione maggiore, a disturbo d’ansia generalizzato, a disturbi del
comportamento, a dipendenza dalla nicotina, e ad abuso o a dipendenza da altre sostanze (cfr. David M.
Fergusson, L. John Horwood e Annette L. Beautrais, Is sexual orientation related to mental health problems and suicidality in young people?, in Archives of general psychiatry, vol. 56, n. 10, Chicago 1-101999, pp. 876-880); hanno più frequentemente episodi suicidari (cfr. ibid.; Richard Herrell, Jack Goldberg,
William R. True, Visvanathan Ramakrishnan, Michael Lyons, Seth Eisen e Ming T. Tsuang, Sexual
orientation and suicidality: a co-twin control study in adult men, in Archives of general psychiatry, vol. 56,
n. 10, cit., pp. 867-874; Gerard van den Aardweg, Una strada per il domani. Guida all’(auto) terapia
dell’omosessualità, trad. it., Città Nuova, Roma 2004, pp. 62-63; e Marzio Barbagli e Asher Colombo,
Omosessuali moderni. Gay e lesbiche in Italia, il Mulino, Bologna 2001, pp. 54-58) e hanno un’aspettativa
di vita media decisamente inferiore rispetto a quella degli eterosessuali (cfr. Paul Cameron, The gay
nineties, Franklin, Adroit 1993, cit. in G. van den Aardweg, «Matrimonio» omosessuale & affidamento a
omosessuali, in Studi Cattolici. Mensile di studi e attualità, anno XLII, n. 449/50, Milano luglio-agosto
1998, pp. 499- 509, [ p. 501]).
Nell’opera è sottolineato un fatto curioso. L’attivismo gay è riuscito a espungere dai manuali diagnostici
l’omosessualità come disturbo, anche se, a dire il vero, nel Diagnostic and Statistic Manual of Mental
Disorders, versione IV-TR, (trad. it. DSM-IV-TR. Criteri diagnostici, Masson, Milano 2004), il manuale
diagnostico dell’APA, American Psychiatric Association, è presente un Disturbo Sessuale Non Altrimenti
Specificato, che può essere diagnosticato quando è riscontrabile un «persistente e intenso disagio riguardo
all’orientamento sessuale» (cfr. ibid., disturbo F52.9); si tratta, in altri termini, dell’«omosessualità egodistonica» (cfr. DSM-III. Criteri diagnostici, trad. it., Masson, Milano 1983, disturbo 302. 00), ossia quella
degli omosessuali che non si riconoscono nell’identità gay. Tuttavia è singolare che nei manuali diagnostici
sia tuttora presente il Disturbo dell’Identità di Genere dei bambini, altamente predittivo di un futuro
sviluppo dell’omosessualità: «Nei bambini, l’anomalia si manifesta con uno dei seguenti sintomi: nei
maschi, affermazione che il proprio pene o i testicoli li disgustano, o che scompariranno, o affermazione
che sarebbe stato meglio non avere il pene, o avversione verso i giochi di baruffa e rifiuto dei tipici
giocattoli, giochi, e attività maschili; nelle femmine, rifiuto di urinare in posizione seduta, affermazione di
avere o che crescerà loro il pene, o affermazione di non volere che crescano le mammelle o che vengano le
mestruazioni, o marcata avversione verso l’abbigliamento femminile tradizionale» (DSM-IV-TR. Criteri
diagnostici, cit., disturbo F64.2). Secondo i Nicolosi «[...] la professione psichiatrica ha creato un’incongruenza di fondo, considerando i disordini dell’identità sessuale una patologia psichiatrica [nel
bambino], e il loro esito conclusivo nell’adulto (l’omosessualità) una condizione normale» (p. 186).
Nel capitolo 1, La mascolinità è una conquista (pp. 19-32), gli autori espongono brevemente le cause
relazionali dello sviluppo dell’omosessualità riprendendo e approfondendo le tesi della teologa ortodossa e
psicologa inglese Elizabeth Moberly sull’origine familiare dell’omosessualità, esposta nella sua opera
Homosexuality: A New Christian Ethic (James Clarke & Co, Cambridge 1983). Secondo i Nicolosi, le
persone omosessuali, anziché sviluppare un soddisfacente attaccamento emotivo nei confronti dei genitori
del proprio sesso, sentendosi rifiutate sviluppano invece un «distacco difensivo» (ibid., p. 6) che li protegge
da ulteriori frustrazioni. Le cause di questo mancato attaccamento possono essere le più svariate e
coinvolgono tutti gli elementi del sistema familiare; l’esito sarà «un problema di grave mancanza di
autostima e di senso di inadeguatezza sessuale» (p. 31). Il mondo maschile rappresenterà sempre un
fortissimo richiamo e una minaccia; crescendo, il desiderio affettivo assumerà una connotazione sessuale.
Secondo gli autori «il cuore della condizione omosessuale è l’autoinganno. [...] È una rivolta contro la
realtà, una ribellione contro i limiti insiti nella natura umana» (p. 22).
In questo capitolo gli autori colgono l’occasione per ribadire la differenza fra gay e omosessuali: «[...] il
termine gay ha un’accezione politica che implica un enorme bagaglio di questioni ideologiche e [...] il
termine scientifico più adatto [per indicare una persona attratta da altri dello stesso sesso] è omosessuale»
(p. 20).
Nel capitolo 2, Il bambino preomosessuale (pp. 33-55), i coniugi Nicolosi espongono in modo sintetico
ma efficace il delicato tema dell’identità e della natura della persona; cioè mostrano come la questione
relativa alla maggiore o minore naturalità dell’omosessualità non è di competenza della scienza:
«Contrariamente a quanto spesso si sente dire, la scienza ha dei limiti intrinseci: essa descrive la realtà,
può dirci “ciò che è”, ma non “ciò che dovrebbe essere”» (p. 35). Gli autori utilizzano un esempio per
chiarire il concetto: «Possiamo affermare che l’obesità è la sua [di Jack, il ragazzo dell’esempio] vera
natura? Non è più giusto dire che la sua condizione è il frutto di una combinazione di fattori biologici,
influenza familiare, influenza sociale esercitata dai suoi coetanei e una personale scelta comportamentale
(esattamente come per l’omosessualità)?» (p. 36).
«L’essere umano non è destinato all’obesità; abbiamo il dovere di rispettare le persone affette da questo
problema e sostenere la loro battaglia, ma non possiamo affermare che l’obesità è parte integrante della
loro identità.
«Questo è lo stesso comportamento da tenere nei confronti degli adolescenti confusi sulla loro identità
sessuale» (ibidem).
Secondo l’esperienza del dottor Nicolosi, i bambini confusi nella loro identità sessuale possono evitare
una futura omosessualità se le relazioni nel sistema familiare si modificano in modo da fornire loro un
modello maschile positivo al quale essi possano ispirarsi nelle sfide della vita.
Nel capitolo 3, Omosessuali si nasce? (pp. 56-66), gli autori s’impegnano nella confutazione delle teorie
secondo le quali l’omosessualità sarebbe una condizione innata. Queste teorie sono propalate dagli attivisti
gay nell’intento di convincere l’opinione pubblica che l’omosessualità sarebbe «normale», seguendo un
ragionamento di questo genere: se una persona nasce omosessuale nessuno ne ha la responsabilità, e non vi
si può fare nulla, anzi! Ogni tentativo di cambiamento sarebbe una violenza alla «vera natura» della
persona.
Tuttavia questo ragionamento sarebbe fallace anche se l’omosessualità avesse una causa genetica: per
esempio, la sindrome di Down è innata, ma nessuno la considera normale.
Le teorie innatiste dell’omosessualità si basano principalmente su due esperimenti.
Il primo è quello condotto nel 1991 dal biologo statunitense Simon Le Vay — omosessuale e attivista gay
—, il quale sezionò alcuni cadaveri fra i quali quelli di uomini presumibilmente omosessuali. Le Vay scoprì
che il terzo nucleo interstiziale dell’ipotalamo — chiamato INAH-3 — aveva dimensioni simili nelle donne
e negli omosessuali, mentre mostrava dimensioni maggiori nel caso degli uomini dei quali non era
disponibile alcuna informazione sull’orientamento sessuale. Sostanzialmente, questo ricercatore ha
confrontato l’ipotalamo di omosessuali con quello di uomini dall’orientamento sessuale sconosciuto. Oltre
a ciò va considerata la plasticità del cervello; non è possibile cioè escludere che un comportamento
omosessuale abbia un’influenza sulle parti dell’encefalo. Oltre a tutto questo, fu lo stesso Le Vay a
dichiarare: «Bisogna considerare ciò che non sono riuscito a dimostrare. Non ho provato che
l’omosessualità è genetica, né ho trovato una causa genetica dell’omosessualità. Non ho dimostrato che
omosessuali si nasce» (p. 57).
Il secondo esperimento è quello pubblicato nello stesso anno da J. Michael Bailey e Richard Pillard (cfr.
A genetic study of male sexual orientation, in Archives of general psychiatry, vol. 48, n. 12, Chicago 1-121991, pp. 1089-1096). Questo studio, che secondo gli attivisti gay avrebbe dimostrato l’origine genetica
dell’omosessualità, in realtà dimostra l’esatto contrario. I due scienziati presero in esame coppie di fratelli
nelle quali almeno uno dei due aveva un orientamento omosessuale. I gemelli omozigoti — che
condividono l’identico patrimonio genetico — erano entrambi omosessuali nel 52% dei casi; è una
percentuale tutt’altro che trascurabile, ma se l’omosessualità avesse un’origine genetica la percentuale
avrebbe dovuto essere il 100%. Ma le sorprese non sono finite: i gemelli di zigoti erano entrambi
omosessuali nel 22% dei casi, mentre i fratelli non gemelli lo erano nel 9.2% dei casi. Curiosamente, nel
caso dei fratelli adottivi — che non condividono nulla del patrimonio genetico — la percentuale era del
10.5%, cioè superiore a quella dei gemelli biologici.
Nel capitolo 4, Il ruolo della famiglia (pp. 67-97), gli autori indagano sui ruoli e sulle dinamiche familiari
connesse con lo sviluppo dell’omosessualità. Emerge con evidenza come il fattore scatenante
l’omosessualità non sia solamente un padre di un certo tipo, ma la relazione fra il padre e il figlio; e quale
influenza abbia la madre su questa relazione, e quale relazione quest’ultima intrattenga con il marito e il
figlio. Pare quindi importante considerare la famiglia come un «sistema», e non solamente come la somma
d’individui; è questo una conferma e un superamento della «relazione triadica classica» (p. 74) individuata
dallo psichiatra e psicoanalista statunitense Irving Bieber (1908-1991, basata su caratteristiche individuali
dei membri della famiglia: «Siamo portati a pensare che la triade caratterizzata da un’intimità vischiosa
materna e dal distacco-ostilità paterno sia il modello “classico” più favorevole alla promozione
dell’omosessualità o di gravi problemi omosessuali nel figlio» (I. Bieber e Collaboratori, Omosessualità,
«Il Pensiero Scientifico» Editore, Roma 1977, p. 153). In questo capitolo, i coniugi Nicolosi forniscono
alcune utili indicazioni per i genitori alle prese con questo problema.
Nel capitolo 5, Amici e sentimenti (pp. 98-118), gli autori affrontano il delicato tema dei rapporti dei
bambini affetti da GID con i coetanei dello stesso sesso. I bambini affetti da GID, infatti, tendono a isolarsi
e a mantenere comportamenti solitari; eventualmente giocano e frequentano preferibilmente amici del sesso
opposto, ma difficilmente hanno amici dello stesso sesso. Questo atteggiamento, secondo i coniugi
Nicolosi, è la conseguenza dell’opinione — formatasi in famiglia — che questi bambini hanno di sé: «[...]
il bambino prova un profondo disagio in compagnia di altri uomini e non si sente all’altezza del mondo
maschile» (p. 31); secondo lo psicoterapeuta olandese Gerard van den Aardweg, inoltre, i rapporti con i
coetanei dello stesso sesso sarebbero ancora più determinanti delle relazioni familiari nel produrre un senso
d’inferiorità in riferimento al proprio genere (cfr. G. van den Aardweg, Omosessualità e speranza, trad. it.,
Ares, Milano 1995; e IDEM, Una strada per il domani, cit.). Inoltre, nello stesso capitolo, gli autori mettono
in guardia i genitori da associazioni che propagandano lo stile di vita gay sfruttando il momento di
difficoltà dei genitori, e sottolineano l’importanza dell’attività sportiva per il superamento delle difficoltà di
genere elencando gli sport che a loro parere possono aiutare a sviluppare un sano potenziale eterosessuale.
Nel capitolo 6, Verso l’adolescenza (pp. 119-155), i coniugi Nicolosi affrontano una fase importante
dello sviluppo della persona, in particolare di quella che ha difficoltà con la propria identità di genere.
Questo periodo è particolarmente delicato perché le pulsioni affettive cominciano a erotizzarsi — e quindi
comincia per il ragazzo o per la ragazza il rischio di intraprendere comportamenti pericolosi — e perché gli
adolescenti sono particolarmente sensibili al bombardamento mediatico, e la strategia gay prevede un
massiccio uso dei mass media per «[...] diffondre la convinzione che l’omosessualità debba essere
considerata una condizione normale» (p. 179). I coniugi Nicolosi, infatti, sottolineano come nel caso di
diversi adolescenti da loro incontrati l’essere omosessuale o meno sia una questione di moda, e il
parteggiare per il movimento omosessualista sia vissuto come una lotta per i diritti civili. Gli autori,
ricorrendo a ricerche e alla letteratura scientifica, dimostrano come gli adolescenti con problemi di
omosessualità siano particolarmente esposti a problemi psichiatrici o a comportamenti antisociali e
autodistruttivi, come tentativi di suicidio, fughe da casa, tossicodipendenza, alcolismo e prostituzione;
infatti, per molti omosessuali, l’adolescenza è il momento dei primi contatti con il mondo gay. Vista la
criticità dell’età adolescenziale, per i ragazzi che hanno problemi d’identità di genere, gli autori mettono in
guardia i genitori nei confronti di programmi educativi scolastici miranti a presentare l’omosessualità come
«normale» e la critica nei confronti dell’omosessualità e del mondo gay come «omofobia». Questi
programmi esistono anche in Italia: sono condotti dall’AGEDO, l’Associazione di Genitori, Parenti e
Amici di Omosessuali (cfr. <www.agedo.org/index_i.html>, visitato il 30-10-2005) e sono finanziati con
fondi pubblici. Questo capitolo è anche l’occasione per ricordare i legami fra lo sviluppo dell’omosessualità
e abusi subiti in età infantile o adolescenziale.
I coniugi Nicolosi dedicano il capitolo 7, Da maschiaccio a lesbica (pp. 156-175), a un tema spesso
dimenticato nei dibattiti e sui mass media, ossia quello dell’omosessualità femminile, cioè del lesbismo. Il
dottor Nicolosi afferma: «Credo che alle origini del lesbismo vi sia il rifiuto inconscio della propria
identità femminile. Solitamente, le donne che diventano lesbiche decidono a livello inconscio che essere
femmine è rischioso o indesiderabile. A volte perché hanno subito le molestie sessuali di un uomo, oppure
(e questo è il caso più frequente) perché si confrontano con una figura materna ai loro occhi debole o
negativa» (p. 157). Anche in questo caso vengono analizzate le dinamiche familiari, ma non vengono
taciute le responsabilità del femminismo, responsabile di diffondere un rifiuto della «ricettività» (p. 160)
definita «l’anima della femminilità» (p. 160).
Nel capitolo 8, La politica della cura (pp. 176-191), gli autori affrontano il tema delle politiche culturali
dell’omosessualità e il loro ruolo nella confusione sessuale dei giovani. Questo tema riguarda forse
l’ostacolo maggiore che i genitori incontrano nel loro cammino di comprensione e di riparazione delle
ferite dell’identità sessuale dei propri figli. Lo strumento più potente di queste politiche culturali è la
scienza; Nicolosi ribadisce che la scienza non può stabilire cosa è normale e cosa non lo è, ma deve
limitarsi a descrivere il fenomeno: «I dati scientifici forniscono una descrizione del mondo e mettono a
disposizione di tutti dei fatti utili alla comprensione della realtà in cui viviamo, ma l’essenza umana, l’identità più profonda dell’uomo, è una questione che compete alla filosofia e alla religione. La scienza può
svolgere solo una funzione descrittiva, la filosofia e la teologia forniscono una prospettiva più ampia al di
là del mondo materiale, ossia un’immagine della pienezza umana» (p. 178). Purtroppo — sostiene Nicolosi
—, il mondo della scienza è dominato da correnti ideologiche assolutamente favorevoli all’omosessualismo
(cfr. R. Marchesini [a cura di], La terapia riparativa dell’omosessualità. Colloquio con Gerard J. M. van
den Aardweg, in Studi Cattolici. Mensile di studi e attualità, anno XLIX, n. 535, Milano settembre 2005,
pp. 616-622). Un esempio chiarissimo di questa contaminazione, che talvolta si trasforma in una vera
manipolazione, è data dal celebre «10%», che corrisponderebbe alla percentuale di omosessuali presenti
nella società secondo gli studi dell’entomologo statunitense Alfred Kinsey (1894-1956); questo dato,
propalato dagli attivisti gay, non è mai stato confermato da nessun’altra ricerca, ed è frutto di una pesante
manipolazione (cfr. Judith A. Reisman ed Edward W. Eichel, Kinsey, sex and fraud. The indoctrination of
a people, Lafayette, Huntington 1990).
Nel capitolo 9, Il processo terapeutico (pp. 192-220), gli autori descrivono e trascrivono alcune sedute
terapeutiche con i genitori di bambini sessualmente confusi, ma anche quelli di adolescenti alle prese con
nuovi impulsi omosessuali, e contiene consigli educativi per i genitori per accompagnare i loro figli alla
scoperta del loro potenziale eterosessuale. Merita la trascrizione di un brano presente nell’ultima pagina di
questo capitolo: «È nostra convinzione che l’umanità debba vivere in conformità con l’ordine naturale, al
fine di realizzarsi pienamente. Noi crediamo che la complementarietà sessuale e l’eterosessualità siano il
fondamento di quest’ordine naturale. Tutte le volte che neghiamo l’importanza delle differenze sessuali,
non rispettiamo l’integrità della condizione umana» (p. 220).
Per quanto riguarda l’omosessualità, l’opera dei coniugi Nicolosi appare decisamente apprezzabile
perché risponde all’invocazione sempre più pressante di genitori e di educatori preoccupati per i
comportamenti dei bambini loro affidati; oltre a questo, è ricco di osservazioni e d’informazioni in maniera
tale da poter essere lo strumento per un primo approccio al tema dell’omosessualità per chiunque.
Eppure il testo si rivela, a una lettura approfondita, collocato sullo sfondo del più grande tema della lotta
spirituale che la nostra natura decaduta deve affrontare ogni giorno per reagire alle ferite che ognuno di noi
si porta dentro e liberare così il nostro pieno potenziale umano: «È sempre un grave errore credere che in
un dato momento della vita le nostre lotte interiori siano “concluse”; in realtà, come esseri umani siamo
estremamente vulnerabili, sia che la nostra lotta riguardi l’omosessualità che l’alcolismo, la tossicodipendenza, la golosità o persino l’orgoglio» (p. 152).
Roberto Marchesini
TU NON SEI TROPPO VECCHIO PER CAMBIARE!
By Don W. Prichard
Ho avuto a che fare con la lotta omosessuale da quando avevo 3 anni. Circa un anno fa, ero stanco
di andare avanti e ho deciso che ne avevo abbastanza.
Ora per la prima volta in tutta la mia vita, sono veramente felice, in pace, e finalmente ho la gioia
del Signore nel cuore. Questa è una nuova esperienza per me. Ci si sente come se ci si stesse
liberando da una maledizione che dura da tutta la vita.
Mi accorsi per la prima volta di essere attratto dalle persone del mio stesso sesso quando avevo 3
anni. A quattro fui molestato da due ragazzi più vecchi che erano miei fratelli. Mi piacque e volli
che accadesse ancora. Finalmente un po’ di attenzione dai maschi! Ero un ragazzo malato ed
effeminato, e vivevo con una perpetua ossessione per i corpi degli altri uomini, soprattutto per
uomini con grandi bicipiti.
Il rapporto con mio padre fu sempre distante, come se egli si vergognasse del suo non mascolino
figlio. Mia madre mi teneva troppo con sé. Infatti, eccetto per un periodo di 14 anni in cui io vissi
fuori dallo stato, noi vivemmo sempre insieme fino alla sua morte a 91 anni.
Né mio padre né mia madre mi dissero mai che mi amavano, e non fui mai tenuto in braccio o
baciato. Ebbi anche un rapporto molto distante con mia sorella.
Fui battezzato a 15 anni. Me lo ricordo molto bene perché trovai un prete giovane, carino e molto
attraente. Paul, un amico, mi influenzò ad andare in chiesa, ma l’esperienza di conversione non
sembrava avere nessun impatto sulla mia omosessualità adolescenziale.
Paul e gli altri miei compagni di scuola si sposarono ed ebbero figli. Io non lo feci e fui sempre
perseguitato dal sentimento di solitudine e vuotezza.
Mai durante la mia vita trovai l’attenzione e l’amore che avevo cercato. Non c’è nulla di gaio né di
allegro nello stile di vita gay. A 16 anni ebbi una relazione monogama non soddisfacente. Poi fui
celibe per 11 anni e fui orgoglioso di me stesso.
Tuttavia nel 1996 incontrai la mia nemesi, un uomo di 20 anni più giovane di me. Pensai di aver
trovato finalmente colui che mi amava. All’inizio era così, ma la relazione durò poco, circa 3 mesi e
contemporaneamente morì mia madre.
Poi fui molto malato di polmonite e il mio ex amante si trovò nei guai con un suo amico, allora gli
chiesi di prendersi cura di me ed egli acconsentì. Egli poi insistette affinché io andassi con lui alla
comunità gay di Atlanta. Ma io non volli partire. Ero già disperatamente depresso per la mia
malattia e per la recente morte di mia madre. Quando rifiutai di andare ad Atlanta egli mi rifiutò
completamente. Provai allora a prendere in mano la mia vita.
Dio misericordiosamente mi fece la grazia. Egli sapeva che avevo una storia di guarigione e
speranza da raccontare. Volevo trattare con questa lunga maledizione. Contattai un prete di Atlanta
e iniziai a vedere un terapeuta. Iniziai a frequentare un gruppo di uomini che volevano uscire dallo
stile di vita gay.
Oggi non è così tremendo andare avanti. Ci sono momenti difficili ma occasionali e sono
l’eccezione e non la regola.
La parte più importante per il recupero della mia omosessualità è stato che finalmente mi sono fatto
dei stretti amici maschi. Questa è una nuova esperienza per me. A 65 anni? Sono stato rifiutato
dagli uomini in tutta la mia vita ed è semplicemente grandioso sapere che molti uomini sono
realmente come me. Mi possono piacere anche senza un attrazione sessuale. Sto’ costruendo
salutari rapporti con uomini per i quali non ho fantasie, di cui non mi innamoro e per i quali non
provo libidine lussuriosa. Ora posso abbracciare forte un uomo senza eccitarmi.
Recentemente ero in un gruppo di preghiera e avevo di fronte un uomo. Mi comportai in modo da
non suscitare nessuna reazione sessuale. Posso dire di essere orgoglioso di me stesso e di essere
ancora umiliato? Io mi sento come “uno dei ragazzi” per la prima volta. E ho ricevuto minore
fiducia sulle mie numerose fidanzate platoniche.
1
Nella ricerca di compagni maschi, ho preso l’iniziativa. Tuttavia avevo paura del rifiuto, andavo
avanti e facevo il primo passo e non sono stato ancora rifiutato seccamente. Trovo molti
eterosessuali uomini aperti all’amicizia cristiana. Non sono molto sportivo e non lo sarò mai, ma
abbiamo già molto di cui parlare.
Un uomo macho sulla sessantina recentemente iniziò a venire alla mia congregazione. Legammo
immediatamente. Ho anche trascorso una notte con lui e sua moglie senza problemi. Nuoto
quotidianamente e siamo diventati buoni amici con vari uomini della piscina. Occasionalmente
vado anche in giro in bicicletta con uomini del mio vicinato.
Settimanalmente vado a farmi massaggiare e ho sempre preferito farmi massaggiare da una donna.
Ora mi massaggia un uomo e da parte mia non c’è nessun problema. Egli è un meraviglioso uomo
sposato, e siamo diventati buoni amici.
È meraviglioso avere un posto dove posso essere completamente onesto e in cui è possibile dare e
condividere situazioni. Avevo disperatamente bisogno di compagni uomini cristiani con cui
condividere la mia lotta. Ho cercato un gruppo di supporto come questo per 15 anni. Non guido la
notte, così un gentile giovane uomo di un’altra città mi passa a prendere per andare agli incontri di
gruppo. Io sono il nonno della riunione, ma sento di poter portare una dimensione differente a quelli
che cercano aiuto.
Il mio terapeuta/consigliere mi ha mostrato che sarà un lungo, graduale cammino che mi aiuterà ad
uscire dalla rabbia, disappunto, frustrazioni e vergogna che abitano il sentiero della perversione. La
mia è stata una vita di odio di me stesso e vergogna, ma mi sento meglio ora che quando avevo 40
anni. La mia salute emozionale e fisica non è mai stata migliore. Ho un meraviglioso posto dove
vivere con dei deliziosi vicini. Ho il più fantastico gruppo di amici che abbia mai avuto. Più
importante ancora, ho una chiesa dove sono amato e pregato e dove partecipo attivamente. Ho
rinnovato l’amicizia con due amici. Nulla di tutto ciò era possibile mentre era presente la macchia
dell’omosessualità che mi impediva di avere delle sane amicizie maschili.
Ho sempre creduto che la mia omosessualità fosse primariamente un problema di comportamento
con le donne. Tuttavia ora vedo che le mie difficoltà non erano dovute alle donne. I miei rapporti
con gli uomini sono stati bloccati per lungo tempo. Non potevo avere un’amicizia genuina con un
uomo, perché mi innamoravo sempre di lui! Alla fine ho capito il perché. Ora non ho più paura di
parlare con gli uomini. Posso anche abbracciarli senza provare pensieri sessuali. Questo è il
progresso!
Ho sempre provato a vivere una buona vita, specialmente da quando sono anziano. Ma c’è sempre
stata questa ombra dell’omosessualità che perseguitava ogni mio movimento. Grazie all’aiuto
ricevuto dai terapeuti e dai preti/ministri ex-gay, sono emozionato di conoscere che esiste una via
d’uscita, come pure molte persone che mi aiutano in questo cammino.
La lobby gay influenza molto, ed essa ha convinto l’americano medio che le nostre lotte sono
geneticamente indotte. Essi sbagliano ad affermare che non c’è speranza di cambiamento. Ho
scoperto che tu non sei mai troppo radicato in un’abitudine o troppo vecchio per cambiare e
ricominciare. È un’avventura emozionante. Unisciti a me!
2
NARTH
National Association for Research and Therapy of Homosexuality
Linee guida per sezioni territoriali e internazionali
Dichiarazione sulla missione del NARTH: Il NARTH rispetta la dignità, l’autonomia e la
libertà di scelta del cliente. Noi crediamo che i clienti abbiano il diritto di manifestare e mantenere
un’identità omosessuale, o di diminuire la loro omosessualità sviluppando il loro potenziale
eterosessuale. Il diritto di ricorrere ad una terapia per cambiare il proprio orientamento sessuale
deve essere considerato naturale e inalienabile.
Il Consiglio Direttivo del NARTH, nella sua riunione del 4 giugno 2005, ha adottato una risoluzione che
incoraggia la formazione di sezioni internazionali e territoriali. Le seguenti linee guida regolano la
costituzione di tali sezioni:
1. Ogni gruppo riconosciuto come sezione deve attenersi alla Dichiarazione sulla missione del NARTH
secondo la quale l’omosessualità è modificabile. Il gruppo deve inoltre sostenere gli altri obiettivi
generali stabiliti dal Consiglio Direttivo del NARTH.
2. Tutti i gruppi che desiderano il riconoscimento come sezioni del NARTH devono richiedere
l'approvazione del Consiglio Direttivo del NARTH.
3. Nella costituzione di una sezione devono intervenire come membri fondatori almeno tre persone
fisiche. Uno dei membri deve essere designato quale presidente. Generalità, indirizzi e recapiti di
tutti i membri e delle sezioni devono essere registrati presso la sede centrale del NARTH.
4. Ogni sezione deve sottoporre al Consiglio Direttivo almeno semestralmente un prospetto generale,
che terrà sempre aggiornato, delle attività e dei progetti perseguiti.
5. Ogni persona fisica che aderisce ad una sezione territoriale o internazionale deve essere membro del
NARTH. Possono entrare a far parte della sezione terapeuti, docenti e ricercatori universitari,
responsabili di associazioni o gruppi, persone interessate, persone che lottano contro un orientamento
sessuale indesiderato e loro familiari ed amici.
6. Il NARTH incoraggia tutti i membri a prendere posizione sulle tematiche riguardanti
l’omosessualità, ma solamente il Consiglio Direttivo centrale può parlare a nome del NARTH in
quanto organizzazione. I responsabili delle sezioni territoriali non rilasceranno mai senza una
specifica approvazione del Consiglio Direttivo centrale del NARTH dichiarazioni tali che se ne
possa desumere che sono condivise dal NARTH in quanto organizzazione.
7. Le organizzazioni locali del NARTH non devono impegnarsi nella ricerca di fondi o nella
promozione di progetti ampi o costosi senza previa approvazione del Consiglio Direttivo centrale del
NARTH. Le organizzazioni locali possono, tuttavia, esigere un'esigua quota sociale a rimborso delle
spese postali o di altre spese ordinarie.
8. Il gruppo, in quanto sezione del NARTH, fungerà come forum educativo per lo scambio di idee sulla
terapia dell’omosessualità. Il gruppo in quanto tale non si assumerà responsabilità clinica per il
trattamento di una persona che lotta contro un orientamento omosessuale indesiderato.
9. Se una sezione ha domande da fare su una possibile iniziativa, è invitata a parlarne con i membri del
Consiglio Direttivo centrale del NARTH.
Omosessualità & normalità:
Colloquio con Joseph Nicolosi1
a cura di Roberto Marchesini
"Studi Cattolici" n. 525, novembre 2004, pp. 830 - 832
Il dott. Joseph Nicolosi si occupa da diversi anni di terapia riparativa dell'omosessualità;
è cofondatore e direttore dell'Associazione Nazionale per la Ricerca e la Terapia
dell'Omosessualità (NARTH), membro dell'Associazione Psicologica Americana, autore
di numerosi libri e articoli scientifici. In italiano sono disponibili i seguenti volumi:
JOSEPH NICOLOSI, Omosessualità maschile, un nuovo approccio, Milano, Sugarco
Edizioni, 2002; JOSEPH NICOLOSI, LINDA AMES NICOLOSI, Omosessualità: una
guida per i genitori, Milano, Sugarco Edizioni, 2003. Il sito del NARTH, sul quale è
disponibile materiale in italiano, ha il seguente URL: http://www.narth.com/. Roberto
Marchesini ha intervistato Joseph Nicolosi per i nostri lettori.
Dottor Nicolosi, cos'è l'omosessualità?
L'omosessualità è un sintomo di un problema emotivo e rappresenta bisogni emotivi
insoddisfatti dall'infanzia, specialmente nella relazione con il genitore dello stesso sesso.
In altre parole: per il ragazzo che non ha avuto una connessione emotiva con il padre, e
per la ragazza che non ha avuto attenzione emotiva da parte della madre, questo può
indurli a sviluppare un sintomo di attrazione verso il proprio sesso, o omosessualità.
L'omosessualità è "normale"? E cosa è "normale"?
Io non penso che l'omosessualità sia normale. La popolazione omosessuale è circa il 2
%, 1.5 - 2 %. Perciò statisticamente non è "normale" nel senso che è molto diffusa. Oltre
a questo, non è nemmeno normale in termini di natural design2. Quando parliamo di
legge naturale, e della funzione del corpo umano... quando guardiamo alla funzione del
corpo umano, l'omosessualità non è normale. E' un sintomo di qualche disordine. La
normalità è ciò che adempie ad una funzione in conformità al proprio design; questo è il
concetto di legge naturale - e in questo senso l'omosessualità non può essere normale,
perché l'anatomia di due uomini, i corpi di due uomini, o due donne, non sono
compatibili.
Quali sono le cause dell'omosessualità? Ed esiste una causa genetica?
Come ho detto, le cause dell'omosessualità risalgono all'autopercezione del bambino o
della bambina nella prima infanzia. Il ragazzo ha bisogno di un legame con suo padre
per sviluppare la sua sostanziale identità maschile, la ragazza ha bisogno di un
attaccamento emotivo o legame con sua madre per sviluppare la sua femminilità. E' il
senso di genere che determina l'orientamento sessuale; in altre parole, quando un ragazzo
si sente sicuro della sua mascolinità, è naturalmente attratto dalle femmine. E la stessa
cosa è vera anche per le femmine: quando una giovane ragazza si sente sicura della sua
identità femminile, sarà naturalmente attratta dai ragazzi. L'omosessuale è la persona che
è carente o mancante nel senso di genere, e perciò cerca di rimediare, o cerca un rimedio
attraverso altre persone. Questa spinta diventa sessualizzata, ecco perché essi
manifestano il sintomo dell'omosessualità.
Si fa un gran parlare circa le cause genetiche [dell'omosessualità] e più o meno vent'anni
fa negli Stati Uniti si parlava in continuazione di "gene gay", o di "cervello gay"... ma
nessuno studio ha dimostrato questa cosa. Infatti gli attivisti gay negli Stati Uniti non
parlano più così tanto di basi biologiche o genetiche, perché nessuno studio lo ha
dimostrato e ha offerto un simile riscontro. Sono molto più evidenti le cause familiari e
ambientali, specialmente quella che noi chiamiamo la "classica relazione
triadica"<sup3< sup=""> costituita per il ragazzo da un padre distante, distaccato e
critico, da una madre iper-coinvolta, intrusiva e talvolta dominante e da un ragazzo
costituzionalmente sensibile, introspettivo e raffinato che è esposto ad un rischio
maggiore di sentirsi carente nell'identità sessuale. Noi vediamo questo schema
continuamente.</sup3<>
Noi riconosciamo che in molte persone c'è una predisposizione costituzionale
all'omosessualità, ma è cosa diversa da una pre-determinazione, o da una "causa" diretta.
Cioè, il ragazzo può essere costituzionalmente incline all'omosessualità, nei termini della
sua costituzione passiva o delicata, e nella sua difficoltà nel creare un legame con il
padre e nel sentirsi fiducioso nei confronti del mondo maschile, ma è necessaria la
"classica relazione triadica" ambientale per creare un problema omosessuale a un
ragazzo con questa costituzione.
Qual è la differenza tra "gay" e "omosessuale"?
E' essenziale fare questa importante distinzione tra gay e omosessuali. Gli attivisti gay
vorrebbero che noi credessimo che tutti gli omosessuali sono gay. Infatti, persino la
gerarchia della Chiesa Cattolica crede che le persone omosessuali siano "gay". Noi non
crediamo che essi siano gay. La parola "gay" indica una identità socio-politica.
Omosessuale, invece, è semplicemente una descrizione di un problema psicologico, di
un orientamento sessuale.
Le persone che vengono nella nostra clinica, che cercano un aiuto, hanno un problema
omosessuale, ma rifiutano l'etichetta di gay. Non vogliono essere chiamati "gay" perché
non si riconoscono in quella identità socio-politica e con lo stile di vita gay.
Il movimento gay è un movimento per i diritti umani?
Da un certo punto di vista lo è, è un movimento per i diritti umani, o per i diritti civili,
perché tutte le persone, non importa quale sia il loro orientamento sessuale, devono
godere dei loro diritti civili - comunque questo non significa che la società debba
ridefinire il matrimonio; questo è un altro argomento e va oltre lo scopo di questa
conversazione.
Noi crediamo che molti attivisti gay hanno usato la questione dei diritti civili o delle
libertà civili come un modo per opprimere persone che stanno cercando di cambiare,
persone che stanno cercando di uscire dall'omosessualità. C'è una intera popolazione di
individui che sono uscite o che stanno uscendo dall'omosessualità, e questo fatto è una
minaccia per gli attivisti gay, e gli attivisti gay stanno tentando di sopprimere e far
passare sotto silenzio questo punto di vista, questa popolazione.
I ricercatori dicono che gli omosessuali soffrono molto. La causa di questa
sofferenza è l'omosessualità o l'omofobia sociale?
Noi crediamo che ci sia della sofferenza per le persone omosessualmente orientate nella
società, perché la cultura gay è minoritaria in questa società e perché gli obiettivi sociali
del movimento gay costituiscono una minaccia per il corpo sociale perché i gay vogliono
ridefinire il matrimonio, la natura della genitorialità, e la norma sociale fondamentale
circa il sesso e il genere, perciò la società ha resistito alla normalizzazione
dell'omosessualità e alla visibilità dei gay. E riconosciamo che questo sia difficile per le
persone che si identificano come gay.
Comunque, ciò di cui non si parla è il disordine intrinseco nella condizione omosessuale.
Noi crediamo che l'omosessualità sia intrinsecamente disordinata4, e contraria alla vera
identità dell'individuo; e molti dei sintomi dei quali soffrono le persone gay e lesbiche
non sono causate dall'omofobia sociale ma perché la condizione stessa è contraria alla
loro vera natura.
Moltissimi studi mostrano che gli omosessuali sono più infelici, depressi, predisposti a
tentativi di suicidio, hanno relazioni povere, sono incapaci di sostenere relazioni a lungo
termine, hanno comportamenti autolesionistici e disadattati. Ma non si può
semplicemente dire che tutto ciò sia causato dall'omofobia della società. In parte lo è; ma
io credo che la maggior parte della sofferenza sia dovuta alla natura disordinata della
stessa omosessualità - perché contrasta la nostra natura umana.
Il cambiamento è possible?
Il cambiamento è davvero possibile. Noi vediamo sempre più individui che vogliono
farsi avanti pubblicamente e dare la loro testimonianza. Cinque anni fa sarebbe stato
molto difficile trovare un ex omosessuale che volesse esporsi, ma fortunatamente oggi
uomini e donne che erano dichiaratamente gay e lesbiche, che vivevano lo stile di vita
gay, ora vogliono discutere apertamente del loro processo di cambiamento. Molti di loro
sono sposati con bambini, e gli era stato detto che non avevano altra scelta che essere
gay, e che avevano un gene dell'omosessualità, e che dovevano imparare ad accettarlo,
ma queste persone sono state capaci di andare a fondo nelle cause della loro attrazione
verso il proprio sesso. E allora hanno scoperto che molte delle loro sofferenze erano
dovute a cause emotive. E quando questi bisogni emotivi sono stati riconosciuti
onestamente e soddisfatti in maniera sana, il loro desiderio omosessuale è diminuito.
Cos'è la terapia riparativa?
La terapia riparativa è un particolare tipo di psicoterapia che è applicata agli individui
che vogliono superare la loro attrazione omosessuale. E' una terapia particolare che
guarda alle origini e alle cause di questa condizione, che aiuta il cliente a comprendersi,
insegnandogli a capire cosa è successo nella sua infanzia, a capire gli eventi particolari
che gli sono accaduti, specialmente nei termini delle relazioni con sua madre e suo
padre, e ad andare oltre a tutto ciò... a sostenere il cliente nel creare quelle nuove
relazioni che sono sane, che sono benefiche, e che compensano il vuoto emotivo che si è
creato nel suo sviluppo.
La terapia riparativa studia davvero a fondo le tecniche che sono più efficaci nel
diminuire l'omosessualità di una persona e a sviluppare il suo potenziale eterosessuale.
Quali sono le basi teoriche della terapia riparativa?
Fondamentalmente la terapia riparativa inizia, teoricamente, con la terapia
psicodinamica, ossia quella che studia le forze inconsce che governano il
comportamento delle persone.
Dal punto di vista teorico noi crediamo che i bisogni emozionali non soddisfatti vengano
espressi indirettamente sottoforma di sintomi, e nel caso dell'omosessualità come
attrazione omosessuale; ma che l'omosessualità non riguardi davvero il sesso, quanto
piuttosto il tentativo di acquistare soddisfazione emotiva e identificazione,
completamento, attraverso il comportamento sessuale; tentativo che però non funziona,
ed è questo il motivo per cui le persone vengono da noi.
Molti degli sviluppi teorici sono basati sulla teoria psicodinamica classica: noi usiamo
molti concetti freudiani - come è noto, Freud5 pensava che l'omosessualità fosse un
disordine dello sviluppo, e che fosse una condizione che potesse essere soggetta a
trattamento. Anche se lo stesso Freud fu un difensore dei diritti dei gay, credeva che il
trattamento dovesse essere disponibile per quelli che volevano cambiare, e noi seguiamo
la stessa linea di tradizione.
Noi usiamo anche molto della "teoria dell'attaccamento" di John Bowlby 6, di quella delle
relazioni oggettuali7 e della self-psychology8, molto popolare negli Stati Uniti. Noi
lavoriamo anche con la famiglia d'origine, aiutando il paziente a comprendere le sue
relazioni con la sua famiglia, il suo ruolo nella famiglia, e come il posto da lui occupato
nella struttura familiare lo ha condotto al fallimento nella acquisizione del proprio
genere.
1
L'intervista è stata revisionata dal dott. Nicolosi.
2
Il termine design, difficilmente traducibile, può essere reso con scopo, progetto, modello. Si tratta del concetto tomista di "natura": è l'essenza in relazione alla
funzione o attività della cosa.
3
Cfr. IRVING BIEBER e coll, Omosessualità, Roma, "Il Pensiero Scientifico" Editore, 1977.
4
Cfr. "Occorre invece precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più
o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l'inclinazione stessa dev'essere considerata come
oggettivamente disordinata", Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone
omosessuali, § 3, 01/10/1986.
5
Sigmund Freud (1856 - 1939), fondatore della psicoanalisi.
6
John Bowlby (1907 - 1990), psicoanalista e psichiatra infantile, sviluppò la "teoria dell'attaccamento" sul legame affettivo tra la madre e il bambino.
7
La "teoria delle relazioni oggettuali" riguarda lo studio delle relazioni tra il soggetto e persone esterne reali, immagini e residui di relazioni con esse e del
significato di esse per il funzionamento psichico. Tra i principali interpreti di questo approccio si ricordano Melanie Klein (1882 - 1960), William Ronald
Dodds Fairnbairn (1889 -1964) e Donald Woods Winnicott (1896 - 1971).
8
Elaborata, a partire dalla psicoanalisi freudiana, da Heinz Kohut (1913 - 1981). La self-psychology (o psicologia del sé) individua in una inadeguata relazione
bambino - adulto lo sviluppo di un sé narcisistico.
NARTH
National Association for Research and Therapy of Homosexuality
Posizione del NARTH
1. Diritto a fruire della terapia
Il NARTH rispetta la dignità, l’autonomia e la libertà di scelta del paziente.
Noi crediamo che i pazienti abbiano il diritto di identificarsi come omosessuali o
di sviluppare il loro potenziale eterosessuale diminuendo la loro omosessualità.
Il diritto di tentare una terapia per cambiare il proprio orientamento sessuale
deve essere considerato naturale ed inalienabile.
Noi facciamo appello alle altre associazioni per la salute mentale perchè
cessino di affermare falsamente di disporre di “conoscenze scientifiche” che
porrebbero fine alle controversie sull’omosessualità. Al contrario, le
associazioni per la salute mentale devono lasciare spazio a diverse opinioni
sulla famiglia, sull’essenza dell’identità umana, e sul significato e sul fine della
sessualità umana.
2. Propaganda gay nelle scuole pubbliche
Quando le scuole informano sull’orientamento sessuale, i fatti devono essere
presentati in maniera corretta ed equilibrata.
I gruppi come l’American Psychological Association solitamente raccomandano
alle scuole di vietare tutto il materiale “ex-gay”, e di impedire la discussione a
proposito di coloro che hanno scelto di cambiare il loro orientamento. Il
rispetto per la diversità richiede, al contrario, che vengano esposte tutte le
posizioni basate su principi diversi. Viviamo in una società multiculturale dove
la tolleranza per le diversità è essenziale.
La discussione sull’omosessualità non va, poi, ridotta alla semplice apologia di
uno stile di vita, poiché le decisioni in materia di stile di vita sessuale
dipendono da valori profondamente radicati. Le scuole devono rispettare il
diritto delle famiglie di trasmettere i propri valori sociali ai loro bambini.
3. Pedofilia
I nostri pazienti omosessuali riferiscono spesso di avere avuto esperienze
sessuali precoci con una persona più adulta dello stesso sesso. Esistono studi
che fanno pensare che tali esperienze siano più frequenti tra gli omosessuali
che tra gli eterosessuali: in proporzione al loro numero gli omosessuali
presenterebbero un rischio maggiore di abuso di un minore dello stesso sesso.
È un dato, peraltro, che per varie ragioni è ancora da considerare non
probante.
Gli studi non sempre sono stati in grado di determinare l’orientamento sessuale
del molestatore di un bambino dello stesso sesso (era un eterosessuale che ha
tenuto un comportamento omosessuale? Era un bisessuale? O un
omosessuale?). Inoltre, i resoconti clinici suggeriscono che una consistente
proporzione di molestie omosessuali non viene riferita agli adulti o alle autorità
legali perché il bambino si vergogna, ha paura o si ritiene che il contatto
omosessuale con una persona più grande sia stato “consensuale”.
Per queste ed altre ragioni, per il momento è difficile, sulla base delle
conoscenze tuttora disponibili, giungere ad una risposta definitiva.
4. Omofobia
Il termine “omofobico” è spesso usato impropriamente per descrivere qualsiasi
persona disapprovi il comportamento omosessuale su basi morali, psicologiche
o mediche. Il realtà il termine, nel suo significato tecnico, si può applicare
soltanto ad una persona che abbia una fobia - o paura irrazionale –
dell’omosessualità. Una disapprovazione fondata su principi morali non può,
quindi, essere considerata “omofobia”.
5. Matrimonio omosessuale
Alla luce delle scienze sociali la forma di famiglia ideale per favorire un sano
sviluppo del bambino è il modello tradizionale di matrimonio eterosessuale.
6. Sul significato dei termini “Tolleranza” e “Diversità”
“Tolleranza” e “diversità” perdono il loro significato, se applicati soltanto nei
confronti degli attivisti gay e non di coloro che sulle tematiche omosessuali
mantengono posizioni più tradizionali.
La tolleranza deve valere anche a beneficio di quelle persone che assumono il
punto di vista – scientificamente e moralmente fondato – che l’omosessualità
sia contraria alla nostra natura umana.
7. Sulle cause dell’omosessualità
Il NARTH condivide con l’American Psychological Association la convinzione
che, per molte persone, l’identità sessuale si formi in un’età precoce sulla base
di “fattori biologici, psicologici e sociali”.
La differenza sta nel fattore a cui si dà rilievo; e noi diamo maggiore rilievo alle
influenze psicologiche (familiari, sociali e del gruppo dei pari) mentre
l’American Psychological Association attribuisce maggiore importanza ad
influenze biologiche, e non ha mostrato interesse (anzi, piuttosto ostilità) nei
confronti della ricerca sulle influenze sociali e psicologiche.
Non esiste un “gene gay” e non esiste nessuna prova a sostegno dell’idea che
l’omosessualità sia genetica o immutabile.
Esistono numerosi esempi di persone che sono riuscite a cambiare il loro
comportamento, identità, stimoli o fantasie sessuali.
Presentazione di Omosessualità Maschile
by Joseph Nicolosi, Ph.D., Translated into Italian--Part I
Sintesi della presentazione
L'identità sessuale maschile: un incontro con Joseph Nicolosi, presidente NARTH
(www.narth.com)
Milano 5 giugno 2003, teatro Silvestrianum.
Alcuni di voi ascoltatori sono operatori altri genitori, giovani, educatori. Alcuni vivono
con problemi di omosessualità personali, altri affrontano problemi terapeutici, educativi,
di informazione, di aiuto. Vorrei che nessuno ascoltando questa conversazione si sentisse
in colpa e tanto meno i genitori: lo scopo è conoscere, educarci ed educare. Dopo avere
ascoltato, dipenderà da voi decidere se quello che ho detto ha un senso anche per voi.
Una breve presentazione del nostro centro NARTH: (National Association for Research
and Therapy of Homosexuality ) : abbiamo aiutato ad uscire dalla omosessualità
soprattutto maschile indesiderata più di mille persone e seguiamo più di cento famiglie
che hanno figli con problemi di omosessualità. Nella clinica che dirigo, (S.Tommaso
d'Aquino, Encino, California), siamo in 7 psicoterapeuti, riceviamo moltissime persone
da tutti gli Stati Uniti e siamo in collegamento con altri centri che operano nello stesso
senso. Narth è una organizzazione non-profit affiancata dal centro terapeutico.
Cos'è l'omosessualità: il primo concetto che diamo al cliente/paziente che viene è che
non è un problema sessuale ma di identità di genere.L'omosessualità è solo il sintomo di
un arresto dello sviluppo della identità di genere maschile (o femminile, nel lesbismo).
I "sintomi" che i pazienti descrivono in genere al primo incontro sono un'immagine
negativa di sé, la difficoltà stabilire e a mantenere una profonda intimità che non sia
sessuale con altre persone, problemi di vergogna e molti sensi di colpa riguardo al fatto
di essere la persona che si è.
Un passo importante è quindi analizzare quali sono i 4 miti gay:
1. il 10% della popolazione è gay
2. gay si nasce,
3. se si è gay lo si è per sempre
4. l'omosessualità è normale sotto ogni aspetto.
Credere in 1+2+3+4 porta alla accettazione supina e fatalistica della propria situazione,
anche quando la si vive nella sofferenza e nella menzogna (e ciò accade in più dell'80%
dei casi).
Quale è invece la realtà?
1. solol'1-2% della popolazione sviluppa questa tendenza nelle società occidentali. Studi
seri al riguardo hanno dimostrato per l'omosessualità una bassa incidenza anche in
condizioni sociali favorenti e si è visto che il mito del 10% nasce dall'influenza del
rapporto Kinsey, che essendo omosessuale "rinforzò" le statistiche più che riportare dati
scientifici ed aggiornati.
2. gay non si nasce: nel 1991 vi fu un grande clamore alla notizia della scoperta del
"cervello gay" giustificazione biologica di uno stile di vita ma dopo 10 anni nessuno
studio ha potuto confermare questa osservazione e neanche gli attivisti gay si basano più
su questa ipotesi.
(Simon Levay: inserire breve nota bibliografica e commento critico allo studio)
3. Non si è gay per sempre: pullulano oggi tantissime storie di cambiamento che a loro
volta sono state incoraggiate e incoraggiano come testimonianza altri nello stesso
percorso.
4. Nella realtà concreta, la stragrande maggioranza delle persone con comportamento
omosessuale soffre, anche se maschera la sofferenza. Invece i mass media "politically
correct" modificano e gonfiano l'immagine dell'omosessuale, che appare sempre bello,
curato, in pace con se stesso, positivo non erotizzato né libidinoso ma anzi equilibrato.
E'invece l'eterosessuale che viene mostrato come insicuro e negativo.
Bisogna a questo punto operare una distinzione tra tolleranza ed approvazione.
La tolleranza consiste in un atteggiamento di rispetto per le scelte delle persone, se
compatibili con diritti umani e civili. Spesso è difficile orientarsi in una selva di
informazioni scollegate tra loro.
Approvazione : se ne può discutere! E' un diritto civile esprimere le proprie opinioni,
l'accordo o il disaccordo a partire dalla esperienze, letture, fede religiosa etc. Anche voi
qui presenti alla conferenza avete il diritto di approvare o disapprovare le mie regioni.
Quindi l'atteggiamento di rispetto di fronte a tutte le persone non significa approvare
tutte le loro scelte.
Gay non equivale a omosessuale
Gay è infatti una identità politica costruita attorno alla rivendicazione di una preferenza
sessuale come un diritto. I gay non parlano per tutti gli omosessuali, anzi osteggiano
quelli che vogliono uscire da questa condizione bloccando l'informazione su terapie ,
gruppi, esperienze che li metterebbero in crisi.
Omosessuale: non esiste l'omosessualità come identità di genere, siamo tutti
eterosessuali solo che, come spiego ai genitori angosciati che vengono da noi, alcuni
eterosessuali hanno problemi di omosessualità che si possono risolvere. E'una bugia
della nostra società che esistano due generi sessuali, "omo" ed "etero", anche se
paradossalmente anche alcuni capi di chiesa ci credono. E' la seconda grande menzogna
della nostra società (la prima è che l'aborto non è un omicidio).
Una barzelletta esemplificativa: due gay vedono in strada una ragazza bellissima e uno
dice all'altro" e' in momenti come questi che vorrei essere lesbica".
Tappe della identità sessuale maschile (non parliamo di quella femminile che è molto più
complessa).
Da 1 anno e mezzo a 3 anni:fase della identificazione di genere
-prima fase androgina: il bambino è ancora molto unito alla madre e ama il padre. Può
identificarsi con entrambi , non sceglie. La società lo spinge ad una scelta per esempio
nel momento della comparsa del linguaggio, imparando a parlare deve dire lei per la
mamma e lui per il papà, suo, suo, sua, etc.
-seconda fase: tentativi di mascolinità e disindentificazione dalla madre: il bambino
sente di essere maschio come il padre e cerca di avvicinarsi a lui. Se la madre lo lascia
libero ed il padre è affettuoso e lo accoglie il bimbo, amando il proprio essere maschio,
si identifica.
-ferita narcisistica e distacco difensivo: se il bimbo è particolarmente sensibile ed il
padre non lo accoglie oppure è una modello deludente, una persona che non si accetta
oppure un violento o schiacciato dalla madre e non accetta il figlio, il bambino rimane
ferito nel suo io (ferita narcisistica) e non si identifica con la mascolinità rappresentata
dal padre.
Moltissimi attivisti gay hanno una struttura psichica per cui, avendo subito questa ferita
narcisistica si sono distaccati dallo sviluppo verso la mascolinità. Chi lotta per la
liberazione politica dei gay per lo più maschera e nega la sofferenza legata alla
mancanza di identità di genere bloccando il desiderio di guarire dalla ferita
narcisistica.E' la pretesa di legittimazione della cristallizzazione nella fase androgina , e
la richiesta di imporre a tutta la società di riconoscere come questa sia "normale " e
completa. Le società primitive aiutano i maschi a disidentificarsi dalla madre e ad
entrare nella mascolinità attraverso i riti di iniziazione dove il ragazzo deve mostrare il
suo valore. La nostra società al contrario non aiuta questa fase, spesso quando padre è
indifferente o assente, non significativo come modello, e trascura il bambino che riceve
una ferita narcisistica e sta male.
Le femmine hanno meno problemi perché devono arricchire l'identificazione con la
madre e non perderla. Per questo c'è più omosessualità maschile che lesbismo (in USA
la proporzione è di 1 sola lesbica ogni 5 omosessualità maschi).
Conseguenze del distacco difensivo: il bambino"ferito" sviluppa una doppia via: si sente
attratto dagli uomini (cerca il "padre") ma allo stesso tempo ne ha paura, timore,
anticipando quel senso di rifiuto o di distanza che ha già sperimentato. I pazienti
omosessuali sono spesso pieni di vergogna e ansiosi, mai a loro agio con l'analista
proprio per il loro problema di mancata identificazione, a differenza dei pazienti
eterosessuali, che anche se con problemi sono più rilassati.
Vorrei approfondire l'importanza del padre specialmente riguardo ai due attributi di
benevolenza e forza: il bambino ha bisogno di un padre che possegga entrambe le qualità
per disidentificarsi dalla madre , non basta la bontà ma anche la forza, l'autorevolezza
accogliente che lascia il segno nel bambino. Oggi in particolare sembra mancare
soprattutto la forza (che non è machismo) nella figura maschile. Un esempio concreto:
un mio paziente alla domanda "com'era suo padre?" rispose lo adoravo, lo consideravo
un santo, era buono, scherzava, faceva il pagliaccio, ma quando mia madre lo mandava
in un angolino lui stava là e mi sono fatta l'idea che l'uomo è un essere debole". Quel
paziente non volle identificarsi con il padre. Dai dati costruiti su più di 1000 casi
possiamo tracciare una "tipica famiglia pre-omosessuale", la cosiddetta "classica triade
relazionale"
M<--------------->P
B--->F
M=Madre emozionalmente troppo dominante, con personalità forte
P=Padre tranquillo, estraneo, assente oppure ostile
B=bambino dal temperamento timido, introverso, sensibile artistico, con forte
immaginazione.
F=fratello
Relazione:
M<-->P caratterizzata da scarsa comunicazione
M<-->B relazione "speciale" (io capisco bene la mia mamma)
P<-->B antagonistico, guardingo, a disagio.
B<-->F spesso rapporto schiacciato, antagonistico)
Posso dire di non avere mai visto un paziente omosessuale uscire da questo schema, non
c'è mai quindi amore e rispetto per il padre. Se il ruolo del padre è molto importante ,
quello della madre è pure abbastanza importante nella genesi della omosessualità
maschile sia nel suo ruolo svolto come moglie, che come madre, che nella sua auto
percezione della femminilità .Una donna che si stima come donna, che come moglie ha
stima del marito, accettazione dei suoi limiti, ne cerca il consiglio, attua un importante
imprinting nei confronti della percezione primaria della mascolinità come fatto positivo
nel figlio. La moglie che critica in continuazione il marito, lo schiaccia, lo allontana o
"non lo vede" nello stesso modo ma in modo negativo influisce sulla percezione della
mascolinità della prole.Se la madre si impegna a stimare il marito per esempio asseconda
il bambino quando verso gli uno-tre anni vuole uscire dalla sua tutela e lo aiuta ad
incontrare il padre . Un esempio : verso quella età in cui la maggiore mobilità del
bambino attira il padre, lasciare che facciano giochi "da maschi" è di aiuto. Anche
prestissimo, quando il bimbo è ad esempio preso in braccio e buttato in aria dal papà che
lo riprende al volo, in quel momento in cui il padre ride ed il bimbo pur sperimentando
una forte emozione ride pure lui fidandosi del papà il padre gli comunica una
caratteristica tipicamente mascolina che cioè il pericolo può essere divertente (la madre
di solito assiste terrorizzata a questo tipo di gioco!). Vi è inoltre una fisicità diversa nel
tocco del papà rispetto all'abbraccio della mamma che è molto importante che il bambino
sperimenti. In caso di mancato "aggancio" con la mascolinità rappresentata dal padre vi è
una distorsione della percezione dell'essere maschio, sintetizzabile nell'espressione: il
padre come mistero. Il bimbo,/ragazzo/uomo dice "conosco benissimo" mia madre,
quello che passa per la sua testa, invece mio padre è un mistero, non so come la pensa,
non lo conosco sul serio
Dai 5 ai12 anni, (fase di latenza) spesso si sviluppa un tipico comportamento del
bambino preomosessuale : anche se non è detto in modo matematico che poi lo sviluppi
in senso sicuramente omosessuale, il disturbo di identità di genere nell'infanzia è
altamente predittivo (75%) di omosessualità, bisessualità o transessualismo nell'età
adulta. Questo comportamento è caratterizzato da scarse relazioni con i coetanei dello
stesso sesso, spesso si tratta di un bambino che "resta a guardare dalla finestra", cioè dal
di fuori, in qualche modo segregato in un ambito "femminile", escluso, il gioco dei
coetanei maschi, che , come il padre, sono percepiti come "mistero".Il distacco difensivo
(con l'anticipazione del rifiuto legato anche alla confusa percezione di inadeguatezza
fisica, incapacità relazionale, emotiva) inizialmente messo in atto nei confronti del padre
viene trasferito anche coi coetanei. Dalla fisicità del contatto maschile vi è un distacco
che si attua attraverso un non essere sportivo, preferire i giochi delle bambine, avere
quindi atteggiamenti da "femminuccia", il bimbo vorrebbe imitare i maschi ma si sente
debole, inadeguato, incapace, e inizia perciò ad ammirarli dall'esterno, con un inizio di
attrazione omosessuale. Nessuno in genere a questo punto avvisa i genitori perché
cerchino un aiuto, per evitare che il bambino sviluppi un falso è da cui sarà difficile
liberarsi più tardi.
Di questo percorso ho scritto in dettaglio con mia moglie nel 2002 un libro ricco di
documentazione e di esempi concreti che ha avuto una accoglienza piena di interesse
negli USA e che sarà disponibile nella traduzione italiano in autunno (Linda e Joseph
Nicolosi "Omosessualità: una guida per genitori", edizioni Sugarco, attualmente
disponibile nelle librerie).
Il "falso sé del bravo bambino" è caratterizzato da:
-Finzione (o "azione teatrale"): il bambino frustrato nella relazione spontanea e gioiosa
con il padre abbandona le espressioni genuine della sua mascolinità e sviluppa un sé
costruito con la fantasia e "recitato": recita la parte del bravo bambino. E a proposito di
"recite" vorrei riportarvi un episodio raccontatami da un paziente: da bambino a scuola
gli affidarono in una recita scolastica la parte del "padre": tornato a casa si sentì =
redarguire dalla madre che gli disse:"torna a scuola e fatti dare la parte di qualcuno che
parla". Perfetta sintesi ad esemplifica la triade familiare di cui parlavamo sopra a
proposito dell'imprinting verso la mascolinità fornito dalla famiglia!.
-Alienazione dal corpo: eccessivo pudore nella fanciullezza, spesso contrapposto a
esibizionismo nell'età adulta. Un esempio: ricorda un paziente come, non sentendo di
"possedere" il corpo maschile, da bambino non si vergognava di fare il bagno in
presenza della mamma e della zia, eppure si coprì = pieno di vergogna quando arrivò
uno zio chiamato dalla zia per sistemare un problema idraulico della vasca. Da adulto vi
è una reazione verso questo eccesso di pudore che si manifesta attraverso la ricerca di
corpi virili a compenso di questo "corpo mancante".
L'impatto dell'abuso/contatto sessuale uomo-bambino rispetto all'esito
dell'omosessualità: nella mia esperienza 1/3 dei pazienti con pulsioni omosessuali ha
subito abusi da parte di adulti o ragazzi più grandi. Particolarmente nefasto rispetto agli
esiti è l'effetto del mix vergogna per ciò che viene percepito come "anomalo", senso di
trasgressione/ richiesta di segretezza/l'eccitazione o il piacere eventualmente provato e la
sensazione di "appagamento affettivo" sperimentato grazie al fatto che spesso chi ha
compiuto il gesto sessuale ha circuito il bambino-ragazzo facendolo oggetto di
attenzioni, regalini etc che incontrano un vuoto/fame psicologici di mascolinità reali.
Chi ha subito un abuso tende a perpetrarlo a sua volta, anche come meccanismo
difensivo rispetto al senso di colpa che ne consegue. E' significativo come gli attivisti
gay in USA cercano di fare pressione per fare abbassare l'età dei cosiddetti "diritti
sessuali" per evitare l'accusa di abuso se non addirittura di pedofilia.
Nell'adolescenza dai 12 anni anni e fino all'età adulta abbiamo una fase erotica
transizionale caratterizzata da passaggi progressivi dalla sofferenza alla tensione verso
un comportamento omosessuale vero e proprio. Segue un comportamento omosessuale
spesso compulsivo che in realtà è un vero e proprio sintomo riparativo: la psichiatria
cioè considera la personalità in questa fase attraverso la metafora di una costruzione (da
riparare, se malcostruita), quindi gli atteggiamenti omosessuali sono un tentativo
inconscio di riparare le ferite dell'infanzia.
Solitamente questa è una buona notizia per il paziente:"tu stai cercando di creare il
contatto che non hai avuto nell'infanzia, con tuo padre o coi i tuoi coetanei, ma più tu lo
cerchi in un uomo buono e forte, meno lo trovi, perché questo tipo di uomo non cerca il
contatto sessuale con un altro uomo. Nel mondo omosessuale trovi persone con i tuoi
stessi problemi, alla ricerca del "simil padre", dunque la soluzione va cercata in un'altra
direzione, cioè nella riparazione/guarigione della ferita narcisistica e nel superamento
reale del distacco difensivo".
Caratteristiche associate alla omosessualità maschile sono infatti identità di genere
deficitaria legata all'arresto nello sviluppo della identità maschile, problemi ne farsi
valere che sfociano in una sessualizzazione della aggressività, distacco affettivo dagli
uomini come meccanismo di anticipazione del rifiuto esemplificato dalla instabilità dei
rapporti. Il fallimento della fedeltà nella coppia maschile è stato paradossalmente
presentato in modo esemplare da due autori , una coppia gay, (Whister e Metteson ) che
nel 1984, analizzando 160 coppie gay selezionate tra le "migliori" nel senso della
stabilità, in quanto legate da 5/10 anni, non fu in grado di trovare neppure una coppia
fedele durante il rapporto. In realtà tutti gli studi in materia concordano sull'alto tasso di
infedeltà delle coppie gay, a riprova di una natura "compulsiva" dell'agito sessuale che
travalica il senso fondante della fedeltà. Nel mondo gay la fedeltà viene liquidata e
considerata "ininfluente" rispetto alla relazione di coppia.La ricerca della mascolinità,
mai appagata, porta a sempre nuove esperienze, spiegabile in base all'impulso di cercare
il vero uomo che però non può mai essere trovato in un altro omosessuale perché un
uomo vero non fa sesso con un gay. La promiscuità e le relazioni statisticamente di
breve durate, se non addirittura fugaci, sono conseguenza di uno schema che
ossessivamente si ripete: innamoramento, delusione, infedeltà promiscuità, rottura...Un
paziente esprimeva così = il suo vissuto:"un vero uomo è quello che cerco. Ma un vero
uomo cerca il corpo di una dona, non il mio". Un altro paziente diceva di essere
ossessionato dall'immagine di atleti che aveva visto nelle docce degli spogliatoi: "vorrei
essere uno di loro o possederli" Questa confusione rivela il vero bisogno: superare
l'arresto dello sviluppo dell'identità maschile superando l'invidia e divenendo un vero
uomo. Altrimenti la persona rimane come un affamato che per sfamare la sua fame di
fronte alla vetrina di un negozio di alimentari si getta...sull'insegna!
Passi da compiere:
-identificazione dei soggetti "a rischio" : bambini, adolescenti adulti con storie o sintomi
quasi sempre purtroppo riconducibili a quelli descritti.
-attenzione alla educazione all'identità di genere e ai problemi di identificazione fin
dall'infanzia
-attenzione ai gruppi e alle dinamiche interne (a scuola, nello sport, nei luoghi di
aggregazione)
-terapia ricostituiva e corsi per terapisti, sostegno e testimonianza di chi ha superato la
pulsione/sintomo omosessuale e ha rimesso in moto lo sviluppo della sua identità
maschile.
Il bisogno di testimoni è legato al fatto che molto più di conferenze sulla "teoria" le
testimonianze personali sono quelle che più incoraggiano gli altri ad intraprendere il
cammino.
Testo raccolto da Santa Le Bella Tessera
Testimonianza di Steffan
Nella prima infanzia mi ritenevo un bambino debole, avevo avuto dei problemi di salute,
problemi agli occhi e di conseguenze non potevo praticare dello sport che comunque non
mi piaceva. Con questi miei problemi mi sentivo messo da parte, diverso dagli altri.
Nel quartiere dove eravamo, con 2 dei miei vicini Christine e Jean-Marc, eravamo i più
piccoli d'un gruppo, gli altri avevano almeno 5 anni più di noi, e quando giocavamo con
loro, ci rigettavano e si approfittavano del fatto che erano più grandi.
Fino ai 4 anni, Il rapporto con mio padre era buono. Le circostanze della vita poi
diventarono difficili per lui, e spesse volte ero trattato male, era una persona autoritario.
Ero ripreso davanti a tutti, in particolare davanti ai famigliari e mi ricordo che aspettavo
da parte da mia madre o da altri un aiuto.
Spesse volte ero picchiato, mi sentivo umiliato, debole, indifeso, ero ansioso, pauroso,
insicuro di me, nella mia identità, ero complessato, mi mancava l'amore da me aspettato.
Sentivo fortemente l'ingiustizia.
Potrei dire che non ho avuto un modello di padre e di uomo.
Per riassumere un po', ho avuto un'infanzia poco felice!, anche se sembrava che miei
genitori facevano dal loro meglio.
All'adolescenza, non mi sentivo all'altezza d'essere un maschio, la pressione in me era
intensa, tutto prendeva delle proporzioni più grandi, il desiderio erotico-sessuale
diventava ossessivo, la masturbazione da anni praticata più volte al giorno come
sollievo, era ancora più immaginativa e di consolazione.
Ricercavo la forza e la sicurezza in altri uomini, volevo dagli altri quello che non
possedevo!
Alla fine degli studi, ho proseguito nella vita gay, dove finalmente ero qualcuno, dove
ero notato, piacevo, ero desiderato, le persone come me mi capivano, potevo finalmente
ricevere l'amore per sentire di meno le mie sofferenze interne.
Ma tutto era solo che amore ridotto al sesso, vivevo in un circolo vizioso per diversi
anni: sesso, sollievo passeggero, insoddisfazione, sofferenze! e di nuovo sesso e cosi via,
la mia frustrazione era alleviata dalla dipendenza sempre più intensa.
Un giorno ho realizzato che questi uomini avevano gli stessi miei problemi, in fondo
ognuno cercava di prendere dall'altro, ma tutti rimanevano senza ricevere!
Quando eravamo in società, discoteche, bar, sorrisi, gioie, battute, divertimenti. Quando
ci ritrovavamo da soli, allora per alcuni la depressione, la tristezza e sopra tutto il fatto di
dire ancora una volta non ho trovato la persona giusta! Da qualche parte, mi ero
rassegnato su questo fatto, ma d'un'altra parte ero dipendente.
Mi ricordo che quando mi guardavo nello specchio avrei voluto diventare cieco e brutto
pensando allora non avere più problemi con la dipendenza, e non sarei più piaciuto.
Per miei 30 anni, ho passato dei momenti d'esistenza veramente difficile, sia al lavoro,
che con le mie relazioni.
Ho realizzato che tutto quello che desideravo materialmente a quell'epoca c'e l'avevo,
però la mia vita non aveva senso, era una trappola, non avevo ancora combinato niente.
Qualcuno potrebbe pensare che ero frustrato con il fatto che non mi accettavo come
omosessuale, eppure per anni ho vissuto anche dei bel momenti come gay lontano dalla
mia famiglia. E potevo fare quello che volevo. Non ero felice e in pace con il fatto
d'avere una vita gay!
In questo periodo ho riscoperto Dio e la chiesa, e sopra tutto la motivazione di cambiare
vita!
Ho deciso a partecipare a dei corsi Living Waters per capire cosa era successo in me,
come mai non ho avuto la scelta di essere eterosessuale, perché ero attirato
compulsivamente verso lo stesso sesso? Settimane dopo settimane, ho fatto un lavoro su
di me nel riconoscere, raccontare le mie sofferenze passate e presenti. Ho potuto parlare
davanti a un piccolo gruppo di fiducia senza essere giudicato, sono stato ascoltato, prese
in considerazione. Ho sentito degli insegnamenti relativi alla sfera sessuale, all'identità
sia quella dell'uomo che della donna, alle nostre emozioni, sentimenti dell'infanzia.
Questi sono stati tempi difficili, ma benefici per me, qualche volte mi vergognavo
raccontando le mie storie.Volevo cambiare attitudine, atteggiamenti, modo di pensare,
sistemi di credenze.
Dovevo imparare a conoscere me stesso, ad avere un'identità che non fosse legata al
sesso con un uomo.
A vivere senza il narcisismo, cioè, la concentrazione su me stesso e miei bisogni, per
sembrare sicuro di me.
Vivere senza idolatria relazionale, cioè dare, o pensare che l'altro mi può dare solo
felicità o ciò che mi manca.
Accettare e perdonare me stesso e gli altri!
Riposizionare i pensieri che avevo verso mio padre!
Avere la volontà di vivere senza ribellione, senza modi trasgressivi!
Dare il giusto valore alle ferite morali che avevo ricevuto, e anche perdonare.
Accettare di maturare, perché questo processo era bloccato, uscire da me stesso,
cambiare e andare verso altre situazioni sconosciute da me!
Dopo questo periodo, è rinato in me il desiderio di mettere in atto i cambiamenti!, la
voglia di avere una ragazza, sposarmi, avere una famiglia, scoprire l'amicizia senza il
sesso, accettare i consigli, e rimettere in questione i miei pensieri, riconoscere quando
agisco d'un modo pauroso! Ho imparato con il tempo a stare attento ai vecchi modelli di
vita. Ho preso l'abitudine ad un nuovo modo di vivere e d'essere.
Voglio trasmettere le cose buone della vita, e sopra tutto non credere a questa bugia che
l'omosessualità è genetica!
Non infliggere delle ferite morali, verbale o fisiche come le ho ricevute nel passato!
Imparo che non sta a me a cambiare le persone e che devo avere un certo distacco sulle
circostanze e quello che mi arriva contro. Sapere vivere con dei filtri, lasciando passare
le cose buone scartando le meno buone.
Non voglio dire che sono guarito, perché vorrebbe dire ch'ero malato, e che
l'omosessualità è dunque una malattia; ma piuttosto che prima vivevo separato della mia
identità, non ero mai stato confermato come uomo da mio padre! Il processo di
maturazione era bloccato.
Cercavo solamente di acquistare la mia mascolinità d'un modo sbagliato!
Non ritornerei indietro nel passato, e nello falso io, e sono contento d'avere capito cosa
in me e fuori da me ha fatto sì = che abbia avuto dei problemi d'omosessualità.
Presentazione di Omosessualita Maschile
by Joseph Nicolosi, Ph.D., Translated into Italian--Part II
Sintesi della seconda parte della conferenza di Nicolosi del 5/6/2003
Questa seconda parte della conversazione di oggi è più specificamente destinata agli
operatori in campo psicologico, benché possa essere di aiuto per chiunque voglia
comprendere concretamente su cosa si basa la terapia ricostituiva.
A prima vista qualsiasi presentazione sulle tecniche psicoterapeutiche può sembrare
semplicistica, riduzionistica e portare ad un travisamento circa la complessità e quantità
di sfumature che sono sempre presenti nella personalità individuale di ogni paziente.
Anche se tutto questo è vero, bisogna però, per potere arrivare a comunicare strumenti
fondamentali che siano concettualizzabili e nello stesso tempo adattabili, tentare di
esemplificare una direttiva "di base" per un efficace intervento terapeutico.
Innanzi tutto il ruolo del terapeuta nel caso della terapia ricostituiva dell'omosessualità
maschile assume un ruolo del tutto peculiare:
Abbandoniamo infatti la posizione tradizionale e neutrale - l'immagine "opaca" classica
dello psicoanalista secondo Freud : non vogliamo stimolare di nuovo la frustrazione del
padre disinteressato!
Segue una indicazione fondamentale: benché non esistano assolute controindicazioni, e
fino ad un certo livello il terapeuta può essere indifferentemente uomo o donna, ad un
certo punto è preferibile e confermato dalla prassi concreta sviluppata con centinaia di
pazienti che per uomini omosessuali vi sia un terapeuta uomo e per donne lesbiche una
terapeuta donna.
Questo per favorire l'identificazione in cui il terapeuta maschio diventa il padre forte
buono ed accogliente, e la terapeuta femmina la "madre".
Lo stile terapeutico deve essere attivo, attraente, capace di dare risposte, altamente
"empatico" (sensibile), riflessivo, in armonia.
Il terapeuta deve essere disposto a parlare in verità, lavorando molto sui sentimenti :
- "Che ci sta accadendo ora?"
- "In che modo tu ed io ci capiamo in questo momento?"
- "Che cosa è appena successo di nuovo tra di noi?"
Attraverso un rapporto maschile basato sulle A (Attenzione, Affetto, Accoglienza,
Approvazione), quindi affettivo ma non sessuale, il paziente viene aiutato a superare la
soluzione illusoria (omosessualità) del suo bisogno vero, che è sbloccare l'arresto dello
sviluppo della sua identità maschile.
Il paziente inconsciamente lo "sa", come esemplificato dalla risposta dell'adolescente che
invitato dal terapeuta a stabilire un rapporto di amicizia con un compagno per cui prova
attrazione erotica si rifiuta dicendo: "non voglio, perché l'attrazione sessuale sparirebbe".
In sintesi, è attraverso la interiorizzazione/elaborazione della relazione uomo-uomo che
si svilupperà inizialmente con il terapeuta che sarà possibile "esportare" questo modello
nelle relazioni esterne.
L'importanza di imparare a fare amicizie maschili non erotiche diventa la palestra
concreta,uno dei temi /laboratori predominanti da sviluppare.
La pulsione omosessuale è infatti molto correlata alla ricerca inconscia erotizzata di:
1. Bisogni emotivi: attenzione, affetto, approvazione
2. Identificazione bisogni genere (maschile), necessità di affermazione
L'omosessuale cerca il legame maschile per la sua alta ambivalenza ma anche perché
questo bisogno intenso è difesa contro una paura intensa.
La pulsione omosessuale è tuttavia una soluzione illusoria, che non arriva a "risolvere"
questa situazione di distacco emotivo e relazionale dalla propria identità di genere.
Molto del lavoro terapeutico è focalizzato ad affrontare e risolvere la paura degli uomini.
Questo tipo di paura è provato comunque anche nella relazione terapeutica.
- Paura=anticipazione della vergogna
Dal punto di vista relazionale, esistono quattro categorie di amicizie per gli uomini
omosessuali, e va chiarito che sono livelli diversi su cui lavorare in modo diverso.
1. Amicizie gay
2. Amicizie non-gay
3. Amicizie eterosessuali
4. Amicizie eterosessuali con attrazione sessuale
E' chiaro che le modalità di relazione gay non appagano la persona che chiede di fare un
percorso come quello della terapia ricostituiva , tuttavia è proprio la difficoltà ad
instaurare amicizie maschili non erotiche (non gay) a costituire il primo banco di prova,
molto prima di pensare di affrontare il capitolo delle amicizie eterosessuali e tanto più
quelle connotate sessualmente.
Tralasciamo il capitolo "amicizie gay" perché già sulla terminologia "amicizia" ci
sarebbe una serie di importanti sottolineature da fare (instabilità relazionali, disillusioni,
infedeltà, scivolamento quasi inevitabile nella erotizzazione etc) che stornerebbero
l'attenzione dal punto focale, cioè lo sviluppo delle amicizie maschili non erotiche.
Un punto da affrontare in seduta potrebbe essere: in che modo "confessarsi" o meglio
rivelarsi ad un amico eterosessuale? Chiarire questo aspetto quasi"metodologico" è di
grande importanza per aiutare la persona con pulsioni omosessuali a relazionarsi con gli
"eterosessuali" con una minore ansia e anche perché riduce il rischio di fraintendimenti,
aiuta ad "assorbire" eventuali rifiuti e a focalizzare e "detendere" alcuni aspetti di
disistima molto frequenti. Per incoraggiare la persona omosessuale ad aprirsi ad amicizie
con altri uomini non omosessuali bisogna enumerare i benefici che possono derivare
dall'eliminare gli strati di segretezza, il nascondersi, il fingere. La sfida del "togliere la
maschera". Concettualmente l'omosessuale di fronte all'uomo eterosessuale dentro di se
pensa "se lo sapesse davvero (della mia omosessualità, naturalmente) , penserebbe meno
bene di me".
Va aiutato a valutare l'amico o meglio la sua abilità di rispondere positivamente ad un
tipo di confidenza così importante: relazionarsi da uomo a uomo in modo positivo
richiede che vi sia equilibrio e tranquillità rispetto alla propria identità, quindi che
sostanzialmente non ci si senta "minacciati" da questo tipo di confidenza.
In questo senso lo psicoterapeuta stesso è chiamato ad un sorta di sfida, ad una
autovalutazione preliminare estremamente importante, se veramente vuole lavorare con
questo tipo di pazienti.
Vanno scoraggiate forme di comunicazione del tipo "sono omosessuale" o "sono gay"
Invece il paziente va incoraggiato a spiegare la storia dell'infanzia - padre, madre,
fratello maggiore, rapporti con coetanei, eventuali abusi sessuali, tutti elementi da cui
possono essere derivati di conseguenza insicurezza maschile, inadeguatezza, incertezza
di genere, e quindi il bisogno di trovare legami maschili, comportamenti sessualizzati
con persone di sesso simile come "tentativo riparativo". Solitamente il risultato che
emerge da questa analisi è del tipo: "dall'esperienza vissuta ho imparato che questo
(amicizie maschili sessualizzate) è quello che non voglio, ora sto lavorando su chi sono".
Con una conclusione "classica" :"Piuttosto mi sto rendendo conto che ho bisogno di
buone sane strette amicizie maschili: di TE".
Questa formulazione aiuta molto ad allentare la diffidenza e ad incrementare la effettiva
apertura da parte degli uomini eterosessuali, perché non li "minaccia" direttamente come
soggetti erotici, turbandoli, ma al contrario stimola la condivisione e il senso di
collaborazione, personale e di gruppo.
Aiutare un omosessuale a comprendere "Che cosa desidero da un amico":
1. Comprensione: un'amico non-gay,è una figura positiva, un'identità "compiuta" (anche
se talvolta mitizzata, che è come un traguardo nella ricerca della identità attualmente in
corso
2. Accettazione basata sulla accoglienza dell'essere profondo, non sulla condivisione di
uno stato di "diversità" o di "minoranza": un amico non gay ti accetta come persona non
come omosessuale simile lui.
3. Sostegno attivo: un amico che aiuta a lottare e non a tacere, che mi supporta in ciò che
cerco di realizzare ed esprime la partecipazione alla mia lotta, mi sa abbracciare senza
paura né turbamento.
Il bisogno di contatto fisico va analizzato e spiegato, perché può essere fonte di
fraintendimenti con l'uomo eterosessuale (che tuttavia quasi mai menziona il problema).
Al paziente, perché lui stesso possa essere in grado di esemplificarlo agli amici, in
questo caso si deve insegnare- chiarire quanto importante può essere per lui questa forma
di contatto ma anche chiarito come agli uomini in generale culturalmente nella nostra
società è precluso come gestualità mascolina l'abbracciarsi o baciarsi (naturalmente non
erotico) come frequentemente fanno le donne.So che alcune metodologie della terapia
ricostituiva dell'omosessualità maschile utilizzano forme di abbraccio-fisioterapia tipo
"maternage" uomo-uomo: personalmente ho delle riserve su questo approccio. La pacca
sulla spalla, l'accoglienza dello sguardo ma anche la tipica "scabra" gestualità maschile è
adeguata e sufficiente come "modello" nella relazione terapeuta paziente come modello
esportabile di relazione uomo-uomo.
Il rapporto con la donna:
Abbastanza tipicamente il "compito" del bambino pre-omosessuale era far contenta la
madre: era cioè stata provata angoscia profonda di fronte alla disapprovazione,
delusione, dispiacere della madre, con conseguente perdita dell'io autentico, spontaneo,
maschile e per contro acquisizione del comportamento da "bravo bambino".
Da adulto con le donne il "bravo bambino" diventa un uomo tranquillo, remissivo,
debole, proiettando su di loro i sentimenti della mamma ma sviluppando nello stesso
tempo rabbia, risentimento, addirittura odio. Questo perché la perdita dell'io autentico
causa rabbia, risentimento.
La reazione eterosessuale naturale (uomo-donna) è ostacolata quindi da due barriere:
1) Paura: (angoscia che è anticipazione della disapprovazione)
2) Rabbia (risentimento per la perdita dell'io)
Il lavoro da fare con il paziente è duplice:
1) Disidentificazione dalla madre
2) rapportarsi con la persona (donna) reale
Le modalità di relazione eterosessuale con componente sessuale (matrimoniale o
convivenze) che si realizzano in alcune persone omosessuali dopo il superamento della
fase omosessuale sono riassumibili come segue, basandosi sui dati elaborati da un
migliaio di casi di pazienti che hanno abbandonato con successo e stabilmente lo stile
gay.
Mentre l'uomo eterosessuale passa da una forma di attrazione "sessuale" ad una forma di
intimità basata sulla stima e sulla amicizia, nell'uomo omosessuale invece il recupero
della propria dimensione di genere (mascolinità eterosessuale) prevede la scoperta della
donna attraversa le tappe della persona amica, l'instaurarsi di una relazione di affetto e
quindi in seguito l'espressione sessuale dell'affetto.
Andranno evitati appuntamenti di stampo omosessuale; sono utili invece incontri ma
gruppi sociali misti. Con estrema chiarezza andrà anche prospettata, soprattutto
all'omosessuale con storia di comportamento attivo, la "cattiva notizia" che non potrà
mai avere la stessa intensità sessuale del sesso omosessuale: questo proprio perché il
piacere sessuale non sarà amplificato da quella carica di tensione nevrotica che invece
caratterizza l'agito omosessuale. Nell'ambito dell'eventuale relazione eterosessuale che
svilupperà in seguito, normalmente l'ex -omosessuale è solitamente attratto sessualmente
solo dalla moglie/compagna ma non da altre donne, perché con essa avrà approfondito e
sviluppato quella peculiare capacità di "fidarsi e di aprirsi".
La sessualità non risponde più ad un meccanismo riparativo di stampo nevrotico.
Il blocco dell'attrazione sessuale per le donne (attrazione eterosessuale) può essere
sbloccato anche con l'aiuto di una donna che è riuscita a fare breccia nell'isolamento
profondo della persona con la sua comprensione ed il suo amore.Anche per questo
spesso la persona che ha abbandonato con successo lo stile di vita gay è fedele a sua
moglie e non desidera altre "femmine" ma vive profondamente il suo rapporto con lei,
appagato come persona...e questa è una buona notizia per le mogli!
Dalle testimonianze concrete risulta chiaramente come per chi ha superato la
omosessualità il rapporto fisico con la moglie non è eccitante come lo era stato con gli
uomini. La differenza che viene riportata dalle persone stesse è simile a quella che
intercorre tra una ubriacatura e il bere normalmente, apprezzando l'aroma, il sapore, il
bouquet, il retrogusto etc di ciò che si beve. Il rapporto con la moglie quindi è
considerato più gratificante perché più profondo, intimo , personale: il marito si sente
innanzi tutto integrato con la sua vita nella sua interezza e perciò a differenza di prima è
in pace con se stesso prima ancora che "in un ruolo".
Il lavoro da fare a livello psicoterapeutico spesso è lavoro che coinvolge la famiglia ,
soprattutto quando si ha a che fare con bambini pre-omosessuali o adolescenti, o
comunque giovani ancora non consolidati nel comportamento omosessuale. Esiste un
modello abbastanza consueto di setting famigliare che favorisce l'insorgere di pulsioni
omosessuali, e che comunque va analizzato anche con il paziente adulto, la cosiddetta
famiglia narcisistica "triadica"
Nel modello triadico classico, equilibrato, vi è appunto equilibrio tra i bisogni dei
genitori e quelli del bambino.
Nel modello sbilanciato che ha come centro i genitore, la "società-genitori" narcisistici è
costituita spesso da una madre manipolatrice e da un padre remissivo in cui i bisogni
della "società-genitori" vengono prima dei bisogni del bambino: il bambino viene "visto"
funzionalmente al criterio della gratificazione dei bisogni narcisistici dei genitori, il
comportamento del bambino viene valutato e vissuto nei termini di quanto li fa "sentire
bene".
Molto sinteticamente, in questo contesto il vero io di genere del bambino maschio, i
bisogni di affermare il suo vero io, minacciano la stabilità della "società-genitori". Il
bambino viene tarpato nel suo bisogno di esprimere i suoi tentativi di mascolinità
(disidentificazione dalla madre), sostanzialmente viene "punito" (isolamento affettivo, o
almeno percepito come tale) quando tenta di affermarsi e perciò si crea un falso io per
"accordarsi" cioè non perdere, non essere estromesso dalla relazione con i genitori,
sopprimendo l'espressione del vero se. Ma anche se non si esprime e finge un falso io
che non lo pone in conflitto con i genitori, si accorge di "perdere qualche cosa"
(estraniamento dal sé). Alla vergogna (anticipazione del rifiuto) si aggiunge la rabbia e
la ribellione, che vengono comunque esecrate e "punite" , quindi attraverso questo
doppio laccio il bambino sperimenta la certezza di non avere vie di uscita.
Vanno inquadrati in questa ottica l'importanza della finzione, dell'"immagine" e
dell'apparenza di "bravo bambino" che sostituiscono la spontanea aggressività
bambinesca e che diventano nell'adulto aspetti narcisistici associati con l'omosessualità
maschile
Il falso io "il Bravo Bambino" è quindi una forma difensiva.
L'isolamento emotivo tuttavia porta alla privazione dei:
A. Bisogni di genere (maschili)
B. Bisogni affettivi (emotivi): attenzione, affetto, approvazione
La famiglia narcisistica utilizza il "doppio laccio" che veramente mantiene il bambino in
una sorta di sudditanza "obbligata" ancorché inconscia. Il bambino ferito infetti,
comunque ha bisogno della relazione coi suoi genitori e quella forma di relazione
diventa l'unica possibile, quella che "fa soffrire di meno", che permette la sopravvivenza,
la non espulsione definitiva.
Vediamo più in dettaglio cosa significa questo"doppio laccio" o situazione senza uscita:
1. La manifestazione spontanea da parte del bambino del vero genere del suo io
mascolino infastidisce la madre manipolatrice che spesso non accetta il marito, ma anche
il padre che esprime caratteristiche di debolezza, remissività.
2. I genitori reagiscono "punendo" il bambino che viene negletto (isolamento affettivo,
abuso verbale, fisico etc).
3. Il bambino prova una perdita di attaccamento sia verso i suoi tentativi di mascolinità
che verso la relazione e manifesta rabbia, tristezza, cruccio, delusione, ecc.
4. I genitori reagiscono con una seconda fase "punitiva"
5. Il ragazzo abbandona (rinuncia) all'auto ambizione dei bisogni spontanei del suo vero
genere (deve svuotarsi) per l'mantenere l'attaccamento compromesso del genitore.
6. Ha vergogna (anticipazione del rifiuto) dei suoi tentativi di realizzare l'io maschile.
Il concetto di vergogna va chiarito rispetto alla nozione comune.
Innanzi tutto va distinto un temporaneo "momento di vergogna" (provato
sporadicamente per avere affermato la sua identità mascolina e la sua spontanea identità)
da quello che è un continuativo "atteggiamento di vergogna" (prima chiamato distacco
difensivo), in cui, a furia di non venire accettato nei tentativi di affermazione spontanea
della mascolinità si abitua al rifiuto e si "aspetta" di venire sempre rifiutato.
Va anche chiaramente distinta la vergogna rispetto al senso di colpa:
- Senso di colpa: "il mio comportamento è cattivo, ho fatto una cosa cattiva". E' la
reazione per una azione specifica cattiva che genera rimorso, rimpianto, pentimento con
possibilità di uscita liberatoria (riparazione). E'centrato sugli altri
- Vergogna: a furia di aspettarsi la punizione il soggetto si convince "io sono
cattivo", la vergogna è centrata su se stesso e crea angoscia, paura, stretta al petto, ansia.
Un esempio concreto: il paziente dice " io mi relaziono alle persone non come a persone
ma come a giudici negativi con opinioni negative su di me. Anticipo sempre il loro
rifiuto ma non sono mai preparato a riceverlo".
Si possono manifestare a questo punto due atteggiamenti comportamentali che in realtà
sono difese contro la sensazione dell'io vergognoso-difettoso:
1. Narcisismo manipolativo - dinamico (centrarsi su di se e basta manipolare gli altri e le
situazioni per i propri fini, esibizionismo per essere oggetto e centro di attenzioni da
parte degli altri).
2. Falso io costrittivo - evitatore.
(immagine della sfera con tre livelli: vero io, io vergognoso, falso io esterno)
Come distinguere un "falso io" dal "vero io"? Utilizzando nella seduta psicoterapica una
classica semiologia psicologica, cioè facendo emergere nel rapporto psicoterapeutauomo paziente-uomo segni di maturità di genere da altri di "mascheramento" o difesa.
Ne elenco alcuni, suddividendoli per maggiore chiarezza in due gruppi: le caratteristiche
rilevabili (a) dentro se stesso e (b) nelle relazioni con gli altri
a) Segni di Vero Io (dentro se stesso)
Maschile
Adeguato, Alla pari
Sicuro, Fiducioso, Capace
Prova emozioni autentiche
Pieno di vita
Fiducia fisica
Forte, Autonomo
Accetta le imperfezioni fisiche
Attivo, Decisionale
Creativo
a) Segni di falso io, io narcisistico (dentro se stesso)
Non maschile
Sentimento di inferiorità, inadeguatezza
Insicurezza, sfiducia, sensazione di incapacità
Emotivamente "morto" o troppo emotivo
Depresso
Oppresso da goffaggine angosciosa
Controllato e manipolato dagli altri
Perfezionismo
Passività, Esitazione
Stagnante
b) Segni di vero io (nella relazione con gli altri)
Attaccato
Estroverso
Spontaneo
Capace di perdono, comprensivo
Genuino, Autentico
Cerca altri
Animato
Affermativo, Espressivo
Maturo nei rapporti
Rispettoso del potere degli altri
Fiducioso
Integrato, Aperto
Rapporti con il sesso opposto
Vede gli altri uomini come lui
b) segni di falso io/io narcisistico (con gli altri)
Distaccato
Introverso
Controllato
Vendicativo, Risentito
Falso, Recitante
Evitante
Pietrificato
Non-affermativo, Inibito
Immaturo nei rapporti
Risentito del potere degli altri
Diffidente
Doppia vita, chiuso
Capire male il sesso opposto
Preso dal "mistique" degli altri uomini
Riassumendo l'intera dinamica potremmo dire che il tentativo di affermazione
caratterizzato dalla rabbia (emozione che fissa dei limiti) e la paura (vergogna: angoscia
di una anticipata disapprovazione) generano una zona grigia.
La zona grigia potrebbe essere definita come un insieme variegato connotabile da
aggettivi come: "io"solitario, scoraggiato, triste, intorpidito, sconnesso, separato, isolato,
indifferente, senza speranza, debole, piatto, chiuso, sconnesso, morto...
In effetti la tipica frase del paziente è "il mio problema non è l'omosessualità ma tutto il
resto".
Esiste però una evidenza in questi pazienti : l'azione omosessuale come imposizione di
ripetizione.
Tre aspetti dell'imposizione di ripetizione:
A. Una forma di auto-castigo
B. Un tentativo di auto-dominio
C. Un evitare il conflitto originale
Questi aspetti applicati all'azione omosessuale manifestano una negativa ammissione:
"io sono carente", esprimono un impulso riparatore rispetto ai bisogni d'identificazione,
ai bisogni affettivi, all'affermazione dei bisogni dell'io genere.
L'uomo omosessuale, distaccato suo malgrado da una mascolinità di cui si sente
deprivato ed eroticamente attratto , grazie all'autentico contatto non sessuale con un
uomo eterosessuale accogliente e forte che lo capisce e lo rispetta e lo aiuta a sciogliere
il doppio legame della vergogna e della rabbia, solitamente gradualmente "rilascia
scorrere" liberamente impulsi e sentimenti divenuti accettabili perché compresi, e ciò
permette all'identità maschile di affiorare e crescere.
Al doppio laccio derivato dalla famiglia narcisistica triadica in cui ogni relazione viene
nella mente del paziente ad essere identificata con il genitore/figure non accettante viene
contrapposto terapeuticamente un doppio cerchio (o doppio legame) con il terapeuta, che
nello stesso tempo tenendo affettivamente centrato su impulsi e sentimenti che vengono
esaminati e capiti il paziente lo accoglie e lo contiene affettivamente.
Schematicamente : il terapeuta si trova davanti a queste strutture mentali:
Triangolo del conflitto:
A=angoscia
A----------D
D=difesa
I/S=impulso/sentimento
I/S
Triangolo della persona:
T=transfert
C=figure attuali (positive)
P=figure genetiche passate
T-----------C
P
Il terapeute esamina il materiale presentato dal paziente, individua il conflitto e lo
descrive. Il paziente trasferisce su di lui la sua angoscia, si identifica e si "libera" dalle
figure genetiche del passato. Ripeto: impulsi e sentimenti divenuti accettabili perché
compresi nell'ambito del contenimento affettivo possono riprendere a scorrere
liberamente e l'identità maschile torna ad essere libera di crescere. Nella seduta
psicoterapica si lavora su tre livelli:
Materiale presentato (contenuti), quindi identificazione dei conflitti esperienza valutata
nel triangolo del conflitto per procedere verso la comprensione (conoscenza) operando
nel triangolo della persona.
La metodologia prevede che il terapeuta agisca opponendo al doppio laccio nel quale è
intrappolato il paziente un "doppio nodo" intra ed interpsichico: mantenendo il paziente
affettivamente centrato e operando un contenimento affettivo su di lui affrontando rabbia
ed affermazione (icona: l'uomo si deve abbracciare psichicamente lasciandosi
abbracciare dal terapeuta).
Vanno però puntualizzati alcuni aspetti : il primo è che il percorso psicoterapico non è
indolore!
Il ruolo della fatica della pena nella terapia è argomento da affrontare
La fatica della pena va chiaramente spiegata, così come la gradualità dell'avvicinamento
al nucleo del vero io mascherato dagli strati narcisistici/difensivi del falso io.
Avvicinarsi al danno del nucleo dell'io ha un effetto che richiede contenimento affettivo
ed empatia vera: solo vedendo in faccia il bambino ferito lo si può aiutare a guarire
anche se questa visione "fa male" (al paziente, ma anche al terapeuta).
Tristezza e rabbia: sono sentieri paralleli al dolore (alla pena) che vanno pure messi in
conto e spiegati, così come momenti di regressione difensiva, fuga indietro etc.
Le difese contro il dolore (la pena) che il terapeuta è chiamato ad identificare e aiutare a
focalizzare con il paziente sono le illusioni e le distorsioni.
Illusioni: una visione eccessivamente positiva non realistica del passato e del presente.
Comunemente: nuove attrazioni dal sesso uguale, il padre "abbastanza buono",
"quell'amico particolare", ricadute nell'io narcisistico e nel falso io
Distorsioni: una negativa visione non realistica. Distorsioni comuni:"Sono
irrimediabilmente carente", "Non sono abbastanza uomo", "Non sono amabile"
Rispetto alle reazioni per la fatica del dolore l'azione omosessuale come opportunità
difensiva in corso di terapia ricostituiva è caratterizzata da una ripresa di eccitazione
sessuale. L'impeto genitale, l'eccitazione, la "carica"erotica, con agito avventuroso ed
irrequieto sono reattivi a questo procedere verso gli strati profondi della persona. Non
per questo la terapia va considerata perduta, anzi.Vi possono essere alti e bassi e marce
indietro e avanti. La maturità del terapeuta e la sua supervisione- confronto con colleghi
in questo senso è piuttosto importante. Nella nostra clinica lavorano con me in 7 e la
supervisione e il confronto clinico sono costanti.
Il paziente va anche rassicurato rispetto a non preoccuparsi per eventuali "recidive" o
recrudescenze di pulsionalità omosessuale: sono normali fasi reattive e richiedono la
decisione a perseverare.
La terapia ricostituiva non è infatti "castrazione" della pulsione omosessuale (che
esploderebbe in altro modo) ma ricerca dell'identità attraverso strati di detriti e
costruzioni difensive magari consolidate da anni o magari da decenni.
Un'altra forma di reattività difensiva completamente diversa dalla ripresa omosessuale
complulsiva è quella del cosiddetto "impaccio dell'adesso", inteso come stagnazione
nella zona grigia: il paziente si definisce triste, isolato, deluso, solo, intrappolato,
sconnesso, vacuo, vuoto, cavo, una nullità, nell' oscurità oppresso da dolore, pena,
cruccio, ferito.
Dolore, rabbia,tristezza, espressioni come "Sarò sempre solo","Non sarò mai
amato","Non mi succederanno mai cose buone". Anche qui il ruolo del terapeuta
accogliente e forte è molto importante per "dragare" il paziente verso una ripresa del
libero fluire di impulsi e sentimenti.
Quando mi chiedono quanto "efficace" è la terapia ricostituiva onestamente mi sento di
dire: 1/3 di pieno successo (persone che hanno superato compiutamente l'omosessualità,
orientandosi sintonicamente stabilmente ed armoniosamente nella eterosessualità anche
con forme di legame sessuale stabile con l'altro sesso. 1/3 di miglioramento della identità
globale della persona, con capacità di gestirsi in modo meno "nevrotico" e un terzo di
"fallimento" inteso come persistenza nella omosessualità indesiderata. Queste
percentuali direi che si collocano nella media di "successi" della psicoterapia in vari altri
campi.
Vorrei qui concludere, sapendo di avere appena accennato a molti aspetti, sottolineando
che culturalmente nel presentare la terapia ricostituiva è inutile opporsi ai gay
politicizzati che sono in genere persone intelligenti che traggono molti vantaggi dal falso
"io". Essi distruggono i tentativi per i sofferenti (i cosiddetti omosessuali distonici) in
quanto l'idea stessa di terapia metterebbe in crisi il falso sé. E' abbastanza tipico che
attivisti gay cerchino posti di comando per dettar legge, "vendicandosi" e facendo sentire
sbagliati o inferiori gli eterosessuali, distruggendo i terapisti con l'opposizione mediatica,
sociale e politica.
La vera azione di accoglienza terapeutica è ascoltare le istanze degli omosessuali
sofferenti, offrendo una possibilità di lettura alternativa del loro disagio. La terapia
ricostituiva è una possibilità che, mai coercitiva, deve potere essere conosciuta ed
eventualmente esplorata, nel rispetto della libertà di scelta rispetto al cliché obbligato
che legge la distonia come risultato obbligato della omofobia sociale interiorizzata che si
risolverà con l'accettazione e normalizzazione dell'omosessualità. Rispetto al concetto di
omofobia sociale interiorizzata, questo luogo comune è smentito dai livelli di infelicità
enormi rilevabili in città "capitali" di omosessualità accettata come S.Francisco e Los
Angeles.
Culturalmente quindi è importante formare e moltiplicare i terapisti e le possibilità di
"guarigione". Alla prova dei fatti le testimonianze fanno crollare gli impianti delle
falsità, più la gente supera il problema più facile è che cambi culturalmente l'opinione
pubblica e migliore sarà l'educazione e probabilmente la società stessa.
In USA la Chiesa ha fatto due errori opposti : non ha preso atto del problema per
"buonismo" (confondendo accettazione della persona con accettazione del
comportamento) o al contrario si è arroccata su posizioni di dura condanna ed
isolamento senza offrire strumenti di lettura psicologica e vie di uscita "terapeutiche".
Una soluzione percorribile invece è quella di molte chiese (episcopali, presbiteriani,
mormoni e per un 10%, anche della Chiesa Cattolica): farsi carico anche
economicamente della terapia delle persone che chiedono aiuto ma non hanno i mezzi (la
psicoterapia è sempre a pagamento) per liberare le persone dalla sofferenza e allargare la
base della testimonianza "dal basso" sulla verità dell'identità di genere.
Culturalmente sono estremamente carenti corsi per terapeuti e anche corsi di
antropologia che sottolineino in generale, al di là della tematica omosessuale, il ruolo
della fatica e della pena nella vita umana (l'"andare oltre").
Narth.com
Studio del dottor Spitzer Pubblicato in Ottobre 2003
Un importante psichiatra dell'APA (American Psychiatric Association) annuncia un nuovo studio nel 2001,
confermato successivamente nel 2003: "alcuni gays possono cambiare il loro orientamento : la possibilità di
fare questa scelta deve essere considerata fondamentale nel rispetto all'autonomia ed autodeterminazione
del cliente"
Il Dott. Robert Spitzer annuncia uno studio innovativo alla Convenzione Annuale dell' APA (associazione
Psichiatri Americani). Tale studio viene quindi pubblicato nell'ottobre 2003 sulla rivista Archives of Sexual
Behaviour vol32, No5, pag 403-417. Il recapito telefonico del prof Spitzer è:
Dr.Robert Spitzer, MD
001-212-543-5524
In un rapporto diffuso il 9/5/2001 dall'Associazione Psichiatrica Americana alla convenzione annuale (APA),
lo psichiatra Dott. Robert Spitzer ha annunciato i risultati di un nuovo studio sull' omosessualità. Gli sforzi di
cambiare l'orientamento sessuale possono--- in alcuni uomini e donne-- produrre dei successi significativi.
Il coinvolgimento personale del Dott. Spitzer in questo particolare studio è storicamente significativo: Lui
era la figura principale nella decisione dell' APA del 1973 che rimosse l'omosessualità dal manuale
diagnostico ed ufficiale dei disturbi mentali. Oggi è Primario di Ricerca di Biometrica e Professore della
Psichiatria all'Università di Columbia in Città di New York.
"Contrariamente a quanto comunemente si pensa, alcuni individui estremamente motivati, usando una
varietà di sforzi di cambiamento, possono fare un cambio sostanziale di orientamento sessuale", disse
Spitzer.
"Come molti psichiatri io pensavo che alla tendenza omosessuale si potesse solamente resistere e che non
potesse realmente cambiare l' orientamento sessuale . Ora credo che questa convinzione sia falsa. Alcune
persone con orientamento omosessuale possono cambiare e cambiano", dice Spitzer.
Il Dott. Spitzer ha intervistato 200 uomini e donne che hanno esperimentato una modificazione significativa
dell'attrazione da omosessuale ad attrazione eterosessuale e mantiene questo cambiamento da almeno
cinque anni. Molti dei soggetti avevano cercato il cambiamento a causa di disillusione con un modo di
vivere promiscuo e relazioni instabili, tempestose. Molti riportarono un conflitto coi loro valori religiosi, e
molti avevano desiderato essere (o rimanere) eterosessualmente sposati . Al momento della intervista della
ricerca i tre-quarti degli uomini e la metà delle donne si erano sposati.
Una scoperta sorprendente era che il 67% degli uomini che prima raramente o mai sperimentavano
attrazione per il sesso opposto, con il lavoro psicoterapico (terapia ricostituiva) verso il cambiamento
riportavano ora una attrazione eterosessuale significativa. Anche i soggetti in cui non si modificò
l'orientamento omosessuale la psicoterapia diede risultati positivi nel comportamento questi
sperimentarono e dichiararono un miglioramento significativo in salute emotiva.
Il Dott. Spitzer mette in guardia dal vedere il cambio di orientamento in una prospettiva elusiva di
"either/or" (cioè "da così a così"). "Una migliore concettualizzzione del cambiamento è vederlo come
l'attenuazione di una pulsione omosessualità indesiderata ed un aumento del potenziale eterosessuale,
riconoscendo che, per alcuni, il cambiamento è possibile lungo un cammino continuo multi-dimensionale."
Pur essendo contro qualunque forma di trattamento coercitivo, aggiunge lo psichiatra, "io credo che
pazienti dovrebbero avere diritto ad esplorare il loro potenziale eterosessuale, nel pieno rispetto della loro
possibilità di scelta e di autodeterminazione".
Fonte di UCCR: http://www.uccronline.it/2012/06/10/terapie-riparative-la-falsa-ritrattazione-di-robertspitzer/
Terapie riparative: la falsa “ritrattazione” di Robert Spitzer
10 giugno, 2012
Il dottor Robert Spitzer, prestigioso psichiatra presso la Columbia University, nel 1973 è stato il responsabile
dell’eliminazione dell’omosessualità dal Manuale Diagnostico dei disturbi psichiatrici redatto dall’American
Psychological Association (APA). Tuttavia nel 2003, a seguito dei numerosissimi ex omosessuali che si
sentivano (già allora) discriminati dall’APA, decise di verificare se le terapie di cui essi avevano beneficiato
potevano davvero essere utili ed efficaci.
Ed infatti pubblicò uno studio in peer-review sulla prestigiosa rivista Archives of Sexual Behavior,
riconoscendo la validità e l’efficacia di tali terapie (come hanno rilevato anche studi successivi e alle quali vi
si sono dedicati ex presidenti dell’American Psychological Association, come Robert Perloff e Nicholas
Cummings). Immediatamente è divenuto per la lobby gay un traditore e un infame, e sappiamo bene a che
livelli di vessazione sono esposti coloro che osano avere una posizione “scomoda” sull’omosessualità. Oggi,
il dott. Spitzer ha 80 anni ed è affetto da morbo di Parkinson, evidentemente non ha più voglia di
sopportare pressioni ed insulti e ha così preferito scrivere una lettera di ritrattazione, alla rivista (ripresa
anche dal “New York Times”), probabilmente sperando di poter così concludere in pace il suo cammino
terreno.
Lo psicologo olandese Gerard van den Aardweg ha rivelato i retroscena: «Qualche tempo dopo il suo
articolo del 2003 ho avuto una conversazione con lui al telefono. Gli ho chiesto se avrebbe continuato la
sua ricerca, o anche se avrebbe cercato di aiutare alcune persone con problemi di omosessualità. La sua
risposta fu irremovibile: “no”. Non avrebbe mai più toccato l’argomento, aveva deciso questo dopo i
terribili attacchi personali ricevuti dai gay militanti e dai loro sostenitori. Ci fu un’ondata di odio».
Un’esperienza traumatizzate, ha spiegato van den Aardweg, e perciò la decisione di Spitzer era
comprensibile. «Nei circoli psichiatrici e psicologici», ha aggiunto, «è già molto difficile per un
professionista sopportare l’ostilità, lo scherno e l’emarginazione» se ha giudizi negativi sull’omosessualità,
«per un eminente psichiatra come il dottor Spitzer, con il suo passato gay-friendly, questo deve essere
stato un tormento».
Spitzer ha dunque ceduto alle pressioni, in cambio della pace, tuttavia la sua ritrattazione (o meglio, la
“rivalutazione”) non cambia certamente i risultati, i quali «sono l’unica cosa che conta. Questa vicenda è in
realtà solo una questione di manipolazione mediatica, non una questione di scienza». Anche perché, i
soggetti usciti dall’omosessualità -sposati e con figli-, sono moltissimi e la realtà vale più di qualsiasi
opinione. Oltrettuto, le motivazioni usate nella sua ritrattazione «non inficiano le sue conclusioni». Lo
psicologo olandese rivela anche che «qualche anno fa, ho inviato a Spitzer una relazione su una ex-lesbica,
che dopo tanti anni era ancora completamente libera da attrazioni sessuali verso lo stesso sesso».
Naturalmente l’eminente psichiatria non rispose che aveva cambiato idea, ma «ha trovato la storia molto
interessante».
La cosa significativa, comunque, è che la rivista scientifica, “Archives of Sexual Behavior”, si è rifiutata di
ritirare il lavoro originale di Spitzer, in quanto lo studio è stato e rimane scientificamente valido. La
pubblicazione in peer-review significa infatti che la ricerca prima della pubblicazione deve passare da una
valutazione eseguita da specialisti del settore per verificarne l’idoneità. Ritrattare in seguito i risultati
significa delegittimare il lavoro di questi specialisti che hanno approvato lo studio, e minare la credibilità
della stessa rivista scientifica. Lo stesso direttore di “Archives of Sexual Behavior”, Ken Zucker ha dichiarato:
«Se Spitzer vuole presentare una lettera in cui dice che non crede più alla sua interpretazione dei propri
dati, va bene. Noi lo pubblicheremo. Ma una ritrattazione? Beh, il problema è che il cambiamento di cuore
di Spitzer circa l’interpretazione dei dati non è normalmente il genere di cosa che spinge un editor a
cancellare il risultato scientifico. In caso di dati analizzati in modo non corretto, si pubblica solitamente un
“erratum”, o è possibile ritirare un articolo, se i dati sono stati falsificati. A quanto mi risulta, Spitzer sta solo
dicendo che dieci anni dopo vuole ritrattare la sua interpretazione dei dati. Beh, probabilmente dovremmo
allora ritirare centinaia di pubblicazioni scientifiche per re-interpretarle, e noi non lo facciamo».
Lo psicologo americano Christopher H. Rosik ha commentato così queste parole: «Quello che Zucker sta
essenzialmente dicendo è che non c’è nessuna giustificazione per una ritrattazione». Ha quindi ricordato
che lo stesso Spitzer «ha confermato che stava ricevendo un elevato volume di lettere di odio e rabbia
rivolte contro di lui (Spitzer, 2003b; Vonholdt, 2000)». E infine: «Nessuna nuova scoperta scientifica è stata
scoperta per screditare la terapia di cambiamento di orientamento sessuale (SOCE). Nessun difetto
madornale metodologico è stato identificato. Gli stessi argomenti inoltrati a favore o contro lo studio di un
decennio fa, sono ancora in piedi».
Ma purtroppo su questo tema è impossibile una discussione, «le persone hanno paura di esprimere le loro
opinioni sul comportamento omosessuale, i professionisti hanno paura di dissentire dalla “saggezza”
ideologica sull’omosessualità, i politici hanno paura di dire qualcosa in pubblico che irriti la comunità gay.
L’ideologia dei gay militanti è stata imposta all’Occidente e ciò implica che la ricerca della verità circa
l’omosessualità, le sue cause e la sua mutevolezza, è quasi diventata un’attività proibita», ha concluso a sua
volta lo psichiatra Gerard van den Aardweg.
Omosessualità? Si può uscirne
di Mario Palmaro - [email protected]
L'omosessualità è una condizione patologica. Dalla quale, se si vuole, si può uscire. Ma
l'azione di una potente lobby gay mira a nascondere questa verità.
L'omosessualità come fatto normale. Da almeno trent'anni nella società occidentale
opera una potente lobby che vuole far entrare nella testa della gente questa semplice
idea: l'omosessuale è come un mancino, certo più raro delle persone che usano la mano
destra, ma non per questo giudicato una persona "che sbaglia". Insomma: "gay è bello"
almeno quanto essere un eterosessuale. Chiunque sostenga il contrario, perde il diritto di
parlare nel grande salotto del villaggio globale e viene liquidato come un intollerante che
discrimina gli omosessuali, che li odia e che li considera individui pericolosi e senza
speranza. Ovviamente, si tratta di un'accusa completamente falsa, che vuole solo
neutralizzare la verità: e cioè che l'omosessualità è una condizione patologica, che
ostacola la piena realizzazione della persona.
Un nuovo concetto di normalità
Siamo di fronte a una classica operazione di ingegneria sociale che vorrebbe trasformare
una normalità di tipo sociologico in una normalità di tipo antropologico morale: se gli
omosessuali sono presenti in numero rilevante, e la gente li approva, allora significa che
essere gay è un comportamento assolutamente innocente del punto di vista etico. Non a
caso, il Movimento di Liberazione Gay, fondato a New York nel 1969, rivendica due
cose: la tolleranza, intesa come piena eguaglianza sociale, economica, politica e
giuridica dell'omosessuale in quanto tale; e l'approvazione, intesa come l'idea diffusa che
l'omosessualità sia una cosa normale. Ma se questa lobby gay si presenta all'opinione
pubblica orgogliosa e compatta, ben diversa è la realtà esistenziale delle singole persone
che vivono questa condizione: una vita segnata spesso dalla sofferenza e
dall'inquietudine, aggravate dagli atteggiamenti urlati e provocatori del movimento
d'opinione che cavalca la tigre della trasgressione sessuale. C'è un paradosso che molti
ignorano: il primo passo per aiutare gli omosessuali è riconoscere serenamente che in
quella condizione essi vivono male. Anche quando sia apparentemente accettata con
serenità, l'omosessualità non sarà mai compatibile con i livelli più profondi della
persona.
L'omosessualità come malattia
Dunque, giornali, TV, film, situation comedy sono pesantemente condizionate da questa
lobby omosessuale, che ogni giorno muove qualche piccolo passo per "normalizzare"
l'immagine dei gay agli occhi del pubblico. Le tecniche utilizzate sono molto simili a
quelle messe in campo dalla lobby femminista negli anni Settanta, quando film e telefilm
furono invasi da donne-giudice, donne-poliziotto, donne-soldato, allo scopo di suscitare
processi di immedesimazione nel pubblico femminile. Oggi, le fiction Tv e i film si
riempiono di personaggi che non nascondono, e anzi ostentano la loro omosessualità,
come affermazione di una categoria socialmente rilevante: il pubblico assimila così il
messaggio subliminale che non c'è proprio nulla di strano ad assumere pubblicamente il
"ruolo" di omosessuale, felice e contento della propria condizione. Anche nel campo
della psichiatria e della psicanalisi la lobby gay ha esercitato fortissime pressioni per
indurre gli studiosi a un riconoscimento della normalità della omosessualità. La gente
non sa un fatto clamoroso: i tre grandi pionieri della psichiatria - Freud, Jung e Adler consideravano l'omosessualità come una patologia. Oggi, invece, il termine
omosessualità è scomparso dai manuali psichiatrici delle malattie mentali. Ma, come
scrive lo psicologo americano Joseph Nicolosi, nessun tipo di ricerca sociologica o
psicologica spiega tale cambiamento di tendenza, e nessuna prova scientifica è stata
fornita per confutare 75 anni di ricerche cliniche sull'omosessualità come stato
patologico.
Omosessuale "per natura"
Spesso, i gay credono di essere nati tali. La stessa opinione pubblica è portata a pensare
che certe persone "sono fatte così, e non c'è nulla che possano fare per cambiare". Il
riconoscimento giuridico e sociale dell'omosessualità sarebbe scontato, se fosse
scientificamente provato che essa è una condizione innata. Ma è stato provato
esattamente il contrario: e cioè che i fattori genetici e ormonali non svolgono un ruolo
determinante nello sviluppo della omosessualità. Possono predisporre, ma mai
predeterminare l'omosessualità. Dunque, non esiste alcun "gene dell'omosessualità" che
costringa una persona a essere tale. Possono esservi invece condizioni innate che
rendono più facile lo scivolamento verso l'omosessualità. Ma l'essere gay resta un
fenomeno prettamente psicologico.
Guarire si può
Il vero scoop, in termini giornalistici, è proprio questo: che dalla omosessualità è
possibile liberarsi. Non si tratta di un'affermazione teorica, o di un auspicio di natura
morale: autorevoli psicologi che da anni lavorano in questo campo possono documentare
numerose "guarigioni" di persone gay che - ovviamente senza alcun tipo di costrizione hanno iniziato una cura psicanalitica seria, e sono completamente usciti dal tunnel di una
personalità incompiuta. Certo, il primo passo di questo non facile cammino è
riconoscersi bisognosi di aiuto, e infrangere il luogo comune imposto dai media secondo
cui, al contrario, bisognerebbe arrendersi al fatto che omosessuali si nasce. Nulla di più
falso: innumerevoli studi hanno ormai dimostrato che l'orientamento omosessuale è
legato a una serie complessa di fatti accaduti alla persona durante l'infanzia e
l'adolescenza. Questa rivelazione dimostra che la lobby gay non solo fa del male alle
persone che afferma di voler tutelare, ma, ancor di più, induce l'opinione pubblica a
trascurare una serie di informazioni educative che potrebbero in molti casi prevenire
l'insorgere del problema. Sappiamo, ad esempio, che nel vissuto di moltissimi
omosessuali maschi adulti c'è un padre evanescente; e spessissimo c'è una famiglia
sfasciata, un divorzio. Non a caso, anche qui il miglior modo per prevenire è difendere la
famiglia, recuperando in particolare la figura di un padre affettuoso ma autorevole,
capace di dettare delle regole e dei divieti. In questo senso, i movimenti di liberazione
omosessuale sono degli acerrimi nemici della famiglia.
L'insegnamento della Chiesa
La Chiesa cattolica continua a insegnare - in perfetta fedeltà alla Sacra Scrittura e alla
Tradizione - che "gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati, contrari alla
legge naturale, e in nessun caso possono essere approvati" (Catechismo della Chiesa
cattolica, n. 2357). Il Magistero tiene distinti i comportamenti dalle tendenze: poiché la
genesi psichica dell'omosessualità rimane in gran parte inspiegabile, la semplice
presenza di tale tendenza non costituisce una colpa, e anzi le persone che si trovano in
questa condizione devono essere accolte "con rispetto, compassione, delicatezza" (n.
2358). Ma è altrettanto evidente che le persone omosessuali sono chiamate alla castità e
alla perfezione cristiana, traendo forza dalla preghiera e dalla grazia (n. 2359). Proprio
questa parte del Catechismo sembra confermare la reale possibilità di cambiamento, cui
la psicanalisi offre oggi importanti prospettive: "in questo senso - scrive Padre Livio
Fanzaga - c'è affinità di vedute tra prospettiva scientifica e pastorale della Chiesa,
scienza e morale qui procedono insieme verso un traguardo positivo di fiducia e di
speranza". Dall'omosessualità si può guarire.
Bibliografia
Joseph Nicolosi, Omosessualità maschile: un nuovo approccio, SugarCo Edizioni,
Milano 2002.
G. Van den Aardweg, Omosessualità e speranza, Ares, Milano 1985.
Catechismo della Chiesa Cattolica, Editrice Vaticana, n. 2357-2359.
The Testimony of Steffan
(in Italian)
Nella prima infanzia mi ritenevo un bambino debole, avevo avuto dei problemi di salute,
problemi agli occhi e di conseguenze non potevo praticare dello sport che comunque non
mi piaceva. Con questi miei problemi mi sentivo messo da parte, diverso dagli altri.
Nel quartiere dove eravamo, con 2 dei miei vicini Christine e Jean-Marc, eravamo i più
piccoli d'un gruppo, gli altri avevano almeno 5 anni più di noi, e quando giocavamo con
loro, ci rigettavano e si approfittavano del fatto che erano più grandi.
Fino ai 4 anni, Il rapporto con mio padre era buono. Le circostanze della vita poi
diventarono difficili per lui, e spesse volte ero trattato male, era una persona autoritario.
Ero ripreso davanti a tutti, in particolare davanti ai famigliari e mi ricordo che aspettavo
da parte da mia madre o da altri un aiuto.
Spesse volte ero picchiato, mi sentivo umiliato, debole, indifeso, ero ansioso, pauroso,
insicuro di me, nella mia identità, ero complessato, mi mancava l'amore da me aspettato.
Sentivo fortemente l'ingiustizia.
Potrei dire che non ho avuto un modello di padre e di uomo.
Per riassumere un po', ho avuto un'infanzia poco felice!, anche se sembrava che miei
genitori facevano dal loro meglio.
All'adolescenza, non mi sentivo all'altezza d'essere un maschio, la pressione in me era
intensa, tutto prendeva delle proporzioni più grandi, il desiderio erotico-sessuale
diventava ossessivo, la masturbazione da anni praticata più volte al giorno come
sollievo, era ancora più immaginativa e di consolazione.
Ricercavo la forza e la sicurezza in altri uomini, volevo dagli altri quello che non
possedevo!
Alla fine degli studi, ho proseguito nella vita gay, dove finalmente ero qualcuno, dove
ero notato, piacevo, ero desiderato, le persone come me mi capivano, potevo finalmente
ricevere l'amore per sentire di meno le mie sofferenze interne.
Ma tutto era solo che amore ridotto al sesso, vivevo in un circolo vizioso per diversi
anni: sesso, sollievo passeggero, insoddisfazione, sofferenze! e di nuovo sesso e cosi via,
la mia frustrazione era alleviata dalla dipendenza sempre più intensa.
Un giorno ho realizzato che questi uomini avevano gli stessi miei problemi, in fondo
ognuno cercava di prendere dall'altro, ma tutti rimanevano senza ricevere!
Quando eravamo in società, discoteche, bar, sorrisi, gioie, battute, divertimenti. Quando
ci ritrovavamo da soli, allora per alcuni la depressione, la tristezza e sopra tutto il fatto di
dire ancora una volta non ho trovato la persona giusta!
Da qualche parte, mi ero rassegnato su questo fatto, ma d'un'altra parte ero dipendente.
Mi ricordo che quando mi guardavo nello specchio avrei voluto diventare cieco e brutto
pensando allora non avere più problemi con la dipendenza, e non sarei più piaciuto.
Per miei 30 anni, ho passato dei momenti d'esistenza veramente difficile, sia al lavoro,
che con le mie relazioni.
Ho realizzato che tutto quello che desideravo materialmente a quell'epoca c'e l'avevo,
però la mia vita non aveva senso, era una trappola, non avevo ancora combinato niente.
Qualcuno potrebbe pensare che ero frustrato con il fatto che non mi accettavo come
omosessuale, eppure per anni ho vissuto anche dei bel momenti come gay lontano dalla
mia famiglia. E potevo fare quello che volevo.
Non ero felice e in pace con il fatto d'avere una vita gay!
In questo periodo ho riscoperto Dio e la chiesa, e sopra tutto la motivazione di cambiare
vita!
Ho deciso a partecipare a dei corsi Living Waters per capire cosa era successo in me,
come mai non ho avuto la scelta di essere eterosessuale, perché ero attirato
compulsivamente verso lo stesso sesso?
Settimane dopo settimane, ho fatto un lavoro su di me nel riconoscere, raccontare le mie
sofferenze passate e presenti. Ho potuto parlare davanti a un piccolo gruppo di fiducia
senza essere giudicato, sono stato ascoltato, prese in considerazione. Ho sentito degli
insegnamenti relativi alla sfera sessuale, all'identità sia quella dell'uomo che della donna,
alle nostre emozioni, sentimenti dell'infanzia.
Questi tempi erano difficili, ma benefici per me, qualche volte mi vergognavo
raccontando le mie storie.
Volevo cambiare attitudine, atteggiamenti, modo di pensare, sistemi di credenze.
Dovevo imparare a conoscere me stesso, ad avere un'identità che non fosse legata al
sesso con un uomo.
A vivere senza il narcisismo, cioè, la concentrazione su me stesso e miei bisogni, per
sembrare sicuro di me.
Vivere senza idolatria relazionale, cioè dare, o pensare che l'altro mi può dare solo
felicità o ciò che mi manca.
Accettare e perdonare me stesso e gli altri!
Riposizionare i pensieri che avevo verso mio padre!
Avere la volontà di vivere senza ribellione, senza modi trasgressivi!
Dare il giusto valore alle ferite morali che avevo ricevuto, e anche perdonare.
Accettare di maturare, perché questo processo era bloccato, uscire da me stesso,
cambiare e andare verso altre situazioni sconosciute da me!
Dopo questo periodo, è rinato in me il desiderio di mettere in atto i cambiamenti!, la
voglia di avere una ragazza, sposarmi, avere una famiglia, scoprire l'amicizia senza il
sesso, accettare i consigli, e rimettere in questione i miei pensieri, riconoscere quando
agisco d'un modo pauroso! Ho imparato con il tempo a stare attento ai vecchi modelli di
vita. Ho preso l'abitudine ad un nuovo modo di vivere e d'essere.
Voglio trasmettere le cose buone della vita, e sopra tutto non credere a questa bugia che
l'omosessualità è genetica!
Non infliggere delle ferite morali, verbale o fisiche come le ho ricevute nel passato!
Imparo che non sta a me a cambiare le persone e che devo avere un certo distacco sulle
circostanze e quello che mi arriva contro. Sapere vivere con dei filtri, lasciando passare
le cose buone scartando le meno buone.
Non voglio dire che sono guarito, perché vorrebbe dire ch'ero malato, e che
l'omosessualità è dunque una malattia; ma piuttosto che prima vivevo separato della mia
identità, non ero mai stato confermato come uomo da mio padre! Il processo di
maturazione era bloccato.
Cercavo solamente di acquistare la mia mascolinità d'un modo sbagliato!
Non ritornerei indietro nel passato, e nello falso io, e sono contento d'avere capito cosa
in me e fuori da me ha fatto sì che ho abbia avuto dei problemi d'omosessualità.
OMOSESSUALITÀ MASCHILE:
UN NUOVO APPROCCIO
JOSEPH NICOLOSI
Presentazione della dott.ssa Chiara Atzori
Postfazione di padre Livio Fanzaga
Titolo originale: Reparative Therapy of Male Homosexuality. A New Clinical Approach.
Copyright © 1997 by Jason Aronson Inc.
Traduzione di Simona Cavalleri.
Proprietà letteraria riservata. Per Presentazione e Postfazione Copyright © 2002 by
Sugarco Edizioni S.r.l., via don Gnocchi 4, Milano, Italia.
Disegno di copertina: Nancy J.D'Arrigo.
ISBN 88-7198-461-7
PRESENTAZIONE
Nell'attuale panorama culturale -- nel quale l'omosessualità maschile, sdoganata
dall'area dei tabù, ammicca dai cartelloni pubblicitari e dagli spot televisivi e viene
gridata nei «gay-pride days» anche se nello stesso tempo è sempre più sottaciuta nella
sua dimensione di frequente sofferenza individuale -- questo libro rappresenta
certamente una voce fuori dal coro.
Lungi dal voler essere una provocazione fine a se stessa, o peggio ancora una sfida
omofoba, vuole piuttosto tentare di colmare una lacuna. Lo stimolo a pubblicare questo
saggio americano sull'omosessualità maschile infatti è nato dall'evidenza che tra i
numerosi testi ormai disponibili in Italia sull'argomento scarseggiano vistosamente titoli
autorevoli riferibili all'esperienza, scientificamente solida e ben documentata, maturata
dalla corrente degli psicoterapeuti che applicano con successo il cosiddetto «approccio
ricostitutivo» basato sulla teoria delle relazioni oggettive e su studi empirici della
identità sessuale.L'analisi delle dinamiche familiari, il recupero della relazione con la
figura paterna, l'autoaccettazione e la rimozione dei sensi di colpa, l'autoaffermazione e
la valorizzazione dell'autostima, lo sviluppo di vincoli di amicizie non erotiche sono
elementi fondamentali di questo approccio, che prevede una relazione importante con il
terapeuta, la verbalizzazione e psicoterapia personale e di gruppo.
Il dr. Nicolosi è sicuramente un riferimento internazionalmente riconosciuto, e i suoi
testi, così come l'applicazione ricca di successi del suo originale approccio, sono ben
conosciuti in diversi paesi europei, oltre che negli Stati Uniti.
Si sente ribadire da più autorevoli voci la crisi dell'identità maschile, la crescente
incertezza della definizione di «genere sessuale», ma oggi trattare di omosessualità al di
fuori dello stereotipo politically correct per cui bisogna vivere e accettare serenamente
il proprio «essere gay» appare più difficile di ieri.
La elevata frequenza della distonia nella percezione della propria omosessualità è poco
conosciuta, tuttavia non può semplicemente venire nascosta per incrementare
l'accettazione sociale delle persone che sperimentano pulsioni omosessuali, andrebbero
piuttosto divulgate tutte le possibili risposte volte a risolvere questo malessere, non solo
quelle considerate alla moda.
Una malintesa accettazione del pluralismo o della libertà di orientamento sessuale e la
stessa legittima lotta alla discriminazione delle persone omosessuali non può
prescindere dalla conoscenza e personale elaborazione di tutte le possibili proposte
alternative, né rimandare esclusivamente a un generico invito alla tolleranza e
all'accettazione obbligatoria di uno «stato di fatto», pena una ghettizzazione di ritorno,
ancorché di avanguardia, della persona omosessuale.
Nella mia quotidiana pratica clinica di medico infettivologo mi sono sentita rivolgere
richieste di aiuto a riorientarsi da parte di pazienti che, avendo sperimentato e
attualizzato pulsioni e comportamenti omosessuali, non avevano tuttavia trovato
nell'outing del mondo gay (locali, circuiti associativi) risposte adeguate alla sensazione
di malessere e di infelicità che persistentemente sperimentavano.
La ripetitività della tipologia di risposta a questo malessere (riassumibile nella classica
frase: «Devi solo imparare ad accettare la tua "diversità"»), che li lasciava delusi e
ancora inascoltati, mi ha indotto a documentarmi sulle possibilità alternative, al di là
delle ovvietà. Conoscere realtà internazionali originali, come quella presentata
dall'autore di questo testo, è stata una vera scoperta, estremamente interessante e
formativa. Passata la prima diffidenza legata alla paura di incappare in uno dei
(purtroppo non rari!) gruppi retrogradi, razzisti, integralisti ed omofobi che popolano il
mondo virtuale, l'incontro con il dr. Nicolosi (contattabile presso il sito www.narth.com)
è stato illuminante. Una formazione professionale solida e lucida, accompagnata da una
umanità ricca ed empatica, ha permesso all'autore di stendere questo testo che
sicuramente potrà offrire spunti inediti di riflessione a chiunque vorrà documentarsi in
modo scientifico, onesto e mai ideologizzato sul tema dell'omosessualità maschile. Mi
auguro che tanti (non solo psicologi, medici e psicoterapeuti, ma educatori, genitori,
sacerdoti e altri genuinamente interessati al tema) possano apprezzare questa edizione
italiana.
DOTT.SSA CHIARA ATZORI
Infettivologa
RINGRAZIAMENTI
Da molti anni la psicoterapia degli omosessuali di sesso maschile è oggetto di studi
approfonditi. La grande novità di questo libro risiede nel tentativo di fondere diversi
elementi della ricerca clinica: lo sviluppo dell'identità sessuale maschile (Abelin 1975,
Greenacre 1957, Greenson 1968, Greenspan 1982, Kohlberg 1966, LaTorre 1979,
Mahler 1955, Moberly 1983, Money ed Ehrhardt 1972, Ross 1979, Stoller 1968),* storie
di dinamiche familiari (Bell e Weinberg 1978, Bieber et al. 1962, Green 1987, Higham
1976, Money e Russo 1979, Tyson 1985) e le tecniche di psicoterapia psicodinamica
dell'omosessualità maschile (Gershman 1953, Hadden 1966, Hamilton 1939, Hatterer
1970, Horner 1989, Masters e Johnson 1979, Nunberg 1938, Ovesey 1969, Socarides
1978, van den Aardweg 1986, Winnicott 1965).
Vorrei qui ringraziare tutti coloro che hanno partecipato alla stesura di questo libro.
Desidero esprimere la mia stima a tutto il personale del mio ufficio: Jennie Gohn,
Margaret Guiteras, Edith Joanis, Joan Multerer, Cindy Anctil, e in particolare alla mia
assistente alla ricerca Jeanne Armstrong, che ha reso possibile la realizzazione di questo
libro grazie alle interminabili ore trascorse in biblioteca.
Desidero inoltre ringraziare i membri del Comitato Consultivo della Thomas Aquinas
Clinic per il loro sostegno, il mio grande amico Jim Johnson del Beyond Rejection
Ministries per il costante incoraggiamento, nonché il dott. Jason Aronson che ha
riconosciuto il valore di queste idee e ha avuto il coraggio di pubblicarle.
Desidero ringraziare in modo del tutto particolare mia moglie Linda, che con i suoi
preziosi consigli e suggerimenti e con le sue doti di scrittrice ha saputo trasformare la
mole di pensieri frammentari in un manoscritto unitario e leggibile, nel corso dei quattro
anni che insieme abbiamo dedicato alla realizzazione di questo libro.
Infine, desidero soprattutto esprimere la mia profonda riconoscenza agli uomini
sottoposti a terapia che tanto mi hanno insegnato, concedendomi il privilegio di
partecipare alla loro lotta.
INTRODUZIONE
Vi sono uomini omosessuali che rifiutano l'etichetta di «gay» e tutte le implicazioni che
tale definizione comporta. Laddove il termine «omosessuale» indica un aspetto
innegabile della loro psicologia, la parola «gay» descrive uno stile di vita e dei valori che
essi non condividono. Questi uomini vivono un profondo conflitto tra i loro valori e le
loro tendenze sessuali e, sebbene il loro sviluppo personale sia costantemente ostacolato
da desideri omoerotici, si sforzano di non arrendersi a questi impulsi omosessuali, ma di
superarli.
In tempi recenti, la psichiatria ha ribaltato l'opinione secondo cui l'omosessualità è una
condizione malsana. Conseguenza diretta di tale cambiamento è stato l'abbandono di
questi uomini, che noi chiamiamo «omosessuali non gay». Sebbene la psicologia affermi
di operare sulla base di una filosofia rispettosa dei valori, di fatto sottovaluta la lotta
interiore di questi individui, curandoli unicamente per il sentimento di odio verso se
stessi dovuto a omofobia interiorizzata.
In realtà, l'omosessualità è un problema inerente allo sviluppo, molto spesso derivante
dalle prime incomprensioni tra padre e figlio. Lo sviluppo eterosessuale richiede il
sostegno e la cooperazione di entrambi i genitori, nel momento in cui il ragazzo vive il
distacco dalla madre e il successivo processo di identificazione con il padre. Da un
rapporto padre-figlio fallimentare può scaturire l'incapacità di interiorizzare la propria
identità sessuale. Un'alta percentuale di uomini sottoposti a psicoterapia per la cura
dell'omosessualità rientra nel quadro di questa sindrome legata allo sviluppo.
Se l'identificazione sessuale non è completa, durante l'infanzia l'individuo non solo si
allontana dal padre, ma anche dai coetanei di sesso maschile. La letteratura specializzata
riconosce come indizio di omosessualità il duplice fenomeno di comportamento non
mascolino durante l'adolescenza e di difficoltà a mettersi in relazione con i coetanei
maschi. Questo distacco sfocia in un processo di eroticizzazione della mascolinità.
Spesso si verifica un processo di alienazione dal corpo, caratterizzato o da eccessive
inibizioni o da un esibizionismo esasperato. Tale processo si accompagna spesso a una
scarsa autostima. L'omosessualità che ne deriva risponde all'esigenza di porre rimedio al
danno originario nel processo di identificazione sessuale.
Un'attenta analisi della letteratura specializzata rivela che i fattori genetici e ormonali
non sembrano avere un ruolo predeterminante nello sviluppo omosessuale. Tuttavia vi
possono essere alcuni fattori predisponenti che rendono alcuni ragazzi più vulnerabili e
più soggetti a un processo di identificazione sessuale incompleto.
Tra i problemi legati all'omosessualità possiamo includere le difficoltà di
autoaffermazione, la sessualizzazione della dipendenza e dell'aggressività, il distacco
come autodifesa dagli individui di sesso maschile. Generalmente gli omosessuali maschi
non sono in grado di instaurare rapporti d'amicizia non erotici con individui dello stesso
sesso.
Se analizziamo più da vicino i rapporti tra gay, possiamo osservare alcuni limiti tipici
dell'amore omosessuale. Le coppie gay sono note per la loro precarietà e instabilità. Gli
studi più recenti sono unanimi nel riconoscere l'eccessiva promiscuità e l'enfatizzazione
della sessualità dei rapporti omosessuali. In assenza dell'elemento femminile
stabilizzante, le coppie omosessuali maschili presentano serie difficoltà nella capacità di
mantenere la monogamia.
Nonostante la valorizzazione dell'androginia da parte dell'uomo gay, si nota la ricerca
contraddittoria dell'archetipo maschile, in una gerarchia dove l'individuo poco mascolino
occupa una posizione inferiore. Le relazioni gay, inoltre, si scontrano inevitabilmente
con i limiti propri dell'identicità sessuale, che rende l'atto sessuale isolato e narcisistico,
data la necessità di tecniche che prevedono necessariamente l'alternanza. Non si tratta
solo di incompatibilità anatomica, ma di ostacoli psicologici che impediscono
all'individuo di relazionarsi in modo completo come avviene invece nelle coppie
eterosessuali.
Da alcuni anni gli scrittori del Movimento di Liberazione Gay non solo si battono per
sollecitare un atteggiamento di tolleranza da parte della società, ma anche perché lo stile
di vita e la condizione omosessuale ottengano l'approvazione generale. Essi negano che
vi sia promiscuità, o la propongono come parte accettabile di un nuovo ordine sociale
necessario alla condizione omosessuale. Chi non riconosce l'uguaglianza
dell'omosessualità è considerato omofobico, cioè pieno di paure irrazionali. Gli scrittori
gay non ammettono il fatto che sia del tutto legittimo dare più valore all'eterosessualità.
La terapia ricostitutiva dell'omosessualità si basa sulla teoria delle relazioni oggettive e
su studi empirici dell'identità sessuale. Uno degli obiettivi primari della terapia è l'analisi
delle dinamiche familiari che possono aver provocato lo sviluppo omosessuale di un
individuo. La riappacificazione con il padre è uno dei primi passi in questo processo
riparatore, ma tra gli obiettivi primari della terapia si annoverano anche
l'autoaccettazione e la rimozione dei sensi di colpa. Si parla molto di differenze sessuali
e in generale si è d'accordo nel riconoscere la positività di una completa identificazione
sessuale. Il superamento del falso io è un obiettivo primario per molti pazienti in cura. Si
incontrano non poche sfide sul percorso che conduce al rafforzamento del proprio io e
all'autoaffermazione. Nella terapia di gruppo, al paziente si richiede di sviluppare
l'autostima attraverso la verbalizzazione. Un altro obiettivo molto importante è lo
sviluppo di vincoli di amicizia non erotici tra individui dello stesso sesso. Per
l'omosessuale il distacco come autodifesa costituisce generalmente un ostacolo non
trascurabile alla nascita di legami di amicizia con uomini normali.
Il rapporto tra paziente e terapeuta può rappresentare un ostacolo in questo tipo di
terapia, poiché spesso si ripropone lo stesso genere di problematiche che caratterizzano i
rapporti con il padre. Per questo una psicoterapeuta donna può avere un ruolo
determinante nella terapia, a patto che al momento giusto essa ceda il paziente a un
terapeuta di sesso maschile.
Questo tipo di terapia non si pone l'obiettivo di cancellare tutti gli impulsi omosessuali,
bensì di migliorare la capacità di mettersi in relazione con gli altri uomini e di rafforzare
il processo di identificazione maschile. Grazie alla terapia ricostitutiva, molti pazienti
hanno trovato la forza di mantenere l'impegno di praticare l'astinenza sessuale, altri sono
riusciti a raggiungere l'equilibrio in una unione eterosessuale.
Parte I
ALLA RICERCA
DELLA PROPRIA IDENTITÀ SESSUALE
La mascolinità nell'uomo non è semplicemente una condizione naturale... è piuttosto una conquista.
Robert Stoller
Non riesco a pensare a un bisogno nell'infanzia forte come il bisogno di protezione del padre.
Sigmund Freud
Capitolo 1
OMOSESSUALI NON-GAY: CHI SONO?
Da alcuni anni si sente molto parlare di omosessualità e della scelta di «uscire allo
scoperto» e condurre uno stile di vita gay. «Uscire allo scoperto» significa gettarsi alle
spalle ogni sorta di timore e inganno e intraprendere finalmente la via della libertà e
dell'integrità personale.
Tuttavia, alcuni omosessuali non cercano la propria realizzazione in un'identità gay.
Questi uomini hanno optato per una crescita personale in tutt'altra direzione. Il
termine omosessuale indica un aspetto della loro condizione psicologica, mentre il
termine gay descrive un'identità sociopolitica contemporanea e uno stile di vita che
questi individui non condividono. Io li chiamo omosessuali non-gay.
L'omosessuale non-gay è un uomo che vive un conflitto fra il suo sistema di valori e le
sue tendenze sessuali, perché fondamentalmente egli s'identifica con lo schema di vita
eterosessuale. L'omosessuale non-gay sente che il suo progresso personale è
continuamente intralciato dall'attrazione che prova per gli individui del suo stesso sesso.
Prima della nascita del Movimento di Liberazione Gay, la letteratura psichiatrica
considerava l'omosessuale unicamente dal punto di vista della sua «condizione medica».
Il Movimento di Liberazione Gay ha sollecitato nuove ricerche, spesso condotte da
ricercatori omosessuali, allo scopo di fare luce sugli aspetti personali e relazionali
dell'esperienza gay. Grazie a questi studi, oggi gli uomini possono decidere se condurre
uno stile di vita gay o se intraprendere un cammino di crescita oltre l'omosessualità. È
mia speranza poter aiutare questi uomini a percorrere quest'ultima strada verso l'integrità
personale.
Un giovane di sedici anni è venuto un giorno nel mio studio, turbato per avere scoperto
di essere omosessuale. Per prima cosa gli spiegai che si trovava di fronte a una duplice
scelta: aderire alla Terapia affermativa gay o tentare di superare l'omosessualità.
Proseguii illustrando i casi dei pazienti in terapia con me. In un primo momento egli
sembrò perplesso, perché influenzato dall'opinione corrente secondo cui se sei
omosessuale l'unica risposta onesta è vivere apertamente la propria identità gay. Per
questo fu sorpreso di scoprire che molti uomini scelgono una via diversa.
Coloro che si rivolgono alla terapia ricostituiva non imputano la propria infelicità al
marchio che impone loro la società. Molti di loro hanno esplorato lo stile di vita gay,
compiendo un percorso che si è trasformato in una «via negativa» (in italiano nel testo),
e ne sono usciti delusi per ciò che hanno visto. La loro definizione dell'io è
profondamente legata alla vita familiare tradizionale, per questo rifiutano di rinunciare
alla propria identità sociale eterosessuale. Invece di dichiarare guerra all'ordine naturale
della società, essi decidono di impugnare le armi di una battaglia interiore. Ecco le
parole di un paziente di ventitré anni:
Ho provato questi sentimenti e questi impulsi, ma l'idea soltanto di essere gay mi sembra ridicola... è uno stile di vita
così strano, ai margini della società... è un mondo al quale non potrei appartenere.
Un altro giovane ha detto:
Non ho mai creduto di avere tendenze omosessuali semplicemente perché ero «nato così». Lo ritengo un insulto alla mia dignità, e un enorme danno al mio
desiderio di crescita, sentirmi dire che non ho speranza di cambiare.
Un altro ancora:
Per me condividere lo stile di vita omosessuale è stato come vivere una menzogna. È stata un'esperienza dolorosa che mi ha disorientato, una forza distruttiva
nella mia vita. Solo quando ho veramente cominciato a riflettere su ciò che sta dietro all'omosessualità ho iniziato a trovare pace e autoaccettazione.
È necessario che società e psicologia comprendano chi è veramente l'omosessuale nongay. Attualmente la società osserva questo gruppo di individui con una certa derisione,
mentre la psicologia li considera fuorviati e capaci solo di odio verso se stessi. L'identità
dell'omosessuale non-gay è intrappolata nelle ideologie correnti. Il mondo normale lo
evita, il mondo gay lo considera estraneo.
La professione psichiatrica deve assumersi gran parte di responsabilità nell'abbandono
degli omosessuali non-gay: nello sforzo di sostenere la liberazione dei gay, ha
dimenticato questo gruppo di individui. Se non consideriamo più l'omosessualità un
problema, automaticamente mettiamo in dubbio la validità della loro lotta. Lo stesso
omosessuale non-gay ha contribuito a quest'abbandono sociale; difficilmente lo
incontreremo in cortei o raduni per l'affermazione della propria identità. Egli preferisce
risolvere i suoi conflitti in silenzio e con discrezione. Come sono paradossalmente
conservatori gli uomini che combattono questa battaglia controculturale! Oggigiorno,
persino i pedofili e le prostitute non temono di mettere in piazza le proprie storie!
È un peccato che l'omosessuale non-gay debba essere considerato quello che in realtà
non è. Secondo un'opinione diffusa, egli rimane nascosto per paura o ignoranza, ma con
un po' di tempo e un'adeguata formazione anch'egli potrebbe trovare la via della sua
liberazione. Tuttavia, non essere gay è una scelta più consapevole riguardo alla propria
identità che non quella di essere gay. Questo isolamento può rappresentare un luogo di
crescita e di autocomprensione molto dinamico, un luogo destinato a cambiare. Per
l'omosessuale non-gay, l'isolamento rappresenta una scelta e una sfida, un luogo di
fratellanza, fede e crescita -- un luogo interiore che può anche condurre alla
trascendenza.
Negli ultimi anni sono stati fatti grandi passi verso il riconoscimento degli omosessuali
nella società, e sarebbe più che ovvio estendere la stessa comprensione all'omosessuale
non-gay. Egli ha operato una valida scelta filosofica ed esistenziale, è qualcuno che,
nella pienezza della propria identità, non vuole aderire alla condizione di omosessuale,
ma cerca di superarla.
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