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BASSO, Lelio in Dizionario Biografico – Treccani
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BASSO, Lelio
Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 34 (1988)
di Piero Craveri
BASSO, Lelio (/enciclopedia/lelio/). - Nacque a Varazze (/enciclopedia/varazze/)
(Savona (/enciclopedia/savona/)) il 25 dic. 1903 da Ugo e da Marianna Raimondi, in
una famiglia agiata. Il padre, insegnante, liberale giolittiano, aveva partecipato alla vita
politica del suo collegio, quello di Ventimiglia (/enciclopedia/ventimiglia/), dove
risiedette fino al trasferimento a Milano (/enciclopedia/milano/) nel 1916. Qui il B.,
iscritto al ginnasio-liceo "Berchet", entrò in contatto con un ambiente più aperto di
quello della provincia ligure: tra i compagni ebbe Mario Damiani
(/enciclopedia/damiani/) e Vittorio Albasini, poi antifascisti processati dal Tribunale
speciale, e Antonello Gerbi, nipote di Claudio Treves (/enciclopedia/claudio-treves/)
(più tardi con Ugo La Malfa (/enciclopedia/ugo-la-malfa/) all'ufficio studi della Banca
commerciale italiana) e Luigi Gedda; fu suo insegnante di storia e filosofia Ugo Guido
Mondolfo (/enciclopedia/ugo-guido-mondolfo/), la sua prima guida nel lungo viaggio
attraverso il marxismo.
Fuori dal liceo negli anni duri a cavallo della guerra, gli si apriva il proscenio della
Milano operaia e socialista, con la sua municipalità retta dal riformista L. Caldara, con
le prime lotte di massa contro il carovita e la lacerazione sempre più profonda del
vecchio equilibrio politico e sociale dell'Italia (/enciclopedia/italia/) liberale. D'indole
indipendente e precoce, il B. volle staccarsi dal mondo familiare e fare presto da sé.
Ancora studente liceale, si impiegò come stenodattilografo e poi come corrispondente
presso un'azienda di macchine per maglieria, guadagnandosi la vita e la libertà di
seguire le suggestioni intellettuali e politiche di questo nuovo mondo. Così nell'inverno
del 1919 si immerse nel clima infuocato dei dibattiti socialisti, alla Camera del lavoro e
nei circoli politici. La sua iniziazione coincise dunque con un'epoca in cui il movimento
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prevaleva sull'organizzazione operaia, mentre forti erano le suggestioni prodotte dalla
Rivoluzione d'ottobre, con l'insieme di nuove alternative che essa proponeva al
movimento operaio, nella crisi dell'Europa postbellica.
Fino all'avvento del fascismo, il B. non fu un militante nel senso tradizionale della vita
di partito o sindacale. Nel 1921 aveva preso la tessera socialista, riconoscendosi
abbastanza nelle posizioni di G. M. Serrati; si sentiva terzinternazionalista senza
essere "terzino", leninista disapprovando la scissione di Livorno
(/enciclopedia/livorno/), vicino a quel soggettivismo "umanista", che fu proprio di
Rodolfo Mondolfo (/enciclopedia/rodolfo-mondolfo/) e di altri per cui la rivoluzione è
coscienza ideale e storica, prima che pratica, senza essere riformista (La mia
primatessera socialista, p. 30). Più che la politica lo interessava il dibattito delle idee, in
cui prese ad assumere il ruolo intellettuale di socialista rivoluzionario.
Nel 1921 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Pavia (/enciclopedia/pavia/) (oltre
a questa laurea prenderà nel 1931 anche quella in filosofia), aderendo alla locale
associazioe goliardica antifascista, cui erano iscritti, fra gli altri, Ezio Vanoni
(/enciclopedia/ezio-vanoni/) e i socialisti G. Faravelli, F. Ghinaglia, R. Verrati.
Nell'agosto-settembre 1923 esordì come polemista politico su Critica sociale
(/enciclopedia/critica-sociale/), con due articoli, uno di politica ecclesiastica (La
religione dello Stato, ibid., XXXIII [1923], pp. 248-250), l'altro contro la riforma Gentile
(L'educazione della classe lavoratrice e la riforma Gentile, ibid., pp. 300-302). L'anno
seguente, con lo pseudonimo di Prometeo Filodemo, con cui firmò tutti gli scritti di
questo periodo, pubblicò un articolo Un anno di critica marxista (ibid., XXXIV [1924], pp.
58-61), dando inizio a un tipo di riflessione che lo occupera tutta la vita. L'articolo
segna l'inizio d'una quasi febbrile attività pubblicistica: le testate sono quelle socialiste
o di democrazia laica (oltre a Critica sociale, l'Avanti!, Il Caffè, La Libertà, La Rivoluzione
liberale (/enciclopedia/la-rivoluzione-liberale/) di P. Gobetti (/enciclopedia/pierogobetti/), con cui entrò in stretto rapporto nel 1925, Il Quarto stato (/enciclopedia/ilquarto-stato/) di C. Rosselli (/enciclopedia/cosimo-rosselli/), fino a Conscientia, la
rivista "neoprotestante" di G. Gangale).
I temi, per lo più occasionali - quali la rilettura di Antonio Labriola
(/enciclopedia/antonio-labriola/) nella raccolta antologica di scritti curata da L. Dal
Pane (/enciclopedia/luigi-dal-pane/) nel 1925; la riproposizione, fatta da A. Baratono
(/enciclopedia/adelchi-baratono/), del neokantismo come premessa del socialismo,
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vecchio tema del dibattito revisionista di fine secolo; lo psicologismo di F. Weiss;
l'umanismo socialista di Mondolfo (/enciclopedia/mondolfo/), o le polemiche sulla
distinzione tra socialismo e marxismo con Rosselli e tra liberalismo e socialismo con
Riccardo Bauer (/enciclopedia/riccardo-bauer/) -, sono tutti legati da uno stesso filo
conduttore, che via via si arricchisce di motivi e argomenti. L'ossatura teorica nasce
indubbiamente vecchia e gli elementi di novità che vi si inseriscono sono di natura più
eclettica che sistematica, ma non è del tutto esaustivo un giudizio sul suo pensiero
analogo a quello formulato da N. Bobbio (/enciclopedia/norberto-bobbio/) sul
Mondolfo, cioè d'una "interpretazione idealistica" del marxismo, "recisamente
soggettivistica e volontaristica", percorsa da "un'ispirazione fichtiana … e …
gentiliana" che la fa "sconfinare nel fideismo e nell'irrazionalismo" (L. B. nella storia…,
contributo di F. Contorbia, p. 81). Questo B. giovanile, a ben guardare, palesa una
polivalenza di approdi, di cui quello più "fideistico" è proprio il socialista e marxista "chi non accetta il concetto della morale che si fa, come prodotto spontaneo
dell'insurrezione umana, ma la pone come principio imperativo cui questa insurrezione
debba conformarsi, non sarà mai socialista" e crea le condizioni per cui "il Partito si fa
Chiesa, la fede si fa fanatismo" (Valore morale del socialismo, in Critica sociale, XXXV
[1925], p. 28) -, per cui proclama che "il socialismo è nelle cose" (Un anno di critica
marxista, p. 58), propugna di liberarsi "dalle vecchie pastoie così del dogmatismo
rivoluzionario come dello statalismo riformista" (Le fonti della libertà, in Rivoluzione
liberale, 17 maggio 1925), afferma, recensendo Sulle orme di Marx, di essere "contro il
Mondolfo democratico, col Mondolfo marxista" (in Critica Sociale, XXXIV [1924], pp.
123-127), nella quale affermazione non si riflette tanto un elemento irrazionale, quanto
l'assenza di una compiuta riflessione intorno alle forme della politica, in particolare
sulla "forma partito", un tema che il B. teorico tenderà sempre in qualche modo a
sfuggire, e da cui uscirà sconfitto il B. politico. A lato del B. "marxista", ne possiamo
poi cogliere uno più propriamente "democratico", quello che affaccia il tema de
L'antistato come contrapposizione al fascismo, dandogli il più ampio significato di uno
"sforzo, cosciente delle energie rivoluzionarie che si affermano di contro allo Stato",
reclamando le "loro antinomie" (in Rivoluzione liberale, 2 genn. 1925), e che sono poi i
sindacati, i movimenti, le autonomie locali; ciò è già sintesi precoce di una
impostazione che ha lasciato una traccia politica e istituzionale. E si fa luce anche un
B. "laico", quello della Difesa del protestantesimo, in cui la riflessione etico-politica non
è più ideologica, ma si enuncia l'elogio dell'intolleranza come rigore, di contro a
un'Italia cattolica in cui "c'è stata troppa tolleranza" (in Il Quarto stato, 19 giugno 1926,
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n. 13, p. 13), aprendo un filo di più complesse considerazioni, poi svolte tra il 1925 e il
1926 su Conscientia, che si svilupperanno negli scritti più maturi sul problema
religioso.
Frattanto, trasferitosi nel 1924 all'università di Milano (vi si laureerà nel 1925 con una
tesi su "La concezione della libertà in Marx", con A. Groppalli), aveva diretto con
Rodolfo Morandi (/enciclopedia/rodolfo-morandi/) e il Faravelli i Gruppi goliardici per la
libertà. Alla fine del 1927 entrò a far parte della Giovane Italia, una organizzazione
repubblicana. Il suo raggio di azione continuava a essere quello dell'antifascismo
democratico e socialista. Così è per la vicenda di Pietre, la rivista di cui assunse la
direzione nel gennaio del 1928. Il periodico era nato nel 1926 a Genova
(/enciclopedia/genova/) su iniziativa di un gruppo di giovani antifascisti, per lo più
studenti, acquisendo poi la collaborazione di Giuseppe Rensi (/enciclopedia/giusepperensi/), Mario Vinciguerra (/enciclopedia/mario-vinciguerra/), Eugenio Colorni
(/enciclopedia/eugenio-colorni/) e altri, tra cui il B., e divenendo un punto di confluenza
delle ultime scintille del dibattito antifascista. Nel gennaio del 1928 la redazione passò
a Milano appunto sotto la direzione del B., di Mario Paggi e Mario Boneschi; ne
uscirono ancora quattro numeri, fin quando, nell'aprile 1928, dovette cessare le
pubblicazioni per l'arresto di quasi tutti i suoi collaboratori, in seguito all'attentato al re
presso la Fiera campionaria. Il processo che ne seguì, dopo breve detenzione, ebbe
un'eco anche nella stampa internazionale e si risolse con l'assoluzione degli imputati e
l'avvio della maggior parte di essi al confino. Il B. passò tre anni all'isola di Ponza, fino
al 1931, quando tornò a Milano, laureandosi in filosofia con una tesi sul teologo Rudolf
Otto (/enciclopedia/rudolf-otto/) e riprendendo la sua attività di avvocato. L'anno
seguente sposò Elisa Carini (/enciclopedia/carini/), da cui ebbe tre figli.
La cartella del B. nel Casellario politico centrale mostra come fosse tenuto
costantemente d'occhio, vi si dà infatti notizia della sua attività professionale, senza
avere tuttavia "nulla da segnalare", fino al 1939, quando fu nuovamente arrestato. In
realtà il B. mantenne numerosi contatti, con i fuorusciti di Parigi (/enciclopedia/parigi/)
e con il Centro interno socialista, in particolare con Rodolfo Morandi.
Nel '34 fu tra quelli che nettamente si opposero al tentativo del vecchio Caldara di
ottenere dal regime un margine di legalità; ma nello stesso tempo la sua lettura
dell'episodio fu sintomaticamente diversa da quella della dirigenza socialista, come
mostra il suo scritto pubblicato in Politica socialista colcommento del direttore Angelo
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Tasca (/enciclopedia/angelo-tasca/), dove si polemizza con l'intransigentismo
democratico, attribuendo anzi al fascismo "il merito di aver disancorato il proletariato
dalle secche della democrazia borghese" (III [1936], p. 273), e compare la riflessione
secondo cui "le sconfitte della socialdemocrazia su quasi tutti i fronti d'Europa,
l'involuzione del comunismo, ci permettono finalmente di liberarci dei pesi morti" (ibid.,
p. 180); il B. tornava cioè ad indulgere alla sua naturale inclinazione di ideologo. Ma se
in parte i suoi giudizi coincidevano con quelli dello stalinismo prima maniera, in realtà
egli sognava una rivoluzione tutta diversa e rimaneva così irriducibilmente socialista.
Cercava anche di dare un'interpretazione "realistica" dei fenomeni sociali e politici di
quegli anni, avvertiva come le "nuove generazioni", fossero "assetate di concretezza", e
in uno scritto sui Quaderni di Giustizia e Libertà (giugno 1933, n. 7, p. 109: Ilpartito in
Italia) sollecitava Giustizia e Libertà a costituirsi in partito socialista "rinnovato e
unificatore", con il superamento del vecchio PSI e del PCI, della Seconda come della
Terza Internazionale (La ricostruzione del PSI, in Fascismo e antifascismo, II, Milano
1963, p. 468), motivi tutti troppo privi di realismo e concretezza per costituire un
qualsivoglia progetto politico.Incominciò inoltre, proprio in quegli anni, proseguendo la
sua indefessa attività di lettore e studioso di cose socialiste, a raccogliere un vasto
materiale bibliografico, che, pur passando per le traversie della guerra, costituì il primo
nucleo della sua ricca biblioteca, e pubblicò ancora qualche scritto di contenuto
storico e letterario.
I suoi rapporti con il gruppo che aveva costituito a Milano il Centro interno socialista
(oltre a Morandi, Lucio Luzzatto, Bruno Maffi e altri), furono certo intensi, ma
attraversati da un'intransigenza dottrinale, che gli fece mantenere una qualche
distanza. Non venne coinvolto negli arresti del 1937, ma fu arrestato nel 1939, poi
subito rilasciato, e di nuovo arrestato nel 1940, nel corso della cosidetta operazione
Curiel (/enciclopedia/curiel/), con cui il B. era in rapporto; in questa occasione,
accusato di avere cercato di ricostituire il Centro interno socialista, fu internato nel
campo di concentramento di Colfiorito (Perugia (/enciclopedia/perugia/)) e quindi
rilasciato nell'ottobre dello stesso anno.
Disparità di giudizio con i compagni socialisti segnano anche gli anni che videro la
preparazione (1941-42) e la nascita, nel gennaio del 1943, del Movimento di unità
proletaria di cui il B. fu fondatore e animatore. Il Movimento aveva il suo centro a
Milano, diramazioni a Torino (/enciclopedia/torino/) e Bologna e ottenne l'adesione del
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gruppo romano, di cui facevano parte Tullio Vecchietti, Mario Zagari
(/enciclopedia/mario-zagari/), Giuliano Vassalli (/enciclopedia/giuliano-vassalli/), Vezio
Crisafulli (/enciclopedia/vezio-crisafulli/) e inizialmente anche Giuseppe Romita
(/enciclopedia/giuseppe-romita/). A Milano il B. impresse al MUP una linea
intransigente, centrata sulla pregiudiziale repubblicana, classista e fusionista.
È indicativo un suo articolo sull'Avanti!, del 1º agosto 1943: "se essere socialista
significa non soltanto credere nel socialismo ma volerlo effettivamente realizzare e
non fra un secolo, ma qui ora, noi siamo socialisti. Ma se essere socialisti significa
riallacciarsi alla prassi della Seconda internazionale, non siamo socialisti. Se essere
comunisti significa accettare il metodo rivoluzionario come il più efficace per la
realizzazione della nostra volontà socialista e il più adatto alla situazione presente, noi
siamo comunisti. Ma se essere comunisti significa riallacciarsi alla tradizione
autoritaria centralistica e rigidamente schematica della Terza Internazionale, noi non
siamo comunisti". Su questa base egli poneva fin da allora la sua proposta di
"fondazione (/enciclopedia/fondazione/) del partito unico del proletariato". L'Arfè ha
notato che queste posizioni "convergevano in più punti con quelle morandiane per
quanto riguarda la critica (/enciclopedia/la-critica/) al comunismo sovietico e alla
socialdemocrazia", ma avrebbero avuto una diversa ispirazione ideologico-culturale,
per l'assonanza del B. con la tradizione più radicale secondinternazionalista, in
particolare col pensiero di Rosa Luxemburg (/enciclopedia/rosa-luxemburg/) (p. 8).
Nell'agosto del 1943 il B. operò la fusione del MUP col PSI, che assunse la
denominazione di PSIUP (/enciclopedia/psiup/) (tornerà PSI dopo la scissione di
palazzo Barberini, con la segreteria Basso, per non lasciare la vecchia denominazione
a Saragat), ed entrò nella nuova direzione del partito. Ma le sue idee mal si
connettevano con il composito magma socialista che si andava formando; nel
novembre dello stesso anno egli uscì prima dalla direzione, poi dal partito. La sua era
in effetti, senza tatticismi, una posizione di socialismo rivoluzionario.
In un opuscolo su La politica dei ceti medi, firmato con lo pseudonimo di Spartacus
(Milano 1944), dava la sua versione della centralità della classe operaia e delle sue
alleanze; in un articolo sui Comitati di agitazione e comitati di liberazione di fabbrica (in
Politica di classe, settembre 1944), privilegiava naturalmente i primi come espressione
immediata di classe.
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Aveva fondato il foglio clandestino Bandiera rossa (1943); l'ora doveva essere per lui
rivoluzionaria ed egli partecipò assiduamente alli lotta antifascista nella Milano
occupata con lo spirito di un "piccolo Lenin", come lo vedeva affettuosamente la
moglie. D'altra parte la sua posizione "unitaria" non piacque ai comunisti che lo
attaccarono duramente a opera di Secchia (Il "sinistrismo" maschera della Gestapo
(/enciclopedia/gestapo/), in La Nostra Lotta, 1943, n. 6; anche in Amendola, 1973, pp.
349-352). Piuttosto isolato, nella lotta clandestina, da questi contrasti derivava un
pericolo grave per la sua stessa vita (Merli, p. 18).
Con la mediazione di Sandro Pertini (/enciclopedia/sandro-pertini/) il B. rientrò nel
PSIUP già nel maggio del 1944. Sull'ultimo numero di Bandiera rossa (9 giugno 1944)
notò che "il partito socialista presenta sul partito comunista due innegabili vantaggi, e
cioè la tradizionale democrazia di partito e l'indipendenza da Mosca". Tutti gli
"svantaggi" che di contro opponeva non gli fecero tuttavia concludere che il PSIUP
fosse "sicuramente incapace di assumere un ruolo rivoluzionario dirigente".
Eletto nell'esecutivo per l'Alta Italia, nel giugno assunse l'incarico dell'organizzazione
dei partito in Lombardia (/enciclopedia/lombardia/), fu poi segretario provinciale di
Milano, infine segretario organizzativo per tutta l'Alta Italia, dando un impulso notevole
alla rivitalizzazione delle strutture socialiste, curando il loro insediamento nelle
fabbriche. Dialettizzò la sua originaria intransigenza, senza nulla cedere nei contenuti;
si costruì un notevole seguito nel partito, e la sua posizione ebbe un qualche peso
nella scelta dei socialisti di non entrare nel secondo governo Bonomi. Lavorò quindi,
per un cartello di sinistra PCI, PSI, Pd'A, ipotesi che l'intesa DC, PCI, PSI sul governo
Parri, all'insegna dell'accordo tra i tre partiti di massa, doveva definitivamente
cancellare. Fu tra gli organizzatori e dirigenti dell'insurrezione del 25 aprile e con
Pertini respinse l'ultima proposta di compromesso avanzata da Mussolini attraverso
l'ex socialista C. Silvestri (/enciclopedia/carlo-silvestri/).
Dopo la Liberazione ebbe subito un ruolo di primo piano all'interno del partito
socialista. Due anni di vita politica intensa, pur tra le difficoltà della lotta partigiana, e
l'esperienza del MUP gli erano serviti a politicizzare la sua iniziale posizione
dottrinaria. Sciolto definitivamente l'interrogativo sul perché privilegiare come
piattaforma di lancio d'un partito unico della classe operaia il partito socialista
piuttosto che quello comunista e compiuta definitivamente questa scelta, restava da
indicare la strada.
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Anche qui bisognava risolvere alcune pregiudiziali: la prima relativa al giudizio sullo
stato socialista sorto in URSS dopo la Rivoluzione d'ottobre; la seconda riguardante la
linea impressa da Togliatti al PCI dopo la svolta di Salerno (/enciclopedia/salerno/), la
quale lasciava spazio alla soluzione del partito unico, ma la collocava in un contesto
strategico a dir poco antitetico. Sulla prima questione la posizione del B. era acritica,
se non di sostanziale esaltazione della realtà sovietica; sulla seconda la critica era
implicita, ma non sviluppata nelle sue conseguenze logiche, in quanto, altrimenti, ne
sarebbe necessariamente conseguita una valutazione di non praticabilità della linea
fusionista. Rimaneva poi irrisolto un punto squisitamente dottrinale, relativo alla
distinzione tra classe e partito, che il B., parlando di partito di classe, non operava ne
sul piano della realtà storico-politico, né su quello della nozione teorica, cosicché la
formulà "partito di classe" acquisiva in lui un valore idealtipico privo di riscontro
storico-politico, a differenza della posizione di Rodolfò Morandi, che non a caso, fu,
all'inverso del B., inizialmente un assai più cauto e tattico patrocinatore della linea
"fusionista", poi, dopo il '48 deciso interprete di quella "unitaria".
Il B. si presentò dunque alla ribalta nazionale dopo il 25 aprile patrocinando senza
tatticismi la linea fusionista - tuttavia priva di sbocchi strategici, a meno di non
dichiarare esaurito fin da allora il ruolo storico dei partito socialista., riaffermato al
contrario dal B., come un presupposto necessario - e collocò questa sua posizione
nell'ambito di una maggioranza interna di partito che comprendeva Morandi, Nenni e
Pertini. Nel consiglio nazionale del 29 luglio 1945, prima assemblea nazionale
socialista dopo la Liberazione, questa maggioranza si raccolse intorno ad un ordine
del giorno in cui si preconizzava che il "partito unico" dovesse "sorgere il più presto
possibile". Quest'ultimo inciso fu il contributo politico più vistoso del B.: Pertini, che
aveva assunto la segreteria del partito, passò le settimane successive a limarne gli
effetti. La maggioranza tendeva a tatticizzare sempre di più la proposta "fusionista", al
contrario dei B., il quale lavorava invece in quella direzione, dividendo, con L.
Cacciatore, che era sulle sue medesime posizioni, la carica di vicesegretario, e avendo
la gestione dell'ufficio elettorale, di estrema importanza con l'avvicinarsi delle elezioni
della Costituente.
Proprio in vista delle elezioni Nenni, Morandi e Pertini cercavano invece di riequilibrare
il partito sulla destra verso la linea di Silone e dello stèsso Saragat. A rendere esplicite
le posizioni di ciascuno vennero, nel dicembre 1945, le dimissioni dalla segreteria di
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Pertini, a cui succedeva Rodolfo Morandi. A questo punto si operò necessariamente il
distacco del B. dalla maggioranza di luglio; nel consiglio nazionale del gennaio '46,
erano tre le posizioni che si affrontavano in vista del congresso di aprile: quella
facente capo a Nenni e Morandi, quella di Pertini, Silone e Saragat e quella del B. e
Cacciatore.
Il ruolo del B. all'interno del partito divenne sempre più autorevole; Nenni annotò in
quei giorni: "è il solo cervello adusato all'analisi marxista dei fatti politici e sociali"
(Diari, I, p. 168); il B., ormai un capocorrente, iniziò a pubblicare una nuova rivista,
riprendendo il titolo rosselliano di Quarto stato. Il partito intanto si dibatteva nei
dilemmi, che da un lato erano propri di una assai antiquata cultura socialista, dall'altro
derivavano dai rapidi mutamenti della situazione interna ed internazionale.
Ideologicamente la posizione d'una sinistra socialista non poteva che essere di
carattere classista, il che comportava politicamente tre soluzioni possibili: azione
rivoluzionaria, partito unico di classe, unità d'azione col partito comunista. Il B., non
insisteva più sulla prima come aveva fatto durante la Resistenza, continuava a
spingere sulla seconda perché i termini fossero ravvicinati; non intendeva tuttavia
ridurre la sua proposta unicamente all'ultima soluzione. Così la premessa classista
acquistava definitivamente un'impronta ontologica, mentre si ponevano altre due
proposizioni operative: il modello dei partito e quello di democrazia, come progetto di
transizione al socialismo.
Se il percorso era stato diverso, maturato autonomamente, le conclusioni risultarono
dei tutto parallele a quelle su cui Togliatti aveva assestato il partito comunista, per cui
i margini di possibile autonomia divenivano oggettivamente assai ristretti. Questa non
era tuttavia la sensazione che i socialisti traevano dal loro dibattito interno, assai
magmatico, in cui le contraddizioni invece di sciogliersi, si intersecavano sempre di
più l'una con l'altra. Il problema reale dell'organizzazione interna dei partito fu risolto
dal B. secondo un modello, che è stato definito di "bolscevizzazione" del partito
socialista (Merli, pp. 43 ss.), centrato com'era da un lato su di una struttura di tipo
cellulare, le cui propaggini significative dovevano essere i "nuclei aziendali socialisti",
dall'altro su un forte accentramento al vertice delle decisioni politiche. Lo schema di
democrazia politica invece, poiché doveva essere funzionale ad un processo di
transiziobe, valorizzava tutte le istanze "di massa" e i momenti di autonomia
istituzionale, accentuava la funzione del principio di uguaglianza e il metro
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proporzionalista, nell'ambito delle istituzioni politiche e dello Stato, secondo idee che
abbiamo visto essersi già affacciate nel giovane Basso. Per questa via, anche se non
solo per essa, si riproponeva tuttavia un equivoco, nell'uso dei concetti di classe,
democrazia, rivoluzione, che già aveva attraversato i dibattiti a cavallo di secolo, e che
avrà lunga fortuna nell'Italia del secondo dopoguerra.
Con questi aggiustamenti di strategia il B. acquisì nel dibattito interno una posizione
assai più centrale di quella che aveva avuto inizialmente e, in vista del congresso, poté
rifluire nel gruppo maggioritario di Nenni e Morandi. Il congresso del partito socialista
tenutosi a Firenze (/enciclopedia/firenze/), nell'aprile del 1946, il primo del dopoguerra,
fu dei resto caratterizzato dalle posizioni della sua destra, espresse in particolare
dall'intervento di Saragat, che poneva come punto di raffronto pregiudiziale della
questione socialista una valutazione dell'esperienza storica del socialismo reale,
specie quello dell'Unione Sovietica. Anche il discorso del B. (che alla conclusione
cadde a terra colto da malore) fu in sostanza una replica a Saragat. Il dibattito pose le
premesse della scissione, che avvenne pochi mesi più tardi. Ma alla vigilia della
Costituente era interesse di tutti non trarre conclusioni, accontentandosi di porre delle
premesse.
Ne nacque una soluzione di compromesso che portò alla segreteria di Ivan Matteo
Lombardo (/enciclopedia/ivan-matteo-lombardo/), mentre il B. entrava con Cacciatore
in direzione; seguì il successo elettorale del 2 giugno e l'elezione del B. alla
Costituente. Nei successivi mesi del 1946 la politica socialista dovette passare
attraverso due diversi scenari, prima di approdare alla scissione di palazzo Barberini.
La nuova assemblea, rompendo il vecchio bozzolo della coalizione antifascista,
conferiva al tripartito il rilievo non solo di una formula di governo, ma di un'ipotesi
strategica di equilibrio politico. Ciò era certamente nei propositi dei comunisti e non
nelle intenzioni della DC, che considerava tatticamente quella alleanza come un punto
di partenza, piuttosto che di, arrivo. L'interpretazione del ruolo socialista in quella
coalizione che pur con sfumature diverse diedero Nenni e Morandi, fu quella della
"cerniera" e "centralità" socialista, anch'essa sostanzialmente tattica. Ciò permise loro
di consolidare gli equilibri interni del partito, ma fu un'interpretazione che non resse a
lungo alla prova dei fatti. Già i socialisti sentivano fortemente la concorrenza
organizzativa ed elettorale dei comunisti, con il conseguente, ossessivo problema
della tenuta a sinistra. Con l'autunno poi precipitò la situazione internazionale
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alimentando nuove polemiche tra sinistra e destra interne. Il B. non assunse incarichi
di governo, criticando anzi fin dall'inizio la stessa formula tripartita come insufficiente,
e si rafforzò per questa via all'interno del partito, come portabandiera della polemica
contro Saragat. Scrisse il 31 agosto su Quarto stato, confrontando le posizioni di
Saragat con quanto Marx aveva scritto sul 1848 in Francia (/enciclopedia/francia/),
che quelle "invettive marxiste contro i repubblicani borghesi di un secolo fa … si
attagliano perfettamente ai discorsi di Saragat". Era un modo netto di risolvere il
dibattito interno. E poiché nella tornata elettorale d'autunno il partito accusò una
flessione, prese occasione per riproporre la sua tesi di rifondazione attraverso un
taglio chirurgico del neoriformismo interno e per chiedere una convocazione
anticipata del congresso al fine di riequilibrare i rapporti sanciti dalla assise di aprile.
Il B. volle la scissione di palazzo Barberini, forse più dello stesso Saragat. Poiché
Nenni e Morandi si trovavano prigionieri del compito sempre più difficile di dare
un'interpretazione alla collaborazione, i cui presupposti oggettivi mutavano
rapidamente di segno, la posizione del B., esterna al governo e nettamente schierata a
sinistra nel partito, risultò quella trainante, rendendo sempre meno plausibile qualsiasi
spazio di mediazione. Lo stesso Saragat era consapevole che la convocazione a
gennaio del congresso non gli lasciava altra via se non anticipare la scissione rispetto
all'appuntamento congressuale, da cui altrimenti sarebbe venuto fuori come
minoranza sconfitta. Così quello del gennaio 1947 a Roma (/enciclopedia/roma/) fu il
congresso dei B.: ne uscì a capo di un'ampia maggioranza, eletto alla segreteria del
partito. Si dedicò con decisione a quel compito di rifondazione organizzativa che
aveva preconizzato.
Nella sua visione il PSI, per diventare "un partito che sisponda alle esigenze di una
classe che si prepara a diventare una classe dirigente" doveva "superare il vecchio
concetto socialdemocratico del partito che era essenzialmente un partito elettorale", e
anche "il modello del partito quale fu concepito da Lenin. il partito dei rivoluzionari
professionali". Sono direttive non distanti da quelle del "partito nuovo" di Togliatti, con
la differenza che in campo socialista dovevano connettersi con una storia diversa e
determinavano il costituirsi di un apparato, che a questa storia era estraneo. Anche se
l'opera dei B. fu poi portata a compimento, dopo il 1950, da Rodolfa Morandi con vero
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rigore "bolscevico", egli fu il primo "capo dell'apparato" e si incominciò a sentire
lagnanze sui suoi "giannizzeri" e a formulare nei suoi confronti l'accusa di aver
"balcanizzato" il partito (Nenni, Diari, I, p. 412).
Diversa fortuna ebbe invece la partecipazione assidua del B. ai lavori di redazione
della Carta costituzionale. Membro della Commissione del 75, partecipò ai lavori della
prima sottocommissione, e diede un intenso apporto alle discussioni in aula, con una
competenza, anche tecnica, che non era di tutti i costituenti. In quella sede i temi
relativi al partito e alla classe, che lo avevano qualificato nel dibattito interno
socialista, mutarono in quelli della "democrazia". Diede un apporto notevole alla
definizione dell'art. 49 e al principio, ad esso connesso, che vedeva i partiti quali
elementi fondanti delle istituzioni, nonché alla formulazione del principio di
eguaglianza espresso dall'art. 3. Intervenne (anche come relatore) su numerose altre
questioni quali l'inviolabilità della persona e dei domicilio; la libertà di stampa e
propaganda, di soggiorno, di associazione; la prerogativa del giudice naturale, la
definizione del diritto dei lavoratori alle ferie come diritto indisponibile. Fermo fu il suo
discorso contro l'approvazione dell'art. 7: nella sua lunga attività parlamentare, il tema
del concordato venne da lui ripreso più volte, sollecitandone la revisione, e, a questo
proposito, meritano di essere citati sia il suo intervento nella seduta della Camera dei
deputati del 4 e 5 ott. 1967, sia in quella al Senato del 7 dic. 1978, che erano frutto di
una lunga riflessione iniziata negli anni giovanili, i cui documenti più significativi sono
stati raccolti da G. Alberigo (/enciclopedia/giuseppe-alberigo/) col titolo Scritti sul
cristianesimo (Casale Monferrato (/enciclopedia/casale-monferrato/) 1983).
I mutamenti di quadro politico nel corso del 1947 non avrebbero consentito al partito
immaginato e guidato dal B. collocazione diversa da quella poi assunta nel Blocco del
popolo del 18 aprile 1948. Questo non era tuttavia l'esito che egli si era prefisso, eúon
ne fu affatto un entusiasta sostenitore, formulando riserve e critiche a questa linea
"unitaria" di cui in fine Nenni si era assunta tutta la responsabilità (Tamburrano, 1986,
p. 244). Ma era stato il susseguirsi delle circostanze e delle posizioni già maturate a
conferire al B. e a tutto il gruppo dirigente del PSI quel ruolo inevitabile.
Dopo la svolta del giugno 1947 e la rottura dell'alleanza tripartita da parte di De
Gasperi, Nenni - costatando anche l'indecisione di Saragat ad entrare nella nuova
maggioranza di governo - aveva tentato di costruire sul terreno parlamentare quanto
non gli era stato possibile realizzare nell'equilibrio interno di partito. Lavorò dunque
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per un'intesa laico-socialista, distinta dal PCI, ma contrapposta alla DC di De Gasperi.
Voleva impedire che Saragat portasse "all'intingolo centrista la salsa socialista" (Diari,
I, p. 330). In settembre il PSI poneva la sfiducia al governo, nella speranza di
concretare questo schieramento. L'evanescenza dell'iniziativa lasciava poche
speranze, ma a toglierle ogni plausibilità furono due avvenimenti che si accavallarono
l'un l'altro. In luglio De Gasperi pose il problema della ratifica del trattato di pace e su
questo terreno fece maturare un rapporto più stretto con Saragat. Nell'ottobre si
costituì l'ufficio del Cominform, che sanzionava ulteriormente la spaccatura della
guerra fredda. Come in una partita a scacchi nel dicembre il PSLI di Saragat entrò nel
governo e al PSI non rimase che la mossa obbligata della ritirata frontista.
Il congresso di Roma dei gennaio 1948, dove il B. fu confermato nella carica di
segretario, fu povero di idee. La relazione del B. (in Avanti!, 20 genn. 1948) fu
schiacciata dagli avvenimenti, nella genericità di alcune premesse teoriche e nella
rozzezza delle analisi più propriamente politiche, che, forse senza volerlo,
echeggiavano abbastanza le tesi del Cominform. Fu l'inizio della campagna elettorale
conclusa dalla sconfitta del 18 aprile, che fu soprattutto sconfitta del partito
socialista. In quell'ora il B. recuperò interamente le posizioni della sinistra socialista
"rivoluzionaria", da lui sperimentate negli anni della Resistenza. Lasciò quindi la
segreteria del partito, battuto al congresso di Genova del giugno 1948, che vide la
rivincita della corrente autonomistica, capeggiata da Lombardi, Foa, Santi e altri, e che
portò alla segreteria Jacometti.
Il B. ricominciò a pubblicare Quarto stato e affrontò nuovamente temi di impostazione
teorica, rivisitando il pensiero di Rosa Luxemburg. Astratta rimaneva tuttavia anche la
sua riflessione sul presente: la sconfitta elettorale veniva considerata frutto di
un'offensiva reazionaria, mentre il giudizio sul PCI rimaneva sospeso, come quello
sullo stalinismo, assunto quale punto di riferimento irrinunciabile nella
contrapposizione tra i due schieramenti della guerra fredda.
Ma proprio l'inflessione teorica che egli tornava a dare alla sua posizione di sinistra
socialista, quel suo ontologico collocarsi a sinistra del PCI, lo rendeva scomodo e non
assimilabile interamente alle posizioni del gruppo dirigente frontista, che nel
successivo congresso di Firenze del giugno 1949, riprese la guida del partito con la
segreteria di Pietro Nenni (/enciclopedia/pietro-nenni/). Il B. venne ripescato all'ultimo
momento e portato in direzione ma sostanzialmente cessò di avere un ruolo politico
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primario e non lo riacquisì mai più. Tornò ad essere l'ideologo che era sempre stato, e
che una particolare congiuntura storica dei socialismo italiano aveva investito d'una
responsabilità più direttamente politica, da lui interpretata con coerenza, rispetto a se
stesso, ma col totale insuccesso suo e del partito. Nel 1950 la direzione gli irnpose di
cessare le pubblicazioni di Quarto stato; era tenuto sotto sorveglianza nel clima
staliniano della casa socialista, proprio di quegli anni. Forzarono anche i cassetti del
suo ufficio in direzione per documentare un'accusa di titoismo, sventata
dall'intervento di Amendola e Pajetta. Al congresso di Bologna del 1951 venne escluso
dalla direzione, in quello di Milano del 1953 dallo stesso comitato centrale. Fu
comunque rieletto a Milano nelle elezioni del giugno 1953. Come parlamentare e
avvocato si dedicò alla difesa dei militanti del movimento operaio, colpiti dalla
repressione poliziesca (si veda del B., La democrazia davanti ai giudici, Milano 1953).
Solo con il congresso di Venezia (/enciclopedia/venezia/) del 1957 tornò in direzione e
nell'ufficio di segreteria.
Con quel congresso si apriva una nuova promettente stagione di dibattiti nel partito
socialista; esso aveva sancito la vittoria della nuova maggioranza autonomista
capeggiata da Nenni, di contro ad una composita minoranza, formata dai "carristi", da
quadri dell'ex apparato morandiano, da un gruppo di sindacalisti e dagli amici del
Basso. Fu il congresso seguente, quello di Milano del 1959, a segnare, con la fusione
delle mozioni Basso-Vecchietti, un nuovo organico schieramento di sinistra socialista,
che portò nel 1964 alla scissione del PSIUP. In questo nuovo amalgama il B. giocò un
ruolo di guida intellettuale, più che propriamente politica. Nel 1958 aveva, dei resto,
fondato una nuova rivista di riflessione preminentemente teorica, Problemi del
socialismo, destinata ad esercitare una influenza notevole su un vasto gruppo di
quadri socialisti, specie giovani. Furono quelli anni vivaci per la sinistra socialista,
anche al di là della vicenda interna di partito; R. Panzieri e L. Libertini elaborarono le
loro dieci tesi sul controllo operaio, riproponendo alla discussione, sulla base di spunti
già emersi nel dibattito del dopoguerra, un'autentica piattaforma operaista, da cui nel
1961 scaturiranno i Quaderni rossi, suiniziativa di Panzieri e di altri.
Anche il B. era tornato a riflettere sulla esperienza politica della Resistenza e del
dopoguerra nel suo volume Il principe senza scettro (Milano 1958), ma con un
approccio fondamentalmente diverso; il tema era la "resistenza di popolo", il problema
quello della forma democratica di governo e del controllo dello Stato. Il B. elaborò
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anche la tesi dell'"alternativa democratica", intesa non come alternativa propriamente
politica, ma "di base", mobilitazione di istanze di massa autonome, dialogo con
segmenti dissenzienti del mondo cattolico, tema quest'ultimo molto corteggiato dopo
l'avvento al pontificato di Giovanni XXIII (si veda del B., Socialisti e cattolici al bivio,
Palermo (/enciclopedia/palermo/) 1961).
La diaspora che, all'appropinquarsi dell'operazione di centrosinistra, si andò
verificando nel PSI, ebbe tuttavia significati molto più complessi, e seguì strade molto
diverse, da quelle poi assunte dalla scissione del PSIUP. Il B. sembrò avvertire ciò e
mantenere una certa equidistanza tra le polemiche interne di partito e il dibattito
culturale che si svolgeva all'esterno, a differenza di quanto aveva fatto all'indomani
della Liberazione.
Ciò non toglie che le nuove posizioni di sinistra seguirono un percorso intellettuale e
politico molto distante da quello che era stato ed era il suo. Il D. non fu un precursore,
ma non volle nemmeno arrendersi ed essere l'epigono di una vecchia scuola. Così,
mentre si consumava senza passione la sua vicenda di dirigente socialista, con la
rottura sempre più profonda fra la sinistra e la corrente maggioritaria dei PSI, al
congresso di Milano del maggio 1963; con la sua dichiarazione alla Camera
nell'ottobre dello stesso anno contro il governo Moro-Nenni, infine con l'adesione al
PSIUP nel gennaio del 1964, egli intensificò parallelamente le iniziative esterne. Fondò
un'altra rivista di studi marxisti, simultaneamente in lingua francese ed inglese,
l'International Socialist Journal o Revue internationale du socialisme (1964), con cui
tesseva una vasta rete di collaborazioni internazionali; pubblicò un volume di Scritti
politici di Rosa Luxemburg (Roma 1970); preparò come membro dei Tribunale Russel
la relazione finale sui crimini americani in Vietnam (/enciclopedia/vietnam/),
compiendo negli anni 1966 e 1967 numerosi viaggi in Estremo Oriente
(/enciclopedia/estremo-oriente/) (lavorò alla costituzione di un secondo Tribunale
Russel per l'America Latina, negli anni 1974-76 dopo il colpo di stato cileno e la morte
di Salvador Allende (/enciclopedia/salvador-allende/), che egli aveva incontrato a
Santiago (/enciclopedia/santiago/) del Cile (/enciclopedia/cile/) nel 1971 in occasione
di un seminario [Transición al socialismo y experienciá chilena, Santiago 1972]).
Seppe dunque essere partecipe di tutti i temi e le mode del dibattito intellettuale della
sinistra europea (di cui era una personalità riconosciuta e molte sono le traduzioni dei
suoi scritti) quali incominciarono a svilupparsi in quegli anni. Ma fu una corsa parallela
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e abbastanza solitaria, pure se ricchissima di iniziative. Anche il gruppo di giovani,
prevalentemente sindacalisti, che si erano stretti nel 1964 intorno a Problemi del
socialismo, lasciarono la redazione nel 1971, auspici di una linea più movimentista.
Si era intanto consumato il distacco del B. dal PSIUP nelle cui liste era stato rieletto
alla Camera, nelle elezioni del '68. Ma l'invasione della Cecoslovacchia
(/enciclopedia/cecoslovacchia/) nell'agosto di quell'anno lo portò ad una dichiarata
rottura con il nuovo partito, alla cui vita interna non aveva molto partecipato, pur
tenendone formalmente la presidenza. Recò ancora la sua opinione dissenziente al
congresso di dicembre di quel partito e l'anno seguente non rinnovò la tessera. Fu
rieletto al Senato nel 1972 e nel 1976 come indipendente nelle liste del PCI.
Nel 1973 istituì a Roma la Fondazione Lelio e Lisli Basso cui destinò la sua ricca
biblioteca, e vi fece confluire le iniziative dell'Istituto per lo studio della società
contemporanea (Issoco). Si ricordano fra l'altro le settimane internazionali di studi
marxisti, in particolare la prima su Rosa Luxemburg e il marxismo, la seconda sul ruolo
dello Stato nel capitalismo, la terza sul programma di Gotha, la quarta sull'Antidühring
e altre numerose iniziative internazionali. In questo periodo portò quasi a termine
anche la redazione del volume Socialismo e rivoluzione (Milano 1980), che
rappresenta la summa della pluridecennale riflessione del B. sul pensiero marxista,
edito postumo, quando l'ormai dichiarata "crisi del marxismo riservava un'eco minore
a questi temi.
Il B. morì a Roma il 16 dic. 1978.
Fonti e Bibl.: Roma, Fondazione Lisli e Lelio Basso (/enciclopedia/lelio-basso/), Fondo
Basso; Ibid., Archivio centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direz. gen. di P. S.,
Casellario politico centrale, b. 396, fasc. Lelio Basso; Ibid., Confinati politici, cart. Basso.
Una bibliogr. quasi completa degli scritti del B. è quella curata da F. Ajmone in
Problemi del socialismo, XIX (1978), pp. 205-224; XXI (1980), pp. 291-316. Tra i
numerosi necrologi del B. sono utili quelli di: A. Agosti, in l'Unità, 17 dic. 1978; G.
Pajetta (/enciclopedia/giancarlo-pajetta/), ibidem; V. Foa, in Quotidiano dei lavoratori,
17-18 dic. 1978; V. Gorresio (/enciclopedia/vittorio-gorresio/), in La Stampa
(/enciclopedia/la-stampa/), 17 dic. 1978; G. Arfè, in Il Giorno (/enciclopedia/il-giorno/),
17 dic. 1978; A. Natoli, in La Repubblica (/enciclopedia/la-repubblica/), 17 dic. 1978; W.
Tobagi, in Corriere della sera, 17 dic. 1978; R. Rossanda (/enciclopedia/rossanahttp://www.treccani.it/enciclopedia/lelio­basso_(Dizionario­Biografico)/
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BASSO, Lelio in Dizionario Biografico – Treccani
rossanda/), in Il Manifesto, 17 dic. 1978; A. Gambino, in L'Espresso, 24 dic. 1978; G.
Mughini, in Mondo operaio, gennaio 1979, pp. 80 ss.; si veda anche la recensione di L.
Valiani al volume Stato e rivoluzione, in Corriere della sera, 27 apr. 1980. Interamente
dedicati al B. sono due fascicoli della rivista Problemi del socialismo, XIX (1978), n. 12
(scritti di F. Zannino, E. Collotti, O. Negt) e XXI (1980), n. 18 (scritti di F. Zannino, F.
Contorbia, S. Merli, M. Salvati, E. Giovannini, A. Mangano, R. Guastini, G. Ferrara
(/enciclopedia/giuliano-ferrara/), G. Sivini, G. Bonacchi, M. Flores
(/enciclopedia/flores/), G. Quazza); su di lui anche un'altra raccolta di scritti: L. B. nella
storia del socialismo, a cura dell'Istituto per la storia della Resistenza in provincia di
Alessandria (/enciclopedia/alessandria/), Quaderno n. 4, Alessandria 1979 (prefazione
di G. Quazza e contributi di G. Canestri, F. Contorbia, F. Livorsi, M. Guasco, M.
Cattipanella, G. Avolio); si veda anche il volume Marxismo, democrazia e diritto dei
popoli. Scritti in onore di L.B., Milano 1979. Un buon profilo del B. fino alla seconda
guerra mondiale (/enciclopedia/seconda-guerra-mondiale/) è quello di A. Agosti, in Il
movimento operaio italiano. Dizionario biografico, I, Roma 1968, ad vocem. Utili sono
alcuni scritti autobiografici: Ricordi di università a Pavia e a Milano, in Avanti!, 26 luglio
1956; La mia prima tessera socialista, Milano 1971; Il PSI negli anni dal frontismo, in
Mondo operaio, luglio-agosto 1977, pp. 62 ss.; e il volume di Lisli Basso, Ricordi di cose
molto vecchie, 8 settembre '43-aprile '45, s. I. né a. Tra la memorialistica, da ricordare:
G. Amendola (/enciclopedia/giovanni-amendola/), Lettere a Milano, Milano 1973,
passim; P. Nenni, Diari, I, Milano 1981, e II, ibid. 1983, ad Indices; F. De Martino
(/enciclopedia/francesco-de-martino/), Un'epoca del socialismo, Firenze 1983, ad
Indicem. Per i congressi del PSI, oltre ai resoconti apparsi sull'Avanti!, si veda F.
Pedone, Il pensiero e l'azione socialista attraverso i congressi del PSI, II, [Venezia] 19831985, ad Indicem. Sul periodo del primo dopoguerra qualche spunto in G. Arfé, Storia
del socialismo, Torino 1965, ad Indicem; per la vicenda di Pietre, si veda la prefazione
di G. Mercenaro alla ristampa anastatica della rivista, Bologna 1977; sul B. tra guerra e
dopoguerra, G. Galli (/enciclopedia/giorgio-galli/), La sinistra italiana nel dopoguerra,
Bologna 1958, passim; M. Salvati, Il PSIUP per l'Alta Italia nelle carte dell'Archivio Basso
(1943-1945), in Il movimento di liberazione in Italia, XXIV (1972) pp. 61-88; G.
Cacciatore (/enciclopedia/gaetano-cacciatore/), La sinistra socialista nel dopoguerra.
Meridionalismo e politica unitaria in L. Cacciatore, Bari 1979, passim; S. Merli, Il "partito
nuovo" di L. B., Venezia 1981; la ricostruzione più completa è di F. Taddei, Il socialismo
italiano del dopoguerra: correnti ideologiche e scelte politiche (1943-1947), Milano
1984, ad Indicem. In particolare sulla Costituente v. i saggi di F. Taddei, C. Macchitella
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BASSO, Lelio in Dizionario Biografico – Treccani
e S. Carretti su L'area socialista, in Cultura politica e partiti nell'età della Costituente, a
cura di R. Ruffilli, Bologna 1979, passim. Per il periodo successivo, G. Tamburrano,
Storia e cronaca del centrosinistra, Milano 1971, e P. Amato, Il PSI dal frontismo
all'autonomia, Milano 1974, passim; per la vicenda del PSIUP: S. Miniati, PSIUP19641972, Vita e morte di un partito, Roma 1981, passim. Si vedano, infine, i volumi di N.
Tranfaglia (/enciclopedia/nicola-tranfaglia/), Carlo Rosselli (/enciclopedia/carlorosselli/) dall'interventismo a "G. L.", Bari 1968, ad Indicem; A. Agosti, Rodolfo Morandi
e l'azione politica, Bari 1985; G. Tamburrano, Pietro Nenni, Bari 1986, ad Indicem.
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