IL PUNTO
Le notizie di
LiberaUscita
Giugno 2008 - N° 47
SOMMARIO
LE LETTERE DI AUGIAS
788 - Noi, cristiani tra la gente e lontani dal potere
789 - Quando il vescovo nega un matrimonio
790 - Cosa ci insegna l’abiura di Galileo
791 - La Chiesa senza voci di dissenso
ARTICOLI E INTERVISTE
792 - I nuovi egoismi nati sul territorio – intervista ad Ulrich Beck
793 - La rinascita del particolare - di Carlo Petrini
794 - Se l’instabilità del mondo fa tremare la nostra casa - di J. Navarro-Valls
795 - Parroco di Firenze propone stop a crocifissi in scuole e uffici
796 - Vanità, invidia e calunnie: vizi capitali anche nella Chiesa- di Rita Dazzi
797 - Prodi: i leader della CEI sempre contro di me - di Marco Marozzi
798 - Il vescovo nega il matrimonio in chiesa ad un paraplegico
799 - Una firma per Davide
800 - Testamento di vita per scegliere come dire addio - di Jenner Meletti
801 - Anche in Italia sta cadendo il tabù - di Umberto Veronesi
802 - Quando i laici sono deboli - di Gianfranco Pasquino
803 - La coperta troppo corta - di Giovanni Sartori
DALLA ASSOCIAZIONE
804 - Testamento biologico: la situazione in Spagna
805 - Consenso informato: iniziativa di consiglieri dell’Emilia-Romagna
PER SORRIDERE…
806 – Le vignette di Altan – sospesi i processi
807 – Le vignette di Giuliano – intercettazioni
LiberaUscita
Associazione nazionale di promozione sociale, laica e
apartitica, per la promozione dei diritti fondamentali della
persona, per il testamento biologico e l’eutanasia
Sede: via Genova 24, 00184 Roma - Telefono e fax: 0647823807
Sito web: www.liberauscita.it - email: [email protected]
788–NOI, CRISTIANI TRA LA GENTE E LONTANI DAL POTERE–DI CORRADO AUGIAS
Da: la Repubblica di martedì 3 giugno 2008
Caro Augias, sono cattolico, credo in una Chiesa vicina al messaggio originario. Ho il dubbio
che i valori fondanti del Popolo di Dio, lo stesso Corpo Mistico della Chiesa, siano diventati
strumenti di propaganda e di esibizione di valori contraddetti dai quotidiani comportamenti
dei nuovi paladini che, atei devoti, si fanno difensori interessati di principi che sempre hanno
mostrato di non considerare propri e che oggi sono funzionali a mascherare un vuoto di
fondo difficile da giustificare nell’ora del trionfo.
Ciò nonostante sono convinto che negli innumerevoli luoghi dove, senza esibizione, si
opera, concretamente, per il bene dei più deboli, contro i soprusi e per l’affermazione della
giustizia si tenga viva l’essenza stessa dell’essere Popolo di Dio, nel modo più vicino alla
natura del cristiano, cioè con la testimonianza. In questo senso mi permetto anche di
contraddirla nel caso lei avesse letto rassegnazione nelle parole del cardinale Martini da voi
pubblicate. Per chi crede, la preghiera non è rinuncia alla battaglia, tanto meno ammissione
di sconfitta, è piuttosto ricerca del colloquio con Dio che conferma e rafforza nella fede, nella
speranza che alla fine della corsa si possa aspirare a far proprie le parole dell’apostolo delle
Genti «Ho combattuto la buona battaglia.., ho conservato la fede»..
Maurizo Rudalli - Firenze - ulivirudalli.lex@virgilio. It
Risponde Augias
Sono contento di ricevere frequentemente lettere di cattolici che sentono la loro fede nel
modo più intenso, non inquinato da considerazioni di potere e di denaro, eterna tentazione
con la quale la Chiesa di Roma ha spesso dovuto lottare; quasi sempre soccombendo. Anzi,
sconfitta al punto tale da vedere ampi settori di fedeli, intere nazioni, allontanarsi nel timore
di restare contagiati dal morbo della mondanità. Mi dispiace di aver dato l’impressione di
scorgere “rassegnazione” nelle parole del cardinale Martini. Le potremo comunque leggere
meglio e integralmente in un libro (ora in traduzione) che sarà pubblicato in autunno per
Mondadori. Non c’era alcuna rassegnazione nelle parole del cardinale, c’era piuttosto
l’ennesima invocazione (anche attraverso la preghiera) tante volte levatasi nel corso dei
secoli per una Chiesa più vicina a Gesù più lontana dalla politica e dall’odore del denaro.
Insomma il messaggio di Francesco, per dare uno degli esempi più luminosi. Il povero di
Assisi stimolava la fede con l’esempio della sua vita, i parlamentini dei vescovi (Conferenze
episcopali) cercano di farlo, nei paesi in cui le condizioni politiche glielo permettono,
premendo sui deputati e sui governi.
Così facendo il loro messaggio, le loro pressioni, non riguardano più soltanto i fedeli ma
l’intero corpus dei cittadini, i sentimenti dei singoli tendono a trasformarsi in quella religione
civile di infausta e spesso insanguinata memoria. La politica frutta più della fede sul piano
delle convenienze immediate; per rinunciarvi sarebbe necessaria molta meno religione molta
più fede.
789 - QUANDO IL VESCOVO NEGA UN MATRIMONIO - DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di giovedì 12 giugno 2008
Caro Augias, ho letto con angoscia la notizia del vescovo di Viterbo che ha negato il
matrimonio religioso ad un giovane impotente dopo un incidente. Ho avuto modo di
frequentare reparti ospedalieri di urologia e di traumatologia spinale: ho visto gli uffici dei
medici letteralmente tappezzati di fotografie di giovani uomini in carrozzella con un neonato
in braccio e dediche tipo «Grazie Dottore!». Ho conosciuto mogli che mi hanno detto come,
dopo incidenti gravi che li avevano letteralmente spezzati in due, i loro uomini fossero rinati
anche loro dopo la nascita di quei bambini. Forse il vescovo di Viterbo non conosce gli ultimi
progressi della scienza, forse preferisce tapparsi gli occhi.
Da anni ormai, in caso di totale «impotenza copulativa», è possibile utilizzare
l’inseminazione artificiale. Se il problema è invece quello dei rapporti coniugali nella
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sessualità di coppia, ricordo ciò che disse in un’intervista Christopher «Superman» Reeves,
dopo la caduta da cavallo che lo paralizzò dal collo in giù: l’atto della penetrazione non è
l’unico tipo di amore coniugale, con un po’ di buona volontà e una moglie paziente il sesso
può essere appagante anche in condizioni fisicamente difficili.
Marina Pesavento - Milano
Risponde Augias
Il vescovo Chiarinelli di Viterbo negando il matrimonio in chiesa, era evidentemente
preoccupato dalla possibilità che in quell’unione l’atto coniugale non sarebbe stato
consumato, quindi impossibile il ‘bonum prolis’ secondo le modalità tradizionali. Il prelato
deve aver tenuto presente l’articolo 1084 del Codice di diritto canonico: «L’impotenza
copulativa antecedente e perpetua, sia da parte dell’uomo sia da parte della donna, assoluta
o relativa, per sua stessa natura rende nullo il matrimonio».
Infatti i tribunali della Sacra Rota sono pieni di cause di questo tipo e annullano per
impotenza anche unioni da cui sono nati figli vivi e vegeti. Il vescovo Chiarinelli avrebbe
anche potuto considerare il secondo comma dello stesso articolo: «Se l’impedimento di
impotenza è dubbio, sia per dubbio di diritto sia di fatto, il matrimonio non deve essere
impedito né, stante il dubbio, dichiarato nullo».
Il cronista comunque non può aggiungere altro, ignorando come tutti (giustamente
ignorando) i dettagli del caso. Ho avuto molte lettere nelle quali si rimprovera il vescovo, se
ne addita la miopia, la mancanza di ‘amore cristiano’, si fa presente che il concepimento può
essere assicurato anche con tecniche diverse da quella abituale.
Francamente non sono d’accordo. Il vescovo ha agito secondo i dettami della giurisdizione
propria del matrimonio concordatario, per l’appunto quella canonica. Avrebbe potuto
comportarsi diversamente, sempre però restando all’interno di quel codice che è il suo. I
cittadini hanno invece un altro codice che è l’ordinario Codice Civile dal quale sono
diversamente tutelati. Essenziale è che le due giurisdizioni restino separate, che ci sia libertà
di scelta, che chiuse le porte di una chiesa restino aperte quelle di un Comune.
NDR. Sul tema, leggere la notizia successiva (n° 796) e relativo commento.
790 - COSA CI INSEGNA L’ABIURA DI GALILEO – DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di domenica 22 giugno 2008
Caro Augias, pochi ricordano che il 22 giugno è la data in cui la più grande intelligenza che
ebbe in sorte di nascere nel Bel Paese, cioè Galileo Galilei, fu costretta a rinnegare se
stessa. Ancora meno sanno che “I Massimi Sistemi”, proibito dall’Inquisizione romana, fu
pubblicato in latino (1635) a Leiden (Olanda) dalla allora piccolissima casa editrice Elzevir,
destinata a diventare una delle più grandi case editrici di testi scientifici al mondo, la
Elsevier. Da noi ci vollero 124 anni (1757) prima che fosse revocata la proibizione a trattare
del moto della Terra.
Brevi cenni sul danno che la gerarchia della Chiesa Cattolica ha procurato allo sviluppo delle
conoscenze scientifiche in Italia. Il dramma è che continua tuttora a farlo in molti modi. Uno
è il contrasto, attuato con vari mezzi, nei confronti di qualunque sviluppo scientifico entri nel
campo d’azione ritenuto “specifico” della religione — si vedano ad es. le bioscienze e la
genetica, destinate a breve a modificare significativamente il nostro modo di vivere e di
produrre. Un altro è la diffusione di un influsso pedagogico negativo per la formazione dei
ragazzi perché spesso l’insegnamento religioso viene orientato verso l’affermazione di un
anacronistico principio d’autorità - metafisica ma con vicario ben presente tra noi - antitetico
ad un sano spirito scientifico. Anche questo contribuisce ad allontanare l’Italia da quegli
sviluppi scientifici e tecnologici che ci possono permettere di competere con le nazioni
sviluppate.
Giovanni Mainetto - [email protected]
Risponde Augias.
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Ringrazio il prof Mainetto per avermi ricordato una ricorrenza così importante e trascurata.
Vale la pena di rileggere almeno una parte della formula di abiura che questo genio
settantenne fu obbligato a leggere, in ginocchio sulla nuda pietra, davanti ai suoi giudici,
consapevole di avere lui ragione e i giudici torto: «Da questo santo Officio mi è stato intimato
che dovessi abbandonare la falsa opinione che il Sole sia centro del mondo e che non si
muova, e che la Terra non sia il centro del mondo e che si muova, e che non potessi tenere,
difendere nè insegnare in qualsivoglia modo, nè in voce, né in iscritto la detta falsa dottrina;
pertanto, volendo io levar dalla mente delle Eminenze vostre e d’ogni fedel Cristiano questo
veemente sospetto che giustamente grava su di me, con cuor sincero e fede non finta
abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et eresie, e giuro che per l’avvenire non dirò mai
più, nè asserirò in voce o in iscritto cose tali per le quali si possa aver di me un simile
sospetto».
Galileo abiurò per svariate ragioni comprese forse quelle poco nobili che gli attribuisce
Bertolt Brecht nel dramma omonimo. La recente e pregevole biografia di Egidio Festa
(Laterza ‘07) offre comunque un quadro più completo. Tra le ragioni che lo indussero ad
umiliarsi bisogna sicuramente includere il feroce valore di ammonimento che aveva avuto il
rogo di Giordano Bruno a Roma, con il quale si era in pratica aperto l’anno santo 1600.
Eroiche le parole con le quali il frate ribelle aveva accolto la sentenza di morte: «Forse con
più timore pronunciate voi la sentenza contro di me, di quanto ne provi io nell’accoglierla».
791 - LA CHIESA SENZA VOCI DI DISSENSO – DI CORRADO AUGIAS
da: la Repubblica di giovedì 26 giugno 2008
Caro Augias, la sua recente rubrica su Galileo ha messo in luce solo uno dei grandi errori
delle gerarchie che causò danni enormi al nostro progresso scientifico. Ma, se guardo alle
scelte fatte nel passato, non ce n’è una che possa essere giustificata, se non con la paura di
perdere potere e privilegi.
Nella mia vita ho avuto la fortuna di avere esperienze diverse da parte di singoli sacerdoti
illuminati e, da adolescente, ho respirato l’aria che c’era ai tempi di Giovanni XXIII, del
cardinale Lercaro di Bologna, del Concilio Vaticano Il. Mi sono sempre detta, nei momenti di
crisi, «devo distinguere tra ‘fede’ e ‘gerarchia», la legge dell’amore e la fratellanza tra gli
uomini sono il vero messaggio cristiano. Già durante il pontificato di Giovanni Paolo Il non mi
trovavo d’accordo con il coro di lodi, ma mi pareva che i tempi del potere temporale fossero
passati. Da quando è stato eletto questo papa, mi pare che tutte le remore siano state
abbandonate. Gli interventi nella politica italiana, la richiesta pressante di denaro per le
scuole confessionali, nonostante la cifra ottenuta con una legge iniqua come l’8 per mille, le
dichiarate preferenze politiche, mi hanno fatto veramente vacillare nelle mie convinzioni.
Perché dal cuore della Chiesa, assemblea di fedeli, non si alzano voci di protesta?
Lia Frabboni - Bologna - liafrabboni@virgilio. T
Risponde Augias
Pochi giorni fa, prendendo congedo dalla sua carica di vicario papale per la città di Roma, il
cardinale Camillo Ruini ha accennato qualche parola d’autocritica. Ha riconosciuto di aver
pregato poco e di aver dato troppo poco amore. Si riserva di farlo in questa nuova fase della
sua vita.
Quando gli storici esamineranno a fondo che cosa ha voluto dire la presenza di quest’uomo
abilissimo, un Cavour vaticano, per la storia italiana, se ne saprà certamente di più. Al
momento noi possiamo dire con certezza che ha saputo trasformare la Conferenza dei
vescovi (Cei), scassatissima quando ne prese ll governo nel 1986, in una potenza finanziaria
e politica. Con la conseguenza di trasformare i vescovi che la compongono in obbedienti
seguaci della linea dettata dall’alto.
Quando la signora Frabboni chiede come mai dall’interno della Chiesa non si alzino voci di
dissenso, una prima risposta è questa. Come fa un vescovo a dissentire se dalla Cei
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dipendono i finanziamenti per rifare il tetto della cappella o il campetto di pallone? D’altra
parte però, un libro come ‘L’anima e il suo destino’ diVito Mancuso (R. Cortina ed.) ha avuto
una straordinaria diffusione, pur trattando un tema certo non semplice, proprio perché parla
di un altro cristianesimo possibile dove le doti finanziarie e l’abilità politica non esauriscano
le doti che si richiedono a un uomo di chiesa. Perché se nulla distingue l’agire di un uomo di
chiesa dall’astuzia manovriera di un politico, del messaggio del ‘fondatore’ non resta più
nulla e allora quelli che ci credono davvero preferiscono andarsene.
Alla fine l’investimento potrebbe non essere così redditizio.
792 - I NUOVI EGOISMI NATI SUL TERRITORIO – INTERVISTA AD ULRICH BECK
Di Riccardo Staglianò - da: la Repubblica di martedì 3 giugno 2008
Nel gioco della globalizzazione ci sono alcuni grandi vincitori e molti piccoli perdenti.
Prosperano le élite transnazionali, i cui membri si trovano a loro agio tanto a Roma quanto a
Parigi o Londra e che in ognuno di questi posti potrebbero consigliarvi un buon ristorante.
Declina la classe media e sprofonda la working class che, spaventata di tutto, vede anche
nel kebabbaro all´angolo una minaccia alla propria identità. Se c´è un pensatore europeo
che ha avvertito prima degli altri di non trascurare il versante culturale di questo potente
fenomeno economico è Ulrich Beck. Il sociologo tedesco ha infatti proposto, in vari libri, il più
comprensivo termine di "cosmopolitismo". Gli abbiamo chiesto di commentare i motivi dietro
alle recenti tensioni anti-immigrati e al richiamo sempre più frequente alla cultura locale in
opposizione a quella degli "altri".
In Italia si assiste, con nuova forza dopo la vittoria del centro destra, a una rinascita del
localismo come risposta alla globalizzazione. Perché?
«Dobbiamo renderci conto che la globalizzazione economica sta producendo ineguaglianze
importanti. In un certo senso assistiamo a una sua vendetta. L´importante ora è capire cosa
separa vincitori e perdenti in queste dinamiche social-economiche. Ebbene, la distinzione
più importante è tra coloro che sono capaci di sfruttare relazioni transnazionali, ad esempio
creando rapporti di lavoro crossborder, come accade nella delocalizzazione. E dall´altra
parte quelli che non hanno questo tipo di apertura, che definiscono la loro identità da un
punto di vista territoriale e che hanno la percezione di essere minacciati dall´invasione di
questo loro spazio, anche ideale. Sono costoro quelli che più facilmente elaborano come
risposta nuove forme di nazionalismo, un localismo che degenera spesso in razzismo e
xenofobia. Questa faglia, sempre più profonda, è la linea dei prossimi conflitti culturali in
Europa».
Se questa è la linea di crisi dove si collocano i migranti, sempre più visti come portatori di
minacce?
«Pur essendo nella posizione sociale più bassa, i migranti sono diversi dalla working class
locale perché, per attitudine, coraggio e legami familiari, hanno fatto e fanno l´esperienza di
vivere in maniera transnazionale. Questa competenza, che gli autoctoni non hanno,
aumenta il loro coefficiente di minacciosità. Così i perdenti della globalizzazione si sentono
schiacciati tra l´incudine delle élite di cui parlavamo prima e il martello dei migranti, che
affrontano il mare aperto con audacia. Un´audacia mal digerita, che tende a produrre
razzismo e xenofobia».
Esiste un modo per disinnescare questa reazione?
«Restando calmi, evitando a tutti i costi di drammatizzare. Una quota di xenofobia fa parte
della normale dialettica politica, è sempre esistita e sempre esisterà. Ma le cronache recenti
cominciano a farci dubitare che questa consapevolezza basterà a evitare escalation. Ciò che
si deve scongiurare, in Italia e altrove, è una reazione ambigua da parte della politica.
Perché se questo localismo xenofobico si sentisse anche indirettamente legittimato dalle
istituzioni allora diverrebbe davvero un grosso problema. In Germania, sinora, le risposte
politiche ai vari fatti di violenza contro gli immigrati sono state molto nette e molto forti».
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Sino a quando la globalizzazione riguardava le merci la sua critica veniva essenzialmente
dalla sinistra radicale. Oggi che sempre più investe le persone è diventata appannaggio
della destra. Perché?
«La retorica antiglobalizzazione è andata a riempire un vuoto lasciato dagli intellettuali che
non hanno avuto risposte adeguate alle sfide culturali che il fenomeno presenta. Hanno
continuato a praticare una sorta di nazionalismo metodologico, nel senso di non aggiornare
le loro idee a un contesto transnazionale. Anche la politica e i sindacati sono rimasti, in un
mondo che si apriva sempre più, tenacemente attaccati ai confini statuali. La sinistra non
volendo guardare in faccia l´ineluttabilità di certi processi, la destra rispolverando quel
vecchio arnese del nazionalismo».
Nel suo bestseller il nostro ministro dell´Economia Giulio Tremonti propone di usare
tradizione e religione come argini all´invasione dei nuovi barbari. Concorda?
«Usare la religione come amuleto anti-globalizzazione mi sembra assai contraddittorio.
Tanto più se a farlo sono politici di formazione cattolica, com´è probabilmente il caso del
vostro ministro. Credere in Cristo è aprirsi alla comunità dei credenti ben oltre i confini
nazionali. L´evangelizzazione nel mondo è stata una delle utopie chiave del cristianesimo. I
cristiani - ma anche gli islamici con la loro ummah - sono stati tra i primi globalizzatori della
storia. Gesù arrivò a dire ai suoi discepoli che i legami con la famiglia non avrebbero mai
dovuto ostacolare la loro fede. Quello delle origini era un chiaro messaggio di inclusione.
Oggi invece l´uso che certi pensatori neoliberali fanno della religione è di tipo esclusivo:
mette ostacoli, introduce l´opposizione tra credenti e non credenti (o credenti di un´altra
religione)».
C´è chi ha visto, in certe sparate di alcuni esponenti della destra italiana, rigurgiti della
retorica del «suolo e sangue» che ha già prodotto sufficienti catastrofi nel secolo scorso.
Rischiamo bis del genere?
«Mi limito a dire che forze politiche responsabili non dovrebbero assolutamente lasciare i
richiami alla tradizione e alla religione a chi li usa in un quadro di neo-nazionalismo. Sono
forze evocative troppo importanti per consentire che vengano sequestrate da chi le piega in
chiave xenofoba. L´attenzione alle comunità locali, alla loro cultura, va declinata in una
prospettiva comopolita. Si può serenamente coltivare l´orgoglio del passato coniugandolo
con l´apertura verso il mondo esterno, ottenendone esiti proficui sia dal punto di vista
economico che da quello culturale. Un cosmopolitismo beninteso, ovvero un approccio alla
globalizzazione che non né trascuri il coté culturale, deve avere sia radici che ali, essere
capace di difendere la tradizione ma anche di volare».
793 - LA RINASCITA DEL PARTICOLARE - DI CARLO PETRINI
da: Repubblica di martedì 3 giugno 2008
È normale che in una fase storica caratterizzata dalla globalizzazione emergano con forza
idee di senso diametralmente opposto. Le storture generate dai processi di
mondializzazione non possono che dare vita a reazioni più o meno "arrabbiate", le quali
spesso tendono ad arroccarsi in un´idealizzazione della dimensione locale, utilizzandola
come strumento di difesa nei confronti di pericoli che vengono da lontano, e generalmente
basandosi su un qualche principio di chiusura verso l´esterno da parte di determinati territori,
regioni o comunità.
La parola "localismo" evoca questi scenari: una chiusura, una barricata - anche ideologica contro la globalizzazione e il diverso che ci insidia, una contrapposizione culturale atta più a
preservare e difendere che a costruire.
È per questo che è difficile connotare il termine in maniera positiva pur considerando che,
nel mondo d´oggi, il recupero della dimensione locale è una cosa dalla quale non si può più
prescindere. È dunque forse meglio utilizzare un´altra parola chiave: "locale", che a
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differenza di "localismo" ci parla di una dimensione concreta, di uno spazio reale in cui agire
e attuare delle idee innovative e virtuose.
È chiaro che non porre attenzione a temi come la salute del Terra e degli ecosistemi, alle
iniquità generate da sistemi distributivi ed economici su scala planetaria o a crisi energetiche
e alimentari che ormai ci coinvolgono tutti significa commettere un errore madornale.
Rinunciare a una visione più ampia per concentrarsi sul proprio ombelico non è soltanto
egoista, ma ci catapulta fuori dal mondo. Un mondo in cui se è vero che la globalizzazione,
intesa come processo principalmente economico, ha creato un mare di problemi, è
altrettanto vero che da un punto di vista più "spirituale" ci ha aperto gli occhi sul nostro far
parte di un´unica comunità terrestre, che si trova a condividere un unico destino
semplicemente in quanto abitante lo stesso pianeta.
L´importanza del patrimonio identitario dei popoli non è un valore negativo. La propria storia,
la memoria, le tradizioni e la porzione di pianeta che ci tocca amministrare - e che prima di
noi hanno amministrato i nostri avi - parlano per noi, ci rendono essere umani.
La grande scommessa di questa fase storica sarà dunque quella di riuscire ad avere una
visione centrata sulla dimensione locale, che sappia però conciliarsi con la maggiore
apertura possibile nei confronti della nostra comunità terrestre. Si tratta di riuscire a
spogliare il locale da tutte quelle connotazioni di eccessivo conservatorismo e chiusura per
farne un vero elemento di modernità, anzi, di post-modernità, per andare oltre le ideologie
che hanno provato a guidarci sin qui.
Di fronte al mutamento climatico e al disastro ambientale, alla crescente scarsità di cibo e
allo spopolamento delle campagne, a processi come la finanziarizzazione delle commodity
alimentari o la privatizzazione di beni comuni come l´acqua, l´unico modo per rendere
partecipi le persone, per liberarle da un senso di estraniamento legato a processi che
sembrano irrimediabilmente più grandi di loro, è quello di ridare dignità e forza alle economie
locali.
Il locale diventa uno spazio creativo e costruttivo, in cui l´identità, la memoria e le tradizioni
esercitano forze di liberazione da stili di vita insostenibili, imposti da logiche consumistiche e
da un´economia liberista sfrenata.
Tutto ciò però, s´è detto, non deve dare vita a forme di chiusura ma anzi, deve far sua una
logica in cui alla competitività si sostituisce la cooperazione, per costruire delle nuove
frontiere di bene comune. L´identità infatti nasce dallo scambio, dal confronto tra diversità e
solo in un funzione della diversità essa si esprime. L´interrelazione e l´interdipendenza non
devono venire meno, proprio come avviene nelle società contadine che praticano regole di
buon vicinato.
Qualsiasi forma di economia locale che escluda scambio e apertura è destinata alla
regressione, qualsiasi identità, tradizione o memoria che non si confronti con le altre è
destinata a morire.
Parlare di mero localismo induce a cadere nell´errore di considerare nuove forme di
autarchia o di nostalgia per il ritorno a un passato in cui il confine tra l´autosufficienza e la
povertà è davvero troppo labile. È dunque meglio proporre un processo che badi sì al locale,
ma soprattutto alla ricostruzione di moderne economie locali in tutto il mondo.
Ricostruzione è un´altra parola chiave: se per esempio pensiamo all´agricoltura, il settore più
delicato e strategico in un periodo in cui si prospettano gravissime crisi ambientali,
energetiche e alimentari, abbiamo a che fare piuttosto con un processo di ri-localizzazione.
Ridare dignità al lavoro contadino, invogliare a un ritorno nelle campagne o non al loro
abbandono, rendere il mondo rurale un luogo in cui è piacevole vivere e non mancano i
servizi, mantenere vive le tradizioni, i saperi contadini, la capacità di produrre in sintonia con
il proprio ambiente, senza sprechi o sovrasfruttamento delle risorse.
Il locale è lo spazio in cui far convergere i bisogni di un mondo in crisi con la riaffermazione
dell´individuo e della sua appartenenza a una comunità viva e produttiva. In cui realizzare
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una vera democrazia partecipativa e dare un contributo alla produzione e al commercio
sostenibili, alla razionalizzazione della produzione e del consumo di energia, in cui sentirsi
qualcuno e non aver paura del diverso. Tutto questo è da ricostruire, perché c´era ma è
stato travolto dall´omologazione della globalizzazione economica.
È quindi importante partire dal passato, dalla storia e dalla memoria locale per superare
addirittura la modernità e diventare vera avanguardia di un mondo che sia sano e amico
dell´uomo, che non traballi più sotto i colpi di un produttivismo esagerato e irrispettoso della
natura, che renda giustizia anche all´uomo stesso.
Non buttiamo via identità e tradizioni, ma non facciamone neanche una bandiera per nuove
contrapposizioni tra gli uomini e tra uomo e natura. Utilizziamole per sapere chi siamo, che
cosa abbiamo da dire e per fare frutto sul terreno in cui siamo cresciuti. Mettiamo a
disposizione le più moderne tecnologie e risorse perché le economie locali funzionino e non
restino isolate, ma piuttosto possano proliferare in Rete, capaci di comunicare e di
scambiare tra di loro come mai è avvenuto in passato.
Dire che è necessario un ritorno al locale, alle economie locali, è come dire che c´è bisogno
di un ritorno al valore della diversità, il più grande elemento creativo che sia mai esistito. Ce
lo insegna la Natura del resto: dove c´è tanta biodiversità è la Natura stessa che pone
rimedio alle crisi, che trova al suo interno le soluzioni per propagare la vita e l´abbondanza.
Le società umane ormai dovrebbero aver imparato la lezione: senza la diversità di culture,
tradizioni, modi di coltivare e preparare il cibo, di trarre energia dalle risorse naturali in modo
assennato faremo del male al nostro stesso habitat, ma più di tutto a noi stessi.
Nella dimensione locale impariamo a gestire bene e con cura la porzione di mondo che ci è
affidata, ma più di tutto esprimiamo la nostra diversità, in cooperazione con un numero
enorme di altre diversità: diamo il nostro contributo fondamentale perché il mondo resti un
posto meraviglioso in cui vivere.
794-SE L’INSTABILITÀ DEL MONDO FA TREMARE LA NOSTRA CASA - DI J. N. VALLS
da: la Repubblica di martedì 3 giugno 2008
Il 1989 non è stato soltanto l´anno dei grandi cambiamenti del mondo, della chiusura degli
equilibri politici del dopoguerra, ma è stato soprattutto il momento a partire dal quale ha
avuto inizio quel processo storico che viene comunemente rappresentato con il termine
globalizzazione. Da quel che se ne sa, la globalizzazione si presenta come un´idea della
società intrinsecamente legata ormai a dinamiche mondiali, cioè non più né continentali, né
tanto meno nazionali, le quali si rendono visibili sempre a livello locale.
La globalizzazione si presenta, però, piuttosto come una "glocalizzazione" universale. Si
tratta di un´immagine a dire il vero poco piacevole del mondo, rappresentato come un intero
globale uniforme fortemente segnato, paradossalmente, di accenti locali. Il paradigma di
questa situazione si è imposto soprattutto dopo l´11 settembre. In effetti, quella particolare
tragedia ha concentrato efficacemente l´intero globo multimediale in un solo e unico luogo
della terra. Il volto del pianeta è divenuto, cioè, talmente interattivo da rendere ormai ogni
persona parte di un tutto sociale complessivo, trasformando anche il rischio internazionale
del terrorismo in un fenomeno percepibile a livello locale.
Questa sorta di "glocalizzazione" non è una diagnosi nuova, benché invero se ne sia parlato
molto ultimamente. Il caso è stato descritto, ad esempio, splendidamente nelle illuminanti
riflessioni di Roland Robertson sul glocal, riprese successivamente da Ulrich Beck. L´analisi
consiste, in definitiva, nel riconoscimento di una piena fusione di locale e globale ovunque,
la quale giunge a far temere conclusioni catastrofiche, addirittura apocalittiche, come nelle
prefigurazioni funeste di Francis Fukuiama sulla "fine della storia" o di Samuel Huttington
sullo "scontro di civiltà".
In realtà, benché, come ha osservato Athony Giddens, le suddette analisi siano
profondamente diverse tra loro, esse sono, tuttavia, riassumibili in una coerente idea
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pessimistica del futuro. Un punto comune importante è costituito, cioè, dall´idea di una
società liquida, come la descrive il sociologo Bauman, dominata dall´instabilità dei valori e
dei riferimenti.
Il mondo attuale sarebbe sempre più simile a un´enorme pista di ghiaccio senza alcuna
frontiera, in cui tutti scivolano cadendo senza sosta e senza termine. Anche lo stesso
Bauman, recentemente, ha usato l´espressione "glocalismo" per intendere questa specifica
definizione di globalizzazione, nella quale tutto il mondo diviene una specie di grande
giungla economica senza vincoli e controlli, sottoposto al dominio e all´interesse dei poteri
economico-locali presenti nei singoli territori.
Davanti a queste tendenze glocalizzanti, sono state tentate nell´ultimo decennio anche
alcune terapie, per quanto inefficaci esse siano poi risultate. Quella più famosa è il
cosiddetto "protezionismo locale". La più elaborata forma politica di questa risposta è stata
quella tentata dagli Stati Uniti nei due mandati presidenziali di Bush. Si è trattato di una
reazione molto forte all´incontrollata indeterminazione del mercato e all´incognita terroristica,
attuata attraverso un controllo militare espansionistico dell´Occidente nel territorio
mediorientale. Se, cioè, la globalizzazione diviene il "glocalismo economico" che abbiamo
detto, allora è possibile arginare il fenomeno del rischio soltanto utilizzando lo scomparire
dei limiti e dei confini per attuare una specifica egemonia politica internazionale
dell´Occidente. Le guerre in Afganistan e in Iraq sono state fatte esattamente per realizzare
questo scopo: neutralizzare il terrorismo con una presenza e un controllo militare ed
economico della Nato in loco, sotto l´egida unilaterale degli Stati Uniti.
Oggi, d´altra parte, malgrado la conclusione tutto sommato fallimentare della politica di
Bush, stanno presentandosi altre forme di reazione simili alla precedente anche in Europa,
tutte all´insegna del solito "protezionismo locale". I Paesi occidentali sentono l´esigenza,
cioè, continuamente perlomeno di arginare, con la politica o con la forza, l´invadenza del
globalismo economico, proteggendo le proprie comunità e i rispettivi mercati dalla spinta che
proviene dai Paesi emergenti, Cina e India in primis. Il fatto, poi, che il soggetto che esprime
questa politica di protezionismo e di egemonia chiusa voglia essere adesso l´Europa,
piuttosto che gli Stati Uniti, non cambia in nulla il risultato. È possibile immaginare, cioè,
molti nuovi tipi di protezionismo locale, da quello contro l´immigrazione, a quello contro i
prodotti commerciali esteri. Tali soluzioni, però, alla fine sembrano rimanere nel complesso
molto fragili. Se la casa sta crollando, infatti, io non posso chiudermi in camera, perché in tal
caso finirò per trasformare la mia stanza in una tomba.
È possibile però, al contrario, figurare una soluzione diversa al globalismo del mercato che
non sia né il "protezionismo locale", né l´abbandono al "mercantilismo" incontrollato. Si
potrebbe pensare, cioè, la mondializzazione non più come un fenomeno da cui difendersi,
ma come un´opportunità positiva in cui attuare una distribuzione diversa dei diritti umani nel
mondo. L´atteggiamento dei Paesi occidentali, invece di chiudersi o di lasciare essere il
mercato a se stesso, potrebbe essere protagonista di una trasformazione dei mercati globali,
partendo dal rafforzamento o dalla creazione, quando è il caso, di strutture politiche locali
nuove, autoctone e democratiche, interne ai diversi Stati.
Se, in effetti, i Paesi occidentali riuscissero a livello internazionale a imporre una
codificazione dei diritti umani e delle regole fondamentali del diritto pubblico, valida anche a
livello locale, allora potrebbero esservi maggiori possibilità che i diversi mercati, per essere
competitivi, possano nel futuro riformarsi e adattarsi a dei criteri di giustizia universali,
migliorando la partecipazione democratica dei cittadini alla formazione politica dei loro
rispettivi governi.
Se, cioè, il fine della politica occidentale non fosse più quello di esprimere un´egemonia
protezionistica o militare, "glocalizzata" nei diversi luoghi di interesse, ma quello di produrre
una trasformazione reale delle società, allora è chiaro che il processo di globalizzazione
finirebbe per diventare un grande programma di democratizzazione globale e generalizzata
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del pianeta. D´altronde, alcuni problemi chiave, come l´ambiente o il terrorismo, e alcune
soluzioni preminenti, come la piaga della povertà e delle malattie, spingono già in questa
direzione, perché non possono essere affrontati e risolti se non a un livello massimamente
generale. E risolvere a livello internazionale questi problemi è possibile soltanto se una serie
di diritti umani non soltanto vengono affermati e riconosciuti da alcuni Stati del mondo, ma
se essi assumono una validità universale e vincolante per tutti. Ciò perché non è
l´espansione dell´influenza dell´Occidente nelle altre aree del mondo a permettere una
gestione equilibrata della globalizzazione, ma la spinta a una trasformazione dei mercati
esterni all´area occidentale in rapporti economici conformi a standard di vita e di democrazia
compatibili con il valore universale dei diritti umani. Non è, cioè, diventando occidentali, ma
diventando umani e democratici che i mercati assumono una forma sociale realmente
adeguata al progresso del mondo.
In quest´ultima prospettiva, la globalizzazione potrebbe divenire addirittura sinonimo reale di
eguaglianza, di democrazia e di progresso, un´occasione cioè di miglioramento effettivo del
livello di diritti che ogni uomo possiede universalmente in quanto tale. Magari anche con
qualche aggiunta nazionale o locale che sia.
795 – PARROCO DI FIRENZE PROPONE STOP A CROCIFISSI IN SCUOLE E UFFICI
da: AGI – 3.6.2008
Sostituire il crocifisso, nelle aule scolastiche e negli uffici pubblici, con la Costituzione. E'
quanto propone il provocatorio don Alessandro Santoro, parroco fiorentino già autore di
iniziative che hanno destato scalpore, come lo sciopero della fame contro l'ordinanza sui
lavavetri. Il 'Don' ha illustrato la sua idea in una lettera scritta ieri in occasione del 2 giugno e
pubblicata oggi da alcuni quotidiani locali.
"Non più il crocefisso, non più segni religiosi di qualsiasi tipo negli uffici e spazi pubblici afferma don Santoro - ma i nostri dodici principi fondamentali, carta comune di riferimento
per chi vive e abita nel nostro paese". Una proposta che nasce, spiega Don Santoro, dalla
riflessione che i simboli religiosi, tra cui il crocifisso, oggi non uniscono ma rischiano di
dividere.
Secondo il sacerdote, la proposta di riaffermare il valore dei principi contenuti nella carta
fondamentale e' "importante e necessaria soprattutto in questi tempi di insopportabili riflussi
xenofobi e razzisti in cui occorre rimettere in gioco quei principi su cui sono costruite la
nostra convivenza democratica e la nostra cittadinanza". Non manca, nella lettera, anche
una dura critica al modo in cui è stata festeggiata la festa della repubblica: "Invece di
assistere all'ennesima inutile parata militare che niente ha a che fare con il senso della
Repubblica avrebbe potuto essere il giorno in cui avremmo potuto festeggiare la nostra
straordinaria Costituzione repubblicana".
796-VANITÀ, INVIDIA E CALUNNIE: VIZI CAPITALI ANCHE NELLA CHIESA – R. DAZZI
da: la Repubblica di giovedì 5 giugno 2008
Una durissima lezione per gli uomini di Chiesa, peccatori come tutti gli altri uomini. E un
severo ammonimento ai preti: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo. Occorre un
vero rinnovamento della mente».
Malato e sofferente per il Parkinson, pensava di non farcela, il cardinale Carlo Maria Martini,
a predicare gli esercizi spirituali. E invece, appena tornato da Gerusalemme, è arrivato fino a
Galloro, vicino ad Ariccia, alla casa dei gesuiti, dove si recano i sacerdoti a meditare. E con
loro, interrompendo le omelie di tanto in tanto per sottoporsi ai controlli clinici, è stato molto
chiaro, commentando i brani della lettera di San Paolo al romani, dove si parla del peccato:
«Tutti questi peccati, nessuno escluso, sono stati commessi nella storia del mondo, ma non
solo. Sono stati commessi anche nella storia della Chiesa. Da laici, ma anche da preti, da
suore, da religiosi, da cardinali, da vescovi e anche da papi. Tutti». Una vera e propria
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lezione sui "vizi capitali" della Chiesa d´oggi, senza nessun timore di dire cose sgradevoli.
Anzi con la certezza di offrire «una pista di riflessione».
Martini ha voluto parlare dei «peccati che interessano proprio noi come chierici»: anzitutto i
peccati "esterni", come le fornicazioni, gli omicidi e i furti, precisando «questi ci toccano
meno di altri, ma comunque ci riguardano anch´essi». E poi è passato ad esaminare «le
cupidigie, le malvagità, gli adulteri». Ha ammonito: «Quante bramosie segrete sono dentro di
noi. Vogliamo vedere, sapere, intuire, penetrare. Questo contamina il cuore. E poi c´è
l´inganno, che per me è anche fingere una religiosità che non c´è. Fare le cose come se si
fosse perfettamente osservanti, ma senza interiorità».
L´arcivescovo emerito di Milano ha parlato poi dell´invidia, «il vizio clericale per eccellenza:
l´invidia ci fa dire "Perché un altro ha avuto quel che spettava a me?". Ci sono persone
logorate dall´invidia che dicono "Che cosa ho fatto di male perché il tale fosse nominato
vescovo e io no?"». E ancora: «Devo dirvi anche della calunnia: beate quelle diocesi dove
non esistono lettere anonime. Quando io ero arcivescovo davo mandato di distruggerle. Ma
ci sono intere diocesi rovinate dalle lettere anonime, magari scritte a Roma... ».
Carlo Maria Martini, vescovo per 22 anni a Milano, sente il dovere di parlare esplicitamente
ai giovani preti, auspicando un rinnovamento: «Devo farlo perché sarà l´ultimo ritiro, fa parte
delle scelte che fa una persona anziana e in dirittura d´arrivo, ci sono cose che devo dire alla
Chiesa». La sua lezione continua giorno dopo giorno durante la settimana di ritiro spirituale.
«San Paolo parla del "vanto di fare gruppo", di coloro che credono di fare molti proseliti, di
portare gente perché così si conta di più. Questo difetto grave è molto presente anche nella
Chiesa di oggi. Come il vizio della vanagloria, del vantarsi. Ci piace più l´applauso del
fischio, l´accoglienza della resistenza. E potrei aggiungere che grande è la vanità nella
Chiesa. Grande! Si mostra negli abiti. Un tempo i cardinali avevano sei metri di coda di seta.
Ma continuamente la Chiesa si spoglia e si riveste di ornamenti inutili. Ha questa tendenza
alla vanteria».
Non fa nomi, Martini, se non quello del papa Benedetto XVI, citato tre o quattro volte,
affettuosamente: «Dobbiamo ringraziare Dio di averlo, anche se poi abbiamo qualcosa da
criticare». Ma Martini è come se volesse anche mettere in guardia Ratzinger quando,
riprendendo le parole del papa, mette in guardia i preti dal «vanto terribile del carrierismo»:
«Anche nella Curia romana ciascuno vuole essere di più. Ne viene una certa inconscia
censura nelle parole. Certe cose non si dicono perché si sa che bloccano la carriera. Questo
è un male gravissimo della Chiesa, soprattutto in quella ordinata secondo gerarchie perché
ci impedisce di dire la verità. Si cerca di dire ciò che piace ai superiori, si cerca di agire
secondo quello che si immagina sia il loro desiderio, facendo così un grande disservizio al
Papa stesso».
Un quadro fosco, che il grande biblista, dettaglia, come può solo chi conosce dall´interno i
meccanismi di potere della Chiesa: «Purtroppo ci sono preti che si pongono punto di
diventare vescovi e ci riescono. Ci sono vescovi che non parlano perché sanno che non
saranno promossi a sede maggiore. Alcuni che non parlano per non bloccare la propria
candidatura al cardinalato. Dobbiamo chiedere a Dio il dono della libertà. Siamo richiamati a
essere trasparenti, a dire la verità. Ci vuole grande grazia. Ma chi ne esce è libero».
Commento. Dice il cardinale Martini rivolto alla Chiesa: “Ci piace più l´applauso del fischio,
l´accoglienza della resistenza”. E la memoria va a Papa Ratzinger, che ha rinunciato a
parlare all’Università La Sapienza di Roma soltanto perché 77 docenti (su 4.000 circa)
avevano inviato al Preside una lettera criticando la sua iniziativa di invitare il Capo della
Chiesa e di uno Stato estero a tenere una “Lectio magistralis” nella sede della scienza
romana.
797 - PRODI: I LEADER DELLA CEI SEMPRE CONTRO DI ME - DI MARCO MAROZZI
da: la Repubblica di sabato 7 giugno 2008
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«Dissi di essere un cattolico adulto. La frase non mi è stata mai perdonata. Con la
presidenza della Conferenza episcopale, ho avuto l´impressione di scontrarmi con
un´opposizione politica». Romano Prodi cerca di organizzare la sua vita da ex, ma rivive
ancora con amarezza il rapporto con uno degli interlocutori a cui teneva di più. La Chiesa
cattolica. Le sue difficoltà terribili come capo di un governo di centrosinistra le ha raccontate
anche a La Croix, il più grande quotidiano cattolico francese. «Mai sono stato intervistato
dall´Avvenire, il giornale italiano di ispirazione cattolica, mentre La Croix mi ha dedicato due
pagine nel maggio 2007». Prodi non è mai stato intervistato non solo dal giornale della Cei,
nemmeno - a differenza di Silvio Berlusconi - dall´Osservatore Romano. Organo della Santa
Sede.
Le differenze volute bruciano sulla pelle del professore cattolico che il 31 maggio ha
festeggiato i 39 anni di matrimonio, padre di due figli, nonno di quattro nipoti. Ha scritto un
suo amico dagli anni di Reggio Emilia, Raffaele Crovi, cattolico, intellettuale anche
democristiano, in "Nerofumo", profetico romanzo poco prima della morte: «Perché la Curia
Vaticana, ai politici cattolici praticanti e osservanti dei comandamenti, preferisce i politici
laici, magari puttanieri, ma osservanti». E Crovi, vaticinando la caduta del governo Prodi, fa
rispondere a un monsignore: «Perché i cattolici praticanti, ritenendosi parte della Chiesa,
mettono bocca nelle scelte delle autorità ecclesiastiche, mentre i laici, senza far domande,
mettono mano alla borsa».
Prodi, che il libro ha ricevuto, scansa i rimandi. Né parla di politica italiana. «Aspettiamo che
il polverone si fermi» dice ai pochi fedelissimi superstiti. «Coerenza e discrezione» ripete,
sono il suo atteggiamento rispetto alla Chiesa.
A La Croix - fra un cenno all´unica udienza da Benedetto XVI e un affettuoso dilungarsi sugli
incontri con Giovanni Paolo II - ha raccontato l´amarezza «soprattutto per le critiche delle
gerarchie cattoliche quando adottai provvedimenti in favore degli esclusi». «Telefonai anche
per dir loro che prima comunque non c´era niente. Non mi hanno risposto».
Rapporto di spine con Camillo Ruini, l´allora presidente della Cei e rimasto potentissimo,
anche se da un anno la Conferenza è guidata da Angelo Bagnasco. Il reggiano Ruini fece
conoscere e sposò Prodi e Flavia, né fu assistente, ma ruppe per sempre quando, dopo il
crollo della Dc, chiese all´allora discepolo di guidare la rinascita di un partito cattolico.
Ottenendo un rifiuto da colui che già pensava all´Ulivo.
Prodì rivendica quel «cattolico adulto» con cui si definì quando andò a votare nel
referendum sulla fecondazione assistita. Non rispettando - pur votando da cattolico
osservante - la chiamata di Ruini all´astensione. Richiamandosi piuttosto a De Gasperi che
disobbedì a Pio XII che voleva l´alleanza Dc-Msi al Comune di Roma.
798 - IL VESCOVO NEGA IL MATRIMONIO IN CHIESA AD UN PARAPLEGICO
Si sono sposati con rito civile in un'ospedale romano un giovane paraplegico e la fidanzata
cui il vescovo di Viterbo, Lorenzo Chiarinelli, come sostengono i familiari, ha negato il
matrimonio religioso per «impotenza copulativa»: un'incapacità a procreare causata da gravi
lesioni riportate in un incidente stradale avvenuto circa due mesi fa.
Il matrimonio è stato celebrato questa mattina dal deputato e consigliere comunale Ds di
Viterbo Ugo Sposetti, delegato dal sindaco della città Giulio Marini. Accanto agli sposi c'era
anche il parroco della chiesa in cui i due si sarebbero dovuti sposare con il rito religioso.
Dopo le nozze celebrate all'interno del «Cto» di Roma è stata organizzata una festa nuziale
cui sono stati invitati anche degenti, medici e infermieri che assistono lo sposo.
Il caso è stato segnalato dal quotidiano «Il Messaggero». «I termini della questione non
sono quelli raccontati: a chi di dovere sono state offerte tutte le motivazioni di una realtà che
non dipende nè da discrezionalità nè dall'intenzionalità dei soggetti»: lo si afferma in una
nota diffusa oggi dalla curia di Viterbo in merito alla vicenda della giovane coppia alla quale
il vescovo ha negato il matrimonio con rito religioso in quanto lo sposo di 26 anni non
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potrebbe avere rapporti sessuali per i postumi di un incidente stradale che lo ha reso
paraplegico. «Tutto è stato fatto nella condivisione sincera della situazione e con ogni
attenzione umana e cristiana - si afferma ancora nella nota della curia - Il precetto d'amore
di Cristo è per noi, sempre, norma di vita, nell'ordinario e nello straordinario».
In pratica la curia non smentisce il diniego ma lo definisce «condiviso» e, soprattutto,
imposto dal diritto canonico, quindi «non soggetto a discrezionalità» o «intenzionalità». Il
vescovo di Viterbo, Lorenzo Chiarinelli, afferma che non avrebbe potuto comportarsi in
modo diverso da quanto ha fatto. «L'amarezza per il modo inadeguato e pretestuoso in cui è
stata presentata la vicenda - conclude la nota della Curia - non fa che aumentare la
solidarietà affettuosa per chi è in sofferenza e ricordare che "la verità vi farà liberi"».
Commento. Dunque: negare il matrimonio in chiesa ad un giovane cattolico perché
paraplegico non è stata una decisione singola del vescovo di Viterbo bensì dettata dal
“diritto canonico”, legge inderogabile della Chiesa. Analogamente, il funerale in chiesa al
cattolico Welby non è stato negato dal parroco di San Giovanni Bosco, bensì dal diritto
canonico. E poi ci vengono a raccontare, le stesse persone che magari sono poi incriminate
per violenza sessuale, che “Il precetto d'amore di Cristo è per noi, sempre, norma di vita,
nell'ordinario e nello straordinario”. Strana interpretazione dell’amore, della compassione e
della pietà verso il prossimo che il Cristo ha predicato ed attuato nella sua vita. Senza
parlare del principio della “libera autodeterminazione”, sempre conclamato e mai attuato.
Comunque, alla fine, meglio un contratto civile che di comune accordo può essere sciolto
piuttosto che un sacramento vincolante per l’intera vita. (gps)
799 - UNA FIRMA PER DAVIDE
Riportiamo qui sotto le notizie relative al caso di Davide, il bimbo di Foggia affetto dalla
sindrome di Potter, nato senza reni e sottratto dai giudici alla potestà dei genitori per
sottoporlo a dialisi. I documenti sono tratti da: www.micromega.net
L’appello dello zio di Davide
"Davide è mio nipote. Vi sarò molto grato se vorrete firmare la petizione e darle in qualche
modo visibilità.
Davide è nato il 28 aprile agli Ospedali Riuniti di Foggia. Subito dopo la nascita è stato
trasportato in terapia intensiva neonatale per uno pneumotorace. Nelle ore, nei giorni
successivi le notizie si sono susseguite, in un crescendo che ha via via eroso la speranza:
Davide forse non ha i reni, Davide certamente non ha i reni, Davide ha la sindrome di Potter.
Nome simpatico per una malattia terribile. I bambini affetti da sindrome (o sequenza) di
Potter non hanno i reni, hanno i piedi torti, non hanno o hanno poco sviluppati gli ureteri e la
vescica, hanno malformazioni al viso (facies di Potter) e, nel 60% dei casi, malformazioni
intestinali ed anorettali. Nel caso di Davide, a ciò si aggiunge l’altissima probabilità di danni
cerebrali per mancanza di ossigeno durante il parto. La prognosi per la sindrome di Potter è
“costantemente infausta” (R. Domini-R. De Castro, Chirurgia delle malformazioni urinarie e
genitali, Piccin, Padova 1998, p. 96). Quasi tutti i bambini affetti da questa malattia muoiono
subito dopo il parto. Nel caso di Davide, le cose vanno diversamente. Il bambino sopravvive
alle prime ore. Nei giorni successivi le sue condizioni polmonari migliorano, fino a non
rendere più necessaria la respirazione artificiale.
Nel raccontare i nudi fatti abbiamo tralasciato di riferire lo stato d’animo dei genitori. Non
occorre spendere molte parole: ognuno può figurarselo. I genitori di Davide passano dalla
felicità per la nascita al dolore, alla speranza che cerca di alimentarsi frugando nelle pieghe
dei resoconti dei medici. I quali, però, di speranze non ne lasciano. L’indicazione che
ricevono dai sanitari è chiara: un bambino con quella malattia non può sopravvivere,
insistere sarebbe egoismo. Si rassegnano, comprendono. E’ doloroso, ma bisogna fare i
conti con la realtà. Quando Davide comincia a respirare da solo, la situazione cambia di
colpo. Ai genitori, che con non poca sofferenza hanno accettato una situazione così
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disperante, si chiede ora di fare una scelta: evitare ogni ulteriore trattamento, oppure
autorizzare la dialisi. Non è una scelta facile. Nessun genitore vorrebbe arrendersi alla morte
del figlio. Ma la dialisi è forse, in questo caso, una forma di accanimento terapeutico. Una
terapia dolorosa ed invasiva che con ogni probabilità non eviterà a Davide la morte. I genitori
sono confusi. Non è facile passare dalla gioia al dolore alla speranza alla rassegnazione. Né
è facile capire cosa è bene e cosa è male per Davide. Chiedono tempo. Vorrebbero
discuterne con il comitato etico dell’ospedale. Nella rivista eMedicine si legge che nel caso di
sindrome di Potter con pneumotorace “può non essere indicato un ulteriore trattamento”, e
che “la decisione dev’essere presa dopo una discussione con i genitori”. Così vanno
probabilmente le cose all’estero; non in Italia. Nessuna discussione, nessuna riunione del
comitato etico. Con un atto di forza incomprensibile ed umanamente deprecabile, il primario
del reparto di terapia intensiva degli Ospedali Riuniti si rivolge al Tribunale per i Minori di
Bari per chiedere la sospensione dei genitori di Davide dalla potestà genitoriale, ottenere di
esserne nominato tutore e autorizzare, in quanto tutore, il suo trasferimento presso un
ospedale attrezzato per la dialisi. Viene accontentato. Con provvedimento del 10 maggio il
Tribunale per i Minori di Bari sospende la potestà genitoriale dei genitori di Davide. La
decisione è presa “inaudita altera parte e senza ulteriori approfondimenti del caso”, dice il
provvedimento. Che vuol dire: senza ascoltare i genitori di Davide e senza nemmeno
chiedersi cos’è una sindrome di Potter.
Ora Davide si trova presso l’ospedale Giovanni XXIII di Bari. Vi è stato trasportato senza che
i genitori venissero informati; hanno saputo dove si trovava il figlio solo a trasferimento
avvenuto. Ai medici dell’ospedale di Bari, persone umane e premurose, non sono stati forniti
i numeri di telefono dei genitori di Davide.
Le condizioni di Davide sono attualmente disperate.
Non è facile, in situazioni così gravi e difficili, fare la cosa giusta. Sbagliare è comprensibile,
sempre; in questi casi lo è di più. Ma è difficile non scorgere in alcuni passaggi della storia
che è stata raccontata una incomprensibile insensibilità nei confronti di persone che si sono
trovate ad affrontare un grande dramma umano. Il provvedimento di sospensione della
potestà genitoriale è offensivo e umiliante, ed ha arrecato una grande sofferenza psicologica
a persone già duramente provate.
Per questo chiediamo che il provvedimento venga sospeso e che venga riconosciuto ai
genitori di Davide Marasco il diritto di dire la loro sul futuro di loro figlio e sui trattamenti
medici cui sottoporlo."
La morte della compassione - di Maria Serenella Pienotti, neonatologa
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ci sono malformazioni incompatibili
con la vita per le quali la rianimazione non deve essere intrapresa o le cure intensive devono
essere interrotte perché configurerebbero solo un atto di accanimento terapeutico, tra
queste la Sindrome di Potter o agenesia renale bilaterale. In questa condizione i reni del feto
non si sono sviluppati, la vita fetale è permessa dalla placenta ma la vita extrauterina è
impossibile. Anche altri organi subiscono danni per la mancanza dei reni, tra questi polmoni
e scheletro.
I bambini con sindrome di Potter non hanno reni, hanno polmoni iposviluppati e mal
funzionanti, hanno dimorfismi del viso e dello scheletro, altri settori dell’apparato urinario
possono mancare. Se rianimati e tenuti in vita hanno necessità di essere ventilati con un
respiratore e di eseguire dialisi. Queste terapie, comunque aggressive, invasive, dolorose,
possono forse funzionare per giorni o settimane, dopo di che l’unica ipotesi può essere il
trapianto renale, trapianto che, ancorché possibile, è gravato nel primo anno di vita da
enormi insuccessi ed espone il neonato ai danni della terapia immunosoppressiva.
A mia conoscenza, non vi sono casi di sindromi di Potter rianimate, dializzate, trapiantate e
quindi sopravvissute. Per questo motivo, l’OMS suggerisce la non rianimazione alla nascita.
Questo non significa che i neonati non debbano esser curati, ma che per loro sono indicate
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le cure palliative, scelta terapeutica con la stessa dignità delle cure intensive. Parte
integrante del trattamento diventa anche la cura della famiglia prestando ascolto e dando
assoluta priorità ai desideri dei genitori. Tali concetti fanno parte del patrimonio culturale dei
neonatologi di tutto il mondo e sono espressi nelle linee guida per la rianimazione neonatale
(ILCOR) che sono la base del nostro comportamento assistenziale, sono ribadite da insigni
studiosi (Leuthner S 2004, Avery 2004, per citarne due). Il parere dei genitori, se
palesemente in contrasto con i diritti del figlio, può esser saltato solo di fronte a terapie
salva-vita, non certo a tentativi sperimentali.
Quando muore la compassione può accadere che il tran-tran delle macchine di una terapia
intensiva, il luccichio di aghi e rubinetti, l’invasione di tubi e cateteri, rubi una persona alla
sua famiglia, tolga un neonato dalle braccia di sua madre, sottoponga a cure inutili,
palesemente inutili, universalmente considerate inutili, una creatura che sta morendo.
Quando i medici diventano SOLO laureati in medicina, può accadere che suggeriscano al
giudice di strappare quel bambino dalle braccia, dalla tutela, dall’amore di chi lo ha messo al
mondo.
Quando i giudici non ascoltano, o ascoltano chi non conosce veramente ed onestamente la
medicina, può accadere che regalino quel neonato ad una “struttura” togliendolo, per
decreto, ad una madre.
In questo mondo delirante, che ha perso di vista l’uomo e la sua umanità, nell’ipotesi
migliore per mancanza di amore e compassione, nell’ipotesi peggiore perché sacrifica un
bambino e la sua famiglia a logiche di tecnologia, pubblicità, sperimentazione, fanatismo, è
stato fatto un male infinito ad un bambino ed ai suoi genitori: il bambino sottoposto, per
decreto, a cure inutili e dolorose; i genitori perché strappati da quel figlio, accusati della
peggiore accusa: agire contro l’interesse del proprio bambino. I dubbi di quei genitori non
solo sono legittimi, ma segno di grande profondità: genitori veri che hanno compreso
l’enorme problema del figlio e che vogliono fare appieno il loro dovere: dare un consenso
solo dopo essersi profondamente convinti sulla migliore assistenza per il loro bambino.
La rianimazione per forza, e soprattutto nelle malformazioni incompatibili con la vita, è un
atto di inaudita violenza che non sarebbe tollerato in nessun paese civile del mondo e non
trova appoggio in alcuna comunità scientifica che io conosca.
Le cure palliative sono scelte terapeutiche a tutti gli effetti, ben definite e con precise
indicazioni. Mi auguro fortemente che quel Tribunale renda quel figlio a quei genitori, che la
comunità si scusi, che quel padre e quella madre, così infinitamente scossi dalla nascita di
un bimbo con tali problemi e destinato ad una inevitabile fine precoce, ancor più
traumatizzati dalla pressante idiozia di cure intensive senza senso, irresponsabilmente
distrutti da un giudizio immeritato di incapacità genitoriale, possano perdonare un mondo di
laureati in medicina che ha dimenticato la compassione.
L’incredibile cinismo di quei genitori di Foggia – di Luca Volontà
da: liberal di venerdì 30 maggio 2008
Nello scontro tra Cartagine e Roma, c’è anche lo scontro tra i sacrifici umani al demone Baal
e le tante deità imperiali. I bambini e i giovanetti romani erano tutelati, nessuno si sarebbe
azzardato a sacrificarli come un impiccio o un avanzo da gettare nel cestino.
A Foggia è nato un piccino con la sindrome di Potter (senza reni e uretri), un bimbo vivo che
respira da solo e vorrebbe scalare il mondo. Se tutto andrà bene, sino all’età di dieci anni
Davide dovrà sottoporsi a dialisi e poi sarà trapiantato e starà benone. I genitori vogliono
consegnarlo invece alla morte, interrompere le cure e lasciarlo morire... lui che vuoi vivere.
Con loro, oltre ai radicali, il solito suono stridulo dei compassionevoli sacerdoti della
”perfezione”, del bambino pubblicitario, settebellezze e successi. Non sarebbe giusto curarlo
per dieci anni per poi guarirlo, meglio accopparlo subito così si spende meno, si ha un
impiccio in meno e poi si consente la vita più agiata agli “adatti”. Cartagine sacrificava i
fanciulli al demone per aggraziarselo, in Italia si sacrificano i neonati al “dio” consumistico
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della perfezione. Strano solo che nessuno si chieda se i sacerdoti di tale criterio siano essi
stessi imperfetti e, aggiungo, con molte rotelle fuori posto. Davide vivrà, lo ha deciso il
tribunale e il medico se ne prenderà cura, sempreché i genitori non montino una campagna
per il funerale del proprio figlio.
Sarebbe una terribile prova del regresso civile italiano. Ma la storia di Cartagine e Roma,
dovrebbe essere, nell’Europa “non più cristiana” di oggi, custodita e rammentata al cospetto
delle malvagità sovrumane che vengono perpetrate con l’eutanasia infantile. Il Belgio sta per
seguire nel precipizio l’Olanda, la scelta di ampliare l’eutanasia ai minorenni per legge e
l’Europa che non impedisce il partito pedofilo olandese, ben si guarda di richiamare il Belgio
al rispetto della vita nata, dei bambini.
L’Europa sta allevando in seno gli spettri che portarono alle due guerre mondiali del secolo
scorso. Certo non sarà la Germania ad intervenire, sconvolta dalla tentata vendita su Ebay
del piccolo Martin per un euro. Se in Olanda si registrano negli ultimi anni centinaia di casi di
neonati ”aiutati a morire”, già nel 2005 nel Regno che fu di Baldovino, la metà delle morti dei
neonati è dovuta ad eugenetica.
Ippocrate è morto, il quinto comandamento del Sinai è sepolto quando parli di bambini, più o
meno sofferenti o “fastidiosi”. Della mirabolante stravaganza della teoria evoluzionistica
darwiniana che sta portando all’uomo-scimmia in Inghilterra abbiamo già scritto. Nel caso
dell’eugenetica infantile, ci troviamo a registrare che i migliori combattenti a favore della
pena di morte siano al tempo stesso gli sponsor della “pianificazione familiare” e
dell’omicidio infantile.
“La razza dominante”, gli ”adatti” devono poter riprodursi tra loro senza impicci e evitando di
innamorarsi e magari sposarsi con «cani rognosi». Riuscire ad accoppare i neonati non fa
altro che far avanzare la specie... verso la fornace di Cartagine.
Le leggi belghe tutelano più la produzione tipica di insalata che la vita e l’infanzia. “Neonati
aiutati a morire” dai medici. Nemmeno un sospetto che volessero vivere? No perché la legge
“autorizza ad eliminare vite non degne di essere vissute”, esattamente come si trova scritto
nel saggio di Binding e Hoehe del 1920 che stava alla base dello sterminio nazista.
L’eugenetica, diceva Chesterton, è come il «veleno, una cosa con cui non si può venire a
patti».
L’eugenetica ha aperto le porte del manicomio in quei paesi, tant’è che se scampi alla morte
da neonato, devi stare molto attento da ragazzino e da giovane in quei paesi. Infatti, una
volta sfuggito al boia ginecologo, da bambino ad Amsterdam non potrai andare nei parchi
pubblici dopo le 16.00 perché da quell’ora solo ai maggiorenni è permesso l’accesso per
kamasutra e ammucchiate in pubblico.
Evitato anche questo pericolo, giunto alla giovinezza ci si deve guardare dal formare gruppi
di coetanei chiassosi, si potrebbe incorrere nel ”mosquito”, un micidiale dispositivo sonoro
per allontanare giovani dai paraggi, con la frequenza di l7mila hertz. E poi discutiamo di
“bullisrno” tra i giovani europei? Dopo una vita da “braccati” c’é da attendersi solo la loro
misericordia, quando in età adulta si vendicheranno con medici, scienziati, teorici e genitori
del genocidio infantile.
Nei Paesi Bassi gli zoccoli voleranno ad altezza d’uomo. L’Europa che consente l’omicidio
dei propri cittadini, seppur in fasce, rischia di diventare un unico e immenso campo di
concentramento, non meno terribile, solo più scientifico. Una fornace immensa, un culto
terribile e pure una benedizione religiosa del Reverendo George Exoo, gay e protestante
d’Inghilterra. Siamo proprio sicuri dì aver fatto bene a vietare la caccia agli stregoni?
Cinismo Clerical – Risposta dello zio di Davide a Luca Volontè
Ho detto che non mi va di parlare di Davide, che quella di Davide deve tornare ad essere
una storia privata, che non è il caso di far polemiche: ma le baggianate che scrive
l’onorevole Luca Volontè su Liberal del 30 maggio non è possibile lasciarle passare senza
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replica. “L’incredibile cinismo di quei genitori di Foggia”, titola; e aggiunge: “Dove può
condurre l’eutanasia: far morire un figlio appena nato”.
Comincia da lontano, Volontè: da Roma e Cartagine, per giungere poi a Foggia, dove “è
nato un piccino con la sindrome di Potter (senza reni e uretri), un bimbo vivo che respira da
solo e vorrebbe scalare il mondo”.
E qui c’è una prima baggianata. La sindrome di Potter non comporta solo assenza di reni e
degli ureteri, ma anche una serie di altri problemi, tra i quali l’ipoplasia polmonare. Per
questo è superficiale dire “respira da solo”. Se non fosse stato aiutato a respirare, Davide
sarebbe morto da un pezzo.
Continua, Volontè: “Se tutto andrà bene, sino all’età di dieci anni Davide dovrà sottoporsi a
dialisi e poi sarà trapiantato e starà benone”. L’ignoranza di Volontè è pari solo alla sua
protervia. Non si ha notizia di un solo bambino che sia giunto fino al trapianto. Trapianto che
non va fatto a dieci anni, ma molto prima. Il primo trapianto, almeno; perché poi bisognerà
farne un altro. Come faccia Volonté a dire che poi starà benone, non si sa. Lo invito a
trovare un solo bambino di dieci anni con la sindrome di Potter. Uno su sei miliardi di abitanti
del pianeta terra. Quando lo avrà trovato, provi a chiedergli se si sente benone. Ancora: “I
genitori vogliono invece consegnarlo alla morte, interrompere le cure e lasciarlo morire… lui
che vuol vivere”.
Terza baggianata: la più grossolana, la più offensiva. I genitori di Davide non hanno mai
detto di voler interrompere le cure e lasciar morire il bambino. Quando è stato loro chiesto il
consenso alla dialisi hanno chiesto tempo per riflettere e per discuterne con il comitato etico;
tempo che non è stato loro concesso. Ai giudici, ai giornalisti, a chinque volesse ascoltare
hanno dichiarato che non intendono sospendere le cure, ma rivendicano il diritto, in caso di
peggioramento del quadro clinico, di decidere insieme ai medici cosa è meglio fare. Già una
volta, di fronte ad una crisi respiratoria, è stato deciso di non intubare Davide. Decisione che
è stata presa dai medici del Giovanni XXIII e dall’allora tutore, dottor Magaldi. I genitori
erano esclusi dalla decisione.
Dice ancora, Volontè, che oggi “in Italia si sacrificano i neonati al ‘dio’ consumistico della
perfezione”. Chissà se è in linea con la logica consumistica, di fronte ad una gravidanza
difficile, e contro l’esplicito invito ad abortire, sottoporsi a visite mediche ed esami costosi,
per dare una speranza a quel feto. Se i genitori avessero seguito una logica consumistica,
Davide non sarebbe mai nato. Sarebbe stato abortito, e amen. I genitori avrebbero
risparmiato soldi, sofferenza e l’umiliazione di farsi offendere da questo tale, che giunge a
parlare di persone “con molte rotelle fuori posto” (i genitori di Davide e quelli che danno loro
ragione) e dire che “Davide vivrà… sempre che i genitori non montino una campagna per il
funerale del proprio figlio”.
In piena esaltazione parla poi di eugenetica, di eutanasia, di Binding e Hoche, di campi di
concentramento, e termina il crescendo con una domanda che è la degna conclusione di un
articolo delirante: “Siamo sicuri di aver fatto bene a vietare la caccia agli stregoni?”.
Ricapitoliamo. Tu partorisci. Partorisci soffrendo. A rischio della tua vita. Tuo figlio è malato,
ti dicono che deve morire. Tu soffri. Soffri. Poi, all’improvviso, ti dicono che no, bisogna
dializzarlo. Tu ti chiedi che succede, fino a ieri ti hanno detto che deve morire, forse non gli
hanno nemmeno pulito il culo perché tanto era carne deperibile (quando è arrivato al
Giovanni XXIII aveva una grossa escoriazione), e invece tutto a un tratto vogliono il tuo
consenso. Chiedi tempo per capire, e ti tolgono la potestà genitoriale. Arriva il giudice a dirti
che non sei più sua madre. Protesti, rivendichi il diritto di dire la tua su quella carne che hai
partorito a costo della tua vita - ed arriva l’onorevole a dirti che sei cinica, che non hai le
rotelle a posto, che vuoi uccidere tuo figlio.
Non so cosa è diventato questo paese. Dove è finito il volto della gente? Chi guarda più i
volti? Se lo sarà immaginato il volto dei genitori di Davide, questo tizio, prima di scrivere le
sue baggianate? Si sarà fermato un attimo a riflettere sul fatto che stava per parlare di due
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persone colpite da una sofferenza tra le maggiori che si possano immaginare? Che esercizio
ha dovuto fare per mettere da parte la compassione, per cancellare la comprensione, per
annullare il rispetto? Perché questo oggi risulta così dannatamente facile?
800 - TESTAMENTO DI VITA PER SCEGLIERE COME DIRE ADDIO - DI J. MELETTI
da: la Repubblica di domenica 8 giugno 2008
Un bel vestito verde, il colore della speranza. «A me piace davvero stare al mondo. Ho un
cancro al seno ma spero di sconfiggerlo. Purtroppo so che a volte vince lui, inutile illudersi di
essere immortali. Io sono una donna che nella vita ha accettato poche volte, e malvolentieri,
le decisioni prese dagli altri: e allora voglio decidere anche come morire». Giuliana Michelini,
sessant’anni compiuti a gennaio, nella borsona da milanese impegnata in mille cose ha
anche la «Biocard, carta di autodeterminazione». Sorride e spiega. «Insomma, è il
testamento biologico o testamento di vita. Io personalmente preferisco chiamarle “direttive
anticipate”. Ho scritto tutto quello che voglio sia fatto sul mio corpo quando — spero il più
tardi possibile — non sarò più in grado di fare intendere le mie ragioni. Vede, per noi italiani
è difficile parlare di certe cose. Siamo scaramantici. Ma io cerco di ragionare: a una certa
età, e anche senza essere malata, capisci che la morte fa parte della vita. La morte, non la
fine, l’esodo, l’atto finale... La morte deve essere chiamata con il suo nome. E bisogna
prendere le misure giuste perché questa morte non sia preceduta da un’agonia infinita,
straziante e inutile. I medici debbono fare di tutto per salvarmi la vita vera ma non possono
decidere di tenermi comunque attaccata a una vita che non ha più nessun senso».
Il primo incontro con la proposta di testamento biologico in un convegno di due anni fa,
organizzato dalla Consulta di bioetica, fondata a Milano nel 1989, «per lo studio dei difficili
problemi che si pongono nella medicina di oggi in particolare nelle situazioni di nascita e di
morte». A colpire Giuliana Michelini è stata la storia di Eluana Englaro, una ragazza di
Lecco in «corna vegetativo permanente» da sedici anni. «C’era suo padre, al convegno, e
spiegava che anche senza nessuna speranza la ragazza viene alimentata artificialmente in
un’agonia senza senso. Io allora non avevo il cancro al seno ma, come sempre nella mia
vita, mi ero organizzata perché la morte non mi trovasse impreparata. Avevo già deciso di
donare gli organi e di fare consegnare poi il mio corpo alla scienza, con la speranza che
fosse utile per qualche ricerca. Avevo pensato anche al testamento biologico ma non avevo
deciso. Poi, al supermercato, mi è successo un fatto piccolo ma importante».
Il carrello della spesa, una macchia d’acqua sul pavimento. «Insomma, sono scivolata
all’indietro, stavo per battere la nuca. Potrà sembrare strano ma in quel nanosecondo ho
fatto in tempo a pensare: adesso sbatto la testa contro le bottiglie del vino e vado in coma.
Oddio, non ho firmato il testamento. Finirò come la povera Eluana. All’ultimo istante ho
messo il braccio indietro, me lo sono rovinato ma ho salvato la testa. Dopo pochi giorni sono
andata a firmare le mie “direttive anticipate”. Come “rappresentante fiduciario”, vale a dire la
persona che dovrà garantire che siano rispettate le mie volontà, ho nominato un amico, che
fra l’altro è un bravo medico».
Sorride, la signora Giuliana. L’appuntamento è in un bar di San Babila, dopo una riunione
della Lega italiana nuove famiglie (lei è la coordinatrice) e prima di una riunione della
Consulta di bioetica. «Dopo quella firma mi sono sentita meglio. Vede, io non ho parenti
stretti e sentivo dentro una certa paura. Nel momento in cui non sarò in grado di parlare o di
capire –pensavo - sarò del tutto sola. Mio padre se n’è andato a novantacinque anni ma
almeno aveva me vicino. Io spero sempre che la morte arrivi tardi e con un colpo secco, ma
adesso so che se non va così avrò al mio fianco il “rappresentante” che farà di tutto per
evitarmi le sofferenze che non sono necessarie. Ci ho pensato bene, prima di firmare le
diverse clausole del testamento. Ho detto sì, ad esempio, alla rianimazione in caso di
arresto cardiaco. Ho detto no a quei “provvedimenti di sostegno vitale” come l’alimentazione
artificiale e altri interventi che abbiano soltanto l’obiettivo di “prolungare il mio morire”,
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“mantenermi in uno stato di incoscienza permanente o in uno stato di demenza avanzata
non suscettibili di recupero”. In ospedale ci sarà comunque il mio rappresentante. Lui mi
conosce bene, saprà decidere al posto mio. E‘ per questo che, appena messa quella firma,
ho sentito dentro un senso di pace».
Sono ormai migliaia le persone che hanno firmato il testamento biologico che però, in
assenza della legge, non ha ancora valore legale. «In Italia», dice Mario Riccio, il medico
anestesista rianimatore che ha seguito Piergiorgio Welby, «tanti si dichiarano contrari a
questo “testamento” precisando però di essere anche contro l’accanimento terapeutico. A
me viene in mente la favola di Bertoldo, che accetta la pena di morte ma chiede di poter
scegliere dove essere impiccato e non trova mai la pianta giusta. Insomma, si parla tanto di
“accanimento terapeutico” - solo in Italia, perché nel linguaggio medico internazionale si
parla di interventi utili o inutili per non discutere il tema vero, quello dell’autodeterminazione.
Accanimento è termine del tutto soggettivo. C’è chi non vuole l’alimentazione forzata e chi
invece l’accetta. Welby ha voluto essere staccato dal respiratore artificiale e altri hanno
deciso di restare attaccati alle macchine. La signora che ha rifiutato di farsi amputare una
gamba ha rifiutato un intervento salvavita o un accanimento terapeutico? Così si continua a
discutere per anni e non si arriva a trovare la soluzione più semplice: ogni persona ha il
diritto di scegliere se, come e fino a quando essere curata».
Anche il dottor Riccio è nella Consulta di bioetica fondata da Renato Boeri e oggi guidata da
Maurizio Mori. «Ci sono medici, giuristi filosofi e anche persone come Beppino Englaro, il
padre di Eluana, la ragazza in stato vegetativo. Il suo caso è stato discusso nei tribunali e
anche in Cassazione. Una prima sentenza disse che l’alimentazione forzata non è terapia
ma cura della persona” e come tale non può essere sospesa. La Cassazione, nell’ottobre
scorso, ha invece preso atto che la ragazza in due occasioni aveva espresso la volontà di
non essere mantenuta in uno stato vegetativo: un suo amico e il suo mito di ragazza
sciatrice, Leonardo David, erano finiti in coma a causa di incidenti e lei aveva detto che, se
fosse successo a lei, non avrebbe mai voluto essere tenuta invita con le macchine. Ora si
dovrà rifare il processo e non sarà una discussione facile. La Cassazione ha infatti stabilito
che l’alimentazione artificiale potrà essere sospesa solo se si avrà “la ragionevole certezza
che non ci sia un ritorno di coscienza”».
ii documento da firmare presso la Consulta di bioetica si chiama «testamento di vita». «E
una traduzione approssimativa», dice Mario Riccio, «dall’inglese Living will, la volontà del
vivente. Negli ospedali americani, quando entri anche per un’otite o un menisco, ti chiedono
il Livingwill. E’ scritto in due parti. Nella prima il paziente decide quali interventi accettare e
quali rifiutare. Alimentazione forzata sì o no, ventilazione artificiale sì o no, rianimazione
cardiaca. . . Tutto scritto, punto per punto. Nella seconda parte c’è invece una delega: si
sceglie una persona che possa decidere al posto del malato se questi non sarà in grado di
decidere da solo. Abbiamo studiato bene quel documento e la nostra Biocard, carta di
autodeterminazione, ne ricalca i punti essenziali».
Difficile comprendere l’opposizione a una proposta come questa. «Certo, come è difficile
capire perché la schiavitù sia stata abolita solo nel Diciannovesimo secolo, perché le donne
in Italia votino solo da sessant’anni, perché le stesse donne fino al 1961 non potessero fare i
magistrati... Il cammino dell’autodeterminazione è lungo e difficile. Quando poi questo
concetto entra in un ospedale, si scontra con il paternalismo del medico, nuovo paterfamilias
che “per il tuo bene” decide tutto ciò che riguarda la tua salute, senza chiedere consenso e a
volte senza informare. In fin dei conti il nostro è l’unico Paese dove alle ultime elezioni è
stata presentata una “lista etica” a sostegno della nascita e soprattutto della “morte
naturale”. Ecco un altro concetto che blocca la discussione sui temi etici. Cos’è oggi la morte
naturale? Soprattutto, esiste ancora? Oggi salvo casi rarissimi si muore tutti dopo una
diagnosi, una prognosi, una terapia. La morte di Giovanni Paolo II è stata giudicata
“naturale” perché il Papa ha rifiutato di essere attaccato alle macchine. Per Piergiorgio
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Welby la morte naturale sarebbe arrivata dieci anni prima, quando fu colpito da crisi
respiratoria. Lui ha vissuto altri dieci anni attaccato al respiratore poi ha detto basta. Eppure
per tanti lui avrebbe dovuto aspettare un’altra “morte naturale”. E io, che ho risposto alla sua
richiesta di aiuto, per Rosy Bindi avrei commesso “un omicidio di consenziente che nessun
tribunale di Dio o degli uomini potrà assolvere”. Ma almeno dal tribunale degli uomini sono
stato assolto».
La Biocard, per la signora Giuliana Michelini, è una specie di carta di credito. «Anche se
ancora non c’è la legge, spero che sia accettata dai medici. Di fronte alle mie “direttive
anticipate” almeno non potranno dire di non conoscere le mie volontà. Certo, per i medici è
sempre difficile accettare che qualcuno possa decidere della propria vita. Io non voglio nulla
di speciale. E’ da una vita che mi interesso di diritti e di libertà. Mi sono battuta per i
consultori delle donne, ho fatto la volontaria per i detenuti di San Vittore. Adesso voglio
difendere il mio ultimo diritto: non voglio soffrire inutilmente. Non voglio prolungare la vita, se
questa non esiste più. Altre persone possono fare altre scelte.
C’è chi crede che la sofferenza purifichi dal peccato ma non è il mio caso. L’ostacolo più
grosso è fare i conti con la propria morte. Ecco, credo di avere superato questo ostacolo. Io
non chiedo – è scritto nel documento - l’eutanasia. Chiedo solo che sia rispettato il mio diritto
alla dignità».
801 - ANCHE IN ITALIA STA CADENDO IL TABÙ - DI UMBERTO VERONESI
da: la Repubblica di domenica 8 giugno 2008
Il caso di Modena e soprattutto i tanti altri casi che non salgono alla ribalta della cronaca,
dimostrano che se il Parlamento non perverrà, neppure con questa maggioranza, a una
legge sul testamento biologico, gli italiani tralasceranno la formalizzazione giuridica e
utilizzeranno comunque questo strumento di espressione di volontà e autonomia del malato.
Succede, del resto, non solo in Italia che se la politica non ascolta i bisogni reali della
popolazione, allora la popolazione fa a meno della politica.
Questo è vero almeno per le questioni che toccano da vicino la nostra vita e la sua qualità. Il
grande movimento popolare olandese che ha condotto alla legislazione più avanzata in
Europa sulle decisioni di fine vita è nato, ormai vent’anni fa, quando la popolazione ha
potuto constatare che la medicina oggi è in grado di prolungare artificialmente la vita
biologica, opponendosi a una fine naturale per giorni, per mesi o per anni. In Germania, pur
in assenza di una legge, a seguito dell’iniziativa popolare, in due anni sono stati depositati
sette milioni di testamenti biologici.
In Italia il testamento biologico era tabù e la sua definizione pressoché sconosciuta fino al
marzo di due anni fa, quando la Fondazione che porta il mio nome pubblicò il primo
opuscolo divulgativo e organizzò la prima presentazione a Roma, alla Cassa Forense. Il
motivo: una incomprensibile resistenza ideologica, molto preoccupante per la libertà di
ognuno di noi, da parte di molti opinionisti che vedono nel testamento biologico
un’anticamera dell’eutanasia mentre così non è, anzi concettualmente è l’opposto e anche di
molti medici che rivendicano il loro potere di decidere, oppure, al contrario, hanno paura di
decidere e preferiscono affidarsi alle potenzialità di una medicina tecnologica. Dal 2006
sono molte migliaia le persone che si sono rivolte a noi, e continuano a farlo, per avere
informazioni e sapere che fare.
Innanzitutto va ripetuto che il testamento biologico (che, ricordiamolo, è un’espressione
scritta di volontà individuale revocabile e modificabile, circa le cure che si vogliono o non si
vogliono ricevere, da utilizzare nel caso in cui non ci si potesse esprimere di persona) può
già essere ritenuto valido nel nostro ordinamento perché è un’estensione del consenso
informato alle cure, che è non solo legittimo ma obbligatorio nel nostro Paese. Inoltre l’Italia
ha siglato la Convenzione di Oviedo sui «diritti umani e la biomedicina» che afferma che «il
medico, anche tenendo conto della volontà del paziente laddove espressa, deve astenersi
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dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente
attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento per la qualità di vita».
Anche il mondo cattolico non si è mai opposto al testamento biologico. In Spagna, dove il
Testamento Vidal è appena diventato legge, il modulo del testamento si trova sul sito web
della Conferenza episcopale spagnola. E indirizzato: «Alla mia famiglia, al mio medico, al
mio sacerdote, al mio notaio» e si basa sul principio che «la vita è un dono e una
benedizione di Dio, ma non è il valore supremo assoluto».
Il giorno dell’approvazione della legge spagnola mi ha colpito il commento di Marcelo
Palacios, consigliere del governo Zapatero e presidente della Società internazionale di
bioetica: «Un malato terminale non muore perché si sospendono le cure, muore perché era
terminale. Dobbiamo concentrarci piuttosto sulla sua dignità di persona».
In Italia pare che la politica non la pensi così.
802 - QUANDO I LAICI SONO DEBOLI - DI GIANFRANCO PASQUINO
da: l’Unità di mercoledì 11 giugno 2008
Da una parte sta il Papa che ispira e si trovano i vescovi della Conferenza Episcopale
Italiana che stilano il loro programma, non soltanto sui «temi eticamente sensibili», per
qualsiasi governo, preferibilmente per quello in carica, e che danno voti. Il capo dell’attuale
governo si è subito affrettato a dichiarare che anche il programma dei vescovi, proprio come
quello della Confindustria (non è dato sapere se la Cei ha apprezzato il paragone), può
diventare quello del suo governo.
Ovviamente facendo finta di niente su tutto quanto riguarda disuguaglianze sociali e
trattamento dell’immigrazione. D’altronde, l’intero schieramento di centro-destra è da tempo
impegnato a mostrarsi ricettivo, senza nessuno scrupolo di laicità, ma con grande attenzione
a prendere i voti (quelli espressi sulle schede elettorali dai cattolici), a quello che viene detto
dall’altra parte del Tevere. Anche se non sempre ne conseguono comportamenti concreti,
sembra che le dichiarazioni di sintonia funzionino.
Dall’altra parte, di tanto in tanto, tocca a Famiglia Cristiana il compito di fare irruzione sulla
scena che viene impropriamente definita dei “valori” dei cattolici, che, invece, per lo più,
sono molto più semplicemente, ma anche più corposamente, interessi mondani e politiche di
governo.
Questa volta il bersaglio è duplice e la mira ambiziosa. Agli editorialisti del settimanale
cattolico, i quali, evidentemente, leggono anche nelle coscienze, sembrerebbe opportuno
espellere dal Partito Democratico la sparuta pattuglia dei radicali per i loro (de)meriti laici di
un glorioso passato. Se poi, ma la sequenza non mi è chiara, questa operazione di “pulizia”
cattolica non riuscisse, sarebbe opportuno che i teo-dem ovvero, immagino, tutti coloro che
dentro il Pd si definiscono democratici dovrebbero minacciare oppure, addirittura, eseguire
una scissione, cioè andarsene. Dove non è detto, ma appare probabile che tanto l’Udc di
Pierferdinando Casini quanto il Popolo delle Libertà accoglierebbero a braccia aperte gli
scissionisti (uomini e donne).
L’invito alla scissione è preoccupante anche perché sceglie un terreno delicato sul quale il
Partito Democratico ha già tentato di giungere ad un difficile, forse non del tutto convincente,
compromesso con il suo (non buono) Manifesto dei Valori. Infatti, i teo-dem, questa sì una
pattuglia piccola, ma molto aggressiva, continuano a dichiararsi insoddisfatti e a elaborare
loro posizioni intransigenti su tutte le problematiche “eticamente sensibili”.
Qui sta la debolezza dei laici, che siano non credenti o credenti, radicali o ex-democratici di
sinistra, dentro il Pd. Non hanno attivato la loro cultura politica con l’obiettivo di declinare
coerentemente le loro posizioni sui valori (sembra persino difficile sostenere che i laici e i
non credenti hanno “valori”) rispetto non soltanto alla vita e alla morte, ma a come si vive
(nella diseguaglianza, nell’indigenza, nell’oppressione, anche religiosa) e a come si muore
(per fame, per mancanza di risorse, per sfruttamento). Insomma, una vita degna di essere
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vissuta, tale anche grazie a politiche ridistributive, è un valore allo stesso modo di una morte
consapevolmente richiesta con dignità.
Non sembrano, peraltro, questi i ragionamenti che interessano né Famiglia Cristiana né i
teodem e gli atei devoti i quali, certamente, nella loro rigida devozione sono tutto meno che
laici. Molto mondanamente l’obiettivo, non soltanto di Famiglia Cristiana, consiste, da un
lato, nel ridurre il potere politico, ahimé, già molto ristretto, del Partito Democratico nella
misura in cui i teo-dem si comportano (attenzione, non ho, per il momento, scritto: sono)
come una quinta colonna, paralizzandolo sotto la spada della possibile scissione. Dall’altro,
meno comprensibilmente, consiste nell’indicare una via alla ricomposizione dei cattolici.
Questo, che è più di un suggerimento, mi appare molto meno comprensibile poiché, come
hanno oramai sottolineato molti commentatori, la forza politica dei cattolici, in una società
che, pure, è molto secolarizzata (e se fosse anche “disperata” come, da ultimo, sostiene il
cardinale di Bologna, Caffarra, avranno le loro responsabilità anche i predicatori cattolici
autorizzati) dipende proprio dalla loro presenza in schieramenti diversi.
Questa diffusione strategica rende visibili e potenzialmente efficaci tutte le espressioni di
interessi e di preferenze che vengono dal Vaticano e dalle numerose diocesi. E, purtroppo,
di cardinali come Martini non sembrano essercene più.
Gli strumenti culturali di riflessione sul rapporto fra politica e religione, magari anche quelli
approntati nel seminario di ItalianiEuropei, servono, anche se mi sono sembrati improntati a
troppo pessimismo e a poco orgoglio laico. Tuttavia, è il Partito Democratico che deve dare
vita e gambe all’operazione che aveva promesso.
Costruire un’organizzazione politica che non soltanto sommasse le culture riformiste liberali,
socialiste e cattolico-democratiche, ma ne esaltasse gli elementi migliori a cominciare da
quei valori che, detto senza retorica, erano persino riusciti ad entrare nella Costituzione
Repubblicana.
Non ho una proposta conclusiva mobilitante, ma credo, meglio, ritengo che il Partito
Democratico farebbe bene a discutere in maniera tanto appassionata quanto laica, ovvero
senza preconcetti, senza pregiudizi e senza soluzioni precostituite, dei rapporti, anche
politici, fra le culture, e non soltanto dei limiti fra Stato e Chiesa, segnalando sempre
puntigliosamente gli impropri sconfinamenti di quest’ultima. Riconosciuto il ruolo pubblico
della religione, il confronto andrà fatto in pubblico secondo le regole del dibattito pubblico
che richiedono non imposizioni, ma argomentazioni e giustificazioni.
803 - LA COPERTA TROPPO CORTA - DI GIOVANNI SARTORI
da: il Corriere della Sera di lunedì 16 giugno 2008
La grande carnevalata della Fao si è chiusa il 6 giugno (dopo avere intasato Roma per tre
giorni) con la risibile e irresponsabile promessa di vincere la fame nel mondo entro il 2050.
Speriamo che prima venga chiusa la Fao. Perché i discorsi seri si fanno altrove: tra poco, il
16 e 17 giugno, al convegno indetto dalla fondazione Aurelio Peccei per celebrare il
40˚anniversario del Club di Roma. Siccome risulta che moltissimi italiani non sanno
nemmeno che cosa festeggiano il 2 Giugno, ricorderò che Peccei fu il primo «profeta » della
impossibilità di una crescita illimitata del pianeta Terra, così come due secoli fa il bravo
abate Malthus fu il primo a intravedere la «bomba demografica ». Oggi Malthus viene molto
irriso da chi non lo ha letto. Eppure in principio aveva ragione. Calcolò che mentre la
popolazione poteva crescere in progressione geometrica (1, 2, 4, 8), la produzione agricola
può solo crescere in progressione aritmetica (1, 2, 3, 4). Ma Malthus non riteneva che
questa crescita geometrica della popolazione sarebbe mai avvenuta: lo impediva, appunto,
la fame. D'altra parte il suo Saggio sul principio di popolazione usciva nel 1798, prima della
rivoluzione industriale. Ed è l'agricoltura meccanizzata, che Malthus non poteva prevedere,
che ha rinviato di due secoli la resa dei conti. Ma ora ci siamo.
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La preoccupazione di Peccei e del Club di Roma fu diversa: segnalava l'imminente venir
meno delle risorse naturali, e segnatamente del petrolio. Si capisce, consumiamo troppo
perché siamo in troppi. Ma nel 1972, quando uscì il primo rapporto, I limiti dello sviluppo, la
popolazione mondiale era di 3 miliardi e 850 milioni. Vi rendete conto? In meno di quaranta
anni si è quasi raddoppiata.
Così oggi la preoccupazione primaria diventa quella del riscaldamento della Terra e
dell'impazzimento del clima. Riscaldamento perché? Anche se è vero che la Terra ha
sempre avuto cicli di glaciazione seguiti da riscaldamenti, una stragrande maggioranza di
esperti ritiene che nessun ciclo astronomico possa spiegare la velocità, intensità e frequenza
delle nostre variazioni climatiche; e dunque ritiene che il disastro ecologico che ci aspetta sia
causato dall'uomo e dal sovraffollamento del nostro pianeta.
Non occorre una intelligenza straordinaria per capire che tutti i suddetti fattori - popolazione,
esaurimento delle materie prime (e dell'acqua), sconquasso del clima - afferiscono al
problema della fame. Ma gli intelligentoni delle Nazioni Unite, della Fao, e anche dei media,
preferiscono scoprire, invece, che la colpa è dei biocarburanti che tolgono terreno alla
agricoltura alimentare. Ma se senza mangiare si muore, anche senza petrolio si muore.
L'agricoltura è meccanizzata, e cioè va a nafta; e così i pescherecci e le navi che
trasportano il cibo. Alla fin fine nel nostro mondo tutto richiede energia largamente generata
dal petrolio.
Scrivevo poco fa che oramai viviamo su una coperta troppo corta che se tirata da una parte
lascia scoperta un'altra parte. Con questo giochino non si risolve nulla e si aggravano i
problemi.
804 - TESTAMENTO BIOLOGICO: LA SITUAZIONE IN SPAGNA
Al fine di conoscere più a fondo, oltre le notizie pubblicate dalla stampa, la situazione
relativa al testamento biologico in Spagna, abbiamo chiesto a Franco Friscia,
responsabile di LiberaUscita per quello Stato, di farci avere maggiori informazioni.
Friscia ci ha trasmesso diversi documenti in lingua spagnola, di cui uno - quello della
Chiesa spagnola – tradotto in italiano.
Si riportano qui sotto i documenti più importanti. gps
Testamento vital - Modelo de la Conferencia Episcopal Española
(da: www.conferenciaepiscopal.es/servicios/testamento_vital.htm)
A mi familia, a mi médico, a mi sacerdote, a mi notario:
Alla mia famiglia, al mio medico, al mio sacerdote, al mio notaio:
Si me llega el momento en que no pueda expresar mi voluntad acerca de los tratamientos
médicos que se me vayan a aplicar, deseo y pido que esta Declaración sea considerada
como expresión formal de mi voluntad, asumida de forma consciente, responsable y libre, y
que sea respetada como si se tratara de un testamento.
Se arriva il momento nel quale non sarò più in grado di esprimere la mia volontà circa i
trattamenti medici che mi dovrebbero essere applicati, desidero e chiedo che questa
Dichiarazione sia considerata come espressione formale della mia volontà, assunta in piena
coscienza, responsabilità e libertà, e che sia rispettata come se si trattasse di un
testamento.
Considero que la vida en este mundo es un don y una bendición de Dios, pero no es el valor
supremo absoluto. Sé que la muerte es inevitable y pone fin a mi existencia terrena, pero
desde la fe creo que me abre el camino a la vida que no se acaba, junto a Dios.
Ritengo che la vita in questo mondo è un dono e una benedizione di Dio, però non è il valore
supremo assoluto. So che la morte è inevitabile e pone fine alla mia esistenza terrena, ma
grazie alla fede credo che mi apra il camino ad una vita che non ha fine, accanto a Dio.
Por ello, yo, el que suscribe........................ pido que si por mi enfermedad llegara a estar en
situación crítica irrecuperable, no se me mantenga en vida por medio de tratamientos
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desproporcionados o extraordinarios; que no se me aplique la eutanasia activa, ni que se
me prolongue abusiva e irracionalmente mi proceso de muerte; que se me administren los
tratamientos adecuados para paliar los sufrimientos.
Per questo, io sottoscritto ……………………. chiedo che se per causa della mia infermità
dovessi trovarmi in una situazione critica irrecuperabile, non mi si mantenga in vita per
mezzo di trattamenti sproporzionati o straordinari; che non mi si applichi la eutanasia attiva,
ne che mi si prolunghi abusivamente e irrazionalmente il mio processo di morte; che mi
vengano somministrati i trattamenti adeguati per lenire le sofferenze.
Pido igualmente ayuda para asumir cristiana y humanamente mi propia muerte. Deseo
poder prepararme para este acontecimiento final de mi existencia, en paz, con la compañía
de mis seres queridos y el consuelo de mi fe cristiana.
Chiedo ugualmente aiuto affinché possa accogliere la mia propria morte umanamente e
cristianamente. Desidero potermi preparare per questo avvenimento finale della mia
esistenza, in pace, con la compagnia dei miei cari e il conforto della mia fede cristiana.
Suscribo esta Declaración después de una madura reflexión. Y pido que los que tengáis
que cuidarme respetéis mi voluntad. Soy consciente de que os pido una grave y difícil
responsabilidad. Precisamente para compartirla con vosotros y para atenuaros cualquier
posible sentimiento de culpa, he redactado y firmo esta declaración.
Sottoscrivo questa Dichiarazione dopo una matura riflessione. E chiedo che quelli che
dovranno aver cura di me rispettino la mia volontà. Sono cosciente del fatto che vi chiedo di
assumervi una grave e difficile responsabilità. Ma proprio per condividerla con voi e per
alleggerirvi da qualsiasi sentimento di colpa, ho redatto e firmo questa dichiarazione.
Firma:
Firma:
Fecha:
Data:
Modelo de la “Izquierda Socialista de Valladolid por la defensa del Medio Ambiente”
Yo, ……………….(nombre de la persona), mayor de edad, con D.N.I. …..………..………..
(número del documento nacional de identidad), con domicilio en …………………………….
(municipio), (calle o plaza …....., número, piso, puerta), con capacidad para tomar una
decisión de manera libre y con la información suficiente que me ha permitido reflexionar,
DECLARO
Por medio del presente documento las instrucciones que quiero que se tengan en cuenta
sobre mi atención sanitaria cuando me encuentre en una situación en que, por
circunstancias derivadas de mi estado físico y/o psíquico, no pueda expresar mi voluntad.
Teniendo en cuenta que para mi proyecto vital es muy importante la calidad de vida, es mi
deseo que ésta no se prolongue mediante sistemas o técnicas artificiales cuando la
situación sea irreversible.
Por este motivo, deseo que se respeten los principios antes mencionados en las situaciones
médicas como las que se especifican a continuación o cualquier otra que, a juicio de los
médicos que me atiendan, sean asimilables:
. Enfermedad irreversible que tiene que conducir inevitablemente a mi muerte.
. Estado vegetativo crónico, persistente y prolongado.
. Estado avanzado de la enfermedad de pronóstico fatal
. ........................................................................................
De acuerdo con lo anteriormente expuesto, y con los criterios señalados, es mi voluntad
que, si a juicio de los médicos que entonces me atiendan (siendo al menos uno de ellos
especialista), no haya expectativa de recuperación, se tenga en cuenta las siguientes
instrucciones:
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1.- No sean aplicadas o, bien que se me retiren si ya han empezado a aplicarse, medidas
de soporte vital, o cualquier otra que intenten prolongar mi supervivencia artificialmente.
2.- Se me suministren los fármacos necesarios para paliar al máximo el malestar, el
sufrimiento psíquico y el dolor físico que me ocasione mi enfermedad.
3.- Sin perjuicio de las decisiones tomadas, se me garantice la asistenta necesaria
adecuada para procurarme una muerte digna.
4.- No se me administren tratamientos complementarios ni terapias no contrastadas, que no
demuestren su efectividad para la recuperación y prolonguen inútilmente mi vida.
5.- Si me encontrara embarazada y me encontrara en alguna de las situaciones anteriores,
deseo que la validez de este documento quede en suspenso hasta después del parto,
siempre que eso no afecte negativamente al feto.
6.- Igualmente, manifiesto mi deseo de hacer donación de mis órganos para transplante,
tratamientos, investigación o enseñanza (opcional).
7.- El lugar donde deseo que se me atienda en el final de mi vida es …………. (Hospital,
Domicilio, otro lugar ….).
8.- Deseo recibir asistencia espiritual acorde con mis creencias y manifiesto profesar la
religión…………………… (opcional).
Designo como mi representante para que actúe como interlocutor válido y necesario con el
médico o el equipo sanitario que me atenderá, en el caso de encontrarme en una situación
en la que no pueda expresar mi voluntad a ……………….....
La situazione del testamento biologico in Spagna
De: Pedro Ávila Navarro - Abril 2005
Testamento vital: eutanasia pasiva.
El llamado testamento vital refleja la aspiración del testador a una muerte digna, ya por
evitación de remedios médicos dirigidos a una prolongación artificial de una vida vegetativa
y sin esperanza, ya por la aplicación, ante tales perspectivas, de remedios dirigidos
directamente a conseguir el final. El tema es sumamente delicado, sobre todo por sus
graves implicaciones legales y morales:
• El testamento (o acta, como luego se verá) nunca debe recoger disposiciones
encaminadas a un resultado contrario a la ley; pero, otorgado en consideración a la muerte,
cabe que se refiera a una actuación que pudiera ser legal en aquel momento aunque no lo
sea en el del otorgamiento.
• Parece también que el Notario no puede tratar de sustituir el criterio moral del testador por
el suyo propio, cuando el otorgante trata de decidir sobre su misma muerte, la más patética
manifestación del derecho constitucional a la intimidad.
En el caso de que ambos obstáculos se consideren superados, aparece otro de tipo técnico:
el carácter secreto y revocable del testamento hasta el momento de la muerte; será más
eficaz recoger los deseos o manifestaciones del otorgante en acta, en lugar de hacerlo en
testamento.
Normativa y régimen.
El art. 11 L. 41/14.11.2002 (básica reguladora de la autonomía del paciente y de derechos y
obligaciones en materia de información y documentación clínica) reguló la posibilidad de las
que llama instrucciones previas: Por el documento de instrucciones previas, una persona
mayor de edad, capaz y libre, manifiesta anticipadamente su voluntad, con objeto de que
ésta se cumpla en el momento en que llegue a situaciones en cuyas circunstancias no sea
capaz de expresarlos personalmente, sobre los cuidados y el tratamiento de su salud o, una
vez llegado el fallecimiento, sobre el destino de su cuerpo o de los órganos del mismo.
Permite que el otorgante designe un representante para que, llegado el caso, sirva como
interlocutor suyo con el médico o el equipo sanitario para procurar el cumplimiento de las
instrucciones previas. Sujeta la aplicación de las instrucciones a que no sean contrarias al
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ordenamiento jurídico o a la «lex artis»; pero no prohíbe las instrucciones contrarias al
ordenamiento jurídico en el momento de hacerlas, en previsión de que sean legales en el
momento de aplicarlas; es más, parece invitar a esa posibilidad. Dispone que queden
registradas en la historia clínica del paciente, aunque sin señalar cómo. Y dispone la
formalización de las instrucciones de acuerdo con lo dispuesto en la legislación de las
respectivas Comunidades Autónomas, y su inscripción en un Registro nacional de
instrucciones previas dependiente del Ministerio de Sanidad y Consumo, que aún no
funciona.
Según la disp. adic. 1, la Ley tiene carácter de legislación básica; y el Estado y las
Comunidades Autónomas adoptarán, en el ámbito de sus respectivas competencias, las
medidas necesarias para la efectividad de esta Ley.
Varias Comunidades Autónomas han dictado normas sobre la materia que, aunque algunas
sean anteriores a la Ley estatal, deben considerarse de desarrollo de la misma. En general,
vienen a establecer la fuerza obligatoria de estas instrucciones, siempre que se adecuen al
ordenamiento jurídico, y el carácter del representante nombrado como único interlocutor
válido ante la organización sanitaria; la necesidad de que se otorguen fehacientemente (la
mayoría se refieren al otorgamiento privado con testigos y a la alternativa de la forma
notarial, sin necesidad de ellos); y la «obligación» (aunque no la definan como tal) de
familiares y representantes legales, de hacer llegar las instrucciones al centro sanitario
donde esté siendo atendido el otorgante.
Pero estas leyes autonómicas no hacen referencia al contenido de las instrucciones (salvo
la navarra, como después se verá), y se limitan a definirlas como dictadas por una persona
sobre actuaciones médicas que deben observar el Médico o equipo sanitario responsable
cuando el otorgante se encuentre en una situación en que las circunstancias que concurran
no le permitan expresar personalmente su voluntad.
Deben tenerse en cuenta, por orden cronológico:
• Cataluña: Ley 21/29.12.2000, sobre los derechos de información concernientes a la salud
y la autonomía del paciente, y la documentación clínica, especialmente el art. 8.
• Galicia: Ley 3/28.05.2001, reguladora del consentimiento informado y de la historia clínica
de los pacientes, especialmente art. 5.
• Extremadura: Ley 10/28.06.2001, de Salud de Extremadura, especialmente art. 11.
• Madrid: Ley 12/21.12.2001, de Ordenación Sanitaria de la Comunidad de Madrid,
especialmente art. 28.
• Aragón: Ley 6/15.04.2002, de Salud de Aragón, especialmente art. 15.
• Navarra: Ley foral 11/06.05.2002, sobre los derechos del paciente a las voluntades
anticipadas, a la información y a la documentación clínica, especialmente art. 9; merece
destacarse que en las voluntades anticipadas se podrán incorporar manifestaciones para
que, en el supuesto de situaciones críticas, vitales e irreversibles respecto a la vida, se
evite, el sufrimiento con medidas paliativas aunque se acorte el proceso vital, no se
prolongue la vida artificialmente por medio de tecnologías y tratamientos desproporcionados
o extraordinarios, ni se atrase abusiva e irracionalmente el proceso de la muerte (aunque
parece que cualquier actuación «abusiva e irracional» debe ser evitada, con instrucciones o
sin ellas).
• Cantabria: Ley de Cantabria 7/10.12.2002, de Ordenación Sanitaria de Cantabria,
especialmente art. 34.
• País Vasco: Ley 7/12.12.2002, de las voluntades anticipadas en el ámbito de la sanidad,
especialmente art. 2; distingue que las instrucciones sobre el tratamiento pueden referirse
tanto a una enfermedad o lesión que la persona otorgante ya padece como a las que
eventualmente podría padecer en un futuro, e incluir previsiones relativas a las
intervenciones médicas acordes con la buena práctica clínica que desea recibir, a las que
no desea recibir y a otras cuestiones relacionadas con el final de la vida.
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• Comunidad Valenciana: Ley 1/28.01.2003, de la Generalitat, de Derechos e Información al
Paciente de la Comunidad Valenciana, especialmente art. 17. Aunque la Ley estatal exige
mayoría de edad, ésta habla de una persona mayor de edad o menor emancipada.
• Baleares: Ley 5/04.04.2003, de Salud de las Illes Balears, especialmente art. 18.
• Castilla y León: Ley 8/08.04.2003, sobre derechos y deberes de las personas en relación
con la salud, especialmente arts. 8 y 30.
• Andalucía: Ley 5/09.10.2003, de declaración de voluntad vital anticipada. Aunque la Ley
estatal exige mayoría de edad, ésta habla de un mayor de edad o un menor emancipado
(art. 4). Por otra parte, es la única legislación que no se refiere a la intervención notarial,
sino al escrito, con la identificación del autor (no se sabe por qué medio), su firma, así como
fecha y lugar del otorgamiento, y que se inscriba en el Registro; después, por funcionarios
dependientes de la Consejería de Salud responsables del Registro, se procederá a la
constatación de la personalidad y capacidad del autor (tampoco dice cómo); parece que la
intervención notarial superará ambos escollos.
805 - CONSENSO INFORMATO: INIZIATIVA DI CONSIGLIERI DELL’EMILIA-ROMAGNA
Da: Maria Laura Cattinari ([email protected])
Inviato: venerdì 27 giugno 2008 13.39.06
Carissime/i, ricevo ora e, con molto piacere Vi inoltro, quanto ricevuto dal Consigliere
Regionale dell’Emilia Romagna, Gianluca Borghi.
I firmatari della proposta di risoluzione si erano con noi impegnati alla sua presentazione in
Assemblea legislativa come primo passo dell’iter che speriamo possa dare in breve concreti
risultati a tutela dell’autodeterminazione del malato e del morente.
Un caro saluto
Maria Laura Cattinari
Alla Presidente dell’Assemblea legislativa Regione Emilia-Romagna
RISOLUZIONE
L’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, richiamati
- l’articolo 13 (libertà personale) e l’articolo 32 (diritto alla salute) della Costituzione della
Repubblica Italiana;
- la legge n. 145 del 28/3/2001 con la quale il Parlamento Italiano ha ratificato la
Convenzione di Oviedo del 1997, che stabilisce all’articolo 9 “Desideri espressi in
precedenza” come “Al riguardo di un intervento medico concernente un paziente che al
momento dell’intervento non è in grado di esprimere il proprio volere, devono essere presi in
considerazione i desideri da lui precedentemente espressi”;
- la legge Cendon del 2004, di cui si è avvalsa di recente la signora Vincenza Santoro
Galani di Modena, affetta da sclerosi laterale amiotrofica, e che prevede per i malati di
mente così come per chi è temporaneamente incapace o sa di divenirlo la figura
dell’amministratore di sostegno: un fiduciario che, sulla base di un decreto del giudice
tutelare, può agire in nome e per conto del malato. Il giudice tutelare Guido Stanzani ha
dunque emanato un decreto nel quale nominava il marito amministratore di sostegno,
“autorizzato a compiere in nome e per conto della beneficiaria le seguenti operazioni:
negazioni di consenso ai sanitari a praticare ventilazione forzata e tracheotomia”.
Considerato come nel processo individuale all’autodeterminazione la salute, il diritto alla
salute e la libertà di scelta terapeutica sono alla base della dignità dell’essere umano che la
realtà deve riconoscere, sancire e tutelare quale bene supremo e inalienabile della libertà,
civiltà e della democrazia, fonte di coesione sociale, e lo stesso “Trattato che adotta una
Costituzione per l’Europa” (2004) all’Articolo 2 del Titolo I individua nel rispetto della “dignità”
dell’essere umano il suo primo fondamentale diritto;
alla luce dell’evoluzione della società e dei risultati scientifici applicati o applicabili alla
medicina, emerge non procrastinabile l’assunzione delle responsabilità del Legislatore nel
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tutelare l’integrità dell’essere umano nella sua piena dignità all’autodeterminazione, e tale
diritto passa anche attraverso il pieno rispetto del colloquio e del consenso informato nel
conseguente e inter-agente rispetto della libertà di pensiero, coscienza e religione.
Invita la Giunta regionale
ad assumere specifiche iniziative nei confronti delle strutture sanitarie dell’Emilia-Romagna
(all’interno dei percorsi terapeutici che garantiscono la qualità della cura e l’umanizzazione
del trattamento sanitario, nel rispetto del principio di partecipazione del paziente) che
assicurino nella fase di sottoscrizione del “Consenso informato” da parte del paziente
stesso, la possibilità di richiedere specifiche clausole che prevedano il rifiuto di tutti i
trattamenti sanitari per i quali il paziente non abbia espresso il proprio esplicito consenso.
Bologna, 23 giugno 2008
Gianluca Borghi - Massimo Mezzetti - Paolo Nanni
806 – LE VIGNETTE DI ALTAN – SOSPESI I PROCESSI
807 – LE VIGNETTE DI GIULIANO – INTERCETTAZIONI
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