IL PUNTO Le notizie di LiberaUscita Giugno 2008 - N° 47 SOMMARIO LE LETTERE DI AUGIAS 788 - Noi, cristiani tra la gente e lontani dal potere 789 - Quando il vescovo nega un matrimonio 790 - Cosa ci insegna l’abiura di Galileo 791 - La Chiesa senza voci di dissenso ARTICOLI E INTERVISTE 792 - I nuovi egoismi nati sul territorio – intervista ad Ulrich Beck 793 - La rinascita del particolare - di Carlo Petrini 794 - Se l’instabilità del mondo fa tremare la nostra casa - di J. Navarro-Valls 795 - Parroco di Firenze propone stop a crocifissi in scuole e uffici 796 - Vanità, invidia e calunnie: vizi capitali anche nella Chiesa- di Rita Dazzi 797 - Prodi: i leader della CEI sempre contro di me - di Marco Marozzi 798 - Il vescovo nega il matrimonio in chiesa ad un paraplegico 799 - Una firma per Davide 800 - Testamento di vita per scegliere come dire addio - di Jenner Meletti 801 - Anche in Italia sta cadendo il tabù - di Umberto Veronesi 802 - Quando i laici sono deboli - di Gianfranco Pasquino 803 - La coperta troppo corta - di Giovanni Sartori DALLA ASSOCIAZIONE 804 - Testamento biologico: la situazione in Spagna 805 - Consenso informato: iniziativa di consiglieri dell’Emilia-Romagna PER SORRIDERE… 806 – Le vignette di Altan – sospesi i processi 807 – Le vignette di Giuliano – intercettazioni LiberaUscita Associazione nazionale di promozione sociale, laica e apartitica, per la promozione dei diritti fondamentali della persona, per il testamento biologico e l’eutanasia Sede: via Genova 24, 00184 Roma - Telefono e fax: 0647823807 Sito web: www.liberauscita.it - email: [email protected] 788–NOI, CRISTIANI TRA LA GENTE E LONTANI DAL POTERE–DI CORRADO AUGIAS Da: la Repubblica di martedì 3 giugno 2008 Caro Augias, sono cattolico, credo in una Chiesa vicina al messaggio originario. Ho il dubbio che i valori fondanti del Popolo di Dio, lo stesso Corpo Mistico della Chiesa, siano diventati strumenti di propaganda e di esibizione di valori contraddetti dai quotidiani comportamenti dei nuovi paladini che, atei devoti, si fanno difensori interessati di principi che sempre hanno mostrato di non considerare propri e che oggi sono funzionali a mascherare un vuoto di fondo difficile da giustificare nell’ora del trionfo. Ciò nonostante sono convinto che negli innumerevoli luoghi dove, senza esibizione, si opera, concretamente, per il bene dei più deboli, contro i soprusi e per l’affermazione della giustizia si tenga viva l’essenza stessa dell’essere Popolo di Dio, nel modo più vicino alla natura del cristiano, cioè con la testimonianza. In questo senso mi permetto anche di contraddirla nel caso lei avesse letto rassegnazione nelle parole del cardinale Martini da voi pubblicate. Per chi crede, la preghiera non è rinuncia alla battaglia, tanto meno ammissione di sconfitta, è piuttosto ricerca del colloquio con Dio che conferma e rafforza nella fede, nella speranza che alla fine della corsa si possa aspirare a far proprie le parole dell’apostolo delle Genti «Ho combattuto la buona battaglia.., ho conservato la fede».. Maurizo Rudalli - Firenze - ulivirudalli.lex@virgilio. It Risponde Augias Sono contento di ricevere frequentemente lettere di cattolici che sentono la loro fede nel modo più intenso, non inquinato da considerazioni di potere e di denaro, eterna tentazione con la quale la Chiesa di Roma ha spesso dovuto lottare; quasi sempre soccombendo. Anzi, sconfitta al punto tale da vedere ampi settori di fedeli, intere nazioni, allontanarsi nel timore di restare contagiati dal morbo della mondanità. Mi dispiace di aver dato l’impressione di scorgere “rassegnazione” nelle parole del cardinale Martini. Le potremo comunque leggere meglio e integralmente in un libro (ora in traduzione) che sarà pubblicato in autunno per Mondadori. Non c’era alcuna rassegnazione nelle parole del cardinale, c’era piuttosto l’ennesima invocazione (anche attraverso la preghiera) tante volte levatasi nel corso dei secoli per una Chiesa più vicina a Gesù più lontana dalla politica e dall’odore del denaro. Insomma il messaggio di Francesco, per dare uno degli esempi più luminosi. Il povero di Assisi stimolava la fede con l’esempio della sua vita, i parlamentini dei vescovi (Conferenze episcopali) cercano di farlo, nei paesi in cui le condizioni politiche glielo permettono, premendo sui deputati e sui governi. Così facendo il loro messaggio, le loro pressioni, non riguardano più soltanto i fedeli ma l’intero corpus dei cittadini, i sentimenti dei singoli tendono a trasformarsi in quella religione civile di infausta e spesso insanguinata memoria. La politica frutta più della fede sul piano delle convenienze immediate; per rinunciarvi sarebbe necessaria molta meno religione molta più fede. 789 - QUANDO IL VESCOVO NEGA UN MATRIMONIO - DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di giovedì 12 giugno 2008 Caro Augias, ho letto con angoscia la notizia del vescovo di Viterbo che ha negato il matrimonio religioso ad un giovane impotente dopo un incidente. Ho avuto modo di frequentare reparti ospedalieri di urologia e di traumatologia spinale: ho visto gli uffici dei medici letteralmente tappezzati di fotografie di giovani uomini in carrozzella con un neonato in braccio e dediche tipo «Grazie Dottore!». Ho conosciuto mogli che mi hanno detto come, dopo incidenti gravi che li avevano letteralmente spezzati in due, i loro uomini fossero rinati anche loro dopo la nascita di quei bambini. Forse il vescovo di Viterbo non conosce gli ultimi progressi della scienza, forse preferisce tapparsi gli occhi. Da anni ormai, in caso di totale «impotenza copulativa», è possibile utilizzare l’inseminazione artificiale. Se il problema è invece quello dei rapporti coniugali nella 2 sessualità di coppia, ricordo ciò che disse in un’intervista Christopher «Superman» Reeves, dopo la caduta da cavallo che lo paralizzò dal collo in giù: l’atto della penetrazione non è l’unico tipo di amore coniugale, con un po’ di buona volontà e una moglie paziente il sesso può essere appagante anche in condizioni fisicamente difficili. Marina Pesavento - Milano Risponde Augias Il vescovo Chiarinelli di Viterbo negando il matrimonio in chiesa, era evidentemente preoccupato dalla possibilità che in quell’unione l’atto coniugale non sarebbe stato consumato, quindi impossibile il ‘bonum prolis’ secondo le modalità tradizionali. Il prelato deve aver tenuto presente l’articolo 1084 del Codice di diritto canonico: «L’impotenza copulativa antecedente e perpetua, sia da parte dell’uomo sia da parte della donna, assoluta o relativa, per sua stessa natura rende nullo il matrimonio». Infatti i tribunali della Sacra Rota sono pieni di cause di questo tipo e annullano per impotenza anche unioni da cui sono nati figli vivi e vegeti. Il vescovo Chiarinelli avrebbe anche potuto considerare il secondo comma dello stesso articolo: «Se l’impedimento di impotenza è dubbio, sia per dubbio di diritto sia di fatto, il matrimonio non deve essere impedito né, stante il dubbio, dichiarato nullo». Il cronista comunque non può aggiungere altro, ignorando come tutti (giustamente ignorando) i dettagli del caso. Ho avuto molte lettere nelle quali si rimprovera il vescovo, se ne addita la miopia, la mancanza di ‘amore cristiano’, si fa presente che il concepimento può essere assicurato anche con tecniche diverse da quella abituale. Francamente non sono d’accordo. Il vescovo ha agito secondo i dettami della giurisdizione propria del matrimonio concordatario, per l’appunto quella canonica. Avrebbe potuto comportarsi diversamente, sempre però restando all’interno di quel codice che è il suo. I cittadini hanno invece un altro codice che è l’ordinario Codice Civile dal quale sono diversamente tutelati. Essenziale è che le due giurisdizioni restino separate, che ci sia libertà di scelta, che chiuse le porte di una chiesa restino aperte quelle di un Comune. NDR. Sul tema, leggere la notizia successiva (n° 796) e relativo commento. 790 - COSA CI INSEGNA L’ABIURA DI GALILEO – DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di domenica 22 giugno 2008 Caro Augias, pochi ricordano che il 22 giugno è la data in cui la più grande intelligenza che ebbe in sorte di nascere nel Bel Paese, cioè Galileo Galilei, fu costretta a rinnegare se stessa. Ancora meno sanno che “I Massimi Sistemi”, proibito dall’Inquisizione romana, fu pubblicato in latino (1635) a Leiden (Olanda) dalla allora piccolissima casa editrice Elzevir, destinata a diventare una delle più grandi case editrici di testi scientifici al mondo, la Elsevier. Da noi ci vollero 124 anni (1757) prima che fosse revocata la proibizione a trattare del moto della Terra. Brevi cenni sul danno che la gerarchia della Chiesa Cattolica ha procurato allo sviluppo delle conoscenze scientifiche in Italia. Il dramma è che continua tuttora a farlo in molti modi. Uno è il contrasto, attuato con vari mezzi, nei confronti di qualunque sviluppo scientifico entri nel campo d’azione ritenuto “specifico” della religione — si vedano ad es. le bioscienze e la genetica, destinate a breve a modificare significativamente il nostro modo di vivere e di produrre. Un altro è la diffusione di un influsso pedagogico negativo per la formazione dei ragazzi perché spesso l’insegnamento religioso viene orientato verso l’affermazione di un anacronistico principio d’autorità - metafisica ma con vicario ben presente tra noi - antitetico ad un sano spirito scientifico. Anche questo contribuisce ad allontanare l’Italia da quegli sviluppi scientifici e tecnologici che ci possono permettere di competere con le nazioni sviluppate. Giovanni Mainetto - [email protected] Risponde Augias. 3 Ringrazio il prof Mainetto per avermi ricordato una ricorrenza così importante e trascurata. Vale la pena di rileggere almeno una parte della formula di abiura che questo genio settantenne fu obbligato a leggere, in ginocchio sulla nuda pietra, davanti ai suoi giudici, consapevole di avere lui ragione e i giudici torto: «Da questo santo Officio mi è stato intimato che dovessi abbandonare la falsa opinione che il Sole sia centro del mondo e che non si muova, e che la Terra non sia il centro del mondo e che si muova, e che non potessi tenere, difendere nè insegnare in qualsivoglia modo, nè in voce, né in iscritto la detta falsa dottrina; pertanto, volendo io levar dalla mente delle Eminenze vostre e d’ogni fedel Cristiano questo veemente sospetto che giustamente grava su di me, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et eresie, e giuro che per l’avvenire non dirò mai più, nè asserirò in voce o in iscritto cose tali per le quali si possa aver di me un simile sospetto». Galileo abiurò per svariate ragioni comprese forse quelle poco nobili che gli attribuisce Bertolt Brecht nel dramma omonimo. La recente e pregevole biografia di Egidio Festa (Laterza ‘07) offre comunque un quadro più completo. Tra le ragioni che lo indussero ad umiliarsi bisogna sicuramente includere il feroce valore di ammonimento che aveva avuto il rogo di Giordano Bruno a Roma, con il quale si era in pratica aperto l’anno santo 1600. Eroiche le parole con le quali il frate ribelle aveva accolto la sentenza di morte: «Forse con più timore pronunciate voi la sentenza contro di me, di quanto ne provi io nell’accoglierla». 791 - LA CHIESA SENZA VOCI DI DISSENSO – DI CORRADO AUGIAS da: la Repubblica di giovedì 26 giugno 2008 Caro Augias, la sua recente rubrica su Galileo ha messo in luce solo uno dei grandi errori delle gerarchie che causò danni enormi al nostro progresso scientifico. Ma, se guardo alle scelte fatte nel passato, non ce n’è una che possa essere giustificata, se non con la paura di perdere potere e privilegi. Nella mia vita ho avuto la fortuna di avere esperienze diverse da parte di singoli sacerdoti illuminati e, da adolescente, ho respirato l’aria che c’era ai tempi di Giovanni XXIII, del cardinale Lercaro di Bologna, del Concilio Vaticano Il. Mi sono sempre detta, nei momenti di crisi, «devo distinguere tra ‘fede’ e ‘gerarchia», la legge dell’amore e la fratellanza tra gli uomini sono il vero messaggio cristiano. Già durante il pontificato di Giovanni Paolo Il non mi trovavo d’accordo con il coro di lodi, ma mi pareva che i tempi del potere temporale fossero passati. Da quando è stato eletto questo papa, mi pare che tutte le remore siano state abbandonate. Gli interventi nella politica italiana, la richiesta pressante di denaro per le scuole confessionali, nonostante la cifra ottenuta con una legge iniqua come l’8 per mille, le dichiarate preferenze politiche, mi hanno fatto veramente vacillare nelle mie convinzioni. Perché dal cuore della Chiesa, assemblea di fedeli, non si alzano voci di protesta? Lia Frabboni - Bologna - liafrabboni@virgilio. T Risponde Augias Pochi giorni fa, prendendo congedo dalla sua carica di vicario papale per la città di Roma, il cardinale Camillo Ruini ha accennato qualche parola d’autocritica. Ha riconosciuto di aver pregato poco e di aver dato troppo poco amore. Si riserva di farlo in questa nuova fase della sua vita. Quando gli storici esamineranno a fondo che cosa ha voluto dire la presenza di quest’uomo abilissimo, un Cavour vaticano, per la storia italiana, se ne saprà certamente di più. Al momento noi possiamo dire con certezza che ha saputo trasformare la Conferenza dei vescovi (Cei), scassatissima quando ne prese ll governo nel 1986, in una potenza finanziaria e politica. Con la conseguenza di trasformare i vescovi che la compongono in obbedienti seguaci della linea dettata dall’alto. Quando la signora Frabboni chiede come mai dall’interno della Chiesa non si alzino voci di dissenso, una prima risposta è questa. Come fa un vescovo a dissentire se dalla Cei 4 dipendono i finanziamenti per rifare il tetto della cappella o il campetto di pallone? D’altra parte però, un libro come ‘L’anima e il suo destino’ diVito Mancuso (R. Cortina ed.) ha avuto una straordinaria diffusione, pur trattando un tema certo non semplice, proprio perché parla di un altro cristianesimo possibile dove le doti finanziarie e l’abilità politica non esauriscano le doti che si richiedono a un uomo di chiesa. Perché se nulla distingue l’agire di un uomo di chiesa dall’astuzia manovriera di un politico, del messaggio del ‘fondatore’ non resta più nulla e allora quelli che ci credono davvero preferiscono andarsene. Alla fine l’investimento potrebbe non essere così redditizio. 792 - I NUOVI EGOISMI NATI SUL TERRITORIO – INTERVISTA AD ULRICH BECK Di Riccardo Staglianò - da: la Repubblica di martedì 3 giugno 2008 Nel gioco della globalizzazione ci sono alcuni grandi vincitori e molti piccoli perdenti. Prosperano le élite transnazionali, i cui membri si trovano a loro agio tanto a Roma quanto a Parigi o Londra e che in ognuno di questi posti potrebbero consigliarvi un buon ristorante. Declina la classe media e sprofonda la working class che, spaventata di tutto, vede anche nel kebabbaro all´angolo una minaccia alla propria identità. Se c´è un pensatore europeo che ha avvertito prima degli altri di non trascurare il versante culturale di questo potente fenomeno economico è Ulrich Beck. Il sociologo tedesco ha infatti proposto, in vari libri, il più comprensivo termine di "cosmopolitismo". Gli abbiamo chiesto di commentare i motivi dietro alle recenti tensioni anti-immigrati e al richiamo sempre più frequente alla cultura locale in opposizione a quella degli "altri". In Italia si assiste, con nuova forza dopo la vittoria del centro destra, a una rinascita del localismo come risposta alla globalizzazione. Perché? «Dobbiamo renderci conto che la globalizzazione economica sta producendo ineguaglianze importanti. In un certo senso assistiamo a una sua vendetta. L´importante ora è capire cosa separa vincitori e perdenti in queste dinamiche social-economiche. Ebbene, la distinzione più importante è tra coloro che sono capaci di sfruttare relazioni transnazionali, ad esempio creando rapporti di lavoro crossborder, come accade nella delocalizzazione. E dall´altra parte quelli che non hanno questo tipo di apertura, che definiscono la loro identità da un punto di vista territoriale e che hanno la percezione di essere minacciati dall´invasione di questo loro spazio, anche ideale. Sono costoro quelli che più facilmente elaborano come risposta nuove forme di nazionalismo, un localismo che degenera spesso in razzismo e xenofobia. Questa faglia, sempre più profonda, è la linea dei prossimi conflitti culturali in Europa». Se questa è la linea di crisi dove si collocano i migranti, sempre più visti come portatori di minacce? «Pur essendo nella posizione sociale più bassa, i migranti sono diversi dalla working class locale perché, per attitudine, coraggio e legami familiari, hanno fatto e fanno l´esperienza di vivere in maniera transnazionale. Questa competenza, che gli autoctoni non hanno, aumenta il loro coefficiente di minacciosità. Così i perdenti della globalizzazione si sentono schiacciati tra l´incudine delle élite di cui parlavamo prima e il martello dei migranti, che affrontano il mare aperto con audacia. Un´audacia mal digerita, che tende a produrre razzismo e xenofobia». Esiste un modo per disinnescare questa reazione? «Restando calmi, evitando a tutti i costi di drammatizzare. Una quota di xenofobia fa parte della normale dialettica politica, è sempre esistita e sempre esisterà. Ma le cronache recenti cominciano a farci dubitare che questa consapevolezza basterà a evitare escalation. Ciò che si deve scongiurare, in Italia e altrove, è una reazione ambigua da parte della politica. Perché se questo localismo xenofobico si sentisse anche indirettamente legittimato dalle istituzioni allora diverrebbe davvero un grosso problema. In Germania, sinora, le risposte politiche ai vari fatti di violenza contro gli immigrati sono state molto nette e molto forti». 5 Sino a quando la globalizzazione riguardava le merci la sua critica veniva essenzialmente dalla sinistra radicale. Oggi che sempre più investe le persone è diventata appannaggio della destra. Perché? «La retorica antiglobalizzazione è andata a riempire un vuoto lasciato dagli intellettuali che non hanno avuto risposte adeguate alle sfide culturali che il fenomeno presenta. Hanno continuato a praticare una sorta di nazionalismo metodologico, nel senso di non aggiornare le loro idee a un contesto transnazionale. Anche la politica e i sindacati sono rimasti, in un mondo che si apriva sempre più, tenacemente attaccati ai confini statuali. La sinistra non volendo guardare in faccia l´ineluttabilità di certi processi, la destra rispolverando quel vecchio arnese del nazionalismo». Nel suo bestseller il nostro ministro dell´Economia Giulio Tremonti propone di usare tradizione e religione come argini all´invasione dei nuovi barbari. Concorda? «Usare la religione come amuleto anti-globalizzazione mi sembra assai contraddittorio. Tanto più se a farlo sono politici di formazione cattolica, com´è probabilmente il caso del vostro ministro. Credere in Cristo è aprirsi alla comunità dei credenti ben oltre i confini nazionali. L´evangelizzazione nel mondo è stata una delle utopie chiave del cristianesimo. I cristiani - ma anche gli islamici con la loro ummah - sono stati tra i primi globalizzatori della storia. Gesù arrivò a dire ai suoi discepoli che i legami con la famiglia non avrebbero mai dovuto ostacolare la loro fede. Quello delle origini era un chiaro messaggio di inclusione. Oggi invece l´uso che certi pensatori neoliberali fanno della religione è di tipo esclusivo: mette ostacoli, introduce l´opposizione tra credenti e non credenti (o credenti di un´altra religione)». C´è chi ha visto, in certe sparate di alcuni esponenti della destra italiana, rigurgiti della retorica del «suolo e sangue» che ha già prodotto sufficienti catastrofi nel secolo scorso. Rischiamo bis del genere? «Mi limito a dire che forze politiche responsabili non dovrebbero assolutamente lasciare i richiami alla tradizione e alla religione a chi li usa in un quadro di neo-nazionalismo. Sono forze evocative troppo importanti per consentire che vengano sequestrate da chi le piega in chiave xenofoba. L´attenzione alle comunità locali, alla loro cultura, va declinata in una prospettiva comopolita. Si può serenamente coltivare l´orgoglio del passato coniugandolo con l´apertura verso il mondo esterno, ottenendone esiti proficui sia dal punto di vista economico che da quello culturale. Un cosmopolitismo beninteso, ovvero un approccio alla globalizzazione che non né trascuri il coté culturale, deve avere sia radici che ali, essere capace di difendere la tradizione ma anche di volare». 793 - LA RINASCITA DEL PARTICOLARE - DI CARLO PETRINI da: Repubblica di martedì 3 giugno 2008 È normale che in una fase storica caratterizzata dalla globalizzazione emergano con forza idee di senso diametralmente opposto. Le storture generate dai processi di mondializzazione non possono che dare vita a reazioni più o meno "arrabbiate", le quali spesso tendono ad arroccarsi in un´idealizzazione della dimensione locale, utilizzandola come strumento di difesa nei confronti di pericoli che vengono da lontano, e generalmente basandosi su un qualche principio di chiusura verso l´esterno da parte di determinati territori, regioni o comunità. La parola "localismo" evoca questi scenari: una chiusura, una barricata - anche ideologica contro la globalizzazione e il diverso che ci insidia, una contrapposizione culturale atta più a preservare e difendere che a costruire. È per questo che è difficile connotare il termine in maniera positiva pur considerando che, nel mondo d´oggi, il recupero della dimensione locale è una cosa dalla quale non si può più prescindere. È dunque forse meglio utilizzare un´altra parola chiave: "locale", che a 6 differenza di "localismo" ci parla di una dimensione concreta, di uno spazio reale in cui agire e attuare delle idee innovative e virtuose. È chiaro che non porre attenzione a temi come la salute del Terra e degli ecosistemi, alle iniquità generate da sistemi distributivi ed economici su scala planetaria o a crisi energetiche e alimentari che ormai ci coinvolgono tutti significa commettere un errore madornale. Rinunciare a una visione più ampia per concentrarsi sul proprio ombelico non è soltanto egoista, ma ci catapulta fuori dal mondo. Un mondo in cui se è vero che la globalizzazione, intesa come processo principalmente economico, ha creato un mare di problemi, è altrettanto vero che da un punto di vista più "spirituale" ci ha aperto gli occhi sul nostro far parte di un´unica comunità terrestre, che si trova a condividere un unico destino semplicemente in quanto abitante lo stesso pianeta. L´importanza del patrimonio identitario dei popoli non è un valore negativo. La propria storia, la memoria, le tradizioni e la porzione di pianeta che ci tocca amministrare - e che prima di noi hanno amministrato i nostri avi - parlano per noi, ci rendono essere umani. La grande scommessa di questa fase storica sarà dunque quella di riuscire ad avere una visione centrata sulla dimensione locale, che sappia però conciliarsi con la maggiore apertura possibile nei confronti della nostra comunità terrestre. Si tratta di riuscire a spogliare il locale da tutte quelle connotazioni di eccessivo conservatorismo e chiusura per farne un vero elemento di modernità, anzi, di post-modernità, per andare oltre le ideologie che hanno provato a guidarci sin qui. Di fronte al mutamento climatico e al disastro ambientale, alla crescente scarsità di cibo e allo spopolamento delle campagne, a processi come la finanziarizzazione delle commodity alimentari o la privatizzazione di beni comuni come l´acqua, l´unico modo per rendere partecipi le persone, per liberarle da un senso di estraniamento legato a processi che sembrano irrimediabilmente più grandi di loro, è quello di ridare dignità e forza alle economie locali. Il locale diventa uno spazio creativo e costruttivo, in cui l´identità, la memoria e le tradizioni esercitano forze di liberazione da stili di vita insostenibili, imposti da logiche consumistiche e da un´economia liberista sfrenata. Tutto ciò però, s´è detto, non deve dare vita a forme di chiusura ma anzi, deve far sua una logica in cui alla competitività si sostituisce la cooperazione, per costruire delle nuove frontiere di bene comune. L´identità infatti nasce dallo scambio, dal confronto tra diversità e solo in un funzione della diversità essa si esprime. L´interrelazione e l´interdipendenza non devono venire meno, proprio come avviene nelle società contadine che praticano regole di buon vicinato. Qualsiasi forma di economia locale che escluda scambio e apertura è destinata alla regressione, qualsiasi identità, tradizione o memoria che non si confronti con le altre è destinata a morire. Parlare di mero localismo induce a cadere nell´errore di considerare nuove forme di autarchia o di nostalgia per il ritorno a un passato in cui il confine tra l´autosufficienza e la povertà è davvero troppo labile. È dunque meglio proporre un processo che badi sì al locale, ma soprattutto alla ricostruzione di moderne economie locali in tutto il mondo. Ricostruzione è un´altra parola chiave: se per esempio pensiamo all´agricoltura, il settore più delicato e strategico in un periodo in cui si prospettano gravissime crisi ambientali, energetiche e alimentari, abbiamo a che fare piuttosto con un processo di ri-localizzazione. Ridare dignità al lavoro contadino, invogliare a un ritorno nelle campagne o non al loro abbandono, rendere il mondo rurale un luogo in cui è piacevole vivere e non mancano i servizi, mantenere vive le tradizioni, i saperi contadini, la capacità di produrre in sintonia con il proprio ambiente, senza sprechi o sovrasfruttamento delle risorse. Il locale è lo spazio in cui far convergere i bisogni di un mondo in crisi con la riaffermazione dell´individuo e della sua appartenenza a una comunità viva e produttiva. In cui realizzare 7 una vera democrazia partecipativa e dare un contributo alla produzione e al commercio sostenibili, alla razionalizzazione della produzione e del consumo di energia, in cui sentirsi qualcuno e non aver paura del diverso. Tutto questo è da ricostruire, perché c´era ma è stato travolto dall´omologazione della globalizzazione economica. È quindi importante partire dal passato, dalla storia e dalla memoria locale per superare addirittura la modernità e diventare vera avanguardia di un mondo che sia sano e amico dell´uomo, che non traballi più sotto i colpi di un produttivismo esagerato e irrispettoso della natura, che renda giustizia anche all´uomo stesso. Non buttiamo via identità e tradizioni, ma non facciamone neanche una bandiera per nuove contrapposizioni tra gli uomini e tra uomo e natura. Utilizziamole per sapere chi siamo, che cosa abbiamo da dire e per fare frutto sul terreno in cui siamo cresciuti. Mettiamo a disposizione le più moderne tecnologie e risorse perché le economie locali funzionino e non restino isolate, ma piuttosto possano proliferare in Rete, capaci di comunicare e di scambiare tra di loro come mai è avvenuto in passato. Dire che è necessario un ritorno al locale, alle economie locali, è come dire che c´è bisogno di un ritorno al valore della diversità, il più grande elemento creativo che sia mai esistito. Ce lo insegna la Natura del resto: dove c´è tanta biodiversità è la Natura stessa che pone rimedio alle crisi, che trova al suo interno le soluzioni per propagare la vita e l´abbondanza. Le società umane ormai dovrebbero aver imparato la lezione: senza la diversità di culture, tradizioni, modi di coltivare e preparare il cibo, di trarre energia dalle risorse naturali in modo assennato faremo del male al nostro stesso habitat, ma più di tutto a noi stessi. Nella dimensione locale impariamo a gestire bene e con cura la porzione di mondo che ci è affidata, ma più di tutto esprimiamo la nostra diversità, in cooperazione con un numero enorme di altre diversità: diamo il nostro contributo fondamentale perché il mondo resti un posto meraviglioso in cui vivere. 794-SE L’INSTABILITÀ DEL MONDO FA TREMARE LA NOSTRA CASA - DI J. N. VALLS da: la Repubblica di martedì 3 giugno 2008 Il 1989 non è stato soltanto l´anno dei grandi cambiamenti del mondo, della chiusura degli equilibri politici del dopoguerra, ma è stato soprattutto il momento a partire dal quale ha avuto inizio quel processo storico che viene comunemente rappresentato con il termine globalizzazione. Da quel che se ne sa, la globalizzazione si presenta come un´idea della società intrinsecamente legata ormai a dinamiche mondiali, cioè non più né continentali, né tanto meno nazionali, le quali si rendono visibili sempre a livello locale. La globalizzazione si presenta, però, piuttosto come una "glocalizzazione" universale. Si tratta di un´immagine a dire il vero poco piacevole del mondo, rappresentato come un intero globale uniforme fortemente segnato, paradossalmente, di accenti locali. Il paradigma di questa situazione si è imposto soprattutto dopo l´11 settembre. In effetti, quella particolare tragedia ha concentrato efficacemente l´intero globo multimediale in un solo e unico luogo della terra. Il volto del pianeta è divenuto, cioè, talmente interattivo da rendere ormai ogni persona parte di un tutto sociale complessivo, trasformando anche il rischio internazionale del terrorismo in un fenomeno percepibile a livello locale. Questa sorta di "glocalizzazione" non è una diagnosi nuova, benché invero se ne sia parlato molto ultimamente. Il caso è stato descritto, ad esempio, splendidamente nelle illuminanti riflessioni di Roland Robertson sul glocal, riprese successivamente da Ulrich Beck. L´analisi consiste, in definitiva, nel riconoscimento di una piena fusione di locale e globale ovunque, la quale giunge a far temere conclusioni catastrofiche, addirittura apocalittiche, come nelle prefigurazioni funeste di Francis Fukuiama sulla "fine della storia" o di Samuel Huttington sullo "scontro di civiltà". In realtà, benché, come ha osservato Athony Giddens, le suddette analisi siano profondamente diverse tra loro, esse sono, tuttavia, riassumibili in una coerente idea 8 pessimistica del futuro. Un punto comune importante è costituito, cioè, dall´idea di una società liquida, come la descrive il sociologo Bauman, dominata dall´instabilità dei valori e dei riferimenti. Il mondo attuale sarebbe sempre più simile a un´enorme pista di ghiaccio senza alcuna frontiera, in cui tutti scivolano cadendo senza sosta e senza termine. Anche lo stesso Bauman, recentemente, ha usato l´espressione "glocalismo" per intendere questa specifica definizione di globalizzazione, nella quale tutto il mondo diviene una specie di grande giungla economica senza vincoli e controlli, sottoposto al dominio e all´interesse dei poteri economico-locali presenti nei singoli territori. Davanti a queste tendenze glocalizzanti, sono state tentate nell´ultimo decennio anche alcune terapie, per quanto inefficaci esse siano poi risultate. Quella più famosa è il cosiddetto "protezionismo locale". La più elaborata forma politica di questa risposta è stata quella tentata dagli Stati Uniti nei due mandati presidenziali di Bush. Si è trattato di una reazione molto forte all´incontrollata indeterminazione del mercato e all´incognita terroristica, attuata attraverso un controllo militare espansionistico dell´Occidente nel territorio mediorientale. Se, cioè, la globalizzazione diviene il "glocalismo economico" che abbiamo detto, allora è possibile arginare il fenomeno del rischio soltanto utilizzando lo scomparire dei limiti e dei confini per attuare una specifica egemonia politica internazionale dell´Occidente. Le guerre in Afganistan e in Iraq sono state fatte esattamente per realizzare questo scopo: neutralizzare il terrorismo con una presenza e un controllo militare ed economico della Nato in loco, sotto l´egida unilaterale degli Stati Uniti. Oggi, d´altra parte, malgrado la conclusione tutto sommato fallimentare della politica di Bush, stanno presentandosi altre forme di reazione simili alla precedente anche in Europa, tutte all´insegna del solito "protezionismo locale". I Paesi occidentali sentono l´esigenza, cioè, continuamente perlomeno di arginare, con la politica o con la forza, l´invadenza del globalismo economico, proteggendo le proprie comunità e i rispettivi mercati dalla spinta che proviene dai Paesi emergenti, Cina e India in primis. Il fatto, poi, che il soggetto che esprime questa politica di protezionismo e di egemonia chiusa voglia essere adesso l´Europa, piuttosto che gli Stati Uniti, non cambia in nulla il risultato. È possibile immaginare, cioè, molti nuovi tipi di protezionismo locale, da quello contro l´immigrazione, a quello contro i prodotti commerciali esteri. Tali soluzioni, però, alla fine sembrano rimanere nel complesso molto fragili. Se la casa sta crollando, infatti, io non posso chiudermi in camera, perché in tal caso finirò per trasformare la mia stanza in una tomba. È possibile però, al contrario, figurare una soluzione diversa al globalismo del mercato che non sia né il "protezionismo locale", né l´abbandono al "mercantilismo" incontrollato. Si potrebbe pensare, cioè, la mondializzazione non più come un fenomeno da cui difendersi, ma come un´opportunità positiva in cui attuare una distribuzione diversa dei diritti umani nel mondo. L´atteggiamento dei Paesi occidentali, invece di chiudersi o di lasciare essere il mercato a se stesso, potrebbe essere protagonista di una trasformazione dei mercati globali, partendo dal rafforzamento o dalla creazione, quando è il caso, di strutture politiche locali nuove, autoctone e democratiche, interne ai diversi Stati. Se, in effetti, i Paesi occidentali riuscissero a livello internazionale a imporre una codificazione dei diritti umani e delle regole fondamentali del diritto pubblico, valida anche a livello locale, allora potrebbero esservi maggiori possibilità che i diversi mercati, per essere competitivi, possano nel futuro riformarsi e adattarsi a dei criteri di giustizia universali, migliorando la partecipazione democratica dei cittadini alla formazione politica dei loro rispettivi governi. Se, cioè, il fine della politica occidentale non fosse più quello di esprimere un´egemonia protezionistica o militare, "glocalizzata" nei diversi luoghi di interesse, ma quello di produrre una trasformazione reale delle società, allora è chiaro che il processo di globalizzazione finirebbe per diventare un grande programma di democratizzazione globale e generalizzata 9 del pianeta. D´altronde, alcuni problemi chiave, come l´ambiente o il terrorismo, e alcune soluzioni preminenti, come la piaga della povertà e delle malattie, spingono già in questa direzione, perché non possono essere affrontati e risolti se non a un livello massimamente generale. E risolvere a livello internazionale questi problemi è possibile soltanto se una serie di diritti umani non soltanto vengono affermati e riconosciuti da alcuni Stati del mondo, ma se essi assumono una validità universale e vincolante per tutti. Ciò perché non è l´espansione dell´influenza dell´Occidente nelle altre aree del mondo a permettere una gestione equilibrata della globalizzazione, ma la spinta a una trasformazione dei mercati esterni all´area occidentale in rapporti economici conformi a standard di vita e di democrazia compatibili con il valore universale dei diritti umani. Non è, cioè, diventando occidentali, ma diventando umani e democratici che i mercati assumono una forma sociale realmente adeguata al progresso del mondo. In quest´ultima prospettiva, la globalizzazione potrebbe divenire addirittura sinonimo reale di eguaglianza, di democrazia e di progresso, un´occasione cioè di miglioramento effettivo del livello di diritti che ogni uomo possiede universalmente in quanto tale. Magari anche con qualche aggiunta nazionale o locale che sia. 795 – PARROCO DI FIRENZE PROPONE STOP A CROCIFISSI IN SCUOLE E UFFICI da: AGI – 3.6.2008 Sostituire il crocifisso, nelle aule scolastiche e negli uffici pubblici, con la Costituzione. E' quanto propone il provocatorio don Alessandro Santoro, parroco fiorentino già autore di iniziative che hanno destato scalpore, come lo sciopero della fame contro l'ordinanza sui lavavetri. Il 'Don' ha illustrato la sua idea in una lettera scritta ieri in occasione del 2 giugno e pubblicata oggi da alcuni quotidiani locali. "Non più il crocefisso, non più segni religiosi di qualsiasi tipo negli uffici e spazi pubblici afferma don Santoro - ma i nostri dodici principi fondamentali, carta comune di riferimento per chi vive e abita nel nostro paese". Una proposta che nasce, spiega Don Santoro, dalla riflessione che i simboli religiosi, tra cui il crocifisso, oggi non uniscono ma rischiano di dividere. Secondo il sacerdote, la proposta di riaffermare il valore dei principi contenuti nella carta fondamentale e' "importante e necessaria soprattutto in questi tempi di insopportabili riflussi xenofobi e razzisti in cui occorre rimettere in gioco quei principi su cui sono costruite la nostra convivenza democratica e la nostra cittadinanza". Non manca, nella lettera, anche una dura critica al modo in cui è stata festeggiata la festa della repubblica: "Invece di assistere all'ennesima inutile parata militare che niente ha a che fare con il senso della Repubblica avrebbe potuto essere il giorno in cui avremmo potuto festeggiare la nostra straordinaria Costituzione repubblicana". 796-VANITÀ, INVIDIA E CALUNNIE: VIZI CAPITALI ANCHE NELLA CHIESA – R. DAZZI da: la Repubblica di giovedì 5 giugno 2008 Una durissima lezione per gli uomini di Chiesa, peccatori come tutti gli altri uomini. E un severo ammonimento ai preti: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo. Occorre un vero rinnovamento della mente». Malato e sofferente per il Parkinson, pensava di non farcela, il cardinale Carlo Maria Martini, a predicare gli esercizi spirituali. E invece, appena tornato da Gerusalemme, è arrivato fino a Galloro, vicino ad Ariccia, alla casa dei gesuiti, dove si recano i sacerdoti a meditare. E con loro, interrompendo le omelie di tanto in tanto per sottoporsi ai controlli clinici, è stato molto chiaro, commentando i brani della lettera di San Paolo al romani, dove si parla del peccato: «Tutti questi peccati, nessuno escluso, sono stati commessi nella storia del mondo, ma non solo. Sono stati commessi anche nella storia della Chiesa. Da laici, ma anche da preti, da suore, da religiosi, da cardinali, da vescovi e anche da papi. Tutti». Una vera e propria 10 lezione sui "vizi capitali" della Chiesa d´oggi, senza nessun timore di dire cose sgradevoli. Anzi con la certezza di offrire «una pista di riflessione». Martini ha voluto parlare dei «peccati che interessano proprio noi come chierici»: anzitutto i peccati "esterni", come le fornicazioni, gli omicidi e i furti, precisando «questi ci toccano meno di altri, ma comunque ci riguardano anch´essi». E poi è passato ad esaminare «le cupidigie, le malvagità, gli adulteri». Ha ammonito: «Quante bramosie segrete sono dentro di noi. Vogliamo vedere, sapere, intuire, penetrare. Questo contamina il cuore. E poi c´è l´inganno, che per me è anche fingere una religiosità che non c´è. Fare le cose come se si fosse perfettamente osservanti, ma senza interiorità». L´arcivescovo emerito di Milano ha parlato poi dell´invidia, «il vizio clericale per eccellenza: l´invidia ci fa dire "Perché un altro ha avuto quel che spettava a me?". Ci sono persone logorate dall´invidia che dicono "Che cosa ho fatto di male perché il tale fosse nominato vescovo e io no?"». E ancora: «Devo dirvi anche della calunnia: beate quelle diocesi dove non esistono lettere anonime. Quando io ero arcivescovo davo mandato di distruggerle. Ma ci sono intere diocesi rovinate dalle lettere anonime, magari scritte a Roma... ». Carlo Maria Martini, vescovo per 22 anni a Milano, sente il dovere di parlare esplicitamente ai giovani preti, auspicando un rinnovamento: «Devo farlo perché sarà l´ultimo ritiro, fa parte delle scelte che fa una persona anziana e in dirittura d´arrivo, ci sono cose che devo dire alla Chiesa». La sua lezione continua giorno dopo giorno durante la settimana di ritiro spirituale. «San Paolo parla del "vanto di fare gruppo", di coloro che credono di fare molti proseliti, di portare gente perché così si conta di più. Questo difetto grave è molto presente anche nella Chiesa di oggi. Come il vizio della vanagloria, del vantarsi. Ci piace più l´applauso del fischio, l´accoglienza della resistenza. E potrei aggiungere che grande è la vanità nella Chiesa. Grande! Si mostra negli abiti. Un tempo i cardinali avevano sei metri di coda di seta. Ma continuamente la Chiesa si spoglia e si riveste di ornamenti inutili. Ha questa tendenza alla vanteria». Non fa nomi, Martini, se non quello del papa Benedetto XVI, citato tre o quattro volte, affettuosamente: «Dobbiamo ringraziare Dio di averlo, anche se poi abbiamo qualcosa da criticare». Ma Martini è come se volesse anche mettere in guardia Ratzinger quando, riprendendo le parole del papa, mette in guardia i preti dal «vanto terribile del carrierismo»: «Anche nella Curia romana ciascuno vuole essere di più. Ne viene una certa inconscia censura nelle parole. Certe cose non si dicono perché si sa che bloccano la carriera. Questo è un male gravissimo della Chiesa, soprattutto in quella ordinata secondo gerarchie perché ci impedisce di dire la verità. Si cerca di dire ciò che piace ai superiori, si cerca di agire secondo quello che si immagina sia il loro desiderio, facendo così un grande disservizio al Papa stesso». Un quadro fosco, che il grande biblista, dettaglia, come può solo chi conosce dall´interno i meccanismi di potere della Chiesa: «Purtroppo ci sono preti che si pongono punto di diventare vescovi e ci riescono. Ci sono vescovi che non parlano perché sanno che non saranno promossi a sede maggiore. Alcuni che non parlano per non bloccare la propria candidatura al cardinalato. Dobbiamo chiedere a Dio il dono della libertà. Siamo richiamati a essere trasparenti, a dire la verità. Ci vuole grande grazia. Ma chi ne esce è libero». Commento. Dice il cardinale Martini rivolto alla Chiesa: “Ci piace più l´applauso del fischio, l´accoglienza della resistenza”. E la memoria va a Papa Ratzinger, che ha rinunciato a parlare all’Università La Sapienza di Roma soltanto perché 77 docenti (su 4.000 circa) avevano inviato al Preside una lettera criticando la sua iniziativa di invitare il Capo della Chiesa e di uno Stato estero a tenere una “Lectio magistralis” nella sede della scienza romana. 797 - PRODI: I LEADER DELLA CEI SEMPRE CONTRO DI ME - DI MARCO MAROZZI da: la Repubblica di sabato 7 giugno 2008 11 «Dissi di essere un cattolico adulto. La frase non mi è stata mai perdonata. Con la presidenza della Conferenza episcopale, ho avuto l´impressione di scontrarmi con un´opposizione politica». Romano Prodi cerca di organizzare la sua vita da ex, ma rivive ancora con amarezza il rapporto con uno degli interlocutori a cui teneva di più. La Chiesa cattolica. Le sue difficoltà terribili come capo di un governo di centrosinistra le ha raccontate anche a La Croix, il più grande quotidiano cattolico francese. «Mai sono stato intervistato dall´Avvenire, il giornale italiano di ispirazione cattolica, mentre La Croix mi ha dedicato due pagine nel maggio 2007». Prodi non è mai stato intervistato non solo dal giornale della Cei, nemmeno - a differenza di Silvio Berlusconi - dall´Osservatore Romano. Organo della Santa Sede. Le differenze volute bruciano sulla pelle del professore cattolico che il 31 maggio ha festeggiato i 39 anni di matrimonio, padre di due figli, nonno di quattro nipoti. Ha scritto un suo amico dagli anni di Reggio Emilia, Raffaele Crovi, cattolico, intellettuale anche democristiano, in "Nerofumo", profetico romanzo poco prima della morte: «Perché la Curia Vaticana, ai politici cattolici praticanti e osservanti dei comandamenti, preferisce i politici laici, magari puttanieri, ma osservanti». E Crovi, vaticinando la caduta del governo Prodi, fa rispondere a un monsignore: «Perché i cattolici praticanti, ritenendosi parte della Chiesa, mettono bocca nelle scelte delle autorità ecclesiastiche, mentre i laici, senza far domande, mettono mano alla borsa». Prodi, che il libro ha ricevuto, scansa i rimandi. Né parla di politica italiana. «Aspettiamo che il polverone si fermi» dice ai pochi fedelissimi superstiti. «Coerenza e discrezione» ripete, sono il suo atteggiamento rispetto alla Chiesa. A La Croix - fra un cenno all´unica udienza da Benedetto XVI e un affettuoso dilungarsi sugli incontri con Giovanni Paolo II - ha raccontato l´amarezza «soprattutto per le critiche delle gerarchie cattoliche quando adottai provvedimenti in favore degli esclusi». «Telefonai anche per dir loro che prima comunque non c´era niente. Non mi hanno risposto». Rapporto di spine con Camillo Ruini, l´allora presidente della Cei e rimasto potentissimo, anche se da un anno la Conferenza è guidata da Angelo Bagnasco. Il reggiano Ruini fece conoscere e sposò Prodi e Flavia, né fu assistente, ma ruppe per sempre quando, dopo il crollo della Dc, chiese all´allora discepolo di guidare la rinascita di un partito cattolico. Ottenendo un rifiuto da colui che già pensava all´Ulivo. Prodì rivendica quel «cattolico adulto» con cui si definì quando andò a votare nel referendum sulla fecondazione assistita. Non rispettando - pur votando da cattolico osservante - la chiamata di Ruini all´astensione. Richiamandosi piuttosto a De Gasperi che disobbedì a Pio XII che voleva l´alleanza Dc-Msi al Comune di Roma. 798 - IL VESCOVO NEGA IL MATRIMONIO IN CHIESA AD UN PARAPLEGICO Si sono sposati con rito civile in un'ospedale romano un giovane paraplegico e la fidanzata cui il vescovo di Viterbo, Lorenzo Chiarinelli, come sostengono i familiari, ha negato il matrimonio religioso per «impotenza copulativa»: un'incapacità a procreare causata da gravi lesioni riportate in un incidente stradale avvenuto circa due mesi fa. Il matrimonio è stato celebrato questa mattina dal deputato e consigliere comunale Ds di Viterbo Ugo Sposetti, delegato dal sindaco della città Giulio Marini. Accanto agli sposi c'era anche il parroco della chiesa in cui i due si sarebbero dovuti sposare con il rito religioso. Dopo le nozze celebrate all'interno del «Cto» di Roma è stata organizzata una festa nuziale cui sono stati invitati anche degenti, medici e infermieri che assistono lo sposo. Il caso è stato segnalato dal quotidiano «Il Messaggero». «I termini della questione non sono quelli raccontati: a chi di dovere sono state offerte tutte le motivazioni di una realtà che non dipende nè da discrezionalità nè dall'intenzionalità dei soggetti»: lo si afferma in una nota diffusa oggi dalla curia di Viterbo in merito alla vicenda della giovane coppia alla quale il vescovo ha negato il matrimonio con rito religioso in quanto lo sposo di 26 anni non 12 potrebbe avere rapporti sessuali per i postumi di un incidente stradale che lo ha reso paraplegico. «Tutto è stato fatto nella condivisione sincera della situazione e con ogni attenzione umana e cristiana - si afferma ancora nella nota della curia - Il precetto d'amore di Cristo è per noi, sempre, norma di vita, nell'ordinario e nello straordinario». In pratica la curia non smentisce il diniego ma lo definisce «condiviso» e, soprattutto, imposto dal diritto canonico, quindi «non soggetto a discrezionalità» o «intenzionalità». Il vescovo di Viterbo, Lorenzo Chiarinelli, afferma che non avrebbe potuto comportarsi in modo diverso da quanto ha fatto. «L'amarezza per il modo inadeguato e pretestuoso in cui è stata presentata la vicenda - conclude la nota della Curia - non fa che aumentare la solidarietà affettuosa per chi è in sofferenza e ricordare che "la verità vi farà liberi"». Commento. Dunque: negare il matrimonio in chiesa ad un giovane cattolico perché paraplegico non è stata una decisione singola del vescovo di Viterbo bensì dettata dal “diritto canonico”, legge inderogabile della Chiesa. Analogamente, il funerale in chiesa al cattolico Welby non è stato negato dal parroco di San Giovanni Bosco, bensì dal diritto canonico. E poi ci vengono a raccontare, le stesse persone che magari sono poi incriminate per violenza sessuale, che “Il precetto d'amore di Cristo è per noi, sempre, norma di vita, nell'ordinario e nello straordinario”. Strana interpretazione dell’amore, della compassione e della pietà verso il prossimo che il Cristo ha predicato ed attuato nella sua vita. Senza parlare del principio della “libera autodeterminazione”, sempre conclamato e mai attuato. Comunque, alla fine, meglio un contratto civile che di comune accordo può essere sciolto piuttosto che un sacramento vincolante per l’intera vita. (gps) 799 - UNA FIRMA PER DAVIDE Riportiamo qui sotto le notizie relative al caso di Davide, il bimbo di Foggia affetto dalla sindrome di Potter, nato senza reni e sottratto dai giudici alla potestà dei genitori per sottoporlo a dialisi. I documenti sono tratti da: www.micromega.net L’appello dello zio di Davide "Davide è mio nipote. Vi sarò molto grato se vorrete firmare la petizione e darle in qualche modo visibilità. Davide è nato il 28 aprile agli Ospedali Riuniti di Foggia. Subito dopo la nascita è stato trasportato in terapia intensiva neonatale per uno pneumotorace. Nelle ore, nei giorni successivi le notizie si sono susseguite, in un crescendo che ha via via eroso la speranza: Davide forse non ha i reni, Davide certamente non ha i reni, Davide ha la sindrome di Potter. Nome simpatico per una malattia terribile. I bambini affetti da sindrome (o sequenza) di Potter non hanno i reni, hanno i piedi torti, non hanno o hanno poco sviluppati gli ureteri e la vescica, hanno malformazioni al viso (facies di Potter) e, nel 60% dei casi, malformazioni intestinali ed anorettali. Nel caso di Davide, a ciò si aggiunge l’altissima probabilità di danni cerebrali per mancanza di ossigeno durante il parto. La prognosi per la sindrome di Potter è “costantemente infausta” (R. Domini-R. De Castro, Chirurgia delle malformazioni urinarie e genitali, Piccin, Padova 1998, p. 96). Quasi tutti i bambini affetti da questa malattia muoiono subito dopo il parto. Nel caso di Davide, le cose vanno diversamente. Il bambino sopravvive alle prime ore. Nei giorni successivi le sue condizioni polmonari migliorano, fino a non rendere più necessaria la respirazione artificiale. Nel raccontare i nudi fatti abbiamo tralasciato di riferire lo stato d’animo dei genitori. Non occorre spendere molte parole: ognuno può figurarselo. I genitori di Davide passano dalla felicità per la nascita al dolore, alla speranza che cerca di alimentarsi frugando nelle pieghe dei resoconti dei medici. I quali, però, di speranze non ne lasciano. L’indicazione che ricevono dai sanitari è chiara: un bambino con quella malattia non può sopravvivere, insistere sarebbe egoismo. Si rassegnano, comprendono. E’ doloroso, ma bisogna fare i conti con la realtà. Quando Davide comincia a respirare da solo, la situazione cambia di colpo. Ai genitori, che con non poca sofferenza hanno accettato una situazione così 13 disperante, si chiede ora di fare una scelta: evitare ogni ulteriore trattamento, oppure autorizzare la dialisi. Non è una scelta facile. Nessun genitore vorrebbe arrendersi alla morte del figlio. Ma la dialisi è forse, in questo caso, una forma di accanimento terapeutico. Una terapia dolorosa ed invasiva che con ogni probabilità non eviterà a Davide la morte. I genitori sono confusi. Non è facile passare dalla gioia al dolore alla speranza alla rassegnazione. Né è facile capire cosa è bene e cosa è male per Davide. Chiedono tempo. Vorrebbero discuterne con il comitato etico dell’ospedale. Nella rivista eMedicine si legge che nel caso di sindrome di Potter con pneumotorace “può non essere indicato un ulteriore trattamento”, e che “la decisione dev’essere presa dopo una discussione con i genitori”. Così vanno probabilmente le cose all’estero; non in Italia. Nessuna discussione, nessuna riunione del comitato etico. Con un atto di forza incomprensibile ed umanamente deprecabile, il primario del reparto di terapia intensiva degli Ospedali Riuniti si rivolge al Tribunale per i Minori di Bari per chiedere la sospensione dei genitori di Davide dalla potestà genitoriale, ottenere di esserne nominato tutore e autorizzare, in quanto tutore, il suo trasferimento presso un ospedale attrezzato per la dialisi. Viene accontentato. Con provvedimento del 10 maggio il Tribunale per i Minori di Bari sospende la potestà genitoriale dei genitori di Davide. La decisione è presa “inaudita altera parte e senza ulteriori approfondimenti del caso”, dice il provvedimento. Che vuol dire: senza ascoltare i genitori di Davide e senza nemmeno chiedersi cos’è una sindrome di Potter. Ora Davide si trova presso l’ospedale Giovanni XXIII di Bari. Vi è stato trasportato senza che i genitori venissero informati; hanno saputo dove si trovava il figlio solo a trasferimento avvenuto. Ai medici dell’ospedale di Bari, persone umane e premurose, non sono stati forniti i numeri di telefono dei genitori di Davide. Le condizioni di Davide sono attualmente disperate. Non è facile, in situazioni così gravi e difficili, fare la cosa giusta. Sbagliare è comprensibile, sempre; in questi casi lo è di più. Ma è difficile non scorgere in alcuni passaggi della storia che è stata raccontata una incomprensibile insensibilità nei confronti di persone che si sono trovate ad affrontare un grande dramma umano. Il provvedimento di sospensione della potestà genitoriale è offensivo e umiliante, ed ha arrecato una grande sofferenza psicologica a persone già duramente provate. Per questo chiediamo che il provvedimento venga sospeso e che venga riconosciuto ai genitori di Davide Marasco il diritto di dire la loro sul futuro di loro figlio e sui trattamenti medici cui sottoporlo." La morte della compassione - di Maria Serenella Pienotti, neonatologa Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ci sono malformazioni incompatibili con la vita per le quali la rianimazione non deve essere intrapresa o le cure intensive devono essere interrotte perché configurerebbero solo un atto di accanimento terapeutico, tra queste la Sindrome di Potter o agenesia renale bilaterale. In questa condizione i reni del feto non si sono sviluppati, la vita fetale è permessa dalla placenta ma la vita extrauterina è impossibile. Anche altri organi subiscono danni per la mancanza dei reni, tra questi polmoni e scheletro. I bambini con sindrome di Potter non hanno reni, hanno polmoni iposviluppati e mal funzionanti, hanno dimorfismi del viso e dello scheletro, altri settori dell’apparato urinario possono mancare. Se rianimati e tenuti in vita hanno necessità di essere ventilati con un respiratore e di eseguire dialisi. Queste terapie, comunque aggressive, invasive, dolorose, possono forse funzionare per giorni o settimane, dopo di che l’unica ipotesi può essere il trapianto renale, trapianto che, ancorché possibile, è gravato nel primo anno di vita da enormi insuccessi ed espone il neonato ai danni della terapia immunosoppressiva. A mia conoscenza, non vi sono casi di sindromi di Potter rianimate, dializzate, trapiantate e quindi sopravvissute. Per questo motivo, l’OMS suggerisce la non rianimazione alla nascita. Questo non significa che i neonati non debbano esser curati, ma che per loro sono indicate 14 le cure palliative, scelta terapeutica con la stessa dignità delle cure intensive. Parte integrante del trattamento diventa anche la cura della famiglia prestando ascolto e dando assoluta priorità ai desideri dei genitori. Tali concetti fanno parte del patrimonio culturale dei neonatologi di tutto il mondo e sono espressi nelle linee guida per la rianimazione neonatale (ILCOR) che sono la base del nostro comportamento assistenziale, sono ribadite da insigni studiosi (Leuthner S 2004, Avery 2004, per citarne due). Il parere dei genitori, se palesemente in contrasto con i diritti del figlio, può esser saltato solo di fronte a terapie salva-vita, non certo a tentativi sperimentali. Quando muore la compassione può accadere che il tran-tran delle macchine di una terapia intensiva, il luccichio di aghi e rubinetti, l’invasione di tubi e cateteri, rubi una persona alla sua famiglia, tolga un neonato dalle braccia di sua madre, sottoponga a cure inutili, palesemente inutili, universalmente considerate inutili, una creatura che sta morendo. Quando i medici diventano SOLO laureati in medicina, può accadere che suggeriscano al giudice di strappare quel bambino dalle braccia, dalla tutela, dall’amore di chi lo ha messo al mondo. Quando i giudici non ascoltano, o ascoltano chi non conosce veramente ed onestamente la medicina, può accadere che regalino quel neonato ad una “struttura” togliendolo, per decreto, ad una madre. In questo mondo delirante, che ha perso di vista l’uomo e la sua umanità, nell’ipotesi migliore per mancanza di amore e compassione, nell’ipotesi peggiore perché sacrifica un bambino e la sua famiglia a logiche di tecnologia, pubblicità, sperimentazione, fanatismo, è stato fatto un male infinito ad un bambino ed ai suoi genitori: il bambino sottoposto, per decreto, a cure inutili e dolorose; i genitori perché strappati da quel figlio, accusati della peggiore accusa: agire contro l’interesse del proprio bambino. I dubbi di quei genitori non solo sono legittimi, ma segno di grande profondità: genitori veri che hanno compreso l’enorme problema del figlio e che vogliono fare appieno il loro dovere: dare un consenso solo dopo essersi profondamente convinti sulla migliore assistenza per il loro bambino. La rianimazione per forza, e soprattutto nelle malformazioni incompatibili con la vita, è un atto di inaudita violenza che non sarebbe tollerato in nessun paese civile del mondo e non trova appoggio in alcuna comunità scientifica che io conosca. Le cure palliative sono scelte terapeutiche a tutti gli effetti, ben definite e con precise indicazioni. Mi auguro fortemente che quel Tribunale renda quel figlio a quei genitori, che la comunità si scusi, che quel padre e quella madre, così infinitamente scossi dalla nascita di un bimbo con tali problemi e destinato ad una inevitabile fine precoce, ancor più traumatizzati dalla pressante idiozia di cure intensive senza senso, irresponsabilmente distrutti da un giudizio immeritato di incapacità genitoriale, possano perdonare un mondo di laureati in medicina che ha dimenticato la compassione. L’incredibile cinismo di quei genitori di Foggia – di Luca Volontà da: liberal di venerdì 30 maggio 2008 Nello scontro tra Cartagine e Roma, c’è anche lo scontro tra i sacrifici umani al demone Baal e le tante deità imperiali. I bambini e i giovanetti romani erano tutelati, nessuno si sarebbe azzardato a sacrificarli come un impiccio o un avanzo da gettare nel cestino. A Foggia è nato un piccino con la sindrome di Potter (senza reni e uretri), un bimbo vivo che respira da solo e vorrebbe scalare il mondo. Se tutto andrà bene, sino all’età di dieci anni Davide dovrà sottoporsi a dialisi e poi sarà trapiantato e starà benone. I genitori vogliono consegnarlo invece alla morte, interrompere le cure e lasciarlo morire... lui che vuoi vivere. Con loro, oltre ai radicali, il solito suono stridulo dei compassionevoli sacerdoti della ”perfezione”, del bambino pubblicitario, settebellezze e successi. Non sarebbe giusto curarlo per dieci anni per poi guarirlo, meglio accopparlo subito così si spende meno, si ha un impiccio in meno e poi si consente la vita più agiata agli “adatti”. Cartagine sacrificava i fanciulli al demone per aggraziarselo, in Italia si sacrificano i neonati al “dio” consumistico 15 della perfezione. Strano solo che nessuno si chieda se i sacerdoti di tale criterio siano essi stessi imperfetti e, aggiungo, con molte rotelle fuori posto. Davide vivrà, lo ha deciso il tribunale e il medico se ne prenderà cura, sempreché i genitori non montino una campagna per il funerale del proprio figlio. Sarebbe una terribile prova del regresso civile italiano. Ma la storia di Cartagine e Roma, dovrebbe essere, nell’Europa “non più cristiana” di oggi, custodita e rammentata al cospetto delle malvagità sovrumane che vengono perpetrate con l’eutanasia infantile. Il Belgio sta per seguire nel precipizio l’Olanda, la scelta di ampliare l’eutanasia ai minorenni per legge e l’Europa che non impedisce il partito pedofilo olandese, ben si guarda di richiamare il Belgio al rispetto della vita nata, dei bambini. L’Europa sta allevando in seno gli spettri che portarono alle due guerre mondiali del secolo scorso. Certo non sarà la Germania ad intervenire, sconvolta dalla tentata vendita su Ebay del piccolo Martin per un euro. Se in Olanda si registrano negli ultimi anni centinaia di casi di neonati ”aiutati a morire”, già nel 2005 nel Regno che fu di Baldovino, la metà delle morti dei neonati è dovuta ad eugenetica. Ippocrate è morto, il quinto comandamento del Sinai è sepolto quando parli di bambini, più o meno sofferenti o “fastidiosi”. Della mirabolante stravaganza della teoria evoluzionistica darwiniana che sta portando all’uomo-scimmia in Inghilterra abbiamo già scritto. Nel caso dell’eugenetica infantile, ci troviamo a registrare che i migliori combattenti a favore della pena di morte siano al tempo stesso gli sponsor della “pianificazione familiare” e dell’omicidio infantile. “La razza dominante”, gli ”adatti” devono poter riprodursi tra loro senza impicci e evitando di innamorarsi e magari sposarsi con «cani rognosi». Riuscire ad accoppare i neonati non fa altro che far avanzare la specie... verso la fornace di Cartagine. Le leggi belghe tutelano più la produzione tipica di insalata che la vita e l’infanzia. “Neonati aiutati a morire” dai medici. Nemmeno un sospetto che volessero vivere? No perché la legge “autorizza ad eliminare vite non degne di essere vissute”, esattamente come si trova scritto nel saggio di Binding e Hoehe del 1920 che stava alla base dello sterminio nazista. L’eugenetica, diceva Chesterton, è come il «veleno, una cosa con cui non si può venire a patti». L’eugenetica ha aperto le porte del manicomio in quei paesi, tant’è che se scampi alla morte da neonato, devi stare molto attento da ragazzino e da giovane in quei paesi. Infatti, una volta sfuggito al boia ginecologo, da bambino ad Amsterdam non potrai andare nei parchi pubblici dopo le 16.00 perché da quell’ora solo ai maggiorenni è permesso l’accesso per kamasutra e ammucchiate in pubblico. Evitato anche questo pericolo, giunto alla giovinezza ci si deve guardare dal formare gruppi di coetanei chiassosi, si potrebbe incorrere nel ”mosquito”, un micidiale dispositivo sonoro per allontanare giovani dai paraggi, con la frequenza di l7mila hertz. E poi discutiamo di “bullisrno” tra i giovani europei? Dopo una vita da “braccati” c’é da attendersi solo la loro misericordia, quando in età adulta si vendicheranno con medici, scienziati, teorici e genitori del genocidio infantile. Nei Paesi Bassi gli zoccoli voleranno ad altezza d’uomo. L’Europa che consente l’omicidio dei propri cittadini, seppur in fasce, rischia di diventare un unico e immenso campo di concentramento, non meno terribile, solo più scientifico. Una fornace immensa, un culto terribile e pure una benedizione religiosa del Reverendo George Exoo, gay e protestante d’Inghilterra. Siamo proprio sicuri dì aver fatto bene a vietare la caccia agli stregoni? Cinismo Clerical – Risposta dello zio di Davide a Luca Volontè Ho detto che non mi va di parlare di Davide, che quella di Davide deve tornare ad essere una storia privata, che non è il caso di far polemiche: ma le baggianate che scrive l’onorevole Luca Volontè su Liberal del 30 maggio non è possibile lasciarle passare senza 16 replica. “L’incredibile cinismo di quei genitori di Foggia”, titola; e aggiunge: “Dove può condurre l’eutanasia: far morire un figlio appena nato”. Comincia da lontano, Volontè: da Roma e Cartagine, per giungere poi a Foggia, dove “è nato un piccino con la sindrome di Potter (senza reni e uretri), un bimbo vivo che respira da solo e vorrebbe scalare il mondo”. E qui c’è una prima baggianata. La sindrome di Potter non comporta solo assenza di reni e degli ureteri, ma anche una serie di altri problemi, tra i quali l’ipoplasia polmonare. Per questo è superficiale dire “respira da solo”. Se non fosse stato aiutato a respirare, Davide sarebbe morto da un pezzo. Continua, Volontè: “Se tutto andrà bene, sino all’età di dieci anni Davide dovrà sottoporsi a dialisi e poi sarà trapiantato e starà benone”. L’ignoranza di Volontè è pari solo alla sua protervia. Non si ha notizia di un solo bambino che sia giunto fino al trapianto. Trapianto che non va fatto a dieci anni, ma molto prima. Il primo trapianto, almeno; perché poi bisognerà farne un altro. Come faccia Volonté a dire che poi starà benone, non si sa. Lo invito a trovare un solo bambino di dieci anni con la sindrome di Potter. Uno su sei miliardi di abitanti del pianeta terra. Quando lo avrà trovato, provi a chiedergli se si sente benone. Ancora: “I genitori vogliono invece consegnarlo alla morte, interrompere le cure e lasciarlo morire… lui che vuol vivere”. Terza baggianata: la più grossolana, la più offensiva. I genitori di Davide non hanno mai detto di voler interrompere le cure e lasciar morire il bambino. Quando è stato loro chiesto il consenso alla dialisi hanno chiesto tempo per riflettere e per discuterne con il comitato etico; tempo che non è stato loro concesso. Ai giudici, ai giornalisti, a chinque volesse ascoltare hanno dichiarato che non intendono sospendere le cure, ma rivendicano il diritto, in caso di peggioramento del quadro clinico, di decidere insieme ai medici cosa è meglio fare. Già una volta, di fronte ad una crisi respiratoria, è stato deciso di non intubare Davide. Decisione che è stata presa dai medici del Giovanni XXIII e dall’allora tutore, dottor Magaldi. I genitori erano esclusi dalla decisione. Dice ancora, Volontè, che oggi “in Italia si sacrificano i neonati al ‘dio’ consumistico della perfezione”. Chissà se è in linea con la logica consumistica, di fronte ad una gravidanza difficile, e contro l’esplicito invito ad abortire, sottoporsi a visite mediche ed esami costosi, per dare una speranza a quel feto. Se i genitori avessero seguito una logica consumistica, Davide non sarebbe mai nato. Sarebbe stato abortito, e amen. I genitori avrebbero risparmiato soldi, sofferenza e l’umiliazione di farsi offendere da questo tale, che giunge a parlare di persone “con molte rotelle fuori posto” (i genitori di Davide e quelli che danno loro ragione) e dire che “Davide vivrà… sempre che i genitori non montino una campagna per il funerale del proprio figlio”. In piena esaltazione parla poi di eugenetica, di eutanasia, di Binding e Hoche, di campi di concentramento, e termina il crescendo con una domanda che è la degna conclusione di un articolo delirante: “Siamo sicuri di aver fatto bene a vietare la caccia agli stregoni?”. Ricapitoliamo. Tu partorisci. Partorisci soffrendo. A rischio della tua vita. Tuo figlio è malato, ti dicono che deve morire. Tu soffri. Soffri. Poi, all’improvviso, ti dicono che no, bisogna dializzarlo. Tu ti chiedi che succede, fino a ieri ti hanno detto che deve morire, forse non gli hanno nemmeno pulito il culo perché tanto era carne deperibile (quando è arrivato al Giovanni XXIII aveva una grossa escoriazione), e invece tutto a un tratto vogliono il tuo consenso. Chiedi tempo per capire, e ti tolgono la potestà genitoriale. Arriva il giudice a dirti che non sei più sua madre. Protesti, rivendichi il diritto di dire la tua su quella carne che hai partorito a costo della tua vita - ed arriva l’onorevole a dirti che sei cinica, che non hai le rotelle a posto, che vuoi uccidere tuo figlio. Non so cosa è diventato questo paese. Dove è finito il volto della gente? Chi guarda più i volti? Se lo sarà immaginato il volto dei genitori di Davide, questo tizio, prima di scrivere le sue baggianate? Si sarà fermato un attimo a riflettere sul fatto che stava per parlare di due 17 persone colpite da una sofferenza tra le maggiori che si possano immaginare? Che esercizio ha dovuto fare per mettere da parte la compassione, per cancellare la comprensione, per annullare il rispetto? Perché questo oggi risulta così dannatamente facile? 800 - TESTAMENTO DI VITA PER SCEGLIERE COME DIRE ADDIO - DI J. MELETTI da: la Repubblica di domenica 8 giugno 2008 Un bel vestito verde, il colore della speranza. «A me piace davvero stare al mondo. Ho un cancro al seno ma spero di sconfiggerlo. Purtroppo so che a volte vince lui, inutile illudersi di essere immortali. Io sono una donna che nella vita ha accettato poche volte, e malvolentieri, le decisioni prese dagli altri: e allora voglio decidere anche come morire». Giuliana Michelini, sessant’anni compiuti a gennaio, nella borsona da milanese impegnata in mille cose ha anche la «Biocard, carta di autodeterminazione». Sorride e spiega. «Insomma, è il testamento biologico o testamento di vita. Io personalmente preferisco chiamarle “direttive anticipate”. Ho scritto tutto quello che voglio sia fatto sul mio corpo quando — spero il più tardi possibile — non sarò più in grado di fare intendere le mie ragioni. Vede, per noi italiani è difficile parlare di certe cose. Siamo scaramantici. Ma io cerco di ragionare: a una certa età, e anche senza essere malata, capisci che la morte fa parte della vita. La morte, non la fine, l’esodo, l’atto finale... La morte deve essere chiamata con il suo nome. E bisogna prendere le misure giuste perché questa morte non sia preceduta da un’agonia infinita, straziante e inutile. I medici debbono fare di tutto per salvarmi la vita vera ma non possono decidere di tenermi comunque attaccata a una vita che non ha più nessun senso». Il primo incontro con la proposta di testamento biologico in un convegno di due anni fa, organizzato dalla Consulta di bioetica, fondata a Milano nel 1989, «per lo studio dei difficili problemi che si pongono nella medicina di oggi in particolare nelle situazioni di nascita e di morte». A colpire Giuliana Michelini è stata la storia di Eluana Englaro, una ragazza di Lecco in «corna vegetativo permanente» da sedici anni. «C’era suo padre, al convegno, e spiegava che anche senza nessuna speranza la ragazza viene alimentata artificialmente in un’agonia senza senso. Io allora non avevo il cancro al seno ma, come sempre nella mia vita, mi ero organizzata perché la morte non mi trovasse impreparata. Avevo già deciso di donare gli organi e di fare consegnare poi il mio corpo alla scienza, con la speranza che fosse utile per qualche ricerca. Avevo pensato anche al testamento biologico ma non avevo deciso. Poi, al supermercato, mi è successo un fatto piccolo ma importante». Il carrello della spesa, una macchia d’acqua sul pavimento. «Insomma, sono scivolata all’indietro, stavo per battere la nuca. Potrà sembrare strano ma in quel nanosecondo ho fatto in tempo a pensare: adesso sbatto la testa contro le bottiglie del vino e vado in coma. Oddio, non ho firmato il testamento. Finirò come la povera Eluana. All’ultimo istante ho messo il braccio indietro, me lo sono rovinato ma ho salvato la testa. Dopo pochi giorni sono andata a firmare le mie “direttive anticipate”. Come “rappresentante fiduciario”, vale a dire la persona che dovrà garantire che siano rispettate le mie volontà, ho nominato un amico, che fra l’altro è un bravo medico». Sorride, la signora Giuliana. L’appuntamento è in un bar di San Babila, dopo una riunione della Lega italiana nuove famiglie (lei è la coordinatrice) e prima di una riunione della Consulta di bioetica. «Dopo quella firma mi sono sentita meglio. Vede, io non ho parenti stretti e sentivo dentro una certa paura. Nel momento in cui non sarò in grado di parlare o di capire –pensavo - sarò del tutto sola. Mio padre se n’è andato a novantacinque anni ma almeno aveva me vicino. Io spero sempre che la morte arrivi tardi e con un colpo secco, ma adesso so che se non va così avrò al mio fianco il “rappresentante” che farà di tutto per evitarmi le sofferenze che non sono necessarie. Ci ho pensato bene, prima di firmare le diverse clausole del testamento. Ho detto sì, ad esempio, alla rianimazione in caso di arresto cardiaco. Ho detto no a quei “provvedimenti di sostegno vitale” come l’alimentazione artificiale e altri interventi che abbiano soltanto l’obiettivo di “prolungare il mio morire”, 18 “mantenermi in uno stato di incoscienza permanente o in uno stato di demenza avanzata non suscettibili di recupero”. In ospedale ci sarà comunque il mio rappresentante. Lui mi conosce bene, saprà decidere al posto mio. E‘ per questo che, appena messa quella firma, ho sentito dentro un senso di pace». Sono ormai migliaia le persone che hanno firmato il testamento biologico che però, in assenza della legge, non ha ancora valore legale. «In Italia», dice Mario Riccio, il medico anestesista rianimatore che ha seguito Piergiorgio Welby, «tanti si dichiarano contrari a questo “testamento” precisando però di essere anche contro l’accanimento terapeutico. A me viene in mente la favola di Bertoldo, che accetta la pena di morte ma chiede di poter scegliere dove essere impiccato e non trova mai la pianta giusta. Insomma, si parla tanto di “accanimento terapeutico” - solo in Italia, perché nel linguaggio medico internazionale si parla di interventi utili o inutili per non discutere il tema vero, quello dell’autodeterminazione. Accanimento è termine del tutto soggettivo. C’è chi non vuole l’alimentazione forzata e chi invece l’accetta. Welby ha voluto essere staccato dal respiratore artificiale e altri hanno deciso di restare attaccati alle macchine. La signora che ha rifiutato di farsi amputare una gamba ha rifiutato un intervento salvavita o un accanimento terapeutico? Così si continua a discutere per anni e non si arriva a trovare la soluzione più semplice: ogni persona ha il diritto di scegliere se, come e fino a quando essere curata». Anche il dottor Riccio è nella Consulta di bioetica fondata da Renato Boeri e oggi guidata da Maurizio Mori. «Ci sono medici, giuristi filosofi e anche persone come Beppino Englaro, il padre di Eluana, la ragazza in stato vegetativo. Il suo caso è stato discusso nei tribunali e anche in Cassazione. Una prima sentenza disse che l’alimentazione forzata non è terapia ma cura della persona” e come tale non può essere sospesa. La Cassazione, nell’ottobre scorso, ha invece preso atto che la ragazza in due occasioni aveva espresso la volontà di non essere mantenuta in uno stato vegetativo: un suo amico e il suo mito di ragazza sciatrice, Leonardo David, erano finiti in coma a causa di incidenti e lei aveva detto che, se fosse successo a lei, non avrebbe mai voluto essere tenuta invita con le macchine. Ora si dovrà rifare il processo e non sarà una discussione facile. La Cassazione ha infatti stabilito che l’alimentazione artificiale potrà essere sospesa solo se si avrà “la ragionevole certezza che non ci sia un ritorno di coscienza”». ii documento da firmare presso la Consulta di bioetica si chiama «testamento di vita». «E una traduzione approssimativa», dice Mario Riccio, «dall’inglese Living will, la volontà del vivente. Negli ospedali americani, quando entri anche per un’otite o un menisco, ti chiedono il Livingwill. E’ scritto in due parti. Nella prima il paziente decide quali interventi accettare e quali rifiutare. Alimentazione forzata sì o no, ventilazione artificiale sì o no, rianimazione cardiaca. . . Tutto scritto, punto per punto. Nella seconda parte c’è invece una delega: si sceglie una persona che possa decidere al posto del malato se questi non sarà in grado di decidere da solo. Abbiamo studiato bene quel documento e la nostra Biocard, carta di autodeterminazione, ne ricalca i punti essenziali». Difficile comprendere l’opposizione a una proposta come questa. «Certo, come è difficile capire perché la schiavitù sia stata abolita solo nel Diciannovesimo secolo, perché le donne in Italia votino solo da sessant’anni, perché le stesse donne fino al 1961 non potessero fare i magistrati... Il cammino dell’autodeterminazione è lungo e difficile. Quando poi questo concetto entra in un ospedale, si scontra con il paternalismo del medico, nuovo paterfamilias che “per il tuo bene” decide tutto ciò che riguarda la tua salute, senza chiedere consenso e a volte senza informare. In fin dei conti il nostro è l’unico Paese dove alle ultime elezioni è stata presentata una “lista etica” a sostegno della nascita e soprattutto della “morte naturale”. Ecco un altro concetto che blocca la discussione sui temi etici. Cos’è oggi la morte naturale? Soprattutto, esiste ancora? Oggi salvo casi rarissimi si muore tutti dopo una diagnosi, una prognosi, una terapia. La morte di Giovanni Paolo II è stata giudicata “naturale” perché il Papa ha rifiutato di essere attaccato alle macchine. Per Piergiorgio 19 Welby la morte naturale sarebbe arrivata dieci anni prima, quando fu colpito da crisi respiratoria. Lui ha vissuto altri dieci anni attaccato al respiratore poi ha detto basta. Eppure per tanti lui avrebbe dovuto aspettare un’altra “morte naturale”. E io, che ho risposto alla sua richiesta di aiuto, per Rosy Bindi avrei commesso “un omicidio di consenziente che nessun tribunale di Dio o degli uomini potrà assolvere”. Ma almeno dal tribunale degli uomini sono stato assolto». La Biocard, per la signora Giuliana Michelini, è una specie di carta di credito. «Anche se ancora non c’è la legge, spero che sia accettata dai medici. Di fronte alle mie “direttive anticipate” almeno non potranno dire di non conoscere le mie volontà. Certo, per i medici è sempre difficile accettare che qualcuno possa decidere della propria vita. Io non voglio nulla di speciale. E’ da una vita che mi interesso di diritti e di libertà. Mi sono battuta per i consultori delle donne, ho fatto la volontaria per i detenuti di San Vittore. Adesso voglio difendere il mio ultimo diritto: non voglio soffrire inutilmente. Non voglio prolungare la vita, se questa non esiste più. Altre persone possono fare altre scelte. C’è chi crede che la sofferenza purifichi dal peccato ma non è il mio caso. L’ostacolo più grosso è fare i conti con la propria morte. Ecco, credo di avere superato questo ostacolo. Io non chiedo – è scritto nel documento - l’eutanasia. Chiedo solo che sia rispettato il mio diritto alla dignità». 801 - ANCHE IN ITALIA STA CADENDO IL TABÙ - DI UMBERTO VERONESI da: la Repubblica di domenica 8 giugno 2008 Il caso di Modena e soprattutto i tanti altri casi che non salgono alla ribalta della cronaca, dimostrano che se il Parlamento non perverrà, neppure con questa maggioranza, a una legge sul testamento biologico, gli italiani tralasceranno la formalizzazione giuridica e utilizzeranno comunque questo strumento di espressione di volontà e autonomia del malato. Succede, del resto, non solo in Italia che se la politica non ascolta i bisogni reali della popolazione, allora la popolazione fa a meno della politica. Questo è vero almeno per le questioni che toccano da vicino la nostra vita e la sua qualità. Il grande movimento popolare olandese che ha condotto alla legislazione più avanzata in Europa sulle decisioni di fine vita è nato, ormai vent’anni fa, quando la popolazione ha potuto constatare che la medicina oggi è in grado di prolungare artificialmente la vita biologica, opponendosi a una fine naturale per giorni, per mesi o per anni. In Germania, pur in assenza di una legge, a seguito dell’iniziativa popolare, in due anni sono stati depositati sette milioni di testamenti biologici. In Italia il testamento biologico era tabù e la sua definizione pressoché sconosciuta fino al marzo di due anni fa, quando la Fondazione che porta il mio nome pubblicò il primo opuscolo divulgativo e organizzò la prima presentazione a Roma, alla Cassa Forense. Il motivo: una incomprensibile resistenza ideologica, molto preoccupante per la libertà di ognuno di noi, da parte di molti opinionisti che vedono nel testamento biologico un’anticamera dell’eutanasia mentre così non è, anzi concettualmente è l’opposto e anche di molti medici che rivendicano il loro potere di decidere, oppure, al contrario, hanno paura di decidere e preferiscono affidarsi alle potenzialità di una medicina tecnologica. Dal 2006 sono molte migliaia le persone che si sono rivolte a noi, e continuano a farlo, per avere informazioni e sapere che fare. Innanzitutto va ripetuto che il testamento biologico (che, ricordiamolo, è un’espressione scritta di volontà individuale revocabile e modificabile, circa le cure che si vogliono o non si vogliono ricevere, da utilizzare nel caso in cui non ci si potesse esprimere di persona) può già essere ritenuto valido nel nostro ordinamento perché è un’estensione del consenso informato alle cure, che è non solo legittimo ma obbligatorio nel nostro Paese. Inoltre l’Italia ha siglato la Convenzione di Oviedo sui «diritti umani e la biomedicina» che afferma che «il medico, anche tenendo conto della volontà del paziente laddove espressa, deve astenersi 20 dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento per la qualità di vita». Anche il mondo cattolico non si è mai opposto al testamento biologico. In Spagna, dove il Testamento Vidal è appena diventato legge, il modulo del testamento si trova sul sito web della Conferenza episcopale spagnola. E indirizzato: «Alla mia famiglia, al mio medico, al mio sacerdote, al mio notaio» e si basa sul principio che «la vita è un dono e una benedizione di Dio, ma non è il valore supremo assoluto». Il giorno dell’approvazione della legge spagnola mi ha colpito il commento di Marcelo Palacios, consigliere del governo Zapatero e presidente della Società internazionale di bioetica: «Un malato terminale non muore perché si sospendono le cure, muore perché era terminale. Dobbiamo concentrarci piuttosto sulla sua dignità di persona». In Italia pare che la politica non la pensi così. 802 - QUANDO I LAICI SONO DEBOLI - DI GIANFRANCO PASQUINO da: l’Unità di mercoledì 11 giugno 2008 Da una parte sta il Papa che ispira e si trovano i vescovi della Conferenza Episcopale Italiana che stilano il loro programma, non soltanto sui «temi eticamente sensibili», per qualsiasi governo, preferibilmente per quello in carica, e che danno voti. Il capo dell’attuale governo si è subito affrettato a dichiarare che anche il programma dei vescovi, proprio come quello della Confindustria (non è dato sapere se la Cei ha apprezzato il paragone), può diventare quello del suo governo. Ovviamente facendo finta di niente su tutto quanto riguarda disuguaglianze sociali e trattamento dell’immigrazione. D’altronde, l’intero schieramento di centro-destra è da tempo impegnato a mostrarsi ricettivo, senza nessuno scrupolo di laicità, ma con grande attenzione a prendere i voti (quelli espressi sulle schede elettorali dai cattolici), a quello che viene detto dall’altra parte del Tevere. Anche se non sempre ne conseguono comportamenti concreti, sembra che le dichiarazioni di sintonia funzionino. Dall’altra parte, di tanto in tanto, tocca a Famiglia Cristiana il compito di fare irruzione sulla scena che viene impropriamente definita dei “valori” dei cattolici, che, invece, per lo più, sono molto più semplicemente, ma anche più corposamente, interessi mondani e politiche di governo. Questa volta il bersaglio è duplice e la mira ambiziosa. Agli editorialisti del settimanale cattolico, i quali, evidentemente, leggono anche nelle coscienze, sembrerebbe opportuno espellere dal Partito Democratico la sparuta pattuglia dei radicali per i loro (de)meriti laici di un glorioso passato. Se poi, ma la sequenza non mi è chiara, questa operazione di “pulizia” cattolica non riuscisse, sarebbe opportuno che i teo-dem ovvero, immagino, tutti coloro che dentro il Pd si definiscono democratici dovrebbero minacciare oppure, addirittura, eseguire una scissione, cioè andarsene. Dove non è detto, ma appare probabile che tanto l’Udc di Pierferdinando Casini quanto il Popolo delle Libertà accoglierebbero a braccia aperte gli scissionisti (uomini e donne). L’invito alla scissione è preoccupante anche perché sceglie un terreno delicato sul quale il Partito Democratico ha già tentato di giungere ad un difficile, forse non del tutto convincente, compromesso con il suo (non buono) Manifesto dei Valori. Infatti, i teo-dem, questa sì una pattuglia piccola, ma molto aggressiva, continuano a dichiararsi insoddisfatti e a elaborare loro posizioni intransigenti su tutte le problematiche “eticamente sensibili”. Qui sta la debolezza dei laici, che siano non credenti o credenti, radicali o ex-democratici di sinistra, dentro il Pd. Non hanno attivato la loro cultura politica con l’obiettivo di declinare coerentemente le loro posizioni sui valori (sembra persino difficile sostenere che i laici e i non credenti hanno “valori”) rispetto non soltanto alla vita e alla morte, ma a come si vive (nella diseguaglianza, nell’indigenza, nell’oppressione, anche religiosa) e a come si muore (per fame, per mancanza di risorse, per sfruttamento). Insomma, una vita degna di essere 21 vissuta, tale anche grazie a politiche ridistributive, è un valore allo stesso modo di una morte consapevolmente richiesta con dignità. Non sembrano, peraltro, questi i ragionamenti che interessano né Famiglia Cristiana né i teodem e gli atei devoti i quali, certamente, nella loro rigida devozione sono tutto meno che laici. Molto mondanamente l’obiettivo, non soltanto di Famiglia Cristiana, consiste, da un lato, nel ridurre il potere politico, ahimé, già molto ristretto, del Partito Democratico nella misura in cui i teo-dem si comportano (attenzione, non ho, per il momento, scritto: sono) come una quinta colonna, paralizzandolo sotto la spada della possibile scissione. Dall’altro, meno comprensibilmente, consiste nell’indicare una via alla ricomposizione dei cattolici. Questo, che è più di un suggerimento, mi appare molto meno comprensibile poiché, come hanno oramai sottolineato molti commentatori, la forza politica dei cattolici, in una società che, pure, è molto secolarizzata (e se fosse anche “disperata” come, da ultimo, sostiene il cardinale di Bologna, Caffarra, avranno le loro responsabilità anche i predicatori cattolici autorizzati) dipende proprio dalla loro presenza in schieramenti diversi. Questa diffusione strategica rende visibili e potenzialmente efficaci tutte le espressioni di interessi e di preferenze che vengono dal Vaticano e dalle numerose diocesi. E, purtroppo, di cardinali come Martini non sembrano essercene più. Gli strumenti culturali di riflessione sul rapporto fra politica e religione, magari anche quelli approntati nel seminario di ItalianiEuropei, servono, anche se mi sono sembrati improntati a troppo pessimismo e a poco orgoglio laico. Tuttavia, è il Partito Democratico che deve dare vita e gambe all’operazione che aveva promesso. Costruire un’organizzazione politica che non soltanto sommasse le culture riformiste liberali, socialiste e cattolico-democratiche, ma ne esaltasse gli elementi migliori a cominciare da quei valori che, detto senza retorica, erano persino riusciti ad entrare nella Costituzione Repubblicana. Non ho una proposta conclusiva mobilitante, ma credo, meglio, ritengo che il Partito Democratico farebbe bene a discutere in maniera tanto appassionata quanto laica, ovvero senza preconcetti, senza pregiudizi e senza soluzioni precostituite, dei rapporti, anche politici, fra le culture, e non soltanto dei limiti fra Stato e Chiesa, segnalando sempre puntigliosamente gli impropri sconfinamenti di quest’ultima. Riconosciuto il ruolo pubblico della religione, il confronto andrà fatto in pubblico secondo le regole del dibattito pubblico che richiedono non imposizioni, ma argomentazioni e giustificazioni. 803 - LA COPERTA TROPPO CORTA - DI GIOVANNI SARTORI da: il Corriere della Sera di lunedì 16 giugno 2008 La grande carnevalata della Fao si è chiusa il 6 giugno (dopo avere intasato Roma per tre giorni) con la risibile e irresponsabile promessa di vincere la fame nel mondo entro il 2050. Speriamo che prima venga chiusa la Fao. Perché i discorsi seri si fanno altrove: tra poco, il 16 e 17 giugno, al convegno indetto dalla fondazione Aurelio Peccei per celebrare il 40˚anniversario del Club di Roma. Siccome risulta che moltissimi italiani non sanno nemmeno che cosa festeggiano il 2 Giugno, ricorderò che Peccei fu il primo «profeta » della impossibilità di una crescita illimitata del pianeta Terra, così come due secoli fa il bravo abate Malthus fu il primo a intravedere la «bomba demografica ». Oggi Malthus viene molto irriso da chi non lo ha letto. Eppure in principio aveva ragione. Calcolò che mentre la popolazione poteva crescere in progressione geometrica (1, 2, 4, 8), la produzione agricola può solo crescere in progressione aritmetica (1, 2, 3, 4). Ma Malthus non riteneva che questa crescita geometrica della popolazione sarebbe mai avvenuta: lo impediva, appunto, la fame. D'altra parte il suo Saggio sul principio di popolazione usciva nel 1798, prima della rivoluzione industriale. Ed è l'agricoltura meccanizzata, che Malthus non poteva prevedere, che ha rinviato di due secoli la resa dei conti. Ma ora ci siamo. 22 La preoccupazione di Peccei e del Club di Roma fu diversa: segnalava l'imminente venir meno delle risorse naturali, e segnatamente del petrolio. Si capisce, consumiamo troppo perché siamo in troppi. Ma nel 1972, quando uscì il primo rapporto, I limiti dello sviluppo, la popolazione mondiale era di 3 miliardi e 850 milioni. Vi rendete conto? In meno di quaranta anni si è quasi raddoppiata. Così oggi la preoccupazione primaria diventa quella del riscaldamento della Terra e dell'impazzimento del clima. Riscaldamento perché? Anche se è vero che la Terra ha sempre avuto cicli di glaciazione seguiti da riscaldamenti, una stragrande maggioranza di esperti ritiene che nessun ciclo astronomico possa spiegare la velocità, intensità e frequenza delle nostre variazioni climatiche; e dunque ritiene che il disastro ecologico che ci aspetta sia causato dall'uomo e dal sovraffollamento del nostro pianeta. Non occorre una intelligenza straordinaria per capire che tutti i suddetti fattori - popolazione, esaurimento delle materie prime (e dell'acqua), sconquasso del clima - afferiscono al problema della fame. Ma gli intelligentoni delle Nazioni Unite, della Fao, e anche dei media, preferiscono scoprire, invece, che la colpa è dei biocarburanti che tolgono terreno alla agricoltura alimentare. Ma se senza mangiare si muore, anche senza petrolio si muore. L'agricoltura è meccanizzata, e cioè va a nafta; e così i pescherecci e le navi che trasportano il cibo. Alla fin fine nel nostro mondo tutto richiede energia largamente generata dal petrolio. Scrivevo poco fa che oramai viviamo su una coperta troppo corta che se tirata da una parte lascia scoperta un'altra parte. Con questo giochino non si risolve nulla e si aggravano i problemi. 804 - TESTAMENTO BIOLOGICO: LA SITUAZIONE IN SPAGNA Al fine di conoscere più a fondo, oltre le notizie pubblicate dalla stampa, la situazione relativa al testamento biologico in Spagna, abbiamo chiesto a Franco Friscia, responsabile di LiberaUscita per quello Stato, di farci avere maggiori informazioni. Friscia ci ha trasmesso diversi documenti in lingua spagnola, di cui uno - quello della Chiesa spagnola – tradotto in italiano. Si riportano qui sotto i documenti più importanti. gps Testamento vital - Modelo de la Conferencia Episcopal Española (da: www.conferenciaepiscopal.es/servicios/testamento_vital.htm) A mi familia, a mi médico, a mi sacerdote, a mi notario: Alla mia famiglia, al mio medico, al mio sacerdote, al mio notaio: Si me llega el momento en que no pueda expresar mi voluntad acerca de los tratamientos médicos que se me vayan a aplicar, deseo y pido que esta Declaración sea considerada como expresión formal de mi voluntad, asumida de forma consciente, responsable y libre, y que sea respetada como si se tratara de un testamento. Se arriva il momento nel quale non sarò più in grado di esprimere la mia volontà circa i trattamenti medici che mi dovrebbero essere applicati, desidero e chiedo che questa Dichiarazione sia considerata come espressione formale della mia volontà, assunta in piena coscienza, responsabilità e libertà, e che sia rispettata come se si trattasse di un testamento. Considero que la vida en este mundo es un don y una bendición de Dios, pero no es el valor supremo absoluto. Sé que la muerte es inevitable y pone fin a mi existencia terrena, pero desde la fe creo que me abre el camino a la vida que no se acaba, junto a Dios. Ritengo che la vita in questo mondo è un dono e una benedizione di Dio, però non è il valore supremo assoluto. So che la morte è inevitabile e pone fine alla mia esistenza terrena, ma grazie alla fede credo che mi apra il camino ad una vita che non ha fine, accanto a Dio. Por ello, yo, el que suscribe........................ pido que si por mi enfermedad llegara a estar en situación crítica irrecuperable, no se me mantenga en vida por medio de tratamientos 23 desproporcionados o extraordinarios; que no se me aplique la eutanasia activa, ni que se me prolongue abusiva e irracionalmente mi proceso de muerte; que se me administren los tratamientos adecuados para paliar los sufrimientos. Per questo, io sottoscritto ……………………. chiedo che se per causa della mia infermità dovessi trovarmi in una situazione critica irrecuperabile, non mi si mantenga in vita per mezzo di trattamenti sproporzionati o straordinari; che non mi si applichi la eutanasia attiva, ne che mi si prolunghi abusivamente e irrazionalmente il mio processo di morte; che mi vengano somministrati i trattamenti adeguati per lenire le sofferenze. Pido igualmente ayuda para asumir cristiana y humanamente mi propia muerte. Deseo poder prepararme para este acontecimiento final de mi existencia, en paz, con la compañía de mis seres queridos y el consuelo de mi fe cristiana. Chiedo ugualmente aiuto affinché possa accogliere la mia propria morte umanamente e cristianamente. Desidero potermi preparare per questo avvenimento finale della mia esistenza, in pace, con la compagnia dei miei cari e il conforto della mia fede cristiana. Suscribo esta Declaración después de una madura reflexión. Y pido que los que tengáis que cuidarme respetéis mi voluntad. Soy consciente de que os pido una grave y difícil responsabilidad. Precisamente para compartirla con vosotros y para atenuaros cualquier posible sentimiento de culpa, he redactado y firmo esta declaración. Sottoscrivo questa Dichiarazione dopo una matura riflessione. E chiedo che quelli che dovranno aver cura di me rispettino la mia volontà. Sono cosciente del fatto che vi chiedo di assumervi una grave e difficile responsabilità. Ma proprio per condividerla con voi e per alleggerirvi da qualsiasi sentimento di colpa, ho redatto e firmo questa dichiarazione. Firma: Firma: Fecha: Data: Modelo de la “Izquierda Socialista de Valladolid por la defensa del Medio Ambiente” Yo, ……………….(nombre de la persona), mayor de edad, con D.N.I. …..………..……….. (número del documento nacional de identidad), con domicilio en ……………………………. (municipio), (calle o plaza …....., número, piso, puerta), con capacidad para tomar una decisión de manera libre y con la información suficiente que me ha permitido reflexionar, DECLARO Por medio del presente documento las instrucciones que quiero que se tengan en cuenta sobre mi atención sanitaria cuando me encuentre en una situación en que, por circunstancias derivadas de mi estado físico y/o psíquico, no pueda expresar mi voluntad. Teniendo en cuenta que para mi proyecto vital es muy importante la calidad de vida, es mi deseo que ésta no se prolongue mediante sistemas o técnicas artificiales cuando la situación sea irreversible. Por este motivo, deseo que se respeten los principios antes mencionados en las situaciones médicas como las que se especifican a continuación o cualquier otra que, a juicio de los médicos que me atiendan, sean asimilables: . Enfermedad irreversible que tiene que conducir inevitablemente a mi muerte. . Estado vegetativo crónico, persistente y prolongado. . Estado avanzado de la enfermedad de pronóstico fatal . ........................................................................................ De acuerdo con lo anteriormente expuesto, y con los criterios señalados, es mi voluntad que, si a juicio de los médicos que entonces me atiendan (siendo al menos uno de ellos especialista), no haya expectativa de recuperación, se tenga en cuenta las siguientes instrucciones: 24 1.- No sean aplicadas o, bien que se me retiren si ya han empezado a aplicarse, medidas de soporte vital, o cualquier otra que intenten prolongar mi supervivencia artificialmente. 2.- Se me suministren los fármacos necesarios para paliar al máximo el malestar, el sufrimiento psíquico y el dolor físico que me ocasione mi enfermedad. 3.- Sin perjuicio de las decisiones tomadas, se me garantice la asistenta necesaria adecuada para procurarme una muerte digna. 4.- No se me administren tratamientos complementarios ni terapias no contrastadas, que no demuestren su efectividad para la recuperación y prolonguen inútilmente mi vida. 5.- Si me encontrara embarazada y me encontrara en alguna de las situaciones anteriores, deseo que la validez de este documento quede en suspenso hasta después del parto, siempre que eso no afecte negativamente al feto. 6.- Igualmente, manifiesto mi deseo de hacer donación de mis órganos para transplante, tratamientos, investigación o enseñanza (opcional). 7.- El lugar donde deseo que se me atienda en el final de mi vida es …………. (Hospital, Domicilio, otro lugar ….). 8.- Deseo recibir asistencia espiritual acorde con mis creencias y manifiesto profesar la religión…………………… (opcional). Designo como mi representante para que actúe como interlocutor válido y necesario con el médico o el equipo sanitario que me atenderá, en el caso de encontrarme en una situación en la que no pueda expresar mi voluntad a ………………..... La situazione del testamento biologico in Spagna De: Pedro Ávila Navarro - Abril 2005 Testamento vital: eutanasia pasiva. El llamado testamento vital refleja la aspiración del testador a una muerte digna, ya por evitación de remedios médicos dirigidos a una prolongación artificial de una vida vegetativa y sin esperanza, ya por la aplicación, ante tales perspectivas, de remedios dirigidos directamente a conseguir el final. El tema es sumamente delicado, sobre todo por sus graves implicaciones legales y morales: • El testamento (o acta, como luego se verá) nunca debe recoger disposiciones encaminadas a un resultado contrario a la ley; pero, otorgado en consideración a la muerte, cabe que se refiera a una actuación que pudiera ser legal en aquel momento aunque no lo sea en el del otorgamiento. • Parece también que el Notario no puede tratar de sustituir el criterio moral del testador por el suyo propio, cuando el otorgante trata de decidir sobre su misma muerte, la más patética manifestación del derecho constitucional a la intimidad. En el caso de que ambos obstáculos se consideren superados, aparece otro de tipo técnico: el carácter secreto y revocable del testamento hasta el momento de la muerte; será más eficaz recoger los deseos o manifestaciones del otorgante en acta, en lugar de hacerlo en testamento. Normativa y régimen. El art. 11 L. 41/14.11.2002 (básica reguladora de la autonomía del paciente y de derechos y obligaciones en materia de información y documentación clínica) reguló la posibilidad de las que llama instrucciones previas: Por el documento de instrucciones previas, una persona mayor de edad, capaz y libre, manifiesta anticipadamente su voluntad, con objeto de que ésta se cumpla en el momento en que llegue a situaciones en cuyas circunstancias no sea capaz de expresarlos personalmente, sobre los cuidados y el tratamiento de su salud o, una vez llegado el fallecimiento, sobre el destino de su cuerpo o de los órganos del mismo. Permite que el otorgante designe un representante para que, llegado el caso, sirva como interlocutor suyo con el médico o el equipo sanitario para procurar el cumplimiento de las instrucciones previas. Sujeta la aplicación de las instrucciones a que no sean contrarias al 25 ordenamiento jurídico o a la «lex artis»; pero no prohíbe las instrucciones contrarias al ordenamiento jurídico en el momento de hacerlas, en previsión de que sean legales en el momento de aplicarlas; es más, parece invitar a esa posibilidad. Dispone que queden registradas en la historia clínica del paciente, aunque sin señalar cómo. Y dispone la formalización de las instrucciones de acuerdo con lo dispuesto en la legislación de las respectivas Comunidades Autónomas, y su inscripción en un Registro nacional de instrucciones previas dependiente del Ministerio de Sanidad y Consumo, que aún no funciona. Según la disp. adic. 1, la Ley tiene carácter de legislación básica; y el Estado y las Comunidades Autónomas adoptarán, en el ámbito de sus respectivas competencias, las medidas necesarias para la efectividad de esta Ley. Varias Comunidades Autónomas han dictado normas sobre la materia que, aunque algunas sean anteriores a la Ley estatal, deben considerarse de desarrollo de la misma. En general, vienen a establecer la fuerza obligatoria de estas instrucciones, siempre que se adecuen al ordenamiento jurídico, y el carácter del representante nombrado como único interlocutor válido ante la organización sanitaria; la necesidad de que se otorguen fehacientemente (la mayoría se refieren al otorgamiento privado con testigos y a la alternativa de la forma notarial, sin necesidad de ellos); y la «obligación» (aunque no la definan como tal) de familiares y representantes legales, de hacer llegar las instrucciones al centro sanitario donde esté siendo atendido el otorgante. Pero estas leyes autonómicas no hacen referencia al contenido de las instrucciones (salvo la navarra, como después se verá), y se limitan a definirlas como dictadas por una persona sobre actuaciones médicas que deben observar el Médico o equipo sanitario responsable cuando el otorgante se encuentre en una situación en que las circunstancias que concurran no le permitan expresar personalmente su voluntad. Deben tenerse en cuenta, por orden cronológico: • Cataluña: Ley 21/29.12.2000, sobre los derechos de información concernientes a la salud y la autonomía del paciente, y la documentación clínica, especialmente el art. 8. • Galicia: Ley 3/28.05.2001, reguladora del consentimiento informado y de la historia clínica de los pacientes, especialmente art. 5. • Extremadura: Ley 10/28.06.2001, de Salud de Extremadura, especialmente art. 11. • Madrid: Ley 12/21.12.2001, de Ordenación Sanitaria de la Comunidad de Madrid, especialmente art. 28. • Aragón: Ley 6/15.04.2002, de Salud de Aragón, especialmente art. 15. • Navarra: Ley foral 11/06.05.2002, sobre los derechos del paciente a las voluntades anticipadas, a la información y a la documentación clínica, especialmente art. 9; merece destacarse que en las voluntades anticipadas se podrán incorporar manifestaciones para que, en el supuesto de situaciones críticas, vitales e irreversibles respecto a la vida, se evite, el sufrimiento con medidas paliativas aunque se acorte el proceso vital, no se prolongue la vida artificialmente por medio de tecnologías y tratamientos desproporcionados o extraordinarios, ni se atrase abusiva e irracionalmente el proceso de la muerte (aunque parece que cualquier actuación «abusiva e irracional» debe ser evitada, con instrucciones o sin ellas). • Cantabria: Ley de Cantabria 7/10.12.2002, de Ordenación Sanitaria de Cantabria, especialmente art. 34. • País Vasco: Ley 7/12.12.2002, de las voluntades anticipadas en el ámbito de la sanidad, especialmente art. 2; distingue que las instrucciones sobre el tratamiento pueden referirse tanto a una enfermedad o lesión que la persona otorgante ya padece como a las que eventualmente podría padecer en un futuro, e incluir previsiones relativas a las intervenciones médicas acordes con la buena práctica clínica que desea recibir, a las que no desea recibir y a otras cuestiones relacionadas con el final de la vida. 26 • Comunidad Valenciana: Ley 1/28.01.2003, de la Generalitat, de Derechos e Información al Paciente de la Comunidad Valenciana, especialmente art. 17. Aunque la Ley estatal exige mayoría de edad, ésta habla de una persona mayor de edad o menor emancipada. • Baleares: Ley 5/04.04.2003, de Salud de las Illes Balears, especialmente art. 18. • Castilla y León: Ley 8/08.04.2003, sobre derechos y deberes de las personas en relación con la salud, especialmente arts. 8 y 30. • Andalucía: Ley 5/09.10.2003, de declaración de voluntad vital anticipada. Aunque la Ley estatal exige mayoría de edad, ésta habla de un mayor de edad o un menor emancipado (art. 4). Por otra parte, es la única legislación que no se refiere a la intervención notarial, sino al escrito, con la identificación del autor (no se sabe por qué medio), su firma, así como fecha y lugar del otorgamiento, y que se inscriba en el Registro; después, por funcionarios dependientes de la Consejería de Salud responsables del Registro, se procederá a la constatación de la personalidad y capacidad del autor (tampoco dice cómo); parece que la intervención notarial superará ambos escollos. 805 - CONSENSO INFORMATO: INIZIATIVA DI CONSIGLIERI DELL’EMILIA-ROMAGNA Da: Maria Laura Cattinari ([email protected]) Inviato: venerdì 27 giugno 2008 13.39.06 Carissime/i, ricevo ora e, con molto piacere Vi inoltro, quanto ricevuto dal Consigliere Regionale dell’Emilia Romagna, Gianluca Borghi. I firmatari della proposta di risoluzione si erano con noi impegnati alla sua presentazione in Assemblea legislativa come primo passo dell’iter che speriamo possa dare in breve concreti risultati a tutela dell’autodeterminazione del malato e del morente. Un caro saluto Maria Laura Cattinari Alla Presidente dell’Assemblea legislativa Regione Emilia-Romagna RISOLUZIONE L’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, richiamati - l’articolo 13 (libertà personale) e l’articolo 32 (diritto alla salute) della Costituzione della Repubblica Italiana; - la legge n. 145 del 28/3/2001 con la quale il Parlamento Italiano ha ratificato la Convenzione di Oviedo del 1997, che stabilisce all’articolo 9 “Desideri espressi in precedenza” come “Al riguardo di un intervento medico concernente un paziente che al momento dell’intervento non è in grado di esprimere il proprio volere, devono essere presi in considerazione i desideri da lui precedentemente espressi”; - la legge Cendon del 2004, di cui si è avvalsa di recente la signora Vincenza Santoro Galani di Modena, affetta da sclerosi laterale amiotrofica, e che prevede per i malati di mente così come per chi è temporaneamente incapace o sa di divenirlo la figura dell’amministratore di sostegno: un fiduciario che, sulla base di un decreto del giudice tutelare, può agire in nome e per conto del malato. Il giudice tutelare Guido Stanzani ha dunque emanato un decreto nel quale nominava il marito amministratore di sostegno, “autorizzato a compiere in nome e per conto della beneficiaria le seguenti operazioni: negazioni di consenso ai sanitari a praticare ventilazione forzata e tracheotomia”. Considerato come nel processo individuale all’autodeterminazione la salute, il diritto alla salute e la libertà di scelta terapeutica sono alla base della dignità dell’essere umano che la realtà deve riconoscere, sancire e tutelare quale bene supremo e inalienabile della libertà, civiltà e della democrazia, fonte di coesione sociale, e lo stesso “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa” (2004) all’Articolo 2 del Titolo I individua nel rispetto della “dignità” dell’essere umano il suo primo fondamentale diritto; alla luce dell’evoluzione della società e dei risultati scientifici applicati o applicabili alla medicina, emerge non procrastinabile l’assunzione delle responsabilità del Legislatore nel 27 tutelare l’integrità dell’essere umano nella sua piena dignità all’autodeterminazione, e tale diritto passa anche attraverso il pieno rispetto del colloquio e del consenso informato nel conseguente e inter-agente rispetto della libertà di pensiero, coscienza e religione. Invita la Giunta regionale ad assumere specifiche iniziative nei confronti delle strutture sanitarie dell’Emilia-Romagna (all’interno dei percorsi terapeutici che garantiscono la qualità della cura e l’umanizzazione del trattamento sanitario, nel rispetto del principio di partecipazione del paziente) che assicurino nella fase di sottoscrizione del “Consenso informato” da parte del paziente stesso, la possibilità di richiedere specifiche clausole che prevedano il rifiuto di tutti i trattamenti sanitari per i quali il paziente non abbia espresso il proprio esplicito consenso. Bologna, 23 giugno 2008 Gianluca Borghi - Massimo Mezzetti - Paolo Nanni 806 – LE VIGNETTE DI ALTAN – SOSPESI I PROCESSI 807 – LE VIGNETTE DI GIULIANO – INTERCETTAZIONI 28