SICUREZZA SUL LAVORO – KNOW YOUR RIGHTS !
NEWSLETTER N.128 DEL 08/02/13
NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI
(a cura di Marco Spezia - [email protected])
INDICE
RUOLO, COMPETENZE E RESPONSABILITA’ DEL RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI
PREVENZIONE E PROTEZIONE – SECONDA PARTE
1
DISASTRO DI SANTIAGO DE COMPOSTELA: ERRORE UMANO O ERRORI DISUMANI?
5
USARE IN SICUREZZA CARRELLI MOVIMENTATORI, ELEVATORI E TRASPORTATORI
8
AMIANTO: COME RICONOSCERLO, VALUTARLO E INTERVENIRE CORRETTAMENTE
12
CADUTE DALL’ALTO: IL PERCORSO PER UNA CORRETTA ANALISI DEI RISCHI
14
RUOLO, COMPETENZE E RESPONSABILITA’ DEL RESPONSABILE DEL SERVIZIO DI
PREVENZIONE E PROTEZIONE – SECONDA PARTE
LE RESPONSABILITA’ DELL’RSPP SECONDO IL D.LGS.81/08
Occorre preliminarmente osservare che il D.Lgs.81/08 è un Decreto penale che stabilisce degli
obblighi per alcune figure (le cosiddette “figure penalmente perseguibili”) a cui corrispondono,
in caso di mancata ottemperanza degli obblighi, corrispondenti sanzioni penali, contenute
nell’apparato sanzionatorio del Decreto stesso.
Le figure penalmente perseguibili definite dal Decreto sono:
− datore di lavoro;
− dirigenti;
− preposti;
− lavoratori;
− componenti dell'impresa familiare e lavoratori autonomi;
− progettisti;
− fabbricanti e fornitori;
− installatori;
− medico competente.
Per ciascuna di queste figure sono previsti, all’interno del decreto, ben precisi obblighi e ad
ogni obbligo è previsto un apparato sanzionatorio in caso di mancata ottemperanza all’obbligo.
Ad esempio per il datore di lavoro, limitandoci al Titolo I del Decreto, gli obblighi sono contenuti
all’interno dell’articolo 17 (obblighi non delegabili) e dell’articolo 18 (obblighi delegabili ai
dirigenti). Parallelamente l’articolo 55 del Decreto prevede a carico del datore di lavoro le
sanzioni derivanti dal mancato adempimento agli obblighi di cui agli articoli 17 e 18.
A differenza delle figure sopra citate, come accennato in precedenza, il D.Lgs.81/08 non
prevede nessuna responsabilità penale per l’RSPP.
Infatti in nessuna parte del testo del Decreto è presente un capitolo titolato “Obblighi del RSPP”
e di conseguenza in nessuna parte del testo del Decreto è presente un capitolo titolato
“Sanzioni per l’RSPP”.
Come detto, il D.Lgs.81/08 prevede per l’RSPP una mera figura di consulenza al datore di
lavoro, il quale rimane comunque responsabile di eventuali omissioni agli obblighi stabiliti dal
decreto.
A titolo d’esempio, è vero che l’RSPP collabora alla stesura del documento di valutazione del
rischio, secondo quanto disposto dall’articolo 33, comma 1, lettera a), ma la responsabilità
formale della redazione del documento di valutazione del rischio è a carico esclusivamente del
datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera a) del Decreto, tanto che la
redazione del documento costituisce obbligo non delegabile per il datore di lavoro.
E infatti, la mancata redazione del documento di valutazione del rischio è punita dall’articolo
55, comma 1, lettera a) con una sanzione a carico del solo datore di lavoro, non esistendo un
apparato sanzionatorio relativo all’RSPP.
Le responsabilità dell’RSPP rispetto al datore di lavoro sono di mera natura contrattuale, sia
che l’RSPP sia un consulente esterno, sia che egli sia un dipendente, ma di queste
responsabilità il D.Lgs.81/08 non può tenere conto.
Infatti, secondo il Decreto, ogni mancato adempimento al compito (non all’obbligo) assegnato
all’RSPP sono di totale responsabilità, secondo legge del datore di lavoro.
Non a caso, il secondo degli obblighi non delegabili a carico del datore di lavoro, secondo
l’articolo 17, comma 1, lettera b), è “ la designazione del responsabile del servizio di
prevenzione e protezione dai rischi” (responsabilità “in eligendo” del datore di lavoro) e non a
caso l’articolo articolo 33, comma 3 specifica che “ Il servizio di prevenzione e protezione è
utilizzato dal datore di lavoro” (responsabilità “in vigilando” del datore di lavoro).
In conclusione, il D.Lgs.81/08 non prevedendo obblighi specifici per l’RSPP, né un relativo
apparato sanzionatorio, non prevede alcuna responsabilità penale a carico dell’RSPP.
Di conseguenza, qualunque notizia di reato notificata dall’Organo di vigilanza (nel caso
presente la ASL) e trasmessa alla Procura della repubblica, relativa a inadempimenti rispetto
agli obblighi sanciti dal D.Lgs.81/08, non potrà mai interessare l’RSPP, ma solo il datore di
lavoro e/o i dirigenti, per quanto di loro competenza.
-- 1 --
LE RESPONSABILITA’ DELL’RSPP SECONDO LE FONTI DEL DIRITTO
Quanto sopra detto non esclude però la responsabilità dell’RSPP in assoluto, se da sue
eventuali mancanze derivino danni a lavoratori.
Nell’ambito della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro i danni ipotizzabili nei confronti
dei lavoratori sono quelli riconducibili ai reati di omicidio colposo e di lesioni personali colpose,
sia per quanto attiene a eventi infortunistici, sia per quanto attiene a malattie professionali.
Il reato di omicidio colposo è rubricato dall’articolo 589 del Codice Penale:
“Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a
cinque anni.
Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro
la pena è della reclusione da due a sette anni ”.
Il reato di lesioni personali colpose è rubricato dall’articolo 590 del Codice Penale:
“Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre
mesi o con la multa fino a euro 309.
Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a
euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a
euro 1.239.
Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi
a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della
reclusione da uno a tre anni”.
Eventuali responsabilità penali dell’RSPP rispetto a un omicidio o a una lesione personale nei
confronti di un lavoratore, possono derivare a seguito del rapporto di casualità definito
dall’articolo 40 del Codice penale:
“Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento
dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione
od omissione.
Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo ”.
A seguito di tale articolo, se il comportamento dell’RSPP è stato tale da provocare, secondo un
preciso rapporto causa/effetto, un evento lesivo nei confronti di un lavoratore, all’RSPP stesso
potrà essere imputato il reato di omicidio o di lesioni personali colpose.
In questo ambito rientra in particolare la omessa o non corretta valutazione dei rischi, la cui
redazione, secondo l’articolo 33, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08, è di diretta competenza
dell’RSPP (anche se di esclusiva responsabilità del datore di lavoro).
Se nell’ambito del processo di individuazione dei rischi, l’RSPP omette di valutarne alcuni e di
conseguenza omette di definire le misure di prevenzione e protezione per eliminare tali rischi
e, se a causa della mancanza di tali misure, avviene un infortunio o una malattia professionale
lesiva per un lavoratore, l’RSPP a causa di una sua precisa mancanza, avrà una diretta
responsabilità nell’evento lesivo.
Viceversa, se il processo di individuazione dei rischi condotto dall’RSPP è corretto, di
conseguenza sono definite le misure di prevenzione e protezione che finalizzate a evitare
l’infortunio o la malattia professionale e quindi l’evento lesivo nei confronti del lavoratore non
si può verificare.
Pertanto un comportamento erroneo dell’RSPP, in particolare nel processo di valutazione dei
rischi e di definizione delle misure di prevenzione e protezione, potrebbe definirne un profilo di
responsabilità, in caso di eventi lesivi per il lavoratore, sia in sede penale, che in sede civile.
Da questa responsabilità non se ne può però chiamare completamente fuori il datore di lavoro
che riveste sempre, a seguito di quanto disposto dal D.Lgs.81/08, una precisa posizione di
garanzia nei confronti dei lavoratori.
Si ricorda infatti, che al di là del ruolo svolto dall’RSPP nel processo di valutazione del rischio, la
redazione del documento di valutazione del rischio è di esclusiva e non delegabile
responsabilità del datore di lavoro.
Pertanto, anche nel caso che l’omessa o non corretta individuazione di rischi e di misure di
prevenzione e protezione sia dovuta a una mancanza dell’RSPP, il datore di lavoro sarà
comunque chiamato in correo (in sede penale e civile).
Quanto sopra, sia perché la responsabilità primaria della tutela dei lavoratori è posta in capo al
datore di lavoro, sia, in ogni caso, per eventuale “culpa in eligendo”, a seguito dell’articolo 17,
comma 1, lettera b) del D.Lgs.81/08, sia per eventuale “culpa in vigilando”, a seguito
dell’articolo 33, comma 3.
-- 2 --
L’RSPP DATORE DI LAVORO O DIRIGENTE
Tutto quanto detto finora è valido nel caso in cui l’RSPP sia un dipendente aziendale senza
particolari compiti dirigenziali, oppure sia un consulente esterno.
Ovviamente la responsabilità dell’RSPP, secondo quanto disposto dal D.Lgs.81/08 (fermo
restando cioè le responsabilità derivanti dalle fonti del diritto), cambiano sostanzialmente nel
caso in cui sia il datore di lavoro a svolgere la funzione di RSPP oppure nel caso in cui l’RSPP in
qualità di dirigente aziendale sia delegato dal datore di lavoro a ottemperare a tutti o a parte
degli obblighi delegabili.
Nel primo caso, il datore di lavoro, alle condizioni stabilite dall’articolo 34, comma 1 del
D.Lgs.81/08, si avvale della facoltà di svolgere il ruolo dell’RSPP. E’ chiaro che in questo caso,
in cui l’RSPP coincide con il datore di lavoro, egli ne assume tutte le responsabilità definite dal
Decreto.
Nel secondo caso, l’RSPP oltre ai compiti (non agli obblighi) definiti dal D.Lgs.81/08 è chiamato
a rispondere anche dell’osservanza degli obblighi delegabili di cui all’articolo 18 del Decreto. E’
ovvio che in tale secondo caso la responsabilità sussiste solo se l’RSPP/dirigente è stato
formalmente delegato dal datore di lavoro secondo le regole stabilite dall’articolo 16 del
Decreto.
E’ bene evidenziare che la sola qualifica di dirigente, così come la sola nomina a RSPP, senza
alcuna delega formale ex articolo 16, non comporta responsabilità in merito agli obblighi
definiti dal D.Lgs.81/08.
GIURISPRUDENZA
Cassazione Penale, Sez. 4, 16 febbraio 2012, n. 6400
“La responsabilità penale ‘diretta’ del datore di lavoro (e soggetti assimilati: dirigente,
preposti) per l'inosservanza delle norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul
lavoro non è esclusa ex se per il solo fatto che sia stato designato il RSPP, giacchè la
‘designazione’ del RSPP, che il datore di lavoro è tenuto a fare a norma di legge, non equivale
a ‘delega di funzioni’ utile ai fini dell'esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la
violazione della normativa antinfortunistica, perché gli consentirebbe di ‘trasferire’ ad altri - il
delegato - la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei
lavoratori. Posizione di garanzia che, come è noto, compete al datore di lavoro in quanto ex
lege onerato dell'obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi
all'espletamento dell'attività lavorativa.
La designazione del RSPP, in definitiva, non ha nulla a che vedere con l'istituto della ‘delega di
funzioni’ e non può quindi assumere la stessa rilevanza ai fini dell'esonero della responsabilità
del datore di lavoro”.
Cassazione Penale, Sez. 4, 04 maggio 2012, n. 16892
“Il soggetto designato responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur rimanendo
ferma la posizione di garanzia del datore di lavoro, ancorché sia privo di poteri decisionali e di
spesa, deve essere ritenuto anch'egli responsabile del verificarsi di un infortunio, ogniqualvolta
questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto
l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore,
che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle
necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione ”.
Cassazione Penale, Sez. 4, 27 settembre 2012, n. 37334
“Se dunque risulta stabile nelle diverse stagioni legislative, la configurazione della mappazione
dei rischi come strumento essenziale dell'intero sistema antinfortunistico, l'omissione di
condotte doverose in relazione alla funzione di responsabile o di addetto al servizio di
prevenzione e protezione realizza la violazione dell'intero sistema antinfortunistico, senza che
abbia alcuna rilevanza il mancato apprestamento di una specifica sanzione penale per la
violazione di sistema.
Invero, ove da tale violazione discendano lesioni o morte non solo sarà configurabile un
concorso in quei delitti, ma sarà configurabile la specifica aggravante della loro commissione
configurata all'articolo 590, comma 5 codice penale e articolo 589 comma 2 codice penale.
E' quanto è stato contestato e quanto è stato motivatamente e compiutamente accertato nel
caso che ne occupa. Infatti,la mancata previsione del rischio e dei mezzi per contenerlo è stata
individuata come causa incidente sulla mancata adozione di adeguati presidi oggettivi, di
adeguata informazione e in definitiva come causa efficiente nella determinazione dell'evento
reato”.
-- 3 --
Cassazione Penale, 18 ottobre 2012, n. 40890
“Deve osservarsi che del tutto legittimamente la Corte territoriale ha sottolineato che
l'intervenuta designazione di un responsabile del servizio di prevenzione e protezione non
escludeva la responsabilità del datore di lavoro, atteso che il predetto soggetto non era stato
delegato a svolgere concretamente i compiti di osservanza delle norme antinfortunistiche. E
che del pari conferentemente il Collegio ha sottolineato che il responsabile del servizio di
prevenzione e protezione, in sostanza, assume la veste di consulente del datore di lavoro, il
quale fa propri gli studi elaborati dal predetto consulente. Del resto, questa Suprema Corte ha
pure chiarito che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è una sorta di
consulente del datore di lavoro e che i risultati dei suoi studi ed elaborazioni sono fatti propri
dal datore di lavoro che lo ha scelto”.
Cassazione Penale, Sez. 4, 17 dicembre 2012, n. 49031
“La designazione del RSPP non ha nulla a che vedere con l'istituto della delega di funzioni (cfr.
ora Decreto Legislativo n. 81 del 2008, articolo 16) e non può quindi assumere la stessa
rilevanza ai fini dell'esonero della responsabilità del datore di lavoro. Ciò, tenuto conto dei
compiti e dei relativi poteri attribuiti al RSPP, tra i quali rientra l'obbligo dell'individuazione dei
fattori di rischio e delle misure da adottare per la sicurezza e la salubrità dell'ambiente di
lavoro: nello svolgimento di tali compiti, peraltro, il RSPP opera per conto del datore di lavoro,
svolgendo solo un' attività di consulenza nella materia della prevenzione dei rischi in ambiente
lavorativo, di guisa che i risultati della sua attività sono destinati al datore di lavoro, cui
compete, poi, di ottemperare alle indicazioni offertegli rimuovendo le situazioni pericolose.
Il datore di lavoro, quindi, è e rimane il titolare della posizione di garanzia nella subiecta
materia, dovendosi escludere che possa invocarsi impropriamente l'istituto della delega di
funzioni in presenza - ove mai l'odierno ne fosse un caso - della mera nomina del RSPP ”.
ing. Marco Spezia
SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS!
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DISASTRO DI SANTIAGO DE COMPOSTELA: ERRORE UMANO O ERRORI DISUMANI?
Da: ANCORA IN MARCIA !
http://www.inmarcia.it/home
QUANDO I DISASTRI FERROVIARI SI PIANIFICANO A TAVOLINO
Roma, 25 luglio 2013
Ieri sera, intorno alle 20 e 30 un treno con oltre 200 persone a bordo è deragliato in Spagna,
nei pressi della Stazione di Santiago de Compostela sulla linea AV Madrid-Ferrol.
UN INCIDENTE SPAVENTOSO
Un incidente spaventoso in cui hanno perso la vita oltre 80 persone che avevano scelto con
serenità la ferrovia per i loro spostamenti. La immane portata del disastro, le immagini
strazianti dei feriti e delle vittime tra le lamiere contorte, assieme all’agghiacciante ripresa in
tempo reale del deragliamento, hanno riportato all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale
il tema della sicurezza ferroviaria.
CORDOGLIO E SOLIDARIETA’ PER LE VITTIME
Esprimiamo il nostro cordoglio per le vittime del disastro, ci stringiamo ai loro familiari,
partecipiamo al dolore dei feriti e manifestiamo la nostra solidarietà a tutti i cittadini spagnoli
colpiti da una tale tragedia.
IL NOSTRO PUNTO DI VISTA
Sentiamo nello stesso tempo il dovere di offrire un contributo all’analisi di quanto accaduto
partendo dal nostro punto di vista di macchinisti, “interno” alla cabina di guida dei treni, per
tentare di comprendere, le ragioni di un fatto così grave in un’epoca in cui apparati e
tecnologie molto sofisticate sono utilizzate diffusamente a supporto di ogni normale attività
quotidiana.
SULLE SPALLE DEL MACCHINISTA
I treni, in quel tratto specifico viaggiavano senza alcuna protezione o ausilio tecnologico per il
macchinista, sulle cui spalle e sulla cui perfetta efficienza psicofisica permanente è stata
poggiata l’intera affidabilità del “moderno” sistema dell’alta velocità ferroviaria e la vita di così
tante persone. In altre parole i treni in quel maledetto raccordo, tra la nuova e la vecchia linea,
si guidano come un’automobile o un camion: facendo affidamento solo sulle capacità, i riflessi
e sull’attenzione di una persona. Come se su uno svincolo al termine di una grande autostrada
veloce in galleria ci fosse una rampa stretta e senza guard rail. Una condizione che induce
all’errore e che non è in grado eventualmente di attenuarne gli effetti.
“IL MACCHINISTA NON HA FRENATO”
Dalle prime ricostruzioni sembra accertato che la causa del deragliamento diretta sia stata
l’eccessiva velocità, 190 km/h, contro gli 80 massimi ammessi su quel tratto di linea, un
raccordo di recente costruzione, che presenta una severa curva in uscita dalla linea principale.
Fin dal primo momento l’attenzione delle autorità e dell’opinione pubblica si è concentrata su
un errore del macchinista che non avrebbe frenato in tempo nel tratto immediatamente
precedente al luogo dell’incidente.
PERCHE’ NON HA FRENATO?
Meno attenzione è stata rivolta alle ragioni che eventualmente l’avrebbero portato a
“mancare” quel semplice gesto della mano, ovvero spostare di pochi centimetri una leva di
comando, per attivare la frenata.
Le ipotesi non sono molte, da quelle assai improbabili di una volontà suicida o di follia
improvvisa, a quelle di un guasto ai freni che potrebbero non aver risposto al comando, a
quelle molto più probabili di un malore, un colpo di sonno, una distrazione o un errore
percettivo della posizione del treno rispetto alla punto della linea. Un momento di difficoltà che
ciascun essere umano conosce bene e che ogni macchinista ha provato di persona.
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QUANDO “MACCHINISTA SOLO” È UN CRIMINE
Occorre precisare che, a differenza da quanto riportato da gran parte della stampa, sul
convoglio era presente un solo macchinista fatto determinante in assenza di tecnologie, (in
Spagna da vent’anni i treni sono condotti ad “agente solo”). Se ci fosse stato il secondo
macchinista l’incidente non sarebbe accaduto. Ridurre l’equipaggio ad un solo macchinista è
sempre un azzardo per la sicurezza, dove i treni viaggiano senza ausili tecnologici è da
considerare un vero e proprio crimine.
NON INFANGATE IL MACCHINISTA
Nessuna attenzione meritano invece, a nostro avviso, le ipotesi gratuitamente e cinicamente
denigratorie rispetto alle frasi o alle foto che il nostro collega spagnolo aveva posto su un social
network. Anzi, da queste semmai traspare, seppur con ironia, la consapevolezza
dell’importanza dei limiti di velocità e della severità con cui vengono sono rispettati, al
contrario di quanto succede su strade e autostrade. Sono pochi i macchinisti che non parlano
con orgoglio del loro treno che, sfrecciando al massimo della velocità consentita, porta i
viaggiatori a destinazione in orario.
MA NON BASTA DIRE LA VELOCITA’
Restando quindi da verificare le ragioni concrete - materiali e psicologiche - della mancata
frenata e da macchinisti ci sentiamo contrariati per le facili e sbrigative conclusioni che in casi
come questo accomunano gran parte dei media e che rischiano la disinformazione
dell’opinione pubblica e un condizionamento negativo delle misure da adottare da parte delle
autorità.
ANCHE IN SPAGNA UN “BUCO NERO” E UN “TRABOCCHETTO”
Un “buco nero” di discontinuità tra sistemi di circolazione diversi – come quelli contro cui
abbiamo combattuto con forza che in Italia fino a pochi anni fa hanno causato molte sciagure che rappresentano una vera e propria insidia sui binari; veri trabocchetti lasciati per cinici
calcoli di convenienza soprattutto nelle fasi di cambiamento. Una specie di buca aperta nel
cantiere tra la cucina, nella parte vecchia e il salone, moderno e lussuoso, nella parte nuova di
una casa in ristrutturazione dove continuiamo ad abitare e su cui passiamo cento volte al
giorno. Prima o poi sicuramente qualcuno ci cade dentro.
ERRORE UMANO
Sebbene tutti i macchinisti europei siano sottoposti periodicamente a rigidi controlli medici,
psicoattitudinali e contro l’assunzione di alcol e droghe, in assenza di dispositivi tecnici, non vi
è nulla che metta al riparo dall’errore umano. Se quello del macchinista è un vero “errore
umano” per essersi distratto o aver sbagliato i tempi di frenata nei pochissimi secondi a
disposizione - quelli commessi dai legislatori e dai tecnocrati europei dell’Agenzia ERA, per la
sicurezza ferroviaria, dai progettisti, dai manager, dagli amministratori, dai gestori della rete
ferroviaria e dal suo datore di lavoro - sono una lunga catena di “errori umani” commessi però
in luoghi e tempi molto distanti dalla curva Grandeira, teatro della sciagura.
ERRORI DISUMANI
Anzi, i loro sono “errori disumani”, mille volte più grave, perché privi delle caratteristiche
essenziali di umanità, quali buon senso, emozioni, pietà. Errori, perché hanno considerato i
macchinisti infallibili. Disumani per il cinismo e la crudeltà di aver “pianificato” a tavolino e
“scelto” che i treni dovessero marciare su quel “trabocchetto” senza perdere tempo e senza
spendere quel (poco) denaro necessario ad attivare i sistemi di controllo automatico della
velocità sul binario di raccordo e farli dialogare con quelli già presenti sul treno. Disumani
perché non hanno dato il giusto valore alle tragiche conseguenze di un deragliamento, più che
prevedibili, nel caso di malore, distrazione o anche imperizia in cui sarebbe certamente, prima
o poi, incappato uno dei tanti macchinisti che quotidianamente, per anni, percorrono quel
tratto.
RISCHIO CALCOLATO
Dietro questa sciagura si riaffaccia la crudele filosofia dominante – ben presente in chi
costruisce infrastrutture - sul rischio calcolato, ovvero un approccio che più che sulla
prevenzione degli incidenti punta ad un modello che successivamente ne individui le
responsabilità per quelli che, con certezza “statistica”, accadranno.
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L’ULTIMO ANELLO PAGA PER TUTTI
L’ultimo anello della sicurezza, il macchinista, che è rimasto miracolosamente illeso, pagherà
comunque e pesantemente - per il suo “banale” errore dalle conseguenze abnormi - il conto
con la giustizia e con la propria coscienza; tutti gli altri che l’errore l’hanno “scelto” seduti
intorno ad una scrivania, non risponderanno affatto e anzi oggi dichiarano di correre ai ripari
piangendo lacrime di ipocrisia.
E’ SERVITO MOLTO SANGUE
In Italia abbiamo atteso due disastri prima di intervenire con la tecnologia di “protezione” della
marcia del treno: disastro di Piacenza, 12 gennaio 1997, 8 morti, tra cui due macchinisti, per un
Pendolino che deraglia su una curva da cui era stato eliminato il segnale di avviso riduzione
velocità. Disastro di Crevalcore, 7 gennaio 2005, 17 morti, tra cui tre macchinisti ed un
capotreno, per la “svista” di un semaforo rosso da parte del nostro collega lasciato solo con il
pedale dell’uomo morto a guidare nella nebbia fitta a 120 km/h.
E ANNI DI LOTTE
I macchinisti, che da sempre rivendicano miglioramenti della tecnologia per avere una
maggiore sicurezza, per anni si sono opposti (subendo anche pesanti ritorsioni e licenziamenti)
all’introduzione del “macchinista solo” supportato dal cosiddetto pedale a “uomo morto”,
strumento obsoleto (in pratica una sveglietta) che avrebbe dovuto controllare la vigilanza del
macchinista mentre invece ne disturbava la concentrazione alla guida e risultava di disturbo
anche a livello fisico. Le lotte dei macchinisti e il grande lavoro di sensibilizzazione nei confronti
dell’opinione pubblica italiana ha contribuito alla modernizzazione della rete con un sistema di
controllo della velocità esteso oggi praticamente su tutti i binari. Solo dopo questo tributo di
sangue e grazie alle mobilitazioni, agli scioperi, alle battaglie politiche, sociali e finanche
giudiziarie, che questa rivista ha sostenuto, si sono effettuati quegli investimenti che hanno
fatto fare un passo in avanti alla sicurezza.
OGGI ANCHE LA SPAGNA HA PAGATO
La Spagna che insegue anch’essa il mito dell’alta velocità, paga oggi, come noi ieri, il suo
altissimo prezzo all’errore “umano” di un semplice e sfortunato ferroviere e agli errori
“disumani” di un ristretto numero di funzionari e dirigenti, commessi consapevolmente in nome
del profitto e del disprezzo della vita.
NON SI SMETTE DI PERSEGUIRE LA SICUREZZA
La sicurezza è un processo continuo, sempre migliorabile, che i macchinisti italiani perseguono,
sebbene dal 2009, a seguito di un “tradimento” sindacale ed una resa senza condizioni alle
ragioni dell’impresa, anche da noi sulla maggior parte dei treni c’é un solo macchinista alla
guida. Ciò, intacca comunque gli standard di sicurezza raggiunti con i sistemi di controllo della
velocità e comporta seri problemi non ancora risolti, relativamente al soccorso. Restano aperte
le enormi problematiche della sicurezza per i lavoratori - 40 morti nel settore in pochi anni - e
la grande questione del trasporto della merci pericolose - strage di Viareggio con 32 cittadini
morti nelle loro abitazioni per incendio di una cisterna di GPL deragliata in città - le quali a
seguito del processo di liberalizzazione e privatizzazione in atto sono divenute molto più
pericolose che in passato. Continueremo a vigilare affinché i regolamenti, la tecnologia e
l’organizzazione ferroviaria siano modificati sempre e solo all’insegna della maggior sicurezza e
liberi dai condizionamenti del mero risparmio economico e del profitto.
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USARE IN SICUREZZA CARRELLI MOVIMENTATORI, ELEVATORI E TRASPORTATORI
Da: PuntoSicuro
http://www.puntosicuro.it
02 luglio 2013
Indicazioni e suggerimenti per usare in sicurezza carrelli movimentatori, carrelli elevatori e
carrelli trasportatori. Il rischio di ribaltamento, la stabilità e i controlli preliminari. Indicazioni
per il prelievo, trasporto e deposito del carico.
Non si può parlare di infortuni correlati all’utilizzo di mezzi di sollevamento e/o di trasporto
senza fare riferimento ai rischi dei carrelli movimentatori, carrelli elevatori e carrelli
trasportatori.
Su queste attrezzature si sofferma il documento “Movimentazione merci pericolose. Carico,
scarico, facchinaggio di merci e materiali. Manuale sulla sicurezza destinato agli addetti al
carico, scarico, facchinaggio di merci e materiali pericolosi”, pubblicazione realizzata dalla
Direzione Centrale Prevenzione dell’Inail in collaborazione con Parsifal Srl.
I carrelli movimentatori elevatori sono sistemi di trasporto che, se manuali, devono essere
provvisti di elementi di presa (timone, maniglie, ecc.) che rendano la manovra sicura e
agevole. Il montante dei carrelli elevatori, anche se azionati manualmente, se sussiste pericolo
(ad esempio di cesoiamento) deve essere protetto; solitamente, tale protezione viene
realizzata con una griglia metallica leggera avente maglie di dimensioni tali da non ostacolare
la visuale, ma nel contempo da impedire di raggiungere le parti pericolose del sistema di
sollevamento.
Riportiamo qualche informazione specifica relativa a:
− carrelli movimentatori: carrelli che servono soprattutto per il trasporto all’interno dei
magazzini, ad esempio della grande distribuzione; una volta inforcato il carico, occorre
sollevarlo un poco da terra, verificarne la stabilità sulle forche e iniziare il trasporto; il
trasporto deve essere eseguito con l’operatore che precede il carrello, così da poter avere
la massima visuale possibile; nei passaggi ciechi o nelle curve brusche bisogna prestare
attenzione a eventuali altre persone o mezzi presenti e, nel caso si utilizzino carrelli
motorizzati, segnalare la propria presenza con l’avvisatore acustico;
− carrelli elevatori: il loro scopo principale è il sollevamento e, in maniera limitata, il
trasporto, principalmente all’interno di reparti/magazzini; in queste attrezzature il rischio
maggiore è il ribaltamento durante le fasi di spostamento a carico sollevato; per evitare
questo grave rischio, occorre eseguire gli spostamenti con il carico nella posizione più
bassa possibile, su superfici regolari e piane ed evitando manovre accentuate quali, ad
esempio, curve brusche o repentine; il conducente deve, prima dell’utilizzo, verificare il
corretto stato di conservazione del mezzo e la funzionalità dei dispositivi di sollevamento
(montante, forche, pistoni, ecc.) e di traslazione e lo stato delle ruote; durante l’utilizzo,
occorre per prima cosa assicurarsi che il carico da movimentare sia compatibile, per peso e
dimensioni, con le caratteristiche costruttive del mezzo, e che l’imballo sia in buono stato;
una volta prelevato il carico, prima di sollevarlo o trasportarlo, bisogna sollevarlo pochi
centimetri da terra e accertarsi della sua stabilità e del suo corretto posizionamento sulle
forche e se si devono eseguire degli spostamenti del carico, è necessario, prestare
particolare attenzione a non urtare macchinari, strutture o quant’altro contorni il percorso
su cui ci si accinge, e all’eventuale presenza di altro personale o mezzi: la movimentazione
va eseguita sempre in modo tale che il conducente preceda il carrello, così da poter avere
sempre la visuale libera; una volta giunti a destinazione, ci si deve posizionare frontalmente
alla zona di deposito, sollevare il carico a un’altezza leggermente superiore a quella del
punto di appoggio, eseguire la traslazione che porta il carico al di sopra del punto di
appoggio, e abbassare lentamente fino a che il carico appoggia correttamente.
Arriviamo infine a parlare dei carrelli trasportatori elevatori, una tipologia di apparecchi molto
diffusa in diversi comparti produttivi e concepita, oltre che per il sollevamento, anche per il
trasporto.
Se saper condurre con perizia e precisione un carrello elevatore costituisce una parte
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importante nelle attività di smistamento dei materiali (ricordando che la rapidità di esecuzione
dei lavori non implica assolutamente aspetti comportamentali negativi, quali il trasferimento a
velocità eccessiva, la fretta e l’audacia nell’esecuzione delle manovre), l’apparente semplicità
d’uso, con macchine sempre più “facili” da condurre, è spesso all’origine di una gestione non
ottimale del mezzo, con conseguenze negative e, in alcuni casi, disastrose. E fra i rischi
connessi all’impiego, il ribaltamento è certamente noto, anche se sottovalutato o mal valutato.
Riguardo alla loro stabilità, il documento ricorda che i carrelli sono macchine specializzate che,
per evitare variazioni di assetto soprattutto in elevazione, non hanno di norma sospensioni con
ammortizzatori e adottano gomme piene se operano su superfici pavimentate e regolari;
ovvero pneumatici se operano all’aperto o su terreni semipreparati. Lo sterzo è sull’asse
posteriore per garantire i piccoli raggi di curvatura necessari nei magazzini, sulle ribalte, fra le
scaffalature intensive. Con quest’assetto, l’appoggio statico a terra può essere garantito con
tre e non con quattro ruote; diversamente, i dislivelli della pavimentazione, assorbiti solo in
parte dalle ruote, determinerebbero la perdita di aderenza e l’instabilità del mezzo. Per ovviare
a questo inconveniente, l’asse posteriore è basculante, formando così un’unica ruota “virtuale”
attorno allo snodo centrale dell’asse.
Dunque nei carrelli elevatori, la superficie di appoggio non è quindi a forma di quadrilatero,
come nella maggior parte dei normali mezzi di trasporto, ma è determinata dal triangolo
ottenuto fra i punti di appoggio del mezzo, che sono quindi 3: le due ruote dell’asse anteriore e
l’asse posteriore basculante. Il carrello si ribalta quando la proiezione a terra del baricentro
“esce” dal piano di appoggio triangolare. Ad esempio se all’aumentare del carico il baricentro
complessivo (carrello-conducente-carico) si sposta in avanti (verso la base del triangolo), un
carico eccessivo (ad esempio superiore alla portata massima del carrello) porta il baricentro
fuori dal triangolo di stabilità, superando la “base del triangolo” (ruote anteriori).
Oggi sono disponibili carrelli con caratteristiche progettuali orientate alla massima
stabilizzazione, anche con l’ausilio di controlli elettronici di stabilità simili a quelli utilizzati in
campo automobilistico.
Veniamo ad alcuni controlli preliminari che deve fare il carrellista prima di iniziare il lavoro
assicurandosi che:
− le gomme siano in buone condizioni e, se si tratta di un mezzo con gomme pneumatiche,
convenientemente gonfiate;
− le forche siano correttamente posizionate e agganciate alla piastra porta forche, non siano
deformate o eccessivamente usurate;
− l’impianto frenante sia perfettamente efficiente;
− i dispositivi di segnalazione/illuminazione siano funzionanti;
− il sistema di sollevamento funzioni regolarmente e non vi siano perdite dai circuiti idraulici;
− il livello dell’olio sia corretto nei vari organi;
− sui carrelli endotermici, ci sia carburante e l’antigelo durante la stagione invernale e che il
filtro dell’aria sia perfettamente pulito;
− sui carrelli elettrici, la batteria sia carica.
Rimandando ad una lettura integrale del documento Inail - anche con riferimento ai requisiti
minimi di sicurezza, ai rischi nel rifornimento o messa in carica e ai dispositivi di protezione
necessari - riprendiamo brevemente alcune delle indicazioni per un utilizzo sicuro del carrello:
− per evitare cadute salire e scendere dal carrello utilizzando i gradini e le maniglie
appositamente installate;
− prima di partire, occorre regolare la posizione del sedile e degli specchi retrovisori e, non
ultimo, allacciarsi le cinture di sicurezza, come se stessimo guidando un’automobile;
− durante la guida, non si deve sporgere nessuna parte del corpo al di fuori della sagoma del
carrello;
− è vietato il trasporto di altre persone, fatto salvo che il carrello sia dotato di un apposito
spazio per il passeggero;
− la velocità deve essere adeguata alle condizioni ambientali, del traffico e del fondo stradale,
e bisogna comunque procedere a velocità moderata, a carrello carico;
− durante gli spostamenti, è necessario prestare particolare attenzione a macchinari,
strutture o quant’altro contorni il percorso su cui si accinge a transitare e, soprattutto,
all’eventuale presenza di persone o mezzi; in prossimità di curve brusche, strettoie, incroci,
portoni, ecc., occorre segnalare la presenza con l’avvisatore acustico (clacson);
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se la pavimentazione è bagnata, occorre ridurre la velocità e, in presenza di macchie di olio
o sostanze scivolose, bisogna evitare di passare e attivarsi per eliminarle;
durante il trasporto, il carico va mantenuto il più basso possibile, compatibilmente con
l’andamento del fondo stradale;
in caso di presenza di dossi o cunette pronunciati, occorre accertarsi che l’altezza minima
da terra del carrello permetta di superarli;
il carrello elevatore non deve essere utilizzato per spingere, né tantomeno per sollevare
persone con mezzi di fortuna; è possibile, per operazioni saltuarie di manutenzione,
sollevare persone utilizzando apposite attrezzature (gabbie) marcate CE;
in caso di rampe di carico, per evitare la caduta dei carrelli, si useranno cunei fermaruote
per garantire che i mezzi da caricare restino nella corretta posizione;
l’ingresso di carrelli a trazione endotermica all’interno dei magazzini è consentito solo se
vengono garantiti sufficienti ricambi d’aria; in alternativa, occorre utilizzare carrelli elettrici
o altri sistemi di movimentazione.
Questi i suggerimenti specifici per prelevare correttamente un carico:
− avvicinarsi al punto di prelievo (catasta, scaffale, ecc.) con il montante in posizione
verticale;
− verificare che la larghezza delle forche permetta l’inserimento negli appositi vani;
− a carrello fermo, sollevare le forche fino a raggiungere l’altezza dei vani di inserimento,
facendo attenzione a non urtare con il montante eventuali ostacoli in quota;
− inserire completamente le forche nei vani di inserimento, avanzando molto lentamente;
− quando il carico è ben inforcato, sollevare le forche fino a staccarlo dal punto di appoggio, e
quindi inclinare il montante all’indietro;
− arretrare lentamente prestando attenzione;
− appena possibile, portare il carico alla posizione più bassa, compatibilmente con il fondo,
mantenendo il montante inclinato all’indietro.
Indicazioni per il trasporto del carico:
− accertarsi che il carico sia stabile o, in alternativa, bloccarlo;
− trasportare il carico con il montante arretrato il più possibile;
− evitare manovre brusche e, soprattutto, frenate brusche;
− procedere a marcia indietro se il carico impedisce una buona visibilità o, se non fosse
possibile, farsi aiutare nelle manovre da un collega a terra in posizione di sicurezza.
Non bisogna dimenticare che discese e salite con pendenza superiore al 10% si affrontano:
salita: a marcia avanti; discesa: a marcia indietro e bassa velocità.
Se occorre transitare vicino a buche, fossi, scavi, ecc, bisognerà mantenere da questi
un’adeguata distanza (almeno pari alla profondità).
Anche il transito su superfici non pavimentate è possibile solo con carrelli per cui sia prevista
questa situazione (es. carrelli con pneumatici).
Concludiamo riportando le indicazioni per depositare un carico:
− avvicinarsi al punto di deposito (catasta, scaffale, ecc.) con il carico basso e il montante
inclinato all’indietro;
− a carrello fermo, sollevare il carico fino a raggiungere l’altezza di deposito, facendo
attenzione a non urtare con il montante eventuali ostacoli in quota;
− avanzare molto lentamente fino a quando il carico sia al di sopra del punto di deposito;
− abbassare le forche fino a quando il carico sia ben appoggiato;
− arretrare lentamente per sfilare le forche dai vani di inserimento, prestando attenzione a
non muovere inavvertitamente il carico;
− non appena possibile, abbassare le forche e riprendere il normale assetto di marcia.
Si ricorda inoltre che è possibile utilizzare accessori che permettono di adeguare le capacità di
presa alle caratteristiche del carico, quali: prolunghe per forche, pinze o sistemi di presa per
fusti, pinze per bobine/rulli; queste attrezzature modificano la configurazione del carrello e
bisogna pertanto verificare che possano essere montate sul carrello che si intende utilizzare. In
particolare, l’uso delle prolunghe richiede particolare attenzione, perché sposta in avanti il
baricentro del carico e, conseguentemente, il baricentro complessivo, rendendo il carrello
meno stabile.
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Il documento “Movimentazione merci pericolose. Carico, scarico, facchinaggio di merci e
materiali. Manuale sulla sicurezza destinato agli addetti al carico, scarico, facchinaggio di merci
e materiali pericolosi”, pubblicazione realizzata dalla Direzione Centrale Prevenzione dell’Inail
in collaborazione con Parsifal Srl, versione 2012 è scaricabile all’indirizzo:
http://www.inail.it/internet_web/wcm/idc/groups/internet/documents/document/ucm_portstg_10
3512.pdf
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AMIANTO: COME RICONOSCERLO, VALUTARLO E INTERVENIRE CORRETTAMENTE
Da: PuntoSicuro
http://www.puntosicuro.it
05 luglio 2013
Informazioni riguardo alle fibre di amianto per gli esperti di tecnica impiantistica. I prodotti
contenenti amianto fortemente o debolmente agglomerato e i prodotti contenenti fibre di
amianto pure. L’analisi delle attività e la prevenzione.
In merito ai rischi correlati alla presenza di amianto e alle misure di prevenzione da mettere in
atto nelle attività di lavoro e nelle operazioni di bonifica, Suva - istituto svizzero per
l’assicurazione e la prevenzione degli infortuni - ha pubblicato in passato sul proprio sito diversi
documenti che, pur facendo riferimento alla legislazione elvetica, contengono anche utili
indicazioni per i nostri lavoratori.
Nel gennaio di quest’anno è stato pubblicato un nuovo opuscolo dal titolo “Amianto: come
riconoscerlo, valutarlo e intervenire correttamente. Informazioni utili per gli esperti di tecnica
impiantistica”, un documento destinato agli addetti ai lavori nei seguenti settori: impianti
sanitari, impianti di riscaldamento, impianti di ventilazione, isolamenti, opere di lattoniere,
involucri edilizi.
Il documento, elaborato con la collaborazione di Suissetec, Isolsuisse e Batisec, ricorda che
malgrado in Svizzera, come in Italia, l’utilizzo dell’amianto sia vietato, è possibile trovare
tuttora materiali contenenti amianto. Spesso si tratta di siti contaminati che vengono alla luce
durante i lavori di ristrutturazione, riparazione e demolizione. Proprio durante questi interventi i
lavoratori corrono il pericolo di inalare le minuscole fibre di amianto disperse nell’aria.
Nell’opuscolo, dopo una breve introduzione sulle caratteristiche e sui rischi dell’amianto, si
spiega:
− dove è più frequente trovare amianto per gli installatori del settore impiantistica;
− quali misure di protezione bisogna adottare;
− quando ci si deve rivolgere a una ditta specializzata in bonifiche da amianto.
Il documento si sofferma sui prodotti contenenti amianto fortemente o debolmente
agglomerato e sui prodotti contenenti fibre di amianto pure.
Nel caso dei prodotti contenenti amianto fortemente agglomerato (matrice compatta) le fibre
di amianto sono fortemente legate in una matrice solida e stabile.
Alcuni esempi:
− prodotti in fibrocemento (amianto in cemento) come pannelli piccoli e grandi, davanzali per
finestre, facciate, lastre ondulate, condotte e canalizzazioni, fioriere;
− amianto negli stucchi per finestre;
− amianto nelle guarnizioni di gomma.
Il tenore di amianto di regola è inferiore al 20% in peso.
Tra le misure da applicare si indica di evitare la lavorazione meccanica (perforazione,
smerigliatura, frantumazione) e la pulizia ad alta pressione.
Nei materiali, prodotti contenenti amianto debolmente agglomerato (matrice friabile) le fibre di
amianto sono libere o debolmente legate in una matrice.
Alcuni esempi:
− materiale termoisolante e antincendio;
− rivestimenti in amianto spruzzato;
− pannelli leggeri;
− rivestimenti inferiori di pavimenti;
− isolamento di tubi;
− pannelli antincendio in apparecchi elettrici e in vecchi quadri elettrici.
Il tenore di amianto è di regola superiore al 40% in peso.
Nei prodotti contenenti fibre di amianto pure le fibre allo stato puro si possono trovare, ad
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esempio in forma tessuta (trecce, corde, cuscini) oppure sotto forma di cartoni.
Il tenore di amianto è chiaramente del 100 % in peso.
Riguardo a tutte le tipologie di prodotti analizzate nell’opuscolo, sono presenti numerose
immagini esplicative.
Si ricorda che laddove si rinvengano inaspettatamente dei materiali contenenti amianto, i
lavori devono essere sospesi e il committente deve esserne informato.
E cosa fare in caso di sospetta presenza di amianto?
Nell’opuscolo è presente un esempio di procedura, sotto forma di diagramma di flusso, da
seguire per i lavori su isolamenti di tubi, condotte di ventilazione, prodotti in fibrocemento
laddove ci sia il rischio della presenza di amianto.
Inoltre viene assegnato, in base al livello di pericolo, un colore ad ogni attività tipica del settore
impiantistica e sugli involucri edilizi: i colori indicano l’ esposizione alle fibre di amianto e le
misure di protezione da adottare.
Queste le attività analizzate nel documento:
− sbarramenti antincendio: pannelli antincendio, barriere antifiamma (amianto in matrice
friabile, fibre di amianto puro);
− intonaco a spruzzo su pareti, soffitti e travi di acciaio: amianto spruzzato (amianto in
matrice friabile);
− rivestimenti per pavimenti e pareti: rivestimenti di plastica multistrato, colla per piastrelle
contenente amianto (amianto in matrice compatta e friabile);
− tubi, canalizzazioni e pannelli all’interno di locali: fibrocemento (amianto in matrice
compatta);
− pannelli antincendio su parti della struttura: pannelli leggeri o cartoni di amianto (amianto
in matrice friabile);
− isolamento di impianti come boiler o bollitori per acqua calda, caldaie, rubinetterie, corpi
riscaldanti ad accumulazione: materiale isolante di riempimento, tappetini di amianto,
cuscini di amianto termoisolanti (amianto in matrice friabile);
− tubi, canalizzazioni e pannelli sull’involucro dell’edificio: fibrocemento (amianto in matrice
compatta);
− guarnizioni su impianti tecnici (impianti di riscaldamento, pompe, condotte): cordoni di
amianto, guarnizione di flange (guarnizioni it) (amianto in matrice compatta e friabile);
− isolamento di tubi e condotte: malte e guaine bituminose contenenti amianto (amianto in
matrice compatta e friabile).
Oltre a occuparsi degli aspetti giuridici e dello smaltimento dei rifiuti contenenti amianto (con
riferimento alla normativa elvetica), il documento si sofferma infine su alcuni dispositivi di
protezione utilizzabili per eliminare o diminuire i rischi correlati alla presenza di amianto:
− dispositivi di protezione delle vie respiratorie: il dispositivo di protezione deve essere scelto
in base al tipo di pericolo: ad esempio con riferimento ad un semifacciale con filtro
intercambiabile FFP3 o ad una maschera monouso per polveri sottili FFP3;
− tute monouso: per impedire la dispersione di polveri di amianto;
− aspiratori industriali (filtro di classe H secondo la norma EN 60335-2-69, con requisito
speciale per l’amianto) per aspirare la polvere alla fonte.
Nota Bene: Ii riferimenti legislativi contenuti nei documenti di Suva riguardano la realtà
svizzera, i suggerimenti indicati possono essere comunque di utilità per tutti i lavoratori.
Il documento del Suva “Amianto: come riconoscerlo, valutarlo e intervenire correttamente.
Informazioni utili per gli esperti di tecnica impiantistica” è scaricabile all’indirizzo
http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/130705_Suva_Amianto_informazioni.pdf
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CADUTE DALL’ALTO: IL PERCORSO PER UNA CORRETTA ANALISI DEI RISCHI
Da: PuntoSicuro
http://www.puntosicuro.it
16 luglio 2013
Un intervento si sofferma sulla gestione del rischio cadute dall’alto indicando problemi e
proponendo buone prassi. Le statistiche, l’analisi dei rischi, la protezione collettiva, le
imbragature, gli ancoraggi, i DPI di collegamento e la documentazione.
Gli articoli di PuntoSicuro testimoniano la presenza di svariati progetti, linee guida, buone
prassi, disposizioni normative relative alla prevenzione delle cadute dall’alto. Poi è sufficiente
sentire la cronaca degli incidenti che avvengono quotidianamente o leggere alcune statistiche,
come quelle elaborate dall’Osservatorio sicurezza sul lavoro Vega Engineering, per capire che
qualcosa non va. Una statistica di Vega Engineering, aggiornata al 30 settembre del 2012,
indica infatti che la principale causa di incidente professionale mortale è la caduta di persona
dall’alto (24,5%).
Se, nonostante tutte le azioni preventive intraprese, le cadute dall’alto sono ancora la
principale causa delle morti sul lavoro, c’è da chiedersi se stiamo percorrendo la strada
migliore per migliorare la sicurezza dei lavoratori.
A chiederselo è Paolo Casali (Sicurpal) nell’intervento “Gestione del rischio cadute dall’alto tra
problemi e buone prassi” relativo al seminario, tenuto a Modena il 4 dicembre 2012, dal titolo
“A Modena la sicurezza in pratica. Gestione della sicurezza nei cantieri”.
Il relatore indica che i valori relativi alle cadute dall’alto rilevati nelle statistiche sono, con
edlevata probabilità, l’effetto di:
− scarsa informazione e formazione ai lavoratori:
− errata valutazione dei rischi da parte di chi esegue l’intervento in copertura;
− in copertura salgono persone assolutamente ignare dei rischi esistenti;
− mancanza di conoscenza della normativa vigente;
− chi progetta sistemi anticaduta spesso non ha la competenza né i titoli, realizzando quindi
sistemi non sicuri.
Dopo una panoramica della normativa nazionale e regionale (con particolare riferimento alla
L.R. n.2 del 2 marzo 2009 della Regione Emilia Romagna e al D.R. del 5 settembre 2012 della
Regione Sicilia), l’intervento affronta il tema della analisi dei rischi.
In
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caso di rischio di caduta dall’alto l’analisi dei rischi potrebbe seguire questo percorso:
posso utilizzare sistemi di protezione collettiva?
se NO, come si posiziona l’operatore per le compiere le lavorazioni/manutenzioni?
scelta del tipo di imbragatura;
scelta del tipo di DPI (trattenuta della caduta, posizionamento, caduta impedita);
scelta del tipo di ancoraggio (Linea Vita).
A questo proposito il relatore offre diversi chiarimenti:
− perché utilizzare sistemi di protezione collettiva: le protezioni collettive sono da preferire
perché sono di più facile utilizzo; possono essere utilizzate da più persone
contemporaneamente; non richiedono corsi di informazione e formazione per il loro utilizzo;
sono indicate come preferibili dal Testo Unico (art. 15, 90, 111 D.Lgs.81/08);
− nel caso non siano installati i dispositivi di protezione collettiva (DPC): se non sono presenti
le protezioni collettive occorre utilizzare sistemi di protezione contro le cadute dall’alto
composti da diversi elementi, anche non tutti presenti contemporaneamente, l’elenco è
indicato nell’articolo 115 del D.Lgs.81/08; possono essere presenti anche con i DPC se
questi non eliminano completamente tutti i rischi (ad esempio: un parapetto sui bordi non
elimina i rischi di caduta per sfondamento del piano di calpestio);
− nel caso non siano installati i dispositivi di protezione collettiva, come si posiziona
l’operatore per le compiere le lavorazioni/manutenzioni: il relatore ricorda che per
rispondere occorre conoscere quali operazioni – lavorazioni vengono effettuate nelle zone
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dove è presente il rischio di caduta; occorre conoscere come saranno eseguite con
particolare riferimento alla posizione di lavoro in funzione della zona in cui viene eseguita,
alle possibili posizioni che l’operatore dovrà tenere, all’inclinazione del tetto, se la zona di
caduta si trova di fronte, dietro o sotto l’operatore ecc.;
scelta del tipo di imbragatura: esistono differenti tipologie di imbragature, con particolare
riferimento alla posizione degli attacchi, alle possibili soluzioni di utilizzo ed ai differenti
accessori, ed ognuna corrispondente ad una specifica idoneità d’uso ed a relativa norma
tecnica; una imbragatura non idonea rappresenta un rischio grave;
scelta del tipo di DPI di collegamento: è di estrema importanza la conseguente scelta del
dispositivo di collegamento tra l’imbragatura e l’ancoraggio: è indispensabile una
approfondita conoscenza delle tipologie, e qui può essere rilevante anche la conoscenza
specifica delle differenze tra i diversi produttori; alcuni esempi che possono guidare nella
scelta sono: facilità d’uso, facilità di comprensione dell’utilizzo, leggerezza, resistenza nel
tempo, tipologia di revisione periodica, ecc.; in qualche caso è ragionevole proporre pure
uno specifico prodotto se ritenuto più sicuro; chi esegue un’analisi dei rischi e relativa
proposta di soluzione ne è comunque responsabile in solido;
scelta del tipo di ancoraggio (ad esempio una linea vita in classe C): alla fine di questa
analisi viene scelta la tipologia di ancoraggio; ne esistono 5 differenti tipologie divise in
classi; ulteriore importanza per decidere il tipo di ancoraggio è la tipologia di copertura,
come materiale esterno, e la tipologia di struttura alla quale fissare saldamente
l’ancoraggio, ad esclusione delle classi B ed E; infine anche aspetti estetici od addirittura
vincoli della Sovrintendenza ai Beni Culturali, partecipano alla scelta sulla tipologia di
ancoraggio.
L’intervento indica poi cosa richiede il D.Lgs. 81/08 per rispondere alle esigenze di sicurezza:
− eseguire un’analisi accurata della situazione;
− valutare le attività da eseguire;
− valutare la frequenza;
− scegliere i sistemi per eliminare i rischi;
− conformarsi alle norme tecniche specifiche;
− formare gli utilizzatori;
− informare come utilizzare i sistemi.
L’intervento si conclude con una panoramica degli adempimenti, dei documenti per un sistema
anticaduta con riferimento a:
− progetto di posizionamento linea vita, con analisi dei rischi ed elenco dei DPI da utilizzare
(articoli 15, 26, 90, 91 del D.Lgs. 81/08);
− verifica per calcolo della resistenza degli ancoraggi e della struttura a cui è ancorato (UNI
EN 795);
− conformità dei prodotti (articolo 115 del D.Lgs. 81/08);
− manuali tecnici di montaggio, uso e manutenzione (UNI EN 795);
− test di verifica resistenza del fissaggio (UNI EN 795);
− dichiarazione di corretto montaggio (D.Lgs. 81/08).
Questi documenti fanno parte del Fascicolo del fabbricato (articolo 91 e allegato XVI del
D.Lgs.81/08) e debbono essere consultabili da chi sale in copertura.
Infatti ogni volta che un operatore sale in copertura occorre:
− mostrare l’elaborato tecnico di copertura affinché l’operatore prenda conoscenza che in
copertura è presente un sistema anticaduta;
− comprenda quali siano le eventuali zone di pericolo;
− comprenda quali DPI sono necessari e come utilizzarli;
− riporti data e firma per presa visione.
Il documento “Gestione del rischio cadute dall’alto tra problemi e buone prassi”, a cura di Paolo
Casali, intervento al seminario “A Modena la sicurezza in pratica. Gestione della sicurezza nei
cantieri” è scaricabile all’indirizzo:
http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/130329_Duvri_cadute_dall_alto.pdf
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