Dr. Mattia Barbareschi Dr. Martino Bellusci Biobanche di ricerca: aspetti etico-giuridici ed organizzativi con riferimento al progetto Trentino Biobank. Relatore Prof. Carlo Casonato Dipartimento di Scienza Giuridiche Università degli Studi di Trento 1 2 1. INTRODUZIONE Oggetto della presente presentazione è una discussione generale di alcuni degli aspetti di maggiore interesse nell’ambito delle biobanche, mettendo in relazione tali considerazioni con quanto attuato nell’ambito del progetto di Trentino Biobank. L’argomento trattato trova inoltre una corrispondenza anche nell’elaborato del Dr. Luca Morelli e del Dr. Alberto Brolese, ove vengono affrontati altri aspetti dello stessa problematica, quali la risposta dei pazienti, quale sia il coinvolgimento della unità operative chirurgiche e una valutazione dei costi del progetto. Per esigenze di inquadramento del problema nei due elaborati vi sono delle considerazioni comuni e condivise frutto della integrazione delle attività di studio. Trentino Biobank, nata da un progetto co-finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto e dalla Provincia Autonoma di Trento, è attualmente una unità funzionale della U.O. di Anatomia Patologica dell’Ospedale Santa Chiara di Trento. Trentino Biobank è preposta alla raccolta e alla conservazione di materiale biologico umano, comprendendo frammenti di neoplasie asportate chirurgicamente, che attualmente vengono distrutti come rifiuti speciali, e campioni di sangue o altri liquidi biologici, quali urine, saliva, etc. Lo scopo di Trentino Biobank è di supportare la ricerca medico-scientifica fornendo agli Istituti di Ricerca campioni biologici di elevata qualità, accuratamente annotati, necessari allo svolgimento di indagini biomolecolari. Trentino Biobank garantisce che i campioni biologici sono raccolti e conservati nel rispetto delle norme etico – giuridiche, e con elevati livelli di sicurezza nel trattamento dei dati sensibili dei pazienti donatori. I campioni saranno forniti agli Istituti di Ricerca solo nell’ambito di progetti di ricerca autorizzati da un Comitato Etico. 3 4 2. QUADRO NORMATIVO ATTUALE Individuare il quadro normativo applicabile all’attività di biobanking è un’operazione particolarmente complessa, posto che, come già anticipato, non esiste né a livello internazionale, né a livello municipale, una regolamentazione organica in materia. Vi sono numerose linee guida e raccomandazioni non vincolanti che si occupano della tematica in esame, le quali, tuttavia, non hanno carattere cogente. Inoltre vi sono alcune norme recenti quali le Autorizzazazioni dell’Autorità garante per la Protezione dei dati Personali che rappresentano ulteriori importanti punti di riferimento. Trentino Biobank si è avvalsa della collaborazione del Dr. Matteo Macilotti, per una analisi dettagliata di tali aspetti, le cui considerazioni in merito vengono integrate nel presente documento. Non essendo quindi presenti norme di riferimento che regolino il funzionamento delle biobanche, in quanto tali, è dunque necessario far riferimento ai principi e alle disposizioni che regolano le singole attività in esse svolte: la raccolta dei tessuti umani, la conservazione dei dati, le attività di ricerca, di diagnosi o di cura condotte sul campione. Per quanto attiene alle biobanche di ricerca, un’ulteriore criticità, che si riscontra nell’individuazione del quadro normativo, risiede nella mancanza di una visione univoca circa la natura giuridica dell’attività di ricerca svolta sui campioni biologici umani. Vi è infatti chi ritiene che la funzione svolta dalle biobanche si inserisca nel più ampio quadro della ricerca condotta sull’essere umano e, pertanto, invoca l’applicazione, anche per l’attività di cui stiamo parlando, delle norme che disciplinano le sperimentazioni scientifiche condotte sull’uomo. Diversamente, vi è chi attribuisce alla ricerca sui campioni biologici umani staccati dal corpo una natura distinta rispetto alle ricerche condotte sull’uomo e, quindi, ritiene applicabile un quadro normativo peculiare per queste tipologia di ricerche. Chi sostiene questa seconda tesi evidenzia le diversità correnti tra la ricerca condotta sull’uomo e la ricerca sui campioni biologici umani staccati dal corpo, rilevando come quest’ultima non abbia alcuna ricaduta diretta sulla salute del soggetto dal quale i tessuti sono stati ricavati. Per tali ragioni, la definizione del quadro normativo non può che muovere verso l’individuazione di alcuni principi generali, non pensati appositamente per questa tipologia di enti, ma nondimeno applicabili in via analogica. 5 Due sono i principi che ricorrono costantemente a livello municipale ed internazionale: il principio di «gratuità» nella cessione dei campioni biologici umani, ed il principio che fa obbligo di ottenere il consenso informato del paziente per poterne conservare ed utilizzare i tessuti ed i dati a loro associati. Non è certamente questa la sede per riflettere a fondo sul principio di gratuità. Ai nostri fini mette conto avvertire che esistono due possibili interpretazioni di questo principio. In base ad una lettura «radicale», esso escluderebbe qualsiasi possibilità di costituire diritti patrimoniali sul corpo umano e sui tessuti che lo compongono, anche dopo la loro ablazione dal corpo di origine. In una seconda e più sfumata accezione, il principio di gratuità esprimerebbe il mero divieto di disporre a titolo oneroso di una parte staccata del corpo umano, laddove la regola dell’extrapatrimonialità andrebbe intesa come regola di organizzazione del sistema di circolazione dei diritti sul corpo, atta a salvaguardare i soggetti coinvolti, garantendo la libertà e la spontaneità delle donazioni. È evidente che solo aderendo alla seconda di queste tesi è possibile configurare un diritto di proprietà su una parte del corpo umano. Per quanto attiene al consenso informato occorre rilevare come per un paziente che affronta un intervento chirurgico da cui potranno derivare biomateriali utilizzabili anche in ambito di ricerca, esso si articoli in due fasi che è bene tenere tra loro distinte, in quanto caratterizzate da problematiche differenti. Vi è il consenso informato all’asportazione chirurgica del tessuto e il consenso alla conservazione e all’utilizzo del materiale biologico per scopi di ricerca. Nella prima fase, il consenso ha ad oggetto l’intervento chirurgico effettuato sul corpo del paziente con finalità diagnostiche e terapeutiche: tuttavia dai campioni chirurgici ottenuti durante questi interventi è possibile ricavare campioni biologici ridondanti ai fini diagnostici che possono essere utilizzati in ricerca. Nella gran parte dei casi, infatti, i tessuti utilizzati a scopo di ricerca non vengono asportati mediante interventi ad hoc, ma nell’ambito di operazioni chirurgiche o diagnostiche condotte per fini diagnostici o terapeutici. Il consenso di cui si parla è dunque espressione del diritto del soggetto di autodeterminarsi in relazione a scelte suscettibili di avere effetto sulla propria salute, così come sancito dal secondo comma dell’art. 32 della Carta Costituzionale. Tale consenso incontra i tradizionali limiti posti dall’art. 5 c.c., che vieta 6 gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. Ha inoltre l’effetto di scriminare un intervento medico che altrimenti si appaleserebbe illecito. In questo caso, il potere di disporre del proprio corpo viene inteso come espressione sia della libertà personale che dell’autonomia della persona, visto che nella sua integrità il corpo è inscindibilmente legato alla persona. Diversamente, il consenso alla conservazione del materiale biologico (e dei dati ad esso associati) “staccato” dal binomio corpo-persona non ha ad oggetto un intervento di natura medica da effettuarsi sul corpo del consenziente, ma la conservazione e l’utilizzo di un bene che, a seguito di un’operazione chirurgica (consentita da un indipendente atto autorizzativo), ha acquisito una sua autonomia rispetto al corpo (e dunque alla persona) dal quale proviene, tanto che l’attività di stoccaggio e le attività condotte sul campione non hanno alcuna influenza diretta sulla salute del paziente. Di conseguenza, il bene giuridico che il consenso si propone di tutelare non può più essere individuato nel diritto di autodeterminazione del singolo in ordine alla propria salute. Questo dato è importante, poiché preclude la possibilità di equiparare le ricerche condotte sui campioni alle ricerche condotte sull’uomo e mette in risalto come in questo contesto gli effetti del consenso informato esulino dagli schemi tradizionali. 7 Riportiamo di seguito quelli che sono attualmente i riferimenti normativi più importanti a cui fare riferimento, per la corretta impostazione della problematica organizzativa delle biobanche. 2.1. NORMATIVA IN AMBITO INTERNAZIONALE a) Convenzione di Oviedo, 1997, Consiglio d’Europa, Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina; b) Raccomandazione R(2006)4 del Consiglio d’Europa, sui Materiali Biologici di Origine Umana (Strasburgo - Marzo 15, 2006). (Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina) 2.2. NORMATIVA IN AMBITO COMUNITARIO a) Direttiva 95/46/CE relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati; b) Direttiva 98/44/CE, relativa alla protezione delle invenzioni biotecnologiche; c) Direttiva 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano; d) Direttiva 2004/23/CE, definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani; 8 2.3 NORMATIVA NAZIONALE a) D. Lgs. 196 del 2003, c.d. Codice della Privacy; b) Autorizzazione del Garante della Privacy al trattamento dei dati genetici, come prevista dell’art. 90 del D. Lgs. 196 del 2003; c) D. Lgs. 6 novembre 2007, n. 191, Attuazione della Direttiva 2004/23/CE sulla definizione delle norme di qualità e sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio, e la distribuzione di cellule e tessuti umani; d) L. 22 febbraio 2006 n. 78, Implementazione della Direttiva 98/44/CE, sulla protezione delle invenzioni biotecnologiche; e) Documento del Comitato per la Biosicurezza e le Biotencologie e le Scienze della Vita, “Raccolta di campioni biologici a fini di ricerca: consenso informato”, 16 febbraio 2009; f) Accordo ai sensi dell’art. 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sulle linee progettuali per l’utilizzo da parte delle Regioni delle risorse vincolate ai sensi dell’art.1, commi 34 e 34 bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 per la realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale per l’anno 2009. g) Autorizzazione Generale al trattamento dei dati personali effettuato per scopi di ricerca scientifica - 1° marzo 2012 9 10 3. QUESTIONI APERTE Vari sono gli aspetti ancora irrisolti in ambito di biobanking, che possiamo cercare di riassumere schematicamente nei seguenti punti. 3.1 MANCANZA DI UNA DEFINIZIONE DI BIOBANCA A SCOPO DI RICERCA E’ importante definire l’ente “biobanca a scopo di ricerca”, poiché in assenza di una definizione risulta impossibile individuare quali e quante siano le biobanche esistenti e quali raccolte di campioni biologici possano essere considerate biobanche. Non tutte le raccolte di biomateriali si possono, infatti, considerare biobanche e, dunque, non tutte le raccolte di biomateriali saranno assoggettate alla disciplina che potrà essere predisposta per le biobanche. Occorre, quindi, definire la caratteristiche e i criteri organizzativi che permettano ad una raccolta di campioni di essere definita biobanca. La definizione non rappresenta, in quest’ambito, un aspetto puramente formale, ma è l’elemento centrale in grado di stimolare la costruzione di biobanche informate a criteri qualitativi idonei ad assicurare la massima tutela possibile ai soggetti che conferiscono i campioni e, nel medesimo momento, di assicurare la miglior conservazione del materiale biologico. 3.2 MANCANZA DI UNA DEFINIZIONE DELLA STRUTTURA ORGANIZZATIVA DELLA BIOBANCA Legata alla mancata definizione dell’ente biobanca vi è la mancata individuazione della sua struttura organizzativa minima e l’individuazione dei soggetti responsabili. Occorre istituzionalizzare la figura del “responsabile della biobanca”, così come occorre individuare le figure responsabili del trattamento dei dati, della raccolta dei consensi e dei biomateriali, e dello stoccaggio dei campioni. Non ultimo, deve essere pensata una struttura per la biobanca che assicuri la trasparenza del suo operato e la tracciabilità delle operazioni compiute sui campioni biologici. 11 3.3 MANCANZA DI UN ENTE CERTIFICATORE E DI UN REGISTRO NAZIONALE Legato al nodo della definizione vi è anche il tema della certificazione. Una volta definiti i criteri che permettono ad una raccolta di campioni biologici di essere definita biobanca, occorre individuare un ente che valuti, certifichi e monitori la presenza dei requisiti richiesti e si occupi di curare un registro delle biobanche. 3.4. MANCANZA DI UNA NORMAZIONE IN TEMA DI CONSENSO INFOMATO La norma di recepimento della Direttiva 98/44/CE in tema di brevetti biotecnologici, fa espresso richiamo alla normativa sul consenso informato, senza tener conto che una normativa sul tema non esiste. Vi sono soltanto le due Autorizzazioni del Garante per la Privacy al trattamento dei dati genetici e al trattamento dei dati personali effettuato per scopi di ricerca scientifica, le quali, contestualmente al trattamento dei dati regolano anche l’utilizzo dei campioni biologici in quanto fonte di dati. Tali disciplina risulta, tuttavia, essere ancora poco soddisfacente in quanto trascura le peculiarità e le esigenze di una biobanca. E’ importante rilevare come la definizione dell’ente biobanca e il suo accreditamento mediante la registrazione nel registro delle biobanche, permetterà al Garante di poter prevedere una normativa ad hoc per questo ente. 3.5. MANCANZA DELLA DEFINIZIONE DEL REGIME PROPRIETARIO DEI CAMPIONI BIOLOGICI Pochissimi Paesi hanno affrontato il problema della proprietà dei campioni, in quanto questione particolarmente spinosa. Tuttavia, definire il regime proprietario dei campioni biologici, risulta essere particolarmente utile per stabilire i criteri di utilizzazione dei campioni stessi. Solo per esemplificare, se i campioni appartengono al ricercatore che li ha ottenuti, quest’ultimo potrà impedire legittimamente a terzi di utilizzare i campioni. Diversamente, se i campioni sono un bene pubblico, nessuno avrà la possibilità di impedire ad altri ricercatori di poter utilizzare tali risorse. 12 3.6 MANCATA DEFINIZIONE DEI CRITERI PER POTER ACCEDERE AI CAMPIONI BIOLOGICI La definizione dei termini per l’accesso ai campioni biologici, legata al tema della proprietà di questi ultimi, è una questione cruciale per uniformare l’accesso alle risorse, per limitare pratiche monopolistiche, per abbassare i costi transattivi nella negoziazione. Occorre, in particolare, definire i requisiti minimi per poter accedere ai dati e ai campioni stoccati in una biobanca, affidando poi alla singola biobanca la possibilità di prevedere ulteriori requisiti. 13 14 4. DEFINIZIONE DEL TERMINE BIOBANCA DI RICERCA Il primo passo per affrontare con chiarezza la tematica in oggetto è la definizione degli obiettivi e della natura delle biobanche di ricerca, la loro distinzione dalle biobanche di tipo diagnostico o terapeutico, nonché la definizione di entità analoghe ma non classificabili come biobanche di ricerca. Tale elemento è fondamentale perla progettazione di adeguate misure giuridiche, attualmente non disponibili nell’ordinamento italiano. Pertanto definiamo come biobanche di ricerca, delle unità di servizio, senza scopo di lucro diretto, organizzate in unità tecniche con criteri di qualità, ordine e destinazione, finalizzate alla raccolta, lavorazione e conservazione di materiale biologico umano e dei dati ad esso afferenti, a scopo di ricerca. In questa accezione, le biobanche di ricerca, sono da distinguersi dalle semplici raccolte di campioni biologici: collezioni a scopo di ricerca di materiale biologico e dei dati ad essi afferenti non organizzate secondo standard e criteri di qualità. Punti rilevanti della definizione proposta: a) Unità di servizio: In primo luogo le biobanche rappresentano “unità di servizio” finalizzate “alla raccolta, alla lavorazione, alla conservazione, allo stoccaggio e alla distribuzione di materiale biologico umano” (si veda la definzione fornita nell’Accordo Stato-Regioni stipulato in data 25 marzo 2009, nonché le Linee guida per l’istituzione e l’accreditamento delle Biobanche rilasciate il 19 aprile 2006 e redatte da un gruppo di lavoro istituito presso il Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie). I risvolti pratici derivanti dall’essere qualificate quali “unità di servizio” sono molteplici, in particolare, esse dovrebbero essere configurate quale enti autonomi, ancorchè sorgano all’interno di una specifica divisione all’interno di una struttura sanitaria di ricovero e cura e/o di ricerca. Ciò impone, dunque, che le biobanche debbano dotarsi di 15 una propria organizzazione interna, di un proprio organigramma, di un proprio regolamento. Sul punto ritorneremo nel prossimo paragrafo, nel quale affronteremo il tema dell’organizzazione delle biobanche, suggerendo una loro possibile strutturazione. b) Ruolo delle biobanche: Per quanto attiene, invece, ai compiti ad esse spettanti, le definizioni li individuano nella “raccolta, lavorazione, conservazioni, distribuzione di materiale biologico umano”. Da ciò si evince “a contrariis” che le biobanche non svolgono attività di ricerca, ma fungono da meri enti di servizio, a beneficio di coloro che necessitano di utilizzare i campioni. Si desume, inoltre che esse debbano dotarsi del personale e delle procedure idonee ad assicurare la raccolta, la lavorazione e conservazione nonché la distribuzione del materiale biologico. In particolare, per quanto riguarda la raccolta dei campioni, le biobanche dovranno predisporre un adeguato sistema di informazione dei potenziali “donatori” e dovranno ottenere il consenso di questi ultimi per poter stoccare i loro campioni. Tale attività può comportare un importante carico di lavoro, per il quale sono necessarie adeguate risorse umane. Sul versante della conservazione, esse dovranno dotarsi di appositi sistemi tecnologici, in grado di assicurare determinati standard di qualità di conservazione del materiale. Per quanto attiene alla distribuzione esse dovranno stabilire le regole che presiedono alla distribuzione del materiale, prevedendo i criteri di accesso, i requisiti per poter ottenere il materiale, le regole idonee a dirimere gli eventuali conflitti che dovessero sorgere nel caso di domande multiple dello stesso materiale. c) Biobanche quali enti senza scopo di lucro: La definizione proposta stabilisce che le biobanche sono “enti senza scopo di lucro diretto”. Questo significa che le biobanche non hanno la possibilità di trarre lucro diretto dal campione, attribuendogli uno specifico prezzo in ragione delle qualità del campione. Tuttavia, esse hanno la possibilità di imporre un prezzo per il servizio di conservazione offerto, ma tale prezzo dovrà limitarsi al c.d. “cost recovering” del servizio, data la loro natura di enti senza scopo di lucro. Tale costo del servizio dovrà 16 diventare una voce costante di spesa in tutti progetti di ricerca che studino biomateriali umani. d) Scopo della raccolta dei biomateriali: I biomateriali (tessuti, liquidi, cellule,…) sono raccolti a scopo di ricerca biomedica. Quindi le biobanche di ricerca devono essere chiaramente distinte dalle biobanche costituite a scopo di diagnostico e terapeutico, già peraltro chiaramente disciplinate. Tale distinzione inoltre vuole enfatizzare due elementi: in primo luogo si vuole sottolineare che i tessuti raccolti nell’ambito di indagini diagnostiche o di interventi chirurgici non possono essere utilizzati nell’ambito di attività di ricerca se non vi è l’espresso consenso da parte del soggetto al quale i campioni si riferiscono (sulle tematica del consenso ritorneremo in seguito). A tale scopo il garante per la protezione dei dati personali, ha recentemente pubblicato una proposta di autorizzazione all’uso di tali biomateriali per ricerche retrospettive non interventistiche, aperta a consultazione pubblica conclusasi il 31 gennaio 2012. In secondo luogo si vuole sottolineare che le due attività, cioè la raccolta di biomateriali a scopo di ricerca e a scopo diagnostico/terapeutico, sono distinte e che, qualora i biomateriali derivino da tessuti prelevati primariamente a scopo diagnostico/terapeutico (c.d. left over tissue), deve essere sempre data priorità all’utilizzo del campione a tale scopo. Pertanto, il tessuto potrà essere impiegato a scopo di ricerca solo se non pregiudica le “potenzialità diagnostiche” del campione medesimo. e) Distinzione Biobanche-Semplici raccolte di campioni biologici: Una delle tendenze a cui si assiste oggi è quella di considerare qualsiasi raccolta di campioni quale biobanca. La distinzione tra le biobanche e le semplici raccolte di campioni biologici è funzionale a distinguere le raccolte di biomateriali, sprovviste di qualsivoglia struttura organizzativa, dalle biobanche quali unità si servizio organizzate (secondo le modalità che saranno oggetto di analisi nelle prossime pagine). La struttura delle biobanche, come chiariremo nel prossimo paragrafo, rappresenta non solo un elemento formale, ma rappresenta un elemento sostanziale, in grado di assicurare una 17 maggior protezione dei diritti dei soggetti coinvolti, nonché un utilizzo più efficiente e democratico dei campioni biologici e dei dati a loro associati. 4.1. DEFINIZIONE DELLE DIVERSE TIPOLOGIE DI BIOBANCHE DI RICERCA Le biobanche di ricerca si possono suddividire in ulteriori “sottogruppi”. Sulla loro formulazione non vi è una visione concorde, e molteplici possono essere i criteri adottabili. Una delle possibili distinzioni si basa sul fatto che l’obiettivo della biobanca sia principalmente rivolto allo studio di malattie geneticamente trasmissibili e di malattie, che pur avendo anche una alterazione del DNA, sono di caratteri acquisito e non trasmissibile. In base a tali considerazioni può essere sostanzialmente fatta una distinzione tra biobanche genetiche e/o di popolazione e biobanche dedicate allo studio di una determinata patologia non ereditaria. Ovviamente la distinzione non è assoluta e una medesima biobanca può appartenere a entrambi sottogruppi. Entrando nel dettaglio possiamo quindi descrivere le due tipologie come segue: a) Biobanche genetiche e di popolazione: si caratterizzano per la raccolta e la conservazione di campioni provenienti da: (a) persone e famiglie con patologie genetiche trasmissibili; (b) gruppi di popolazione con alta frequenza di portatori o di affetti da patologie genetiche; (c) popolazioni con caratteristiche genetiche idonee per l’individuazione di geni di suscettibilità o per studi di farmacogenetica (es. popolazioni con ridotta variabilità inter - individuale, forte endogamia); (d) gruppi di popolazioni idonee utilizzabili come controllo; b) Biobanche per lo studio di una determinata patologia non trasmissibile: biobanche che raccolgono i campioni unicamente per lo studio di un determinato tipo di patologia, quali per esempio le biobanche oncologiche. Le due tipologie di biobanche, pur potendo in taluni aspetti presentare aspetti di sovrapposizione si caratterizzano per un fatto di importanza fondamentale. Le prime sono rivolte allo studio di alterazioni geniche di carattere ereditario, cioè per esempio malattie genetiche mono-multifattoriali o alterazioni geniche responsabili di 18 suscettibilità a contrarre malattie, trasmissibili attraverso le generazioni in quanto presenti nella linea germinale e quindi con alterazioni presenti in tutte le cellule dell’organismo. Le seconde sono rivolte per la massima parte alla identificazione di alterazioni genetiche di tipo acquisito, cioè caratteristiche di una malattia e presenti solo nelle cellule affette da tale malattia e non in tutte le cellule dell’organismo comprese quelle della linea germinale. Si tratta cioè di malattie non trasmissibili per via ereditaria, legate a eventi stocastici determinanti errori di replicazione del DNA (per es. mutazioni indotte da agenti chimico-fisici o dovute e errori da infedeltà di trascrizione) o a eventi infettivi (per es.: infezione da parte di virus oncogeni) che comportano alterazioni di funzioni regolatorie. Rilevanza della distinzione: La distinzione è rilevante nella misura in cui diverse tipologie di biobanca possono richiedere requisiti peculiari. In questo senso, ad esempio, le biobanche di popolazione richiedono che l’informazione non sia solo individuale ma che siano poste in essere adeguate misure per informare il “gruppo” analizzato. Le biobanche genetiche richiedono adeguate procedure di sicurezza data la natura dei dati in essere processati e la rilevanza di tali dati per le generazioni successive. La distinzione tra le suddette due tipologie di biobanche non è sempre facile, pertanto dal punto di vista normativo possono essere due le strategie possibili: a) procedere alla distinzione tra le varie tipologie di biobanche e prevedere una disciplina peculiare ove esse lo richiedano; b) non distinguere le varie tipologie di biobanche di ricerca, ma prevedere particolari misure nel caso ricorrano determinate situazioni. Solo per esemplificare: si può stabilire che nel caso in cui si intenda procedere alla raccolta di campioni su base di popolazione, debbano adottarsi determinate policy informative. Si può inoltre stabilire che nel caso si intendano trattare dati genealogici si debbano impiegare determinate misure di sicurezza (etc. etc.). Questo secondo approccio risulta essere preferibile perché evita le imprecisioni e le problematiche insite nell’approccio rigidamente definitorio. Inoltre risulta essere maggiormente flessibile. 19 La normativa sulle biobanche oggetto della presente valutazione riguarda unicamente le biobanche di ricerca, dato che la conservazione dei tessuti a scopo clinico e diagnostico è già regolata da un’apposita normativa e soprattutto perché le problematiche che coinvolgono le biobanche di ricerca sono differenti. Pertanto da qui in avanti con il termine “Biobanca” ci si riferirà alle “Biobanche costituite a scopo di ricerca medica”. 4.2. BIOBANCHE PUBBLICHE E BIOBANCHE PRIVATE Uno delle problematiche collaterali ma importanti riguarda la possibilità che vi possano essere o meno biobanche costuite presso enti privati (fondazioni, società private etc. etc.). In questo senso pare opportuno introdurre il principio per cui pur essendo possibile la costituzione di una biobanca presso enti privati, i campioni stoccati ed i dati ad essi afferenti rappresentino un patrimonio pubblico. Inoltre l’attività della biobanca, ancorchè costituita presso un ente privato, dovrà essere considerata come l’esercizio di una funzione pubblica. In tale modo si può ovviare alla delicatissima questione della proprietà dei biomateriali una volta separati dalla persona, in quanto in questa accezione di patrimonio pubblico dei biomateriali la biobanca ne è solamente il curatore, l’ente che li gestisce nell’interesse della comunità È importante che le biobanche costituite presso enti privati siano sottoposte ai medesimi controlli e alle medesime regole delle biobanche pubbliche. Le biobanche costituite presso enti privati, al pari delle biobanche costituite presso enti pubblici, devono stabilire regole trasparenti che consentano l’accesso ai campioni ed ai dati in esse stoccati anche a soggetti che non fanno parte dell’ente. 4.3 TRENTINO BIOBANK: BIOBANCA DI RICERCA Trentino Biobank è una biobanca oncologica, cioè del tipo “disease oriented” ed è stata costituita seguendo le considerazioni fatte nei paragrafi precedenti. Infatti è una unità di servizio, costituita all’interno di una struttura sanitaria pubblica, la U.O. di Anatomia 20 Patologica dell’Ospedale Santa Chiara di Trento, senza scopo di lucro, il cui obiettivo è il sostegno alla ricerca tramite la raccolta, lavorazione, conservazione, distribuzione di materiale biologico umano, raccolto durante le procedure diagnostiche usuali. Come descritto più oltre ha tutte le caratteristiche organizzative di una unità di servizio, e rappresenta una garanzia sia per i cittadini che conferiscono i propri biomateriali che per i ricercatori che ricevono i campioni da studiare. 21 22 5. RICONOSCIMENTO, ACCREDITAMENTO E ASPETTI ORGANIZZATIVI DELLE BIOBANCHE Uno dei requisiti essenziali per poter identificare le biobanche, per poter conoscerne il numero e per poter certificarne la qualità consiste nell’accreditamento delle stesse, nonché nella costituzione di un registro pubblico. Solo accreditando le biobanche e creando un registro sarà possibile predisporre una disciplina peculiare per questo tipo di collezioni. In mancanza di tale accreditamento non potrà essere approntata una disciplina peculiare per le biobanche, poiché sarebbero difficilmente indentificabili. 5.1. QUALE PUÒ ESSERE L’ENTE CHE DEVE CURARA IL PROCESSO DI “RICONOSCIMENTO” DELLE BIOBANCHE? A questo riguardo occorre rilevare che in virtù del Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 765, del 9 luglio 2008, del 1° gennaio 2010 che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato dei Paesi UE, è stata istituita in Italia ACCREDIA, Ente unico nazionale di accreditamento, riconosciuta dallo Stato il 22 dicembre 2009, nata dalla fusione di SINAL e SINCERT come Associazione senza scopo di lucro. Occorre dunque valutare se competa a questo ente accreditare gli organismi di certificazione delle biobanche. In parziale contrasto con il Regolamento Comunatario, tuttavia, il Decreto Ministeriale del 15 maggio 2006, emanato dal Ministero delle Attività produttive, determinando le procedure per l’abilitazione degli Organismi di certificazione dei CRB ed il riconoscimento delle biobanche “Centro di risorse biologiche”, indica il “Ministero delle attività produttive” quale organo al quale far pervenire la richiesta. Ciò non solo con riguardo agli enti di certificazione, ma anche per le stesse biobanche che intendono accreditarsi quali CRB (si veda art. 9 del Decreto). È inoltre attivo un gruppo di lavoro presso la Commissione Salute della Conferenza Stato Regioni per la definizione dei requisiti minimi per l’ autorizzazione delle biobanche per ricerca, il cui documento è in fase di stesura e ricalca nelle sue linee generali quanti riportato nel presente documento. 23 Visto le discrasie che si registrano nell’attuale legislazione si ritiene opportuno che il riconoscimento di una biobanca venga svolto dall’ente che ratione materiae meglio può occuparsi di gestire tale processo. A questo riguardo si potrebbe proporre che l’accreditamento venga svolto da uno specifico organo regionale (da individuare), il quale si dovrebbe incaricare anche di gestire il registro pubblico delle biobanche presenti nel territorio. Occorre stabilire che gli organi regionali devono seguire i medesimi parametri per il riconoscimento delle biobanche. 5.2. QUALI POSSONO ESSERE I PARAMETRI DI RICONOSCIMENTO DELLE BIOBANCHE? Per quanto attiene ai parametri di “riconoscimento”, si sottolinea come il Decreto Ministeriale del 15 maggio 2006 stabilisca che i parametri di certificazione delle biobanche quali CRB devono essere desunti dai criteri forniti dagli appositi gruppi di studio dell’OCSE e comunicati per l’approvazione ad un apposito ufficio (art. 6). Tuttavia non è chiaro se tali parametri siano stati individuati. Inoltre, occorre evidenziare che tali parametri sono utili alla certificazione delle biobanche quali CRB, ma nulla dicono sui parametri che individuano le biobanche stesse. Pertanto pare opportuno procedere all’individuazione ad hoc dei parametri di “riconoscimento” delle biobanche. La tipologia dei parametri di riconoscimento potrebbe essere duplice, da un lato organizzativa e dall’altro qualitativa. 5.3. PARAMETRI DI RICONOSCIMENTO “ORGANIZZATIVI” Seguendo il modello già adottato dal legislatore spagnolo (Ley 14, del 3-072007, sulla Investigación biomédica) uno dei parametri fondamentali per definire le biobanche può essere individuato nella forma organizzativa. Peraltro, la definizione della forma organizzativa è coerente con la definizione fornita di biobanche quali unità di servizio “organizzate in unità tecniche con criteri di qualità, ordine e destinazione”. Un primo parametro organizzativo è rappresentato dagli “organi minimi” della Biobanca, i quali si potrebbero distinguere tra “organi interni” e organi che possono essere alternativamente “interni od esterni alla biobanca”. Questa distinzione deriva dal fatto che una strutturazione troppo rigida potrebbe non permettere alle biobanche di 24 dimensioni più ridotte di operare. Descriviamo ora quali possono essere considerati gli aspetti organizzativi in generale di una biobanca, per vedere successivamente come questi siano stati interpretati ed adottati in Trentino Biobank. 5.3.1. ORGANI INTERNI Responsabile della Biobanca a. coordina e verifica la corretta gestione della biobanca; b. provvede alla gestione del bugdet; c. verifica la corretta cessione del biomateriale nei progetti di ricerca; d. ha potere decisionale su tutte le attività che vengono svolte e pertanto ne risponde sul piano della responsabilità civile e penale del corretto funzionamento; e. è responsabile per l’aggiornamento della modulistica, delle procedure operative standard in cooperazione con il responsabile dei dati e con il responsabile della qualità dei campioni. f. Adotta le misure necessarie affinchè i campioni conservati, siano provvisti di un adeguato consenso da parte dei soggetti interessati. Verifica che l’utilizzo dei campioni sia conforme al consenso prestato. Responsabile del trattamento dei dati a. Ex art. 29 D. Lgs. 196/2003, c.d. Codice della Privacy, il responsabile del trattamento dei dati ha il compito di verificare che i dati personali siano trattati nel rispetto dalla normativa vigente, che siano adottate adeguate misure di sicurezza così come prescritto dalla normativa vigente, che la modulistica delle biobanca sia conforme con tale normativa; b. redige il “piano della sicurezza del trattamento dei dati personali” nel quale esplicita l’intera procedura di trattamenti dei dati, in ogni fase del procedimento di biobanking; c. Redige un report annuale specificando quali sono le misure di sicurezza adottate dalla biobanca, le eventuali problematiche riscontrate e le soluzioni adottate; 25 Responsabile della raccolta, qualità dei campioni e dei dati: a. È responsabile della raccolta e conservazione del consenso informato dei soggetti/pazienti che donano i propri biomateriali; b. è responsabile della qualità dello stoccaggio e conservazione dei campioni; c. è responsabile della accuratezza dei dati clinici e molecolari associati ai campioni; d. redige un piano per la sicurezza dei campioni nel quale indica le procedure da adottarsi nello stocaggio e nella conservazione dei campioni, nonché le procedure da adottarsi nel caso di eventi avversi. Impartisce al personale le direttive necessarie ad assicurare il corretto stoccaggio e la corretta conservazione dei campioni; e. pianifica i controlli di qualità del biomateriale archiviato; f. controlla la funzionalità della strumentazione per crioconservazione e verifica che vengano effettuati i controlli periodici; g. è responsabile nel caso di guasti ai sistemi di criopreservazione; h. redige un report annuale nel quale riassume le quantità di campioni stoccate, la tipologia, le problematiche riscontrate nell’anno, l’eventuale verificazione di eventi avversi; 5.3.1.1. Il modello organizzativo di Trentino Biobank Il modello organizzativo illustrato sopra è stato desunto dalla esperienza di Trentino Biobank, ove le funzioni di tali organi interni sono state suddivise come descritto in dettaglio nell’allegato “regolamento interno di Trentino Biobank (Allegato 1). Tale modello è stato sperimentato durante tutta la fase del progetto, conclusosi nel gennaio 2012. Attualmente Trentino Biobank è in fase di consolidamento strutturale ed è possibile che alcune delle funzioni siano accorpate per rispondere a esigenze di tipo organizzativo, senza tuttavia perdere le qualifiche di attività. 26 5.3.2. ORGANI DISCREZIONALMENTE INTERNI/ESTERNI ALLA BIOBANCA Comitato etico a. esprime la propria valutazione nel caso sorgano questioni etiche sull’utilizzo dei materiali stoccati; b. esprime la propria valutazione vincolante nel caso si richieda l’utilizzo di campioni sulla base di progetti di ricerca approvati da un Comitato etico straniero; Trentino Biobank ha presentato la propria attività al Comitato Etico per la Sperimentazione della Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari, proponendo al Comitato Etico una collaborazione secondo quanto esposto più sopra. Tale presentazione ha avuto esito positivo, con une disponibilità del Comitato a collaborare attivamente con Trentino Biobank. Comitato scientifico o Comitato di Valutazione a. valuta la qualità scientifica dei progetti per i quali si richiede l’utilizzo dei campioni, garantendo che i progetti raggiungano una soglia di qualità prestabilita; b. si dota di un regolamento interno, che provvede a rendere pubblico, nel quale indica quali sono i parametri che adotta nella sua valutazione; c. è competente a decidere la priorità nel caso per il medesimo materiale sia richiesto da più soggetti contemporaneamente; Trentino Biobank ha avviato il processo di costituzione di un comitato scientifico esterno, contattando sia alcuni esperti in materia di ricerca biomedica sia un rappresentante di associazioni di cittadini. Hanno dato la loro disponibilità il Prof. Marco Pierotti, Istituto Tumori Milano, il Prof. Claudio Doglioni, Università Vita e Salute San Raffaele,Milano, il Prof. Antonio Marchetti, Università Gabriele D’Annunzio, Chieti, ed il Presidente della Lega Tumori di Trento, Dr. Mario 27 Cristofolini. La costituzione effettiva del comitato tuttavia non è stata ancora concretizzata e si attende una delibera della Azienda Provinciale in merito. 5.3.3. REGOLAMENTO Ogni biobanca deve dotarsi di un regolamento nel quale indica la composizione e il funzionamento degli organi, le mansioni ad essi affidati oltre a quelli che obbligatoriamente assumono, l’istituzione di eventuali altri organi. Fanno parte integrante del regolamento il “piano della sicurezza dei materiali” redatto dal Responsabile del Materiale, nonché il “piano della sicurezza dei dati” redatto dal Responsabile dei dati. Come detto più sopra Trentino Biobank si è dotato di un regolamento riportato in Allegato 1. 5.4. PARAMETRI QUALITATIVI Oltre ai parametri organizzativi quale elemento utile al “riconoscimento” delle biobanche dovrebbero essere individuati anche dei parametri qualitativi, ossia degli standard di qualità minimi da adottarsi nella conservazione dei campioni. E’ infatti superfluo ricordare che una buona conservazione dei campioni consente di ottenere dalla ricerche su di essi compiute risultati maggiormente affidabili. A tale fini si può fare riferimento a standard internazionali ormai generalmente accettati. È necessario che una biobanca abbia procedure di controllo di qualità quali la valutazione della integrità di biomolecole particolarmente labili, quali ad esempio l’RNA messaggero. 28 6.0 REQUISITI DELLE PROCEDURE INTERNE Dopo aver fornito una definizione di “biobanche”, dopo aver determinato i criteri per il loro “riconoscimento” e la loro conseguente registrazione in un pubblico registro, diventa necessario definire ora una normativa alle quali esse siano soggette. 6.1. AUTONOMIA FUNZIONALE DEL PERSONALE DELLA BIOBANCA DA COLORO CHE FANNO ATTIVITÀ DI RICERCA In fase definitoria, già si è sottolineato come la biobanca rappresenti un’unità di servizio. La biobanca, dunque, non svolge direttamente attività di ricerca, ma offre il servizio di stoccaggio e conservazione per coloro (ricercatori) che richiedono l’utilizzo dei campioni. Per dar consistenza a questo principio occorre, dunque, anche a livello regolativo, distinguere funzionalmente l’attività della biobanca dall’attività dei ricercatori. Ciò rappresenta un elemento fondamentale per poter prospettare misure attenuate in tema di consenso informato. Per dar concretezza al concetto sopra esposto, occorre che il personale della biobanca goda di autonomia funzionale rispetto a coloro che svolgono attività di ricerca sui campioni medesimi. 6.2. ANONIMIZZAZIONE DEI CAMPIONI Se il personale della biobanca gode di autonomia funzionale rispetto a coloro che svolgono attività di ricerca, quale corollario è possibile stabilire la regola per cui l’utilizzo dei campioni stoccati nella biobanca da parte dei ricercatori debba avvenire solo sotto forma anonimizzata. Questo non preclude ai ricercatori di poter accedere ai dati di follow up e consente la possibilità di mantenere alti standard di riservatezza nell’utilizzo dei campioni. Tutti coloro che conducono attività di ricerca sui campioni stoccati nella biobanca, ottengono e trattano i campioni in forma codificata. Solo il responsabile della biobanca 29 e i soggetti da esso espressamente delegati possono connettere l’identità dei soggetti ai quali il campione appartiene con i campioni medesimi. 6.3. CONSENSO INFORMATO Il consenso informato rappresenta una delle questioni più discusse e controverse nell’ambito dell’attività delle biobanche. Non pare utile in questa occasione dar conto per esteso dell’ampia discussione che si è sviluppata sul tema. Riportiamo, ancora dalla attività di consulenza del Dr. Matteo Macilotti, alcune considerazioni in merito al rapporto tra biobanca e i soggetti che conferiscono il loro materiale alla biobanca stessa, traendo spunto dalla Autorizzazione al trattamento dei dati genetici emanata dal Garante per la protezione dei dati personali. “Il rapporto tra la biobanca ed i soggetti che conferiscono i campioni trova la propria cristallizzazione nel consenso informato che questi ultimi sono chiamati a sottoscrivere affinché il loro tessuto possa essere conservato dalla biobanca e successivamente impiegato in attività di ricerca. In virtù di esso, le biobanche assumono una serie di obblighi i quali, ancorché non siano stati finora chiaramente definiti da una norma ad hoc, trovano una prima fonte di regolamentazione nell’Autorizzazione al trattamento dei dati genetici emanata dal Garante per la protezione dei dati personali. I campioni biologici, infatti, rappresentano una fonte di dati anche di carattere genetico e il loro impiego ricade, dunque, nel raggio d’azione della citata Autorizzazione. Tuttavia il Garante, nella redazione di tale documento, non ha considerato le peculiari problematiche che caratterizzano l’attività di biobanking, la quale non trova espressa menzione. Questo elemento, come vedremo nelle prossime righe, ha originato numerosi problemi di compatibilità tra quanto previsto dall’Autorizzazione e la possibilità per le biobanche di svolgere appieno la loro funzione. Ciononostante, il contenuto del consenso informato può essere definito attraverso l’analisi degli specifici obblighi informativi fissati dall’Autorizzazione la quale rappresenta, ad oggi, l’unico documento di carattere cogente che impone di ottenere il consenso per poter utilizzare i campioni biologici a fini di ricerca. 30 In primo luogo, essa prescrive l’obbligo di informare analiticamente l’interessato sulle specifiche finalità che l’utilizzo del campione intende perseguire. Nell’ambito che qui ci impegna, questo requisito appare particolarmente difficile da soddisfare, soprattutto per le biobanche genetiche e di popolazione, le cui specifiche finalità di ricerca non sono quasi mai analiticamente definite al momento della raccolta del campione, dato che queste collezioni nascono per essere impiegate nello studio di un ampio spettro di patologie. Per queste ultime, dunque, risulterebbe impossibile offrire, sin dal momento della raccolta, a coloro che conferiscono i campioni un’informazione analitica sulla loro possibile utilizzazione. Sull’estensione dell’obbligo informativo e sull’ammissibilità, sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista etico, di un consenso prestato sulla base di un’informativa generica – nella quale non siano specificate dettagliatamente i progetti di ricerca ai quali sarà sottoposto il campione - la dottrina è particolarmente divisa. Coloro che ne sostengono l’ammissibilità fondano le loro ragioni sulla differenza che insiste tra la ricerca condotta sull’uomo e la ricerca condotta sui tessuti umani staccati dal corpo. Le due tipologie di ricerca mettono in pericolo (beni giuridici e dunque) interessi differenti: nel primo caso la salute e la dignità del singolo uomo, nel secondo la riservatezza dei dati personali derivanti dal campione. Pertanto, l’accuratezza informativa richiesta per le ricerche condotte sull’uomo non trova ragione per lo studio sui campioni e ciò renderebbe, dunque, plausibile anche un consenso prestato sulla base di un’informativa generale (c.d. broad consent). In questo caso, infatti, con il consenso si instaura un rapporto fiduciario tra la colui che cede i campioni e la biobanca, che sposta il fulcro dell’obbligo informativo dalle specifiche utilizzazioni del campione e dei dati da esso derivanti alle concrete modalità di gestione di quesi ultimi da parte dalla biobanca. Contrariamente, coloro che sostengono l’inammissibilità di un consenso ampio e dunque la necessità di informare puntualmente i soggetti coinvolti, rilevano che il c.d. broad consent non rappresenta un vero e proprio consenso. Esso costituisce, piuttosto, una pericolosa delega in bianco, in virtù della quale si sottraggono i campioni dal potere dispositivo di coloro che li hanno ceduti. Inoltre, si evidenzia come la stessa espressione “consenso ampio” non rechi alcun significato in sé, lasciando immutato il problema dell’estensione informativa. In altri termini, essa non definisce quale sia il grado di ampiezza che renderebbe il consenso ammissibile o meno. Il dibattito sul tema è particolarmente acceso e lungi dal trovare un approdo. E’ evidente che dai suoi esiti e dalle scelte del legislatore dipenderà l’organizzazione e la concreta operatività delle biobanche. 31 Ulteriore informazione che deve essere fornita riguarda i risultati conseguibili con il trattamento dei dati e dei relativi campioni, anche in relazione “alle notizie inattese che potrebbero essere conosciute per effetto del trattamento dei dati genetici”. Sebbene la formulazione di tale obbligo informativo appaia particolarmente criptica, essa trova la sua ragion d’essere nella natura dei geni umani, i quali svolgono molteplici funzioni e sono in grado di intervenire a diverso titolo nello sviluppo di differenti patologie. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui la ricerca per la quale si richiede il consenso sia primariamente finalizzata allo studio di una data patologia genetica, ma lo studio del gene riveli la suscettibilità del soggetto a contrarre un’altra patologia anch’essa legata a quel particolare gene. L’Autorizzazione prescrive, in quest’ipotesi, di informare i soggetti interessati della possibilità che dalle ricerche si possano ottenere tali notizie non attese. Oltre alle informazioni testè menzionate, l’interessato deve essere reso edotto del suo diritto ad opporsi al trattamento dei dati genetici per motivi legittimi, della facoltà di limitare, ove fosse possibile, l’ambito di comunicazione dei dati genetici e il trasferimento dei campioni biologici, nonché dell’eventuale utilizzo di questi per ulteriori scopi. Anche tale prescrizione, tuttavia, mal si concilia con l’operatività delle biobanche che stoccano tessuti per ricerche di tipo prospettico o traslazionale. In questi casi, infatti, risulta possibile definire l’ambito di comunicazione soltanto per linee generali, ma si assiste alla materiale impossibilità di individuare ex ante gli specifici enti e soggetti che tratteranno i dati ed i relativi campioni. Lo stesso dicasi, chiaramente, per gli ulteriori scopi nei quali i campioni potrebbe essere impiegati. Non meno problematico è l’ulteriore obbligo, che impone di comunicare ai soggetti coinvolti il periodo di conservazione dei dati genetici e dei campioni biologici. Dal punto di vista scientifico, infatti, le biobanche nascono con lo scopo di conservare i campioni per il maggior tempo possibile, sino al loro materiale esaurimento. Limitare l’ambito temporale della conservazione risulta pertanto in contrasto con le stesse ragioni sottese alla creazione delle biobanche. Tale contraddizione è ancor più evidente per il trattamento dei dati, i quali non sono beni consumabili, ragione per la quale è ipotizzabile un loro stoccaggio a tempo illimitato. Gli obbligi informativi fin qui menzionati valgono qualunque sia la finalità del trattamento dei dati genetici. Di conseguenza, tali prescrizioni si applicano anche alle biobanche costituite a scopo di diagnostico e terapeutico, anche se per queste tipologie non si evidenziano le problematiche che abbiamo rilevato per le biobanche di ricerca, dato che è sempre possibile stabilire ex ante quali sono le finalità e la durata del trattamento. 32 Specifici obblighi informativi sono invece previsti dall’Autorizzazione per il trattamento dei dati genetici e dei relativi campioni a scopo di ricerca scientifica e statistica. In primo luogo, il Garante ha stabilito che il consenso al trattamento dei dati genetici a scopo di ricerca deve essere revocabile in ogni momento, senza che tale scelta possa comportare alcuno svantaggio o pregiudizio per l’interessato. Unica importante eccezione a tale principio riguarda l’ipotesi nella quale i dati e i campioni biologici, in origine o a seguito di trattamento, non consentano più di identificare il medesimo interessato. In questo caso, infatti, il ritiro del consenso non sarebbe materialmente possibile. Occorre evidenziare che in virtù dell’inciso “a seguito di trattamento”, tale eccezione non si applica soltanto all’ipotesi in cui l’anonimia sussista ab origine, ma anche quando essa sia il risultato di un trattamento successivo. Dunque, se una biobanca anonimizza completamente i dati, i soggetti ai quali tali dati e campioni si riferiscono non potranno ritirare il consenso prestato, ma tale biobanca avrà comunque la possibilità di preservare il campione, anche se non potrà seguire l’evoluzione clinica del soggetto al quale il campione si riferisce. Diversamente, nell’ipotesi in cui il soggetto ritiri il consenso al trattamento dei dati genetici a scopo di ricerca e tali dati non siano stati resi completamente anonimi, il paragrafo sesto dell’Autorizzazione dispone che il campione deve essere distrutto. Il Garante, dunque, abbraccia una visione “smaterializzata” dei campioni biologici, i quali vengono considerati “supporti” strumentali alla conservazione di dati, alla stregua di un compact disc o di un supporto cartaceo. Ove, dunque, il soggetto ritiri il consenso al trattamento dei dati anche il campione, nella sua materialità, deve essere distrutto. Tale approccio è stato criticato dalla dottrina la quale evidenzia che ritenere il campione, nella sua dimensione materiale, un semplice supporto, conduce all’erronea conclusione che l’unico interesse che il soggetto vanta sul proprio campione è la riservatezza rispetto ai dati da esso derivanti. Diversamente, l’origine umana del tessuto comporterebbe la nascita di una serie di ulteriori interessi, soprattutto in tema di “sfruttamento economico” del tessuto medesimo, i quali necessitano altresì di essere tenuti in considerazione. Sul tema, comunque, ritorneremo nel prossimo paragrafo. Ulteriore obbligo informativo disposto dall’Autorizzazione per il trattamento dei dati genetici riguarda la natura degli “accorgimenti adottati per consentire l’identificabilità degli interessati soltanto per il tempo necessario agli scopi della raccolta o del successivo trattamento”. Quest’obbligo rappresenta la declinazione del principio generale di “necessità” del trattamento dei dati personali, in vista del quale questi ultimi devono essere impiegati soltanto 33 ove sia strettamente necessario e i medesimi risultati non possano essere ottenuti attraverso l’impiego di dati anonimi. Per il tema che qui ci sta impegnando, tale prescrizione delinea la necessità di dotare la biobanca di una struttura organizzativa in grado di limitare al minimo l’utilizzo dei dati in forma personale. A tal fine, in dottrina vi è chi ritiene che la biobanca debba agire come una sorta di firewall, distribuendo solo dati in forma codificata e riservando unicamente ad essa stessa la possibilità di connettere il campione ed i relativi dati con l’identità del soggetto al quale questi ultimi si riferiscono. Ciò risulta possibile conferendo al solo responsabile della biobanca e ai soggetti da lui espressamente individuati la facoltà di ricondurre un dato codice ad un preciso soggetto. La struttura delineata dalla dottrina rafforza la posizione della biobanca come ente terzo, indipendente da coloro che svolgono ricerca, e ribadisce quanto già evidenziato in fase definitoria, ossia la necessità che la biobanca si doti di un’adeguata struttura organizzativa. Altro obbligo informativo, prescritto dal Garante, per poter trattare i dati genetici a scopo di ricerca medica, riguarda “l’eventualità che i dati e/o i campioni biologici siano conservati e utilizzati per altri scopi di ricerca scientifica e statistica, per quanto noto, adeguatamente specificati anche con riguardo alle categorie di soggetti ai quali possono essere eventualmente comunicati i dati oppure trasferiti i campioni”. Tale prescrizione rappresenta una sorta di valvola di sfogo rispetto all’obbligo di informare dettagliatamente i soggetti coinvolti sulle specifiche attività di ricerca condotte sul campione e riconosce la possibilità che i campioni ed i tessuti possono essere utilizzati per altre finalità di ricerca scientifica e statistica. L’inserimento dell’espressione “per quanto noto” suggerisce la possibilità che per queste ulteriori finalità il livello di dettaglio dell’informazione possa essere “attenuato”, limitandosi appunto a ciò che è noto. La vaghezza dell’inciso restituisce, tuttavia, un quadro particolarmente incerto, dal quale non è dato comprendere quale debba essere il grado minimo di dettaglio dell’informazione perché quest’ultima possa essere considerata accettabile. Tale incertezza rende, di fatto, mobile l’area che entro la quale l’informazione fornita si ritiene sufficientemente dettagliata. Stabilire il perimetro entro il quale l’informazione si ritiene adeguata è importante soprattutto alla luce di quanto stabilito dal Garante al paragrafo ottavo dell’Autorizzazione, nel quale si stabilisce che la conservazione e l’ulteriore utilizzo di campioni biologici e di dati genetici raccolti per la realizzazione di progetti di ricerca e indagini statistiche, diversi da quelli per i quali è stato originariamente acquisito il consenso informato degli interessati, sono consentiti limitatamente al perseguimento di scopi scientifici e statistici direttamente collegati con quelli 34 originari, a meno che venga nuovamente acquisito il consenso degli interessati. Ciò implica che, per poter sviluppare progetti di ricerca che esulano dal perimetro del consenso ottenuto occorre ricontattare i soggetti interessati, a meno che gli scopi della nuova indagine non siano direttamente connessi con la ricerca originaria. Nell’attività di biobanking il ricontatto dei soggetti interessati rappresenta un’operazione particolarmente onerosa, dato che le biobanche stoccano migliaia di campioni e di dati. Ricontattare, dunque, tutti i soggetti interessati, nel caso di un nuovo progetto di ricerca inizialmente non previsto, potrebbe rappresentare un’operazione titanica. Il Garante, tuttavia, sembra fornire una possibile via per superare l’impasse che la rigidità di questa regola potrebbe comportare, stabilendo che ove, a causa di particolari ragioni, non sia possibile informare i soggetti coinvolti malgrado sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo per raggiungerli, il trattamento dei dati genetici e dei relativi campioni è possibile a condizione che il progetto di ricerca, oggetto di motivato parere favorevole del competente comitato etico a livello territoriale, sia autorizzato appositamente dal Garante ai sensi dell’art. 90 del Codice della Privacy. Nondimeno, anche questa via appare particolarmente onerosa, atteso che per poter percorrerla occorre dimostrare previamente di aver compiuto ragionevoli sforzi per ricontattare i soggetti interessati, requisito che solleva nuovamente la problematiche evidenziate qualche riga sopra. Ultimo dato che il Garante prescrive di comunicare ai soggetti coinvolti sono le modalità con le quali questi ultimi possono accedere alle informazioni contenute nel progetto di ricerca. In tema di biobanche, questo requisito si traduce nel conferire la possibilità ai soggetti interessati di accedere alla biobanca e di conoscere lo specifico progetto nel quale i campioni sono utilizzati. Il diritto d’accesso è uno strumento di partecipazione essenziale in quanto assicura agli interessati la facoltà di monitorare costantemente l’utilizzo del loro campione e dei loro dati e, se lo ritengono opportuno, di modificare o ritirare il consenso prestato. In dottrina, inoltre, il diritto d’accesso è stato considerato come un possibile strumento per bypassare le ristrettezze del consenso informato. Invertendo l’onere informativo, la dottrina in parola ritiene che laddove non sia possibile informare dettagliatamente il soggetto ex ante, il diritto d’accesso possa essere considerato uno strumento in grado di fungere da sostituto, in quanto permette comunque al soggetto di informarsi. Anziché il diritto ad essere informati, 35 ritenuto eccessivamente paternalistico, l’accento ricadrebbe sullo speculare diritto ad informarsi. Questo è quanto prescrive l’Autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali in tema di consenso informato al trattamento dei dati genetici. Vi è, tuttavia, un ulteriore obbligo informativo che possiamo ricavare dall’art. 170 bis del Codice della proprietà industriale, il quale prevede che la domanda di brevetto relativa ad un’invenzione che ha per oggetto o utilizza materiale biologico di origine umana debba essere corredata dall’espresso consenso, libero e informato, a tale prelievo e utilizzazione, della persona da cui è stato prelevato tale materiale, in base alla normativa vigente. Se l’Autorizzazione del Garante ha come scopo precipuo la protezione dei dati personali e la disciplina apprestata all’utilizzo dei campioni risulta essere soltanto una mera conseguenza, l’art. 170 bis sposta invece l’attenzione sull’aspetto materiale dei campioni. La ratio di tale obbligo, infatti, non può essere rinvenuta nella protezione della riservatezza, ma nel diritto del soggetto di gestire lo “sfruttamento economico” del proprio campione. Da qui l’evidenza che il rapporto “personale” che il soggetto intrattiene con il campione biologico non si esaurisce nella possibilità di ricavare dati di carattere personale, ma ha origini più profonde e sottintende, dal punto di vista materiale, un rapporto di signoria del soggetto sul campione staccato dal proprio corpo che travalica la mera protezione della riservatezza. Definire tale rapporto è un’operazione complessa e in questa voce non possiamo che limitarci a sottolinearne la problematicità. Tuttavia, occorre rilevare come detto rapporto non possa essere definito una volta per tutte in quanto subisce pesantemente l’influenza dal progresso tecnologico. Quest’ultimo, infatti, ha conferito ai campioni umani un “valore di mercato” che prima essi non possedevano. La possibilità di brevettare i campioni, riconosciuta per la prima volta in Europa con la Dir. CE 98/44, è la diretta conseguenza dell’evoluzione delle conoscenze nel campo della genetica, le quali hanno permesso di valorizzare i tessuti umani, prima considerati nulla più che scarti operatori. Nel paragrafo precedente abbiamo analizzato i requisiti del consenso informato, evidenziando i punti critici che la normativa attuale solleva con riferimento alle funzioni tipiche svolte dalle biobanche di ricerca. Stabilito, dunque, qual è il contenuto minimo del consenso, occorre ora esaminare quali sono le conseguenze che da esso derivano. Se appare immediato rilevare come uno degli esiti sia quello di rendere lecito il trattamento dei dati personali e genetici dei soggetti interessati, così come la 36 possibilità di brevettare le invenzioni sviluppate a partire dai campioni biologici, più complicato appare stabilire se esso produca anche l’effetto di trasferire materialmente la proprietà dei tessuti alla biobanca. Sempre che il rapporto con il campione possa essere descritto in termini proprietari. Quando si staccano dal corpo i campioni biologici assumono, dal punto di vista materiale, una loro autonomia ontologica e funzionale rispetto alla persona. Gli interventi effettuati sul tessuto non hanno alcuna ripercussione diretta sul corpo-soggetto dal quale il campione è stato ottenuto e dunque non influiscono sulla sua salute. Da ciò si inferisce che il rapporto che lega il soggetto e i tessuti staccati dal corpo ha natura differente rispetto alla relazione tra la persona e il corpo nella sua intierezza. Lo stesso consenso non è espressione del diritto del soggetto di autodeterminarsi in relazione a scelte suscettibili di avere effetto sulla propria salute, così come sancito dal secondo comma dell’art. 32 della Carta Costituzionale, ma è espressione di un principio di autonomia che si fonda sul peculiare rapporto di signoria, del quale si è fatto cenno nel precedente paragrafo, tra il soggetto e il suo campione. Tuttavia, stabilire nello specifico quale effetto il consenso produca rappresenta un’operazione particolarmente ostica. Le questioni problematiche sono molteplici: in primo luogo occorre stabilire se con il distacco dal corpo il soggetto che subisce l’ablazione diviene proprietario del tessuto; nell’ipotesi in cui la risposta sia positiva occorre determinare se con il consenso il soggetto trasferisca tale diritto alla biobanca oppure se quest’ultima funga da mera custode del materiale biologico; se, invece, si ritiene che il soggetto al momento del distacco non diventi proprietario dei tessuti è necessario stabilire a chi debba essere attribuita la proprietà fisica del campione. Appare evidente che la matassa da sbrogliare è particolarmente intricata e la mancanza di punti saldi ai quali far riferimento rende azzardata qualsiasi conclusione. Nondimeno occorre rilevare che la questione proprietaria ha un impatto non secondario sull’attività delle biobanche, come hanno dimostrato alcune note vicende d’oltreoceano. Determinare a chi spetti la proprietà dei campioni significa, infatti, stabilire se la singola biobanca abbia la possibilità di disporre liberamente dei materiali biologici, oppure se essa resti vincolata alle volontà dei soggetti che conferiscono i campioni, i quali, astrattamente, potrebbero richiedere di trasferire i campioni presso un’altra biobanca.” 37 Si ribadisce quindi l’importanza, per poter conservare un campione biologico e per poter condurre attività di ricerca su di esso e sui dati ad esso associati, dell’ottenimento di un consenso opportunamente strutturato da parte del soggetto al quale il campione appartiene. È possibile una deroga a questo principio soltanto quando il campione è reso assolutamente anonimo, elemento che di fatto preclude la possibilità di ottenere il consenso. A tal fine occorre inoltre rifarsi anche alla già citata Autorizzazione del Garante per la privacy del 1 marzo 2012. Tale autorizzazione si riferisce a studi osservazionali non interventistici condotti con dati raccolti in precedenza a fini di cura ovvero ricavati da campioni biologici prelevati in precedenza. Tale autorizzazione al punto 4. affronta il problema della impossibilità a informare gli interessati per motivi etici o organizzativi. Fra questi ultimi vengono presi in considerazione il problema dei pazienti deceduti e di quelli non contattabili con “ragionevole sforzo”. Un punto importante da definire è se il consenso debba essere ottenuto per ogni singola ricerca o possa ottenersi un conseso più ampio. Nella nostra opinione si possono fare le seguenti proposte operative. È chiaro che per poter condurre attività di ricerca sui campioni stoccati nelle biobanche è obbligatorio ottenere il consenso specifico da parte del soggetto a cui il campione si riferisce. Secondo la nostra interpretazione è da considerarsi specifico il consenso quando esso descriva i rischi e gli eventuali benefici derivanti dal trattamento dei dati e dalla conservazione dei campioni, nonché il tipo di patologia (per es. patologia neoplastica, cardiovascolare, neurologica) per la quale il campione e i relativi dati possono essere impiegati con finalità di ricerca. E’ possibile utilizzare il campione e i relativi dati a fini di ricerca per una di diverso tipo, senza necessità di raccogliere un ulteriore consenso, soltanto qualora concorrano le seguenti condizioni: a) secondo la valutazione effettuata dal Comitato etico competene la ricerca per la quale si intende utilizzare il campione non comporta significativi rischi di discriminazione per il soggetto; b) l’utilizzo dei tessuti sia stato approvato da parte del Comitato etico competente. Non è in ogni caso necessario ottenere un nuovo consenso del paziente nel caso in cui quest’ultimo abbia dichiarato all’atto della raccolta del consenso di autorizzare l’utilizzo 38 dei campioni biologici e dei suoi dati anche per tipi di patologia differenti da quella indicata manifestando il desiderio di non essere ricontattato per l’ulteriore raccolta di consenso. Le regole di cui ai precedenti commi valgono soltanto per le biobanche. In ogni caso il soggetto ha diritto di accedere in qualsiasi momento ai suoi dati e conoscere in qualsiasi momento in quali attività di ricerca sono impiegati il suo campione e i suoi dati. In ogni momento il soggetto ha diritto di ritirare il suo consenso. In tale ipotesi il tessuto deve essere reso anonimo e devono essere cancellati tutti i dati che con ragionevoli sforzi potrebbero condurre all’individuazione del soggetto. Tali proposte rappresentano un elemento innovativo rispetto alle regole ora vigenti. Tali proposte trovano le proprie ragioni nella richiesta da parte di coloro che gestiscono le biobanche di poter beneficiare di un procedimento più agile nell’ottenimento del consenso. Tali procedure rappresentano, dunque, una mediazione tra i diritti del soggetto e di coloro che conducono attività di ricerca. Se il diritto del soggetto di essere informato dettagliatamente sul singolo progetto di ricerca risulta attenuato, nondimeno il soggetto gode del pieno “diritto di informarsi” e di “ritirare il suo consenso” in qualsiasi momento. In virtù di questi procedimenti parte del “peso informativo” passa dalla biobanca al soggetto al quale il tessuto appartiene. Occorre notare come il procedimento agevolato riguarda solo le biobanche, dato che solo esse assicurano determinati standard di qualità e sicurezza. La tipologia di consenso informato inizialmente proposta da Trentino Biobank era quella del “consenso ampio” che permette l'uso dei campioni e dei dati loro associati in ricerche presenti e future di ogni tipo (Allegato 2). Tale consenso è stato sottoposto a valutazione al Comitato per la Bioetica dell’Azienda Sanitaria per i Servizi Sanitari di Trento il quale ha proposto/suggerito una parziale restrizione del consenso (Allegato 3). Il consenso in uso attualmente è quindi stato successivamente modificato rispetto alla versione redatta all’inizio del progetto tenendo conto delle questioni sollevate (Allegato 5). Oltre al consenso, che viene somministrato individualmente ai pazienti da personale a contratto di Trentino Biobank o da personale dipendente della Azienda per Servizi 39 Sanitari di Trento, viene distribuito anche un opuscolo informativo redatto in forma colloquiale (Allegato 5), il cui testo non viene allegato per ragioni di spazio, ma è reperibile sul sito di Trentino Biobank, all’indirizzo www.tissuebank.it, nella sezione documentazione. Tutti i documenti di Trentino Biobank sono inoltre disponibili gratuitamente, senza alcuna limitazione a chiunque su tale sito, in quanto si ritiene che una delle funzioni di una biobanca sia la diffusione informazione dell’informazione sia al pubblico che agli eventuali utenti professionali, quali altre biobanche o ricercatori. L’opuscolo informativo che viene distribuito ai pazienti in occasione della somministrazione del consenso ha lo scopo di informare adeguatamente i pazienti sugli scopi della biobanche e sulle modalità di utilizzo dei biomateriali. Gli elementi essenziali di tale informazione per il donatore/paziente sono: lo scopo della biobanca, la volontarietà partecipazione, l'eventuale trasferimento dei campioni ad altra banca o a gruppi di ricerca diversi dal proponente, la possibilità o l'esclusione di un ritorno d'informazione al donatore sui risultati della ricerca, le indicazioni sulle possibili conseguenze per il donatore od i membri della sua famiglia dei risultati delle analisi genetiche, la possibilità di rendere anonimi i campioni o di identificarli con un codice; le misure adottate per la tutela dei dati personali; la possibilità per il donatore di revocare, in ogni momento, il proprio consenso; il destino dei campioni in caso di revoca, le eventuali prospettive commerciali che potrebbero derivare dalla cessione del campione alle case farmaceutiche (deposito di eventuali brevetti). Al paziente viene anche comunicato che il materiale o il dato genetico conservato dalle biobanche ha una duplice rilevanza: esso può essere utilizzato sia per un interesse diretto del donatore/ paziente, sia a scopo più generale di ricerca, in quanto non solo può predire la suscettibilità individuale ad una manifestazione normale o patologica, ma può avere un impatto significativo sul gruppo familiare fino ad estendersi alle generazioni future, agendo oltre il gruppo ristretto cui la persona appartiene, ed assumendo così un valore culturale. Infatti, l'indagine sul materiale biologico e genetico in particolare, può far luce sulla comprensione dell'eziopatogenesi di molte malattie. In una visione più ampia, la donazione del biomateriale dovrebbe essere percepita come un atto di solidarietà nei confronti della comunità. 40 6.4 IL CONSENSO INFORMATO NELLA ESPERIENZA DI TRENTINO BIOBANK La somministrazione del consenso informato talvolta presenta difficoltà e contraddizioni: dal punto di vista umano la necessità di esporre il contenuto del consenso con un linguaggio semplice e poco specialistico che agevola il paziente nella comprensione del progetto e dall’altro il dovere etico- giuridico di illustrare tutti i punti del consenso che via via diventano sempre più numerosi e specifici. Tutti i pazienti contattati, fino ad ora circa 800, hanno acconsentito a donare il proprio materiale alla Biobanca. Nella quasi totalità dei casi l’adesione al progetto avviene percepito come un elemento positivo nel proprio cammino di malattia: spesso il paziente percepisce la donazione del materiale come un atto di solidarietà verso gli altri e sente di poter essere d’aiuto alla società. Spesso il donatore non percepisce come “proprio” il materiale che è stato asportato durante l’intervento e la domanda che più frequentemente essi rivolgono al personale della biobanca è perché sia necessario firmare un modulo di consenso. Una minore percentuale di pazienti, pur non negando il consenso, non dimostra interesse nel progetto e rifiuta di essere ricontattato in futuro per essere messo al corrente dei risultati delle ricerche. Questo atteggiamento, estremamente comprensibile, potrebbe essere dovuto alla difficile situazione che il paziente sta attraversando: l’incontro avviene infatti poco prima o subito dopo l’intervento chirurgico e questo non agevola la comprensione del progetto. Una analisi più approfondita di questo aspetto è oggetto dello studio del Dr. Luca Morelli e del Dr. Alberto Brolese. 6.5. INFORMATIVA E BIOBANCHE DI POPOLAZIONE Le biobanche di popolazione, come evidenziato in fase definitoria, raccolgono e conservano campioni biologici derivanti da gruppi di popolazione. Tali biobanche, dunque, oltre alle misure fin qui elencate, richiedono l’adozione di peculiari misure 41 nella fase informativa. In particolare, come prescritto in numerose linee guida nazionali 60 60ed internazionali, l’informativa deve essere diretta non verso il singolo soggetto, ma dovrebbero essere individuati gli strumenti più opportuni per informare il “gruppo”. E’ di tutta evidenza, come in questa tipologia di biobanche, la strasparenza dei fini e delle procedure rappresenti un elemento fondamentale per il loro successo. Gli strumenti individuabili sono numerosi: da campagne informative promosse attraverso media locali, al coinvolgimento del gruppo, mediante “l’elezione” di rappresentati dei “donatori” nel board della biobanca medesima. Pare restrittivo in questa sede specificare i singoli strumenti da adottarsi, dato che ogni realtà presenta le proprie peculiarità e lo strumento deve essere adottato calibrandolo sulla comunità nella quale si agisce, nondimento pare opportuno porre una regola del seguente tipo: Le biobanche di popolazione, oltre agli ordinari obblighi informativi diretti verso i singoli soggetti, devono adottare strumenti idonei a informare il gruppo di popolazione oggetto di studio. 6.5. TESSUTI STOCCATI NEGLI ARCHIVI DI ANATOMIA PATOLOGICA A SCOPO DIAGFOSTICO Una problematica che riscuote notevole interesse nel dibattito collegato alle biobanche del tipo “disease oriented” (prevalentemente di tipo oncologico) riguarda la possibile utilizzazione a scopo di ricerca dei tessuti archiviati negli archivi di anatomia patologica a scopo diagnostico, per i quali non è stato richiesto un esplicito consenso per un utilizzo a scopo di ricerca. Gli archivi della anatomie patologiche sono amplissime collezioni di biomateriali di inestimabile valore scientifico. Tuttavia non possono essere considerati biobanche a scopo di ricerca, in quanto non organizzate secondo le modalità descritte più sopra. Negli archivi delle Anatomie Patologiche sono infatti raccolti milioni di biomateriali accuratamente annotati, il cui potenziale scientifico è enorme. L’utilizzo di questi biomateriali per ricerca è stato sempre stato un elemento importante di ricerca scientifica, ma la assenza di un consenso ha sempre rappresentato un elemento critico, 42 su cui si è lungamente discusso, dopo l’entrata in vigore della Autorizzazione del Garante per la Protezione dei Dati personali relativa ai dati genetici. Per questi tessuti risulta particolarmente difficile acquisire un consenso “a posteriori”, dato che molti soggetti sono difficilmente raggiungibili e, per i tessuti conservati da più tempo (talora da decenni), molti sono verosimilmente defunti o comunque irreperibili. Ora la recentissima Autorizzazione del Garante per la Protezione dei Dati personali del 1 marzo 2012 introduce alcune importanti novità. Infatti il punto 4 è interamente dedicato al problema della impossibilità di informare gli interessati. In tale punto si indica che i dati ed i biomateriali, quindi compresi i tessuti residui stoccati negli archivi di anatomia patologica a scopo diagnostico o terapeutico, per i quali, con ragionavoli sforzi, non può essere ottenuto il consenso al loro utilizzo a scopo di ricerca, perché i pazienti sono deceduti o non contattabili, possono essere impiegati a tale scopo anche in assenza di un consenso. In alternativo tali biomateriali possono essere utilizzati solo in modo del tutto anonimo. In tale accezione, sono da considerarsi anonimi i campioni per i quali i dati associati non consentono in via diretta o indiretta, con ragionevoli sforzi, di individuare il soggetto a cui tali tessuti appartengono. A tali campioni deve essere attribuito un codice che non consenta in alcun modo di risalire all’identità del paziente. Ovviamente i campioni possono essere utilizzati a scopo di ricerca solo se non pregiudicano, in alcun modo, le loro potenzialità diagnostiche e terapeutiche. Si può prevedere che nel prossimo futuro, per favorire ulteriormente l’utilizzo a scopo di ricerca dei tessuti stoccati negli archivi di anatomia patologia, possano essere predisposte idonee misure atte in informare tutti i pazienti che vengano sottoposti a interventi chirurgici/endoscopici che i tessuti raccolti nell’ambito delle operazioni chirurgiche che li riguardano potrebbero essere impiegati a scopo di ricerca, in accordo con le modalità previste dal legislatore. In questa ipotesi non si tratterebbe di un vero consenso informato, come quello previsto per le biobanche, che sarebbe troppo oneroso dover somministrare opportunamente a tutti i pazienti, ma una sorta di informazione preliminare, per rendere partecipi i cittadini del processo. In questa visione inoltre potrebbe essere data la possibilità ai pazienti di rifiutare che ciò avvenga. 43 44 7. CESSIONE DEI CAMPIONI BIOLOGICI Le misure fin qui proposte riguardano il rapporto tra i soggetti che cedono i tessuti e le biobanche. Tuttavia, al fine di valorizzare le biobanche e per assicurare che la volontà espressa dai soggetti che hanno concesso i loro campioni mediante il consenso possano essere rispettate, pare opportuno porre alcuni “principi minimi” anche nel rapporto che intercorre tra la biobanca e i ricercatori. Possiamo dividere tali principi minimi in due diverse categorie. La prima idonea ad assicurare il rispetto di quanto prescritto nel consenso informato, mentre la seconda idonea a valorizzare “l’apporto scientifico” che le biobanche possono garantire. 7.1. MISURE IDONEE AD ASSICURARE IL RISPETTO DI QUANTO STABILITO NEL CONSENSO INFORMATO. I tessuti ed i dati ad essi relativi possono essere impiegati in attività di ricerca soltanto nei limiti espressi nel consenso informato prestato dai singoli “donatori”. Coloro che beneficiano dei campioni e dei tessuti stoccati nella biobanca non possono cedere i tessuti e i dati a soggetti terzi senza il previo consenso del responsabile della biobanca. La biobanca pone in essere le misure tecnologiche ed organizzative idonee a consentire la tracciabilità dei campioni e dei dati ad essi afferenti. Il divieto di cessione dei campioni, senza consenso della biobanca, a soggetti terzi nonché l’obbligo di tracciabilità rappresentano strumenti indispensabili per: a) assicurare che le volontà espresse nel consenso possano essere rispettate; b) individuare chi abbia utilizzato i campioni e i dati illegittimamente; c) addebitare le reponsabilità derivanti dall’uso illecito dei dati e dei campioni. Il Material Transfer Agreement (MTA) è il documento che regola il rapporto tra i ricercatori e la biobanca. Si tratta di un contratto con il quale le due parti si accordano sulle modalità di impiego dei materiali e sui diritti-oneri che incombono sui ricercatori e sulla biobanca. Quello che si instaura è una vera e propria 45 collaborazione in quanto la biobanca forniscono il biomateriale (e/o dati relativi associati) e dall’altra dai ricercatori che forniscono i dati ottenuti dagli studi di ricerca condotti sul biomateriale richiesto. Il MTA consta di tre parti: I. il contratto propriamente detto: è la concessione da parte del responsabile della biobanca all’uso del materiale biologico per le finalità espressamente individuate in un progetto di ricerca /a seguito dell’approvazione di tale progetto da parte del comitato etico e scientifico/ che ha ricevuto approvazione da parte del comitato etico e scientifico II. il regolamento interno della biobanca: descrive l’organizzazione della biobanca, l’organigramma del personale con mansioni e responsabilità, la modalità di cessione dei materiale e i criteri di valutazione dei progetti di ricerca per cui si fa richiesta di biomateriale, indicazioni sul trasferimento di dati clinici associati al biomateriale e il costo del biomateriale stesso( ovvero una quota a titolo parziale per la copertura degli oneri di mantenimento e la gestione). III. il modulo di cessione del biomateriale: i ricercatori forniscono al responsabile della biobanca indicazioni relative alla tipologia del materiale di cui necessitano per i loro studi di ricerca e alla quantità del biomateriale occorrente. Al fine di rendere effettivo ed operativo tale aspetto della attività di biobanking, nell’ambito di Trentino Biobank, si sono definiti dei parametri per la richiesta dei biomateriali (Allegato 6), dei parametri per la valutazione dei progetti richiedenti i biomateriali (Allegato 7) e un contratto vero e proprio di “Material Transfer Agreement”, il cui testo integrale è riportati negli allegati (Allegato 8) Tali documenti rappresentano lo strumento operativo per il corretto uso dei biomateriali. Nella fase attuale, Trentino Biobank ha già ricevuto varie proposte di collaborazione con Istituzioni Provinciali e Nazionali, il cui esito è tuttavia ancora subordinato alla 46 approvazioni di vari enti finanziatori. Una volta ottenuti i finanziamenti e entrati nella fase operativa dei progetti verranno adottati i suddetti documenti. 7.2. MISURE IDONEE A VALORIZZARE “L’APPORTO SCIENTIFICO” DELLE BIOBANCHE. L’accordo con il quale la biobanca trasferisce i dati e i campioni a soggetti terzi deve avere forma scritta. Coloro che utilizzano i campioni a scopo di ricerca hanno si impegnano, ove possibile, a comunicare alla biobanca, almeno in forma aggregata, un set di dati minimi derivanti dalle ricerche condotte sui campioni. La natura di tali dati deve essere concordata di volta in volta con il responsabile della biobanca e oggetto dell’accordo di cui al comma secondo. La biobanca ha l’obbligo di registrare tali dati e renderli accessibili a coloro che, per documentate ragioni di ricerca medico-scientifica, ne richiedessero l’impiego in ulteriori progetti di ricerca. Agevolare il c.d. data sharing risulta essere uno dei compiti essenziali che le biobanche si candidano a svolgere. L’esistenza e l’importanza stessa delle biobanche è legata alla possibilità che esse diventino punti nodali all’interno del processo di ricerca. Potrebbero permettere una riduzione dei costi di ricerca e evitando la duplicazione dei medesimi esami. Se il loro scopo si riducesse alla mera conservazione dei campioni, le potenzialità ad esse legate risulterebbero fortemente menomate. Chiaramente ciò richiede una visione di sistema, una razionalizzazione delle biobanche esistenti, la volontà da parte delle regioni di organizzare efficentemente il sistema di biobanking. 47 48 8 PRIMI RISULTATI SCIENTIFICI DI TRENTINO BIOBANK COME SUPPORTO AD ATTIVITÀ DI RICERCA 8.1. STUDI CON CIBIO Da una forte collaborazione con una realtà locale come il Cibio (Centro di Biologia integrata dell’università di Trento) sono partiti vari progetti nell’ambito del carcinoma mammario e del carcinoma del polmone. In un lavoro pubblicato a febbraio su Americal Journal of Surgical Pathology (Am J Surg Pathol. 2011 Feb;35(2):268-75), abbiamo dimostrato come l’analisi quantitativa di microRNA, affiancata dalla più tradizionale analisi morfologica ed istochimica delle biopsie tumorali, permetta una più accurata classificazione dei carcinomi polmonari più frequentiSuccessivamente, in uno studio, appena pubblicato su American Journal of Clinical Patology (2011 Nov;136(5):773-8), abbiamo riportato che l’analisi quantitativa di alcune molecole di microRNA permette la classificazione di tumori polmonari non altrimenti classificabili con le metodologie tradizionali. 8.2. PRESENTAZIONI ATTIVITÀ DI TBB A CONVEGNI L’attività di TBB è stata presentata in vari eventi di livello nazionale ed internazionale, rispettivamente. • « Giornata Trentina della ricerca biomedica » presso la sala della regione a cura della LILT e dell’ARMET, Trento 25 settembre 2009 • Tissue biobanks: a resource for research and a wealth of society, Alp Nano Bio International School 2 January 11-15, 2010, Sterzing (Bolzano, Italy) 15 gennaio 2010 • Lab. appl.: Comparative issues concerning the governance of research biobank, Dipartimento di Scienze giuridiche Trento 29 aprile 2010 49 • International conference Comparative Issues in the Governance of Research Biobanks: Property, Privacy, Intellectual Property, and the Role of Technology Trento, Faculty of Law 7/8 maggio 2010 • Congresso Nazionale Società Iataliana di Anatomia Patologica e Citopatologi (SIAPEC) Italiano di Bologna 22 settembre 2010 • “Notte dei ricercatoti”, Fac. Giurisprudenza, Università di Trento 24 settembre 2010 • Convegno "La partecipazione italiana all’infrastruttura europea della biobanche e delle risorse biomolecolari-bbmri", Genova, 28/29 Settembre 2010. (Barbareschi) • “La notte dei ricercatori”, caffè scientifico “Tumori e medicina personalizzata” 23 settembre 2011 Grazie all’utilizzo dei campioni di TBB ed al supporto economico del progetto è stato possibile realizzare numerosi lavori scientifici e comunicazioni a Convegni,come illustrato negli Allegati. 50