Storia E, Rivista della Sovrintendenza Scolastica di Bolzano Anno 7 n.1,2,3 -2009 Brevi riflessioni sul reato di negazionismo La storia che passa in giudicato? Emanuela Fronza Il diritto come custode della memoria: le lois memorièlles e il reato di negazionismo Negli ultimi anni le occasioni di incontro e sovrapposizione tra diritto, processo penale e storia sono sempre più frequenti e talvolta problematiche. Il diritto, infatti, a fronte di una ripresa allarmante dei fenomeni razzisti, viene individuato come strumento per rispondere al timore che la memoria su fatti criminosi di portata storica che hanno avuto un grande peso politico, come quelli che hanno caratterizzato la seconda guerra mondiale, possa subire un progressivo ed inesorabile affievolimento. Tale dinamica è stata definita da taluni autori come malattia della memoria (“malaise de la mémoire” - Henry Rousso -) o “ossessione commemorativa” (Enzo Traverso). Infatti, per difendere il rispetto per un passato che non deve essere dimenticato si invocano il processo penale e la pena che tramite esso può essere inflitta. Cosí al diritto, e in particolare a quello penale, si chiede il riconoscimento dell’importanza di certi eventi o sequenze di eventi, specialmente connotati da gravi violazioni di diritti umani, la precisa codificazione della memoria di quei fatti. Nascono cosí numerose intersezioni tra diritto e storia. Tra le tipologie principali va segnalata in primo luogo l’adozione di legislazioni che istituiscono giornate per invitare le popolazioni a ricordare: senza ricorrere allo strumento penale si stabilisce una «giornata della memoria1» o si fissa una ricostruzione storica dei fatti (le cosiddette 6. Il monumento, realizzato dall’artista Ariela Böhm nel 2004, è stato eretto nel cimitero di Bolzano per volontà della popolazione dell’Alto Adige e della Comunità ebraica di Merano. Vi si legge: “che la memoria di ciò che è stato si fonda con la materia che ospita il nostro pensiero”. 8 storiae 6 lois memorièlles2). Tali provvedimenti vanno distinti dalle norme che introducono il reato di negazionismo in cui dal binomio diritto e memoria si passa al trinomio diritto, memoria e pena e in cui il diritto e il processo penale diventano spazio di ricomposizione di un ordine mnemonico dei fatti del passato attraverso la confutazione delle condotte di negazione di memoria. La pena, inflitta per contrastare i fenomeni di negazionismo, è posta come retribuzione della «memoria violata». Questo breve contributo è dedicato all’analisi di questi reati. Riteniamo infatti che lo studio della repressione del negazionismo possa rappresentare un terreno privilegiato per riflettere non soltanto sulla difficile interazione tra diritto e storia, ma anche sulle attuali vocazioni espansionistiche del diritto e del processo penale come strumenti di ri-costruzione degli eventi storici. Decidere di punire il negazionismo pone numerose difficoltà sia con riferimento all’individuazione dell’oggetto tutelato (la memoria storica?), sia, infine, in relazione al diritto alla libera manifestazione del pensiero3. Il fenomeno negazionista: il concetto Prima di esaminare il negazionismo come reato è opportuno chiarire il concetto e la geografia di questo fenomeno4. Esso va innanzi tutto distinto dal revisionismo, termine che indica la tendenza storiografica a rivedere le opinioni storiche consolidate alla luce di nuovi dati e di nuove conoscenze, permettendo una re-interpretazione e una ri-scrittura della storia. Ogni storico dunque ed ogni scienziato non può che essere revisionista in questa accezione, poiché la sua attività comporta naturalmente un succedersi di modelli e paradigmi teorici differenti. Ritornare sulle ricostruzioni storiografiche già proposte è dunque inevitabile nel lavoro storiografico. Ora, nell’ambito degli studi sulla seconda guerra mondiale, occorre tenere distinti il filone revisionista, che mira, partendo dal dato inconfutabile della Shoah a ridistribuire le colpe e ad attribuire ad Hitler responsabilità limitate, relativizzando il problema dello sterminio, dal filone negazionista, che a differenza del primo nega la stessa esistenza della Shoah, prescindendo da qualsiasi regola storiografica prestabilita e aggirando il problema del rapporto dello sterminio con la realtà storica. Il concetto di negazionismo ricomprende pertanto quelle dottrine radicali secondo cui il genocidio praticato dalla Germania nazista nei confronti degli ebrei, degli zingari e di altre categorie «subumane» non è esistito e appartiene al mito, alla menzogna, alla truffa5. Il punto centrale della produzione negazionista, simbolo e strumento dello sterminio, è la negazione delle camere a gas. Compare alla fine degli anni ‘70, sullo sfondo del revisionismo storico e trae alimento dallo stesso retroterra politico-culturale, ma portandolo agli estremi, combattendo una battaglia ideologica: non ci sono più fatti certi, tutto è costruito e mistificato6. Le origini geografiche del negazionismo sono principalmente in Germania e negli Stati Uniti con l’Institute for Historical Review, importante centro di attrazione per tutti questi autori e di elaborazione ed organizzazione delle loro strategie. Il negazionismo ha avuto rilevanti sviluppi anche in Francia, in Austria, Belgio e in Svizzera (e solo marginalmente in Italia). Gli „assassini della memoria“ (secondo la definizione di Piérre Vidal Naquet7) sono riusciti a ricavarsi uno spazio nel mercato attraverso volantini, libri, opuscoli ciclostilati, riviste, videocassette8; la rete di diffusione è ormai internazionale e agevolata dalle nuove tecnologie. La provenienza degli autori è spesso di estrema destra o di estrema sinistra. L’elemento comune è la piattaforma ideologica, l’antisemitismo9. Non esiste dunque un unico paradigma storiografico degli ideologi 7. Campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. della negazione; i metodi negazionisti possono essere ricondotti alle seguenti strategie: la minimizzazione, la giustificazione e la negazione dei crimini. L’oggetto principale rimane la negazione della Shoah, anche se queste affermazioni riguardano talvolta altri genocidi (per esempio il genocidio armeno o - rispetto a fenomeni più recenti - il genocidio ruandese10) o altri gravi crimini contro l’umanità. Il negazionismo come reato a) Le legislazioni nazionali Il fenomeno negazionista è presente in numerosi paesi europei, suscitando un notevole allarme nella coscienza collettiva. La prova della forza perturbativa del negazionismo è data non solo da questo allarme sociale, ma anche dalla quantità e dal tipo di risposte normative (anche penali), che si registrano sul piano sovranazionale e nazionale11. Da un lato, infatti, la condanna del fenomeno negazionista si traduce in iniziative delle istituzioni sovranazionali ed europee con l’adozione di strumenti giuridici che disegnano linee di politica criminale per gli Stati e che domandano di reprimere questi comportamenti (si veda da ultimo la recentissima decisione quadro dell’Unione europea riguardante proprio il negazionismo12). Dall’altro, sul piano nazionale, la maggior parte degli ordinamenti eu- 7 storiae 9 8 ropei ha creato norme ad hoc per criminalizzare questo tipo di manifestazioni (l’Italia è fra i pochi paesi a non avere introdotto un reato ad hoc di negazionismo13). Le norme introdotte dai diversi legislatori nazionali individuano come punibili le condotte già menzionate di minimizzazione, giustificazione e negazione. Non è possibile svolgere un’analisi comparata delle fattispecie14; ci limiteremo pertanto ad individuare gli elementi comuni che caratterizzano queste figure delittuose. Il negazionismo è punito espressamente in Germania15, in Francia16, in Austria17, in Belgio18, in Spagna19, in Portogallo20 e in Svizzera21. L’Italia, come detto, è fra i pochissimi paesi che ha deciso di non creare una fattispecie apposita. Nonostante questa comune scelta punitiva a livello nazionale si registrano alcune differenze nella costruzione di questo reato. Per quanto riguarda il luogo normativo, alcuni paesi hanno inserito questa disposizione nel codice penale (è questo il caso della Germania, della Spagna, del Portogallo o della Svizzera), altri, invece, in una legge extra codicem adottata appositamente (Belgio) o già esistente (Francia, Austria). Possono variare anche i singoli comportamenti punibili: in Belgio, per esempio, la minimizzazione per essere punibile deve essere grossolana. O ancora: si prevede la punibilità di comportamenti qualificabili come revisione anziché come negazione dei fatti: è punibile l’“approvare” o il “giustificare” nel codice tedesco o il “contestare” in base alle norme francesi. Può mutare l’oggetto della negazione, minimizzazione e giustificazione, individuato esclusivamente nella Shoah - Francia, Germania, Belgio -, o ad altri genocidi e crimini contro l’umanità - Spagna, Svizzera, Portogallo -. Differenze si riscontrano anche in relazione al bene giuridico 8. Donne e bambini appena arrivati al campo. Molti di loro saranno mandati alle camere a gas perché gracili, malati o inadatti al lavoro. 9. Anziana donna ebrea deportata ad Auschwitz. 10 storiae protetto: esso viene individuato, per esempio, nella pace pubblica (Germania) o, ancora, nell’ordine pubblico o nella dignità umana (Francia). Elemento costitutivo comune a queste fattispecie è che la condotta deve essere realizzata pubblicamente. Va infine segnalato che alcuni ordinamenti hanno scelto di delimitare l’ambito di applicazione della norma - ai fini di un equilibrato bilanciamento con il diritto alla libera manifestazione di pensiero - introducendo il requisito dell’idoneità della condotta a turbare la pace pubblica (Germania) o stabilendo che tali opinioni abbiano ad oggetto i crimini contro l’umanità, come definiti dallo Statuto del Tribunale di Norimberga e se giudicati da un tribunale nazionale o internazionale (Francia). La stessa strada, come si vedrà, è stata scelta dall’Unione Europea. b) La legislazione comunitaria A livello sopranazionale esiste un apparato normativo molto elaborato contro i fenomeni razzisti22. In questa sede ci limiteremo ad accennare ad alcune iniziative comunitarie, che - in linea con la tendenza piú generale - confermano la scelta di punire i fenomeni negazionisti. L’Unione Europea influenza i diritti penali nazionali e può chiedere agli Stati di introdurre una fattispecie incriminatrice. Per quanto riguarda specificatamente il negazionismo oltre all’Azione Comune del 199623, va segnalata la decisione quadro contro il razzismo e la xenofobia che chiede espressamente agli Stati di adottare le misure necessarie per punire «l’apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana» sia dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra quali definiti sia agli artt. 6, 7 e 8 dello Statuto della Corte penale internazionale (art. 1, comma 1, lett. c)), sia dei crimini definiti all’art. 6 dello Statuto del tribunale militare internazionale, allegato all’accordo di Londra dell’8 agosto 1945 (art. 1, co. 1°, lett. d), «dirette pubblicamente contro un gruppo di persone o un membro di tale gruppo, definito rispetto alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto ad istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro». Solo due osservazioni su questo provvedimento. Il legislatore europeo, come taluni legislatori nazionali, preoccupato dell’intervento limitativo rispetto al diritto fondamentale costituito dalla libertà di espressione ha inserito - come elemento di bilanciamento - una clausola di pericolo, per cui gli Stati membri possono decidere di rendere punibili soltanto i comportamenti “atti a turbare la quiete pubblica (“public order”) o che sono minacciosi, vessatori o insultanti”. Pertanto da una parte si richiede una soglia di offensività che deve realizzare il comportamento punibile e dall’altra, si lascia agli Stati un margine di autonomia, ammettendo una geometria normativa variabile. Verrebbe tuttavia da aggiungere: quale libertà di pensiero è quella che non turba la quiete pubblica? La libertà di pensiero non è in sé stessa anche “libertà di pericolo”? E ancora: il progetto di decisione quadro richiede che si tratti di crimini definiti dallo Statuto della Corte penale permanente o da quello del Tribunale militare internazionale di Norimberga. Ma chi decide che un determinato evento storico ricade sotto la definizione degli artt. 6, 7, 8 dello Statuto della Corte penale internazionale? Il legislatore o il giudice? Se si è verificato un genocidio che non è stato definito come tale giuridicamente o che non è stato oggetto di processo e dunque non è stato qualificato come crimine internazionale per questo solo non potrà essere oggetto di un reato di negazionismo? A nostro avviso, questa norma così formulata potrebbe fomentare una criminalizzazione selettiva dei genocidi, perché prende in considerazione solo quelli che riguardano eventi storici definiti come tali da organi giurisdizionali o da un legislatore. Tale scelta sembra inoltre poco funzionale a costruire una “memoria condivisa” visto che sia attraverso la definizione degli eventi storici, sia attraverso una definizione (legislativa o giurisprudenziale) ci sono spazi per una memoria differenziata. Anche il Consiglio d’Europa, tramite l’operato della Corte Europea dei diritti umani, ammette la compressione della libera manifestazione del pensiero (tutelata dall’art. 10 della Convenzione europea) per reprimere episodi di negazionismo. 9 I negazionisti in Tribunale I numerosi episodi di negazionismo sono stati oggetto negli ultimi anni di alcuni processi dinanzi a Tribunali nazionali, a Corti Costituzionali e infine, alla Corte Europea dei diritti umani. L’esame della giurisprudenza rivela la problematicità dell’intervento penale, non solo per il bilanciamento con il diritto alla libera manifestazione del pensiero, ma anche perché con tale reato si perviene alla tutela una determinata ricostruzione storica. Fra le tante decisioni abbiamo scelto di analizzare la sentenza della Corte Europea sul caso Garaudy c. Francia, una sentenza del Tribunale di Lione e, infine, la sentenza del Tribunale costituzionale spagnolo, che - in controtendenza - dichiara incostituzionale la norma che punisce la negazione della Shoah e di altri genocidi. La Storia passa in giudicato: l’Olocausto come «fatto storicamente stabilito». Il caso Garaudy c. Francia. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani è molto interessante per esaminare alcuni profili cruciali nella riflessione sul negazionismo. Una sentenza, in particolare, merita di essere analizzata, anche perché è diventata precedente molto significativo: il caso Garaudy c. Francia24, in cui la Corte Europea ha dichiarato irricevibile la richiesta del ricorrente, ritenendo ammissibile una limitazione della libera manifestazione del pensiero. Roger Garaudy era stato condannato in Francia per „Contestation des crimes contre l’humanité, diffamation publique raciale e provocation à la haine raciale“ per aver pubblicato un libro su «I miti fondatori della politica israeliana». Non è possibile sintetizzare, né analizzare tutti gli aspetti toccati della decisione. Ciò che preme evidenziare non è tanto la soluzione della Corte di Strasburgo, quanto taluni elementi del percorso argomentativo di questa pronuncia riguardanti il rapporto tra diritto e storia, tra tutela penale e tutela di una determinata memoria. La Corte Europea di fronte alle affermazioni rispetto a cui i ricorrenti lamentano una violazione della libertà di pensiero effettua una distinzione tra la categoria di “fatti storici chiaramente stabiliti, come l’Olocausto”25 e la categoria di fatti rispetto a cui «è tuttora in corso un dibattito tra gli storici circa come sono avvenuti e come possono essere interpretati»26. Viene poi esaminata la questione dei limiti al dibattito storico sugli avvenimenti della seconda guerra mondiale e, pur considerando necessario per qualsiasi paese il dibattito aperto e sereno sulla propria storia27, i giudici stabiliscono che l’art. 10 della Convenziostoriae 11 10 introdotto il reato di negazionismo all’interno della Legge sulla libertà di stampa del 1881: l’art. 24 bis, intitolato Contestation des crimes contre l’humanité, dispone: «Seront punis (...) ceux qui auront contesté l’existence d’un ou plusieurs crimes contre l’humanité tels qu’ils sont définis par l’article 6 du statut du Tribunal militaire international annexe a l’Accorde de Londres du 8 aout 1945 et qui ont èté commis soit par les membres d’une organisation déclarée criminelle en application de l’article 9 du dis Statut, soit par une personne coupable de tels crimes par une jurisdiction francaise ou internationale». ne Europea dei diritti umani (Cedu) non copre il discorso revisionista o negazionista sull’esistenza della Shoah. Secondo tale interpretazione spetta alla Corte a partire dall’obiettivo perseguito, dal metodo utilizzato e dal contenuto delle affermazioni valutare se siano rimessi in discussione dei «fatti storici» o no28. Ed è in base a tale ragionamento che la Corte dichiara la richiesta del ricorrente irricevibile: il libro pubblicato da Garaudy aveva come obiettivo di rimettere in discussione la Shoah, perché propugnava tesi negazioniste. Lo scopo della sua indagine non sarebbe stato la ricerca di una verità, ma la falsificazione per riabilitare il regime nazionalsocialista e, dunque, accusare di falsificazione storica le stesse vittime di questo regime29. Affermazioni di questo genere «mettono in discussione i valori che fondano la lotta contro il razzismo e l’antisemitismo e sono tali da turbare gravemente l’ordine pubblico. Offendendo i diritti altrui, questi comportamenti sono incompatibili con la democrazia e con i diritti umani e i loro autori perseguono obiettivi, quali quelli vietati dall’art. 17 Cedu»30. Per questa ragione queste affermazioni non sono tutelate dall’art. 10 Cedu e contrastano con i valori della giustizia e della pace, riconosciuti come fondamentali dalla Convenzione31. Il processo alla Storia: «il metodo corretto». Il caso Theil Un’altra sentenza che merita attenzione è quella pronunciata dal Tribunale di Lione il 3 gennaio 200632. Come per il caso Garaudy ci limiteremo ad evidenziare taluni passaggi importanti per una riflessione piú ampia sul negazionismo come reato. Alcune premesse di contesto sono opportune. In Francia il fenomeno negazionista è assai rilevante. Nel 1990 con la Loi Gayssot è stata 10. Arrivo e “selezione” alla rampa del campo di Auschwitz di un trasporto di ebrei dalla Rutenia Subcarpatica (Ucraina), maggio 1944. 11. Auschwitz, Polonia, 28 ottobre 1996. Riproduzione, nel Crematorium I, di una fornace in uso nel campo di concentramento. 12 storiae Per limitare i rischi di una eccessiva compressione della libertà di espressione e per scongiurare il pericolo di affidare ai tribunali il compito di ricerca della verità storica la Francia ha scelto di limitare l’oggetto della negazione al solo genocidio nazionalsocialista e ai crimini giudicati da un tribunale nazionale o internazionale, col risultato che non saranno punibili le negazioni di altri genocidi (come per esempio di quello armeno). La sentenza del Tribunal de Grande Istance di Lione ha condannato George Theil a sei mesi di reclusione e ad una ammenda di 10.000 euro per contestation des crimes contre l’humanité (ai sensi dell’art. 24 bis) perché aveva negato l’esistenza delle camere a gas durante un’intervista televisiva. Particolarmente interessante è la parte in cui i giudici illustrano la ratio legis e la portata dell’art. 24 bis nell’ambito di una discussione più ampia sulla problematica definita come querelle des mémoires o delle mémoires abusives. Vengono citati i lavori preparatori in cui si esprimeva la necessità di prevedere un delitto per punire comportamenti di apologia del nazismo e di antisemitismo; allo stesso tempo si ricorda l’importanza di non trasformare i giudici in guardiani di una verità storica ufficiale, perché sarebbe di ostacolo allo svolgimento della ricerca storica in buona fede. Dalla lettura dei Lavori Preparatori i giudici desumono indicazioni utili sull’interesse tutelato dalla norma, individuabile nell’eguale dignità umana di tutte le persone senza distinzione di etnia, nazione, razza o religione. La protezione di tale bene richiederebbe di lottare contro ogni offesa alla memoria delle vittime di crimini contro l’umanità, definiti dall’art. 6 lett. c) dello Statuto del Tribunale militare di Norimberga. L’art. 24 bis servirebbe pertanto a contrastare tutte le forme di negazione della memoria che mascherano antisemitismo. Per la soluzione del caso concreto i giudici individuano una serie di criteri. Tra questi, il più importante, secondo i giudici è l’uso del metodo corretto da parte dello storico. In linea con la giurisprudenza della Corte europea, che insiste più sulla valutazione del contesto, dei fini, del metodo che sul contenuto, si stabilisce che è es- senziale non tanto analizzare il contenuto della tesi propugnata dal Theil, quanto il metodo della ricerca. A tale fine si dovrà verificare se lo storico ha seguito un procedimento „in buona fede“ tenendo in considerazione le fonti utilizzate, il rispetto di una certa gerarchia tra di esse e l’uso di una documentazione sufficiente. Il Tribunale di Lione, come s’è detto, ha condannato l’imputato, ex art. 24 bis, sulla base di queste argomentazioni, richiamando la giurisprudenza francese precedente, la giurisprudenza della Corte europea (e in particolare i casi Lehideux e Isorni c. Francia e Garaudy c. Francia)33, nonché alcuni studi sul negazionismo (soprattutto il lavoro di Papadopoulos Pénalisation du négationnisme et premier Amendement34). Questo processo mostra il dato - parimenti inquietante per lo storico e il giurista- che è il giudice a definire il metodo storico. Un giudice è nella condizione di giudicare il metodo di ricerca storica, essendo egli un giudice e non uno storico? Cosa significa proteggere penalmente un metodo scientifico e, in questo caso, il metodo storico? E ancora: se il valore da proteggere - così come indicato nei lavori preparatori della Loi Gayssot - è la dignità umana perché si insiste così tanto sul metodo più che sui contenuti di queste affermazioni? Le affermazioni sui fatti e le affermazioni sui valori: la sentenza del Tribunal Constitucional spagnolo Da ultimo vorremmo segnalare la sentenza del Tribunal Constitucional spagnolo (d’ora in poi TC), chiamato a pronunciarsi sulla legittimità del reato di negazionismo35, previsto all’ultimo comma dell’art. 607 del codice penale (c.p.). I giudici hanno dichiarato questa disposizione parzialmente illegittima, nella parte in cui punisce la condotta di «negazione», poiché questa previsione sarebbe in contrasto con l’art. 20 Cost., che tutela la libera manifestazione del pensiero. La condotta di «giustificare», prevista nel medesimo comma, rimane invece illecita. La questione di costituzionalità è stata sollevata il 14 settembre del 2000 dalla Seccion III della Audiencia provincial di Barcellona nel processo di appello al proprietario e direttore di una libreria, che distribuiva, diffondeva e vendeva libri e documenti in cui si negava l’esistenza della Shoah. Varela era stato condannato in primo grado il 16 novembre 1998 per delitto continuato di genocidio ex art. 607, comma 2 c.p. alla pena di due anni di reclusione e per provocazione alla discriminazione, all’odio razziale, e alla violenza contro gruppi o associazioni per motivi razzisti e antisemiti (art. 510, comma 1, c.p.). Secondo il ricorrente la norma sarebbe in contrasto con l’art. 20, comma 1 Costituzione, che protegge la libertà di espressione; si evidenzia altresì che il bene soggiacente a tale disposizio- ne ha natura diffusa, perché cerca di evitare «la creazione di una clima suscettibile di poter dare luogo a condotte di discriminazione». Tuttavia, l’incitamento a realizzare condotte lesive di diritti fondamentali o della dignità umana sarebbe già punibile in base ad altre incriminazioni, col risultato che l’oggetto non è meritevole di tutela penale perché oltre al suo carattere diffuso, limita la libera manifestazione del pensiero36. La risposta del TC - come anticipato - è la dichiarazione di incostituzionalità, non all’unanimità, della diffusione di idee che neghino il genocidio, in quanto «penalmente inani», ma viene salvato il reato di giustificazione di tali crimini. Il TC comincia il proprio ragionamento sottolineando l’importanza della libertà di espressione che può essere esercitata anche nel caso in cui vengono espresse opinioni che possono risultare moleste, inquietanti, pericolose o errate, ciò - secondo i giudici - è in linea con il pluralismo senza cui non esiste una società democratica. La libertà di espressione garantisce dunque anche opinioni contrarie alla essenza medesima della Costituzione a meno che queste ultime non violino beni costituzionalmente garantiti, perché in quel caso potranno essere limitate e previste come reato. La domanda è pertanto se la diffusione di idee che negano o giustificano il genocidio lede un bene costituzionalmente protetto e, in caso di risposta positiva, se sia punibile. Vengono innanzitutto citati vecchi precedenti. 11 storiae 13 Nel 1991 il TC aveva infatti stabilito che le opinioni su fatti storici sono coperte dalla libertà di espressione, in quanto «opinioni soggettive e riguardanti fatti storici» (p. 23 della sentenza). Il medesimo orientamento - ricorda il TC - è accolto dalla Corte Europea dei diritti umani secondo cui la «ricerca della verità storica forma parte integrante della libertà di espressione e non spetta ad un tribunale decidere su una questione storica»37. Il TC nota che l’art. 607, comma 2 c.p., punisce la mera diffusione di idee senza richiedere la lesione di altri beni costituzionalmente rilevanti, così reprimendo una condotta garantita dalla libertà di espressione, dalla libertà scientifica (art. 20, comma 1 Cost.) e di coscienza (art. 16 Cost.). Tuttavia, le norme penali non possono invadere il contenuto costituzionalmente garantito di tali diritti. Pertanto anche se si tratta di idee esecrabili e contrarie alla dignità umana in base all’ordinamento costituzionale spagnolo il legislatore non può punire la mera diffusione di idee38. Tuttavia, e in quanto diritto relativo e non assoluto, la libertà di espressione non può essere tutelata se si traduce in un discorso dell’odio, che incita direttamente alla violenza contro i cittadini in generale o contro determinate razze o gruppi. Dopo queste considerazioni si passa ad esaminare il precetto oggetto del giudizio di costituzionalità, situandolo in un contesto più ampio, che ricomprende le norme attuative della Convenzione sul genocidio (l’art. 22 Patto sui diritti civili e politici e art. 5 Conv.), nonché l’art. 615 c.p. e l’art. 510, co. 1 c.p., i delitti contro l’onore e le altre disposizioni riguardanti l’esercizio dei diritti fondamentali. A questo punto viene introdotta la distinzione tra la condotta di negazione e quella di giustificazione, che diventerà centrale nel proprio ragionamento e nella diversità di soluzioni adottate rispetto ai due comportamenti, il primo lecito, il secondo no39. «La negazione va intesa come mera espressione di un punto di vista su determinati fatti sostenendo che questi siano stati realizzati in modo tale da poter essere qualificati come genocidio». «La giustificazione, invece, non implica la negazione assoluta dell’esistenza di un determinato delitto di genocidio, ma la sua relativizzazione o la negazione dell’antigiuridicità, partendo da una certa individuazione degli autori». Le due figure, previste dall’art. 607, co. 2 c.p., cono conformi alla Costituzione se costituiscono un incitamento diretto alla violenza contro determinati gruppi o il disprezzo delle vittime dei reati di genocidio. L’altro aspetto fondamentale per gli esiti della decisione è la riconducibilità del negare al “discorso dell’odio”. Ora, la negazione dei genocidi non sarebbe riconducibile a tale concetto poiché «la mera diffusione di conclusioni sull’esistenza o no di determinati fatti senza emettere giudizi di valutazione sugli stessi o sull’antigiuridicità, rientra nell’ambito della libertà scientifica», che 14 storiae gode nella Costituzione di una tutela più estesa della libertà di espressione e di informazione (p. 30). A supporto di tale affermazione il TC cita una propria sentenza (la n. 43 del 23 marzo 2004) in cui stabilisce che la ricerca storica «per definizione è polemica e discutibile, in quanto centrata su asserzioni e giudizi sulla cui verità oggettiva è impossibile pervenire a piena certezza». Proprio questa «incertezza consustanziale al dibattito storico rappresenta l’elemento più importante, che va rispettato e tutelato per il ruolo essenziale che gioca la formazione di una coscienza storica adeguata alla dignità dei cittadini di una società libera e democratica» 40. La mera negazione del delitto rispetto ad altri comportamenti che implicano una adesione valoriale al fatto criminoso, tramite l’esternazione di un giudizio positivo, è innocua («penalmente inane») ed è dunque costituzionalmente illegittima. Tale condotta non persegue oggettivamente (né è di per se idonea a perseguire) la creazione di un clima sociale di ostilità contro quelle persone vittime di quei crimini. La condotta del negare si ferma ad un momento anteriore rispetto a quello in cui può intervenire lo strumento penale: essa, infatti, non costituisce nemmeno un pericolo potenziale per i beni giuridici tutelati dalla norma in questione, con una violazione dell’art. 20, comma 1 Cost. spagnola. Il discorso sul fatto è dunque lecito. Diverse l’argomentazione e la soluzione per la norma che punisce la condotta del giustificare, che viene considerata costituzionalmente legittima: essa, infatti, è un giudizio di valore sul fatto criminoso, in cui sussiste quell’elemento per cui si persegue oggettivamente la creazione un clima sociale di ostilità contro quelle persone che appartengono agli stessi gruppi che furono vittime del genocidio. In questi casi, eccezionalmente, il legislatore potrà punire queste condotte sempre che tale giustificazione avvenga pubblicamente e costituisca un incitamento indiretto alla commissione del genocidio, delitto qualificato come particolarmente odioso e che mette a rischio l’essenza della nostra società (FJ 9) 41. Dietro la dicotomia negare/giustificare vi è anche la distinzione fatto/valore. Secondo i giudici 12 13 del TC quando si giustifica un genocidio si va contro i valori cristallizzati nella Costituzione, non limitandosi ad una mera negazione del fatto storico. Questa sentenza, che abbiamo esaminato - seppure sinteticamente -, esprime un mutamento significativo nella riflessione sul negazionismo come reato. In linea, forse con la decisione quadro, l’enjeu non è più l’opportunità di punire o non punire questi comportamenti, quanto la necessità di distinguere le ipotesi di condotte negazioniste punibili da quelle non punibili (negazionismo semplice o qualificato). A nostro avviso, è senza dubbio opportuno punire le forme di incitamento diretto a gravi comportamenti di matrice razzista, ma è atrettanto vero che esistono già delle norme nei diversi ordinamenti, e anche in quello spagnolo. Il TC poteva - sulla base delle stesse argomentazioni - dichiarare illegittima anche la giustificazione42. Questo esito tuttavia avrebbe potuto avere ripercussioni sulla legittimità del reato di giustificazione del terrorismo (prevista all’art. 578 c.p.), che non si voleva, invece, porre in discussione. Processi penali e processi di memoria Oltre ai tradizionali problemi connessi ai reati di opinione, il reato di negazionismo solleva questioni specifiche riguardanti la profonda intersezione tra processo penale e processi di memoria, con il rischio di trasformare sovente il giudice in arbitro della storia43. Dalla fine della seconda guerra mondiale in poi il ricorso allo strumento giudiziario per affermare la memoria storica è stato - come già detto - sempre più frequente: accanto al lavoro storico e a quello 12. Gli uomini e le donne adatti al lavoro, dopo la rasatura dei capelli e la disinfestazione, indossano le uniformi del campo. 13. Arrivo e “selezione” di un trasporto di ebrei dalla Rutenia Subcarpatica (Ucraina), alla rampa del campo di Auschwitz maggio 1944. mnemonico prodotto delle testimonianze, dalla letteratura e dal cinema, si è consolidata una memoria costituita attraverso la logica giudiziaria in cui le figure del giudice e dello storico risultano costantemente sovrapposte. Attualmente la tendenza a ricorrere alla giustizia penale oltre che per la punizione anche per la ricostruzione storica degli eventi è sempre più diffusa. Il tribunale e il processo divengono così luogo di costruzione della memoria e il giudice attore fondamentale di questo processo, con l’ulteriore distorsione che in queste ipotesi la funzione principale è quella di lanciare un messaggio all’opinione pubblica e - con le parole della Corte Europea - di «stabilire dei fatti storici»44. Lo strumento penale diviene teatro in cui ri-mettere pedagogicamente in scena la storia45 al fine di ravvivare un ricordo ortodosso del passato, identificandolo come strumento di fissazione della memoria ad alto potenziale evocativo. Dinanzi a crimini di portata storica quali il genocidio alla pena viene attribuita una funzione ulteriore: strappare la fattualità storica ai processi naturali di metabolizzazione (e trasformazione) mnemonica per consegnarla ad un eterno ed immodificabile presente, cercando di lottare contro attività volte alla manipolazione strumentale del passato o all’offuscamento della memoria di eventi e vicende drammatiche. Lo strumento penale più di altri infatti soddisfa esigenze di narrazione e di riaffermazioni mnemoniche condivise e “fisse”. Diritto e processo penale hanno, però, una lingua e una logica molto specifiche46. Il giudice segue regole diverse da quelle dello storico: il giudice deve indagare solo sui fatti contestati dall’organo dell’accusa; se non perviene ad una convinzione assoluta deve assolvere per il principio in dubio pro reo; le indagini vanno compiute in tempi rispettosi del principio della ragionevole durata del processo. E ancora: il processo penale, il cui epilogo è costituito da una sentenza, si connota per la sua natura tranchante, di contrapposizione tra nero e bianco, tra colpevole ed innocente, e che - dopo due gradi di giudizio - passa in giudicato, irrevocabile. Il giudizio storico, invece, ammette di ritornare sullinterpretazione ‘dei fatti già data, è un processo di lettura e interpretazione dei fatti senza fine. Al giudice, salvo in alcune ipotesi circoscritte in cui può ricorrere alla revisione, questo non è consentito. Punire la negazione (e minimizzazione e giustificazione) della Shoah o di altri gravi crimini di genocidio o contro l’umanità sovrappone questi due metodi e può generare pericolosissime distorsioni. Per lo storico, oltre al rischio di strumentalizzare la verità elevandola a verità legale47 e di trasformare la verità storica in un’unica verità ufficiale48 e di accreditare, in questo modo, l’idea che esiste una sola scuola storica49, esistono pericoli quali quelli che emergono dalle decisioni summenzionate: è il giudice ad individuare i storiae 15 «fatti storicamente stabiliti», ammettendo inoltre che si possa fissare, «stabilire» la storia. Ma, come visto, si va oltre: il giudice fissa la storia e stabilisce il «metodo corretto» della ricerca storica. Tutto ciò può dare luogo ad un pericoloso scostamento dalle regole che dovrebbero governare il processo penale: quest’ultimo, infatti, ha un fine principale, che non è quello di ricostruire e narrare la storia, quanto, piuttosto, di accertare le responsabilità individuali rispetto a fatti chiaramente individuati. Sancire penalmente questi eventi di portata storica significa riconoscere l’importanza di certi eventi o sequenze di eventi, codificare la memoria di quegli eventi che diviene attraverso il procedimento „verità processuale“ e nella precisa attribuzione di responsabilità: il processo distingue fra colpevoli e innocenti e definisce quindi il giusto e l’ingiusto rispetto a quegli eventi. Ne definisce quindi, in prospettiva, l’importanza e, assieme, il senso - potremmmo dire: il significato morale - che dobbiamo attribuire loro. Il negazionismo come attacco al patto etico fondatore Dopo la fine della seconda guerra mondiale si è assistito ad un movimento di ricodificazione - le nuove costituzioni dei vari Stati europei - e alla creazione, sul piano internazionale, di documenti e di meccanismi a tutela dei diritti fondamentali. Tutto ciò esprimeva il diretto rifiuto dei fatti atroci che si erano verificati durante la seconda guerra mondiale e l’accoglimento e il riconoscimento di nuovi valori, cristallizzati nell’intero sistema etico-giuridico elaborato dal 1945 in poi (costituzioni, legislazioni nazionali e documenti internazionali, vincolanti e non). Ora, il negazionismo nega proprio quei fatti che sono all’origine di questa reazione e nega, dunque, l’universo etico-politico e giuridico sorto dopo la fine della seconda guerra mondiale. Questo fenomeno colpisce pertanto in profondità non, o non tanto, i poteri costituiti, le strutture 14 16 storiae date, ma molto di più, il patto etico, rappresentato dall’incondizionato rifiuto delle dinamiche che hanno trascinato l’Europa nell’orrore della guerra e dei totalitarismi. Ciò che qui si definisce come patto etico è l’impegno comune a decodificare in modo uniforme l’avvenimento fondatore: il genocidio nazionalsocialista che ha contribuito a mutare il volto delle carte costituzionali e del sistema giuridico internazionale. E ciò è provato dall’oggetto del reato di negazionismo, individuato e circoscritto - nella maggior parte dei casi - alla Shoah. Il negazionismo scuote dunque le basi etico-giuridiche su cui è avvenuta la ricostruzione europea del dopoguerra50. Di questo sembra consapevole non solo la giurisprudenza della Corte europea die diritit umani - che afferma che le manifestazioni negazioniste vanno contro una delle idee fondanti della Convenzione - ma anche l’Unione Europea che nella decisione quadro afferma che questi comportamenti costituiscono violazioni dirette dei principi di liberà, democrazia, di rispetto dei diritti umani, principi sui quali l’Unione Europea è fondata e che sono comuni agli Stati membri (considerando 1)51. Il negazionismo attacca dunque il momento costituente della democrazia, molto più che i suoi aspetti costituiti, le istituzioni52. Tutto ciò scavalca enormemente il diritto penale. Non si tratta nemmeno di discutere sull’opportunità o meno di punire, e con quali tecniche, il negazionismo o se punire solo il negazionismo qualificato o anche quello semplice. Produrre leggi penali e affermare una verità attraverso lo strumento legale, rischia di essere una falsa soluzione con l’ulteriore pericolo da un lato di trasformare le vittime in martiri della libertà di espressione e dall’altro di irrigidire i processi di memoria e la ricerca della verità storica in un meccanismo in bianco e nero, quale il processo penale. Inoltre esistono già molte figure criminose che potrebbero essere utilizzate nel caso di manifestazioni offensive e non occorre introdurne altre. I processi penali per negazionismo divengono momenti per chiedere alla giustizia di sancire (sanctum facere), di far passare in giudicato il significato di eventi storici che vanno tenuti vivi. Il processo penale prende gli eventi del passato, ne produce una conoscenza (che è del tutto opportuna) e sancisce - in modo che non possa piú essere discusso - il senso. Lo strumento penale è dotato di quella auctoritas e di quella componente statica che permette di stabilire ufficialmente per sempre quei fatti. In tal modo diviene arbitro di cosa del nostro passato rimane vivo nel presente (e con quale significato), e di cosa invece può morire (di cosa è forte e cosa è debole). Lo strumento penale assume il monopolio di quello che si fa agire nel presente, di cosa deve essere presente politicamente. Questo rende evidente il ruolo „primordiale, essenziale“53 del diritto penale rispetto ai valori e ai principi fondanti dell’assetto e del carattere etico-costituzionale di uno Stato. Il processo in tali ipotesi infatti è molto di piú che un mero accertamento di responsabilità penali individuali. Rappresenta il ponte fra passato e futuro, perché giudica fatti passati, ma sotto l’égida di un regime nuovo; rappresenta in un palcoscenico un nuovo rapporto tra cittadini e e potere e rappresenta i nuovi valori politici. La narrazione del processo si iscrive dunque in un’altra narrazione: quella politica. Quanto descritto appare molto delicato e desta molteplici perplessità. Mentre si ritiene opportuno dinanzi a eventi atroci o ad opinioni che raggiungano la soglia dell’istigazione che il processo penale intervenga per conoscere i fatti, l’operazione di cosa può rimanere attivo nel passato necessita di una consapevolezza politica e, dunque, di un intervento - che sarebbe piú adeguato e proprio - della politica. Le affermazioni dei negazionisti esigono una risposta e un impegno su un piano più propriamente politico. Non è, a mio avviso, funzione del diritto penale contrastare questi fenomeni di detabuizzazione della Shoah o di altre gravissime atrocità. Come dice Claus Roxin, «la verità storica come tale dovrebbe potersi affermare senza il diritto penale»54. Note Queste ultime introducono nel calendario nazionale o internazionale le cosiddette “giornate della memoria” attraverso cui si rivolge ai cittadini una precisa sollecitazione: “bisogna ricordare”. Anche l’Italia ha percorso questa via con la legge 211 del 20 luglio del 2000, che ha segnato sul calendario una giornata dedicata alla «memoria» de «la Shoah, le leggi razziali e tutti quanti si opposero alla barbarie»: il 27 gennaio. In realtà, il dato che più colpisce, non consiste tanto nella scelta dello Stato italiano di introdurre questa giornata, quanto che sia stata adottata cinquant’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Sulla legge e sui dibattiti in Parlamento, oltre al sito www.parlamento. it, cfr. anche www.sissco.it. Anche la Francia ha adottato la Legge n. 2000-644 del 10 luglio 2000 che istituisce il 16 luglio di ogni anno una journée nationale à la mémoire des victimes des crimes racistes et antisémites de l’Etat français et d’hommage aux «Justes» de France (disponibile sul sito http://www.senat. fr/leg/ppl99-244.html). Anche le Nazioni Unite nel 2005 hanno introdotto la Giornata internazionale della memoria (27 gennaio di ogni anno) con la Risoluzione 60/7 intitolata «Memoria dell’Olocausto» del 1 novembre 2005 (http://www.un.org/french/ holocaustremembrance/). 2 Cfr., per esempio, la Loi Taubira che definisce come crimine contro l’umanità la tratta dei neri e la schiavitù praticata a partire dal XV secolo e la Loi Mekachera del 23 febbraio 2005 sul colonialismo francese 3 Non è questa la sede per approfondire la delicata questione dei reati di opinione. Basti qui ricordare che la repressione di affermazioni negazioniste costituisce un importante paradigma della difficoltà di bilanciamento dei diritti fondamentali: nel caso specifico tra la libertà d’espressione e il diritto alla non discriminazione, alla salvaguardia dell’ordine pubblico e al rispetto della libertà altrui. Questo tema esprime dunque l’ambiguità di fondo dell’essenziale diritto alla libera manifestazione del pensiero, 1 14. Moshe Rynecki (1881-1943), Profughi, acquarello su carta, 1939. 15. Selezione alla rampa di Birkenau. 15 considerata dalla giurisprudenza italiana come “pietra angolare del sistema democratico”. Così la Corte Costituzionale italiana: cfr. la sentenza 84 del 1969, in Giur. Cost., 1969, 1175 ss.. 4 Sul negazionismo cfr., in una prospettiva storica, GINZBURG C., Beweis, Gedächtnis, Vergessen, «Memory», 30, 2002 (Werkstatt Geschichte), pp. 50-60; VIDAL NAQUET P., Les Assassins de la mémoire, Paris 1987; POGGIO P. P., Nazismo e revisionismo storico, Roma 1997. 5 Cfr. VIDAL NAQUET P., Les assassins de la mémoire, La Découverte, Paris, 1987, pp. 108 ss. 6 POGGIO P. P., Nazismo e revisionismo storico, Roma 1997, p. 104. 7 VIDAL NAQUET P., Les assassins de la mémoire, cit. 8 VIDAL NAQUET P., Les assassins de la mémoire, cit., p. 117. 9 POGGIO P. P., Nazismo e revisionismo storico, cit., p. 97. 10 Sul negazionismo del genocidio avvenuto in Ruanda nel 1994 cfr. BIZIMANA J. D., L’Eglise et le génocide au Randa: les Péres blancs et le négationnisme, Parigi, 2001; su altri casi di negazionismo fuori dall’Europa si veda ad esempio, KAHN, R. A., Who takes the Blame? Scapegoating, Legal responsibility and the prosecution of Holocaust Revisionists in the Federal republic of germany and Canada, “Glendale Law Review”, 16, 1997, 17 ss.; HILL, L. E., The trial of Ernst Zundel. Revisionism and the Law in Canada, “Simon Wiesenthal Center Annual”, vol. 6, 1989, 165 ss. 11 Gli strumenti internazionali adottati per fare fronte al fenomeno della discriminazione razziale sono ormai molto numerosi. Nella regione Europa occorre distinguere le iniziative del Consiglio di Europa da quelle dell’Unione Europea. Con specifico riferimento al fenomeno negazionista occorre ricordare, a livello di Unione Europea, l’Azione comune del 15 luglio 1996, adottata dal Consiglio sulla base dell’art. K3 del Trattato sull’Unione europea, concernente l’azione contro il razzismo e la xenofobia, (pubblicata in Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, 24 luglio 1996, volume L 185, 5). Alla lett. c) di questo provvedimento il Consiglio sollecita gli Stati membri a reprimere la negazione pubblica dei crimini definiti all’art. 6 dello Statuto del Tribunale di Norimberga nella misura in cui essa includa un comportamento di disprezzo o degradante verso un gruppo di persone definito in base al colore, alla razza, alla religione o all’origine nazionale o etnica. Sulle iniziative dell’Unione Europea cfr. www.europa.eu.int.; cfr. anche FRONZA E., Profili penalistici del negazionismo, cit., 1045-1048. Con riferimento al Consiglio d’Europa e all’importante giurisprudenza sull’art. 10 della Convenzione Europea che tutela la libertà di espressione cfr. www.coe.int. 12 Cfr. Decisione quadro 2008/913/JHA del 28 novembre 2008. 13 L’Italia non ha introdotto il reato di negazionismo, anche se dispone, oltre alle norme sulla libertà di espressione e sul principio di non discriminazione (art. 21 Cost. e art. 3 Cost.), di storiae 17 16 numerosi strumenti contro i fenomeni razzisti. (Cfr. la L. 962/67, la L. 654/75 e in particolare l’art. 3, la L. 223/90, il D.l. 122/93 recante Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa e l’art. 43 del D.lg. 286/98, nonché la L. 85/2006 che riforma i delitti di opinione. Cfr. altresì il progetto di legge intitolato Norme sulla sensibilizzazione e repressione della discriminazione razziale, l’orientamento sessuale e la identità di genere. Riforme della legge n. 654 del 13 ottobre 1975, approvato dal Consiglio dei ministri del gennaio 2007. Questo testo conteneva una fattispecie penale che sanzionava con la pena della reclusione da 3 a 12 anni chi faceva apologia pubblica di crimini contro l’umanità. Il riferimento al negazionismo è stato eliminato ed è stato inasprito il trattamento nei confronti dei responsabili di una propaganda circa la superiorità razziale e di coloro che commettono o incitano a commettere atti discriminatori. Il progetto stabiliva che venisse punito con una pena massima di 3 anni chi diffonde idee sulla superiorità razziale e prevede una pena da 6 mesi a 4 anni per chi commette o inciti a commettere atti discriminatori per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o compiuti a causa dell’orientamento sessuale personale o della identità di genere. In relazione ad alcuni casi di negazionismo italiano di sinistra cfr. CHERSI A., Il caso Faurisson, Bagnolo 1982, e SALETTA C., Per il revisionismo storico contro Vidal Naquet, Genova 1993. 14 Norme che reprimono il negazionismo sono presenti anche in paesi come la Svezia, la Repubblica cea, la Slovacchia, la Lituania, la Polonia, la Romania. Cfr. sulle diverse legislazioni nazionali la documentazione disponibile sul seguente sito: www. sissco.it. 15 Cfr. BEISEL D., Die Strafbarkeit der Auschwitzlüge-zugleich ein Beitrag zur Auslegung des neuen § 130 StGB, in “Neue Juristische Wochenschrift”, 1995, 1000; DAHS H., Das Verbrechensbekämpfungsgesetz vom 28.10.94 - ein Produkt des Superwahljahres, in “Neue Juristische Wochenschrift”, 1995, 553 ss.; DIETZ S., Die Lüge von der „Auschwitzlüge“-Wie weit reicht das Recht auf freie Meinungsäusserung?, „Kritische Justiz“, 1995, 210 ss.; VOGELSANG K., Die Neuregelung zur sogenannten „Auschwitzlüge“ - Beitrag zur Bewältigung der Vergangenheit oder „widerliche Aufrechnung“?, in “Neue Juristische Wochenschrift”, 1985, 2386 ss.; WEHINGER M., Kolletivbeleidigung - Volksverhetzung der strafrechtlicher Schutz von Bevölkerungsgruppen durch die § 185 ff. und §130 StGB, Baden Baden, 1994; cfr. infine KAHN R. A., Holocaust Denial and the Law. A Comparative Study, Macmillan, 2004. Cfr. anche la sentenza del BundesVerfassungsgericht del 13 aprile 1994 (il testo della decisione, tradotto in italiano si ritrova in “Giurisprudenza Costituzionale”, 1994, con il commento di VITUCCI M. C., Olocausto, capacità di incorporazione del dissenso e tutela costituzionale dell’asserzione di un fatto in una recente sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe, 1994, fasc. V, 3379); sul punto cfr. anche FRONZA E., Profili penalistici del negazionismo, “Rivista italiana di diritto e procedura penale”, 1999, 1051-1056. 16 Cfr. TROPER M., Droit et négationnisme. La loi Gayssot et la Constitution, Annales, HSS, 54(6), novembre-décembre 1999, p. 1239-1255; WACHSMANN P., Liberté d’expression et négation16. Be-midbar, nel deserto, Numeri 1,1. 17. Adam Rhine, Hebrew Illumination, 2008. 18 storiae nisme, RTDH 2001, numero speciale, p. 585-599; DOUGLAS L., Régenter le passé: le négationnisme et la loi, in BRAYARD F.(dir.), Le Génocide des Juifs entre procès et histoire 1943-2000, Complexe, 2000, p. 213-242; sulla giurisprudenza francese cfr. FELDMAN J. P., Peut-on dire impunément n’importe quoi sur la Shoah ? (De l’article 24bis de la loi du 29 juillet 1881), RIDC, 1998, p. 229-271; KAHN R. A., Holocaust Denial and the Law. A Comparative Study, cit.. 17 Cfr. par. 3 introdotto dalla L. del 26 febbraio 1992 (Bundesverfassungsgesetz vom 6 Februar 1947 über die Behandlung der Nazionalsozialisten). 18 L. del 23 marzo 1995, “Per la repressione della negazione, della minimizzazione, della giustificazione o dell’approvazione del genocidio commesso dal regime nazional-socialista tedesco durante la seconda guerra mondiale”. 19 Cfr. l’art. 607 del codice penale, intitolato “Genocidio”, reprime la diffusione di idee o la negazione e giustificazione degli atti di genocidio, o la pretesa riabilitazione di regimi o istituzioni che mettano in atto pratiche generatrici di tali crimini. Cfr. infra per l’intervento del Tribunale costituzionale che ha parzialmente modificato questa disposizione. 20 Cfr. l’art. 240 c.p.: «Discriminazione razziale o religiosa». 21 Cfr. art. 261 bis c.p., entrato in vigore il 1 gennaio 1995. 22 Vanno segnalate oltre alla giornata internazionale della memoria, la risoluzione adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 26 gennaio 2007 che condanna «ogni tentativo di negare o minimizzare l’Olocausto», documento agevolmente reperibile sul sito: http://www.un.org/french/holocaustremembrance/news.shtml. 23 L’Unione Europea era già intervenuta con una Azione Comune in cui si sollecitavano gli Stati membri a reprimere la negazione pubblica dei crimini definiti all’art. 6 dello Statuto del Tribunale di Norimberga nella misura in cui essa includa un comportamento di disprezzo o degradante verso un gruppo di persone definito in base al colore, alla razza, alla religione o all’origine nazionale o etnica. Cfr. Azione comune del 15 luglio 1996, adottata dal Consiglio sulla base dell’art. K3 del Trattato sull’Unione europea, concernente l’azione contro il razzismo e la xenofobia, «Gazzetta ufficiale delle Comunità europee», 24 luglio 1996, volume L 185, p. 5. 24 COHEN JONATHAN G., L’apologie de Pétain devant la Cour européenne des droits de l’homme, “Revue universelle des droits de l’homme”, 1999, pp. 366 ss. 25 Così Lehideux et Isorni c. Francia, cit., par. 53 e par. 47; Garaudy c. Francia, cit., par. 28. 26 Lehideux et Isorni c. Francia, cit., par. 47. 27 Ibidem, par. 55. 28 Così Garaudy c. Francia, cit., par. 26, citando Lehideux et Isorni c. Francia, cit., par. 53. 29 Così Garaudy c. Francia, cit., par. 29. La tendenza a condannare le tesi negazioniste trova conferma in Remer c. Allemagne, 6 settembre 1995 (n. 25096/94, D.R. 82-a, p. 117); Pierre Marais c. France (n. 31159/96, D.R., 86-A, p. 184); DI c. Allemagne, 26 giugno1996; Nationaldemokratische Partei Deutschlands del 29 de novembre 1995 (n. 25992/94, D.R. 84-A, p. 149). 30 Così Garaudy c. Francia, cit., par. 29. 31 Così Garaudy c. Francia, cit., par. 29. Cfr. anche Pierre Marais c. Francia, cit., p. 191 e Remer c. Alemagna, 6 settembre 1995. Su un altro processo dinanzi ad un Tribunale nazionale (il processo Irving) cfr. GUTTENPLAN D. D., Processo all’Olocausto, Milano, 2001. 33 Cfr. pp. 28 e 29 della pronuncia. 34 Cfr. p. 30 della sentenza. 35 Non è questa l’unica sentenza di un tribunale costituzionale sul reato di negazionismo. Si segnala qui in particolare la sentenza del Bundesverfassungsgericht tedesco: BVerfG, 13 april 1994, in “Neue Juristische Wochenschrift”, 1994. Un testo della decisione in italiano si ritrova in “Giurisprudenza Costituzionale”, 1994, con il commento di VITUCCI M. C., Olocausto, capacità di incorporazione del dissenso e tutela costituzionale dell’asserzione di un fatto in una recente sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe, p. 3379 ss. 36 V. il testo della sentenza, Antecedente de hecho n. 3). 37 Cfr. CEDU, Chauvy c. Francia, 23 giugno 2004, par. 69; Monnat c. Svizzera, 21 settembre 2006, par. 57. 38 Cfr. testo della sentenza, (Fundamento Juridico 6). 39 Fondamento giuridico n. 7 della sentenza. 40 Cfr. testo della sentenza, (Fundamento Juridico 4). 41 Sulle contraddizioni di questa pronuncia cfr. VASQUEZ RAMOS A. J., La declaracion de incostitucionalidad del delito de “negacionismo” (art. 607. 2 del codice penale), p. 22 del dattiloscritto. 42 Cosí VASQUEZ RAMOS A. J., La declaracion de incostitucionalidad, cit. 43 Sui pericoli e sui rischi di affidare ai Tribunali la decisione su una questione di storia e non di diritto cfr. VIDAL NAQUET P., Les assassins de la mémoire, cit., p. 183, secondo cui richiedere una decisione sulla storia significherebbe accreditare l’idea che esistono due scuole storiche e che l’una può sopraffare l’altra. La sovrapposizione tra diritto e verità storica trae con sé una patente contaminazione tra etica e diritto, pure se si tratta di «interpretazione, condivisa, definita e definitiva», in quanto la verità storica non può costituire bene giuridico. Così CANESTRARI S., Laicità e diritto penale nelle democrazie costituzionali, in DOLCINI E., PALIERO C. E. (dir.), Studi in onore di Giorgio Marinucci, Milano, 2006, p. 148. 44 Sul negazionismo come esempio di diritto penale simbolico cfr. anche CANESTRARI S., Laicità e diritto penale, cit., p. 149; ROXIN C., Was darf der Staat unter Strafe stellen?, in DOLCINI E., PALIERO C. E. (dir.), Studi in onore, cit., p. 731. Ciò che più si vuole valorizzare sono le forti risorse che la legge penale possiede sul piano della comunicazione simbolica, per cui il terreno penale diviene il luogo di scontro tra concezioni etico-sociali. Sul punto STORTONI L., Commentario delle «Nuove norme contro la violenza sessuale L. 15 febbraio 1996, n. 66», Padova, 1997, p. 475. 45 OSIEL M., Politiche della punizione, memoria collettiva e diritto internazionale, in BALDISSARA L., PEZZINO P., Giudicare e punire, Napoli, 2005, p. 106. Si veda anche per la “tribunalizzazione della storia” MARQUARD O., MELLONI A., La storia che giudica, la storia che assolve, Bari, 2008. 46 La trasmissione della memoria, secondo le note dinamiche di selezione, riposa più sulla storia monumentale. Carlo Ginzburg nota che le prove (in senso giuridico) non sono mai sufficienti a proteggere dalle forze minacciose che erodono la memoria della Shoah. Cfr. GINZBURG C., Beweis, Gedächtnis, Vergessen, cit.. 47 La verità è la verità e non ha bisogno di essere verità legale. Anzi a partire dal momento in cui essa è verità legale diviene sospetta di poter essere strumentalizzata. Così VIDAL NAQUET P., Intervista su “Le Quotidien de Paris”, 9 maggio 1998. 48 «La contestazione dell’esistenza della Shoah non dovrebbe essere vietata con una legge, perché la verità storica non dovrebbe mai trasformarsi in verità ufficiale». Così GINZBURG C, Beweis, Gedächtnis, Vergessen, «Memory», 30, 2002 (Werkstatt Geschichte), 50-60, p. 1. 49 Così VIDAL NAQUET P., Les assassins de la memoire, cit. Si tratterebbe dunque di norme prive di laicità poiché l’attività di valutazione del giudice verte non tanto sulla ricostruzione dei fatti, ma sull’esame di affermazioni che quei fatti interpretano. 32 Si giudica infatti sull’avvenuta negazione, minimizzazione o giustificazione di quegli avvenimenti. Quando anche fosse assolutamente condivisa, definita e definitiva, il diritto non può tutelare una interpretazione e nemmeno reprimere affermazioni che la mettono in discussione, poiché, in questo caso specifico, il nucleo che il diritto difende viene ad essere di tipo ideologico. Non sembra accettabile l’individuazione del bene giuridico in una interpretazione storica tra le infinite possibili: pertanto solo nel caso in cui tali asserzioni attentino all’interesse o diritto altrui, o se siano offensive per un gruppo, possono essere punibili. 50 Ogni istituzione politica, tirannica o democratica, fonda la propria legittimità su alcuni tabù ideali e materiali, su alcuni miti fondatori che necessitano di essere protetti. Sulla condanna della Shoah sono sorte le democrazie europee e la verità storica su quegli eventi costituisce un fondamento del sistema da difendere. Così BURATTI A., L’affaire Garaudy di fronte alla Corte di Strasburgo. Verità storica, principio di neutralità etica e protezione dei “miti fondatori” del regime democratico, «Giurisprudenza italiana», 2005, fasc. 12, 2247. 51 Meno sensibilità sul tema e dunque anche una minore propensione alla criminalizzazione si rinviene in quei paesi che non hanno vissuto direttamente quelle atrocità (in Europa, ad esempio, i paesi scandinavi, o i paesi sudamericani o africani). 52 Per potere costituente intendiamo qui il momento della creazione di un dato quadro politico sia anteriore nel tempo - pertanto la resistenza in Italia e in Francia è stata potere costituente rispetto alla futura Repubblica -, sia interno - nessuna politica e nessuna istituzione «vive» se non riceve adesione e partecipazione, se i cittadini non ci credono o non partecipano alla norma -. In questo senso il momento dell’adesione e condivisione alla norma si traducono in comportamento collettivo. 53 VASSALLI G., La formula di Radrbuch, Roma 2005, p. 215 con riferimento alla legiferazione antifascista. 54 ROXIN C., Was darf der Staat unter Strafe stellen?, in DOLCINI E., PALIERO C. E. (dir.), Studi in onore di Giorgio Marinucci, Milano 2006, p. 731. 17 Emanuela Fronza è Ricercatore confermato di diritto penale e docente di Diritto penale internazionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento. È borsista della Fondazione Alexander von Humbodt presso la cattedra di diritto penale del Prof. Gerhard Werle, Facoltà di Giurisprudenza, Università Alexander von Humboldt, Berlino, Germania. Partecipa ed ha partecipato a numerosi gruppi di ricerca italiani e stranieri. Attualmente è membro, a titolo di referente per l´Italia del “Grupo Latinoamericano de Estudios sobre el Derecho Penal Internacional”, coordinato dal prof. Kai Ambos (Università di Gottinga, Germania) e dal prof. Ezequiel Malarino (Università di Buenos Aires, Argentina). È autrice di articoli in lingua italiana e straniera. E’ curatrice di due volumi in lingua francese e ha di recente pubblicato insieme ad altri autori: Introduzione al diritto penale internazionale, Giuffré, Milano, 2006, II. Edizione 2010. Collabora con le redazioni di diverse Riviste di diritto penale, italiane e straniere. storiae 19