agorà
ANNO 6 - N° 19 MARZO 2013
®
ph: Umberto Mosca
I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI
La gente è il più grande spettacolo
del mondo e non si paga il biglietto.
Charles Bukoski
Direttore responsabile rivista
Francesco Laurenzi
AuTOrIzzAzIONE DEL
TrIBuNALE DI L’AQuILA
N°3/08 DEL
I grANDI rACCONTI DI PICCOLI PAESI
4/07/2008
ASSOCIAzIONE AgOrà
Casetta di legno c/o campo sportivo comunale - 67010 Barete (AQ)
tel. 366.1817832
www.associazioneagora.net - email: [email protected]
C.F.: 93043020663
Presidente
Umberto Mosca
Vicepresidente
Giovanna Giangrossi
Consigliere
Francesca Mozzetti
Consigliere
Romina De Ruosi
Segretario
Marino Cheli
Associati
Agnese Laurenzi; Andrea Giangrossi; Antonella Sabatini; Berardino Di Cola; Gianluca Ruggeri; Giuliano Di Paola; Jessica Federici;
Patrizia Resta; Simone Curtacci; Tamara Pace
Agorà ha un obiettivo, forse ambizioso, ma nel complesso realistico: farsi portavoce delle esigenze e dei concreti
problemi del territorio, senza alcuna preclusione, politica o personale che sia.
Per realizzarlo, la redazione ha deciso di creare un «filo diretto» con i cittadini: chiunque voglia far sentire la propria
voce, in merito ad un problema reale, può mandare una e-mail al seguente indirizzo: [email protected]
sommario
Agorà è disponibile ad accogliere inserzioni pubblicitarie di ogni genere, nonché adesioni di nuovi soci disponibili a
spendere una parte del loro tempo nella valorizzazione del territorio.
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Agorà Editoriale
Notizie Flash
Primo Piano
I piccoli Comuni
Spazio alla Cultura
Personaggi
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Appuntamento al cinema
Mani in pasta
Pensieri di carta
Parliamo di sport
Chiedilo a Carla
Spazio Aperto
Per sostenere le attività di Agorà:
IBAN: IT 53 Q 08327 40460 000000007144
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AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI
EDITORIALE
“In Italia muore una donna ogni 2 giorni”
Un affermazione forte, forse anche
troppo, ma la più adatta per cominciare ad affrontare un argomento
tanto sentito quanto sottovalutato
da opinione pubblica e istituzioni al
giorno d’oggi. Viviamo in un paese
definito “civile”, con leggi e diritti ritenute “moderne”,eppure ancora oggi
nel 2013 ci troviamo di fronte a casi
sconcertanti di violenza gratuita, classificata come “Violenza D’Amore”.
Come può una donna essere uccisa
per amore,come può subire soprusi
e abusi, fisici e psicologici,in nome
di un sentimento tanto puro? La verità è che nei carnefici, perché in
queste situazioni di carnefici si tratta,
cresce qualcosa di oscuro, un desiderio latente di affermazione della propria supremazia sentimentale, fisica e sessuale, che brucia l’amore, lo cambia, lo profana.
Nel tentativo di autoaffermazione questi individui dimenticano ciò che ogni tipo di etica sociale impone, dimenticano se stessi
e con questo la propria natura umana, diventano animali con il solo scopo di imporre con ogni mezzo la propria ragione e il
proprio predominio. Per quanto il mondo sembri andare avanti e progredire, di fronte ad atti di tale viltà ci si rende conto di
quanto a volte sia utopistico parlare di uguaglianza di sessi. Nonostante negli ultimi anni si sia assistito ad un radicale cambiamento della società, qualcosa nell’ “oscurità dei corpi” continua a squilibrare il rapporto uomo-donna, reminiscenze del passato che ben radicate vengono fuori nel modo peggiore, finendo spesso in tragedia. Non è l’amore che uccide ma una società
malata, che nel corso della storia ha sempre posto in secondo piano bisogni necessità e diritti femminili. Il primo passo da compiere, quindi, sarebbe quello di cercare di modificare le culture dove l’uomo ha ancora una posizione dominante e troppi privilegi da difendere. Se in questa “moderna” nazione muore una donna ogni due giorni non è difficile ipotizzare cosa accada a
donne e bambine che non hanno avuto la fortuna di nascere nella parte di mondo ritenuta “perfetta”. La violenza compiuta sulle
donne, è violenza che nasce in primo luogo nelle mura domestiche, casi di questo tipo ogni giorno vengono sepolti sotto l’ombra del silenzio, per un senso di paura, pudore ma anche di speranza in un cambiamento che non avviene mai. Le donne si sottomettono, si sacrificano per il proprio uomo ottenendo solo un vuoto interiore che non sarà mai colmato con l’amore che
meriterebbero. Proprio per rompere questo muro di silenzio sono cominciate a nascere le prime Associazioni Anti-violenza e
istituita,nel 1981, la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Non a caso la data fu scelta in ricordo del brutale assassinio del 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l'impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell'arretratezza e nel caos per oltre
30 anni. Ogni associazione, ogni manifestazione, ogni campagna rappresenta una battaglia vinta dai centri antiviolenza contro
questo stridente silenzio che svilisce la società, la degrada, rendendola infima. Questi avvenimenti, non servono a ricordare che
la donna subisce violenze ma che uniti e compatti si possa fare qualcosa di concreto affinchè queste cessino, che si può ambire
a una realtà concreta di parità e uguaglianza e non a un utopistico esempio di civiltà. Il mondo ha assistito commosso il 14 febbraio al “One Billion Rising”, abbiamo visto donne, e uomini, ballare uniti e sorridere per una causa in cui credevano, volti al
cambiamento “Un miliardo di donne violate è un’atrocità un miliardo di donne che ballano è una rivoluzione” Queste le parole di Eve Ensler, autrice de I monologhi della vagina, attivista e fondatrice del V-Day e promotrice dell’evento. Per la sua rivoluzione la signora Ensler ha avuto il grandissimo merito di saper rappresentare un problematica secolare con un tipo di
manifestazione “giovane” come è quella del flash mob, in grado di coinvolgere ragazzi in tutto il globo.
I giovani rappresentano ciò che saremo, ciò che sarà il mondo,rappresentano la vera soluzione del problema, l’unico mezzo di
cambiamento di una cultura che predilige l’uomo e continuerà a farlo se non si cambiano le cose. Bisogna lottare lì dove la violenza può essere distrutta, nelle scuole negli oratori, nei parchi giochi, bisogna promuovere ad ogni costo campagne di sensibilizzazione,di informazione, di prevenzione, partite di calcio, concerti e flash mob, qualsiasi cosa con lo scopo di coinvolgere il
nostro domani. Eve Ensler ambiva a far ballare 1 miliardo di persone, non so se fossero un miliardo, ma so che per alcuni minuti il mondo non ha avuto nè confini né nazioni, che a ballare c’erano uomini e donne di ogni fede e di ogni etnia europei,
asiatici, africani, cristiani, islamici induisti. Nulla contava, contava il ballo e ciò che rappresentava. Erano loro la musica e il
mondo, erano vita, erano melodia e per un po’ quel silenzio è stato infranto da una schiera di danzanti.
Patrizia Peretti
ONE
BILLION
RISING
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 3
NOTIZIE FLASH
"Quando si guarda la verità solo di profilo o di tre quarti, la si vede sempre male. Sono pochi
quelli che sanno guardarla in faccia."
Agnese Laurenzi
gennaio
febbraio
Il giorno 21 gennaio, presso il ristorante, "La Via dei Carrettieri", si è riunita la congrega di Barete, in occasione di
S.Agnese, ed ha eletto le seguenti cariche per l'anno 2013:
Presidente: Gioia Adelmo
Vice Presidente: De Santis Antonio
Ju Segretariu a Vita: Laurenzi Antonio
La mamma...: Santucci Loredana
Lima Sorda: Santucci Vito
La Lavannara: Lantero Bruno
Ju Nzellusu: Romano Giacinto
Ju Rattusu: Curtacci Simone
Ju Taglia, Cuci, Ricama e Rattoppa : De Ruosi Romina
Capisciò: Ruggeri Anselmo
Ju Traffichinu: Ruggeri Mario
Lengua zozza: Mancini Anna
Umberto Mosca
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AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI
I giorni 24 e 25 febbraio si sono tenute le elezioni
nazionali per eleggere il nuovo parlamento e il
nuovo governo, dopo la fase di transizione con il
governo Monti. In Abruzzo c’è stata in generale una leggera vittoria del centro destra sul pd e sul movimento 5
stelle, quest’ultimo in ogni caso, come in tutto il paese, ha
riscosso un notevole successo. Un in bocca al lupo agli
eletti, con la speranza che possano rappresentare al meglio
gli interessi della popolazione..
Giovanna Giangrossi
NOTIZIE FLASH
“Cavallari tunnu tunnu co tre case, quattro co gliu furnu...”
(detto tratto dal sito www.cavallaridipizzoli.it)
Cari lettori vi ricordate il Fontanile dell’Ara del Colle?
Questa volta sempre insieme a Fiorenzo
Perilli andiamo a scoprire una delle ultime
testimonianze della vita contadina di un
tempo: il forno comunale di Cavallari.
In un pomeriggio ventoso decidiamo di
andare a trovare il Signor Luigi Paris, che
con molta dedizione e gelosia, custodisce,
insieme agli abitanti, il forno.
Come ci suggerisce il titolo, Cavallari è un
paese minuscolo raccolto in una piccola
valle adiacente al fiume Aterno ed è, come
ci viene simpaticamente suggerito dai suoi
abitanti, uno dei borghi più belli di Pizzoli.
Le testimonianze del passato sono tutte raccolte in un pugno di case e passeggiando
per il paese, al centro della piazzetta di Via Colli, si incontra il "pilone" che veniva
utilizzato per lavare i panni e abbeverare il bestiame ed il vecchio forno dove le donne
si affannavano nell’aria fragrante di pane mentre i bambini giocavano nella piazzetta
e aspettavano ansiosi i biscotti appena fatti.
Il forno di Cavallari, costruito tra la fine dell’800 e gli inizi del 900, è uno degli ultimi forni comunali rimasti sul territorio. Decidiamo così di farci raccontare dal signor Luigi come veniva utilizzato: “… date le
modeste dimensioni, le famiglie di Cavallari, una volta scaldato, facevano a turno per cuocere pane, dolci, biscotti, ecc. Viste le
dimensioni ridotte dell’ambiente, al centro c’è una pietra che serviva da base per l’appoggio della tavola utilizzata come ripiano
per trasportare il pane al forno”.
Come in tutte le piccole realtà questo edificio rappresentava, soprattutto per le donne e le mamme, un luogo dove scambiare due
chiacchiere, fare conoscenze e alleggerire la mente dai pensieri della vita quotidiana.
Vista l’importanza che questo luogo ha rappresentato in passato, a questo punto sorge spontanea una domanda: viene ancora utilizzato? Ed è con grande orgoglio che il Signor Luigi ci risponde che durante il periodo estivo il forno riprende a funzionare come
una volta, coinvolgendo sia la comunità locale sia i molti curiosi attirati da questa tradizione. Proprio com’era in passato, il forno
rappresenta ancora oggi il luogo di ritrovo, di incontro per i residenti. Prima di salutarci Fiorenzo da grande appassionato per il
recupero della storia e delle tradizioni popolari dei nostri territori auspica un intervento delle autorità competenti affinché questo luogo venga recuperato per tramandare questa tradizione di generazione in generazione. Salutando e ringraziando Luigi e Fiorenzo, non possiamo far altro che unirci a questo auspicio.
Jessica Federici
Marino Cheli
laquilaoggi.net
il nuovo e primo quotidiano on-line fondato sull'interazione con il pubblico
Nasce L'AquilaOggi, il nuovo quotidiano on-line del capoluogo abruzzese che
potrete visitare sul sito www.laquilaoggi.net. L'AquilaOggi, fondato da Ludovica
Aristotile ed Enrica Mucciante, darà la possibilità a chiunque voglia di scrivere i
propri articoli riguardanti qualsiasi argomento e di caricare le foto ed i video scattatati dagli utenti sul quotidiano. Inoltre ci sarà un'area in cui si potrà discutere delle problematiche riguardanti la città dell'Aquila, ciò
che i cittadini vorrebbero cambiasse e ciò che invece gli piace.
L'AquilaOggi si fonda sulla partecipazione e sul contatto diretto con le persone, che non solo vi terrà aggiornati quotidianamente sulle
news aquilane con reportage ed inchieste ma soprattutto permetterà a chiunque voglia di scrivere e di esprimere le proprie idee ed opinioni nella più completa autonomia e libertà perché come cantava Giorgio Gaber “ Libertà è partecipazione”.
Allora non ci resta che visitare il sito www.laquilaoggi.net.
Ludovica Aristotile
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 5
PRIMO PIANO
Il Papa Benedetto XVI
“umile lavoratore nella
vigna del Signore”
Un gesto straordinario ma per lui, per il
papa emerito Benedetto XVI, un gesto
quasi normale.
Straordinario certamente perché, anche
se il Diritto della Chiesa lo prevede, le
dimissioni di un papa non sono una
prassi consolidata nella Chiesa Cattolica.
Normale, però, per Benedetto che, sin da
subito, si è dichiarato un “umile lavoratore nella vigna del Signore”.
E va da sé che quando il lavoratore ha le
è Lui che la conduce, certamente anche
attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto.
Questa è stata ed è una certezza, che
nulla può offuscare.
Ed è per questo che oggi il mio cuore è
colmo di ringraziamento a Dio perché
non ha fatto mai mancare a tutta la
Chiesa e anche a me la sua consolazione,
la sua luce, il suo amore”.
Certamente siamo stati tutti scossi da
portata storica, così da diventare uomini
e cristiani migliori rispetto ad oggi.
Sarebbe bello che, anche nelle nostre piccole comunità parrocchiali, sia i sacerdoti
che i battezzati percepissero sempre più il
proprio appartenere alla Chiesa secondo
l’insegnamento di Benedetto: umili lavoratori.
Sarebbe bello che, anche nei nostri Comuni, nei partiti politici, nelle associazioni, nelle Pro-loco, questo gesto
braccia fiacche smetta di lavorare nella
vigna. Normale per lui che ha sempre
avuto chiaro nel cuore che la Barca che
era stato chiamato a guidare non era la
sua. E lo ha ricordato nell’ultima udienza
di mercoledì 27 febbraio: “Ho sempre
saputo che in quella barca c’è il Signore
e ho sempre saputo che la barca della
Chiesa non è mia, non è nostra, ma è
sua. E il Signore non la lascia affondare;
questa scelta del papa, ma dimostreremo
l’affetto vero verso di lui e verso la Chiesa
se ci lasceremo scuotere ancora dalle sue
dimissioni.
Sì, perché il rischio più grande è che
dopo l’onda di emozioni che hanno accompagnato la rinuncia al papato, tutto
ritorni come prima.
La vera sfida, invece, sta nel continuare a
lasciarci provocare da questo gesto di
spronasse tutti coloro che ne fanno parte,
a sentirsi collaboratori del bene delle nostre comunità e non magari, come a volte
succede, quasi ‘padroni’ di esse.
Questo sarebbe il modo più bello per
onorare Benedetto XVI che, in questi
giorni, anche chi lo ha sempre guardato
con sospetto, ha scoperto essere un
grande uomo, plasmato da Dio, che ha
saputo rinunciare al papato mettendo
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AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI
PRIMO PIANO
Per noi, che abbiamo
l’onore di custodire all’Aquila, un altro santo
dimissionario, Celestino V, non succederà
di dimenticare la rilevanza di tale gesto per
la nostra vita e allora,
anche grazie all’esempio di B16 (così lo
chiamano i giovani
delle Gmg), ci sentiremo più responsabili
della costruzione di
una società più giusta e
fraterna..
completamente da parte sé stesso per un
bene più grande.
Le dimissioni di papa Benedetto, dunque, hanno evidenziato una modalità,
forse l’unica degna, di far parte della
Chiesa e del mondo che se, attuata,
potrebbe davvero far progredire queste
due realtà.
La Chiesa nel ritornare ad essere sempre
più fedele agli insegnamenti del suo Fondatore, Gesù, e il mondo, a partire dalle
nostre comunità, nel mettere sempre al
centro, prima del proprio, il bene di
tutti, il bene comune.
Don Claudio Tracanna
Parroco di Pizzoli/Direttore
periodico ‘Vola L’Aquila’
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 7
I PICCOLI COMUNI Barete
Inaugurata
LA BIBLIOTECA A BARETE
Il 6 gennaio 2013, a Barete, è stata inaugurata la biblioteca comunale intitolata
a don Celestino Capanna: erano presenti
il Sindaco Leonardo Gattuso, l’Assessore
alla Cultura Claudio Gregori, il Vescovo
Mons. Giuseppe Molinari, la prof.ssa
Elda Fainella del Centro Studi Sallustiani
e numerosi cittadini.
L’inaugurazione è stata preceduta dalla
Santa Messa e dal ricordo toccante che la
prof.ssa Domenica Longhi ci ha lasciato
di don Celestino: senza indulgere minimamente alla retorica, con parole semplici e commoventi, è venuto fuori il
ritratto incisivo di un sacerdote che ha
rappresentato, e per tanti versi rappresenta, un pezzo importante di storia baretana.
La giornata inaugurale è stata l’occasione
altresì per mettere in comunione alcuni
aspetti di un progetto che, in prospettiva,
si pone un obiettivo ambizioso, e cioè di
realizzare una biblioteca a carattere ge-
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neralista capace di innervarsi sul territorio, e capace soprattutto di coordinarsi
con altre iniziative già attive nell’ambito
dell’hinterland aquilano.
Il cuore della biblioteca è costituito da
libri già acquisiti negli anni dal Comune
di Barete, rimpinguati tramite donazioni
della Curia, del Senato e del Centro
Studi Sallustiani.
Sfogliando il catalogo, opportunamente
informatizzato, il lettore può accedere ad
un ventaglio alquanto ampio di offerte:
poesia, narrativa, storiografia locale e nazionale, opuscoli di viaggio, guide, testi
scientifici e divulgativi.
Alcuni libri collocati negli scaffali hanno
soprattutto un valore simbolico, ma coesistono, in una sorta di affascinante puzzle, con pubblicazioni di un certo pregio
scientifico (ad esempio, le donazioni del
Senato) oppure con vere e proprie “chicche” come la storia della letteratura di
Ugo Mursia, un’opera che rappresenta,
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI
già presa di per sé, un valore aggiunto per
la biblioteca.
Inoltre, il catalogo elettronico, creato
dall’ing. Dante Serani, consente di svolgere ricerche per autore e per titolo, nonché di gestire, con relativa facilità, i
prestiti agli utenti, uno delle funzioni di
maggiore complessità per una biblioteca
locale generalista.
Tuttavia, un catalogo informatizzato e
l’impegno del Comune non sono sufficienti a far vivere e prosperare una biblioteca. Come un fiore ha bisogno
costantemente di acqua, altrimenti appassisce e muore, allo stesso modo una
biblioteca necessità di cure costanti e di
amore per i libri, e la realtà di Barete,
fatta di un tessuto vario e articolato di associazioni, non dovrà far mancare a questo progetto appoggio, sostegno e,
soprattutto, competenze.
Gilberto Marimpietri
I PICCOLI COMUNI Barete
L’Associazione Agorà organizza:
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 9
SPAZIO ALLA CULTURA
ARTE, CULTURA E
SPERIMENTAZIONE DAL 1984
MU.SP.A.C. uno spazio per la città
Nata nelle mani e nei pensieri di Enrico
Sconci l’idea, che prende vita nel 1984
con il nome di Associazione Culturale
Quarto di Santa Giusta, è legata alla riqualificazione del Centro storico. In seguito a numerosi studi e ricerche su
quanto fossero, in passato, separate le
idee del mondo accademico rispetto alla
quotidianità vissuta dalla città aquilana,
ha preso vita l’idea di creare uno spazio
aperto simbolo di aggregazione culturale
e artistica.
Da un vicolo del centro storico questa
coscienza critico-culturale, legata alla
città, ha ospitato numerosi artisti negli
anni Ottanta e continua oggi, passando
come un fil rouge nelle mani di Martina
Sconci ad emozionare ed arricchire le
giornate dell’arte locale e internazionale.
Numerosissime sono le pagine di nomi
dell’arte internazionale che hanno
collaborato alla stesura di questo prezioso
progetto che mette a disposizione attività
pluridisciplinari nell’area delle tradizioni
popolari, l’antropologia e l’arte
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contemporanea.
In un mondo commerciale e in un ambiente volto all’industrializzazione e alla
globalizzazione della cultura, è un raggio
di sole rassicurante scoprire che esistono
luoghi raffinati in cui gli artisti riescono
ad esprimersi e a portare la loro arte, locale o no che sia, ad un livello elevato.
Entrando nella nuova sede, creata in seguito al Sisma che ha colpito la cittadina
nel 2009, il pavimento nero fa risaltare
le pareti bianche, in cui risplendono le
opere esposte di molti nomi internazionali e dall’odore del legno del palcoscenico si ha la continua sensazione che un
attore canti in versi la propria arte. Questa illusione scenica è arricchita dai cittadini che entrando, in qualunque
giorno della settimana, possono ritrovarsi
a contatto con la semplicità e il calore
che solo l’arte creata per l’uomo sa dare.
Oggi più di ieri è importante, in particolar modo in una città disorientata,
creare stimolanti luoghi di incontro per
respirare insieme un po’ della storia passata (fruibile attraverso le arti figurative e
la fotografia d’epoca) e scambiarla attraverso incontri e dibattiti non solo a livello artistico-culturale ma soprattutto a
livello umano.
La tradizione orale e scritta come momento per capire numerose sfaccettature
di una società spesso sottovalutata. In
questo mondo di valori perduti o difficilmente recuperabili, al M.U.S.P.A.C.,
sono al sicuro da ogni possibile tentativo
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI
di deculturazione.
J.Beuys, J. Kounellis, Fabio Mauri,
Mario Merz, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto, sono solo alcuni nomi legati al Museo Sperimentale d’Arte
contemporanea. Nomi e artisti che
hanno contribuito e che contribuiscono
ancora ad arricchire le giovani generazioni locali.
Esistono poche definizioni in grado di
spiegare cos’è la cultura ed in genere non
occorre neppure sedersi a concettualizzare un pensiero per molti versi astratto.
In generale ci si riferisce alla cultura
come a quella concezione della realtà e
quella sensibilità ad essa, socialmente acquisita o indotta, che orienta gli individui nelle diverse situazioni che si offrono
loro per l’esistenza. Esse si costituiscono
nei gruppi sia per effetto delle esperienze
personali sia per effetto della tradizione.
All’Aquila c’è un posto in cui questa spiegazione così latente prende vita e l’individuo ne partecipa in quanto membro di
un gruppo sociale narrato ben preciso.
Il Museo d’Arte Contemporanea sollecita e interiorizza l’arte trasformandola in
strumento per l’azione e lo sviluppo di
una coscienza critica individuale e collettiva e lo fa dal 1984.
Martina Corsi
SPAZIO ALLA CULTURA
Diamanti
insanguinati
Quando si pensa ad un diamante inevitabilmente non si può che immaginare
la bellezza, la rarità di questa splendida
pietra che può costare anche milioni di
euro.
Le persone ricche lo sfoggiano nei loro
salotti, gli amanti lo regalano come simbolo di amore eterno ai propri amati,
ignari di ciò che per lungo tempo si consumò per il commercio dei diamanti, che
da pietre preziose divennero ben presto
pietre, belle sì, ma insanguinate.
Questa è una storia tragica e cruenta che
avvenne non molti anni fa nella più
completa indifferenza dei media mondiali in Sierra Leone, un piccolo Stato
nell'Africa occidentale sulla costa dell'oceano Atlantico.
Esso oltre ad essere un Paese dotato di un
paesaggio magnifico con acque cristalline
e lunghe distese di sabbia bianca è soprattutto ricco di diamanti.
Negli anni trenta del
XX secolo un gruppo
di geologi inglesi
trovò dei giacimenti
diamantiferi
nelle
giungle della Sierra
Leone, i minatori
hanno estratto alcuni
tra i diamanti più preziosi del mondo dai
piccoli pozzi fangosi
sparsi nella foresta
pluviale della zona.
Questi frammenti di
cristalli lattei di carbonio sono poi trasformati nei preziosi
gioielli sfoggiati su
tutti i polsi, i colli e le orecchie di persone che non sanno delle uccisioni avvenute in Sierra Leone per il commercio
dei diamanti.
Nel 1990 le truppe dei ribelli del RUF, il
Fronte Rivoluzionario Unito, occupano
la città di Freetown, capitale della Sierra
Leone e con la scusa di far cadere l'allora
governo dittatoriale incominciano a seminare terrore tra la popolazione della
Sierra Leone, il loro obiettivo era in realtà impossessarsi dei giacimenti diamantiferi.
In breve tempo uccidono migliaia di
persone, prelevano i bambini di appena
nove, dieci anni alle loro famiglie e li costringono ad uccidere imbottiti di cocaina per evitare che potessero provare
compassione o tenerezza.
Le persone della Sierra Leone, furono
obbligate dal RUF a lavorare nei giacimenti diamantiferi e chi si oppose subirono le mutilazioni degli arti. La guerra
durò dal 1990 al 2001 e si consumò nella
più totale indifferenza dei media mondiali. Per il commercio illegale di diamanti morirono più di 800.000 persone.
Attualmente le grandi catene di gioielli
nell'acquisto dei diamanti devono sottoscrivere dei certificati che queste pietre
preziose non provengono da zone di
guerra.
Ludovica Aristotile
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 13
SPAZIO ALLA CULTURA
Architettura ambientale:
le costruzioni degli animali e la capacità
dell’uomo di apprendere dalla natura
In questi ultimi tempi si è assistito ad un
processo di valutazione critica da parte
della comunità scientifica con il rimodellamento dei principi, dei processi e
dei metodi di interpretazione e progettazione degli elementi antropici. Si è cercato in pratica di analizzare una visione
ecosistemica della realtà che può permettere di trasmettere il complesso delle
regole che sono alla base della vita dei sistemi naturali nell’architettura artificiale
umana.
Sono esistiti animali architetti molto
tempo prima dei tentativi rudimentali di
costruzione dell’ Homo Sapiens; non
dobbiamo stupirci se le strutture animali
hanno superato e superano tutt’oggi
quelle umane per funzionalità, adattamento ecologico, solidità strutturale, efficienza energetica, di gestione delle
risorse e precisione nell’esecuzione.
Elemento basilare di lettura e riflessione
su questo tema è l’acquisizione della consapevolezza che la natura ha sviluppato
nel corso dell’evoluzione un’incredibile
molteplicità di strategie di impiego e di
utilizzazione delle risorse a disposizione
in modo compatibile ad impatto zero.
Sono noti ormai da tempo i meccanismi
ed i processi grazie ai quali le strutture fisiche degli esseri viventi riescono ad adattarsi alle più diverse e complesse
situazioni climatiche della terra: dai
cambiamenti climatici, alle condizioni fisiche, geografiche e territoriali pluri-esistenti nell’ambiente.
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Frank Lloyd Wright scrive “I lavori della
natura sono belli ed efficienti; i materiali
utilizzati, i sistemi strutturali, la capacità di
adattarsi ad ogni tipo di clima e di rispondere alle crisi ambientali fanno di
queste strutture naturali esempi eccellenti a cui possono e devono far
riferimento gli studi dell’architettura
dell’uomo” permettendo di comprendere che gli animali hanno saputo e sanno acquisire nozioni nel
corso dell’evoluzione e quanto noi
come specie possiamo comprendere
ed impiegare. Tra le più grandiose
costruzioni erette da singoli animali ci sono sicuramente le costruzioni
idriche di sbarramento dei castori con alcuni esempi di 1,5 Km di lunghezza e la
complessa ragnatela impiegata dalle diverse specie di ragni.
La rondine caratteristica del periodo primaverile impiega il fango
come materiale da costruzione e
localizza il proprio nido in luoghi
in cui difficilmente altri volatili nidificano e in quei luoghi che ritengono sicuri dai predatori e dagli
agenti atmosferici. Trasforma il
fango in creta con il becco e fissando commisto a petali di fiore in
modo da creare un involucro di
notevole isolamento termico con temperatura interna maggiore rispetto a quella
esterna. La realizzazione prevede dispendio di tempo e di energia ma il risultato
è un involucro resistente per molti anni.
La fibra di seta del ragno a base di cheratina, sostanza ritrovabile anche nei capelli, nei peli e nelle corna degli animali
rende elastica e resistente il filo impiegato
da tali animali per le loro opere architettoniche complesse. Le capacità della ragnatela sono dovute anche al suo disegno
evoluto nel corso di milioni di anni capace di imprigionare le prede e di resistere alla forza delle stesse e del vento.
Perciò la ragnatela deve saper assorbire le
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI
sollecitazioni sia improvvise che cumulative.
Una struttura particolarmente in continua evoluzione nel tempo è il formicaio;
struttura soggetta a continuo controllo
termoigrometrico e dei livelli di umidità
interna e alle costanti riparazioni da parte
delle formiche. Le formiche portano costantemente la terra dagli strati più bassi
del nido a quelli più alti e viceversa la
cui funzione principale è quella di evitare
la formazione di muffe all’interno del
formicaio attraverso l’asciugatura del terreno umido portandolo all’esterno.
Da quanto sopra indicato mettendo in
comparazione l’uomo con gli animali si
possono evidenziare alcuni elementi di
similitudine tuttavia prevalgono le differenze nel rapporto con l’ambiente
esterno.
Dagli studi di biologi e naturalisti si evi-
denzia che un ecosistema è basato sulle
interazioni e sulle relazioni e sulla sua capacità di adattamento e di autorigenerazione. In questo quadro l’uomo e i suoi
manufatti stanno cercando negli ultimi
tempi di porsi come interfaccia di congiunzione piuttosto che come elemento
di separazione e di rottura degli equilibri
naturali diversamente dal passato cercando di capire dagli animali e dalla natura che li circonda.
Dr. Alessio Durastante
Tecnico della Prevenzione
Servizio Veterinario I.A.P.Z. della
A.S.L. 01 di L’Aquila
SPAZIO ALLA CULTURA
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 15
PERSONAGGI
KENYA:
clima temperato molto gradito
ai bianchi, “proprietà della
Corona”, cacciarono gli indigeni e li costrinsero a vivere
LA STRAORDINARIA EREDITA’
DI WANGARI MAATHAI
Premio per gli ecologisti della Fondazione Goldman nel 1991, premio Nobel
per la pace nel 2004, Wangari Maathai è
stata una protagonista instancabile nella
lotta per i diritti umani, per l’ascesa delle
donne nella vita politica e per la protezione dell’ambiente.
Esponente della tribù Kikuyu, la più numerosa del Kenya, nacque nel 1940, a
Ihithe, distretto di Nyeri (Provincia Centrale) e, recentemente, è scomparsa il 15
settembre 2011 per un tumore.
Percorso formativo
I Kikuyu occupano il cuore geografico
del Kenya costituito da montagne, colline e pianure. La pioggia è abbondante
e i campi rigogliosi. Essi erano e “sono”
laboriosi contadini, legati fortemente alla
loro terra, e vivevano in simbiosi con
essa, come ho potuto osservare durante
un viaggio indimenticabile.
Wangari, già durante l’infanzia, conobbe le ingiustizie dovute allo sfruttamento coloniale. Gli Inglesi, dopo aver
occupato il Kenya agli inizi del 1900, dichiararono gli Altipiani, territorio dal
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come abusivi nelle terre dei loro padri.
Fu un colpo mortale alla dignità e all’orgoglio individuale e tribale della popolazione.
Successivamente, per una proficua utilizzazione delle risorse naturali, il governo di Londra incentivò l’emigrazione
dei coloni europei in Kenya con la vendita dei terreni a basso costo. Così sorsero tante fattorie con piantagioni di
caffè, thè ed altri prodotti agricoli. Il romanzo di Karen Blixen “La mia Africa”
rispecchia la realtà socio-economica
della colonia britannica.
Wangari frequentò le scuole cattoliche
e, colpita dagli ideali delle missionarie,
ne abbracciò la religione. Nel 1960 conseguì la maturità con ottimi risultati e
ottenne una borsa di studio dalla Fondazione Kennedy. Quindi si iscrisse alla
facoltà di Scienze Biologiche del collegio
Mount St. Scholastica nel Kansas, diretto dalle suore Benedettine, dove conseguì la laurea di primo grado e poi
all’università di Pittsburg (Pennsylvania)
il master. L’esperienza americana le per-
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI
mise di allargare gli orizzonti culturali e
di effettuare utili confronti.
Nel 1966 ritornò in Kenya. Pur avendo
in tasca la nomina di assistente per la ricerca alla facoltà di zoologia di Nairobi,
quando si presentò all’università il docente
le negò il lavoro. Successivamente sposò un
imprenditore con l’ambizione di intraprendere la carriera politica.
Nel 1971 riuscì, prima donna
in Africa Orientale, a conseguire il dottorato di ricerca e
la docenza in anatomia veterinaria. Nel 1977 fu prima in
Africa a ricoprire la cattedra di
professore associato. Il marito,
divenuto parlamentare, la costrinse a divorziare, in quanto
era troppo colta, troppo determinata, impossibile da dominare ed aveva raggiunto troppa
notorietà.
Il coraggio di combattere
Negli anni ’70 le tematiche,
quali i diritti delle donne, i
problemi ecologici, l’uso razionale delle risorse naturali non
erano sentiti né compresi. Così
nel suo Paese le proposte di Wangari
erano frequentemente causa di polemiche e discordie. Col tempo, grazie alla
sua tenacia e all’appoggio di organismi
culturali nazionali e internazionali, esse
riscossero successo.
Il 5 giugno 1977, in occasione della
Giornata Mondiale dell’Ambiente,
piantò 7 alberi in onore di 7 antenati di
etnie diverse nel Parco di Kamukunji
presso Nairobi. Nacque, così, il Movimento della “Cintura Verde”, che ottenne approvazione e sostegno da
associazioni, scuole, chiese. Ovunque
sorsero vivai di alberi locali da trapiantare; giunsero contributi economici dalle
Nazioni Unite e il Movimento si diffuse.
Nel frattempo Wangari veniva diffamata
dalla stampa locale legata al governo di
Daniel arap Moi e, al contrario, celebrata
a livello internazionale.
Nel gennaio del 1992 la polizia suonò
alla sua porta e le ordinò di seguirla. Ella,
invece, si barricò in casa. Dopo tre
giorni le forze dell’ordine sfondarono la
porta e l’arrestarono con l’accusa di “dif-
PERSONAGGI
fusione premeditata di notizie tendenziose, sedizione e alto tradimento”. Trascorse un giorno e mezzo in prigione e
su cauzione venne liberata.
Il 28 febbraio Wangari e alcune madri di
prigionieri politici iniziarono lo sciopero
della fame nell’Uhuru Park. Il 3 marzo
la polizia le allontanò con la forza; Wangari e tre donne vennero crudelmente
picchiate e trasportate in ospedale. Il presidente Moi definì Wangari “una pazza,
un pericolo per l’ordine e la sicurezza
della nazione”. Come conseguenza, giunsero critiche da tutto il mondo.In seguito, dimesse dall’ospedale, le quattro
donne si recarono davanti alla cattedrale
anglicana di Nairobi e inscenarono la
“maledizione kikuyu”, sollevando le
gonne con la schiena rivolta al parlamento”. E’ un tabù rigidissimo nella cultura kikuyu; in caso di interruzione,
costituiva la più grande maledizione che
una donna poteva lanciare contro qualcuno. Grazie a pressioni internazionali a
novembre del 1992 vennero ritirate le accuse e all’inizio del 1993 liberati i prigionieri politici.
Risultati
Le disavventure non avvilirono Wangari
e le sue compagne, anzi rafforzarono le
loro convinzioni per il bene delle generazioni presenti e future. Il Movimento
si diffuse anche nei Paesi confinanti. Le
donne riuscirono a piantare più di 40
milioni di alberi in tutta l’Africa.
Secondo Wangari, le guerre nascono per
accaparrarsi le risorse naturali sempre
più scarse in tutto il mondo, per cui la
loro gestione in
maniera sostenibile
ridurrebbero gli
eventi bellici con
positivi vantaggi
per tutti i popoli.
La valorizzazione
ambientale e l’armonia ecologica
sono valori basilari
per favorire la pace.
Le 30mila donne e
le relative famiglie,
che seguivano i
suoi principi, avevano piena consapevolezza dei diritti, loro e di tutti, ma
soprattutto si sentivano incoraggiate ad
addestrarsi nella lavorazione dei prodotti
alimentari, nell’agricoltura e silvicoltura,
e a pretendere dal governo una politica
di prevenzione e riparazione dei danni
ambientali.
Modello da seguire
La nostra eroina rivelò una personalità
forte ed equilibrata, superò tanti ostacoli,
compì la sua missione
lasciando un messaggio originale e straordinario.
Sempre coerente ai
principi della fede cattolica di servire Dio attraverso il servizio ai
fratelli, dimostrò profondo apprezzamento
e massimo rispetto per
ogni religione.
Dal 1952 al 1957
quasi tutte le famiglie kikuyu della Provincia Centrale erano state costrette dall’autorità coloniale britannica a vivere in
campi di concentramento, lontano dalle
loro capanne, a causa della rivolta dei
Mau Mau. Questi, tra l’altro, rivendicavano il possesso della loro terra.
Wangari, fin da piccola, aiutava nel lavoro dei campi la mamma che la guidava ad osservare la natura.
Il periodo universitario trascorso negli
USA le permise di partecipare alle manifestazioni popolari contro la guerra in
Vietnam e di conoscere una società diversa, dove ognuno poteva democratica-
mente esprimersi.Tornata in Kenya, si
sentiva discriminata come donna. Così
iniziò il suo attivismo sia nel movimento
femminista, sia in quello per i diritti delle
donne e per le uguali opportunità. Criticava la società patriarcale come pure il
parlamento “maschilista”.
Memorabili furono le manifestazioni da
lei organizzate contro il presidente Daniel arap Moi e il suo regime, accusati di
fare scempio dell’ambiente.
Nelle elezioni del 2002 vinse il seggio di
Tetu con una grande maggioranza di voti
e il nuovo presidente Mwai Kibaki la nominò viceministro dell’ambiente e delle
risorse naturali, a fianco di un ministro
“maschio” completamente privo di preparazione in merito.
Nessun uomo politico keniano partecipò
alla cerimonia per la consegna del premio Nobel per la pace.
Le esperienze vissute nella campagna kikuyu senz’altro influirono a dar vita al
Movimento della Cintura Verde. Oggi,
grazie alla sua sensibilizzazione, la connessione tra equilibrio ecologico, l’uso
delle risorse e la risoluzione dei conflitti
risulta molto chiara, come pure la relazione tra diritti umani, democrazia e
pace. Purtroppo in passato non era così.
Ella non si fermava ad osservare solo i
sintomi di un problema, ma cercava le
cause reali per trovare una soluzione
giusta e adeguata.
Questi sono gli insegnamenti di una
donna coraggiosa, intellettuale e combattente che lascia in eredità all’Africa e
al mondo intero.
Antonio Patavino
Foto gentilmente concesse dall’archivio Nigrizia di Verona.
Si ringrazia vivamente la Direzione.
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 17
APPUNTAMENTO AL CINEMA
Django Unchained, film di Quentin Tarantino con: Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio, Samuel L. Jackson e Kerry
Washington. Prodotto dalla Columbia Pictures e distribuito in Italia dalla Sony Pictures nel gennaio 2013. Durata 165 minuti.
Le vicende si svolgono nel sud degli Stati
Uniti, poco prima della guerra di secessione.
Il film narra la storia dello schiavo Django
Freeman (Jamie Foxx), che liberato dallo
strambo dentista tedesco Dr. King Schultz
(Christoph Waltz), lo aiuterà nella ricerca di
alcuni pericolosi ricercati. Infatti la vera professione del Dottore è quella del cacciatore di
taglie. Django imparerà il mestiere per vendicarsi dei suoi padroni schiavisti e ritrovare
la moglie, Broomhilda Von Shaft (Kerry Washington), da cui fu separato e venduto.
Dopo aver intascato numerose taglie i due
possono mettersi in viaggio per liberare la
moglie di Django tenuta prigioniera dallo
spietato negriero e possidente Calvin Candie
(Leonardo DiCaprio) in Candyland.
Il western, forse, è il genere più adatto per
raccontare una storia d’amore a tinte pulp in
stile Tarantino. Nel profondo sud, senza precise collocazioni spaziali, si fanno largo un
uomo tedesco, che si sente responsabile delle
conseguenze di aver dato la libertà ad uno
schiavo e un Django che assapora la libertà
per la prima volta. Lo schiavismo, infatti, è
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un tema che fa da contorno alla
storia e ne è la traccia che lo caratterizza nello stesso tempo. Trattato in termini crudi, il film, è un
urlo di rabbia contro lo schiavismo, che è divenuto per anni una
pratica scontata. In particolar
modo nelle piantagioni di cotone
del sud, che hanno visto i bianchi
batuffoli macchiarsi del sangue di
schiavi di colore. Nel film però c’è
anche una storia d’amore, che ricalca un’antica leggenda tedesca e
dei momenti veramente divertenti ed esilaranti, come le scene
della preparazione alla scorribanda del ku klux klan. Il film,
districandosi abilmente tra questo dipanarsi di azione, romanticismo, umorismo e scene crude
riesce a non annoiare mai durante
la sua visione e crea nello spettatore un crescendo di emozioni
che raggiungono l’apice nel finale.
La regia di Tarantino è senza
ombra di dubbio straordinaria in ogni suo
aspetto, non risente di alti e bassi ma è un
continuo salendo. Una vera lezione di cinema. Il regista adotta tecniche come le “zoomate” per presentare i personaggi, tecnica
ormai personale del regista e che omaggia il
genere del western all’italiana. Il classico stile
alla Tarantino, teso e frenetico, si introduce
con gradualità nel film. Infatti riesce a dare
un’ impronta personale velata e costante in
tutto il film accentuandosi con epicità verso
il finale. In questo modo riesce a trasportare
con naturalezza lo spettatore nelle vicende di
Django e del Dr. Shultz.
L’intero cast non è da meno. Performance di
rilievo quella di Christoph Waltz, nominato
ai premi Oscar per miglior attore non protagonista con l’interpretazione del dottor
Shultz. Dottore che insegnerà a Django
come sporcarsi per perseguire il suo obbiettivo rimanendo però distante dalla crudeltà.
Ottima prova anche per Leonardo DiCaprio, che con Samuel L. Jackson, forma una
perfetta coppia padrone schiavo, uno più
crudele dell’altro. DiCaprio incanta e fa rabbrividire per la sua disumanità e per il suo essere “sporco”, il suo sorriso avido e i suoi
denti macchiati sono la metafora del marcio
interiore. Lo sguardo rabbioso del “capo
negro” di casa Candie, Samuel L. Jackson, ne
caratterizza un personaggio vecchio e sprege-
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI
vole. Lo stesso regista, come è solito fare, si ritaglia una piccola parte nel film.
Quentin Tarantino per le musiche prende,
com’è nel suo stile, da pezzi di storia cinematografica che vuole onorare. Infatti la colonna sonora annovera Luis Bacalov e Ennio
Morricone in brani western da repertorio. Si
vanno ad affiancare a questi anche composizioni originali di Morricone ed Elisa e pezzi
hip-hop scelti ad hoc. La musica è quasi sempre presente in tutte le scene del film.
Tarantino confeziona l’intero film come un
enorme omaggio al cinema dello spaghetti
western, genere molto amato dal regista. Sin
dall’inizio, dal carattere dei titoli di testa e
dalla musiche, con le note del maestro Luis
Bacalov, infatti, torna alla mente in pochi secondi il capolavoro di Corbucci datato 1966,
Django con Franco Nero. Anche se con il
film di Corbucci la trama ha poco a che fare,
un sempre carismatico Franco Nero fa un
meraviglioso cameo con un piccolo dialogo
tra i “due” Django. Ma le citazioni, come in
ogni film di Tarantino che si rispetti, sono
molteplici ed ogni inquadratura non è lasciata al caso. Tutto è studiato con cura maniacale e perizia. Si passa da un cappio, che la
telecamera in movimento fa “scivolare” delicatamente su un Django a cavallo con un
gioco di prospettive, alla sequenza finale con
Samuel L. Jackson e alla mente dello spettatore attento tornano le vicende di Tuco e il
biondo nel il buono il brutto e il cattivo dell’amatissimo Sergio Leone. Le musiche non
fanno altro che condurre lo spettatore per
mano in un mondo di citazioni sempre più
crescenti fino ad arrivare ad un brano che
credo ogni persona abbia visto il film abbia
riconosciuto durante la sequenza finale.
Il risultato complessivo è senza dubbio un
grande successo, è il film del momento. Un
film dai contenuti molteplici e che fa prendere allo spettatore ciò che più gli concerne.
Usciti dalla sala regala una grande carica e la
sensazione di aver visto qualche cosa di leggendario. Personalmente, da grande amante
dello spaghetti western, non credevo di poter
vivere al cinema sensazioni simili. Emozioni
vissute solo durante la visione dei capolavori
di Sergio Leone che mi ricorda un tempo in
cui i grandi registi italiani insegnarono ad
Hollywood il significato della parola epico.
Angelo De Santis
MANI IN PASTA
“La Pupa e…. il cavallo”
Sembra quasi che la segnalazione in rosso sul calendario serva a ricordarci: “E’ ora di mettersi ai fornelli!”. Non a caso, da sempre, in Italia la parola festa è legata alla parola cibo, il quale non svolge solo una funzione alimentare, bensì è il mezzo più bello
per riscoprire tradizioni e ricordi e ritrovare attorno ad un tavolo la gioiosa sensazione di unità e calore familiare.
La Pasqua, di tutte le feste religiose, è quella che più si presta a una serie di rituali legati alla gastronomia: a cominciare dal digiuno, o dall’eliminazione momentanea della carne dalla dieta, per culminare nel giorno della festività con un trionfo di dolci
e pranzi luculliani che ricompensano le privazioni dei giorni precedenti. L’apertura delle “danze” è il rituale della colazione di
Pasqua abruzzese ricca di ogni tipologia di cibo dal dolce al salato. Si comincia con le uova sode benedette dal sacerdote, e con
la frittata, ottenuta dalle stesse, si passa poi ai fiadoni, un composto a base di pasta, zucchero e uova, con ripieno di formaggio
fresco e zucchero, ornato all’esterno con la stessa pasta, simili ad un piccolo panettone, nel pescarese vengono chiamati è “lettere d’amore” per la loro particolare forma, gli angoli della pasta sono ripiegati verso l’interno come una lettera d’amore che contiene parole dolci. Si accompagna tutto con il salame casereccio e la pizza di pasqua, simile al pane morbido che riesce ad
accompagnare sia cibi dolci che salati. Non dimentichiamoci della colomba pasquale: il simbolo per eccellenza della pace. Nella
tradizione veniva regalata la domenica della Palme insieme al ramoscello d’ulivo benedetto, in segno di prosperità e pace. Nella
tradizione abruzzese è composta da pasta di mandorle. Oggi si trova per lo più con la pasta lievitata. In alcune zone si producono dolci a forma di ciambella che nella forma rievocano la corona di spine portata da Cristo. Ma non dimentichiamo il mitico Uovo di Pasqua! Gioia e dolore di ogni bimbo e …non neghiamolo… anche degli adulti che racchiude la bontà del
cioccolato, la magia della sorpresa e la voglia di tornare un po’ bambini che c’è in ognuno di noi. L’uovo che sia di cioccolata,
sodo o impastato è da sempre il simbolo di rinascita e fecondità. Nell'iconografia cristiana, è il simbolo della Resurrezione, il
suo guscio rappresenta la tomba dalla quale esce un essere vivente. Secondo il paganesimo, invece, l'uovo è simbolo di fertilità:
dell'eterno ritorno della vita. La tradizione abruzzese mette insieme entrambe le ideologie riservando proprio all’uovo una lavorazione particolare quella della “Pupa” e del “Cavallo”. Questi altro non sono che biscotti lavorati a forma di bambolina e di
Cavallo con al centro incastonato nella pasta un uovo sodo con l’intero guscio. Nella tradizione le pupe, per le bambine, e i cavalli, destinati ai maschi, contenevano sulla pancia delle uova sode trattenute dagli incroci fatti con la pasta. In alcuni casi veniva messo nella pupa o nel cavallo un uovo per ogni figlio. Originariamente però la pupa veniva regalata dalla suocera alla novella
sposa in segno di prosperità. Per questo motivo sulla pancia della pupa veniva incastonato l’uovo, come simbolo di fertilità.
Lo stesso rituale si ripeteva per lo sposo con il regalo del cavallo, simbolo di virilità.
Ingredienti:
500 gr di farina 00,
200 gr di zucchero,
3 uova,
1 bicchiere scarso di olio d'oliva,
1 bustina di lievito,
vanillina e buccia di limone grattuggiata per
aromatizzare uova sode da incastonare
Fare la fontana con la farina e al centro sgusciare
le uova e impastare con gli altri ingredienti fino
ad avere un composto elastico. Poi modellare la
pasta negli stampi fino ad ottenere le sembianze di pupa, cavallo, o cuore. Infine decorate a piacere con codette colorate o zucchero in grani. Infine mettete le uova sode sul dolce al centro (nella pancia della pupa e del cavallo) .
Cuocere in forno per 30 minuti a 180° circa, a seconda del forno, controllate che la base non diventi scura.
Buona Pasqua a tutti!!
Tamara Pace
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 19
PENSIERI DI CARTA DI Antonello Di Carlo
20
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI
PARLIAMO DI SPORT
Kung-Fu
In questo numero per la nostra rubrica
sportiva ci occuperemo di Kung-Fu (stile
Mei Hua Chuan) e Tai Chi Chuan (stile
Yang) due discipline di origine cinese. Ci
rivolgiamo per saperne di più ad un’insegnante aquilana, che tiene dei corsi per
adulti, bambini e anche anziani presso la
palestra Zero Gravity, nel centro storico
della città. Isabella Nardis, Maestro riconosciuto Fe.I.K. (Federazione Italiana
Kung-Fu) inizia a praticare il Kung fu all’età di dieci anni sotto la guida del maestro Dante Bellini nel 1988. Una carriera
piena di esami, seguita dai maestri cinesi
della scuola Chang Dsu-Yao: Chang YuShin e Chang Wei-Shin. Diventa cintura
nera di Kung fu e successivamente intraprende l’esperienza del tai chi chuan. Inizia ad insegnare nel 1999. Presidente
dell’associazione Tao Art che promuove
la diffusione delle arti marziali viste non
solo come tecnica difensiva, a cui si fa risalire l’origine, ma anche come strumenti
per sviluppare la dimensione della persona, una sorta di arte in movimento che
aiuta a riscoprire il benessere e le potenzialità di chi le pratica. Il Kung Fu è l'insieme di tutte le Arti Marziali Cinesi. Il
termine "Kung Fu", oggi molto popolare, significa letteralmente "esercizio eseguito con abilità", ma in origine non era
necessariamente legato al mondo delle
arti marziali ed era inteso, dagli orientali,
come la capacità di eseguire un compito,
un lavoro, grazie all'abilità acquisita nel
tempo con un duro addestramento. Il
Tai Chi Chuan significa " stile della suprema polarità". Essa è un'antica arte
marziale cinese basata sulle leggi che regolano l'interazione e l'alternarsi dei
principi base dell'universo: Yin (principio negativo, vuoto) e Yang (principio
positivo, pieno). Il Tai Chi Chuan è un
arte marziale che richiede un rilassamento tonico e la sincronizzazione del
movimento con
il ritmo e le fasi
respiratorie.
L'apparenza
esterna è morbida come il cotone,
mentre
all'interno si è
forti come l'acciaio. Le applicazioni marziali
sono rapide e vigorose. Il Tai Chi Chuan è una raffinata
arte marziale di autodifesa e una forma
di meditazione dinamica e può essere
praticato come una ginnastica morbida,
adatto a tutte le età e per tutta la vita. La
differenza tra le due discipline consiste
essenzialmente nella sostanza del atto
eseguito, mentre nel Kung fu c’è maggiore dinamismo, per questo è prediletto
maggiormente dai giovani, nel tai chi
chuan si manifesta di più il riferimento
alla formazione al conseguimento del benessere della persona, all’ esplorazione di
se stessi attraverso l’arte marziale. Sia nel
Kung fu, con più dinamismo, che nel Tai
Chi Chuan, disciplina più morbida, si
coniugano alla perfezione la ginnastica,
come la intendiamo nella nostra cultura
occidentale, con la meditazione di
stampo orientale, dove però la parola
non vuole assumere un significato prettamente filosofico, ma abbraccia una dimensione più grande: meditare per
trovare un equilibrio in se stessi, quindi
anima e corpo che si uniscono in un tutt’uno in continua evoluzione. Oggi queste discipline stanno riscuotendo un
maggiore successo rispetto a qualche
anno fa, dove a volte venivano, con pregiudizio, interpretate come “fanatismo”
di chi ha un “male di esistere”. Si è approfondita la conoscenza sia dal punto
di vista tecnico, relativa al movimento,
che dal punto di vista “mentale”. Le arti
marziali sono diventate delle vere e proprie palestre di vita, dove i ragazzi imparano ad essere uomini, imparano il
rispetto, l’autostima, il controllo delle
proprie emozioni. Come afferma Isabella
“la prima cosa che insegno e con la quale
concludo anche la lezione, è il saluto”.
Questo a dimostrazione di quanto alla
base di queste attività ci sia una filosofia
di vita, un modo di rapportarsi al
mondo. Autodifesa si, ma non violenza
fine a se stessa, combattere con il principio del rispetto del “nemico” che si ha di
fronte . Il 28 aprile, giornata mondiale
del Tai Chi Chuan e giornata nazionale
del kung fu, anche all’Aquila si terrà una
manifestazione in piazza, dove si praticherà il Tai Chi Chuan e il Kung-Fu.
Vi invito tutti a fare visita a questo
evento per rendervi conto con i vostri
occhi della ricchezza creativa che queste
discipline possono regalare.
Fortunato Cannella
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 21
CHIEDILO A Carla
L’AQUILA
e la possibile candidatura
a Capitale Europea
della Cultura per il 2019
Questa volta voglio fare una riflessione su L’Aquila e la possibile candidatura a Capitale Europea della Cultura per il 2019,
argomento forse conosciuto da pochi.
Nel corso di queste settimane è venuta spesso
fuori l’occasione per accennare la possibilità e il
desiderio di molti nel
candidare L’Aquila, la
nostra bella città, a Capitale Europea della cultura per il 2019,
esattamente 10 anni dopo il sisma che ha colpito il Capoluogo.
Con questa candidatura potrebbe configurarsi un’occasione
straordinaria per eventi, manifestazioni di qualità, che attraggono risorse e interesse a livello internazionale e che potrebbe
rappresentare una bella e importante sfida proiettata nella ricostruzione di una delle più belle città medioevali a livello Nazionale. Questa decisione sarà presa entro il 2013 così come
sostenuto dal Presidente Comitato Civico Promotore.
Le intenzioni sono buone, si sa, ma come si dice “tra il dire e
il fare c’è di mezzo il mare”.
Un mare rappresentato da tutta una serie di difficoltà obiettive e scogli governativi ed economici che potrebbero influenzare in un modo o nell’altro questa investitura.
Tutte le pratiche sono state interrotte momentaneamente
quando è caduto il precedente Governo Berlusconi.
Il progetto cominciò a farsi strada nel 2009, in occasione del
sisma,quando il Presidente della Regione Abruzzo inviò all’ex
Presidente del Consiglio, la richiesta per la candidatura de
L’Aquila, e lo stesso Gianni Letta dichiarò la richiesta come
“una iniziativa eccellente”.
Ma tra le aspiranti al titolo ci sono 15 città : Amalfi, Bari, Bergamo, Brindisi, Catanzaro, L’Aquila, Matera, Palermo, Perugia,
Assisi, Ravenna, Siena, Torino, Urbino e Venezia; anche se
credo che non si fermeranno qui le candidature.
Certo è che una Capitale della cultura deve rappresentare una
progettualità comunitaria, un dialogo fra le religioni e mostrare
e dimostrare (fondamentale) le sue valenze storiche, architettoniche, archeologiche , ma anche e soprattutto paesaggistiche
e ambientali con le quali agire per un consolidamento a livello
non solo europeo (in termini di comunità) ma anche a livello
internazionale.
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AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI
Questo richiede un impegno a tutto tondo da parte delle amministrazioni comunali e provinciali in collaborazione con la
Regione.
Dal mio personale punto di vista trovo complicata e alquanto
lontana questa investitura.
Le ragioni di ciò risiedono nella città stessa e nei suoi cittadini.
Ci vorrebbe un impegno comune, una volontà concreta guidata da intelligenza, unità, passione civile e con la forza degli
aquilani. Io, da aquilana doc, mi auguro che possano venire riconosciute le qualità di questo territorio e valorizzate nel corso
degli anni in vista di questa grande opportunità che porterebbe
importante risalto economico, sociale e politico a livello internazionale.
Vola oltre le nuvole “L’Aquila bella mè”!!
Un saluto a tutti voi!
Hai una curiosità un dubbio su Carla
qualcosa?
Di Stefano
Chiedilo ad Agorà!
Partecipate per condividere e scambiare le vostre esperienze,
le vostre storie e i vostri desideri.
Mandaci una mail a [email protected].
SPAZIO APERTO
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ar
C'era una volta il mondo di tutti,
neri o bianchi, belli o brutti,
lì ognuno senza essere stanco
dava una mano a chi aveva di fianco.
Ognuno faceva quel che sapeva fare
e anche agli altri provava a insegnare,
così tutti quanti diventavano migliori,
comuni le gioie e comuni i dolori.
Con te che leggi devo essere sincero,
un mondo così non è mai stato vero,
esiste nei sogni e ci sta anche stretto,
ma io, ingenuo, sono qui che aspetto.
Siamo tutti un po' furbi, un po' prepotenti,
bisogna essere i primi, diventare potenti,
si pensa ai soldi, ai propri interessi
e tutto ruota intorno a noi stessi.
In fondo le mie sono solo parole,
ci vuole coraggio a essere migliore,
però ho avuto la fortuna di vedere
chi aiuta gli altri senza farlo sapere.
Finché ce n'è uno si può sperare,
se ci impegnamo ce la possiamo fare
e neri o bianchi belli o brutti
vivremo insieme nel mondo di tutti.
du
e
Il mondo di tutti
LAVA
&
RETO
vi augurano Buona Pasqua
AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 23
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La gente è il più grande spettacolo del mondo e non si paga il