agorà ANNO 6 - N° 19 MARZO 2013 ® ph: Umberto Mosca I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI La gente è il più grande spettacolo del mondo e non si paga il biglietto. Charles Bukoski Direttore responsabile rivista Francesco Laurenzi AuTOrIzzAzIONE DEL TrIBuNALE DI L’AQuILA N°3/08 DEL I grANDI rACCONTI DI PICCOLI PAESI 4/07/2008 ASSOCIAzIONE AgOrà Casetta di legno c/o campo sportivo comunale - 67010 Barete (AQ) tel. 366.1817832 www.associazioneagora.net - email: [email protected] C.F.: 93043020663 Presidente Umberto Mosca Vicepresidente Giovanna Giangrossi Consigliere Francesca Mozzetti Consigliere Romina De Ruosi Segretario Marino Cheli Associati Agnese Laurenzi; Andrea Giangrossi; Antonella Sabatini; Berardino Di Cola; Gianluca Ruggeri; Giuliano Di Paola; Jessica Federici; Patrizia Resta; Simone Curtacci; Tamara Pace Agorà ha un obiettivo, forse ambizioso, ma nel complesso realistico: farsi portavoce delle esigenze e dei concreti problemi del territorio, senza alcuna preclusione, politica o personale che sia. Per realizzarlo, la redazione ha deciso di creare un «filo diretto» con i cittadini: chiunque voglia far sentire la propria voce, in merito ad un problema reale, può mandare una e-mail al seguente indirizzo: [email protected] sommario Agorà è disponibile ad accogliere inserzioni pubblicitarie di ogni genere, nonché adesioni di nuovi soci disponibili a spendere una parte del loro tempo nella valorizzazione del territorio. 3 4 6 8 12 16 Agorà Editoriale Notizie Flash Primo Piano I piccoli Comuni Spazio alla Cultura Personaggi 18 19 20 21 22 23 Appuntamento al cinema Mani in pasta Pensieri di carta Parliamo di sport Chiedilo a Carla Spazio Aperto Per sostenere le attività di Agorà: IBAN: IT 53 Q 08327 40460 000000007144 Potete inoltre sostenerci destinandoci il 5 per mille CODICE FISCALE 93043020663 2 AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI EDITORIALE “In Italia muore una donna ogni 2 giorni” Un affermazione forte, forse anche troppo, ma la più adatta per cominciare ad affrontare un argomento tanto sentito quanto sottovalutato da opinione pubblica e istituzioni al giorno d’oggi. Viviamo in un paese definito “civile”, con leggi e diritti ritenute “moderne”,eppure ancora oggi nel 2013 ci troviamo di fronte a casi sconcertanti di violenza gratuita, classificata come “Violenza D’Amore”. Come può una donna essere uccisa per amore,come può subire soprusi e abusi, fisici e psicologici,in nome di un sentimento tanto puro? La verità è che nei carnefici, perché in queste situazioni di carnefici si tratta, cresce qualcosa di oscuro, un desiderio latente di affermazione della propria supremazia sentimentale, fisica e sessuale, che brucia l’amore, lo cambia, lo profana. Nel tentativo di autoaffermazione questi individui dimenticano ciò che ogni tipo di etica sociale impone, dimenticano se stessi e con questo la propria natura umana, diventano animali con il solo scopo di imporre con ogni mezzo la propria ragione e il proprio predominio. Per quanto il mondo sembri andare avanti e progredire, di fronte ad atti di tale viltà ci si rende conto di quanto a volte sia utopistico parlare di uguaglianza di sessi. Nonostante negli ultimi anni si sia assistito ad un radicale cambiamento della società, qualcosa nell’ “oscurità dei corpi” continua a squilibrare il rapporto uomo-donna, reminiscenze del passato che ben radicate vengono fuori nel modo peggiore, finendo spesso in tragedia. Non è l’amore che uccide ma una società malata, che nel corso della storia ha sempre posto in secondo piano bisogni necessità e diritti femminili. Il primo passo da compiere, quindi, sarebbe quello di cercare di modificare le culture dove l’uomo ha ancora una posizione dominante e troppi privilegi da difendere. Se in questa “moderna” nazione muore una donna ogni due giorni non è difficile ipotizzare cosa accada a donne e bambine che non hanno avuto la fortuna di nascere nella parte di mondo ritenuta “perfetta”. La violenza compiuta sulle donne, è violenza che nasce in primo luogo nelle mura domestiche, casi di questo tipo ogni giorno vengono sepolti sotto l’ombra del silenzio, per un senso di paura, pudore ma anche di speranza in un cambiamento che non avviene mai. Le donne si sottomettono, si sacrificano per il proprio uomo ottenendo solo un vuoto interiore che non sarà mai colmato con l’amore che meriterebbero. Proprio per rompere questo muro di silenzio sono cominciate a nascere le prime Associazioni Anti-violenza e istituita,nel 1981, la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Non a caso la data fu scelta in ricordo del brutale assassinio del 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l'impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell'arretratezza e nel caos per oltre 30 anni. Ogni associazione, ogni manifestazione, ogni campagna rappresenta una battaglia vinta dai centri antiviolenza contro questo stridente silenzio che svilisce la società, la degrada, rendendola infima. Questi avvenimenti, non servono a ricordare che la donna subisce violenze ma che uniti e compatti si possa fare qualcosa di concreto affinchè queste cessino, che si può ambire a una realtà concreta di parità e uguaglianza e non a un utopistico esempio di civiltà. Il mondo ha assistito commosso il 14 febbraio al “One Billion Rising”, abbiamo visto donne, e uomini, ballare uniti e sorridere per una causa in cui credevano, volti al cambiamento “Un miliardo di donne violate è un’atrocità un miliardo di donne che ballano è una rivoluzione” Queste le parole di Eve Ensler, autrice de I monologhi della vagina, attivista e fondatrice del V-Day e promotrice dell’evento. Per la sua rivoluzione la signora Ensler ha avuto il grandissimo merito di saper rappresentare un problematica secolare con un tipo di manifestazione “giovane” come è quella del flash mob, in grado di coinvolgere ragazzi in tutto il globo. I giovani rappresentano ciò che saremo, ciò che sarà il mondo,rappresentano la vera soluzione del problema, l’unico mezzo di cambiamento di una cultura che predilige l’uomo e continuerà a farlo se non si cambiano le cose. Bisogna lottare lì dove la violenza può essere distrutta, nelle scuole negli oratori, nei parchi giochi, bisogna promuovere ad ogni costo campagne di sensibilizzazione,di informazione, di prevenzione, partite di calcio, concerti e flash mob, qualsiasi cosa con lo scopo di coinvolgere il nostro domani. Eve Ensler ambiva a far ballare 1 miliardo di persone, non so se fossero un miliardo, ma so che per alcuni minuti il mondo non ha avuto nè confini né nazioni, che a ballare c’erano uomini e donne di ogni fede e di ogni etnia europei, asiatici, africani, cristiani, islamici induisti. Nulla contava, contava il ballo e ciò che rappresentava. Erano loro la musica e il mondo, erano vita, erano melodia e per un po’ quel silenzio è stato infranto da una schiera di danzanti. Patrizia Peretti ONE BILLION RISING AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 3 NOTIZIE FLASH "Quando si guarda la verità solo di profilo o di tre quarti, la si vede sempre male. Sono pochi quelli che sanno guardarla in faccia." Agnese Laurenzi gennaio febbraio Il giorno 21 gennaio, presso il ristorante, "La Via dei Carrettieri", si è riunita la congrega di Barete, in occasione di S.Agnese, ed ha eletto le seguenti cariche per l'anno 2013: Presidente: Gioia Adelmo Vice Presidente: De Santis Antonio Ju Segretariu a Vita: Laurenzi Antonio La mamma...: Santucci Loredana Lima Sorda: Santucci Vito La Lavannara: Lantero Bruno Ju Nzellusu: Romano Giacinto Ju Rattusu: Curtacci Simone Ju Taglia, Cuci, Ricama e Rattoppa : De Ruosi Romina Capisciò: Ruggeri Anselmo Ju Traffichinu: Ruggeri Mario Lengua zozza: Mancini Anna Umberto Mosca 4 AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI I giorni 24 e 25 febbraio si sono tenute le elezioni nazionali per eleggere il nuovo parlamento e il nuovo governo, dopo la fase di transizione con il governo Monti. In Abruzzo c’è stata in generale una leggera vittoria del centro destra sul pd e sul movimento 5 stelle, quest’ultimo in ogni caso, come in tutto il paese, ha riscosso un notevole successo. Un in bocca al lupo agli eletti, con la speranza che possano rappresentare al meglio gli interessi della popolazione.. Giovanna Giangrossi NOTIZIE FLASH “Cavallari tunnu tunnu co tre case, quattro co gliu furnu...” (detto tratto dal sito www.cavallaridipizzoli.it) Cari lettori vi ricordate il Fontanile dell’Ara del Colle? Questa volta sempre insieme a Fiorenzo Perilli andiamo a scoprire una delle ultime testimonianze della vita contadina di un tempo: il forno comunale di Cavallari. In un pomeriggio ventoso decidiamo di andare a trovare il Signor Luigi Paris, che con molta dedizione e gelosia, custodisce, insieme agli abitanti, il forno. Come ci suggerisce il titolo, Cavallari è un paese minuscolo raccolto in una piccola valle adiacente al fiume Aterno ed è, come ci viene simpaticamente suggerito dai suoi abitanti, uno dei borghi più belli di Pizzoli. Le testimonianze del passato sono tutte raccolte in un pugno di case e passeggiando per il paese, al centro della piazzetta di Via Colli, si incontra il "pilone" che veniva utilizzato per lavare i panni e abbeverare il bestiame ed il vecchio forno dove le donne si affannavano nell’aria fragrante di pane mentre i bambini giocavano nella piazzetta e aspettavano ansiosi i biscotti appena fatti. Il forno di Cavallari, costruito tra la fine dell’800 e gli inizi del 900, è uno degli ultimi forni comunali rimasti sul territorio. Decidiamo così di farci raccontare dal signor Luigi come veniva utilizzato: “… date le modeste dimensioni, le famiglie di Cavallari, una volta scaldato, facevano a turno per cuocere pane, dolci, biscotti, ecc. Viste le dimensioni ridotte dell’ambiente, al centro c’è una pietra che serviva da base per l’appoggio della tavola utilizzata come ripiano per trasportare il pane al forno”. Come in tutte le piccole realtà questo edificio rappresentava, soprattutto per le donne e le mamme, un luogo dove scambiare due chiacchiere, fare conoscenze e alleggerire la mente dai pensieri della vita quotidiana. Vista l’importanza che questo luogo ha rappresentato in passato, a questo punto sorge spontanea una domanda: viene ancora utilizzato? Ed è con grande orgoglio che il Signor Luigi ci risponde che durante il periodo estivo il forno riprende a funzionare come una volta, coinvolgendo sia la comunità locale sia i molti curiosi attirati da questa tradizione. Proprio com’era in passato, il forno rappresenta ancora oggi il luogo di ritrovo, di incontro per i residenti. Prima di salutarci Fiorenzo da grande appassionato per il recupero della storia e delle tradizioni popolari dei nostri territori auspica un intervento delle autorità competenti affinché questo luogo venga recuperato per tramandare questa tradizione di generazione in generazione. Salutando e ringraziando Luigi e Fiorenzo, non possiamo far altro che unirci a questo auspicio. Jessica Federici Marino Cheli laquilaoggi.net il nuovo e primo quotidiano on-line fondato sull'interazione con il pubblico Nasce L'AquilaOggi, il nuovo quotidiano on-line del capoluogo abruzzese che potrete visitare sul sito www.laquilaoggi.net. L'AquilaOggi, fondato da Ludovica Aristotile ed Enrica Mucciante, darà la possibilità a chiunque voglia di scrivere i propri articoli riguardanti qualsiasi argomento e di caricare le foto ed i video scattatati dagli utenti sul quotidiano. Inoltre ci sarà un'area in cui si potrà discutere delle problematiche riguardanti la città dell'Aquila, ciò che i cittadini vorrebbero cambiasse e ciò che invece gli piace. L'AquilaOggi si fonda sulla partecipazione e sul contatto diretto con le persone, che non solo vi terrà aggiornati quotidianamente sulle news aquilane con reportage ed inchieste ma soprattutto permetterà a chiunque voglia di scrivere e di esprimere le proprie idee ed opinioni nella più completa autonomia e libertà perché come cantava Giorgio Gaber “ Libertà è partecipazione”. Allora non ci resta che visitare il sito www.laquilaoggi.net. Ludovica Aristotile AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 5 PRIMO PIANO Il Papa Benedetto XVI “umile lavoratore nella vigna del Signore” Un gesto straordinario ma per lui, per il papa emerito Benedetto XVI, un gesto quasi normale. Straordinario certamente perché, anche se il Diritto della Chiesa lo prevede, le dimissioni di un papa non sono una prassi consolidata nella Chiesa Cattolica. Normale, però, per Benedetto che, sin da subito, si è dichiarato un “umile lavoratore nella vigna del Signore”. E va da sé che quando il lavoratore ha le è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare. Ed è per questo che oggi il mio cuore è colmo di ringraziamento a Dio perché non ha fatto mai mancare a tutta la Chiesa e anche a me la sua consolazione, la sua luce, il suo amore”. Certamente siamo stati tutti scossi da portata storica, così da diventare uomini e cristiani migliori rispetto ad oggi. Sarebbe bello che, anche nelle nostre piccole comunità parrocchiali, sia i sacerdoti che i battezzati percepissero sempre più il proprio appartenere alla Chiesa secondo l’insegnamento di Benedetto: umili lavoratori. Sarebbe bello che, anche nei nostri Comuni, nei partiti politici, nelle associazioni, nelle Pro-loco, questo gesto braccia fiacche smetta di lavorare nella vigna. Normale per lui che ha sempre avuto chiaro nel cuore che la Barca che era stato chiamato a guidare non era la sua. E lo ha ricordato nell’ultima udienza di mercoledì 27 febbraio: “Ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; questa scelta del papa, ma dimostreremo l’affetto vero verso di lui e verso la Chiesa se ci lasceremo scuotere ancora dalle sue dimissioni. Sì, perché il rischio più grande è che dopo l’onda di emozioni che hanno accompagnato la rinuncia al papato, tutto ritorni come prima. La vera sfida, invece, sta nel continuare a lasciarci provocare da questo gesto di spronasse tutti coloro che ne fanno parte, a sentirsi collaboratori del bene delle nostre comunità e non magari, come a volte succede, quasi ‘padroni’ di esse. Questo sarebbe il modo più bello per onorare Benedetto XVI che, in questi giorni, anche chi lo ha sempre guardato con sospetto, ha scoperto essere un grande uomo, plasmato da Dio, che ha saputo rinunciare al papato mettendo 6 AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI PRIMO PIANO Per noi, che abbiamo l’onore di custodire all’Aquila, un altro santo dimissionario, Celestino V, non succederà di dimenticare la rilevanza di tale gesto per la nostra vita e allora, anche grazie all’esempio di B16 (così lo chiamano i giovani delle Gmg), ci sentiremo più responsabili della costruzione di una società più giusta e fraterna.. completamente da parte sé stesso per un bene più grande. Le dimissioni di papa Benedetto, dunque, hanno evidenziato una modalità, forse l’unica degna, di far parte della Chiesa e del mondo che se, attuata, potrebbe davvero far progredire queste due realtà. La Chiesa nel ritornare ad essere sempre più fedele agli insegnamenti del suo Fondatore, Gesù, e il mondo, a partire dalle nostre comunità, nel mettere sempre al centro, prima del proprio, il bene di tutti, il bene comune. Don Claudio Tracanna Parroco di Pizzoli/Direttore periodico ‘Vola L’Aquila’ AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 7 I PICCOLI COMUNI Barete Inaugurata LA BIBLIOTECA A BARETE Il 6 gennaio 2013, a Barete, è stata inaugurata la biblioteca comunale intitolata a don Celestino Capanna: erano presenti il Sindaco Leonardo Gattuso, l’Assessore alla Cultura Claudio Gregori, il Vescovo Mons. Giuseppe Molinari, la prof.ssa Elda Fainella del Centro Studi Sallustiani e numerosi cittadini. L’inaugurazione è stata preceduta dalla Santa Messa e dal ricordo toccante che la prof.ssa Domenica Longhi ci ha lasciato di don Celestino: senza indulgere minimamente alla retorica, con parole semplici e commoventi, è venuto fuori il ritratto incisivo di un sacerdote che ha rappresentato, e per tanti versi rappresenta, un pezzo importante di storia baretana. La giornata inaugurale è stata l’occasione altresì per mettere in comunione alcuni aspetti di un progetto che, in prospettiva, si pone un obiettivo ambizioso, e cioè di realizzare una biblioteca a carattere ge- 8 neralista capace di innervarsi sul territorio, e capace soprattutto di coordinarsi con altre iniziative già attive nell’ambito dell’hinterland aquilano. Il cuore della biblioteca è costituito da libri già acquisiti negli anni dal Comune di Barete, rimpinguati tramite donazioni della Curia, del Senato e del Centro Studi Sallustiani. Sfogliando il catalogo, opportunamente informatizzato, il lettore può accedere ad un ventaglio alquanto ampio di offerte: poesia, narrativa, storiografia locale e nazionale, opuscoli di viaggio, guide, testi scientifici e divulgativi. Alcuni libri collocati negli scaffali hanno soprattutto un valore simbolico, ma coesistono, in una sorta di affascinante puzzle, con pubblicazioni di un certo pregio scientifico (ad esempio, le donazioni del Senato) oppure con vere e proprie “chicche” come la storia della letteratura di Ugo Mursia, un’opera che rappresenta, AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI già presa di per sé, un valore aggiunto per la biblioteca. Inoltre, il catalogo elettronico, creato dall’ing. Dante Serani, consente di svolgere ricerche per autore e per titolo, nonché di gestire, con relativa facilità, i prestiti agli utenti, uno delle funzioni di maggiore complessità per una biblioteca locale generalista. Tuttavia, un catalogo informatizzato e l’impegno del Comune non sono sufficienti a far vivere e prosperare una biblioteca. Come un fiore ha bisogno costantemente di acqua, altrimenti appassisce e muore, allo stesso modo una biblioteca necessità di cure costanti e di amore per i libri, e la realtà di Barete, fatta di un tessuto vario e articolato di associazioni, non dovrà far mancare a questo progetto appoggio, sostegno e, soprattutto, competenze. Gilberto Marimpietri I PICCOLI COMUNI Barete L’Associazione Agorà organizza: AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 9 SPAZIO ALLA CULTURA ARTE, CULTURA E SPERIMENTAZIONE DAL 1984 MU.SP.A.C. uno spazio per la città Nata nelle mani e nei pensieri di Enrico Sconci l’idea, che prende vita nel 1984 con il nome di Associazione Culturale Quarto di Santa Giusta, è legata alla riqualificazione del Centro storico. In seguito a numerosi studi e ricerche su quanto fossero, in passato, separate le idee del mondo accademico rispetto alla quotidianità vissuta dalla città aquilana, ha preso vita l’idea di creare uno spazio aperto simbolo di aggregazione culturale e artistica. Da un vicolo del centro storico questa coscienza critico-culturale, legata alla città, ha ospitato numerosi artisti negli anni Ottanta e continua oggi, passando come un fil rouge nelle mani di Martina Sconci ad emozionare ed arricchire le giornate dell’arte locale e internazionale. Numerosissime sono le pagine di nomi dell’arte internazionale che hanno collaborato alla stesura di questo prezioso progetto che mette a disposizione attività pluridisciplinari nell’area delle tradizioni popolari, l’antropologia e l’arte 12 contemporanea. In un mondo commerciale e in un ambiente volto all’industrializzazione e alla globalizzazione della cultura, è un raggio di sole rassicurante scoprire che esistono luoghi raffinati in cui gli artisti riescono ad esprimersi e a portare la loro arte, locale o no che sia, ad un livello elevato. Entrando nella nuova sede, creata in seguito al Sisma che ha colpito la cittadina nel 2009, il pavimento nero fa risaltare le pareti bianche, in cui risplendono le opere esposte di molti nomi internazionali e dall’odore del legno del palcoscenico si ha la continua sensazione che un attore canti in versi la propria arte. Questa illusione scenica è arricchita dai cittadini che entrando, in qualunque giorno della settimana, possono ritrovarsi a contatto con la semplicità e il calore che solo l’arte creata per l’uomo sa dare. Oggi più di ieri è importante, in particolar modo in una città disorientata, creare stimolanti luoghi di incontro per respirare insieme un po’ della storia passata (fruibile attraverso le arti figurative e la fotografia d’epoca) e scambiarla attraverso incontri e dibattiti non solo a livello artistico-culturale ma soprattutto a livello umano. La tradizione orale e scritta come momento per capire numerose sfaccettature di una società spesso sottovalutata. In questo mondo di valori perduti o difficilmente recuperabili, al M.U.S.P.A.C., sono al sicuro da ogni possibile tentativo AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI di deculturazione. J.Beuys, J. Kounellis, Fabio Mauri, Mario Merz, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto, sono solo alcuni nomi legati al Museo Sperimentale d’Arte contemporanea. Nomi e artisti che hanno contribuito e che contribuiscono ancora ad arricchire le giovani generazioni locali. Esistono poche definizioni in grado di spiegare cos’è la cultura ed in genere non occorre neppure sedersi a concettualizzare un pensiero per molti versi astratto. In generale ci si riferisce alla cultura come a quella concezione della realtà e quella sensibilità ad essa, socialmente acquisita o indotta, che orienta gli individui nelle diverse situazioni che si offrono loro per l’esistenza. Esse si costituiscono nei gruppi sia per effetto delle esperienze personali sia per effetto della tradizione. All’Aquila c’è un posto in cui questa spiegazione così latente prende vita e l’individuo ne partecipa in quanto membro di un gruppo sociale narrato ben preciso. Il Museo d’Arte Contemporanea sollecita e interiorizza l’arte trasformandola in strumento per l’azione e lo sviluppo di una coscienza critica individuale e collettiva e lo fa dal 1984. Martina Corsi SPAZIO ALLA CULTURA Diamanti insanguinati Quando si pensa ad un diamante inevitabilmente non si può che immaginare la bellezza, la rarità di questa splendida pietra che può costare anche milioni di euro. Le persone ricche lo sfoggiano nei loro salotti, gli amanti lo regalano come simbolo di amore eterno ai propri amati, ignari di ciò che per lungo tempo si consumò per il commercio dei diamanti, che da pietre preziose divennero ben presto pietre, belle sì, ma insanguinate. Questa è una storia tragica e cruenta che avvenne non molti anni fa nella più completa indifferenza dei media mondiali in Sierra Leone, un piccolo Stato nell'Africa occidentale sulla costa dell'oceano Atlantico. Esso oltre ad essere un Paese dotato di un paesaggio magnifico con acque cristalline e lunghe distese di sabbia bianca è soprattutto ricco di diamanti. Negli anni trenta del XX secolo un gruppo di geologi inglesi trovò dei giacimenti diamantiferi nelle giungle della Sierra Leone, i minatori hanno estratto alcuni tra i diamanti più preziosi del mondo dai piccoli pozzi fangosi sparsi nella foresta pluviale della zona. Questi frammenti di cristalli lattei di carbonio sono poi trasformati nei preziosi gioielli sfoggiati su tutti i polsi, i colli e le orecchie di persone che non sanno delle uccisioni avvenute in Sierra Leone per il commercio dei diamanti. Nel 1990 le truppe dei ribelli del RUF, il Fronte Rivoluzionario Unito, occupano la città di Freetown, capitale della Sierra Leone e con la scusa di far cadere l'allora governo dittatoriale incominciano a seminare terrore tra la popolazione della Sierra Leone, il loro obiettivo era in realtà impossessarsi dei giacimenti diamantiferi. In breve tempo uccidono migliaia di persone, prelevano i bambini di appena nove, dieci anni alle loro famiglie e li costringono ad uccidere imbottiti di cocaina per evitare che potessero provare compassione o tenerezza. Le persone della Sierra Leone, furono obbligate dal RUF a lavorare nei giacimenti diamantiferi e chi si oppose subirono le mutilazioni degli arti. La guerra durò dal 1990 al 2001 e si consumò nella più totale indifferenza dei media mondiali. Per il commercio illegale di diamanti morirono più di 800.000 persone. Attualmente le grandi catene di gioielli nell'acquisto dei diamanti devono sottoscrivere dei certificati che queste pietre preziose non provengono da zone di guerra. Ludovica Aristotile AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 13 SPAZIO ALLA CULTURA Architettura ambientale: le costruzioni degli animali e la capacità dell’uomo di apprendere dalla natura In questi ultimi tempi si è assistito ad un processo di valutazione critica da parte della comunità scientifica con il rimodellamento dei principi, dei processi e dei metodi di interpretazione e progettazione degli elementi antropici. Si è cercato in pratica di analizzare una visione ecosistemica della realtà che può permettere di trasmettere il complesso delle regole che sono alla base della vita dei sistemi naturali nell’architettura artificiale umana. Sono esistiti animali architetti molto tempo prima dei tentativi rudimentali di costruzione dell’ Homo Sapiens; non dobbiamo stupirci se le strutture animali hanno superato e superano tutt’oggi quelle umane per funzionalità, adattamento ecologico, solidità strutturale, efficienza energetica, di gestione delle risorse e precisione nell’esecuzione. Elemento basilare di lettura e riflessione su questo tema è l’acquisizione della consapevolezza che la natura ha sviluppato nel corso dell’evoluzione un’incredibile molteplicità di strategie di impiego e di utilizzazione delle risorse a disposizione in modo compatibile ad impatto zero. Sono noti ormai da tempo i meccanismi ed i processi grazie ai quali le strutture fisiche degli esseri viventi riescono ad adattarsi alle più diverse e complesse situazioni climatiche della terra: dai cambiamenti climatici, alle condizioni fisiche, geografiche e territoriali pluri-esistenti nell’ambiente. 14 Frank Lloyd Wright scrive “I lavori della natura sono belli ed efficienti; i materiali utilizzati, i sistemi strutturali, la capacità di adattarsi ad ogni tipo di clima e di rispondere alle crisi ambientali fanno di queste strutture naturali esempi eccellenti a cui possono e devono far riferimento gli studi dell’architettura dell’uomo” permettendo di comprendere che gli animali hanno saputo e sanno acquisire nozioni nel corso dell’evoluzione e quanto noi come specie possiamo comprendere ed impiegare. Tra le più grandiose costruzioni erette da singoli animali ci sono sicuramente le costruzioni idriche di sbarramento dei castori con alcuni esempi di 1,5 Km di lunghezza e la complessa ragnatela impiegata dalle diverse specie di ragni. La rondine caratteristica del periodo primaverile impiega il fango come materiale da costruzione e localizza il proprio nido in luoghi in cui difficilmente altri volatili nidificano e in quei luoghi che ritengono sicuri dai predatori e dagli agenti atmosferici. Trasforma il fango in creta con il becco e fissando commisto a petali di fiore in modo da creare un involucro di notevole isolamento termico con temperatura interna maggiore rispetto a quella esterna. La realizzazione prevede dispendio di tempo e di energia ma il risultato è un involucro resistente per molti anni. La fibra di seta del ragno a base di cheratina, sostanza ritrovabile anche nei capelli, nei peli e nelle corna degli animali rende elastica e resistente il filo impiegato da tali animali per le loro opere architettoniche complesse. Le capacità della ragnatela sono dovute anche al suo disegno evoluto nel corso di milioni di anni capace di imprigionare le prede e di resistere alla forza delle stesse e del vento. Perciò la ragnatela deve saper assorbire le AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI sollecitazioni sia improvvise che cumulative. Una struttura particolarmente in continua evoluzione nel tempo è il formicaio; struttura soggetta a continuo controllo termoigrometrico e dei livelli di umidità interna e alle costanti riparazioni da parte delle formiche. Le formiche portano costantemente la terra dagli strati più bassi del nido a quelli più alti e viceversa la cui funzione principale è quella di evitare la formazione di muffe all’interno del formicaio attraverso l’asciugatura del terreno umido portandolo all’esterno. Da quanto sopra indicato mettendo in comparazione l’uomo con gli animali si possono evidenziare alcuni elementi di similitudine tuttavia prevalgono le differenze nel rapporto con l’ambiente esterno. Dagli studi di biologi e naturalisti si evi- denzia che un ecosistema è basato sulle interazioni e sulle relazioni e sulla sua capacità di adattamento e di autorigenerazione. In questo quadro l’uomo e i suoi manufatti stanno cercando negli ultimi tempi di porsi come interfaccia di congiunzione piuttosto che come elemento di separazione e di rottura degli equilibri naturali diversamente dal passato cercando di capire dagli animali e dalla natura che li circonda. Dr. Alessio Durastante Tecnico della Prevenzione Servizio Veterinario I.A.P.Z. della A.S.L. 01 di L’Aquila SPAZIO ALLA CULTURA AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 15 PERSONAGGI KENYA: clima temperato molto gradito ai bianchi, “proprietà della Corona”, cacciarono gli indigeni e li costrinsero a vivere LA STRAORDINARIA EREDITA’ DI WANGARI MAATHAI Premio per gli ecologisti della Fondazione Goldman nel 1991, premio Nobel per la pace nel 2004, Wangari Maathai è stata una protagonista instancabile nella lotta per i diritti umani, per l’ascesa delle donne nella vita politica e per la protezione dell’ambiente. Esponente della tribù Kikuyu, la più numerosa del Kenya, nacque nel 1940, a Ihithe, distretto di Nyeri (Provincia Centrale) e, recentemente, è scomparsa il 15 settembre 2011 per un tumore. Percorso formativo I Kikuyu occupano il cuore geografico del Kenya costituito da montagne, colline e pianure. La pioggia è abbondante e i campi rigogliosi. Essi erano e “sono” laboriosi contadini, legati fortemente alla loro terra, e vivevano in simbiosi con essa, come ho potuto osservare durante un viaggio indimenticabile. Wangari, già durante l’infanzia, conobbe le ingiustizie dovute allo sfruttamento coloniale. Gli Inglesi, dopo aver occupato il Kenya agli inizi del 1900, dichiararono gli Altipiani, territorio dal 16 come abusivi nelle terre dei loro padri. Fu un colpo mortale alla dignità e all’orgoglio individuale e tribale della popolazione. Successivamente, per una proficua utilizzazione delle risorse naturali, il governo di Londra incentivò l’emigrazione dei coloni europei in Kenya con la vendita dei terreni a basso costo. Così sorsero tante fattorie con piantagioni di caffè, thè ed altri prodotti agricoli. Il romanzo di Karen Blixen “La mia Africa” rispecchia la realtà socio-economica della colonia britannica. Wangari frequentò le scuole cattoliche e, colpita dagli ideali delle missionarie, ne abbracciò la religione. Nel 1960 conseguì la maturità con ottimi risultati e ottenne una borsa di studio dalla Fondazione Kennedy. Quindi si iscrisse alla facoltà di Scienze Biologiche del collegio Mount St. Scholastica nel Kansas, diretto dalle suore Benedettine, dove conseguì la laurea di primo grado e poi all’università di Pittsburg (Pennsylvania) il master. L’esperienza americana le per- AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI mise di allargare gli orizzonti culturali e di effettuare utili confronti. Nel 1966 ritornò in Kenya. Pur avendo in tasca la nomina di assistente per la ricerca alla facoltà di zoologia di Nairobi, quando si presentò all’università il docente le negò il lavoro. Successivamente sposò un imprenditore con l’ambizione di intraprendere la carriera politica. Nel 1971 riuscì, prima donna in Africa Orientale, a conseguire il dottorato di ricerca e la docenza in anatomia veterinaria. Nel 1977 fu prima in Africa a ricoprire la cattedra di professore associato. Il marito, divenuto parlamentare, la costrinse a divorziare, in quanto era troppo colta, troppo determinata, impossibile da dominare ed aveva raggiunto troppa notorietà. Il coraggio di combattere Negli anni ’70 le tematiche, quali i diritti delle donne, i problemi ecologici, l’uso razionale delle risorse naturali non erano sentiti né compresi. Così nel suo Paese le proposte di Wangari erano frequentemente causa di polemiche e discordie. Col tempo, grazie alla sua tenacia e all’appoggio di organismi culturali nazionali e internazionali, esse riscossero successo. Il 5 giugno 1977, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, piantò 7 alberi in onore di 7 antenati di etnie diverse nel Parco di Kamukunji presso Nairobi. Nacque, così, il Movimento della “Cintura Verde”, che ottenne approvazione e sostegno da associazioni, scuole, chiese. Ovunque sorsero vivai di alberi locali da trapiantare; giunsero contributi economici dalle Nazioni Unite e il Movimento si diffuse. Nel frattempo Wangari veniva diffamata dalla stampa locale legata al governo di Daniel arap Moi e, al contrario, celebrata a livello internazionale. Nel gennaio del 1992 la polizia suonò alla sua porta e le ordinò di seguirla. Ella, invece, si barricò in casa. Dopo tre giorni le forze dell’ordine sfondarono la porta e l’arrestarono con l’accusa di “dif- PERSONAGGI fusione premeditata di notizie tendenziose, sedizione e alto tradimento”. Trascorse un giorno e mezzo in prigione e su cauzione venne liberata. Il 28 febbraio Wangari e alcune madri di prigionieri politici iniziarono lo sciopero della fame nell’Uhuru Park. Il 3 marzo la polizia le allontanò con la forza; Wangari e tre donne vennero crudelmente picchiate e trasportate in ospedale. Il presidente Moi definì Wangari “una pazza, un pericolo per l’ordine e la sicurezza della nazione”. Come conseguenza, giunsero critiche da tutto il mondo.In seguito, dimesse dall’ospedale, le quattro donne si recarono davanti alla cattedrale anglicana di Nairobi e inscenarono la “maledizione kikuyu”, sollevando le gonne con la schiena rivolta al parlamento”. E’ un tabù rigidissimo nella cultura kikuyu; in caso di interruzione, costituiva la più grande maledizione che una donna poteva lanciare contro qualcuno. Grazie a pressioni internazionali a novembre del 1992 vennero ritirate le accuse e all’inizio del 1993 liberati i prigionieri politici. Risultati Le disavventure non avvilirono Wangari e le sue compagne, anzi rafforzarono le loro convinzioni per il bene delle generazioni presenti e future. Il Movimento si diffuse anche nei Paesi confinanti. Le donne riuscirono a piantare più di 40 milioni di alberi in tutta l’Africa. Secondo Wangari, le guerre nascono per accaparrarsi le risorse naturali sempre più scarse in tutto il mondo, per cui la loro gestione in maniera sostenibile ridurrebbero gli eventi bellici con positivi vantaggi per tutti i popoli. La valorizzazione ambientale e l’armonia ecologica sono valori basilari per favorire la pace. Le 30mila donne e le relative famiglie, che seguivano i suoi principi, avevano piena consapevolezza dei diritti, loro e di tutti, ma soprattutto si sentivano incoraggiate ad addestrarsi nella lavorazione dei prodotti alimentari, nell’agricoltura e silvicoltura, e a pretendere dal governo una politica di prevenzione e riparazione dei danni ambientali. Modello da seguire La nostra eroina rivelò una personalità forte ed equilibrata, superò tanti ostacoli, compì la sua missione lasciando un messaggio originale e straordinario. Sempre coerente ai principi della fede cattolica di servire Dio attraverso il servizio ai fratelli, dimostrò profondo apprezzamento e massimo rispetto per ogni religione. Dal 1952 al 1957 quasi tutte le famiglie kikuyu della Provincia Centrale erano state costrette dall’autorità coloniale britannica a vivere in campi di concentramento, lontano dalle loro capanne, a causa della rivolta dei Mau Mau. Questi, tra l’altro, rivendicavano il possesso della loro terra. Wangari, fin da piccola, aiutava nel lavoro dei campi la mamma che la guidava ad osservare la natura. Il periodo universitario trascorso negli USA le permise di partecipare alle manifestazioni popolari contro la guerra in Vietnam e di conoscere una società diversa, dove ognuno poteva democratica- mente esprimersi.Tornata in Kenya, si sentiva discriminata come donna. Così iniziò il suo attivismo sia nel movimento femminista, sia in quello per i diritti delle donne e per le uguali opportunità. Criticava la società patriarcale come pure il parlamento “maschilista”. Memorabili furono le manifestazioni da lei organizzate contro il presidente Daniel arap Moi e il suo regime, accusati di fare scempio dell’ambiente. Nelle elezioni del 2002 vinse il seggio di Tetu con una grande maggioranza di voti e il nuovo presidente Mwai Kibaki la nominò viceministro dell’ambiente e delle risorse naturali, a fianco di un ministro “maschio” completamente privo di preparazione in merito. Nessun uomo politico keniano partecipò alla cerimonia per la consegna del premio Nobel per la pace. Le esperienze vissute nella campagna kikuyu senz’altro influirono a dar vita al Movimento della Cintura Verde. Oggi, grazie alla sua sensibilizzazione, la connessione tra equilibrio ecologico, l’uso delle risorse e la risoluzione dei conflitti risulta molto chiara, come pure la relazione tra diritti umani, democrazia e pace. Purtroppo in passato non era così. Ella non si fermava ad osservare solo i sintomi di un problema, ma cercava le cause reali per trovare una soluzione giusta e adeguata. Questi sono gli insegnamenti di una donna coraggiosa, intellettuale e combattente che lascia in eredità all’Africa e al mondo intero. Antonio Patavino Foto gentilmente concesse dall’archivio Nigrizia di Verona. Si ringrazia vivamente la Direzione. AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 17 APPUNTAMENTO AL CINEMA Django Unchained, film di Quentin Tarantino con: Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio, Samuel L. Jackson e Kerry Washington. Prodotto dalla Columbia Pictures e distribuito in Italia dalla Sony Pictures nel gennaio 2013. Durata 165 minuti. Le vicende si svolgono nel sud degli Stati Uniti, poco prima della guerra di secessione. Il film narra la storia dello schiavo Django Freeman (Jamie Foxx), che liberato dallo strambo dentista tedesco Dr. King Schultz (Christoph Waltz), lo aiuterà nella ricerca di alcuni pericolosi ricercati. Infatti la vera professione del Dottore è quella del cacciatore di taglie. Django imparerà il mestiere per vendicarsi dei suoi padroni schiavisti e ritrovare la moglie, Broomhilda Von Shaft (Kerry Washington), da cui fu separato e venduto. Dopo aver intascato numerose taglie i due possono mettersi in viaggio per liberare la moglie di Django tenuta prigioniera dallo spietato negriero e possidente Calvin Candie (Leonardo DiCaprio) in Candyland. Il western, forse, è il genere più adatto per raccontare una storia d’amore a tinte pulp in stile Tarantino. Nel profondo sud, senza precise collocazioni spaziali, si fanno largo un uomo tedesco, che si sente responsabile delle conseguenze di aver dato la libertà ad uno schiavo e un Django che assapora la libertà per la prima volta. Lo schiavismo, infatti, è 18 un tema che fa da contorno alla storia e ne è la traccia che lo caratterizza nello stesso tempo. Trattato in termini crudi, il film, è un urlo di rabbia contro lo schiavismo, che è divenuto per anni una pratica scontata. In particolar modo nelle piantagioni di cotone del sud, che hanno visto i bianchi batuffoli macchiarsi del sangue di schiavi di colore. Nel film però c’è anche una storia d’amore, che ricalca un’antica leggenda tedesca e dei momenti veramente divertenti ed esilaranti, come le scene della preparazione alla scorribanda del ku klux klan. Il film, districandosi abilmente tra questo dipanarsi di azione, romanticismo, umorismo e scene crude riesce a non annoiare mai durante la sua visione e crea nello spettatore un crescendo di emozioni che raggiungono l’apice nel finale. La regia di Tarantino è senza ombra di dubbio straordinaria in ogni suo aspetto, non risente di alti e bassi ma è un continuo salendo. Una vera lezione di cinema. Il regista adotta tecniche come le “zoomate” per presentare i personaggi, tecnica ormai personale del regista e che omaggia il genere del western all’italiana. Il classico stile alla Tarantino, teso e frenetico, si introduce con gradualità nel film. Infatti riesce a dare un’ impronta personale velata e costante in tutto il film accentuandosi con epicità verso il finale. In questo modo riesce a trasportare con naturalezza lo spettatore nelle vicende di Django e del Dr. Shultz. L’intero cast non è da meno. Performance di rilievo quella di Christoph Waltz, nominato ai premi Oscar per miglior attore non protagonista con l’interpretazione del dottor Shultz. Dottore che insegnerà a Django come sporcarsi per perseguire il suo obbiettivo rimanendo però distante dalla crudeltà. Ottima prova anche per Leonardo DiCaprio, che con Samuel L. Jackson, forma una perfetta coppia padrone schiavo, uno più crudele dell’altro. DiCaprio incanta e fa rabbrividire per la sua disumanità e per il suo essere “sporco”, il suo sorriso avido e i suoi denti macchiati sono la metafora del marcio interiore. Lo sguardo rabbioso del “capo negro” di casa Candie, Samuel L. Jackson, ne caratterizza un personaggio vecchio e sprege- AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI vole. Lo stesso regista, come è solito fare, si ritaglia una piccola parte nel film. Quentin Tarantino per le musiche prende, com’è nel suo stile, da pezzi di storia cinematografica che vuole onorare. Infatti la colonna sonora annovera Luis Bacalov e Ennio Morricone in brani western da repertorio. Si vanno ad affiancare a questi anche composizioni originali di Morricone ed Elisa e pezzi hip-hop scelti ad hoc. La musica è quasi sempre presente in tutte le scene del film. Tarantino confeziona l’intero film come un enorme omaggio al cinema dello spaghetti western, genere molto amato dal regista. Sin dall’inizio, dal carattere dei titoli di testa e dalla musiche, con le note del maestro Luis Bacalov, infatti, torna alla mente in pochi secondi il capolavoro di Corbucci datato 1966, Django con Franco Nero. Anche se con il film di Corbucci la trama ha poco a che fare, un sempre carismatico Franco Nero fa un meraviglioso cameo con un piccolo dialogo tra i “due” Django. Ma le citazioni, come in ogni film di Tarantino che si rispetti, sono molteplici ed ogni inquadratura non è lasciata al caso. Tutto è studiato con cura maniacale e perizia. Si passa da un cappio, che la telecamera in movimento fa “scivolare” delicatamente su un Django a cavallo con un gioco di prospettive, alla sequenza finale con Samuel L. Jackson e alla mente dello spettatore attento tornano le vicende di Tuco e il biondo nel il buono il brutto e il cattivo dell’amatissimo Sergio Leone. Le musiche non fanno altro che condurre lo spettatore per mano in un mondo di citazioni sempre più crescenti fino ad arrivare ad un brano che credo ogni persona abbia visto il film abbia riconosciuto durante la sequenza finale. Il risultato complessivo è senza dubbio un grande successo, è il film del momento. Un film dai contenuti molteplici e che fa prendere allo spettatore ciò che più gli concerne. Usciti dalla sala regala una grande carica e la sensazione di aver visto qualche cosa di leggendario. Personalmente, da grande amante dello spaghetti western, non credevo di poter vivere al cinema sensazioni simili. Emozioni vissute solo durante la visione dei capolavori di Sergio Leone che mi ricorda un tempo in cui i grandi registi italiani insegnarono ad Hollywood il significato della parola epico. Angelo De Santis MANI IN PASTA “La Pupa e…. il cavallo” Sembra quasi che la segnalazione in rosso sul calendario serva a ricordarci: “E’ ora di mettersi ai fornelli!”. Non a caso, da sempre, in Italia la parola festa è legata alla parola cibo, il quale non svolge solo una funzione alimentare, bensì è il mezzo più bello per riscoprire tradizioni e ricordi e ritrovare attorno ad un tavolo la gioiosa sensazione di unità e calore familiare. La Pasqua, di tutte le feste religiose, è quella che più si presta a una serie di rituali legati alla gastronomia: a cominciare dal digiuno, o dall’eliminazione momentanea della carne dalla dieta, per culminare nel giorno della festività con un trionfo di dolci e pranzi luculliani che ricompensano le privazioni dei giorni precedenti. L’apertura delle “danze” è il rituale della colazione di Pasqua abruzzese ricca di ogni tipologia di cibo dal dolce al salato. Si comincia con le uova sode benedette dal sacerdote, e con la frittata, ottenuta dalle stesse, si passa poi ai fiadoni, un composto a base di pasta, zucchero e uova, con ripieno di formaggio fresco e zucchero, ornato all’esterno con la stessa pasta, simili ad un piccolo panettone, nel pescarese vengono chiamati è “lettere d’amore” per la loro particolare forma, gli angoli della pasta sono ripiegati verso l’interno come una lettera d’amore che contiene parole dolci. Si accompagna tutto con il salame casereccio e la pizza di pasqua, simile al pane morbido che riesce ad accompagnare sia cibi dolci che salati. Non dimentichiamoci della colomba pasquale: il simbolo per eccellenza della pace. Nella tradizione veniva regalata la domenica della Palme insieme al ramoscello d’ulivo benedetto, in segno di prosperità e pace. Nella tradizione abruzzese è composta da pasta di mandorle. Oggi si trova per lo più con la pasta lievitata. In alcune zone si producono dolci a forma di ciambella che nella forma rievocano la corona di spine portata da Cristo. Ma non dimentichiamo il mitico Uovo di Pasqua! Gioia e dolore di ogni bimbo e …non neghiamolo… anche degli adulti che racchiude la bontà del cioccolato, la magia della sorpresa e la voglia di tornare un po’ bambini che c’è in ognuno di noi. L’uovo che sia di cioccolata, sodo o impastato è da sempre il simbolo di rinascita e fecondità. Nell'iconografia cristiana, è il simbolo della Resurrezione, il suo guscio rappresenta la tomba dalla quale esce un essere vivente. Secondo il paganesimo, invece, l'uovo è simbolo di fertilità: dell'eterno ritorno della vita. La tradizione abruzzese mette insieme entrambe le ideologie riservando proprio all’uovo una lavorazione particolare quella della “Pupa” e del “Cavallo”. Questi altro non sono che biscotti lavorati a forma di bambolina e di Cavallo con al centro incastonato nella pasta un uovo sodo con l’intero guscio. Nella tradizione le pupe, per le bambine, e i cavalli, destinati ai maschi, contenevano sulla pancia delle uova sode trattenute dagli incroci fatti con la pasta. In alcuni casi veniva messo nella pupa o nel cavallo un uovo per ogni figlio. Originariamente però la pupa veniva regalata dalla suocera alla novella sposa in segno di prosperità. Per questo motivo sulla pancia della pupa veniva incastonato l’uovo, come simbolo di fertilità. Lo stesso rituale si ripeteva per lo sposo con il regalo del cavallo, simbolo di virilità. Ingredienti: 500 gr di farina 00, 200 gr di zucchero, 3 uova, 1 bicchiere scarso di olio d'oliva, 1 bustina di lievito, vanillina e buccia di limone grattuggiata per aromatizzare uova sode da incastonare Fare la fontana con la farina e al centro sgusciare le uova e impastare con gli altri ingredienti fino ad avere un composto elastico. Poi modellare la pasta negli stampi fino ad ottenere le sembianze di pupa, cavallo, o cuore. Infine decorate a piacere con codette colorate o zucchero in grani. Infine mettete le uova sode sul dolce al centro (nella pancia della pupa e del cavallo) . Cuocere in forno per 30 minuti a 180° circa, a seconda del forno, controllate che la base non diventi scura. Buona Pasqua a tutti!! Tamara Pace AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 19 PENSIERI DI CARTA DI Antonello Di Carlo 20 AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI PARLIAMO DI SPORT Kung-Fu In questo numero per la nostra rubrica sportiva ci occuperemo di Kung-Fu (stile Mei Hua Chuan) e Tai Chi Chuan (stile Yang) due discipline di origine cinese. Ci rivolgiamo per saperne di più ad un’insegnante aquilana, che tiene dei corsi per adulti, bambini e anche anziani presso la palestra Zero Gravity, nel centro storico della città. Isabella Nardis, Maestro riconosciuto Fe.I.K. (Federazione Italiana Kung-Fu) inizia a praticare il Kung fu all’età di dieci anni sotto la guida del maestro Dante Bellini nel 1988. Una carriera piena di esami, seguita dai maestri cinesi della scuola Chang Dsu-Yao: Chang YuShin e Chang Wei-Shin. Diventa cintura nera di Kung fu e successivamente intraprende l’esperienza del tai chi chuan. Inizia ad insegnare nel 1999. Presidente dell’associazione Tao Art che promuove la diffusione delle arti marziali viste non solo come tecnica difensiva, a cui si fa risalire l’origine, ma anche come strumenti per sviluppare la dimensione della persona, una sorta di arte in movimento che aiuta a riscoprire il benessere e le potenzialità di chi le pratica. Il Kung Fu è l'insieme di tutte le Arti Marziali Cinesi. Il termine "Kung Fu", oggi molto popolare, significa letteralmente "esercizio eseguito con abilità", ma in origine non era necessariamente legato al mondo delle arti marziali ed era inteso, dagli orientali, come la capacità di eseguire un compito, un lavoro, grazie all'abilità acquisita nel tempo con un duro addestramento. Il Tai Chi Chuan significa " stile della suprema polarità". Essa è un'antica arte marziale cinese basata sulle leggi che regolano l'interazione e l'alternarsi dei principi base dell'universo: Yin (principio negativo, vuoto) e Yang (principio positivo, pieno). Il Tai Chi Chuan è un arte marziale che richiede un rilassamento tonico e la sincronizzazione del movimento con il ritmo e le fasi respiratorie. L'apparenza esterna è morbida come il cotone, mentre all'interno si è forti come l'acciaio. Le applicazioni marziali sono rapide e vigorose. Il Tai Chi Chuan è una raffinata arte marziale di autodifesa e una forma di meditazione dinamica e può essere praticato come una ginnastica morbida, adatto a tutte le età e per tutta la vita. La differenza tra le due discipline consiste essenzialmente nella sostanza del atto eseguito, mentre nel Kung fu c’è maggiore dinamismo, per questo è prediletto maggiormente dai giovani, nel tai chi chuan si manifesta di più il riferimento alla formazione al conseguimento del benessere della persona, all’ esplorazione di se stessi attraverso l’arte marziale. Sia nel Kung fu, con più dinamismo, che nel Tai Chi Chuan, disciplina più morbida, si coniugano alla perfezione la ginnastica, come la intendiamo nella nostra cultura occidentale, con la meditazione di stampo orientale, dove però la parola non vuole assumere un significato prettamente filosofico, ma abbraccia una dimensione più grande: meditare per trovare un equilibrio in se stessi, quindi anima e corpo che si uniscono in un tutt’uno in continua evoluzione. Oggi queste discipline stanno riscuotendo un maggiore successo rispetto a qualche anno fa, dove a volte venivano, con pregiudizio, interpretate come “fanatismo” di chi ha un “male di esistere”. Si è approfondita la conoscenza sia dal punto di vista tecnico, relativa al movimento, che dal punto di vista “mentale”. Le arti marziali sono diventate delle vere e proprie palestre di vita, dove i ragazzi imparano ad essere uomini, imparano il rispetto, l’autostima, il controllo delle proprie emozioni. Come afferma Isabella “la prima cosa che insegno e con la quale concludo anche la lezione, è il saluto”. Questo a dimostrazione di quanto alla base di queste attività ci sia una filosofia di vita, un modo di rapportarsi al mondo. Autodifesa si, ma non violenza fine a se stessa, combattere con il principio del rispetto del “nemico” che si ha di fronte . Il 28 aprile, giornata mondiale del Tai Chi Chuan e giornata nazionale del kung fu, anche all’Aquila si terrà una manifestazione in piazza, dove si praticherà il Tai Chi Chuan e il Kung-Fu. Vi invito tutti a fare visita a questo evento per rendervi conto con i vostri occhi della ricchezza creativa che queste discipline possono regalare. Fortunato Cannella AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 21 CHIEDILO A Carla L’AQUILA e la possibile candidatura a Capitale Europea della Cultura per il 2019 Questa volta voglio fare una riflessione su L’Aquila e la possibile candidatura a Capitale Europea della Cultura per il 2019, argomento forse conosciuto da pochi. Nel corso di queste settimane è venuta spesso fuori l’occasione per accennare la possibilità e il desiderio di molti nel candidare L’Aquila, la nostra bella città, a Capitale Europea della cultura per il 2019, esattamente 10 anni dopo il sisma che ha colpito il Capoluogo. Con questa candidatura potrebbe configurarsi un’occasione straordinaria per eventi, manifestazioni di qualità, che attraggono risorse e interesse a livello internazionale e che potrebbe rappresentare una bella e importante sfida proiettata nella ricostruzione di una delle più belle città medioevali a livello Nazionale. Questa decisione sarà presa entro il 2013 così come sostenuto dal Presidente Comitato Civico Promotore. Le intenzioni sono buone, si sa, ma come si dice “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Un mare rappresentato da tutta una serie di difficoltà obiettive e scogli governativi ed economici che potrebbero influenzare in un modo o nell’altro questa investitura. Tutte le pratiche sono state interrotte momentaneamente quando è caduto il precedente Governo Berlusconi. Il progetto cominciò a farsi strada nel 2009, in occasione del sisma,quando il Presidente della Regione Abruzzo inviò all’ex Presidente del Consiglio, la richiesta per la candidatura de L’Aquila, e lo stesso Gianni Letta dichiarò la richiesta come “una iniziativa eccellente”. Ma tra le aspiranti al titolo ci sono 15 città : Amalfi, Bari, Bergamo, Brindisi, Catanzaro, L’Aquila, Matera, Palermo, Perugia, Assisi, Ravenna, Siena, Torino, Urbino e Venezia; anche se credo che non si fermeranno qui le candidature. Certo è che una Capitale della cultura deve rappresentare una progettualità comunitaria, un dialogo fra le religioni e mostrare e dimostrare (fondamentale) le sue valenze storiche, architettoniche, archeologiche , ma anche e soprattutto paesaggistiche e ambientali con le quali agire per un consolidamento a livello non solo europeo (in termini di comunità) ma anche a livello internazionale. 22 AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI Questo richiede un impegno a tutto tondo da parte delle amministrazioni comunali e provinciali in collaborazione con la Regione. Dal mio personale punto di vista trovo complicata e alquanto lontana questa investitura. Le ragioni di ciò risiedono nella città stessa e nei suoi cittadini. Ci vorrebbe un impegno comune, una volontà concreta guidata da intelligenza, unità, passione civile e con la forza degli aquilani. Io, da aquilana doc, mi auguro che possano venire riconosciute le qualità di questo territorio e valorizzate nel corso degli anni in vista di questa grande opportunità che porterebbe importante risalto economico, sociale e politico a livello internazionale. Vola oltre le nuvole “L’Aquila bella mè”!! Un saluto a tutti voi! Hai una curiosità un dubbio su Carla qualcosa? Di Stefano Chiedilo ad Agorà! Partecipate per condividere e scambiare le vostre esperienze, le vostre storie e i vostri desideri. Mandaci una mail a [email protected]. SPAZIO APERTO Nemo ci di i m . . . a. B ete ar C'era una volta il mondo di tutti, neri o bianchi, belli o brutti, lì ognuno senza essere stanco dava una mano a chi aveva di fianco. Ognuno faceva quel che sapeva fare e anche agli altri provava a insegnare, così tutti quanti diventavano migliori, comuni le gioie e comuni i dolori. Con te che leggi devo essere sincero, un mondo così non è mai stato vero, esiste nei sogni e ci sta anche stretto, ma io, ingenuo, sono qui che aspetto. Siamo tutti un po' furbi, un po' prepotenti, bisogna essere i primi, diventare potenti, si pensa ai soldi, ai propri interessi e tutto ruota intorno a noi stessi. In fondo le mie sono solo parole, ci vuole coraggio a essere migliore, però ho avuto la fortuna di vedere chi aiuta gli altri senza farlo sapere. Finché ce n'è uno si può sperare, se ci impegnamo ce la possiamo fare e neri o bianchi belli o brutti vivremo insieme nel mondo di tutti. du e Il mondo di tutti LAVA & RETO vi augurano Buona Pasqua AGORÀ I GRANDI RACCONTI DI PICCOLI PAESI 23