[email protected] [email protected] www.culturacommestibile.com www.facebook.com/cultura.commestibile direttore simone siliani redazione gianni biagi, sara chiarello, aldo frangioni, rosaclelia ganzerli, michele morrocchi, barbara setti progetto grafico emiliano bacci Con la cultura non si mangia 51 218 N° 1 Melkon, re dei persiani, Balthasar, re degli indiani, e Gaspar, re degli arabi Il Magio Salvon editore Nem Nuovi Eventi Musicali Viale dei Mille 131, 50131 Firenze Registrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012 Da non saltare 6 GENNAIO 2016 pag. 2 Filippo Mannucci Dir. Osservatorio Astrofisico di Arcetri di A stronomicamente la visita dei Magi in viaggio dietro una “stella” è un vero mistero. è un evento mitico? Ha solo un significato teologico? è un fatto storico? In quest’ultimo caso, a quale evento si riferisce? è possibile analizzare il brano con metodo scientifico e formulare qualche ipotesi sull’accaduto? L’episodio è riferito dal solo vangelo di Matteo, testo scritto in greco probabilmente attorno all’anno 80. Nel cap. 2, subito dopo la nascita di Gesù, il testo racconta “Alcuni Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandavano, dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”. Il testo sembra oscuro ma in realtà contiene alcune indicazioni importanti per la sua interpretazione astronomica. La “stella” è descritta come un fenomeno che appare, che sorge, e indica la nascita di un re in Giudea. “All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme”. Erode e gli abitanti di Gerusalemme non vedono la stella, rimangono sorpresi. Erode manda i Magi a Betlemme in base alle profezie della Bibbia. I Magi si mettono in cammino... “Ed ecco, la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia”. La stella ricompare, “precede” i Magi e “si ferma” sul luogo dove si trova il bambino. Storia ben strana: la stella indica la nascita di un re; ha una reazione stretta con la Giudea; è apparsa in un momento specifico; è sorta; dura a lungo; non viene vista da Erode e dagli abitanti di Gerusalemme; scompare ad un certo punto dalla vista dei Magi, ricompare durante il loro viaggio a Betlemme e li precede; infine, si ferma. Come interpretarla? Questo è tutto quanto sappiamo della stella. L’episodio dei Magi non è raccontato da nessun altro vangelo canonico, Luca, l’altro vangelo che riporta la nascita di Gesù, ha un racconto completamente diverso che non contiene i Magi. [I vangeli non canonici che parlano dei Magi dipendono tutti da Matteo e arricchiscono la La stella dei Magi Cavalcata dei Magi, Benozzo Gozzoli (1459-1462), Cappella Medici, Firenze narrazione aggiungendo elementi mitici. Questo arricchimento culmina nel Vangelo Armeno dell’Infanzia, un testo scritto probabilmente tra l’VIII e il XI secolo, dove i Magi sono tre, sono Fratelli e sono Sovrani: Melkon, re dei persiani, reca in dono la mirra, Gaspar, re degli indiani, che porta oro, e Balthasar, re degli arabi, che porta incenso. Nel loro viaggio sono accompagnati da 12 capitani che guidano un corteo di 12000 cavalieri! Anche se questi vangeli non sono entrati nel canone delle Sacre Scritture hanno influenzato molto la cultura popolare e l’arte. La cavalcata dei Magi dipinta da Benozzo Gozzoli, ad esempio, è basata su questi racconti.] La vista dei Magi è stata interpretata in vari modi. Alcuni pensano che l’evento sia avvenuto esattamente com’è descritto. In questo caso non c’è niente di astronomico e l’unica possibilità è che si tratti di un miracolo o di un angelo (come proposto, ad esempio, da s. Giovanni Crisostomo nel IV secolo). Oppure, come si trova scritto, da un UFO, disceso sulla terra proprio a depositare Gesù, essere extraterrestre! All’estremo opposto c’è chi ritiene che in questo brano Matteo abbia solo un intento teologico, mostrare che la nascita di Gesù è un evento di importanza cosmica. Da subito Gesù viene accettato dai popoli “gentili” e rifiutato dai capi degli Ebrei, uno dei temi dominanti del vangelo di Matteo. Ma è possibile che questo scopo teologico sia stato costruito sopra un evento astronomico? Se sì, quale? Nell’ambiente greco-romano la nascita dei grandi personaggi era sempre descritta accompagnata da segni celesti. Il momento della nascita degli imperatori e dei generali era sempre studiato anni dopo e veniva costruito l’oroscopo: la posizione dei pianeti alla nascita (compresi Sole e Luna) veniva interpretata per dimostrare che inevitabilmente una perso- na nata in un momento tanto speciale era destinata a diventare imperatore o generale. Il fatto che Matteo usi il termine “magi”, che nella Bibbia indicano gli esperti di astrologia, è un suggerimento in questa direzione. è possibile che Matteo ci stia riferendo un evento astonomico/astrologico avvenuto alla nascita di Gesù? Per rispondere a questa domanda la prima cosa da fare è capire quando sarebbe avvenuto l’evento. I vangeli non riportano, e forse non conoscono, l’anno di nascita di Gesù. Ci danno alcuni indizi, ma a volte sono contraddittori. Luca riferisce che nel 29 d.c. (l’anno decimoquinto dell’imperatore Tiberio Cesare) Gesù aveva circa 30 anni. Questo si accorda abbastanza bene con l’informazione che Gesù sia nato sotto il regno di Erode il grande (morto nel 4 a.c.). Non si accorda pero’ con quanto riportato da Luca che “Quirino era governatore della Siria”. Quirino è stato governatore solo nel 7-8 d.c., e mai mentre Erode era re. La strage degli innocenti di Matteo e il censimento di Luca non sono eventi storici e quindi non danno informazioni. Mettendo insieme le poche informazioni possiamo pensare che Gesù sia nato tra il 7 e il 4 a.c. Il fatto che Gesù sia nato in un anno “prima di Cristo” non deve stupire, dipende solo da come l’anno della sua nascita è stata calcolata da Dionigi il Piccolo nel VI secolo quando si propose di passare da una data basata sugli imperatori romani ad una basata sulla nascita di Gesù. Vi sono vari fenomeni celesti che possiamo elencare e tentare di associare al racconto evangelico. Uno è la cometa, che tutti abbiamo nel presepe. Le comete sono piccoli corpi (fra 100 mt. e 10 Km.) composti da sassi, ghiaccio e polvere che si sono creati insieme al sistema solare, circa 4,5 miliardi di anni fa e che girano intorno al sole. Hanno delle orbite allungate: quando si avvicinano al Sole il calore evapora il ghiaccio e si creano le code. Queste possono arrivare a centinaia di milioni di chilometri di dimensioni e possono essere molto luminose perché riflettono la luce del sole. Potrebbe essere una cometa la stella descritta da Matteo? Nel 5 a.C. è testimoniato un passaggio di una cometa e nel 12 a.C. passa Da non saltare 6 GENNAIO 2016 pag. 3 la cometa di Halley. Questi eventi sono sempre ben documentati, perché si vedono bene. Ma questa è un’ipotesi assai improbabile. In primo luogo perché la cometa è visibile a tutti, quindi Erode non ne sarebbe stato sorpreso. Poi nei sistemi astrologici le comete spesso annunciano sventura, non fatti positivi come la nascita di un re. Ma noi abbiamo la cometa nel nostro presepe perché Giotto, attorno al 1304, nella cappella degli Scrovegni dipinge la cometa di Halley che era transitata nel 1301. Gli storici dicono che da quel momento in poi, sempre più spesso la stella di Natale appare come una cometa. Anche molte altre ipotesi avanzate durante i secoli (supernova e, aurore boreali, meteoriti) non corrispondono affatto al testo di Matteo e non si accordano che le credenze astrologiche del I secolo. Queste credenze davano grande importanza alle posizioni dei pianeti relativamente alle costellazioni zodiacali e agli altri pianeti. Ogni pianeta aveva il suo carattere. In particolare Giove era il pianeta regale, collegato con gli onori ed il potere. Gli oroscopi degli imperatori romani avevano sempre Giove in qualche posizione ritenuta particolare. La regalità era anche associata con alcune stelle come la stella Regolo, la più brillante della costellazione del Leone. Dato che i Magi cercavano un re, probabilmente dobbiamo cercare un evento che coinvolge Giove o Regolo. Le caratteristiche dei pianeti erano rafforzate in certi momenti particolari, come gli “stazionamenti”. Apparentemente i pianeti si spostano insieme alle stelle da est verso ovest a causa del moto di rotazione della Terra da ovest verso est. I pianeti però di spostano lentamente rispetto alle stelle e sembrano rimanere un po’ indietro. Relativamente alle stelle si spostano quindi quasi sempre da da ovest verso est. A causa del loro moto e di quello della Terra attorno al Sole, la posizione apparente dei pianeti mostra pero’ degli anelli, nei periodi nei quali il pianeta inverte la direzione del suo moto e invece di rimanere indietro rispetto alle stelle vi muove in avanti. Lo stazionamento è il momento nel quale il pianeta sembra fermarsi rispetto alle stelle per invertire il moto. Posizione apparente di Marte nel cielo fotografata in giorni diversi. Quando la Terra e’ alla minima distanza da Marte il moto del pianeta sembra fermarsi due volte ed invertire la sua direzione Mito e scienza della cometa dell’Epifania Altare di Rachis, c.a. 740, Cividale del Friuli, nel quale i Magi sembrano seguire un Angelo Nell’astrologia, un evento particolarmente importante è la congiunzione planetaria, quando due pianeti si trovano proiettati vicini. Dato che tutti i pianeti si muovono su orbite di raggio diverso ma che sono quasi sullo stesso piano, attraversano le stesse zone di cielo (costellazioni) a velocità diverse per cui si allontanano e si avvicinano gli uni agli altri. Quando due pianeti si avvicinano possono rafforzare o indebolire i loro influssi. Di grande importanza erano considerate le congiunzioni con la Luna. Altra cosa considerata importante era la levata eliaca o sorgere mattutino, cioè quando un pianeta è in congiunzione con il Sole all’alba. Passando dietro al Sole il pianeta veniva in qualche modo “purificato” e, dunque, il sorgere eliaco di un pianeta era considerato il momento di massima intensità di questo pianeta. Un pronostico regale del I secolo avrebbe quindi combinato questi elementi: congiunzione tra Giove o Regolo con la Luna o qualche altro pianeta, sorgere eliaco, stazionamento. Se deve essere il Re dei Giudei significa che questi eventi devono avvenire nelle costellazioni dell’Ariete o del Leone, che erano le costellazioni associate con la Giudea e con Gerusalemme. Sono stati proposti vari eventi astronomici che potrebbero essere stati interpretati come segno della nascita di Gesù. Un evento famoso fu proposto addirittura da Keplero: nel 1603 lui osserva una tripla congiunzione tra Giove e Saturno e calcola che lo stesso fenomeno era già avvenuto altre volte, una delle quali nel 7 a.c. Un’altra possibilità è quella della tripla congiunzione fra Giove e Regolo che avvenne fra il 2 e il 3 a.C.. Ma l’evento probabilmente più interessante è una doppia occultazione di Giove da parte della Luna avvenuta nella costellazio- ne dell’Ariete. L’occultazione è quando la Luna passa dietro ad un pianeta o viceversa, quindi è il massimo grado della congiunzione. Nel 6 a.C. si hanno due occultazioni di Giove da parte della Luna, una il 20 marzo e l’altra il 17 aprile. La seconda occultazione fu preceduta dal sorgere eliaco di questi 2 astri. Dopo la seconda occultazione, Giove esce dalla costellazione dell’Ariete entrando nel Toro, poi inverte il suo moto, torna in Ariete spostandosi in avanti, verso ovest. Il 19 dicembre ha un altro stazionamento, inverte di nuovo il moto e si allontana definitivamente dall’Ariete. Quindi abbiamo due occultazioni della Luna con Giove, il sorgere eliaco e poi l’uscita e il rientro nella costellazione con 2 stazionamenti. Questo evento sembra corrispondere bene al racconto di Matteo. Quando il testo dice “abbiamo visto sorgere la sua stella”, l’espressione greca utilizzata è la stessa l’astrologia greca usa per indicare il sorgere eliaco. Quindi la frase di Matteo può essere intesa come “abbiamo visto il sorgere eliaco di Giove”, in una situazione particolare quella della congiunzione con la Luna. Matteo continua: “Al vedere la stella essi provarono una grandissima gioia”. Dopo qualche giorno Giove era uscito da Ariete e quindi non aveva più alcun influsso sulla Giudea. Ma Giove inverte il suo moto e rientra in Ariete, ridiventa “visibile” in Giuda. Ancora: “Ed ecco, la stella che avevano visto sorgere, li precedeva”. Di nuovo, questa parola “precedere” è la stessa utilizzata per parlare del “moto in avanti verso ovest”, quindi “li precedeva” in realtà potrebbe voler dire che “la stella precedeva” come le stelle. “Finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino”: Giove si ferma in Ariete, lo “stazionamento”, sul luogo, Giuda, dove si trovava il bambino. Non sappiamo se l’evento sia proprio questo, ma è certo che Matteo usi un linguaggio astrologico per parlarci di un evento “regale” avvenuto in quegli anni. Un evento visto e compreso dagli astrologi, i Magi, e non da Erode e la sua corte che non sanno leggere i segni del cielo. Non un evento spettacolare come una cometa ma un pronostico regale legato alla Giudea come interpretato dall’astrologia ellenistica. riunione di famiglia 6 GENNAIO 2016 pag. 4 Le Sorelle Marx Si respira aria natalizia a Palazzo Vecchio: fiducia, felicità, feste. Il sindaco è addirittura euforico: nel 2016, fra ninnoli e nannoli, a Firenze arriveranno 3 miliardi di opere. E poi lui ha appena ricevuto un attestato di “sensibilità” alla richiesta di mantenere a Firenze l’intero ciclo di arazzi delle Storie di S.Giuseppe, al 50% di proprietà del Quirinale. Il comunicato ufficiale del sindaco ha recitato: “ci chiamiamo angeli del bello: tutto quello che serve a mantenere e preservare il bello è nostro mestiere”. Così il sindaco se ne va in giro per il Palazzo imbracciando il suo violino, provando una melodia per i versi che ha testé scritto. “Senti questa Manuele: l’ho scritta stanotte! E’ fortissima: Io son Nardello e faccio questo e quello; suono il violino, mica il violoncello, e mi chiamo angelo del bello! Di Firenze parlo a Matterella, giacché fra tutte le città è la più bella! Ora facciamo tutti un bel giroton- Felicità do, perché la bellezza salverà il mondo!” “Oh bravo Dario, hai fatto la tua comparsata anche oggi; ora, da bravo, lasciami lavorare” “Ma ti piace questa ode, questo verso sì soave?” “eeee, lo sai come si dice dalle mie parti? A val pì n’aso a ca soa che’n profesor a cà d’j àutri. Che vuol dire Vale più un asino a casa propria che un professore in casa altrui.” “E che vuol dire? Che sono un professore? In effetti, sono abbastanza bravo...” “Sì, certo. L’aso ‘d Cavor as lauda da sol [l’asino di Cavour si loda da solo]” “Ma che dici, Manuele? Non capisco, né la prima né la seconda frase in codesto idioma” “Ah sì? Te lo spiego io: vuol dire in tutti e due i casi che tu sei un asino!” I Cugini Engels Tradizioni “Non esiste nuovo anno, senza di Giani il tuffo in Arno”: così il nuovo Sesto Caio Baccelli probabilmente rinnoverà il suo parco proverbi toscani. Ormai è diventato un must. A Capodanno tutti lì, al TG3 regionale a sfogliare le cronache dei giornali, per l’immancabile foto del presidente Giani in costume da bagno d’antan della gloriosa Canottieri Firenze che, impavidamente, sfida le acque gelate dell’Arno d’argento. E lui, immancabile, non delude i suoi fan. Quest’anno, però, a Livorno e su tutta la costa si temeva un tour di Giani presidente del Consiglio regionale a fare il tuffo di Capodanno in mare e si era diffusa, con un certo sconcerto, la voce di un suo tuffo continuo, nelle 24 ore del primo giorno dell’anno, in ogni specchio d’acqua della regione. Poi Giani ha desistito, ma solo perché non è stata realizzata per tempo la fascia regionale subacquea che avrebbe reso riconoscibile, secondo gli intenti della legge regionale, il rappresentante della regione. Ma per il prossimo Capodanno si sta già approntando 24 mute subacquee bianche, con le bande laterali rosse, Pegaso e coccarda tricolore. Pregevole iniziativa. Le avventure di Nardelik Fabrizio Bianchi, il Supersoprintendente voluto dal Leader Minimum, ma nominato ufficialmente dal suo Servitor Cortese, s’era proprio scocciato. “Ma che mi tocca a vedere; Metha morire di Maggio? O il Maggio morire di Metha?” andava dicendo agli amici degli amici. Qui bisogna svecchiare. Rottamare rottamare rottamare. E il maestro Zubin s’era un poco arrabbiato.C’era un conflitto in corso fra Italia e India e nessuno, come al solito, sapeva come fare. Ci voleva Nardellik.Il nostro Supereroemascherato prese l’iniziativa. Tutti convocati la mattina all’alba dietro il loggiato degli Uffizi. Rottamazione in casa fu la soluzione. Il Methapensiero permarrà su Firenze per sempre, fino alla fine del tempo (di Metha), ma il direttore artistico sarà uno di Genova. Che casomai con le Repubbliche Marinare si litiga meglio, ormai. E poi si dice che Nardellik non conosce la diplomazia internazionale. Lo Zio di Trotzky L’epidemia di presepi L’epidemia dei presepi si diffonde ovunque e contamina ogni politico italiano e locale. Non c’è vaccino contro questa pandemia spirituale. Neppure il celtico Salvini ha saputo difendersi e ha pensato bene di travestirsi da re Mago. Come avevamo pronosticato da queste pagine, il Presidente Eugenio Giani ha dato vita ad una sorta di presepe vivente (come si può notare dalla foto) nelle austere sale del Consiglio Regionale. E, gongolante come un bambino premiato dalla Befana con dolciumi d’ogni tipo, ha postato sul suo profilo: “La # Toscana è # TerradiPresepi. Presentata oggi in Consiglio Regionale la rete più suggestiva di realtà artistiche presepiali. Tra # Firenze, # Pisa, # Lucca e # Siena trecento chilometri di # presepe da paese e paese. Valorizzare le nostre tradizioni più belle fa bene al # Natale!” Presepi, crocifissi, messe, miracoli ogni dove. Così, sempre Giani ci informa che “per la prima volta il Gonfalone della # RegioneToscana ha partecipato alla Messa in onore di Ugo di Toscana alla Badia Fiorentina per l’anniversario della sua morte, avvenuta il 21 dicembre del 1001. La nostra memoria è la nostra più preziosa ricchezza!” Poi la Mariarosaria Rossi, oscura senatrice ed amministratrice di Forza Italia, intervistata dal Corriere, ci informa che “Silvio Berlusconi sopravviverà a tutti. ... Lei non ha idea di cosa significhi girare l’Italia con lui. ... Tutti chiedono di poterlo toccare, salutare, ringraziare. Gli danno madonnine, crocifissi, immagini sacre. Le signore anziane ci dicono: ‘Mi faccia fare una foto con lui, così muoio felice’...”. Un’apoteosi di spiritualità, da farne indigestione. Ma, coraggio, fra poco le feste saran finite. La Stilista di Lenin Il maglione della nonna Come spesso capita dalle italiche parti alla luna si preferisce guardare il dito. A cosa mi riferisco? Ma alle polemiche sul premier in vacanza di fine d’anno a Courmayeur. Tutti a discutere sul fatto che, nei giorni dell’allarme smog, il premier avesse utilizzato l’auto (immagino tutti contenti fosse giunto in elicottero di stato no?) e nessuno che ha colto la vera essenza di quella visita. Di quell’arrivo paparazzato. Renzi ha voluto dare un’immagine precisa, definita, del fatto che l’Italia riparte e soprattutto quale direzione voglia prendere. Quell’arrivo in auto, quel maglione di lana dai disegni invernali (roba che regalano le nonne a Natale) poteva evocare solo e soltanto un riferimento culturale: Vacanze di Natale. Il primo, l’originale. Con Renzi nei panni del giovane Amendola, il borgataro che ce l’ha fatta e adesso siede tra i ricchi per la meritata settimana bianca. Gli anni ’80 insomma, il rampantismo, l’edonismo e, ahinoi, spalline imbottite, capelli cotonati e colori sgargianti. Tutti segni terribili se immaginati sul nostro presidente del consiglio e molti dei suoi ministri o ministre. Insomma se proprio un modello ci deve essere ci auguriamo ci sia risparmiata almeno la Rignano da Bere. 6 GENNAIO 2016 pag. 5 Danilo Cecchi [email protected] di Q uando, nel febbraio del 1909, Filippo Tommaso Marinetti pubblica il “Manifesto del Futurismo”, immagina di operare un rinnovamento delle arti (di tutte le arti, nessuna esclusa), attraverso un drastico avvicinamento fra l’arte e la vita, tale da annullare ogni possibile differenza fra i due livelli dell’esistenza. Al “Manifesto del futurismo” seguono in effetti tutta una serie di “Manifesti” futuristi, almeno una trentina, fra cui nel 1910 quello dei Pittori, nel 1911 quello della Musica, nel 1912 quelli della Scultura, della Letteratura, e della Donna, nel 1914 quello dell’Architettura, nel 1915 quello del Teatro, nel 1916 quello della Cinematografia, nel 1917 quello della danza, per finire nel 1918 con quello della Lussuria. Dopo essere nato rivoluzionario, il futurismo subisce come è noto, nel dopoguerra un notevole ridimensionamento, fino a diventare un movimento di “regime”, ma non rinuncia a pubblicare “Manifesti”, come quelli dell’Aerepittura nel 1919 e della Cucina Futurista del 1930. Nel 1930 viene pubblicato anche il Manifesto della Fotografia Futurista, firmato da Marinetti e Tato (Guglielmo Sansoni). A vent’anni dalla nascita del movimento, il buon Marinetti si accorge di non potere più ignorare la presenza della fotografia come protagonista fra le arti. In realtà il rapporto di odio/amore fra il futurismo e la fotografia è ben più movimentato. Già alla fine del 1913 il giovanissimo Anton Giulio Bragaglia (18901960) pubblica un opuscolo dal titolo “Fotodinamismo futurista”, corredato da diciassette immagini, in cui rende pubblici certi esperimenti fotografici realizzati nel corso degli ultimi due anni insieme ai suoi fratelli ancora più giovani, soprattutto Arturo (1893-1962) ed in misura molto minore Carlo Ludovico (1894-1998). Le immagini sono giustificate da una sorta di elaborazione teorica, espressa in sessantuno punti, ed ispirata ai principi fondamentali del futurismo, come dinamismo, movimentismo e superamento del concetto di immagine “statica”. In realtà le immagini realizza- Parte 1 La stagione della fotografia futurista te dai fratelli Bragaglia sono fortemente ispirate alle immagini “cronofotografiche” realizzate alla fine dell’Ottocento a scopo scientifico dall’inglese Eadweard Muybridge (1830-1904) ed in misura ancora maggiore a quelle del francese Etienne-Jules Marey (1830-1904). Le cronofotografie di Muybridge e Marey consi- stono nell’impressionare sulla stessa lastra persone o animali in movimento, mediante una serie di esposizioni successive, separate o sovrapposte, ed allo scopo di studiare i meccanismi del movimento stesso. Le immagini dei Bragaglia sono una variante della tecnica “cronofotografica”, e raffigurano persone che, muovendosi a scatti successivi, dietro precise istruzioni del fotografo, lasciano sulla lastra immagini multiple, sufficientemente nitide, accompagnate dalla traccia confusa del movimento stesso. Queste immagini, che gli autori definiscono “movimentate” piuttosto che “mosse”, vorrebbero essere il corrispondente fotografico dei quadri futuristi dinamici di Balla o delle visioni simultanee di Boccioni. Le speranze del giovane Bragaglia di essere accolto nel gruppo dei futuristi, nonostante un iniziale appoggio di Marinetti che accetta di presentare pubblicamente le immagini “fotodinamiche” a Roma nel 1912, vengono soffocate sul nascere dall’ostilità dei pittori, che considerano la fotografia uno strumento “freddo” capace solo di soffocare lo slancio vitale del divenire. Fotografare significa, per i futuristi della prima ora, congelare il passato imbalsamandolo. Nonostante l’esaltazione del progresso tecnico e scientifico, e nonostante l’elogio dell’estetica delle macchine in genere, e del cinema in particolare, la fotografia non viene considerata dai futuristi una vera forma d’arte, perché si limita a duplicare la realtà in modo “meccanico”. Lo stesso Boccioni dichiara che: «Una benché lontana parentela con la fotografia l’abbiamo sempre respinta con disgusto e con disprezzo, perché fuori dall’arte». Questo pregiudizio rimane inamovibile in ambito futurista per vent’anni. Gli stessi fratelli Bragaglia abbandonano presto i loro esperimenti fotografici, per dedicarsi ad altro. Mentre Arturo e Carlo Ludovico si rivolgono al mondo del cinema, il primo diventando un attore, ed il secondo diventando un affermato regista cinematografico, Anton Giulio continua a scrivere ed a lavorare nel campo delle arti, praticando anche la fotografia di ritratto tradizionale, e finisce poi per dedicarsi con successo al teatro. 6 GENNAIO 2016 pag. 6 Laura Monaldi [email protected] di N ell’attuale universo estetico l’artista ha la responsabilità etica di dominare i misteri dell’Arte con una radicalità innovativa e primigenia, densa di aspettative e incline all’indagine. Operare, creare e plasmare divengono i cardini di una ricerca e di uno stile di vita capaci di dar voce e luogo non solo all’opera d’arte, ma anche a tutta una serie di “azioni” espressive, in grado di trasportare lo spettatore al di là del limite individuale della meditazione, al fine di renderlo consapevole e capace di reinterpretare costantemente i rapporti irrigiditi fra l’artista e il mondo circostante, fra l’intima sensibilità e il sentire comune. Quella di Joseph Beuys è un’energia artistica che si sprigiona verso il collettivo, dall’individuale all’universale sino al rovesciamento delle valutazioni critiche del senso comune e del quotidiano. Arte e vita, concettuale e materia plastica conquistano il movimento, nella magia della multimedialità e nella genialità attiva del confronto e del dialogo, per dar vita a un messaggio inebriato di simbolismi e occulte associazioni. “Ogni uomo è un artista” e ogni uomo è alla perpetua ricerca e creazione di valori e significati, perchè l’Arte è totale e allo stesso modo avvolge la vita, invadendo tutti i campi e ponendosi in linea con l’agire sociale. Joseph Beuys ha operato nei delicati anni delle neoavanguardie, precorrendo i tempi del postmoderno e unendo alle esperienze autobiografiche la speranza in un’evoluzione culturale, in una rinascita e nella creazione di un mondo migliore attraverso l’Arte, ossia attraverso il potenziale energico che l’opera d’arte possiede in potenza e che deve solo essere A sinistra Joseph Beuys Fettstuhl Hessisches Landesmuseum Darmstadt, 1964 Manifesto firmato cm 93x70 Sotto Verde di rabbia, 1980 Giornale “L’Espresso” in box di zinco cm 32,5x46 In basso a sinistra Olkanne F.I.U., 1980 Contenitore metallico per olio + scritte cm h. 53 - Ø cm. 30,5; a destra Joseph Beuys, 1980 Foto in b/n by Behr Klaus cm 18x24 Tutte le immagini Courtesy Collezione Carlo Palli, Prato Beuys L’energia di realizzato con la collaborazione delle coscienze collettive. Il grido di battaglia rimane la libertà: la libera possibilità di attuare la rivoluzione dall’interno, nella propria intima essenza poichè l’eventualità di un’evoluzione si cela nel comportamento e nell’azione individuale. Non v’è utopia nella resa espresiva di un messaggio o di un’esperienza soggettiva dell’Io per l’artista: non esistono limiti alla creazione estetica. Di fatto l’archittetura poetico-sociale è un processo in continuo divenire, fatto di legami solo apparentemente inconciliabili. In tal modo entrano in gioco i materiali poveri, i manifesti, la gestualità, la parola, nonchè la tendenza a fare Arte con tutto quello che il mondo e la vita offrono. Per Joseph Beuys l’atto creativo è una volontà d’essere, perchè l’Arte è connaturata alla Vita e alla Natura, è libertà d’invenzione e di collaborazione, è comunicazione emotiva: le opere dell’artista sono criptiche ma legate al proprio presente storico con forza e determinazione. Joseph Beuys ha incarnato pienamente il ruolo dell’artista contemporaneo: la ricerca etico-sociale dei valori perduti e dei significati puri capaci di ridare un senso alla modernità oltre la bellezza 6 GENNAIO 2016 pag. 7 Francesco Cusa [email protected] di R ieccoci al “cinepanettone” alleniano di fine anno. Cominciamo col dire che non bastano un bel cast e una tematica superficialmente sofisticata per fare un bel film. Siamo abbastanza stanchi di questo perenne “memento mori”, del disagio esistenziale viralizzato nel tempio borghese, soprattutto poi quando, per dar voce a tal “mal de vivre”, viene evocata la figura di Sua Maestà Il Filosofo. Ahinoi, quanta vertigine separa questa opera dal ritmo pulsante della vita, la didascalia di tale dramma artificioso, messo in piedi maldestramente e con una trama che non regge, essendo carta da parati tirata su a distrarre, a ricoprire i buchi e le crepe della parete corrosa. Il paradosso è che il cantore di tale accidia, di irrazionale non ha proprio nulla; sembra il perfetto ideale huysmaniano dell’eroe borghese mascherato e perfino la morte giunge telefonata, come da “Prontuario del Perfetto Paradosso”. E’ in buona sostanza la materia del fascinoso, dell’appeal dei due protagonisti a tenere su il baracchino, questo sempiterno Fabrizio Pettinelli [email protected] di Correva l’anno 1252 quando i fiorentini decisero di dotarsi di una propria moneta e, siccome erano abituati a pensare in grande, coniarono la prima moneta aurea dell’occidente, il fiorino d’oro. In origine la zecca fiorentina si trovava in prossimità di Palazzo Vecchio e i suoi macchinari erano alimentati dalle acque del fossato di Scheraggio che correva lungo le mura cittadine; nel secolo successivo si decise di costruire un nuovo ponte sull’Arno, il “Ponte Reale”, e si cominciò a edificare, in riva destra, il primo pilone e la relativa torre difensiva; poi ci pensò l’Arno, “nel trentatré dopo il milletrecento”, a demolire il pilone e a far abbandonare il progetto del ponte. Rimase la torre, oggi in Piazza Piave, nei cui scantinati, sotto il livello dell’Arno, furono trasferiti i locali della zecca. Funzionava così: la forza dell’acqua in caduta metteva in moto Il panettone di Woody “dejà vu” del regista newyorkese, il quale oramai ha la necessità di fare cinema come i suoi coetanei di riscaldare la borsa dell’acqua calda (rimaniamo su territori romantici che è meglio, giacché parlare di termocoperta stonerebbe in questa recensione). Abbiamo inteso: Woody Allen è il nuovo Andy Warhol 2.0 e genera copie del suo stesso cinema, repliche dei suoi successi in chiave soft, edulcorata. E’ un cinema che non graffia più come sapeva fare un tempo, alla schiena, subdolamente, tra Piazza Piave Dieci paoli per un francescone delle ruote dentate che sollevavano i magli; a intervalli prefissati la mancanza di un dente faceva piombare il maglio sul conio, ritagliando la moneta sul cui verso era impresso il giglio (da cui “fiorino”) di Firenze e sul retto l’effigie di San Giovanni Battista. Poteva succedere che il maglio non fosse perfettamente allineato con il conio e che, cadendo, provocasse una sorta di sfrangiamento dell’orlo della moneta, la cosiddetta “calla” che veniva raschiata via, diminuendo il peso della moneta. E qui entrava in gioco San Giovanni: avete mai sentito il detto “San Giovanni ‘un vole inganni”? Nasce di qui. Per evitare che entrassero in circolazione monete “callate”, i funzionari dell’Arte della Zecca pesavano una per una le mo- nete che uscivano dal conio e chiudevano quelle che pesavano esattamente i 3,54 grammi previsti in buste sigillate: i “fiorini di suggello” erano garantiti in lega (24 carati) e peso. Per ringraziare il Battista, il 24 giugno usciva dalla Zecca un alto carro in cima al quale un figurante interpretava il profeta; a Santa Maria in Campo gran banchetto del quale la comparsa approfittava abbondantemente, tornando alla base ciondolante per le eccessive libagioni: da qui il soprannome al carro di San Giovanni Brindellone, poi esteso una risata amara e uno squarcio registico di pregevole fattura. La “freschezza” di un Manoel de Oliveira è qualità rara e questo è cinema confezionato che non mira più neanche al botteghino, quanto piuttosto all’iterazione di un capriccio senile. Qual- al carro di Pasqua. Il fiorino sopravvisse per molti secoli, e ancora i Lorena emettevano fiorini d’argento, dove peraltro San Giovanni era stato sostituito da Leopoldo II (come dire, scusate la volgarità ma mi sembra che calzi a pennello, il culo con le quarant’ore). I quali Lorena emisero anche altre monete fra le quali il “Francescone”, moneta d’argento con il faccione di Francesco I di Lorena che equivaleva a 10 paoli, moneta, se non ho capito male, di origine dello stato pontificio sulla quale era impresso San Paolo: ora che un San Giovanni Battista valga dieci San Paolo non c’è dubbio, ma che un San Paolo, quello folgorato e caduto da cavallo sulla via di Damasco valga un decimo di Francesco I, quello colpito da infarto nella sua carrozza mentre tornava dal Teatro dell’Opera, è tutto da dimostrare. 6 GENNAIO 2016 pag. 8 Simonetta Zanuccoli [email protected] di A Parigi nel bellissimo edificio della Philharmonie, progettato da Jean Nouvel ed inaugurato all’inizio del 2015, fino al 31 gennaio 2016 è possibile visitare Chagall. Le triomphe de la Musique, una mostra che sta ottenendo un grande successo di pubblico con più di 270 opere tra dipinti, disegni, sculture, ceramiche e costumi. L’onnipresenza della musica nell’opera di Marc Chagall (1887/1985) è strettamente legata alle sue origini nel contesto culturale della comunità ebrea chassidica fortemente presente nella sua città natale, Vitebsk, in Bielorussia. Il chassidismo è una corrente ortodossa che si fonda su una spiritualità accessibile a tutti. Proprio per la sua natura popolare è un movimento ricco di musica, danza, folklore e narrazione di eventi prodigiosi il cui il reale e il fantastico si fondono. Questi elementi diventano una fonte inesauribile per l’immaginario di Chagall. I suoi quadri evocheranno sempre i paesaggi”sonori” pieni di violini, mandolini, flauti, arpe e campane della sua giovinezza con i personaggi che fluttuano nell’armonia del colore spesso ballando o suonando. Chagall ascoltava musica mentre dipingeva, la riteneva una delle meraviglie del mondo insieme all’amore. Il suo autore preferito era Mozart per l’apparente semplicità della composizione che nascondeva una tecnica sofisticata (un po’ come i suoi quadri). Nel 1920 gli vennero commissionati dei pannelli per il teatro dell’Arte Ebraica a Mosca. Questi decori che sono un’ inno colorato alla musica e alla cultura yiddish si salvarono miracolosamente dalla furia distruttrice staliniana entrando nel 1949 a far parte della collezione della galleria nazionale Tretiakov di Mosca. Fuggito durante la guerra negli Stati Uniti, Chagall continua la sua collaborazione artistica con il teatro disegnando le scenografie e i costumi per il balletto Aleko nel 1942 in Messico e per l’Uccello di Fuoco a New York nel 1945. Qui ritornerà nel 1966, per realizzare i due bellissimi, giganteschi pannelli, Il Chassidismo, la musica e la pittura di Chagall Le Fonti della Musica e Trionfo della Musica, che ancora oggi si possono ammirare all’interno del Lincoln Center e le scenografie e i costumi del Flauto Magico, la sua opera preferita. di A Parigi, dopo Dafne e Cloe del 1958, il ministro della cultura Andre Malraux incarica Chagall di realizzare un grande affresco per la cupola del teatro dell’Opera al posto di quello esistente di Jules Eugéne Lenepveu, pittore molto amato da Napoleone III. L’opera fu completata nel 1964 non senza qualche critica dei tradizionalisti. La mostra Marc Chagall. Le triomphe de la Musique, invertendo il percorso cronologico, inizia da qui. Nella prima sala, oltre ai modelli e ai bozzetti presentati al generale De Gaulle (in uno, in seguito scartato, è rappresentato Mstislav Rostropovitch, grande amico di Chagall come un violoncellista con le ali d’angelo) viene proiettato alle pareti un film eccezionale che attraverso scansioni ad alta definizione realizzate dall’Istitut Culturel di Google a Parigi permette di evidenziare tutti i dettagli della cupola spesso difficilmente visibili ad occhi nudo come il rosone centrale dedicato a Beethoven, Gluck, Bizet e Verdi. Ispirandosi a ciò che aveva già immaginato per il suo poeticissimo film d’animazione, Chagall e il colore dei suoni, il pianista Mikhail Rudy ha scelto come colonna sonora per questa prima sala alcuni brani musicali dei quattro compositori. In Toscana si è sforato ben 94 volte solo nell’ultima settimana. Nelle nostre città si respira un’aria avvelenata, a causa del traffico e delle caldaie per il riscaldamento.. Il tutto è aggravato dall’assenza di pioggia e vento e, soprattutto, dalla mancanza di politiche lungimiranti. Ancora una volta il nostro paese è quello messo peggio in Europa. Basterebbe un po’ di buon senso per capire che l’aria che respiriamo è troppo preziosa per occuparcene solo quando scattano le emergenze e che occorrono scelte coraggiose e politiche coerenti da parte di chi ci governa. Ahimé, ad oggi manca sia l’una che l’altra. Bisognerebbe riconvertire gli investimenti: meno risorse per strade e autostrade e più per ferrovie e tramvie. Con soli 4 miliardi si costruirebbero 200 km di tramvie, alleggerendo il traffico nelle città. Del programma “1000 treni per pendolari” lanciato da Prodi nel 2006 si sono perse le tracce. E smettiamo di dare la colpa ai cambiamenti climatici: gli scienziati ci avevano avvertiti per tempo dei rischi, ben 20 anni fa. Ma ancora oggi siamo lontani dall’avere un trasporto pubblico degno di questo nome. Se lo smog è nemico di tutti dobbiamo contrastarlo tutti insieme, con scelte efficaci e coordinate. Sarebbe un segnale bello, forte, utile e convincente se tutte le istituzioni, i movimenti e la politica di destra, di sinistra e di centro - si muovessero in maniera unitaria. Se accadesse i cittadini sarebbero più disponibili a cambiare abitudini. Remo Fattorini Segnali di fumo Alluvioni in Inghilterra con oltre 100 villaggio sott’acqua e privi di elettricità. Nel Sud degli Stati Uniti violenti temporali e tornadi hanno provocato 29 morti. In Australia si registra la più lunga e calda siccità della storia con pesanti ripercussioni sulla produzione di cereali. In Italia è scoppia l’emergenza smog, con 108 giorni sopra la soglia a Frosinone, a Roma 58, Milano 95, a Venezia 89, a Vicenza 104, a Padova 86, contro un massimo di 35 giorni consentiti dalle norme europee del 2002, recepite in Italia nel 2005. 6 GENNAIO 2016 pag. 9 Paolo Marini [email protected] di N on ricordo chi mi abbia detto - o dove io abbia letto – che è più facile credere in Dio che nella vita eterna. Il dubbio normalmente avvolge entrambi, non è così selettivo, e rende grato al viandante trovare in un suo simile quell’esempio, quella parola che, confortandolo, gli riconcilino la fede e la speranza. Mi viene allora da suggerire quasi istantaneamente una breve, affascinante meditazione tenuta a Treviglio nel 1965 da Monsignor Aldo Forzoni (Montevarchi, 1912-Massa 1991) dal titolo “La Vita Eterna C’È”, pubblicata nel ventesimo anno dalla morte, per Sant’Aldo (10 gennaio 2011), dalla Suore Oblate Benedettine di Santa Scolastica. Forzoni era stato ordinato sacerdote nel 1940 e nominato da Pio XII nel maggio del 1953 Vescovo di Gravina e Irsina, allora il più giovane presule d’Italia; quindi nel 1970 divenne Vescovo di Apuania (oggi diocesi di Massa Carrara-Pontremoli): un uomo non comune che fu segnato anche da gravi sofferenze, un sacerdote dotato di sensibilità, umiltà e carità evangeliche, unite da una fede sincera e da un desiderio profondo di “cadere (…) nelle braccia dell’Essere, tuffarsi nell’Amore, sapere finalmente cos’è la Vita nella conoscenza di Dio”. Al centro del suo “La Vita Eterna C’E’” è un pensiero particolare sulla morte, quella cosa tagliente, fredda e impersonale - “A’ livella” si direbbe il nome più azzeccato - che c’impaura come fine-di-tutto al punto che persino il desiderio di ricchezza, la smania e l’eccesso di godimenti materiali ne appaiono suscitati: “Essere ricco, è un’altra ebbrezza, è dimenticare. E’ proprio per questo che si diventa ricchi, per dimenticare” - scrive Louis-Ferdinand Céline nel suo “Viaggio al termine della notte”; e che cosa c’è da dimenticare, domando io, se non proprio la morte? Ecco, allora, splendere la riflessione di Aldo Forzoni, anzitutto nel ribaltarne l’immagine: “non vi La seconda nascita sembri argomento lugubre...” perché “... la morte aumenta invece il ritmo della vita....”: “se vogliamo che la nostra vita sia veramente concreta, ordinata, quindi efficace, redditizia Lido Contemori [email protected] di e anche bella, bisogna proprio immergersi nell’altra vita”. E’ quasi poesia quel rimandare alla natura, a quei predicatori facili da capire (come i fiori, gli uccelli, ecc.) che ci introducono con stupore nel mondo che ci attende; e il riferimento alla fase della nostra vita che abbiamo vissuto nel grembo materno, senza fare alcunché, nello sviluppo di un “misterioso congegno” che ha proceduto senza interferenze: “(...) come noi non morimmo uscendo di là, ma subimmo una trasformazione, una mutazione di fase, un progresso, così quando usciremo di qua”. Il guaio è che nella vita “la preparazione del nuovo organismo, dipende da noi” e occorrono scelte anche nette, di cui evidentemente portia- Disegno di Lido Contemori Il migliore dei Lidi possibili mo/porteremo la responsabilità e così “... nulla si farà in me, per la vita futura, senza che io lo sappia e lo voglia”. Ci vogliono la ‘pazzia’ e la ‘certezza’ della fede, “una fede talmente massiccia da diventare esperienza: una sicurezza maggiore della scienza.” Per ciò, in definitiva, il cristiano “deve vivere nella maggior letizia, ma una letizia che sia nella libertà”, così “la morte ci porta a queste considerazioni”. La morte come un cambiamento di fatto, e anche di più: l’abbraccio con Dio. Ecco perché San Francesco D’Assisi – scrive il presule – non si spaventa, e mentre loda il Signore per il sole, le stelle e l’acqua, il vento e il fuoco, lo loda per “sora nostra morte corporale dalla quale nessun vivente può scampare” e San Paolo ci rammenta nella Prima Lettera ai Corinzi (15, 26) che “l’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte (...)”. Dall’esperienza pastorale e di vita di quest’uomo ci giungono parole semplici, preziose più di qualunque cosa. Mi fanno tornare alla religione-oppio-dei-popoli di Karl Marx come ad un drammatico travisamento: la fede in Dio (e nella vita eterna), meglio che il termine ‘religione’, non è la droga che ci rende più lieve e sopportabile il passaggio sulla terra. E’, al contrario, la piena consapevolezza dell’intero ciclo della vita spirituale che ci aiuta, ovvero ci impone di lasciare le modalità disordinate dell’esistenza e di esercitare intelligenza e impegno per migliorare la nostra condizione; il tutto ispirato però, in ogni momento, da quello che Sant’Agostino nelle sue “Confessioni” chiama “il presente del futuro”, cioè l’attesa. Conclude Forzoni nel proprio testamento spirituale: “... sono contento di essere stato creato e non ho ringraziato abbastanza il mio Creatore per il dono della vita. Ma la vita non l’ho mai intesa se non in funzione della morte, cioè della seconda nascita”. 6 GENNAIO 2016 pag. 10 Diego Salvadori [email protected] di I n “Le libere donne di Magliano” (1953), Mario Tobino allestisce una narrazione per quadri staccati, in un susseguirsi di presenze sbiadite, baluginanti, che tuttavia originano un romanzo corale e a più voci, ruotanti attorno a un unico tema: la malattia mentale. E questo ci spinge a considerare alcuni passaggi del libro, dove il malato psichico oltrepassa e trascende la linea di demarcazione tra umano e animale. L’accostamento tra animalità e follia potrà da subito suonare lapalissiano, e basterebbe – a mo’ di ragguaglio – il riferimento alla “Commedia” dantesca e, in particolar modo, al canto XI dell’Inferno, a “le tre disposizion che ’l ciel non vole,// incontenenza, malizia e la matta/ bestialitade”. Ecco: nel romanzo di Tobino, potremmo proprio azzardare una tendenza onnipervasiva della “matta bestialitade”, non fosse altro per il continuo accostamento tra psicosi e teriomorfia, presente da subito nelle pagine del romanzo: “di notte”, scrive Tobino, “nei cameroni dei matti [c’è] puzzo di bestia”; oppure, si pensi alla “malata […] [che] sembra un topo pallido, gli occhi sempre curiosi benché non ricerchino con precisione nulla”. L’animalità s’insinua nella fisiognomica delle degenti, fino ad originare un vero e proprio bestiario della follia: la Berlucchi “ha qualcosa di marino”; la Tognazzi, invece, un “occhio vispo di gallina”; c’è poi la malata “soprannominata ‘la faina’ […] [che] si mantenne felina fino agli ultimi giorni […]. Persino dopo che fu spirata sembrò che le fosse rimasto stampato nel volto quel sorriso felino e fosse pronta a raggiungere gli occhi e prenderseli come fece tutte le volte”. Nel manicomio immerso nella pianura lucchese, le celle sono “croniche di ferocia”, alla stregua di un giardino zoologico dove la cattività continua a produrre un “odore ferino”, un lezzo che di umano ha ben poco. Tuttavia, siamo dinanzi a una coercizione refrattaria agli intenti esibitivi che, nel caso degli zoo, spettacolarizzano Mario Tobino, tra animale e follia l’animale: la prigionia in cella, sostanzialmente, assurge a zona rivelatrice, dove “l’alienato […] è libero, sbandiera, non tralasciandone alcun grano, la sua pazzia, la cella [è] il suo regno dove dichiara se stesso, che è il compito della persona umana”. Una follia corporea, quasi un invasamento sciamanico, che ha come termine ultimo il superamento della soglia ontologica, fino all’apice di un processo trasformativo: “e quando il Massimo Cavezzali [email protected] malato si accuccia, la pazzia cominciandosi a dileguare, sembra una bestia umana così coperto dall’alga, dalla quale spunta il lungo di una coscia o la magra punta di un gomito e, se lo si chiama, muove il viso tra i fili di quell’erba bruna e di quelli imbrattato tira su il volto a rispondere. Quando si apre una cella di un ‘malato all’alga’ viene incontro un odore acre, che arriva fino al cervello”. L’alga, il giaciglio del malato ricavato da “un’erba, presso le coste di certi mari”, quasi sigla un’incorporazione tra i due versanti – umano e non umano –, poiché il matto “vi vive nudo”, alla stregua di una fiera in delirio, forse perché “la pazzia dà potenza, [è] una forza che è ben poco spiegabile con le misure comuni”: parlare, insomma, un altro, semisegreto, linguaggio. In fondo, “la pazzia è davvero una malattia? Non è una delle misteriose e divine manifestazioni dell’uomo?” di Scavezzacollo Pubblicità interiore Sergio Favilli [email protected] di Quand’ero ragazzo (che brutto incipit!!) eravamo tutti abituati ad aspettare il mitico Carosello per goderci un po’ di sana ilarità inserita fra trasmissioni televisive seriose e spesso monotone: erano i tempi di Bernabei, tempi nei quali si misurava anche la scollatura delle ballerine per non turbare la pubblica decenza ed i presunti benpensanti . Poi, finalmente, il periodo del grande Guglielmi a RAI 3, trasmissioni innovative che hanno fatto epoca, spot pubblicitari di ottimo livello moderni e pieni di sana ironia, piena libertà di espressione che inevitabilmente influenzò in positivo anche gli altri canali, senza contare la nascita delle prime artigianali TV private con l’indimenticabile TELEVACCA di Benigni e del Monni. Son passati tanti anni, per certi versi Televacca c’è ancora e non solo le trasmissioni sono sempre più inguardabili ma anche i pubblicitari danno evidenti segnali di scarsa fantasia che spesso si traduce in spot decisamente rivoltanti : da una parte gente perennemente stitica che va al cesso sempre più raramente e dall’altra gente che siede perennemente sulla tazza del water ingurgitando pillole astringenti per fermare le perdite intestinali, cittadini evidentemente abituati a pulirsi il culetto con carta a vetro e quindi alla continua ricerca di delicata carta igienica super morbida, orride dentiere traballanti in cerca del giusto adesivo, piedi puzzolenti alla ricerca della polvere magica, profumi e deodoranti intimi e non destinati a persone che evidentemente hanno scordato l’uso del sapone, manca solo un bel digestivo per i bambini che si mangiano le caccole e siamo al completo!! Insomma, a dover vedere la pubblicità prima di pranzo ti passa decisamente l’appetito ma resta un dubbio, un grande dubbio, una domanda alla quale stanno tentando di dare risposta medici e professori di tutto il mondo : ma alle donne non gli scappa mai la pipì durante la notte ??? 6 GENNAIO 2016 pag. 11 Scottex Aldo Frangioni presenta L’arte del riciclo di Paolo della Bella Siamo giunti alla penultima opera della serie Scottex di Paolo della Bella la N° 49 che noi intitoliamo con la seguente seguenza: Accappatoio, Accappiare, Accappiatura, Accappiettare, Accapponare, Accapponatura, Accaprettare e Accapricciare, ringraziando lo Zingarelli per la gentile concessione. Scultura leggera di Vicent Selva Consigliere comunale di Esquerra Unida Dalle elezioni parlamentari che si sono tenute da poco in Spagna, per la prima volta dal ripristino di elezioni libere nel 1978, è uscito un Parlamento piuttosto frammentato nel quale sarà difficile l’elezione di un governo stabile, solido e durevole. In Spagna, dove si scelgono 350 deputati per il Congresso, vige un sistema elettorale basato su un metodo di ripartizione proporzionale dei seggi, il metodo d’Hondt, per il quale ogni lista deve ottenere una percentuale di parlamentari simile alla percentuale di voti ottenuti. Tuttavia, questa proporzionalità fra voti e seggi non è reale e viene falsata a causa alla divisione del paese in 52 circoscrizioni elettorali. Il risultato delle elezioni del 20 dicembre ha portato alla fine del bipartitismo, il modello con il quale i due maggiori partiti, PP (destra) e PSOE (centro sinistra) si sono alternati al potere, con il sostegno, se necessario, dei piccoli partiti a sinistra, a destra o nazionalisti, per dare stabilità al governo. Questa volta, quattro forze politiche hanno ottenuto risultati abbastanza simili con il 28% per il PP, 22% per il PSOE, il 20% per Podemos (a sinistra) e il 14% per Ciudadanos (a destra). E lontano da questi, Izquierda Unida con il 4%. In questo contesto, le prospettive di formare un governo non sembrano essere Le tre opzioni spagnole molto favorevoli. Né il centrodestra, né il centrosinistra, hanno un numero sufficiente di deputati per raggiungere la maggioranza assoluta, che si attesta a 176 seggi: PP e Ciudadanos insieme arrivano a 163; PSOE, Podemos e IU possono aggiungere 161. I restanti 26 deputati fanno parte di partiti regionalisti, nazionalisti o separatisti, sia di sinistra come Esquerra Republicana de Catalunya o Bildu; sia di destra, come Convergència Democratica di Catalunya e il Partido Nacionalista Vasco. Questi partiti, per accettare di sostenere qualquno dei candidati a premier metterano sul tavolo il diritto di auto-determinazione nelle rispettive regioni, qualcosa cui né il PP, né Ciudadanos, né PSOE possono accettare, a differenza di Podemos e Izquierda Unida che sono sempre stati favorevoli a fare dei referendum sull’autonomia in queste regioni. In questa situazione, le possibilità di formare un governo sono limitate. Da un lato, il PSOE si rifiuta di accettare qualsiasi referendum di autodeterminazione in Catalogna, che viene richiesto sia dalla sinista indipenditista catalana che dalla basca, ma anche da Podemos. Così, al momento, non sembra fattibile un governo a guida socialista con il sostegno di questi partiti. Violence is not always visible Galleria La Corte Apertura 8 Gennaio ore 18 Via de’Coverelli 27/R Firenze 49 La destra, d’altra parte, ha anch’essa enormi difficoltà a formare un governo. PP e Ciudadanos, insieme con il Partido Nacionalista Vasco e Convergència Democratica di Catalogna potrebbero avere la maggioranza assoluta in Parlamento se i suoi deputati convergessero su uno stesso candidato presidente del governo, ma le differenze fra di essi sulla questione territoriale (Convergència Democràtica de Catalunya ha promoso il referendum e chiede l’indipendenza della Catalogna in tempi rapidi), non rende possibile questa opzione. Una terza opzione potrebbe essere quella di fare come si è fatto in Grecia prima di Syriza o in Germania oggi, dove i due maggiori partiti tradizionali, PP e PSOE, si uniscono in una grande coalizione che darebbe ampio sostegno a un governo di concentrazione. Alcune voci del PSOE sostengono questa opzione, ma molti sono consapevoli che questo significherebbe la scomparsa di questo partito e il sorpasso di Podemos nelle prossime elezioni, come è successo in Grecia fra PASOK e Syriza. La quarta opzione potrebbe essere quella di nuove elezioni, da tenersi entro tre mesi, qualora nessuna delle due parti si dimostrasse in grado di formare un governo. Uno scenario che favorirebbe Podemos, ma che PSOE e PP temono. Mentre sto scrivendo, questa sembra l’opzione più probabile. Fra poco tempo sapremo cosa succederà. L immagine ultima B 6 GENNAIO 2016 pag. 12 Dall’archivio di Maurizio Berlincioni [email protected] entornati a Manhattan! Vorrei iniziare l’anno nuovo con un’altra immagine scattata al bordo esterno di Central Park. Questo giovane vendeva simpatici palloncini colorati ed alcuni gadgets legati all’impresa degli astronauti sulla Luna, senza farsi mancare una serie di grandi spille pacifiste. Per coprire tutto lo spettro dei possibili clienti questo giovane si era anche attrezzato con una manciata di onnipresenti bandierine a stelle e strisce. NY City, agosto 1969