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direttore
simone siliani
redazione
gianni biagi, sara chiarello, aldo
frangioni, rosaclelia ganzerli,
michele morrocchi, barbara setti
progetto grafico
emiliano bacci
Con la cultura
non si mangia
51
218
N° 1
Melkon,
re dei persiani,
Balthasar,
re degli indiani,
e Gaspar,
re degli arabi
Il Magio Salvon
editore Nem Nuovi Eventi Musicali Viale dei Mille 131, 50131 Firenze
Registrazione del Tribunale di Firenze n. 5894 del 2/10/2012
Da non
saltare
6
GENNAIO
2016
pag. 2
Filippo Mannucci
Dir. Osservatorio Astrofisico di Arcetri
di
A
stronomicamente la visita
dei Magi in viaggio dietro
una “stella” è un vero
mistero. è un evento mitico? Ha
solo un significato teologico? è
un fatto storico? In quest’ultimo
caso, a quale evento si riferisce? è
possibile analizzare il brano con
metodo scientifico e formulare
qualche ipotesi sull’accaduto?
L’episodio è riferito dal solo
vangelo di Matteo, testo scritto
in greco probabilmente attorno
all’anno 80. Nel cap. 2, subito
dopo la nascita di Gesù, il testo
racconta “Alcuni Magi giunsero
da Oriente a Gerusalemme e
domandavano, dov’è il re dei
Giudei che è nato? Abbiamo visto
sorgere la sua stella e siamo venuti
per adorarlo”. Il testo sembra
oscuro ma in realtà contiene
alcune indicazioni importanti per
la sua interpretazione astronomica. La “stella” è descritta come un
fenomeno che appare, che sorge,
e indica la nascita di un re in
Giudea. “All’udire queste parole,
il re Erode restò turbato e con
lui tutta Gerusalemme”. Erode
e gli abitanti di Gerusalemme
non vedono la stella, rimangono
sorpresi. Erode manda i Magi a
Betlemme in base alle profezie
della Bibbia. I Magi si mettono
in cammino... “Ed ecco, la stella,
che avevano visto nel suo sorgere,
li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava
il bambino. Al vedere la stella, essi
provarono una grandissima gioia”.
La stella ricompare, “precede” i
Magi e “si ferma” sul luogo dove
si trova il bambino. Storia ben
strana: la stella indica la nascita
di un re; ha una reazione stretta
con la Giudea; è apparsa in un
momento specifico; è sorta; dura
a lungo; non viene vista da Erode
e dagli abitanti di Gerusalemme;
scompare ad un certo punto dalla
vista dei Magi, ricompare durante
il loro viaggio a Betlemme e li
precede; infine, si ferma. Come
interpretarla?
Questo è tutto quanto sappiamo
della stella. L’episodio dei Magi
non è raccontato da nessun altro
vangelo canonico, Luca, l’altro
vangelo che riporta la nascita di
Gesù, ha un racconto completamente diverso che non contiene
i Magi. [I vangeli non canonici
che parlano dei Magi dipendono
tutti da Matteo e arricchiscono la
La stella
dei Magi
Cavalcata dei Magi, Benozzo Gozzoli (1459-1462), Cappella Medici, Firenze
narrazione aggiungendo elementi
mitici. Questo arricchimento culmina nel Vangelo Armeno dell’Infanzia, un testo scritto probabilmente tra l’VIII e il XI secolo,
dove i Magi sono tre, sono Fratelli
e sono Sovrani: Melkon, re dei
persiani, reca in dono la mirra,
Gaspar, re degli indiani, che porta
oro, e Balthasar, re degli arabi, che
porta incenso. Nel loro viaggio
sono accompagnati da 12 capitani
che guidano un corteo di 12000
cavalieri! Anche se questi vangeli
non sono entrati nel canone delle
Sacre Scritture hanno influenzato
molto la cultura popolare e l’arte.
La cavalcata dei Magi dipinta da
Benozzo Gozzoli, ad esempio, è
basata su questi racconti.]
La vista dei Magi è stata interpretata in vari modi. Alcuni pensano
che l’evento sia avvenuto esattamente com’è descritto. In questo
caso non c’è niente di astronomico e l’unica possibilità è che
si tratti di un miracolo o di un angelo (come proposto, ad esempio,
da s. Giovanni Crisostomo nel IV
secolo). Oppure, come si trova
scritto, da un UFO, disceso sulla
terra proprio a depositare Gesù,
essere extraterrestre! All’estremo
opposto c’è chi ritiene che in
questo brano Matteo abbia solo
un intento teologico, mostrare
che la nascita di Gesù è un evento
di importanza cosmica. Da subito
Gesù viene accettato dai popoli
“gentili” e rifiutato dai capi degli
Ebrei, uno dei temi dominanti del
vangelo di Matteo. Ma è possibile
che questo scopo teologico sia
stato costruito sopra un evento
astronomico? Se sì, quale?
Nell’ambiente greco-romano la
nascita dei grandi personaggi era
sempre descritta accompagnata
da segni celesti. Il momento della
nascita degli imperatori e dei
generali era sempre studiato anni
dopo e veniva costruito l’oroscopo: la posizione dei pianeti alla
nascita (compresi Sole e Luna)
veniva interpretata per dimostrare
che inevitabilmente una perso-
na nata in un momento tanto
speciale era destinata a diventare
imperatore o generale. Il fatto che
Matteo usi il termine “magi”, che
nella Bibbia indicano gli esperti di
astrologia, è un suggerimento in
questa direzione. è possibile che
Matteo ci stia riferendo un evento
astonomico/astrologico avvenuto
alla nascita di Gesù?
Per rispondere a questa domanda la prima cosa da fare è capire
quando sarebbe avvenuto l’evento. I vangeli non riportano, e forse
non conoscono, l’anno di nascita
di Gesù. Ci danno alcuni indizi,
ma a volte sono contraddittori.
Luca riferisce che nel 29 d.c.
(l’anno decimoquinto dell’imperatore Tiberio Cesare) Gesù aveva
circa 30 anni. Questo si accorda
abbastanza bene con l’informazione che Gesù sia nato sotto il
regno di Erode il grande (morto
nel 4 a.c.). Non si accorda pero’
con quanto riportato da Luca che
“Quirino era governatore della
Siria”. Quirino è stato governatore
solo nel 7-8 d.c., e mai mentre
Erode era re. La strage degli innocenti di Matteo e il censimento
di Luca non sono eventi storici
e quindi non danno informazioni. Mettendo insieme le poche
informazioni possiamo pensare
che Gesù sia nato tra il 7 e il 4 a.c.
Il fatto che Gesù sia nato in un
anno “prima di Cristo” non deve
stupire, dipende solo da come
l’anno della sua nascita è stata
calcolata da Dionigi il Piccolo nel
VI secolo quando si propose di
passare da una data basata sugli
imperatori romani ad una basata
sulla nascita di Gesù.
Vi sono vari fenomeni celesti che
possiamo elencare e tentare di
associare al racconto evangelico.
Uno è la cometa, che tutti abbiamo nel presepe. Le comete sono
piccoli corpi (fra 100 mt. e 10
Km.) composti da sassi, ghiaccio e
polvere che si sono creati insieme
al sistema solare, circa 4,5 miliardi
di anni fa e che girano intorno al
sole. Hanno delle orbite allungate: quando si avvicinano al Sole
il calore evapora il ghiaccio e si
creano le code. Queste possono
arrivare a centinaia di milioni
di chilometri di dimensioni e
possono essere molto luminose
perché riflettono la luce del sole.
Potrebbe essere una cometa la
stella descritta da Matteo? Nel 5
a.C. è testimoniato un passaggio
di una cometa e nel 12 a.C. passa
Da non
saltare
6
GENNAIO
2016
pag. 3
la cometa di Halley. Questi eventi
sono sempre ben documentati,
perché si vedono bene. Ma questa
è un’ipotesi assai improbabile. In
primo luogo perché la cometa è
visibile a tutti, quindi Erode non
ne sarebbe stato sorpreso. Poi
nei sistemi astrologici le comete
spesso annunciano sventura, non
fatti positivi come la nascita di
un re. Ma noi abbiamo la cometa
nel nostro presepe perché Giotto,
attorno al 1304, nella cappella
degli Scrovegni dipinge la cometa
di Halley che era transitata nel
1301. Gli storici dicono che da
quel momento in poi, sempre più
spesso la stella di Natale appare
come una cometa.
Anche molte altre ipotesi avanzate
durante i secoli (supernova e,
aurore boreali, meteoriti) non
corrispondono affatto al testo di
Matteo e non si accordano che le
credenze astrologiche del I secolo.
Queste credenze davano grande importanza alle posizioni
dei pianeti relativamente alle
costellazioni zodiacali e agli altri
pianeti. Ogni pianeta aveva il suo
carattere. In particolare Giove era
il pianeta regale, collegato con gli
onori ed il potere. Gli oroscopi
degli imperatori romani avevano
sempre Giove in qualche posizione ritenuta particolare. La regalità
era anche associata con alcune
stelle come la stella Regolo, la più
brillante della costellazione del
Leone. Dato che i Magi cercavano
un re, probabilmente dobbiamo
cercare un evento che coinvolge
Giove o Regolo.
Le caratteristiche dei pianeti
erano rafforzate in certi momenti
particolari, come gli “stazionamenti”. Apparentemente i
pianeti si spostano insieme alle
stelle da est verso ovest a causa del
moto di rotazione della Terra da
ovest verso est. I pianeti però di
spostano lentamente rispetto alle
stelle e sembrano rimanere un po’
indietro. Relativamente alle stelle
si spostano quindi quasi sempre
da da ovest verso est. A causa
del loro moto e di quello della
Terra attorno al Sole, la posizione
apparente dei pianeti mostra pero’
degli anelli, nei periodi nei quali
il pianeta inverte la direzione del
suo moto e invece di rimanere
indietro rispetto alle stelle vi muove in avanti. Lo stazionamento è
il momento nel quale il pianeta
sembra fermarsi rispetto alle stelle
per invertire il moto.
Posizione apparente di Marte nel cielo fotografata in giorni diversi. Quando la
Terra e’ alla minima distanza da Marte il moto del pianeta sembra fermarsi due
volte ed invertire la sua direzione
Mito e scienza
della cometa dell’Epifania
Altare di Rachis, c.a. 740, Cividale del Friuli, nel quale i Magi sembrano seguire
un Angelo
Nell’astrologia, un evento
particolarmente importante è la
congiunzione planetaria, quando
due pianeti si trovano proiettati
vicini. Dato che tutti i pianeti
si muovono su orbite di raggio
diverso ma che sono quasi sullo
stesso piano, attraversano le stesse
zone di cielo (costellazioni) a velocità diverse per cui si allontanano
e si avvicinano gli uni agli altri.
Quando due pianeti si avvicinano
possono rafforzare o indebolire i
loro influssi. Di grande importanza erano considerate le congiunzioni con la Luna.
Altra cosa considerata importante
era la levata eliaca o sorgere mattutino, cioè quando un pianeta
è in congiunzione con il Sole
all’alba. Passando dietro al Sole il
pianeta veniva in qualche modo
“purificato” e, dunque, il sorgere
eliaco di un pianeta era considerato il momento di massima
intensità di questo pianeta.
Un pronostico regale del I secolo
avrebbe quindi combinato questi
elementi: congiunzione tra Giove
o Regolo con la Luna o qualche
altro pianeta, sorgere eliaco,
stazionamento. Se deve essere
il Re dei Giudei significa che
questi eventi devono avvenire
nelle costellazioni dell’Ariete o del
Leone, che erano le costellazioni
associate con la Giudea e con
Gerusalemme.
Sono stati proposti vari eventi
astronomici che potrebbero essere stati interpretati come segno
della nascita di Gesù. Un evento
famoso fu proposto addirittura
da Keplero: nel 1603 lui osserva
una tripla congiunzione tra Giove
e Saturno e calcola che lo stesso
fenomeno era già avvenuto altre
volte, una delle quali nel 7 a.c.
Un’altra possibilità è quella della
tripla congiunzione fra Giove e
Regolo che avvenne fra il 2 e il
3 a.C..
Ma l’evento probabilmente più
interessante è una doppia occultazione di Giove da parte della
Luna avvenuta nella costellazio-
ne dell’Ariete. L’occultazione è
quando la Luna passa dietro ad
un pianeta o viceversa, quindi è il
massimo grado della congiunzione. Nel 6 a.C. si hanno due occultazioni di Giove da parte della
Luna, una il 20 marzo e l’altra il
17 aprile. La seconda occultazione
fu preceduta dal sorgere eliaco di
questi 2 astri. Dopo la seconda
occultazione, Giove esce dalla
costellazione dell’Ariete entrando
nel Toro, poi inverte il suo moto,
torna in Ariete spostandosi in
avanti, verso ovest. Il 19 dicembre
ha un altro stazionamento, inverte
di nuovo il moto e si allontana
definitivamente dall’Ariete. Quindi abbiamo due occultazioni della
Luna con Giove, il sorgere eliaco e
poi l’uscita e il rientro nella costellazione con 2 stazionamenti.
Questo evento sembra corrispondere bene al racconto di Matteo.
Quando il testo dice “abbiamo
visto sorgere la sua stella”, l’espressione greca utilizzata è la stessa
l’astrologia greca usa per indicare
il sorgere eliaco. Quindi la frase
di Matteo può essere intesa come
“abbiamo visto il sorgere eliaco di
Giove”, in una situazione particolare quella della congiunzione
con la Luna. Matteo continua: “Al
vedere la stella essi provarono una
grandissima gioia”. Dopo qualche
giorno Giove era uscito da Ariete
e quindi non aveva più alcun
influsso sulla Giudea. Ma Giove
inverte il suo moto e rientra in
Ariete, ridiventa “visibile” in
Giuda. Ancora: “Ed ecco, la stella
che avevano visto sorgere, li precedeva”. Di nuovo, questa parola
“precedere” è la stessa utilizzata
per parlare del “moto in avanti
verso ovest”, quindi “li precedeva”
in realtà potrebbe voler dire che
“la stella precedeva” come le stelle.
“Finché giunse e si fermò sopra il
luogo dove si trovava il bambino”:
Giove si ferma in Ariete, lo “stazionamento”, sul luogo, Giuda,
dove si trovava il bambino.
Non sappiamo se l’evento sia
proprio questo, ma è certo che
Matteo usi un linguaggio astrologico per parlarci di un evento
“regale” avvenuto in quegli anni.
Un evento visto e compreso dagli
astrologi, i Magi, e non da Erode
e la sua corte che non sanno
leggere i segni del cielo. Non un
evento spettacolare come una
cometa ma un pronostico regale
legato alla Giudea come interpretato dall’astrologia ellenistica.
riunione
di
famiglia
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GENNAIO
2016
pag. 4
Le Sorelle Marx
Si respira aria natalizia a Palazzo
Vecchio: fiducia, felicità, feste. Il
sindaco è addirittura euforico: nel
2016, fra ninnoli e nannoli, a
Firenze arriveranno 3 miliardi di
opere. E poi lui ha appena ricevuto
un attestato di “sensibilità” alla
richiesta di mantenere a Firenze
l’intero ciclo di arazzi delle Storie
di S.Giuseppe, al 50% di proprietà del Quirinale. Il comunicato ufficiale del sindaco ha recitato:
“ci chiamiamo angeli del bello:
tutto quello che serve a mantenere
e preservare il bello è nostro mestiere”. Così il sindaco se ne va in giro
per il Palazzo imbracciando il suo
violino, provando una melodia per
i versi che ha testé scritto.
“Senti questa Manuele: l’ho scritta
stanotte! E’ fortissima: Io son Nardello e faccio questo e quello; suono
il violino, mica il violoncello, e mi
chiamo angelo del bello!
Di Firenze parlo a Matterella,
giacché fra tutte le città è la più
bella!
Ora facciamo tutti un bel giroton-
Felicità
do, perché la bellezza salverà il
mondo!”
“Oh bravo Dario, hai fatto la tua
comparsata anche oggi; ora, da
bravo, lasciami lavorare”
“Ma ti piace questa ode, questo
verso sì soave?”
“eeee, lo sai come si dice dalle mie
parti? A val pì n’aso a ca soa
che’n profesor a cà d’j àutri. Che
vuol dire Vale più un asino a casa
propria che un professore in casa
altrui.”
“E che vuol dire? Che sono un
professore? In effetti, sono abbastanza bravo...”
“Sì, certo. L’aso ‘d Cavor as lauda
da sol [l’asino di Cavour si loda
da solo]”
“Ma che dici, Manuele? Non
capisco, né la prima né la seconda
frase in codesto idioma”
“Ah sì? Te lo spiego io: vuol dire
in tutti e due i casi che tu sei un
asino!”
I Cugini Engels
Tradizioni
“Non esiste nuovo anno, senza
di Giani il tuffo in Arno”: così
il nuovo Sesto Caio Baccelli
probabilmente rinnoverà il suo
parco proverbi toscani. Ormai è
diventato un must. A Capodanno tutti lì, al TG3 regionale a
sfogliare le cronache dei giornali,
per l’immancabile foto del presidente Giani in costume da bagno
d’antan della gloriosa Canottieri
Firenze che, impavidamente,
sfida le acque gelate dell’Arno
d’argento. E lui, immancabile,
non delude i suoi fan. Quest’anno, però, a Livorno e su tutta la
costa si temeva un tour di Giani
presidente del Consiglio regionale
a fare il tuffo di Capodanno in
mare e si era diffusa, con un certo
sconcerto, la voce di un suo tuffo
continuo, nelle 24 ore del primo
giorno dell’anno, in ogni specchio
d’acqua della regione. Poi Giani
ha desistito, ma solo perché non
è stata realizzata per tempo la
fascia regionale subacquea che
avrebbe reso riconoscibile, secondo
gli intenti della legge regionale,
il rappresentante della regione.
Ma per il prossimo Capodanno
si sta già approntando 24 mute
subacquee bianche, con le bande
laterali rosse, Pegaso e coccarda
tricolore. Pregevole iniziativa.
Le avventure di Nardelik
Fabrizio Bianchi, il Supersoprintendente voluto dal Leader Minimum,
ma nominato ufficialmente dal suo Servitor Cortese, s’era proprio scocciato.
“Ma che mi tocca a vedere; Metha morire di Maggio? O il Maggio morire
di Metha?” andava dicendo agli amici degli amici. Qui bisogna svecchiare.
Rottamare rottamare rottamare. E il maestro Zubin s’era un poco arrabbiato.C’era un conflitto in corso fra Italia e India e nessuno, come al solito,
sapeva come fare. Ci voleva Nardellik.Il nostro Supereroemascherato prese
l’iniziativa. Tutti convocati la mattina all’alba dietro il loggiato degli Uffizi.
Rottamazione in casa fu la soluzione. Il Methapensiero permarrà su Firenze
per sempre, fino alla fine del tempo (di Metha), ma il direttore artistico sarà
uno di Genova. Che casomai con le Repubbliche Marinare si litiga meglio,
ormai. E poi si dice che Nardellik non conosce la diplomazia internazionale.
Lo Zio di Trotzky
L’epidemia di presepi
L’epidemia dei presepi si diffonde ovunque e contamina ogni
politico italiano e locale. Non c’è
vaccino contro questa pandemia
spirituale. Neppure il celtico
Salvini ha saputo difendersi e ha
pensato bene di travestirsi da re
Mago. Come avevamo pronosticato da queste pagine, il Presidente
Eugenio Giani ha dato vita ad
una sorta di presepe vivente (come
si può notare dalla foto) nelle austere sale del Consiglio Regionale.
E, gongolante come un bambino premiato dalla Befana con
dolciumi d’ogni tipo, ha postato
sul suo profilo: “La # Toscana è
# TerradiPresepi. Presentata oggi
in Consiglio Regionale la rete più
suggestiva di realtà artistiche presepiali. Tra # Firenze, # Pisa, #
Lucca e # Siena trecento chilometri di # presepe da paese e paese.
Valorizzare le nostre tradizioni
più belle fa bene al # Natale!”
Presepi, crocifissi, messe, miracoli
ogni dove. Così, sempre Giani ci
informa che “per la prima volta
il Gonfalone della # RegioneToscana ha partecipato alla Messa
in onore di Ugo di Toscana alla
Badia Fiorentina per l’anniversario della sua morte, avvenuta il
21 dicembre del 1001. La nostra
memoria è la nostra più preziosa
ricchezza!”
Poi la Mariarosaria Rossi, oscura
senatrice ed amministratrice di
Forza Italia, intervistata dal
Corriere, ci informa che “Silvio
Berlusconi sopravviverà a tutti. ...
Lei non ha idea di cosa significhi girare l’Italia con lui. ...
Tutti chiedono di poterlo toccare,
salutare, ringraziare. Gli danno
madonnine, crocifissi, immagini
sacre. Le signore anziane ci dicono: ‘Mi faccia fare una foto con
lui, così muoio felice’...”.
Un’apoteosi di spiritualità, da
farne indigestione. Ma, coraggio,
fra poco le feste saran finite.
La Stilista di Lenin
Il maglione
della nonna
Come spesso capita dalle italiche
parti alla luna si preferisce guardare il dito. A cosa mi riferisco?
Ma alle polemiche sul premier in
vacanza di fine d’anno a Courmayeur. Tutti a discutere sul fatto
che, nei giorni dell’allarme smog,
il premier avesse utilizzato l’auto
(immagino tutti contenti fosse
giunto in elicottero di stato no?) e
nessuno che ha colto la vera essenza
di quella visita. Di quell’arrivo
paparazzato. Renzi ha voluto dare
un’immagine precisa, definita, del
fatto che l’Italia riparte e soprattutto quale direzione voglia prendere.
Quell’arrivo in auto, quel maglione
di lana dai disegni invernali (roba
che regalano le nonne a Natale)
poteva evocare solo e soltanto un
riferimento culturale: Vacanze
di Natale. Il primo, l’originale.
Con Renzi nei panni del giovane
Amendola, il borgataro che ce l’ha
fatta e adesso siede tra i ricchi per
la meritata settimana bianca. Gli
anni ’80 insomma, il rampantismo, l’edonismo e, ahinoi, spalline
imbottite, capelli cotonati e colori
sgargianti. Tutti segni terribili se
immaginati sul nostro presidente del consiglio e molti dei suoi
ministri o ministre. Insomma se
proprio un modello ci deve essere
ci auguriamo ci sia risparmiata
almeno la Rignano da Bere.
6
GENNAIO
2016
pag. 5
Danilo Cecchi
[email protected]
di
Q
uando, nel febbraio del
1909, Filippo Tommaso Marinetti pubblica
il “Manifesto del Futurismo”,
immagina di operare un rinnovamento delle arti (di tutte le arti,
nessuna esclusa), attraverso un
drastico avvicinamento fra l’arte
e la vita, tale da annullare ogni
possibile differenza fra i due livelli dell’esistenza. Al “Manifesto
del futurismo” seguono in effetti
tutta una serie di “Manifesti” futuristi, almeno una trentina, fra
cui nel 1910 quello dei Pittori,
nel 1911 quello della Musica, nel
1912 quelli della Scultura, della
Letteratura, e della Donna, nel
1914 quello dell’Architettura, nel
1915 quello del Teatro, nel 1916
quello della Cinematografia,
nel 1917 quello della danza, per
finire nel 1918 con quello della
Lussuria. Dopo essere nato rivoluzionario, il futurismo subisce
come è noto, nel dopoguerra un
notevole ridimensionamento,
fino a diventare un movimento
di “regime”, ma non rinuncia a
pubblicare “Manifesti”, come
quelli dell’Aerepittura nel 1919 e
della Cucina Futurista del 1930.
Nel 1930 viene pubblicato anche
il Manifesto della Fotografia
Futurista, firmato da Marinetti
e Tato (Guglielmo Sansoni).
A vent’anni dalla nascita del
movimento, il buon Marinetti si
accorge di non potere più ignorare la presenza della fotografia
come protagonista fra le arti. In
realtà il rapporto di odio/amore
fra il futurismo e la fotografia è
ben più movimentato. Già alla
fine del 1913 il giovanissimo
Anton Giulio Bragaglia (18901960) pubblica un opuscolo dal
titolo “Fotodinamismo futurista”, corredato da diciassette
immagini, in cui rende pubblici
certi esperimenti fotografici
realizzati nel corso degli ultimi
due anni insieme ai suoi fratelli
ancora più giovani, soprattutto
Arturo (1893-1962) ed in misura
molto minore Carlo Ludovico
(1894-1998). Le immagini
sono giustificate da una sorta di
elaborazione teorica, espressa in
sessantuno punti, ed ispirata ai
principi fondamentali del futurismo, come dinamismo, movimentismo e superamento del
concetto di immagine “statica”.
In realtà le immagini realizza-
Parte 1
La stagione
della fotografia futurista
te dai fratelli Bragaglia sono
fortemente ispirate alle immagini
“cronofotografiche” realizzate
alla fine dell’Ottocento a scopo
scientifico dall’inglese Eadweard
Muybridge (1830-1904) ed in
misura ancora maggiore a quelle
del francese Etienne-Jules Marey
(1830-1904). Le cronofotografie
di Muybridge e Marey consi-
stono nell’impressionare sulla
stessa lastra persone o animali in
movimento, mediante una serie
di esposizioni successive, separate
o sovrapposte, ed allo scopo
di studiare i meccanismi del
movimento stesso. Le immagini
dei Bragaglia sono una variante
della tecnica “cronofotografica”, e
raffigurano persone che, muovendosi a scatti successivi, dietro
precise istruzioni del fotografo,
lasciano sulla lastra immagini
multiple, sufficientemente nitide,
accompagnate dalla traccia
confusa del movimento stesso.
Queste immagini, che gli autori
definiscono “movimentate” piuttosto che “mosse”, vorrebbero
essere il corrispondente fotografico dei quadri futuristi dinamici
di Balla o delle visioni simultanee di Boccioni. Le speranze
del giovane Bragaglia di essere
accolto nel gruppo dei futuristi,
nonostante un iniziale appoggio di Marinetti che accetta di
presentare pubblicamente le immagini “fotodinamiche” a Roma
nel 1912, vengono soffocate sul
nascere dall’ostilità dei pittori,
che considerano la fotografia uno
strumento “freddo” capace solo
di soffocare lo slancio vitale del
divenire. Fotografare significa,
per i futuristi della prima ora,
congelare il passato imbalsamandolo. Nonostante l’esaltazione
del progresso tecnico e scientifico, e nonostante l’elogio dell’estetica delle macchine in genere,
e del cinema in particolare, la
fotografia non viene considerata
dai futuristi una vera forma d’arte, perché si limita a duplicare
la realtà in modo “meccanico”.
Lo stesso Boccioni dichiara che:
«Una benché lontana parentela
con la fotografia l’abbiamo sempre respinta con disgusto e con
disprezzo, perché fuori dall’arte». Questo pregiudizio rimane
inamovibile in ambito futurista
per vent’anni. Gli stessi fratelli
Bragaglia abbandonano presto i
loro esperimenti fotografici, per
dedicarsi ad altro. Mentre Arturo
e Carlo Ludovico si rivolgono al
mondo del cinema, il primo diventando un attore, ed il secondo
diventando un affermato regista
cinematografico, Anton Giulio
continua a scrivere ed a lavorare
nel campo delle arti, praticando
anche la fotografia di ritratto
tradizionale, e finisce poi per
dedicarsi con successo al teatro.
6
GENNAIO
2016
pag. 6
Laura Monaldi
[email protected]
di
N
ell’attuale universo
estetico l’artista ha la
responsabilità etica di
dominare i misteri dell’Arte
con una radicalità innovativa e
primigenia, densa di aspettative
e incline all’indagine. Operare,
creare e plasmare divengono i
cardini di una ricerca e di uno
stile di vita capaci di dar voce e
luogo non solo all’opera d’arte,
ma anche a tutta una serie di
“azioni” espressive, in grado di
trasportare lo spettatore al di
là del limite individuale della
meditazione, al fine di renderlo consapevole e capace di
reinterpretare costantemente
i rapporti irrigiditi fra l’artista
e il mondo circostante, fra
l’intima sensibilità e il sentire
comune.
Quella di Joseph Beuys è un’energia artistica che si sprigiona
verso il collettivo, dall’individuale all’universale sino al
rovesciamento delle valutazioni
critiche del senso comune e
del quotidiano. Arte e vita,
concettuale e materia plastica
conquistano il movimento,
nella magia della multimedialità e nella genialità attiva del
confronto e del dialogo, per
dar vita a un messaggio inebriato di simbolismi e occulte
associazioni. “Ogni uomo è
un artista” e ogni uomo è alla
perpetua ricerca e creazione di
valori e significati, perchè l’Arte è totale e allo stesso
modo avvolge la vita,
invadendo tutti i
campi e ponendosi
in linea con l’agire
sociale. Joseph
Beuys ha operato
nei delicati anni
delle neoavanguardie, precorrendo
i tempi del postmoderno e unendo
alle esperienze
autobiografiche la
speranza in un’evoluzione culturale,
in una rinascita e
nella creazione di
un mondo migliore
attraverso l’Arte,
ossia attraverso il
potenziale energico
che l’opera d’arte
possiede in potenza
e che deve solo essere
A sinistra Joseph Beuys Fettstuhl
Hessisches Landesmuseum Darmstadt,
1964 Manifesto firmato
cm 93x70
Sotto Verde di rabbia, 1980
Giornale “L’Espresso” in box di zinco
cm 32,5x46
In basso a sinistra Olkanne F.I.U.,
1980 Contenitore metallico per olio +
scritte cm h. 53 - Ø cm. 30,5; a destra
Joseph Beuys, 1980 Foto in b/n by Behr
Klaus cm 18x24
Tutte le immagini
Courtesy Collezione
Carlo Palli, Prato
Beuys
L’energia di
realizzato con la collaborazione
delle coscienze collettive.
Il grido di battaglia rimane la
libertà: la libera possibilità di
attuare la rivoluzione dall’interno, nella propria intima essenza
poichè l’eventualità di un’evoluzione si cela nel comportamento e nell’azione individuale. Non v’è utopia nella resa
espresiva di un messaggio o di
un’esperienza soggettiva dell’Io
per l’artista: non esistono limiti
alla creazione estetica. Di fatto
l’archittetura poetico-sociale
è un processo in continuo
divenire, fatto di legami solo
apparentemente inconciliabili.
In tal modo entrano in gioco i
materiali poveri, i manifesti, la
gestualità, la parola, nonchè la
tendenza a fare Arte con tutto
quello che il mondo e la vita
offrono. Per Joseph Beuys l’atto
creativo è una volontà d’essere,
perchè l’Arte è connaturata
alla Vita e alla Natura, è libertà
d’invenzione e di collaborazione, è comunicazione emotiva: le opere dell’artista sono
criptiche ma legate al proprio
presente storico con forza e determinazione. Joseph Beuys ha
incarnato pienamente il ruolo
dell’artista contemporaneo: la
ricerca etico-sociale dei valori
perduti e dei significati puri
capaci di ridare un senso alla
modernità oltre la bellezza
6
GENNAIO
2016
pag. 7
Francesco Cusa
[email protected]
di
R
ieccoci al “cinepanettone”
alleniano di fine anno.
Cominciamo col dire che
non bastano un bel cast e una
tematica superficialmente sofisticata per fare un bel film. Siamo abbastanza stanchi di questo
perenne “memento mori”, del
disagio esistenziale viralizzato
nel tempio borghese, soprattutto poi quando, per dar voce a
tal “mal de vivre”, viene evocata
la figura di Sua Maestà Il Filosofo. Ahinoi, quanta vertigine
separa questa opera dal ritmo
pulsante della vita, la didascalia di tale dramma artificioso,
messo in piedi maldestramente
e con una trama che non regge,
essendo carta da parati tirata su
a distrarre, a ricoprire i buchi e
le crepe della parete corrosa. Il paradosso è che il cantore
di tale accidia, di irrazionale
non ha proprio nulla; sembra
il perfetto ideale huysmaniano
dell’eroe borghese mascherato e
perfino la morte giunge telefonata, come da “Prontuario del
Perfetto Paradosso”.
E’ in buona sostanza la materia
del fascinoso, dell’appeal dei
due protagonisti a tenere su il
baracchino, questo sempiterno
Fabrizio Pettinelli
[email protected]
di
Correva l’anno 1252 quando i
fiorentini decisero di dotarsi di
una propria moneta e, siccome
erano abituati a pensare in grande, coniarono la prima moneta
aurea dell’occidente, il fiorino
d’oro.
In origine la zecca fiorentina si
trovava in prossimità di Palazzo
Vecchio e i suoi macchinari
erano alimentati dalle acque del
fossato di Scheraggio che correva
lungo le mura cittadine; nel
secolo successivo si decise di costruire un nuovo ponte sull’Arno, il “Ponte Reale”, e si cominciò a edificare, in riva destra, il
primo pilone e la relativa torre
difensiva; poi ci pensò l’Arno,
“nel trentatré dopo il milletrecento”, a demolire il pilone e a
far abbandonare il progetto del
ponte. Rimase la torre, oggi in
Piazza Piave, nei cui scantinati,
sotto il livello dell’Arno, furono
trasferiti i locali della zecca.
Funzionava così: la forza dell’acqua in caduta metteva in moto
Il panettone di Woody
“dejà vu” del regista newyorkese,
il quale oramai ha la necessità di
fare cinema come i suoi coetanei
di riscaldare la borsa dell’acqua
calda (rimaniamo su territori
romantici che è meglio, giacché
parlare di termocoperta stonerebbe in questa recensione).
Abbiamo inteso: Woody Allen
è il nuovo Andy Warhol 2.0 e
genera copie del suo stesso cinema, repliche dei suoi successi
in chiave soft, edulcorata. E’
un cinema che non graffia più
come sapeva fare un tempo,
alla schiena, subdolamente, tra
Piazza Piave
Dieci paoli per
un francescone
delle ruote dentate che sollevavano i magli; a intervalli prefissati
la mancanza di un dente faceva
piombare il maglio sul conio,
ritagliando la moneta sul cui verso era impresso il giglio (da cui
“fiorino”) di Firenze e sul retto
l’effigie di San Giovanni Battista.
Poteva succedere che il maglio
non fosse perfettamente allineato con il conio e che, cadendo,
provocasse una sorta di sfrangiamento dell’orlo della moneta,
la cosiddetta “calla” che veniva
raschiata via, diminuendo il peso
della moneta. E qui entrava in
gioco San Giovanni: avete mai
sentito il detto “San Giovanni
‘un vole inganni”? Nasce di qui.
Per evitare che entrassero in
circolazione monete “callate”, i
funzionari dell’Arte della Zecca
pesavano una per una le mo-
nete che uscivano dal conio e
chiudevano quelle che pesavano
esattamente i 3,54 grammi previsti in buste sigillate: i “fiorini
di suggello” erano garantiti in
lega (24 carati) e peso.
Per ringraziare il Battista, il 24
giugno usciva dalla Zecca un
alto carro in cima al quale un
figurante interpretava il profeta;
a Santa Maria in Campo gran
banchetto del quale la comparsa
approfittava abbondantemente,
tornando alla base ciondolante
per le eccessive libagioni: da qui
il soprannome al carro di San
Giovanni Brindellone, poi esteso
una risata amara e uno squarcio
registico di pregevole fattura.
La “freschezza” di un Manoel de
Oliveira è qualità rara e questo
è cinema confezionato che non
mira più neanche al botteghino,
quanto piuttosto all’iterazione
di un capriccio senile. Qual-
al carro di Pasqua.
Il fiorino sopravvisse per
molti secoli, e ancora i
Lorena emettevano fiorini
d’argento, dove peraltro
San Giovanni era stato
sostituito da Leopoldo
II (come dire, scusate la
volgarità ma mi sembra
che calzi a pennello, il
culo con le quarant’ore). I
quali Lorena emisero anche
altre monete fra le quali il
“Francescone”, moneta d’argento
con il faccione di Francesco I di
Lorena che equivaleva a 10 paoli,
moneta, se non ho capito male,
di origine dello stato pontificio
sulla quale era impresso San
Paolo: ora che un San Giovanni
Battista valga dieci San Paolo
non c’è dubbio, ma che un San
Paolo, quello folgorato e caduto
da cavallo sulla via di Damasco
valga un decimo di Francesco I,
quello colpito da infarto nella
sua carrozza mentre tornava dal
Teatro dell’Opera, è tutto da
dimostrare.
6
GENNAIO
2016
pag. 8
Simonetta Zanuccoli
[email protected]
di
A
Parigi nel bellissimo edificio della Philharmonie,
progettato da Jean Nouvel
ed inaugurato all’inizio del
2015, fino al 31 gennaio 2016
è possibile visitare Chagall. Le
triomphe de la Musique, una
mostra che sta ottenendo un
grande successo di pubblico con
più di 270 opere tra dipinti,
disegni, sculture, ceramiche
e costumi. L’onnipresenza
della musica nell’opera di Marc
Chagall (1887/1985) è strettamente legata alle sue origini nel
contesto culturale della comunità ebrea chassidica fortemente
presente nella sua città natale,
Vitebsk, in Bielorussia. Il chassidismo è una corrente ortodossa
che si fonda su una spiritualità
accessibile a tutti. Proprio per
la sua natura popolare è un
movimento ricco di musica,
danza, folklore e narrazione di
eventi prodigiosi il cui il reale e
il fantastico si fondono. Questi
elementi diventano una fonte
inesauribile per l’immaginario
di Chagall. I suoi quadri evocheranno sempre i paesaggi”sonori” pieni di violini, mandolini, flauti, arpe e campane della
sua giovinezza con i personaggi
che fluttuano nell’armonia
del colore spesso ballando o
suonando. Chagall ascoltava
musica mentre dipingeva, la
riteneva una delle meraviglie
del mondo insieme all’amore. Il
suo autore preferito era Mozart
per l’apparente semplicità della
composizione che nascondeva
una tecnica sofisticata (un po’
come i suoi quadri). Nel 1920
gli vennero commissionati dei
pannelli per il teatro dell’Arte
Ebraica a Mosca. Questi decori
che sono un’ inno colorato alla
musica e alla cultura yiddish
si salvarono miracolosamente
dalla furia distruttrice staliniana
entrando nel 1949 a far parte
della collezione della galleria
nazionale Tretiakov di Mosca.
Fuggito durante la guerra negli
Stati Uniti, Chagall continua la
sua collaborazione artistica con
il teatro disegnando le scenografie e i costumi per il balletto
Aleko nel 1942 in Messico e
per l’Uccello di Fuoco a New
York nel 1945. Qui ritornerà
nel 1966, per realizzare i due
bellissimi, giganteschi pannelli,
Il Chassidismo, la musica
e la pittura di Chagall
Le Fonti della Musica e Trionfo
della Musica, che ancora oggi
si possono ammirare all’interno
del Lincoln Center e le scenografie e i costumi del Flauto
Magico, la sua opera preferita.
di
A Parigi, dopo Dafne e Cloe del
1958, il ministro della cultura
Andre Malraux incarica Chagall
di realizzare un grande affresco
per la cupola del teatro dell’Opera al posto di quello esistente
di Jules Eugéne Lenepveu, pittore molto amato da Napoleone
III. L’opera fu completata nel
1964 non senza qualche critica
dei tradizionalisti. La mostra
Marc Chagall. Le triomphe
de la Musique, invertendo il
percorso cronologico, inizia da
qui. Nella prima sala, oltre ai
modelli e ai bozzetti presentati
al generale De Gaulle (in uno,
in seguito scartato, è rappresentato Mstislav Rostropovitch, grande amico di Chagall
come un violoncellista con le
ali d’angelo) viene proiettato
alle pareti un film eccezionale
che attraverso scansioni ad alta
definizione realizzate dall’Istitut Culturel di Google a Parigi
permette di evidenziare tutti i
dettagli della cupola spesso difficilmente visibili ad occhi nudo
come il rosone centrale dedicato a Beethoven, Gluck, Bizet
e Verdi. Ispirandosi a ciò che
aveva già immaginato per il suo
poeticissimo film d’animazione,
Chagall e il colore dei suoni, il
pianista Mikhail Rudy ha scelto
come colonna sonora per questa
prima sala alcuni brani musicali
dei quattro compositori.
In Toscana si è sforato ben 94
volte solo nell’ultima settimana.
Nelle nostre città si respira un’aria
avvelenata, a causa del traffico e
delle caldaie per il riscaldamento..
Il tutto è aggravato dall’assenza
di pioggia e vento e, soprattutto, dalla mancanza di politiche
lungimiranti. Ancora una volta
il nostro paese è quello messo
peggio in Europa.
Basterebbe un po’ di buon senso
per capire che l’aria che respiriamo è troppo preziosa per occuparcene solo quando scattano le
emergenze e che occorrono scelte
coraggiose e politiche coerenti da
parte di chi ci governa. Ahimé,
ad oggi manca sia l’una che
l’altra. Bisognerebbe riconvertire
gli investimenti: meno risorse
per strade e autostrade e più per
ferrovie e tramvie. Con soli 4
miliardi si costruirebbero 200 km
di tramvie, alleggerendo il traffico
nelle città. Del programma “1000
treni per pendolari” lanciato da
Prodi nel 2006 si sono perse le
tracce. E smettiamo di dare la
colpa ai cambiamenti climatici:
gli scienziati ci avevano avvertiti
per tempo dei rischi, ben 20 anni
fa. Ma ancora oggi siamo lontani
dall’avere un trasporto pubblico
degno di questo nome.
Se lo smog è nemico di tutti dobbiamo contrastarlo tutti insieme,
con scelte efficaci e coordinate.
Sarebbe un segnale bello, forte,
utile e convincente se tutte le istituzioni, i movimenti e la politica di destra, di sinistra e di centro - si
muovessero in maniera unitaria.
Se accadesse i cittadini sarebbero più disponibili a cambiare
abitudini.
Remo Fattorini
Segnali
di fumo
Alluvioni in Inghilterra con oltre
100 villaggio sott’acqua e privi
di elettricità. Nel Sud degli Stati
Uniti violenti temporali e tornadi
hanno provocato 29 morti. In
Australia si registra la più lunga
e calda siccità della storia con
pesanti ripercussioni sulla produzione di cereali. In Italia è scoppia
l’emergenza smog, con 108 giorni
sopra la soglia a Frosinone, a
Roma 58, Milano 95, a Venezia
89, a Vicenza 104, a Padova 86,
contro un massimo di 35 giorni
consentiti dalle norme europee del
2002, recepite in Italia nel 2005.
6
GENNAIO
2016
pag. 9
Paolo Marini
[email protected]
di
N
on ricordo chi mi abbia
detto - o dove io abbia
letto – che è più facile
credere in Dio che nella vita
eterna. Il dubbio normalmente avvolge entrambi, non è
così selettivo, e rende grato al
viandante trovare in un suo
simile quell’esempio, quella
parola che, confortandolo, gli
riconcilino la fede e la speranza. Mi viene allora da suggerire quasi istantaneamente una
breve, affascinante meditazione tenuta a Treviglio nel 1965
da Monsignor Aldo Forzoni
(Montevarchi, 1912-Massa
1991) dal titolo “La Vita Eterna C’È”, pubblicata nel ventesimo anno dalla morte, per
Sant’Aldo (10 gennaio 2011),
dalla Suore Oblate Benedettine di Santa Scolastica. Forzoni
era stato ordinato sacerdote
nel 1940 e nominato da Pio
XII nel maggio del 1953
Vescovo di Gravina e Irsina,
allora il più giovane presule d’Italia; quindi nel 1970
divenne Vescovo di Apuania
(oggi diocesi di Massa Carrara-Pontremoli): un uomo
non comune che fu segnato
anche da gravi sofferenze, un
sacerdote dotato di sensibilità,
umiltà e carità evangeliche,
unite da una fede sincera e da
un desiderio profondo di “cadere (…) nelle braccia dell’Essere, tuffarsi nell’Amore,
sapere finalmente cos’è la Vita
nella conoscenza di Dio”. Al
centro del suo “La Vita Eterna
C’E’” è un pensiero particolare sulla morte, quella cosa
tagliente, fredda e impersonale
- “A’ livella” si direbbe il nome
più azzeccato - che c’impaura
come fine-di-tutto al punto
che persino il desiderio di
ricchezza, la smania e l’eccesso di godimenti materiali ne
appaiono suscitati: “Essere
ricco, è un’altra ebbrezza, è
dimenticare. E’ proprio per
questo che si diventa ricchi,
per dimenticare” - scrive
Louis-Ferdinand Céline
nel suo “Viaggio al termine
della notte”; e che cosa c’è da
dimenticare, domando io, se
non proprio la morte? Ecco,
allora, splendere la riflessione
di Aldo Forzoni, anzitutto nel
ribaltarne l’immagine: “non vi
La seconda nascita
sembri argomento lugubre...”
perché “... la morte aumenta
invece il ritmo della vita....”:
“se vogliamo che la nostra vita
sia veramente concreta, ordinata, quindi efficace, redditizia
Lido Contemori
[email protected]
di
e anche bella, bisogna proprio
immergersi nell’altra vita”. E’
quasi poesia quel rimandare
alla natura, a quei predicatori facili da capire (come i
fiori, gli uccelli, ecc.) che ci
introducono con stupore nel
mondo che ci attende; e il riferimento alla fase della nostra
vita che abbiamo vissuto nel
grembo materno, senza fare
alcunché, nello sviluppo di un
“misterioso congegno” che ha
proceduto senza interferenze:
“(...) come noi non morimmo
uscendo di là, ma subimmo
una trasformazione, una
mutazione di fase, un progresso, così quando usciremo di
qua”. Il guaio è che nella vita
“la preparazione del nuovo
organismo, dipende da noi” e
occorrono scelte anche nette,
di cui evidentemente portia-
Disegno
di Lido Contemori
Il migliore dei Lidi possibili
mo/porteremo la responsabilità e così “... nulla si farà in
me, per la vita futura, senza
che io lo sappia e lo voglia”.
Ci vogliono la ‘pazzia’ e la
‘certezza’ della fede, “una fede
talmente massiccia da diventare esperienza: una sicurezza
maggiore della scienza.” Per
ciò, in definitiva, il cristiano
“deve vivere nella maggior letizia, ma una letizia che sia nella
libertà”, così “la morte ci porta
a queste considerazioni”.
La morte come un cambiamento di fatto, e anche di
più: l’abbraccio con Dio. Ecco
perché San Francesco D’Assisi
– scrive il presule – non si spaventa, e mentre loda il Signore
per il sole, le stelle e l’acqua,
il vento e il fuoco, lo loda per
“sora nostra morte corporale
dalla quale nessun vivente può
scampare” e San Paolo ci rammenta nella Prima Lettera ai
Corinzi (15, 26) che “l’ultimo
nemico ad essere annientato
sarà la morte (...)”.
Dall’esperienza pastorale e di
vita di quest’uomo ci giungono parole semplici, preziose
più di qualunque cosa. Mi
fanno tornare alla religione-oppio-dei-popoli di Karl
Marx come ad un drammatico
travisamento: la fede in Dio (e
nella vita eterna), meglio che
il termine ‘religione’, non è la
droga che ci rende più lieve e
sopportabile il passaggio sulla
terra. E’, al contrario, la piena
consapevolezza dell’intero
ciclo della vita spirituale che
ci aiuta, ovvero ci impone di
lasciare le modalità disordinate dell’esistenza e di esercitare
intelligenza e impegno per
migliorare la nostra condizione; il tutto ispirato però,
in ogni momento, da quello
che Sant’Agostino nelle sue
“Confessioni” chiama “il presente del futuro”, cioè l’attesa.
Conclude Forzoni nel proprio
testamento spirituale: “... sono
contento di essere stato creato
e non ho ringraziato abbastanza il mio Creatore per il dono
della vita. Ma la vita non l’ho
mai intesa se non in funzione
della morte, cioè della seconda
nascita”.
6
GENNAIO
2016
pag. 10
Diego Salvadori
[email protected]
di
I
n “Le libere donne di
Magliano” (1953), Mario
Tobino allestisce una
narrazione per quadri staccati,
in un susseguirsi di presenze
sbiadite, baluginanti, che tuttavia originano un romanzo corale
e a più voci, ruotanti attorno
a un unico tema: la malattia
mentale. E questo ci spinge a
considerare alcuni passaggi del
libro, dove il malato psichico
oltrepassa e trascende la linea
di demarcazione tra umano e
animale. L’accostamento tra
animalità e follia potrà da subito
suonare lapalissiano, e basterebbe – a mo’ di ragguaglio – il
riferimento alla “Commedia”
dantesca e, in particolar modo,
al canto XI dell’Inferno, a “le
tre disposizion che ’l ciel non
vole,// incontenenza, malizia e
la matta/ bestialitade”. Ecco: nel
romanzo di Tobino, potremmo
proprio azzardare una tendenza onnipervasiva della “matta
bestialitade”, non fosse altro
per il continuo accostamento tra psicosi e teriomorfia,
presente da subito nelle pagine
del romanzo: “di notte”, scrive
Tobino, “nei cameroni dei matti
[c’è] puzzo di bestia”; oppure,
si pensi alla “malata […] [che]
sembra un topo pallido, gli occhi sempre curiosi benché non
ricerchino con precisione nulla”.
L’animalità s’insinua nella
fisiognomica delle degenti, fino
ad originare un vero e proprio
bestiario della follia: la Berlucchi “ha qualcosa di marino”; la
Tognazzi, invece, un “occhio vispo di gallina”; c’è poi la malata
“soprannominata ‘la faina’ […]
[che] si mantenne felina fino
agli ultimi giorni […]. Persino
dopo che fu spirata sembrò che
le fosse rimasto stampato nel
volto quel sorriso felino e fosse
pronta a raggiungere gli occhi
e prenderseli come fece tutte le
volte”. Nel manicomio immerso
nella pianura lucchese, le celle
sono “croniche di ferocia”, alla
stregua di un giardino zoologico dove la cattività continua
a produrre un “odore ferino”,
un lezzo che di umano ha ben
poco. Tuttavia, siamo dinanzi a
una coercizione refrattaria agli
intenti esibitivi che, nel caso
degli zoo, spettacolarizzano
Mario Tobino,
tra animale
e follia
l’animale: la prigionia in cella,
sostanzialmente, assurge a zona
rivelatrice, dove “l’alienato […]
è libero, sbandiera, non tralasciandone alcun grano, la sua
pazzia, la cella [è] il suo regno
dove dichiara se stesso, che è il
compito della persona umana”.
Una follia corporea, quasi un
invasamento sciamanico, che ha
come termine ultimo il superamento della soglia ontologica,
fino all’apice di un processo
trasformativo: “e quando il
Massimo Cavezzali
[email protected]
malato si accuccia, la pazzia cominciandosi a dileguare, sembra
una bestia umana così coperto
dall’alga, dalla quale spunta il
lungo di una coscia o la magra
punta di un gomito e, se lo si
chiama, muove il viso tra i fili
di quell’erba bruna e di quelli
imbrattato tira su il volto a
rispondere. Quando si apre una
cella di un ‘malato all’alga’ viene
incontro un odore acre, che
arriva fino al cervello”. L’alga, il
giaciglio del malato ricavato da
“un’erba, presso le coste di certi
mari”, quasi sigla un’incorporazione tra i due versanti – umano
e non umano –, poiché il matto
“vi vive nudo”, alla stregua di
una fiera in delirio, forse perché
“la pazzia dà potenza, [è] una
forza che è ben poco spiegabile
con le misure comuni”: parlare,
insomma, un altro, semisegreto,
linguaggio. In fondo, “la pazzia
è davvero una malattia? Non
è una delle misteriose e divine
manifestazioni dell’uomo?”
di
Scavezzacollo
Pubblicità
interiore
Sergio Favilli
[email protected]
di
Quand’ero ragazzo (che brutto
incipit!!) eravamo tutti abituati
ad aspettare il mitico Carosello
per goderci un po’ di sana ilarità
inserita fra trasmissioni televisive
seriose e spesso monotone: erano i
tempi di Bernabei, tempi nei quali
si misurava anche la scollatura
delle ballerine per non turbare la
pubblica decenza ed i presunti
benpensanti .
Poi, finalmente, il periodo del
grande Guglielmi a RAI 3, trasmissioni innovative che hanno
fatto epoca, spot pubblicitari di
ottimo livello moderni e pieni
di sana ironia, piena libertà di
espressione che inevitabilmente
influenzò in positivo anche gli altri
canali, senza contare la nascita delle prime artigianali TV private con
l’indimenticabile TELEVACCA di
Benigni e del Monni.
Son passati tanti anni, per certi
versi Televacca c’è ancora e non
solo le trasmissioni sono sempre
più inguardabili ma anche i pubblicitari danno evidenti segnali
di scarsa fantasia che spesso si traduce in spot decisamente rivoltanti
: da una parte gente perennemente stitica che va al cesso sempre
più raramente e dall’altra gente
che siede perennemente sulla tazza del water ingurgitando pillole
astringenti per fermare le perdite
intestinali, cittadini evidentemente abituati a pulirsi il culetto con
carta a vetro e quindi alla continua
ricerca di delicata carta igienica
super morbida, orride dentiere
traballanti in cerca del giusto adesivo, piedi puzzolenti alla ricerca
della polvere magica, profumi e
deodoranti intimi e non destinati a
persone che evidentemente hanno
scordato l’uso del sapone, manca
solo un bel digestivo per i bambini
che si mangiano le caccole e siamo
al completo!!
Insomma, a dover vedere la
pubblicità prima di pranzo ti passa
decisamente l’appetito ma resta
un dubbio, un grande dubbio,
una domanda alla quale stanno
tentando di dare risposta medici e
professori di tutto il mondo : ma
alle donne non gli scappa mai la
pipì durante la notte ???
6
GENNAIO
2016
pag. 11
Scottex
Aldo Frangioni presenta
L’arte del riciclo di Paolo della Bella
Siamo giunti alla penultima opera della
serie Scottex di Paolo della Bella la N°
49 che noi intitoliamo con la seguente seguenza: Accappatoio, Accappiare,
Accappiatura, Accappiettare, Accapponare,
Accapponatura, Accaprettare e Accapricciare, ringraziando lo Zingarelli per la
gentile concessione.
Scultura
leggera
di
Vicent Selva
Consigliere comunale di Esquerra Unida
Dalle elezioni parlamentari che si
sono tenute da poco in Spagna,
per la prima volta dal ripristino di
elezioni libere nel 1978, è uscito
un Parlamento piuttosto frammentato nel quale sarà difficile
l’elezione di un governo stabile,
solido e durevole.
In Spagna, dove si scelgono 350
deputati per il Congresso, vige
un sistema elettorale basato su un
metodo di ripartizione proporzionale dei seggi, il metodo d’Hondt,
per il quale ogni lista deve ottenere
una percentuale di parlamentari
simile alla percentuale di voti
ottenuti. Tuttavia, questa proporzionalità fra voti e seggi non è reale
e viene falsata a causa alla divisione del paese in 52 circoscrizioni
elettorali.
Il risultato delle elezioni del 20
dicembre ha portato alla fine del
bipartitismo, il modello con il
quale i due maggiori partiti, PP
(destra) e PSOE (centro sinistra)
si sono alternati al potere, con
il sostegno, se necessario, dei
piccoli partiti a sinistra, a destra
o nazionalisti, per dare stabilità
al governo. Questa volta, quattro
forze politiche hanno ottenuto
risultati abbastanza simili con il
28% per il PP, 22% per il PSOE,
il 20% per Podemos (a sinistra) e
il 14% per Ciudadanos (a destra).
E lontano da questi, Izquierda Unida con il 4%. In questo
contesto, le prospettive di formare
un governo non sembrano essere
Le tre opzioni spagnole
molto favorevoli. Né il centrodestra, né il centrosinistra, hanno
un numero sufficiente di deputati
per raggiungere la maggioranza
assoluta, che si attesta a 176 seggi:
PP e Ciudadanos insieme arrivano
a 163; PSOE, Podemos e IU
possono aggiungere 161. I restanti
26 deputati fanno parte di partiti
regionalisti, nazionalisti o separatisti, sia di sinistra come Esquerra
Republicana de Catalunya o Bildu;
sia di destra, come Convergència
Democratica di Catalunya e il
Partido Nacionalista Vasco. Questi
partiti, per accettare di sostenere
qualquno dei candidati a premier
metterano sul tavolo il diritto
di auto-determinazione nelle
rispettive regioni, qualcosa cui né
il PP, né Ciudadanos, né PSOE
possono accettare, a differenza di
Podemos e Izquierda Unida che
sono sempre stati favorevoli a fare
dei referendum sull’autonomia in
queste regioni.
In questa situazione, le possibilità di formare un governo sono
limitate. Da un lato, il PSOE
si rifiuta di accettare qualsiasi
referendum di autodeterminazione
in Catalogna, che viene richiesto
sia dalla sinista indipenditista
catalana che dalla basca, ma anche
da Podemos. Così, al momento,
non sembra fattibile un governo a
guida socialista con il sostegno di
questi partiti.
Violence is not always visible
Galleria
La Corte
Apertura
8 Gennaio
ore 18
Via
de’Coverelli
27/R
Firenze
49
La destra, d’altra parte, ha anch’essa enormi difficoltà a formare un
governo. PP e Ciudadanos, insieme con il Partido Nacionalista Vasco e Convergència Democratica
di Catalogna potrebbero avere la
maggioranza assoluta in Parlamento se i suoi deputati convergessero
su uno stesso candidato presidente
del governo, ma le differenze fra
di essi sulla questione territoriale
(Convergència Democràtica de
Catalunya ha promoso il referendum e chiede l’indipendenza della
Catalogna in tempi rapidi), non
rende possibile questa opzione.
Una terza opzione potrebbe essere
quella di fare come si è fatto in
Grecia prima di Syriza o in Germania oggi, dove i due maggiori
partiti tradizionali, PP e PSOE, si
uniscono in una grande coalizione
che darebbe ampio sostegno a un
governo di concentrazione. Alcune
voci del PSOE sostengono questa
opzione, ma molti sono consapevoli che questo significherebbe la
scomparsa di questo partito e il
sorpasso di Podemos nelle prossime elezioni, come è successo in
Grecia fra PASOK e Syriza.
La quarta opzione potrebbe essere
quella di nuove elezioni, da tenersi
entro tre mesi, qualora nessuna
delle due parti si dimostrasse in
grado di formare un governo. Uno
scenario che favorirebbe Podemos,
ma che PSOE e PP temono. Mentre sto scrivendo, questa sembra
l’opzione più probabile.
Fra poco tempo sapremo cosa
succederà.
L
immagine
ultima
B
6
GENNAIO
2016
pag. 12
Dall’archivio
di Maurizio Berlincioni
[email protected]
entornati a Manhattan! Vorrei iniziare l’anno nuovo con un’altra immagine scattata al bordo esterno di Central Park. Questo giovane
vendeva simpatici palloncini colorati ed alcuni gadgets legati all’impresa degli astronauti sulla Luna, senza farsi mancare una serie di
grandi spille pacifiste. Per coprire tutto lo spettro dei possibili clienti questo giovane si era anche attrezzato con una manciata di onnipresenti bandierine a stelle e strisce.
NY City, agosto 1969
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