A cura dell’Associazione di Promozione Sociale “LE ROSE DI ATACAMA” IL PROGETTO LE POLITICHE DELLA REGIONE BASILICATA NEL SETTORE DELL’ACCOGLIENZA E DELL’INTEGRAZIONE DEGLI IMMIGRATI Nel corso degli ultimi anni la Regione Basilicata ha promosso importanti iniziative attraverso diversi strumenti normativi e finanziari: • Legge regionale n.21/1996 “Interventi a sostegno dei lavoratori extracomunitari in Basilicata ed istituzione della Commissione Regionale dell’immigrazione”; la Regione elabora ed attua specifici programmi finalizzati a migliorare l’integrazione sociale degli immigrati presenti sul territorio regionale; I programmi hanno finanziato attività rientranti in tre tipologie di progetti: - sportelli informativi per immigrati e centri di accoglienza; - progetti e azioni di integrazione, socializzazione e solidarietà sociale; - progetti innovativi. • Fondo regionale per le politiche sociali previsto dalla legge 328/2000 e altri fondi ministeriali destinati alla specifica tematica dell’immigrazione; la Regione finanzia progetti specifici nel settore culturale, dell’accoglienza e della ricerca. Si tratta di progetti specifici non rientranti nei programmi previsti dalla legge 21/1996 e realizzati sulla base di specifiche esigenze rilevate e/o pervenute presso l’ente regionale; • La Regione approva i “Programmi di assistenza sanitaria in favore di bambini e adolescenti provenienti da paesi extracomunitari” realizzati dalle Aziende Sanitarie Locali, l’Azienda Ospedaliera San Carlo di Potenza e dal C.R.O.B. di Rionero in Vulture (PZ); • FEI (Fondo Europeo per l’Integrazione di Cittadini di Paesi Terzi). Far&Network Fight Against Racism & Network (Lotta contro il razzismo & Network) ha come propria missione quella di sensibilizzare, informare e formare i cittadini, le associazioni e le scuole perché l’intolleranza non possa trovarvi cittadinanza. Il progetto si pone come obiettivo generale la promozione di una serie di interventi di sensibilizzazione, informazione e formazione nel pubblico, nel terzo settore e nelle scuole al fine di impedire e contrastare il generarsi o il perdurare di comportamenti discriminatori che incidono negativamente sul patrimonio culturale. Il progetto mira ad accrescere l’attenzione e approfondire la conoscenza sui temi dell’integrazione e della coesione sociale per creare una società capace di vivere la complessità multietnica, multirazziale e multiculturale come occasione di ricchezza e di stimolo allo sviluppo. Partendo da queste considerazioni, il progetto “Far&Network” si pone come obiettivi specifici: • Creare una società capace di vivere la complessità multietnica, multirazziale e multiculturale come occasione di ricchezza e di stimolo allo sviluppo; • Infondere l’idea che la diversità non equivale ad esclusione dalla partecipazione attiva alla vita sociale e civile, ma comporta lo stesso uguaglianza nei diritti e doveri e l’obbligo di rispetto reciproco a prescindere dall’essere immigrati o autoctoni; • Promuovere, coordinare e supportare la Rete dell’ambito territoriale d’intervento (Potenza e Matera) con lo scopo di favorire sinergie e collaborazioni operative tra istituzioni, associazioni e organizzazioni già impegnate in tale ambito in un’ottica aperta al confronto nazionale ed europeo; • Creare un Comitato di Immigrati che avrà un ruolo attivo nella Rete e che si propone di essere una forma di collegamento tra associazioni, organizzazioni, attivisti, gruppi o singoli che esprimono lo sforzo di autorganizzazione per l’affermazione dei diritti, della dignità e della libertà dei cittadini immigrati in Italia; • Costituire l’ Osservatorio/Centro Regionale e l’Antenna Territoriale Anti-Discriminazione seguendo le linee guida dell’UNAR, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali; • Promuovere, coordinare e supportare la Rete dell’ambito territoriale (Potenza e Matera) con lo scopo di favorire la collaborazione tra istituzione, associazioni e organizzazioni, già impegnate in tale ambito, in un’ottica aperta al confronto nazionale ed europeo; • Realizzare un percorso di formazione rivolto ai soggetti istituzionali che costituiscono la rete territoriale e che si occupano di prevenzione, contrasto e assistenza alle vittime di discriminazione; • Promuovere il principio della parità di trattamento indipendentemente dalla razza, dal genere, dall’origine etnica, dalla religione, dalle differenze culturali, attraverso azioni di sensibilizzazione e percorsi interculturali nelle scuole aderenti al progetto; • Costruire l’Osservatorio/Centro Regionale e l’antenna territoriale anti-discriminazione per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni. SOGGETTI COINVOLTI: Regione Basilicata – Dipartimento Politiche della Persona - Capofila, Province di Matera e Potenza, Associazione di Promozione Sociale “Le Rose di Atacama” - Partners. DESTINATARI I destinatari diretti sono i cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale e iscritti negli uffici anagrafici e nei Centri per l’impiego delle due Province di Potenza e Matera, gli operatori pubblici e del terzo settore che direttamente o indirettamente operano sui temi dell’immigrazione, dell’ integrazione, delle pari opportunità e dell’antidiscriminazione e che a vario titolo si interfacciano con cittadini stranieri residenti sul territorio nonché 200 studenti dell’ Istituto d’Istruzione Superiore “Francesco Saverio Nitti” (Sedi associate: Istituto Tecnico Statale Economico “Francesco Saverio Nitti” – “G. Falcone”, Istituto Professionale per i Servizi Commerciali e turistici “G. Racioppi”) di Potenza e l’Istituto Professionale per i Servizi Sociali “Isabella Morra” di Matera. ATTIVITÀ NELLE SCUOLE • Programmazione e realizzazione di interventi multietnici presso l’Istituto d’Istruzione Superiore “Francesco Saverio Nitti” di Potenza e l’Istituto professionale per i Servizi Sociali “Isabella Morra” di Matera. • Realizzazione di prodotti, espressione delle attività svolte dagli studenti delle scuole coinvolte, che verranno presentati in un evento finale (cartelloni pubblicitari con articoli di giornali locali con chiari pregiudizi razzisti, per mostrare come è più semplice porre l’accento sulla nazionalità piuttosto che sulle qualità di una persona, e/o mostra interattiva con filmati, foto, racconti). Pagina Facebook: Far&network FEI 2012 AZ 7 REG PROG 104436 IL RAZZISMO NELLA STORIA Fin dall’antichità molti popoli o gruppi sociali tesero a chiudersi agli altri, escludendo o discriminando i diversi, con un atteggiamento che si può definire xenofobo o etnocentrico più che razzista in senso proprio, per la mancanza di un esplicito riferimento a una superiorità biologica: i fondamenti della propria presunta superiorità erano linguistici, culturali, religiosi. Greci e romani definivano ‘barbari’ i popoli che non parlavano la loro lingua (bar-bar indicava onomatopeicamente il loro balbettio incomprensibile); l’Europa cristiana perseguitò e ghettizzò per secoli gli ebrei, accusati dell’uccisione di Cristo. I Greci non rappresentavano la specie umana come divisa in razze, ma divisa in popoli. I Romani ebbero la tendenza a concedere progressivamente il diritto di cittadinanza a tutti i popoli sottomessi. Nel 212 d.C. L’imperatore Caracalla con un editto dichiarò tutti i sudditi dell’impero cittadini con parità di diritti e di doveri. Una prima forma di razzismo biologico si presentò dopo la scoperta dell’America, per giustificare lo sfruttamento schiavistico di indios e africani deportati: nel 16° sec. J. Ginés de Sepúlveda sosteneva l’inferiorità degli indios rispetto ai conquistadores e la necessità della conquista per portare l’evangelizzazione nelle Americhe. Sepúlveda definiva i nativi americani come uomini humuncoli, cioè esseri simili all’uomo, ma in realtà inferiori rispetto alla razza umana. Nei suoi scritti si può appurare come elogi i conquistadores che, secondo lo scrittore, portarono la civiltà e il Vangelo a questi popoli dalla quale sono distanti quasi quanto gli uomini dalle bestie. In uno scritto del 1547 La scoperta dei selvaggi, descrive i selvaggi come popoli non del tutto privi di umanità, infatti tende a precisare che possedevano un minimo di istruzione anche se allo stato primitivo. Sepúlveda giustificava la guerra contro i nativi come un’opera propedeutica alla successiva evangelizzazione. Egli vide nei conquistadores degli angeli punitivi che sottomettevano gli “infedeli” per poi guidarli sulla retta via, ovvero quella della cristianità. Nel Medioevo i cattolici europei si consideravano superiori a tutte le altre popolazioni del mondo non solo per motivi culturali ma anche e soprattutto per motivi religiosi: di qui il disprezzo e le persecuzioni di ebrei, musulmani, eretici, pagani (incluse le guerre all’interno dello stesso cristianesimo, fra cattolici e ortodossi, fra cattolici e protestanti). Nel XVIII sec. si formò una vera e propria ideologia razzista. Essa partiva dalla differenza dei tratti somatici e del colore della pelle per affermare una differenza di carattere biologico ereditario e quindi una inferiorità intellettuale e morale, oltre che genetica. Nel XIX sec. si passa a interpretare la storia come una competizione tra razze forti e razze deboli. La decadenza delle grandi civiltà viene spiegata con l’incrocio delle razze che impoverirebbe la purezza del sangue. Le prime teorie razziste, basate sulla superiorità biologica e culturale di una razza sull’altra, comparsero e si svilupparono nel ‘500, col sorgere dei grandi imperi coloniali; cioè quando spagnoli e portoghesi iniziarono il traffico degli schiavi africani da utilizzare nelle miniere e nelle piantagioni americane di cotone. La teoria dell’inferiorità razziale era stata creata per giustificare lo sfruttamento dei neri da parte dei bianchi. Fu solo nell’Ottocento che gli schiavisti cominciarono a perdere le loro battaglie: in Inghilterra la schiavitù venne abolita nel 1808, in Francia nel 1848, in Olanda nel 1863. Lo schiavismo aveva trovato i suoi più accaniti sostenitori tra gli aristocratici possidenti del sud degli Stati Uniti. Qui la schiavitù venne abolita da Abramo Lincoln nel 1861. La prima teoria ‘scientifica’ della differenziazione biologica dell’umanità in razze fu la classificazione in base al colore della pelle operata da C. Linneo nel 1735. Il testo che diede un impulso decisivo alla diffusione delle idee razziste fu il Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane (1853-55) del conte J.-A. de Gobineau. Successivamente l’inglese H.S. Chamberlain, forte ammiratore dei tedeschi, riprese le teorie di de Go- bineau, sostenendo che ogni uomo, solo per il fatto di appartenere a una certa razza, possiede delle qualità destinate a realizzare determinati fini. Per quanto riguarda i tedeschi il loro fine particolare è il dominio del mondo. Con Chamberlain nasce anche la giustificazione teorica dell’antisemitismo e la valorizzazione del concetto di “razza ariana”. Per H.S. Chamberlain (I fondamenti del 19° secolo, 1900) la storia era un’eterna lotta tra ariani, razza spiritualmente nobile, ed ebrei, ignobili e meschini. L’antiebraismo religioso si era trasformato in antisemitismo razzista, diffuso in gran parte d’Europa, dalla Russia dei pogrom alla Francia dell’affaire Dreyfus. Tutte le sue idee vennero accettate dal nazismo. Hitler, nel libro Mein Kampf, affermò che l’incrocio delle razze determina il decadimento fisico e spirituale della razza superiore. E’ inutile ricercare -diceva Hitler - quale sia la razza originaria portatrice della cultura umana: ciò che conta sono i risultati attuali, nel senso che la razza superiore è quella che riesce a dimostrare d’essere la più forte e la migliore in ogni campo. E quella tedesca coincide con la razza ariana. Anche l’evoluzionismo di C. Darwin fu strumentalizzato per cercare di avvalorare le tesi razziste sostenendo che il dominio imperialistico sul mondo dimostrerebbe la superiorità biologica della razza bianca, più adatta ad affrontare la lotta per la vita e la selezione naturale. Inoltre, furono condotte misurazioni antropometriche che avrebbero dovuto rivelare la maggior intelligenza, vitalità e moralità della razza bianca e furono avanzate teorie eugenetiche che invitavano a preservare i caratteri migliori della razza impedendo il meticciato e la riproduzione degli individui peggiori. Negli Stati Uniti, nonostante l’abolizione della schiavitù (1865), i neri continuarono a essere discriminati, nonché perseguitati dal terrorismo del Ku-Klux-Klan, fino al 1964, quando un’ondata di manifestazioni antirazziste ottenne il divieto di ogni legge discriminatoria. Ciononostante l’emarginazione sociale, dei neri come degli ispanici, non è ancora del tutto scomparsa. L’espressione più tragica del razzismo si ebbe nella Germania nazista (1933-45). A. Hitler, che con A. Rosenberg (Il mito del 20° secolo, 1930) riprese le idee di Chamberlain, cercò di realizzare la supremazia della razza ariana riducendo in schiavitù gli slavi ed eliminando gli ebrei, considerati “subumani”. La “soluzione finale”, decisa durante la Seconda guerra mondiale, portò allo sterminio nei Lager di 6 milioni di ebrei. Anche l’Italia fascista adottò leggi razziali (1938) e contribuì alla deportazione nei Lager degli ebrei italiani. Il nazismo praticò anche l’eugenetica; in particolare essa era mirata a quanti furono identificati come “vite di nessun valore” (in Tedesco: Lebenunwertes Le- ben): deviati, “degenerati”, dissidenti, ritardati e persone con difficoltà di apprendimento, persone sterili, omosessuali, persone pigre, malati mentali, ebrei, deboli, zingari ecc. A questi avrebbe dovuto essere impedito di riprodursi, in modo da non diffondere i propri geni all’interno della popolazione. Oltre 400.000 persone subirono la sterilizzazione coatta, e 70.000 furono uccise nel corso dell’Aktion T4. Il Razzismo scientifico, espressione utilizzata per indicare una particolare forma storica di razzismo organizzato, fondata a partire dal XIX secolo in Europa e nelle Americhe, nato in ambito universitario tra le scienze naturali e sociali dell’epoca, prendendo inizio dalla biologia, dall’antropologia, dalla genetica, dalla medicina, dalla criminologia e dalla sociologia, rifacendosi alla teoria evoluzionista di Charles Darwin, venne rifiutato politicamente e scientificamente solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando con la pubblicazione della «Dichiarazione sulla razza» nel 1950 l’UNESCO decretò in modo ufficiale la non esistenza della razze umane e incoraggiò i numerosi biologi a ricordare costantemente l’assenza di validità scientifica della nozione di “razze umane”. Anche il razzismo come elemento della politica di governo cadde largamente in discredito dopo la seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra, la decolonizzazione liberò molti popoli dall’oppressione coloniale, ma non impedì l’affermazione di regimi segregazionisti, come l’apartheid in Sudafrica, dove il razzismo fu sancito e applicato ufficialmente. La minoranza bianca costrinse la maggioranza nera a vivere segregata nei bantustan. La condanna dell’ONU e dell’opinione pubblica mondiale e le battaglie dell’African National Congress di N. Mandela portarono all’abolizione dell’apartheid (1990), ma nel mondo continuano a verificarsi situazioni di discriminazione o emarginazione, come quelle degli aborigeni in Oceania o degli indios nel Chiapas messicano. In Europa e in Italia rigurgiti di razzismo si sono ripresentati a fine secolo con le massicce immigrazioni dai paesi più poveri, nonostante gli immigrati costituiscano una risorsa preziosa per il Vecchio Continente. Ha provocato orrore la ripresa negli anni Novanta di pratiche di pulizia etnica, che si speravano scomparse con la fine del nazismo, nella ex Iugoslavia che hanno coinvolto serbi, croati e albanesi del Kosovo. Massacri provocati da conflitti etnici si sono verificati anche in altri continenti, come tra gli hutu e i tutsi in Ruanda (1994). Non si possiedono statistiche attendibili circa la capacità di penetrazione degli atteggiamenti razzisti. Là dove il razzismo aveva trovato un terreno fertile nei secc. XIX e XX, tali atteggiamenti sembravano più diffusi. Tuttavia in Francia, che pure non aveva in passato favorito i movimenti razzisti, il razzismo è affiorato dopo la guerra. La Germania - la nazione che ha portato il razzismo al suo trionfo - non ha visto il suo risveglio, sebbene molti dei vecchi atteggiamenti razzisti continuino a sussistere, in attesa forse di un’epoca di crisi per riemergere. L’Europa orientale, essendo diventata comunista, ha represso gli atteggiamenti razzisti (che, peraltro, con molta probabilità sopravvivono). Anche l’Italia, che non ha avuto, in passato, una vera e propria tradizione razzista, è rimasta relativamente immune dal razzismo dopo la seconda guerra mondiale. Gli atteggiamenti razzisti si sono rivelati più pronunciati in quei paesi che, dopo la guerra, hanno avuto problemi con le minoranze. Negli Stati Uniti il razzismo - ridotto in gran parte dell’Europa a un’esistenza sotterranea - ha determinato, seppure a livello subconscio, l’atteggiamento di larghi strati della popolazione sia al Nord che al Sud. La Gran Bretagna, che non aveva una radicata tradizione razzista, ha conosciuto un’ondata di razzismo in seguito all’immigrazione dall’India occidentale e dal Pakistan. Questo tipo di razzismo trova le sue radici nei problemi sociali associati alla concorrenza per l’occupazione, gli alloggi e lo status sociale. Cionondimeno, è in genere considerato sconveniente esprimere pubblicamente opinioni razziste. Grazie ai più recenti studi di genetica, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, la biologia considera ormai assodato il fatto che le differenze tra le razze sono minime, e che esse costituiscano un solo insieme omogeneo e che due gruppi etnici qualsiasi, il cui aspetto sia stato modificato dall’adattamento ad ambienti esterni diversi, possano essere apparentemente molto diversi, ma, in realtà, assai vicini dal punto di vista genetico. Al contrario, popolazioni che condividono un aspetto simile possono essere geneticamente più distanti rispetto a popolazioni di “razze” diverse. Il termine razza non è in ogni modo utilizzato in biologia per la classificazione tassonomica ma solo in zootecnia e viene applicato solamente agli animali domesticati. Nonostante il capolinea del razzismo scientifico, rigettato come pseudoscienza alla fine del novecento, al razzismo si sono aggiunti fenomeni di xenofobia, avversione e intolleranza contro diverse etnie, popoli e culture religiose, nonché intolleranze di tipo omofobo. I DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI…. Ventisette milioni di persone vivono in schiavitù, ossia più del doppio rispetto a quando il commercio degli schiavi era al massimo livello. E oltre un miliardo di adulti non sa leggere. Con una tale quantità di persone ignara dei propri diritti più fondamentali, chi si assicurerà che i diritti umani vengano promossi, protetti e resi una realtà? Per rispondere a questa domanda, possiamo ispirarci a coloro che fecero la differenza e aiutarono a creare i diritti umani di cui oggi godiamo. Questi uomini si batterono per i diritti umani, perché si rendevano conto che in loro assenza, non si sarebbero mai ottenuti pace e progresso. Ognuno di loro, in modo significativo, ha cambiato il mondo. MAHATMA GANDHI (1869-1948) Mohandas Karamchand Gandhi viene ampiamente riconosciuto come uno dei maggiori leader politici e spirituali del ventesimo secolo. Onorato in India come il padre della nazione, fu pioniere e praticante del principio del Satyagraha, ossia la resistenza alla tirannia tramite la disobbedienza civile non violenta delle masse. Mentre guidava campagne a livello nazionale per ridurre la povertà, garantire maggiori diritti alle donne, costruire l’armonia tra le religioni e le razze ed eliminare le ingiustizie del sistema delle caste, Gandhi applicò al sommo livello i principi della disobbedienza civile non violenta al fine di liberare l’India dalla dominazione straniera. Fu spesso incarcerato per le sue azioni, a volte per anni, ma ottenne il suo scopo nel 1947, quando l’India conquistò l’indipendenza dalla Gran Bretagna. A causa della sua levatura, ci si riferì a lui col nome di Mahatma, che significa “grande anima”. Mahatma Gandhi, ha descritto la non violenza come “la più grande forza a disposizione dell’umanità. È più potente della più potente arma di distruzione che sia mai stata concepita dall’ingegnosità dell’uomo.” Da Martin Luther King Jr. a Nelson Mandela, hanno riconosciuto in Gandhi la fonte d’ispirazione delle loro battaglie per ottenere uguali diritti per la loro gente. MARTIN LUTHER KING JR. (1929-1968) Martin Luther King Jr. fu uno dei più noti promotori del cambiamento sociale tramite la non violenza del XX secolo. Nacque ad Atlanta, in Georgia, e la sua eccezionale oratoria e coraggio personale, attrassero l’attenzione di tutta la nazione per la prima volta nel 1955, quando lui ed altri attivisti per i diritti civili furono arrestati per aver guidato il boicottaggio della compagnia dei trasporti pubblici di Montgomery, in Alabama, la quale aveva preteso che le persone di colore lasciassero il posto ai bianchi e stessero o sedessero nella parte posteriore degli autobus. Per tutti i dieci anni successivi, Martin Luther King Jr. scrisse, tenne discorsi e organizzò proteste e dimostrazioni di massa non violente per attirare l’attenzione del pubblico sulla discriminazione razziale, e per richiedere una legislazione sui diritti civili che proteggesse i diritti degli afroamericani. Nel 1963, a Birmingham, in Alabama, Martin Luther King Jr. guidò dimostrazioni di massa pacifiche che furono contrastate dalla polizia dei bianchi con cani ed idranti, creando una polemica che finì sui titoli in prima pagina dei giornali in tutto il mondo. Le successive dimostrazioni di massa di molte comunità culminarono in una marcia che raccolse oltre 250.000 dimostranti in protesta a Washington, dove King pronunciò il suo famoso discorso “Ho un sogno”, nel quale concepiva un mondo in cui i popoli non fossero più divisi in base alla razza. Il movimen- to da lui ispirato fu tanto potente, che il Congresso promulgò la Legge sui Diritti Civili nel 1964, lo stesso anno in cui King ricevette il Premio Nobel per la Pace. Riconosciuto dopo la sua morte con la Medaglia Presidenziale per la Libertà, Martin Luther King Jr. è un’icona del movimento per i diritti civili. La sua vita e le sue opere simboleggiano la ricerca dell’uguaglianza e della non discriminazione che stanno alla base del sogno americano, e di quello umano. Celebre è una sua affermazione: “L’ingiustizia in qualsiasi luogo è una minaccia alla giustizia ovunque.” ELEANOR ROOSEVELT (1884-1962) In qualità di presidente e di membro con maggiore influenza della Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Eleanor Roosevelt fu la forza motrice della creazione, nel 1948, dello statuto delle libertà che sarà sempre considerato il suo retaggio: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Nata a New York, Eleanor sposò l’allora esordiente uomo politico Franklin Delano Roosevelt nel 1905 e si immerse completamente nelle attività di servizio pubblico. Entro il 1933, quando giunsero alla Casa Bianca come Presidente e First Lady, era già profondamente coinvolta in questioni riguardanti i diritti umani e la giustizia sociale. Continuando la sua opera nell’interesse del popolo, sostenne l’ottenimento di pari diritti per le donne, per gli afroamericani e per i lavoratori del periodo della Grande Depressione, portando attenzione sulle loro cause. Coraggiosamente schietta, aiutò pubblicamente Marian Anderson, quando nel 1939 alla cantante di colore venne negato l’accesso al Constitution Hall di Washington a causa della suo colore. Eleanor si assicurò che Marian potesse invece esibirsi sui gradini del monumento Lincoln Memorial, creando un’immagine duratura e ispiratrice in quanto a coraggio personale e diritti umani. Nel 1946, Eleanor fu nominata delegato presso le Nazioni Unite dal Presidente Harry Truman, che salì alla Casa Bianca dopo la morte di Franklin Roosevelt nel 1945. In qualità di capo della Commissione per i Diritti Umani, Eleanor Roosevelt svolse un ruolo molto importante nella formulazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che presentò all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con le seguenti parole: “Ci troviamo oggi alla soglia di un grande momento nell’esistenza delle Nazioni Unite e dell’Umanità. Questa dichiarazione potrebbe diventare la Magna Carta internazionale, per ogni uomo ed in ogni luogo”. Chiamata dal Presidente Truman “la First Lady del Mondo” per i conseguimenti umanitari ottenuti nell’arco di tutta la sua vita, Eleanor Roosevelt lavorò fino alla fine dei suoi giorni per ottenere l’accettazione e l’attuazione dei diritti contemplati nella Dichiarazione. Il retaggio delle sue parole e delle sue opere compare nelle costituzioni di molte nazioni, ed in un corpo di leggi internazionali in evoluzione che ora protegge i diritti degli uomini e delle donne in tutto il mondo. “Fa ciò che senti giusto nel tuo cuore, poiché verrai criticato comunque. Sarai dannato se lo fai, dannato se non lo fai.” -Eleanor Roosevelt CÉSAR CHÁVEZ (1927-1993) Lavoratore americano di origine messicana, sindacalista e attivista dei diritti civili, César Chávez creò tramite le sue azioni delle condizioni migliori per i lavoratori agricoli. Nato nella fattoria della sua famiglia vicino a Yuma, in Arizona, Chávez fu testimone delle terribili condizioni sofferte dalle persone che lavoravano nella fattoria. Queste venivano costantemente sfruttate dai datori di lavoro, spesso non venivano pagate e vivevano in baracche, come scambio per la loro manodopera, senza assistenza medica o altre strutture fondamentali. Senza una voce unita, non avevano mezzi per migliorare le proprie condizioni. Chávez cambiò tutto questo quando dedicò la sua vita alla conquista del riconoscimento dei diritti dei lavoratori agricoli, ispirandoli e organizzandoli nell’Associazione Nazionale dei Lavoratori Agricoli, che divenne poi il sindacato noto come Lavoratori Agricoli Uniti. Tramite marce, scioperi e boicottaggi, Chávez costrinse i datori di lavoro a pagare salari adeguati e a fornire altri benefici, e fu responsabile della prima legge che mise in atto il Documento dei Diritti dei lavoratori agricoli. Grazie al suo impegno per la giustizia sociale, e per aver dedicato tutta la sua vita al miglioramento delle condizioni di vita del suo prossimo, Chávez ricevette, dopo la sua morte, la più elevata onorificenza civile, la Medaglia Presidenziale per la Libertà. battaglia contro l’oppressione per raggiungere le mete che lui ed altri avevano stabilito quasi quarant’anni prima. Nel maggio del 1994, Mandela fu proclamato il primo presidente nero del Sudafrica e rimase in carica fino al 1999. NELSON MANDELA (1918-2013) Nelson Mandela, uno dei simboli dei diritti umani più riconosciuti della nostra epoca, è un uomo la cui dedizione alla libertà del suo popolo è d’ispirazione per i sostenitori dei diritti umani di tutto il mondo. Nato a Transkei, in Sudafrica, figlio di un capo tribù, Mandela si laureò in giurisprudenza. Nel 1944 si unì al Congresso Nazionale Africano (African National Congress, ANC) e operò attivamente per abolire la politica dell’apartheid stabilita dal Partito Nazionale al potere. Processato per le sue azioni, Mandela dichiarò: “Ho lottato contro il dominio bianco e contro il dominio nero. Ho coltivato l’ideale di una società democratica e libera nella quale tutti potessero vivere uniti in armonia e con pari opportunità. È un ideale per il quale spero di poter vivere e che spero di ottenere. Ma se necessario, è un ideale per il quale sono pronto a morire.” Condannato all’ergastolo, Mandela divenne un potente simbolo di resistenza per il nascente movimento anti-apartheid, rifiutando ripetutamente di scendere a compromessi con la sua posizione politica per ottenere la sua libertà. Rilasciato infine nel febbraio del 1990, intensificò la Guidò la transizione delle leggi elitarie e dell’apartheid, conquistando il rispetto internazionale grazie al suo impegno per la riconciliazione nazionale ed internazionale. Nel 2008, in occasione del suo 90° compleanno, è stata tenuta una celebrazione internazionale in onore della sua vita, dedicata alle sue mete di libertà ed eguaglianza. “Se parli ad un uomo in una lingua che comprende, farai centro. Se gli parli nella sua lingua, arriverai al suo cuore.” - Nelson Mandela Questi sono solo alcune delle persone che, tramite il pensiero e le azioni, hanno fatto la differenza ed hanno cambiato il nostro mondo. UNITI CONTRO IL RAZZISMO….TUTTO CIO’ NON BASTA, SI DEVE FARE DI PIU’! “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.” - Articolo 1, Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite I diritti umani sono diritti che appartengono a tutte le persone, senza eccezioni; e non vengono acquisiti dalle persone in base alla cittadinanza, alla loro occupazioni o a qualsiasi altra condizione sociale. Un principio fondamentale del diritto internazionale dei diritti umani, consiste negli obblighi per gli Stati non solo di rispettare, ma anche di proteggere e realizzare i diritti umani. L’obbligo del rispetto impone allo Stato di non intraprendere delle attività che violino direttamente un particolare diritto. L’obbligo di protezione richiede agli Stati di garantire la tutela dei diritti attraverso la legislazione, le politiche e la buona prassi amministrativa, compresa l’adozione di strumenti per impedire la violazione dei diritti da parte di terzi. L’obbligo di realizzare i diritti umani impone allo Stato di facilitare, fornire e promuovere l’accesso ai diritti umani. La Dichiarazione universale dei diritti umani, è stata nel tempo integrata e supportata da altri trattati e svariati strumenti regionali sui diritti umani di portata generale: il Patto sui diritti economici, sociali e culturali, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle liberta fondamentali (CEDU) con i suoi Protocolli e la Carta sociale europea nell’ambito del Consiglio d’Europa; la Dichiarazione americana dei diritti e dei doveri dell’uomo, la Convenzione americana sui diritti umani ed il suo Protocollo addizionale nell’area dei diritti economici, sociali e culturali (Protocollo di San Salvador), per il sistema inter-americano di protezione dei diritti umani; la Carta africana sui diritti umani e dei popoli per il sistema africano; e la Carta araba sui diritti umani per il sistema arabo. Altri trattati sui diritti umani a carattere particolare sviluppano ulteriormente il contesto giuridico per il rispetto, la tutela, la promozione e la realizzazione dei diritti umani verso specifiche categorie di persone oppure sono dedicati a specifici diritti umani, tra questi ricordiamo per esempio la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, la Convenzione sui diritti del fanciullo e i suoi protocolli, la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, la Convenzione internazionale per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione Razziale, la Convenzione contro la tortura e altre forme di punizione o di trattamento crudele, inumano o degradante e la Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone contro le sparizioni forzate. In osservanza degli obblighi giuridici internazionali assunti dall’Italia con la ratifica dei principali Trattati dell’ONU in materia di diritti umani, il nostro Paese – negli anni – ha non solo ribadito il pieno rispetto per il principio di uguaglianza e non discriminazione, ma ha cercato di darne piena attuazione nel rispetto delle indicazioni promananti sia dagli organi di controllo dei Trattati di cui sopra – i c.d. Treaty Bodies - sia dalle Procedure Speciali dell’ONU frutto di visite in Italia. Entrambe queste categorie di meccanismi sono note in quanto volte a monitorare l’effettiva osservanza degli obblighi ed impegni internazionali in materia di diritti umani, assunti dal Paese a livello internazionale. Nell’ottica del rispetto dei diritti umani, i costruttori dell’Europa hanno lanciato il processo di edificazione europea con la fondazione del Consiglio d’Europa nel 1949, l’istituzione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) nel 1950 e della Comunità economica europea (CEE) nel 1957. Questi uomini di dialogo, che hanno vissuto a cavallo delle due guerre mondiali e sono entrati in contatto con diverse culture europee, risultano essere i precursori di un’Europa di pace fondata sui valori di diritti umani, democrazia e stato di diritto. Il Consiglio d’Europa promuove la libertà di espressione e dei media, la libertà di riunione, l’uguaglianza e la protezione delle minoranze. Ha lanciato campagne su questioni quali la protezione dei bambini, il discorso dell’odio su Internet, e i diritti dei Rom, la minoranza più grande d’Europa. Il Consiglio d’Europa aiuta gli Stati membri a combattere la corruzione e il terrorismo e a intraprendere le riforme giudiziarie necessarie. Il suo gruppo di esperti di diritto costituzionale, conosciuto come la Commissione di Venezia, offre consulenza legale ai paesi di tutto il mondo. Il Consiglio d’Europa promuove i diritti umani attraverso le convenzioni internazionali, come la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica e la Convenzione sulla criminalità informatica. Monitora il progresso degli Stati membri in questi ambiti e presenta raccomandazioni attraverso organi di controllo specializzati e indipendenti tra cui la Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (ECRI). L’ECRI è un organo indipendente di monitoraggio istituito dal Consiglio d’Europa per la tutela dei diritti umani e specializzato nelle questioni relative al razzismo e all’intolleranza. E’ composta da membri indipendenti e imparziali, designati per la loro autorità morale e la loro riconosciuta esperienza nel campo della lotta contro il razzismo, la xenofobia, l’antisemitismo e l’intolleranza. Nell’ambito delle sue attività statutarie, l’ECRI svolge un’attività di monitoraggio “paese per paese’’, tramite la quale analizza la situazione in ciascuno degli Stati membri in materia di razzismo e di intolleranza e formula suggerimenti e proposte su come affrontare i problemi individuati. Il monitoraggio “paese per paese” permette di prendere in esame allo stesso modo e su un piede di parità tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa. Tale monitoraggio è svolto in cicli di 5 anni, e permette di analizzare ogni anno la situazione di 9/10 paesi. I rapporti relativi al primo ciclo sono stati completati alla fine del 1998, quelli riguardanti il secondo ciclo alla fine del 2002 e quelli del terzo ciclo alla fine del 2007. La fase relativa al quarto ciclo è iniziata nel gennaio 2008. I metodi di lavoro per la stesura dei rapporti prevedono delle analisi di fonti documentarie, una visita nel paese oggetto dell’esame e un dialogo confidenziale con le autorità nazionali. I rapporti dell’ECRI non sono frutto di indagini o di fatti documentati da testimonianze. Si tratta di analisi basate su una vasta serie di informazioni raccolte da varie fonti. Gli studi documentari si basano su numerose fonti scritte nazionali e internazionali. La visita nel paese fornisce l’occasione di incontrare direttamente gli ambienti interessati (governativi e non governativi), al fine di raccogliere informazioni dettagliate. Il dialogo confidenziale impostato con le autorità nazionali consente alle stesse, se lo ritengono necessario, di formulare dei commenti sulla bozza di rapporto, al fine di correggere ogni eventuale errore fattuale nel rapporto finale. A conclusione del dialogo, le autorità nazionali possono eventualmente richiedere, che le loro opinioni siano allegate al rapporto finale dell’ECRI. La Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) del Consiglio d’Europa ha pubblicato in data 21 febbraio 2012 il suo nuovo rapporto relativo all’Italia. Il Presidente ad interim dell’ECRI, ha osservato che, nonostante i progressi registrati in alcuni campi, è ancora necessario un maggiore impegno per combattere i discorsi di incitazione all’odio e proteggere i Rom e gli immigrati dalla violenza e dalla discriminazione. L’effettività del principio di parità di trattamento è tra i principali obiettivi del processo di integrazione europea, in quanto rappresenta la condizione necessaria per l’attuazione del principio di eguaglianza tra le persone senza distinzione di genere, di nascita, di origine, di appartenenza religiosa o politica, di età o di orientamento sessuale. Nel corso di questi ultimi anni, la legislazione europea ha ampliato ed approfondito l’area di protezione delle discriminazioni predisponendo un sistema organico di norme volte a riconoscere e tutelare il diritto alla parità di trattamento. In tale contesto normativo, il Consiglio dell’Unione Europea, con la Direttiva 2000/43/CE ha previsto per ogni stato membro l’istituzione di un organismo per l’attuazione della parità di trattamento a cui in Italia è stata data attuazione con l’emanazione del decreto legislativo 9 luglio 2003 che ha istituito, presso il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica, denominato UNAR ovvero Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, con la funzione di costituire un presidio di garanzia e di controllo della parità di trattamento e dell’operatività degli strumenti di tutela per le discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica. Per rendere rapida ed efficace la tutela contro ogni forma di discriminazione è attivo il Contact Center dell’UNAR: 800.90.10.10, numero verde gratuito, attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 8:00 alle 20:00. All’effettività dell’azione amministrativa dell’UNAR giova l’ampiezza dell’ambito di applicazione della normativa, in base alla quale il principio di parità di trattamento si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato della vita sociale quali l’occupazione, la protezione sociale, compresi la sicurezza sociale e l’assistenza sanitaria, l’istruzione, l’accesso ai beni e ai servizi a disposizione del pubblico, tra cui gli alloggi. Attualmente l’UNAR, in attuazione degli indirizzi e dei criteri stabiliti con Direttiva del Ministro del lavoro e delle politiche sociali delegato per le Pari Opportunità, ha ampliato il suo raggio di azione promuovendo la parità di trattamento e garantendo la tutela contro ogni forma di discriminazione anche originata da fattori diversi dalla razza e l’etnia, quali le convinzioni personali e religiose, l’età, la disabilità, l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Ad oggi l’UNAR è la risposta italiana all’effettività della tutela antidiscriminatoria, tutela che ogni società civile, che possa dirsi effettivamente libera e democratica, è tenuta a garantire. L’attività dell’UNAR consiste essenzialmente nella prevenzione dei comportamenti discriminatori, promozione della parità di trattamento, rimozione delle condotte discriminatorie, monitoraggio e verifica dell’applicazione del principio di parità di trattamento e conseguente rendicontazione al Parlamento. Sono state aumentate le risorse a disposizione dell’UNAR per sviluppare i contatti con le vittime di discriminazione e sono ora oltre 450 le ONG autorizzate a rappresentare in tribunale le vittime. L’UNAR ha inoltre siglato un certo numero di accordi miranti a garantire uno stretto coordinamento tra i vari livelli di autorità che operano nel campo della lotta contro la discriminazione. La Camera dei Deputati, da parte sua, ha istituito nel 2009, un Osservatorio sui fenomeni di xenofobia e razzismo, per dare un seguito alla volontà espressa da numerosi deputati di fornire il contributo della prospettiva parlamentare alla lotta contro il razzismo e la xenofobia e di raccordarsi con le varie istituzioni già attive in questo campo. L’Osservatorio è composto pariteticamente da deputati appartenenti ai vari partiti politici. L’UNAR ha istituito un centro per il monitoraggio dei media e ha dedicato una sezione speciale del suo sito web per permettere l’individuazione di qualsiasi testo contenente materiale discriminatorio e la segnalazione a chi di dovere. Numerose ONG hanno inoltre creato recentemente una rete per potere redigere rapporti regolari sul razzismo nei media. La Federazione nazionale della stampa italiana e l’Ordine dei Giornalisti hanno adottato un codice di condotta (la “Carta di Roma”), destinato a riportare i fatti relativi a richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti con la massima obiettività. Le vittime di reati razzisti o di discriminazione razziale che sporgono denuncia sono ancora poco numerose e pertanto sono raramente applicate sia le disposizioni del diritto penale contro il razzismo, che le disposizioni contro la discriminazione. L’UNAR non è ancora autorizzato ad avviare un procedimento giudiziario e dipende sempre dal Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sembra in aumento il discorso razzista e xenofobo in politica, che prende di mira neri, africani, rom, romeni, richiedenti asilo e immigrati in generale; in certi casi, certe dichiarazioni hanno provocato atti di violenza contro questi gruppi. Gli immigrati sono regolarmente presentati come una causa di insicurezza e il discorso razzista e xenofobo rispecchia o provoca misure e politiche discriminatorie; sono fattori che alimentano la discriminazione razziale, la xenofobia e il razzismo all’interno della popolazione e tendono a legittimare tali fenomeni. Servizi e titoli sensazionali continuano ad apparire nei media e numerosi siti Internet contengono messaggi di odio razziale e perfino di istigazione alla violenza razziale. Purtroppo anche il mondo dello sport non è estraneo ad episodi di razzismo. Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad un exhalation di incidenti razzisti negli stadi di calcio in Italia, in particolare consistenti in aggressioni verbali contro giocatori neri. Tali episodi hanno condotto le autorità ad adottare provvedimenti per combattere il razzismo nello sport. L’ECRI nota con interesse che le autorità italiane hanno adottato testi legislativi volti a prevenire gli atti di violenza motivati dal razzismo nel corso di eventi sportivi, prevedendo sanzioni più severe per tali comportamenti e istituendo un osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive. Oltre alla possibilità di applicare sanzioni penali, ove necessario, possono essere adottate delle misure amministrative, tra cui la sospensione della partita in caso di incidenti razzisti. Sono inoltre previste delle misure preventive, come per esempio la facoltà di vietare l’accesso agli stadi agli spettatori violenti noti alle autorità, o quella di fare giocare una partita a porte chiuse, in caso di rischio grave per l’ordine pubblico. Sono state ugualmente promosse delle iniziative di sensibilizzazione, in particolare attraverso la diffusione di spot televisivi contro il razzismo. Varie squadre di calcio stanno attivamente conducendo delle campagne contro il razzismo. Nel suo terzo rapporto, l’ECRI aveva raccomandato alle autorità italiane di intensificare gli sforzi compiuti per fornire agli allievi non italiani il sostegno scolastico necessario perché possano godere veramente di pari opportunità a livello dell’insegnamento, in particolare migliorando la qualità dell’insegnamento dell’italiano come seconda lingua. Come già fatto osservare in altre parti del presente rapporto, tutti i bambini hanno diritto all’istruzione in Italia, indipendentemente dal loro status giuridico. Sono previsti percorsi di sostegno temporanei per facilitare l’apprendimento dell’italiano da parte degli alunni che non lo padroneggiano sufficientemente. L’ECRI nota con interesse tale misura, ricordando la sua Raccomandazione di politica generale n° 10, che stabilisce che le politiche educative devono evitare di creare classi separate per bambini appartenenti a gruppi minoritari; è importante che tali classi siano limitate nel tempo, siano giustificate da criteri oggettivi e ragionevoli e siano previste unicamente nell’interesse superiore del bambino. L’ECRI sottolinea inoltre la necessità di garantire che gli insegnanti elementari e della scuola secondaria siano formati in numero sufficiente per fornire un sostegno linguistico ai bambini. L’ECRI incoraggia le autorità italiane a proseguire gli sforzi per garantire che nessun allievo debba trovarsi svantaggiato nel sistema scolastico a causa dell’insufficiente padronanza della lingua italiana e raccomanda alle autorità di ispirarsi al riguardo alla sua Raccomandazione di politica generale n° 10. Nel suo terzo rapporto, l’ECRI aveva raccomandato alle autorità italiane di adottare dei provvedimenti per impedire il verificarsi di stigmatizzazioni in ambito scolastico nei confronti degli allievi che non frequentano le lezioni di religione cattolica e di proporre loro adeguate possibilità di usufruire di corsi alternativi. In virtù di un accordo siglato tra lo Stato e la Santa Sede nel 1984, lo Stato è tenuto a fornire un insegnamento della religione cattolica nelle scuole, ma tale insegnamento è facoltativo per gli allievi. Altri corsi, che non devono necessariamente essere di religione, possono essere proposti agli allievi che non seguono le lezioni di religione, ma non sono obbligatori. A seguito di una vertenza riguardante i crediti scolastici attribuiti agli alunni che seguono l’insegnamento della religione cattolica, il Consiglio di Stato ha stabilito che i crediti saranno attribuiti agli alunni che frequentano l’ora di religione o l’insegnamento alternativo, ma non agli alunni che decidono di non frequentare le lezioni alternative all’ora di religione. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che non ci fosse discriminazione nei confronti degli alunni che non frequentano l’ora di religione, poiché hanno la possibilità di seguire un insegnamento facoltativo che può essere proposto dall’istituto scolastico. I rappresentanti della società civile hanno tuttavia indicato all’ECRI che tale possibilità esiste spesso soltanto in teoria: tali lezioni infatti sono rare, per mancanza di fondi. L’ECRI sottolinea che in un contesto in cui la maggior parte degli alunni frequenta l’ora di religione, e le lezioni alternative non sono sempre disponibili, l’assenza di un voto per l’insegnamento della religione cattolica ha inevitabilmente una connotazione specifica che crea una distinzione tra gli alunni che hanno riportato tale voto e quelli che non hanno il voto in tale materia. Inoltre, il fatto di prendere in considerazione il voto di religione per la media scolastica può avere un impatto negativo importante per gli alunni che non hanno potuto seguire un insegnamento alternativo, malgrado il loro desiderio di avvalersi di tale possibilità, dal momento che potrebbero essere penalizzati, o perché non avrebbero la possibilità di migliorare la loro media totale grazie all’ora facoltativa di loro scelta, oppure perché si sentirebbero obbligati a frequentare l’ora di religione contro il loro desiderio. Ancora in ambito di educazione e sensibilizzazione l’ECRI nota che una nuova materia scolastica, “Cittadinanza e Costituzione”, è stata introdotta nel 2009, che copre, tra gli altri, il rispetto dei diritti umani e la non discriminazione. Il Ministero dell’Istruzione ha organizzato seminari di formazione per i docenti e il personale ausiliario delle scuole, che comprendevano temi quali l’inclusione scolastica dei bambini rom o come promuovere l’integrazione a scuola. Altro ambito dove frequenti sono i casi di discriminazione e razzismo è il mondo del lavoro. Nel suo terzo rapporto, l’ECRI aveva raccomandato alle autorità italiane di adottare ulteriori provvedimenti per ridurre le disparità tra i cittadini italiani e quelli di cittadinanza non italiana sul mercato del lavoro e, in particolare, di vigilare affinché le disposizioni legislative antidiscriminazione in campo occupazionale fossero adeguate e pienamente applicate. Come nei rapporti precedenti, l’ECRI nota che il lavoro sommerso sembra essere ancora un fenomeno comune sul mercato del lavoro italiano, soprattutto nelle regioni meridionali e nei settori dell’agricoltura, dell’edilizia, del lavoro domestico e dei servizi alla persona e del turismo. Continua a essere svolto in particolare da persone di cittadinanza non italiana, che sono pertanto maggiormente esposte ai rischi di sfruttamento e di discriminazione che il lavoro sommerso comporta. Persistono ugualmente i pregiudizi contro gli stranieri e i lavoratori migranti, che incidono negativamente sulle loro possibilità di accesso a un lavoro e sul loro trattamento sul posto di lavoro e che, nelle loro peggiori manifestazioni, hanno talvolta provocato scontri violenti. I lavoratori migranti sono stati inoltre particolarmente colpiti dalla crisi economica, e hanno in particolare subito i licenziamenti in maniera sproporzionata. Sin dal 2004 l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) ha cercato di sviluppare delle politiche e delle attività contro il Razzismo per l’intera regione europea. Nel corso di varie Conferenze internazionali ed in base alle Decisioni sia del Consiglio Permanente che di quelle Ministeriali dell’OSCE è stato “identificato il bisogno di affrontare la violenza razzista con un’appropriata normativa in materia di crimini determinati dall’odio razziale e da adeguate forme di sensibilizzazione ed educazione”. A tale scopo, è essenziale che gli Stati membri dell’OSCE adottino una legislazione adeguata, unitamente a strategie e strutture ad hoc. Nel corso delle ultime conferenze di settore, le cosidette Human Rights Dimensions Conferences, si è intensificato e maggiormente strutturato il messaggio anti-razzista, invitando i leaders politici e le strutture governative a pronunciarsi contro tutte le forme di violenza motivate dall’odio razziale. In occasione di tavole rotonde specifiche, l’OSCE ha presentato molteplici raccomandazioni volte soprattutto a sviluppare un approccio incentrato sulla condizione della vittima (vittimo-centrico), vero focus di qualsiasi azione sistemica efficace. Con riguardo all’Italia, il focus afferisce all’uso politico del discorso razzista ed al razzismo nello sport, due questioni per le quali l’OSCE ha più volte richiesto alle Autorità italiane di intervenire con modifiche del dettato normativo e con adeguate misure di monitoraggio. IL QUADRO LEGISLATIVO ITALIANO IN MATERIA DI DISCRIMINAZIONE….. DALLA COSTITUZIONE AI GIORNI NOSTRI a) Il principio costituzionale di eguaglianza La solenne proclamazione del principio di eguaglianza di tutti gli individui, già contenuta nelle dichiarazioni dei diritti del Settecento, trova il suo formale e compiuto riconoscimento, in seno alle società occidentali, nelle carte costituzionali del secondo Novecento. A seguito della seconda guerra mondiale, invero, dopo che le più efferate barbarie contro la libertà e dignità della persona sono state consumate, l’idea sublime dei diritti fondamentali ed inalienabili della persona si afferma con vigore, inducendo il legislatore costituente ad elaborare valide garanzie a presidio di quei diritti, affinché gli stessi non restino solo l’espressione di nobili principi, bensì il paradigma fondante degli ordinamenti giuridici delle moderne società democratiche. Così, la Carta costituzionale dell’Italia repubblicana e democratica del 1948, all’art.2 sancisce che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, riconoscendo pertanto l’assoluto valore della persona umana e l’intangibilità dei propri diritti. La stessa Carta, all’art. 3 dispone che “Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, religione, lingua. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione economica e sociale del paese”. Per tale via, quindi, il costituente ha positivizzato in maniera inequivoca il principio di eguaglianza e non discriminazione che costituisce il parametro fondamentale nell’interpretazione dell’intera normativa in tema di tutela dei diritti inviolabili dell’individuo. Particolare rilievo assume, peraltro, la circostanza per cui il costituente abbia previsto l’intervento dello Stato nel rimuovere tutte quelle situazioni e comportamenti di fatto lesivi della pari dignità e del pieno sviluppo della persona umana, assicurando pertanto il passaggio dal principio di eguaglianza formale al principio di eguaglianza sostanziale. La lettura congiunta di detti articoli, pertanto, fortifica ed amplia la portata del principio di eguaglianza e della sua specifica previsione di non discriminazione, assicurando il godimento dei diritti inalienabili della persona ad ogni individuo. Siffatti principi sono poi, ulteriormente corroborati dalle norme di diritto internazionale consuetudinario e pattizio, nonché da quelle di diritto comunitario, in materia di tutela dei diritti della persona e libertà fondamentali che hanno trovano ingresso nel nostro ordinamento in virtù degli artt. 10, 11, 81 e 117 della nostra Costituzione. Parimenti, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha nel corso del tempo vivificato ed esteso la valenza dei principi fondamentali della persona, compiendo via, via quella complessa e delicata opera di bilanciamento tra i restanti principi supremi a cui si ispira la Carta costituzionale. Ne consegue, con evidenza, un quadro ordinamentale particolarmente cospicuo e composito, in cui i diritti fondamentali della persona si pongono come principi supremi di riferimento, qualificando la stessa struttura democratica dello Stato. b) Gli strumenti di carattere civilistico a tutela delle vittime di discriminazione Il principio di non discriminazione sancito dall’art. 3 della nostra Carta Costituzionale trova concreta applicazione in campo civile prima con la Legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), e poi con il Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) che, nel riprendere quanto sancito dalla Convenzione Internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966, ha introdotto nel nostro ordinamento una compiuta definizione di discriminazione razziale, intesa come “ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica” (art. 43 TU immigrazione), accompagnando tale definizione con la previsione di una specifica azione a tutela del diritto a non es- sere discriminati (art. 44 TU immigrazione). Tale quadro è stato successivamente ampliato dalle disposizioni contenute nel Decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 recante “Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica” e nel Decreto legislativo 9 luglio 2003 n. 216 recante “Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro” che, per quanto attiene al nostro ambito di interesse, vieta, tra le altre, le discriminazioni fondate sulla religione o sulle convinzioni personali per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro. Occorre sottolineare che i citati decreti contengono non solo una puntuale definizione delle discriminazioni siano esse dirette (quando una persona, per la razza o l’origine etnica, per la religione, o le convinzioni personali è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe tratta un’altra in una situazione analoga) o indirette (quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza, origine etnica, religione o convinzioni personali in una posizione particolare di svantaggio rispetto ad altre persone) ma dettano anche norme volte a tutelare le vittime di discriminazioni attraverso il rinvio ad un particolare procedimento giurisdizionale attualmente disciplinato dall’art. 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione) e dall’art. 44, comma 11, del Testo unico immigrazione. Secondo quanto stabilito dall’art. 28, comma 1, le controversie in materia di discriminazioni, tra le quali occorre citare quelle di cui all’art. 44 del TU immigrazione (discriminazioni per motivi etnici, razziali, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi), quelle di cui all’art. 4 del d.lgs. 215/2003 (discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica) e, per la parte che interessa la presente trattazione, quelle di cui all’art. 4 del d.lgs. 216/2003 (discriminazioni fondate sulla religione o sulle convinzioni personali per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro), sono regolate dal rito civile sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c.., un rito speciale che, per le sue caratteristiche, consente di arrivare ad una rapida conclusione del giudizio nei casi in cui il Tribunale giudica in composizione monocratica grazie all’emanazione di un provvedimento immediatamente esecutivo su cui, in mancanza di appello, si forma il giudicato. L’art. 5 del d.lgs. 215/2003 e del d.lgs. 216/2003 attribuisce, alle associazioni e agli enti inseriti in un apposito elenco approvato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali e del Ministro delegato alle pari opportunità la legittimazione ad agire in giudizio in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione o la legittimazione diretta nei casi di discriminazione collettiva. È stato, inoltre, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le pari opportunità - il registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni e della promozione della parità di trattamento e che rispondano ai requisiti di cui all’art. 6 del d.lgs. 215/2003. c) Le misure di repressione degli atti di matrice razzista e la Legge n. 205/1993 (“Legge Mancino”) Oltre agli strumenti di carattere civilistico posti a tutela delle vittime di discriminazione la legislazione italiana contiene disposizioni volte a sanzionare penalmente i comportamenti discriminatori posti in essere, in particolare, per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Le prime disposizioni adottate in materia vanno individuate nella legge n. 645/1952 (Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione) che vieta e sanziona penalmente la riorganizzazione del disciolto partito fascista (art. 1) e qualifica i reati di apologia di fascismo, di istigazione e reiterazione delle pratiche tipiche e proprie del partito e del regime cessati (art. 4) e nella legge n. 962/1967 (Prevenzione e repressione del delitto di genocidio) che, accanto ad una serie di disposizioni che puniscono la distruzione parziale o totale di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso (art. 1), l’imposizione di marchi o segni distintivi (art. 6), sanziona l’apologia o l’istigazione a commettere lesioni o atti di violenza per ragioni di etnia o di religione (art. 8). Ma è solo nel 1975, con l’approvazione della Legge 13 ottobre 1975, n. 654, recante ratifica ed esecuzione della Convenzione Internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966, che lo Stato italiano si è dotato di una normativa diretta, in modo specifico, a combattere la discriminazione razziale, intesa come “ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica” (art. 1, Parte I della Convenzione di New York). In particolare, l’art. 3 della citata legge, come modificato dal decreto legge n. 122 del 1993 recante “Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”, convertito, con modificazioni, dalla Legge 25 giugno 1993, n. 205 (c.d. Legge Mancino) e, successivamente, dall’art. 13 della Legge 24 febbraio 2006, n. 85, sanziona le seguenti fattispecie: - la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, l’istigazione a commettere o la commissione di atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (reclusione fino ad un anno e 6 mesi e multa fino a 6.000 euro) (1° comma, lett. a)); - l’istigazione a commettere e la commissione, o la provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (reclusione da 6 mesi a 4 anni) (1° comma, lett. b)); - la partecipazione o l’assistenza ad ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo che abbia tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (reclusione da 6 mesi a 4 anni) (3° comma, secondo capoverso); - la promozione o la direzione di tali forme associative (reclusione da uno a sei anni) (3° comma, ultimo capoverso). Alla condanna per uno di questi reati possono seguire una serie di pene accessorie di carattere temporaneo aventi funzione disincentivante rispetto alla ripetizione dei fatti per cui è stata disposta la condanna quali, ad esempio, l’obbligo di prestare attività non retribuita a favore della collettività, l’obbligo di dimora, la sospensione dei documenti validi per l’espatrio, il divieto di detenere armi o di partecipare, per un dato periodo, ad attività di propaganda elettorale (art. 1, comma 1-bis, decreto legge n. 122/1993). NUMEROSI SONO I PASSI AVANTI CHE SI SONO FATTI NELLA LOTTA CONTRO IL RAZZISMO MA LA STRADA DA PERCORRERE È ANCORA LUNGA…. GLOSSARIO APARTHEID ‹apàrtheit; all’ital., apartàid› s. f., afrikaans [comp. dell’ingl. apart «separato, appartato» (che è dal fr. à part «a parte») e del suff. oland. -heid indicante stato, condizione]. – Segregazione razziale. In partic., nella Repubblica Sudafricana, la politica (ora formalmente abolita) messa in atto dal governo dopo il 1948 nei confronti dei cittadini di colore, caratterizzata da una serie di leggi che regolavano la separazione sociale, residenziale, economica e politica tra il gruppo bianco e quello di colore, con il fine ultimo del mantenimento della supremazia bianca e dello sviluppo di comunità separate relativamente autonome, controllate dal governo sudafricano. Il termine è stato anche usato per indicare la politica della Rhodesia nei confronti della popolazione di colore, dopo la proclamazione d’indipendenza del 1965. Per estens., qualsiasi tipo di emarginazione attuato nei confronti di persone o gruppi considerati diversi o inferiori. DISCRIMINAZIONE RAZZIALE Nel contesto del diritto internazionale, consiste in “ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore della pelle, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l’effetto di annullare o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica”. La discriminazione razziale è proibita dal diritto internazionale. EMARGINAZIONE s. f. [der. di emarginare]. Esclusione da una società, da una comunità, dalla partecipazione ai diritti e ai benefici di cui altri godono e che dovrebbero essere comuni a tutti: il fenoneno dell’e.; l’ingiusta e. degli anziani dalla vita attiva della società; e. sociale, come esclusione dal ciclo produttivo e dal mondo del lavoro, con conseguente isolamento individuale e di gruppo; l’e. culturale provocata dall’analfabetismo e dall’indigenza. ETNIA s. f. [dal fr. ethnie, der. del gr. «razza, popolo»]. – In etnologia e antropologia, aggruppamento umano basato su caratteri culturali e linguistici. Spesso usato, nel linguaggio giornalistico, con il sign. di minoranza nazionale, gruppo etnico minoritario. ETNOCENTRISMO s. m. [der. di etnocentrico, sull’esempio dell’ingl. ethnocentrism]. – In sociologia e psicologia sociale, tendenza a giudicare i membri, la struttura, la cultura, la storia e il comportamento di altri gruppi etnici con riferimento ai valori, alle nor- me e ai costumi del gruppo a cui si appartiene, per acritica presunzione di una propria superiorità culturale. EUGENETICA: s. f. [dall’ingl. eugenics, der. del gr. «di buona nascita»]. – Teoria (detta anche eugenetica) che si propone di ottenere un miglioramento della specie umana, attraverso le generazioni, in modo analogo a quanto si fa per gli animali e le piante in allevamento, distinguendo i caratteri ereditarî in favorevoli, o eugenici, e sfavorevoli o disgenici, e cercando di favorire la diffusione dei primi (e. positiva) e di impedire quella dei secondi (e. negativa). GENERE: Attributi, ruoli, attività, responsabilità e bisogni socialmente costruiti che sono principalmente connessi all’essere uomo o donna in una determinata società o comunità in un determinato momento. GENOCIDIO: Uno dei seguenti atti commessi nell’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, ad esempio: a) uccidere membri del gruppo; b) causare gravi lesioni all’integrità fisica o psichica di persone appartenenti al gruppo; c) sottoporre deliberatamente persone appartenenti al gruppo a condizioni di vita tali da comportare la distruzione fisi- ca, totale o parziale, del gruppo stesso; d) imporre misure volte ad impedire le nascite in seno al gruppo; e) trasferire con la forza bambini appartenenti al gruppo ad un gruppo diverso. GRUPPO OGGETTO DI PERSECUZIONE: Questo è un concetto generale che non ha alcuna definizione giuridica nei singoli Stati membri. “Gruppo” è interpretato nel senso ampio e può riferirsi a persone con determinate convinzioni religiose, sociali (ad esempio omosessuali) e/o provenienti da una regione particolare all’interno di un paese. In ogni caso mentre un gruppo può essere perseguitato, le domande di asilo nei singoli Stati membri sono trattate individualmente e non tutte insieme come un unico gruppo. Il concetto qui proposto è preso dalle sentenze dell’Alto tribunale amministrativo della Germania. I rifugiati godono del diritto di asilo in Germania se sono vittime di persecuzioni politiche, subite individualmente o in qualità di componenti di una parte della popolazione (un “gruppo”), che soffre l’oppressione oppure viene minacciata nel suo complesso secondo uno dei criteri contenuti nella Convenzione di Ginevra, nella misura in cui i membri di tale gruppo siano non solo velatamente o potenzialmente a rischio, ma, in maniera piuttosto tangibile e imminente. Se si verifica la persecuzione di un gruppo, si suppone generalmente che ogni membro di tale gruppo possa essere vittima di atti di persecuzione. Così il termine aiuta nel dare credibilità alla denuncia dell’esistenza di una persecuzione politica. ll presupposto di persecuzione di un gruppo implica una certa intensità di persecuzione su ogni membro del gruppo che giustifichi il considerarla generale, indipendentemente dal fatto che un individuo sia stato vittima individualmente di tale persecuzione. La persecuzione di gruppo richiede la minaccia ad un così gran numero di violazioni dei diritti protetti dalla legge in materia di asilo, da andare oltre alle singole infrazioni o a un largo numero di infrazioni individuali, costituendo piuttosto, in un determinato territorio e verso un gruppo nel suo insieme, l’incremento di atti di persecuzione che si ripetono e si diffondono a tal punto da rappresentare il pericolo imminente per ogni singolo membro del gruppo di diventarne vittima. Tenendo in considerazione il principio generale di sussidiarietà nel diritto dei rifugiati, la persecuzione di gruppo dà diritto unicamente alla protezione di rifugiati all’estero, se il pericolo è presente in tutto il territorio del paese di origine, cioè se non vi è alternativa per la protezione interna. Quando persiste il pericolo di persecuzione dopo il ritorno e non si verifica un’alternativa interna, la protezione al rifugiato deve essere ragionevole e accessibile dal paese di accoglienza. INTEGRAZIONE: Nel contesto dell’Unione Europea, l’integrazione è un processo dinamico e bilaterale di adattamento reciproco sia da parte degli immigrati che dei residenti degli Stati membri (PCB1). La promozione dei diritti fondamentali, la non discriminazione e le pari opportunità per tutti sono gli argomenti chiave dell’integrazione. A livello comunitario, la politica di integrazione è sviluppata nell’ambito dei Principi Comuni di Base PCB. INTOLLERANZA: s. f. [dal lat. intolerantia; v. intollerante]. Attaccamento rigido alle proprie idee e convinzioni, per cui non si ammettono in altri opinioni diverse e si cerca di impedirne la libera espressione, partendo dal presupposto dell’unicità della verità, e dalla convinzione di essere in possesso della verità stessa: i. politica, religiosa; fatti, episodî, manifestazioni d’intolleranza. OMOFOBIA: s. f. [comp. di omo(sessuale) e -fobia]. Avversione ossessiva per gli omosessuali e l’omosessualità. PARITA’ DI TRATTAMENTO: Principio per il quale non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica: a) sussiste discriminazione diretta quando una persona è trattata meno favore- volmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga, per motivi di razza o di origine etnica; b)sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere persone di una determinata razza o origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il loro conseguimento siano appropriati e necessari. PERSECUZIONE: Insieme di atti che comprende le violazioni dei diritti umani o altri gravi danni, portati avanti spesso, ma non sempre, in maniera sistematica o ripetitiva. PROTEZIONE: Concetto che comprende tutte le attività finalizzate all’ottenimento del pieno rispetto dei diritti della persona in conformità con il testo e con lo spirito dei diritti dell’uomo, dei rifugiati e del diritto umanitario internazionale. La protezione implica creare un ambiente favorevole al rispetto delle persone, prevenendo e/o attenuando gli effetti immediati di un determinato abuso, ripristinando le condizioni di vita dignitose attraverso la riparazione, restituzione e riabilitazione. PULIZIA ETNICA: Rendere un’area etnicamente omogenea utilizzando la forza o le intimidazioni per eliminare da quella data zona persone di un altro gruppo etnico o religioso, violando il diritto internazionale. Nota: L’espressione pulizia etnica è stata spesso utilizzata in riferimento ai fatti di Bosnia-Erzegovina. La Risoluzione 47/121 dell’Assemblea Generale cita nel suo preambolo le “ripugnanti politiche di pulizia etnica, che, come quelle portate avanti in Bosnia - Erzegovina, costituiscono forme di genocidio.... Questa (la pulizia etnica) può costituire una forma di genocidio solo entro il significato che viene dato a questo nell’apposita Convenzione (sul Genocidio), se corrisponde o ricade in una delle categorie di atti proibiti dall’Art. II della Convenzione stessa. Dal punto di vista politico, né l’intento di rendere un’area “etnicamente omogenea”, né le attività che possono essere portate avanti per attuare tale politica possono considerarsi genocidio: l’intento che caratterizza il genocidio è quello di “distruggere, in tutto o in parte” un determinato gruppo. Deportare o dislocare i membri di un gruppo, anche con la forza, non implica necessariamente la distruzione di quel gruppo, né rappresenta una automatica conseguenza dello sfollamento. Con ciò non si vuole sostenere che le pratiche di “pulizia etnica” non costituiscano mai genocidio; vi è genocidio se, per esempio, queste sono attuate per “sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese provocandone la distruzione fisica, totale o parziale” contrariamente all’Art. II par. (c) della Convenzione, portando avanti tali pratiche con il necessario specifico intento (dolus specialis), cioè con la volontà di distruggere il gruppo, al di là dello spostamento da una determinata regione. Come ha statuito il Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia sebbene “vi siano delle ovvie somiglianze tra le pratiche di genocidio e quelle, comunemente chiamate, di pulizia etnica” (caso Krstic, IT-98-33-T, Camera di prima istanza, 2 Agosto 2001, par.562), tuttavia la distruzione fisica di un gruppo e la sua mera dissoluzione devono ancora chiaramente distinguersi. L’espulsione di un gruppo o di una sua parte non sono di per sè sufficienti a costituire genocidio. RAZZA: s. f. [dal fr. ant. haraz «allevamento di cavalli», prob. attraverso un’agglutinazione e falsa deglutinazione dell’articolo: l’arazz, da cui la razz(a)]. In biologia, popolazione o insieme di popolazioni di una specie che condividono caratteristiche morfologiche, genetiche, ecologiche o fisiologiche differenti da quelle di altre popolazioni della stessa specie: l’esistenza di razze in una specie è indice della presenza di fenomeni di divergenza intraspecifica, spesso determinati da isolamento geografico prolungato nel tempo (come nel caso delle popolazioni che vivono su isole). Da un punto di vista sistematico, la razza si identifica con la sottospecie (o r. geografica); in base alle principali caratteristiche discriminanti, si parla di r. ecologica (o ecotipo) quando esistono evidenti adattamenti specifici a condizioni ambientali locali (fenomeno diffuso nelle piante), e di r. cromosomica quando popolazioni localizzate presentano assetti cariotipici particolari. In antropologia fisica, popolazione o gruppo di popolazioni che presentano particolari caratteri fenotipici comuni (colorito della pelle, tipo dei capelli, forma del viso, del naso, degli occhi, ecc.), indipendentemente da nazionalità, lingua, costumi (per es., r. bianca, gialla, nera; r. australiana, sudanese, nilotica, ecc.); più specificamente, nella classificazione tradizionale, la terza unità sistematica dopo il ramo e il ceppo: così la r. mediterranea è fatta appartenere al ceppo europide e questo al ramo europoide. Tale suddivisione della specie umana ha costituito il preteso fondamento scientifico per una concezione delle r. umane come gruppi intrinsecamente differenti e da porre in rapporto gerarchico l’uno rispetto all’altro; in partic., con riferimento ai principî e alla prassi del nazifascismo, e più in generale di ogni forma di razzismo: le r. inferiori, superiori; la difesa della r. (ariana, bianca); discriminazioni di razza. Le analisi della struttura genetica umana hanno, più di recente, dato risultati che non confermano le classificazioni tradizionali e suggeriscono diversi possibili raggruppamenti basati sulla somiglianza genetica. RESPONSABILE DI PERSECUZIONE: Responsabile di persecuzione o di danno grave può essere: a) lo Stato; b) i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del territorio dello Stato; c) soggetti non governativi statuali, se può essere dimostrato che i responsabili di cui alle lettere a) e b), comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi, come definito all’articolo 7 della Direttiva 2004/83/CE. SEGREGAZIONE RAZZIALE: s. f. [dal lat. tardo segregatio -onis, der. di segregare (v. segregare); separazione delle razze, soprattutto come sistema applicato da governi razzisti in alcune nazioni a popolazione mista, per tenere separato l’elemento di colore da quello bianco (nei quartieri d’abitazione, in luoghi di ritrovo, in esercizî e servizî pubblici), operando forti discriminazioni dell’uno in favore dell’altro sul piano dei diritti politici e civili (accesso a professioni e cariche pubbliche, alla frequenza di scuole, ecc.); la locuz. equivale all’afrikaans apartheid, istituto formalmente abolito in Sud Africa nel 1991 e sostituito da una completa parità politica tra bianchi e neri, sancita dal voto a suffragio universale (1994). VITTIMIZZAZIONE: Trattamento sfavorevole o conseguenza sfavorevole quale reazione a una denuncia o a procedure finalizzate a un’effettiva attuazione del Principio di parità di trattamento. XENOFOBIA: s. f. [comp. di xeno- e -fobia, sul modello del fr. xénophobie]. Sentimento di avversione generica e indiscriminata per gli stranieri e per ciò che è straniero, che si manifesta in atteggiamenti e azioni di insofferenza e ostilità verso le usanze, la cultura e gli abitanti stessi di altri paesi, senza peraltro comportare una valutazione positiva della propria cultura, come è invece proprio dell’etnocentrismo; si accompagna tuttavia spesso a un atteggiamento di tipo nazionalistico, con la funzione di rafforzare il consenso verso i modelli sociali, politici e culturali del proprio paese attraverso il disprezzo per quelli dei paesi nemici, ed è perciò incoraggiata soprattutto dai regimi totalitarî. Il termine è usato, per estens., anche in etologia, per indicare l’avversione di popolazioni animali legate a un territorio verso le popolazioni esterne. BIBLIOGRAFIA • Basso Pietro, Razze schiave e razze signore. Critica dei fondamenti sociali del razzismo. 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