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Rivista n° 8 del 22 Aprile 1989
I CELESTI PATRONI DI GIULIA
di Riccardo Cerulli
L’originaria dedica a Santa Maria in platea, della “Rotonda”, “innanzi al palazzo del duca
Acquaviva”, induce a ritenere che il trasferimento dell’antichissima Collegiata di San Flaviano,
da “Terravecchia”, dentro le nuove mura di Giulia, fu deciso ed attuato sul finire del sec. XV,
ovvero nel primo, o nel secondo decennio del secolo successivo, quasi contemporaneamente al
miracolo “dello Splendore”, di certo anteriore al 1557.
Il riferimento a tale anno, contenuto nella “Cronaca” (o “Cronica”) del P. Priore Don Pietro
Capullo, aquilano, autore seicentesco, è del tutto errato.
Lo dimostrano (è stato già detto ma repetita iuvant), un elenco dei Monasteri dell’Ordine
dei Celestini del 1547 e un “rotolo delle voci dei priori chiamati in capitolo”, riportati,
rispettivamente, nel volumetto: “Le cerimonie dei monaci celestini, con la vita di Celestino V,
loro primo padre” di fra Jacopo Alethinus, ossia da Lezze, e nell’opuscolo “Gli articoli e brievi
dei Monaci Celestini”, stampato a Napoli nel 1552, appresso a Raimondo d’Amato: documenti
che retrodatano sensibilmente “il celeste prodigio”.
Del resto il 22° prile 1557 il territorio al confine tra il Viceregno e lo Stato pontificio era
teatro della guerra, detta del Tronto, il cui culmine sarebbe stato l’assedio di Civitella,
vittoriosamente sostenuto da una guarnigione “ispanonapoletana” contro rivelanti forze
“franco-papali” al diretto comando di Francesco, duca di Guisa - (circostanza saliente altra
volta richiamata, imprescindibile al fine qui proposto). Pochissimi giorni prima, reparti
distaccati dal Guisa, per la ricognizione dei movimenti nemici, avanzati usque di Juliam,
divenuta loro base operativa, ed avanguardia dell’esercito condotto dal Viceré, duca d’Alba,
avevano combattuto un aspro corpo a corpo, a brevissima distanza dal paese, “in un stretto
sentiero”; lo scontro si era concluso con l’ordinata ritirata francese su Tortoreto e con
l’ingresso nella nostra Terra del Viceré che vi aveva posto il quartiere generale.
Cartolina del Santuario della Madonna dello Splendore e Ospedale Civile (1913)
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L’abitato aveva subito il brutale saccheggio delle truppe spagnole, malgrado la
disapprovazione e gli sforzi in contrario di don Garzia di Toledo, alto ufficiale “vicereale”. Ma
circa la non indifferente retrodatazione del miracolo è da considerare un terzo elemento, finora
non approfondito.
Il menzionato “rotolo delle voci” qualifica “prior” e non “vicarius”, il superiore del Convento
dei Celestini “Sanctae Mariae Splendoris extra Juliam Novam”.
L’attribuzione di tale dignità, (in precedenza sembrata impropria; oggi non più, atteso il
grande rilievo del miracolo e gli apprestamenti cultuali per celebrarlo in perpetuo), lascia
intendere che, al momento della redazione del “rotolo”, (anche se avvenuta solamente nel
1552), erano trascorsi parecchi anni dall’apparizione della Vergine.
L’erezione a priorato comportava, infatti, l’esistenza di una sede idonea, nel caso la
costruzione nell’aperta campagna coltivata dal pio contadino Bertolino, della Chiesa e del
Convento, destinato ad accogliere i “primitivi religiosi” fosse pure quello di poche camere,
riconosciuto dal Palma, “tra le fabbriche aggiunte”, al principio dell’Ottocento.
A costruire un complesso edilizio, anche modesto, occorreva - nel Cinquecento - tempo non
breve, e spesa cospicua.
E di poco momento non poteva essere - allora - la pratica per l’affidamento ai Celestini del
Tempio e degli annessi, nonostante le pressanti raccomandazioni del potentissimo duca d’Atri!
A confermare questo assunto stanno le notizie, date dal Palma nel III Volume della
monumentale sua “Storia”, (capitolo LXX, “Fondazione della Chiesa e del Monastero di S. Maria
dello Splendore, presso Giulia”. “...si diede immantimente, (cioè subito dopo il miracolo), inizi
alla costruzione di una Chiesa... A raccogliere le oblazioni de’ fedeli i quali concorrevano da
paesi, anche lontani, al nuovo Santuario, e a convertirle nelle spese di fabbrica e di culto, il
Comune di Giulianova destinava un procuratore ed un custode. Dopo alcuni anni furono
chiamati alla cura di S. Maria dello Splendore i P.P. Celestini”.
La lunga digressione vale a sottolineare la coincidenza temporale tra l’insediamento della
Collegiata di San Flaviano nella attuale Cattedrale e il miracolo del 22 Aprile.
Il celeste prodigio confermò il sentito culto mariano dei giuliesi e risolse - nel contempo - la
non lieve difficoltà, forse determinatasi, (o che avrebbe potuto determinarsi), nei fedeli, a
cagione del cambio di denominazione della Chiesa Maggiore.
Non poteva la Madonna cedere, (per così dire), il sacro luogo suo proprio a un santo sia
pure di gran nome. D’altronde a Flaviano, Vescovo e Martire della Fede, per avere combattuto
l’erasia monofisita, patrono della Terra, non si addiceva in Giulia che la Chiesa Maggiore.
E così le autorità locali si adoperarono - con il feudatario alla testa - per la più rapida
realizzazione del Santuario, la cui fama, presto diffusa nelle vicine e lontane contrade, avrebbe
onorato, come onorò ed onora, la Madre di Dio, più della intitolazione al Suo nome della
Rotonda, d’ora in avanti consacrata al Santo le cui spoglie erano venute dall’Oriente tanti secoli
prima.
E Giulianova ebbe due protettori.
Sulle sorti della comunità di Castel S. Flaviano e della sua sede avevano influito gli eventi
del 1460-1461, cioè la battaglia del Tordino, combattuta, senza vincitori, da compagnie di
ventura, le migliori dell’epoca, partitanti - rispettivamente - per Renato d’Angiò, (sostenuto
dagli Acquaviva), e per Ferrante d’Aragona, (suo capitano di guerra: Matteo di Capua), e il
sacco, dato, nottetempo a Castel S. Flaviano dagli “Spennati”, banditi da Teramo da Giosia de
Aquaviva, Signore di fatto, se non di diritto, della città, i quali esuli, sulla via del ritorno in
patria, avevano voluto vendicarsi dell’assente “tiranno”, ad esclusivo danno dei suoi miseri
sudditi. Le conseguenze di tali eventi erano state, però, diverse, riguardo all’abitata e agli
abitanti, e riguardo al Tempio, con la sua complessa struttura ecclesiastica ed amministrativa.
Gli abitanti erano nient’altro che vassalli della “Serenissima Casa d’Atri”. Non potevano non
obbedire alla disposizione del feudatario, (d’altronde saggia), di trasferire le proprie dimore, sul
colle dove stava sorgendo Giulia, abbandonando alla rovina totale i fabbricati di Terravecchia.
Invece il Tempio, elevato in età bizantina, su una eminenza a nord del Castello, non era
compreso nella sfera di potere dei dinasti Acquaviva, (tali divenuti nel 1382 per investitura
comitale concessa al loro stipite Antonio, da re Carlo III d’Angiò - Durazzo).
L’autonomia, goduta dai Sacerdoti del Tempio, li aveva indotti - prima facie - a non lasciare
la residenza più che millenaria del culto fabiano, testimoniato e tramandato da documenti altomedievali del Cartulario della Chiesa Aprutina.
La desolazione cresciuta e crescente all’intorno e - in più - la malaria, dovuta ai miasmi,
esalanti dalle risaie acquaviviane, avevano finito con il persuadere i religiosi, addetti al Tempio
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e le persone dipendenti della opportunità di fare anch’essi “fermo stantiale” a Giulia, “intra
moenia”.
Il ritardo di questa determinazione implicante un nuovo rapporto del Cero di S. Flaviano
con il potere feudale, avrebbe potuto essere causa di uno spiacevole conflitto sulla intitolazione
della Rotonda, senza il provvidenziale miracolo, precedente di alcuni decenni il 22 Aprile 1557.
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