Il presente volume contiene le relazioni e gli interventi tratti dalla I^ Conferenza Europea
sulla Salute ed il Benessere dei giovani, svoltasi a Roma dal 16 al 18 giugno 2010.
Il volume è a cura della Dott.ssa Emanuela Rampelli e della Dott.ssa Maria Laura Nespica
Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale - Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Progetto realizzato con il finanziamento del fondo per le politiche giovanili - Anno 2010.
Si ringraziano la Dott.ssa Roberta Pacifici e il Dott. Piergiorgio Zuccaro dell’Istituto Superiore di
Sanità per la collaborazione durante le fasi di realizzazione e stampa del volume.
Dott.ssa Roberta Pacifici
ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ
Viale Regina Elena, 209 - 00161 Roma
E-mail: [email protected] - Tel. 06 4990 2909 - Fax 06 4990 2016
SALUTE E BENESSERE
DEI GIOVANI
ATTI TRATTI DALLA I^ CONFERENZA EUROPEA
Roma, 16-18 giugno 2010
Presidenza del Consiglio dei Ministri
DIPARTIMENTO DELLA GIOVENTÙ E DEL SERVIZIO CIVILE NAZIONALE
INDICE
INTRODUZIONI
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LA PAROLA AI GIOVANI
Julie TENG
Kadri VANEM
Antonio DE NAPOLI
Paolo DI CARO
15
19
19
21
22
L’EUROPA E LA SALUTE DEI GIOVANI
Stefano VETTORAZZI
Gisela LANGE
Pascal LEJEUNE
23
27
28
30
APPROFONDIMENTI SULLE TEMATICHE
David LE BRETON
Approccio antropologico delle condotte a rischio
33
37
Marco CUSINI
Epidemiologia delle infezioni sessualmente trasmissibili: I Dati Europei
41
Riccardo GAROSCI
I programmi di Educazione Alimentare nelle scuole italiane
43
LE SESSIONI PARALLELE: ESPERIENZE A CONFRONTO
Educazione sessuale ed epidemiologia delle infezioni sessualmente trasmissibili
Giorgio VITTORI
Malattie sessualmente trasmissibili, un mistero per i giovani
47
51
53
Simonetta MATONE
Esperienza sul campo
55
Massimo GIOVANNINI
L’Ambulatorio per l’adolescenza
59
Dhjanaraj CHETTY
L’UNESCO e l’educazione alla sessualità
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Roberta CALCATERRA
L’educazione alla sessualità e all’affettività tra immigrazione e transculturalità
66
Maria FERRARA - Elisa LANGIANO
Il progetto DEATH: da eros a thanatos, Aids e malattie a trasmissione sessuale.
Valutazione dell’efficacia di un intervento educativo in tema di Aids e MST.
70
I Disturbi del Comportamento Alimentare ed i differenti approcci nella cura e nella prevenzione
Laura DALLA RAGIONE
“Guadagnare salute – Le buone prassi nella cura dei disturbi dell’alimentazione”
77
79
Emanuela RAMPELLI
I progetti del Dipartimento della Gioventù
82
Lorella LIMONCELLI
Il disagio adolescenziale nell’esperienza di Villa Pia di Guidonia
85
Stefano VICARI
L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Centro di Eccellenza
per la diagnosi e il trattamento dei Disturbi Alimentari
89
Daniele CALDARELLI
L’approccio via web al problema dell’anoressia
91
Ludovica COSTANTINO
L’anoressia come difesa dalla depressione
93
Gloria ANGELETTI
Il servizio di counseling psicologico dell’Università la Sapienza di Roma
99
Emilia MANZATO
La prevenzione secondaria nei Disturbi del Comportamento Alimentare
103
Barbara MASINI
Uno studio sui Disturbi del Comportamento Alimentare nella Regione Liguria
106
Armando COTUGNO
L’approccio multidisciplinare nella cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare
108
Caterina RENNA
I laboratori espressi pugliesi per la cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare
111
Anna Maria GIBIN
Dieci anni di politiche sui DCA in Emilia Romagna
114
Grazia PRIMAVERA
La diagnosi precoce dei DCA attraverso la dermatologia
117
Dott. Stefano LELLO
Impatto dei disturbi alimentari e dell’anoressia nelle giovani donne:
il punto di vista del Ginecologo
120
Educazione alimentare, attività fisica e stili di vita salutari
Michele CARRUBA
Comunicare la corretta alimentazione
123
125
Daniela GALEONE
Il Programma “Guadagnare Salute”
126
Sofia TAVELLA
Lo sport come bisogno di salute
131
Carla FAVARO
I suggerimenti della recente letteratura in tema di sovrappeso ed obesità
140
Angelo MARI
Le politiche familiari per la promozione degli stili di vita salutari
143
Paolo DEL BENE
Movimento dell’Etica e Cultura nello Sport
145
Antonio TUNDO
Disturbi dell’alimentazione: attenzione alle trappole
148
Barbara MAZZA
Diffusione e adozione di stili di vita salutari tra i giovani: il ruolo dello sport
153
Bruno SCARPA
I new foods
158
Giorgio DONEGANI
Metodologie innovative per la didattica dell’educazione alimentare in ambito scolastico
162
Roberto COPPARONI
Promozione e tutela della salute dei giovani attraverso una corretta alimentazione
166
Lorenzo Maria DONINI
La prevenzione dell’obesità
168
Comunicazione e campagne istituzionali negli Stati Membri sulla salute ed il benessere dei giovani
Mario MORCELLINI
Le parole-chiave per comunicare la salute ai giovani
173
175
Andrea LENZI
La campagna di prevenzione in andrologia “AmicoAndrologo”
177
Michaëla LIUCCIO
Analisi del giovane consumatore contemporaneo
180
Gianni PICCATO
Le iniziative del Ministero degli Esteri sulla mobilità giovanile
183
Massimo MORELLI
Come comunicare con i giovani
185
Simonetta DI CORI
Buone prassi: “Presentazione progetto Cinemarena”
185
Federico BIANCHI di Castelbianco
I giovani e la sessualità
186
Mariella NOCENZI
I giovani e le sfide del futuro
188
Alberto CONTRI
Le buone prassi nella comunicazione: la campagna movimento
191
Matteo LUCHERINI
L’esperienza dell’Associazione “Contatti”
192
Irma CASULA
Giovani ed alcol: interventi di prevenzione
195
Mauro BOLDRINI
Le buone prassi: il progetto “Scegli tu”
197
Stefano SEPE
Salute dei giovani e comunicazione istituzionale
199
Maria MORENI
Da Showbility a Etic media: nuove alleanze inedite per rendere il mondo un posto migliore
200
Sara MASSINI
Lotta al tabacco
203
I REPORT
205
Educazione sessuale ed epidemiologia delle infezioni sessualmente trasmesse
Rapporteur: Giuseppe La Torre
207
I Disturbi del Comportamento Alimentare ed i differenti approcci nella cura e nella prevenzione
Rapporteur: Simonetta Costanzo
213
Educazione alimentare, attività fisica e stili di vita salutari
Rapporteur: Cristiano Sandels Navarro
219
Comunicazione e campagne istituzionali negli Stati Membri sulla salute ed il benessere dei giovani
Rapporteur: Giovanna Leone
223
LE RACCOMANDAZIONI PROPOSTE DAI GIOVANI NEI DOCUMENTI FINALI
227
LE CONCLUSIONI DEL DIPARTIMENTO DELLA GIOVENTÙ
233
I COMMENTI DEI GIOVANI PARTECIPANTI
237
INTRODUZIONE
La I Conferenza Europea sulla salute ed il benessere dei giovani si è svolta a Roma dal 16
al 18 giugno 2010 presso la sede della “Libera Università Internazionale degli Studi Sociali
Guido Carli “ è stata organizzata dal Dipartimento della Gioventù in collaborazione con La
Commissione Europea (Dg Sanco).
Questo evento si è svolto sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica ed ha rice-
vuto il patrocinio della Camera dei Deputati, del Senato della Repubblica e del Comune di
Roma.
Hanno partecipato, con il loro contributo contenutistico e sostanziale oltre al Ministro della
Gioventù: il Ministro della Salute, il Ministro per le Pari Opportunità, il Ministro per le Politiche Europee.
Hanno svolto un ruolo importante nell’organizzazione dell’evento, attraverso la partecipa-
zione di rappresentanti qualificati ai lavori delle Sessioni ed un impegno diretto alla riuscita
dell’evento: il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica, il Ministero
degli Affari Esteri, il Dipartimento della Famiglia.
Si sottolinea, inoltre, il prezioso contributo scientifico ricevuto dall’Università di Roma “La Sapienza”, dalla “Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli, dall’Univer-
sità degli Studi di Cassino.
Hanno preso parte ai lavori della Conferenza: rappresentanti di 32 paesi, sono intervenuti nei
lavori delle Sessioni 38 relatori, 268 partecipanti, 52 giovani delegati appartenenti ai Forum
Nazionali dei Paesi Europei.
Il successo qualitativo e quantitativo riscosso dalla Conferenza, indica l’interesse degli Stati
membri dell’Unione Europea e dei giovani rappresentanti dei Forum per le tematiche trattate.
Infatti, dai risultati di un'indagine condotta dalla Fondazione Generation Europe risulta che
il 52% delle persone intervistate non sapeva che vi fossero politiche UE in materia di salute
dei giovani. Quando si è chiesto loro come pensavano di poter contribuire al processo de-
cisionale in materia sanitaria, il 41% ha chiesto un coinvolgimento più diretto con i decisori
politici e il 40% ha suggerito che si migliorassero i canali di comunicazione.
È per questo che con la Conferenza Be healthy, Be yourself1 che si è tenuta a Bruxelles nel
mese di luglio 2009, la Commissione Europea ha posto di nuovo la propria attenzione sulle
problematiche inerenti la tutela ed il miglioramento degli stili di vita dei giovani, non solo al
1
La Conferenza si è tenuta il 9 ed il 10 luglio 2009 e nasce da un’iniziativa della Commissione Europea, in collaborazione con il
Forum Europeo della Gioventù, allo scopo di incoraggiare i giovani a diventare partner attivi nella promozione della loro salute. La
Conferenza, attraverso i temi della necessaria comunicazione medico-paziente, dell’informazione sui servizi sanitari disponibili,
dell’incoraggiamento ad adottare norme sociali che favoriscono la salute e migliorano la qualità della vita, ha affrontato le strategie idonee per far sì che i giovani possano essere resi più consapevoli dei rischi e delle loro conseguenze e come in ciò possono
essere aiutati dai governi, politici, operatori sanitari, organizzazioni giovanili e altre parti interessate. Gli strumenti idonei sono
stati individuati nell’educazione formale ed informale, in un’adeguata comunicazione e nell’esperienza quotidiana, attraverso l'acquisizione di atteggiamenti, valori, abilità e conoscenze provenienti da gruppi di pari, dalla famiglia e dai media.
11
fine di individuare gli strumenti idonei per la salvaguardia della loro salute e del loro benes-
sere, ma anche e soprattutto per coinvolgerli più da vicino nelle politiche sanitarie dell'UE;
rafforzare la loro partecipazione nel processo decisionale; coinvolgere altri settori, nei diversi ambiti politici, sia a livello di Unione Europea sia a livello nazionale, nell'attuazione di
programmi di prevenzione mirati ai giovani; supportare le attività degli Stati Membri per pro-
muovere la salute dei giovani.
L'obiettivo dell'azione comunitaria in questo settore è duplice. Anzitutto favorire e sostenere lo sviluppo di azioni e di reti destinate a raccogliere, fornire e scambiare informazioni.
Ciò al fine di valutare e sviluppare politiche, strategie e misure atte a realizzare interventi efficaci sui determinanti sanitari, quali comportamento personale e stile di vita; fattori sociali
che possono rivelarsi un vantaggio o uno svantaggio; condizioni di vita e di lavoro e ac-
cesso ai servizi sanitari; condizioni generali socioeconomiche, culturali e ambientali, che
condizionano il peso delle malattie nella società e possono influenzare in modo significativo
la salute della popolazione promuovendola. In secondo luogo, promuovere e stimolare gli
sforzi degli Stati Membri in questo settore, ad esempio elaborando progetti innovativi che
possano essere esempio di pratiche efficaci.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Gioventù, si è candidata nel
2010 per proseguire in questa azione e, con la collaborazione dei Ministri della Salute, del-
l’Istruzione, delle Pari Opportunità, delle Politiche Europee e del Sottosegretario con delega
alle Politiche della Famiglia, ha voluto rinnovare l’appuntamento per parlare della salute e del
benessere dei giovani con i giovani, attraverso lo strumento del Dialogo Strutturato2.
Confrontarsi su politiche per la promozione della salute delle giovani generazioni e scambiare
buone prassi è sempre un’opportunità irrinunciabile da condividere con gli Stati Membri per
individuare azioni prioritarie su cui lavorare congiuntamente per realizzare, in modo efficace,
una politica complessiva che incida concretamente sulle condizioni della salute dei giovani
nell’intero territorio europeo e far sì che gli stessi giovani siano coinvolti nei processi di pro-
grammazione e partecipi delle scelte che riguardano la loro salute.
I dati ufficiali sull’espansione dei disturbi del comportamento alimentare e sulla diffusione delle
infezioni sessualmente trasmissibili, per parlare di due fenomeni macro, come pure stili di vita
non corretti, ci inducono a stabilire come prioritario l’impegno a pianificare interventi tesi a
promuovere un’informazione efficace e capillare per la prevenzione di questi fenomeni.
Informazione, educazione alla sessualità ed all’affettività e promozione di un’alimentazione
2
Il Dialogo Strutturato è lo strumento di mutua comunicazione tra giovani ed istituzioni creato per realizzare le priorità della cooperazione europea sulle politiche giovanili e per permettere ai giovani stessi di essere parte creativa e proponente dell’intero processo. Questo approccio nasce per la prima volta con il Libro Bianco sulla gioventù (2001) della Commissione Europea e sull’accordo
del Consiglio Europeo sugli obiettivi comuni da raggiungere nelle politiche giovanili, con particolare riferimento a quelli relativi al
rafforzamento della partecipazione e della cittadinanza attiva dei giovani.
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salutare, promozione di stili di vita sani, sono alla base di una più vasta azione sociale volta
a contenere il rischio che comportamenti inadeguati giochino un ruolo importante nella de-
strutturazione della vita delle future generazioni. Ciò comporta un lavoro di confronto e di
scambio teso ad individuare mezzi e strumenti, linguaggi e metodologie, modalità di comu-
nicazione ed ambiti di azione idonei a pianificare politiche comuni.
L'Unione Europea ha già sviluppato azioni specifiche in collaborazione con i giovani. In-
sieme al Forum Europeo della Gioventù, è stata, ad esempio, organizzata la campagna di comunicazione “Help” di prevenzione del tabagismo3.
La gioventù costituisce anche il target di diverse azioni in materia di promozione della salute avviate da membri della Piattaforma d'azione europea su dieta, attività fisica e salute.
Anche la Conferenza Europea di Roma ha voluto conferire ai giovani il ruolo di protagonisti,
offrendo l’opportunità di parlare di formazione e di confrontare le nostre buone prassi con
quelle dei vari paesi europei. È stato chiesto ai giovani di indicare la via maestra da seguire
per promuovere la loro salute, nel rispetto del principio ispiratore della Convenzione Europea, che ha costituito il Forum4, contribuendo, con le proprie idee, alla costruzione di un'UE
più attenta alle esigenze e alle richieste di chi rappresenta il futuro dell'Europa.
D’altra parte, alcuni progetti che il Dipartimento della Gioventù ha posto in essere dalla sua
costituzione, ci hanno dato l’opportunità di pensare, riflettere ed immaginare le strategie fu-
ture per promuovere la salute tra le giovani generazioni: abbiamo cercato di individuare i
soggetti più idonei con cui discuterle per poi renderle più efficaci.
Circa un anno e mezzo fa, leggendo i dati relativi alla diffusione delle infezioni sessualmente
trasmesse tra i nostri giovani e approfondendoli, ci siamo resi conto che le stesse proble-
matiche erano condivise e riguardavano anche altri Stati Membri.
Nello stesso modo, guardando alla patologia dei disturbi del comportamento alimentare
anche nel resto d’Europa, ci accorgevamo che si moltiplicavano le iniziative per fermare
un’epidemia moderna che minaccia il fiore della nostra società. L’immagine più significativa,
quella di una giovane ragazza che si apre alla vita e che invece viene schiacciata dalla ma-
lattia. Abbiamo così cercato di identificare due tematiche da approfondire e di legarle in-
sieme in un quadro generale che riguardasse i diversi aspetti della realtà umana dei nostri
giovani. Piano piano si è costruito il progetto della I Conferenza Europea sulla salute ed il be-
3
"Help. Per una vita senza tabacco" è una campagna europea anti fumo del 2009. La campagna si è svolta in contemporanea in
tutti i 27 Paesi dell'Unione Europea. La comunicazione è avvenuta attraverso un sito interattivo costituito da tre sezioni: Vuoi un
assistente che ti aiuti a smettere?, 10 consigli per non cominciare e 5 verità sul fumo passivo.
4
Con la Convenzione Europea dei giovani, nel 2002, nasce Il Forum europeo dei Giovani, un'organizzazione internazionale il cui
compito principale è rappresentare gli interessi e le opinioni dei giovani dinanzi ai decision-makers, europei e non, ed in particolare l'Unione Europea, il Consiglio Europeo e le Nazioni Unite. Il Forum europeo dei Giovani conta 91 membri tra ONG di giovani
attive sia a livello europeo che a livello nazionale.
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nessere, realizzata con il contributo della Commissione Europea, finalizzata ad offrire ai gio-
vani la possibilità di confrontarsi con gli esperti e di esporre, nel contempo, le loro istanze,
i loro punti di vista, le loro sensibilità.
Tali obiettivi sono stati perseguiti innanzitutto attraverso la progettazione strutturata della
Conferenza, poi dal lavoro costante, svolto nei mesi precedenti, di confronto e di scambio
con i rappresentanti del Forum Nazionale Giovani Italiano con la cui collaborazione sono
stati individuati temi ed interventi.
Durante il 16 giugno è stata aperta la Conferenza che è proseguita con l’Anteprima dedicata
ai giovani e da loro stessi organizzata. Si sono svolte tre sessioni durante le quali sono stati
dibattuti i seguenti temi:
• I disturbi alimentari e le preoccupazioni sull'immagine corporea nella popolazione
giovanile.
• I giovani: diritti per una salute sessuale e riproduttiva.
• Valorizzazione del ruolo dell’attività sportiva nella prevenzione dei comportamenti
a rischio.
Tutti i rappresentanti dei Forum Nazionali si sono iscritti ed hanno partecipato attivamente
alle Sessioni dei giorni successivi ed alla plenaria conclusiva.
Nei giorni successivi, la Sessione Plenaria di apertura si è arricchita con gli interventi dei
rappresentanti della Commissione Europea che hanno riferito sulle azioni messe in atto in
Europa per promuovere la salute dei giovani e con le relazioni di tre esperti che hanno approfondito le tematiche dei comportamenti a rischio, delle infezioni sessualmente trasmis-
sibili e dei programmi realizzati in materia di promozione di stili di vita salutari, focalizzati, in
particolare, sull’ educazione ad una sana e corretta alimentazione.
Le quattro Sessioni Parallele che si sono svolte a partire dal 17 giugno, hanno affrontato, con
il contributo degli esperti che hanno partecipato numerosi, le tematiche concordate con la
Commissione Europea al fine di sviluppare approfondimenti comuni relativi a problematiche importanti per l’universo giovanile Europeo. In particolare i temi che sono stati affron-
tati nei gruppi di lavoro sono:
• Educazione sessuale ed epidemiologia delle infezioni sessualmente trasmissibili.
• I disturbi del comportamento alimentare e i differenti approcci nella cura e nella
prevenzione
• Educazione alimentare, attività fisica e stili di vita salutari
• Comunicazione e campagne istituzionali negli Stati Membri sulla salute ed il benessere dei giovani.
Il 18 giugno è stato dedicato agli esiti dei lavori riferiti dai rapporteur e dalle Raccomanda-
zioni presentate dai Giovani.
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LA PAROLA AI GIOVANI
L’anteprima della I Conferenza Europea sulla salute ed il benessere dei giovani, svoltasi
il 16 giugno 2010, ha sottolineato la modalità di realizzazione del meeting. Infatti i la-
vori sono stati aperti dai giovani del Forum Europeo, del Forum Nazionale e dell’Agenzia Nazionale Giovani.
L’intento di questa anteprima e di tutta la costruzione dell’evento, è stato quello di coinvol-
gere i giovani europei su tematiche che riguardano loro stessi, il loro futuro e dimostrare le
loro capacità di analisi e di approfondimento ma anche di elaborazione e proposizione.
Nei tre giorni di durata della Conferenza si è potuto constatare che i giovani europei, se chia-
mati ad interpretare il ruolo di rappresentanti delle istanze e delle necessità dei coetanei,
assumono in modo responsabile ed incisivo il compito che è stato loro assegnato.
Le capacità di coinvolgimento e di partecipazione dimostrate, insieme alla qualità delle analisi e di approfondimento emerse, inducono a riflettere sulla necessità di trovare spazi e luo-
ghi in cui le giovani generazioni possano incidere sui temi che li riguardano e misurarsi
concretamente con soluzioni e risposte.
Si è pensato che una conferenza ad hoc, mirata sulla prevenzione di patologie e sulla pro-
mozione della salute fosse il luogo idoneo in cui i ragazzi potessero offrire spunti di rifles-
sione, comunicare i loro messaggi, formarsi ascoltando gli esperti, aiutare le Istituzioni ad
individuare le modalità più efficaci per incidere sulla loro realtà.
La riflessione che, a monte, ha condotto verso un confronto con le generazioni future, è par-
tita dalla consapevolezza che i messaggi a questa indirizzati e sui cui le Istituzioni investono,
spesso non raggiungono gli obiettivi sperati. Ciò significa che per poter incidere sui target
individuati, è necessario conoscere strumenti, mezzi e modalità per trasmettere efficacemente i contenuti.
D’altro canto, quale miglior strumento, se non loro stessi, è più efficace per modificare il
comportamento ed il modo di pensare dei loro coetanei?
Scientificamente questa metodologia viene definita come “peer to peer”, pari che dialogano
con i pari per trasmettere loro contenuti ed informazioni. Noi abbiamo aggiunto anche la ri-
cerca di modelli, strumenti e mezzi più idonei a comunicare con loro per tutelare il loro benessere e sottolineare il diritto a vivere una vita salutare.
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Julie TENG5
Il Forum europeo della gioventù è una piattaforma costituita da circa cento organizzazioni
giovanili di vari paesi europei; anche il Consiglio Nazionale Oriente è uno dei nostri membri
e abbiamo Consigli della gioventù nel Consiglio d'Europa, che corrispondono alla rappre-
sentanza dei ventisette Stati membri.
Insieme cerchiamo di promuovere i diritti e gli interessi dei giovani, di perorare la loro par-
tecipazione nella UE, nell’ONU e nel Consiglio d'Europa. Le tematiche su cui lavoriamo riguardano l'istruzione, per la riforma di una scuola rinnovata, la partecipazione alla vita
politica ed in generale su tutte le politiche giovanili, attraverso le quali cerchiamo il diretto
coinvolgimento dei giovani. Lavoriamo anche sulla attuazione di una rete sociale, per affrontare le grandi priorità come la povertà e la fame. Connesso a tali temi, svolgiamo un
ampio lavoro sui diritti umani, lo sviluppo sostenibile e la salute. In particolare quest’ultimo
tema, riteniamo che oggi sia di importanza cruciale per le giovani generazioni ed è impor-
tante che i giovani abbiano voce in capitolo in tutte le politiche sanitarie e nelle campagne
di sensibilizzazione e comunicazione che tali politiche richiedono, attraverso un coinvolgi-
mento diretto fin dalle fasi di progettazione. Grande importanza ha avuto per questo la Con-
ferenza Youth Health Initiative, che è stata lanciata dalla Commissione europea e da cui
l’iniziativa italiana di questi giorni ha preso le mosse.
La salute è un diritto dei giovani e per questo essi hanno bisogno di avere informazioni sull’
accesso ai contraccettivi, sull'aborto legale come pure sulla qualità della salute di genere.
Pensiamo che ci debba essere un approccio positivo alla sessualità e non di stigmatizza-
zione. Sui temi della attività fisica e disturbi del comportamento alimentare riteniamo che è
veramente importante incoraggiare il consumo di cibo sano, sviluppare le opportunità per
l'attività fisica e per un'immagine positiva del corpo.
Kadri VANEM6
Numerose sono state le iniziative dello Youth Forum in materia di salute.
Nel 2008 abbiamo adottato un documento strategico molto esteso di quattordici pagine.
Insieme alla Commissione europea, siamo stati coinvolti nella campagna HELP , uno dei più
grandi successi di natura cross-settoriali a livello europeo, che in realtà ha riunito tanti gio-
vani a discutere con esperti. In tal modo è stata offerta ai giovani l’opportunità di essere
protagonisti delle scelte sul loro benessere, riconoscendo l’importanza ed il valore che l’Europa a loro riserva. Quest'anno il lavoro si è sviluppato sui temi della salute e povertà, la sa-
lute sessuale e riproduttiva ed è attualmente in preparazione una audizione in Parlamento
5
6
Segretaria Forum Europeo dei Giovani
Forum Europeo dei Giovani, Ufficio Internazionale
19
europeo, per sottolineare gli obiettivi di sviluppo del millennio.
Nelle nostre azioni sulla salute all’interno del Forum europeo della gioventù, ci poniamo di-
verse domande: i giovani hanno accesso ai servizi sanitari? Sono convenienti per i giovani?
Quanto è facile l'accesso ai servizi sanitari? Quali informazioni sulla salute i giovani ricevono nel sistema di istruzione formale? Esiste una complementarietà tra istruzione formale
e non formale in questo campo? Quanto i giovani hanno voce in capitolo sulle politiche sa-
nitarie che li riguardano? Hanno il coraggio di parlare dei loro problemi, come l'obesità, o i
disturbi del comportamento alimentare? Conoscono le avvertenze sul sesso sicuro? Quanti
tabù sono ancora esistenti e che cosa facciamo per combatterli? Perché sempre più giovani
ed in giovane età fanno abuso di alcol? Quale ruolo hanno i mass media e quali informazioni
trasmettono? quali sono i collegamenti tra la salute e le altre politiche?
La lista delle domande potrebbe essere molto lunga; l’importante però non è solo trovare ri-
sposte concrete a queste domande, ma intervenire ed attuare misure di politica condivise. Per
intervenire servono anche elementi di indagine; a tal proposito mi rivolgo al governo della UE: i
dati spesso sono insufficienti, così come le informazioni soprattutto per alcune aree della salute.
Ad esempio, nel mio paese, l'Estonia, la grande maggioranza dei giovani crede che si possa es-
sere infettati di HIV per una puntura di zanzara: questo è il risultato di un recente sondaggio tra
i giovani. Come è possibile combattere questi pregiudizi e idee sbagliate? Innanzitutto con una
preventiva educazione fin dalla tenera età in tema di salute sessuale all’interno del sistema di
istruzione formale, con la complementarità di educazione non formale attraverso una regola-
mentazione europea della materia. Parlando di sesso, i giovani devono sentirsi a proprio agio
nelle scelte, facendo le domande che sentono di aver bisogno di fare, non vi possono essere
tabù, in questo campo così essenziale come la salute sessuale e la salute riproduttiva.
Riguardo all’obesità , che è un problema crescente, se ne parla molto, ma cosa facciamo
realmente per combatterlo e soprattutto prevenirlo? Ci sono abbastanza opportunità per i
giovani di fare sport e di essere impegnati in attività fisica sia pure non agonistica? Stiamo
offrendo informazioni sufficienti su cibi e bevande? È vero che il Parlamento europeo ha
adottato una direttiva molto complessa sull'etichettatura dei prodotti alimentari, ma è suffi-
ciente e come sarà recepita ed implementata dagli Stati membri; quali sono le strategie co-
municative in materia di educazione alimentare?
Accesso alle informazioni, educazione, istruzione formale e non formale, ma anche empo-
werment, partecipazione, coinvolgimento, motivazione e fiducia sono i concetti che do-
vrebbe registrare la nostra mente per approcciarsi alle questioni sanitarie. I giovani e le
organizzazioni giovanili svolgono un ruolo chiave nel raggiungimento di risultati migliori e
sono i fornitori ultimi dell'educazione non formale.
La politica sanitaria e le politiche per i giovani richiedono il coinvolgimento dei giovani stessi
nei processi decisionali, e per questo vi ringrazio dell’opportunità di rendere tutto questo
reale. L'occasione di questo evento, che vede tanti ragazzi riuniti ad ascoltarsi gli uni con gli
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altri, rappresenta una tappa importante per rendere concrete le azioni che è possibile implementare a livello europeo, a livello locale, a livello nazionale.
Antonio DE NAPOLI7
Il principio del co-management, come spesso sentiamo dire astrattamente in Commissione
Europea, finalmente è applicato in una Conferenza che ha un rilievo europeo. Questo è un
dato molto importante perché, al di là dell’European Youth Forum e dell’Agenzia Nazionale
dei Giovani, questo organismo che rappresento racchiude circa ottanta associazioni giova-
nili ed ha contribuito concretamente ad organizzare, non solo l’accoglienza dei nostri amici
europei, ma la scelta dei temi e l’organizzazione dei workshop che è stata realizzata in modo
congiunto con il Dipartimento della Gioventù.
Quando leggiamo sui giornali o ascoltiamo nei talk show “protagonismo generazionale”,
“ruolo dei giovani nei processi decisionali”, la nostra sensazione è che rimangano sempre
e solo belle parole, senza che la teoria venga messa in pratica e concretizzata. Quando in-
vece ci accorgiamo, come nel caso di questa Conferenza, che tali concetti divengono realtà,
la situazione può cambiare e gli stessi giovani si rendono conto dell’importanza di un loro
coinvolgimento.
Il tema della salute sicuramente rende chiaro questo aspetto. Le giovani generazioni molto
spesso si basano su pregiudizi e su un’ auto informazione, magari chiedendo consiglio all’amico su quale atteggiamento assumere.
Ciò che più mi ha colpito nella preparazione di queste giornate è stato il profilo delle persone
venute qui da tutta l’Europa, il loro curriculum; sono oggi qui presenti circa sessanta nostri
coetanei di ventidue paesi europei che lavorano su questi temi nelle loro realtà e che po-
tranno dare un apporto significativo a questa Conferenza.
Ciò che vorremmo uscisse da queste giornate è la formalizzazione di un’agenda che ci con-
senta, sulla base di buone prassi qui apprese, di definire interventi efficaci in materia di promozione di stili di vita sani.
Il Forum ha celebrato circa un anno fa il proprio congresso, il documento programmatico politico ha al suo interno i temi della salute, poter discutere con voi di questi temi per tre giorni,
in un contesto così importante, ci fa capire che siamo sulla buona strada, anche se dobbiamo fare un lungo un cammino8.
7
Portavoce del Forum Nazionale dei Giovani.
Nei mesi successivi, il dopo Conferenza ha visto il Forum Nazionale Giovani attivo su due tematiche volte a promuovere la salute
e stili di vita corretti: I progetti “Non mi gioco il cuore” e “BastaUnAttimo”. Il primo si basa su una campagna di sensibilizzazione
per incentivare i giovani che praticano sport a sottoporsi a visita medica e ad eseguire tutti i controlli necessari per ricevere il certificato di sana e robusta costituzione. Il secondo riguarda attività di informazione e comunicazione sull’argomento della sicurezza
stradale. Entrambi i progetti sono stati già riproposti per il 2012.
8
21
Paolo DI CARO9
Il coinvolgimento dell’Agenzia Nazionale Giovani per questa Conferenza non è formale,
ma sostanziale perché nelle priorità dell’Agenzia che attua un Programma europeo Gioventù in Azione, c’è anche quella dettata dalla Commissione Europea riguardo la pro-
mozione di stili di vita sani attraverso la pratica dell’attività sportiva.
D’altra parte lo sport rappresenta uno degli elementi fondamentali dell’investimento culturale
sul quale agire per pensare interventi che coinvolgano i giovani sin dalla tenerissima età.
Non solo nel nostro Paese, ma direi in Europa, c’è stata una grande disattenzione rispetto
alla utilità dello sport come prevenzione anche nelle patologie come i disturbi del comportamento alimentare e, in generale, è stato sottovalutato il rapporto fra sport, educa-
zione dei giovani e crescita sana.
Credo sia importante ragionare sia in termini scientifici che culturali e politici su quanto
sia necessaria la promozione di un’idea di sport diversa rispetto a quella che oggi ci viene
comunicata dai mass media e dal mondo dello sport agonistico che, purtroppo, spesso
trasmettono l’aspetto deteriore della pratica delle discipline sportive.
L’occasione di questa Conferenza è importante per riflettere anche sulle esperienze degli
altri Paesi su questa tematica al fine di comprendere se il sistema dell’istruzione in Italia,
in Europa, risponde all’esigenza di inserire nei percorsi curricolari ed educativi dei ra-
gazzi la pratica dell’attività sportiva.
Mi auguro che alla fine di questa Conferenza ci sia la possibilità di far emergere una posizione che vada in questa direzione e che diventi un impegno per il futuro.
Per quanto ci riguarda, nel Programma Gioventù in Azione abbiamo voluto riportare come
priorità la diffusione della la pratica dell’attività sportiva come prevenzione, sollecitando
le organizzazioni che con noi si confrontano ad affrontare questo tema in maniera preponderante rispetto agli altri .
Ciascuno può svolgere un ruolo in quest’ambito: siamo certi che le risultanze di questa
Conferenza torneranno utili a noi, per la nostra attività quotidiana di diffusione dei mes-
saggi, ed alle Istituzioni che hanno il compito di tradurre in azioni concrete anche di governo quanto emergerà dai nostri lavori10.
9
Direttore Generale Agenzia Nazionale Giovani
In data 11.11.2011, l’ANG ha stipulato un’ apposita Convenzione con il Dipartimento della Gioventù che prevede, nell’ambito del
Programma “Gioventù in Azione” la realizzazione di attività legate alla promozione di stili di vita sani per i giovani. Con l’attuazione
della Convenzione, l’ANG ha sviluppato un progetto biennale rivolto a giovani di età compresa tra i 10 ed i 18 anni, finalizzato alla
promozione dello sport come stile di vita sano in partenariato con le Federazioni sportive nazionali; il Progetto prevede lo svolgimento di attività quali eventi sportivi in piazza, creazione di spazi dedicati, realizzazione di percorsi sportivo-educativi per le scuole,
incontri con i campioni, finalizzate a trasmettere i valori promossi dalla Commissione Europea nel Libro Bianco sullo sport.
10
22
L’EUROPA E LA SALUTE
DEI GIOVANI
Pensare ad un piano di prevenzione che riguardi i singoli stati membri e non ponga al
centro l’Europa, sembra ormai avere poco senso.
La libera circolazione, ma di più, gli sforzi che l’Unione Europea sta compiendo per pro-
muovere la mobilità transfrontaliera, uniti ad un sistema di comunicazione globale che
trasmette stili di vita, comportamenti, mode ed abitudini, da un paese all’altro, pone
l’obbligo di pensare e realizzare interventi comuni e condivisi almeno tra gli stati che formano la nostra Unione.
Relativamente alle Infezioni Sessualmente trasmissibili, ad esempio, è dimostrato che
l’incidenza di rapporti tra i giovani aumenta nel periodo estivo o nelle vacanze in genere,
a maggior ragione se queste sono trascorse all’estero. Ciò determina il fatto che i comportamenti a rischio dei giovani italiani come pure quelli responsabili, a nulla valgono
se i colleghi delle altre nazioni non osservano le stesse precauzioni e non sono informati sui rischi connessi a condotte poco prudenti.
Lo stesso può essere sottolineato in materia di Disturbi del Comportamento Alimentare, visto che Anoressia e Bulimia, come pure il binge eating e la conseguente obesità,
risultano essere un’emergenza comune addirittura a tutti i paesi Occidentali.
In questi anni abbiamo monitorato progetti e programmi sviluppati in altri paesi del-
l’Unione in materia di salute e benessere dei giovani ed abbiamo riflettuto sul fatto che
le problematiche riscontrate sono molto simili a quelle presenti nel nostro Paese. Si è
potuto, altresì, constatare che, spesso, dalla conoscenza hanno origine spunti impor-
tanti per l’individuazione di linee e buone prassi replicabili perché efficaci e innovative.
Così si è pensato di alimentare questo confronto ed offrire uno strumento con cui renderlo continuo; un luogo ed un momento specifici in cui le diverse Istituzioni, nazionali
ed europee, potessero fare il punto e confrontarsi su quanto messo in atto.
Per questo motivo, all’indomani del meeting di Bruxelles, ci si è immediatamente attivati con la DG Sanco (la Direzione Salute della Commissione Europea), per organizzare
e costruire un ulteriore momento di incontro e di confronto.
Insieme si sono individuati i temi, insieme si è voluto fortemente il coinvolgimento dei
giovani per promuovere un nuovo metodo di dialogo: strutturato, intergenerazionale,
interistituzionale ed internazionale.
25
Stefano VETTORAZZI11
Grazie agli enormi progressi nel campo della medicina, in Europa molte malattie sono state
praticamente debellate ed i giovani non sono mai stati così sani. Questo però è solo un lato della
medaglia, lo stile di vita moderno contribuisce, infatti, a diffondere una nuova serie di malattie
e problemi di salute, quali, ad esempio, l’obesità legata alla cattiva alimentazione e ad una ca-
renza di attività fisica.
Si aggiunga a ciò che le problematiche legate alla salute mentale sono più diffuse che in pas-
sato a causa dell’abuso di alcol da parte delle giovani generazioni, dall’assunzione di droghe,
da comportamenti legati a stili di vita non appropriati, che hanno come conseguenza un’alta
mortalità di giovani per incidenti stradali12.
Molti di questi problemi sono prevedibili e, pertanto, si può agire per contrastarli.
L’Unione Europea si è impegnata ad affrontare i principali fattori rischio che influenzano la sa-
lute dei giovani e questo impegno è stato reiterato lo scorso anno nella conferenza “Be healthy,
be yourself” (sii sano, sii te stesso), che ha visto più di duecento giovani provenienti da tutta Eu-
ropa incontrarsi a Bruxelles per discutere di alcune tematiche essenziali per la loro salute.
Tutti sappiamo che l’investimento nei giovani ed in particolare nella loro salute, è necessario e
comporta una priorità di visione economica e sociale dell’Europa tutta, specialmente durante
periodi di crisi economica come quello attuale.
Sono fiducioso che questa Conferenza, insieme alla futura iniziativa di Torino13, capitale euro-
pea dei giovani, fornirà un nuovo slancio all’azione sulla salute dei giovani a livello comunitario
e dei singoli Paesi membri. Allo stesso tempo, dobbiamo essere più ambiziosi nei confronti dei
11
Direzione Salute Commissione Europea
Da uno studio effettuato ad aprile 2012 dal professor George Murdoch dell’Università di Melbourne, in Australia, sulla mortalità dei
giovani nella fascia di età 10 /24 anni, l’Italia risulta 20esima, con un tasso di 31 decessi ogni 100mila giovani e proporzionalmente
registra un alto numero di morti per incidenti stradali, mentre le morti violente e i suicidi hanno tassi bassi, che si aggirano tra l’1 e
il 3 ogni 100mila. Il paese industrializzato con il tasso di mortalità più alto sono gli Stati Uniti, che raggiungono quasi 60 decessi
ogni 100mila, il doppio dell’Italia. La Nuova Zelanda è seconda, con poco più di 50 morti, mentre terzo è il Portogallo, con 47 morti
ogni 100mila. Le tre cause di morte più comuni tra i giovani occidentali sono: incidenti stradali, suicidi e violenza. Gli Stati Uniti, il
Portogallo e la Grecia sono i paesi che registrano il maggior numero di morti in incidenti stradali. I tre paesi con il tasso di suicidi
più alto sono l’Islanda, la Finlandia e il Giappone, mentre il maggior numero di morti violente si registra ne gli Stati Uniti.
13
L’impegno del Dipartimento della Gioventù a Torino, Capitale Europea dei Giovani, ha proseguito l’obiettivo di coinvolgere i giovani non solo come spettatori o destinatari finali delle azioni, ma come protagonisti. Non a caso, più che
eventi rivolti ai giovani sono stati elaborati interventi che permettessero ai giovani di fare e di farsi ascoltare. Con questo spirito a Torino sono stati organizzati diversi momenti per offrire ai giovani torinesi occasioni di confronto con i loro
coetanei italiani ed europei su temi di grande attualità: la democrazia, la sostenibilità, il futuro, la conoscenza, la salute. Tra le numerose iniziative si ricorda “Food for Mind Mind for Food” una due giorni che ha visto confrontarsi numerosi giovani su salute e alimentazione. “Health, yes we care!” (La salute, sì ci interessa!) è stato lo slogan di Food for
Mind – Mind for Health, evento concepito come seguito della conferenza Be healthy, Be yourself organizzata e della
conferenza Salute e Benessere di Roma del 2010 ed inserito tra le iniziative della Roadmap for a better youth health in
Europe (Piano per una migliore salute dei giovani in Europa), un documento pubblicato dalla DG SANCO contenente una
serie di azioni da intraprendere nel prossimo futuro. Food for Mind – Mind for Health ha avuto come principio ispiratore
l’idea di diffondere la consapevolezza che il benessere personale aiuta i giovani ad accettare il cambiamento, ad avere
un atteggiamento positivo e a godere di una vita sana, sicura, responsabile e soddisfacente. Se i giovani imparano a riconoscere, sviluppare e comunicare le proprie qualità, abilità e attitudini, acquisiscono più fiducia e stima di sé, met12
27
gruppi vulnerabili, assicurandoci che anche i giovani socialmente svantaggiati ed esclusi pos-
sano partecipare al dibattito sulla loro salute e benessere.
Gisela LANGE14
La salute delle giovani generazioni è importante per tutti i popoli, ma è assolutamente indi-
spensabile in una società europea che invecchia. Non possiamo permetterci di sprecare
una sola vita giovane a causa di malattie prevenibili.
Al di là di questa doverosa premessa, possiamo dire che nel complesso la salute dei giovani
nei nostri 27 Stati membri è migliore di quanto non sia mai stato.
Dal 1980 la probabilità di un bambino di morire prima dei 5 anni è scesa di due terzi. I
giovani oggi sono più alti rispetto alla generazione passata; alcune statistiche sostengono che sono più intelligenti. Ciò non significa, però, che non esistono dei pericoli
che dobbiamo attenzionare.
La salute dei giovani potrebbe essere migliore e ciò che è preoccupante per la Commis-
sione europea è il fatto che in alcuni Stati membri la salute delle giovani generazioni è molto
peggio che in altri. E non solo, all'interno del singolo Paese, i giovani provenienti da famiglie svantaggiate hanno il doppio delle probabilità di soffrire di alcune gravi malattie. Non
dobbiamo infatti dimenticare che la povertà infantile è forse uno dei principali determinanti
della salute, che colpisce oltre il 16% di tutti i bambini nell'Unione europea. Con la crisi fi-
tendo a frutto le loro capacità. Oltre alla " Sexual Health” (Salute sessuale), durante l’evento sono stati affrontati altri
due temi principali, "Food Challenge" (La sfida alimentare) e “Future thinking and proposing” (Idee e proposte per il futuro). Riguardo al primo tema, i partecipanti hanno sottolineato che la salute sessuale è uno stato di benessere fisico,
emotivo e sociale legato alla sessualità. Dalla loro discussione è risultata, soprattutto in Europa orientale, una mancanza
di informazione, di istruzione e di servizi a cui accedere, mentre in Europa occidentale sono disponibili servizi e informazioni, che tuttavia non vengono sempre sfruttati. Per quanto riguarda l'educazione sessuale, i partecipanti hanno sottolineato la necessità di un piano educativo che includa l’educazione sessuale, il che richiederebbe una maggiore
preparazione degli insegnanti, ulteriori ricerche sui metodi di apprendimento, più numerosa partecipazione dei giovani
e un approccio più inclusivo (per esempio per le minoranze). Rispetto al quadro politico, le proposte dei giovani hanno
riguardato la necessità non solo di una strategia comune europea sui Diritti e Salute Sessuale e Riproduttiva dei giovani,
ma anche più fondi a livello europeo e nazionale per progetti relativi a questo tema. Sull’accesso ai servizi, i partecipanti hanno proposto la creazione di un servizio informativo obbligatorio di educazione sessuale a livello europeo, in
cui il coinvolgimento diretto dei giovani potrebbe costituire la base per un metodo educativo innovativo. Per quanto riguarda il secondo tema, “Food Challenge” (Sfida Alimentare), sono state approfondite alcune interessanti osservazioni
sulle politiche pubblicitarie: oltre a proibire, durante le pause dei programmi televisivi per bambini, il passaggio di spot
di alimenti che danneggiano la salute e a favorire pubblicità che incoraggino stili di vita sani fra i bambini e gli adolescenti, è stata sottolineata la necessità di installare distributori di alimenti sani nelle scuole e nei luoghi pubblici, dove
dovrebbero essere reperibili informazioni su cosa significhi seguire un’alimentazione sana e un corretto stile di vita e
creare una rete di giovani volontari a livello nazionale ed europeo, che organizzino laboratori nelle scuole per diffondere la consapevolezza dei benefici di uno stile di vita sano. Il terzo tema " Future Thinking and Proposing, si è incentrato sull’educazione alla salute, considerata come qualcosa che non coinvolge solo la scuola, ma anche la famiglia e i
valori sociali. Incentivare la pratica dello sport come parte essenziale nello stile di vita, aumentare le imposte sul tabacco e l'alcool (la cui pubblicità dovrebbe essere vietata), innalzare l'età per l'acquisto di alcolici, creare una rete unica
tra i giovani che si occupano di marketing sanitario: queste alcune proposte.
14
Commissione Europea - Direzione Generale della Salute e Consumatori.
28
nanziaria attuale questa situazione si sta aggravando, e osserviamo che anche nei Paesi
più ricchi i bambini sono più spesso vittime della povertà rispetto agli adulti. Infatti, la man-
canza di alloggi, la disoccupazione, la vita in ambienti malsani ed un basso livello di istru-
zione hanno un impatto negativo sulla salute fisica e mentale.
D’altra parte, sono i giovani la grande risorsa per i Paesi ed abbiamo il dovere di mantenere
la loro salute a beneficio di tutti.
Una strategia di promozione della salute dei giovani deve quindi tenere conto non solo degli
aspetti dello stile di vita individuale, ma deve anche occuparsi della collettività in generale.
Ridurre le disuguaglianze di salute è uno dei pilastri della strategia europea tant’è che, re-
centemente, il Consiglio europeo ha adottato una risoluzione proprio su questa tematica15.
Per la salute dei giovani questo significa in concreto che dobbiamo raggiungere i gruppi al
margine, le minoranze etniche, i giovani migranti, i tossicodipendenti o i giovani che sof-
frono di malattie come l'HIV. La costruzione di impianti sportivi, ad esempio, in un ambiente
povero, è probabilmente una iniziativa lodevole, perché offrirà l’opportunità di prevenire
l’obesità e combattere tanti aspetti del disagio giovanile. Se guardiamo ad esempio ai com-
portamenti a rischio e pensiamo a quanti rischi in più corrono i giovani sotto l’effetto del-
l’alcol, mi riferisco al sesso non protetto e agli incidenti stradali, ne consegue che una
strategia da adottare potrebbe senz’altro essere quella di proteggere i giovani dall’uso scorretto del marketing e della pubblicità in materia di bevande alcoliche.
A proposito di prevenzione, è necessario intervenire fin dall’infanzia, obbligando gli Stati
membri ad informare i giovani sui rischi potenziali di determinati stili di vita, affinché le loro
scelte possano essere informate. In ciò la Commissione può supportare i Paesi con la creazione di piattaforme di discussione sulle tematiche della salute, raccogliere più dati possi-
bili, comunicare e sollecitare la partecipazione dei giovani allo sviluppo di nuove politiche
volte ad educare ad un comportamento sano, positivo e desiderabile.
E proprio i giovani dovrebbero essere i promotori, gli ideatori di campagne di sensibilizza-
zione perché, come disse Albert Einstein: "Non possiamo risolvere i problemi con lo stesso
pensiero che ha creato i nostri problemi".
È importante quindi avere i giovani come attori e non come oggetti della politica sanitaria;
offrendo loro questa forma di potere e rendendoli protagonisti del diritto irrinunciabile al be-
nessere, potremo dire di aver avviato un’efficace promozione della salute resa possibile da
un’assunzione di responsabilità nell’operare scelte consapevoli, di approvare, disapprovare
o modificare uno stile di vita.
Per concludere e sintetizzare le linee di questo intervento, direi che la salute delle giovani ge-
nerazioni possa essere costruita attorno a quattro blocchi: controllo delle disuguaglianze, dimensione della salute stessa, comunicazione e coinvolgimento dei giovani.
15
Documento allegato alla presente pubblicazione.
29
Pascal LEJEUNE16
"Salute”- “Giovani": due termini che sottolineano la necessità di affrontare questo problema
specifico in termini di salute pubblica, ma anche nella prospettiva specifica dei giovani ed
è su questo secondo aspetto che desidero soffermarmi.
Non troppo tempo fa, i problemi di salute erano piuttosto percepiti come tematiche connesse all'invecchiamento, con azioni che sono state rivolte agli adulti, anziani come desti-
natari e che coinvolgevano operatori sanitari e servizi di sanità pubblica. Il cambiamento
demografico europeo ha mutato questa immagine in quanto con i progressi della medicina
ed il miglioramento delle condizioni di vita, l'aspettativa di vita si è allungata notevolmente.
La salute è ora vista come un patrimonio da tutelare: vogliamo e possiamo vivere più a lungo
e sani e quindi la prevenzione, l'intervento in età precoce sono diventati le priorità; i giovani,
pertanto sono diventati i destinatari delle politiche sanitarie.
La salute è tutto. Il poeta latino Giovenale diceva: "Mens sana in corpore sano", concetto
che si è forse perso nel corso dei secoli, a fronte di uno sviluppo socio-economico delle no-
stre società che ha ampliato il concetto di salute ed esteso il concetto di proprietà sull’ es-
sere. Vorrei ricordare che nel preambolo della Costituzione dell'Organizzazione Mondiale
della Sanità del 1946 si legge: "La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale
e benessere sociale" e non semplicemente assenza di malattia o infermità.
Così, in questa combinazione di benessere fisico, mentale e sociale, se un elemento del
triangolo è interessato, gli altri ne conseguono. Per quanto riguarda in particolare i giovani,
quando si sentono bene con i loro corpi e il loro ambiente, questo stato di benessere ha effetti positivi su tutti i comportamenti in ambito scolastico, professionale, sociale.
Nel 2007, la Commissione europea ha approvato un documento dal titolo: "Promuovere la
piena partecipazione di tutti i giovani, all'istruzione, al lavoro e nella società"17: è’ l'obiettivo
proposto anche agli Stati membri e sul quale si continua a lavorare.
Un rapporto che abbiamo pubblicato di recente presso la Commissione europea, mostra che
i giovani di 25-34 anni si considerano in buona salute, ma sappiamo anche che ci sono 2 mi-
lioni che soffrono di disturbi mentali, come depressione, patologie comportamentali, ansia,
disturbi alimentari. Ci sono anche aree territoriali che presentano problemi nuovi: incidenti,
dipendenza da droghe, abuso di alcool, allergie, sovrappeso ( in Europa il numero di giovani
obesi aumenta di 400.000 unità all'anno, contando ad oggi 14 milioni di giovani affetti da ec-
cesso di peso in Europa). Non solo, nel 2006 le statistiche mostrano che il 28% dei nuovi
casi di HIV ha coinvolto giovani tra i 15 ai 29 anni.
In breve, dobbiamo agire.
La soluzione che proponiamo è quella di impegnare tutti gli attori coinvolti nelle politiche
16
17
Commissione Europea - Direttore della Direzione Generale Gioventù e Sport, ora Direttore della Direzione Generale Istruzione e Cultura
Documento allegato alla presente pubblicazione.
30
per i giovani al fine di affrontare il problema. Su iniziativa dei Ministri responsabili per la gio-
ventù, il Consiglio dei Ministri nel novembre 2008 ha adottato una risoluzione sulla salute dei
giovani18, che è stata immediatamente seguita da un primo seminario per la sua attuazione.
Attualmente la Commissione europea ha in preparazione la nuova strategia per i giovani per
gli anni a venire, che definisce una sorta di quadro degli interventi che gli Stati membri del-
l'UE propongono di affrontare in una serie di ambiti da oggi al 201819. Il documento, presentato ai Ministri della Salute, offre una serie di proposte molto concrete per migliorare la
salute e il benessere dei giovani, che, in sintesi sono: mobilitazione di tutti i soggetti inte-
ressati, rafforzamento dell'istruzione non formale, sviluppo di strutture per i giovani, promozione dell’attività fisica.
Mobilitazione di tutti gli attori, compresi ovviamente i livelli locali:la strategia sottolinea la
necessità di mobilitare l'ambito locale per individuare i giovani più vulnerabili ed accompa-
gnarli verso servizi idonei. Tale obiettivo mira inoltre a stimolare e facilitare l'accesso dei giovani alle strutture sanitarie, in modo che spontaneamente possano rivolgersi alle stesse.
L’altro obiettivo è l'educazione non formale: essere giovani vuol dire anche scoprire la vita,
sperimentare, rischiare ed un giovane, armato di competenze emotive e sociali, esperienza,
spirito critico, ha migliore possibilità di prendere le giuste decisioni per la propria salute. A
tal fine crediamo fortemente nelle virtù di un’educazione non formale, vale a dire impartita
attraverso l’esperienza, fuori da programmi imposti e tale tipo di educazione è importante
ed efficace soprattutto per raggiungere i giovani con minori opportunità.
Affinché una strategia che riguarda la salute sia efficace, è necessario ancora che tutti i soggetti interessati lavorino insieme: insegnanti, famiglie, professionisti della salute, organizza-
zioni sportive e gli stessi giovani. Il territorio europeo è ricoperto di centri culturali, di
organizzazioni giovanili che possono veicolare messaggi importanti che riguardano la salute,
migliorare la conoscenza di giovani, rafforzare la competenza dei responsabili sulle que-
stioni sanitarie, sensibilizzare su questi temi.
Questo è sostanzialmente ciò che l'UE offre come proposta in tema di salute per i giovani.
18
Documento allegato alla presente pubblicazione.
L'attuale cooperazione europea in materia di gioventù si è dimostrata per gli Stati membri una piattaforma preziosa a fari riferimento per individuare le tematiche giovanili prioritarie su cui intervenire. Il metodo di coordinamento aperto, l' inserimento
di specifici aspetti inerenti le politiche giovanili nelle tematiche generali attraverso strumenti come il Patto europeo per la gioventù, hanno facilitato l'applicazione di un approccio flessibile e dinamico, integrando le competenze degli Stati membri con
il principio di sussidiarietà.
Utilizzare i progressi compiuti in questi anni e l’analisi delle esperienze maturate fino ad ora in materia di cooperazione europea, garantirebbe una maggiore efficacia ed efficienza di provvedimenti e programmi che saranno previsti per il prossimo decennio. Per questo motivo nel periodo che si concluderà nel 2018, il processo di cooperazione europea avviato ha individuato
alcuni obiettivi che sono emersi la cooperazione europea in materia di gioventù perseguirà alcuni obiettivi generali, tra cui la
salute ed il benessere, mettendo i giovani in condizione di sfruttare al meglio le loro potenzialità. A tal fine, la UE si è proposta di investire nei giovani, attivando maggiori risorse per sviluppare i settori politici che influiscono sulla loro vita quotidiana
e migliorano il loro benessere ed emanciparli promuovendone l'autonomia e le potenzialità al fine di contribuire allo sviluppo
sostenibile della società e alla realizzazione dei valori e obiettivi europei.
19
31
Ricordo che l'UE dispone di due strumenti per promuovere tali interventi: un quadro politico
per i prossimi 10 anni e un programma chiamato "Gioventù in azione”20, che sostiene con-
cretamente i progetti basati su un approccio transnazionale, mettendo in contatto le orga-
nizzazioni giovanili dei diversi paesi attraverso i progetti presentati e lo scambio di buone
pratiche. Tra il 2007 e il 2009, questo programma, che raggiunge ogni anno oltre 130 mila
giovani e per questo può essere considerato canale privilegiato per veicolare certi messaggi,
ha finanziato circa 1.700 progetti nel settore della gioventù, toccando anche i temi relativi alla
promozione della salute.
Un ultimo accenno ad un settore, lo sport che svolge un ruolo importante per quanto riguarda la salute. Il Trattato di Lisbona21, ratificato pochi mesi fa, ha aggiunto tra le compe-
tenze dell'Unione europea l’attività sportiva e nell’ambito della Strategia Europa 2020, lo
sport ha la dovuta considerazione.22 Comunque, al di là di programmi ed interventi, desidero
ribadire la necessità del coinvolgimento dei giovani. Alla base della strategia citata vige il
principio del dialogo strutturato23: le questioni che interessano i giovani sono discusse con
loro, come le soluzioni che devono essere trovate e la salute è ovviamente uno degli argo-
menti da discutere con i giovani.
20
Gioventù in Azione è un programma della Commissione Europea - Direzione Generale Istruzione e Cultura che promuove l'educazione non formale, i progetti europei di mobilità giovanile internazionale di gruppo e individuale attraverso gli scambi e le
attività di volontariato all'estero, l'apprendimento interculturale e le iniziative dei giovani di età compresa tra i 13 e i 30 anni.
In Italia è attuato dalla Agenzia Nazionale per i Giovani.
21
Il trattato di Lisbona è entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Il nuovo trattato dota l’Unione del quadro giuridico e degli strumenti necessari per far fronte alle sfide del futuro e rispondere in modo più efficace alle aspettative dei cittadini. Inoltre apre
la strada ad una vera dimensione europea nello sport. Nuove disposizioni consentono all’UE di sostenere, coordinare ed integrare le azioni degli Stati membri, promuovendo la neutralità e la trasparenza nelle competizioni sportive, nonché la cooperazione tra organismi sportivi. Viene inoltre tutelata l'integrità fisica e morale degli atleti, in particolare dei giovani.
22
Nel giugno 2010 il Consiglio europeo ha approvato Europa 2020, il programma di riforma che si propone di aiutare l’Europa a uscire dalla crisi e a rafforzarsi mediante una strategia globale e coordinata per una crescita intelligente, inclusiva e
sostenibile. L’istruzione e la formazione sono l’essenza della strategia Europa 2020. Gli interventi saranno attuati con il
nuovo Programma “Erasmus Per Tutti”. Riguardo allo sport, considerato che lo stesso Consiglio ha evidenziato le seguenti criticità: insufficiente attività fisica e sportiva a tutti i livelli di istruzione e mancanza di riconoscimento dell’attività volontaria nello sport; il doping come grave minaccia all’equità nelle competizioni sportive; scarsa attenzione al valore sociale dello
sport rispetto ai suoi aspetti commerciali; minaccia delle pressioni commerciali allo spirito autentico dello sport basato sul
“fair play”, il Programma persegue i seguenti obiettivi specifici: contrastare le minacce transnazionali che incombono sullo
sport come il doping, le partite truccate, la violenza, il razzismo e l’intolleranza; sostenere la buona governance nello sport
e la duplice carriera degli atleti; promuovere l’inclusione sociale, le pari opportunità e l’attività fisica a vantaggio della salute aumentando la partecipazione alle attività sportive.
23
Vedi nota 2.
32
APPROFONDIMENTI
SULLE TEMATICHE
La Conferenza, da un punto di vista scientifico, è stata introdotta dalle relazioni di tre esperti
che hanno consentito di tracciare le linee direttrici su cui le sessioni di approfondimento
hanno lavorato. I tre interventi, svolti nella sessione Plenaria iniziale, hanno consentito di
analizzare alcuni fenomeni, il disagio giovanile, l’epidemiologia delle malattie sessualmente
trasmissibili e le abitudini alimentari in chiave Europea.
Questi tre temi, apparentemente slegati, vedono invece un filo conduttore che li unisce e che
solo negli effetti incidono sulla salute fisica delle nuove generazioni.
Come più volte sottolineato dall’opinione pubblica ma anche dalla Comunità Scientifica, i fattori determinanti che mettono a rischio la salute dei giovani hanno origini diverse e molto difficili da comprendere.
Se partiamo dalla suggestiva lettura delle condotte a rischio che ritualizzano nei giovani il
passaggio all’età adulta e approfondiamo il significato che alcuni di questi comportamenti
hanno, non possiamo trascurare il fatto che, spesso, questi rappresentano la manifestazione di una crisi in parte fisiologica in parte no su cui è importante intervenire.
In più potremmo proseguire in quest’ottica se riflettiamo sul fatto che molti giovani hanno
rapporti sessuali occasionali spesso non protetti, quando sono sotto l’effetto di sostanze alcoliche o di stupefacenti. Oppure, tali rapporti, vengono intrapresi da ragazzi giovanissimi
non ancora pronti a comprendere le conseguenze degli atti e dalle condotte che assumono.
È stato importante avere un quadro chiaro sulla situazione Europea e non solo, per poter definire meglio gli ambiti di intervento, la tipologia di informazioni su cui lavorare, le modalità
con cui trasmettere conoscenza per definire in modo coerente, le azioni da intraprendere nel
futuro.
Gli stessi presupposti sono alla base dell’educazione alimentare e sulle conseguenze che un
mangiare non corretto provoca sui giovani e sugli adulti. Spesso, infatti, il rapporto con il cibo
è un indicatore di diversi fattori che consentono di valutare e quindi intervenire, su problematicità, inadeguatezze o abitudini sbagliate prima che le stesse originino una patologia.
Patologie fisiche, obesità, malattie cardiovascolari, diabete, ma anche psicologiche, inadeguatezza, compulsività, depressione.
Queste, in sintesi, le basi delle relazioni che sono state oggetto di approfondimento nelle
specifiche sessioni.
35
David LE BRETON24
Approccio antropologico delle condotte a rischio
Prima di tutto vorrei esprimere il mio ringraziamento agli organizzatori per questo invito, per
guadagnare tempo parlerò in italiano ma devo leggere il mio testo.
Le condotte a rischio sono in primo luogo dolorosi tentativi di ritualizzare il passaggio all’età
adulta, ricerca di limiti di senso, ma i dati insufficientemente stabiliti, forme di resistenza
contro la violenza originata dalla famiglia. Ad esempio, mancanza di amore, rifiuto, indiffe-
renza, scarsa disponibilità, conflitti, maltrattamenti, abusi sessuali, violenza fisica oppure, al
contrario, protezione eccessiva, indifferenza.
La struttura del legame sociale amplia questa sofferenza attraverso la competizione gene-
ralizzata, la precarietà, l’esclusione, ecc. Ma ci sono anche famiglie amorevoli in cui una
adolescente sta male senza che si sappia ciò che è successo, talvolta ci sono stati abusi
sessuali che il giovane non può rivelare a causa della vergogna che prova. Ma talvolta ci
sono anche delle famiglie disintegrate dove ci sono ragazzi che sono modelli dell’amore per
la vita. Nella comprensione di questi comportamenti a rischio c’è anche una parte di mi-
stero, ma i parenti hanno un’importanza essenziale nella costruzione del gusto di vivere e nel
raggiungimento del senso della vita per i giovani.
Le condotte a rischio testimoniano una patologia del tempo, della impossibilità di attraversare
il passaggio come si manifesta in maniera evidente nelle condotte adattive o semplicemente
nelle ripetizioni del mettersi a rischio, nell’imprigionamento in un tempo circolare. Ma allo
stesso tempo testimoniano il tentativo di tirarsene fuori, di guadagnare tempo per non morire,
per continuare ancora a vivere. Il tempo è il primo rimedio delle sofferenze degli adolescenti.
Nelle ragazze le condotte a rischio assumono forme discrete, silenziose, corporee, come i
disturbi alimentari, tentativi di suicidio, scarificazione, la mente le somatizza. Mentre i ra-
gazzi rientrano nel campo dell’agire e implicano un confronto con il mondo spesso sotto lo
sguardo dei coetanei, sfide, delinquenza, violenza, eccesso di velocità alla guida, tossico-
mania, alcolismo, ecc. Le condotte a rischio toccano giovani di ogni ceto sociale, sebbene
il loro comportamento sia in funzione anche della condizione sociale.
La sofferenza di un adolescente è un abisso, non è commensurabile con quella di un adulto
che dispone di esperienza sufficiente a relativizzare le prove attraversate, sapendo che il
tempo ne smorzerà l’acutezza. Le sue sensazioni le sente a fior di pelle e le sue reazioni
sono senza mezze misure, senza distacco, un conflitto con i genitori o con gli amici, una rot-
tura amorosa, una delusione, hanno per lui il peso di un dramma senza rimedio.
Conosciamo la futilità spesso evocata dagli adulti, motivi che portano anche ad un tentativo
di suicidio, forme di adultocentrismo che non permettono di capire la soggettività del ra24
Docente di Antropologia e Sociologia Università “Marc Bloch, Strasburgo.
37
gazzo. Delle figure antropologiche si incrociano nelle condotte a rischio, esse non si esclu-
dono le une con le altre, ma si intrecciano. Le abbiamo a lungo descritte in particolare nel mio
libro: “Adolescence et entrée dans la vie”. Ad esempio, l’ordalia, è un modo per giocarsi il
tutto per tutto e buttarsi in una prova personale per testare una legittimità a vivere che il ra-
gazzo ancora non sente, poiché il legame sociale è importante per fornirgliela, egli interroga
simbolicamente la morte a garantire la sua esistenza per il fatto stesso di sopravvivere.
Tutte le condotte a rischio dei ragazzi hanno una tonalità ordalica, l’esporsi al pericolo mira
ad espellere l’intollerabile per trovare acquietamento, scampare alla morte può indurre il ri-
torno ad una vita più felice; sopravvivere ridefinisce radicalmente il senso dell’esistenza, se
il radicamento nell’esistenza non è fondato su un sufficiente gusto di vivere, non resta che
provarne il senso mettendosi a rischio o in situazioni difficili per trovare infine i limiti che
mancano e, soprattutto, mettere alla prova la legittimità personale.
C’è un’altra logica antropologica, il sacrificio gioca la parte per il tutto, il ragazzo sacrifica una
parte di sé per salvare l’essenziale; così l’escarificazione, o forme diverse di condotte additive
come la tossicodipendenza, l’anoressia, ecc. si tratta di farsi male per avere meno male.
Un’altra figura antropologica è quella che ho chiamato del “biancore”, è la cancellazione di sé
nella scomparsa delle costrizioni di identità, la volontà di non essere più se stessi, essere nessuno, lo si ritrova in particolare nel vagabondo, l’adesione a sette o la ricerca dello sbraca-
mento attraverso l’alcol, la droga o altre sostanze, ricerca del /come/ e non più di sensazioni.
La ritroviamo anche nei giochi di /simulazione/ che si diffondono oggi.
Le condotte a rischio sono riti infimi di contrabbando, volti a fabbricare senso per poter conti-
nuare a vivere, contrassegnando l’alterazione del gusto di vivere di una parte della gioventù
contemporanea. Il sentimento di essere davanti ad un muro invalicabile, un presente che non
finisce mai, le condotte a rischio sono tentativi di strapparsi all’impotenza e a divenire di nuovo
attori della propria esistenza, sia pure pagandone il prezzo, è la logica del sacrificio.
Atto di passaggio più spesso che passaggio all’atto, le condotte a rischio sono la ricerca di un
punto di arresto nel farsi male, nello scorticarsi, nello sbattere contro gli ostacoli del reale pro-
vandone il contraccolpo della tossicomania, dell’alcolismo o dell’anoressia, della bulimia, ecc.
Si tratta di fabbricare un dolore che argini provvisoriamente la sofferenza, un dolore delibe-
rato e, dunque, controllabile, si oppone ad una sofferenza incontrollabile che tutto divora al
suo passaggio, all’incertezza delle relazioni l’individuo preferisce il rapporto regolare con un
oggetto che orienta totalmente la sua esistenza, ma che egli ha la sensazione di dominare
a volontà ed eternamente.
Da qui le relazioni di impossessamento del giovane verso certi oggetti, droga, alcol, cibo, fe-
rite deliberate, grazie ai quali egli decide a modo suo degli stati del proprio corpo anche a
costo di trasformare il suo entourage in mera utilità e di non investire niente altro. Alla inconsistenza vita del sé e del mondo egli oppone la concretezza del corpo, le relazioni di im-
possessamento sono una forma di controllo esercitato sulla vita quotidiana di fronte alla
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turbolenza del mondo.
Il giovane riproduce continuamente una relazione particolare con un oggetto, una sensazione che gli procura finalmente, sia pure per un istante, l’impressione di appartenersi ed es-
sere ancorato nel mondo.
Le condotte a rischio sono riti personali, sono riti privati di passaggio, non internano più la
scansione ritualizzata del passaggio dall’adolescenza all’età adulta, ma piuttosto segnalano
il possibile accesso ad una significazione finalmente sfiorata. Questi giovani tentano di rivelarsi attraverso /un’avversità/ creata di sana pianta, una necessità interiore di dominio. Se
l’esito è favorevole, questo approccio simbolico o reale alla morte genera la forza per una
metamorfosi personale che ricostituisce il gusto di vivere, almeno per un po’.
In maniera estrema, di fabbricare senso e valore le condotte a rischio testimoniano della re-
sistenza attiva del giovane e dei suoi tentativi di rimettersi al mondo, il sollievo è provviso-
rio e bisogna riprodurre l’atto per respingere ancora la disperazione a volte anche in forma
di dipendenza per reggere all’urto malgrado tutto.
Le condotte a rischio sono un modo radicale di estrarsi da una sofferenza, di forzare il pas-
saggio per accedere ad un altro sentimento di sé; tentativi di spogliarsi della morte che si
incolla alla pelle nell’affrontare i simboli della la morte e non del dono.
Il giovane sembra non avere più presa sulle situazioni ma, in effetti, si batte, cerca di estir-
parsi dalle sofferenze, con mezzi che senza dubbio non sono i migliori agli occhi degli altri,
risparmiati loro dalle circostanze.
Queste condotte sul filo del rasoio sono il tentativo paradossale di riprendere il controllo, di
decidere di se stessi a qualunque prezzo. Lo shock suscitato nel reale da tali comporta-
menti è una ricerca di limiti che permettono di toccare il fondo non per schiantarsi, ma per
trovare un punto di appoggio al fine di tornare al mondo.
I comportamenti a rischio sono antropologie e non patologie, all’epoca della giovinezza i
momenti di sofferenza non sono comparabili a quelli dell’età adulta, gli stessi sintomi a quindici anni o a quarant’anni non hanno né lo stesso statuto, né la stessa prognosi; l’adole-
scenza è un tempo di obsolescenza del sentimento di identità, di rimaneggiamento finché
un centro di gravità non si stabilizza. La risoluzione delle tensioni è rapida e talvolta inattesa,
oppure richiede tempo, ma trova un esito favorevole. È sorprendente, allora, la capacità di
ripresa, le modalità di sentire di un adolescente non hanno la gravità di quelle di un adulto.
La fissazione nosografica può essere gravida di conseguenze, rischia di trasformare in essenza ciò che è destinato a sparire se non gli si presta un’attenzione troppo grave. Gli ado-
lescenti sono ancora in un passaggio pieno di virtualità con un sentimento di identità labile,
il ricorso a forme di resistenza che sembrano radicali non è ancora una promessa di pato-
logia, ma una forma di aggiustamento personale in una situazione di minaccia.
Nella stragrande maggioranza dei casi, le condotte a rischio non durano che un momento e vengono abbandonate nel corso del tempo; viceversa, è importante non trascurare un comporta-
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mento che potrebbe ipotecare l’avvenire. Per una minoranza di giovani, il tempo gioca contro
e la presa in carico è necessaria perché non si distruggano più. Il medico deve soppesare in
modo particolare le conseguenze delle sue decisioni nei riguardi dell’adolescente.
Nella stragrande maggioranza dei casi le condotte a rischio riguardano adolescenti normali che
non soffrono di alcuna patologia nel senso psichiatrico del termine, ma di ferite reali o immagi-
narie della loro esistenza. Le condotte a rischio sono un rimedio antropologico per opporsi alla
sofferenza e difendersene, le circostanze non lasciano scelta sui mezzi per uscirne.
Ma soprattutto le condotte a rischio costituiscono, allo stesso tempo ,una resistenza contro una
violenza sorda che si situa a monte, in una configurazione famigliare o sociale, esse scongiu-
rano una catastrofe di senso, ne assorbono gli effetti distruttivi cercando di riprenderla in mano.
Il comportamento si rivolge contro l’effetto doloroso opponendogli il suo punto di arresto, piut-
tosto che ridurlo ad un’eventuale nosografia che taglia netto tra il normale e il patologico. Ciò
che conta è di interrogarsi sul significato e capire cosa accade, benché mettano in pericolo la
vita, tali comportamenti permettono almeno di mantenere la testa fuori dell’acqua.
Le condotte a rischio non dipendono da una volontà di morire, non sono una forma malde-
stra di suicidio, ma una scappatoia simbolica per assicurarsi del valore della propria esi-
stenza per rigettare la paura della propria personale insignificanza. Lungi dall’essere fondate
sulla distruzione di sé, sono ricerche identitarie, appelli alla vita a dispetto delle sofferenze
che portano con sé possiedono un versante positivo, malgrado tutto, favorendo l’assun-
zione di autonomia da parte del giovane e la ricerca di ciò che la contrassegna.
Tuttavia, non sono meno dolorose nelle loro conseguenze, attraverso le dipendenze, le fe-
rite o la morte che comportano, possono minare le possibilità dell’individuo, in particolare
tagliandolo fuori dalla scolarità, ma la sofferenza è a monte perpetuata da un intreccio complesso fra una data società, una data famiglia e una storia di vita.
Queste condotte mostrano una volontà di battersi per riuscire, alla fine ad esistere. Nel corso
del tempo il giovane addomestica il suo male di vivere, elabora un’identità favorevole, la tur-
bolenza vissuta diviene allora una risorsa per vivere con la consapevolezza che l’esistenza
è un privilegio, il consolidamento di sé porta ad una stabilità di rapporto con il mondo, ad
una pacificazione interiore e la soddisfazione di essere se stessi. Il giovane ripensa, allora,
alle turbolenze vissute chiedendosi come abbia potuto passarci e malgrado tutto, uscirne.
Da qui la dimensione talvolta iniziatica delle condotte a rischio, la presa di coscienza del-
l’infinita fragilità dell’esistenza e, contemporaneamente, l’acquisizione della propria storia
personale come una opportunità che avrebbe potuto non esserci.
Non ho il tempo di parlare della necessità della prevenzione, dell’accompagnamento, del so-
stegno richiesti per proteggere i giovani, se i comportamenti a rischio non sono tentativi di
suicidio, ma di vivere, è chiaro che hanno bisogno degli adulti, di professionisti, di politiche
che gli diano la voglia di crescere e raggiungere il legame sociale come attori della loro vita.
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Marco CUSINI25
Epidemiologia delle infezioni sessualmente trasmissibili:
I Dati Europei
Mi trovo in questa sede in veste di rappresentante della IUSTI, International Union against
Sexually Transmitted Infections, e grazie al supporto di Keith Radcliffe, che di tale organizzazione è il Direttore Regionale.
Sono un dermatologo italiano ed esercito presso il reparto di Dermatologia dell’Ospe-
dale Maggiore di Milano. Per ragioni storiche e culturali, i dermatologi affrontano quotidianamente la gestione delle malattie sessualmente trasmissibili e, con l’eccezione del
Regno Unito, la trattazione di queste forme infettive rientra negli studi di dermatologia.
La IUSTI, fondata al principio del Ventesimo secolo, è la più antica organizzazione dedi-
cata alle infezioni a trasmissione sessuale. Tale organizzazione, di cui è disponibile il sito
Internet, opera nella ricerca scientifica, ma è ugualmente interessata all’educazione e alle
questioni sociali correlate alle infezioni sessualmente trasmesse. Questo è forse il motivo
che ha indotto l’associazione ad allestire il prossimo congresso a Tbilisi, in Georgia: ci
stiamo dirigendo verso l’Europa orientale, regione particolarmente a rischio e in cui la
IUSTI sta operando per diffondere linee guida e materiale educazionale, sin dai tempi
della caduta del Comunismo.
La varietà di infezioni sessualmente trasmissibili è molto ampia: si va dalla sifilide batterica, la più famosa e storicamente più importante, al linfogranuloma venereo, alla vaginosi
batterica, alle infezioni virali, come l’HSV, l’HPV e naturalmente l’HIV, alle infezioni fungine,
parassitarie e protozoarie. Data questa varietà, si è legittimamente indotti a chiedersi che
cosa s’intenda precisamente per infezione a trasmissione sessuale.
Un’infezione sessualmente trasmessa è tale quando viene acquisita attraverso l’attività
sessuale? Se così fosse, rientrerebbero in questa definizione molte altre forme infettive
oltre a quelle già citate. Un’infezione sessualmente trasmessa è tale quando viene acquisita prevalentemente per via sessuale? Se così fosse, questa definizione e la precedente verrebbero a confondersi e in questa categoria dovrebbe rientrare anche l’epatite
A a trasmissione sessuale, per esempio, di cui si rammentano i recenti episodi epidemici
registrati a Roma nei primi mesi del 2010. In realtà, l’epatite A non è propriamente un’in-
fezione a trasmissione sessuale, ma può diventarlo.
Anche per gli agenti che si trasmettono per contatto sessuale e alle loro dimensioni, la
gamma è ampia e diversificata: gli spermatozoi non sono da considerarsi degli agenti infettivi a trasmissione sessuale, benché vengano trasmessi proprio per contatto sessuale;
i profilattici, peraltro, furono originariamente concepiti proprio con l’intento di prevenire
25
Medico Dermatologo, rappresentante dell’ Unione Internazionale contro le infezioni sessualmente trasmesse, Londra
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il passaggio degli spermatozoi e contrastano il transito anche del virus dell’HIV. È chiaro,
però, che la differenza di dimensioni tra spermatozoi e virus dell’HIV è notevole. Un’altra
perplessità deriva dalla definizione di trasmissione sessuale: che cosa s’intende per contatto sessuale? In una celebre pubblicazione risalente al 1999 venivano forniti i risultati
di un questionario somministrato a studenti di un’università Americana del Midwest, di
razza bianca, protestanti e molto “americani”. In questo questionario si chiedeva: “Dire-
sti di aver fatto del sesso se il massimo a cui sei arrivato è stato …?” Baciarsi profondamente è stato considerato contatto sessuale dall’1,4%!
Un altro dato interessante emerso da questo studio è che quasi il 60% degli intervistati
concordava con il presidente Clinton, che affermava di non aver fatto sesso con Monica
Lewinsky: solo per il 40%, infatti, il sesso orale era considerato sesso!
Facciamo un piccolo gioco. Basiamoci su un dato del 2003, secondo cui in Italia si è registrato quasi mezzo milione di nascite, una nascita al minuto. Se si considera che per
ogni nascita occorrono mediamente 10.000 contatti sessuali, della durata di quasi dieci
minuti ciascuno, si può affermare che in questo momento 200.000 italiani stanno facendo
sesso, nessuno in questa stanza, direi…
Questo sta a significare che il rischio di STI, infezioni a trasmissione sessuale, è molto ele-
vato, ancora maggiore in popolazioni altamente promiscue. La gravità di tali infezioni è
strettamente connessa alle complicanze che coinvolgono l’apparato riproduttivo, le gra-
vidanze ectopiche, gli aborti e la trasmissione al neonato: sifilide, gonorrea e AIDS possono trasmettersi al nuovo nato e indurre l’insorgenza di forme tumorali, così come il
virus del papilloma umano.
Sulla base dei dati epidemiologici disponibili riferiti all’Europa, si può affermare che negli
ultimi 10 anni si è osservato un incremento netto dei casi di sifilide in tutte le fasce d’età,
prevalentemente nella popolazione maschile omosessuale.
Vi mostro ora alcuni dati preliminari di un’indagine condotta dall’European Network for
Sexually Transmitted Infection, con sede a Stoccolma, sull’incidenza di infezioni da gonorrea in 13 nazioni europee nel periodo compreso tra il 2000 e il 2008. Sembra che la
gonorrea abbia subito un calo d’incidenza o che l’incidenza si sia quasi stabilizzata.
Altre stime riguardano le infezioni da Chlamydia, in cui i dati sono estremamente etero-
genei tra le diverse nazioni esaminate: alcune, infatti, praticano uno screening molto efficiente, che altre invece trascurano.
Secondo i dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità riguardanti una popolazione gene-
rale di circa 50.000 soggetti affetti da STI, quasi il 9% risultava positivo all’HIV. La noti-
zia ancora peggiore è che solo il 58% di questi 50.000 soggetti si era sottoposto al test
dell’HIV. Le infezioni più strettamente correlate con l’HIV sembrano essere le verruche
genitali e la sifilide, ma non la Chlamydia.
Da quanto discusso, si può dedurre che la popolazione maggiormente vulnerabile alle
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malattie sessualmente trasmesse è rappresentata da chi pratica sesso a rischio.
Quali sono le cause di questa vulnerabilità? Si possono indicare cause biologiche e socio-
culturali. Tra le prime citiamo il tipo di STI (alcune STI si trasmettono più facilmente di
altre), il genere (le donne sono a maggior rischio per alcune forme di STI), lo stato immunitario, la resistenza ai farmaci e l’età. Tra le cause socio-culturali rientra il genere (per-
ché essere donna espone a situazioni diverse nelle diverse nazioni di appartenenza), il
credo religioso, lo stato economico, le guerre in corso…
Soffermandoci sull’età, gli adolescenti hanno particolarmente bisogno di essere aiutati e
indirizzati. Quali sono gli elementi principali correlati all’età adolescenziale che espon-
gono al rischio di contrarre STI? L’età del primo rapporto sessuale può influenzare l’epidemiologia delle STI. Dall’indagine svedese illustrata poc’anzi si è appreso che le infezioni
da Chlamydia sono frequenti nei giovani di ambedue i sessi, che la suscettibilità al virus
del papilloma umano insorge in età precoce e che l’infezione può persistere per un tempo
prolungato: il vaccino contro l’HPV rappresenta un passo avanti importantissimo. Sembra che la prevalenza di sifilide e di herpes genitale aumenti con l’età.
In un’indagine statunitense è emerso che quasi il 30% dei ragazzi di età compresa tra 15 e
19 anni ha più di un partner sessuale. Secondo i dati provenienti dall’Istituto Superiore di Sa-
nità in soggetti di età inferiore ai 20 anni, le infezioni a trasmissione sessuale prevalenti sono
risultate le verruche genitali e il virus del papilloma umano. Il numero di soggetti sottopostosi
al test per l’HIV era inferiore al 60%: di questi, il 5,10% è risultato positivo. Secondo l’inda-
gine svedese precedentemente citata, la Chlamydia risulta essere l’infezione a maggiore
prevalenza nella popolazione di età inferiore ai 25 anni, insieme alla gonorrea e alla sifilide.
Anche secondo i dati forniti dal mio centro di Milano, nella popolazione di età inferiore ai 24
anni la gonorrea rappresenta l’infezione a trasmissione sessuale di gran lunga più prevalente rispetto a quanto osservato nella popolazione adulta.
Una delle conclusioni tratte dall’osservazione delle nostre pazienti è che le donne giovani vi-
sitano il centro per l’STI con maggiore frequenza delle donne adulte. La gonorrea ha la pre-
valenza maggiore e le pazienti acconsentono senza esitazioni a sottoporsi al test dell’HIV.
Riccardo GAROSCI26
I programmi di Educazione Alimentare nelle scuole italiane
Queste tre giornate sono state di grande approfondimento su temi fortemente attuali che
coinvolgono sia le istituzioni nazionali che quelle comunitarie, che ben conosco avendo la-
vorato cinque anni al Parlamento Europeo e altri cinque in Commissione Europea.
26
Consigliere del Ministro dell’Istruzione
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I programmi a cui M.me Lange e M. Lejeune hanno fatto riferimento sono continuativi, cen-
tralizzati e sempre più dimostrano l’attenzione, la volontà dell’Unione Europea di interessarsi, dare spazio a questi argomenti, soprattutto coinvolgendo chi di questi argomenti ne
è protagonista, i giovani, le istituzioni italiane, non da meno, il Presidente del Consiglio, il Di-
partimento per la gioventù, il Ministero della Salute, quello delle Pari Opportunità, quello
degli Esteri e, consentiteci anche il nostro dell’Istruzione, che hanno sostenuto questo programma al quale dobbiamo dedicare sempre più attenzione.
Il Ministero dell’Istruzione ha voluto attivare con il prossimo anno scolastico, un programma
centralizzato di educazione scolastica alimentare, terminato dopo un anno di progetto pilota
tenuto in tre regioni d’Italia, Lazio, Lombardia, Sicilia; dal prossimo mese di settembre tutte
le classi quarte e quinte della scuola primaria inizieranno a studiare l’educazione alimentare
come materia scolastica. Sarà una materia interdisciplinare, non sarà un libro in più da ag-
giungere allo zaino dei nostri ragazzi, ma all’interno delle singole materie, scienze, storia,
geografia, ma anche lingue straniere, italiano, di volta in volta i ragazzi apprenderanno cosa
è il grande scenario dell’alimentazione.
È bene che i nostri giovani sappiano fin da bambini che nel mondo ci sono oltre un miliardo
di persone in condizioni di sovrappeso o di obesità. La cosa incredibile è che purtroppo ci
sono anche circa un miliardo di persone che vivono nelle condizioni esattamente opposte.
Considerando che anche nell’area occidentale, all’interno dell’Unione Europea questo pro-
cesso ogni anno va a crescere con numeri sempre più preoccupanti, il Governo italiano, con
determinatezza ha voluto affrontare il problema all’origine, puntando sulla prevenzione e
quindi sull’educazione alimentare.
D’altra parte, alimentazione vuol dire ambiente, energia, salute, attività motoria, dunque
sport e mille altre cose, non ultima (lo dico da italiano) la gioia del cibo, che deve stare al-
l’interno di un percorso di conoscenza in vista della nostra salute e sociale, per informarci
su quelli che sono i diritti e i doveri nei confronti della collettività di cui ogni singolo fa parte.
Tornando indietro con la mente a quando eravamo ragazzi, nella formazione di squadre di cal-
cio per i maschi, di pallavolo per le ragazze, il ragazzo che era in condizioni fisiche differenti,
troppo alto, troppo basso, troppo magro, troppo grasso, viveva già i suoi primi conflitti e la condizione sfavorevole il più delle volte era conseguenza di una cattiva alimentazione.
Dalla scuola elementare, da dove partirà, ogni anno il programma verrà inserito in un nuovo or-
dine scolastico fino ad arrivare al mondo universitario ed arrivare a comprendere tutta una ge-
nerazione. In tal modo, da qui a cinque anni nelle scuole italiane sarà completato un percorso
di educazione scolastica alimentare, un programma sostanzialmente nuovo ed innovativo.
Inoltre, attraverso l’imput dei programmi comunitari, si stanno sviluppando in vari Paesi
Membri progetti che riguardano la sana alimentazione: cito su tutti il programma francese
“MangerBouger”, che correttamente abbina l’informazione alimentare, a quella sull’impor-
tanza dell’attività motoria perché mangiare e muoversi viaggiano sempre insieme.
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Il programma italiano - consentiteci un minimo di pubblicità - è qualcosa di più in quanto destinato a durare nel tempo, sviluppando una vera e propria conoscenza della corretta ali-
mentazione; gettando le basi fin da piccoli, i ragazzi cresceranno con questa sensibilità e
saranno in grado di correggere eventuali errori fatti a volte anche tramite la famiglia.
Il docente, il professore, l’insegnante avranno un ruolo fondamentale in questo percorso,
sarà tramite loro che il ragazzo tornerà a casa e comunicherà alla famiglia le conoscenze ne-
cessarie per migliorare il programma alimentare di tutto il gruppo famigliare.
È stato bello ascoltare dalla viva voce dei genitori il ritorno che ha avuto il progetto nel primo
anno di vita. Questo è quello che ripetono i bambini quando tornano a casa: “Papà non la-
sciare l’acqua della doccia aperta per andare al telefono perché si spreca, l’acqua è un bene
prezioso…. Mamma, Nonna, Zia non farmi tre etti di pastasciutta, basta un etto con un buon
sugo di prodotti stagionali e del territorio”.
Questi sono i risultati della prima sperimentazione. Lo dico con un certo senso di orgoglio,
perché è esattamente questo l’obiettivo che volevamo.
In un percorso globale interministeriale, quindi insieme alla salute, alle politiche agricole, le politiche giovanili, le pari opportunità, l’ambiente, si sta avviando una piccola grande rivoluzione.
Chiuderei con questo spirito. Tutto il mondo ha davanti una grande opportunità temporale,
si chiama Expo 2015, che si terrà a Milano, dunque coinvolgerà tutto il Sistema Italia. L’Expo
ha scelto non a caso come tema l’alimentazione e per i prossimi cinque anni tutto il mondo
si occuperà in modo continuativo e approfondito di questa importante tematica. Per noi è
un’occasione unica, da cogliere immediatamente e per raccontare l’educazione alimentare
per quello che rappresenta compresi i collegamenti con altri settori strategici, come ad
esempio il turismo, l’ambiente, le risorse, l’energia.
Oggi mediamente in Italia buttiamo via quasi il 40% di quello che compriamo di prodotti ali-
mentari, è una media nazionale, ovviamente tra il singolo cittadino e la catena di ristoranti.
Però è troppo. Così come produciamo 600 kg di rifiuti a persona, di cui oltre la metà sono
da imballaggi alimentari….. prima o poi il Pianeta (ahimè! già lo sta facendo) presenterà il
conto di questa cattiva educazione.
Abbiamo fatto qualche errore in passato. Il nostro impegno adesso è prendere per mano i
ragazzi ed accompagnarli nell’età in cui sono ancora disponibili ad ascoltare, imparare a
fare proprie queste correzioni e tramite loro arrivare alle famiglie.
Sono piccoli passi di un grande cambiamento, una piccola grande rivoluzione che, se ci
permettete, desideriamo consegnare con affetto a tutti voi ragazzi europei, a chi vi ha con-
dotto fin qui. Si tratta di un passaggio che sembra lungo e difficile, certamente lo è, ma con
piccoli passi ogni giorno si possono cambiare grandi cose.
L’attuale società, l’attuale sistema e le negative conseguenze di una pessima o parziale edu-
cazione alimentare non devono più resistere ed esistere su questo pianeta.
Guardiamo ai ragazzi perché è a loro che consegniamo questo programma.
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LE SESSIONI PARALLELE:
ESPERIENZE A CONFRONTO
Le tracce emerse nella Plenaria hanno visto un confronto importante e competente di
esperti nazionali e internazionali su quanto focalizzato il primo giorno.
Lo scopo delle Sessioni di approfondimento è stato quello di mettere a confronto diverse
esperienze, differenti teorie e numerose buone prassi, per conoscere, far comprendere ed
approfondire lo stato dell’arte di quanto in essere nell’ambito dei temi affrontati.
Ciò ha consentito, a giovani ed esperti, operatori del settore e non, italiani e stranieri, di arric-
chire il proprio bagaglio di conoscenza professionale e sociale in modo rilevante e completo,
andando ad indagare problematiche specifiche all’interno di contesti più ampi ed ambiti di-
versi. Le problematiche, quindi, non soltanto nel momento in cui si manifestano ma, in particolar
modo quando ancora sono latenti, sono state sviscerate ed approfondite per consentire
un’azione efficace di prevenzione ma, ancora di più, di educazione.
Nelle sessioni, come era prevedibile, si è molto insistito sulla qualità e la tipologia dei
rapporti familiari, sul ruolo che sia i genitori sia gli adulti in genere, assumono nei confronti
dei giovani, andando ad indagare sulle cause che determinano alcuni squilibri e com-
portamenti nel convincimento del fatto che, per poter svolgere interventi primari e lavorare su minori non ancora a rischio, diventa fondamentale agire sulle famiglie e sulle
dinamiche in esse presenti.
Seguendo gli esperti e le loro analisi, è stato possibile conoscere metodologie e programmi differenti esplicitati attraverso progetti altrettanto diversi e, nello stesso tempo,
apprendere le buone prassi realizzate nelle diverse realtà territoriali e sociali con il fine di
valutarne efficacia, strategia, ambito di intervento.
Questo confronto è stato, infine, arricchito dalla partecipazione di numerosi giovani rap-
presentati dei Forum Nazionali che hanno preso parte alle sessioni raccontando, non sol-
tanto quanto realizzato nel proprio paese sul tema affrontato dal gruppo di lavoro, ma
anche esperienze personali su cui è stato importante riflettere per comprendere meglio
le diverse problematicità.
Le tematiche, una per ogni Sessione, su cui questo confronto si è indirizzato sono state:
1. Educazione sessuale ed epidemiologia delle infezioni sessualmente trasmissibili.
2. I Disturbi del Comportamento Alimentare ed i differenti approcci nella cura e nella
prevenzione.
3. Educazione alimentare, attività fisica e stili di vita salutari.
4. Comunicazione e campagne istituzionali negli Stati Membri sulla salute ed il benessere dei giovani.
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Educazione sessuale
ed epidemiologia delle infezioni
sessualmente trasmissibili
L’espressione infezioni sessualmente trasmissibili (IST) raggruppa le malattie trasmesse du-
rante l’atto e il contatto sessuale e, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, que-
sta definizione è preferibile a quella usata in precedenza (malattie sessualmente trasmissibili)
in quanto sottolinea il frequente decorso asintomatico di queste infezioni che, altrimenti, nei
casi conclamati si manifestano con sintomi acuti o come forme croniche. Particolarmente
rilevanti sono poi le conseguenze tardive ad esse associate come l’infertilità, le gravidanze
ectopiche, il cancro della cervice uterina, le stenosi uretrali, in rari casi, il coinvolgimento a
breve o lungo termine di altri apparati (ossa, cuore, sistema nervoso) e la mortalità precoce
in età infantile o giovanile. La diagnosi di IST è più problematica durante l'adolescenza per-
ché la malattia può essere asintomatica. Inoltre, lo stigma sociale e la difficoltà di accesso
a servizi di trattamento possono incidere negativamente sull'attitudine al controllo da parte
degli adolescenti.
Dei 333 milioni di nuovi casi stimati ogni anno, almeno 111 interessano giovani sotto i 25 anni
di età (*). La carenza di conoscenze rende i ragazzi molto più esposti al rischio di infezioni
sessualmente trasmissibili che, in Europa, rappresentano le forme infettive più diffuse dopo
quelle respiratorie. L’epidemiologia delle IST differisce tra le Regioni occidentali (meno inci-
denza) e quelle orientali insieme all’Asia centrale (spiccato aumento con livelli epidemici). Ciò
nonostante, relativamente all’Europa, un dato preoccupante è stato l’aumento dei casi di si-
filide, ,inoltre, le epidemie di IST nelle zone dell’est europeo sono potenzialmente un problema che riguarda l’intera Europa.
Quasi tutti gli Stati Membri hanno un sistema di sorveglianza sulle IST; più del 90% ha cli-
niche specializzate, ma solo il 60% ha linee guida per la gestione e il trattamento. Nel 56%
dei Paesi, i servizi relativi alle infezioni sessualmente trasmissibili fanno parte delle cure primarie e solo il 30% dei Paesi ha un programma nazionale strutturato di controllo e tratta-
mento (*).
Da recenti studi risulta che i fattori implicati nella diffusione delle IST nei paesi occidentali
sono probabilmente molti e di diversa natura. Tra essi: le carenze educative ed errori di tipo
comportamentale (maggior ricorso a pratiche sessuali a rischio e ad un minor uso del pro-
filattico tra persone con frequenti rapporti occasionali, anche con infezione da HIV già nota);
una certa difficoltà a ricorrere alle strutture che offrono servizi di prevenzione e diagnosi; un
significativo calo della percezione del rischio di infezione.
Strettamente connesso al tema delle IST, vi è quello di una corretta educazione sessuale,
dato che quella sessuale è una delle principali vie di trasmissione delle infezioni in Europa,
ed obiettivo fondamentale è che nelle iniziative per la prevenzione siano integrati anche i
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servizi per la salute sessuale e riproduttiva. Programmi di educazione sessuale, di consulenza per una sessualità informata, e quindi più sicura, di consapevolezza della salute ri-
produttiva, dovrebbero essere strutturati in modo tale da raggiungere il maggior numero di
persone possibile. In questo contesto risulta fondamentale riservare un’attenzione partico-
lare alle donne, alle madri e alle giovani delle comunità migranti o delle minoranze etniche,
spesso estremamente vulnerabili ed esposte a discriminazione ed esclusione su più fronti,
come sottolineato nella Conferenza europea “Il diritto alla prevenzione, trattamento, cura e
aiuto per i migranti e le minoranze etniche con HIV/AIDS in Europa: le prospettive della co-
munità” - Lisbona del 2007.
L’educazione sessuale e l’epidemiologia delle infezioni sessualmente trasmissibili, parte
dall’analisi epidemiologica della diffusione di queste infezioni, ma comprende una riflessione seria sull’educazione dei ragazzi a non considerare i rapporti sessuali come
episodi a se stanti, ma come parte fondamentale di un rapporto umano con un’altra
persona. Entrambi gli aspetti saranno approfonditi con il fine di individuare le Linee
Guida dei futuri interventi in questo ambito.
Questa sessione sarà coordinata dal professor Gianni Rezza, Direttore del Dipartimento
delle malattie infettive parassitarie e immunomediate dell’Istituto Superiore di Sanità e
riferita nella plenaria dal professor Giuseppe Latorre, professore associato dell’Università La Sapienza di Roma.
Abbiamo avuto, inoltre, l’onore di ospitare la mostra che ci è stata concessa dall’Univer-
sità degli Studi di Cassino sulle infezioni sessualmente trasmesse e che è stata illu-
strata, nella relativa sessione, dalle ricercatrici in igiene del Dipartimento di scienze motorie
e salute della stessa Università.
(*) Fonte: Organizzazione Mondiale della Sanità.
52
Giorgio VITTORI27
Malattie sessualmente trasmissibili, un mistero per i giovani
I giovani conoscono poco le malattie a trasmissione sessuale e solo il 50% usa il preservativo, per questo è necessaria una maggiore informazione.
Da anni le malattie sessualmente trasmissibili sono in aumento tanto che costituiscono uno
dei più seri problemi di salute pubblica in tutto il mondo, sia nei paesi industrializzati sia in
quelli in via di sviluppo. Ciò perché, in primo luogo, le patologie non curate tendono a creare
problemi nel tempo. D’altra parte la carenza di conoscenze e la difficoltà di accesso ai con-
traccettivi meccanici (preservativi maschili e femminili) rendono i ragazzi molto più esposti
al rischio di infezioni sessualmente trasmissibili.
Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, le malattie sessualmente trasmissibili hanno una incidenza annua di 333 milioni di casi, escludendo l’AIDS.
Quindi è necessario innanzitutto acquisire dati e successivamente diffondere informazioni
sulla salute dei giovani al fine di impostare strategie di prevenzione primaria e secondaria per
la salute riproduttiva e sessuale.
Le infezioni genitali, contratte nell’adolescenza, incidono sul declino del potenziale di ferti-
lità e sull’aumento dei disordini della sfera sessuale nell’età adulta. È quindi importante in-
formare e sensibilizzare costantemente i giovani attraverso campagne di educazione
sessuale.28 Un discorso a parte va fatto per l’HIV, AIDS (Acquired Immune Deficiency Sin-
drome) che significa “Sindrome da Immunodeficienza Acquisita”.29 Nelle persone malate di
AIDS le difese immunitarie normalmente presenti nell’organismo sono state fortemente in27
Ginecologo; Presidente della Società Italiana di Ginecologia ed Ostetricia.
Due le campagne di prevenzione della SIGO importanti da menzionare: “Scegli tu di vincere” e “Travel sex”. La prima, sensibilizza sulle scelte di salute e benessere, tra le quali quella sessuale e riproduttiva è particolarmente importante. Una gravidanza indesiderata può significare infatti, soprattutto per le giovanissime, una completa “rivoluzione” delle proprie aspettative di vita. È
importante invece che questa esperienza, fra le più intense che ogni donna possa provare, giunga quando ci si sente pronte, con
una decisione consapevole, informata, responsabile e felice. Allo stesso tempo, comportamenti irresponsabili potrebbero esporti
al rischio di contrarre malattie sessualmente trasmissibili (MST) e a una potenziale compromissione della fertilità futura. La seconda
campagna “Travel sex” punta sulla vacanza che ancora oggi resta sessualmente a rischio per tre giovani italiani su quattro. Dopo
la campagna, partita nella primavera del 2010, i dati di settembre dimostrano una maggiore consapevolezza. Su quattromila ragazzi coinvolti nell'iniziativa educazionale Travel Sex, il 28% ha assicurato di essersi protetto di più. La campagna itinerante per
dieci settimane ha toccato altrettante città' in tutta la penisola coinvolgendo sia ragazze che ragazzi con un'età media di 18.9 anni.
Il 57% viveva un rapporto di coppia, l'88% aveva gia' avuto rapporti sessuali, il 19% con più' di cinque partner, il 61% ha dichiarato di aver vissuto almeno una volta un rapporto occasionale in vacanza.
29
Fra i giovanissimi italiani resistono molte leggende metropolitane sulla trasmissione dell’HIV. È quanto emerge dal bilancio dei
25 anni di attività del Telefono Verde Aids e dell’Istituto Superiore di Sanità. Il 7% di chi chiama ha meno di 20 anni e oltre il 30%
di tutte le telefonate giunte in un quarto di secolo arriva da persone che, pur in assenza di comportamenti a rischio, temono il
contagio a causa di una non corretta informazione. “Ogni generazione perde la memoria delle campagne informative passate - ha
affermato Gianni Rezza del Dipartimento di Malattie infettive, parassitarie ed immunomediate dell’ISS -. Negli ultimi anni si è fatta
meno informazione sull’Aids. Dunque è normale rilevare una certa dose di disinformazione su questa malattia. Inoltre da quando ci
sono le terapie antiretrovirali, c’è meno paura rispetto al virus e si parla meno di HIV. Un errore - ha concluso Rezza - perché la
malattia continua a diffondersi”.
28
53
debolite a causa di un virus denominato HIV (Human Immunodeficiency Virus) e non sono
più in grado di contrastare l’insorgenza di infezioni e malattie – più o meno gravi – causate
da altri virus, batteri o funghi (infezioni/malattie opportunistiche). È questo il motivo per cui
l’organismo di una persona contagiata subisce malattie e infezioni che, in condizioni normali,
potrebbero essere curate più facilmente. L’infezione non ha una propria specifica manife-
stazione, ma si rivela esclusivamente attraverso gli effetti che provoca sul sistema immunitario. Una persona contagiata viene definita sieropositiva all’HIV. Pur essendo sieropositivi,
è possibile vivere per anni senza alcun sintomo e accorgersi del contagio solo al manifestarsi
di una malattia. Sottoporsi al test della ricerca degli anticorpi anti-HIV è, quindi, l’unico modo
di scoprire l’infezione. I progressi della ricerca scientifica e l’uso della terapia HAART efficace
(Highly Active Anti-Retroviral Therapy) hanno reso possibile allungare la vita di una persona
sieropositiva per molti anni. Tra i ragazzi, maschi e femmine, di età compresa tra i 16 e i 24
anni che presentano condilomi, la percentuale di positività all’HIV è del 22%. Altro dato pre-
occupante è quello che si riferisce alla diffusione della clamidia, un’infezione sessualmente
trasmissibile, dovuta ad un batterio, che presenta manifestazioni sintomatiche piuttosto leg-
gere, le cui conseguenze sull’apparato riproduttivo, però, possono essere rilevanti.
Prima di concludere e non credo di andare fuori tema in quanto nella sessione parliamo anche
di salute riproduttiva, mi corre l’obbligo di parlare dell’abuso di tagli cesarei in Italia. La prima
causa di ricorso al taglio cesareo, nel nostro Paese, è il timore da parte dei ginecologi di incor-
rere in contenziosi medico - legali. Lo ammettono proprio i medici, o meglio il 35% di loro, ri-
spondendo così ad un sondaggio interno effettuato su 522 punti nascita dalla SIGO. E' pertanto
un esempio lampante di medicina difensiva, unica rilevanza nel panorama europeo. Il taglio ce-
sareo in Italia ha numeri record, 38 su 100. Percentuali senza eguali in Europa (pensiamo che
in Francia sfiora il 20,2% e in Inghilterra il 23%). Se in Italia il timore di azioni legali è, quindi, la
prima causa di ricorso al cesareo, segue quella dell'insufficienza organizzativa interna ("la co-
siddetta 'minaccia di parto spontaneo nel week and'", spiega Vittori) e solo in ultima battuta (tra
un 5 e un 7%), la scelta dell'intervento cesareo da parte dalla paziente.
E' necessario, pertanto, abbassare drasticamente il numero dei cesarei e, nel contempo,
evitare la mortalità materna e i danni neonatali. Nel nostro Paese, nel 35% dei casi, c'è solo
un ginecologo di guardia ed un anestesista a disposizione per il parto indolore.
Ricordiamo infine che in questo settore il principale interesse in campo è quello dell'intera
Nazione, in quanto le nascite sono un patrimonio primario che appartiene a tutti e che in Italia il tasso di fecondazione resta fermo all'1,36, quando le indicazioni mondiali asseriscono
che al di sotto del 2,11 un Paese non sopravviverà.
Accanto a ciò, riguardo alle infezioni sessualmente trasmissibili, tutte le iniziative efficaci per
la prevenzione dovrebbero essere viste con favore perché è importante tutelare il patrimo-
nio di salute delle donne: nel loro caso c’è un plusvalore che è quello della riproduzione ed
è lì che c’è il futuro.
54
Simonetta MATONE30
Esperienza sul campo
Desidero partire dalla mia esperienza personale: sono magistrato da circa 30 anni e per
17 anni sono stato Pubblico Ministero per i minorenni, cioè quello che in inglese si
chiama public prosecutor. Nel sistema italiano il Pubblico Ministero per i minorenni ha
una doppia competenza: civile e penale. In questo intervento vi parlerò principalmente
di quella che è stata la mia esperienza come Pubblico Ministero penale.
I giovani che ho conosciuto avevano un’età compresa tra i 14 e 18 anni e, in alcuni
casi, avevano meno di 14 anni, anche se, per questo, non perseguibili penalmente per
la legge italiana per la quale - a differenza da quella inglese e francese - l’imputabilità
scatta al compimento dei 14 anni.
I minori che ho incontrato erano i cosiddetti devianti, anche se sul termine “devianza”
non c’è una unicità di vedute, trattandosi di una parola che genera idee sociologicamente non neutre.
Mi sono principalmente occupata di devianti, ma anche dei cosiddetti normali. Occorre
specificare che il limite - nella materia che io ho trattato per tantissimi anni - tra nor-
malità e devianza, ha confine molto labile. Questi ragazzi sono stati da me esaminati,
processati, perdonati - se volete per merito mio anche condannati - in condizioni però
eccezionali, perché fortemente stressati dall’evento del processo.
Il processo non è un evento neutro, è un qualcosa di fortemente sconvolgente per un
adulto ed a maggior ragione, per un ragazzo. Le vicende che coinvolgevano questi ragazzi erano delle vicende criminali, ma al tempo stesso, vicende fortemente private e
moltissime delle loro storie attenevano alla sfera sessuale. Quando rifletto sul tema
“sessualità e giovani” parto sempre da una mia esperienza molto lontana, che risale a
circa 17 anni fa e che gli italiani qui presenti ricorderanno: il cosiddetto processo di Civitavecchia.
Nei fatti che hanno generato questo processo di Civitavecchia era coinvolto un gruppo
di ragazzi, venti minorenni di età compresa tra i 14 e i 20 anni, i quali avevano, per circa
un anno e mezzo, abusato sessualmente di tre bambine di età compresa tra gli 11 anni
e mezzo e i 14 anni.
Queste bambine si ritrovavano in una specie di circolo del dopo lavoro, gestito dai genitori di una di loro, e nessuno si era mai accorto di quello che questi ragazzi facevano.
Perché questa storia salì alla ribalta? Perché, quando il padre di una di queste tre bam-
bine scoprì che cosa effettivamente facevano questi venti ragazzi insieme alle bambine, per vendicarsi legò ad un albero uno dei venti violentatori - il cosiddetto capo
30
Magistrato; Capo di Gabinetto del Ministro della Pari Opportunità
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branco - e cercò di abusare sessualmente di lui con un ramo di albero.
I fatti sono ormai di vecchia memoria e quindi possiamo raccontare questi episodi par-
ticolarmente brutali e violenti; la polizia scoprì quello che era accaduto grazie alla ten-
tata violenza sessuale di tipo vendicativo, non caratterizzata, pertanto, dalla libido, ma
dalla voglia di vendicarsi.
La cosa che più mi colpì fu l’essere veramente bambine delle tre vittime: ricordo che
ad uno degli esami testimoniali, una di loro, si presentò con un piccolo zainetto a
forma di orsetto Panda. Rimasi particolarmente esterrefatta all’idea di occuparmi di
sesso in relazione ad una persona che girava con lo zainetto a forma di orsetto Panda
sulla schiena.
Racconto questa storia perché la trovo assolutamente paradigmatica di quello che può
esser la vita sessuale per questo gruppo di persone coinvolte nella triste vicenda: sia per
le vittime, che erano tre, sia per i colpevoli, che, ribadisco, erano 20 e per i genitori tutti.
I protagonisti di questa vicenda hanno un comune denominatore: c’è una educazione
sentimentale – non sessuale, attenzione – inesistente.
Chi ha letto Flaubert - anche se ormai non lo legge più nessuno - sa a cosa mi riferisco, “l’educazione sentimentale” del predetto scrittore parlava proprio di questo: c’è il
volersi sentire grande attraverso il sesso da parte delle ragazzine; c’è l’usare le ragazzine, da parte dei maschi, come un oggetto.
Questo l’abbiamo detto cento volte ma purtroppo giova ripeterlo, c’è un uso sessuale
e oggettivizzato dell’altro come fosse una preda, c’è infine, da parte dei genitori, la “re-
sponsabilità” di non saper leggere negli occhi delle figlie, per poter scoprire che, la pro-
pria, ha rapporti sessuali contro la sua volontà.
Voi sapete che, per la legge italiana, il consenso prestato da un soggetto al di sotto dei
14 anni non ha alcun valore – a meno che la differenza di età tra la femmina e il maschio
o viceversa non superi i tre anni. La legge italiana è molto accurata in questo ed è, a
mio parere, molto adeguata a quella che è la realtà della vita sessuale dei ragazzi e
delle ragazze.
Al tempo stesso, l’altro comune denominatore di questa vicenda, era la curiosità dei
giornali che, su questa storia, ottennero un’audience assolutamente insperata proprio
perché si trattava di una vicenda morbosa. Era una vicenda apparentemente curiosa,
in realtà era una cosa che trova analogie in tantissimi casi. Non si può non riflettere su
una storia come questa, anche se sono passati quasi 20 anni, perché non credo che il
tempo abbia migliorato lo stato dell’arte.
Le altre storie di cui mi sono occupata come Pubblico Ministero sono vicende di vio-
lenza e di sesso, non come l’immaginario collettivo può pensare che siano. Infatti, l’immaginario collettivo tende generalmente a pensare che le vittime di violenza sessuale
siano state catturate e prelevate per strada all’improvviso. Naturalmente si verificano
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anche queste tipologie di casi, ma nella generalità dei processi che ho trattato la realtà
esaminata era diversa.
Riguardava ragazze che, per una serie di comportamenti e di messaggi equivoci attinenti alla sfera sessuale mandati all’esterno, si erano poste nelle condizioni di diventare vittime di una violenza sessuale o di un abuso, sottovalutando i rischi di
comportamenti letti dall’altro come disponibilità.
Ricordo un processo che ebbe a sua volta molto scalpore: i fatti si sono svolti all’interno
di un liceo artistico dove questa ragazzina, entrata in un bagno per fare sesso con un
ragazzo, voleva fare tutto tranne che avere un rapporto sessuale completo.
Il ragazzo non capì dove arrivava il consenso della ragazza, ebbe un rapporto sessuale
completo con lei che lo denunciò per violenza sessuale. Quindi, il dilemma del giudice
era: comprendere cosa significava “entrare in un bagno per fare sesso, voler fare tutto
tranne avere un rapporto completo?” “È stata violenza sessuale?” “Come fa l’altro a capire che quella cosa non si può fare mentre se ne possono fare altre?”.
Questo ragazzo venne condannato contro la mia volontà, perché non ero affatto con-
vinta della sua colpevolezza, bensì ero invece convinta dell’equivocità di questi comportamenti. Quali conseguenze hanno queste vicende?
Indubbiamente comportano che, se questo è il primo rapporto sessuale, é un trauma
terribile viverlo in questo modo, anche se non possiamo parlare di violenza, comunque
è altrettanto traumatico.
Fare del sesso in questo modo implica che sicuramente subentra la denuncia, la fase
processuale, l’audizione, anche se protetta.
Nel nostro sistema giuridico le vittime sono veramente protette e dobbiamo perciò essere fieri della nostra legge. Noi in Italia abbiamo, in materia sessuale, pedo-pornografia e di prostituzione minorile, le leggi più severe del mondo.
Questo nessuno lo sottolinea con la dovuta fermezza, ma abbiamo un sistema giuridico
che è fortemente protettivo nei confronti della vittima. Ciò nonostante non può arrivare
laddove è carente l’educazione sessuale, perché la legge si limita a sanzionare dei com-
portamenti, ma indubbiamente non può migliorare quelle che dovrebbero essere le con-
dotte dei soggetti.
Quindi, esiste un rischio legato alla sessualità dei giovani?
Certo, è innegabile, perché una sessualità così poco consapevole come quella che ho
rilevato è legata al rischio, enorme, di contrarre malattie sessualmente trasmissibili.
Occorre puntualizzare che sono testimone di realtà estreme e non della così detta “nor-
malità”, anche se, dal momento che l’estremizzazione delle condotte è sintomatica di
quello che avviene nella società, forse la mia testimonianza ha un valore maggiore.
Esiste il rischio di gravidanze indesiderate?
Certamente. Mi sono occupata di un caso di violenza sessuale dove la ragazza aveva
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partorito a undici anni e undici mesi. Questa violenza sessuale è emersa perché il bam-
bino non poté, per le norme prescritte dalla legge italiana, essere dichiarato all’ana-
grafe e riconosciuto da una persona così giovane, così piccola.
Questa orrenda vicenda non si è svolta nella periferia degradata di Roma, bensì in una
casa della piccola borghesia, dove questa bambina era stata abbandonata a se stessa
ed era stata violentata, anche se consenziente, dal cugino appena quattordicenne.
Perché queste cose accadono?
Perché non esiste una vera educazione sentimentale, perché - questo va detto - nel
nostro Paese l’educazione sentimentale è lettera morta.
Esiste una grossa differenza di educazione sanitaria tra maschi e femmine. Dico questo perché le ragazze, almeno quelle italiane, conoscono il ginecologo, ci vanno, anche
con la madre, quindi diciamo che hanno almeno dei rudimenti di quelle che, dal punto
di vista sessuale, devono essere le condotte consapevoli.
I ragazzi italiani, invece, acquisiscono il “dovere” nel lavarsi, ma questo è il massimo
delle condotte sanitarie consapevoli in questa materia.
Qualcosa bisogna pur fare. Soprattutto i ragazzi sono delle bombe ad orologeria in que-
sta materia, sanno a malapena dei rischi che corrono con i rapporti non protetti, ma lo
sanno non certo in virtù di campagne d’informazioni serie.
Ricordo una campagna pubblicitaria di tanti anni fa sui rischi dell’Aids, che era talmente
efficace dove nello spot pubblicitario si vedeva un tizio che va in motocicletta e che si
ferma per dare un passaggio ad una bella ragazza che faceva l’autostop. La ragazza salendo sulla moto è immediatamente circondata da un cerchio rosso con una scritta il cui
messaggio significava “attenzione, ti puoi prendere l’Aids”.
A testimonianza diretta dell’efficacia dello spot della campagna pubblicitaria racconto
quest’episodio divertente. Una volta, con l’ultimo dei miei tre figli, abbiamo visto una ra-
gazza che faceva l’autostop e che, accolta la sua richiesta, saliva su una moto. Mio figlio,
che aveva sette anni, cominciò a gridare “Aiuto, facciamo qualcosa, si prenderà l’Aids!!”.
Lui non aveva cognizione della problematica, però il messaggio era arrivato ed era allo
stesso tempo fortemente efficace.
Ritengo che dovremmo recuperare delle campagne che siano commisurate a quello
che è il grado di consapevolezza della popolazione giovanile, dedicando veramente del
tempo, denaro, fantasia, creatività e attenzione a questo problema, perché attendere
che lo stesso problema si risolva autonomamente, senza intervenire a livello sociale,
non credo possa essere sufficiente.
Ho finito con la mia esposizione; spero di non avervi allarmato oltre misura con questo
mio intervento, tenendo sempre presente che io vengo da una frontiera. Vengo dalla
così detta “prima linea” e non - come diciamo noi giuristi – da quella che chiamiamo ge-
neralità dei consociati, dove spero che la situazione sia più positiva.
58
Massimo GIOVANNINI31
L’Ambulatorio per l’adolescenza
L’ospedale Sandro Pertini è uno dei dieci ospedali pubblici della città di Roma. Roma pre-
vede naturalmente anche altre strutture ospedaliere, ma gli ospedali gestiti direttamente dal
Servizio Sanitario Nazionale sono dieci. Presso l’ospedale Sandro Pertini si è dato avvio nel
2002 all’attività dell’Ambulatorio per l’Adolescenza. Il team era inizialmente composto da
specialisti tutti al femminile e prevedeva la presenza di ginecologi, sessuologi, psicologi, endocrinologi, neuropsichiatri, pediatri, professionisti di varie branche ed assistenti sociali. Il
responsabile dell’ambulatorio, era una ginecologa; questo perché, il reparto che aveva dato
l’avvio all’apertura di questo ambulatorio era quello di ostetricia e ginecologia. Poi, nell’arco
degli anni, si è pensato di allargare anche al sesso maschile la partecipazione al team dei
professionisti, perché le richieste non riguardavano soltanto l’utenza femminile ma, man
mano che passava il tempo, anche quella maschile.
L’ospedale Sandro Pertini ha sempre rivolto un’attenzione particolare alle problematiche
dell’adolescenza, come dimostra anche la serie di incontri, tenuti da un altro settore,
quello del “Dipartimento tutela delle fragilità”, che si terranno quest’anno e durante i
quali si tratteranno le problematiche degli adolescenti. I titoli delle quattro sessioni che
si terranno nel nostro ospedale - e alle quali siete naturalmente invitati a partecipare sono: “Naufraghi nella rete: adolescenza e abusi mediatici”, “Adolescenza patologica e
funzioni Psichiche”, “Trauma e psicopatologia in Adolescenza”, “Adolescenza: Azione,
Cognizione, Percezione”.
Vengono elencate di seguito le domande più frequenti poste negli anni dai nostri utenti e rac-
colte all’ambulatorio dell’adolescenza; abbiamo confrontato queste domande con le do-
mande che sono state avanzate dagli adolescenti nel mondo. Esiste una multinazionale che
si è occupata di fare una revisione delle domande più frequenti che i giovani pongono alle
strutture deputate a questo tipo di utenza da tale confronto, abbiamo osservato che, nel
complesso, le domande sono più o meno sempre le stesse.
Per quanto riguarda la contraccezione le domande sono: “la pillola è sicura?”, “La pillola mi
fa ingrassare?”, “La pillola riduce il dolore mestruale?”, “Quale tipo di pillola è meglio per
me?”. Inoltre, riguardo ai diversi tipi di somministrazione di sostanze ormonali dedicati alla
contraccezione, è stata fatta la domanda: “il cerotto e l’anello vaginale funzionano come la
pillola?”. Desidero dire che pochi sanno cosa sono gli estro progestinici.
Elenchiamo di seguito,in ordine di frequenza, altre domande: “la contraccezione orale
mi copre anche durante le mestruazioni e durante la settimana di pausa?”, “Ogni quanto
devo sospendere?”, “È necessario il consenso dei genitori?”. Questa domanda è posta
31
Ginecologo; Direttore UOC Ginecologia Ospedale S. Pertini, Roma
59
molto spesso dalle ragazze minori di 14/16 anni: in Italia la legislazione riconosce il di-
ritto alla autodeterminazione per i ragazzi a partire dai 14 anni, quindi non c’è la necessità di andare accompagnati da nessuno per poter chiedere l’uso degli estro
progestinici, ovvero della pillola. Altre domande, sempre in ordine di frequenza: “dopo
quanti giorni dal rapporto a rischio si può fare il test di gravidanza?”, “Si può prendere
la pillola senza fare la visita dal ginecologo?”, “È meglio che il ragazzo usi il profilattico?”. Solitamente le ragazze sanno che per evitare le malattie sessualmente tra-
smesse devono usare il condom.
La contraccezione di emergenza, che in Italia si chiama “ pillola del giorno dopo”, è
usata spesso con troppa disinvoltura e ripetutamente.
In Europa è arrivata la pillola dei 5 giorni - sapete che c‘è una notevole continua evoluzione della ricerca in campo farmacologico - commercializzata in Svizzera, in Francia, in
Germania, in Olanda. In Italia invece è ancora allo studio dell’AIFA, la nostra agenzia dei
farmaci. Per quanto riguarda l’interruzione volontaria di gravidanza (ivg), le ragazze di so-
lito sono consapevoli che non è un metodo contraccettivo e che è indispensabile pianificare una contraccezione al momento dell’intervento. Le domande più frequenti sulla
contraccezione poste al numero verde di una multinazionale farmaceutica sono state
messe a confronto con le nostre: la domanda più frequente è stata: “dopo quando tempo
dopo la prima assunzione c’è copertura contraccettiva?”. Seguono altre domande: “ci
sono interazioni con altri farmaci?”, “Cosa fare se si dimentica di prendere una pillola?”,
“C’è il rischio di una gravidanza con il petting?”, “Come si individua l’ovulazione?”.
Tra le domande poste presso il centro rilevazione di questa multinazionale farmaceutica
troviamo anche: “quante volte si può prendere la pillola del giorno dopo?”. Si tratta quindi
di un problema ricorrente, un tema affrontato anche dalle domande delle nostre ragazze.
Altre domande poste al nostro ambulatorio riguardavano problematiche non relative alla
contraccezione: ad esempio quelle sulle alterazioni del ciclo mestruale, se il ciclo era
scarso o abbondante, se ci sono delle perdite di sangue, fra una mestruazione e l’altra,
se le mestruazioni sono lunghe e abbondanti, se non vengono ogni 28 giorni ma ogni 30.
Si tratta di domande di per sé normali che però indicano che l’adolescente ha una scar-
sissima preparazione, se non scientifica, almeno di base. Infine, rispettiamo le domande
e le considerazioni sulle malattie a trasmissione sessuale: “ho la vaginite, ho bruciori a
livello vaginale: sono stata contagiata dal mio ragazzo?”, ”Chi deve controllarlo?”.
“Certo, anche lui dovrà seguire la terapia, so che dovrò usare il profilattico”.
Esiste una problematica di scarsa informazione a livello scolastico, come probabilmente
si comprende anche dalle domande che vengono poste a livello ospedaliero. Ricor-
diamo che stiamo parlando di un ambulatorio, per il quale le ragazze hanno preso un
appuntamento e sono venute in ospedale. Non si tratta pertanto di un approccio di
primo livello con il proprio medico di base, ma quella dell’educazione sessuale è una
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problematica percepita come di secondo livello. Altre domande poste agli specialisti
sono: “che cosa è il pap test?”, “Ogni quanto è meglio che mi faccia visitare?”, “Ho do-
lore durante i rapporti, cosa devo fare?”. Vengono inoltre posti quesiti circa la ragione
e il trattamento della dismenorrea, domande relative ai farmaci analgesici da assumere,
domande circa l’uso della pillola per fenomeni di iperandrogenismo, alterazioni ormo-
nali per cui la ragazza presenta soprattutto seborrea, acne, ipertricosi. “Mi ha detto il
dermatologo che per l’acne devo andare anche dal ginecologo”. L’ultima, delle do-
mande poste al nostro ambulatorio, peraltro abbastanza frequentemente, riguarda
l’asimmetria mammaria, quindi la differenza del volume delle mammelle, situazione che
da una parte incuriosisce e dall’altra preoccupa.
Consideriamo le malattie sessualmente trasmesse: si tratta delle infezioni che si trasmettono attraverso i rapporti sessuali. Le malattie sessualmente trasmesse possono
avere eziologia virale - come ad esempio l’epatite C e B – l’HIV - oppure batterica o da
protozoi. Ricordiamo la Gonorrea, la Sifilide, l’Herpes Simplex Virus (HSV), Herpes genitale, la Chlamydia, l’HPV. In Europa, negli Stati Uniti, nel mondo, sono state fatte delle
grandi campagne informative su quelle che, in Italia, vengono solitamente definite le in-
fezioni minori; in realtà le problematiche, soprattutto a distanza, di tali infezioni possono
essere talmente importanti dal non poter essere definite minori. I sintomo annoverano:
prurito vaginale, bruciore e arrossamento delle mucose genitali, leucorrea - perdita di
tipo biancastro -, presenza di condilomi - piccole escrescenze simili a verruche -, vescicole e/o piccole ulcere. Le infezioni genitali che danno maggiori problematiche a distanza
di tempo in realtà possono essere asintomatiche, anche la Chlamydia può essere a lungo
silente per dare poi complicazioni a lungo o anche a breve termine – quali infiammazione
delle tube e delle ovaie e peritonite. Queste complicanze possono provocare importanti
danni, perché la donna che ne è colpita può avere come esito sterilità permanente, vi
può cioè essere impossibilità procreativa.
Un’altra delle problematiche a distanza è un incremento delle gravidanze ectopiche,
determinate dal fatto che le tube sono state danneggiate e quindi sono mal funzionanti,
il che può dare come esito la sterilità femminile. Ulteriori possibili complicanze a lungo
termine possono essere un incremento dell’abortività spontanea, parto prematuro, rottura prematura delle membrane. Quando l’infezione avviene in corso di gravidanza vi
possono essere patologie neonatali importanti: il bambino può nascere con delle malattie infettive anche gravi trasmesse o in utero o al momento del parto.
Fra le complicanze a distanza si annoverano tumori come quello del colon e dell’utero,
il più studiato dal punto di vista epidemiologico e, per i maschi, uretriti croniche e prostatiti. I numeri parlano con chiarezza: ricordiamo che le malattie sessualmente tra-
smesse colpiscono in tutto il mondo ogni anno esclusi i casi di Aids, 340 milioni di
individui e 90 milioni sono i casi della Chlamydia. I dati dell’Organizzazione Mondiale
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della Sanità dicono che nel mondo sono 111 milioni gli adolescenti - per adolescenti si
intendono i ragazzi con età inferiore a 25 anni - colpiti da malattie sessualmente trasmesse. In Italia si eseguono 100 mila visite all’anno per sospetta malattia sessualmente trasmessa. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità quelle più frequenti
sono le condilomatosi genitali, le vaginiti batteriche, le uretriti maschili batteriche. Vediamo nello specifico i dati relativi alle malattie a trasmissione sessuale nei pazienti di
sesso maschile: nel 30% si tratta di condilomi genitali, nel 20% di una uretrite batte-
rica, nel 10% di un’ herpes genitale e di una infezione da Chlamydia; per quanto riguarda le MST nel sesso femminile nel 50% dei casi si tratta di una cervicovaginite
mentre nel 20% si tratta di condilomi.
Abbiamo analizzato i nostri dati recenti: in particolare abbiamo considerato i primi 5
mesi del 2010 - quindi da Gennaio a tutto il mese di Maggio - e li abbiamo confrontati
con i dati degli anni precedenti, a partire dal 2007.
In merito alle MST nelle adolescenti (donne di età < 25 anni), abbiamo analizzato in occasione di questa conferenza i dati più recenti rilevati nei nostri ambulatori.
In particolare, abbiamo analizzato i dati inerenti i casi di infezioni da HPV (accertate o
sospette) indirizzate al nostro ambulatorio di colposcopia dal 2007 fino ai primi 5 mesi
del 2010 (da Gennaio a Maggio) e li abbiamo confrontati fra loro (Tab.1).
Mentre i dati rilevati dal 2007 al 2009 sono risultati stabili, nei primi mesi del 2010 è stato ri-
scontrato un aumento, sia pure non significativo (X2 = 2.10; P = 0.147), della percentuale di
donne di età < 25 anni con HPV sospetta o accertata indirizzate al nostro ambulatorio ri-
spetto agli anni precedenti. Le 77 adolescenti indirizzate al nostro ambulatorio per una infe-
zione da HPV sospetta o certa presentavano una età media di 19.2 anni (range: 15 – 22 anni).
Riguardo ai reperti citologici rilevati in queste pazienti, in 8 casi è stato riscontrata una
condizione ASCUS, in 1 caso una ASCH, in 25 casi una L-SIL, in 2 casi una H-SIL, in
24 casi altre condizioni, in 17 casi il reperto citologico è risultato negativo. In 27 casi,
si può parlare pertanto a buon diritto di lesioni “precancerose”, sia pure di basso grado
in 25 e di alto grado in due casi.
Riguardo ai reperti colposcopici, questi sono risultati patologici in 54 casi (epitelio
bianco sottile, mosaico regolare, epitelio bianco ispessito, condilomi), mentre in 23 casi
sono risultati nella norma.
Riguardo la tipizzazione dell’HPV, i tipi di HPV più frequentemente in causa sono risultati il tipo 16 (ad alto rischio) ed il 18 (ad alto rischio).
In merito al trattamento, questo è stato di tipo chirurgico ambulatoriale (DTC-LEEP) in 47
casi; mentre in 30 casi le pazienti sono state sottoposte ad un protocollo di controlli seriati
(“wait and see”). Non è da considerare un dato di poco conto il fatto che 47 su 77 pazienti
di età inferiore a 22 anni (quindi più del 50%) si siano dovuti sottoporre ad un intervento chi-
rurgico (sia pure ambulatoriale) a causa di una malattia sessualmente trasmessa.
62
Consideriamo, quindi, le patologie sessualmente trasmesse di origine batterica: in particolare le infezioni da Chlamydia.
I nostri dati riguardano un confronto delle pazienti che hanno effettuato una coltura (tampone) cervicale/vaginale presso gli ambulatori del Dipartimento della ASL Roma B nei primi
5 mesi del 2008 (Gennaio – Maggio) versus lo stesso periodo del 2010 (Tab. 2).
Dunque nei primi 5 mesi del 2010 rispetto ai primi 5 mesi del 2008, si è rilevata una pre-
valenza stabile delle infezioni da Chlamydia nelle donne di età > 20 anni, mentre si è rilevato un netto aumento – sia pure non significativo (X2 = 0.48; P = 0.4848) – di queste
infezioni nelle pazienti di età inferiore a 20 anni. Inoltre, nei primi mesi del 2010 si è rilevata una prevalenza dell’infezione da Chalmydia significativamente più elevata nelle
donne di età < 20 anni rispetto alle donne adulte (X2 = 13.35; P = 0.0002).
Infine consideriamo le malattie sessualmente trasmesse da protozoi, specificatamente
da micoplasmi. Anche in questo caso, disponiamo di un confronto di dati riguardanti le
pazienti che hanno effettuato una coltura (tampone) cervicale/vaginale presso gli ambu-
latori del Dipartimento della ASL Roma B nei primi 5 mesi del 2008 (Gennaio – Maggio)
versus lo stesso periodo del 2010 (Tab. 3). Nel 2008 la prevalenza delle infezioni da mi-
coplasmi è risultata superiore nelle donne adulte rispetto alle pazienti di età inferiore a 20
anni (36.9% versus 28%, rispettivamente), tuttavia in modo non significativo (X2 = 0.673;
P = 0.41). Nel 2010 si è riscontrata, invece, una prevalenza dell’infezione superiore nelle
donne di età < 20 anni rispetto alle pazienti adulte (56% versus 34.8%, rispettivamente):
una differenza, quella rilevata, statisticamente significativa (X2 = 4.84; P = 0.027). Inoltre,
nel 2010 si è riscontrato, rispetto al 2008, un incremento statisticamente significativo
della prevalenza delle infezioni da micoplasmi nelle donne di età inferiore a 20 anni (56%
versus 28%, rispettivamente; X2 = 4.0; P = 0.045).
Tanto per l’infezione da Chlamydia quanto per le infezioni da micoplasmi, si è dunque ri-
scontrata nel 2010 una tendenza ad un incremento della prevalenza rispetto al 2008, in
qualche caso statisticamente significativa. Inoltre, colpisce il fatto che nel 2010 la pre-
valenza sia dell’infezione da Chlamydia sia di quelle da micoplasmi sono risultate significativamente superiori sia nelle teen agers che nelle donne adulte.
E, tuttavia, nonostante la elevata prevalenza di tali infezioni nelle adolescenti, colpisce
il fatto che solo un esiguo numero di pazienti giovani (vedansi i numeri di pazienti riportati nelle tabelle) si sottopone a controlli clinici e a coltura cervicale/vaginale ogni
anno. Tale dato deve fare riflettere e deve indurre interventi di politica sanitaria, volti a
favorire una corretta informazione fra i giovani su quali sono i comportamenti sessuali
e/o le abitudini di vita a rischio, nonché su come prevenire il diffondersi delle malattie
sessualmente trasmesse. Non sono più eludibili, infine, interventi da parte dei governi,
volti a promuovere l’accesso dei giovani agli ambulatori clinici, eventualmente specificamente dedicati.
63
Tabella 1. Infezione da HPV sospetta o accertata per anno e numero di pazienti
Anno
No.
%
I.C. 95%
2007
23/716
3.21
1.9 - 4.5
2008
20/786
2.54
1.4 - 3.6
2009
21/530
3.96
2.4 - 5.6
2010
(Gennaio-Maggio)
13/200
6.5
3.1 - 9.9
Tabella 2. Prevalenza dell’infezione da Chlamydia nel 2008 e nel 2010 (Gennaio - Maggio)
Pazienti >
- 20 anni
ANNO 2008
Pazienti < 20 anni
N.o
%
C.I. 95%
(Tot.:33)
N.o
(Tot.:1369)
%
C.I. 95%
Positive
20
1.46
0.83-2.00
0
-
-
Negative
1296
94.7
93.5-95.9
30
90.9
81.09-100
Risultato non
disponibile a
53
3.87
2.87-3.97
3
9.1
0.0-18.9
1.0
Pazienti >
- 20 anni
ANNO 2010
a
Pazienti < 20 anni
N.o
%
(Tot.:29)
C.I. 95%
N.o
(Tot.:1397)
%
C.I. 95%
Positive
21
1.50
1.18-1.82
3
10.3
0.07-21.3
Negative
1280
91.6
90.2-93.0
25
86.2
73.7-98.7
Risultato non
disponibile a
96
6.9
5.6-8.2
1
3.5
0.00-10.1
Il campione non era esaminabile
64
Dhjanaraj CHETTY32
L’UNESCO e l’educazione alla sessualità
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO, dal-
l’acronimo inglese United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization), con sede a
Parigi e con 60 uffici dislocati in varie regioni del mondo, è ripartita in un ampio numero di agen-
zie secondarie, ciascuna delle quali riveste un proprio ruolo e una propria competenza specifici.
Il mio obiettivo, in questa prestigiosa occasione d’incontro, è quello di illustrarvi il lavoro svolto dal-
l’UNESCO nell’ambito dell’educazione alla sessualità per la prevenzione dell’HIV nonché il pro-
gramma previsto per il futuro. Innanzitutto, è opportuno rimarcare che, a differenza di quanto sinora
esposto in questa sede, i risultati del nostro lavoro, che qui riporterò, riguardano esperienze svolte
al di fuori dei confini europei. Il nostro compito nell’educazione alla sessualità ha rappresentato una
piattaforma di partenza per la prevenzione dell’AIDS. Nella maggior parte dei Paesi non occiden-
tali, le donne divengono madri in giovanissima età: la nostra grande sfida è stata, ed è tuttora, quella
di raggiungere i giovani con il nostro piano educazionale prima del loro contatto con la sessualità.
Non mi soffermerò sui dati epidemiologici, che sono già stati esposti nelle precedenti relazioni.
La prima sfida affrontata dall’UNESCO nell’educazione sessuale ai giovani a livello globale
si può esprimere in una parola: “conoscenza”. La maggior parte della popolazione giovanile
mondiale, infatti, ignora gli aspetti essenziali della sessualità. La conoscenza è il primo mat-
tone per costruire l’edificio dell’educazione sessuale nella mente dei destinatari. Quando ci
accostiamo ai giovani per parlare loro di sessualità, può tornarci utile l’insegnamento che i
nostri genitori ci hanno dato quando noi eravamo giovani e, insieme a questo, le attuali conoscenze del comportamento sessuale basate sull’evidenza. Un altro elemento importante
è la conoscenza dei diritti di chi è affetto da HIV e del comportamento da assumere nei confronti di chi è malato. È basilare fornire a coloro che in situ svolgeranno il lavoro educazio-
nale la preparazione e gli strumenti utili per la divulgazione della conoscenza. Il lavoro dei
nostri operatori, tutti volontari, è stato svolto prevalentemente nelle scuole: in tale contesto,
sociale e scolastico, è necessario conoscere adeguatamente l’approccio più indicato per
esprimere e illustrare il concetto di “famiglia”. In molti governi, per molte istituzioni o Paesi
occidentali, parlare di sessualità e di rapporti sessuali a un bambino e lasciare che un bam-
bino impari a formulare scelte responsabili sulla propria sessualità può rappresentare una
provocazione. Ma in nazioni in via di sviluppo, tale percezione non sussiste: diventa anzi
prioritario affrontare tali argomenti in giovane età, a scopo preventivo.
Sono stati pubblicati 87 studi basati sull’evidenza e sostenuti dall’UNESCO in merito alla ne-
cessità dell’educazione sessuale nella popolazione giovanile. Tali studi sono stati condotti pre-
valentemente nei Paesi in via di sviluppo e sono i risultati emersi da questi ultimi a meritare
32
Rappresentante dell’UNESCO - Sezione HIV e AIDS
65
maggiore attenzione. Che cosa affermano? Innanzitutto, nei Paesi industrializzati, la popolazione
adulta interpellata non riconosce l’urgenza di una discussione sull’educazione sessuale tra i
giovani. La prima evidenza scientifica che emerge è che globalmente genitori, governanti, rappresentati di comunità o autorità religiose interpellati non riconoscono la necessità dell’educa-
zione sessuale, basandosi sulla presunta certezza che le bambine non siano ancora pronte per
il sesso e che siano ancora in età troppo giovane per coltivare pensieri di natura sessuale. Te-
mono, inoltre, che educazione sessuale equivalga a instillare in tali soggetti il pensiero del sesso.
Ma l’evidenza scientifica dimostra con chiarezza che l’educazione sessuale, parlare quindi di
sessualità ai giovani, non determina mai un incremento dell’attività sessuale. È dovere della no-
stra organizzazione chiarire questo concetto e lenire questa preoccupazione priva di fonda-
mento scientifico. È stato scientificamente dimostrato che i programmi di educazione sessuale:
- ritardano l’età della prima gravidanza
- favoriscono la riduzione del numero di partner sessuali
- inducono un aumento dell’uso di preservativi o di altri metodi contraccettivi
- limitano i casi di insorgenza di malattie sessualmente trasmissibili.
Come tali studi basati sull’evidenza testimoniano con il supporto di dati scientificamente rigo-
rosi, i programmi di educazione sessuale non hanno effetti nocivi, non danneggiando coloro cui
sono indirizzati. Resta inteso che argomenti di tale entità rivolti a soggetti in giovane età deb-
bano essere affrontati con particolare delicatezza e con la preparazione adeguata. Come com-
portarsi, infatti, quale approccio usare con ragazzi di circa 12 anni di età, cui è comunemente
rivolto il programma di educazione sessuale nei Paesi in via di sviluppo? Occorre innanzitutto
essere flessibili, tenendo sempre in mente la diversità di cultura, di tradizioni e di usi del Paese
di appartenenza del destinatario. Il nostro obiettivo è quello di parlare direttamente ai ragazzi,
raggiungere tutte le scuole e intrattenere i bambini sull’argomento all’interno della propria classe
e del proprio ambiente scolastico: l’educazione sessuale svolta in tali ambienti “istituzionali”
conferisce maggior valore all’attività di divulgazione. È l’unico modo per parlare in modo rigo-
roso e influente dell’uso e dell’utilità della contraccezione.
A livello di comunità, uno dei nostri maggiori sforzi consiste nel rinnovare e riaffermare costantemente il concetto dei diritti della popolazione legati alla salute sessuale.
Roberta CALCATERRA33
L’educazione alla sessualità e all’affettività tra immigrazione e
transculturalità
L’educazione alla sessualità e all’affettività è un tema fondamentale che, come abbiamo
visto, è capace e deve dare vita a un doppio insegnamento: da un lato la passione e la bel33
Responsabile del Servizio di Micologia dermatologica dell’INMP
66
lezza dell’amore, dall’altro un’adeguata conoscenza del rischio di contrarre infezioni ses-
sualmente trasmissibili. Si tratta di tematiche che, a tutt’oggi, devono rispecchiare la re-
altà in cui i giovani vivono, l’Europa e l’Italia. Qui l’immigrazione e la trans-culturalità sono
temi con cui dobbiamo confrontarci giornalmente e che rappresentano, quindi, nuove sfide
non solo per i giovani, ma anche per i meno giovani che devono modulare le proprie conoscenze per poter educare in maniera adeguata e contemporanea la popolazione.
Questo è doveroso anche nei confronti delle persone immigrate presenti nel nostro
Paese, portatrici di modi di essere semplicemente differenti dai nostri che devono essere
conosciuti e diffusi: quindi l’educazione sessuale deve essere inserita in un quadro cul-
turale che è in continuo movimento e che deve tenere conto proprio delle diverse provenienze delle persone che vivono in Italia; gli adolescenti e i giovani infatti, si
confrontano con stili educativi o diseducativi che possono essere diversi nel nostro ter-
ritorio rispetto ai luoghi di provenienza. Le cosiddette “seconde generazioni” sono una
realtà estremamente importante: pensate a un giovane che vive con un modello, un con-
testo socioculturale strettamente italiano, mentre in casa si trova di fronte a un conte-
sto socioculturale che richiama le tradizioni della propria famiglia di origine. Quindi, nella
nostra opinione, l’educazione sessuale deve tener presente anche di questa bivalenza,
cioè della diversità che può vivere un giovane a seconda della realtà che vive durante i
diversi momenti della giornata. Forme, comportamenti, atteggiamenti differenti da quelli
che siamo tradizionalmente abituati a conoscere devono necessariamente entrare in re-
lazione con essi, altrimenti non è possibile fare una adeguata educazione sessuale che
permetta prima di tutto la conoscenza; l’educazione sessuale deve dar vita ad una vera
e propria educazione e ad una preparazione che sia comprensiva di usanze, tradizioni
e modi differenti rispetto a quelli a cui siamo soliti.
Se in passato alcune culture – e per alcune culture è in parte ancora così – hanno trasmesso una concezione in termini negativi della sessualità, con una accezione di impurità
e peccato, oggi ci dovremmo sforzare di far nascere un concetto della sessualità intesa
come qualcosa di positivo, come una realizzazione del sé e dell’altro.
Ovviamente i mass media e in particolare la televisione dovrebbero promuovere l’inse-
gnamento di che cosa è l’amore, di cosa comporta sia a livello fisico che psichico, per
poter poi arrivare ad affrontare e approfondire il tema dei rischi che possono essere legati
ad una passione amorosa priva di precauzioni adeguate.
Le infezioni sessualmente trasmissibili sono in netto aumento: colpiscono per un terzo la
popolazione giovanile; sappiamo che gli adolescenti sono più colpiti e, poiché la malattia
è il più delle volte asintomatica e il giovane tendenzialmente sta bene, la consapevolezza
della malattia è estremamente tardiva. Purtroppo la consapevolezza del rischio è molto
bassa ed è spesso inversamente proporzionale alla vergogna che si prova: è difficile che
un giovane venga dal medico a parlare di sessualità e sovente non lo fa proprio perché si
67
trova di fronte una figura che non riconosce come un reale mezzo di educazione, per que-
sto occorre organizzare l’intervento educativo prima che i ragazzi abbiano bisogno di recarsi nell’ambulatorio di un medico.
Ribadisco ancora una volta che i nuovi costumi e determinati modelli che mutano i rapporti sessuali sono colti e adottati sempre più precocemente dai ragazzi; se a questa ten-
denza si associa la grande facilità degli spostamenti e quindi le migrazioni si osserva una
realtà importantissima, che ha come implicazione il ritorno di quelle patologie sessualmente trasmesse che, seppur non considerate completamente debellate, erano però in
forte riduzione, prime fra tutte la sifilide e la gonorrea.
L’Italia segue il trend europeo, per cui è sempre più facile trovarsi di fronte all’adolescente con problemi di infezioni sessualmente trasmesse: l’approccio multidisciplinare
sarebbe auspicabile e, ancora una volta, il medico dovrebbe essere l’ultimo anello della
catena di informazione, assistenza e cura. Perché ciò si realizzi occorre fare un lavoro
precedente, preventivo, che si adatti anche al nostro contesto - il nostro Istituto si oc-
cupa da 20 anni di migrazione – e che porti alla conoscenza della infezione sessual-
mente trasmissibile attraverso un approccio trans-culturale; nella nostra azione
quotidiana abbiamo potuto comprendere infatti che non si può fare una educazione ses-
suale basata e impostata sul modello italiano, ma è necessario prima di tutto comprendere quali sono le usanze, come viene intesa l’educazione sessuale nelle altre culture e,
solo in ultimo, evidenziare i punti cardine dell’intervento.
L’Istituto San Gallicano, fondato da papa Benedetto XIII proprio per fronteggiare le malattie
considerate neglette, che erano fondamentalmente quelle a trasmissione sessuale, si occupa da 20 anni di popolazioni migranti e delle malattie legate alla povertà, quindi di tutti
i piccoli gruppi di persone svantaggiate che hanno l’ulteriore svantaggio di non avere ri-
cevuto una educazione alla sessualità, ancor meno di quanto ne abbia avuta la popola-
zione italiana. L’Istituto è relativamente recente, ma vanta una avventura che ha una storia
di tre secoli e una delle sue principali missioni, oltre a quella della cura e dell’assistenza è
quella di lavorare sulla formazione: non è oggetto di attenzione solo la formazione delle
persone giovani, ma anche quella delle persone adulte che andranno poi a formare i giovani, perché il problema è rendere più attuali le conoscenze a tutti i livelli.
I giovani e gli adolescenti sono un gruppo a rischio e l’Organizzazione Mondiale della Sanità mette in allerta circa il fatto che si stanno nuovamente diffondendo patologie che, fino
ad oggi, un dermatologo venereologo aveva soltanto studiato sui libri. Questo fenomeno
deve essere avvertito come un vero campanello di allarme, perché, purtroppo, si tratta
della sconfitta di tutti i programmi di educazione svolti. Il fatto che ritornino malattie sessualmente trasmissibili, che si consideravano debellate, deve essere infatti letto come un
fallimento nella diagnosi e nella cura. Vogliamo dare soltanto qualche spot su particolari
condizioni che gli operatori sanitari riscontrano e che riteniamo debbano rientrare co-
68
munque in un’educazione sessuale di tipo multiculturale, come la comparsa di sintomatologie culturalmente caratterizzanti: un esempio pragmatico è la Dhat Syndrome, che è
una condizione che colpisce persone del sud continente indiano, quindi una popolazione
migrante. Per inciso desidero sottolineare che è bene tenere conto che i migranti in Italia
sono prevalentemente giovani, il migrante è per definizione una persona sana che lascia
il proprio continente solitamente per migliorare la propria condizione di vita. Dunque gli
operatori sanitari sempre più frequentemente accolgono pazienti del continente indiano
che riferiscono una sintomatologia del tutto simile ad una infezione sessualmente trasmissibile – pertanto inizialmente trattata con la prescrizione medica di una serie di esami
per cercare l’infezione - ma che, attraverso un’analisi più profonda e, stresso il concetto,
una valutazione multidisciplinare, si è arrivati a legare ad una sfera di tradizione culturale
propria delle persone che provenivano dal continente indiano.
È peraltro vero che i giovani migranti hanno una maggiore incidenza di infezioni sessualmente trasmissibili, la letteratura è piena di queste segnalazioni, in verità solitamente acquisite nel territorio di migrazione, pertanto qui, in Italia. Le persone immigrate, soprattutto
nei primi tempi dopo il loro arrivo, non hanno la possibilità per poter acquistare i profilat-
tici e risentono anche di una alterata percezione del rischio; sono perlopiù maschi in gio-
vane età, solitamente celibi, soprattutto al primo arrivo, che lasciano nei propri paesi
eventuali legami e condizioni socioeconomiche disagiate. Questi elementi possono fare da
link a tutti i fattori di rischio che fanno sì che, nella popolazione immigrata, le infezioni sessualmente trasmissibili siano in netto aumento rispetto ai corrispettivi giovani italiani.
Riteniamo che in un corretto programma di educazione sanitaria debbano essere com-
prese informazioni anche circa le mutilazioni genitali femminili, senza per questo voler
esprimere nessun giudizio di sorta, ma solo perché il giovane possa comprendere cosa
sono e sapere che un suo compagno o una sua compagna può essere a rischio di questa
pratica, anche se vive nel territorio europeo.
Il nostro Istituto partecipa a diverse campagne, delle quali vorrei citarne due: la prima è
Aids Mobility , legata alla formazione dei mediatori trans-culturali, cioè di quelle figure –
si tratta solitamente di un immigrato presente sul territorio da diversi anni e quindi porta-
tore di una serie di codici e di tradizioni - che permetteranno di andare nella propria comunità e fare educazione. La seconda è invece una campagna di prevenzione e contrasto
delle mutilazioni genitali femminili, promossa a livello italiano con l’intento di informare e
cercare di far comprendere alla popolazione cosa sta dietro a tali mutilazioni.
Quindi l’educazione ai sentimenti, l’educazione alla sessualità, deve diventare una necessità
sia in quanto portatrice di affascinanti sconvolgimenti, sia come possibile gesto di preven-
zione della diffusione delle infezioni. Deve essere un insegnamento appassionante, privo di
qualsiasi tabù e fatto al contempo senza esprimere alcun giudizio, perché la conoscenza è
uno strumento fondamentale per formare persone capaci di fare scelte consapevoli.
69
Maria FERRARA - Elisa LANGIANO34
Il progetto DEATH: da eros a thanatos, Aids e malattie a trasmissione
sessuale. Valutazione dell’efficacia di un intervento educativo in tema
di Aids e MST.
La nostra relazione ha l’intento di presentare la mostra che abbiamo allestito in questa
sede universitaria ed in più ha l’obiettivo di presentare una serie di indagini che sono
conseguenti ad essa.
Nel rapporto sulla salute nel mondo del 2002, basata sui dati dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità, per quanto riguarda la regione europea i rapporti sessuali non protetti sono inseriti al nono posto come principale fattore di rischio individuato. Quindi, poiché rappre-
sentano una priorità, abbiamo svolto una serie di ricerche tra il 2003 e il 2008. Il Centro di
Ricerca per la Diffusione della Cultura Scientifica e l’Educazione alla slaute dell’Università di
Cassino, ha condotto diverse indagini nell’ambito di un progetto, finanziato dall’Istituto Su-
periore di Sanità, che prevedeva anche una serie di interventi educativi sulle Malattie a Tra-
smissione Sessuale, corredati da una mostra multimediale “DEATH: da eros a thanatos, Aids
e malattie a trasmissione sessuale”. Ovviamente, l’età sempre più bassa dell’inizio dei rap-
porti sessuali, ma anche il numero di rapporti occasionali che aumenta nella fascia giovanile, portano come conseguenza l’aumento di gravidanze indesiderate, di aborti volontari e
sicuramente l’aumento dell’incidenza delle infezioni sessualmente trasmesse; quindi l’edu-
cazione sanitaria, con particolare riguardo all’educazione sessuale degli adolescenti, deve
diventare una priorità nell’ambito della programmazione sanitaria nazionale e internazionale.
Pertanto, l’obiettivo specifico del progetto Death è proprio quello di aumentare nei giovani
il bagaglio di informazione relativo alle modalità di trasmissione delle diverse infezioni a tra-
smissione sessuale ed AIDS. Il progetto ha previsto una serie di fasi e ha coinvolto una serie
di attori: insegnanti, studenti e genitori; i primi ad essere coinvolti sono stati gli insegnanti,
che hanno partecipato ad un corso di formazione sull’educazione alla sessualità. In parti-
colare, abbiamo tenuto conto degli insegnanti referenti per l’educazione alla salute e, contestualmente, abbiamo lavorato sugli studenti, facendo visitare loro la mostra, realizzando
una serie di indagini sulle loro conoscenze, abitudini e comportamenti, e infine dando loro
la possibilità di incontrare esperti del settore. Naturalmente nel corso di questo progetto abbiamo coinvolto anche i genitori – registrando però una bassissima adesione – ai quali ab-
biamo proposto diversi incontri pomeridiani per illustrare loro come eventualmente
approcciarsi alle esigenze dei propri figli. È importante che, quando si parla di educazione
alla salute e promozione della salute, vi sia una cooperazione tra le istituzioni e la famiglia.
La visita alla mostra è stata affiancata da studi osservazionali tra gli studenti delle scuole su34
Ricercatrici in Igiene, Dipartimento Scienze motorie e salute, Università degli Studi di Cassino
70
periori e tra gli studenti universitari della città di Cassino; la raccolta dei dati è avvenuta at-
traverso tre tipi di questionari, realizzati ad hoc a seconda della età e dell’indagine. I que-
stionari sono stati standardizzati con degli studi pilota condotti su una parte dei campioni
individuati; la loro somministrazione è stata effettuata nelle scuole da personale preceden-
temente formato dai ricercatori dell’università. Il titolo del progetto “Death” sottolinea proprio che i comportamenti sessuali poco prudenti sono comunque pericolosi e con delle
conseguenze abbastanza gravi. La mostra è costituita da quattro sezioni più una sezione
rossa ed è introdotta da un breve excursus storico che spiega come le malattie veneree in
senso generale abbiano accompagnato l’uomo sin dalla prima comparsa sulla terra. Per
ogni malattia è stata illustrata l’origine, la sua evoluzione e la sua prevenzione. La succes-
siva sezione epidemiologica la illustrato la diffusione delle malattie sessualmente trasmesse
nel mondo. Sono state fornite poi una serie di informazioni su come queste infezioni vengono
e, soprattutto, quali sono le conseguenze di tali malattie. La sezione di biologia e clinica
tratta degli agenti patogeni dell’Aids e delle altre malattie, illustrando i sintomi che si mani-
festano nelle donne e negli uomini; in più, fornisce una serie di suggerimenti su come even-
tualmente comportarsi qualora si contraggano. Questa sezione aveva una serie di termini un
po’ particolari, un po’ difficili dal punto di vista della comprensione perché fortemente tecnici, per cui durante la visita alla mostra era possibile consultare un apposito glossario preventivamente preparato. La sezione più seguita e che è stata la base di partenza delle
diverse ricerche condotte sull’argomento è stata quella dedicata alla prevenzione, scaturita
da una serie di indagini svolte dalla Cattedra di Igiene della nostra università sulla cono-
scenza, sull’attitudine e sui comportamenti nei confronti di queste malattie. Queste indagini
hanno coinvolto studenti universitari e delle scuole del nostro bacino di utenza e hanno
messo in evidenza che i giovani, in realtà, hanno una buona conoscenza della Aids, delle mo-
dalità di trasmissione e su che cos’è, ma hanno invece scarsa informazione circa le altre
malattie a trasmissione sessuale. Questo aspetto si trova in accordo con quanto detto fino
ad ora in questa sede e rappresenta la sottovalutazione della pericolosità delle altre malat-
tie a trasmissione sessuale: quando si parla di MST il campanello di allarme si accende per
l’Aids, ma non per le altre malattie. L’obiettivo del nostro intervento è stato quindi quello di
informare correttamente su tutte le malattie diffuse in quella fascia della popolazione attiva
sessualmente e quindi, per questo, più soggetta al rischio di contagio. Nella stessa sezione
dedicata alla prevenzione sono state date delle regole semplici - però fondamentali - su
come evitare di contrarre queste malattie. È stato loro consigliato di utilizzare sempre il preservativo, specialmente in caso di un rapporto occasionale. A questo proposito desidero
riallacciarmi a un dato diffuso ieri da un andrologo che citava una indagine svolta in 6 regioni
d’Italia da cui risulta che il 2.6% degli intervistati utilizza il condom. Si tratta di una ricerca
che ha previsto la somministrazione di un questionario a 10 mila ragazzi di sesso maschile,
studenti dell’ultimo anno del liceo o delle scuole superiori, quindi a ragazzi di 18 anni. Credo
71
che questo dato abbia una sua valenza, anche perché troviamo un dato più o meno uniforme
nelle indagini fatte a livello europeo; da una indagine condotta tra gli studenti universitari,
quindi tra ragazzi più grandi, emerge invece che il 70% dichiara di utilizzare qualche volta il
preservativo, mentre il 42% dice di farne uso spesso.
È stata sottolineata l’importanza dell’utilizzo del preservativo e del suo corretto utilizzo e
fornite informazioni sul test dell’HIV, sul quale erano totalmente disinformati. La nostra at-
tenzione è stata posta sulla comunicazione. Nel dialogo con loro ci siamo resi conto che il
più delle volte i ragazzi non si sottopongono al test proprio quando hanno avuto un rap-
porto a rischio perché hanno paura di essere identificati, sottolineando che il test è ovviamente sottoposto alla legge sulla privacy. Sempre nella sezione sulla prevenzione sono state
date informazioni sul numero verde istituito all’epoca dal Ministro della Salute, oltre a una
serie di link sia in italiano che in inglese su cui cliccare per avere migliori informazioni.
L’accesso alla zona rossa era riservato ai ragazzi più grandi, facendo scegliere loro la pos-
sibilità di visitarla, poiché il percorso della rassegna prevedeva immagini “forti”.
La prima indagine ha riguardato la comprensione linguistica e contenutistica della mostra e
l’eventuale modificazione dei comportamenti dei visitatori, questa è stata condotta attra-
verso la somministrazione di un questionario anonimo agli studenti del liceo classico e del
liceo scientifico, i cui soli presidi ci hanno dato il consenso una volta valutato l’argomento.
Il questionario - distribuito dopo qualche settimana dalla visita per dare la possibilità ai ra-
gazzi di interiorizzare le informazioni presentate alla mostra - era costituito da 14 domande
e prevedeva risposte chiuse, che richiedevano un parere secondo una scala di valori, oppure
risposte come sì, no, non so. L’adesione è stata di 529 studenti, prevalentemente di sesso
femminile, di circa 16 anni. Per quanto riguarda l’acquisizione delle nuove conoscenze poco
meno della metà degli intervistati ha risposto che la mostra è servita ad acquisire nuove co-
noscenze, soprattutto relativamente alle altre malattie sessualmente trasmesse, per quanto
riguarda i rischi e i comportamenti conseguenti da adottare per prevenirle. Per quanto con-
cerne l’approfondimento e le modifiche delle conoscenze già possedute il 50% di chi aveva
già alcune informazioni ha approfondito quell’informazione grazie alla visita alla mostra. Nella
valutazione dei dati dei questionari restituiti non abbiamo riscontrato differenza tra i sessi e
neanche tra istituti di appartenenza e la mostra ha suscitato interesse nel 44%, anche se ci
aspettavamo una percentuale maggiore.
Abbiamo inoltre chiesto loro di esprimere un giudizio su alcuni aspetti della mostra: il lin-
guaggio utilizzato è risultato comprensibile per oltre il 50%, i termini utilizzati facevano già
parte del vocabolario dei visitatori e non è risultata difficile la comprensione dei temi trattati
secondo il 31%; abbiamo anche chiesto qual era la sezione che, secondo loro, doveva es-
sere aggiornata o approfondita e trattata in modo più ampio: hanno indicato la sezione dedicata alla prevenzione e la zona rossa. Questo sta a significare quanto sia importante per
i giovani avere l’informazione, ma soprattutto la possibilità di poter fare delle scelte libere sui
72
propri comportamenti sessuali: il 75% dei soggetti ha dichiarato di aver avuto rapporti ses-
suali e soltanto il 24,5% ha affermato di aver attuato qualche cambiamento nel proprio com-
portamento dopo la visita alla mostra. Vi sono stati ovviamente cambiamenti a breve termine,
differenti sia tra le fasce di età che tra i sessi, probabilmente attuati fondamentalmente at-
traverso l’utilizzo del preservativo, ma rimane il quesito su quali potranno essere i cambiamenti duraturi nel tempo.
Nella nostra analisi abbiamo intervistato anche i ragazzi delle scuole medie inferiori:
le immagini della zona rossa sono state considerate utili ai fini della prevenzione dall’88%
del campione, anche se numericamente minimo, ma il risultato è stato importante perché il
quesito serviva soltanto per capire se quel tipo di impostazione educativa fosse efficace.
La mostra può pertanto essere considerata un valido strumento di prevenzione, sia per l’acquisizione che per il miglioramento delle conoscenze già in possesso degli studenti.
Non possiamo dire che abbia in qualche modo inciso in maniera importante sul cambiamento dei comportamenti, però l’aumento di conoscenza ha portato i ragazzi ad essere un
po’ più responsabili. Quello che ci preme sottolineare, e che abbiamo riscontrato nelle in-
dagini successive, è il fatto che l’intervento educativo finalizzato soltanto all’informazione
non serve a nulla - o serve sicuramente a poco - nella modifica dei comportamenti: bisogna
puntare sulla percezione del rischio che per i giovani è bassissima. Non si rendono conto di
quanto effettivamente possano essere pericolosi comportamenti non adeguati, da quelli
sessuali a quelli legati all’uso di sostanze, per cui per raggiungere l’obiettivo di modificare i
comportamenti dei giovani va fatto qualcosa proprio sulla percezione del rischio.
Il progetto prevedeva altre indagini fatte parallelamente, tutte comunque con l’obiettivo
principale di aumentare nei giovani le informazioni relative alle modalità di trasmissione
di queste patologie infettive. Le indagini principali sono state poi pubblicate: la prima,
che ha riguardato come popolazione campione gli studenti delle scuole superiori di
Cassino, è pubblicata nel Rapporto ISTISAN 06/2 del 2006; la seconda, fatta tra la po-
polazione universitaria e relativa alle infezione HIV e Aids, è pubblicata sulla rivista Difesa Sociale sempre del 2006. L’obiettivo di questa seconda indagine è stato quello di
stimare il livello di conoscenza sull’Aids e sulle malattie sessualmente trasmissibili e di
valutare l’efficacia dell’intervento educativo: per far ciò abbiamo utilizzato un questionario, costituito da 25 domande a risposta prevalentemente multipla, somministrato
agli studenti del liceo classico e del liceo scientifico, che purtroppo sul nostro territo-
rio sono gli istituti più sensibili a partecipare a progetti di prevenzione. Abbiamo somministrato un questionario pre-test per valutare le conoscenze iniziali, dopo di che è
stato effettuato l’intervento educativo, limitato a quelle classi in cui gli insegnanti avevano dato la loro adesione, svolto durante le ore di lezione degli insegnanti di biologia,
maggiormente sensibili alle problematiche trattate. Infine gli studenti hanno visitato la
mostra. Per valutare l’effetto sia della visita alla mostra che dell’intervento educativo ab-
73
biamo preferito, non potendo purtroppo lavorare molto con i ragazzi, somministrare il
questionario post-test a distanza di sei mesi dalla visita alla mostra. Al pre-test hanno
partecipato 583 studenti, mentre al post-test il numero è sceso a 403: la differenza numerica è stata determinata dal fatto che al pre-test avevano risposto anche ragazzi
delle ultime classi del liceo che purtroppo non abbiamo potuto recuperare e, in misura
minima, dal fatto che alcuni studenti si sono rifiutati di partecipare. L’età media dei ragazzi intervistati era di 17 anni e, per quanto riguarda la distribuzione di genere, era
equamente distribuita.
La prima domanda, abbastanza generica, era: “conoscete le malattie sessualmente tra-
smissibili?”. Nel pre-test circa il 64% ha risposto di non conoscerle, mentre nel post-test la
percentuale è scesa al 49,20%. Si è avuta una differenza statisticamente significativa, es-
sendo risultate più informate le ragazze rispetto ai ragazzi. In realtà, questa domanda abbastanza generica è ben collegata con la seguente, dalla cui risposta si evince quanto
abbiano inciso le campagne informative fatte precedentemente nei confronti dell’Aids. Infatti,
ponendo davanti ai ragazzi un panel di malattie, tra le quali dovevano riconoscere quelle
sessualmente trasmissibili, la quasi totalità ha indicato l’Aids, mentre l’herpes genitale e altre
importanti patologie non sono state riconosciute, evidenziando, come del resto atteso, che
il grosso delle conoscenze si ha nei confronti dell’infezione da HIV. Un’altra domanda chiedeva di riconoscere quale fosse il metodo migliore per prevenire queste malattie: nel pre-test
ha risposto “l’uso del profilattico” il 90% degli intervistati, nel post-test questa percentuale
si è innalzata, come è aumentata la percentuale di coloro che hanno risposto “il rapporto con
un solo partner”, intendendo con un solo partner la relazione stabile, e “un partner di cui si
conoscono le abitudini sessuali”. Una domanda poneva il quesito se l’uso della pillola anti-
concezionale potesse in qualche modo essere in relazione con la prevenzione dell’HIV: pur-
troppo ha risposto sì il 22,6% degli studenti, secondo cui l’impiego della pillola aiutava anche
nella prevenzione del rischio dell’infezione; nel post-test per fortuna si è molto contratta la
percentuale di tali studenti. Inoltre nel pre-test dovevano essere individuate le categorie più
a rischio: vengono sempre riconosciuti i tossicodipendenti e gli omosessuali, mentre la con-
centrazione di chi aveva riconosciuto anche negli eterosessuali una categoria a rischio era
bassissima. Dopo l’intervento è praticamente più che raddoppiata la percentuale di coloro
che, invece, riconoscono in tutte le precedenti categorie le categorie a rischio! È stato poi
chiesto se avessero già avuto rapporti sessuali: il 43% ha risposto di sì e di questi il 66%
era di sesso maschile. È stata posta una domanda sulle abitudini sessuali: “quanti partner
hai avuto negli ultimi tre anni?”. È risultata, come atteso, cospicua la percentuale di coloro
che hanno avuto più di tre partner e questi dati riflettono altre ricerche pubblicate in Italia,
che fanno emergere anche una differenza statisticamente significativa di genere.
Attraverso questa indagine abbiamo potuto valutare che l’efficacia delle campagne promo-
zionali sull’Aids si riflette indirettamente anche sull’acquisizione di altre conoscenze, benché
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naturalmente un intervento di 2 ore e la visita ad una mostra a tema non possano, da soli,
essere efficaci nella prevenzione di queste malattie, per le quali è necessario un cambia-
mento dei comportamenti.
L’altra indagine è stata fatta sugli studenti universitari dell’ateneo cassinate; il cam-
pione, più numeroso, è essenzialmente costituito – vista la posizione geografica di Cassino - da studenti della provincia di Frosinone, provincia confinante con la città di Roma,
e delle provincie limitrofe. Dal test a risposta multipla emerge che le conoscenze acquisite provengono prevalentemente dai mass media, mentre la scuola, il medico, i libri
e le riviste, vengono interpellati da una bassa percentuale di studenti. Anche da questa intervista emerge che la categoria degli eterosessuali è quella riconosciuta come
meno a rischio, mentre un dato confortante riguarda la capacità di riconoscere tutti i liquidi biologici in cui è presente il virus HIV che, quindi, possono veicolare l’infezione.
Un dato interessante è che gli studenti affermano di essere a conoscenza di come prevenire l’HIV, però la percentuale di chi fa uso del profilattico si abbassa al 74% del cam-
pione; inoltre, come abitudine lo utilizza solo il 44% degli intervistati e lo usa raramente
soprattutto chi ne avrebbe più bisogno perché ha avuto più partner nell’ultimo anno. Per
quanto concerne la pillola anticoncezionale gli studenti non sono a conoscenza del
ruolo svolto e danno risposte vaghe. Un dato allarmante, su cui riflettere, è l’età del
primo rapporto, talvolta inferiore ai 12 anni.
Dall’analisi delle variabili si vede che le associazioni più significative sono l’essere di sesso
maschile, l’età del primo rapporto inferiore a 12 anni, la frequenza dei rapporti occasionali,
l’utilizzo di alcol ed anche la provenienza geografica; questi dati si accordano con quelli
pubblicati sulla letteratura nazionale.
Invece fattori di protezione sono risultati il convivere in famiglia e avere una mamma ca-
salinga - che magari si occupa di più e ha più attenzione per i figli - e l’accesso all’informazione dei quotidiani e di opuscoli informativi. Quindi, per quanto riguarda le
conclusioni, possiamo sicuramente affermare che i giovani sono inclini ad una sottovalutazione del rischio: questa adozione di comportamenti sessuali a rischio implica
molto spesso l’accettazione consapevole di esso; molti adolescenti, anche se consa-
pevoli dei pericoli correlati a determinati comportamenti sessuali, tendono a sottostimare le conseguenze negative in quanto non ritengono che questi eventi possano
capitare loro. Bisogna pertanto fare in modo che i giovani possano operare delle scelte
consapevoli, modificando i comportamenti a rischio e promuovendo dei comportamenti
sicuri: per far ciò e necessario potenziare gli interventi preventivi diretti prevalentemente
alle fasce giovanili, mentre le strategie educative devono essere fornite in maniera più
sistematica e non sporadica e su base volontaria. I giovani hanno espresso la neces-
sità di un loro coinvolgimento e la possibilità di partecipare sin dall’inizio alla progettazione degli interventi educativi. E questo aspetto non è da sottovalutare.
75
I Disturbi del Comportamento
Alimentare ed i differenti approcci
nella cura e nella prevenzione.
I cosiddetti DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare), in particolare anoressia, bulimia
e obesità (rapporto compulsivo con il cibo) sono gravi patologie che nascono nella psiche
e si servono del corpo per esprimere una sofferenza profonda.
Il corpo che si riempie e si svuota, dimagrisce fino all'osso o ingrassa smodatamente è il
segno visibile di gravi disagi. Queste patologie, infatti, possono essere rappresentate come
un iceberg: la punta che emerge è costituita o dal rifiuto del cibo, dal conteggio ossessivo
delle calorie, dall'iperattività, da ingestione di cibo senza freni seguita da vomito auto-in-
dotto, ovvero ancora da un'assunzione smodata e continua di cibo che porta ad un impor-
tante aumento ponderale. La parte sommersa è il luogo dove si situano le problematiche
soggettive, i vissuti, le emozioni, il dolore, le esperienze che hanno segnato la vita. Fermarsi
a ciò che appare, considerare solo l'aspetto visibile di anoressia, bulimia e obesità, significa
ignorare la parte più importante del problema.
È per questo che oggi la comunità scientifica tende a proporre per i Disturbi del Com-
portamento Alimentare modelli multifattoriali che si rifanno ad un'ottica bio-psico-sociale ed è concorde nell'affermare che non esiste una causa unica, ma una
concomitanza di fattori che possono variamente e diversamente interagire tra loro nel
favorirne la comparsa e il perpetuarsi.
La cura, però, si pone ancora come una vera e propria sfida per i terapeuti, dal momento che
i Disturbi del Comportamento Alimentare sono patologie molto complesse, di lunga durata
e da possibili esiti a volte molto gravi. I diversi tentativi terapeutici effettuati nel corso degli
anni si sono dimostrati variabili, sia per l’effetto diretto sui sintomi, sia per l’efficacia sui nu-
clei psicopatologici fondamentali che sono alla base di queste malattie.
Oggi, la comunità scientifica internazionale ha condiviso, per i risultati a medio e lungo ter-
mine, l’utilizzo di un approccio terapeutico integrato, in cui più figure (internista, dietista,
psichiatra, psicologo, educatore) si occupano a livelli diversi del soggetto portatore della
patologia nelle sue diverse fasi, dei familiari e del gruppo dei pari.
Anche relativamente al luogo in cui svolgere le cure, la comunità scientifica propone di-
verse ipotesi legate alle esigenze dei pazienti, allo stadio della patologia ed all’approccio terapeutico.
Tuttavia, per affrontare ogni aspetto nella cura e nella prevenzione dei Disturbi del Com-
portamento Alimentare è stata, spesso, evidenziata la necessità di prevedere strutture
diverse per ambito e funzione quali l’ambulatorio, il day hospital, il centro diurno, la comunità residenziale.
Le valutazioni fino ad ora espresse hanno rilievo anche relativamente alle attività ine-
77
renti la prevenzione. Individuare metodologie efficaci, ambiti di azione, tipologie di approccio risulta fondamentale per poter costruire interventi efficaci tesi non soltanto ad
evidenziare l’importanza del rapporto con il cibo, ma anche ad intercettare le prime insorgenze dei sintomi e effettuare diagnosi precoci.
Un ruolo importante in questo percorso di accoglienza e di ricerca sui Disturbi del Comportamento Alimentare va riconosciuto al coinvolgimento di associazioni di familiari e di
ex pazienti impegnate in attività di prevenzione, spesso con istituzioni e servizi pubblici.
La seconda sessione avrà come tema di approfondimento il confronto metodologico
sulla prevenzione e la cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare, con una parti-
colare attenzione all’anoressia ed alla bulimia; si confronteranno diverse esperienze
professionali e le buone pratiche per comprendere come rispondere all’aumento preoccupante che ormai riguarda giovani e meno giovani della diffusione di queste che è
ormai necessario considerare vere e proprie malattie.
Il nostro scopo è quello di individuare il modo di intercettarle appena si manifestano, ma
anche quello di offrire una possibilità di cura a tutte quelle persone che non riescono
ad uscire da questo tunnel e comprendere cosa si muove dentro ragazzi e ragazze che
si riducono quasi in fin di vita.
Chair di questa sessione sarà la professoressa Laura Dalla Ragione, Responsabile del
Centro per la cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare di Todi e Responsabile
per la Regione Umbria del progetto realizzato con il Ministero della Salute e il Diparti-
mento della Gioventù, dal titolo: “Guadagnare salute, le buone prassi nella cura e nella
prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare”. Rapporteur della sessione
sarà la professoressa Simonetta Costanzo, docente della Facoltà di scienza dell’educazione dell’Università della Calabria.
78
Laura DALLA RAGIONE35
“Guadagnare salute – Le buone prassi nella cura dei disturbi dell’alimentazione”
Vorrei presentare brevemente il progetto Guadagnare salute, che diversi ministeri hanno
portato avanti sinergicamente in questi due anni, con la partenza nel 2008 e la conclusione
fissata alla fine del 2010. Guadagnare salute è il progetto delle buone pratiche nel disturbo
del comportamento alimentare, che sicuramente molti di voi conoscono e che si sta avviando verso la fase conclusiva: la scorsa settimana ne abbiamo presentato i primi risultati.
Il primo degli obiettivi da raggiungere era la stesura di una mappa dei centri italiani dedicati
al disturbo del comportamento alimentare, punto di arrivo per capire quale fosse lo stato del-
l’arte nell’assistenza in Italia. Sicuramente la realizzazione di questo quadro è stata impor-
tante, perché ci ha consentito di capire quali possono essere i luoghi, i modi e i tempi delle
terapie, a partire da grandi modificazioni dei Disturbi del Comportamento Alimentare, che
non sono sicuramente più quelli definiti dal DSM-IV, bensì quelli che conoscevamo già dieci
anni fa. Questa considerazione ci pone davanti a problemi nuovi: il problema dell’appropriatezza degli interventi è stato infatti messo in luce a partire proprio dalla fotografia che ab-
biamo cercato di fare e che, ribadisco, era uno degli obiettivi del progetto. Risulta
fondamentale consentire percorsi assistenziali che non siano inappropriati e che consentano
la diagnosi precoce, uno dei fattori predittivi per una prognosi positiva, determinata soprat-
tutto da tempestività della diagnosi e continuità delle cure. Quello della diagnosi e della cura
è un grandissimo problema e rappresenta una cronicità vecchia e nuova: abbiamo persone
che si sono ammalate venti anni fa e non sono state curate perché non c’erano i servizi ade-
guati per farlo e perché, rispetto a questa patologia – i Disturbi del Comportamento Ali-
mentare, indicati con l’acronimo DCA -, c’era poco di compiuto e di specifico nella terapia;
ma abbiamo anche persone che sono ammalate e non sanno ancora di esserlo, perché nes-
suno se ne è accorto e che, pertanto, arrivano ancora troppo tardi alle cure. Ai livelli di as-
sistenza per questo tipo di disturbo - ambulatoriale, di day hospital, di ricovero ordinario e
residenziale – è stato aggiunto un quinto livello, quello della lungo degenza. Tra questi livelli,
l’intervento più specifico per i disturbi alimentari più gravi e più critici spetta al day hospital,
che rappresenta una fase intermedia di assistenza e cura, mentre l’ambulatorio riguarda la
grande fascia dell’intervento e svolge compiti di prima accoglienza, consulenza, diagnosi,
rinforzo della motivazione ed orientamento dei pazienti, filtro diagnostico e terapeutico per
i successivi livelli terapeutici; esistono poi le strutture residenziali abitative per comunità,
che sono strutture residenziali che prevedono un periodo di degenza più lunga per i pazienti
molto gravi, che hanno bisogno di interventi più strutturati e complessi gestiti da équipe
35
Psichiatra, Responsabile Centro sui Disturbi del Comportamento Alimentare di Todi.
79
molto disciplinate, senza le quali non potremmo andare davvero molto lontano. Tutte le linee
guida internazionali suggeriscono la necessità di una continuità assistenziale e la possibi-
lità, per i pazienti e per le loro famiglie, di muoversi da un livello di cura all’altro: nel progetto
abbiamo messo in luce un aspetto importante, identificato come obiettivo dai ministeri coin-
volti, ovvero che ogni regione abbia una rete completa di assistenza in grado di evitare grandi
costi sociali ai famigliari e ai pazienti, che spesso devono girare da una regione all’altra per
accedere al livello di cura necessario.
Il progetto “Le Buone Pratiche di cura nei Disturbi del Comportamento Alimentare”, a cui ora
facciamo riferimento, si inserisce nel più ampio quadro del protocollo Guadagnare salute che
ha riguardato grandi aree del benessere fisico e della salute dei cittadini, di cui un settore è
stato appunto dedicato ai Disturbi del Comportamento Alimentare, tema - non a caso ripreso
dalla conferenza europea – che dal punto di vista epidemiologico pone oggi dei grandissimi
problemi. Accanto alla creazione della mappa dei servizi dedicati ai DCA, il progetto si è pro-
posto di realizzare due ulteriori obiettivi, entrambi indispensabili a rispondere in maniera più
adeguata al bisogno di cura dei pazienti affetti da DCA: una attività di sorveglianza e una re-
visione delle evidenze scientifiche in materia di Disturbi del Comportamento Alimentare. Non
è naturalmente un caso che l’assistenza e la prevenzione non siano stati affrontati insieme,
scelta determinata dal fatto che si ritiene che l’uno non possa esimersi dall’altro.
L’attività di sorveglianza ha analizzato alcuni obiettivi di assistenza ed ha coinvolto 5 centri
sentinella: l’USL 3 della Basilicata, l’ASL 10 del Veneto Orientale, la ASL Roma E, l’ASL 2 Sa-
vonese e l’ASL 2 dell’Umbria, scelta come capofila. Nell’attività di revisione invece, quella
delle “buone pratiche della prevenzione”, si è proceduto ad una revisione sistematica della
letteratura sui principali argomenti in tema di trattamento dei Disturbi del Comportamento
Alimentare, al fine di raccogliere tutte le evidenze scientifiche disponibili e realizzare un do-
cumento che costituisca la base per l’elaborazione di una Linea Guida Nazionale.
Nel progetto di prevenzione sono state individuate quattro grandi macroaree – afferenti al
mondo giovanile -, che rappresentano i fattori di diffusione e di rischio principali: i mass
media, la scuola, il mondo delle diete e il mondo dello sport. Per ogni area è stato individuato
un soggetto – un gruppo di associazioni o un centro pubblico o privato convenzionato -, che
ha analizzato questo tipo di problema: l’ospedale Bambin Gesù ha raccolto dati sul settore
dei siti pro anoressia, l’ABA (Associazione contro l’Anoressia e la Bulimia) sulla scuola, l’as-
sociazione Jonas sul mondo delle diete, l’ospedale Niguarda di Milano, l’associazione
ONLUS Salomè di Lecce, l’ASL 3 di Lecce con il contributo della dottoressa Caterina Renna
sullo sport; ricordiamo ancora, tra gli altri enti, la partecipazione dell’Ospedale Molinette di
Torino e la cooperativa sociale Il Minotauro.
La mappa delle strutture e delle associazioni dedicate ai DCA – primo obiettivo del nostro
progetto -, il cui sito è www.disturbialimentarionline.it, è stata presentata la scorsa setti-
mana; il sito ha avuto già moltissimi contatti - circa 2000 - proprio perché rappresenta lo stru-
80
mento per poter avere una fotografia, un elenco che garantisca che le prestazioni siano erogate da centri pubblici e da centri privati convenzionali, quindi con un minimo di garanzie,
e che il cittadino possa avere la certezza di non incappare, come invece sta succedendo ora,
in truffe oppure rivolgersi a centri che non hanno alcun accreditamento.
Abbiamo constatato che, purtroppo, esistono grosse differenze di assistenza da una re-
gione all’altra e, in particolare, abbiamo messo in evidenza una criticità che riguarda i pazienti
molto giovani, che rappresentano una nuova emergenza per gestire la quale dovremmo “im-
maginare” dei servizi, dal momento che la maggior parte delle strutture censite non acco-
glie pazienti sotto i 14 anni. Quindi questo è un problema sul quale dovremmo sicuramente
discutere e lavorare.
Il secondo degli obiettivi di questo lavoro era la sorveglianza su 600 pazienti dei 5 centri italiani menzionati, sorveglianza che ha messo in evidenza molte delle differenze di cui ac-
cennavo prima: i disturbi sono cambiati, l’anoressia non è più il problema principale, ma
piuttosto lo sono i disturbi non altrimenti specificati, i disturbi da alimentazione incontrollata;
certamente questo lo sapevamo, ma possiamo dire che la sorveglianza e l’analisi che ab-
biamo fatto ce lo hanno ampiamente confermato. I disturbi hanno subìto e stanno subendo
una grossa modificazione e questo ci pone dei problemi nuovi, perché appunto gli ultimi disturbi entrati a far parte del novero dei DCA - tra cui il disturbo da alimentazione incontrol-
lata - sono disturbi che necessitano di terapie ancora più complesse rispetto a quelle
utilizzate fino a quattro o cinque anni fa. L’approccio che ormai tutti stiamo adottando tiene
conto del fatto che si tratta di disturbi che cambiano anche all’interno dello stesso paziente:
un paziente non mantiene più lo stesso tipo di patologia, ma piuttosto la modifica nell’arco
della sua storia e biografia patologica.
L’altro grande elemento che noi osserviamo è quello della comorbilità psichiatrica, cioè la
presenza, accanto a disturbi del comportamento alimentare, di altre forme di patologia e di
altri disagi. Un altro punto che abbiamo messo in evidenza nella sorveglianza è che la maggior parte di questi pazienti ha fatto tantissimi trattamenti, spesso inappropriati: “solo” il
15% dei pazienti che sono arrivati ai servizi non aveva fatto altre terapie, mentre la maggior
parte aveva fatto tre, quattro, cinque o sei tipi di terapie spesso senza esito, senza suc-
cesso, quindi con un aumento del tempo di patologia - che nel frattempo cronicizzava e an-
dava avanti - e con una progressiva riduzione della motivazione a causa del fallimento
terapeutico. Spesso, inoltre, la maggior parte di questi trattamenti era inappropriata, non
completa, non specifica, pertanto questo rimane un aspetto sul quale bisognerà lavorare,
poiché la tempestività della diagnosi assieme alla prontezza e correttezza dell’intervento
sono un punto fondamentale dell’assistenza.
Un altro tema che emerge sempre più spesso è quello della necessità del coinvolgimento
della famiglia all’interno del trattamento, che ne consenta la collaborazione e ne favorisca
la capacità di funzionare da attore all’interno dell’intervento terapeutico.
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Emanuela RAMPELLI36
I progetti del Dipartimento della Gioventù
Il mio intervento ha lo scopo di illustrare alcune azioni che sono state realizzate dal Diparti-
mento della Gioventù sia in materia di prevenzione dei Disturbi del Comportamento Ali-
mentare, oggetto di approfondimento di questa Sessione, sia nell’ambito del disagio
giovanile, nella convinzione che, anoressia, bulimia e binge eating, rappresentino solo la
manifestazione di un malessere molto profondo.
Possiamo dire che le due linee direttrici su cui gli interventi hanno agito sono, da una parte,
specificamente mirati ai ragazzi ed alle loro problematiche, dall’altra, più in generale, rivolti
agli ambiti sociali che questi frequentano o con cui quotidianamente interagiscono, per va-
lutarne l’incidenza e l’influenza che esercitano.
La concezione di prevenzione primaria o generale che, a mio avviso, resta l’intervento più
efficace e maggiormente di impatto, impone la programmazione di attività che non siano li-
mitate a fenomeni specifici (anoressia e bulimia, dipendenze da sostanze, gioco d’azzardo)
ma lavorino sui giovani prima che l’eventuale “disagio” si manifesti attraverso una serie di
comportamenti patologici.
In questo senso hanno agito due azioni previste dal progetto “la prevenzione sociale dei Di-
sturbi del Comportamento Alimentare” che coinvolgevano direttamente i ragazzi ed il mondo
della scuola. Da una parte, si è lavorato sulla relazione e sul rapporto interpersonale tra i pari
e tra giovani ed adulti, cercando di prevenire o, quando intercettato, agire sul disagio; dal-
l’altra è stata realizzata una indagine che, attraverso la predisposizione di questionari e con
approfondimenti svolti tra una prima somministrazione ed un’altra, andasse a definire l’in-
dice di rischio gli studenti delle scuole di Latina, di sviluppare, in futuro, un comportamento
alimentare non corretto che potesse sfociare appunto in anoressia e bulimia.
Relativamente alla prevenzione secondaria è, invece, fondamentale costruire degli interventi che
vadano ad incidere sulle problematiche che già sono emerse e quindi siano mirati e specifici.
Parlo, ad esempio del progetto “Timshell” (ora “tu puoi”) che sarà illustrato successiva-
mente, che è una delle azioni dello stesso progetto ma che ha il fine specifico di arginare il
proliferare di blog e siti pro anoressia (pro ana) e pro bulimia (pro mia) dove le ragazze si ag-
gregano per consigliarsi, ad esempio, sulle diete, su come resistere alle tentazioni del cibo
o su come eludere i controlli dei genitori. Leggere i contenuti dei commenti “postati”, alcuni
davvero drammatici, ci ha consentito di conoscere molto a fondo questo fenomeno e ci ha
reso consapevoli dell’urgenza di intervenire attraverso uno strumento idoneo a contrastare
la loro diffusione ma, soprattutto, ad intercettare le giovani adolescenti che sono in una fase
36
Dirigente Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Gioventù.
82
già avanzata della malattia e spingerle verso la cura.
Due interventi sono stati studiati, invece, per agire sul mondo dello sport che, secondo
quanto emerge, risulta essere un ambiente in cui i frequenti comportamenti alimentari restrittivi possono determinare l’insorgenza di anoressia o bulimia. Le attività erano mirate da
una parte alla sensibilizzazione degli allenatori di diversi sport, figure molto importanti nella
vita degli atleti e che hanno una grande influenza sulle loro abitudini di vita, dall’altra si è co-
struito un intervento specifico sulle scuole di danza. Abbiamo previsto un’azione specifica
su tale disciplina poiché è stato riscontrato che il mondo della danza risulta essere uno dei
settori in cui si presentano casi di anoressia precoce.
La collaborazione delle scuole coinvolte, purtroppo, è stata critica e numericamente delu-
dente, segno che le considerazioni da cui si è partiti fossero rispondenti alla realtà. Pur
avendo aderito solo 10 o 11 scuole di danza tra le tante contattate, abbiamo molto chiaro il
compito che dobbiamo assumerci: quello, cioè, di intervenire su tale realtà per modificare i
comportamenti e dimostrare che è possibile mantenere il proprio corpo in forma attraverso
un’alimentazione equilibrata.
Quando si parla di anoressia o di bulimia, spesso a commento di episodi gravi come la morte
di una ragazza, i mezzi di comunicazione intervengono sui disturbi alimentari proponendo im-
magini, titoli, approfondimenti che non affrontano il problema in profondità ma, al contrario,
lanciano messaggi contraddittori, a volte superficiali, a volte dannosi. Penso a pagine e pagine
di giornali che circoscrivono al mondo della moda e dello spettacolo la responsabilità di dif-
fondere figure di donne filiformi che diventano “modello” per adolescenti e non. E penso alle
altrettante pagine degli stessi giornali o delle televisioni che rappresentano la stessa tipologia
di donna all’interno di servizi giornalistici, talk show o annunci pubblicitari.
Nulla o quasi sulle cause reali che provocano queste patologie, ancora meno sul collegamento, oramai assodato, esistente tra il disagio e l’insorgenza di tali sintomi.
Per questo motivo, un’ altra azione, prevista dal medesimo progetto, era invece mirata alla
formazione di coloro che operano in questo settore, al fine di costruire e diffondere un ma-
nuale o delle linee guida da porre a disposizione degli operatori dell’informazione per sen-
sibilizzarli ad una attenta valutazione di metodologie comunicative, ad una scelta
consapevole dei termini utilizzati quando, a margine di episodi specifici e spesso drammatici, intervengono pubblicamente su queste tematiche che sono particolarmente delicate.
Sempre nella sfera della comunicazione è stato realizzato “Pe(n)sa differente” un progetto
curato dalla ONLUS Salomè di Lecce che, attraverso approfondimenti ed eventi, aveva il fine
di proporre modelli alternativi a quelli dominanti ma, soprattutto, proporre una concezione
del proprio corpo libera dai condizionamenti mass mediali.
L’ultima branca di questo progetto riguardava il mercato della dieta; l’analisi dei mezzi di co-
municazione e dei messaggi che questi diffondono pubblicizzando prodotti come barrette,
creme, bibite, tisane per dimagrire. Molte campagne, immagini, slogan, nascondono, in realtà,
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una concezione culturale precisa che propone donne molto magre, belle e curate, sempre al-
legre, felici e realizzate, con rapporti sentimentali ed umani positivi e completi. Viene proposto
l’aspetto esteriore come mezzo per raggiungere la propria realizzazione interiore, tralasciando
completamente quello che si è, i propri vissuti, l’aspetto psicologico, emotivo ed esistenziale.
Per affrontare queste tematiche in modo globale ed incidere sulla realtà personale dei no-
stri giovani negli aspetti più importanti, è nata l’esigenza di creare un tavolo sui Disturbi del
Comportamento Alimentare e sulla loro prevenzione interistituzionale.
Nato a gennaio di quest’anno (2010 ndr), questo strumento di confronto e di condivisione
vede il coinvolgimento, oltre a quello – scontato - del Dipartimento della Gioventù che lo
coordina, del Ministero della Salute, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, del Dipartimento della Famiglia e del Dipartimento per le pari opportunità.
Una visione globale del problema, infatti, ha determinato l’esigenza di coordinare le attività
delle istituzioni su queste tematiche, di ottimizzare l’uso delle risorse e di dare un senso co-
mune alla pianificazione degli interventi.
Vorrei ora introdurre il progetto sulla prevenzione del disagio giovanile affidato allo IAS, Istituto per
gli Affari Sociali, che si compone di due parti strettamente connesse tra loro. Oltre ad un’indagine
che va ad indagare l’universo giovanile su molti ambiti – la famiglia, la scuola, le istituzioni, il tempo
libero, lo sport, i rapporti con i coetanei, di cui non abbiamo ancora i dati definitivi perché è tut-
t’ora in corso, ma i cui primi risultati sono molto interessanti ed utili per la programmazione delle
azioni future, c’è l’intervento diretto sul gruppo classe realizzato da Psicoterapeuti.
La strategia pensata è partita dalla definizione di “adolescenza” come momento di crisi
comune a tutti i giovani per comprendere come, quando e perché questa crisi positiva,
“crisi di crescita”, degenera e sfocia in comportamenti devianti che mettono a rischio la
salute e la propria incolumità.
Penso a chi guida dopo aver ecceduto nel bere, a chi salta dai balconi o a chi lancia sassi dal
cavalcavia; ma penso anche allo sguardo disperato di una ragazza che, con una flebo attac-
cata, pesa si e no 30 chili, o a chi cerca nella cocaina, nell’eroina o nella marjuana qualcosa
che possa farlo sentire meglio riempiendo quel vuoto di affetti, rapporti, con sostanze danno-
sissime. E penso ad un ragazzo che, pochi mesi fa, mi ha scritto per parlarmi del suo problema
con il gioco, dell’impossibilità di trovare in se stesso la forza di uscire da questo tunnel e allo
stupore ed alla contentezza che mi ha comunicato quando ha ricevuto la mia risposta. Im-
magini che ho molto chiare nella mente e che provocano, molto forte, il bisogno di approfon-
dire cosa i nostri giovani sentono realmente e di capire meglio le dinamiche che originano
tanta sofferenza, offrendo loro la possibilità di elaborare e comunicare quello che provano.
Per dar modo ai ragazzi di affrontare liberamente queste tematiche, si è pensato di stimolarli a realizzare prodotti artistici che rappresentassero il loro modo di sentire e di essere, ela-
borassero quanto affrontato in classe e lo proponessero attraverso una canzone, un dipinto,
una danza secondo la propria visione.
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I prodotti artistici fino ad ora visionati hanno mostrato un universo giovanile sensibile, per
niente superficiale e con una grande necessità di attenzione e di comprensione.
L’intento di questo progetto è stato, insomma, quello di affrontare nel profondo alcune di-
namiche particolarmente importanti per i giovani adolescenti, stimolare la loro riflessione e
la loro elaborazione in merito ai loro vissuti o a situazioni negative che gli appartengono e
che, come sta emergendo, spesso sono all’origine delle prime crisi.
Le attività hanno coinvolto 20 scuole, presenti in 7 provincie e 6 regioni, con sede ad Avez-
zano, Roma, Viterbo, Piacenza, Milano, Firenze e Teano (Caserta). Le scuole sono state individuate con l’obiettivo di alternare città metropolitane con realtà di provincia, licei ed istituti
professionali al fine di rappresentare un campione di giovani vasto e variegato.
In realtà le attività avviate dal Dipartimento della Gioventù in tema di prevenzione sono molte
e molto varie. Il presupposto per cui la prevenzione del disagio si attua consentendo ai gio-
vani di instaurare relazioni positive, realizzare le proprie aspirazioni, arricchirli con esperienze
nuove attraverso le quali possano distogliersi dalla propria realtà e conoscerne di alternative, anima molti degli interventi fino ad ora programmati.
La convinzione che, comunque, sia prioritario intervenire per prevenire i comportamenti a rischio ed il manifestarsi di quelli che vengono definiti come “primi esordi”, ci spinge a lavorare alla ricerca di metodi e strumenti efficaci per perseguire tale finalità e l’organizzazione
di questa Conferenza ne è la dimostrazione.
Lorella LIMONCELLI38
Il disagio adolescenziale nell’esperienza di Villa Pia di Guidonia
L’attività del Centro “Villa Pia”, operativo dal 2005, è integrata nell’ambito del “Centro per lo
Studio, la Diagnosi ed il Trattamento dei D.C.A.” istituito dalla ASL Roma G.
Villa Pia propone 2 percorsi di cura, della durata media di 3 mesi, in regime residenziale (ri-
covero per 20 pazienti) e semiresidenziale (Centro Diurno per 20 pazienti), entrambi in convenzione con il S.S.R ed accoglie soggetti con DCA in tutto lo spettro dei pesi corporei:
dall’estrema malnutrizione all’obesità severa. La presa in carico del paziente è temporanea
e specializzata ed è la “parentesi” di un percorso molto lungo che richiede tempo e, so-
prattutto, l’attivazione di una rete integrata di servizi che ne permetta il proseguimento anche
dopo la dimissione. Il modello di riferimento è il modello psicodinamico integrato di riabili-
tazione, che tende a privilegiare la relazione che si stabilisce tra paziente e operatore, ma
sono utilizzati anche altri approcci. L’utenza, concordata con l’ASL Roma G, è sia di genere
37
L’INDAGINE SOCIALE SUL DISAGIO GIOVANILE ED INTERVENTI DI PREVENZIONE è ora oggetto di una pubblicazione dal titolo “I
giovani protagonisti del futuro” del Dipartimento della Gioventù e fa parte della Collana Editoriale “Mettere le Ali”.
38
Psicologa, Responsabile organizzativa Villa Pia di Guidonia
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maschile che femminile, di età adulta e adolescenziale.
Occuparsi di pazienti in età adolescenziale vuol dire prestare particolare attenzione al disagio giovanile: un disagio che spesso si esprime proprio attraverso il corpo e il cibo. L’ado-
lescenza è una fase evolutiva che segna il passaggio dall’età infantile all’età adulta e può
essere una fase critica, caratterizzata anche da preoccupazioni relative al corpo: per le grandi
trasformazioni e per l’irrompere della sessualità. Soprattutto durante l’adolescenza, in un
quadro in cui i modelli culturali dominanti propongono una bellezza irraggiungibile, rinfor-
zando l’ideale di una immagine corporea riferibile esclusivamente a un fisico magro, atletico
e forte, (insomma ad un corpo “perfetto”) il cibo rischia di essere svuotato della sua funzione
fisiologica di nutrimento, per assumere significati simbolici a volte distorti. Può succedere
anche che quell’ideale di perfezione si alteri. Per questo, attraverso un uso perverso del cibo
e dell’alimentazione, in poco tempo, i giovani possono smarrirsi e ritrovarsi molto lontani da
quei canoni di bellezza inizialmente ambiti.
Vi sono diverse campagne pubblicitarie sull’argomento, molte delle quali tendono ad affrontare
il tema dei DCA in modo semplicistico. Un esempio è senz’altro rappresentato dal binomio
“moda/anoressia” spesso proposto nella pubblicità, che tende ad associare i due ambiti in una
sorta di rapporto diretto, di causa/effetto. In realtà le variabili che intervengono nell’insorgenza
della patologia sono tantissime ma, ciò nonostante, nel contesto pubblicitario si tende a fare
semplicistiche riduzioni: ricordiamo uno spot in cui si mostravano, accostate, le gambe di una
modella a quelle di una ragazza vittima della guerra in Somalia, mentre la body-copy ammoniva
con parole come: “la prossima volta che decidi di intraprendere una dieta chiediti a chi vuoi as-
somigliare”, oppure “a quale modello stai facendo riferimento?”. Tale binomio moda/anoressia
veniva fortemente evocato anche in una recente campagna pubblicitaria molto discussa, di Oli-
viero Toscani, in cui si cercava di sottolineare, con un tipico stile provocatorio, la necessità di
combattere l’anoressia a partire da riflessioni offerte proprio dal mondo della moda.
L’anoressia è un problema che tende a declinarsi al femminile: spesso colpisce le ragazze e si
manifesta all’interno di famiglie dove anche le mamme hanno un rapporto critico con il cibo e
con la bilancia. Tuttavia anche i ragazzi non sono esenti da tali problematiche tanto che i Disturbi
del Comportamento Alimentare si stanno sviluppando anche tra i giovani maschi: anche per
loro, sempre di più, la parola d’ordine è “magro”, l’imperativo è “pensa magro!”.
Internet diventa il canale di elezione per veicolare il valore della magrezza: i siti a favore del-
l’anoressia (pro-Ana) e quelli a favore della bulimia (pro-Mia) nascono negli Stati Uniti negli
anni 1998 e 1999 ed appaiono in Europa nel 2002 e 2003. In Italia ne sono presenti oltre 300
mila, che comprendono siti web, blog e forum, che incitano più o meno volontariamente al
disagio alimentare: presentando anoressia e bulimia come esempi di uno stile di vita alter-
nativo ad un modello più sano. Ma sappiamo come Internet, attraverso blog e forum, diviene
paradossalmente (e sempre in modo inquietante) anche un mezzo di “normalizzazione”: un
mezzo cioè che consente di rendere normale ciò che in realtà non lo è. Purtroppo trovare
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questi siti è semplicissimo: è sufficiente digitare, sui più utilizzati motori di ricerca, le sigle
“Ana” e/o “Mia” e si può accedere ad una grande serie di forum e di blog dove i giovani si
incitano e si sostengono a vicenda: a contare le calorie, a eliminare i pasti, a ridurli sempre
più dal punto di vista quantitativo, piuttosto che a vomitare. Questi siti sono chiaramente il-
legali e pertanto vengono oscurati: ma per ogni sito che viene oscurato, altri ne nascono con
una rapidità disorientante. Qui anoressia e bulimia non sono definite come malattie e,
quando qualcuno esprime perplessità o critica attraverso il proprio commento, questi gio-
vani si irritano poiché considerano Ana e Mia come angeli custodi, come delle dee che ac-
compagnano, dee che rinforzano, sostengono e aiutano. In questi siti dilagano suggerimenti
su come non mangiare, suggerimenti su come vomitare, suggerimenti su come depistare i
familiari per non essere scoperti, e dare l’impressione di mangiare veramente: una vera e pro-
pria guerra contro il cibo e contro le calorie. Uno l’obiettivo: dimagrire fino all’estremo. Dieci
i comandamenti, alcuni, particolarmente allarmanti, come il secondo: “essere magri è molto
più importante che essere sani” o il nono: “perdere peso è bene, prendere peso è male”.
Insieme a questi comandamenti vi sono una serie di trucchi e suggerimenti per non man-
giare, come: bere un bicchiere di acqua ogni ora, lavarsi spesso i denti per non avere voglia
di “sporcare” la bocca appena lavata, masticare e poi sputare tutto, tenersi lontano da situazioni in cui si è portati a mangiare, tenersi sempre occupati.
I tanti suggerimenti per non mangiare sono ben rappresentati in un episodio di una celebre
teen-drama: “Skins”, serie televisiva molto interessante. Ogni puntata, con un linguaggio
molto diretto, affronta un problema adolescenziale: droga, sesso, anoressia, bulimia. Proprio
nell’episodio dedicato all’ambito del disturbo alimentare, si mostra l’angosciante compor-
tamento a tavola di una adolescente. Chi, come noi, lavora in strutture che accolgono ra-
gazze con questo tipo di difficoltà, vede continuamente quell’affaccendamento tormentato
a tavola, che si accompagna ai tipici atteggiamenti e trucchi per far finta di mangiare e poi
non mangiare e gettare via tutto nella spazzatura. Accanto a quelli descritti, ve ne sono molti
altri egualmente finalizzati a non destare sospetti: quando sono a casa, queste ragazze en-
trano ed escono dalla cucina continuamente, cucinano per tutti, sembrano interessate all’ambito cibo (e, in realtà, lo sono veramente seppure in modo perverso). Non a caso il quarto
suggerimento (o meglio comandamento) recita: “entra ed esci spesso dalla cucina, questo
darà l’idea che mangi”. Ulteriori suggerimenti invitano a lasciare resti di cibo e piatti sporchi
in giro, preparare qualcosa e buttarlo via per dare agli altri l’idea di aver mangiato.
Nei siti, oltre a informazioni e consigli, vi sono immagini e storie di tantissime modelle e di tan-
tissime ragazze, chiamate “thin inspiration” perché sono appunto ispirazioni all’essere magri.
Si tratta anche di ragazze assolutamente sconosciute o che, comunque, non si sono distinte
per qualcosa in particolare: non hanno alcun merito tranne quello di essere riuscite a dimagrire,
in modo importante, in pochissimo tempo. Alcune fotomodelle esibiscono nei propri blog la
storia documentata del loro rapido dimagrimento, e grazie a questo diventano icone per le ra-
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gazze che osservano e cercano di emulare il loro percorso. Una nota attrice statunitense, in-
vece, ha tatuato sulla pelle il motto “quello che mi nutre mi distrugge”. La frase, mediata da
Nietzsche, ha chiaramente tutt’altro senso rispetto a quello inteso da chi soffre di DCA. Ep-
pure, tale motto, va molto di moda tra le ragazze con disturbo alimentare. In tal senso gli è
stato attribuito un significato concreto, mediato inevitabilmente da una intelligenza pratica ope-
rativa tipica di chi soffre di problematiche psicosomatiche. La frase "Quod me nutrit me destruit"
di Nietzsche intende infatti dire che le passioni, di cui l’essere umano si nutre, spesso sono le
stesse che possono portare ad una sorta di straziante annientamento. Tale frase, riletta attra-
verso il filtro del pensiero operatorio, caratteristico spesso di queste giovani, è stata tradotta let-
teralmente, diventando appunto: mi distrugge ciò che mi nutre.
Internet è, peraltro, l’inquietante teatro di altre dinamiche: per esempio di alcuni giochi inte-
rattivi, come quello uscito qualche anno fa sul sito inglese “missbimbo.com”, in cui le ra-
gazzine devono riuscire a creare la bambola più bella e più famosa del mondo. L’elemento
di criticità sta nel fatto che per farlo possono utilizzare pillole per dimagrire, chirurgia plastica,
trattamenti estetici. Questi interventi hanno naturalmente un costo, pagato attraverso il cel-
lulare: tale costo, peraltro irrisorio (ammonta a qualche euro) è sicuramente il male minore e
la polemica è esplosa non tanto per l’aspetto speculativo del gioco, quanto per i valori che
il gioco stesso suggerisce. Infatti, fin dal suo esordio, il gioco è stato osteggiato proprio perché si è sostenuto che potesse implicitamente promuovere l’anoressia.
Ogni tanto nel gioco c’è una “missione” da compiere: se, per es., la bambolina ha ingerito
quantità industriali di cioccolata per una delusione d’amore, dovrà in breve tempo rientrare
in un bikini ridottissimo, per cui si rende imprescindibile una dieta implacabile: ed è impor-
tante raggiungere l’obiettivo ad ogni costo e a prezzo di qualsiasi sacrifico. Anche utilizzando farmaci, meccanismi di compenso o eventualmente chirurgia estetica.
Tali fenomeni, comunque, mostrano una complessità straordinaria e meritano di essere stu-
diati con grande attenzione. Sembrerebbe infatti che i “seguaci” di tali siti, i ragazzi che se-
guono, scrivono o leggono questi blog, non siano in realtà persone con un chiaro disturbo
del comportamento alimentare. Sembra anzi che le giovani con un disturbo alimentare con-
clamato, ancora di più quelle che in qualche modo affrontano quotidianamente la battaglia
contro il disturbo stesso, si irritino molto quando leggono i contenuti di questi blog. Certa-
mente l’accesso a questi blog e l’interesse per quanto contengono, se non costituiscono un
vero e proprio rito di iniziazione all’anoressia, possono comunque rappresentare uno spira-
glio da cui sbirciare una realtà dannosa (quando non è una vera e propria porta pericolosa-
mente spalancata su un disagio profondo). I siti di questo genere potrebbero, anche più
semplicemente, essere frequentati solo da ragazze che intendono la magrezza come uno
stile di vita, ma ciò non li renderebbe meno inquietanti. C’è una lettera lunghissima e asso-
lutamente allarmante che circola in rete, scritta evidentemente da chi conosce molto bene
questa malattia dove vengono descritti, con dovizia di particolari, tutti i vissuti, tutte le sen-
88
sazioni, tutti i pensieri e i sentimenti che accompagnano queste ragazze: quando mangiano,
quando non mangiano, quando digiunano, quando vomitano. Chi la scrive è Ana, che si
propone come una sorta di Avatar collettivo, come una dea vera e propria, in grado di aiu-
tare chi sta leggendo, con una rapidità che nessun’altra religione promette. Guardando questi siti nella loro complessità, si avverte come si tratti in realtà di una colossale truffa mentale
e commerciale, ma tuttavia queste ragazze continuano a cercarsi tra loro e cercare se stesse
allo specchio, continuando a vedersi sempre troppo grasse: come in una pubblicità concepita per sensibilizzare il pubblico al tema del disturbo del comportamento alimentare, in cui
una giovane donna, davanti allo specchio, vede di sé una immagine drammaticamente di-
storta. Non può non venire alla mente il mito di Narciso che, nella sua immagine riflessa si
cerca, si abbandona, si perde e fatalmente muore.
Stefano VICARI39
L’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Centro di Eccellenza per la diagnosi
e il trattamento dei Disturbi Alimentari
Occasioni come quella odierna sono importantissime. Offrono, infatti, una preziosa pos-
sibilità di confrontare e fare una riflessione comune su una serie di fenomeni che coinvolgono le giovani generazioni come quello dei disturbi relativi alla condotta alimentare,
problematica grave e purtroppo in crescita.
L’anoressia è una malattia psichiatrica tra le più gravi associandosi ad una elevata mor-
talità. È allora doveroso ricordare che seppur il picco d’esordio è intorno ai 17-19 anni,
quindi in piena adolescenza, sempre più frequenti sono gli esordi in età ancora più pre-
coci. Dati recenti confermano un incremento delle ospedalizzazioni proprio sotto i 10 anni
di età con un incremento del 72%. La nostra esperienza clinica conferma questi dati,
tanto è vero che siamo ormai arrivati a ricoverare bambini anche di 8 anni. Il problema,
inoltre, non riguarda solo le femmine: sono, infatti, sempre più numerosi i giovani maschi
che sviluppano il rifiuto verso il cibo, presentando gli stessi sintomi di malattia.
L’approccio a tale patologia è piuttosto complesso perché richiede un intervento multi-
disciplinare integrato. Ciò significa che coinvolge direttamente l’esperienza di psichiatri,
psicologi, pediatri, nutrizionisti. Per quanto riguarda la gestione e la presa in carico del
paziente nel nostro paese, però, le strutture sanitarie dedicate alla cura di disturbi psi-
chiatrici in età evolutiva sono ancora pochissime. Tale carenza si traduce spesso in un ricovero del minore con disturbo psichiatrico acuto in strutture non specialistiche quali
Unità Operative di Pediatria o Servizi Psichiatrici per l’età adulta ed una conseguente ina39
Direttore U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile - Ospedale Bambin Gesù, IRCCS, Roma.
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deguatezza delle cure prestate.
A tale proposito l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù è stato riconosciuto come Centro
di Eccellenza per la diagnosi e il trattamento dei Disturbi Alimentari. Il trattamento è pre-
valentemente orientato alla risoluzione dei casi più gravi e urgenti attraverso il ricovero in
Degenza di Neuropsichiatria o l’attivazione del Day Hospital con una presa in carico com-
pleta farmacologica e psicoterapica del paziente e della famiglia.
Inoltre chi, come noi, si occupa di Disturbi del Comportamento Alimentare sa bene che
una delle principali caratteristiche di queste ragazze è quella di resistere strenuamente
alla proposta di cure e viceversa di cercare strategie di rinforzo alla loro patologia. Que-
sto avviene prevalentemente attraverso la condivisione e l’esaltazione delle loro condotte
malate anche attraverso siti internet che inneggiano all’anoressia e alla bulimia. Abbiamo,
quindi, compreso che avremmo dovuto contrastare l’attività di tali siti ed offrire agli stessi
giovani un sito Internet – www.timshel.it - e una linea di ascolto dedicata. Tale iniziativa
è stata realizzata anche grazie al sostegno del Ministero delle Politiche Giovanili e del
Ministero della Salute.
Il mio intervento è dunque il frutto di quanto condiviso con Daniele Caldarelli, la persona
che ha immaginato l’approccio via web al problema dell’anoressia.
La linea telefonica è un servizio attivo 24 ore al giorno e 7 giorni alla settimana: chiamando il numero 06 68592265 risponde una psicologa dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria infantile. Si è costituito, infatti, un pool di psicologhe con specifiche competenze
sui disturbi alimentari che si alterna per garantire il servizio continuato.
Il nostro intervento consiste in un’attività di informazione, assistenza e consulenza vera
e propria; attraverso il contatto telefonico vengono infatti accolte molte delle problema-
tiche più frequentemente riportate da ragazze e da ragazzi, così come da genitori e da in-
segnanti, che a volte si rivolgono a noi per avere informazioni precise e per essere
orientati correttamente nella gestione del problema anoressia.
Attraverso la risposta telefonica si attua pertanto una prima presa in carico del paziente,
il quale sarà inviato - se ritenuto necessario - al nostro Ambulatorio o direttamente al Day
Hospital dell’Unità.
Il servizio telefonico è ormai attivo da più di due anni, tempo durante il quale abbiamo re-
gistrato una media di circa 60/70 telefonate al mese. Tale numero è significativamente aumentato, arrivando fino a 20/25 chiamate al giorno, nei periodi in cui vi è stata una
diffusione mediatica dell’iniziativa promossa dall’Ospedale Bambino Gesù, ad esempio
attraverso l’uscita di un articolo sui maggiori quotidiani nazionali.
Riteniamo, dunque, di fondamentale importanza mantenere alta l’attenzione rispetto al pro-
blema dei Disturbi del Comportamento Alimentare, in modo tale da poter raggiungere un
numero più elevato di giovani e di famiglie che convivono con le difficoltà dell’anoressia.
Questo obiettivo può essere reso più facile e raggiungibile grazie al sito www.timshel.it.
90
Daniele CALDARELLI40
L’approccio via web al problema dell’anoressia
Dichiaro subito che la mia non è una formazione di tipo medico, sono uno statistico, mi occupo di informatica e curo lo sviluppo del portale dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma.
La mia attività professionale mi ha dato modo di conoscere abbastanza bene la rete internet e i suoi sviluppi e di osservare come il web sia diventato, oggi, un vero e proprio
luogo di incontro fra le persone.
In particolare esistono dei siti chiamati “blog”, termine che significa “diario personale con-
diviso in rete”, nei quali ogni giorno, in ogni momento, si possono “postare”, cioè pubblicare,
pensieri, considerazioni rispetto alla propria vita e diffondere temi di dibattito.
Tra questi blogger (gli autori del blog) esiste uno speciale e terribile sottoinsieme, in gran
parte femminile, che ha un comune intento rispetto all’anoressia.
Sono ragazze anoressiche che non si affacciano alla rete per chiedere aiuto, ma per diffondere un vero e proprio culto: l’anoressia viene definita Ana - da Anorexia - ed è personificata come punto di riferimento esistenziale.
Se cercate questi blog troverete che contengono non solo semplici testimonianze per-
sonali, ma informazioni e concetti veramente terribili, come la definizione di Ana: “colei
che ci accompagna tutti i giorni, che ci odia, che ci ama”; troverete che hanno definito
un ”credo” una preghiera ad Ana che viene condivisa. I seguaci auspicano un assoluto
controllo della fame e del peso corporeo – e definiscono la loro divinità Ana come “..
l’unica forza coordinatrice del caos.” Molte di queste ragazze si chiedono senza Ana cosa
sarebbe la loro vita... Hanno stilato, condiviso e diffuso i dieci comandamenti di Ana:
“non essere magri vuol dire non essere attraenti”, oppure “essere magri è più importante
che essere sani”.
Tutto questo viene ulteriormente aggravato da consigli sul comportamento da tenere e
mantenere l’obiettivo,: “bevi un bicchiere di acqua ogni ora così riempi lo stomaco”,
“guarda foto di modelle e attrici che ti siano di ispirazione”, “lavati spesso i denti, ti passerà la voglia di mangiare immediatamente dopo”, piuttosto che “cerca di mangiare nella
tua stanza così non vedono quello che fai”. C’è una sorta di iniziazione e di diffusione di
regole di comportamento che perversamente alimentano nuovi adepti.
Il nostro ospedale è da sempre attento, anche, ai problemi dell’adolescenza. Ci siamo
detti, allora, che bisognava essere presenti anche sulla rete in modo diverso e abbiamo
pensato alla costituzione di un portale che contrastasse il fenomeno: per prima cosa un
simile portale doveva avere un nome criptico.
40
Direzione Sistemi Informativi e Organizzazione, Ospedale Bambino Gesù, IRCCS, Roma. Responsabile sito www.timshel.it ora
www.tupuoi.org.
91
La necessità di un riferimento criptico deriva dall’osservazione degli stessi blog; abbiamo
verificato che gli anoressici e le anoressiche detestano la cura, detestano l’ospedalizzazione, e quindi mostrarsi in modo esplicito sarebbe stato perdente.
Il nome “timshel” è comunque una parola importante, presa dal libro della genesi dell’antico
testamento. È una parola ebraica che significa “tu puoi” ed è la risposta che Caino riceve dal
Dio quando gli chiede che cosa deve fare per discernere il bene dal male; in quella occasione
gli viene risposto “tu puoi” sono due parole semplici che però richiamano alla mente la capacità di autodeterminazione, la possibilità di scegliere che contraddistingue l'essere umano.
La parola, che è riportata anche ne “La valle dell’Eden” del Premio Nobel per la letteratura
John Steinbeck, ci sembrava adeguata a definire un luogo d’incontro seppure virtuale dove incontrare altri adolescenti e altre persone che possano testimoniare che è possibile considerare in un altro modo la propria esistenza. Appunto che si può.
La struttura del nostro sito è piuttosto complessa, ma vorrei parlare principalmente di una at-
tività collaterale al sito: la partecipazione ai forum e i blog.
Per aggirare la contro-dipendenza delle blogger, abbiamo coinvolto un piccolo gruppo di ado-
lescenti capaci di utilizzare la rete e le chat, che potessero insieme a noi e con il supporto dei
nostri psicologi dare delle testimonianze diverse ai loro coetanei anoressici.
L’intento ovviamente era d’intercettare il disagi, facendoli emergere, per fare in modo che queste persone avessero una chance di cura o almeno una attenzione diversa al loro problema.
Una seconda attività parallela al sito, ma altrettanto importante, é stata la valutazione del fe-
nomeno dei blog. I blog sono stati “monitorati” - cosa molto complessa perché ne nascono
ogni giorno e ogni giorno ne muoiono –ne abbiamo scelti 170, li abbiamo anche seguiti nel
tempo, per vedere quale fosse la loro evoluzione.
Abbiamo osservato le risposte che venivano date alle persone che scrivevano, abbiamo “letto”
il tipo di comunicazione si scambiavano i gestori del blog con gli utenti, abbiamo analizzato i
numeri degli accessi. Un primo dato é che questi siti hanno una alta mortalità, perché la mag-
gior parte dopo 20 mesi chiude.
Ricordo che quando è stata lanciata questa nostra attività, i giornali hanno dato ampia
e prolungata attenzione al tema specifico dei blog sull’anoressia. Il solo annuncio della
nostra iniziativa ha portato in Italia alla chiusura autonoma di alcuni di questi siti e blog,
altri ancora hanno deciso di passare a una dimensione privata - cioè per poter leggere
quel blog bisogna accreditarsi!
Una settimana dopo la nostra conferenza stampa di lancio in Francia il governo ha deciso di chiudere questi blog.
Tutti i 170 siti che abbiamo monitorato erano di ragazze, la fascia di età che abbiamo
riscontrato essere la più frequente è quella che va dai 22 ai 30 anni, fenomeno, proba-
bilmente legato anche al fatto che per gestire un blog bisogna avere un minimo di conoscenza e di competenza tecnologica.
92
Purtroppo, invece, per leggere un blog non vi è alcun impedimento o difficoltà neppure
per i giovanissimi, che cominciano ad essere tristemente coinvolti nelle statistiche sull’anoressia.
Ludovica COSTANTINO41
L’anoressia come difesa dalla depressione
Sono una psichiatra che ha una formazione psicodinamica e negli ultimi vent’anni ho ap-
profondito la psicopatologia dell’anoressia e della bulimia. È molto importante occuparsi di
queste malattie gravi ed altrettanto importante è andare ad affrontare l’aspetto psicopatologico per poter rispondere adeguatamente al paziente e portarlo alla guarigione.
La mia relazione ha un taglio storico, oltre che psicopatologico e clinico: l’anoressia è, in
molti casi, la difesa dalla depressione.
I dati epidemiologici ci raccontano che dalla fine degli anni ’60 ad oggi i disturbi alimentari
sono diventati sempre più diffusi nei paesi occidentali.
In particolare l’anoressia vede l’età di insorgenza in un periodo molto delicato: precisamente
nell’età puberale - anche se giustamente un collega ha sottolineato in questa sessione che
la patologia comincia, in alcuni casi, nell’età prepuberale.
È noto che l’anoressia si manifesta con una preoccupazione sensibile e costante per le di-
mensioni del proprio corpo, fino ad assumere proporzioni deliranti per cui la ragazza si vede
sempre grossa. Questa grave alterazione della percezione corporea e la conseguente ridu-
zione sempre più dissennata dell’alimentazione, comporta rischi gravissimi per la salute
della paziente, ragion per cui è necessario il trattamento in centri specializzati per ristabilire
condizioni fisiche compatibili con il suo mantenimento in vita.
È una patologia che si associa a un forte aumento del rischio di morte: il tasso di mortalità
sarebbe 12 volte superiore rispetto alle pazienti sane e si stima che il 10% di queste pazienti
muoiano per arresto cardiaco e per suicidio entro i 10 anni dalla comparsa della malattia ed
il 20% a distanza di vent’anni dalla insorgenza della malattia stessa.
Questo allarme epidemiologico ci porta a dover investire sulla prevenzione, dunque ad in-
dagare nell’infanzia - il lungo e delicatissimo periodo in cui si struttura la mente del bambino
- per mettere in luce e risolvere le problematiche psicologiche che poi si manifesteranno
nella complessa stagione della pubertà.
41
Psichiatra, Psicoterapeuta esperta nella ricerca e nella cura di pazienti affette da DCA; numerosi sono i suoi interventi in convegni e conferenze sul tema; autrice di articoli pubblicati su riviste specialistiche; ha pubblicato i seguenti libri: “La ricerca di un’
immagine. L’anoressia mentale”, Liguori, Napoli 2002; Revisione e ristampa dal titolo: “L’ Anoressia. Storia, psicopatologia e clinica di un’epidemia sociale”, Liguori, Napoli 2008. “Un dibattito sull’anoressia. Atti del convegno “L’anoressia: storia, psicopatologia e clinica di un’epidemia moderna”, Roma 27 giugno 2008, Liguori, Napoli 2010
93
L’anoressia è una malattia molto difficile da trattare perché le ragazze non vogliono curarsi
in quanto temono l’aumento del peso, che subiscono come una vera e propria violenza nei
loro confronti: come se quella sottilissima immagine asessuata fosse un baluardo da non oltrepassare, pena lo scatenarsi di affetti violenti ed incontrollabili.
Noi chiameremo questa immagine corporea dell’anoressia “figura”. Occorre considerare questo
fatto come punto fondamentale da rispettare; infatti, se portiamo queste pazienti ad aumentare
troppo velocemente il peso, esse si ribellano alla terapia e precipitano in pericolose ricadute.
Consideriamo dunque questa figura come contenitore della psicosi.
Negli anni ’70 abbiamo assistito a un forte aumento della frequenza di un'altra patologia ali-
mentare, la bulimia; le pazienti bulimiche, al contrario delle anoressiche, hanno comporta-
menti alimentari compulsivi, si lasciano andare a vere e proprie orge alimentari seguite
regolarmente da vomito autoindotto ed uso di diuretici e lassativi.
La bulimia si manifesta in età leggermente più adulta rispetto all’anoressia e si stima (c’è però
un sommerso non valutabile) che il 4% delle donne fra i 16 e i 35 anni sia affetta da tale pa-
tologia: queste pazienti, dopo una prima remissione della malattia, vanno frequentemente
incontro a recidiva e, quindi, la malattia si cronicizza.
La bulimia potrebbe avere conseguenze mortali per complicanze renali e cardiache e per le
importanti alterazioni elettrolitiche, alle quali si aggiungono le alterazioni dell’apparato osteoarticolare per gravi osteoporosi. Molte donne sono affette da forme parziali o subcliniche
della malattia e pertanto la percentuale di persone bulimiche si raddoppia: oggi si stima che
su 100 donne 12 siano affette da bulimia!
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che l’anoressia e la bulimia costituiscano la seconda causa di morte fra le adolescenti dopo gli incidenti stradali.
Per molto tempo si pensò che questa ricerca della magrezza esasperata fosse tipica delle
classi alte della borghesia: la “Golden Girl Syndrome“, si chiamava così, colpiva le ra-
gazze bianche degli alti strati sociali ed affollava gli Istituti di Cura svizzeri nei primi del
Novecento.
Giova qui ricordare un drammatico caso clinico di una giovane donna che, proprio in Svizzera, nella celebre clinica di un rinomato psichiatra del tempo, Ludwig Binswanger, approdò
ormai distrutta psicologicamente da questa psicosi.
Questa donna si chiamava Ellen West ed era ossessionata, al pari delle moderne anoressi-
che e bulimiche di oggi, dalla magrezza. Ellen non accettava il suo corpo e lottò contro di
esso una battaglia senza sosta, estenuante e disperata.
Durante la sua breve vita cercò comunque di curarsi: affrontò due trattamenti psicoanalitici - pur
senza giovamento – ed infine si suicidò con la complice rassegnazione del marito e del dottor
Binswanger, il quale non comprese nulla di quel caso e sostenne, incredibilmente, che il suicidio di Ellen fosse stato l’unico atto di autenticità che la giovane avesse fatto nella sua vita.
Oggi sappiamo che la malattia si diffonde anche al di fuori dei paesi occidentali ed è interes-
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sante notare che, non appena le donne di altre culture entrano in contatto con quella occiden-
tale, manifestano anoressia e bulimia in modalità del tutto simile alle “colleghe” occidentali.
Dunque occorre iniziare a fare una ricerca su cosa tale cultura esporti dal punto di vista psicopatologico; sembra quasi che l’anoressia si diffonda come una malattia infettiva non ap-
pena entriamo in contatto con altri paesi, con altre culture diverse dalla nostra.
Sarebbero dunque patologie legate ai cambiamenti? Sarebbero manifestazioni di gravi crisi
in cui incorrono le donne, come a dire che nella nostra civiltà sarebbe annidato un virus che
si trasmette e diventa virulento non appena entriamo in contatto con altri tipi di culture? E
se è vera questa ipotesi, cosa c’è di tanto distruttivo per la donna nella nostra cultura che
noi consideriamo evoluta rispetto ad altre? “L’oppressione della ragione dalle sante alle stre-
ghe” è la ricerca condotta da alcune studiose, Letizia Del Pace, Elisabetta Amalfitano e San-
dra Mallone, che hanno in comune con me una importante formazione psicodinamica: mi
riferisco all’Analisi Collettiva che ci porta ad affrontare queste tematiche cercando nella sto-
ria i motivi di una crisi della donna che, nel nostro tempo, esplode sotto questa forma e che
in altre epoche storiche si manifestò sotto forma di astratta spiritualità.
Durante il Medioevo si rileva il fenomeno delle sante anoressiche che condannavano il corpo
e digiunavano fino alla morte per cercare una immagine di purezza e perfezione spirituale,
unica possibilità di ribellarsi al destino di mogli obbedienti e madri solerti.
Le sante si ribellavano anche all’autorità ecclesiastica e cercavano una comunione diretta con Cristo e, nell’adorazione di quell’immagine martoriata appesa ad un crocifisso, cercavano una spi-
ritualità superiore; ma in questa “ricerca” distruggevano il loro corpo considerato “sede del Male”.
Come andava per le donne in quei tempi? Agli inizi del 1200 le università e prima fra tutte
quella di Parigi escludono le donne.
Nel 1231 la Chiesa istituisce, inoltre, l’Inquisizione pontificia ad opera di papa Gregorio IX
che emana la bolla Parens Scientiarium nella quale la Chiesa riconosce il suo legame con
l’università di Parigi dandole indipendenza giurisdizionale ed intellettuale ed accetta l’esclu-
sione delle donne. Più tardi, nel 1322, verrà processata la prima donna medico, Jacoba Fe-
licia de Alemanna accusata di aver praticato la professione medica senza abilitazione.
I processi per stregoneria destano poco interesse in quel tempo ma la situazione si capovolge
quando il 5 dicembre del 1484 Papa Innocenzo VII emana la bolla Summis Desiderantes Af-
fectibus nella quale indice la persecuzione contro l’eresia e la stregoneria nella valle del Reno
ed affida questo losco incarico agli inquisitori padri domenicani Heinrich Kramer e Jacob
Sprenger, i quali redigono due anni più tardi, nel 1486, Il Malleus maleficarum, il manuale di
caccia alle streghe che insegna ad identificare e purificare le donne possedute dal diavolo.
Una manciata di anni più tardi – nel 1492 - vi sarà la scoperta di un nuovo mondo e questo
allargarsi dello spazio fisico manderà in crisi l’uomo occidentale che dovrà adeguarsi ed aumentare lo spazio interno: lo spazio mentale.
Possiamo pensare allora che l’apertura dei confini geografici e mentali schiuda un mondo e
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un modo di pensare nuovi e intensifichi i rapporti fra gli individui, che vengono a contatto con
civiltà del tutto lontane da quelle cristiane.
Di conseguenza la “ragione occidentale” diventa protagonista di una enorme crisi di intolle-
ranza e di violenza, soprattutto nei confronti di tutti coloro che incarnano l’antitesi del razionale:
donne, indios, zingari, streghe ed eretici divengono vittime di una violenza pari a quella che poi
si riscontrerà soltanto nel ‘900, con la seconda guerra mondiale e i crimini contro l’umanità.
Con il progredire della scienza e della tecnologia saranno i medici ed i giuristi a circoscrivere
i malefici e limitare i danni, con una posizione scientifica più tecnica ma forse più violenta
ancora della mentalità degli inquisitori.
La ragione del ‘500 del ‘600 e poi del ‘700 ratificherà una scissione tra il razionale e l’irrazionale
che renderà la donna ancora più disgraziata che nei periodi dei roghi: si cercherà di far diventare le donne indifferenti e ciniche come gli uomini e le donne, come reazione alla razionalità ot-
tusa del mondo maschile, si ammaleranno di isteria. Fu proprio l’isteria la misteriosa
provocazione attraverso la quale le giovani donne dell’800 misero a dura prova i neurologi, sfi-
dandoli con la mimesi di sintomi del tutto simili a quelli neurologici. Uomini freddi e razionali che
si confondevano di fronte all’irrazionale che esplodeva selvaggio veicolato dalla malattia.
Intanto, ancora oggi, l’approccio alla malattia mentale è diventato freddo e razionale; si ab-
bandona ogni tentativo di ricerca sulla realtà psichica per cercare una lesione organica del
cervello che giustifichi il sintomo.
Attualmente l’anoressia è affrontata su un piano cosciente, poiché l’intervento largamente
adottato è quello cognitivo comportamentale, che basa il trattamento terapeutico su una
sorta di rieducazione alimentare e sul portare alla coscienza gli stati d’animo delle pazienti,
spesso sconosciuti dalle stesse.
Tale approccio però, limitandosi all’evidenza del sintomo, non libera dall’angoscia dell’im-
potenza del medico, provocata dal continuo ricatto della morte di cui la paziente si serve per
dominare il rapporto terapeutico e distruggere l’identità psichiatrica.
L’ipotesi di un danno organico, di una lesione celebrale o del cattivo funzionamento della serotonina non ci spiega il miglioramento clinico che le pazienti hanno quando vengono sepa-
rate dalla famiglia, né perché le ragazze siano disposte a morire pur di creare una immagine
ideale di perfezione che si esprimerebbe nella realtà di un corpo esilissimo ed asessuato.
La nostra ricerca si basa su una teoria che si distacca completamente dal freudismo e derivati e propone l’idea della necessità di una nascita sana per ogni essere umano.
Questa condizione fondamentale di ogni essere umano, appunto, si esprime in una capa-
cità di immaginare, inconscio-mare-calmo, che si dovrebbe esprimere nella necessità di
evolvere il rapporto con la madre nei primi mesi di vita.
Il neonato possiede dunque già un piccolo ma prezioso bagaglio di vitalità con la quale si
attacca al seno ed inizia a rapportarsi con il mondo attraverso la realtà umana della madre.
Egli comunica con il vagìto e, per lungo tempo, il suo mondo sarà fatto di sensazioni,
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suoni, odori, luci ed ombre: la madre deve saper rispondere con il suo mondo, speriamo
simile a quello del suo bambino.
Speriamo che la madre non abbia perduto il suo “bambino interno” e risponda a questo
rapporto irrazionale con tutta la sua fantasia e sensibilità.
Ma se questo primo rapporto è deludente, se la madre non risponde in maniera adeguata
il neonato si ammala.
La malattia psichica è una malattia della mente legata alle prime delusioni, quelle contratte
nella prima infanzia e tanto più precoce è la lesione tanto più grave sarà la patologia.
La vitalità si perde e il neonato va incontro ad una prima scissione: si va verso un aumento
di istinto di morte ed una progressiva diminuzione della vitalità. Iniziano le prime lesioni dell’immagine interna che si dovrebbe costruire e sviluppare durante l’allattamento.
Nell’anoressia mentale spesso troviamo lesioni molto profonde legate a quei primi momenti
della vita mentale: anoressia e bulimia in realtà sono la stessa malattia.
Proponiamo, infatti, una visone unitaria delle due patologie poiché, dal punto di vista psi-
copatologico, in realtà esse rappresentano due fasi di una stessa patologia.
La fase restrittiva corrisponderebbe alla sensazione di apparente benessere che le pazienti sentono nel resistere allo stimolo della fame e nel controllare il peso; nel controllo
esse si sentono soddisfatte, ma è perché hanno messo in atto una paralisi degli affetti ed
una rigidità che le rende inaccessibili.
Nella fase bulimica, invece, questo rigido controllo si perde ed ecco l’orgia alimentare
che rappresenta la rottura di una diga schizoide, messa in atto per non cedere al comportamento compulsivo.
Possiamo senz’altro interpretare dal punto di vista psicopatologico come l’alternanza fra le
due fasi sia corrispondente all’oscillare fra due opposti stati d’animo: la schizoidia e la depressione. Sarebbero i due mondi contrapposti di Ellen West, due stati d’animo opposti:
“Uno era un mondo ideale, spazioso, leggero, caldo, colorato e brillante, dove ci si librava
senza sforzo ed in cui non era necessario mangiare. L’altro, che si esprimeva con la golo-
sità, un mondo di umida nebbia, di oscure nubi, di pesantezza, di deperimento e di rovina.”
Dunque la schizoidia è quella forma di difesa dalla depressione che costituisce il nucleo psicopatologico principale su cui si struttura la malattia, depressione, che emerge nell’abban-
dono dei rituali stereotipati anoressici, ovvero nelle crisi bulimiche.
Nell’oralità masturbatoria della bulimia si scaricano le tensioni derivanti dalla dinamica depres-
siva basata su una castrazione, a volte molto grave, che si è strutturata nell’infanzia, nel primo
anno di vita del bambino al momento della separazione dal seno materno. Si avrebbe dunque
una scissione tra gli occhi che si accecano nella negazione invidiosa della realtà umana e la
bocca che diventa famelica e divorante per la rabbia scaturita dalla delusione del desiderio.
La castrazione dovuta agli affetti di odio e rabbia, porta la ragazza ad essere sempre più rigida per l’impossibilità di gestire questa affettività così violenta.
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La ragazza si chiude ai rapporti umani e la sua vita trascorre desolata in questa altalena di
digiuni forzati ed improvvise e violente abbuffate.
Quando le pazienti approdano alla psicoterapia riferiscono di sogni di lesioni, vaste cicatrici,
gambe mozzate che ci mostrano quanto devastata sia l’immagine interna di queste ragazze.
Ci troviamo di fronte ad una patologia molto complessa, poiché le pazienti temono l’insor-
genza della depressione e se ne difendono accentuando il sintomo non appena essa si fa
sentire con il suo morso doloroso.
Ma perché si manifesta proprio nella pubertà? Cosa accade in questo periodo della
vita di particolare?
Durante la pubertà il corpo si modifica, spesso in maniera improvvisa, producendo un diso-
rientamento definito “crisi puberale”, che si dovrebbe risolvere dopo un certo tempo e portare
la ragazza ad aprirsi a rapporti con i ragazzi per cercare di realizzarsi come donna. Dovrebbe
essere così, una evoluzione spontanea e fisiologica di questa crisi che è legata non solo alle mo-
dificazione del corpo ma alla insorgenza all’interno degli esseri umani dell’istinto sessuale. Se
si arriva alla pubertà con delle lesioni dell’immagine interna, più o meno gravi, il diverso da sé
verrà vissuto con timore e sarà impossibile realizzare una dinamica di desiderio.
Spesso infatti l’anoressia arriva dopo una delusione d’amore che non è stata elaborata ed è
sfumata come un sogno inquietante che si perde al risveglio, ma lascia la sua traccia oscura.
Nell’anoressia restrittiva si realizza una fuga dal desiderio perché esso comporta una regres-
sione verso l’inconscio insopportabile: riemergono le antiche ferite realizzate nei rapporti in-
fantili con la madre, ma non solo. E si diventa razionali: tutto diventa calcolo di calorie.
Le pazienti bulimiche hanno realizzato lo svezzamento per identificazione con la madre e
questa identificazione spesso porta ad una notevole castrazione che impedisce di amare l’al-
tro e di apprezzarlo nella sua diversità. Si è perduta la capacità di vedere l’altro e di sentirlo.
Di qui la regressione patologica all’oralità bramosa e compulsiva della bulimia.
La percezione corporea e il movimento interno della realtà psichica vengono continuamente con-
fuse; si ricorre alla bulimia per placare le tensioni interne e si ripete quello che è avvenuto nel primo
anno di vita quando la madre rispondeva con il cibo ad ogni richiesta del neonato, annullandolo
nella sua realtà psichica. E quando arriva la pubertà inizia il percorso infido della malattia.
Il corpo, dunque, viene colpito poiché da esso origina l’istinto sessuale: l’essere umano di-
verso da se è colpevole di aver provocato il desiderio, di aver rotto un equilibrio già preca-
rio di bambina. Inizia un turbamento fino ad una vera e propria depersonalizzazione.
Per salvare il mondo dalla psicosi la ragazza sposterà sul corpo tutta la problematica e quest’ultima diventerà un pericolo da tenere a bada.
Per curare questa grave malattia dobbiamo dunque arrivare all’inconscio: a nulla ser-
virebbe una “rieducazione alimentare” o un controllo del comportamento se non si risolve la lesione dell’immagine interna.
Dobbiamo riuscire a riportare la ragazza al nucleo depressivo primario, affrontando la sua ca-
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strazione e portandola a dinamizzare nel transfert, individuale o meglio ancora di gruppo, la
violenza degli affetti della depressione.
L’immagine interna si modificherà lentamente, nel tempo, molto lentamente.
La depressione arriverà come un mare tempestoso quando la ragazza ritroverà una sensi-
bilità, una recettività che la porterà ad un rapporto più valido con il suo terapeuta: quando
si accorgerà della realtà umana del terapeuta.
In questo momento drammatico, di apertura degli occhi su una realtà umana che non si è
lasciata corrompere dalle delusioni che vi possono essere nei rapporti umani e dall’anaffet-
tività di una socialità che delude, questa depressione è una reazione affettiva valida attra-
verso la quale la paziente potrà scoprire il grande ed insostituibile valore del rapporto umano.
Ed è in questo momento “magico” che occorre rispondere con molta efficacia, competenza,
umanità: si è aperta la strada verso la cura e la guarigione.
Gloria ANGELETTI42
Il servizio di counseling psicologico dell’Università la Sapienza di Roma
Come Responsabile del Servizio di Psicoterapia Integrata della UOC di Psichiatria-Az. Osp.
Sant’Andrea - Sapienza Università di Roma, vorrei presentare il nostro Servizio di aiuto e di
counseling psicologico a favore di tutti gli studenti iscritti alla Sapienza, attivato in via speri-
mentale in base a un protocollo d’intesa tra Laziodisu e Sapienza Università.
Questo servizio è stato reso possibile dalla collaborazione e dal sostegno della Laziodisu, che
è l’agenzia regionale per il diritto allo studio. Partendo da questo sportello di counseling ab-
biamo nel tempo allargato il servizio di counseling in tutto l’ospedale, a favore di tutti i giovani
adulti, e stiamo cercando di ampliarlo addirittura anche a favore dei dipendenti, con l’obiettivo
di istituire un servizio interno da estendere possibilmente anche agli adolescenti.
In questo contesto vorremmo proporre l’uso che abbiamo fatto del counseling come atto con-
creto di promozione della salute; quello che abbiamo visto, iniziando a lavorare con i giovani stu-
denti, è proprio ciò che qui abbiamo chiamato “il principio dei fatti”, cioè con quali problemi ci
siamo quotidianamente confrontati (sia all’interno della U.O.C. che nel rapporto con i giovani
che si sono rivolti al nostro servizio o con quelli che incontriamo presso il Pronto Soccorso del-
l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea): Disturbi del Comportamento Alimentare, disturbi del-
l’umore, schizofrenia, disturbi d’ansia, disturbi di personalità, disturbi correlati ad uso di
sostanze, disturbi sessuali e collegati all’identità di genere.
Questi disturbi li valutiamo sia clinicamente che con una batteria di test che sommini-
striamo ai ragazzi che si rivolgono a noi: qual è l’esito infausto dei fatti? Sappiamo che il
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Ricercatore, Professore Aggregato- Sapienza, Responsabile del Servizio di Psicoterapia Integrata- UOC Psichiatria, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma.
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suicidio rappresenta la seconda causa di morte tra i giovani dopo gli incidenti stradali e
sappiamo anche che l’anoressia è una causa di morte importante tra i giovani, come ri-
badito più volte tra ieri e oggi. I centri attivi a La Sapienza per il counseling psicologico
attualmente sono tre: un centro che opera all’interno della città universitaria - che fa capo
alla Facoltà di Psicologia - il nostro centro, diretto da me con il coordinamento della dottoressa Santucci, e un terzo centro che fa capo alla I Facoltà di Medicina e Chirurgia.
Questi tre centri lavorano insieme e stiamo cercando di lavorare in rete per costruire un data-
base, sia per la ricerca che per la clinica, per cercare di fotografare il disagio giovanile che
permetta una programmazione degli interventi che sia strutturale e non dispersiva. Il servizio
dunque fornisce un intervento di sostegno a tutti gli studenti iscritti a La Sapienza Università
di Roma, compresi quelli afferenti al Programma Europeo Socrates/Erasmus ed è gratuito.
Tra le ragioni che hanno favorito la realizzazione del servizio, vi è l’obiettivo di poter offrire agli studenti la possibilità di individuare ed esprimere le difficoltà legate al percorso
universitario. Il servizio si pone come spazio di ascolto, di confronto, di chiarificazione e
di risoluzione delle problematiche emotive che sono alla base del disagio percepito.
A partire da questo sportello abbiamo cominciato a lavorare sui disturbi della popolazione universitaria giovanile e abbiamo provato a pensare quale potesse essere un modo
per approcciare questi giovani e fare promozione di salute e prevenzione. Abbiamo aderito a un’esperienza e a una richiesta importante fatta dalla CRUI - Conferenza dei Ret-
tori delle Università Italiane, statali e non statali - che ha voluto fare una prima ricognizione
di tutti i centri di counseling psicologico delle università italiane; è importante tenere conto
del fatto che, per quanto riguarda le realtà universitarie, sotto l’etichetta “counseling” in
Italia si raggruppano diversi centri che vanno dall’orientamento, al sostegno per l’handicap, al counseling psicologico vero e proprio – come quello della LUISS - a forme di
counseling di orientamento più vario: da quello filosofico psicodinamico alla individuazione di un coach per gli studenti.
L’intento della CRUI – che ha operato in collaborazione con l’AURAC (Associazione Universitari per lo sviluppo e la formazione alla Relazione d'Aiuto e al Counseling) è stato
quello di riordinare le idee - dopo una ricognizione dello stato dei fatti - al fine di lavorare
sul disagio giovanile.
Nello specifico, gli obiettivi del nostro servizio sono orientati a fornire aiuto nell’elabo-
rare le difficoltà personali e nel definire la confusione emotiva dello studente per favorire
la mobilitazione delle sue risorse interne, per fronteggiare il disagio e promuovere il cam-
biamento. Il servizio è strutturato in modo da garantire gratuitamente allo studente 4 colloqui della durata di circa un’ora. I colloqui si svolgono con cadenza settimanale. È
previsto un 5° colloquio di follow up a sei mesi di distanza. Al termine del 4° colloquio si
valuta insieme allo studente, laddove ne emerga la necessità, l’invio al servizio di terapia
integrata della U.O.C. o ad un servizio territoriale. Inoltre, al fine di migliorare e monito-
100
rare il nostro servizio, abbiamo chiesto al nostro campione un giudizio sul nostro operato
in termini di efficacia della prestazione, comportamento dei nostri operatori e gradimento
della struttura del nostro servizio.
Il servizio svolge anche un’attività di ricerca, per poter meglio comprendere l’origine del possi-
bile disagio psicologico degli studenti universitari. A tal fine è prevista, nel pieno rispetto della
legge sulla privacy, la somministrazione di una batteria di test.
Parlando di prevenzione primaria parliamo certamente anche di Disturbi del Comporta-
mento Alimentare, per prevenire dobbiamo partire dall’educazione alimentare: dalle
mamme, dai bambini piccoli, dalla scuola; ci piacerebbe cominciare a “scendere” dall’università ai licei, per incontrare ragazzi più giovani, ma non ne abbiamo la possibilità.
Anche in questo senso è molto rassicurante e condiviso quanto detto dalla dottoressa
Manzato pochi minuti fa, parlando della centralità dell’integrazione, intesa come un modo
di lavorare, come un modo di pensare al di là dei fondamentalismi psicologici o biologici,
come un approccio. L’integrazione deve essere prima di tutto quella mente/corpo, deve
essere una visione integrata del paziente perché oggi non si può assolutamente più pen-
sare di fare qualcosa con la persona che soffre di questi disturbi, credendo di poterla ac-
cogliere nel nostro ambulatorio - privato o pubblico che sia – e affrontare problemi di
questo genere da soli. È doveroso ricordare pertanto tutti i vari ministeri coinvolti nella rete
delle strutture, tutte le istituzioni coinvolte nell’assicurare una task force per aiutare i giovani: per farlo però, forse bisognerebbe abituarsi a porgere di più l’orecchio ai bisogni dei
giovani e non arrivare dall’alto con le nostre teorie.
L’iniziativa della CRUI a me sembra molto interessante e forse sarebbe auspicabile – e faciliterebbe il compito - anche un coinvolgimento del Ministero dell’Istruzione dell’Univer-
sità e della Ricerca e di quelle strutture che formano una rete all’interno dell’università e
delle aziende ospedaliere.
Ma qual è il nostro modo di lavorare? Noi incontriamo i ragazzi in una fascia di età che
parte dal primo anno di università, quindi dai diciotto/diciannove anni; il nostro intervento
parte dall’individuazione dei disturbi - per cui utilizziamo delle batterie di test - ma la linea
guida del nostro modo di lavorare è l’attivazione della responsabilità, intesa come delimitazione di quelle che sono le responsabilità individuali rispetto al proprio ruolo.
Aiutiamo il giovane a individuare quali responsabilità in quel momento è in grado di prendersi,
cercando però di evitare di far sì che il messaggio sia che io, psicoterapeuta, so già tutto
quello di cui tu hai bisogno. Secondo la nostra esperienza infatti, se c’è una cosa che “sa-
tura”, che uccide la possibilità di un giovane di poter muovere le sue risorse interne, è pro-
prio incontrare qualcuno che sa già tutto, sa cosa gli serve e non ha capacità di ascolto.
Ovviamente il grosso problema dei ragazzi - se ne è parlato prima rispetto alla difficoltà dei
ragazzi anoressici di chiedere aiuto – è quello di farsi curare: tutti quelli che si occupano di
adolescenti sanno che l’adolescente rifiuta qualunque cosa senta come impositiva e co-
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strittiva. Credo peraltro che questo faccia parte del movimento stesso dell’adolescente,
che si muove tra claustrofobia e claustrofilia, tra libertà e costrizione: sta purtroppo a noi il
compito di riuscire a individuare lo spazio in cui intervenire. Ci muoviamo in un terreno nel
quale cerchiamo di individuare non tanto i prodromi, ma i pre-prodromi del disturbo, osserviamo come il ragazzo funziona, qual è la modalità con la quale si rapporta con se
stesso, e nel quale dobbiamo comunque favorire la promozione della qualità della vita.
Al nostro servizio il giovane accede in assoluta libertà e autonomia: ad accoglierlo - questo
aspetto rappresenta la nostra peculiarità, essendo un servizio all’interno di una facoltà uni-
versitaria ed essendo io una docente della facoltà - sono un gruppo di giovani specialisti, tirocinanti, specializzandi, volontari, di cui io sono il supervisore, il coordinatore dietro le
quinte. Attraverso il confronto con questi giovani specialisti lavorariamo partendo da una
non stigmatizzazione del disagio tesa a evitare l’accesso al sistema di cura laddove non ne
emerga la reale necessità. Il profilo dell’èquipe fa sì che ci sia una comunicazione tra pari,
rispetto alla quale i miei collaboratori svolgono una funzione di decodifica e di comprensione del problema, che favorisce l’attivazione di un confronto. Un’altra funzione del servi-
zio è quella che abbiamo definito di medical screening, ovvero quella di rappresentare una
sorta di agenzia di servizi, a disposizione di questi ragazzi: immaginatevi la grande pletora
degli studenti fuori sede che a La Sapienza non sanno neppure da che parte andare!
Rispetto ai campus americani, dove c’è il servizio di medicina preventiva, dove c’è il servi-
zio di medicina per i ragazzi, da noi i servizi sono scarsi e parcellizzati! Questi ragazzi sono
totalmente disinformati nonostante la iper informazione che viene loro data: hanno bisogno
di un supporto per la scrematura delle informazioni, per capire che cosa gli serve, qual è il
loro bisogno; il servizio di counseling serve proprio a questo: orientare il giovane, dopo averlo
aiutato a comprendere la difficoltà o il problema, verso una soluzione, che sia una visita der-
matologica o cardiologica o quant’altro.
Nella nostra realtà godiamo della grande fortuna di avere come tesoretto il fatto che il pro-
fessor Tatarelli ha creato all’interno del Sant’Andrea, grazie alla impareggiabile tenacia e alla
grande capacità, una serie di servizi che vanno dal reparto di diagnosi e cura al day hospi-
tal, dall’ambulatorio del servizio di psicoterapia al centro prevenzione suicidio, dal centro di-
sturbi dell’umore al centro DCA, sino a un centro di prevenzione per gli esordi psicotici.
Abbiamo attivato una convenzione con l’associazione “Differenza donna” per quanto riguarda
il servizio contro la violenza sulle donne e lo stalking; abbiamo attivato un corso - di cui mi
sono occupata personalmente – sulle strategie di contrasto contro la violenza sulle donne e
sui minori. Vorrei segnalare un progetto molto bello, davvero di giovani per i giovani, il pro-
getto Mind the Gap, per cui gli studenti della II Facoltà di Medicina vanno nelle scuole e nelle
parrocchie a parlare, ai loro quasi coetanei, dei rischi connessi all’uso e abuso di sostanze.
Vorremmo anche attivare un Master su questi temi, ma le energie per farlo adesso sem-
brano davvero troppe!
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Emilia MANZATO43
La prevenzione secondaria nei Disturbi del Comportamento Alimentare
Vorrei fare una breve presentazione del Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare
di Ferrara e di come la sua presenza nel territorio ferrarese abbia influito sulla individuazione
e gestione dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA).
Noi siamo presenti a Ferrara da circa 13 anni e in questo lungo periodo è stato possibile os-
servare come è cambiato il nostro modo di lavorare, come è cambiata l’utenza ed infine
come è cambiato anche il modo di arrivare al nostro Centro. Ieri ho visto con interesse le dia-
positive di alcuni Centri nati da poco e posso dire che le diapositive che avrei preparato sei
o sette anni fa sarebbero state assolutamente uguali! Una di queste per esempio mostrava
l’arrivo dei pazienti, attraverso un auto invio o un percorso non sanitario. Dopo tredici anni
di presenza sul territorio, e un lavoro costante di aggiornamento e di contatti e scambi con
i Medici di Medicina Generale (MMG) posso dire con soddisfazione che l’invio - per la mag-
gior parte dei casi - avviene proprio attraverso di loro.
Una delle criticità più gravi nell’area dei DCA è la diagnosi tardiva rispetto all’esordio della
patologia, quindi è importante che i MMG siano attenti ai segnali precoci dei DCA.
Resta urgente la necessità di migliorare la prevenzione secondaria, si fa diagnosi di DCA
dopo anni di malattia: per la bulimia in media dopo 4 anni dall’esordio nelle femmine e dopo
circa 8 anni nei maschi. Il ritardo della diagnosi e di conseguenza la lunga durata di malattia costituiscono un fattore prognostico negativo.
Per migliorare la prevenzione secondaria è essenziale implementare la formazione e l’ag-
giornamento dei medici, in particolare dei MMG, ma anche di tutti gli specialisti che a vario
titolo vengono a contatto con pazienti con DCA.
Il nostro Centro pur essendo ospedaliero ha programmato numerosi percorsi di aggiorna-
mento nell’ambito territoriale, favorendo una maggiore formazione dei MMG, che ora sono
molto più attenti ai sintomi dei DCA.
Purtroppo restano ancora molte le richieste fatte direttamente dai famigliari e dai pazienti stessi
che, saputo dell’esistenza del Centro attraverso Internet ( es. sito governativo dove c’è la re-
cente mappatura delle strutture presenti sul territorio, sito dell’Azienda Ospedaliera o sito della
Società Italiana per i DCA) ci contattano per una presa in carico senza consultare il MMG.
Il nostro Centro per DCA è presente da circa 13 anni all’interno dell’Azienda Ospedaliera
Universitaria di Ferrara, nel Dipartimento Medico.
All’interno dell’Ospedale siamo riusciti a costruire un percorso di “filtro” insieme a tutti gli ambulatori che si occupano di disturbi del peso, utilizzando questionari molto semplici, auto-
somministrati che, con una veloce valutazione del punteggio, possono segnalare la possibile
43
Responsabile del Centro dei Disturbi Alimentari. Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Anna, Ferrara.
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presenza di DCA e stimolare i diversi specialisti a un invio al nostro Centro.
In questi tredici anni abbiamo trattato più di 1500 pazienti: nell’analisi che presento, menziono
solo i pazienti che hanno finito la fase diagnostica e hanno intrapreso la fase terapeutica, tra-
lasciando quindi coloro che hanno fatto una sola consultazione e poi non hanno proseguito.
Nel nostro Centro abbiamo organizzato sin dall’inizio un database che ha reso possibili le
analisi che ora presenterò: a mio avviso è fondamentale per tutte le strutture dotarsi di un
registro elettronico per avere una visione completa delle caratteristiche dei pazienti e del
loro percorso ma anche per poter valutare l’efficacia dell’attività clinica della struttura.
I nostri pazienti hanno presentato nel tempo un’età media sempre più elevata: ciò è dovuto
al fatto che in questi ultimi 5 o 6 anni ci siamo occupati anche del problema del Binge Ea-
ting Disorder (BED). Penso che, inevitabilmente, qualsiasi Centro per i Disturbi del Com-
portamento Alimentare debba confrontarsi con il problema del BED e quindi con tutta la
galassia dell’obesità. È un’area molto complessa vista la comorbilità e difficile da individuare
visto che tra l’esordio del BED e il trattamento passano in media 10 anni. Apro una breve pa-
rentesi sul BED: nel mese di maggio di quest’anno a Ferrara abbiamo presentato in un con-
vegno dal titolo “Profili psicologici e DCA nel sovrappeso e nell’obesità”, una ricerca fatta
su popolazione non clinica in cui si rilevava come la presenza del BED fosse molto elevata
anche nella popolazione sovrappeso e fosse distribuita in tutte le classi di età.
Purtroppo i DCA trattati restano la punta di un iceberg di cui non conosciamo ancora
la reale grandezza.
L'organizzazione del nostro Centro - una delle poche esperienze completamente pubbliche,
strutturata in modo aderente alle linee guida internazionali e alle raccomandazioni nazionali
sul trattamento per i DCA - è di tipo multidisciplinare comprendente: una psichiatra, un in-
ternista, una dietista e alcuni psicologi.
Il Centro appartiene al Servizio Sanitario Nazionale e quindi risente della precarietà di risorse:
soltanto io e l’internista siamo a tempo pieno, mentre psicologi e dietisti hanno un contratto
di collaborazione a orario molto limitato.
Ai pazienti è offerto un percorso diagnostico multidisciplinare e solo dopo una valutazione
completa del quadro clinico, della gravità della sintomatologia e della motivazione al tratta-
mento, si inizia il percorso terapeutico sul disturbo alimentare.
Il primo incontro con il paziente avviene attraverso la telefonata che ricevo io, psichiatra e
responsabile del Centro, perché ritengo che il primo contatto - come è stato sottolineato
anche dai colleghi in queste giornate - sia fondamentale. Il primo atto terapeutico è proprio
ascoltare il paziente come si presenta al telefono, capire la modalità e la tipologia della ri-
chiesta e fissare l’appuntamento in base alle caratteristiche del quadro clinico.
Dopo la visita psichiatrica iniziale si passa alla fase diagnostica multidisciplinare, alla fine
della quale se non esiste un DCA il paziente viene rimandato al MMG con una relazione del
percorso fatto e del quadro emerso.
104
Se invece il paziente presenta un DCA si propone la fase terapeutica, durante la quale il progetto multidisciplinare viene verificato e riformulato ogni 3 mesi.
La durata media di trattamento è di circa 8-12 mesi , tuttavia può prolungarsi a seconda
delle necessità dei pazienti.
Il trattamento può essere svolto in Ambulatorio, in Day-Hospital o solo per i casi più gravi in
Degenza ordinaria: nel reparto di Medicina vi è un posto letto dedicato ai DCA e il Day-Hospital è internistico con possibilità di percorsi mirati per le pazienti con DCA.
L’èquipe del centro segue il paziente in tutti i percorsi garantendo la continuità di presa in carico.
Una funzione fondamentale è svolta dal corso di aggiornamento che è attivo da quasi 10 anni
e che prevede la partecipazione di tutti gli operatori del Centro e del personale infermieri-
stico del Day Hospital e della degenza. Gli incontri sono guidati da un esperto esterno con
formazione psicodinamica che ha contribuito a migliorare la comprensione e la gestione dei
DCA in fase acuta da parte di tutto il personale.
Al momento della dimissione – dopo aver compilato le schede che servono per l’inserimento
dei dati del paziente sul registro elettronico - si redige una relazione finale destinata alle
strutture che hanno fatto l’invio.
Vediamo alcune caratteristiche dei pazienti afferiti al Centro.
Dal 1997al 2009 sono circa 1400 pazienti, di cui il13% affetti da Anoressia Nervosa (AN), il
19% da Bulimia Nervosa (BN), il 5% da Binge Eating Disorder (BED), il 13% da Obesità. In
realtà all’interno della diagnosi di Obesità vi sono pazienti che non rispondono a tutti i cri-
teri del BED o che hanno gravi alterazioni del comportamento alimentare (non ancora con-
template tra i DCA nel Manuale Statistico e Diagnostico delle Malattie Mentali nella 4°
edizione), che necessitano di un trattamento multidisciplinare.
Tra i pazienti con DCA non altrimenti specificati (DCANAS), il 13% appartiene all’area AN, il
9% all’area BN, il 16% all’area BED.
Circa il 67% dei pazienti completa il trattamento e all’outcome una percentuale che va
dal 40 % circa per Anoressia e Bulimia al 70% circa per i DCANAS e per BED ha una re-
missione totale dei sintomi.
I dati raccolti mostrano un aumento progressivo di diagnosi di BED e obesità.
Osservando l’età media dei pazienti e la prevalenza della diagnosi per gruppi di età si può
notare che nella fascia dai 12 ai 14 anni abbiamo una prevalenza di Anoressia mentre con
l’aumento dell’età, abbiamo un aumento di diagnosi di BED e Obesità complessa.
La più lunga durata di malattia si ha nell’area della Bulimia e del BED con punte di 10 anni
di malattia indicativi di una cronicizzazione del DCA.
Per quanto concerne la comorbilità psichiatrica la maggior parte dei pazienti con DCA (il
70%) ha una concomitante patologia nell’area dei Disturbi dell’Umore o d’Ansia o nell’area
dei Disturbi di Personalità.
Ai pazienti chiediamo anche il loro punto di vista sull’insorgenza del DCA. I risultati sono
105
molto interessanti perché la loro visione è spesso monofattoriale (in contrasto con la visione
multifattoriale e complessa sull’eziologia dei DCA proposta in letteratura) e per lo più concentrata su due aspetti: eventi di vita e tentativi di diete.
Nei pazienti anoressici, più giovani, gli eventi stressanti sono soprattutto collegati a relazioni
con genitori, coetanei e scuola. Nei pazienti BED, più adulti, gli eventi maggiormente ripor-
tati sono: lutto, separazione dal partner, perdita o cambio di lavoro, trasferimento abitativo.
I problemi riportati dai pazienti variano anche a seconda della patologia: nei BED vi
sono grandi difficoltà nelle relazioni sociali con senso di vergogna e disagio per
l’aspetto fisico dovuti all’obesità.
Da alcuni studi svolti negli Stati Uniti, si evidenzia come l’obesità comporti anche una penalizzazione dal punto di vista sociale e lavorativo negli adulti e nei bimbi la tendenza da parte dei genitori a iscriverli ad una scuola di minore prestigio rispetto a quella dei figli normopeso.
Un accenno finale al Tavolo Regionale per i DCA dell’Assessorato alla Sanità Regione Emilia Ro-
magna di cui il Centro fa parte da sempre. La costituzione del Tavolo regionale per i DCA è stata
di grande importanza come punto di raccordo delle varie realtà esistenti a livello regionale e come
progettazione di linee di indirizzo miranti ad una uniformità di interventi nell’area DCA.
Le criticità restano la precarietà di risorse e la difficoltà a creare una vera integrazione tra le
diverse strutture: ospedale/territorio, età infantile/età adulta ecc
Lavorare in modo integrato è indispensabile nell’area dei DCA ma è un modo innovativo
dove i diversi specialisti non si giustappongono, ma lavorano insieme contribuendo a deli-
neare il quadro diagnostico e il percorso terapeutico del paziente con DCA.
È un obiettivo difficile da raggiungere ma indispensabile se si vuole trattare con successo
patologie complesse come i DCA.
Barbara MASINI44
Uno studio sui Disturbi del Comportamento Alimentare nella Regione
Liguria
Sono la responsabile del Centro sui Disturbi del Comportamento Alimentare della Asl3 geno-
vese e ho deciso di parlarvi brevemente di uno studio che abbiamo fatto nella regione Liguria.
Il Centro sui Disturbi del Comportamento Alimentare è aperto da diversi anni, ma è solo dal
mese di luglio del 2008 che la regione Liguria ha creato un osservatorio, quindi un tavolo di la-
voro, al fine di coordinare e rendere omogenei gli interventi delle varie strutture dedicate ai DCA
nella nostra regione; a tal fine si è immediatamente partiti con una raccolta dei dati relativi ai casi
trattati dove sono stati inseriti subito 1900 pazienti. Dal momento che questo numero riguarda
44
Responsabile Centro sui Disturbi del Comportamento Alimentare, Asl 3 Genovese.
106
le persone in carico a tutti i servizi e che alcuni pazienti sono in carico a più servizi, risulta che
il numero reale degli utenti seguiti è pari a 1762.
Le 1762 nuove persone accolte in soli due anni non sono ovviamente il numero totale dei pa-
zienti che soffrono di Disturbi del Comportamento Alimentare nella nostra, ma rappresentano
solo la parte di pazienti che si è rivolta al Servizio Sanitario Nazionale per ricevere aiuto.
Nello specifico è molto interessante notare che il 41,4% dei nostri pazienti ha un’età compresa
tra gli 11 e i 30 anni, percentuale forse non così alta come avreste immaginato, dal momento che
si sa che anoressia e bulimia colpiscono più questa fascia di età di altre, ma determinata in que-
sto caso dal fatto che i molti pazienti che soffrono di Binge Eating Disorder – ovvero BED, che
equivale al disturbo da alimentazione incontrollata - appartengono a una fascia più elevata di età.
Attraverso l’analisi dei dati forniti dei servizi inseriti nell’osservatorio si può notare che, curiosa-
mente, nelle zone dove sono ubicati i centri che si occupano specificatamente di disturbi dell’ali-
mentazione ci sono più malati. È evidente che dove non c’è un servizio che se ne occupa sembra
che quasi non ci siano i malati, in realtà sappiamo bene che se non c’è un centro i malati non si
manifestano, faticando a rivolgersi a centri di cura distanti dalla loro abitazione. Analizzando il nu-
mero di cartelle aperte per nuovi utenti vediamo che l’Asl1 di Imperia ha aperto 172 cartelle, l’Asl2
di Savona 258, l’Asl 3 di Genova 1017, numero certamente correlato al fatto che Genova è il capoluogo ma anche al fatto che ci sono più punti di ascolto e accoglienza per chi soffre di DCA.
Vediamo l’incidenza sulla popolazione totale: le femmine sono di più, però la cosa veramente interessante è che tra i nati dal 1991 al 1995 molti pazienti sono maschi; la loro per-
centuale raggiunge quasi il 10% ed è decisamente alta, sta crescendo rispetto a quella dei
nati tra il 1981 e il 1985 o tra il 1976 e il 1980.
Queste patologie cominciano a manifestarsi di più nel maschio rispetto al momento in cui ho
cominciato ad occuparmi dei disturbi alimentari, quando la percentuale di pazienti maschi era
davvero bassa. Osservando la distribuzione per sesso, i DCA sono sempre comunque pre-
ponderanti nella femmina, mentre osservando la distribuzione per anno di nascita abbiamo un
picco nei nati negli anni 91/95. È interessante che nei nati negli anni 61/65 vi è un picco im-
portante, determinato però dalla diffusione della alimentazione incontrollata: quindi non è una
scala in ascesa vero l’età giovanile, come verrebbe invece da pensare, ma ci sono dei picchi
anche nei 40enni 45enni 50enni per questo problema del Binge Eating Disorder.
Osservando la distribuzione per indice di residenza sembra che i malati siano quasi tutti a Genova
e un po’ a Savona, mentre sembra che a La Spezia non ci siano malati semplicemente perché
non ci sono centri dedicati ai DCA. La regione Liguria non riesce a visualizzarli ma dobbiamo pen-
sare che ovunque noi aprissimo un centro dedicato vedremmo salire i numeri dei malati; quando
questi numeri non sono alti significa purtroppo solo che vi sono malati non curati e questo do-
vrebbe farci riflettere sull’importanza di aprire centri dedicati ovunque o almeno dove è possibile.
Un altro indice che si può prendere in considerazione nell’osservazione del nostro campione di
pazienti è la distribuzione per stato civile: la condizione di celibe o nubile ovviamente è molto
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alta perché l’età della maggior parte dei pazienti è bassa e va precisamente dagli 11 ai 30 anni;
la distribuzione per convivenza ci fa invece osservare che molti pazienti vivono ancora nella famiglia di origine, per quanto una percentuale importante – quella che soffre di alimentazione incontrollata e binge eating - abbia spesso una famiglia propria per via dell’età più elevata.
Osserviamo il titolo di studio: dove vediamo “licenza media inferiore” non significa che siano
tutte persone che hanno la licenza della scuola media inferiore perché molti dei nostri utenti
sono ancora studenti, il 93% della fascia di età 11/30 anni sta infatti ancora studiando. Nella
totalità dei pazienti quello di “occupato stabilmente” è tuttavia il dato più rilevante. Nella distri-
buzione della diagnosi per età vediamo che nei nati tra il 1991 e il 1995 e tra il 1986 e il 1990,
tra i quali ci aspettavamo di trovare quasi esclusivamente diagnosi di anoressia nervosa e bu-
limia c’è invece una forte fascia di EDNOS, acronimo di Eating Disorder Not Otherwise Speci-
fied, ovvero Disturbo Alimentare Non Altrimenti Specificato e anche di BED. Questo dato ci ha
preoccupato un poco, perché l’alimentazione incontrollata, che tra i nati negli anni 56/60 o
61/65 il BED fa da padrone, colpisce adesso anche fasce di età inferiori.
Vediamo che la presenza di comorbilità nel totale dei nostri utenti è pari al 23,2%, quindi non
altissima come invece ci si sarebbe potuto aspettare. Osservando poi i dati relativi l’inviante ve-
diamo che la maggioranza si presenta spontaneamente perché viene a conoscenza del centro
in maniera autonoma; negli altri casi tuttavia non è il medico di base il maggiore inviante ma lo
sono i famigliari della persona che presenta un DCA.
Armando COTUGNO45
L’approccio multidisciplinare nella cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare
Desidero anzitutto, prima di dare inizio alla mia presentazione, esprimere un elemento di
perplessità: dalla mappa risultano 14 centri nel Lazio; ebbene qualche mese fa ho organiz-
zato un convegno dedicato ai Disturbi del Comportamento Alimentare e pertanto ho cercato
di mandare e-mail nelle varie Asl per coinvolgerli. I colleghi che mi hanno risposto sono stati
6 o 7: è probabile che ci sia una discrepanza tra quello che risulta ufficialmente e quello che
realmente si fa. Dico ciò non con uno spirito di polemica, ma semplicemente per sottoli-
neare che ci si trova a lavorare e a fare i conti con delle strutture che magari risultano sulla
carta, ma che forse vedono pochi pazienti e che sono magari state costituite da un collega
interessato ai Disturbi del Comportamento Alimentare al quale viene dato l’onore e anche
l’onere di essere responsabile di un servizio per i DCA.
Desidero adesso presentare l’esperienza del mio servizio che nasce ufficialmente il 1° agosto
45
Responsabile dell’Unità Operativa per i Disturbi del Comportamento Alimentare dell’Asl RmE.
108
2008, ma che nella realtà comincia a marciare a pieno regime nel mese di ottobre del 2008 - e
che pertanto non ha ancora 2 anni - grazie anche ai rapporti con i colleghi di Todi, con la dot-
toressa Alcione in particolare e con il collega Massimo Cuzzolaro.
Inizialmente abbiamo tentato di creare un gruppo multi professionale dedicato ai Disturbi del
Comportamento Alimentare sostenuti - siamo stati fortunati - dalla direzione sanitaria della Asl
RmE, che ha speso molto per mettere in piedi questo servizio.
Abbiamo affrontato subito il problema della cura, che deve coinvolgere figure diverse anche per-
ché il tema dello scompenso organico o dello scompenso psichico, ben presentato poc’anzi da
Laura Della Ragione, che evidenziava una grave e trasversale comorbilità psichiatrica, impone che
gli interventi debbano essere compiuti da specialisti diversi. Questi devono poter essere coordi-
nati tra loro, per cui bisogna saper fare insieme, cosa non sempre semplice: l’integrazione multi
professionale appare quindi un must nel trattamento dei pazienti. Il nostro servizio è costituito da
5 psichiatri, 1 medico internista, 2 psicologi, 2 dietiste, una educatrice professionale e una infer-
miera professionale; siamo un gruppo relativamente ben nutrito e dal 22 ottobre 2008 portiamo
avanti un’accoglienza unificata “siglata” con un atto di collaborazione con le altre unità operative,
perché l’ambulatorio da solo può fare poco. Il problema è quello di creare dei percorsi di presa in
carico che prevedano il coinvolgimento della ginecologia, dell’endocrinologia, della medicina in-
terna e quanto altro si renda necessario per la gestione dei nostri pazienti.
Queste procedure, applicate nella Asl Roma E possono essere consultate nel sito della Asl
stessa, dove sono pubblicate; i livelli di intervento che possiamo assicurare sono il livello am-
bulatoriale, il day hospital e il ricovero ospedaliero, mentre non siamo ancora riusciti a mettere
in piedi l’intervento riabilitativo e ci chiediamo se riusciremo a farlo.
Nel Lazio abbiamo un rapporto privilegiato con i colleghi di Villa Pia, ma non esistono altri
servizi che nella nostra regione possano garantire una presa in carico sul piano riabilitativo.
Riteniamo che il livello ambulatoriale sia il perno, la colonna portante per il trattamento del
disturbo del comportamento alimentare e i dati presenti in letteratura ci confortano in tal
senso. Ciò non toglie che gli altri livelli a maggiore intensità di cura non siano assolutamente
necessari, quindi non intendo con le mie parole affermare che il livello ambulatoriale è suf-
ficiente o autosufficiente, ma voglio dire che è quello però che ha il compito della presa in
carico. Sappiamo infatti che queste patologie sono a lungo termine, per cui il trattamento ria-
bilitativo è un trattamento che cura la fase post acuzie e poi il paziente viene riassegnato alle
cure ambulatoriali. Queste devono essere integrate e complesse, come idealmente trac-
ciato dal percorso dei nostri pazienti: il paziente arriva e fa un assessment, vede lo psichia-
tra, fa una valutazione psicologica o motivazionale, fa una valutazione familiare, fa una
valutazione internistica, fa una valutazione dietistica nutrizionale e fa una valutazione testo
logica, dopo di che viene visto: è un paziente con disturbo del comportamento alimentare?
Se la risposta è negativa si rinvia ai servizi competenti, se è affermativa c’è una condivi-
sione del contratto terapeutico che viene discusso in almeno 2 incontri, dopo di che il pa-
109
ziente entra nei protocolli terapeutici dedicati alla bulimia nervosa, all’anoressia nervosa o
al BED, disturbo dell’alimentazione incontrollata. L’atto di collaborazione garantisce intanto
la possibilità che il paziente possa essere preso in carico dalle strutture, in questo momento
dal Santo Spirito, per poter fare visite gastroenterologiche, endocrinologiche, cardiologiche
e quanto altro si ritenga opportuno. A causa della necessità di contenere i costi non pos-
siamo infatti pensare a un servizio autosufficiente, che possa coprire in maniera autonoma
le svariate necessità di questi pazienti; questo significa - ed è l’aspetto più complesso e più
complicato - che è necessario mettere in rete le strutture dedicate al trattamento.
Vorrei osservare con voi alcuni dati del nostro servizio: in un anno e mezzo abbiamo fatto 31 ri-
coveri in day hospital, 8 in degenza ordinaria, 13 in residenza riabilitativa; abbiamo dovuto af-
frontare il problema determinato dal fatto che i nostri pazienti spesso vanno fuori regione e ciò
comporta una discontinuità delle cure terapeutiche, un cambiamento delle équipe oppure,
quando sono in regione come ad esempio a Villa Pia, ciò comporta il che i colleghi si debbano
recare settimanalmente o su base quindicinale a Guidonia dove ha sede Villa Pia.
Parliamo di una struttura ambulatoriale multi professionale complessa che, nell’arco di un
anno e mezzo, ha visto 222 pazienti, 222 prime visite; è interessante notare che di questi pazienti 191 erano donne e 31, ovvero il 14%, erano maschi. Su 222 pazienti ben 173 sono en-
trati nei protocolli terapeutici che cerchiamo di garantire agli utenti dell’ambulatorio, il che
significa che, dopo un anno e mezzo, il nostro servizio è andato in saturazione, perché è
inimmaginabile mantenere questo trend.
Vorrei puntare per un istante ancora l’attenzione sui pazienti, valutati per fasce di età: più del
60% dei soggetti che abbiamo accolto in questo anno e mezzo sono pazienti che vanno dai
12 ai 30 anni e se osserviamo la distribuzione delle diagnosi per fascia di età vediamo come
l’anoressia e la bulimia nervosa colpiscano soprattutto le fasce giovanili, mentre il disturbo ali-
mentare non altrimenti specificato (EDNOS) sia rappresentato in tutte le fasce di età. Vediamo
che sul piano psicopatologico i pazienti che presentano una maggiore sofferenza soggettiva
sono quelli con bulimia nervosa, per i quali è spesso necessario mettere a punto degli interventi
che possano considerare molto anche la tendenza alla multi impulsività, ovvero all’abuso di
sostanze, ai comportamenti auto lesivi, alla promiscuità sessuale. La multi impulsività implica
dei set terapeutici particolarmente articolati in connessione con i servizi del dipartimento di sa-
lute mentale. Stiamo ancora lavorando per aumentare il livello di intensità, poiché pensiamo che
il livello semiresidenziale e quello che in Inghilterra chiamano “trattamento ambulatoriale inten-
sivo” rappresentino una risposta che consente di abbassare nettamente i costi: un trattamento
ambulatoriale intensivo costa ottanta/cento euro, mentre un trattamento residenziale costa tra
duecentocinquanta e duecentottanta euro al giorno! Considerate la differenza, pensando che
anche il trattamento focalizzato sulla famiglia è un altro intervento che, sul piano delle good
practice, ha mostrato una maggiore credibilità in accordo con il DSM. Insomma, noi continuiamo a lavorare per la residenza: la residenza non c’è ancora ma noi siamo testardi.
110
Caterina RENNA46
I laboratori espressi pugliesi per la cura dei Disturbi del Comportamento
Alimentare
Dirigo un centro specificamente dedicato ai Disturbi del Comportamento Alimentare, aperto
nell’Asl di Lecce nel 1998. Già due anni prima dell’apertura del centro, nel 1996, avevamo
provato questa esperienza al Policlinico di Bari, dove io lavoravo dopo aver terminato un
viaggio a Toronto ed una esperienza di collaborazione con il professor Finkel. Fin da subito
abbiamo voluto un programma di trattamento integrato e multidisciplinare, ora acclarato
dalla letteratura scientifica internazionale come il programma più adatto per intervenire in
queste patologie, proprio perché mette insieme interventi che non sono solo strettamente
medici – psichiatrici, di medicina interna o dermatologici -, ma mette insieme anche inter-
venti di tipo psicologico e soprattutto di tipo culturale. Questo è un aspetto che abbiamo cu-
rato sin dall’apertura del centro attraverso il coinvolgimento di operatori culturali e di
operatori artistici che potessero guidare dei laboratori espressivi all’interno dei quali la sof-
ferenza potesse diventare atto creativo, un modo per esprimere, al di là dei sintomi, quello
che non si avevano parole per dire, mettendo così in luce la ricchezza di questi pazienti.
Noi, che preferiamo parlare positivo, prestiamo attenzione alla ricchezza che queste per-
sone hanno dentro di loro, celata dietro una immagine di freddezza e, a volte, dalla man-
canza di voglia di stringere delle relazioni affettive; tale mancanza è determinata solo dalla
paura: sono persone così spaventate dall’idea di poter soffrire per una delusione emotiva o
sentimentale che preferiscono difendersi e, talvolta, la difesa può essere anche la bugia,
detta con lo scopo di impedire che l’altro possa vedere veramente quello che sono, possa
scoprire la loro intimità e magari ferirla. In realtà, ai nostri occhi di operatori, la scoperta della
loro intimità è una scoperta di bellezza e questa bellezza mi fa emozionare: purtroppo siamo
a sud dell’Italia e le risorse sono veramente poche, però è proprio questa bellezza che scopriamo nei nostri pazienti a darci la forza di andare avanti nonostante le mille difficoltà eco-
nomiche, politiche e cliniche che incontriamo tutti i giorni. La regione Puglia si è dotata,
all’interno del Piano Regionale di Salute, di un capitolo specifico che riguarda la salute e il
comportamento alimentare: per la prima volta 2 anni fa è uscito infatti il primo piano della
salute che finalmente nomina i Disturbi del Comportamento Alimentare. L’assessore alla sa-
lute di allora percepì i dettami della SISDCA - Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del
Comportamento Alimentare - della regione Puglia, che io ho l’onore di dirigere da qualche
anno, e della Basilicata; è stato quindi previsto che all’interno di qualche Asl fosse organiz-
zato almeno un ambulatorio e un day hospital per questi disturbi e che all’interno di qualche macro area fosse istituita una residenza e poi che, all’interno di ciascuna Asl con più di
46
Psichiatra, Responsabile Centro per la Cura e la Ricerca sui Disturbi del Comportamento Alimentare, AUSL LECCE 1.
111
un certo numero di abitanti, vi dovesse essere una struttura che contenesse i vari livelli as-
sistenziali, oltre a delle strutture ambulatoriali accessorie che magari permettessero di co-
prire un territorio un po’ più vasto. In particolare la mia Asl ha 850 mila abitanti, quindi benché
a Lecce vi sia questo centro molte persone, per potersi far curare, devono percorrere ogni
giorno anche duecento chilometri, perché Lecce è in una posizione particolare.
L’Asl di Lecce tra un paio di mesi sarà la prima residenza in Puglia: ci siamo riusciti con un
progetto ministeriale del 2002, siamo nel 2010 ma ce la faremo; siamo riusciti ad avere la ri-
strutturazione di un intero padiglione - l’ex manicomio della provincia di Lecce - all’interno
del quale sarà ospitato il nuovo centro, che conterrà il livello ambulatoriale, il livello di day
hospital e anche, finalmente, la residenza, anche se solo con 12 posti letto.
Manca ancora completamente la risposta a livello comunitario, che speriamo di avere con una
nuova struttura - Villa Luisa - che ha siglato un protocollo d’intesa con il Ministero della Salute
che prevede la realizzazione di un Centro all'avanguardia e unico in Italia per la prevenzione, la
diagnosi e la cura dell'obesità e dei disturbi dell'alimentazione in età infantile e adolescenziale.
Per quanto concerne invece le comunità è allarmante il fatto che, allo stato attuale nella re-
gione Puglia non ve ne siano, benché alcune strutture si siano recentemente definite così,
forse nel tentativo di inserirsi nella mappa. Il mio suggerimento è pertanto, in caso di biso-
gno, non solo quello di controllare la mappa ma, anche, di andare a capire chi lavora in que-
sti posti e qual è il curriculum di queste persone, perché non basta seguire un convegno per
acquisire la competenza necessaria alla gestione dei DCA.
Purtroppo invece, cliccando su Internet “disturbi alimentari Lecce” si aprono una serie di pa-
gine pubblicitarie che sembrano interessantissime, i cui riferimenti andrebbero scrupolosamente controllati a cura di un centro di coordinamento a valenza regionale.
A livello della regione Puglia si è cercato di seguire le linee guide ministeriali del 1998 e, anche
se siamo molto indietro, non demordiamo sperando che questa nuova amministrazione Ven-
dola possa lavorare su questo tema e realizzare qualcosa di più di quanto fatto in passato.
Vediamo un progetto al quale abbiamo dedicato tempo e attenzione: “Pe(n)sa differente” che
ha visto quale soggetto proponente ONLUS Salomè, associazione scientifico-culturale della
quale sono presidente, e quale soggetto partner Big Sur, laboratorio di immagini e visioni.
Abbiamo cercato di mettere dentro questo progetto, che fa parte del progetto ministeriale na-
zionale ‘Le buone pratiche di cura e la prevenzione sociale dei DCA’ quelle che sono le carat-
teristiche della gente del sud, soprattutto la creatività: abbiamo messo insieme una campagna
di comunicazione per immagini che andassero a proporre dei modelli positivi e quindi a con-
trastare le immagini negative che passano i mass media e che, in qualche maniera, influen-
zano negativamente i pazienti o chi comunque svilupperà un disturbo del comportamento
alimentare. La parola dello slogan “pe(n)sa” contiene in sé due accezioni: una che si riferisce al
peso, che è determinato da molti fattori e non può essere uguale per tutti, l’altra che invece si
riferisce proprio al pensare. Ognuno deve farlo con la propria testa per inventare un proprio
112
modo originale di essere nel mondo, un modo che passa assolutamente non dall’aspetto fisico,
ma attraverso l’espressione di quello che si è dal punto di vista sentimentale, emozionale e
anche culturale. “Pe(n)sa differente” propone sostanzialmente una protesta dolce contro la
pressione di essere magri esercitata dalla nostra società, propone un miglioramento dell’auto-
stima attraverso la propria percezione di immagine del corpo rispetto a immagini realistiche, sti-
mola l’accettazione del proprio peso naturale, celebra la differenza fisica, emozionale e mentale
di ciascuno, ricorda che la perdita di peso e la magrezza non sono l’unico modo per ottenere
successo, suggerisce l’adozione di stili di vita salutari. Inoltre propone di implementare le co-
noscenze circa i disturbi alimentari, di sostenere chi soffre di questi disturbi, di inneggiare a
una idea libera da ogni omologazione perché voler essere tutti uguali dal punto di vista del-
l’immagine corporea e vestire tutti allo stesso modo - pressione a cui i ragazzi di 14 anni sono
molto sottoposti da parte della società – non è un valore.
Propone in definitiva di festeggiare la bellezza in tutte le sue forme, qualunque taglia noi ab-
biamo, sotto l’unico cuore che abbiamo: questa è una frase che abbiamo rubato a Mariangela
Gualtieri, che è una poetessa italiana che lavora con il teatro Valdocca di Cesena. Questa frase
è diventato il nostro slogan nel 1998: tutti insieme sotto l’unico cuore che abbiamo. Parliamo
di cuore perché ognuno di noi con la sua presenza e partecipazione fa la differenza.
“Pe(n)sa differente, festeggia il tuo peso naturale” è stata la prima manifestazione nazionale di
sensibilizzazione sociale su anoressia bulimia e obesità, che si è tenuta nel 2008 e poi, grazie
al progetto ministeriale, si è potuta ripetere nel 2009 e nel 2010 in maniera assolutamente au-
tofinanziata. Sostenuta dal comune di Lecce, questa campagna aveva come simbolo una co-
rona che suggerisce un atto formativo, cioè di indossarla e di festeggiarsi per quello che si è,
per testimoniare la propria bellezza autentica. Numerosi ragazzi, giovani e persone di tutte le
età hanno circolato per le tre giornate della manifestazione nelle vie di Lecce con la corona in
testa; “Pe(n)sa differente, festeggia il tuo peso naturale” ha sensibilizzato dal punto di vista della
prevenzione primaria universale ed ha anche informato la popolazione su che cosa vuol dire
peso naturale; nell’ambito della tre giorni ci sono stati anche degli eventi scientifici formativi
che sono appunto serviti per aiutare gli operatori sociosanitari a fare diagnosi di Disturbi del
Comportamento Alimentare, perché molto spesso gli stessi medici curanti danno una pacca
sulle spalle dei giovani pazienti e dicono ai genitori di lasciar perdere.
È necessario che ci sia una sensibilità forte da parte degli operatori sanitari perché si possa
intervenire precocemente: l’intervento precoce migliora la prognosi; per facilitare la comu-
nicazione e il trasferimento delle informazioni abbiamo utilizzato dei manifesti di 6 metri x 3,
per parlare alla popolazione abbiamo utilizzato delle cartoline che raffigurassero insieme,
attraverso il fumetto, persone di diversa taglia. Quella di utilizzare il fumetto è stata una
scelta orientata a raggiungere le persone più giovani ed in particolare i bambini.
Abbiamo avuto diversi testimonial, tra i quali Yuri Chechi e Adriano Panatta - che vinsero X
Factor 2 anni fa - e che sono venuti a cantare per noi; insieme a loro altri testimonial d’ecce-
113
zione sono stati Niki Vendola, Livia Turco e Roberto Calderoli. Abbiamo una pagina di face-
book che conta adesso più di 2300 fan e che prova a dare informazioni e promuovere le nostre
iniziative, volte a coniugare dieta alimentare, attività fisica, spettacoli di danza, mostre creative,
come quella dei libri animati che hanno costruito le mie pazienti o quella di pezzi di plastica ri-
ciclati e assemblati per costruire nuovi oggetti, che mi ricordava come ciascuno di noi è diverso dagli altri, come esistano diversi colori, diverse forme, diverse taglie.
La manifestazione di quest’anno, che si è conclusa proprio la scorsa settimana, è stata uno
spettacolo di teatro nella piazza principale della città, dove abbiamo allestito un banchetto
e dove abbiamo distribuito una card informativa che sottolineava che “non ce n’è uno uguale
all’altro” e che il bello sta proprio nella differenza.
Nella parte posteriore era scritto che nonostante tu possa essere alto, basso, avere il naso
grande, il viso lungo, i fianchi larghi, le caviglie grosse sei bello perché sei tu, che pensi diffe-
rente e sei unico nel tuo genere. Abbiamo anche ideato delle magliette con delle parole sim-
bolo come differenza/dialogo, differenze di colore, differenza di vertigine, differenza/sguardo,
differenza/incontro, T-shirt che hanno avuto molto successo proprio perché funziona l’idea di
non parlare direttamente di anoressia e bulimia ma di circondare un po’ il problema e quindi avvicinare le persone che altrimenti potrebbero - se parlassimo direttamente del problema - ri-
sultarne spaventate o addirittura difendersi e allontanarsi da questo tipo di messaggi.
Abbiamo inoltre voluto organizzare una serata con un dj abbastanza conosciuto nella nostra
città, proprio nella piazza centrale della movida, durante la quale abbiamo incontrato i gio-
vani su un piano completamente diverso. La maggior parte di loro ha indossato la corona e
tutti ci hanno ringraziato per aver parlato loro in maniera diversa da come farebbe un clinico,
per aver sensibilizzato loro e la società che li circonda sui disturbi alimentari, senza però
fare quelle lezioni noiose che, spesso, a loro dire, sono costretti ad ascoltare in classe.
Anna Maria GIBIN47
Dieci anni di politiche sui DCA in Emilia Romagna
Vi parlerò, come rappresentante del tavolo regionale DCA dell’Emilia Romagna, delle difficoltà
che abbiamo incontrato in questi anni; la nostra storia inizia così: alla fine degli anni ‘90 un
gruppo di tecnici elabora un documento per avviare una sorta di campagna di sensibilizza-
zione da inviare alle unità di sanità locali e anche alle aziende ospedaliere. Nel 2000 la regione
Emilia Romagna invia un documento alle strutture sanitarie raccomandando l’avvio di una
organizzazione di specifici percorsi dedicati alle persone affette da Disturbi del Comporta-
mento Alimentare; successivamente il gruppo dispone di un documento tecnico organizza47
Psicologa, Psicoterapeuta, Responsabile Programma DCA, AUSL Parma.
114
tivo dove si raccomanda ulteriormente alle aziende sanitarie di definire degli specifici corsi as-
sistenziali - ovviamente interdisciplinari - identificando le équipe professionali e individuando
i livelli di intervento per garantire l’intensità e la complessità dell’assistenza a seconda delle
diverse fasce di età. Le criticità che sono state rilevate sono state diverse: creare una rete di
servizi aziendali e interaziendali, dal momento che non in tutte le province sussistono le stesse
situazioni sanitarie. Parma, ad esempio, è una realtà locale molto complessa dove abbiamo
tutta la parte ambulatoriale dell’azienda Ausl e dove, invece, dobbiamo appoggiarci, per la
parte del ricovero ospedaliero e per gli ambulatori nutrizionali dietetici, all’azienda ospedaliera universitaria; in più abbiamo una residenza privata convenzionata, oltre a diverse asso-
ciazioni di volontariato: tutte queste istituzioni devono quindi entrare nella rete e coordinare
questa complessità di istituzioni non è certo semplice. Un’altra criticità, peraltro già emersa
in altre relazioni, era quella di creare dei team - cioè delle équipe - che non fossero formati
da una serie di persone messe insieme, ma invece da professionisti che lavorano insieme.
Un’ulteriore criticità è stata la messa in campo di un reale approccio integrato e una reale con-
divisione delle scelte e non, invece, una realtà nella quale ognuno lavorasse per conto pro-
prio; creare i presupposti affinché tutti gli attori del sistema “in prima linea” potessero
realizzare dei progetti di promozione alla salute, affinché si realizzasse la rete clinica per riu-
scire a dare delle risposte tempestive, chiare e appropriate ai cittadini, per favorire anche la
crescita di una cultura professionale che valorizzasse tutti i singoli professionisti delle diverse
cliniche territoriali e ospedaliere. Anche questa credo che sia stata una situazione molto com-
plessa perché lavorare sulla cultura professionale non è una cosa semplice: dal 2005 la rete
regionale DCA ha fatto una richiesta alle aziende, in particolare a quelle che non avevano an-
cora nominato un referente DCA, e negli anni è stato necessario attivare continuamente delle
regole istituzionali perché le aziende si facessero promotrici della creazione della rete di cura.
Inoltre, il tavolo regionale ha aiutato un confronto rispetto alle diverse realtà aziendali e ha fa-
cilitato la collaborazione tra le strutture ospedaliere della regione con il privato sanitario con
la delibera 1298 del 2009; il tavolo ha costruito un programma con un percorso DCA, ha
quindi delineato il percorso che ogni azienda doveva seguire e questo percorso è stato con-
diviso con diversi attori che erano al tavolo, dunque con i rappresentanti delle aziende Ausl,
con i rappresentanti delle aziende universitarie e anche con quelli del volontariato, con cui si
sono definite le aree vaste, che per la regione Emilia Romagna sono tre.
È stato chiesto di sostenere e di coordinare le aziende che facevano parte delle aree vaste
e di valutare anche le risorse che vengono impiegate per ogni azienda. In questi anni, a li-
vello di tavolo regionale, è stato sicuramente importante il promuovere un corso di forma-
zione sulle tecniche cliniche, al quale hanno partecipato molti professionisti di tutte le
aziende del territorio; è stato redatto un programma regionale al quale sono stati acclusi
degli allegati tecnici, in particolare uno sull’assessment e l’altro sul trattamento, definendo
ad esempio anche quale test per l’assessment psichiatrico è più facile utilizzare nel campo
115
internistico dietetico. Questo programma DCA regionale è stato inserito nel Piano attuativo
della salute e, proprio per dar seguito a questa proposta del tavolo regionale, gli obiettivi che
ci siamo dati nel triennio 2009/2011 sono di presentare ogni anno 3 casi DCA su 1000 abitanti. Alle aree vaste di Piacenza, Bologna e Ravenna è stato demandato il compito di co-
ordinamento, di facilitazione e supporto della realizzazione della rete DCA nei diversi livelli
clinici, nei diversi ambulatori e anche nel trattamento ospedaliero residenziale.
Negli anni si è venuto a evidenziare il problema dei DCA nell’età dell’infanzia e dell’adole-
scenza ed è stato assegnato all’Unità Operativa di Pediatria dell’azienda ospedaliera uni-
versitaria del Sant’Orsola di Bologna il compito di supporto clinico per questa fascia di età.
Tra i diversi progetti che abbiamo in corso desidero citare “Scegli con gusto per la salute:
cibo corpo e media”, progetto che rientra in Guadagnare Salute e che è destinato agli stu-
denti delle scuole secondarie di primo e secondo grado. È un progetto molto complesso, in-
terdipartimentale, che vuole aiutare i ragazzi a comprendere i modelli proposti dai media e
sviluppare una forte capacità critica utile a creare una cultura alternativa e più rispettosa per
le diversità. In questo senso mi ritrovo molto nel progetto che sta andando avanti in Puglia
e del quale abbiamo ascoltato insieme le caratteristiche.
Noi ci orientiamo molto verso la formazione agli insegnanti, in particolare per quanto con-
cerne la corretta alimentazione, la promozione di uno stile di vita corretto, l’importanza del-
l’attività motoria; poniamo l’accento su come i media “trattano” il corpo, su quali sono i
modelli che i media passano, perché quando c’è una pubblicità sul cibo c’è sempre un corpo
e quindi ci sono sempre dei modelli identitari che vengono proposti. Inoltre abbiamo una
parte del progetto dedicata alla elaborazione del gusto, promuoviamo un rinnovato legame
con il territorio e con le tradizioni, auspicando così la continuità della cultura alimentare del
posto, ad esempio attraverso le fattorie didattiche. E inoltre collaboriamo con le ditte locali
per la scelta dei prodotti da esporre nei distributori automatici che nelle scuole medie e su-
periori sono ormai dappertutto, mentre nelle medie inferiori sono meno diffusi.
Un altro progetto è quello del Programma regionale “Giuseppe Leggieri”, intestato al celebre medico bolognese, che promuove l'integrazione tra i sistemi di cure primarie e della sa-
lute mentale e all’interno del quale si organizzano iniziative rivolte ai medici di base e alla
pediatria proprio perché acquisiscano gli strumenti per poterci aiutare nella diagnosi precoce
dei disturbi e perché pubblichino dei libri aggiornati e corretti.
In Emilia Romagna è molto attiva la collaborazione con il volontariato e noi abbiamo, tra le
tante, una associazione dal nome “Sulle ALI delle MENTI” che aiuta le aziende attraverso la
comunicazione di informazioni e che organizza degli interventi di prevenzione nelle scuole;
a Bologna supportano invece il personale ospedaliero che si occupa di DCA.
Il miglioramento dell’assistenza e della programmazione degli interventi necessita quindi di
molti anni di attività e di un continuo monitoraggio: per noi, che abbiamo iniziato nel 1990, la
fase più difficile è stata sicuramente quella del cambiamento culturale, professionale e orga-
116
nizzativo delle singole categorie. Alcune tappe del percorso, per quanto critiche, ci hanno fatto
capire che era possibile andare avanti per raggiungere gli obiettivi comuni e condivisi e ancora
oggi lavoriamo con lo spirito di chi crede in quello che fa e sa che, insieme, ce la faremo!
Grazia PRIMAVERA48
La diagnosi precoce dei DCA attraverso la dermatologia
La mia relazione si inserisce nell’ambito della necessità di una diagnosi precoce, proprio
perché i disturbi dell’alimentazione, a differenza della consapevolezza comune, inducono
un aspetto di modificazione che va a interessare sia la cute che le mucose che gli annessi
cutanei, quindi unghie e capelli. Spesso queste modificazioni possono essere la spia del-
l’esistenza di patologie importanti come quelle di cui parliamo e, quindi, non possono essere trascurate. Il fatto che questo tipo di paziente abbia una notevole cura di sé, una
attenzione all’aspetto esteriore - seppur in una maniera sicuramente malata e non sana -
spesso lo porta a rivolgersi a noi dermatologi proprio per cercare una risoluzione a quei problemi che, in realtà, si è autoindotto.
Nell’ambito delle manifestazione conseguenti ai disturbi alimentari, in letteratura ne sono state
messe in evidenza più di quaranta, che possono essere classificate in base al meccanismo
che le induce e che le determina: possono essere secondarie ai meccanismi di malnutrizione
o di digiuno, quindi alle carenze vitaminiche e alle carenze minerali, possono essere secondarie al vomito, possono essere secondarie all’uso improprio o all’abuso di lassativi o diuretici, op-
pure a quelle patologie psichiatriche che spesso sono alla base di questi disturbi. La maggior
parte dei segni cutanei sono sicuramente quelli legati alla malnutrizione, quindi quelli caren-
ziali: la secchezza della pelle è sicuramente uno dei segni più classici legati alla malnutrizione;
è una secchezza che spesso interessa tutto il distretto cutaneo, è sovente più accentuata a li-
vello degli arti, si presenta come una desquamazione furfuracea molto fine che conferisce un
tipico aspetto di cute sporca, aspetto che contrasta molto con la tipologia della persona che
ci troviamo di fronte, che è invece molto attenta all’apparire. Nei casi estremi la cute, proprio
per questa secchezza, assume una colorazione scura, brunastra; se la secchezza sicuramente
non è segno specifico è però un segno molto precoce e noi dobbiamo proprio cercare di an-
dare a trovare segni precoci che ci possono aiutare a sospettare l’esistenza di patologie di que-
sto tipo. L’ipertricosi lanuginosa acquisita lattiginosa, i cui segni sono assolutamente più
eloquenti sul corpo, può essere addirittura un segno guida di fronte a questo tipo di manife-
stazione; essa coincide con una peluria fine e sottile che spesso queste pazienti presentano sul
corpo a livello degli arti e sulle mani, ma anche sul viso o sul dorso. Tali ipertricosi non sono as48
Dermatologa IDI-IRCCS di Roma.
117
sociate ad altri segni di virilizzazione e quindi già questo elemento deve assolutamente farci fare
la diagnosi. I capelli rappresentano un altro grosso capitolo: i capelli delle pazienti con disturbi
dell’alimentazione sono opachi, fragili e questo le angoscia proprio perché il capello è una cor-
nice - qualcosa di molto importante per gli uomini e per le donne - e ciò le spinge a rivolgersi
al dermatologo. A causa delle carenze vitaminiche le pazienti presentano una caduta abbon-
dante dei capelli che spesso esita in una forma piuttosto caratteristica che è l’alopecia frontale.
Anche l’acne è sicuramente molto presente in queste pazienti, in parte perché la fascia di età
coincide con quella di maggior incidenza di questo tipo di patologia; quindi bisogna indagare
per verificare se l’acne fosse già presente prima dell’insorgere del DCA, ma è bene sottolineare
che spesso è proprio l’acne e la modalità con cui questi giovani pazienti la percepiscono che
può essere la causa, l’elemento che induce il disturbo alimentare: molto spesso infatti, queste
pazienti sono erroneamente convinte che una restrizione alimentare le possa aiutare a risolvere
il problema. Ovviamente, perché insorga la patologia, c’è bisogno di tutto un substrato di un
certo tipo alle spalle e, tuttavia, non bisogna mai sottovalutare pazienti con patologie anche lievi.
La carotenodermia, accumulo di carotene nello strato corneo, che conferisce alla cute un colore giallo arancio, è una manifestazione abbastanza classica e tipica delle giovani anoressiche che prediligono alimenti a basso indice calorico, quindi carote e pomodori, che sono
ricche in carotene; anche la supplementazione attraverso l’uso di integratori – ad esempio
di vitamine - utilizzata per sostenersi per reggere alle carenze, crea uno squilibrio.
Un’altra manifestazione che si osserva spesso, circa nel 40% delle pazienti anoressiche, è
l’acrocianosi, un disturbo vascolare che determina che le estremità, soprattutto le mani e i piedi,
che risentono degli sbalzi di temperatura, siano sempre bianche e fredde; è uno squilibrio della
termoregolazione, un estremo tentativo del nostro organismo di preservarsi in qualche modo.
Le modificazioni e alterazioni delle unghie costituiscono un altro capitolo perché rientrano
nelle manifestazioni aspecifiche benché diffuse; spesso le pazienti giungono alla nostra os-
servazione – con la serenità di rivolgersi a uno specialista di una branca della medicina che
non ha nulla a che fare con i DCA - in quanto le alterazioni dell’unghia colpiscono tutte le un-
ghie e vengono erroneamente percepite come infezioni fungine.
Naturalmente per un dermatologo non è difficile capire che determinate manifestazioni non
sono da considerarsi di origine infettiva ma sono legate a quadri carenziali; tra le varie ma-
nifestazioni possiamo trovare strie longitudinali sulle unghie, perionissi, cioè infiammazioni
intorno a tutto il letto dell’unghia, piuttosto che infiammazioni causate da trauma da sfre-
gamento ripetuto nella stessa sede: in questo caso si hanno delle vere e proprie cicatrici.
Anche la mucosa della bocca può essere interessata, insieme a lingua e gengive, da un pro-
cesso infiammatorio, da una parte legato alle carenze vitaminiche da malnutrizione e, dall’altra, soprattutto nella bulimia, al vomito autoindotto.
La porpora è una malattia abbastanza classica nelle persone affette da DCA: le chiazze rosse,
legate a quadri di degenerazione ossea con trombocitopenia, si presentano variamente distri-
118
buite sulla cute. Come conseguenza della malnutrizione e quindi dell’alterato stato metabolico
questi pazienti spesso hanno gli arti inferiori gonfi, edematosi, il che contrasta con la magrezza
estrema della persona. Esistono poi quelle manifestazioni che sono secondarie al vomito in-
dotto, tra cui troviamo un segno che non può essere ignorato, che è patognomonico e deve far
fare la diagnosi: il segno di Russel, legato al continuo sfregamento degli incisivi e dei denti sul
dorso della mano nel meccanismo di induzione del vomito.
Esso è visibile sulle mani: dal momento che esse si possono nascondere con difficoltà risulta più
facile osservarle al fine di valutare la presenza di un ispessimento del dorso, alla base delle dita.
Vi sono poi manifestazioni cutanee secondarie all’uso improprio di lassativi e diuretici e manifestazioni cutanee secondarie alle patologie psichiatriche, che spesso sono concomitanti
in questi pazienti. Parliamo quindi delle dermatiti artefatte, lesioni che questi pazienti si autoinducono anche indirettamente tanto che, spesso, giungono alla nostra osservazione pro-
prio per cercare di capire cosa accade e come risolvere questo tipo di problema. Si tratta di
lesioni anche molto appariscenti che possono essere presenti in qualsiasi distretto cutaneo
e che hanno come caratteristica una forma estremamente bizzarra, che permette di fare
diagnosi. L’escoriazione dell’acne è un'altra manifestazione che sarebbe difficilmente spie-
gabile e correlabile a qualsiasi altra patologia se non ad un DCA e che, quindi, ci deve attivare rapidamente in tal senso: le pazienti presentano le classiche lesioni dell’acne che sono
però tutte traumatizzate e, benché spesso questi quadri si risolvano spontaneamente, possono tuttavia dar luce luogo a esiti cicatriziali importanti e deturpanti. Un altro quadro sul
quale riflettere sono le dermatiti irritanti, tra cui è tipica quella delle mani, legata alla mania
ossessiva di lavarle spesso, che porta poi a lesioni sul dorso delle mani anche piuttosto in-
validanti. Questo tipo di manifestazioni cutanee possono essere presenti un po’ a 360 gradi
in tutti i disturbi del comportamento alimentare, anche se naturalmente alcuni sono più ca-
ratteristici di un disturbo piuttosto che dell’altro: sicuramente il segno di Russel è più pre-
sente nella bulimia così come l’ipertricosi.
Al di là di questo tipo di distinzione, di fronte a queste manifestazioni quello che a noi interessa
maggiormente è la diagnosi precoce, pertanto è fondamentale sapere se questi segni cutanei
possono essere patognomonici dei disturbi alimentari e se ne esistono alcuni che siano addirit-
tura predittivi; in tal senso, lo spunto su cui riflettere è che sicuramente esistono dei segni che sono
molto frequenti se pure aspecifici - in realtà specifici ma molto diffusi - e che sono molto precoci
rispetto alle manifestazioni eclatanti della patologia, rappresentati dalla secchezza della pelle,
dalla caduta dei capelli e dalla fragilità, e quindi dall’opacità, delle unghie e dei capelli stessi.
Queste sono peraltro il tipo di manifestazioni che portano spontaneamente e anche precoce-
mente queste pazienti alla nostra osservazione: di fronte a questi casi bisogna sicuramente ri-
flettere! Vi sono poi i segni guida, di fronte ai quali dobbiamo fare diagnosi: l’ipertricosi
lanuginosa, il segno di Russel e le dermatiti artefatte, che spesso si correlano a disturbi psi-
chiatrici. I segni cutanei più manifesti sono più evidenti quando l’indice di massa corporea è in-
119
feriore o uguale ai 16 kg su metro quadro, ma una cosa sulla quale dobbiamo riflettere è il fatto
che la maggior parte di queste manifestazioni cutanee si localizzano a livello delle mani: que-
sto per noi è un grosso aiuto, per il fatto che le mani appunto si nascondo con difficoltà e per-
tanto vanno osservate; e se è vero che il segno di Russel è più clamoroso e più evidente e ci
fa fare facilmente la diagnosi, è pur vero che, di fronte a una paziente o un paziente che pre-
senta almeno tre di questi segni sulle mani la diagnosi si fa ugualmente.
Mi sento di dire che le manifestazioni cutanee dei disturbi alimentari possono sicuramente
rappresentare un primo dato clinico da non trascurare, proprio per una precoce diagnosi
nei pazienti che tendono a negare o a minimizzare questi disturbi.
Dott. Stefano LELLO49
Impatto dei disturbi alimentari e dell’anoressia nelle giovani donne:
il punto di vista del Ginecologo
I disturbi del comportamento alimentare (DCA), per ciò che riguarda sia l’anoressia nervosa
(AN) sia la bulimia nervosa (BN), si associano, in campo ginecologico, ad una serie di alterazioni
ormonali e metaboliche e conseguenze a breve ed a lungo termine sull’organismo delle giovani
donne che ne vengano affette. Il Ginecologo che si trova di fronte ad una giovane con DCA
spesso si confronta con posizioni caratterizzate da scelte estreme, nel senso che il soggetto può
adottare misure come periodi di semi-digiuno seguiti da periodi di bulimia o fasi di iperattività
fisica nel tentativo di mantenere o ripristinare il peso corporeo desiderato.
Nella AN, fenomeno presente prevalentemente nella popolazione di sesso femminile, la riduzione della massa grassa e del peso corporeo, secondari ad una riduzione estremamente im-
portante dell’introito calorico ed alla paura di ingrassare, comporta una riduzione della attività
dell’ovaio, mediata a livello ipotalamico ed ipofisario, fino al blocco della funzione di questo or-
gano, con conseguente scomparsa del ciclo mestruale (amenorrea). La amenorrea viene defi-
nita come la scomparsa del ciclo mestruale per almeno 3 mesi, ed è considerato uno dei criteri
diagnostici per la definizione dell’AN nel DSM IV, che è un sistema di classificazione degli psichiatri americani basati su criteri di tipo clinico e descrittivo. La riduzione dei livelli dei più im-
portanti ormoni femminili, gli estrogeni, conseguente al blocco della attività dell’ovaio, può
comportare una riduzione del tessuto osseo durante la costruzione dello scheletro, che av-
viene appunto durante la fase adolescenziale, con conseguente rischio di sviluppare una osteo-
porosi in una fase precoce della vita. In realtà, la importante riduzione dell’introito calorico e la
conseguente iponutrizione che si verificano nella AN comportano, a vari livelli, ripercussioni no-
tevoli sull’organismo femminile, che tenta in parte di adattarsi a questa situazione di carenza nu49
Ginecologia Endocrinologica, Fisiopatologia della Menopausa ed Osteoporosi, Istituto Dermopatico dell’Immacolata -IRCCS, Roma
120
trizionale. Innanzitutto, si hanno alterazioni dei sistemi dei neurotrasmettitori a livello cerebrale,
che si accompagnano ad alterazioni del senso di sazietà o di fame, con maggiore rischio per i
soggetti che presentano tali alterazioni di sviluppare un DCA. Nella AN, così come nella ame-
norrea secondaria a grave perdita di peso corporeo, il quadro ormonale viene ad essere pro-
fondamente alterato, con riduzione della produzione degli ormoni che vengono prodotti a livello
della regione dell’ipotalamo e della ipofisi, che sono le gonadotropine FSH (ormone follicolo-sti-
molante) ed LH (ormone luteinizzante), la cui immissione nel circolo sanguigno, quando effet-
tuata regolarmente, controlla e coordina una normale funzione dell’ovaio, cui consegue una
adeguata produzione di ormoni, in particolare di estrogeni (estradiolo), gli ormoni femminili prin-
cipali, ed una normale ovulazione, che consente una possibile gravidanza. La alterazione della
produzione a livello dell’ipotalamo e dell’ipofisi delle gonadotropine (in particolare di LH) è un
indicatore precoce di alterazione del controllo dell’attività dell’ovaio. In aggiunta, il metabolismo
degli estrogeni a livello epatico cambia, con aumento dei normali processi di inattivazione degli
estrogeni. Inoltre, un ormone prodotto dalla ghiandola surrenale, il cortisolo (un ormone che
aumenta in condizioni di stress prolungato), tende ad aumentare nelle 24 ore. Tali alterazioni
comportano una serie di conseguenze a vari livelli. Ad esempio, si ha una ridotta massa ossea
(detta osteopenia), che predispone allo sviluppo precoce di osteoporosi (con relativo aumentato rischio di frattura) in epoche precoci della vita della donna rispetto al periodo di postme-
nopausa, nel quale la massa ossea tende a ridursi fisiologicamente. Nel trattamento di tale
quadro è fondamentale il ripristino di un normale peso corporeo, l’unica cosa veramente in
grado di riportare verso la normalità tutti i meccanismi che vengono scompensati in questa si-
tuazione. In particolare, il recupero di un adeguato peso corporeo risulta fondamentale per in-
traprendere un discorso di programmazione di una gravidanza, condizione che può essere
presa in considerazione solo a patto che il soggetto abbia delle riserve energetiche adeguate,
oltre al ripristino, evidentemente, di una normale ovulazione. Per ciò che riguarda, invece, il re-
cupero di una normale massa ossea, bisogna considerare come, oltre al fattore della carenza
di estrogeni, si debba tener conto del deficit nutrizionale prolungato come concausa impor-
tante, quando si progetti un trattamento per ripristinare una normale quantità e resistenza della
massa ossea. Infatti, l’uso degli ormoni estrogeni come terapia sostitutiva produce risposte
solo parziali in termini di recupero della massa ossea, se non adeguatamente associata a mo-
dificazioni del comportamento alimentare che possano correggere il deficit nutrizionale.
Dall’altro lato, la BN può comportare anche essa una alterazione del meccanismo della ovula-
zione, soprattutto quando si associ ad aumento di peso, con conseguente alterazione del grado
di fertilità e sviluppo di problemi metabolici più avanti nel tempo. A volte, nella BN si ha sviluppo
di quadri di mancanza di ovulazione ed aumento degli ormoni maschili (iperandrogenismo). In
generale, si stima che in una percentuale variabile dal 30 al 40 % circa si abbiano alterazioni
del ciclo mestruale e disturbo della ovulazione (anovulazione) nella BN.
In tutte queste situazioni, è importante diagnosticare il più precocemente possibile il problema
121
presente e mettere in atto tutte le strategie per controllare il quadro ormonale e metabolico,
con un intervento terapeutico che deve mirare a ripristinare un equilibrio ottimale endocrino-
metabolico attraverso un intervento integrato che deve, necessariamente, coinvolgere diverse
figure specialistiche (psichiatra, nutrizionista, ginecologo, etc), al fine di ridurre il rischio di complicanze connesse con i DCA nella giovane donna.
122
Educazione alimentare,
attività fisica e stili
di vita salutari
Il rapporto del 2008 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sullo stato di salute nel
mondo mette in evidenza che un uso migliore delle attuali misure di prevenzione potrebbe
ridurre l’impatto globale delle malattie del 70 % ed invita gli Stati a tornare alle cure sa-
nitarie primarie. Si è riconosciuto che le radici delle cause di molte malattie si trovano al
di là della possibilità di controllo del settore sanitario e devono essere affrontate con un
approccio olistico che coinvolga l’intera società, ancor più coinvolgendo proprio i giovani
nell’affrontare le tematiche che riguardano la loro salute.
D’altra parte, risulta fondamentale il monitoraggio sugli stili di vita delle nuove generazioni
per la programmazione di più efficaci politiche di prevenzione e per la valutazione dei ri-
sultati ottenuti attraverso la loro attuazione.
Stili di vita non salutari come uso di tabacco, droghe, abuso di alcol, attività sedentaria o
uso di sostanze dopanti nello sport, alimentazione carente o scorretta, obesità, sono tutti
fattori di rischio che rappresentano una causa rilevante di insorgenza di malattie. Per la na-
tura dei vari aspetti legati agli stili di vita e per le loro interconnessioni, la valutazione del
loro impatto sulla salute risulta di particolare complessità. Inoltre è necessario tener conto
delle possibili interazioni sinergiche tra gli stili di vita non salutari che agiscono con effetto
moltiplicatore dell’insorgenza delle malattie, soprattutto tra i più giovani.
Numerosi elementi influenzano gli stili di vita, inclusi fattori biologici, culturali ed ambientali, sociali, economici ed, infine ma non meno importanti, relazionali. Questo ultimo
aspetto assume una rilevanza fondamentale quando si definisce il target di intervento
nella popolazione giovanile.
È, quindi, di grande rilevanza affermare che gli approcci di promozione della salute per il
miglioramento degli stili di vita, basati su una corretta alimentazione ed attività fisica e
motoria, devono prendere in considerazione la totalità dei determinanti.
Sempre l’OMS sottolinea che, al fine di ridurre il peso delle malattie ed ottenere un mi-
glioramento significativo nello stato di salute della popolazione, la società nella sua glo-
balità deve essere motivata ad assumere un ruolo maggiormente positivo e responsabile
nell’adozione di stili di vita salutari. Per questo, il ruolo dell’educazione, dell’informazione
e della comunicazione verso le future generazioni sono essenziali come pure l’inserimento
di programmi specifici nei curricula scolastici, in tutti i percorsi educativi, nelle abitudini
familiari, che comprendano la proposizione di sane abitudini alimentari e la promozione
di progetti mirati all’avvicinamento dei giovani all’attività fisica e motoria.
L’OMS, sotto tale aspetto, raccomanda di raccogliere e condividere esperienze e, se
opportuno, armonizzare a livello europeo le metodologie attualmente in uso per stabi-
123
lire modelli di buone prassi nella promozione della salute e nella prevenzione.
La terza sessione sarà coordinata dal professor Michele Carruba, Direttore del Centro
Studi e Ricerche sull’Obesità dell’Università degli Studi di Milano e verterà sulla necessità di individuare metodologie idonee a promuovere stili di vita salutari attraverso una
corretta alimentazione ma anche la promozione dell’attività motoria.
In questo ambito saranno presentate le buone prassi sviluppate fino ad ora con l’intento
di individuare i mezzi più idonei per modificare le abitudini alimentari di giovani e giova-
nissimi, ma anche di promuovere attività motorie che oltre a svolgere un ruolo fondamentale per la prevenzione di malattie fisiche, hanno il compito ancora più importante di
stimolare i nostri giovani a riscoprire i rapporti con i loro pari e abbandonare quell’isola-
mento esistenziale che il diffondersi delle chat, dei forum on line e cose simili, hanno sen-
z’altro agevolato.
Il compito di concludere i lavori e illustrare lo svolgimento della sessione sarà affidato al
professor Cristiano Sandels Navarro, Componente del Comitato Scuola e Cibo per l’educazione alimentare del Ministero dell’Istruzione e al professor Michele Carruba, Direttore
del Centro Studi e Ricerche sull’Obesità, Università degli Studi di Milano.
124
Michele CARRUBA50
Comunicare la corretta alimentazione
Il problema della cattiva informazione propria dei paesi industrializzati in genere è legata
anche al fatto che oggi, così come succede in qualsiasi popolazione in cui il 50% delle per-
sone pesa più di quello che dovrebbe, esiste un forte desiderio di magrezza associato ad
una “richiesta di magrezza” che le istituzioni provano ad esaudire. Un elemento critico è
però rappresentato dal fatto che, accanto alle istituzioni, vi sono dei “falsi profeti” delle diete
che diffondono informazioni assolutamente scorrette. Ciò contribuisce a generare confusione in chi avrebbe la volontà di fare qualcosa di utile per sé e per la società ma non possiede gli strumenti necessari a farlo.
Il diritto alla salute, che prevede anche un diritto a essere informati correttamente, viene infatti spesso meno a causa delle informazioni scorrette diffuse dalla stampa e dai media.
Inoltre, se l’informazione è il prerequisito, è l’educazione che cambia i comportamenti della
popolazione, ed è per questo che è molto importante che noi cominciamo il nostro intervento
educativo con i giovani, affinché essi abbiano una cognizione di quello che fanno e pos-
sano operare un cambiamento quando necessario.
Oggi i risultati delle ricerche scientifiche più avanzate dicono che, tanto prima cominciamo
ad educare i bambini a una corretta alimentazione, tanto più facile sarà che questi appren-
dano e portino avanti negli anni uno stile di vita corretto; la salute in età senile infatti dipende
anche dai comportamenti che si hanno durante la giovinezza.
Purtroppo attualmente la diffusione di diete scriteriate determina carenze di vari minerali,
soprattutto di calcio e di ferro, proprio nelle giovani donne, con la conseguenza che esse si
troveranno a una certa età ad avere problemi all’apparato scheletrico, e quindi osteoporosi,
che invece potrebbe essere prevenuta grazie ad una corretta alimentazione.
Accanto all’educazione alimentare ed a stili di vita salutari, dobbiamo considerare lo sport
inteso come attività fisica. Alimentazione e sport sono due facce della stessa medaglia in
quanto una deve essere in qualche modo proporzionale all’altra.
Infine, laddove parliamo di diritti alla salute dobbiamo parlare dei diritti dei singoli in termini
di informazione: ognuno ha certamente il diritto ad essere informato, ma anche il dovere di
cercare una corretta informazione e di attenersi a quanto dicono gli esperti per preservare
la propria salute e quella della popolazione.
Si ricordi poi che la salute è un bene non solo del singolo individuo ma anche della società,
come ampiamente dimostrato dal fatto che l’economia, ancora una volta non solo in termini per-
sonali ma di una intera società - quindi di una intera nazione - dipende da quanto questa è in
salute: quindi maggiore salute significa maggiore guadagno e maggiore benessere per tutti.
50
Direttore del Centro Studi e Ricerche sull’Obesità, Università degli Studi di Milano.
125
Daniela GALEONE51
Il Programma “Guadagnare Salute”
Ringrazio per la possibilità che mi è stata data di partecipare a questa Conferenza europea
sulla salute dei giovani, fondamentale momento di confronto sulle politiche e gli interventi che,
sia come Ministero della Salute che come pool di Ministeri si stanno portando avanti. Ringra-
zio, in particolare, il professor Carruba che nella sua introduzione ha toccato alcuni punti alla
base delle motivazioni che hanno portato alla definizione ed allo sviluppo del Programma Gua-
dagnare Salute, quali, ad esempio, il dovere di ciascuno di preservare la propria salute accanto
al diritto a che questa venga tutelata nell’ambito della società, l’importanza della comunica-
zione che non è solo informare, ma anche fornire alle persone strumenti per un reale cambia-
mento della vita quotidiana. Questi elementi sono anche i principi guida di Guadagnare Salute
e sono, pertanto, lieta che il Programma sia stato considerato dai promotori di questa Confe-
renza come un esempio di buone pratiche.
La promozione della salute non è un concetto recente, ma in realtà risale al 1986, anno di ap-
provazione della Carta di Ottawa, e questo dimostra la necessità di tempo perché alcuni con-
cetti maturino nella mente e nella coscienza per poter produrre dei risultati. Per promuovere la
salute, pertanto, occorre creare ambienti di vita e di lavoro favorevoli alla salute, ma anche fa-
vorire la partecipazione attiva degli individui, che devono essere informati ma, allo stesso tempo,
competenti. Un altro elemento importante è la necessità di agire per ridurre le disuguaglianze
sociali determinate dalle patologie croniche, quali tumori, obesità, malattie cardiovascolari e
respiratorie, diabete, ecc, che sono legate a fattori di rischio modificabili (scorretta alimenta-
zione, sedentarietà, tabagismo, abuso di alcol) e che sono soprattutto a carico delle persone
che vivono nelle condizioni non soltanto economiche, ma anche sociali, più gravi e disagiate.
È compito delle istituzioni non tanto riconoscere i problemi, ma trovare soluzioni concrete, ov-
vero attuare politiche che mettano in condizioni le persone di fare delle scelte per il proprio be-
nessere e per la propria salute, offrendo loro gli strumenti e la possibilità di operare facilmente
scelte di vita sana. Tutto ciò non può tuttavia essere solo responsabilità dal settore “sanità” in
quanto molti determinanti di salute che portano a situazioni di patologia sono al di fuori del-
l’ambito strettamente sanitario, essendo legate ad esempio all’ambiente di vita e di lavoro, a si-
tuazioni economiche, ecc..
Quindi promuovere la salute non è solo assistenza sanitaria e erogazione di servizi, ma signi-
fica sviluppare una strategia molto più ampia che necessita della condivisione da parte di enti
e istituzioni diverse.
La promozione della salute è, però, un obiettivo possibile perché i fattori di rischio delle malat-
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Dirigente medico, Direttore Ufficio II del Dipartimento della Prevenzione e della Comunicazione del Ministero della Salute Sanità Pubblica e dell’Innovazione del Ministero della Salute.
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tie croniche, determinate da cattive condizioni di vita, sono ormai noti ed esistono interventi che
hanno dato prova di efficacia, ma che richiedono un approccio intersettoriale che coinvolga
competenze di settori diversi.
La preoccupazione per questi temi non è solo nel nostro Paese, ma, come dimostra la parte-
cipazione a questa Conferenza europea, si tratta di una preoccupazione condivisa a livello in-
ternazionale. Nell’ultimo decennio l’attenzione degli organismi internazionali, dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità all’Unione Europea si è concentrata su alcune tematiche, tra le quali la
promozione di una corretta alimentazione, accompagnata dall’attività fisica, la prevenzione del
fumo e dell’abuso di alcol, principali fattori di rischio di malattie croniche.
I dati dell’OMS del 2005, relativi alla Regione Europea; evidenziano che tra i fattori di rischio,
espressi in anni di vita in buona salute perduti, il fumo di tabacco è al primo posto, in termini di
mortalità l’unica differenza è rappresentata dal fatto che l’ipertensione è al primo posto, superando il tabacco come causa di morte.
Da queste premesse è nato il Programma “Guadagnare Salute: rendere facili le scelte salutari”,
che partendo dalle strategie promosse dall’OMS mira a prevenire le malattie croniche agendo
sui fattori di rischio (scorretta alimentazione e sedentarietà, tabagismo e abuso di alcol).
Il Programma è nato in condivisione con le altre istituzioni nazionali e, pertanto, non è un documento del Ministero della Salute, ma è stato definito insieme con il Dipartimento della Gio-
ventù, con il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, con il Ministero per le Politiche
Agricole, con il Dipartimento della Famiglia ed altri Ministeri interessati, nonché con le Regioni.
Il documento, approvato con DPCN del 4 maggio 2007, propone una strategia che integra le
azioni che competono alla collettività e alle istituzioni, alle azioni che, invece, i singoli individui
devono compiere per diventare protagonisti della loro salute. Il cuore di Guadagnare Salute è
l’approccio intersettoriale, declinato secondo i principi della “Salute in tutte le politiche” (health
in all policies). Quando si definisce una strategia politica in un settore che sembra lontanissimo
da quello sanitario, bisogna porsi l’interrogativo di come questa politica impatti sul benessere,
più che sulla malattia, e sul complessivo stato di salute delle persone.
“Guadagnare Salute” si avvale per la sua attuazione di alcuni strumenti. In primo luogo la “Piat-
taforma Nazionale sull’Alimentazione, l’attività fisica ed il Tabagismo”, un tavolo tecnico che vede
riunite tutte le istituzioni centrali, le Regioni e altri enti del mondo della società civile, che possono
dare un contributo al raggiungimento degli obiettivi del programma. Altro strumento sono i Pro-
tocolli d’intesa, alleanze bilaterali tra il Ministero della Salute, promotore del Programma, ed Am-
ministrazioni centrali o Enti della società civile, funzionali per conseguire alcuni obiettivi condivisi.
La sorveglianza, che significa conoscenza dei fenomeni, è un altro elemento fondamentale per
la programmazione degli interventi e per il monitoraggio delle azioni, ed è, inoltre, uno strumento utile per motivare i politici a prendere decisioni. È dunque uno strumento di sanità pub-
blica, di advocacy, di conoscenza per l’azione.
Il Ministero della Salute, pertanto, ha sviluppato un sistema di sorveglianza sugli stili di vita che
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riguarda tutta la popolazione dall’infanzia alla terza età. Per quanto riguarda l’infanzia, la sor-
veglianza è attuata sui bambini delle terze classi della scuola primaria con la partecipazione di
tutte le regioni e il coinvolgimento delle scuole, dei dirigenti scolastici e degli insegnanti che
hanno fattivamente collaborato. Grazie ad “Okkio alla salute”, questo il nome attribuito al si-
stema, sono stati raccolti dati antropometrici di peso e statura dei bambini nonché informazioni,
sia direttamente dai bambini sia dai genitori e dal dirigente scolastico, sulla colazione, sulla merenda, sul consumo di frutta e verdura, sul livello di attività fisica.
Guardando i dati relativi alla problematica emergente del sovrappeso e dell’obesità, di cui ha
accennato il professor Carruba, si osserva un valore medio italiano pari al 23% di bambini in
sovrappeso e pari al 12% di bambini obesi, in quella fascia di età scolare, con dati particolarmente preoccupanti per alcune regioni, come la Campania.
Dall’indagine emerge che solo una piccola parte di bambini fa colazione e solo una piccola parte
la fa in maniera corretta; la merenda, in genere, fornisce un apporto nutrizionale troppo elevato
ed il quotidiano consumo di frutta e verdura è molto lontano dalle cinque porzioni raccomandate.
Emerge, inoltre, che vi è un uso eccessivo di bibite gassate e/o zuccherate e che solo una mi-
noranza dei bambini fa un’attività motoria sufficiente. I dati rilevano ancora che troppi bambini
trascorrono più di due ore al giorno davanti alla televisione e ai videogiochi. Ciò che appare par-
ticolarmente allarmante è che la percezione dei genitori è alterata, in quanto le mamme dei bam-
bini in sovrappeso o obesi, nella maggior parte dei casi, non ritengono che il peso dei loro figli
sia eccessivo, non ritengono che i bambini facciano un’attività fisica insufficiente: questo dimo-
stra che bisogna lavorare sui bambini, ma coinvolgendo le famiglie. La sorveglianza si estende
anche ai ragazzi adolescenti tra gli 11 e i 17 anni , attraverso l’adesione a livello nazionale
all’Health Behaviour School-age Children (HBSC), sistema di sorveglianza sugli adolescenti, promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Sono state raccolte informazioni che riguar-
dano diverse tematiche giovanili, dal contesto familiare alla percezione del rapporto con
l’ambiente scolastico, ma anche abitudini alimentari, sport, tempo libero, uso di sostante e abi-
tudini sessuali; per quanto concerne le abitudini sessuali, le domande sono state poste sola-
mente ai ragazzi più grandi. Sono state coinvolte 3700 classi, anche in questo caso con una
percentuale di rispondenza molto elevata in tutte le regioni, dimostrata dal fatto che il 94% dei
ragazzi ha accettato di rispondere al questionario; naturalmente anche i genitori sono stati in-
formati dell’iniziativa che veniva realizzata nelle scuole e sono stati raccolti 75.000 questionari,
attualmente in corso di elaborazione. I dati avranno una rappresentatività non soltanto nazionale
ma anche regionale e, in alcuni casi, addirittura una rappresentatività della ASL di riferimento, il
che significa che le informazioni raccolte possono essere utilizzate a livello locale per la pro-
grammazione di interventi proprio in quelle aree che risulteranno essere problematiche per quella
particolare comunità, per quel particolare territorio. Abbiamo, infine, aderito a livello nazionale alla
sorveglianza sul fumo di tabacco la Global Youth Tabacco Survey (GYTS), promossa dall’OMS
e dal CDC statunitense, che, per la prima volta, nella fascia di età tra i 13 e i 15 anni, ci darà un
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quadro nazionale non soltanto del consumo, ma anche dell’atteggiamento dei ragazzi nei confronti di quello che è il principale fattore di rischio di malattie croniche.
Tornando ai Protocolli d’Intesa con le istituzioni, punto chiave dello sviluppo del Programma
sono i protocolli con il MIUR, con il Dipartimento della Gioventù e anche con il Ministero per
le Politiche Agricole: istruzione e gioventù sono elementi cardine perché se si vuole fare un
lavoro che porti dei risultati non si può che partire dai giovani e dai bambini. È pertanto im-
portante stabilire una vera e propria alleanza con la Scuola, che ha la competenza per l’educazione, e un rapporto di collaborazione con il Dipartimento per la Gioventù, che si occupa
di tutte le politiche legate ai giovani.
L’alleanza con la scuola è necessaria per elaborare strategie comuni: non “progetti”, ma una
proposta pedagogica stabile nei confronti dei bambini e degli adolescenti, inserita nel percorso
“curriculare” dei ragazzi. Non si vogliono, infatti, fare interventi occasionali, ma si vuole ac-
compagnare e guidare i ragazzi nel loro processo di crescita, per costruire, insomma, una ge-
nerazione informata e resa competente.
Oltre alla corretta alimentazione, un’attenzione particolare è dedicata anche ad altri fenomeni
che, pur instaurandosi in età adolescenziale, devono essere affrontati in anticipo rispetto ad
essa, se si vuole fare una prevenzione efficace. L’abuso di alcol e di altre sostanze, il fumo
e le malattie sessualmente trasmissibili, i Disturbi del Comportamento Alimentare sono pro-
blematiche sulle quali stiamo lavorando in collaborazione con il mondo della scuola, luogo
che consente di avere un contatto precoce con i giovani e che permette, inoltre, di entrare
in contatto con i genitori e con tutto il nucleo familiare. La scuola consente, infatti, di dare
ai ragazzi la capacità di crescere in maniera libera e di sperimentare la possibilità di adot-
tare e mantenere comportamenti salutari.
L’approccio agli stili di vita quindi non può essere, ed è questo lo sforzo che stiamo facendo,
focalizzato sul singolo fattore di rischio, ma è necessario un approccio globale, complessivo,
trasversale, in modo che tutto quanto concerne il benessere rientri nel concetto di promo-
zione di un corretto stile di vita.
Il linguaggio nei confronti dei bambini e degli adolescenti cambia a seconda dell’età ed è, quindi,
importante modulare gli interventi di prevenzione, come ricordava questa mattina anche il Mi-
nistro Fazio. Nel campo della prevenzione del fumo, ad esempio, si stanno attuando in molte
regioni alcuni progetti, selezionati come “best practices”, progetti che partono dalla scuola dell’infanzia fino a raggiungere i ragazzi delle scuole secondarie di primo e di secondo grado.
Si è, inoltre, attivato, sempre in collaborazione tra mondo della scuola e il mondo della sa-
lute, un progetto che si propone di individuare le strategie più efficaci di promozione della
salute tra gli adolescenti. È stato fatto un primo lavoro di studio, di selezione, di esperienza,
di valutazioni metodologiche degli interventi per poi sperimentare a livello locale, nelle scuole
delle nostre regioni, delle progettualità che possano essere in grado di portare dei benefici
concreti nei confronti dei ragazzi.
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Anche nel campo dell’alimentazione e del movimento si è sviluppata una collaborazione in-
teristituzionale: educazione e promozione della salute sono legate tra loro e non si può per-
tanto lavorare separatamente o in maniera non sinergica. Tra le diverse iniziative, condivise
dai Dicasteri dell’Istruzione e della Salute, vi è la predisposizione di un kit didattico multi-
mediale, rivolto ai bambini della scuola elementare, molto facile da comprendere e semplice
da consultare, pensato per parlare di sana alimentazione e dell’importanza del movimento
e dell’attività fisica. Attraverso un percorso di gioco e di interazione, ci si accosta ai bam-
bini in maniera partecipativa, per trasmettere informazioni importanti, che devono servire
poi a favorire un cambiamento nei comportamenti; il materiale proposto, denominato “ For-
chetta e Scarpetta” è mediato dall’insegnante, che mantiene un ruolo fondamentale. Il kit,
utilizzabile on-line e scaricabile dal portale dei due Ministeri, si accompagna a materiale in-
formativo cartaceo che i bambini portano a casa e che, quindi, può essere visionato e com-
mentato, discusso con la famiglia, in modo da creare una sorta di rinforzo positivo tra quello
che viene condiviso a scuola e quello che viene poi comunicato a casa.
Altri materiali sono un poster cartonato, realizzato per le scuole che hanno partecipato alla sor-
veglianza di “Okkio alla Salute” che propone sintetiche indicazioni sulla corretta alimentazione
e sull’importanza del movimento fisico. Esso rappresenta uno spunto di riflessione che poi può
essere approfondito in classe con i bambini o nel corso di incontri con le famiglie.
Si è parlato, nel corso di questa Conferenza, del programma dell’Unione Europea per la promo-
zione della frutta nella scuola, coordinato in Italia dal Ministero per le Politiche Agricole e condi-
viso dal Ministero della Salute e da quello dell’Istruzione. Accanto ad esso si sono sviluppate in
tempi diversi delle iniziative locali diversificate per fasce di età: “Frutta Snack” è stata l’esperienza
pilota che ha cercato di portare la frutta a scuola dagli adolescenti, utilizzando anche il sistema
della distribuzione automatica. Nell’ottica dell’intersettorialità, infatti, non si intende penalizzare il
settore dell’industria o della produzione, ma “Guadagnare Salute” mira, invece, ad orientarlo verso
il raggiungimento di un obiettivo di salute. Il progetto “E vai con la frutta” combina ancora una volta
l’importanza della corretta alimentazione, e quindi l’abitudine di consumo di frutta e verdura, con
l’importanza del movimento e dell’attività fisica; anche in questo caso si tratta di una esperienza
pilota che riguarda 5 regioni (Toscana, Marche, Puglia, Sicilia, Campania), con il coordinamento
della Regione Toscana che, se darà dei buoni risultati, si cercherà di estendere a livello nazionale.
Una parte del progetto sarà sviluppata nei luoghi di lavoro, il che rappresenta un modo per en-
trare in contatto gli adulti - che sono poi i genitori dei bambini che troviamo a scuola - in modo
tale da trovare ulteriore rinforzo sulle tematiche che affrontiamo.
Per quanto riguarda, invece, in particolare il Protocollo d’Intesa con il Dipartimento della Gioventù,
anche in questo caso l’attenzione è stata focalizzata sull’importanza di uno stile di vita attivo. At-
traverso un progetto nazionale di promozione dell’attività motoria, la cui caratteristica è quella di
promuovere il movimento non come ricerca della performance dell’attività sportiva a tutti i costi,
quindi non solo come sport, si è cercato di far comprendere che è importante il movimento nel-
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l’attività quotidiana e che questo può essere facilmente aumentato a beneficio del benessere e
della salute: camminare un po’ di più, andare in bicicletta, preferire le scale all’ascensore, andare
a scuola a piedi. Alcuni interventi coprono tutte le fasce di età, perché bambini, genitori, nonni pos-
sono insieme fare dei progressi che portano a un benessere complessivo di tutta la famiglia.
Il Protocollo affronta anche la tematica dei Disturbi del Comportamento Alimentare, rispetto alla
quale vorrei sottolineare soltanto l’importanza di essere riusciti ad avere finalmente in Italia una
ricognizione della rete assistenziale esistente, con la predisposizione, grazie ad un progetto pro-
mosso e finanziato dal Ministero della Salute e dal Dipartimento della Gioventù e coordinato
dalla Regione Umbria, di una banca dati delle strutture, pubbliche e private, che si occupano di
prevenzione e cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA). Si auspica che questa
banca dati possa essere una fonte di stimolo per le regioni che ancora non hanno attivato alcun
tipo di struttura o hanno un’organizzazione ancora insufficiente su questa tematica.
In conclusione, “Guadagnare Salute” si pone come intervento di promozione della salute in
quanto “bene pubblico” e con un’attenzione a tutti i determinanti di salute che non sono quindi
soltanto legati all’ambito sanitario ma sono ambientali, sociali ed economici. L’approccio tra-
sversale ai fattori di rischio e lo sviluppo di strategie intersettoriali sono indispensabili per svi-
luppare sinergie per i cittadini, in modo che le buone pratiche, le esperienze che hanno dato dei
buoni risultati, si trasformino in interventi consolidati. Questo è quello che si sta cercando di rea-
lizzare, insieme alle altre amministrazioni: il Programma aperto alla collaborazione, al sostegno
di tutta la società civile. Si è instaurato un importante e fruttuoso rapporto con il mondo delle
associazioni dei consumatori, con le associazioni di volontariato - che ad esempio si occupano
dei DCA per sostenere le iniziative che stiamo sviluppando -, con il mondo della produzione ali-
mentare, anche industriale, perché può e deve fare la propria parte, se si vuole veramente promuovere e migliorare la salute dei cittadini.
Sofia TAVELLA52
Lo sport come bisogno di salute
La salute è per i giovani un bisogno ma soprattutto un diritto.
Lo sport può diventare la mente che i giovani usano per riuscire a soddisfare questo bisogno
di salute. Lo sport dunque entra in campo ed è dalla parte dei giovani.
Fino a qualche tempo fa si programmavano interventi nell’ambito delle politiche giovanili con
la finalità di trovare una risposta concreta al disagio adolescenziale e al disagio giovanile. Si
programmavano interventi per evitare il rischio che questo disagio si traducesse appunto in de-
vianze, in comportamenti a rischio. Oggi le linee politiche parlano di promozione del benes52
Docente della Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Urbino.
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sere e parlano di miglioramento della qualità della vita anche attraverso lo sport, attraverso
questo strumento così potente anche di dialogo e di iniziativa che coinvolge il mondo adole-
scenziale e giovanile. L’adolescente che è teso e proteso verso il futuro, viene gradualmente
disilluso primariamente dalle figure genitoriali adulte di riferimento. La disillusione tipica di
un’età che si caratterizza per la diversità in cui i giovani per affermare se stessi devono mo-
strarsi diversi. La diversità adolescenziale si carica di un elemento paradossale: da un lato il
desiderio di separarsi, di rendersi autonomi appunto dagli adulti, dall’altro lato il desiderio di
rimanere nella dipendenza dall’adulto. Si tratta di un legame di dipendenza fusionale che, in
letteratura spesso viene descritto con il termine di “identificazione adesiva”.
Credo che non ci siano parole più appropriate di quelle usate da Goethe nel commentare un
dipinto del Correggio, che vide nel 1787. Vediamo un bambino che tende una mano sul seno
della madre e che tende l’altra verso il frutto che offre l’angelo: ecco la separazione nella fu-
sionalità. Il desiderio proprio degli adolescenti di cercare distanza, di cercare di differenziarsi,
di cercare di affermare la propria diversità dagli adulti e dagli altri con un atteggiamento spesso
di opposizione e di sfida. Tutto questo non si traduce però in una separazione netta ma in una
distanza che è fatta di relazione, quindi di vicinanza per rispecchiamento e ammirazione e non
per creare appunto dipendenza. Il problema dell’identità non è dunque separabile dal pro-
blema della differenza e della rottura dell’appartenenza; essere diversi per gli adolescenti e
per i giovani è importante per promuovere le proprie potenzialità e divenire ciò che sono ca-
paci di diventare, cioè loro stessi. Essere diversi dunque per cancellare ogni traccia della pro-
pria identità di bambino piccolo e quindi per affermare se stessi, individuarsi, “soggettivizzarsi”.
Siamo in un’età difficile e visto che parliamo di giovani e salute non dimentichiamo che in que-
sta età così particolare e così faticosa anche per le problematiche che si svolgono sul corpo,
i giovani in qualche modo sono chiamati a gestire diversi rischi, per esempio il piacere/rischio
della propria sessualità, della propria aggressività, della propria autonomia ma anche della
propria salute e del proprio benessere.
I giovani hanno bisogno di ben-essere. Un’esperienza che può abbracciare un senso di pie-
nezza di sé, di godimento e di piacere. Tutto questo spesso si riassume in uno stile di vita sa-
lutare che si basa sullo sport. Lo sport può risultare fattore protettivo e/o di promozione del
rischio. L’analisi del piacere/rischio della propria salute/benessere si collega al ruolo della co-
scienza della propria corporeità e al percorso educativo delle life skills. Nell’ambito dell’edu-
cazione alla salute molta importanza si dà ad alcuni concetti che, combinati insieme, si
riassumono in esperienze di cambiamento volte a facilitare l’adattamento volontario al com-
portamento che conduce alla salute. Si parla di percezione del rischio (modello delle credenze
sulla salute), ottimismo (motivazione a proteggersi) e di autoefficacia (teoria sociale di Bandura)
come meccanismo di autoregolazione più importante che permette al giovane di assumersi la
possibilità di costruire e organizzare gli eventi della vita per poter raggiungere i propri obiet-
tivi.
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In generale la salute è un bisogno umano fondamentale, essenziale per il buon andamento dei
singoli individui e della società. Scopo principale della promozione della salute è dare potere
ai giovani affinché possano controllare la propria salute, governando i fattori sottostanti che la
influenzano. I principali determinanti di salute sono le condizioni di vita, dal punto di vista cul-
turale, sociale, economico ed ambientale, così come i comportamenti personali e sociali, che
da queste stesse condizioni sono fortemente influenzati. In queste pagine ci occupiamo di
salute e stili di vita con l’obiettivo di esplorare come permettere ai giovani di essere attori della
loro salute in linea con i loro stili di vita.
La salute non è solo assenza di malattia ma è uno stato di completo benessere fisico, mentale e
sociale. Esistono concezioni socialmente e storicamente differenziate tra loro che danno luogo ad
ambiti mentali e a modelli di salute che risultano spesso in competizione tra di loro nella società.
Attualmente si confrontano 3 modelli principali: bio-medico; comportamentale; socio-psico-
somatico.
Secondo il modello medico la salute è enfatizzare la natura fisica della malattia; è met-
tere a fuoco il processo patogenetico; il concetto di salute così inteso chiama in causa i
medici come responsabili. È l’approccio ancora oggi dominante e si fonda sempre più
sull’innovazione tecnologica.
Il modello biopsicosociale delinea i confini tra salute e malattia, tra lo star bene e l’essere am-
malati che sono ben lontani dall’essere chiari e mai lo saranno.
Un modello biopsicosociale capace di comprendere tanto il paziente quanto la malattia,
potrebbe spiegare perché alcuni individui sperimentano come “malattia” condizioni che
altri considerano soltanto “problemi di vita”, reazioni emotive alle circostanze di vita piut-
tosto che sintomi somatici.
Il modello comportamentale è un approccio nato dall’insoddisfazione per i limiti del modello
bio-medico, si avvale soprattutto delle conoscenze in ambito psicologico.
La salute viene concepita come fortemente correlata ai loro comportamenti, ovvero alle pra-
tiche e alle abitudini quotidiane di vita. L’enfasi è sulla responsabilità individuale verso la sa-
lute. Il modello enfatizza l’educazione alla salute e la prevenzione delle malattie.
Il modello socio-psico-somatico considera la salute come la capacità di risolvere i problemi e
di gestire le emozioni, attraverso la quale si mantiene o si ristabilisce un’idea positiva di sé ed
il benessere sia psicologico che fisico (senso di coerenza dell’individuo). La promozione della
salute si realizza attraverso un insieme di interventi non solo di carattere medico-sanitario, ma
anche finalizzati a mettere l’individuo nella condizione di sviluppare l’insieme delle proprie po-
tenzialità (qualità della vita, empowerment).
Le linee politiche parlano di promozione del benessere, del miglioramento della qualità della
vita, anche attraverso lo sport (healt behaviour).
Uno stile di vita salutare si basa, come affermano da più parti gli specialisti del settore, so-
prattutto sull’attività motoria e sportiva. La nostra attenzione verte sul mondo dello sport, da
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più parti attaccato e denigrato per i disvalori e per la politica del “tutto e subito” o del “vincere
ad ogni costo, pena il decadimento dell’autostima”. Lo sport può risultare, in maniera ambi-
valente, fattore positivo e di prevenzione dal rischio di disagio e di comportamenti devianti sul
piano della salute psicofisica personale e/o fattore di rischio al tempo stesso.
L’analisi del piacere/rischio della propria salute/benessere si collega al ruolo della coscienza
della propria corporeità ed al percorso educativo delle life skills; ossia al ruolo che gli adulti
svolgono nei confronti degli adolescenti e dei giovani dal punto di vista educativo e relazionale;
adulti capaci di fare del dialogo con i giovani un luogo di condivisione e di integrazione della
diversità, allo scopo di favorire un processo di mentalizzazione e di elaborazione di un pen-
siero critico che promuova nel giovane la tendenza verso comportamenti sani che confer-
mano il proprio narcisismo sano e non patologico e che attivano forme di rispetto e di adesione
alla propria realtà corporea non come oggetto dismorfofobico ma come luogo di benessere e
come strumento di affermazione di sé, della propria diversità soggettiva.
In adolescenza e nell’età giovanile, la normalità e la patologia si giocano in ambiti specifici che
costituiscono le cosiddette polarità: dipendenza-autonomia, maschile-femminile, pubblico-
privato, continuità-discontinuità, ecc.
L’adolescente come il giovane è chiamato ad assumersi alcuni piaceri, ma anche rischi con-
nessi al suo narcisismo sano.
I piaceri-rischi che il giovane deve assumersi sono: il piacere-rischio della propria mente; il
piacere-rischio della propria autonomia; il piacere-rischio della propria sessualità; il piacere-ri-
schio della propria aggressività.
Anche la salute-benessere si inserisce, nell’esperienza personale del giovane come uno di
quei piaceri-rischio da assumersi e gestire. Lo sport è uno strumento potente che può facili-
tare (prevenzione) o impedire (rischio) la gestione di questo compito.
Anallizziamo ad uno ad uno i piaceri-rischi.
Il piacere-rischio della propria mente.
L’adolescente gradualmente assume il pensiero logico-formale. Il pensiero simbolico. A que-
sta acquisizione si accompagna la possibilità, tutta da sperimentare, di un pensiero capace di
autoriferimento critico. Iniziano così a comparire i ragionamenti più o meno radicali ed asso-
luti, le ruminazioni mentali, le prese di posizione ideologiche e politiche sostenute, spesso,
contro ogni logica e contro gli interessi dell’adolescente stesso. Sperimentare la potenza della
propria mente per incontrare e riconoscere quella dell’altro. Questa è la meta.
Il piacere-rischio della propria autonomia. È il bisogno di sperimentarsi nella soluzione delle dif-
ficoltà quotidiane; il bisogno di mettersi in gioco direttamente e senza filtri protettivi adulti. Gli
adolescenti passano dai sogni di avventura per collocarsi nella realtà quotidiana. Sperimen-
tare l’autonomia per concedersi la dipendenza. Questa è la meta.
Il piacere-rischio della propria sessualità. L’intimità sessuale è l’ambito esperienziale in cui
l’essere umano si espone nella sua nudità fisica e psico-emotiva. È l’ambito in cui ognuno si
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assume il rischio della messa in gioco delle proprie fragilità e dei propri difetti. È l’ambito per-
tanto in cui il proprio narcisismo, l’autostima ed il senso della propria dignità sono fortemente
sollecitati. L’adolescente, deve affrontare questo territorio, esplorarlo, familiarizzarlo a sé fino
a confermarsi nella propria adeguatezza come maschio e come femmina. Questa è la meta.
Il piacere-rischio della propria aggressività. È il compito evolutivo più difficile. L’aggressività è
una energia per la vita messa al servizio della esigenza di proteggere l’autostima. Ma come?
Reagendo ad ogni provocazione? Tollerando le sfide? È necessario coniugare questa energia
con un adeguato esame di realtà che modula la sua espressione e le forme che può assumere.
Questa è la meta. Spesso raggiunta in tarda età e non da tutti. Da non dimenticare, poi, che
la rottura della stabilità precedente e la conseguente perdita delle sicurezze personali attiva in
adolescenza le angosce di morte, che confluiscono nel nucleo di informità. Sono le angosce
di depersonalizzazione, di disintegrazione (o di disgregazione) e di derealizzazione.
L’angoscia di depersonalizzazione è dovuta alla minaccia di rottura o alla rottura vera e pro-
pria dell’integrazione psiche-soma. Il corpo perde la mente o la mente il corpo. Questa espe-
rienza si traduce in un senso di estraneità o di irrealtà rispetto alla parte persa. Ad esempio
non sentire il corpo o una parte di esso, oppure avere l’impressione di osservarsi dal-
l’esterno. L’angoscia di disintegrazione (o di disgregazione), si esprime nella sensazione di
andare a pezzi sul corpo e sulla psiche; nella paura di perdere la gestione del corpo e della
mente, nella paura di impazzire. È la paura assai frequente in adolescenza relativa alla fra-
gilità del Sé. L’adolescente teme che il proprio sé si possa frammentare, sperimentando così
una condizione di morte psicologica. L’angoscia di derealizzazione è l’angoscia dovuta alla
minaccia di perdere il progetto di sé, di perdere il proprio futuro. Si esprime anche come
estraneità al proprio ambiente di vita familiare ed istituzionale.
In questa età queste angosce sono attive nella quotidianità esperienziale, riempiendo il nucleo
di informità di base di lutti e perdite. Lutti e perdite che derivano sia dalla compromissione
delle sicurezze precedenti, dalla necessità di ridefinire la propria identità fisica e mentale in-
stabile e in continua trasformazione anche per il fatto che in adolescenza, come sappiamo, rie-
mergono e sono ricapitolati tutti i traumi depressivi e narcisistici precedenti. Tutta l’adolescenza
può essere intesa come un lungo percorso del lavoro del lutto che prevede tre fasi:
Prima fase. Il periodo che va dai 13 ai 15 anni coincide con la prima fase del lavoro del lutto,
quella della confusione: è la fase delle trasgressioni, della confusività, dei conflitti, delle di-
smorfofobie o meglio delle dismorfossessioni.
La seconda fase. Interessa il periodo che va dai 14/15 ai 17 anni. È fase della assunzione
dei piaceri-rischio della propria mente, della propria autonomia, della propria sessualità
e della propria aggressività. È una fase che prevede anche la richiesta autonoma di aiuto
ai coetanei o ad adulti significativi.
La terza fase. È quella della risoluzione del lutto. Si colloca nella fascia d’età che va dai 22 ai
25-30 anni e si conclude con la piena assunzione della proprie responsabilità e scelte.
135
L’adolescenza e l’età giovanile sono dunque età “tristi”, dominate dalle angosce di morte. La
depressione, pertanto, è normale e fisiologica. Serve a produrre quel ripiegamento in se stessi,
necessario per esplorare parti di sé sconosciute, magari coperte da difese di compiacenza, op-
pure ‘occupate’ dalle identificazioni proiettive genitoriali. Un meccanismo, quest’ultimo usato,
poi, dall’adolescente stesso per ricollocare sui genitori o su altri adulti di riferimento le parti di
sé sperimentate come esigenti o estranee. L’identificazione proiettiva, che consiste nel met-
tere una parte di sé nell’altro, identificando poi l’altro con quella parte di sé collocata su di lui,
infatti, è la difesa prevalente in adolescenza. Può assumere, negli adolescenti più disturbati,
la dimensione e le caratteristiche dalla pulsione al dominio, per cui l’oggetto di riferimento del-
l’adolescente è un oggetto di cui l’adolescente stesso cerca di “impadronirsi”, come se fosse
una preda. Ovviamente “impadronirsi”, dominare un oggetto (ad esempio, la madre) in un con-
testo di crisi evolutiva gestita da difese adeguate e non esasperate crea molte difficoltà, che,
tuttavia, si risolvono nelle quotidiane diatribe e discussioni su tutto e per niente; mentre, qua-
lora le difese siano esasperate e fuori controllo, dominate dall’agito megalomanico ed onni-
potente la spinta al dominio rende l’adolescente difficile, pericoloso, a rischio suicidale o
delinquenziale. L’altro, in questi casi, diventa davvero una preda.
Nell’età adolescenziale-giovanile, poi, c’è un’alta percezione di rischio proprio perché c’è
quello che gli anglosassoni chiamano ottimismo irrealistico che è tipico di questa età: é una
sorta di difesa infantile per cui gli adolescenti e i giovani si avvicinano a questi comportamenti
a rischio senza alcuna percezione del rischio o con una scarsa percezione di esso. Questo de-
scrive una profonda invulnerabilità che è tipica della loro personalità che si nutre di una illu-
sione di onnipotenza, l’illusione cioè di poter gestire qualunque cosa in qualunque tempo in
qualunque spazio; tutto questo si collega ad altri comportamenti, per esempio la tendenza a
trasgredire alle regole, a cedere alle pressioni del gruppo, a percepirsi come invulnerabili e
potenti. Da qui appunto il concetto di narcisismo patologico in contrasto con il narcisismo
sano (l’autostima) che rappresenta quella forma di benessere e di salute in positivo.
Molti studi attestano che i giovani di oggi sono più fortemente a rischio perché sono più orien-
tati verso un’affermazione di sé onnipotente in senso narcisistico. Quel narcisismo, che non è
quindi un’espressione sana di salute, di benessere ma è espressione di patologia maggiore,
quindi orientamento all’ego e meno orientamento al compito. Aggirare questo rischio, così come
uno scarso senso di autoefficacia, una bassa stima di sé collegata a un senso di inferiorità - e
quindi anche a un deficit di life skills - si collega al grande tema dell’educazione, sport e giovani
dove lo sport diventa un fattore protettivo proprio dal rischio di tutte quelle forme di patologia di
devianza che possono appunto attaccare il corpo, iscriversi sul corpo danneggiandolo e producendo una vera e propria ferita al narcisismo e quindi una riduzione di salute.
Lo sport come stile di vita salutare, con un ruolo di crescita e di maturazione, come luogo di
benessere, come luogo in cui è possibile - recuperando la terminologia latina della illusione,
in-ludere nell’esperienza - giocare nell’esperienza, recuperare uno spazio di benessere.
136
Lo sport come strumento quindi anche di gestione dell’aggressività, come antidoto alla noia e
come ricerca di un equilibrio tra la normalità e la patologia, un confine molto sottile. Possiamo
dire che la normalità che dobbiamo rincorrere è quella che non si può descrivere soltanto come
assenza di patologia ma anche come tentativo, come ricerca di gestire in maniera efficace con
una certa sicurezza le proprie insicurezze, le proprie fragilità. Quindi un primo fattore protettivo
è proprio la promozione dello sport, che consente di mettere alla prova le proprie abilità e com-
petenze, di concretizzare i livelli di autonomia e di controllo via via raggiunti e di sperimentare
nuovi e diversificati stili di comportamento anche tramite esperienze avventurose. Tutto questo
produce un secondo fattore protettivo attraverso lo sport: i giovani possono aumentare una
buona percezione di competenza e un buon concetto di sé; l’autostima, che è alla base della
personalità di ognuno di noi, fa sì che più ci stimiamo più ci amiamo, più ci adoperiamo per ri-
spettarci e più cresce l’aspirazione al successo, alla ricerca di situazioni in cui possiamo trovare
una conferma concreta efficace al nostro senso di sé, al nostro narcisismo sano.
Parliamo di fattore di rischio quando partiamo da un sentimento di inferiorità, quando i giovani
sperimentano quella bassa percezione di competenza, quel basso concetto di sé che riduce
l’aspettativa - ovviamente di successo - con scarsa assenza di motivazione.
Questo circolo vizioso si chiude perché si vivono spesso esperienze proprio negative di falli-
mento e di insuccesso che confermano questo sentimento di inferiorità.
Un terzo fattore protettivo ha a che fare con il risveglio della coscienza della propria corporeità:
il corpo è protagonista in adolescenza in senso assoluto, però è un protagonismo spesso non
sano. Come abbiamo visto in adolescenza abbiamo due corpi: un corpo reale che è il corpo
che abitiamo, il corpo che possediamo, e un corpo immaginato che è quello verso cui gli adolescenti e i giovani tendono; è proprio in questo lavoro che sta la spiegazione del cattivo fun-
zionamento che può produrre forme di patologia dell’immagine di sé, ovvero con tutto ciò che
a ha che fare con patologie che si ascrivono ad un’alterazione dell’immagine di sé e che si tra-
ducono in una qualche forma di dipendenza da oggetti - come sostanze, come droghe, quindi
come sostanze doping - o da oggetti come il cibo - e quindi parliamo di anoressia e di buli-
mia. Il corpo reale deve essere dunque lavorato nella mentalità e nella cultura adolescenziale
e giovanile perché aderisca il più possibile al corpo immaginato, che rimane il principale og-
getto di investimento, di prestigio e di piacere. Un corpo che in adolescenza può essere vis-
suto in maniera ambivalente; questa ambivalenza può risolversi in un sentire il corpo abile
oppure come dis-abile: corpo abile, corpo cioè forte e perfetto - così come viene celebrato
nelle palestre - capace di prendersi cura di sé. In questo caso la cura di sé non è tanto orien-
tata al valore della salute - intesa come forma impegnativa di amore verso se stessi - quanto
all’attenzione per come il corpo appare sia come forma fisica che come immagine. Il senso di
disabilità che siamo abituati a collegare a forme di handicap, di menomazione fisica o men-
tale, invece qui esprime un disagio più grande, una sofferenza più profonda che ci porta a ri-
pensare il corpo e a sentire il corpo come fragile e vuoto. Le palestre hanno un ruolo
137
importante, poiché possono divenire scuola di esteriorità: gli adolescenti vanno cercando corpi
“in cerca di autore” e hanno bisogno di una soggettività e di una chiara identità; sentono in-
vece corpi avvolti nell’anonimato, che mancano cioè di un riferimento e di un’individuazione,
corpi dunque malati di dismorfofobia o dismorfo-ossessione.
Il corpo, in particolare alcune sue parti, diventa un’ossessione: ne è testimonianza questa
forma di patologia dell’immagine di sé che colpisce soprattutto la popolazione giovanile maschile, cioè una forma inversa di anoressia. L’anoressia mentale nervosa colpisce la popola-
zione femminile; l’anoressia che colpisce la popolazione maschile è inversa proprio rispetto al
focus, al nucleo di sofferenza che si inverte rispetto all’anoressia mentale e nervosa; parliamo
infatti di paura di non essere abbastanza “grosso” e così i giovani adolescenti cercano questa muscolarizzazione attraverso intensi e continui allenamenti in palestra (doping da allena-
mento) oppure attraverso l’uso di sostanze o l’abuso di sostanze - in particolare steroidi e
anabolizzanti - che sembra essere la forma di doping più diffusa in Italia. Attraversiamo in ma-
niera molto veloce quella che è la psicologia dei giovani: nell’incontro con la patologia recu-
periamo la centralità del corpo, perché il giovane recupera in senso proprio regressivo questo
valore. Il corpo come valore che non si traduce in un bene prezioso da rispettare ma che si col-
lega ad una forma di salute che non ha a che fare con un rispetto e con una capacità di si-
stemare e di rincorrere ideali positivi. Tutto questo si traduce proprio nel vissuto emotivo
dell’adolescente e del giovane in una minaccia all’indipendenza e all’individualità, in una forma
anche di perdita, di abbandono, di rifiuto. Parliamo infatti di lutto perché questi sono i conte-
nuti dell’esperienza traumatica e così anche di una angoscia che è la paura di perdere proprio
la possibilità di proiettarsi nel futuro (angoscia di de-realizzazione). Questo fattore protettivo,
che poi è stato evidenziato in molti dei disegni progettuali e nelle iniziative operative sul terri-
torio a livello nazionale e internazionale, ha a che fare con le life skills, ovvero con le abilità che
permettono di gestire in maniera efficace le richieste, le sfide della vita quotidiana, e possono
dunque essere considerate come quelle abilità di vita e per la vita che mettono in grado l’individuo di adottare strategie efficaci per affrontare i diversi problemi che si presentano.
Il fattore protettivo che si collega al tema dell’educazione è proprio la mentalizzazione, intesa
come quella capacità di elaborazione critica. Il deficit di mentalizzazione, la carenza di funzione
riflessiva, è proprio tra i fattori che possono aumentare il rischio di comportamenti non salutari tra i giovani. Gli adulti che non tengono conto degli stati mentali dei giovani non permet-
tono lo sviluppo di adeguate capacità riflessive: l’incapacità di considerare gli stati mentali
propri e altrui espone maggiormente appunto a stress di natura psicosociale e a traumi, a pa-
tologie. I comportamenti aggressivi degli stessi giovani possono infatti rivelarsi come difese
estreme nei confronti degli stati mentali degli adulti. Questo deficit di mentalizzazione può in-
fatti essere alla base di una esperienza traumatica di tipo narcisistico: ne sono un esempio le
patologie dell’immagine di sé che si traducono in un attacco alla propria autostima, alla pro-
pria autorevolezza, alla capacità di essere in relazione con se stessi e con la propria intimità.
138
I comportamenti a rischio non salutari possono essere intesi come un cattivo funzionamento
della relazione con gli adulti o almeno con quegli adulti che accompagnano i giovani nel per-
corso di crescita. Pensiamo ancora all’ambito sportivo, dove gli operatori diventano o do-
vrebbero diventare operatori di salute. Concentriamoci su quei fattori di rischio connessi per
esempio alla genitorialità o al ruolo degli adulti; pensiamo a tutte quelle condizioni in cui la
funzione genitoriale adulta, nelle sue componenti fondamentali di cura e protezione, è forte-
mente disturbata e influisce profondamente sulla qualità della relazione giovane/adulto deter-
minando: comportamenti di indulgenza e permissività, di iperprotezione, di indifferenza e rifiuto
con una esplosione di aggressività e di atteggiamenti rivendicativi; è stato delegittimato il mo-
dello impositivo ed è emerso uno stile relazionale e anche educativo che oscilla tra compia-
cenza e complicità, costruzione di regole comuni e patteggiamento delle stesse. Si oscilla tra
iperprotezione e trascuratezza. I giovani, molto più dei bambini, guardano verso l’alto, la loro
attenzione è attratta non solo dai coetanei ma anche dal mondo degli adulti, bramano ad avere
relazioni verticali con adulti competenti. I giovani e gli adolescenti chiedono quella tenerezza
rispecchiante ma soprattutto lo sguardo di ritorno che si esprime nel bisogno di ammirazione
per le imprese che compiono, hanno bisogno di dialogo – inteso come condivisione per tra-
sformare la diversità - e lo sport in questo è uno strumento molto potente per trasformare la
diversità in un’esperienza di relazione pienamente goduta, dove appunto la relazione si traduce
in una ricerca di vicinanza che non è fatta di separazione, di rottura dell’appartenenza, é relazione di distanza che rispetta la vicinanza.
Michelangelo descrive in maniera straordinaria, attraverso un suo dipinto, proprio quello
che attraverso lo sport è possibile realizzare: una forma di esperienza di benessere, di
beatitudine psichica, che si può raggiungere e che si può restituire ai nostri giovani
sotto forma di dialogo e di condivisione.
Lo sport rappresenta anche un luogo di crescita e maturazione, di ben-essere, ossia di in-lu-
sione (da in-ludere latino), ossia di recupero di una dimensione di godimento e di grafitica-
zione che nutre il senso di sé in fase di definizione all’interno di una fase della vita nota per le
sue contradditorietà, ambivalenze e crisi; lo sport come strumento di gestione dell’aggressività e antidoto alla noia adolescenziale.
Lo sport consente di mettere alla prova le proprie abilità e competenze, di concretizzare livelli
di autonomia e di controllo via via raggiunti e di sperimentare nuovi e diversificati stili di comportamento, anche tramite esperienze avventurose.
Lo sport è un luogo in cui, se vige un sano agonismo, il giovane può nutrire la propria autostima.
L’alta aspirazione al successo è direttamente connessa con una buona percezione di compe-
tenza e un buon concetto di sé. Più il giovane crede in sé, si ama e si fida delle proprie compe-
tenze e capacità e più si assume rischi, si espone al giudizio degli altri e si assume compiti sempre
più difficili. Un sentimento d’inferiorità solitamente produce meccanismi motivazionali scarsi e
aspettative di insuccesso che come in un circolo vizioso vengono confermate (meccanismo delle
139
profezie che si auto avverano e/o autodeterminano) da esperienze fallimentari e negative.
Lo sport può potenzialmente favorire un livello di coscienziosità corporea elevato. In gioventù
ci sono due corpi: un corpo reale che il giovane possiede e che però non ha scelto, ma è il
frutto dell’unione di altri due corpi: quello dei suoi genitori; un corpo che spesso in questa fase
della vita diventa un luogo di complessi e dismorfofobie e/o ossessioni che creano un senso
di disagio e di malessere diffuso all’intera esperienza di vita del giovane.
E un corpo immaginato che corrisponde a quell’ideale che spesso è un’illusione onnipotente
di personificare altri corpi. Ideale spesso biologicamente irraggiungibile.
Il giovane compie un intenso lavoro psichico perché il corpo reale aderisca il più possibile al
corpo immaginato che rimane l’oggetto principale di investimento, di prestigio e di piacere.
Lo sport è per l’adolescente un luogo protettivo da comportamenti devianti perché può altresì
allenare le cosiddette life skills.
Si tratta di abilità che permettono di gestire efficacemente le richieste e le sfide della vita quoti-
diana. Possono essere considerate come quelle abilità di vita e per la vita che mettono in grado
il soggetto di adottare strategie più efficaci per affrontare i diversi problemi che si presentano.
Nel processo di crescita, gli adulti svolgono un ruolo centrale da un punto di vista educativo
e relazionale. L’adulto è chiamato ad accudire e assicurare una relazione stabile e continuata.
Ma anche a promuovere quel processo di mentalizzazione, ossia di pensiero critico che pre-
dispone a scelte e decisioni chiare ed equilibrate e al recupero di esperienze di “benessere
bambino” che attiene ad ambiti di gioco, godimento, crescita, ricreazione di sé, mediazione e
modulazione di tensioni e aspetti critici.
Per usare una metafora di tale concetto, facciamo riferimento a quell’ “impossibile possibile”,
di cui parla Crocetti: “La palla condensa in sé l’universo. Universo dalle infinite sfumature. Se
orientate al sogno (illusione) diventano gioco goduto, il gioco che rende possibile l’impossibile”.
Carla FAVARO53
I suggerimenti della recente letteratura in tema di sovrappeso ed obesità
Sul tema prevenzione del sovrappeso e dell’obesità, le domande sono purtroppo molto più
numerose delle risposte. Dall’analisi della letteratura più recente, emergono alcuni nuovi
suggerimenti sui quali, a mio parere, è necessario soffermarsi con attenzione. Appare in-
fatti evidente che abbiamo bisogno di nuove strategie per affrontare un problema come
quello del sovrappeso e dell’obesità che ci vede al primo posto in Europa, almeno per
quanto riguarda i soggetti nella fascia di età 9 - 11 anni. Dai risultati di “OKkio alla SALUTE”
(sistema di sorveglianza sullo stato ponderale e i comportamenti a rischio nei bambini delle
53
Docente della Scuola di Specialità di Scienze dell’Alimentazione dell’Università di Milano Bicocca.
140
scuole primarie promosso dal Ministero della Salute) emerge che, in regioni come la Campania, un bambino su due è in sovrappeso o obeso e anche nelle regioni più virtuose, come
ad esempio la Valle d’Aosta, un bambino su quattro si trova in questa situazione. È impor-
tante intervenire e la scuola rappresenta l’ambito ideale, anche perché non esistono altre
istituzioni che consentano di mantenere un contatto regolare e continuativo con i bambini
e gli adolescenti nelle prime due decadi di vita. Purtroppo, tuttavia, gli interventi condotti
sinora hanno dato risultati modesti ed è quindi necessario cercare metodi più efficaci. Prima
ancora, però, bisogna soffermarsi su un altro aspetto, di cui si parla poco: non basta considerare l’efficacia dell’intervento ma bisogna anche, prima ancora, avere la certezza che
questo non arrechi danno. A tal fine, gli educatori devono essere formati anche sul tipo di
approccio da adottare ed il linguaggio da utilizzare nei programmi di educazione alimentare,
ancor più se volti alla prevenzione del sovrappeso e dell’obesità. Infatti, un approccio non
corretto potrebbe mettere a disagio chi si trova in una situazione di eccesso ponderale
come pure potrebbe favorire, nei soggetti normopeso, ragazze in particolare, una preoccupazione eccessiva nei confronti del peso corporeo e del cibo. Sempre a questo riguardo,
non dimentichiamo l’influenza che possono avere, anche involontariamente, gli insegnanti
attraverso il loro atteggiamento nei confronti del cibo o quando esprimono il loro pensiero
riguardo al sovrappeso e all’obesità. Tornando alla efficacia degli interventi, dalla letteratura
emergono molti suggerimenti interessanti. Uno di questi riguarda l’importanza del coinvolgimento e della co-progettazione. Quanti interventi di educazione alimentare condotti finora
hanno previsto, nella fase di progettazione, il diretto coinvolgimento dei destinatari di quel-
l’intervento? Si tratta di una tappa fondamentale anche perché aiuta a conoscere quali
sono gli aspetti sui quali si può trattare: per esempio gli adolescenti potrebbero essere di-
sposti a cedere su certi punti, come il maggior tempo da dedicare all’ attività motoria, e magari non su altri, come la rinuncia ai videogiochi. Inoltre, questo tipo di coinvolgimento è
anche utile per verificare come vengono percepiti gli strumenti educativi che si intendono
utilizzare. In uno studio riportato da Eating Disorders è stato chiesto a più di 300 ragazze,
di età media pari a circa 14 anni, la loro opinione su due poster predisposti allo scopo di
promuovere e migliorare l’immagine corporea nelle adolescenti. I risultati sono stati assai
poco incoraggianti: il 69% delle ragazze non avrebbe voluto avere una copia di quei poster
per evitare confronti fra la propria immagine e quella dei modelli rappresentati. In altri casi,
non risultava chiaro quale fosse il messaggio che si intendeva dare, mentre in altri ancora
il messaggio veniva percepito in modo sbagliato. Interessanti sono risultati anche i miglioramenti proposti dalle ragazze a quel tipo di comunicazione: per esempio, un sorriso sul
volto delle adolescenti fotografate sarebbe stato preferibile ad una espressione triste.
Un altro interessante spunto di riflessione viene dal programma francese chiamato EPODE
(Ensemble, prévenons l'obésité des enfants) che mira a prevenire l’obesità infantile attra-
verso interventi rivolti non solo ai bambini, ma all’intera comunità. Il punto di partenza è stata
141
la preoccupazione di alcune personalità di due cittadine francesi (Fleurbaix e Laventie), di
fronte al dilagare del sovrappeso nei bambini. Da qui, la decisione di unire le forze e di far
fronte comune al problema. L’ esperienza, iniziata nel 1992, dopo una prima fase, basata es-
senzialmente su interventi di educazione alimentare nelle scuole, si è via via arricchita con
molteplici iniziative rivolte all’intera popolazione. In particolare si sono costruite palestre, re-
clutati allenatori sportivi e dietisti, organizzate passeggiate all’aperto, è stata ripetutamente
distribuita la prima colazione a scuola, sono state organizzate lezioni di cucina, sono state
avviate iniziative sportive per le mamme. Ancora, la refezione scolastica si è impegnata a for-
mulare pasti vari e bilanciati; sono stati coinvolti farmacisti e negozianti (i supermercati, of-
frendo frutta a prezzi convenienti durante la campagna volta a favorire il consumo di questo
alimento e incoraggiandone l’acquisto attraverso appositi stand o, ancora, utilizzando il par-
cheggio dei supermercati, dopo la chiusura naturalmente, per eventi e attività sportive).
Anche i medici hanno avuto un ruolo chiave sia nel monitorare il peso e la statura dei bam-
bini, sia nel sensibilizzare la popolazione sul problema del sovrappeso e dell’obesità. Come
riporta un lavoro pubblicato da Public Health Nutrition, confrontando queste due cittadine
con altre confinanti, nelle quali non è stato attuato alcun intervento, si è osservato che, dopo
una iniziale tendenza verso un aumento della prevalenza del sovrappeso nei bambini (che
poteva indicare che gli interventi nelle scuole, da soli, non erano efficaci) e dopo aver in-
tensificato ed esteso gli interventi a tutta la comunità, la rotta si è invertita, e la prevalenza
del sovrappeso è risultata significativamente più bassa in queste due cittadine rispetto a
quelle limitrofe. Altre esperienze riguardano non tanto il periodo scolastico quanto, piutto-
sto, le vacanze estive. Presso l’Università del Wisconsin, per esempio, è stato realizzato il
progetto “Garden Fit”, i cui risultati non sono ancora disponibili, nel quale i bambini venivano
invitati a partecipare a “lezioni” di giardinaggio pratico, durante le quali potevano seminare
e coltivare e, un paio di volte alla settimana, potevano anche fermarsi a mangiare alcuni dei
prodotti frutto di questa esperienza o comunque pasti sani. Questo intervento aveva lo
scopo, da un lato, di stimolare l’attività fisica e, dall’altro, di favorire il contatto diretto e l’ac-
cesso ad alimenti salutari, in un periodo dell’anno in cui, secondo alcuni dati, è particolar-
mente elevato per i bambini il rischio di ingrassare. Qualcosa di simile è stato fatto anche in
Italia: ad esempio il Centro Regionale di Auxologia e Nutrizione Pediatrica dell’ospedale di
Atri (ASL di Teramo) organizza, da oltre 15 anni, dei campus estivi di breve durata rivolti a
bambini sovrappeso, e che mirano non a farli dimagrire (i menù adottati sono normocalorici),
quanto, piuttosto, a far loro sperimentare, grazie anche al contatto con la natura, il "gusto"
di uno stile di vita salutare.
In sintesi, abbiamo davvero bisogno di nuove strategie e di verificarne l’efficacia ma,
prima ancora, abbiamo bisogno di coordinare le forze per lavorare tutti insieme in modo
continuato nel tempo.
142
Angelo MARI54
Le politiche familiari per la promozione degli stili di vita salutari
Innanzitutto desidero ringraziare per essere stato invitato e di aver partecipato a questa ses-
sione perché dal mio punto di vista, vale a dire dalla parte di chi collabora sia alla elabora-
zione sia all’implementazione di politiche pubbliche a livello nazionale, questi sono temi
centrali e di estrema importanza.
La nostra attività fa capo al Dipartimento per le Politiche della Famiglia, istituito nell’ambito
della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel 2006. Per illustrarne brevemente funzioni e
compiti, occorre innanzi tutto premettere che nel settore socio-sanitario le politiche pubbli-
che sono frammentate, quindi dialogano a fatica, seppur la legislazione più recente e gli atti
amministrativi conseguenti ne affermano a gran voce l’integrazione sia verticale, tra i diversi
livelli di governo, sia in orizzontale, tra tutti gli attori coinvolti, pubblici e privati. Pertanto,
l’obiettivo su cui stiamo lavorando riguarda proprio l’elaborazione di nuovi strumenti di in-
tervento in grado di assicurare l’integrazione, strumenti che dovranno, tra l’altro, tenere
conto, in modo molto approfondito, di quanto qui si sta discutendo.
La base di partenza si fonda sulla constatazione che le famiglie in generale non riescono a
riconoscere rischi e disagi giovanili, se non in ritardo rispetto alle possibilità di prevenzione:
questo è vero per l’alimentazione, ma è vero anche per le tossicodipendenze e per altri tipi
di difficoltà. L’altro dato rilevante è che questi temi non riguardano solo le famiglie disagiate,
quindi le famiglie con difficoltà, prese in carico dai servizi sociali territoriali, ma riguardano,
con diversi gradi e forme, tutte le famiglie, a prescindere dalle condizioni economiche e so-
ciali o di residenza. Ad esempio, il fatto di vivere al nord o al sud del Paese spesso non com-
porta diversità di approccio a questi temi.
Partendo da tali premesse, gli strumenti che stiamo elaborando ed implementando nell’ambito del Dipartimento sono sostanzialmente due: il primo, è il Piano d’azione per l’in-
fanzia e l’adolescenza; il secondo, è il Piano nazionale sulla famiglia. Entrambi trattano anche
i temi posti oggi alla nostra attenzione.
Il Piano d’azione per l’infanzia e l’adolescenza dà attuazione alla Convenzione ONU per i di-
ritti del fanciullo del 1989, che rappresenta una delle più importanti forme di accordo inter-
nazionale, in quanto sottoscritta da 190 Stati. Il Piano dà indicazioni su alcuni temi
fondamentali per i minori, tra cui la garanzia del diritto all’informazione e la garanzia di adeguate forme e modalità di ascolto anche in campo medico sanitario. Tali garanzie sono de-
clinate in modo da rispettare lo stesso minore, all’insegna del “superiore interesse del
bambino”. Ad esempio, affermare il diritto all’ascolto in campo medico non si traduce ne-
cessariamente nell’informazione diretta al minore o nel consenso informato classico, almeno
54
Direttore Generale Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Politiche della Famiglia
143
per quando riguarda i bambini al di sotto di una certa età.
L’attenzione e il riconoscimento del diritto all’ascolto nel Piano della famiglia si sta orientando
verso un nuovo approccio, secondo cui non è necessario ricercare un punto di separazione -
una scelta ultima - tra problemi dell’infanzia e dei giovani e problemi della famiglia, quanto piut-
tosto procedere nel senso di coniugare entrambi gli aspetti, trovando possibili punti di equili-
brio. Va segnalato peraltro che vi sono orientamenti culturali diversi, che pure andrebbero tenuti
in considerazione; in effetti, è evidente che riconoscere il diritto al minore in ordine ad alcuni temi
delicati può significare non riconoscere lo stesso diritto alla sua famiglia e viceversa. Ad esem-
pio, il tema dell’allontanamento dei figli dai genitori oppure quello relativo alle cure mediche
pongono siffatti problemi. I Piani ricordati si muovono in un’ottica inclusiva tale da coinvolgere,
per quanto e laddove possibile, tutti gli attori che si occupano del problema.
Può essere utile ora illustrare come i Piani vengono elaborati ed adottati. I testi sono frutto dei
lavori svolti nell’ambito dell’Osservatorio dell’infanzia e dell’Osservatorio della famiglia dove
siedono sia rappresentanti istituzionali - del governo centrale, delle regioni e dei comuni - sia
rappresentanti della società civile, del mondo dell’associazionismo e del mondo sindacale.
Quanto ai contenuti, il ricordato tipo di approccio comporta ovviamente che bisogna ricono-
scere una funzione sociale alla famiglia, intesa quindi come comunità capace di ritrovare al suo
interno le risorse necessarie per affrontare e risolvere i problemi. Si tratta di un tema di rilevanza
politica molto importante, nel senso che il dibattito è attualmente incentrato su come, e fino a
che punto, le azioni pubbliche possano entrare in fatti che riguardano la famiglia in quanto tale,
ossia come autonomo gruppo sociale. In sostanza si tratta di stabilire fin dove l’intervento pub-
blico si può spingere e dove invece bisogna che si fermi.
L’argomento è stato affrontato in termini più giuridici per quanto riguarda alcuni tipi di pre-
stazione sanitaria, magari obbligatoria. Infatti, se si prende come riferimento l’assetto co-
stituzionale italiano, il tema interessa l’applicazione del principio di sussidiarietà orizzontale
cioè il rapporto tra istituzioni e soggetti che possono svolgere alcuni ruoli di rilevanza sociale.
Ciò comporta ovviamente che si possa introdurre - e questa è già una soluzione - una sorta
di metodo di coordinamento aperto, nel senso che è possibile proporre indirizzi, linee guida,
contenuti non prescrittivi, che possano dare poi opportunità da cogliere potenzialmente in
maniera diversa a seconda delle situazioni e della capacità di recepimento da parte dei de-
stinatari. Si può costruire così un nuovo ambiente caratterizzato da benessere relazionale;
infatti uno dei temi su cui si sta lavorando è proprio la costruzione di un rinnovato patto intergenerazionale. In termini di benessere relazionale, la continuità tra infanzia, adolescenza,
età adulta e vecchiaia comporta una diversa percezione del rapporto tra generazioni, da ricostituire tenendo conto di molti fattori, il primo dei quali è quello delle tecnologie.
Per favorire questa costruzione si sta assecondando l’idea di aumentare le facoltà di capaci-
tazione delle famiglie, fornendo loro concrete possibilità di ausilio alla naturale capacità di dare
risposte autonome ai diversi bisogni dei componenti. L’altro elemento importante riguarda l’in-
144
troduzione di una logica di alleanze tra famiglie che hanno fattori o problemi comuni: lo scambio di buone pratiche, di informazioni orizzontali più o meno informale, può aiutare molto a su-
perare i momenti di difficoltà. In Germania per esempio sono state sperimentate a livello locale
le alleanze per la famiglia, che hanno funzionato come veicolo di trasmissione di conoscenze,
informazioni e soluzioni, più efficaci in quanto meno istituzionali.
In proposito va fatto un cenno al tema della comunicazione istituzionale, come strumento
di accompagnamento delle politiche pubbliche. Si tratta soprattutto di capire come rappre-
sentare e come veicolare le informazioni in modo tale da raggiungere tutti gli interlocutori uti-
lizzando linguaggi adatti e utili alla comprensione dei messaggi.
L’ultimo punto che è necessario sviscerare in un ordinamento come quello italiano riguarda
la necessità di muoversi in una ottica di amministrazione condivisa. Ormai l’assetto istituzionale comporta che nessun livello di governo, quindi lo Stato, le regioni ed i comuni, abbia
una competenza esclusiva sulle materie sociali e sanitarie. Quindi diventa fondamentale
muoversi in un’ottica di condivisione nell’ambito della salute, ma anche nell’ambito più oriz-
zontale di integrazione sociale e sanitaria. L’attenzione del Dipartimento per le Politiche della
Famiglia, che lavora in collaborazione con gli altri Dipartimenti - a cominciare dal Diparti-
mento per la Gioventù - della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è rivolta ai temi appena
trattati e nei termini di cui si è finora detto: speriamo che si producano proficue sinergie volte
alla corretta individuazione degli obiettivi e all’ottimizzazione delle risorse.
Paolo DEL BENE55
Movimento dell’Etica e Cultura nello Sport
Desidero porre innanzitutto l’attenzione sulla nascita del Movimento dell’Etica e Cultura nello
Sport (MECS- www.eticanellosport.com), nato in Italia circa 18 mesi fa, iniziando con una brevissima premessa sulla sua nascita.
Il Movimento nasce da un’idea dell’Associazione Sportiva Luiss del Corso di Laurea in Scienze
Motorie dell’Università di Tor Vergata e di altri amici dello Sport fra i quali Gianni Rivera , Gian-
carlo Abete, Antonio Lombardo, Luigi Capasso e Tommaso Mandato.
Abbiamo incominciato questo percorso avendo il patrocinio del CONI e successivamente
anche quello del Comitato Italiano Paralimpico. Inoltre abbiamo il sostegno di due Enti di promozione Sportiva: l’ACSI e l’ASI.
Altre grandi realtà sportive hanno raccolto con entusiasmo quello che noi promuovevamo, ov-
vero il valore dell’Etica nello Sport, veicolata attraverso messaggi importanti coma la diffusione della buona pratica sportiva ed un corretto stile di vita.
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Responsabile dell’Area Sport dell’Università Luiss, Roma.
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Abbiamo ottenuto il patrocinio del Credito sportivo, abbiamo coinvolto i diversi uffici scolastici
regionali, iniziando dall’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio. Fra i partners tecnici abbiamo
avuto il sostegno del gruppo sportivo della Guardia di Finanza.
Il nostro presidente onorario è Pierluigi Celli, il presidente del Movimento è Gianni Rivera, il
grande ex calciatore attualmente ci ha accompagnato in una serie di seminari per far cono-
scere il concorso “SegnalEtica” che si rivolge a quella particolare fascia d’età molto importante
e soprattutto in fase di crescita come la Scuola Secondaria di Primo Grado. Il progetto svolto,
ha coinvolto con successo circa 1800 alunni ed è terminato a marzo di quest’anno all’Acqua
Acetosa. In questa giornata le Regioni coinvolte sono state: Lazio, Campania, Abruzzo, Mar-
che, corollario dell’iniziativa è stato il coinvolgimento della Nazionale Italiana di calcio dei mon-
diali di Messico ’70: quella famosa nazionale che ci ha fatto sognare nella partita tanto amata
Italia - Germania 4 a 3.
Attraverso una precedente esperienza realizzata per il Ministero della Salute, abbiamo svolto
un progetto contro la lotta al doping nella scuola.
In questa ricerca che ha coinvolto una popolazione scolastica della Scuola Secondaria di
Primo e di Secondo Grado coinvolgendo circa 5000 alunni si è evidenziato che una buona
parte di questi ragazzi era molto attirata dal successo facile, pronti a tutto pur di vincere,
usando anche il doping come sostanza per arrivare al successo. Questo motivo ci ha spinti a
realizzare un’esperienza che trasmettesse partecipazione allo sport non teorico ma pratico,
ecco perché è nato ETICAMP.
ETICAMP è rivolto ai ragazzi dai 7 i 15 anni e si tiene a Chianciano Terme. Questo modello di
campo estivo ha una particolarità, la pratica degli sport di squadra: Calcio, Basket, Volley e
Rugby, attraverso i quali viene veicolato il messaggio etico nello sport, come strumento privi-
legiato di aggregazione e di integrazione sociale. Diversi campioni olimpici partecipano al
Camp per trasmettere questi valori ai partecipanti.
Entrando invece nel tema di oggi credo che la sedentarietà sta diventando, con l’affermarsi
sempre più forte delle nuove tecnologie, un problema sempre più grande che colpisce gli an-
ziani così come i giovani e i bambini.
Il benessere tratto dall’attività fisica di base nella nostra realtà inizia a venir meno e questo a causa
di una società sempre più sedentaria dove al movimento fisico non viene dato il giusto peso.
Lo sport può combattere questo fattore negativo e può farlo anche grazie a campi affini, uno
dei più importanti è l’alimentazione. Attraverso la pratica sportiva si può arrivare a un’alimen-
tazione più sana e più corretta che unita all’attività fisica potrà farci arrivare al benessere fisico
di cui ogni persona ha bisogno.
La ricerca di un benessere fisico è essenziale per ciascun individuo in particolare ma anche
per la società. Pensiamo a tutti i vantaggi che possiamo trarre quando stiamo in forma, si
spende meno in sanità, si produce meglio nello studio o sul lavoro, si ha meno stress e si
vive più a lungo.
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La popolazione è diventata sempre più sedentaria a causa della marcata urbanizzazione
e della grande diffusione dei mezzi di trasporto; contemporaneamente ad un tipo di alimentazione inadeguata sia dal punto di vista della quantità che della qualità.
La tecnologia ed il benessere hanno portato da un lato l’aumento della speranza di vita e dal-
l’altro hanno creato uno stile di vita che gradualmente diminuisce i momenti di attività fisica
(la tecnologia rende più comoda la vita), creando danni collaterali che col tempo si sono
espressi, colpendo indifferentemente sia bambini che adulti e anziani, in una sindrome che
è un mix di ipertensione, sovrappeso, obesità, diabete e disturbi cardiovascolari.
Di contro l’attività motoria rappresenta un elemento fondamentale della crescita psico-fisica dei più piccoli, nonché uno strumento primario per la tutela della salute dei giovani e
meno giovani.
Dal V Rapporto Osservasalute, gli italiani grassi e sedentari sono più al sud. Puglia e Ba-
silicata le regioni con più obesi. Rispetto al 2005 e 2006, l’ obesità nel nostro paese è salita dall’8,5% al 9,9%, con punte elevate nelle regioni del Sud.
In particolare l’indagine ha riscontrato valori superiori al 38% in Emilia, Campania, Puglia,
Basilicata e Calabria per quanto riguarda il sovrappeso, mentre sugli obesi i valori si attestano sul 12,0% in Basilicata e 12,9% in Puglia.
Più vicina alle regioni settentrionali la Sardegna (10,5%), dove si registrano i valori piu’
bassi (Piemonte 31,4% di persone in sovrappeso, 8,3% di adulti obesi, Valle d’Aosta, con
30,8% e 6,6%, Lombardia, 29,8% e 8,5% e Lazio 28,5% e 7,9%).
Il progetto del MECS riguardo questo tema sarà quello di promuovere la realizzazione di
percorsi formativi integrati finalizzati a trasferire conoscenze specifiche in tema di educa-
zione alimentare in favore di ragazzi delle scuole delle Province coinvolte, al fine di promuovere una cultura equilibrata e responsabile del movimento e dell’alimentazione;
attivando un processo contro la sedentarietà attraverso lo sport, diffondendo un modello
di comportamento di vita etico tramite testimonianze e percorsi formativi.
In questa sede congressuale vedo partner molto importanti che potremmo coinvolgere ad
affrontare insieme questo grande tema. Come insegnante vivo tutti i giorni le problematiche relative a questo fenomeno, dobbiamo invertire la tendenza, non dobbiamo pensare
alle diete, ma dobbiamo imporci a realizzare un sano e corretto stile di vita attraverso la
buona pratica sportiva.
Che cosa vogliamo fare noi come Movimento di Etica e Cultura nello Sport? Naturalmente
sappiamo che c’è un rapporto tra l’obesità e lo sviluppo del diabete e, come tutti sanno, la
buona pratica sportiva può fare qualcosa di importante, ossia può togliere dal divano, dal
televisore, dai videogiochi i nostri giovani.
Tutto ciò potrebbe aiutare a combattere malattie subdole come il diabete per esempio.
Desidero fare una considerazione tecnica: è il diabete di tipo 2, quello più subdolo, quello che non
si vede, che potrebbe essere combattuto anche attraverso una sana pratica sportiva. Vi è un dato
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allarmante circa il continuo aumento del diabete, che descrive una situazione quasi da day after.
Occorre diffondere le idee, comunicare le informazioni e lavorare attraverso una serie di par-
tnership perché i fondi non vengano a mancare e perché si possa proseguire un percorso in
collaborazione con le istituzioni pubbliche.
Il prossimo anno il Movimento vuole riproporre SegnalEtica e, all’interno delle scuole che
hanno già partecipato al concorso, dare un nuovo contributo attraverso una sperimentazione
con la partecipazione degli studenti della Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Tor Ver-
gata, partner del progetto tecnico. Questo contributo riguarderà la stesura di questionari, la
sperimentazione, la formulazione di un protocollo d’intesa con tutte le realtà coinvolte. È im-
portante fare un qualcosa di concreto: l’Italia ancora oggi è il penultimo Paese per monte ore
di attività motorie nelle scuole; nonostante l’impegno e gli sforzi nelle elementari non si fa educazione fisica, non si fa attività motoria. Basterebbe traslare due ore dai licei e portarle alle ele-
mentari, coinvolgendo le associazioni del territorio perché vadano a fare sport nei licei
gratuitamente. Un intervento di questo tipo non avrebbe alcun costo per lo Stato italiano e po-
trebbe inoltre veicolare una serie di attività sportive promosse dalle associazioni coinvolte.
I bambini delle scuole elementari potrebbero così fare attività motoria di base, perché una
buona pratica sportiva aiuta a promuovere un cittadino migliore.
Attraverso i nostri progetti SegnalEtica ed EtiCamp verrà fatta una raccolta di dati che, suc-
cessivamente elaborati, verranno utilizzati per attuare una seria campagna di diffusione e sen-
sibilizzazione a questo tema.
Attraverso gli EtiCamp vogliamo dare un messaggio importante perché lo sport è anche questo:
è sacrificio, è sudore. Non si arriva alla vittoria se non ci si allena e quindi credo che, da un punto
di vista morale, EtiCamp sia una meta, un canestro o un goal fatto attraverso una azione corale.
E in questo momento abbiamo bisogno appunto di un gioco di squadra.
Antonio TUNDO56
Disturbi dell’alimentazione: attenzione alle trappole
Buon giorno a tutti. Ringrazio per essere stato invitato a parlare su questo tema. Quanto dirò
potrà sembrare in contrapposizione con le relazioni dei colleghi che mi hanno preceduto per-
ché parlerò di come talvolta dietro un comportamento apparentemente sano possa nascon-
dersi uno stato patologico. Ricordo innanzitutto che nel corso dei millenni c’è stata una
profonda trasformazione dell’approvvigionamento nutritivo dell’uomo: all’inizio questo era es-
senzialmente a base di alimenti vegetali e animali reperibili allo stato spontaneo, poi coltivati
e allevati finché, nell’ultimo decennio, non c’è stata un’impennata della preparazione e vendita
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Psichiatra, Direttore Istituto di Psicopatologia di Roma.
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di cibi preparati precotti, quindi manipolati prima di essere assunti. Parallelamente, sempre
nell’ultimo decennio, si è sviluppata la consapevolezza che sarebbe meglio abbandonare il
“cibo spazzatura” per spostarsi verso il consumo di alimenti più sani, come frutta e verdura.
Siamo tutti d’accordo che cibo più sano significa minore rischio di malattie metaboliche e car-
diovascolari e, in ultima analisi, maggiore benessere. Questi concetti cominciano ad essere
così diffusi che persino le aziende hanno incominciato a utilizzare il tema del mangiare sano
nelle strategie di marketing. Secondo un vecchio detto “l’ottimo è nemico del buono” e que-
sto detto è valido anche quando si parla di alimentazione sana, quando si parla di stile di vita
salutare, quando si parla di attività fisica.
Ribadisco che sono d’accordo nel ritenere il salutismo alimentare una scelta intelligente e ri-
conosco che, almeno entro certi limiti, l’estremismo in questo ambito possa essere giustificato.
Ma c’è un punto oltre il quale la preoccupazione per un’alimentazione sana diventa un’os-
sessione insana, sfocia cioè in una patologia che ha il nome di ortoressia, termine proposto
da Bratman, un medico nutrizionista statunitense, in una pubblicazione che egli stesso definiva “assolutamente non scientifica”.
Per ortoressia [dal greco 'orto' (sano, giusto) e 'orexis' (appetito)] si intende una patologica at-
tenzione a nutrirsi con cibi assolutamente sani, cioè non stati trattati, privi di erbicidi, pesticidi
e di qualsiasi traccia di sostanze artificiali. Chi ne è affetto restringe un po’ alla volta i cibi as-
sunti finendo con avere ricadute negative sul piano fisico e sociale. Ma quali sono i sintomi con
cui si manifesta l’ortoressia? Quali sono gli elementi costitutivi di questa patologia? Il primo se-
gnale è una dieta purista che esclude rigorosamente tutta una serie di alimenti percepiti come
“insani”, “impuri”, “contaminati”. Un alimento assolutamente evitato è la carne perché l’orto-
ressico ritiene che sia inquinata dal “terrore che l’animale percepisce prima di essere ucciso”.
Sono esclusi poi tutti i grassi, come latticini e formaggi, i cereali non integrali e i cibi trattati,
quindi quelli più facilmente reperibili sul mercato, come i cibi elaborati industrialmente, precotti,
surgelati e in scatola. C’è poi una precisa ritualità nel modo di alimentarsi: sono rigorosamente
evitati i ristoranti, che non garantirebbero una sufficiente igiene, le posate e le stoviglie di pla-
stica, che sarebbero “avvelenate” secondo le parole spesso utilizzate dall’ortoressico, l’uso del
forno a microonde. I cibi sani, i cibi buoni, i cibi naturali sono frutta e verdura che devono es-
sere di stagione e provenire da coltivazione biologica; le foglie delle verdure non devono es-
sere tagliate poichè il taglio farebbe perdere le qualità nutritive. Regole e divieti si estendono
anche all’acqua da bere, che deve essere possibilmente piovana, e agli abiti, che devono essere prodotti con fibre naturali. Per tutti questi motivi l’ortoressico fa acquisti soltanto da for-
nitori di fiducia o, in alternativa, coltiva direttamente la verdura e gli ortaggi. Conosce inoltre
l’etichetta di qualsiasi alimento, sa quali sono i valori nutritivi e quali sono i valori calorici di ciò
che consuma. Ha inoltre un’attenzione maniacale alla forma fisica, quindi fa molta ginnastica,
presta grande attenzione alla pulizia, fa massaggi, cura il proprio aspetto estetico.
L’ortoressico segue spesso una dieta bizzarra influenzata da proprie convinzioni ritenute scien-
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tificamente fondate e che non è disposto a discutere con gli esperti in quanto questi ne sa-
prebbero meno di lui. Per lui mangiare non è un piacere, non gli interessa gustare il sapore o sen-
tire l’odore dei cibi; questi sono solo una terapia che lo aiuterà a mantenersi in forma, ad avere
le energie sufficienti per affrontare la giornata, a prevenire tutte le malattie, compresi i tumori.
Come riportato da Bratman, “l’ortoressico, pensa che il suo corpo sia un tempio da mante-
nere puro, pertanto deve mangiare solo cibo puro perché corpo puro è uguale ad anima pura”.
Fondamentale nell’ortoressia è anche il rapporto con la spiritualità. C’è una sorta di visione mistica dell’alimentazione basata sull’assioma che tenere sotto controllo il proprio comporta-
mento alimentare, attenersi a corrette linee dietetiche, significa essere superiore agli altri,
purificare il proprio spirito e, a volte, arrivare a provare stati emotivi così intensi fino a delle
vere proprie sensazioni di estasi. Le parole di Bratman aiutano a capire qual è il modo con cui
l’ortoressico vive l’alimentazione: “chi riempie le giornate mangiando germogli di soia si può
sentire altrettanto pio di chi dedica tutta la sua vita ad aiutare i senza tetto”. C’è qualcosa di
spirituale e di religioso in queste persone, ritengono che la dieta perfetta aiuti a raggiungere
la purezza per cui il cibo perde il suo significato originario e acquista una valenza di natura re-
ligiosa. Al contrario, il consumo di cibi “insani” causa, secondo l’ortoressico, malesseri fisici
(nausea, vomito, mal di testa) e psicologici (perdita dell’autostima, autosvalutazione, idee di
biasimo e di colpa per essere caduto in tentazione) per curare i quali è necessario seguire una
dieta ancora più rigida attraverso la quale eliminare le tossine.
Seguire una dieta ortoressica ha diverse importanti conseguenze, in primis l’isolamento. L’or-
toressico abitualmente mangia da solo o in compagnia di persone che sono a loro volta orto-
ressiche, tenta di convincere familiari, amici e conoscenti della correttezza delle proprie teorie
e, se non riesce nell’intento, esclude gli scettici. Così facendo, in realtà, si autoesclude, limita
i rapporti sociali che ormai oggi sono caratterizzati da momenti conviviali come il pranzare o
cenare insieme. Se costretto a partecipare a una festa, un compleanno o un anniversario,
porta con sé il proprio kit di sopravvivenza, a base di cibi sani e puri.
Un’ulteriore, non trascurabile conseguenza dell’ortoressia sono i potenziali danni alla salute de-
rivanti da una dieta non equilibrata: perdita di peso, carenze nutrizionali (in particolare protei-
che), osteoporosi, atrofia muscolare. Il rischio è maggiore per le persone anziane,
convalescenti o donne incinte come pure per i figli degli ortoressici, costretti dai genitori a se-
guire una dieta non adeguata alle loro esigenze.
Ma quanto è diffusa l’ortoressia? Al proposito non ci sono dati precisi e i pochi studi presenti,
che riportano un’incidenza nella popolazione generale compresa tra il 3% e il 7%, a mio giu-
dizio sovrastimano il fenomeno. L’ortoressia è più diffusa tra i giovani (fino a 30 anni) ed è più
frequente tra gli uomini secondo un lavoro condotto dal Prof. Donini dell’Università La Sa-
pienza di Roma, egualmente distribuito tra uomini e donne secondo uno studio condotto in
Turchia. Un fattore di rischio è il livello socio-economico elevato anche perché per seguire una
dieta ortoressica, che prevede l’utilizzo di prodotti molto più costosi di quelli abitualmente re-
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peribili al supermercato, occorre una buona disponibilità economica. Coloro che sviluppano
l’ortoressia hanno in genere particolari caratteristiche psicologiche, peraltro simili a quelle delle
persone che soffrono di anoressia restricted: sono rigidi, perfezionisti e hanno la necessità di
mantenere sempre il controllo di se stessi e delle situazioni. Per quanto riguarda i fattori pre-
disponenti, non è chiaro se l’avere una più approfondita conoscenza delle problematiche nu-
trizionali, come accade a nutrizionisti, dietologi e medici specialisti in dietologia, aumenti o
meno il rischio di sviluppare l’ortoressia. A questo proposito, un recente studio ha trovato che
l’atteggiamento verso l’alimentazione non è significativamente differente tra gli studenti del
primo e del quarto anno di dietologia e questo indica che ricevere informazioni più approfon-
dite sull’alimentazione non determina un cambiamento di comportamento. È stato ipotizzato
anche che coloro che si occupano di nutrizione lo facciano perché hanno una predisposizione
ai disturbi alimentari in generale e quindi anche all’ortoressia. Questa ipotesi è emersa in 2
studi condotti in Turchia ma non è stata confermata in altri lavori.
Io sono uno psichiatra e ho sempre in mente le parole di Kant che, nel 1764, ricordava come
i medici della mente ritengano di aver scoperto una nuova malattia ogni volta che escogitano
un nuovo nome! Ritengo pertanto importante porsi la domanda: ma l’ortoressia è veramente
una patologia? E se la risposta è si, di che tipo di patologia si tratta?
Potremmo pensare che coloro che seguono un regime ortoressico siano persone normali che
hanno semplicemente posizioni “estreme” sul tema dell’alimentazione. Tutti noi conosciamo
persone, che non ci sogneremmo mai di definire patologiche, che seguono diete particolari o
persino bizzarre e comunque non basate su conoscenze scientifiche, anzi a volte contro
quanto sostenuto dalla scienza. Questi atteggiamenti non sono però sufficienti per parlare di
ortoressia nella quale sono anche presenti sofferenza psicologica, compromissione del fun-
zionamento sociale e familiare, difficoltà di adattamento, rigido blocco sulle proprie posizioni.
E l’insieme di questi elementi connota chiaramente una condizione disfunzionale, cioè pato-
logica. Ma se siamo al di fuori della normalità, di che tipo di patologia si tratta? Potremmo
pensare a un delirio? Alcune manifestazioni portano effettivamente a sospettare un disturbo
delirante, ma altri e più importanti sintomi non confermano questa ipotesi. Innanzitutto i prin-
cipi ortoressici sono condivisi da un numero più o meno grande di persone, mentre il delirio è
un convincimento personale; in secondo luogo, chi soffre di ortoressia non pensa di essere
personalmente al centro di un complotto, che qualcuno voglia avvelenare proprio lui, che
quelle specifiche posate in quello specifico ristorante siano state messe per “fare fuori” pro-
prio lui, come invece penserebbe una persona con deliri. Se non si tratta di delirio, dobbiamo
allora pensare a nuovo disturbo dell’alimentazione? Secondo alcuni studiosi l’ortoressia do-
vrebbe essere collocata tra i disturbi dell’alimentazione avendo con l’anoressia restricted molti
sintomi in comune: la personalità pre-morbosa, l’appartenenza a un livello socio-economico
e culturale medio alto, l’atteggiamento rigido verso l’alimentazione, il vivere solo e per il cibo,
la ricaduta che il comportamento alimentare ha sull’autostima e l’identità personale, i poten-
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ziali danni fisici derivanti dallo squilibrio alimentare e l’osservazione che chi soffre di anoressia può nel tempo diventare ortoressico (ma non viceversa).
La mia esperienza personale con pazienti affetti da ortoressia mi fa tuttavia pensare che non
si tratti di una variante dell’anoressia nervosa: gli ortoressici infatti non sono preoccupati di
quanto mangiano ma di cosa mangiano, non vivono con angoscia un eventuale aumento di
peso, non vomitano per eliminare le calorie ingerite e se lo fanno è solo per liberarsi da eventuali tossine derivanti dall’aver mangiato cibi scorretti, non hanno un’immagine corporea di-
storta, non è mai stata osservata una relazione tra indice di massa corporea e ortoressia.
Inoltre, chi soffre di ortoressia tende a fare gruppo con altri ortoressici mentre chi soffre di
anoressia è solitario oppure, come accade negli ultimi anni, frequenta gruppi virtuali su Inter-
net dove sviluppa dinamiche estremamente competitive e non collaborative.
In base alla mia esperienza, l’ortoressia rappresenta una variante del disturbo ossessivo com-
pulsivo il quale è caratterizzato da timori irrazionali, spesso relativi a possibili contaminazioni,
accompagnati da comportamenti ripetitivi messi in atto secondo precise regole (“rituali”) per
evitare che la contaminazione si verifichi. Questa ipotesi è confortata da diversi dati presenti
in letteratura tra cui l’osservazione che gli strumenti psicodiagnostici utilizzati per riconoscere
la presenza dell’ortoressia hanno numerosi elementi in comune con quelli utilizzati per dia-
gnosticare il disturbo ossessivo compulsivo.
L’ultimo tema che vorrei affrontare è quello del trattamento. Diciamo subito che non ci sono
dati in letteratura; in genere si utilizzano antidepressivi che agiscono sulla ricaptazione della
serotonina, come si fa anche in alcuni disturbi dell’alimentazione e nel disturbo ossessivo
compulsivo. Ma, direte, è possibile convincere una persona che ha il terrore di essere avvele-
nato da tutto ciò che è sintetico a curarsi con una sostanza chimica? Sembra un paradosso,
ma la risposta è sì, anche se la prescrizione deve essere preceduta da un intervento psicoe-
ducativo per chiarire pro e contro delle cure e migliorare la consapevolezza riguardo alla si-
tuazione clinica. Ottenuto un iniziale miglioramento con la cura medica si associa una
psicoterapia cognitivo-comportamentale. Quest’ultima, grazie a tecniche specifiche come il
sensual eating, aiuta a vivere il cibo come un’esperienza globale da apprezzare con tutti gli organi di senso e a riscoprirne la piacevolezza.
Arrivo alle conclusioni. Il concetto di ortoressia ha di recente avuto un’ampia eco mediatica
anche se le conoscenze scientifiche in merito sono scarse tanto che non è persino ancora
chiaro quanto esteso sia il fenomeno e in quale ambito della psicopatologia dovrebbe essere
collocato. Certamente non è raro incontrare in ambito professionale persone con comporta-
menti ortoressici anche estremi. Invito pertanto chi, dal nutrizionista al dietologo, dal medico
di medicina generale all’internista, rappresenta il primo riferimento per queste persone spesso
alla ricerca di ulteriori informazioni sul piano nutrizionale, a riconoscere l’eventuale presenza
di una patologia dietro un comportamento apparentemente sano in modo da avviare un’opera
di consapevolezza che porti alla messa in atto di un corretto iter terapeutico.
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Barbara MAZZA57
Diffusione e adozione di stili di vita salutari tra i giovani: il ruolo
dello sport
Mi occupo di managment sportivo e non ho pertanto un’estrazione di tipo medico ma
più di natura manageriale; dirigo l’osservatorio Orsa del CONI Abruzzo, nel quale abbiamo attivato ricerche e monitoraggi costanti su diversi fenomeni e fabbisogni nel mondo
sportivo e, tra questi, approfondimenti sul rapporto fra i giovani e lo sport. La mia rela-
zione di oggi vuole affrontare appunto il tema del connubio tra sport e salute ma, so-
prattutto, parte dall’interrogativo se lo sport contribuisca o come contribuisca nella
diffusione di stili di vita salutari nei giovani. Desidero sottolineare, anche per collocare
bene il posizionamento dello sport rispetto agli stili di vita salutari, che non farò riferi-
mento ovviamente allo sport di natura professionistica ma a quello dilettantistico o, per
meglio dire, alle cosiddette attività motorie a basso impatto. L’attività fisica in realtà coin-
cide con questa dimensione dello sport, che ovviamente si collega e si correla di più alla
costituzione, alla diffusione di stile di vita salutare. Naturalmente deve esserci una cor-
relazione stretta fra l’attività fisica e l’educazione alimentare e questo diventerà uno degli
elementi fondamentali della mia relazione, che vorrei sviluppare sostanzialmente su tre
punti. Il primo parte dalla constatazione abbastanza diffusa che l’attività fisica comunque
fa bene e quindi vorrei riflettere su come interviene sullo sviluppo dei giovani. La seconda
dimensione che vorrei affrontare riguarda invece il contributo che lo sport può avere nella
prevenzione dei comportamenti a rischio. Infine vorrei cercare di comprendere come si
possa intervenire a partire proprio dall’attività fisica.
Per quanto riguarda la prima dimensione quindi, il mio primo interrogativo è: “lo sport, l’at-
tività fisica fa bene? Contribuisce a diffondere stili di vita salutari?”. Alcuni pregi inevitabili
dell’attività fisica emergono soprattutto da una serie di indagini - non mi limito a fare riferi-
mento a quelle che svolgiamo in Abruzzo -, per esempio quelle sviluppate dall’OMS, dall’ESPAD oppure dall’Eurispes e dal Censis. Faccio dunque riferimento a una serie di ricerche
che hanno affrontato con attenzione il tema del rapporto fra sport e giovani - per giovani
prendo in considerazione soprattutto la fascia adolescenziale dagli 11 ai 18 anni - e in questa fascia di età facciamo un distinguo tra praticanti e non praticanti, sicuramente indivi-
duiamo una serie di trend che almeno in linea generale ci danno delle informazioni
incoraggianti. Pensiamo per esempio che a fronte di un 73% di praticanti complessivi in
quella fascia il 77% di questi si dichiara contrario al doping, il 73% non fuma, il 74% non è
a rischio di obesità e il 45% non fa utilizzo di alcol.
Questi dati, almeno in linea generale, ci danno un quadro significativo: coloro che fanno attività
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Docente della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Teramo.
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fisica a vari livelli hanno maggiore possibilità di riflettere quanto meno su alcune problematiche
e quindi comunque di arginarle, di individuarle grazie al rapporto con l’attività fisica. Posseg-
gono strumenti e immagini per difendersi in un certo senso anche da eventuali comportamenti
a rischio. Non a caso rintracciamo il dato più basso in riferimento all’alcol, perché il fenomeno
dello sballo diventa trasversale e soprattutto si caratterizza per una dimensione socializzante
aggregativa, tanto che bere il sabato sera diventa un must identificativo quasi di una generazione, quindi più difficile da arginare rispetto ad altri comportamenti.
Sarei tuttavia superficiale se mi limitassi ad una lettura comparativa dei dati e dicessi che su
queste basi possiamo dire che l’attività fisica aiuta, perché mi limiterei a un giudizio di valore in generale.
Quando parliamo di attività fisica parliamo anche del rapporto con diverse discipline spor-
tive che hanno un diverso impatto sui giovani perché alcune di queste attività fisiche sono
corredate da un bagaglio valoriale relazionale che ha un maggiore impatto proprio nella lo-
gica formativa di un giovane. Alcune di esse favoriscono gli elementi di aggregazione, la
convivialità, la veicolazione di una serie di valori comportamentali che si possono appren-
dere e acquisire. Ciò non significa che se vengo a contatto con una serie di valori automa-
ticamente li acquisisco e li adotto, però significa che mi interfaccio con questi e quindi ho
maggiori probabilità di prenderli in considerazione e che questi influenzino la costruzione
della mia identità. Non dimentichiamo che il ruolo dello sport nella formazione di un giovane
incide proprio sulla costruzione dell’identità dell’individuo. Esistono discipline che hanno un
minor impatto in termini valoriali nella costruzione della formazione, magari perché più ca-
ratterizzate da logiche che perniano lo sviluppo sociale dello sport, che generano più una
cultura di carattere popolare. Si pensi al fatto che nel nostro Paese si tende a correlare il concetto di sport con quello di calcio e non con quello di rugby o di altre discipline. Un altro ele-
mento importante da considerare è il fatto che sicuramente una dimensione significativa
che entra in gioco è la correlazione fra attività fisica e cultura del benessere; la lettura, l’interpretazione dell’attività fisica come momento di benessere, sta diventando di centrale im-
portanza. Il punto sta nell’interrogarsi su come venga declinato il concetto di benessere e
qui entra in gioco un approfondimento più sostanziale rispetto al quadro generale che facevo
prima e che inizia a mettere in risalto alcune criticità sulle quali forse bisognerebbe lavorare,
riflettere e lavorare dall’interno del mondo dello sport. Il benessere viene declinato sostan-
zialmente come cura del corpo da parte dei giovani e un dato interessante è stato individuato
dalla Società Italiana di Pediatria nel 2008. Da una ricerca condotta tra gli adolescenti si evi-
denzia che due giovani su tre considerano che lo sport serva, per i ragazzi, per diventare più
alti e più belli e, per le ragazze, per diventare più belle e più magre.
Bisogna sicuramente intervenire su questo concetto e lavorare meglio perché quando par-
liamo di benessere ai giovani parliamo della cultura di una corporeità che si rifà a modelli dif-
fusi nell’opinione pubblica, che i media contribuiscono a generare. Questa cultura del corpo
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non deve essere per forza vissuta con una accezione negativa, però sappiamo che inevitabilmente questa visione della corporeità produce degli effetti negativi, anche nell’ambito dei di-
sturbi alimentari. Fortunatamente abbiamo la possibilità di osservare anche alcuni aspetti
positivi che emergono da un’indagine recente sviluppata dalla Coldiretti e dall’INRAN, da cui
emerge appunto che i giovani di oggi tendono ad abbandonare il modello dell’alimentazione
del fast food in favore di una dieta più equilibrata, di tipo mediterraneo e quindi più salutare.
Ciò significa che sicuramente questa cura del corpo tende a far riflettere riguardo ai cibi, pur-
troppo non ancora sul fatto che siano più o meno salutari - il piatto di pasta è più salutare
del panino - quanto sulla convenienza di mangiare un cibo piuttosto che un altro per mantenermi più bella e più magra. Coldiretti e INRAN sottolineano inoltre l’attenzione dei giovani
nei confronti degli alimenti biologici, ma anche questo sembra essere frutto di una moda più
recente, per la quale c’è una sovraesposizione di natura mediatica sull’utilizzo e l’impiego di
una certa tipologia di prodotti. Questo concetto di sano si correla semplicemente ai modelli
dominanti, così come sappiamo che questa attenzione a mantenersi belli e magri diminuisce
quando gli stimoli sociali culturali si fanno più pressanti ed incrementano i tassi di abbandono
della pratica sportiva. C’è pertanto da interrogarsi anche su un’altra dimensione: “come fa lo
sport, l’attività fisica, a diventare veicolo di stile di vita salutare? Può essere già in parte stile
di vita salutare se non garantisce un meccanismo di fidelizzazione nei confronti dell’attività fi-
sica stessa?”. Gli elementi sui quali è bene riflettere o approfondire gli sforzi devono riguardare
la costruzione di un rapporto continuativo con l’attività fisica a basso impatto - quindi quella
che si sposa bene con la formazione del sé equilibrata - e non solo con una logica di cultura
del corpo, e devono riguardare la necessità che ci sia sempre una correlazione più stretta fra
sport ed educazione alimentare. Quindi, il primo problema, che emerge proprio all’interno del
mondo sportivo, riguarda l’appeal stesso dell’attività fisica; i giovani per esempio lamentano,
sempre citando le indagini Istat e Censis più recenti, una certa noia nei confronti della pratica
sportiva. Non sono tanto le congiunture economiche, le difficoltà del periodo né la mancanza
o la carenza di impianti e di strutture ad essere gli elementi al primo posto nel giustificare que-
sta sorta di disaffezione, quanto piuttosto il fatto che scade il vero e proprio interesse nei confronti della pratica sportiva.
Ci si interroga da tempo, nel mondo dello sport, su come intervenire all’interno di questi
processi. Sappiamo che per alcune discipline, soprattutto per quelle più esposte al pub-
blico più eterogeneo, si interviene sulla modificazione delle regole per renderle più appeti-
bili. Questo tuttavia riguarda solo la dimensione della spettacolarizzazione dello sport,
mentre, invece, bisogna interrogarsi più in profondità non tanto sulla modificazione delle re-
gole che potrebbero poi modificare, dunque alterare, gli equilibri motori della disciplina e
quindi renderla non più efficace e salutare, quanto piuttosto ragionare sulle esigenze moto-
rie specifiche dei giovani e cercare di calibrare le offerte dello sport anche attraverso lo svi-
luppo di una maggiore conoscenza delle discipline. Probabilmente il problema sta nella
155
scelta da parte dei giovani della disciplina che si modella meglio rispetto alle proprie abitu-
dini di vita, alle proprie esigenze, ai propri gusti, alla necessità individuale di soddisfare le
proprie esigenze di socialità piuttosto che scaricare energie fisiche. I progetti organizzati dal
Ministero in collaborazione con le scuole medie prestano particolare attenzione a queste tematiche e si lavora nel tentativo di sviluppare una serie di attività, soprattutto nelle ore po-
meridiane, che diano la possibilità di far conoscere le varie discipline sportive; ci si orienta
inoltre al recupero dei giochi tradizionali, soprattutto in alcune regioni, quali per esempio
l’Abruzzo, nonché al recupero della dimensione ludica. Si avverte l’esigenza di intervenire
quasi in una prospettiva di personalizzazione del rapporto, in maniera tale che l’attività fisica
si modelli proprio sulle esigenze e sulle aspettative dei singoli. Capita sovente che i genitori
scelgano per i propri figli una certa disciplina che poi ai bambini non piace e ciò determina
una rincorsa alla ricerca di un’attività motoria che si modelli all’esigenza specifica. A questo
proposito è utile menzionare un’altra informazione utile evinta dalle ricerche che riguarda il
fatto che, per quanto ci sia l’influenza del gruppo dei pari di riferimento nella scelta dell’at-
tività sportiva da seguire, alla fine la scelta vera, giusta, definitiva, per la disciplina non si cor-
rela all’influenza determinata dal gruppo dei pari ma può staccarsi da essa e diventare una
scelta individuale. Quando è la passione a determinare la scelta le dinamiche di socializza-
zione si sviluppano all’interno di questo altro contesto, nuovo e privato, quindi vanno ad ar-
ricchire quella dimensione fondamentale all’interno della realtà giovanile.
La seconda dimensione che desidero analizzare riguarda il rapporto tra attività fisica e
educazione alimentare.
Non entro nel merito del fatto, probabilmente già oggetto di ampio dibattito, che nello
svolgimento delle attività fisiche, soprattutto professionistiche, ma talune volte anche in
quelle dilettantistiche, si altera il tipo di alimentazione in relazione alla performance dell’attività fisica. Questo non significa ovviamente adottare stili di vita salutari ma, anzi, tal-
volta significa interferire a danno della crescita stessa dei giovani.
Quel che forse manca è proprio questa consapevolezza della necessità di intervenire sul
connubio attività fisica/educazione alimentare, fare attenzione a non lasciare soli gli alle-
natori e gli educatori sportivi. Il mondo sportivo ha assoluto bisogno del supporto degli
esperti della salute a diversi livelli, che diano indicazioni specifiche e che consentano che
si generi una cultura alimentare.
Il terzo punto importante riguarda lo sviluppo di una concezione diffusa all’interno dell’opi-
nione pubblica di che cosa sia il rapporto fra attività fisica e stile di vita salutare, la consapevolezza del modo in cui l’attività fisica diventa stile di vita salutare.
Viviamo in un Paese, che potremmo definire abitato da un popolo di sedentari, nel quale la
cultura dello sport è sicuramente intrisa di dimensioni ideologiche, che tendono a produrre
una distorsione rispetto all’approccio reale che c’è nei confronti dell’attività fisica. Questo
elemento è talmente distorto da incidere inevitabilmente sul ruolo dei genitori nel contribuire
156
a generare un equilibrio tra l’attività fisica dei loro figli e il contributo che può dare nella for-
mazione della loro identità personale. Una ricerca del 2008 promossa dal Ministero della
Salute con la regione Emilia Romagna fornisce dati impressionanti sul modo in cui i genitori
percepiscono i problemi alimentari dei figli: il 29% delle madri di bambini sovrappeso e il
57% delle madri dei bambini obesi sostiene che il proprio figlio mangi troppo; all’interno del
gruppo dei bambini sedentari il 52% delle mamme ritiene che il proprio figlio svolga suffi-
ciente attività fisica e l’1% addirittura molta attività fisica: i loro bambini sono sedentari ma
fanno molta attività fisica! Ciò per sottolineare come manchi la consapevolezza sia sul ruolo
che ha l’attività fisica sia sul rapporto che c’è tra attività fisica e educazione alimentare. Ap-
pare necessario intervenire anche sul problema della consapevolezza delle famiglie perché,
per quanto gli sforzi in termini operativi debbano essere realizzati dall’interno del mondo
sportivo, è necessario che si sviluppi una cultura diffusa su questa dimensione, una forte
sensibilizzazione. Se è vero per esempio che l’impatto dei media influisce, incide, in maniera determinante sulla definizione di una cultura del corpo e del benessere che ormai è di-
lagata, è altrettanto vero che vanno utilizzati anche gli stessi strumenti per sostanziare questa
cultura del benessere, per dare dei parametri, delle indicazioni e quindi per fare in modo che
la cultura del benessere non coincida solo ed esclusivamente con l’essere belli e magri e rimanere giovani in eterno. Quindi a maggior ragione è necessario che si sviluppi una siner-
gia fra questi livelli di intervento e che ci si muova anche all’interno delle campagne di
sensibilizzazione di supporto con delle logiche ben definite, legate alla regolazione di prin-
cipi chiari, che sostanziano, che declinano, quelle visioni che tendono a generare stereotipi
che però equivalgono a distorsioni e non a elementi reali, concreti, oggettivi, corretti. Se, ad
esempio, chiediamo ai giovani se sono consapevoli o conoscono quali sono le sostanze
dopanti, sappiamo da diversi tipi di ricerca che c’è in loro una visione, una opinione gene-
rale che condanna il tema del doping, però non c’è una chiarezza, una consapevolezza di
quali siano gli elementi e le sostanze critiche; quindi emerge nuovamente che, prima di intervenire su elementi specifici, è necessario lavorare su una cultura di sensibilizzazione. Si
pensi al contributo che c’è stato nella campagna di sensibilizzazione che supportava la legge
Sirchia sul fumo: in quel caso il vantaggio fondamentale di quella campagna di sensibilizzazione, al di là del numero dei fumatori e di chi ha smesso di fumare, è stato sul fatto che
si è sviluppata una consapevolezza sul danno, sul problema fumo. Una parte di quella sensibilizzazione ha raggiunto anche gli stessi fumatori, i quali hanno sviluppato alcune dina-
miche, quali ad esempio il rispetto dell’altro, piuttosto che la consapevolezza di quanto il
fumo faccia male, indipendentemente dalla scelta che si opera in merito.
Si è diffuso un messaggio culturale, è dilagata una nuova consapevolezza che si è radicata
nelle persone. Per ottenere risultati concreti è sicuramente fondamentale che questo inter-
vento di natura culturale porti a sua volta interventi mirati all’interno del mondo sportivo,
dove si può attuare il cambiamento.
157
Bruno SCARPA58
I new foods
Sono molto lieto di trovarmi in questo contesto dedicato soprattutto ai giovani per la pro-
mozione di una sana alimentazione e un sano stile di vita.
Come medico nutrizionista del Ministero della Salute mi occupo in particolare delle proble-
matiche che riguardano gli integratori alimentari, gli alimenti addizionati di vitamine e/o di mi-
nerali o di altri elementi, i cosiddetti new foods.
È per questo motivo che il mio intervento verte in particolare su tali argomenti.
Parto tuttavia da lontano parlandovi di un recente convegno dedicato agli anziani e in par-
ticolar modo alla promozione di una corretta alimentazione degli anziani e di un sano stile
di vita. Mi sono reso conto che dati di questo tipo, come quelli cioè presentati e discussi in
quell’occasione, potevano essere presentati anche in una manifestazione volta a promuo-
vere una sana alimentazione soprattutto presso i giovani. Ci avviamo infatti verso un futuro
in cui la situazione demografica sarà di questo tipo: entro il 2050 è previsto, a livello comu-
nitario, un aumento nell’ordine del 70% delle persone con più di 65 anni. Tale aumento è pari
addirittura al 170% se si prendono in considerazione le persone con più di 80 anni. I venti-
cinquenni di oggi saranno i sessantacinquenni a metà del secolo e quindi, a maggior ra-
gione, occorre avere consapevolezza di questa situazione per favorire la promozione di un
sano stile di vita dei giovani. Tale politica diventa un investimento per il contenimento degli
oneri assistenziali per i futuri anziani e per promuovere una longevità qualitativa nel futuro.
Gli studi condotti su gruppi di popolazione con un folto numero di ultracentenari mettono in
evidenza una costante di questo tipo. Quali sono i fattori responsabili di una longevità qua-
litativa? Essi sono riconducibili, sia in studi fatti in Giappone sia nel Bacino del Mediterra-
neo, alla dieta e allo stile di vita degli abitanti; al di là ovviamente delle implicazioni di tipo
genetico emerge comunque, da qualunque studio, una conclusione di questo tipo. Quindi
l’affermazione “la salute si conquista a tavola” non è uno slogan o un luogo comune o una
battuta scontata, ma una acquisizione scientifica certa. Come si connota un sano stile di
vita? La risposta si può riassumere in poche battute: un sano stile di vita può essere ricon-
ducibile a un’alimentazione corretta, ad un adeguato livello di attività fisica. Un’alimenta-
zione corretta oggi non può essere scissa dallo stile di vita poiché si tratta di due fattori
strettamente interdipendenti; la stessa legislazione alimentare si fa carico del binomio ali-
mentazione corretta/sano stile di vita. Per completare il concetto di sano stile di vita occorre
l’assenza o la rimozione dei fattori di rischio eliminabili, comportamentali e non comporta-
mentali: l’abuso di droghe, l’abuso di alcol, la guida scorretta. Vanno aggiunti ai precedenti
i fattori di rischio che, in qualche modo, sono comunque riconducibili al comportamento e
58
Dirigente Medico, Ufficio IV, Sicurezza alimenti e nutrizione, Ministero della Salute.
158
di cui possiamo non essere consapevoli, come ad esempio un livello elevato di colesterolo,
che, al di là delle causa di tipo famigliare è comunque riconducibile almeno in parte a un
comportamento di tipo scorretto. Pertanto si può dire in definitiva che tutti quei fattori di ri-
schio che si possono rimuovere sono più o meno riconducibili al comportamento, fatto del
quale dobbiamo essere profondamente consapevoli. Appare quindi evidente che, per sfrut-
tare al massimo il potenziale protettivo di una corretta alimentazione sulla qualità della vita
per tutta la sua durata, occorre seguire dall’inizio le regole del mangiar sano: cominciando
a farlo nel corso della vita non sfrutteremmo al massimo questo importante potenziale pro-
tettivo e questo a partire dall’allattamento al seno in tutti i casi in cui sia possibile. Le regole
del mangiar sano non sono complicate, basta infatti attenersi a pochi principi fondamentali:
variare le scelte alimentari consumando a rotazione tutti gli alimenti disponibili, assumere
adeguate quantità di frutta e verdura. Se la dieta non apporta giornalmente un’adeguata
quantità di frutta e verdura non riusciremo mai ad ottenere una dieta adeguata dal punto di
vista nutrizionale. Per quale motivo la frutta e la verdura sono alimenti che hanno un’alta
densità nutrizionale e una bassa densità energetica? Che cosa significa? Vuol dire che sono
degli alimenti che contengono molti nutrienti come le vitamine, i minerali, gli antiossidanti,
contenuti in poche calorie; un alimento è tanto più denso a livello nutritivo quanti più nutrienti
contiene in un peso preso a riferimento, come ad esempio 100 grammi.
Assumere adeguate quantità di frutta e verdura serve anche a diluire, da un punto di vista
energetico, la nostra razione alimentare. Se la nostra razione alimentare comprende un quan-
titativo sufficiente di frutta e verdura abbiamo una ragionevole certezza di non eccedere con
l’apporto calorico complessivo: la frutta deve essere consumata preferibilmente fresca per-
ché per poter avvertire il senso di sazietà lo stomaco deve essere disteso, effetto procurato
proprio dagli alimenti vegetali senza un eccessivo sovraccarico calorico.
Un grammo di grassi apporta 9 calorie, mentre un grammo di proteine ne apporta 4 come
un grammo di carboidrati ne apporta 4, l’alcol ne apporta 7. La frutta è pressoché priva di
grassi, che apportano il doppio delle calorie rispetto a un grammo di zuccheri.
Leggendo le etichettature nutrizionali degli alimenti si trovano informazioni relative al con-
tenuto calorico e al contenuto nutrizionale. Esaminando questi valori, validi per cento grammi
di prodotto, potete mettere a confronto i contenuti effettivi degli alimenti.
Oggi esiste una legislazione alimentare che si è molto articolata in funzione della dichiarazione delle proprietà nutritive e anche fisiologiche degli alimenti ovvero, per esprimere il con-
cetto in maniera più esplicita, sugli effetti degli alimenti sulla salute. Questa legislazione è
comunque impostata a tutela del principio che una dieta bilanciata costituisce un requisito
fondamentale per una buona salute e che i singoli alimenti hanno una relativa importanza nel
contesto di una razione alimentare complessiva. Questo è il principio di base, pertanto la le-
gislazione ammette la rivendicazione di effetti sulla salute, ove scientificamente fondati, per
gli alimenti. Impone inoltre, per l’etichettatura e la pubblicità, un riferimento alle esigenze di
159
seguire una dieta corretta e un sano stile di vita. In altri termini, se si rivendica una proprietà
di un alimento sulla salute scatta l’obbligo di riportare in etichetta che occorre comunque se-
guire una dieta corretta e un sano stile di vita: quindi c’è la tutela del binomio dieta corretta
e stile di vita che oggi non può essere scisso perché è chiaro che lo stile di vita, soprattutto
in relazione al livello di attività fisica, ha un diretto impatto su quella che poi sarà una dieta
corretta in termini di apporti calorici e nutritivi. La legislazione alimentare vuole tutelare il
concetto che il garante di una corretta alimentazione non è mai l’adeguatezza nutrizionale
di un singolo alimento ma l’adeguatezza nutrizionale complessiva della razione giornaliera,
la cui adeguata composizione dipende da nostre scelte corrette nella composizione degli ali-
menti più adeguati. Il criterio a cui attenersi è quello di fare delle scelte variate tutti i giorni,
utilizzando a rotazione tutti gli alimenti disponibili senza esclusioni immotivate. Questo è un
altro elemento che ci dà una ragionevole certezza di soddisfare il fabbisogno di tutti i nu-
trienti. La legislazione alimentare considera la rivendicazione scientificamente fondata degli
effetti sulla salute di un alimento come mezzo utile per favorire scelte idonee ma, nello stesso
tempo, tende a farlo percepire in modo critico, secondo la relatività del possibile beneficio:
solo l’adeguatezza della razione alimentare complessiva infatti può dare benefici reali. Alcuni
prodotti sono oggetto di una grossa spinta commerciale: per quanto riguarda la rivendica-
zione delle proprietà di alimenti in relazione alla riduzione del peso occorre partire dal presupposto che l’attuale legislazione comunitaria stabilisce il divieto di quantificare risultati
ottenibili con specifici trattamenti per quanto riguarda il calo ponderale. Al di là del fatto che
ci sia una evidenza scientifica a supportarlo o meno c’è un divieto assoluto perché, di fatto,
i risultati ottenuti su studi clinici chiaramente non sono necessariamente ripetibili sul con-
sumatore che fa le sue scelte nella vita di tutti i giorni. Sono quindi rivendicazioni illegali che
tendono a proporre quantificazioni di risultati per qualunque tipo di alimento; la legislazione
alimentare ha introdotto questo principio di carattere generale abbastanza recentemente
con la stessa norma che poi ha fissato per i criteri e le condizioni per poter fare rivendica-
zioni di tipo nutrizionale o rivendicazioni di effetti degli alimenti sulla salute. Il Ministero della
Salute è stato molto attivo su questo versante perché ha messo a punto delle specifiche
linee guida sugli integratori proposti come coadiuvanti di diete ipocaloriche proprio per tu-
telare il principio di una corretta alimentazione, per favorire una corretta informazione sul
ruolo dei prodotti, sulla percezione del ruolo dei prodotti, sull’etichettatura e la pubblicità e
per assicurarne un uso consapevole e corretto. Quali sono i principi che si vogliono tutelare?
Quali sono le condizioni per perseguire fisiologicamente il calo ponderale? Quali sono le
condizioni necessarie? Al di là dell’uso di qualunque tipo di prodotto coadiuvante, che sia
o non sia un integratore, la prima condizione necessaria è senz’altro la riduzione delle entrate energetiche rispetto al dispendio giornaliero, ottenuta con una dieta ipocalorica ade-
guata dal punto di vista nutrizionale. La seconda condizione è l’aumento delle uscite ottenuto
attraverso la rimozione di abitudini sedentarie o accrescendo mediamente il dispendio ener-
160
getico con l’attività fisica o il movimento. Dal momento che queste sono le condizioni irri-
nunciabili per perseguire correttamente questo obiettivo, si può di conseguenza affermare
che l’impiego di integratori e prodotti salutistici in genere non deve mai essere inteso come
un sistema per compensare comportamenti inadeguati. Le linee guida nazionali stabiliscono,
in relazione a questi integratori per il controllo del peso, specifiche disposizioni per l’eti-
chettatura ad integrazione delle disposizioni dell’etichettatura vigenti a livello comunitario.
Deve essere specificato che il prodotto non sostituisce una dieta variata e che deve essere
impiegato nell’ambito di diete ipocaloriche adeguate, seguendo uno stile di vita sano con un
buon livello di attività fisica. Deve inoltre essere sottolineato che, se la dieta viene seguita
per periodi prolungati superiori alle tre settimane, si rimanda l’utilizzo al parere del medico.
Un altro settore dove la spinta promozionale è forte è quello dei prodotti integratori o pro-
dotti dietetici, cui vengono attribuite proprietà dirette a favorire lo sviluppo muscolare o a mi-
gliorare la prestazione sportiva: anche in questo caso il Ministero è intervenuto con delle
specifiche circolari, aggiornate peraltro recentemente, atte a tutelare che, nel determinare le
quantità di assunzione consigliata, si tenga conto - soprattutto nel caso di certi costituenti
critici quali proteine e aminoacidi - delle altre fonti proteiche assunte con la dieta. Non si deve
indurre inoltre a far credere che la pratica sportiva amatoriale comporti incrementi rilevanti
del fabbisogno proteico, così come non si deve indurre a sovrastimare tale fabbisogno da
parte del consumatore medio. La pubblicità, anche nel caso dei prodotti sportivi, deve essere coerente con le proprietà rivendicate in etichetta e non deve indurre in errore sul ruolo
dei prodotti o promuoverne un consumo non compatibile con una componente di una ra-
zione alimentare. Non deve infine tendere a far credere che una dieta equilibrata e variata
non sia in grado di soddisfare i fabbisogni nutrizionali né a sottovalutare l’esigenza di seguire
una dieta adeguata e un sano stile di vita. Prima dell’utilizzo di qualunque tipo di prodotto,
in particolare di prodotti per sportivi, è importante leggere attentamente le etichette per verificarne i contenuti, non superare le quantità d’uso indicate ed attenersi alle avvertenze
eventualmente presenti. Particolare attenzione va posta nel caso in cui fossero riportate
specifiche avvertenze per particolari costituenti presenti nei prodotti, ove non sia dato conoscere gli effettivi costituenti dei prodotti stessi, come può accadere nelle vendite via In-
ternet, difficilmente controllabili e di cui è assolutamente sconsigliato l’acquisto e l’uso.
Un’altra branca di prodotti critici è rappresentata dagli “energy drink”, bevande che hanno
un elevato tenore di caffeina. Anche in questa particolare tipologia di prodotti si stanno va-
lutando le informazioni utili ad orientare correttamente i consumatori verso scelte consapevoli e sicure, atte ad evitare abusi. La norma comunitaria attualmente impone soltanto di
indicare che queste bevande presentano un elevato tenore di caffeina, quindi si stanno va-
lutando delle disposizioni complementari per trasformare un provvedimento normativo da
notificare preventivamente alla commissione europea.
Gli energy drink vengono utilizzati anche come veicolo di alcol: secondo i dati della lettera-
161
tura scientifica è falso che antagonizzino gli effetti dell’alcol, anzi attenuano la percezione
dello stato di torpore da esso causato ed hanno quindi un effetto doppiamente negativo
quando abbinati all’uso di bevande alcoliche.
Per concludere si può pertanto dire che un’alimentazione adeguata e variata copre di norma
tutti i fabbisogni nutrizionali e il consumo di prodotti con finalità integrative, per poter avere
effettivamente un significato utile, deve rientrare all’interno di una razione alimentare com-
plessivamente adeguata senza sbilanciarla.
Giorgio DONEGANI59
Metodologie innovative per la didattica dell’educazione alimentare
in ambito scolastico
Gli interventi che mi hanno preceduto sono stati molto interessanti nel delineare un quadro che
sicuramente è problematico: i dati di Occhio alla Salute sono indicativi di un problema vera-
mente pesante, così come lo sono quelli – di cui non abbiamo parlato qui - rispetto ai disturbi
del comportamento alimentare. Nella sessione plenaria, d’altra parte, ho sentito citare, nel-
l’ultimo intervento, il fatto che, pur essendo stati sviluppati molti programmi e molti progetti di
educazione alimentare e di educazione allo stile di vita, i risultati non sempre sono stati confortanti; anzi, tutto sommato alla luce dei dati presentati sono risultati piuttosto sconfortanti.
Ritengo che sia importante riflettere su alcuni punti di sicura evoluzione, che forse sono an-
cora in fase di sperimentazione, che riguardano le metodologie dell’educazione alimentare; co-
nosciamo bene i problemi, conosciamo bene le soluzioni. Abbiamo ormai delle conoscenze
molto precise rispetto a quello che dovrebbe essere un modello alimentare e uno stile di vita
salutare, eppure non riusciamo a tradurre queste soluzioni in pratica: allora partirei proprio dal
recuperare, dall’intervento iniziale del professor Carruba, quella che è una condizione essen-
ziale e che riguarda la definizione stessa dell’educazione alimentare. “Educazione alimentare
è un processo informativo ed educativo per mezzo del quale si persegue il generale migliora-
mento dello stato di nutrizione degli individui attraverso la promozione di adeguate abitudini
alimentari, l’eliminazione dei comportamenti alimentari scorretti, l’utilizzazione di manipola-
zioni più igieniche degli alimenti e l’efficiente utilizzo delle risorse alimentari”. Questa definizione
del FAO e dell’OMS di fatto rispecchia la realtà di oggi ma risale addirittura alla fine degli anni
’70, si parla di educazione alimentare mentre oggi non si può più parlare di educazione ali-
mentare decontestualizzata dallo stile di vita e dall’attività fisica. Quello che è importante e
che già il professor Carruba sottolineava la distinzione nella comunicazione tra comunicazione
informativa ed educativa; l’informazione è un prerequisito essenziale perché si tratta di dare
59
Tecnologo Alimentare e Direttore Scientifico di Food and School.
162
delle conoscenze ed è un presupposto fondamentale per passare dalla teoria – sapere le cose
- alla pratica, cioè alla modifica del comportamento. Il fatto che sia compito dell’educazione
modificare il comportamento rappresenta proprio il buco nero che occorre ancora colmare.
Molti studiosi hanno indagato le dinamiche e le teorie che sono alla base di una modifica del
comportamento. Come si fa, per esempio, quando un bambino ha concretamente uno stile di
vita sbagliato, ha delle abitudini alimentari reiterate - quindi tutti i giorni si nutre soltanto di pa-
tatine e merendine - a promuovere in lui un comportamento differente? Si è visto che c’è pro-
prio una sequenza di azioni che sono prima di tipo cognitivo e poi diventano, si trasformano,
in esercizio comportamentale; c’è sicuramente una prima fase che è quella dell’informazione
- cioè se nessuno dice a questo bambino: “guarda tu stai sbagliando qualche cosa”, questo
bambino non potrà da solo cambiare comportamento.
Bisogna procedere con estrema cautela poiché, se gli si dice: “guarda, tu stai sbagliando” si
ha probabilmente un irrigidimento. Ecco perché allora si danno delle informazioni trasversali,
delle informazioni adeguate che hanno il compito di promuovere una presa di coscienza, cioè
semplicemente un’attenzione chiamata l’attenzione sull’ipotesi. A questo punto, quando il
bambino si chiede: “perché questo mi dice che il mio comportamento forse non è l’ideale?”,
allora bisogna sfruttare questo momento di attenzione e innestare una riflessione. Bisogna in
altre parole rispondere a questa domanda: “perché mi stai dicendo che non vanno bene le
cose?”. Si può rispondere ma occorre fare una proposta positiva. Proviamo a pensare ad un
esempio pratico del bambino che ha la merendina davanti e io, padre, gli dico: “guarda Giu-
lio non mangiare la merendina perché ti fa male”. Perdente subito, in partenza, perché Giulio
mi guarda, apre la merendina e se la mangia. Dice: “sto meglio di prima, sono contento e soddisfatto”. Come dargli torto? Aggiungo: “ma guarda che tra 30 anni vedrai che questa me-
rendina, se la mangi tutti i giorni, fa sì che non mangi la frutta”. Non parliamo la stessa lingua;
allora bisogna cercare di sfruttare l’attenzione e promuovere un bilancio decisionale positivo,
cioè mettere sul piatto della bilancia da una parte “che cosa perdo se io non mangio la me-
rendina?” e dall’altra “che cosa ci guadagno?”. Riproponendo l’esempio di prima il bambino
potrebbe pensare: “io perdo che la merendina ho voglia di mangiarla e non la mangio quindi
sto male”, “cosa ci guadagno? Che forse mio papà mi dice che tra 30 anni sarò contento!”. È
un messaggio debole: pensiamo a chi continua a fumare pur sapendo benissimo - e molto me-
glio dei bambini – quanto tale comportamento sia dannoso per la salute.
Cambiamo strategia e gli diciamo: “sei sicuro che questa merendina sia il meglio che c’è?
Non è che tu sei un po’ vittima di un condizionamento e ti stai perdendo un qualcosa di
buono?”. Allora il bilancio decisionale è diverso, Giulio, di tredici anni, pensa: “in fin dei conti
che cosa succede? Perdo per qualche giorno questa merendina però magari trovo qualcosa
di meglio”. Ecco che l’attenzione diventa intenzione: se riesco a far scattare l’intenzione a que-
sto punto sono io che devo dimostrare di essere riuscito davvero a dare un consiglio giusto
ed ecco che allora l’applicazione va sostenuta con delle attività. Vado con Giulio al super-
163
mercato e incominciamo a vedere che le merendine non sono tutte uguali, che alcuni mettono
i grassi e gli zuccheri come primi due ingredienti, mentre altri mettono la farina; proviamo a os-
servare diverse merendine e magari scopriamo che un plumcake è meglio di una barretta di
cioccolato, si può “giocare” dicendo: “la possiamo riempire con la frutta che ti piace di più”,
si dà la soddisfazione di farla assaggiare, di prepararla insieme. Questi sono i rinforzi, i soste-
gni; l’intenzione diventa comportamento: mio figlio ha cambiato comportamento perché è
stato guidato a scoprire che esiste qualcosa di meglio anche nel piacere del benessere, fermo
restando che poi Giulio guarda la televisione per cui ci sarà la ricaduta. Dopo un po’ lo rive-
drò con la merendina in mano tranquillo e sicuro. Ciò non deve essere motivo di tristezza: gli
specialisti hanno visto che normalmente occorrono tre giri per carburare, per prendere il ritmo
giusto, ma intanto è già qualcosa che quando Giulio mi chiede la sua merendina, che sa che
non è più buona, la chiede perché ha voglia di mangiarla, perché sa e non perché semplicemente è diventata l’abitudine di ogni giorno. È chiaro che questo bilancio decisionale allora di-
venta davvero il focus ed è qui che dobbiamo giocarci molto bene la nostra abilità a scuola
nell’individuare quali sono gli elementi significativi del rapporto con il cibo di un certo bambino
piuttosto che di un altro, piuttosto che della collettività. Questi elementi possono essere i più
diversi, determinati anche dai costumi e dall’ambito sociale.
In Mauritania ad esempio quello che da noi non è certo un modello estetico vincente è un mo-
dello estetico che viene perseguito, si tratta di quel fenomeno che è l’ingrasso forzato dei
bambini e delle bambine in particolare, che a otto/nove anni vengono affidati alle cure di al-
cune signore che, un po’ come si fa con le oche in certe zone per trarne fegato, le ingrassano
fino a portare il loro peso a 70 chilogrammi.
Questa pratica, che riguarda il 70% della popolazione delle zone rurali in Mauritania, è stata
denunciata dall’Organizzazione per i diritti umani. Questo è solo un esempio di quello che può
rappresentare l’influenza determinata da fattori geografici, psicologici o altro, poco importa.
L’importante è considerare il cibo non soltanto come nutrimento ma come un motto di cultura.
Lo diceva bene Poulain quando dice: “l’uomo mangiatore inserito in uno spazio culturalmente
determinato incorpora con il cibo che inghiotte anche tutto il sistema dei valori”. Vuol dire che
una mela per me è diversa da una mela per mio figlio Giulio, così come è diversa dalla mela
che vede mia figlia Martina: per chi non ha grande passione per la frutta fresca la mela è un
corpo estraneo che ingeriamo, per i bambini invece, con cui si gioca spesso con la dimensione
magico simbolica, la mela di Biancaneve ha un significato e un richiamo del tutto diverso. Chi
sceglie una mela biologica vede in questa mela il valore del gruppo che ha scelto il modo di
coltivarla, vede un certo tipo di rapporto con l’ambiente. Si tratta di qualcosa che possiamo
osservare bene nelle mense scolastiche: lo stesso modo di porgere il cibo determina che la
stessa mela acquisisca un sapore diverso.
Affinché un cibo sia gradito ai bambini, ma anche a noi adulti, deve sostanzialmente portare
con sé tutta una serie di valori che noi incorporiamo perché sono culturalmente accettabili, me-
164
glio ancora se gratificanti. Il cibo è oggi per i ragazzi, ma anche per gli adulti, una merce. La
mercificazione del cibo ha aperto una scissura, una profonda ferita culturale in quello che è
sempre stato il rapporto di natura tra quello che siamo e quello che mangiamo. Nel momento
in cui al cibo è stato attribuito un valore economico la percezione del cibo è diventata più im-
portante rispetto alla realtà di quello che è. La percezione è il meccanismo che consente di
vendere, si è creata oggi nei bambini una enorme distanza tra quello che è la produzione del
cibo e il consumo. I bambini non hanno nozioni in merito al cibo e hanno un vuoto di signifi-
cato e di consapevolezza. Pensare che il pane è fatto con la farina che viene da queste spi-
ghe è un’astrazione assolutamente pazzesca. Questo vuoto di significato purtroppo è facile
da riempire con qualunque cosa, come sanno gli agenti promotori di significato. Pensiamo
alle patatine: piacciono a tutti ma non sono buone, le patatine sono irresistibili e croccanti. Al-
lora quando mangiamo qualcosa di croccante scatta qualcosa nella testa ci fa stare contenti;
sono piene di sale per cui quando cascano sulla lingua ci spingono a riempiere la bocca di sa-
liva, dobbiamo deglutirle velocemente e poi asciugare l’acquolina con un’altra patatina: è un
meccanismo che non ha alcun valore se non quello di stimolare un riflesso fisiologico. Que-
sta è una piramide che è esattamente l’opposto di quella che praticamente i nutrizionisti, il pro-
fessor Carruba o la dottoressa Favaro, propongono ormai da anni con dei risultati. Questa
invece è la piramide della pubblicità: in 4 giorni su un campione di reti televisive americane 155
messaggi riguardavano zuccheri semplici e grassi e solo 9 spot riguardavano ortaggi e frutta.
È contro questi agenti promotori di significato che dobbiamo attuare le strategie vincenti, non
certo da soli ma in collaborazione con la scuola, che ha tra i suoi compiti quello di attivare ap-
punto la metodologia didattica. Occorre che vengano dati i messaggi giusti, e questo aspetto
può essere curato solo dalla sanità, da trasferire ai ragazzi recuperando una serie di valori. Tra
questi vi sono la territorialità, la stagionalità, la sostenibilità, la sicurezza, la salute, i compor-
tamenti etici e l’intercultura: la conoscenza e la comprensione di questi valori può portare a
quello che è il vero obiettivo dell’educazione alimentare, ovvero la consapevolezza. È questa
la chiave da consegnare al bambino, partendo da quello che è il suo sviluppo. Alla scuola ma-
terna, quando deve scoprire il suo corpo, il cibo è un qualcosa che si relaziona a lui diretta-
mente ma poi il bambino impara che cosa è la convivialità consumando il cibo con la scuola
e in famiglia e poi contestualizza il cibo rispetto al territorio dove vive per poi arrivare a con-
frontarsi con l’intercultura, che è una risorsa incredibile. Si confronta con chi vive il cibo in un
modo completamente diverso dal suo e ne trae ricchezza e consapevolezza, che porta il bambino a essere non soltanto un semplice consumatore ma un cittadino.
Secondo Piaget prima devi conoscere, poi devi capire, applicare, provare e poi analizzare e
poi tirar fuori, astrarre dei concetti e infine metterli in pratica: è nel momento in cui arrivi a fare
questo che diventi il cittadino. Ma come si colloca la scuola a livello di metodologia? La scuola
deve recuperare la sua specificità, che è proprio quella di attivare metodologie efficaci in rap-
porto con il territorio e per il territorio, secondo le informazioni sulle problematiche e sui punti
165
deboli ricevute dalle istituzioni e dal mondo della sanità, che per esempio mette a disposi-
zione una serie di dati epidemiologici che individuano il problema. Noi dobbiamo cambiare il
comportamento attraverso messaggi efficaci, utilizzando il rapporto costante con le famiglie
per attivare un altro dei compiti della scuola, quello di produrre una cultura che raccoglie dalle
famiglie e restituisce alle famiglie, dove i bambini possono avere anche il ruolo di insegnanti.
Ciò vale naturalmente non soltanto per l’educazione alimentare ma, in generale, può essere
riferito al cambiamento di comportamento. Occorre comprendere come contestualizzare il
messaggio di una corretta nutrizione in modo che per il bambino sia significativo. Nella scuola
non deve esistere l’ora dedicata all’educazione alimentare ma deve esistere una educazione
alimentare che sia attenzione costante in tutte le discipline.
Il piacere manipolativo della cucina deve poter essere legato al benessere, bisogna prestare
attenzione alla psicologia dell’apprendimento, allo stile dell’apprendimento dei singoli bambini
per poterne evidenziare le peculiarità. I paradigmi devono essere tradotti nel concreto, nel
fare: si impara facendo, possibilmente anche divertendosi. Il problem solving come metodologia implica che il docente non insegni solamente nozioni, ma riversi nel bambino e nel di-
scente quelle capacità che gli permettano di tirare fuori – educere appunto - le risposte alle
difficoltà, di rispondere positivamente alle situazioni problematiche. Per quanto concerne l’edu-
cazione alimentare il maestro, l’insegnante, crea un contesto per cui il bambino si accorge di
saper fare o nel quale possa imparare a fare: capisce ad esempio che il cibo è una risorsa incredibile per capire, imparare e recuperare un rapporto diverso con la natura. Credo che l’edu-
cazione alimentare sia una delle poche cose che per essere digerita davvero in fretta e bene
bisogna divorare velocissimamente, utilizzando i linguaggi propri dei bambini di oggi, così di-
versi da quelli dei bambini di un tempo. Ritengo che dare l’attenzione ai nuovi linguaggi, ai so-
cial network, a quello che si chiama Web 2.0, alle lavagne multimediali introdotte recentemente
anche nelle scuole italiane e a quanto queste nuove risorse offrono, possa diventare un altro
elemento importantissimo per aiutare i bambini non a vivere un mondo diverso, sostitutivo di
quello reale, quanto per aiutarli a capire e vivere meglio la loro realtà.
Roberto COPPARONI60
Promozione e tutela della salute dei giovani attraverso una corretta
alimentazione
Intanto il nostro intervento può essere utile soltanto se una sfida economica diventa un pro-
blema poi per tutta la popolazione, quindi c’è un alto livello di sensibilizzazione ma una scarsa
consapevolezza sulla strategia da adottare. I giovani si rendono conto di questo ma forse non
60
Rappresentante del Ministero della Salute, del Lavoro e delle Politiche Sociali.
166
riescono a crearsi una strategia positiva: spesso saltano la prima colazione, non mangiano
molta frutta e verdura, consumano i pasti fuori casa in fretta o in fast food per una presunta
razionalizzazione della giornata. Oggi corriamo tutti, si corre. Abbiamo tutti da fare, anche i gio-
vani che avrebbero probabilmente più tempo rispetto a quelli come noi, già di età avanzata.
Però anche loro vogliono razionalizzare la giornata, allora si corre e, anche al di là della moda,
si tende a mangiare velocemente e scegliendo il cibo in base a requisiti organolettici – scelta
legata pertanto alla moda del momento - e non in base a requisiti nutrizionali. Accanto a que-
sta tendenza vi è poi un uso inadeguato, un abuso, di alcol. I dati Istat ci dicono che il con-
sumo di alcol dei giovani è dovuto prevalentemente alla diffusione di cocktail superalcolici,
sostanze che possono essere bevute rapidamente e che, a differenza del vino che in qualche
modo si associa a stare seduti a tavola, mangiare e pasteggiare, possono essere consumati
senza essere associati a un momento di convivialità. Naturalmente non voglio entrare nel me-
rito dell’effetto nocivo delle bevande alcoliche, ma desidero soltanto mettere in evidenza l’ap-
porto energetico di tali bevande, che quindi associamo, solo ed esclusivamente in questa
situazione, al contributo in termini di obesità e sovrappeso. Un altro prodotto che va di moda
sono gli energy drink, ovvero bevande contenenti una certa quantità di caffeina - pari a 320
milligrammi per litro - che hanno un’aggiunta di gluco lattone, taurina, vitamine: naturalmente
questi non sono prodotti di per sé pericolosi, ma sono bevande che, in determinate situazioni,
possono creare i presupposti in negativo per la salute. Chiaramente il presupposto in nega-
tivo si crea con l’abuso. L’abuso talvolta vede l’associazione con altre sostanze stimolanti - ad
esempio per formare dei mix esplosivi illusori che in qualche modo mascherano la percezione
della stanchezza – e questo è un problema molto serio che non è strettamente legato agli
energy drink, commercializzati in tutta Europa anche se lungamente contrastati in Italia. Que-
sti sono bevande la cui pericolosità non sta nell’essere di per sé tossiche, quanto nell’essere
utilizzate per diminuire il peso corporeo per l’effetto che producono.
Quindi c’è un abuso di queste sostante per ridurre il peso corporeo: noi tutti e le istituzioni
dovremmo rafforzare tutti gli stili di vita appropriati, dovremmo promuovere prodotti sani per
scelte sane, sviluppare politiche agricole adeguate, far conoscere la qualità dei prodotti
agroalimentari tipici del territorio, riscoprire l’importanza del mangiar sano, valorizzare il mo-
dello alimentare mediterraneo favorendo l’educazione alimentare e prestando attenzione
alla ristorazione. La ristorazione collettiva è strategica: in questo senso il Ministero della Sa-
lute, in particolare la Direzione Generale sulla Sicurezza degli Alimenti e della Nutrizione, ha
già coordinato delle linee guida per quanto riguarda la ristorazione scolastica e delle linee
guide per quanto riguarda la ristorazione ospedaliera/assistenziale. Ci proponiamo di rafforzare
l’attenzione sulla ristorazione collettiva, così vicina ai giovani, quindi di controllare, entrare nel me-
rito, stabilire e fissare dei paletti, cioè elevare il livello qualitativo dei pasti e mantenere i principi di
sicurezza igienica e di qualità nutrizionale organolettica. Ci proponiamo inoltre di favorire scelte
alimentari nutrizionalmente corrette, valutare l’adeguatezza dei volumi, porre attenzione alla di-
167
stribuzione degli alimenti e bevande promuovendo il consumo di alimenti con basso contenuto
di calorie, grassi e zuccheri. Il Ministro Fazio si è sbilanciato alla recente edizione di Cibus a Parma
dicendo che stiamo pensando di considerare un atteggiamento in qualche modo premiante a fa-
vore di quei ristoranti che seguono determinate scelte e che comunque cercano di favorire la
sana e la giusta alimentazione.
Le conclusioni sono che i giovani presentano peculiarità e atteggiamenti propri e i comportamenti
alimentari sono strettamente correlati alla percezione che il mangiare acquisisce nelle diverse
fasce di età; il messaggio quindi deve tener conto di tale situazione: voglio dire che se osserviamo
cosa significa mangiare dalla nascita in poi ci rendiamo conto che all’inizio è molto importante
il rapporto madre/figlio poi questo può diventare uno strumento che spesso i bambini utilizzano,
ad esempio non mangiando per fare un dispetto al genitore. Il cibo viene utilizzato come stru-
mento per ricattare qualcuno, diventa una situazione di moda mangiare in quel modo, fare certe
cose in quel modo. Il messaggio che diamo deve essere riconsiderato: spesso e volentieri si os-
serva che la comunicazione, che da un certo punto di vista è variegata, non tiene conto di que-
ste variazioni. Pertanto il messaggio non può essere dato alla popolazione, deve essere dato alla
popolazione e a quel target individuato come sensibile; il ruolo della comunicazione è fondamentale e questa può essere utilizzata efficacemente per educare.
Lorenzo Maria DONINI61
La prevenzione dell’obesità
Sono un clinico e quindi vi parlerò del tema prevenzione dell’obesità come lo vedo io, come
lo vedo alla fine del discorso fatto durante questa sessione di lavoro. Anche perché parlare
della prevenzione dell’obesità vuol dire affrontare questo panel messo a punto dall’Interna-
tional Obesity Task Force alcuni anni fa, dove si vede che affrontare l’obesità significa lavo-
rare a tantissimi livelli, da quelli individuali a quello globale: credo che in un quarto d’ora sia
praticamente impossibile farlo, per cui vi racconterò alcune delle criticità che vedo stando
come dire “a valle” di questo discorso. La prima criticità è che dobbiamo convincerci una
volta per tutte che l’obesità è una malattia e ciò non è cosi chiaro, non è così evidente; le
mamme che non si rendono conto che il bambino è obeso rappresentano un grandissimo
rischio per lo stato di salute loro e del bambino. L’obesità è una malattia complessa: bisogna lavorare su tutta la sua patogenesi complessa per ottenere dei risultati. È una malattia
cronica e quindi bisogna affrontarla come tale, senza inventarsi ipotesi miracolistiche; è una
patologia con una morbosità drammaticamente elevata; è una patologia che provoca disa-
bilità nell’attività della vita quotidiana e nelle attività lavorative; è una malattia che ha un
61
Professore associato Alimentazione e Nutrizione Umana, Istituto di scienza dell’Alimentazione, Università La Sapienza, Roma.
168
grave impatto sulla qualità di vita: il che vuol dire che, se questo è lo scopo dell’intervento
terapeutico riabilitativo, ho bisogno di interventi estremamente complessi per prendermene
cura, di interventi disciplinari multidimensionali lunghi, articolati esattamente all’opposto di
quello che abbiamo fatto fino ad oggi inventandoci pillole miracolose, interventi chirurgici al-
trettanto miracolosi, rispolverando le diete chetogeniche come stiamo facendo adesso, dopo
40 anni che avevamo deciso che non servivano a niente. Tutto questo è codificato: c’è un
documento di consensus che il nostro gruppo ha messo a punto sulla presa in carico del paziente obeso. Questa è una grande criticità che attiene anche a quella grave tensione circa
il fatto che se non mi rendo conto che sto parlando di una malattia, difficilmente riuscirò a
fare una prevenzione seria. Questo consensus è stato firmato da moltissime persone, ha
avuto il plauso di tutte le società scientifiche che operano nel settore in Italia e anche delle
associazioni di pazienti. Quindi, prima criticità: l’obesità è una malattia; di questo si devono
rendere conto le istituzioni, perché io ricovero, tratto la riabilitazione di pazienti obesi, e re-
golarmente, due volte l’anno, i NAS vengono a controllare le mie cartelle perché non si ren-
dono conto di che tipo di lavoro faccio. Se ne devono rendere conto i mass media, perché
ogni estate continuiamo a leggere in qualsiasi spiaggia che, sotto la sponsorizzazione della
RAI, viene eletta una “Miss Cicciona”; ebbene io penso che non sia pensabile anche una
“Miss Leucemia” perché giustamente c’è poco da ridere su una cosa del genere. Ma l’obe-
sità in Italia fa 50 mila morti ogni anno, fa gli stessi morti che ha provocato il terremoto del-
l’Aquila. Ritengo pertanto che ci sia poco da ridere, poco da eleggere una “Miss Cicciona”.
Quindi i mass media si debbono rendere conto che quando si parla di obesità si deve par-
lare di cose serie, se ne debbono occupare le strutture sanitarie ricordando che trattare il dia-
bete dimenticando che a monte c’è l’obesità non ha alcun senso; se ne debbono rendere
conto i pazienti, perché non devono essere in dubbio se andare in un centro serio o in un
centro di medicina estetica.
La seconda criticità che è stata già accennata è il dieting, ovvero la moda di stare perennemente a dieta. Dico sovente ai miei pazienti che uno dei sistemi migliori per ingrassare è
quello di stare a dieta: il dieting è la ricerca ossessiva delle diete possibilmente strane, per-
ché se non sono strane non piacciono; in realtà risponde a una sorta di difficoltà di com-
prensione tra quello che è un ideale di magrezza - che stiamo propagandando
costantemente - e quello che è uno stile di vita obesogeno. La nostra società infatti produce
obesità. Il dieting rappresenta questa insoddisfazione, vuol dire una ricerca della restrizione,
vuol dire cercare di ridurre in maniera ossessiva quello che è l’apporto di calorie: questo
inevitabilmente provoca una difesa fisiologica poiché la dieta viene letta dal nostro organi-
smo come un pericolo oltre che come una situazione di stress. Vi è allora una disinibizione,
una perdita di controllo di quello che è la restrizione, a cui segue un aumento dell’introito ca-
lorico con aumento del peso: finalmente recuperiamo il controllo della situazione, ricominciamo con l’ennesima dieta; il circolo vizioso è chiuso e il paziente alla fine di tutto questo
169
percorso non solo non ha ottenuto dei risultati ma è diventato più obeso di prima. Ricovero
pazienti che, come conferma la letteratura, dopo una storia di questo genere oltre ad essere
obesi sono pure mal nutriti. Per cui il rischio nel dieting, soprattutto quando vi sia l’abitudine
a saltare i pasti, è l’eliminazione di intere categorie di alimenti, che comporta un rischio dop-
pio di aumento del peso ed anche un rischio estremamente elevato di incorrere in disturbi
conclamati del comportamento alimentare, un rischio fino a sei volte superiore di andare in-
contro a binge-eating, un rischio da due a quattro volte superiore di diventare anoressici rispetto a chi non ha l’ossessione della dieta.
Quindi la necessità di centri di riferimento qualificato per la presa in carico del paziente
obeso e di protocolli diagnostico-terapeutici accreditati fa riferimento a personale qualificato.
Noi formiamo degli specialisti, siamo tra i pochi paesi in Europa che formano specialisti in
Scienza dell’Alimentazione e che formano dietisti: utilizziamo queste forze che abbiamo a di-
sposizione! La terza criticità che io osservo è rappresentata dai messaggi educazionali: è
chiaro che la prevenzione si fa attraverso messaggi educazionali, però è evidente che gli
esperti di obesità tendono a dare indicazioni più o meno opposte a quelle che danno le per-
sone che si occupano del disturbo del comportamento alimentare. Due esempi: l’insoddi-
sfazione nell’immagine corporea, utilizzata da chi si occupa dell’obesità come molla per
facilitare una perdita di peso, è anche un sintomo, un cardine del disturbo del comporta-
mento alimentare, un fattore di rischio importante per anoressia e bulimia che quindi va utilizzato secondo precisi criteri. Lo stesso vale per le diete: la dieta è sicuramente uno
strumento efficace per la diminuzione e l’abbattimento del peso corporeo, ma il dieting è si-
curamente un fattore di rischio per l’anoressia e bulimia; quindi, quando ideiamo un mes-
saggio, quando facciamo un intervento di tipo educazionale, dobbiamo stare attenti a come
diamo questo tipo di messaggio.
Pertanto è necessario attuare approcci integrati sia in fase di trattamento - che è quello che
facciamo noi in fase di riabilitazione -, ma anche nella fase educazionale sia per l’obesità che
per i Disturbi del Comportamento Alimentare, utilizzando le stesse competenze, le stesse
procedure. Questo attraverso quindi un riesame dei fattori biologici, psicologici e sociali a
monte delle due tipologie di patologie, lavorando su una promozione della salute prima an-
cora che sulla prevenzione delle malattie, mettendo in condizione l’utente di potenziare le
capacità di affrontare situazioni difficili e, in particolar modo, una alfabetizzazione mediatica
che gli consenta di rispondere in maniera adeguata a quelli che sono gli stimoli della pub-
blicità. Quando questo viene fatto, funziona: ci sono tantissimi lavori che dimostrano che,
laddove viene fatto in maniera corretta un percorso educazionale - sia nei confronti del-
l’obesità che nei confronti del disturbo del comportamento alimentare -, l’incidenza di com-
portamenti non sani, come quelli che ho citato in precedenza, sono nettamente inferiori nel
gruppo trattato rispetto al gruppo non trattato; quindi, i messaggi educazionali facciamoli
fare a chi li sa fare, a chi è formato per farli, non inventiamo che in 15 giorni è possibile for-
170
mare il personal trainer piuttosto che la maestra elementare a fare educazione alimentare!
Abbiamo di nuovo gli specialisti in Scienze dell’Alimentazione, abbiamo i dietisti, abbiamo i
Servizi Igiene Alimenti e Nutrizione (SIAN) sul territorio, abbiamo i medici di medicina gene-
rale; mi permetto di ricordare anche la Scuola di Specializzazione in Biochimica. Sono que-
sti gli ambiti di competenza, non dunque la gastronomia, degli specialisti in Scienza
dell’Alimentazione e dei dietisti che hanno proprio nel background culturale la programma-
zione della realizzazione di interventi per la sorveglianza nutrizionale a prevenzione delle patologie correlate con il regime alimentare. Lo stesso dicasi per i SIAN, il cui sito si occupa
di promuoverne le attività di prevenzione sul territorio nazionale attraverso una rete umana
prima che tecnologica. Esiste anche un programma fatto dalla Federazione Italiana Medici
di Medicina Generale (FIMMG) che si chiama S.A.F.E. (Stile di vita - Alimentazione - Far-
maco - Esercizio Fisico) e che ha lo stesso scopo. Pertanto, dal momento che abbiamo il
personale qualificato, utilizziamolo! Un’altra criticità è rappresentata dalla pubblicità: i pub-
blicitari sono drammaticamente bravi, sono in grado di adattare quello che è il messaggio
pubblicitario a quello che è la moda del momento, a quello che sono le cose che si sentono
in quel momento, siamo passati da una ricerca dell’affettività negli anni ’70 a un edonismo
successivamente. Tutto questo fa sì che poi, laddove io aumento le pubblicità su alimenti
dolci o grassi, aumenta il loro consumo, come dimostrano una serie di lavori fatti in Austra-
lia e in Europa. Laddove invece io sostituisco questi spot pubblicitari con spot pubblicitari
più sani, ho una riduzione dell’indice di massa corporea: quindi vuol dire che, ripeto, sono
drammaticamente bravi i nostri pubblicitari. La cosa strana è che noi abbiamo un buon prodotto da vendere, abbiamo un buon prodotto da mettere sul mercato che è la dieta alimen-
tare mediterranea, in grado di prevenire in maniera efficace tutte le malattie croniche
degenerative; è un modello che, tra l’altro, utilizza tutti i prodotti locali e tradizionali e che
quindi può essere di stimolo anche alla produzione agricola; è un modello che favorisce la
convivialità, che segue la stagionalità, che cura la biodiversità.
Tuttavia evidentemente il modo con cui promuoviamo questo prodotto è decisamente meno
efficace, meno “abile” di come a suo tempo alcune serie televisive sono riuscite a promuo-
vere quello che era il fast food. La serie Happy Days si svolgeva per metà a casa Cunningham, metà in un fast food: non era un McDonald’s, non era un fast food come lo intendiamo
oggi ma il modello era quello. Quindi la pubblicità deve utilizzare degli strumenti altrettanto
efficaci per i messaggi salutari e soprattutto ci deve essere un efficace e tempestivo inter-
vento contro la pubblicità ingannevole, non si può rispondere dopo due mesi a un messag-
gio fuorviante: l’intervento deve avvenire in tempi reali oppure deve esserci una reazione
opposta, tale per cui il messaggio sia in qualche modo annullato. Questi sono i quattro punti
critici legati al tema della prevenzione dell’obesità.
Vi sono tuttavia alcune altre cose di cui vi voglio parlare: una è la ristorazione. È stato ac-
cennato anche questo: noi abbiamo perso il senso della ristorazione collettiva che nasce sto-
171
ricamente per assicurare, a chi non era in grado di legare il pranzo con la cena, di avere un
pasto corretto in ospedale, a scuola o in fabbrica; adesso la ristorazione collettiva ha lo
scopo, il target, di fare contento chi mangia in ospedale piuttosto che a scuola. Questa è una
follia, soprattutto tenendo conto del fatto che, ad esempio, chi è ricoverato molto spesso
non sa cosa mangiare, per cui noi gli mettiamo a disposizione 2 o 3 menù dai quali scegliere
e lui, in quel modo, è in grado di continuare a mangiare pesce piuttosto che uova o frutta e
verdura. Quindi dobbiamo recuperare il senso reale della ristorazione collettiva.
Un altro aspetto, che è stato accennato nella prima relazione, e che credo sia altrettanto
importante è che dobbiamo deciderci, una volta per tutte, se lo sport è business o è cura
del gesto atletico, della performance fisica. Se non usciamo da questo equivoco difficil-
mente riusciremo a proporre un modello sano di attività fisica. Un altro aspetto ancora più
difficile da gestire: dobbiamo curare la qualità o dobbiamo semplicemente rincorrere la quan-
tità? Se mi devo sentire in colpa ogni volta che il mio Paese a fine anno non è salito al 3%
di PIL, è chiaro che sarò portato ad avere un sovra consumo passivo di qualunque cosa,
quindi anche di cose da mangiare. Devo probabilmente modificare il modello di sviluppo: i
matrimoni, per lo meno in Italia, sono diventati una specie di binge eating, per cui non te la
cavi con meno di 3 primi e 3 secondi. Forse potremmo provare a ragionare sulla qualità di
quello che mangiamo, piuttosto che sulla quantità di quello che ci viene dato! Infine, l’ultimo
aspetto, comunque non il meno importante, ricordato prima dalla dottoressa Mazza: siamo
un Paese che pensa di risolvere i problemi aumentando i regolamenti e i divieti. In realtà se
noi non convinciamo la gente che mangiare frutta è importante, la frutta che metteremo nelle
scuole rimarrà a marcire: quindi dobbiamo fare in modo che le informazioni che noi rice-
viamo diventino cultura e quindi che siano in grado di modificare i nostri comportamenti su
tutti gli aspetti che vi ho accennato.
172
Comunicazione e campagne istituzionali
negli Stati Membri sulla salute
ed il benessere dei giovani.
Quando si parla di salute e benessere soprattutto in riferimento alle giovani generazioni
è fondamentale innanzitutto contrastare gli impatti negativi di modelli sociali fuorvianti,
promuovendo, all’interno di palinsesti appetibili per i giovani, programmi di educazione,
informazione e comunicazione efficaci. Per assicurare il successo di queste attività, è altrettanto importante garantire una programmazione attenta e accurata; etica, garantendo
autonomia e credibilità delle fonti di informazione; chiarezza ed affidabilità dei messaggi;
validità degli strumenti di comunicazione; copertura di obiettivi scelti e larga partecipa-
zione dei gruppi di popolazione coinvolti.
Nel caso della comunicazione, più che mai risulta necessario lo scambio di buone prassi,
anche per l’adozione di modelli comunicativi che condividano l’evidenza scientifica e stabiliscano i messaggi da fornire al pubblico, agli operatori sanitari, ai policy-makers ed
alle altre parti interessate.
Considerata l’estensione degli obiettivi strategici legati alla promozione della salute, si comprende facilmente come essi fondino la propria riuscita su collaborazioni, competenze ed
ambiti operativi tra loro diversi. Un reale coinvolgimento dei cittadini, della comunità, della
popolazione in generale, deve basarsi su un input che, partendo dalla sanità pubblica, punti
ad un’integrazione tra persone, gruppi, istituzioni ed organizzazioni volta al raggiungimento
dell’obiettivo salute e conseguire l’opportuno consenso per stabilire un’ efficace comunica-
zione che coinvolga i politici, gli amministratori pubblici, i mezzi di informazione di massa.
D’altra parte, la salute è anche informazione: una corretta informazione può consentire al cit-
tadino di migliorare la gestione della propria salute e di garantirsi un’utilizzazione ed un ac-
cesso più razionali alle prestazioni e alle cure.
In questo contesto il ruolo dei media si dimostra di fondamentale importanza perché oltre
ad avere un’influenza sull’utilizzo dei servizi sanitari, possono rappresentare anche un im-
portante strumento per promuovere la partecipazione dei cittadini nel processo di defini-
zione delle priorità e di organizzazione dei servizi sanitari.
Nell’esaminare il rapporto tra mezzi di informazione e promozione della salute, l’Organizza-
zione Mondiale della Sanità evidenzia che le informazioni diffuse attraverso programmi ba-
sati, per esempio, su interviste, notiziari, pubblicità, spettacoli, si rivelano quelle attraverso
le quali i messaggi sulla salute sono ricevuti, mediati, capiti e, con maggiori probabilità, adot-
tati dagli individui; le informazioni diramate dalle autorità sanitarie, invece, incidono solo in
piccola parte sulla diffusione di notizie riguardanti la salute; prima di considerare possibili
strategie per usare i media nell’opera di promozione della salute, è importante riesaminare
la natura dei messaggi che si vogliono trasmettere; è necessario dare il giusto peso sia al
173
ruolo di intermediazione dei mass media che alla ricerca di mercato per comprendere me-
glio quali condizioni risultino più favorevoli al miglioramento della salute.
Per concludere sarebbe proficuo che professionisti della Sanità pubblica, le Istituzioni competenti in materia, il Terzo settore ed i professionisti dell’informazione collaborassero con il
fine di ripensare e ridiscutere i principi fondamentali necessari alla promozione della salute.
In ultimo, ma con un’importanza prioritaria, la quarta sessione avrà il compito fondamentale di indicarci come comunicare ai nostri giovani le riflessioni ed i messaggi emersi
da questi approfondimenti. Trovare una comunicazione efficace e strumenti idonei ad in-
fluenzare i nostri giovani sarà il compito degli esperti che saranno coordinati dal professor Morcellini, Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università La
Sapienza. I diversi interventi di esperti, di accademici e dei giovani, soprattutto, si alter-
neranno con il fine di amalgamare le esigenze istituzionali con gli obiettivi che le campagne di comunicazione intendono raggiungere.
Questo confronto interessante di percorsi intrapresi saranno illustrati nella sessione
plenaria della professoressa Giovanna Leone, Docente di Psicologia Sociale dell’Università La Sapienza.
174
Mario MORCELLINI62
Le parole-chiave per comunicare la salute ai giovani
I temi, particolarmente delicati, che ci accingiamo ad affrontare possono essere ricondotti a
tre parole-chiave: giovani, salute, benessere.
La parola “giovane” è al centro delle nostre riflessioni. In particolare, ci interrogheremo e cer-
cheremo di fornire una risposta ai seguenti quesiti: “Che cosa significa essere giovani oggi?
Quali sono le differenze tra l’arretrata visione dei bisogni e dei sogni dei giovani, quale è quella
concepita dalle istituzioni e la realtà?”.
Affronteremo il tema del rapporto tra giovani e benessere, più propriamente ci avventureremo
nel territorio delle culture giovanili nei confronti del benessere e della salute; illustreremo, poi,
mediante un approccio scientifico, il concetto di comunicazione sociale, intesa come fonte di
induzione a comportamenti più positivi e proattivi. Questi argomenti verranno dibattuti con
l’apporto della ricerca pubblica, della scienza medica e delle discipline comunicative attraverso la voce degli illustri relatori che ci accompagneranno in questa giornata.
Per un approccio sociologico al mondo giovanile ed ai suoi bisogni in termini di salute e
benessere, tre osservazioni vanno fatte: è opportuno rimarcare che l’abolizione della vi-
sita di leva ha comportato una scomparsa improvvisa di una validissima fonte di dati sociologici ed epidemiologici.
Esiste una netta dicotomia tra l’immagine ilare e serena che la pubblicità e i mass media
ci restituiscono dei giovani e i dati reali, particolarmente impressionanti, soprattutto in
relazione alla promiscuità e alla precocità sessuale, come quelli diffusi, per esempio, da
uno studio condotto dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, secondo cui il 40%
dei giovani ragazzi e poco meno delle giovani donne svolge attività sessuale e riferisce
di una profonda delusione rispetto alle aspettative. La responsabilità di questa discor-
danza tra aspettative e realtà viene attribuita in quella ricerca proprio alla televisione e,
ancor più, a Internet. Le fonti di informazione non sono più le letture, la scuola o i genitori, da cui potevano venire elementi positivi di informazione. Si osserva un disallinea-
mento rispetto alla possibilità di felicità riposta nel sesso e nell’iniziazione sessuale. Ma
la pubblica istruzione e le politiche pubbliche fanno qualcosa? Uno dei punti caldi che
emerge da questa situazione è che i pubblici poteri devono tornare a compiere delle si-
mulazioni prima di attuare delle riforme.
Infine, come l’effetto branco e il fenomeno del bullismo dimostrano, dentro la condizione giovanile si stanno costruendo giacimenti di infelicità e di disagio, su cui bisogna avere il corag-
gio di accendere l’attenzione.
Questi sono gli interventi che noi ci aspettiamo dalle istituzioni. La Conferenza di oggi è testi62
Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione, Sapienza, Università di Roma
175
monianza di una nuova nascente collaborazione interistituzionale senza la quale gli interventi
sono impossibili se non inefficaci.
Se prima citavamo casi critici legati alle scelte istituzionali, come l’abolizione del servizio mi-
litare e, di conseguenza, la perdita della vastissima operazione di monitoraggio della salute di
generazioni di uomini, non possiamo non accorgerci di quanto le istituzioni abbiano fatto negli
ultimi anni e su queste azioni congiunte insistere ancora di più. Penso soprattutto all’epoca del
ministro Ruberti, tra i più noti ad aver favorito la mobilità internazionale dei giovani, che ha
rappresentato davvero un elemento di riforma culturale dal basso, non di quelle prescrittive
della politica bensì affidate ai cambiamenti culturali delle persone. Ed ora l’iniziativa dei 50
studenti aquilani che fa davvero onore.
Quanto al ruolo della comunicazione, il contributo in termini di apertura e di solidarietà è no-
tevole quando si parla di salute dei giovani, soprattutto quando è condotta dai giovani stessi
che con i loro codici interpretano il proprio quotidiano e il proprio disagio.
Desidero introdurre la sessione articolando alcuni pensieri che prego i relatori di sviluppare:
• il rapporto tra i giovani e la salute è altamente problematico e rappresenta una criticità per
il Paese;
• gli adulti non rappresentano un valido punto di riferimento per i giovani e non trasmettono
valori né ideali; i giovani cercano di trovare la propria collocazione, provando e sperimentando, fino a nuocersi;
• spesso i giovani sono poco informati o per nulla informati sulle opportunità dei servizi del
territorio e che la società civile fornisce loro;
• i giovani sono fortemente disinformati sulla sessualità e sui rischi che essa possa comportare e mancano di canali di informazione sufficientemente incisivi, attraverso cui espri-
mere il proprio disagio e il bisogno di essere ascoltati;
• vengono progettate campagne e iniziative che non tengono conto del punto di vista dei
giovani e dei loro codici di comunicazione;
• spesso lodevoli iniziative, mosse da uno spirito profondamente altruistico e sostenute da
un solido pensiero istituzionale, falliscono per erronea o carente modalità di divulgazione
o per mancanza di disponibilità da parte degli enti locali erogatori; accade, quindi, che co-
loro che ne sarebbero i fruitori ultimi non vengono nemmeno a conoscenza di tali progetti,
ciò comportando un notevole spreco di risorse. Più l’organizzazione è ampia, come quella
di natura istituzionale, meno agile rischia di diventare il processo di esecuzione delle iniziative, con difficoltà di attuazione finale o di aggiustamenti in corso d’opera;
• è opportuno fare rete sul territorio tra le associazioni e le pubbliche amministrazioni, af-
finché le pregevoli iniziative che coinvolgono i giovani, rendendoli protagonisti, vengano
adeguatamente divulgate, sostenute e finanziate;
• i giovani esistono, non sono un problema ma una risorsa e, come tale, vanno valorizzati
con l’impegno e l’interesse da parte di tutte le istituzioni.
176
Andrea LENZI63
La campagna di prevenzione in andrologia “AmicoAndrologo”
Intervengo in questa sede prestigiosa in veste di studioso di una particolare branca dell’en-
docrinologia, l’andrologia, cui mi dedico da più di trent’anni e la cui passione mi è stata tra-
smessa dal mio maestro, il Professor Aldo Isidori. L’andrologia è nata come endocrinologia
pura, cioè come studio della carenza ormonale; successivamente è diventata medicina della
riproduzione e quindi medicina della sessualità. Oggi siamo in grado di determinare aspetti mo-
lecolari e scientifici della fertilità e della sessualità di altissimo profilo, sia in ambito tecnologico
che farmacologico. L’andrologia è attualmente considerata una scienza in forte espansione.
Non vi tedierò con dati di ricerche scientifiche, ma vi intratterrò parlandovi di eventi comunica-
tivi nell’ambito del benessere e della salute della popolazione giovanile italiana. Vi illustrerò al-
cuni dati derivanti da un progetto di prevenzione nato dalla collaborazione del Centro nazionale
per la prevenzione e il controllo delle malattie (CCM) del Ministero della Salute, del mio Diparti-
mento di Fisiopatologia Medica presso l’Università di Roma “Sapienza” (dove è nata appunto
l’andrologia molti anni fa) e della Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità, che
è una delle sezioni dell’European Academy of Andrology, di cui sono il segretario generale.
Grazie a questo progetto abbiamo potuto studiare lo stile di vita dei giovani maschi italiani,
i loro comportamenti e la loro conoscenza in tema di salute andrologica e generale, cercando di ottenere uno spaccato sociale della situazione dei nostri diciottenni.
I dati che vi riporto non sono definitivi, in quanto questo progetto è ancora in corso: si riferiscono a 10.124 giovani di sesso maschile provenienti da 6 regioni italiane (Veneto, To-
scana, Marche, Lazio, Campania e Puglia), di età compresa tra 18 e 22 anni, frequentanti
l’ultimo anno delle Scuole Medie Superiori. È vero che le campagne sulla prevenzione in an-
drologia dovrebbero rivolgersi ad una popolazione ancora più giovane e raggiungere addi-
rittura gli studenti delle scuole elementari e medie inferiori, ma in questo caso, ci siamo
limitati agli studenti maggiorenni per ovviare a molteplici ostacoli burocratici (ad esempio richieste di consenso informato ai genitori).
I dati raccolti si riferiscono all’anno scolastico 2009-2010; gli uffici preposti a livello nazio-
nale e regionale interpellati e le scuole contattate si sono dimostrati estremamente disponi-
bili e i ragazzi hanno risposto numerosissimi alla nostra richiesta.
Innanzitutto, abbiamo raccolto alcuni dati antropometrici: è emerso che i ragazzi obesi rap-
presentano una percentuale piuttosto ridotta, mentre, dato alquanto inusuale e sorpren-
dente, nei ragazzi italiani di questa fascia d’età comincia a manifestarsi il problema del
sottopeso e dell’anoressia. Sommando i dati dei ragazzi attualmente a dieta e di quelli che
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Professore Ordinario di Endocrinologia “Sapienza” Università di Roma; Past President della Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità; Presidente della Fondazione per il Benessere in Andrologia onlus
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vorrebbero mettersi a dieta, è emerso che oltre il 30% dei ragazzi, ovvero un terzo di quelli
coinvolti nello studio, pensa di essere fuori peso. Tenendo conto che, dalle nostre analisi dei
dati, i soggetti normopeso erano molti di più, questo sta a significare che c’è qualcuno “fuori
scala”, cioè che psicologicamente non “si piace” e vuole perdere peso. Si rientra, quindi, in
una sfera patologica che può portare a disturbi del comportamento alimentare e ciò fornisce anche un indice di fragilità psichica.
Passiamo, ora, al rapporto con il fumo della popolazione in esame. È noto che la nicotina,
la cotinina e i suoi derivati, nonché tutti i catrami, sono estremamente dannosi per la funzione
testicolare. Come era prevedibile, quasi la metà dei ragazzi che abbiamo intervistato ha fu-
mato o fuma: molti hanno iniziato in età precoce, i due terzi prima dei 15 anni, mentre un
terzo (circa 34 %) fuma anche attualmente. La numerosità di sigarette è piuttosto elevata:
40 sigarette a settimana per un ragazzo di 18 anni. Bisogna tenere conto che spesso il fumo
viene concentrato nelle ore del giorno trascorse fuori casa, in cui i picchi di nicotina e di co-
tinina in circolo divengono estremamente elevati.
Sostanze da abuso: i ragazzi interpellati al riguardo si sono dimostrati sinceri, nonostante l’im-
barazzo dell’argomento. Il 98% ha risposto alle seguenti domande: che tipo di droga usi?
Quando l’hai usata e quanta ne hai usata? Quando l’hai utilizzata per la prima volta? Quante
volte alla settimana l’hai assunta? I primi dati di questa nostra ricerca sono stati divulgati in
concomitanza con dati riferiti ad una popolazione statunitense maschile e femminile in parte
simile e sono risultati perfettamente sovrapponibili. Ormai non si riscontrano più le differenze
di un tempo tra società americana e italiana. È preoccupante il dato che emerge. Il 46,5% dei
ragazzi ha provato almeno una volta sostanze illegali. Marijuana e hashish (44,6%) e il Pop-
per, nitrito di amile o similari, (13,5%) sono le droghe preferite dai ragazzi che cominciano a
farne uso molto precocemente (15-16 anni). Il 5,5 % fuma marijuana e hashish quotidiana-
mente e il 14,5% almeno una volta a settimana. L’8,3% dei ragazzi ha fatto o fa uso di cocaina.
Tenendo conto che la cocaina è una droga costosa e che è tradizionalmente considerata la
droga tipica del manager adulto, il dato risulta alquanto significativo e corrisponde al doppio
di quello riscontrato in indagini similari condotte alcuni anni fa.
Ansiolitici: inaspettatamente, il 6% circa dei ragazzi riferisce di aver assunto ansiolitici; di que-
sti, il 18 % li assume giornalmente o più di una volta a settimana ed il 12% afferma di assu-
merli già da molti anni. Come li hanno ottenuti? Li ha prescritti il medico? Li hanno ricevuti da
un genitore? Parliamo di soggetti anche di 12-13 anni, quindi con un sistema nervoso ancora
in maturazione. Da questo dato emerge anche un profondo senso di inadeguatezza e di insi-
curezza da parte degli adulti nei confronti delle inquietudini dei giovani.
Alcolici: problema similare alla droga e al fumo. Oltre il 50% dei ragazzi consuma alcolici. Pur-
troppo, i nostri ragazzi talvolta fanno uso di alcol in dosi elevate e concentrate durante il wee-
kend, con qualche cocktail e con aggiunta di qualche sigaretta di troppo o di hashish, marjuana
o cocaina. Quindi, quello che preoccupa di queste cifre non è solamente la percentuale ele-
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vata di esperienza di consumo, ma anche la concentrazione in momenti specifici.
Attività fisica: circa il 79 % dei ragazzi interpellati dichiara di svolgere attività fisica. In realtà,
nel 30 % dei casi l’attività sportiva risulta, a livello di ore praticate, piuttosto scarsa, spesso
meno di un’ora a settimana. Alcuni riferiscono di utilizzare sostanze dopanti (2%).
Sessualità: oltre il 57% dei diciottenni maschi dichiara di aver avuto rapporti sessuali. L’inda-
gine americana parallela ha riportato un calo: si è passati dal 75% al 55% dei ragazzi che hanno
avuto rapporti sessuali fra i 16 e i 18 anni. Per interpretare il dato, potremmo ipotizzare che una
maggiore attenzione verso le malattie sessualmente trasmesse, come l’AIDS, potrebbe avere
ridotto negli USA questa percentuale; forse, c’è una maggiore consapevolezza. L’età media
del primo rapporto in Italia si attesta sui 16/17 anni, analogamente ai dati statunitensi. La numerosità delle partner è decisamente ridotta rispetto alle attese: un’indagine statunitense con-
dotta circa 5/6 anni fa riportava 6 o 7 partner già avuti a 18 anni; oggi in Italia solo 2.
Informazione sessuale: è emerso che ancora oggi, nel Terzo Millennio, l’informazione sessuale
è legata per la maggioranza dei casi agli amici. Alla domanda “Chi ti ha raccontato per la prima
volta del sesso?”, la risposta non è stata mai un medico, un professore o un genitore, bensì
un amico. L’altra grande fonte di informazione sessuale è rappresentata dalla televisione e da
Internet. L’informazione che si ricava da queste fonti purtroppo come è noto non sempre è di
alto profilo divulgativo-scientifico o talvolta anche scorretta e deviante.
Sistemi di contraccezione e malattie sessualmente trasmesse: al contrario di quanto noi pen-
sassimo, la contraccezione è molto poco praticata. La maggior parte dei ragazzi si affida alla
propria ragazza, che prende la pillola o compra il profilattico. Addirittura, il 9% ricorre a me-
todi naturali, benché la gran parte non sappia nemmeno con precisione in che cosa consistano
e che cosa sia il periodo di ovulazione. La cosa più grave ancora è che il 42% di questi ragazzi
ha avuto rapporti non protetti, non sapendo quasi nulla delle malattie sessualmente trasmesse.
In più di una scuola è emersa la convinzione secondo cui l’AIDS non rappresenta più un pro-
blema grave e diffuso. Questo deriva direttamente dal fatto che per alcuni anni siamo stati
bombardati dai mass media sull’AIDS, sulla sua gravità e sull’importanza della prevenzione e
dell’uso del profilattico. Eravamo riusciti a raggiungere un buon livello di divulgazione, poi a un
certo punto l’informazione sull’AIDS è scomparsa. C’è stata, sì, una contrazione nella diffusione
della malattia, fortunatamente, ma purtroppo l’AIDS rimane ancora un mostro da combattere.
Le malattie sessualmente trasmesse, peraltro, non si limitano all’AIDS e sono numerose, al-
cune fortemente invalidanti, quasi tutte riducono la fertilità futura e creano gravi problematiche a sé e alla partner, rendono i rapporti dolorosi.
Abbiamo poi chiesto ai ragazzi, dopo la somministrazione e compilazione del questionario
anonimo e la lezione divulgativa in aula, se fossero disposti a farsi visitare. Circa il 30%
(3.300 ragazzi) si è dimostrato disponibile, assolutamente un numero elevato. E da consi-
derare che con l’abolizione della visita di leva si è persa l’unica occasione di controllo dei ma-
schi. Per le ragazze la situazione è diversa; le mamme portano quasi sempre le figlie dal
179
ginecologo, mentre i maschi non si rivolgono ad alcuno specialista fino all’insorgere di di-
sturbi della sessualità o di un problema di infertilità. Nei 3.300 ragazzi visitati abbiamo riscontrato una serie di patologie genitali, quasi tutte risolvibili. E questo non sorprende,
poiché lo sviluppo puberale, dell’apparato genitale e della sessualità rappresenta un mo-
mento delicatissimo. Gli uomini non lo sanno e arrivano a oltre 30 anni con un testicolo ri-
tenuto, un testicolo ipotrofico oppure un’infezione trascurata senza aver mai visto un medico,
neanche quello di medicina generale. Le patologie maggiormente riscontrate sono quelle testicolari, responsabili di una riduzione della fertilità: un quarto di questi ragazzi aveva i testicoli più piccoli di quello che era prevedibile per la loro fascia di età.
Tutto questo significa che siamo in un momento in cui l’andrologia necessita di campagne di
prevenzione simili a quella che abbiamo svolto e che andrebbe estesa a tutte le regioni e a tutti
i ragazzi. Se curiamo i ragazzi a questa età, sicuramente entro 10 anni avremo una ridotta necessità di ricorrere a tecniche di procreazione assistita rispetto alla situazione attuale.
L’anno prossimo pubblicheremo i dati completi di questa indagine e, con tali dati alla mano,
potremo chiedere al Ministero della Salute di rendere obbligatoria questa campagna per la
prevenzione a tutte le regioni italiane e di rendere obbligatoria nelle scuole la visita andrologica
a 18 anni. Dopo la nascita, l’evento più importante della propria vita è lo sviluppo puberale.
Mentre nella donna c’è un segno molto evidente, le mestruazioni, nell’uomo è più graduale. Il
rischio è di non accorgersene e di trascurarlo, con potenziali gravi conseguenze sulla salute
generale, riproduttiva e sessuale. Si calcola infatti che oggi il 20% dei maschi adulti ha una fertilità ridotta o problemi di sessualità.
Michaëla LIUCCIO64
Analisi del giovane consumatore contemporaneo
Nella mia relazione cercherò di evidenziare alcune trasformazioni culturalmente in atto, che
consentono di ritrarre in modo adeguato lo scenario in cui opera il giovane consumatore
contemporaneo. In quest’ottica mi riferisco non solo al consumatore di prodotti “materiali”
(di alcol, o di cibo per esempio) ma anche a quello di prodotti “immateriali” (come i valori e
i modelli veicolati dai media).
La prima trasformazione riguarda il godimento e il possesso: se un tempo il senso di grati-
ficazione per la realizzazione di un desiderio veniva ritardato, procrastinato, dando valore al-
l’attesa, adesso predomina il senso di appagamento immediato: “vivere tutto e subito”. Il
consumatore dei nostri giorni non è più motivato dal principio del ritardo della gratificazione
64
Vice Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Comunicazione Scientifica Biomedia della Sapienza Università di Roma, docente di Sociologia della Salute e della Medicina.
180
o della procrastinazione ma, piuttosto, vive nella cultura dell’adesso, costantemente alla ricerca dell’esperienza sublime, vittima del desiderio più che della soddisfazione. La sua percezione della realtà è di tipo estetico e non cognitivo o morale.
La seconda trasformazione attiene appunto ai valori: un tempo l’etica e i valori, comprese
le pratiche di socializzazione, venivano trasmessi dall’adulto ai giovani. Oggi, i giovani utilizzano propri codici etici, culturali, di comportamento e di comunicazione. Si è passati
dall’etica prescrittiva, attraverso l’insegnamento e l’educazione dei genitori e degli adulti
più in generale, all’etica elettiva, quindi alla possibilità di scelta. Oggi l’uomo, e di con-
seguenza il giovane, è più libero perché ha la possibilità di scegliere. Questo, però, implica allo stesso tempo una maggiore responsabilità individuale. La concentrazione sul
self (self focus) appare pertanto un’esigenza dettata dalla necessità di esercitare discrezionalità e autonomia, che si esprime inoltre in termini di riflessività per cui il soggetto
tende a sottoporsi a valutazione continua.
La fatica di essere se stessi oggi è segnata proprio dal passaggio etico da colpa/disciplina
a responsabilità/iniziativa, dai rischi compresi nell’individualizzazione dell’azione e nella per-
formance. Dalla voglia costante di superare i propri limiti fisici e intellettuali, nell’ottica di
un sempre più pervasivo immaginario della disinibizione. “…il senso di impotenza indivi-
duale - sottolinea Alain Ehrenberg (1999) - può fissarsi nell’inibizione, esplodere nell’esagitazione o conoscere gli instancabili automatismi del comportamento compulsivo”.
Le dipendenze non sono, dunque, malattie ma “disturbi della scelta”, atte a spiegarci per-
ché molti, soprattutto giovani, non riescono a liberarsi di troppo alcol, cibo, droga, sport,
sesso. Certamente in quest’ambito un ruolo da protagonista spetta al corpo e a tutte le sue
pratiche trasformative. Per i giovani in particolare, il corpo rappresenta un piano di frontiera
tra l’interno e l’esterno, attraverso di esso esprimono se stessi, comprese le proprie soffe-
renze e problematiche, che si manifestano molto diffusamente con disturbi dell’alimenta-
zione, come bigoressia, ortoressia, anoressia, bulimia, obesità, ciascuno con sfaccettature
diverse. In proposito, alcuni studiosi, tra cui Susan Bordo (1997), affermano che l’anoressia
rappresenterebbe una sorta di vittoria del sistema socio-culturale sull’individuo, al contra-
rio la bulimia una sorta di vittoria dell’individuo sul sistema, riuscendo in questo caso il soggetto a gestire il proprio corpo. Qualche anno fa, invece, Oliviero Toscani firmò una
campagna pubblicitaria in cui mostrava una donna anoressica: ne seguirono polemiche e di-
battiti. C’era chi sosteneva che fosse doveroso mostrare come l’anoressia riduce il corpo
delle sue vittime; altri opponevano il pericolo di diffondere un modello, per quanto negativo,
di cui gli Autori avrebbero dovuto assumersi la responsabilità. Quel che è certo è che, come
sostiene Serge Tisseron (1998), c’è sempre un pilota dietro le immagini: bisogna dunque
stare attenti a non essere pilotati e soprattutto ad acquisire gli strumenti culturali per dare il
giusto peso a modelli e valori veicolati in particolare dai media. In questo ambito, a mio avviso, le scuole dovrebbero avere un ruolo molto più attivo fin dai primi anni di scolarizzazione.
181
L’alimentazione, lo sport, la moda, le cure di bellezza, dunque, sono tutti comportamenti
di consumo sintomatici del bisogno di controllo sul proprio self. Ma anche il consumo di
alcol e, soprattutto il suo abuso, costituisce una questione centrale sotto molteplici punti
di vista, tale da richiedere diretti interventi di natura politico-sociale. In un recente rap-
porto Censis si è accennato al diffuso fenomeno di regressione antropologica, ovvero il
ritorno, la ripetizione delle emozioni che può spingere alla dipendenza e allo sballo. Analogamente il sociologo francese Michel Maffesoli (1988) si riferisce a questo fenomeno
definendolo “neotribalismo”.
Ormai, i cosiddetti “consumi forti” non sono più intesi come forma di trasgressione, bensì
come condizione di normalità. In termini etici, a che cosa porta questo tipo di trasformazione,
di passaggio, dal proibito al permesso e dall’impossibile al possibile?
Un primo effetto è la perdita del senso di colpa nel compiere qualcosa di proibito e la pre-
valenza del senso di inadeguatezza: la tendenza è quella di superare sempre più se stessi
e di mettersi sempre alla prova. Questa sfida può condurre al fallimento e da qui può nascere
quella che è considerata la malattia dell’Occidente, come è stata definita la depressione. La
continua smania di superare i propri limiti espone l’individuo a una profonda fatica di essere
se stesso e di convivere con se stesso soprattutto nel momento del fallimento delle sfide pre-
poste. I modelli, spesso fin troppo ambiziosi, che la società occidentale impone inducono
soprattutto nel giovane un senso di sfida, nel tentativo di superare i propri limiti e, con il fal-
limento di questa aspirazione, generano ansia e inadeguatezza.
L’individuo è sovrano, l’individuo può scegliere ma, proprio dalla possibilità di scelta, dal ri-
schio di errore e dall’impossibilità di raggiungere qualcosa che ci si propone, nasce il senso
di inadeguatezza, che spesso conduce alla dipendenza, per esempio dall’alcol, dalla droga,
da Internet e dal sesso. Nel momento in cui si ha la possibilità di scegliere e di raggiungere
autonomamente qualcosa, e questo qualcosa non si raggiunge, siamo noi stessi responsa-
bili di non essere riusciti a raggiungere il risultato che ci eravamo prefissati, siamo noi ad aver
scelto la strada sbagliata, a non essere stati in grado di forzare noi stessi: libertà, scelta e
rischio sono dunque strettamente connessi.
Di fronte alle proprie scelte, l’individuo critico e riflessivo si pone in continua discussione.
Certo la cultura, l’estrazione sociale e la struttura identitaria individuale incidono sul soggetto
e sullo spirito con cui ciascuno si accosta alle criticità e alle problematicità della vita. Ma è
fuori dubbio che particolarmente vulnerabili di fronte e alle scelte e ai fallimenti siano so-
prattutto gli individui in età adolescenziale.
Un gruppo di ricerca attivo su queste tematiche all’interno del Dipartimento di Comunica-
zione e Ricerca Sociale della Sapienza, Università di Roma, ha realizzato, con la Direzione
Scientifica del Direttore di Dipartimento, Prof. Mario Morcellini, e il mio Coordinamento scientifico, 50 interviste sul consumo di alcol tra gli studenti di due licei romani, un istituto pub-
blico ed uno privato per cogliere differenze e affinità nelle modalità di consumo. Alcune
182
differenze sono emerse soprattutto nel tipo di prodotti consumati, ovvero chi è più facoltoso
può consumare prodotti diversificati, soprattutto superalcolici, trascorrendo prevalentemente
serate in discoteca. Ma le ragioni del bere sono pressoché le stesse: molti giovani bevono
per noia, altri per dimenticare le frustrazioni e le delusioni, altri solo per il gusto della trasgressione, altri, soprattutto donne, per disinibirsi e per essere meglio accettati dal gruppo.
Certo esistono svariate politiche nei confronti del consumo-abuso di alcol, oltre a regolare la produzione si può intervenire sulla commercializzazione, per esempio sul numero
dei punti vendita, sugli orari, o sui prezzi. D’altro canto però il consumo di alcol sembra
inevitabile, dal momento che ovunque e in ogni tempo l’uomo utilizza prodotti che sono
in grado di cambiare la sua visione del mondo, di alleviare per alcune ore le sue disgrazie e la sua difficoltà di esistere e che fanno apparire migliori i membri della sua famiglia
o i suoi compagni di lavoro.
In conclusione per affrontare politiche di salute pubblica, con particolare riferimento ai giovani, è necessario un approccio “più umano”, più “antropologicamente” fondato, che tenga
conto dei bisogni ma anche degli effetti, più o meno a lungo termine. In questo contesto, accanto agli interventi normativi, possono avere un ruolo strategico i progetti di marketing so-
ciale rivolti principalmente alla ricerca di modifiche stabili di comportamenti per la salute
individuale e collettiva. Il social marketing prevede infatti “l’utilizzo dei principi e delle tecni-
che del marketing per influenzare la popolazione bersaglio ad accettare, rifiutare, modificare o abbandonare un certo comportamento allo scopo di ottenere benefici individuali, per
i gruppi o la società nel suo complesso” (Kotler, Roberto, Lee, 2002). E dunque proprio con
l’attenzione dovuta alle caratteristiche della popolazione bersaglio (customer orientation), i
giovani vanno studiati come "prosumer", partendo dai loro prodotti (blog, articoli, servizi
video e radio, etc). Questa adozione di tecniche e strumenti di "autoricerca" consentirebbe
di ridurre il gap fra i comportamenti sociali e comunicativi dei giovani, la loro interpretazione
e le possibili applicazioni in politiche di salute pubblica. In quest’ottica anche l’università
può dare un contributo rilevante nell’accorciare le distanze comunicative tra giovani e adulti.
Gianni PICCATO66
Le iniziative del Ministero degli Esteri sulla mobilità giovanile
Non potendo né dovendo entrare nel merito di problematiche che esulano dalla competenza del Ministero degli Esteri, vi porterò una brevissima e sincera testimonianza di
quello che, per certi versi, il Ministero sente e prova quando si accosta a queste questioni al fianco di interlocutori istituzionali pubblici e privati.
66
Ministro plenipotenziario, Direzione Generale della Promozione Culturale, Ministero Affari Esteri.
183
Abbiamo sostenuto con grande piacere questa iniziativa, perché crediamo in un dialogo
trasversale, che unisce la società civile alle istituzioni in una materia cosi delicata e
sensibile quale è l’analisi delle criticità, positive e negative, del mondo dei giovani.
Siamo qui a testimoniare il nostro impegno e la nostra totale adesione a questo tipo di
iniziative e a dare un contributo, seppur minimo, alla luce della nostra competenza.
Per entrare nel merito della questione inerente il benessere dei giovani, il Ministero degli
Esteri e, in particolare, la Direzione per la Promozione Culturale, hanno avviato e at-
tuano iniziative volte a favorire soprattutto la mobilità dei giovani, gli scambi giovanili,
l’internazionalizzazione e, quindi, il dialogo fra giovani di diversi Paesi, attivando iniziative assolutamente strumentali: facilitazioni attraverso borse di studio, scambi e
viaggi pagati; facilitazione dei visti di ingresso ecc. In qualche modo, siamo dei fiancheggiatori estremamente attenti e sensibili alla qualità degli interventi e siamo perfet-
tamente coscienti dell’importanza che la mobilità internazionale e il dialogo a livello di
diverse organizzazioni riveste in questo ambito di problematica. Questo incontro rappresenta una sorta di porta di accesso culturale al dialogo e alla conoscenza reciproca,
non solo per gli addetti ai lavori, come docenti, ricercatori, eccetera, ma anche per i
rappresentanti dei giovani.
Desidero citare alcune delle iniziative che il Ministero degli Esteri ha attuato recente-
mente proprio in questa direzione. Una è stata la possibilità di fornire un contributo finanziario per i viaggi e la permanenza all’estero di oltre 50 studenti italiani
dell’Università dell’Aquila, consentendo loro di frequentare un anno accademico negli
Stati Uniti. L’iniziativa è sorta a seguito dei noti eventi del terremoto ed è stata condotta in accordo con il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, che ha attivato parallelamente delle iniziative di solidarietà. Questo ha permesso la realizzazione di un incontro,
di un’esperienza e, soprattutto, ha agito sul territorio, favorendo in questo caso un
gruppo di giovani nella contingenza dolorosa del terremoto. Un’ulteriore iniziativa è
consistita nell’erogazione di borse di studio mirate, per permettere a dei giovani stranieri di vivere delle esperienze in Italia, che si sono rivelate estremamente interessanti
anche dal punto di vista mediatico. Cito l’esempio di una borsista georgiana, che ha potuto usufruire, grazie al nostro intervento, di una borsa di studio a La Scala di Milano
ed è stata scelta dal maestro Barenboim per inaugurare la stagione lirica con la Carmen
di Bizet. È, quindi, riuscita nell’arco di un anno e mezzo di permanenza in Italia, ad entrare in un mondo che le sarebbe stato altrimenti precluso. Ripeto, si tratta di interventi
mirati, forse umili ma strumentali, che danno il segno di quello che di solidale e posi-
tivo le istituzioni possono realizzare quando uniscono le forze. Con questo spirito, desidero rivolgere un saluto, anche a nome del Ministro Frattini, agli organizzatori di
questo evento, augurando buon lavoro, con la consapevolezza che non mancherà il
dialogo e la dialettica comuni per ottenere risultati concreti.
184
Massimo MORELLI67
Come comunicare con i giovani
Il gruppo di ricerca ed io ci siamo chiesti innanzitutto quale fosse il modo più efficace
per comunicare ai giovani il messaggio della pericolosità sociale dell’alcol: qual è la
strada da percorrere, quella di demonizzare le multinazionali dell’alcol oppure quella di
mostrarne gli effetti, gli incidenti, la depressione, evidenziando cioè le conseguenze di
ciò che l’alcol può provocare?
Si è deciso di far emergere la genesi di queste dipendenze. Attori, registi e interpreti dei
video sono stati gli stessi ragazzi che hanno composto il gruppo di ricerca, con la loro
vita e le loro famiglie. Si è inteso strutturare un messaggio che fosse il più vicino possibile ai giovani, senza assumere atteggiamenti rigidi e di superiorità e, soprattutto, evi-
tando toni moralistici: dalle interviste condotte prima della realizzazione del video, era
emerso infatti il fastidio dei ragazzi nei confronti di campagne sociali troppo paternalistiche o perbenistiche.
Anziché mostrare incidenti d’auto o situazioni estreme, che sono lontane dalla realtà
della maggioranza dei giovani, abbiamo preferito mostrare situazioni più comuni, in cui
il consumo dell’alcol può influire negativamente, come una relazione sentimentale, un
rapporto madre-figlia in cui viene sottolineata l’assenza della figura parentale, la mancanza di una posizione rigida da parte della figura materna, e una relazione di gruppo
tra amici, in cui spesso l’alcol diventa il solo collante.
Da questa ricerca è emerso, inoltre, il desiderio dei giovani di essere ascoltati, la mancanza di una figura genitoriale autorevole e, di conseguenza, degli strumenti necessari
per affrontare la vita, che i genitori avrebbero il compito di fornire loro.
Simonetta DI CORI68
Buone prassi: “Presentazione progetto Cinemarena”
Sono qui per presentare un progetto della Cooperazione Italiana, denominato Cinemarena.
Si tratta di uno strumento inteso a lanciare una campagna educativa e informativa sulla pre-
venzione dell’AIDS e delle principali malattie che ancora imperversano nel continente afri-
cano, come colera, malaria, lebbra, e sui diritti dei bambini e delle donne. Cinemarena lo fa
attraverso la proiezione di film e di documentari a tema che riescono a emozionare e coin-
volgere persone che non hanno mai visto uno schermo cinematografico o la televisione e
67
Regista RAI, docente presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma e coordinatore del
gruppo di ricerca universitario autore dell’indagine e del video riferiti nella relazione della prof.ssa Liuccio
68
Esperta Cooperazione Italiana Ministero Affari Esteri.
185
che, in qualche caso, non sono nemmeno a conoscenza della loro esistenza.
Attualmente, Cinemarena sta portando la sua attività in Mozambico, in Kenya, in Uganda e
in Senegal. Abbiamo colto l’occasione dei primi mondiali di calcio in Africa per diffondere con
Cinemarena le partite dei mondiali e farle vedere agli africani che non ne avrebbero mai
avuto la possibilità.
Il filmato, qui mostrato e preparato in occasione della Festa del Cinema del 2007, riporta
l’esperienza del Mozambico, Marocco e Libano.
Il cinema è l’occasione unica per educare e informare. Con questa “particolare” e innovativa iniziativa della cooperazione italiana abbiamo raggiunto centinaia di migliaia di persone
che vivono in luoghi lontani dalle capitali dove non arrivano acqua ed energia elettrica e
dove non arriva alcun tipo di informazione sull’AIDS, sulla malaria, sulla lebbra, ecc.
In Africa vive il 13% della popolazione mondiale e il 70% dei malati di AIDS: è un continente
devastato dalla malattia. Il cinema e la potenza delle sue immagini sono un mezzo efficace
per raggiungere la popolazione di questo continente.
Abbiamo già cominciato a valutare l’impatto del nostro lavoro e abbiamo osservato che in
Mozambico, ad esempio, migliaia di persone si recano nei presidi sanitari per sottoporsi alle
analisi del sangue e per essere curati dalla infezione dell’AIDS.
In Angola e in Libano abbiamo trasmesso alcuni filmati educativi sul problema delle mine ine-
splose, causa di migliaia di morti e feriti soprattutto tra i bambini.
Federico BIANCHI di Castelbianco69
I giovani e la sessualità
Il nostro centro terapeutico ha in carico circa 1.000 ragazzi, ma grazie ai numerosi sportelli
di ascolto nelle scuole usufruiamo di un monitoraggio complessivo su circa 40.000 giovani
ogni anno. Questo ci ha permesso di approfondire le nostre conoscenze su come i giovani
affrontino la sessualità e come l’approccio alla sfera della sessualità si sia modificato. Il cam-
pione esaminato è composto di 8.508 giovani, di età compresa tra 12 e 20 anni (età media,
16 anni), con un numero più elevato di ragazze rispetto ai ragazzi. L’identità sessuale è un
problema molto sentito, correlato alla loro immagine, a come si riconoscono e si accettano.
Si identificano molto imitandosi l’uno con l’altro, ma quello che abbiamo notato rispetto agli
anni precedenti è l’anticipazione all’attenzione e all’immagine del proprio corpo, che si ma-
nifesta già a 12 anni, un’età molto più precoce rispetto al passato. Abbiamo osservato una
forte immaturità dei ragazzi, un’insoddisfazione del proprio corpo, un impulso alla magrezza
e un senso di inadeguatezza.
2
Psicologo e Psicoterapeuta dell’età evolutiva
186
Il senso di insoddisfazione decresce a 16 anni, le problematiche perdurano fino ai 18 anni. L’età
in cui vengono intraprese le pratiche sessuali sono: 12/14 anni per il 62%, 15/18 anni per il 24%.
L’età in cui i maschi si dichiarano pronti per un rapporto sessuale è: 11/13 anni per il 6%;
14/16 per il 46%; 17/19 per il 43%. L’età è invece più alta per i soggetti di sesso femmi-
nile: 17/19 anni per il 53%.
Questi dati differiscono da quanto emerse da un’analoga indagine condotta circa 10 anni prima:
l’età per l’esperienza si è anticipata. Abbiamo rilevato, attraverso i nostri sportelli attivi nelle
scuole medie inferiori e superiori, che l’attività sessuale viene concepita come pratica sessuale
e non come atto d’amore, ed è estremamente diffusa, molto più di quanto si possa immaginare.
L’esperienza omosessuale è in leggero aumento, più per moda che per una reale propensione.
Internet, dal punto di vista sessuale, è un mezzo estremamente diffuso: le webcam sono attive
e accessibili 24 ore al giorno e sono completamente ignorate dai genitori. Abbiamo riscontrato
una totale ignoranza sulla questione delle gravidanze indesiderate e sui rischi connessi alle at-
tività sessuali, che vengono praticate spesso per ostentazione e per non incorrere in giudizi di
comportamenti infantili da parte dei coetanei. Abbiamo di fronte giovani che incontrano sempre
maggiore difficoltà nel processo di costruzione della propria identità sessuale.
Abbiamo somministrato alcuni questionari ai ragazzi, di cui riporto i principali risultati raccolti. In-
nanzitutto, affetto e sesso sono mantenuti ben distinti: questo significa che il sesso viene prati-
cato senza che ad esso sia collegato un progetto di amore. I ragazzi ricevono le prime
informazioni sul sesso e sul proprio corpo intorno agli 8/12 anni dal fratello maggiore o dagli
amici, in modo casuale e superficiale. Nell’educazione sessuale i padri sono praticamente as-
senti, le madri si presentano un po’ più complici. Per quanto riguarda la frequentazione dei con-
sultori giovanili, il 73% li ignora completamente: manca del tutto l’abitudine a rivolgersi a un
ente, che peraltro è predisposto proprio per loro.
I ragazzi vivono i sentimenti in modo molto turbolento e passionale: ogni tradimento viene vis-
suto come una tragedia immane, anche se la relazione amorosa non ha più di una settimana di
vita. Le ragazze che vengono picchiate dal proprio ragazzo a seguito di un tradimento lo giusti-
ficano per amore, anche se il legame è in piedi da soli 15 giorni. Parallelamente, sono molto
spaventati all’idea di creare una famiglia. Non si tratta di un problema individuale, ma collettivo:
manca l’adesione alle regole sociali e l’insicurezza sociale è fortemente in crescita. Noi adulti
non riusciamo a trasmettere loro un modello di riferimento e neanche un minimo di sicurezza. Per
tre anni, abbiamo lavorato sui ragazzi di alcune scuole, informandoli sui problemi connessi alla
trasmissione di malattie infettive o alle gravidanze. Abbiamo ottenuto risultati importanti: le gra-
vidanze indesiderate e la trasmissione di malattie infettive sono diventate “problemi da cui stare
alla larga” così ci hanno risposto i ragazzi. Abbiamo allestito un portale sui giovani, www.dire-
giovani.it, con uno sportello di ascolto per questi temi, disagio, sessualità, etc, a cui intervengono
esperti pronti a rispondere alle domande dei giovani. Abbiamo osservato che su 1.000 domande,
800 riguardano il sesso. Ci troviamo di fronte a ragazzi estremamente angosciati, molto soli nella
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loro carenza di informazioni, che non hanno una possibilità di risposta, che hanno comportamenti
sessuali sempre più precoci, per i quali la sessualità diventa un modo per superare l’inadegua-
tezza, uno stile di vita e, nel contempo un grande problema. Moltissime ragazze di 15/16 anni si
vergognano delle loro esperienze, sono conosciute e additate e vivono un sentimento che de-
scrivono come di “essersi bruciate in età precoce”, in effetti sono esperienze praticate già a li-
vello di scuola media, solo per ostentare sicurezza. Le prime conclusioni riguardano noi adulti
che non riusciamo a trasmettere loro un modello di adeguatezza, ma abbiamo il dovere di far cre-
scere i ragazzi sani e informati, per colmare un vuoto sociale che si è creato nella nostra gioventù.
Mariella NOCENZI70
I giovani e le sfide del futuro
Sono qui per presentarvi l’evoluzione di un progetto tuttora in corso presso l’università
di Roma “La Sapienza”.
Un convegno internazionale dedicato alla salute e al benessere dei giovani, quale è quello
in corso, non può prescindere dall’analisi dei messaggi diffusi dalle campagne istituzionali rivolte ai giovani. Attraverso un primo studio pilota, stiamo esaminando, appunto,
che cosa significa benessere, quali sono i messaggi che i giovani raccolgono, chi sono i
giovani come identità e qual è il ruolo delle campagne istituzionali nell’azione sui giovani.
Finora, la prevalente definizione di giovani è quella per un’età compresa tra gli 11 e i 25
anni; ma sono di particolare interesse sociologico i cosiddetti giovani adulti, che sfiorano
l’età di 35/40 anni. Questo elemento è essenziale quando si parla del ruolo delle campa-
gne istituzionali rivolte ai giovani. Innanzitutto, è opportuno considerare che i concetti di
salute e di benessere sono notevolmente cambiati e stanno cambiando con una rapidità
tale che è difficile poter concettualizzare in maniera compiuta a cosa si riferiscono le
campagne istituzionali quando si rivolgono ai giovani. Probabilmente, proprio il settore
della salute e dei servizi alla persona sono quelli che più tangibilmente hanno subito
un’evoluzione e la subiscono progressivamente. Occorre, pertanto, definire concettual-
mente il benessere e chi sono i giovani.
Quello del benessere è probabilmente il concetto più complesso e più influenzato dalle
trasformazioni della modernità. La modernità si è affermata due secoli fa e si è evoluta
sino ad oggi imponendo un messaggio di benessere corrispondente alla massima felicità
per l’individuo in un contesto sociale. Con il senno di poi, possiamo affermare che mol-
teplici eventi storici e conflitti bellici hanno operato, in realtà, contro l’idea di benessere
e di sviluppo. Già traspare, quindi, un paradosso nella definizione stessa di benessere.
70
Docente presso la Facoltà di Ingegneria dell’Informazione, Informatica e Statistica.
188
Nell’analisi delle campagne istituzionali, gli esperti che siedono al tavolo delle istituzioni
e che delineano un piano efficace sul benessere talvolta ne smarriscono il senso, soffer-
mandosi e settorializzandosi solo su alcuni aspetti distinti, come l’alimentazione, le condizioni psicologiche, le soddisfazioni dei bisogni primari e secondari, le relazioni sociali,
che andrebbero invece esaminati in maniera olistica e integrata. Qui emerge l’altro para-
dosso: il nostro welfare state, che avrebbe bisogno di radicali riforme, tante quante sono
i cambiamenti in atto, vive della contrapposizione fra modello e programma, che do-
vrebbe essere collettivo e riguardare tutta la società. La complessità progressiva della
società, invece, ha fatto in modo che i bisogni fossero sempre più adeguati ai percorsi
biografici individuali, siglando un prodotto di welfare sempre più personalizzato. Come si
può intuire, quindi, viene sì progettato un modello collettivo di welfare che intende realizzare la felicità sociale, ma poi lo si declina materialmente in una dimensione individuale:
pensiamo, per esempio, alla previdenza e alla sanità.
Quali sono i problemi essenziali che dobbiamo porci quando parliamo di benessere? Innanzitutto, si osserva un abbandono definitivo dei progetti collettivi della società; si punta
molto, invece, a enfatizzare l’aspetto della libertà individuale, a scapito della dimensione
sociale. Ne consegue che l’individuo cerca il benessere, anche collettivo, in percorsi fram-
mentari e diversificati, che non consentono alle istituzioni e ai decision-maker di porre in
atto non solo campagne, ma anche programmi politici adeguati a un bisogno più ampio,
di tipo olistico. C’è il tentativo di creare invece, come alternativa, un vero e proprio “si-
stema benessere”, che risponda a benefici autentici e che comprenda tutte le dimen-
sioni, anche quella collettiva.
Gli studiosi stanno cercando di elaborare delle linee guide per i decision-maker sui concetti fondamentali oggetto della comunicazione rivolta al benessere della società e,
quindi, anche dei giovani.
Quali sono, pertanto, i valori alla base del benessere dei giovani? La fiducia, la prospet-
tiva verso il futuro, le serene relazioni reciproche? Abbiamo visto che, spesso, i momenti
di condivisione tra i giovani sono limitati al consumo e alla ricerca dello sballo. Dalle nostre ricerche è emerso che non c’è più una percezione di benessere come condizione
della propria persona all’interno di una collettività, ma che i giovani si percepiscono come
singolo, come individuo. Si avverte il bisogno, quindi, di ricostruire quella rete che l’indi-
vidualismo in qualche modo ha tolto ai giovani come strumento per il proprio benessere.
I giovani hanno davanti a sé una miriade di possibilità e di soluzioni, che possono essere
costruttivamente finalizzate dalle campagne istituzionali sul benessere.
La risposta delle nuove generazioni, quando non completamente affidata a soluzioni estreme
e marginalizzanti, è quella di un fitting in continuo della propria ricerca di benessere a con-
testi e circostanze estremamente variabili – da quelle più effimere a quelle più radicali - con
al centro quelle più propriamente consumistiche che fanno parlare gli studiosi, piuttosto che
189
di una cultura giovanile, di pluralistic and shifting sensibilities of styles: questi studiosi guar-
dano spesso alle condizioni collettive vissute nell’ascolto di musica o nella partecipazione
a social networks quali un processo di accettazione passiva di “mass-marketed and mass-
educational prepackaged identities”, da cui le identità multiple.
Spesso, le campagne istituzionali sono standardizzate sul singolo e sull’individuo e succede
frequentemente che i messaggi siano vissuti dai giovani come un’azione di programma di
pubblica utilità, con il rischio che l’utente divenga un ricettore passivo di un codice comunicativo che non avvince. Le immagini sono spesso spettacolari, il linguaggio è di intratte-
nimento e si avverte l’azione dall’alto delle istituzioni che, peraltro, mostra sempre quello
che non si deve fare, esercitando un’educazione in negativo. Contenuti e ruoli delle istitu-
zioni vanno a confondersi. I giovani nutrono una sorta di disaffezione nei confronti dell’au-
torità costituita che, non riuscendo a trasmettere indicazioni adeguate attraverso i messaggi
istituzionali, non riceve dai giovani il riconoscimento del suo stesso ruolo.
Prendendo spunto dal Piano Nazionale dell’alcol e dalla relazione annuale del Ministro
della Salute sulle campagne istituzionali del 2010, abbiamo analizzato la campagna “la
vita è una cosa meravigliosa”, proposta dalla Fondazione ANIA per la sicurezza stradale
attraverso la collaborazione con alcuni media, soprattutto della stampa. La Fondazione
ha chiesto alle redazioni giornalistiche di raccogliere le testimonianze (foto, immagini,
pensieri) di giovani che hanno perso i loro amici in incidenti stradali per eccesso di ebbrezza e di selezionarle, per poterle contenere in un libricino e di unirle ad altri pensieri
sul significato della vita. Il lavoro è stato realizzato e il libricino è stato pubblicato e diffuso anche nelle scuole. Per quanto meno efficace di altri strumenti ideologici e di par-
tecipazione, è importante sottolineare come lo stimolo trasmesso ai giovani è di tipo
costruttivo, grazie all’apporto di messaggi sul senso della vita e sul significato di benessere. Sul senso della vita sono state raccolte immagini scelte dai giovani che sono stati
coinvolti in questo progetto, affiancate da frasi famose e descrizioni celebri della vita,
come il testo della canzone di un gruppo famoso o una frase di James Dean. Vi si trovano,
inoltre, stimoli e messaggi sui valori intesi come bussole di orientamento per raggiungere
un’effettiva dimensione di benessere.
In questo modo, accanto alla finalità di tenere alta l’attenzione sul fenomeno, comunicare e spiegare il suo dramma e la sua gravità con un linguaggio il più possibile simile
a quello dei giovani, il progetto stimola i destinatari a riflettere non sugli effetti del danno
provocato da un eccesso di consumo di alcol, ma, in positivo, sul bene che possie-
dono e che potrebbero perdere. La stimolazione attiva dei destinatari della campagna
costituisce un interessante modello di evocazione di una presa di coscienza personale
sulle regole da rispettare, che si produce nel percorso biografico e nel contesto specifico del destinatario.
190
Alberto CONTRI71
Le buone prassi nella comunicazione: la campagna movimento
Nel 2011 la Fondazione Pubblicità Progresso, di cui sono presidente da 9 anni, compirà
40 anni. Nella nostra fondazione opera l’élite dei comunicatori italiani, le migliori agenzie
e le migliori società di ricerca; d’altronde, il prodotto che si studia al suo interno è di al-
tissimo livello. Di recente, Pubblicità Progresso è stata richiesta per alcuni progetti in
convenzione con due ministeri: purtroppo, i nostri contatti all’interno dei ministeri avvenivano con soggetti privi di esperienza specifica, e questa mancanza di esperienza è
stata responsabile del fallimento di alcuni progetti. In Inghilterra opera un organismo denominato COI, Central Office Information, l’equivalente teorico del nostro Dipartimento
per l’Editoria ma da cui, tuttavia, differisce notevolmente: più di 1.000 dipendenti realiz-
zano una campagna sociale alla settimana, perché il governo inglese considera i cittadini
dei clienti cui illustrare, per esempio, una nuova riforma farmaceutica o fiscale, per an-
nunciare l’inaugurazione di un nuovo troncone del metrò… In breve, non esiste una legge
che non venga comunicata ai cittadini attraverso questo servizio. Vi mostro una serie di
spot diffusi nel mondo, per illustrarvi come si fa la comunicazione dal punto di vista del
progresso. Attraverso il nostro sito è possibile accedere a una medioteca comprendente
più di 2.000 campagne tra le migliori nel mondo. Le abbiamo raccolte per mostrare come
si sviluppano le campagne all’estero. In particolare, vi mostro uno spot che spiega in sintesi che cosa significa comunicazione, che raccoglie in senso mirabile il concetto di educazione, “I bambini guardano, i bambini fanno”.
Soffermiamoci, poi, sul problema dell’obesità. In uno di questi, in particolare, predomina
l’ironia: il bambino scambia il seno del padre per il seno della madre. Altri sono meno
brillanti e intriganti, come questo, in cui si suggerisce di salire le scale anziché prendere
l’ascensore. In altri si utilizza un linguaggio più vicino ai giovani, in cui si privilegiano disegni animati, musica. Anche Pubblicità Progresso, sollecitata dalle imprese, ha svilup-
pato una campagna per il movimento: come ci ha spiegato l’Istituto Superiore di Sanità,
per quanto numerose possano essere le diete cui ci si sottopone, se non si fanno 10.000
passi al giorno non si calerà neanche di un grammo di peso. Ispirati da questo, abbiamo
voluto esprimere il concetto secondo cui un po’ di moto al giorno giova alla salute. Ab-
biamo coinvolto i migliori illustratori italiani, che hanno acconsentito a disegnare il decalogo della corretta alimentazione arricchendolo con alcune barzellette. Con questa
campagna multimediale abbiamo ottenuto un buon risultato.
Un altro esempio di campagna di successo è quella diffusa in Emilia Romagna a favore
di uno screening per la prevenzione del tumore del colon, realizzata con lo scopo di in71
Presidente Pubblicità Progresso.
191
vitare la collettività a sottoporsi alla colonscopia. Abbiamo coinvolto due medici esperti
di colonscopia, che si dilettano di musica e sono amici di Lucio Dalla. Abbiamo realizzato
con loro un videoclip, con la partecipazione di un cabarettista di Zelig: è andato in onda
sulle tv musicali locali e in tutti i cinema di Bologna e ha raccolto un successo strepitoso:
tutti si sono precipitati a farsi fare la colonscopia, fino a mettersi in lista d’attesa! La comunicazione può essere realizzata in modi diversi, ma anche con musica e con divertimento. Ma per fare una buona comunicazione, bisogna essere professionisti.
Matteo LUCHERINI72
L’esperienza dell’Associazione “Contatti”
Non sono un medico né uno psicologo o un comunicatore. Sono un genitore di 3 ragazzi e
sono qui per illustrarvi un recente progetto della nostra associazione.
Il 10 giugno 2010, in Piazza Savonarola a Firenze, abbiamo organizzato un brindisi estivo, ser-
vendo cocktail analcolici preparati esattamente come i più famosi superalcolici - Mojito, Spritz,
Margarita - ma con ingredienti analcolici: succhi di frutta, menta, acqua brillante, Coca Cola,
ecc. La festa in piazza ha coinvolto non soltanto i giovani studenti ma anche gli stranieri e, ina-
spettatamente, tantissimi bambini che festeggiavano la fine della scuola. Il brindisi analcolico
è stato un grande successo e il primo passo sul campo dell’operazione “Drink or drive - Un
etilometro nelle tasche di tutti”.
L’iniziativa “Drink or drive” nasce due anni fa dalla rabbia dei genitori di fronte all’ennesimo
morto sulle strade cittadine dovuto ad abuso di alcol e alla guida spericolata nonché alla dif-
fusione di appelli istituzionali che promettono più controlli politici, che si impegnano a trovare
la soluzione al grande problema sociale, su cui però dopo poco cala immancabilmente il si-
lenzio. Gli unici ad adoperarsi per cercare di risolvere il problema e sensibilizzare la popola-
zione rimangono coloro i quali il morto l’hanno avuto in casa, con il dolore immenso che non
permette di agire, talvolta, in maniera adeguata per suscitare l’attenzione delle istituzioni e dei
giovani. È per questo che ho deciso che dovevamo anche noi compiere azioni preventive e mirate, cercando un contatto con i ragazzi e trovando una maniera opportuna e il giusto equili-
brio per parlare dell’argomento. Ho chiamato l’associazione “Contatti - giovani e adulti
comunicano”, con l’aggiunta di una frase, per evidenziare ancor più la necessità di agire e di
ottenere risultati attraverso la comunicazione tra giovani e adulti. Sono le nostre coscienze, io
credo, a fare tutti questi morti tra i nostri figli, perché siamo terrorizzati e pensiamo che i no-
stri ragazzi non siano coinvolti nello specifico problema dei morti per guida pericolosa e abuso
di alcol. Ho sentito genitori dirmi: “Mia figlia la sera non esce quasi mai o, comunque, so dove
72
Fondatore dell’Associazione “Contatti - giovani e adulti comunicano”
192
va e con chi va”; oppure “Mio figlio non beve alcolici, non gli piacciono”. Poi, la risposta a
queste affermazioni è nel giornale del giorno dopo…
L’associazione da me creata ha avviato delle iniziative che prevedono incontri con gli studenti
delle scuole superiori fiorentine. Il primo di questi incontri è stato un fallimento, perché noi adulti
abbiamo partecipato a un’assemblea studentesca e abbiamo portato degli esperti: uno psicologo, un vigile urbano, un giornalista e un assicuratore medico. Il risultato è stato un ascolto pas-
sivo, senza coinvolgimento, benché il dibattito fosse aperto. Sono passate due ore senza che
nulla abbia lasciato il segno. Molti giovani hanno lasciato l’aula andando a fumare fuori, altri
hanno tenuto acceso l’Ipod durante tutta la lezione, ascoltando musica. Da allora, abbiamo
deciso di stravolgere la struttura dei successivi incontri. Ci siamo, quindi, recati in un altro liceo,
dicendo ai ragazzi che intendevamo tradurre in fatti concreti quello che ci saremmo detti in
fatto di sicurezza stradale e che intendevamo costituire una sorta di agenzia pubblicitaria, at-
traverso la quale intraprendere una campagna di comunicazione audio-video e stampa, con il
contributo di noi adulti e delle nostre conoscenze e contatti, ma realizzata dai ragazzi e rivolta
agli altri giovani. Una campagna fatta dai giovani per i giovani, quindi. Abbiamo invitato ragazzi
che studiano comunicazione e giovani pubblicitari, che hanno sviluppato con i ragazzi un piano
marketing; abbiamo proiettato nelle aule scolastiche delle slide con tantissime campagne so-
ciali nel mondo, per renderci conto di che cosa era stato fatto all’estero: ne è venuta fuori una
straordinaria riunione, che ha entusiasmato tutti. Quando è suonata la campanella, sono rima-
sti tutti a sedere! Quello che avevamo da dire ai ragazzi lo abbiamo detto, ma sotto forma di sug-
gerimento, collaborazione, partecipazione: erano loro a condurre la riunione, a decidere come
lavorare e gli adulti invitati fornivano solo un supporto tecnico alla stesura della campagna pub-
blicitaria e, aggiungo, un supporto economico. Abbiamo proseguito, poi, con qualcosa di con-
creto, recandoci all’Istituto d’Arte di Porta Romana di Firenze: dopo una lunga riunione,
anch’essa impostata come se fossimo in un’agenzia di comunicazione e pubblicità, abbiamo
lavorato per quattro mesi per produrre più di cento fra lavori grafici, spot radiofonici e video te-
levisivi. Gli spot radiofonici sono stati trasmessi per tre mesi sui circuiti Radio Blu, Radio Cuore
e Radio Fantastica della provincia di Firenze. È stato un immenso lavoro di creatività sull’argo-
mento che sconvolge maggiormente gli adolescenti: la morte di un proprio coetaneo. Quello che
ha colpito maggiormente è stato la crudezza dei messaggi disegnati e registrati dai ragazzi, la
viva realtà che traspare dai loro lavori. Niente mezze misure: sono andati giù duri, come noi
adulti non saremmo mai riusciti, con immagini e foto. Questa è, del resto, l’immagine che ave-
vamo proposto noi all’inizio della campagna, per dare loro il via.
I ragazzi hanno avuto più coraggio di noi nel trasferire l’immediatezza e la crudezza del mes-
saggio “Non guidare se hai bevuto, la vita è una sola”. Stiamo usando tutto questo materiale
grafico per la prossima tappa del progetto, “Un etilometro nelle tasche di tutti”. Siamo consapevoli di non poter risolvere i problemi del mondo, l’idea di un etilometro nelle tasche è am-
bizioso ma, se in vent’anni l’opinione pubblica è quasi riuscita a rendere la sigaretta non più
193
alla moda, perché non provare a farlo con l’alcol? Cerchiamo di infondere il messaggio “Bere
troppo = non essere alla moda”, sapendo che le motivazioni che portano a bere sono soprat-
tutto dettate dalle regole del gruppo, dello stare insieme senza inibizioni. Vorremmo agire con
l’aiuto dei ragazzi e dei loro opinion leader sul gesto del bere e di tirar fuori dalle tasche l’eti-
lometro. Non possiamo certo combattere contro le armi delle multinazionali dell’alcol, che
possono ottenere quello che vogliono con immani campagne pubblicitarie e sponsorizzazioni
mondiali che raggiungono i giovani ovunque: nelle scuole, con le immagini sul diario, alla radio,
sulle spiagge, in discoteca, ai concerti, su Internet. Vorremmo agire quindi su quella fascia di
giovani che sono di esempio per il gruppo, i loro opinion leader appunto, quelli che adottano
la tendenza e poi sono imitati.
Oltre alla realizzazione dell’etilometro, di cui vi parlerò a breve, abbiamo una strategia comu-
nicazionale in antitesi alla multinazionale dell’alcol e che gli studenti approfondiranno durante
questa stagione estiva. Non entrerò nei dettagli per motivi di tempo, ma si tratta di una meto-
dologia di approccio via Internet e tramite i social network, una sorta di passaparola mirato alle
conversazioni sul web, per diffondere il concetto di quello che è alla moda, in questo caso
l’uso dell’etiltest. Si tratta del metodo efficace e veloce dei web evangelist 2.0, già sperimen-
tato dalla Regione Toscana: un meccanismo rapido per la trasmissione di concetti e di idee,
che le multinazionali dell’alcol non possono né controllare né modificare. Per saperne di più
su questo affascinante argomento, trovate informazioni sul sito www.generazioni.org, in cui sto
introducendo un capitolo sull’argomento. Per ottenere risultati, sarebbe apprezzabile, oltre al
passaparola fra i giovani, disporre di una struttura operativa stabile con dei costi fissi.
La nostra azione è strutturata non agendo sulla proibizione dell’alcol bensì sul concetto di
“saper bere”. Come i mass media riescono a trasmettere i messaggi di tendenza e a diffon-
dere atteggiamenti alla moda e condivisi (bere birra in quantità ai concerti oppure uno Spritz
dietro l’altro perché è la bevanda meno costosa da bancone e più alla moda), allora possono
far passare anche i gesti di consapevolezza, come quello di estrarre un etilometro dalle tasche
e verificare se si è in condizioni di guidare. Vorremmo che questo gesto diventasse di ten-
denza e condiviso dal gruppo di appartenenza e ci adopereremo affinché gli etilometri mo-
nouso divengano una realtà nel nostro Paese. Gli apparecchi attualmente disponibili, peraltro,
non sono di facile reperibilità, costano molto (da 1 a 3 euro) e sono ingombranti, vanno gon-
fiati e devono essere trattati come rifiuti speciali. Tra i tanti etiltest sul mercato, abbiamo sele-
zionato insieme ai ragazzi il modello più adeguato, che può stare dentro un portafoglio e che
non rientra tra i rifiuti speciali. È munito di un piccolo tampone da porre sulla lingua e, in pochi
minuti, fornisce la risposta. Forse, è meno attendibile dei modelli più evoluti, ma ugualmente
efficace per il messaggio che vogliamo trasmettere: “Portalo con te, mettilo in tasca o nel por-
tafogli e usalo”. Gli studenti dell’Istituto d’Arte di Firenze stanno studiando il packaging e
stanno creando una sorta di galleria di immagini. Ci piacerebbe che, in futuro, il packaging
venga disegnato anche da cantanti o stilisti famosi, per rendere questi oggetti colorati, diver-
194
tenti e alla moda e distribuirli al prezzo simbolico di 20/30 centesimi. Non è facile trovare la
strada giusta: vorremmo che i gestori dei locali acquistassero questi apparecchi e li regalas-
sero ai ragazzi che frequentano il loro locale. Ci stiamo provando: il quotidiano La Nazione e
il Comune di Firenze ci stanno dando sostegno e visibilità. Il sindaco Matteo Renzi ha parte-
cipato al brindisi analcolico e ha patrocinato l’evento. Dobbiamo, però, raccogliere i fondi ne-
cessari per l’acquisto di grossi quantitativi di etilometri e per abbattere il prezzo. Siamo in
contatto con quattro famosi locali di Firenze che hanno contribuito all’organizzazione del brindisi analcolico e che appartengono all’associazione fiorentina VivaCity, che si è autoregola-
mentata nella somministrazione di alcolici ai giovani. In principio, erano entusiasti di poterli
donare ai giovani a ogni bevuta, ma si sono fermati quando hanno scoperto che, per abbattere i costi e portarli a 20/30 centesimi, occorrerebbe acquistare un milione di pezzi…
La strada è difficile da percorrere, se coinvolge soltanto genitori e gestori dei locali: serve il
contributo delle istituzioni. Se, però, una semplice idea dei genitori è diventata realtà a Fi-
renze, chissà cosa potrebbe succedere continuando con il nostro entusiasmo: fermarsi in
riva all’Arno è un’eresia, questo è un problema di tutti. Desidereremmo che tutta la fatica
spesa per organizzare l’iniziativa “Drink or drive” fosse usata come base per un’operazione
su vasta scala. Ho comunicato questa nostra iniziativa al ministro Meloni, che so essere una
persona concreta. Saremmo immensamente felici se il lavoro di due anni si evolvesse in una
campagna nazionale e trovassimo i fondi necessari per l’acquisto a basso costo degli etilo-
metri, in modo da permettere ai gestori dei locali di regalarli ai ragazzi e sensibilizzarli su
questo problema.
Irma CASULA73
Giovani ed alcol: interventi di prevenzione
Il Modavi Onlus (Movimento delle associazioni di volontariato italiano) che qui rappresento,
in cooperazione con il Consorzio Scuola Lavoro, coordina il progetto “Operazione Naso
rosso” promosso dal Ministro della Gioventù e dall’Istituto Superiore di Sanità. Si tratta di
un progetto di ricerca e prevenzione globale delle stragi del sabato sera e, insieme, di
un’azione d’intervento a carattere nazionale che si estende a undici province italiane distri-
buite nel Nord e Sud Italia, anche per analizzare se l’incidenza dell’alcol ha una rilevanza diversa nei diversi contesti geografici.
“Operazione Naso rosso”, che si svolge all’interno dei locali notturni, si prefigge di tracciare
un profilo del consumatore di alcol tra le giovani generazioni: in che condizioni arriva un ra-
gazzo al locale in tarda notte, quanti anni ha, quale influenza ha il sesso nell’approccio con l’al73
Presidente nazionale Modavi onlus; Responsabile “Operazione Naso rosso” a cura del Dipartimento della Gioventù
195
col. Il progetto è stato avviato quattro mesi fa e ha già raccolto dei dati preliminari che ci met-
teranno presto in condizione di fornire dati utili per acquisire nuove conoscenze e ci aiute-
ranno ad ideare strategie d’intervento più appropriate al profilo del giovane consumatore
d’alcol che andremo a delineare.
Il progetto all’interno dei locali notturni è condotto da una squadra di giovanissimi operatori
che, attraverso un rapporto tra pari, tentano di spiegare ai coetanei che l’uso di sostanze stu-
pefacenti, l’abuso di alcol e qualsiasi comportamento insano e scorretto può avere conse-
guenze gravissime per la loro salute e quella degli altri. I giovani operatori introdotti all’interno
delle discoteche, inoltre, registrano in ingresso e in uscita il tasso alcolemico dei ragazzi pre-
senti; l’adesione non è obbligatoria, ma è comunque richiesta preventivamente, per consentirci di raccogliere un certo numero di dati prima dell’ingresso in discoteca.
Abbiamo chiamato l’équipe di giovani operatori “Tribù Naso Rosso”. Se in uscita il tasso al-
colemico del ragazzo è elevato, superiore a quanto consentito dalla legge, può essere riac-
compagnato a casa da un mezzo “Naso rosso”, un’auto guidata da un operatore “Naso rosso”
– un elemento di innovatività del progetto. Con questo, non si deve intendere che il giovane
possa sentirsi autorizzato a bere perché sa che gli operatori “Naso rosso” provvederanno al
suo accompagnamento a casa. Questo progetto prevede, infatti, tutta una serie di attività di
prevenzione che rappresentano, in realtà, l’essenza, l’aspetto più rilevante del progetto e che
sono condotte dagli stessi giovani con l’ausilio di strumenti tipicamente giovanili, volti a spie-
gare ad altri giovani gli effetti che i comportamenti eccessivi possono causare.
Nel corso del tempo, questo progetto sta subendo delle evoluzioni, tanto che, sempre nella
logica dell’educazione tra pari, abbiamo intenzione di lanciare un concorso musicale attra-
verso il quale chiedere a tutti i giovani con i quali entriamo in contatto nei locali notturni di
proporci una canzone che vorremmo diventasse la colonna sonora di “Operazione Naso
rosso”. Tale brano musicale dovrà in qualche modo ispirarsi al progetto ed incentivare tutti
i giovani ad assumere stili di vita sani e corretti.
Con “Operazione Naso rosso” il Modavi ha contribuito a dare continuità al processo edu-
cativo e di sensibilizzazione dei giovani sul consumo di alcolici e sull’uso di sostanze psi-
cotrope. Per la prima volta si è assistito ad una campagna informativa svolta sul campo, tra
i giovani, al fine di raggiungere più velocemente e in maniera più diretta quella fascia d’età
che va dai 18 ai 35 anni.
In un modo alquanto insolito ed originale ci siamo proposti nei luoghi di svago, abbiamo por-
tato avanti campagne di informazione e promozione volte a diffondere una maggiore consa-
pevolezza dei danni derivanti dall’uso di sostanze stupefacenti e dall’abuso di alcol; lì abbiamo
conosciuto i nostri futuri “operatori” ed utenti, abbiamo parlato con loro, li abbiamo coinvolti
in questa iniziativa ed abbiamo potuto osservare che, dapprima diffidenti, i ragazzi hanno poi
iniziato a considerarci un punto di riferimento. Solo grazie a questo rapporto tra pari instau-
rato tra gli operatori “Naso rosso” e l’utenza è stata possibile l’ottima riuscita del progetto.
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“Operazione Naso rosso” è diventato anche per i gestori dei locali una formula vincente nel-
l’informazione e nelle attività di prevenzione all’interno dei locali notturni. Un modo nuovo ed
originale per affrontare temi delicati ed avvicinare i giovani, in un’atmosfera allegra, per far crescere e maturare in loro l’importanza dell’assunzione di un comportamento responsabile.
Infine dobbiamo sempre soffermarci sulle cause del disagio sociale, scardinando quei modelli
culturali secondo i quali abusare di alcol e usare droghe è cool, promuovendo invece stili di
vita sani. Per questo è necessario, inoltre, intervenire soprattutto sulla deresponsabilizzazione
della famiglia e degli educatori in generale che da tempo hanno abdicato al loro ruolo.
Questo progetto ci insegna che il disagio si combatte con un coinvolgimento attivo e reale dei
giovani. Possiamo parlare di “divertimento responsabile”: ai giovani dobbiamo far capire che
per divertirsi non è necessario ubriacarsi od assumere sostanze stupefacenti; la politica, dal
canto suo, deve concentrarsi sulla prevenzione intelligente, senza demonizzare la vita notturna
giovanile o scivolare in generalizzazioni estemporanee. Occorre abbandonare quell’atteggia-
mento paternalistico e il disimpegno educativo, facce di una stessa medaglia, concedendo al
giovane maggiore fiducia ed optando per una corresponsabilità tra giovani e adulti.
Mauro BOLDRINI74
Le buone prassi: il progetto “Scegli tu”
Vi presento un progetto condotto dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, riportandovi
innanzitutto due dati importanti sulla situazione in Italia: ogni anno nel nostro Paese si registrano
circa 10.000 gravidanze per ragazze di età inferiore ai 19 anni e sono oltre 1.300 le richieste di
aborto inoltrate al giudice tutelare dalle minorenni. Per converso, il dato sulla diffusione della
contraccezione ormonale è stazionario: da 11 anni solo il 16,3% delle donne italiane ricorre ad
esso. Questi dati collocano l’Italia agli ultimi posti in Europa; viceversa, siamo il 6° Paese euro-
peo per consumo di contraccezione di emergenza.
A partire da questi dati, la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, che raccoglie oltre 10.000
ginecologi in tutta Italia, ha deciso di intraprendere nel 2005 il progetto “Scegli tu” a favore
della salute sessuale della donna e della promozione di una sessualità responsabile e consa-
pevole, affinché i ragazzi vivano serenamente la propria sessualità, al di là di qualsiasi giudizio
moralistico. In questi cinque anni ci siamo rivolti alle giovani donne di età inferiore ai 25 anni
attraverso un rapporto diretto, attraverso i media, le famiglie e anche le istituzioni: due volte all’anno promoviamo, inoltre, seminari nazionali. Abbiamo attivato un numero verde per la con-
traccezione, che consente a tutti i ragazzi e ragazze di poter parlare con operatori, specializzati
in comunicazione, una volta alla settimana. La nostra tendenza è quella di non medicalizzare
74
Direttore Ufficio Comunicazione SIGO
197
il servizio bensì di compiere un’operazione di counseling: il servizio è attivo dal settembre 2007
e abbiamo ricevuto 5.000 telefonate all’anno. Abbiamo pubblicato un milione di copie di opu-
scoli informativi e avviato diverse attività legate anche al mondo dello sport e dell’alimentazione.
Abbiamo, infatti, sviluppato una forte campagna con il CONI, coinvolgendo campionesse spor-
tive come testimonial, e pubblicato alcuni libri su cibo e sesso, le “ricette d’amore”, che hanno
consentito di unire un tema leggero e di fornire degli strumenti educativi importanti che, in
qualche modo, ci consentissero di raggiungere il target. Abbiamo pubblicizzato l’iniziativa su
Youtube, pubblicando un video che ha raccolto 140.000 visite, in cui si forniscono istruzioni utili
sul sesso prima delle vacanze estive. Abbiamo organizzato 4 Focus Group in tutta Italia, da cui
è scaturita un’analisi molto severa in merito alle dieci false credenze più diffuse. Per esempio:
“Se faccio l’amore e poi mi lavo con la Coca Cola, non rimango incinta.” Oppure: “Se lo fac-
cio di notte, non rimango incinta.” “La prima volta è impossibile rimanere incinta.” Si tratta di
convinzioni erronee, ma molto diffuse. Per quanto svegli siano i giovani, l’ignoranza su questi
argomenti è ancora profonda. Gli opuscoli informativi che abbiamo distribuito sono disponibili
in diverse lingue, compreso il cinese, e sono stati forniti agli studenti prossimi alla maturità
scolastica. Abbiamo preso accordi con i capi delle comunità estere residenti in Italia, per dif-
fondere, specialmente alle giovani donne del Nord Africa, alcuni messaggi-chiave. L’iniziativa
ha avuto molto successo e ci ha consentito di raggiungere una popolazione troppo spesso ai
margini. Abbiamo creato un vero e proprio kit per l’educazione sessuale (pensate che la prima
proposta di legge per l’inserimento dell’educazione sessuale in questo Paese risale al 1910: è
passato un secolo e siamo ancora qui a discutere): forniamo alle scuole che ne fanno richie-
sta un set di diapositive e un magazine che viene poi lasciato ai ragazzi. Finora abbiamo rice-
vuto 300 richieste dagli istituti scolastici. Abbiamo distribuito oltre 150.000 magazine per
consentire ai ginecologi, quando vengono chiamati, di tenere le loro lezioni nel modo meno ac-
cademico possibile, molto più diretto. Abbiamo realizzato una campagna di informazione TV
e abbiamo collaborato con Radio Deejay. Lo scorso anno abbiamo costituito una partnership
con il CTS, ente cui gli studenti si rivolgono abitualmente per raccogliere informazioni sui pro-
pri viaggi: abbiamo diffuso una guida che insegna le frasi utili in lingua straniera, da utilizzare
in caso di bisogno, come: “Dove posso trovare la pillola di emergenza?” “Hai il profilattico?”.
Abbiamo proposto il “passaporto dell’amore”, un ulteriore strumento di informazione sul sesso
nel periodo di vacanza all’estero. Altre nazioni hanno chiesto di poter esportare il modello di
questo progetto, tra cui la Gran Bretagna, la Polonia e la Russia.
Abbiamo senz’altro incontrato molteplici difficoltà: alcuni gruppi più conservatori, come quelli cat-
tolici, sono fondamentalmente contrari a parlare di contraccezione. Ma noi siamo tecnici e, come
tali, ribadiamo la necessità di affrontare un discorso laico, che non riguarda la sfera morale.
Ci auguriamo che, dopo cinque anni di attività e alcuni numeri raccolti, questa campagna possa
diventare un progetto quanto meno patrocinato dal Ministro della Gioventù.
198
Stefano SEPE75
Salute dei giovani e comunicazione istituzionale
Che cosa fa lo Stato? Che cosa fanno e che cosa potrebbero fare le istituzioni per i problemi
dei giovani? Il tema della salute dei giovani è un tema nodale, è uno dei parametri di misura-
zione del livello di civiltà di un Paese. Come vedremo, da una parte le attenzioni sono alte e
dall’altra i disagi e i ritardi gravissimi.
Nell’articolo 32 della nostra costituzione è sancito il diritto alla salute. I pubblici poteri hanno
nelle loro mani un ruolo fondamentale dal quale non possono declinare; eppure, nelle attività
di comunicazione sul tema della salute dei cittadini le istituzioni italiane sono troppo “timide”.
Un dato al riguardo: nel piano nazionale 2010/2012 del Ministero della Salute si espongono ragionamenti molto raffinati su come l’amministrazione debba guardare al problema della qua-
lità di vita dei cittadini, ma non c’è un cenno al ruolo che possono avere le attività di
comunicazione e di informazione. Nel rapporto di quest’anno, invece, curato dal dipartimento
che si occupa della valutazione della qualità, che coinvolge agenzie regionali oltre a un’agen-
zia nazionale, si pone diffusamente la necessità di intraprendere delle campagne in sinergia
con le istituzioni locali, i cosiddetti “corpi intermedi”, cioè le associazioni.
Quali sono i problemi legati alla comunicazione? Primo: purtroppo, la non eccellente reputa-
zione delle nostre istituzioni è tale per cui la propensione della collettività all’ascolto di quello
che fanno o che dicono le istituzioni non è sempre ottimale: questo è un punto molto critico
per la nostra società, ma è un dato di fatto. Secondo: il mondo dei giovani ha i propri circuiti
di informazione e di comunicazione. Penetrare in questi circuiti e comunicare efficacemente
con i giovani è molto difficile per le istituzioni. A mio parere, come un padre o una madre che,
anziché tentare di farsi ascoltare da un figlio, provano ad ascoltare, allo stesso modo quello
che le amministrazioni dovrebbero fare è innanzitutto porsi maggiormente in ascolto.
Potrebbe giovare abbandonare il modello semi sovietico e fortemente centralistico della
Legge 150 del 2000, secondo cui tutto deve rifluire verso il centro, e cercare di attivare,
invece, altri circuiti. Occorre allora, tanto per cominciare, cercare di coinvolgere le istitu-
zioni catturando l’attenzione dei suoi funzionari che, singolarmente, sono capaci di agire
molto favorevolmente rispetto alle richieste che possono giungere da un nucleo di geni-
tori, da un consiglio di istituto piuttosto che da altre amministrazioni o da altre parti. Occorre partire dal basso, a significare dalla società civile in senso proprio. Quello che le
amministrazioni pubbliche possono fare è creare una rete di relazioni reciproche, per poi
sostenere e supportare anche finanziariamente le attività. Le azioni svolte dai singoli, in-
fatti, spesso non riescono ad avere la visibilità necessaria, mentre le amministrazioni, facendo rete, potrebbero agire molto di più e più proficuamente.
75
Docente di Comunicazione Pubblica presso l’Università LUISS di Roma.
199
Un esempio su tutti della necessità di creare rete e relazioni reciproche. Il Ministero della Gio-
ventù, in collaborazione con altre associazioni, ha istituito la Carta Giovani a livello nazionale,
che concede ai ragazzi dai 15-16 anni ai 35 anni di godere di particolari sconti per l’accesso
a club sportivi, biblioteche, musei civici, anche il rimborso-spese per recarsi a un colloquio di
lavoro. Questa carta esiste, ma nessuno ne è a conoscenza: eppure, facendone richiesta, il
giovane che possiede i requisiti la ottiene subito e può usufruire dei finanziamenti apposita-
mente erogati. Questo progetto del governo è senz’altro encomiabile e meritorio, ma se non
viene comunicato, soprattutto da parte degli amministratori locali, è del tutto vanificato. Sem-
bra quasi che lo sforzo maggiore da parte delle istituzioni sia quello rivolto a formulare progetti,
non a metterli in pratica, forse perché l’attuazione è subordinata a una serie di passaggi bu-
rocratici tali da rendere difficoltosa la realizzazione concreta dei progetti stessi. Purtroppo, vi-
viamo in uno stato abituato a ragionare più in termini di adempimenti normativi che di qualità
del servizio: è più importante rispondere alla legge o soddisfare un’esigenza della collettività?
La migliore risposta, a mio parere, sarebbe: faccio tutto quello che è in mio potere per soddi-
sfare i bisogni della comunità, anche inventando strade nuove, ma senza violare le leggi.
Maria MORENI76
Da Showbility a Etic media: nuove alleanze inedite per rendere il
mondo un posto migliore
La mia attività di tecno umanista si estrinseca nella comunicazione persuasiva etica, volta alla
ricerca di soluzioni a problemi caratterizzanti prevalentemente i componenti giovani della so-
cietà e a veicolare loro valori eticamente sani. A nome del comitato tecnico-scientifico che rap-
presento, in cui confluiscono membri di prestigiose organizzazioni, come l’Università La
Sapienza, cinema Raitrade e Mediaset, ho in questa sede l’occasione di presentarvi una “ri-
cetta” per aiutare i giovani ad acquisire i valori morali attraverso l’esperienza diretta. Il progetto,
risalente al 2004, è stato collaudato e sperimentato nella regione Lombardia, dove ha dimostrato
di funzionare decisamente bene: questo successo ci ha spinto a proporlo qui, affinché se ne
abbia conoscenza e si possa replicare altrove.
Qual è la missione di questo progetto? La missione possibile è quella di responsabilizzare i giovani ai valori della vita e della solidarietà, affinché si possa prevenire e curare il disagio esi-
stenziale dei giovani. Operiamo in questa direzione potenziando le abilità individuali dei giovani,
indirizzandoli a impiegare il proprio tempo libero in modo qualitativo, costruttivo e premiante e
aiutando concretamente i genitori e i centri educativi nel processo educativo dei giovani. Ve-
diamo insieme se ce l’abbiamo fatta.
76
Presidente dell’Associazione Physeon.
200
Innanzitutto il nome: showbility è un neologismo e significa mostrare responsabilità e nobiltà. Si
tratta di un percorso di miglioramento sociale attivabile ovunque, che coinvolge sinergicamente
e simultaneamente i giovani, il terzo settore, le imprese socialmente responsabili, il mondo dello
showbusiness, della musica, dello sport e della cultura in un circolo virtuoso vantaggioso per tutti.
Tale circuito è dedicato ai giovani di età compresa tra 11 e 25 anni che si iscrivono al programma.
Il programma prevede che i giovani iscritti dedichino parte del proprio tempo libero allo svolgi-
mento di attività socialmente utili gestiti da enti no profit esistenti sul territorio. Ne ricevono in
cambio: punti validi per la patente, offerte dagli sponsor, opportunità esclusive a loro riservate,
provenienti dal mondo dello spettacolo, dai media, dai vip e dai partner del progetto.
Modalità di svolgimento del programma: il giovane interessato si iscrive ai “showbility point”,
ovvero alle associazioni coinvolte che hanno fatto richiesta di attivare il progetto nelle univer-
sità e nelle scuole; l’iscrizione può avvenire anche sul portale showbility.net. Ad iscrizione av-
venuta, il soggetto risponde a un questionario attitudinale e firma un codice etico, il cosiddetto
“patto”. A questo seguono gli incontri presso lo showbility point della propria città con gli
showbi-coach, che pianificano le attività socialmente utili. Queste figure sono gli educatori, for-
mati in maniera specifica sulla metodologia del coaching e, quindi, a indirizzare i ragazzi affin-
ché conseguano in breve tempo i risultati di auto-miglioramento. I coach accompagnano gruppi
di ragazzi divisi per fascia di età, li ascoltano, li indirizzano nel percorso di crescita personale e
diventano un punto di riferimento periodico; organizzano meeting motivazionali e accreditano
i punteggi. A questo punto i nostri giovani sono diventati degli showbiangel e ricevono la loro
divisa. Le divise, che danno la possibilità di uniformarsi in un gruppo, hanno caratteristiche
molto peculiari. I nostri ragazzi sono divisi in tre tipologie diverse: noi abbracciamo le scuole
medie superiori e l’università con metodologia di assistenza educativa diversa e con attività
esperienziali diverse e personalizzate. Una volta ritirata la divisa, i ragazzi ricevono una show-
bicard e scelgono la propria attività tra quelle in programma. A seconda dello showbility point,
le attività possono essere previste e organizzate per il weekend, ma anche nel periodo infra-
settimanale, soprattutto durante le vacanze estive. I ragazzi scelgono l’attività che preferiscono
e avviano il proprio percorso di miglioramento personale, guadagnando contemporaneamente
dei punti premio molto interessanti.
Attività del programma: i nostri ragazzi andranno a rafforzare il no profit già esistente sul territo-
rio. Il nostro programma, infatti, non prevede la creazione di nuovi no profit, bensì il sostegno alle
persone che già lavorano e che hanno bisogno di assistenza nello svolgimento della propria at-
tività: fra queste, vi sono la pulizia dei parchi, l’attività in canili e gattili, la collaborazione con la
protezione civile, l’animazione con bambini o anziani, l’assistenza ai malati, invalidi e bisognosi,
nonché il disco-volontariato, ovvero un progetto specifico rivolto alle discoteche. A seconda
delle ore dedicate a queste attività, vengono caricati dei punti di lavoro sulla showbicard, che
consente, tra l’altro, di ottenere sconti e offerte esclusive all’interno del circuito degli sponsor. In
pratica, sulla base delle attività svolte vengono corrisposti dei punti cumulabili: più punti si rac-
201
colgono, più premi si ricevono. I premi possono essere scelti tra quelli disponibili sul catalogo
on line o essere ritirati presso lo showbility point piuttosto che presso la sede dello sponsor.
Tipologia dei premi: si va dalle tessere telefoniche, ai biglietti per il cinema, alla piega dal par-
rucchiere, all’ingresso in discoteca, sulla base di quello che gli sponsor mettono a disposizione.
Il nostro programma offre anche la possibilità di frequentare corsi di formazione on line di vario
genere: da quelli volti a perfezionare le facoltà mnemoniche o la relazione con gli altri. Si tratta
di corsi di auto-miglioramento del tutto gratuiti. Attualmente sono attivi 38 corsi. Showbility è il
primo programma al mondo patrocinato dal mondo dello showbusiness entertainment, cioè
dalla musica, dallo sport e della cultura. Sono previsti, quindi, anche i premi vip. Questa tipo-
logia di premi si riconduce a una tendenza che stiamo cercando di lanciare: noi promoviamo
l’impegno e riteniamo che la vera trasgressione oggi sia l’impegno. Con l’aiuto del mondo dello
spettacolo, dei media e della moda, stiamo lanciando la tendenza secondo cui “impegnarsi è
in e disimpegnarsi è out”. Da qui lo slogan “chi non c’è è fuori”: solo i ragazzi iscritti allo Show-
bility, che rendono il mondo un posto migliore, possono avere l’opportunità di essere fotogra-
fati con il cantante o il calciatore del cuore, svolgere un’attività socialmente utile in compagnia
di un vip, essere invitati come dei vip ad eventi speciali, nonché partecipare a programmi radio
e tv dedicati: solo chi rende il mondo un posto migliore merita di andare in televisione.
Abbiamo fondato anche una web tv chiamata Eticmedia, che rappresenta un progetto scien-
tifico-tecnologico: i ragazzi che praticano attività socialmente utili vengono ripresi nel corso
delle proprie attività. Noi riteniamo, infatti, che, se tu rendi il mondo un posto migliore, meriti di
essere valorizzato e di ricevere visibilità. Attraverso il portale, tutti gli showbiangel possono comunicare fra loro.
Abbiamo sperimentato e certificato questo progetto nell’anno 2005-2006 nella regione Lom-
bardia. Dalle opinioni dei giovani raccolte attraverso questionari di valutazione è emerso che
l’esperienza è stata molto apprezzata, perché offre l’opportunità di vivere in modo diretto l’aiuto
al prossimo, di stringere nuove amicizie, di sentirsi utili, umanamente appagati, di far parte di
un gruppo di tendenza, di impiegare intelligentemente il tempo libero, di entrare in contatto con
il mondo dello showbusiness e di ricevere l’attenzione e il consenso dei genitori. Il progetto
piace, perché dà l’occasione di far sviluppare e rafforzare nei giovani il senso di responsabilità
all’impegno sociale; le attività proposte, personalizzate sulla base delle attitudini dei singoli, ac-
crescono l’autostima, l’autonomia e la competenza dei ragazzi. Gli educatori sono sempre di-
sponibili e sono in grado di dialogare con i giovani attraverso il loro linguaggio.
Il progetto piace anche alle istituzioni, perché, essendo un format, è attivabile in qualunque
posto e in qualunque luogo, grazie al considerevole supporto tecnologico di cui è dotato. Le
istituzioni sono direttamente coinvolte e partecipano al progetto. Ricordiamo che la nostra web
tv manda in onda tutto ciò che può rendere il mondo un posto migliore: invitiamo, pertanto, tutte
le associazioni presenti, che hanno l’esigenza di comunicare le proprie iniziative, di inviarci i
propri contenuti, offrendo loro la visibilità e l’attenzione che meritano.
202
Sara MASSINI77
Lotta al tabacco
L’associazione studentesca AICEM, Associazione Italiana Cooperazione Europa Mondo,
che qui rappresento, ha organizzato la campagna “Help – per una vita senza tabacco”, de-
dicata ai giovani in un’ottica di prevenzione e promossa dalla Commissione Europea nei 27
Paesi dell’Unione Europea. La Sapienza e Roma 3 hanno cooperato alla realizzazione di
quest’iniziativa, che prevedeva la misurazione del tasso di monossido di carbonio nei pol-
moni dei ragazzi che hanno aderito. Il CoTest si svolge come segue: al soggetto viene consegnato una sorta di boccaglio, all’interno del quale dovrà soffiare per un certo numero di
secondi. Il risultato compare subito. Personale specializzato è a disposizione degli studenti
per ogni eventuale spiegazione. Differentemente dagli altri Paesi europei coinvolti, l’Italia ha
introdotto una piccola innovazione, prevedendo la presenza di psicologi, con lo scopo di rasserenare i partecipanti.
Spesso si fuma per dare sfogo al nervosismo accumulato, per noia, per abitudine, per il pia-
cere della gestualità. Attraverso la nostra campagna, invitiamo a verificare la numerosità di
sigarette usualmente fumate ogni giorno e a cercare di eliminarne qualcuna: questo ap-
proccio è valido sia per i giovani sia per gli adulti. Molti adulti, infatti, si sono sottoposti al-
l’esperimento. La campagna si pone allo spettatore con molta immediatezza, il video ricorre
a colori molto vivaci e giovanili. Visitando il nostro sito, www.help-eu.com, è possibile ottenere moltissimi consigli e visualizzare 15/16 video che riportano la testimonianza dei ragazzi
che si sono sottoposti al test e che invitano a cercare di ridurre gradualmente, come hanno
fatto loro, il numero di sigarette.
Non è preoccupazione o ansia che questa campagna desidera trasmettere bensì consape-
volezza degli effetti che il fumo può indurre. La formula su cui si basa questa campagna non
è di tipo aggressivo: il nostro è un invito a ridurre gradualmente il numero di sigarette e, suc-
cessivamente, a cercare delle soluzioni per smettere del tutto, sempre con gradualità.
77
Rappresentante dell’associazione studentesca AICEM, Associazione Italiana Cooperazione Europa Mondo.
203
I REPORT
Educazione sessuale ed epidemiologia
delle infezioni sessualmente trasmesse
Rapporteur: Giuseppe La Torre78
Le tematiche dell’educazione sessuale e delle infezioni sessualmente trasmesse rappresen-
tano argomenti di estremo interesse nel panorama odierno del patrimonio di conoscenze che
I giovani devono possedere per un corretto approccio alla sessualità. Purtuttavia, diverse ri-
cerche dimostrano quanto questi temi siano sottovalutati nella formazione dei giovani.
L’occasione della prima Conferenza Europea “Salute e Benessere dei Giovani” (Roma 16-18
Giugno 2010) ha consentito di dibattere queste tematiche in un apposito workshop moderato
dal Prof. Giovanni Rezza dell’Istituto Superiore di Sanità, con il contributo sia di esperti della materia, sia con i beneficiari di tale formazione, cioè i giovani stessi.
Il Prof. Villari, igienista della Sapienza Università di Roma, ha presentato il quadro dell’anda-
mento delle malattie infettive, mettendo in evidenza l’incremento della mortalità per tali patolo-
gie, verificatosi alla fine del secolo scorso (1980-2000), specialmente per malattie quali l’AIDS
e la Tubercolosi. Nei Paesi occidentali la parte della popolazione affetta dalle malattie infettive
è rappresentata prevalentemente da persone con basso livello di scolarità. Relativamente alle
malattie sessualmente trasmesse, il trend per la sifilide e la gonorrea è stabile, l’AIDS conclamata è in diminuzione, mentre l’infezione da HIV in alcune parti d’ Europa è in aumento. Nel-
l’ambito della prevenzione quale può essere il ruolo di internet? In altri termini, internet può
essere utilizzato per migliorare la salute “sessuale” dei giovani? In questo contesto occorre che
i contenuti presenti nei siti internet sull’argomento siano attentamente valutati, utilizzando cri-
teri propri della Medicina Basata sulle prove di Efficacia (Evidence Based Medicine, EBM). L’uso
di internet è potenzialmente positivo (si pensi all’uso di social network), ma occorre lavorare an-
cora molto per poter dare risposte soddisfacenti in termini di correttezza dei contenuti. In que-
sto ambito, è fondamentale il ruolo dei medici nel dare idee sulla disponibilità e sicurezza di
informazioni sul web su queste delicate tematiche.
La reazione dei “Giovani” ha evidenziato aspetti eterogenei quanto complementari. L’uso dei
media da parte dei giovani, sia sotto forma di riviste che di pagine web è necessario per for-
nire corrette informazioni e “istruzioni per l’uso”, nel campo della prevenzione delle MST (come
prevenire la trasmissione del virus HIV, come utilizzare un preservativo). Altrettanto importante
nella diffusione delle corrette informazioni, non contraddittorie, in materia di sessualità è il ruolo
dei medici, ma in questo campo le donne hanno il vantaggio di avere un solido punto di riferimento, lo specialista in ginecologia, mentre per gli uomini spesso le uniche informazioni in me-
rito sono quelle relative all’esperienza trasmessa dai pari.
78
Professore Associato Sezione di Medicina Clinica e Sanità Pubblica, Università. “Sapienza”
207
Il Prof. Vittori, della Società Italiana di Ostetricia e Ginecologia, ha rimarcato che la comu-
nità scientifica non vive in un mondo di cristallo, ma anzi serve a capire il mondo reale. Discipline quali l’Ostetricia e la ginecologia riguardano aspetti sociali, l’equità, il futuro del
genere umano. In questo periodo storico risulta quanto mai importante identificare le priorità, dal momento che abbiamo di fronte un nuovo ambiente psico-sociale. I tassi di fecon-
dità sono in diminuzione, mentre l’età media della donna al primo figlio mostra profonde
differenze fra le Italiane e le straniere (Vedi figura)
italiane_2004
49
46
43
40
37
34
31
28
25
22
19
16
200
180
160
140
120
100
80
60
40
20
0
13
tassi di fecondità per 1000
Tabella 5. Tassi di fecondità specifici per età e cittadinanza delle donne residenti in Italia. Anno 2004
Età
straniere_2004
D’altro canto, il ricorso al taglio cesareo mostra un trend in aumento, non solo in Italia, ma
anche in altri Paesi, sia per motivi medico-legali che culturali.
Il Progetto “Scegli tu”, partito nel 2005, riguarda la salute sessuale delle donne: un terzo delle
ragazze che ha attività sessuale non fa uso di alcun tipo di contraccettivo. “Scegli tu” promuove
l’informazione corretta attraverso strumenti innovativi, quali Youtube, Second life, ma anche
attraverso campagne tradizionali che si avvalgono di opuscoli. La reazione dei “Giovani” ha ri-
badito quanto l’uso evidence based delle nuove tecnologie sia importante per diffondere corrette informazioni con mezzi adeguati ai tempi.
La Dott.ssa Matone ha portato la sua esperienza di Sostituto Procuratore affermando di aver
conosciuto durante la sua attività diversi giovani di età compresa fra 14 e 18 anni, “devianti” e
normali, con confini molto labili, e che le vicende che coinvolgevano questi ragazzi erano cri-
minali e molto spesso riguardavano la sessualità. Emblematico il processo di Civitavecchia, nel
quale venivano giudicati circa 20 minorenni che avevano abusato sessualmente di 3 bambine
di età compresa fra 11 e 17 anni. La cosa sconcertante era che nessuno si era mai accorto di
quello che i ragazzi facevano. Una volta emersa la vicenda, il padre di una delle ragazze vittime
di violenza, tentò di abusare sessualmente di uno di loro con un ramo d’albero. La vita sessuale
delle vittime, dei colpevoli, dei genitori veniva passata sotto una lente, l’educazione sentimen-
tale era sostanzialmente inesistente. Questioni come “usare” le ragazze come un oggetto, ma
208
anche l’incapacità dei genitori di leggere negli occhi delle proprie figlie, affiancata dalla curio-
sità morbosa dei giornali, rende queste vicende difficili da affrontare con equilibrio. In materia
sessuale, prostituzione minorile, l’Italia ha un sistema giuridico forte, che non riesce ad inci-
dere però sulla sessualità dei giovani.
Perché le violenze accadono? Esiste un rischio di trasmissione di infezioni trasmissibili ses-
sualmente (IST)? Esiste un rischio di gravidanza indesiderata? L’educazione sessuale di fatto
non esiste. L’educazione sanitaria è profondamente diversa per le femmine e i maschi. Le fem-
mine vanno dal ginecologo, anche con la mamma. I ragazzi sanno a malapena i rischi delle IST,
ed allora le campagne di prevenzione vanno commisurate al grado di consapevolezza degli
utenti. Mentre fra gli argomenti portati nelle scuole vi sono le differenze di genere, il razzismo,
la violenza in famiglia, la salute sessuale è ancora un tabù. In questo ambito andrebbe realiz-
zato quanto già fatto per l’anoressia: occorre pensare a campagne prodotte da pubblicitari con
il contributo dei giovani, inserire all’interno delle fiction l’uso dei preservativi. Progetti affettivi-
sessuali esistono in maniera sporadica nel nostro Paese, ma occorre spendere più tempo per
la progettazione e la realizzazione. E ancora una volta l’uso dei media (si pensi alla trasmissione televisiva “Crozza Italia” dove esiste uno spot efficace sull’uso del condom, o la tecno-
logia iPad) può rivelarsi di grande aiuto.
Un sistema moderno di controllo delle malattie infettive prevede l’impiego di strumenti di sor-
veglianza epidemiologica, anche se tali sistemi sono diversi da nazione a nazione. Lo ha sot-
tolineato Gisela Lange, della Commissione Europea, che ha inoltre messo in evidenza l’estrema
eterogeneità dei sistemi, ed i differenti modi di notifica obbligatoria delle malattie infettive. I gio-
vani viaggiano, e lo fanno in tutta Europa, e in quanto viaggiatori hanno il diritto di essere in-
formati sulle malattie sessualmente trasmesse (MST). In alcuni Paesi, le MST come quelle
trasmesse dalla Clamidia sono in aumento, in particolare negli Stati Membri del Nord Europa,
in altri è in aumento il numero di gravidanze fra le adolescenti. E alcune MST, fra cui quelle da
Clamidia, sono particolarmente insidiose perché spesso non danno alcuna sintomatologia evi-
dente, mentre possono subdolamente causare infertilità. Per dare risposta a queste proble-
matiche la Commissione Europea ha fondato dapprima un gruppo di lavoro sulla salute
sessuale dei giovani nel 2007, successivamente trasformatosi in Sexual Health Forum. Questo
è composto da rappresentanti dei Ministeri della Salute e/o della Gioventù degli Stati Membri,
da associazioni di giovani (come gli Scout) e da organizzazioni internazionali, quali UNICEF, Or-
ganizzazione Mondiale della Sanità, UNFPA, IPPF e il Centro Europeo di Controllo delle Malat-
tie (ECDC). Fra i risultati dei meeting che si tengono nel Forum, particolarmente interessanti
sono quelli che hanno messo in evidenza che:
1. Non c’è nessuna evidenza che dimostri che l’educazione sessuale comporti un precoce
inizio dell’attività sessuale;
2. Laddove l’argomento della salute sessuale viene affrontato in età giovanile si registrano
buoni risultati sia nella prevenzione delle MST, sia nell’evitare gravidanze fra le adolescenti;
209
3. C’è ancora bisogno di un grande sforzo per raggiungere tutti i giovani, ed in particolare
quelli socialmente svantaggiati e i migranti.
Le reazioni dei giovani su questi argomenti hanno evidenziato come la lotta alle MST e alle gra-
vidanze indesiderate non si può esaurire soltanto con il consigliare l’uso del preservativo. Anche
l’astinenza rappresenta un’opzione, così come sottolineato dalla campagne dell’OMS “Be fai-
thful with other who is faithful” (“Sii fedele con chi è fedele”). Il Prof. Rezza dell’Istituto Supe-
riore di Sanità ha riportato il caso di un progetto educativo condotto in Uganda, in cui l’enfasi
è stata data sul ritardo del primo rapporto sessuale e sulla riduzione del numero dei partner sessuali, consentendo così di ridurre i tassi di incidenza di infezione da HIV.
Occorre inoltre sottolineare che non tutti sono disposti ad utilizzare il preservativo, in conside-
razione di fattori psicologici, culturali e religiosi in un particolare Paese.
Il Dott. Dhianaraj Chetty, della Sezione su HIV e AIDS dell’UNESCO ha ricordato come nel
mondo il 40% di tutti i nuovi adulti affetti da HIV è rappresentato da giovani. Questo è senza
dubbio legato al fatto che meno del 40% degli stessi giovani possiede informazioni di base
sull’HIV. C’è, però evidenza che con la giusta informazione e lo sviluppo di adeguate capa-
cità, i giovani possono cambiare il loro comportamento per ridurre il rischio di contrarre l’HIV
o di trasmetterlo ad altri.
I comportamenti sessuali degli adolescenti hanno subito negli ultimi anni notevoli cambiamenti
in seguito alle modificazioni subite dal costume, dalla morale sessuale e dalla società stessa.
Tra le conseguenze più evidenti di tale cambiamento insieme all’età sempre più precoce in cui
gli adolescenti iniziano ad avere contatti sessuali, aumento delle gravidanze indesiderate e
degli aborti volontari, aumento dell’incidenza delle IST. In tale contesto il Centro di Ricerca per
la Diffusione della Cultura Scientifica e l’Educazione alla Salute (CRDCS), dell’Università di
Cassino, come sottolineato dalle Dott.sse Ferrara e Langiano, ha avviato una serie di indagini
con l’obiettivo di rilevare il grado di conoscenza, le abitudini sessuali ed i significati nonché le
valutazioni che i giovani attribuiscono alla sessualità al fine di attuare interventi di prevenzione
di maggiore efficacia. Come già evidenziato da molti autori, anche in questo caso si osserva
come sulle popolazioni che sono state oggetto di interventi di educazione alla salute con i mo-
delli di cambiamento del comportamento, basati, cioè, sull’ipotesi di una relazione diretta tra
aumento delle conoscenze e modifica dei comportamenti, le ricadute a lungo termine non
sono sufficientemente protettive. Pertanto, è necessario intensificare gli sforzi per applicare in
maniera estensiva i più efficaci modelli di self empowerment, basati sul coinvolgimento e sul-
l’assunzione di responsabilità dei destinatari dell’intervento allo scopo di modificare i compor-
tamenti a rischio. I giovani, infatti, ritengono di dover assumere un ruolo più attivo nella
progettazione degli interventi a loro rivolti e sottolineano la necessità di ulteriori informazioni.
Ciò è particolarmente interessante poiché dimostra in modo inequivocabile la necessità di so-
stenere una attività continua di educazione relativamente ai temi della sessualità e delle IST.
Irene Donadio, rappresentante dell’International Planned Parenthood Federation, ha evi-
210
denziato come i diritti sessuali e riproduttivi devono portare i giovani ad attuare azioni, piut-
tosto che a subirle passivamente dal mondo degli adulti, siano essi i governi, gli insegnanti
o altri aventi interesse. Questi diritti sono diritti umani e devono essere garantiti a tutti.
In questo contesto Massimo Giovannini, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Ostetri-
cia e Ginecologia dell’Ospedale Sandro Pertini, ha riportato i dati relativi all’ambulatorio per
l’adolescenza dell’ospedale Pertini, aperto nel 2002 Roma. Ad accogliere le teen ager un team
di specialisti tutto al femminile (ginecologa, sessuologa, psicologa, endocrinologa, neuropsi-
chiatra, pediatra, nutrizionista ed assistente sociale). Quali sono le domande più ricorrenti rivolte
dalle adolescenti agli operatori sanitari? La sicurezza dei vari tipi di contraccezione e i vari ef-
fetti collaterali, le problematiche legate alla contraccezione d’emergenza, quesiti sulle alterazioni
del ciclo e sui disordini ormonali, informazioni sulle malattie a trasmissione sessuale, che spesso
agiscono subdolamente ed in maniera asintomatica. Il dato più significativo è che nella sezione
di colposcopia dell’Ospedale Pertini di Roma nel 2009, su un totale di 530 pazienti, le adole-
scenti affette dal papilloma virus umano (HPV) sono state il 4%, mentre nei primi cinque mesi
del 2010 su un totale di 200, le pazienti fino a 20 anni di età affette da HPV sono state il 6,5%.
Occorre ricordare a questo proposito che per tale tipo di infezione oggi è disponibile un vaccino che è offerto gratuitamente alle 12enni in tutta Italia.
In conclusione, è possibile affermare che la sessualità è un fondamentale aspetto della vita
umana, che riconosce diverse dimensioni, di natura fisica, psicologica, spirituale, sociale, eco-
nomica, politica e culturale. Non è possibile comprendere la sessualità senza far riferimento al
genere, ed è altrettanto vero che la diversità è la base fondamentale della sessualità, e che le
regole che governano il comportamento sessuale possono differire fra e all’interno di culture.
La salute sessuale e riproduttiva contribuisce in maniera importante al carico di malattia fra i gio-
vani, determinando un effetto di tipo economico e sociale di vaste proporzioni. Basti pensare
all’infezione da HIV, alle altre MST, alle gravidanze non desiderate e agli aborti effettuati in con-
dizioni di sicurezza nulla o precaria. Ma la buona notizia è che queste condizioni che tanto peso
hanno sulle famiglie e sulle comunità possono essere prevenute o quantomeno ridotte attra-
verso l’educazione sessuale, in primo luogo in ambito scolastico. Quali argomenti ed obiettivi
conoscitivi di questo tipo di educazione? Vi è accordo a livello scientifico che almeno 4 siano
gli elementi da tenere in considerazione:
1. Informazione
2. Valori, attitudini e norme sociali
3. Sviluppo di capacità interpersonali e relazionali
4. Responsabilità di comportamenti
Le modalità per realizzare questo tipo di educazione? Le campagne moralistiche non funzionano, mentre quelle informative, positive, coinvolgendo i giovani sono molto utili. Gli
stessi giovani chiedono chiaramente una maggiore e migliore educazione sessuale, servizi
e risorse che rispondano ai loro bisogni in tema di prevenzione.
211
I Disturbi del Comportamento Alimentare
ed i differenti approcci nella cura
e nella prevenzione
Rapporteur: Simonetta Costanzo79
I Disturbi del Comportamento Alimentare sono caratterizzati dalla presenza di evidenti altera-
zioni dell’assunzione di cibo.
Le categorie specifiche sono l’anoressia nervosa ovvero il rifiuto di mantenere il peso corporeo
al di sopra del peso minimo normale e la bulimia nervosa caratterizzata da ricorrenti episodi di
“abbuffate” seguiti dall’adozione di mezzi inappropriati per controllare il peso corporeo, come
il vomito autoindotto, l’uso di lassativi, diuretici o altri farmaci, il digiuno o l’attività fisica praticata in maniera eccessiva.
La caratteristica comune ad entrambi i disturbi è la presenza di un’alterata percezione del peso
corporeo e della propria immagine corporea.
La dott.ssa Laura Dalla Ragione, direttrice del Centro dei Disordini Alimentari di Todi ha presen-
tato il progetto “Guadagnare salute, buone pratiche per il trattamento dei disordini alimentari”.
Laura Dalla Ragione, dopo aver definito i luoghi, il modo e i tempi della terapia utile per il trat-
tamento dei DCA, ha centrato l’attenzione sulla necessità di offrire risposte appropriate e tem-
pestive, offrire veri e propri percorsi terapeutici, diagnosi precoce e continuità delle cure per
poter ben formulare la prognosi. Secondo quanto emerso per affrontare in modo efficace i di-
sturbi alimentari necessitano cinque forme di contatto: ospedale “salvavita”, day hospital, am-
bulatorio, struttura residenziale riabilitativa e comunità. Il lavoro è concepito in modo
multidisciplinare ed è un lavoro di equipe.
Il 19 Settembre 2007 il Ministero della Salute ed il Ministro della Gioventù hanno promosso il progetto nazionale “Le buone pratiche di cura nei DCA” nell’ambito del protocollo di intesa “Gua-
dagnare salute”. I centri coinvolti, sotto la guida della regione Umbria, sono cinque, selezionati
secondo criteri di distribuzione geografica e di soddisfacimento di requisiti organizzativi e pre-
stazionali corrispondenti a varie aziende sanitarie locali. Gli obiettivi del progetto erano: aggior-
nare le linee guida in materia di cura dei DCA, monitorare le tipologie di pazienti in terapia e
realizzare una mappa dei servizi pubblici o convenzionati presenti sull’intero territorio nazionale.
In totale sono state individuate 166 strutture in tutta Italia. È stata accertata un’area critica
che riguarda i pazienti in età prepubere poiché le strutture non riescono ad accogliere pazienti al di sotto dei 14 anni.
Il progetto riguarda 600 pazienti affetti da DCA sia maschi che femmine afferenti ai 5 centri che
79
Psicoterapeuta, Facoltà di Scienza dell’Educazione, Università della Calabria.
213
partecipano alla ricerca (Todi, Lagonegro, Portogruaro, Roma e Pietra Ligure) , inoltre è stato
descritto un campione di 16.000 pazienti valutati nel 2009 dai 166 centri italiani e sono stati di-
stribuiti i punteggi che riguardano le categorie diagnostiche (anoressia, bulimia e disturbi del
comportamento alimentare non altrimenti specificato DCANAS e disturbi da alimentazione incontrollata BED) in percentuale. Perciò, i risultati indicano una patologia DCA che si sta modi-
ficando e molti trattamenti pregressi risultano inappropriati, incompleti e non specifici riducendo
la motivazione del paziente al trattamento. Inoltre, Laura Dalla Ragione ha dato grande impor-
tanza al ruolo della famiglia ed alla necessità di riabilitazione familiare per evitare il manteni-
mento e l’eventuale cronicizzazione del DCA.
La Dott.ssa Limoncelli ha presentato la relazione del Dott. Tonino Cantelmi, psichiatra e rap-
presentante della clinica Villa Pia di Guidonia dove vengono effettuati interventi sanitari su ado-
lescenti ed adulti affetti da disturbi da DCA. La struttura Villa Pia contiene 20 posti residenziali,
20 posti day hospital per un trattamento complessivo della durata massima di tre mesi. L’in-
tervento psicoterapeutico utilizzato è di tipo psicodinamico. Nella relazione è stata evidenziata
la triade critica adolescenziale corpo - sessualità – cibo, quest’ultimo massima espressione dei
conflitti e delle tensioni familiari.
Nella relazione particolare attenzione è stata data al ruolo delle madri nell’interazione con i figli
ed ai fenomeni pro-ANA e pro-MIA che riguardano il fanatismo della magrezza e quello del-
l’obesità. Nei siti illegali che vengono di volta in volta oscurati per ricomparire regolarmente in
un secondo momento, Ana e Mia sono rappresentate come angeli custodi, come vere e pro-
prie divinità. Attraverso questi siti vengono suggeriti i comportamenti da usare per mantenere
costante la spettrale magrezza ed i 10 comandamenti che definiscono l’identità dell’anoressia.
Su internet si trovano anche i giochi interattivi che servono per creare, attraverso l’uso del cel-
lulare, la bambola più bella del mondo, creata ad hoc per esaltare le modalità del digiuno “Quod
me nutrit me destruit” male interpretando la famosa frase di Nietszche.
La dott.ssa Primavera, dermatologo presso l’IDI -IRCCS di Roma ha presentato la relazione
“Manifestazioni cutanee dei disturbi dell’alimentazione” ed ha interpretato le complicanze cutanee nell’anoressia e nella bulimia come indicatori di diagnosi precoce. Le manifestazioni ri-
scontrate riguardano la cute, le mucose e gli annessi (unghie e capelli) che sono conseguenza
della malnutrizione, del digiuno, del vomito autoindotto, dell’uso improprio o abuso di lassativi,
diuretici ed emetici e di patologie psichiatriche concomitanti.
In particolare l’attenzione è stata focalizzata su secchezza della pelle (cute sporca), ipertricosi
lanuginosa, alopecia frontale, acne, carotenodermia, livedo reticularis, acrociànosi, distrofie un-
gueali, perionissi ungueali, infiammazioni della mucosa della bocca, porpora, segno di Russel,
patologie conseguenti a reazioni avverse a farmaci quali lassativi, diuretici ed emetici, e mani-
festazioni cutanee secondarie a patologie psichiatriche concomitanti (dermatite artefatta, acne
escoriata e dermatite irritativa). La peculiarità dell’intervento risalta la possibilità di diagnosi precoce attraverso gli indicatori dermatologici.
214
Il Dott. Stefano di Lello ha sottolineato l’importanza del ruolo del ginecologo nella possibilità di
effettuare una diagnosi precoce di anoressia e bulimia. Infatti, i disturbi del comportamento ali-
mentare per ciò che riguarda sia l’anoressia nervosa (AN) sia la bulimia nervosa (BN), si asso-
ciano, in campo ginecologico, ad una serie di alterazioni ormonali e metaboliche con
conseguenze a breve ed a lungo termine sull’organismo delle giovani donne che ne sono af-
fette. Il ginecologo che si trova di fronte ad una giovane con DCA spesso si confronta con la
necessità di conoscere meglio queste patologie ed effettuare un invio accompagnato della pa-
ziente al fine di ripristinare al più presto un equilibrio ottimale endocrino-metabolico attraverso
un intervento integrato che deve, necessariamente, coinvolgere diverse figure specialistiche
(psichiatra, nutrizionista, ginecologo, etc).
Il dottor Stefano Vicari, neuropsichiatra dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma, ha presentato una
relazione relativa al progetto finanziato dal Ministro della Gioventù “Un portale per creare un net-
work contro la nascita di siti web pro ANA e pro MIA” con la collaborazione del dottor Daniele
Caldarelli, statistico.
Tale intervento propone la finalità di arginare la diffusione dei siti pro ANA e pro MIA. L’anores-
sia è una malattia psichiatrica e l’insorgenza è in età pediatrica perché è oramai evidente l’ab-
bassamento dell’età di esordio (10 anni). Il sito, che si può trovare all’indirizzo www.timshel.it,
nasce dall’idea di utilizzare la rete internet nel quadro delle azioni di prevenzione dei Disturbi del
Comportamento Alimentare e prende origine dalla constatazione della presenza sulla rete di
blog e siti che fanno dell’anoressia e della bulimia un vero e proprio culto. L’anoressia viene personificata in una vera e propria divinità a cui “è bello e giusto immolarsi”.
Timshel è una parola ebraica che vuol dire “tuo puoi”. "Potrebbe essere la parola più im-
portante del mondo. Significa che la via è aperta. Rimette tutto all'uomo” come si legge in
J. Steinbeck ne “La valle dell'Eden”.
Con questa filosofia di fondo, il progetto si articola su più direttrici: la prima è mettere a dispo-
sizione di adolescenti, operatori educativi, specialisti un luogo della rete ove possano trovare
informazioni scambiarsi idee e confrontarsi. L’adolescenza e la preadolescenza sono periodi
particolari e spesso critici della vita di una persona: non si è più bambini, ma non si è ancora
adulti. Oggi poi che i modelli imposti dai mass media esaltano, di fatto, la magrezza, quale strumento d’affermazione sociale sia per le donne che per gli uomini, queste tensioni possono es-
sere amplificate. Ad una persona magra e “sportiva” sono associati attributi positivi, a quelli in
sovrappeso attributi negativi. È importante intervenire con una comunicazione difforme da tali
modelli, al fine di occupare e contrastare tale forma di comunicazione deviata.
Il secondo aspetto del progetto è fornire riferimenti sui centri specializzati, sui luoghi dov’è pos-
sibile incontrare specialisti, supportare l’azione dei medici di famiglia, gli educatori e le famiglie.
La redazione del portale www.timshel.it è composta da esperti di comunicazione integrata
con i medici dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, punto di riferimento a livello interna-
zionale per la ricerca e la cura a favore della salute dei bambini e degli adolescenti. Nel sito
215
è attivata ogni forma di comunicazione che la rete internet rende possibile: e-mail, forum, vi-
deoconferenze, chat ed è possibile effettuare prenotazioni di visite; in particolare per gli specialisti è previsto il consulto per via telematica con esperti.
Il progetto è parte delle azioni di assistenza e prevenzione sui Disturbi del Comportamento ali-
mentare voluti dal Ministero della Gioventù in accordo con il Ministero del Lavoro, della Salute
e delle Politiche Sociali nel quadro del protocollo d’intesa “Guadagnare Salute”.
La Dott ssa Rampelli, Dirigente del Dipartimento della Gioventù - Presidenza del Consiglio dei
Ministri, ha presentato alcuni progetti sulla prevenzione dei DCA e del disagio giovanile foca-
lizzando l’attenzione sulla prevenzione della patologia:
- il progetto “Guadagnare Salute” le cui aree di intervento sono stati i media, la scuola, l’industria della dieta e lo sport. La Dott.ssa Rampelli ha sottolineato al riguardo la necessità di in-
terventi in ambito sportivo per responsabilizzare gli allenatori a correggere i messaggi inviati ai
giovani, all’interno delle scuole di danza per intercettare i segnali dell’anoressia precoce, nel
mondo del mercato della dieta con particolare attenzione ai prodotti pubblicizzati come stru-
menti per perdere peso e, infine, nella comunicazione intesa nel senso più ampio che com-
prende non solo tv e giornali ma anche la rete e la pubblicità. Per coordinare le attività delle
istituzioni sul tema è stato istituito dal Ministro della Gioventù un tavolo interministeriale.
- il vademecum, realizzato in collaborazione con il Ministero della Salute e il Ministero del-
l’Istruzione, sulla sicurezza e la qualità degli alimenti. Tale opuscolo è stato distribuito in tutte le
scuole medie inferiori per offrire informazioni sul cibo, suggerire regole semplici per una corretta
alimentazione, prevenire i DCA e tutti i comportamenti alimentari errati.
- il progetto sulla prevenzione del disagio giovanile realizzato in collaborazione con lo IAS (Isti-
tuto Affari Sociali) che è ancora in corso di svolgimento e che si prefigge l’obiettivo di studiare
il disagio giovanile attraverso un’indagine sociale appositamente svolta, la realizzazione di ap-
profondimenti in presenza di psicoterapeuti a scuola e la rappresentazione di quanto emerso
negli incontri attraverso la creatività artistica e la realizzazione di una web tv. Il progetto speri-
mentale è stato svolto in 20 scuole in 6 regioni.
Sono state illustrate le tematiche trattate e le metodologie utilizzate, sottolineando l’importanza
della diagnosi precoce come strumento fondamentale della prevenzione.
In ogni scuola l’equipe di intervento è stata composta da psicoterapeuti, un regista ed opera-
tori tecnici. È prioritario stabilire un rapporto diretto con i giovani per prevenire la malattia men-
tale e la modalità di rapporto preferita sembra essere il linguaggio multimediale di internet. Per
tale motivo si è pensato di realizzare una web tv per favorire tutte le espressioni artistiche. La
sofferenza, quindi, viene tradotta in arte con l’aiuto di psicoterapeuti e professionisti dello spet-
tacolo. La prevenzione a scuola è necessaria anche per migliorare il rendimento scolastico
agendo sia con gli studenti sia con gli insegnanti.
Le tematiche affrontate nell’intero anno scolastico sono state: il rapporto col diverso da sé (i
primi innamoramenti ed i primi approcci con la sessualità), la crisi adolescenziale, il bullismo,
216
tutte le dipendenze patologiche.
Dalle esperienze che si sono susseguite nel corso degli incontri, sono emerse alcune riflessioni interessanti, poi rappresentate attraverso sketch o storie create dai ragazzi, come, ad
esempio, la differenza tra violenza fisica e psichica, con la storia di genitori particolarmente
ansiosi e di una madre ossessionata da varie paure che vengono percepiti dalla figlia adolescente come violenti ed oppressivi. Oppure, nel corso della trattazione delle dipendenze
patologiche, l’emergere del difficile rapporto con il cibo, con il proprio corpo e, soprattutto,
la distorta percezione che di questo si ha possono rappresentare i sintomi di un disagio pro-
fondo alla base dei primi episodi di bulimia o di anoressia. Si è potuto rilevare che l’anores-
sia nel particolare, ma il rapporto con il cibo in generale, spesso viene influenzato dalle
dinamiche e dalle relazioni poste in essere nell’ambito familiare.
La Dott.ssa Costantino, psichiatra e psicoterapeuta ha presentato una relazione dal titolo “Ano-
ressia e protezione dalla depressione” con la quale, partendo da un excursus storico, si è spinta
sino ad arrivare a descrivere l’evoluzione delle problematiche della donna.
Anticamente troviamo la figura della “Santa Anoressica” fenomeno comune tra donne che per
reagire alla comunità cattolica cercavano un nuovo rapporto col divino attraverso il digiuno.
Successivamente la “Caccia alle Streghe” durata fino al 1492 in cui la lotta contro l’irrazionale
si esplicava in vere e proprie persecuzioni.
Quando viene scoperta l’America e si allargano i confini fisici del mondo dell’uomo, que-
st’ultimo scopre di dover allargare i propri spazi mentali e interni e, trovandosi in grande
difficoltà, nel far questo, avvia una lotta interiore ed esterna finalizzata a razionalizzare
tutti i fenomeni ritenuti irrazionali. Un esempio è stato rappresentato dagli Indios che ven-
nero perseguitati e dalle donne che furono iperstimolate verso la razionalizzazione. Questo è stato il clima nel quale sono esplose le reazioni isteriche da intendersi proprio come
una difesa dall’iperazionalizzazione. L’anoressia, quindi, può essere interpretata come di-
fesa dalla depressione e non si deve dimenticare che il 10% di questi pazienti muore entro
10 anni per suicidio o per arresto cardiaco. La prevenzione va fatta durante l’infanzia. L’immagine che viene proposta è quella di una figura asessuata, una figura che contiene, in sé,
la psicosi. La bulimia, al contrario, può essere interpretata come un’orgia alimentare con
vomito autoindotto ed uso di lassativi. Il problema che deve essere evidenziato e risolto
consiste nella cronicizzazione della malattia e nella possibile recidiva.
In sostituzione del Prof. Roberto Tatarelli, psichiatra, ordinario presso la Sapienza, Univer-
sità di Roma, seconda facoltà di Medicina e Chirurgia, Direttore del Dipartimento di Neuro-
scienze, la Dott.ssa Angeletti ha presentato una relazione dal titolo “Il disagio nelle nuove
generazioni: interventi di promozione della salute. Dai giovani a favore dei giovani” con la
quale ha messo in luce che l’anoressia così come il suicidio sono la seconda causa di morte
tra i giovani dopo gli incidenti stradali.
Si è parlato dei tre centri universitari che promuovono la salute e la prevenzione a Roma
217
attraverso un counseling psicologico universitario che offre le varie esperienze a confronto per favorire l’integrazione tra mente e corpo ed ascoltare i bisogni dei giovani. I mo-
tivi che spingono i giovani a chiedere aiuto sono principalmente le difficoltà a studiare, le
difficoltà di concentrazione, le condizioni psicopatologiche (schizofrenia, DCA, ansia, disturbi di personalità, disturbi di abuso delle sostanze, disturbi dell’identità di genere e
disturbi dell’umore). L’iniziativa parte dalla fondazione CRUI che ha aperto uno sportello
di promozione della salute e della prevenzione i cui punti di partenza sono: educazione
alimentare e rapporto con la madre. Tale iniziativa si rivolge a soggetti della fascia di età
che parte dai 18/19 anni.
La sessione si è conclusa con l’ascolto di alcune testimonianze di giovani che hanno sottoli-
neato l’importanza di promuovere campagne di sensibilizzazione per incoraggiare un nuovo
progetto di comunicazione standard sul BED (Binge Eating Disorder) e monitorare con oppor-
tuni interventi “il vissuto emotivo” nel mondo della moda, ambito nel quale spesso lo schema
corporeo diviene identificante dell’identità attraverso un’azione dissociativa tra la propria immagine e le emozioni che l’accompagnano.
218
Educazione alimentare, attività fisica
e stili di vita salutari
Rapporteur: Cristiano Sandels Navarro80
Rivolgerò il mio discorso principalmente ai giovani che sono presenti, però anzitutto vor-
rei ringraziare le istituzioni che hanno organizzato questo incontro all’insegna di un lavoro interistituzionale. I giovani protagonisti del benessere non possono che vedere
approcci multi-disciplinari, multi-istituzionali, multi-generazionali, quindi vorrei dirvi: accettate la sfida della complessità perché il vostro benessere deve passare attraverso la
complessità.
Anche guardando il programma di queste tre giornate di lavori, dove abbiamo visto coinvolte anche le varie associazioni di volontariato, guardando anche la struttura e le quattro sessioni parallele, ma anche al loro interno, si comprende come siano estremamente
articolati i percorsi conoscitivi che in qualche modo sono obbligatori da percorrere affinché voi giungiate al vostro benessere.
Per esigenze di tempo sarò estremamente sintetico, più che riportare i vari interventi, seguirò
una sorta di fil rouge che potrete fare vostro per continuare questo percorso.
Anzitutto attenzione ad un fattore molto importante, riguardo l’alimentazione, l’attività fisica,
gli stili di vita, capite di cosa stiamo parlando, di tutto, sostanzialmente, il benessere non può
passare attraverso un atteggiamento riduzionistico. Cosa voglio dire? Riduzionismo vuol
dire, per esempio, non potere percepire il proprio benessere soltanto attraverso la considerazione e la valutazione del proprio aspetto fisico; evidentemente il proprio benessere è un
qualche cosa di estremamente più complesso e multidimensionale.
Ma questo riduzionismo purtroppo lo ritroviamo anche in alcune proposte che evidente-
mente sono fatte con la massima serietà e obiettività, che in qualche modo finiscono per cadere in un riduzionismo, o in una eccessiva medicalizzazione, o un eccessivo accento su un
qualcosa che evidentemente distoglie l’attenzione da quello che è tutto il sistema di riferimento anche valoriale, culturale che riguarda il vostro benessere.
Il benessere, articolato secondo i temi che abbiamo affrontato in questi tre giorni, deve essere visto da pare vostra come una conquista che evidentemente oggi non è data da una
mancanza di proposte o di alternative, ma forse da una incapacità di scegliere, di percorrere una strada che porti al vostro benessere.
Apro una parentesi, evidentemente questo non è vero per quel miliardo di persone che non
hanno tutte queste opzioni e che evidentemente hanno una diversa percezione e diverso at-
80
Componente del Comitato Scuola e Cibo per l'educazione Alimentare del Ministero dell’Istruzione e Docente Università degli
Studi di Milano.
219
teggiamento nei confronti del proprio benessere. Da parte nostra in Italia, in occidente, in Eu-
ropa, il benessere è un fatto culturale nel senso che potremmo sintetizzare senza correre il
rischio di essere riduzionisti che, di fatto, il cibo è cultura, ci collega a tutta una serie di valori territoriali, sociali, economici, ambientali, storici, culturali in genere.
Una delle cose emerse, in estrema sintesi, è la necessità di un confronto dialettico tra le isti-
tuzioni, tra i vari soggetti coinvolti, tra di voi giovani e tra i più giovani e meno giovani. Cioè,
il confronto dialettico credo sia un primo punto assolutamente indispensabile.
Abbiamo letto il titolo del nostro gruppo, a questo punto la cosa interessante che emerge è
la necessità di un confronto, di ambire ad un più alto e più completo livello di comunicazione,
reale, di messa a fattor comune, di piattaforme anche linguistiche, anche di un lessico, af-
finché questi vari soggetti, voi, tutti, si possano effettivamente capire.
Quindi il confronto e la comunicazione diventano in realtà non strumenti soltanto ma dei veri
cardini di ogni attività programmatica o progettuale che sia. Di progetti ne abbiamo visti tan-
tissimi e qui vorrei porre l’accento su un’attività di tipo programmatico, cioè che non mira a
realizzare un qualche cosa di diverso dall’attività progettuale, ma ad un paradigm shift, cioè,
ad un cambiamento del paradigma, quindi un’attività programmatica che può in qualche
modo essere gestita su un arco di tempo più lungo e voi di tempo non ne avete tantissimo,
ma sicuramente più di quanto possiamo sperare di avere.
In questo primo incontro si focalizzano alcuni nuclei che vanno sicuramente approfonditi,
quindi mi piacerebbe che voi giovani, quando avrete l’occasione di riaffrontare questi di-
scorsi, partiste con una prima slide che sono le conclusioni di questo incontro per non rei-
terare un’altra volta e rimandare al prossimo incontro le attività da mettere in pratica subito.
Alcuni nuclei che vanno approfonditi e che sono emersi durante il confronto sono l’imma-
gine corporea, si è capito che il benessere sia alimentare che rispetto agli sport, soprattutto
nelle generazioni più giovani, passa attraverso una visione limitata del benessere che viene
identificato come un benessere riferito alla propria immagine corporea. Evidentemente que-
sto non può essere un obiettivo ma una ricaduta positiva.
Altra cosa sulla quale vorrei soffermarmi molto velocemente, è indispensabile ormai co-
struire questi percorsi dove però ci sia una consapevolezza, una sorta di contrattualizza-
zione tra le parti su metodi, modalità, tempi, eventualmente anche rinunce che questi
percorsi in qualche modo determinano a livello di tutti i soggetti che partecipano. Evidente-
mente questi percorsi devono tenere conto di tutti i fattori, i valori che li qualificano, si di-
ceva dello sport, proposto attivamente come veicolo protettivo di certe dinamiche altrimenti
negative, si vedeva lo sport anche come possibile arena di scontri e di confronti non leali.
Si è parlato anche molto di obesità, faccio solo un piccolo cenno alla epidemia del Terzo
Millennio, così come viene definita, ancora una volta è evidente come il confronto, il dia-
logo siano assolutamente indispensabili per costruire percorsi anche complessi che abbiano l’ambizione di essere risolutivi.
220
Confronto e dialogo come metodologia, come modalità, come qualche cosa che superi
la tensione strumentale ma diventi un’attività di tipo culturale. L’unico modo per artico-
lare a tutti i livelli istituzionali, il rapporto tra tutti gli stakeholder, ma anche a livello interpersonale, articolare contenuti e specificità nel rispetto del ruolo di ciascuno.
Concludendo e lasciando spazio agli illustri ospiti che sono appena arrivati, questo è
l’unico modo per creare cultura, perché l’atto alimentare possa essere effettivamente vis-
suto a pieno come atto culturale.
221
La comunicazione e le campagne
degli Stati Membri
Rapporteur: Giovanna Leone81
La sessione sulla Comunicazione delle Campagne Istituzionali negli Stati Membri sulla
salute e il benessere dei giovani si è presentata estremamente ricca di contributi sia teorici sia di descrizione di iniziative di intervento, molte delle quali ottimi esempi di buone
pratiche potenzialmente replicabili.
Dal punto di vista teorico è stata molto discussa la complessità semantica insita nel
concetto stesso di benessere giovanile. Sebbene sia emersa la consapevolezza dell'importanza di passare da un'ottica centrata sui rischi al tentativo di individuazione e potenziamento dei fattori di protezione e dei comportamenti salutari, la sessione ha
comunque richiamato la necessità di dare voce e visibilità alle facce più sofferenti della
condizione giovanile odierna. E' inoltre emerso più volte come la riflessione sul disagio
giovanile non possa essere sganciata dalle incertezze e dalle fragilità del ruolo adulto.
Al di là dell'ansia spesso evidente degli adulti di farsi ascoltare dai giovani, molte os-
servazioni presentate nel simposio hanno infatti messo in luce la difficoltà degli adulti
stessi di ascoltare il disagio dei giovani senza patologizzarlo, ma restituendogli al con-
trario pienamente il suo ruolo di motore del cambiamento, non solo individuale ma so-
ciale. Da diversi interventi emergeva infatti la consapevolezza del rischio regressivo che
gli adulti silenzino il disagio giovanile (persino con l’uso precoce di farmaci ansiolitici) op-
pure la tendenza degli adulti a privatizzare il proprio senso di responsabilità solo per i
giovani con cui si è a più diretto contatto, senza assumersi una più complessiva responsabilità sociale verso tutta la generazione successiva. Una sorta di affievolimento
delle responsabilità educative diffuse e del patto fisiologico tra generazioni, che porta i
ragazzi a cercare di cavarsela da soli o con il solo conforto della rete amicale. Per con-
trasto, è dunque emersa ancora di più in forma esemplare un'iniziativa messa in campo
da un'organizzazione di genitori fiorentini (Contatti). Il disagio fisiologico del dialogo in-
tergenerazionale e la sofferenza per alcune morti drammatiche di giovani, causate dalla
guida in stato di ebbrezza alcolica, è stato creativamente trasformato da questa associazione spontanea di genitori in un insieme molto stimolante di momenti di incontro tra
giovani sul tema della sensibilizzazione all'auto-valutazione del proprio abuso di alcol
prima della guida. In modo molto interessante, questa iniziativa dal basso animata da
questi genitori fiorentini ha avuto modo di essere messa in relazione, nel simposio, con
l'iniziativa di origine istituzionale "Naso rosso" (Dipartimento della Gioventù) nata an81
Docente di Psicologia Sociale Università La Sapienza
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ch'essa per prevenire le stragi del sabato sera.
L'obiettivo complessivo di queste due strategie di comunicazione, tra loro per molti versi
diversissime, è stato significativamente individuato nel favorire ogni forma di assunzione
di responsabilità attiva e di riflessività da parte dei protagonisti stessi: essenzialmente i
giovani e gli adulti cui essi si rivolgono.
Le iniziative descritte sono state varie. Ha colpito l'attenzione comunque il gran numero
di iniziative, sia italiane che europee, nate da una capacità propositiva dal basso spesso
espressa in forme di comunicazione peer to peer mediate e valorizzate dagli adulti.
Molto evidente, inoltre, l'uso di canali comunicativi estremamente diversificati. Un esempio molto toccante l'uso (Ministero degli affari esteri, progetto Cinemarena) del grande
cinema italiano del neo-realismo o di classici come la Febbre dell'oro di Chaplin per rag-
giungere con proiezioni del tipo arena popolazioni estremamente deprivate di ogni opportunità di tale fruizione, che dalla forza comunicativa dell'arte cinematografica
venivano raggiunte in modo immediato e massiccio, per essere poi orientate verso prassi
di prevenzione e cura per malattie endemiche gravissime come AIDS, colera o lebbra.
Il ruolo delle istituzioni è stato spesso evocato come indispensabile per rilanciare la
grande varietà di iniziative spontanee dal basso di cui il simposio ha dato notizia, dando
loro visibilità e sostegno. A questo proposito è emersa apertamente, ad esempio, la vo-
lontà della Facoltà di Scienze della Comunicazione, Sapienza Università di Roma, di
dare visibilità ai prodotti culturali giovanili che esprimono forme di riflessività e di padroneggiamento di vissuti esistenziali di disagio o di comportamenti di rischio, usando
un linguaggio proprio dei giovani e quindi estremamente incisivo. In questi prodotti cul-
turali autoriflessivi si registra infatti il passaggio da una domanda di aiuto rivolta agli
adulti, all'atteggiamento di chi si propone come interlocutore di un dialogo e come protagonista della sua esperienza. L'iniziativa potrebbe essere messa in campo in parte-
nariato con il Dipartimento della Gioventù, e con il coinvolgimento della Commissione
Europea, del Forum Nazionale Giovani e del Forum Europeo. In quest’ottica val la pena
di ricordare l’attività che la CRUI sta portando avanti nell’ambito del counseling psico-
logico offerto agli studenti universitari.
A tale riguardo una lettura approfondita dei diversi contributi psico-sociali che riguardano il
problema della lentezza nell’acquisizione di un ruolo adulto delle giovani generazioni ita-
liane, in particolare nell’attuale situazione di crisi economica e lavorativa può costituire un
utile banco di prova per sondare la capacità di resilienza sia degli adulti sia dei giovani.
Com’è noto, con questo termine gli psicologi designano la capacità delle persone poste
in una situazione difficile non solo di reagire ad essa, ma di agire in essa: cioè non solo
di resistere alle circostanze avverse, ma anche di apprendere da esse, con ciò migliorando la propria capacità di comprensione di se stessi e della realtà storica che si tro-
vano ad affrontare. In questo senso, la sfida che si presenta agli adulti italiani è
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l’acquisizione di una piena generatività sociale e l’evitamento di ogni forma di sovraiuto
nei confronti dei giovani. La sfida per i più giovani è invece il mantenimento di una speranza nel proprio progetto di vita futura e nell’affidabilità delle generazioni più adulte ad
affiancarli e aiutarli. La crisi attuale potrebbe dunque essere letta, dal punto di vista
psico-sociale, come un’occasione storicamente inedita per esplicitare e rinnovare un
patto generazionale che fino ad oggi appare, nella nostra cultura, spesso deficitario, se
non francamente minacciato.
Rimangono aperti diversi interrogativi. In primo luogo la difficoltà di passare da una logica centrata sul disagio alla promozione dei fattori di protezione. In secondo luogo la
necessità, ma anche la difficoltà, della valutazione dell'efficacia dell'intervento. In terzo
luogo la necessità di trovare forme opportune di semplificazione di tutti gli adempimenti
burocratici, pur necessari ogni volta che si entra in necessario contatto con le istituzioni
pubbliche. Queste ultime, infatti, sono state valutate da tutti gli intervenuti come le migliori sedi di moltiplicazione e di consolidamento di questa spinta dal basso per un con-
fronto costruttivo tra le generazioni.
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LE RACCOMANDAZIONI
PROPOSTE DAI GIOVANI
NEI DOCUMENTI FINALI
L’Anteprima della Conferenza è stata articolata in tre sessioni:
I disturbi alimentari e le preoccupazioni sull'immagine corporea nella popolazione giovanile
Chair: Fabio Saccà, Commissione Salute, Forum Nazionale Giovani
Interventi programmati:
• Susan Ringwood (CEO of BE-EAT), Regno Unito
• Simonetta Migliorini (Centro per la Psicologia Clinica "Maieutikè"), Italia
I giovani: diritti per una salute sessuale e riproduttiva
Chair: Julie Teng (European Youth Forum – Segretariato)
Interventi programmati:
• Irene Donadio (IPPPF EUROPE), Belgio
• Elisabeth Szerencsics (Vienna Youthforce AIDS 2010), Austria
Valorizzazione del ruolo dell’attività sportiva nella prevenzione dei comportamenti a rischio
Chair: Paolo Emilio Adami, FIAF, Commissione Salute, Forum Nazionale dei Giovani
Interventi programmati:
• Paolo Di Caro, Agenzia Nazionale dei Giovani, Italia
• Sorin Buriana, ISCA (International Sport and Culture Association), Danimarca
• Francesca D'Ercole, UISP (Unione Italiana Sport Per tutti), Italia
• Agnes Kainz, ENGSO Youth (European Non Governmental Sports
Organisation Youth), Germania
• Pier Giacomo Sola (Amitiè), Italia
Al termine delle sessioni, i giovani hanno operato una sintesi e proposto le raccomanda-
zioni che si riportano di seguito.
Raccomandazione sulla prevenzione dei disturbi alimentari e la promozione di una corretta immagine corporea
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È necessario promuovere tra tutta la popolazione (non solo tra i giovani) una maggiore
consapevolezza di cosa siano i DCA e cosa si intenda per disturbo alimentare.
Le preoccupazioni sull’immagine di sé e del proprio corpo possono favorire le con-
dizioni per avviare il processo della patologia e di abitudini alimentarli scorrette.
I mezzi di comunicazione svolgono un ruolo importantissimo nel promuovere stan-
dard di bellezza non salutari e non materialmente raggiungibili (in quanto è ampio
l’uso del ritocco digitale delle forme dei corpi, in particolare sulle pubblicità).
È necessario investire sul ruolo positivo che possono avere le giovani generazioni nel
creare una cultura più consapevole e più positiva nei confronti delle caratteristiche del
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•
corpo e degli stili di vita salutari (legati a una corretta alimentazione e all’esercizio fisico).
È importante attenzionare la stereotipizzazione e gli interventi selettivi, in quanto i di-
sturbi alimentari riguardano tanto le ragazze quanto i ragazzi.
L’educazione dei giovani su questi temi deve partire dalla decostruzione dei falsi miti
sulle “diete” circolanti tramite i mezzi di comunicazione e il passa parola.
È fondamentale utilizzare le esperienze/testimonianze di giovani che hanno superato
problemi legati ai disturbi alimentari per sensibilizzare i loro pari su questi temi.
Raccomandazione sui diritti dei giovani riguardo la salute sessuale
e riproduttiva
L’analisi dei seguenti diritti:
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Diritto alla salute e alla vita e quindi diritto alla vita privata: nessun Governo o Stato
può interferire con le scelte personali, a meno che queste non violino la dignità o
la libertà altrui.
Diritto all’equità di trattamento, diritto all’educazione sessuale: educare al rispetto
e alla responsabilità nei comportamenti sessuali favorisce un maggior rispetto
della dignità umana.
Diritto all’informazione e diritto alla privacy: informare sulle infezioni sessualmente
trasmissibili, in particolare in quelle da HIV anche attraverso i curricula scolastici che
dovrebbero prevedere lo svolgimento di programmi di educazione sessuali con modalità educative declinate in funzione dell’età; accanto a ciò anche l’educazione peer
•
to peer può offrire un efficace contributo.
Diritto alla non discriminazione, diritto all’uguaglianza, diritto al matrimonio: rifiuto
della norma eterosessista, utilizzo dei programmi di educazione scolastica e dei
mezzi di comunicazione di massa per promuovere il rispetto e l’accettazione di forme
non tradizionali di relazioni e matrimoni (differenze di età, differenze di cittadinanza o
•
di origine geografica, matrimoni tra persone dello stesso sesso).
Diritto alla protezione dalla violenza con riferimento alla salute sessuale: stupro (fuori
e in contesti di relazione), gravidanza e aborto, vittimizzazione e violenza sulla base
della sessualità. Si è evidenziato in particolare come diverse religioni, culture promuovano stereotipi di genere che possono provocare forme di violenza e disparità in
ambito di salute sessuale e riproduttiva.
Ha prodotto la seguente raccomandazione:
a. Iniziare un’educazione sessuale in giovane età.
b. Per quanto riguarda i temi dell’uguaglianza e della discriminazione, di promuovere
programmi educativi che familiarizzino i giovani con il tema delle diversità, allo scopo di
prevenire il formarsi di stereotipi. È necessario in questo un coinvolgimento dei genitori.
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c. Sviluppare un approccio positivo alla sessualità con azioni di promozione mirate in
particolare alle donne.
d. L’educazione e l’informazione devono essere inclusive e prevedere attività di educazione e sostegno alle giovani donne/adolescenti;
e. Utilizzare nuovi metodi derivati dall’educazione non formale e informale.
f. Fare maggiore riferimento alle esperienze europee: i Paesi Bassi hanno alcuni tra i più
inclusivi programmi di educazione sessuale, la cui conseguenza non è (e non vuole
essere) una sessualità o gravidanze precoci, ma il rinforzo della maturità e della consapevolezza dei giovani nel fare scelte consapevoli.
g. Nei programmi di comunicazione sulla salute sessuale è essenziale essere attenti ai
messaggi che criminalizzano le persone HIV positive, o promuovano altre forme di di-
scriminazione.
h. La comunicazione “che spaventa” non è efficace. È preferibile una forma di comunii.
cazione più divertente, intelligente, ironica, positiva.
È necessaria una maggiore partecipazione diretta dei giovani nel realizzare queste azioni.
Raccomandazione sulla valorizzazione del ruolo dell’attività sportiva
nella prevenzione dei comportamenti a rischio
•
Si considera che il raggiungimento di un corretto stile di vita possa essere possibile
solo attraverso la promozione ed una totale interazione tra attività fisica, corretta alimentazione, benessere mentale e conoscenza ed informazione degli effetti indotti
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dall’abuso di sostanze.
Attraverso una maggiore e paritaria incentivazione di questi quattro punti si può otte-
nere un reale miglioramento della salute delle prossime generazioni di cittadini europei.
I giovani presenti si rivolgono ai Governi, alle Istituzioni Europee e degli Stati Membri, alle organizzazioni non governative ed alle organizzazioni giovanili, chiedendo di
proseguire nel confronto su questi argomenti, ma soprattutto di trasformare le parole
in azioni, per esempio creando gruppi di lavoro specifici che permettano di conti-
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nuare il lavoro iniziato in questa Conferenza al fine di realizzare azioni congiunte.
Perseverare nell’obiettivo di fornire ai giovani la corretta educazione, le informazioni
e gli strumenti per cambiare il proprio stile di vita.
Avere la possibilità di condividere le idee e le buone prassi rimane un punto centrale
nel raggiungimento di questo obiettivo. È grazie ad eventi come questo che i tempi
sono finalmente maturi per agire.
Si riconosce il lavoro fatto dalle generazioni che ci hanno preceduto ed è grazie al loro
impegno che adesso, noi giovani abbiamo gli strumenti e la determinazione per rendere il cambiamento possibile.
I nostri interessi sono comuni e quello che vogliamo è un’Europa in ottima salute.
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LE CONCLUSIONI
DEL DIPARTIMENTO
DELLA GIOVENTÙ
Sono numerosi i motivi per i quali si vuole sottolineare l’importanza di questa Conferenza.
Primo fra tutti, l’opportunità del confronto istituzionale su un tema di grande complessità e cen-
tralità rispetto alle strategie europee sulla tutela e promozione della salute che concretamente
abbiamo ascoltato dalla viva voce dei protagonisti e sappiamo che verranno attuate.
Altro aspetto da sottolineare è la modalità di realizzazione della Conferenza. Si sarebbe po-
tuto organizzare un convegno come se ne fanno tanti, nei quali si confrontano studiosi, sog-
getti istituzionali e magari si invitano le rappresentanze giovanili e le associazioni ad ascoltare
quello che persone “più esperte” vogliono insegnarci. In questa occasione non è stato così.
Si è voluto dimostrare che i giovani europei hanno moltissimo da dire e i richiami demago-
gici alla partecipazione devono essere anche trasformati nella capacità di consentire alle
giovani generazioni di incidere e misurarsi concretamente con soluzioni e risposte, ancor
più quando si tratta della loro salute e del loro benessere.
I temi trattati nella Conferenza di Roma sono, sì, di strategia rispetto ai quali dobbiamo cer-
care la convergenza tra le pratiche migliori delle singole nazioni e trovare strumenti condi-
visi, ma l’approccio sarebbe assolutamente insufficiente se non fosse stato considerato
come la maggior parte del lavoro va fatto su un piano culturale, soprattutto nei riguardi di
una serie di problematiche quali i disturbi dell’alimentazione, gli stili di vita poco sani, il rapporto irresponsabile con la sessualità.
Se non riusciamo a dare vita ad un cultura diversa tra le giovani generazioni, dovremo
programmare sempre e solo provvedimenti che possono tamponare, ma che non risol-
vono il problema.
Per cambiare culturalmente una generazione ci vogliono gli esponenti della stessa genera-
zione; la sua parte più sana deve essere resa diligente, responsabile, anche nella capacità
di costruire tendenze diverse, di sentirsi parte di un modello culturale e ciò può fare la dif-
ferenza rispetto al tema di una sessualità responsabile, di un rapporto sereno con il proprio
corpo, rispetto al ruolo dello sport, a stili di vita sani, senza uso di droghe ed alcol.
Non è un caso che questa iniziativa sottolinei particolarmente il rapporto tra il Governo italiano e gli altri governi europei attraverso la Commissione Europea, che incide nei territori di
ciascuna nazione anche attraverso gli altri livelli istituzionali per dare risalto al ruolo impor-
tante delle regioni e dei comuni. È necessario costruire, quindi, una sussidiarietà per que-
sta tematica così complessa.
La presenza dei Forum giovanili, quello europeo, quello italiano, poi, ha rappresentato il
modo di considerare i giovani non semplicemente come i fruitori di qualche cosa che si pro-
gramma per loro, ma come soggetti responsabili che possono aiutare a capire quali sono gli
strumenti migliori da portare avanti, i messaggi con i quali approcciare le giovani generazioni.
I giovani, però, devono essere a loro volta responsabilizzati, per divenire essi stessi attori dei processi decisionali in modo che comprendano di poter avere un ruolo assolu-
tamente determinante.
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È evidente che da questo punto di vista le giovani generazioni hanno un compito impor-
tante. In tante altre occasioni si è sperimentato come la capacità di far veicolare determinati
messaggi dai coetanei, quindi direttamente da giovani, fa la differenza rispetto ai messaggi
che arrivano dalle istituzioni o dalla pubblicità, dal mondo degli adulti. Ed innanzitutto i gio-
vani devono interiorizzare il tema dell’identità della persona, della sua centralità, ricordare a
tutti che ognuno di noi è un soggetto unico e irripetibile, ha una sua grandezza che va tute-
lata e ciascuno di noi in ragione del fatto che è un soggetto unico e irripetibile può anche
dare un contributo altrettanto unico e irripetibile al proprio Paese, ai suoi conterranei, alla
propria storia e lo fa chiaramente se è in buona forma e in buona salute.
Questa Conferenza, quindi, rappresenta un punto di partenza e non un punto di arrivo e la
grande disponibilità raccolta da parte delle istituzioni europee e da quelle a livello nazionale,
dagli esperti e dai ragazzi, dimostra che questa è la strada giusta.
L’auspicio è che questa iniziativa possa diventare costante nel tempo e che possa anche misurare di volta in volta i risultati raggiunti, anche al fine di progettare azioni future.
È stato, altresì, fondamentale avere individuato tra i tanti temi da affrontare quelli prioritari,
tentando anche di trovare una metodologia comune per condividere buone prassi e le molte
esperienze che ognuno dei Paesi partecipanti ha portato all’attenzione di tutti. Da qui la
possibilità di tradurre il tutto in un’agenda di attività concrete che si svilupperanno nei prossimi anni.82
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Dall’esperienza di dialogo strutturato con i giovani europei , che si è articolato durante la prima Conferenza Europea sulla salute ed il benessere dei giovani, hanno preso le mosse nel 2011 le attività progettuali del portale web “CHIEDILOQUI” e dei servizi ad esso collegati. Forme di comunicazione peer to peer, mediate e valorizzate dagli adulti, sono sembrate le strade più idonee
per parlare con i giovani di tematiche complesse, i cui dati ufficiali sull’espansione dei Disturbi del Comportamento Alimentare
e sulla diffusione delle infezioni sessualmente trasmissibili inducono a stabilire come prioritario l’impegno a pianificare interventi tesi a promuovere un’informazione efficace e capillare per la prevenzione dei fenomeni. Accanto a ciò, un’educazione sessuale, alimentare e per l’introduzione di stili di vita sani, divengono veri e propri interventi di una più vasta azione sociale per
evitare il rischio che comportamenti inadeguati giochino un ruolo importante nella destrutturazione della vita di molti giovani
e delle future generazioni. L’intervento ha previsto l’attivazione di un servizio multicanale articolato in un portale web; applicazioni per smartphone e tablet; versione mobile del portale web. Il servizio si occupa di due macrotemi: affettività e sessualità – malattie sessualmente trasmissibili e preservazione della fertilità; corpo ed alimentazione – Disturbi del Comportamento
Alimentare. Su ciascuno di questi argomenti sono inseriti testi e documenti, immagini, video attraverso cui comunicare in maniera efficace le problematiche inerenti i comportamenti a rischio e prevenire eventuali patologie. Come. Quando. Dove. Sono
le modalità per accedere alle informazioni attraverso chat, sms, numero telefonico dedicato 24 ore su 24 e per individuare le
strutture di contatto di tutti i servizi pubblici e convenzionati presenti sul territorio nazionale suddivisi per tipologia. Sito:
www.chiediloqui.it
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I COMMENTI DEI GIOVANI
PARTECIPANTI
Per tutta la durata della conferenza e immediatamente dopo di essa sono stati raccolti commenti informali dei partecipanti in forma orale, tramite email e comunità Facebook. Suc-
cessivamente il Forum Nazionale Giovani ha inoltrato un questionario di valutazione più
“formale” ai partecipanti, del quale si riportano di seguito i principali commenti raccolti.
Il programma della Conferenza è stato molto intenso e gli argomenti molto interessanti. È
stato riconosciuto da parte dei giovani partecipanti il grande sforzo fatto dall’Italia, in parti-
colare dal Dipartimento della Gioventù, per organizzare questa prima Conferenza sulla sa-
lute ed il benessere con la metodologia del dialogo strutturato, ma da più parti è stata rilevata
la necessità di avere presenti un numero più elevato di giovani. La critica su un approccio
forse troppo adultocentrico si allaccia alla richiesta di fiducia da parte dei giovani che chie-
dono la responsabilità di affrontare le tematiche sulla loro salute. Un rappresentante di un’or-
ganizzazione slovena ha ricordato il motto dell’associazione giovanile “No Excuse Slovenia”:
è niente per noi senza di noi, lasciando una raccomandazione per gli interventi futuri.
I relatori sono stati di spessore e di grande esperienza nell’affrontare i temi in agenda, tut-
tavia i giovani hanno lamentato la ristrettezza dei tempi che non ha permesso di affrontare ampi dibattiti.
Comunque tra i giovani si è creata un’atmosfera positiva e stimolante che ha permesso una
conoscenza reciproca anche per impostare gli interventi futuri.
Quanto agli aspetti di successo della Conferenza è stata rilevata l’importanza innanzitutto di
mettere la questione salute dei giovani all'ordine del giorno. Ciò ha permesso di superare al-
cuni tabù attraverso la distinzione tra morale e corretta informazione, tra diritti ed opportunità.
Un altro aspetto considerato di successo è stato quello di mettere insieme i giovani e la
politica. La rappresentanza politica italiana è stata numerosa alla Conferenza e ciò per i
giovani ha significato accorciare le distanze su tematiche sensibili per le quali la politica
ha la necessità di coinvolgere le giovani generazioni per progettare interventi che riguar-
dano il loro benessere e la loro salute futura. Tuttavia i giovani richiedono ancora più
ascolto e soprattutto non limitato ad occasioni isolate come è stato nel caso della Con-
ferenza di Roma, perché hanno la consapevolezza di essere in grado di contribuire nella
progettazione di nuove politiche.
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Salute e Benessere dei Giovani