IN-DEPTH ANALYSIS 16 settembre 2014 IFI Advisory, società di intelligence ed analisi internazionale, propone le “Indepth Analysis” per entrare in profondità nelle logiche di eventi di rilevanza globale che, tuttavia, non trovano spazio nella prima pagina della cronaca internazionale: analisi che rispondono a un ricerca mirata in grado di offrire un prodotto dinamico e facilmente consultabile. “Indepth Analysis” è un servizio usufruibile sia dal settore pubblico sia da quelle società e aziende private che mirano ad informarsi maggiormente sulle tematiche internazionali e sui relativi risvolti economici. Le analisi esposte sono frutto di ricerche precise e dati verificati: le opinioni espresse dagli analisti sono tuttavia strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni di IFI S.r.l. Le pubblicazioni online di IFI S.r.l sono opere inedite e frutto di studio approfondito. Si diffida pertanto dal riutilizzo del materiale pubblicato senza l’autorizzazione di IFI S.r.l. 2 IN-DEPTH ANALYSIS Security Issues In-Depth Analysis 16 settembre Indice 1) Stato e capacità delle forze armate Ucraine. Ismatullah Muawiya, pakistantoday.com.pk 2) La dimensione tribale irachena: la MAIN SECURITY ISSUES sfida allo Stato islamico. 3) Nasce AQSI, il nuovo ramo di Al Qaeda nel Sub-continente indiano. 4) Le dispute nel Mar cinese meridionale alimentano tensioni con la Cina. 5) Le Maras centroamericane sono un pericolo continente. trans-nazionale per il 9 settembre: il governo giapponese approva un decreto che estende il limite della piattaforma continentale dal 1° ottobre, per un'area di 177.000 km quadrati nelle acque dell'isola Okinotori. 12 settembre: una nuova serie di sanzioni è stata introdotta dall’Unione europea e dagli Stati Uniti contro la Russia, colpendo le principali banche, il settore dell’energia e della difesa e persone fisiche. 14 settembre: la polizia ugandese ha smantellato una cellula terroristica di Al Shabaab che pianificava attentati nella capitale Kampala e in altre città. 13 settembre: il leader dei Taliban del Punjab, Ismatullah Muawiya, ha dichiarato la cessazione della lotta armata in Pakistan. 15 settembre comincia il dispiegamento nella Repubblica Centrafricana delle truppe della MINUSCA, la missione di stabilizzazione del paese sotto l’egida dell’ONU STATO E CAPACITA’ DELLE FORZE ARMATE UCRAINE Lorena di Placido L’annessione della Crimea alla Russia (marzo 2014) e l’inizio degli scontri tra forze armate ucraine e militanti separatisti delle regioni orientali di Donetsk e Lugansk (aprile 2014) hanno confermato le carenze del sistema di difesa ucraino. Alle note criticità dovute a obsolescenza delle dotazioni, scarsa preparazione del personale e inesperienza dei comandi si è venuta ad aggiungere una diffusa demotivazione, che favorisce i casi di diserzione. La confusione avvertita nelle forze armate rappresenta uno degli aspetti dell’inadeguatezza dell’azione di governo e aggrava i dubbi e i timori sul futuro del paese. Le minacce all’unità e all’integrità territoriale del paese, costituire dall’annessione della Crimea alla Russia, prima, e dagli scontri con i movimenti secessionisti delle regioni orientali di Donetsk e di Lugansk, poi, hanno pienamente evidenziato la situazione di crisi in cui si trovano le forze armate ucraine, incapaci di riprendere il controllo del territorio perduto. Ad oggi, le unità militari ucraine continuano ad operare utilizzando prevalentemente equipaggiamenti di epoca sovietica, che hanno spesso superato la durata della vita operativa. Negli anni seguiti all’indipendenza, il budget per la difesa è rimasto costantemente basso (attualmente è intorno all’1% del PIL, pari a James Hackett, Crisis in Ukraine-military dimensions, International Institute for Strategic Studies-IISS, 5 marzo 2014 http://www.iiss.org/en/militarybalanceblog/blo gsections/2014-3bea/march-f525/ukrainemilitary-0218 1 circa 1,8 miliardi di dollari), con inevitabili riflessi sui livelli di prontezza e di capacità operativa, penalizzate dalla carenza di investimenti per addestramento, armamenti e infrastrutture1. Anche il numero degli uomini in uniforme è stato via via ridotto, passando dai 700 mila del 1991 ai 300 mila circa del 1996 fino ai 184 mila del febbraio 20142. Nell’autunno del 2013, il presidente Yanukovich (rimosso dall’incarico con voto del parlamento il 22 febbraio 2014) era stato promotore di una riforma complessiva delle Forze Armate, orientata a una piena professionalizzazione dello strumento militare, nella convinzione che solo specialisti bene FORZE ARMATE UCRAINE Organico (febbraio 2014): 184 mila uomini, dei quali il 60% in servizio di leva Spese per la difesa (2014): 1,8 miliardi di dollari addestrati potessero utilizzare i moderni sistemi d’arma di cui il paese doveva dotarsi. Con un costo complessivo stimato pari a circa Khaterine Jacobsen, Ukraine’s broke military is underpaid and undertrained, 14 agosto 2014, http://www.businessweek.com/articles/201408-14/ukraines-broke-undertrained-military-isno-match-for-russia 2 3 16 miliardi di dollari, il programma di riforme avrebbe dovuto essere completato entro il 2017, quando il personale in organico sarebbe sceso a 122 mila unità, con una retribuzione media pari a circa 600 dollari al mese 3 (contro gli attuali 100 dollari). Gli eventi verificatisi tra la fine del 2013 e i primi mesi del 2014 hanno radicalmente cambiato lo scenario politico e di sicurezza del paese: piuttosto che avviare quel processo di riforma che le avrebbe consentito di dotarsi, primo paese tra quelli della CSI, di Forze Armate pienamente professionali, l’Ucraina ha dovuto invece affrontare sfide decisive per il suo futuro, in condizioni di debolezza strutturale. Le difficoltà sono state aggravate anche dalla perdita di gran parte della Flotta del Mar Nero e dallo scioglimento di un reparto efficientemente addestrato per il mantenimento dell’ordine pubblico, il Berkut, ritenuto troppo vicino a Yanukovich e quindi visto con sospetto e diffidenza dalla nuova dirigenza. Colto di sorpresa dal precipitare degli eventi, il 12 marzo, il parlamento di Kiev ha approvato la costituzione di una Guardia nazionale, costituita su base volontaria da 60 mila uomini, reclutati principalmente tra i protagonisti delle proteste di piazza dei mesi precedenti, allo scopo sostenere le forze regolari nel contrasto ai gruppi armati che si stavano attivando nell’est e nel sud del paese4. Successivamente, si sono formate altre unità o corpi speciali, in Alexander Golts, Ukraine is reforming its army faster than Russia, The Moscow Times, 29 ottobre 2013, http://www.themoscowtimes.com/opinion/artic le/ukraine-is-reforming-its-army-faster-thanrussia/488593.html 4 Ukraine creates National Guardahead of Crimea vote, BBC, 13 marzo 2014 http://www.bbc.com/news/world-europe26558288 5 Philip Shishkin, One-ship Ukraine Navy defies Russia to the end, The Wall Street Journal, 26 marzo 2014, 3 alcuni casi integrati con le forze regolari (Battaglione Donbas) in altri casi indipendenti (Battaglione Azov). La carenza di addestramento, la scarsa motivazione e la sfiducia nei confronti dei comandi hanno causato molti casi di diserzione nei ranghi delle forze governative, prima ed emblematica tra tutte quella del comandante delle Forze Navali, contrammiraglio Andrey Tarasov, che ai primi di marzo, a pochi giorni dalla sua nomina, ha preferito passare sotto l’autorità dei nuovi dirigenti della Crimea e quindi sotto il comando russo5, proprio mentre nella penisola i militari di Kiev, assediati nelle caserme dai “gruppi di autodifesa”, avevano ricevuto l’ordine di abbandonare le installazioni per raggiungere il territorio controllato dal governo di Kiev. Non pochi preferirono, tuttavia, restare in Crimea (secondo alcune fonti sarebbero stati circa 5.500), anche per le maggiori certezze che offriva loro la prospettiva di servire nelle forze armate russe6. Successivamente, mano a mano che la cosiddetta campagna antiterrorismo nelle regioni di Donetsk e Lugansk assumeva le caratteristiche di una vera a propria guerra civile, contro milizie dotate di armi moderne fornite da Mosca e fortemente motivate, i casi di diserzione tra le forze ucraine sono aumentati. E’ da evidenziare, al riguardo l’episodio avvenuto il 4 agosto, quando oltre 400 di soldati ucraini avrebbero passato il confine con la Russia7. http://online.wsj.com/news/articles/SB1000142 4052702303949704579461513462696086 6 Andrzej WilkThe military consequences of the annexation of Crimea, OSW, 19 marzo 2014, http://www.osw.waw.pl/en/publikacje/analyse s/2014-03-19/military-consequences-annexationcrimea 7 More than 400 Ukranian soldiers cross border into Russia, 4 agosto 2014, http://www.foxnews.com/world/2014/08/04/ more-than-400-ukrainian-soldiers-cross-borderinto-russia/ 4 Benché per questo, come per altri episodi, ciascuno schieramento abbia offerto una propria versione della dinamica degli eventi, il problema della diserzione viene riconosciuto dallo stesso presidente ucraino, Petro Poroshenko. In un comunicato del 28 agosto, egli ha sottolineato che lo stato deve prendere tutte le misure necessarie per arginare i casi di tradimento e diserzione, dei quali “dobbiamo parlare onestamente e apertamente”; inoltre, ha attribuito le difficoltà incontrate in quei giorni nei combattimenti di Ilovaysk (regione di Donetsk) all’abbandono dell proprio posto da parte de comandanti di due unità8. Alla luce di quanto delineato, la capacità delle Forze Armate ucraine di garantire l’integrità territoriale del paese appare, pertanto, gravemente inficiata dai limiti strutturali non adeguatamente affrontati negli anni della transizione post sovietica e dal profondo malessere che si è diffuso tra gli uomini in armi, a causa dell’indeterminatezza delle prospettive future del paese. https://twitter.com/euromaidan/status/49844669082359 8082 President: Situation is difficult but controlled, 28 agosto 2014, 8 http://www.president.gov.ua/en/news/31106.h tml 5 LA DIMENSIONE TRIBALE IRACHENA: LE SFIDE ALLO STATO ISLAMICO Umberto Profazio La facile avanzata dello Stato Islamico (SI) in Iraq è il risultato di una serie di fattori concomitanti, che comprendono non solo l’indebolimento dello Stato e del suo apparato militare, ma anche il rifiuto delle tribù sunnite di collaborare con il governo centrale a guida sciita. Esse hanno quindi deciso di appoggiare lo SI per accelerare un cambiamento ai vertici delle istituzione e arrivare a nuovi equilibri di potere nel paese. Tra molte tribù sunnite (e le loro milizie) e il SI esistono tuttavia profonde differenze, che possono portare alla fine dell’alleanza, indebolendo di conseguenza il fronte jihadista. guidato dall’esponente sciita Nouri al-Maliki. L’ex primo ministro era accusato di perseguire politiche centralistiche e discriminatorie nei confronti dei sunniti, obiettivo di una vera e propria campagna di emarginazione. Delle proteste contro il governo ha tratto vantaggio il SI, che, grazie all’appoggio delle milizie tribali IRAQ – PRINCIPALI MILIZIE TRIBALI Esercito Naqshbandi (Ba’ath) CMGRI (Ba’ath) Ansar al-Islam (Salafita) CMRT (Tribale) Il 29 agosto 2014, il sindaco di Haditha (governatorato di al-Anbar), Abdul Hakim alJughaifi, ha confermato che l’esercito iracheno è riuscito a sconfiggere i combattenti dello Stato Islamico (SI) a sud-est della città, grazie al supporto delle milizie sunnite locali9. La possibilità che le diverse tribù irachene, e le relative milizie, possano opporsi al SI è una delle chiavi di volta del conflitto in corso nel paese10. locali, è riuscito ad estendere il suo controllo proprio nei governatorati a forte connotazione sunnita. Occorre ricordare che l’attuale situazione di instabilità irachena ha avuto origine alla fine del 2012, quando nella comunità sunnita, prevalente nella parte occidentale del Paese (in particolare ad al-Anbar), hanno cominciato a diffondersi le prime proteste contro il governo Tra queste milizie, ha assunto un’importanza particolare l’Esercito Naqshbandi, guidato dall’ex consigliere di Saddam Hussein, Izzat al-Douri. La formazione, composta prevalentemente da ex appartenenti al Partito Ba’ath (di ispirazione socialista, nazionalista e A tal proposito, il 31 agosto a Ramadi tribù locali che si oppongono alla presenza del SI hanno annunciato la formazione delle Brigate al-Hamza. Institute for the study of war, Iraq Situation Report, August, 29-31, 2014, http://iswiraq.blogspot.it/2014/08/iraqsituation-report-august-29-31- 2014.html?utm_source=Iraq+Situation+Report:+A ugust+2931,+2014&utm_campaign=ISW+New+Iraq+updat e&utm_medium=email 10 Jim Muir, Iraq crisis: Sunni rebels ‘ready to turn on Islamic State’, BBC News, 29/08/2014, http://www.bbc.co.uk/news/world-middleeast-28978941 . 9 CMRTA (Tribale) Esercito dei Nazionalista) Mujhaideen (Sunnita- Esercito Islamico dell’Iraq (SunnitaNazionalista pan-araba) opera principalmente nei governatorati di Nineveh e Kirkuk. Proprio a Kirkuk si sono verificato i primi scontri tra il SI e i militanti dell’Esercito Naqshabandi (21 giugno 2014) a causa del rifiuto di questi ultimi di consegnare le loro armi e prestare giuramento di fedeltà e sottomissione al gruppo jihadista11. L’episodio è stato un primo segnale che l’alleanza tra milizie sunnite e SI si basa sulla comune avversione al governo filo-sciita di Baghdad ma non su una vera condivisione di obiettivi e di principi ideologici. Secondo molti segnali, anche altre milizie sunnite stanno prendendo le distanze dal SI o potrebbero farlo nel prossimo futuro. Gli analisti guardano con mota attenzione alle decisioni del Consiglio Militare Generale per i Rivoluzionari iracheni (CMGRI). Costituito all’inizio del 2014 per unire differenti strutture militari e gruppi armati tribali, il Consiglio ha una derivazione di chiara impronta Ba’athista ed è strettamente collegato all’Associazione degli Studiosi Musulmani, guidata da Sheykh Harith Sulayman al-Dhari. La natura sostanzialmente tribale dell’alleanza che si è raccolta intorno al SI è confermata inoltre dalla presenza del Consiglio Militare dei Rivoluzione Tribali (CMRT) - coalizione di più di 80 tribù sunnite e di 41 gruppi armati, la cui presenza è più rilevante a Fallujah, Ramadi ed in diverse aree dei governatorati di Nineveh e Salah ad Din - e del Consiglio Militare dei Rivoluzionari Tribali di Anbar (CMRTA), che ha cercato di convincere le 17 dead in clashes between ISIL and Naqshbandi group in Kirkuk, Shafaq News, 21/06/14, http://english.shafaaq.com/index.php/security/ 10239-17-dead-in-clashes-between-isil-andnaqshbandi-in-kirkuk . 12 Il leader dell’organizzazione è Sheykh Hatim alSulayman, capo della potente tribù dei Dulaim. Bashdar Pusho Ismaeel, A marriage of convenience: the many faces of Iraq’s Sunni 11 milizie del risveglio islamico (Sahwa, determinati nella sconfitta di al-Qaeda durante l’occupazione americana) a ribellarsi contro il governo di al-Maliki12. Tra le altre formazioni occorre menzionare anche l’Esercito Islamico dell’Iraq, Ansar al-Islam, l’Esercito dei Mujhaideen, le Brigate Rivoluzionare 1920 (Thawarat al-Ashrayn) e l’Hamas iracheno (braccio armato della Fratellanza Musulmana). Dopo le settimane iniziali in cui il collante rappresentato dalla comune volontà di abbattere il governo di al-Maliki e dai facili successi conseguiti sul terreno ha nascosto le diffidenze anche storiche e gli interessi spesso confliggenti, la diversità di ispirazione e di obiettivi tra vari protagonisti della rivolta contro lo stato centrale sta emergendo. Le posizioni variano e si va: dalla creazione di uno Stato sunnita nelle regioni irachene conquistate, portata avanti dalle fazioni salafite dell’Esercito dei Mujahideen e di Ansar alIslam; alla costituzione di una regione autonoma, sul modello del Kurdistan iracheno, sostenuta da Hamas, fino alla restaurazione del vecchio regime dominato dal Partito Ba’ath, scopo principale dell’Esercito Naqshbandi13. Anche le vicende politiche interne possono contribuire a marcare ancora di più le differenze tra i vari gruppi, come dimostrato dalla recente nomina del nuovo primo ministro Haider al-Abadi, che ha l’appoggio sia di Washington che di Teheran. L’emarginazione di al-Maliki ha eliminato un altro fattore che teneva unita la coalizione sunnita, mettendo in serio pericolo ciò che alcuni autori hanno insurgency, Terrorism Monitor, 25/07/14, http://www.jamestown.org/single/?tx_ttnews% 5Btt_news%5D=42668&tx_ttnews%5BbackPid%5 D=7#.VAc5U_l_uKU. 13 Mushreq Abbas, Iraq’s ‘Sunni’ rebellion shows splits between ISIS, others, al-Monitor, 24/06/14, http://www.almonitor.com/pulse/originals/2014/06/iraq-isissunnis-clash-future.html . 7 definito un “matrimonio di convenienza” 14. La collaborazione potrebbe finire in qualsiasi momento ridimensionando fortemente anche il livello della minaccia rappresentata dal SI. Immagine fanack.com 14 Jim Muir, Ibidem, 8 AQSI: UNA NUOVA STRATEGIA DI AL QAEDA PER IL SUB-CONTINENTE INDIANO Daniele Grassi I successi ottenuti dallo Stato Islamico in Siria e in Iraq stanno provocando una rapida riconfigurazione degli equilibri di forza all’interno della galassia jihadista internazionale, spingendo Al Qaeda ad adottare nuove strategie per mantenere o rafforzare il suo ruolo in aree ove esistono comunità islamiche sensibili alla predicazione più radicale. La nascita di una nuova branca dell’organizzazione nel sub-continente indiano non sembra preludere a significativi mutamenti dei livelli di rischio nella regione, poiché la presenza della rete fondata da Osama bin Laden è destinata a rimanere prevalentemente circoscritta all’area compresa tra Pakistan e Afghanistan. Il 3 settembre, il direttore del Centro nazionale anti-terrorismo degli Stati Uniti, Matthew Olsen, ha sottolineato la minaccia rappresentata dall’avanzata dello Stato Islamico in Siria e in Iraq, dichiarando che tale gruppo potrebbe presto diventare il più influente tra quelli appartenenti al movimento jihadista mondiale, superando così Al Qaeda 15. Negli ultimi anni, l’organizzazione guidata da Ayman al-Zawahiri ha subìto un progressivo indebolimento, con una conseguente diminuzione del suo appeal e della sua influenza. La rapida ascesa del gruppo guidato “US official: Islamic State threatens to outpace al-Qaeda”, al-Monitor, 03/09/2014, http://www.almonitor.com/pulse/originals/2014/09/matthewolsen-ncc-counterterrorism-islamic-state-alassad.html#ixzz3CMKpRBz7 16 “Somalia's al-Shabab join al-Qaeda”, BBC News, 10/02/2012, http://www.bbc.com/news/worldafrica-16979440 15 da Abu Bakr al-Baghdadi ha fatto emergere i gravi limiti, soprattutto in termini di leadership, che da alcuni anni (almeno dal 2011, anno dell’uccisione di Osama binLaden) ne condizionano l’azione a livello operativo e, di conseguenza, le capacità di reclutamento e di finanziamento. Per compensare almeno in parte queste carenze, la dirigenza di Al Qaeda ha di recente cercato delle partnership con gruppi locali, che le consentissero di esercitare un’influenza, per quanto limitata, su aree del mondo dalle quali sarebbe altrimenti stata esclusa. È questo il caso, ad esempio, dell’alleanza con il gruppo Al Shabaab, da anni attivo in Somalia 16. Proprio nel tentativo di invertire questo trend negativo, il 3 settembre, l’organo ufficiale di Al Qaeda, As-Sahab, ha diffuso un video in cui l’emiro al-Zawahiri annunciava la nascita di una nuova branca denominata “Jamaat Qaidat al-jihad fi’shibhi al-qarrat al-Hindiya” (Organizzazione della Base della Jihad nel sub-continente indiano), o più semplicemente “Al Qaeda nel Sub-continente Indiano” (AQSI)17, che va dunque ad aggiungersi ad “Al Qaeda nel Maghreb Islamico” (AQMI) e “Al Qaeda nella Penisola Arabica” (AQPA). Lo scopo dichiarato di AQSI è quello di mobilitare le comunità musulmane residenti in “Birmania, Bangladesh, Assam, Gujarat, “Al Qaeda opens branch in the 'Indian Subcontinent', The Long War Journal, 03/09/2014, Read more: http://www.longwarjournal.org/archives/2014/ 09/al_qaeda_opens_branc.php#ixzz3CMMMdln8 17 9 Ahmedabad e nel Kashmir”18, affinché si battano per la loro liberazione dai regimi oppressivi ai quali sono assoggettate e per l’imposizione della sharia nella regione. Non si tratta di un progetto nuovo, se si considera che già nei mesi scorsi al-Zawahiri aveva più volte incitato allo jihad denunciando sia il trattamento discriminatorio subìto dalla comunità rohingya (di fede musulmana) nel Myanmar sia i processi a cui il governo del Bangladesh ha sottoposto diversi membri di spicco dei principali partiti islamici del paese (alcuni dei quali sono stati giustiziati). Anche gli stati indiani ai quali l’emiro di Al Qaeda fa riferimento nel video sono caratterizzati da una forte presenza di musulmani che denunciano emarginazione e persecuzioni e sono stati coinvolti in scontri con le altre comunità religiose ed etniche, in particolare gli Indù. Appare molto importante dal punto di vista simbolico il riferimento al Gujarat, stato indiano che nel 2002 fu teatro di scontri tra musulmani e induisti che provocarono oltre 1.000 vittime (la maggior parte delle quali di fede islamica), con la presunta complicità dell’amministrazione locale, allora guidata da Narendra Modi, leader nazionalista indù, oggi a capo del governo di Nuova Delhi. Nei piani di al-Zawahiri ci sarebbe dunque quello di sfruttare l’eventuale malcontento della comunità musulmana indiana (la terza più numerosa al mondo, con 175 milioni di persone) e degli altri paesi della regione per rafforzare la presenza di Al Qaeda nel subcontinente indiano. Tuttavia, sembra difficile che l’appello di al-Zawahiri riesca a fare presa su queste popolazioni, considerando anche che i tentativi sinora compiuti non hanno prodotto risultati realmente apprezzabili. Pertanto, il video diffuso il 3 settembre sembrerebbe rispondere più all’esigenza di dare nuovo lustro al brand dell’organizzazione 18 che alla reale necessità di rilanciare anche formalmente un fenomeno già affermatosi sul terreno. È dunque prevedibile che il ruolo di Al Qaeda non subisca significativi mutamenti, rimanendo strettamente legato e, per molti versi, dipendente dai gruppi che operano tra Pakistan e Afghanistan. Non a caso, Asim Umar, combattente del Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP) e considerato molto vicino alla dirigenza di Al Qaeda, è stato scelto come emiro di AQSI (il suo portavoce sarà Usama Mahmoud). Dopo l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, la leadership storica di Al Qaeda ha sfruttato i rapporti con i mujaheddin afghani e pakistani, iniziati durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan, per trovare rifugio e protezione nell’area. Tuttavia, negli ultimi 3 settembre: nasce “Al Qaeda nel Subcontinente Indiano” (AQSI) Leader: Asim Umar (ex-comandante del TTP) Principali gruppi terroristici di matrice jihadista attivi nella regione: Stato Islamico dell’Afghanistan (Taliban afghani); Tehrik-i-Taliban Pakistan; Jamaat ul-Ahrar; Lashkar-i-Taiba; Lashkar-iJanghvi; Hizb-ul-Mujaheddin; Jaish-eMohammed; al-Badr; Indian Mujaheddin; Students Islamic Movement of India anni, il nucleo storico dell’organizzazione è stato decimato dai numerosi attacchi con i droni compiuti dagli americani. Inoltre, l’operazione anti-terrorismo “Zarb-i-Azb” (dal nome di una delle spade appartenute al Profeta Maometto), lanciata lo scorso 15 giugno dalle forze armate pakistane nel Nord Waziristan e nelle altre agenzie delle FATA (Federally Ibid. 10 Administered Tribal Areas), ha ridotto le capacità logistiche e operative delle formazioni attive al confine con l’Afghanistan (sinora sarebbero stati uccisi almeno 910 presunti terroristi19), costringendole ad abbandonare il paese. E’ dunque in corso una fase di profonda riconfigurazione dei movimenti terroristici della regione e il timore di Al Qaeda è quello di vedere ulteriormente ridotto il proprio ruolo, a vantaggio dello Stato Islamico. Negli ultimi mesi, infatti, si è rilevato un significativo aumento dell’attività di propaganda da parte del gruppo di al-Baghdadi: numerosi opuscoli e volantini in pashtu e in dari sono stati distribuiti in varie località del Pakistan e dell’Afghanistan20. Grazie agli storici legami su cui può contare nella regione, Al Qaeda sta dunque tentando di serrare i ranghi, ostacolando i tentativi di penetrazione dello Stato Islamico nel sub-continente indiano e, in particolare, in Pakistan e Afghanistan. Il giuramento di fedeltà nei confronti del Mullah Omar (leader dei Taliban afghani), ribadito da al-Zawahiri nel video diffuso il 3 settembre, sembra confermare tale ipotesi. Il successo della sua strategia dipenderà molto dall’evolversi della situazione politica afghana, poiché l’insediamento a Kabul di un governo con scarsa legittimità (come potrebbe essere quello che emergerà dalle contrastate elezioni presidenziali del 14 giugno) favorirebbe certamente l’avanzata dei Taliban, che già negli ultimi mesi hanno intensificato gli attacchi in varie province del paese. Anche il contesto regionale avrà un ruolo decisivo nel determinare l’eventuale successo di Al Qaeda, in considerazione della forte influenza che l’ostilità tra Pakistan e India ha avuto sul fenomeno terroristico nel sub-continente indiano, in particolare nel Kashmir. “Army says 910 'terrorists', 82 soldiers killed in North Waziristan”, Dawn, 03/09/2014, http://www.dawn.com/news/1129619/armysays-910-terrorists-82-soldiers-killed-in-northwaziristan 20 19 “Spillover effect: ISIS making inroads into Pakistan, Afghanistan”, The Express Tribune, 03/09/2014, http://tribune.com.pk/story/757186/spillovereffect-isis-making-inroads-into-pakistanafghanistan/ 11 LE DISPUTE NEL MARE CINESE MERIDIONALE ALIMENTANO TENSIONI NELLE FILIPPINE Luigi De Martino L’attentato sventato all’aeroporto “Ninoy Aquino”di Manila mostra come la mancata soluzione delle controversie territoriali sul Mare Cinese Meridionale possa condurre ad una deriva violenta, suscettibile di destabilizzare i paesi interessati. Le azioni intraprese dagli stati dell’ASEAN, cosi come la strategia statunitense per la regione, non sembrano in grado di riuscire a contenere le aspirazioni della Cina a svolgere un ruolo di crescente importanza sul piano politico ed economico. Il primo settembre, le forze di sicurezza filippine hanno sventato un attentato contro l’aeroporto internazionale “Ninoy Aquino” di Manila. Secondo quanto dichiarato inizialmente dalle autorità, i tre uomini arrestati (riservisti delle forze armate) stavano pianificando attacchi anche contro l'Ambasciata cinese e un grande centro commerciale della capitale, con il proposito di rendere pubblico il malcontento verso la presunta arrendevolezza del governo nella disputa con la Cina per il controllo di alcuni arcipelaghi del Mare Cinese Meridionale e del mare che li circonda. Al centro delle rivendicazioni territoriali, che dividono Cina, Filippine, Vietnam, Brunei, Malaysia e Taiwan, ci sono le Spratley e le Paracel, due arcipelaghi situati in una posizione strategica per il controllo delle rotte commerciali e lo N.C. Carvajal, N.P. Calleja, “Naja 3 bombing brains arrested”, Inquirer.net, 21 sfruttamento di petrolio e gas presenti sul fondo marino. I tre arrestati farebbero parte di un gruppo nazionalista denominato “USA Freedom Fighters of the East” (USAFFE), il cui leader, Ely Pamatong, è stato arrestato il 3 settembre con l’accusa di incitamento alla sedizione. L’USAFFE è una formazione paramilitare anti-comunista, creata 13 anni or sono, con lo scopo di contrastare i militanti di estrema sinistra attivi sull’isola di Mindanao 21. Secondo le autorità, il gruppo non costituisce Rivendicazioni Importanza geopolitica Isole Spratly Isole Paracel Cina, Taiwan, Vietnam, Malaysia, Filippine, Brunei Petrolio, gas naturale, pesca, Stretto di Malacca Cina, Taiwan, Vietnam Petrolio, gas naturale, pesca, Stretto di Malacca una “minaccia” alla sicurezza nazionale. Dalle prime indagini, infatti, è emerso che il materiale esplosivo usato per compiere gli attentati era assai rudimentale e poco potente. Tuttavia, l’Ambasciata di Pechino a Manila ha chiesto al governo filippino di svolgere indagini approfondite sulla vicenda e di assumere ogni azione volta a garantire "la http://newsinfo.inquirer.net/635094/pamatongarrested-at-naia-2 12 sicurezza dell'ambasciata cinese, del suo staff e dei cittadini cinesi residenti nelle Filippine". Il Ministero degli esteri filippino ha immediatamente preso le distanze dall’accaduto sottolineando come gli attentatori e le loro modalità di azione non rispecchino in nessun modo la posizione del governo, contrario a risolvere la disputa in atto con il ricorso alla violenza. Come già accaduto in precedenza in Vietnam, in cui si sono registrati attacchi ad aziende e cittadini cinesi o di paesi considerati vicini a Pechino, con un bilancio di parecchi morti e feriti, anche nelle Filippine i contenziosi territoriali e i contrasti economici e commerciali potrebbero, dunque, assumere una deriva violenta. Nonostante il lancio, più per necessità che per scelta, della strategia USA “Pivot to Asia” (un ribilanciamento della politica estera verso il continente asiatico e la Cina), l’aumento delle tensioni negli ultimi mesi può essere letto come il risultato dell’incapacità dei governi della regione, timorosi delle aspirazioni egemoniche della Cina, di assumere una posizione coerente con il raggiungimento degli obiettivi prefissati, sia in un’ottica multilaterale che bilaterale. In tale quadro, l’incapacità dell’Association of Sourh-East Asian Nationa (ASEAN) di definire una strategia da contrapporre alla politica “imperialista” cinese, rappresenta di fatto una vittoria per Pechino, che ha già più volte ribadito la sua volontà di risolvere la questione attraverso accordi bilaterali con i singoli stati, evitando la mediazione internazionale. Anche l’EDCA (Enhanched Defense Cooperation Agreement) siglato dagli Stati Uniti con le Filippine a fine aprile, rappresenta un’arma a doppio taglio, perché propone un’idea di contenimento che innalza il livello di guardia e difficilmente favorisce l’instaurazione di un rapporto di fiducia con la Cina che, pertanto, potrebbe irrigidirsi sulle sue posizioni. Un aumento dell’aggressività della politica estera cinese comporterebbe diversi problemi da un punto di vista strategico per gli Stati Uniti che devono necessariamente poter godere della libertà di navigazione e di sorvolo dell’area. Cosa non scontata dato che la Cina vorrebbe che il transito di navi militari nella sua Zona Economica Esclusiva avvenisse solo con il suo consenso. Attualmente non vi sono all’orizzonte possibilità che eventuali limitazioni riguardino anche le rotte commerciali dal momento che tutti i paesi dell’Asia-Pacifico, compresa la Cina, hanno forti interessi nell’evitare interferenze sul commercio. Gli Stati Uniti, le Filippine e gli altri paesi dell’area hanno tutto il vantaggio a non alzare il livello di scontro, cercando di ottenere il riconoscimento delle loro posizioni attraverso un ricorso alla Convenzione del Diritto del Mare delle Nazioni Unite e risolvendo le dispute per via diplomatica. Un aumento della tensione nel Mar Cinese Meridionale, parallelamente ad una incapacità politica di affrontare in maniera efficace ed organica i contenziosi rischiano inevitabilmente di aggravare l’irrequietezza delle popolazioni e potrebbero favorire proteste anticinesi suscettibili di sfociare in azioni violente. 13 LE MARAS CENTROAMERICANE: UN PERICOLO TRANS-NAZIONALE PER IL CONTINENTE Stefano Lupo Le Maras, le gang di strada del Centroamerica, per la violenza delle loro azioni e i consolidati legami con altri gruppi criminali, in particolare messicani, rappresentano una minaccia seria per la sicurezza di molti paese del continente, visti anche i fallimenti registrati in passato dalle politiche di contenimento del fenomeno, quasi esclusivamente orientate alla repressione. Le difficoltà economiche in molti paesi centroamericani hanno incrementato il flusso emigratorio verso gli Stati Uniti e l’America meridionale, creando di conseguenza condizioni favorevoli per l’espansione delle attività di organizzazioni criminali come la Maras, sempre più concentrate sul traffico della droga Un rapporto dello scorso mese di luglio dello U.S. Customs and Border Protection Nogales Placement Center ha rilevato la presenza di 16 membri della gang centro americana “Mara Salvatrucha” tra gli immigrati raccolti nel centro di controllo dell’Arizona. L’individuazione dei soggetti è stata resa possibile tramite l’osservazione di alcuni graffiti riconducibili al codice della “Mara”. In precedenza, il governatore dell’Arizona, Jan Brewer, aveva espresso serie preoccupazioni circa la presenza di affiliati delle gang tra gli immigrati che dal Centro America provano ad entrare negli Stati Uniti. 22 In questi ultimi anni Warren Mass, “Illegal Immigrant Children Include MS-13 Gang Members”, The New American, 9 luglio 2014, http://www.thenewamerican.com/usnews/imm igration/item/18658-illegal-immigrant-childreninclude-ms-13-gang-members 23 Geoffrey Ramsey, “Street Gangs on the Rise in South America. Are Central America’s Maras 22 anche alcuni governi del Sud America hanno espresso crescente preoccupazione circa l’influenza esercitata dalle gang di strada centroamericane nelle attività criminali, soprattutto in Bolivia, Argentina, Ecuador e Venezuela.23 Il fenomeno delle bande criminali del Centro America, note come “Maras”, formate da affiliati di età compresa tra i 13 e i 30 anni, è di Mara Salvatrucha Provenienza: principalmente da El Salvador Affiliati: 70.000 Alleati: cartello di Sinaloa, Los Zetas (Messico) Nemici: cartello (Messico) di Tijuana Attività principali: violenza su commissione, traffico di droga, omicidi, estorsione. particolare importanza perché intreccia dinamiche transazionali e lotta per il predominio tra vari elementi della criminalità internazionale, rivelandosi come uno dei Among them?”, The Christian Science Monitor, 15 marzo 2012, http://www.csmonitor.com/World/Americas/L atin-America-Monitor/2012/0315/Street-gangson-the-rise-in-South-America-Are-CentralAmerica-s-Maras-among-them 14 fenomeni più preoccupanti in termini di security per tutto il continente americano. Se l’attività di queste gang è particolarmente radicata nel cosiddetto Triangolo Nord del Centro America, ossia Honduras, El Salvador e Guatemala, è pur vero che le due principali bande, la Mara Salvatrucha (conosciuta anche come MS-13, quasi esclusivamente composta da salvadoregni) e il Barrio 18 (comprendente soprattutto messicani, honduregni e guatemaltechi) hanno potuto affermarsi nei primi anni Novanta anche a Los Angeles, la prima sfruttando l’elevata immigrazione di cittadini di El Salvador negli USA per sfuggire alla guerra civile, e la seconda riuscendo ad integrare elementi messicani con nuovi immigrati dal Guatemala e dall’Honduras. I centroamericani che sfuggivano dalla miseria dei loro paesi, quasi tutti coinvolti in conflitti interni, trovavano un retroterra fertile per l’aggregazione in bande di strada, molto spesso per difendersi da aggressioni di altre bande o delle forze dell’ordine. Con il tempo, soprattutto dopo la rivolta di Los Angeles del 1992, il fenomeno ha assunto tale peso da indurre il governo di Washington ad adottare una legislazione molto rigida, con l’introduzione del regime del carcere duro nel 1994 e l’approvazione da parte del Congresso della Illegal Immigration Reform and Immigration Responsibility Act nel 1996, che sanciva la possibilità di espulsione per chi doveva scontare più di un anno nelle carceri americane, con l’accusa di aderire a una gang24. In circa dieci anni, più di 20.000 membri delle gang sono stati estradati in Centro America. Dapprima sono stati ignorati dalle autorità Illegal Immigration Reform and Immigration Responsibility Act, Cornell University Law School, Legal Information Institute, http://www.law.cornell.edu/wex/illegal_immig ration_reform_and_immigration_responsibility_a ct 24 locali e successivamente sono stati affrontati con il pugno di ferro, soprattutto in Honduras ed El Salvador, dove la situazione politica interna, anche sul piano culturale e sociale, correva i rischi maggiori a causa dell’estrema violenza dei comportamenti delle Maras. L’errore principale di Honduras, El Salvador e Guatemala è stato quello di adottare esclusivamente una legislazione repressiva, senza andare alla radice del problema delle gang, per giunta aggravato da un forte tasso di incremento demografico. Nel Centro America, la percentuale di adolescenti (di età inferiore ai 15 anni) è pari a circa il 45% della popolazione totale e ciò ha favorito per rappresaglia una risposta ancora più violenta da parte delle Maras. La mano dura del Presidente honduregno Maduro nel 2002 ha portato inoltre a un altro serio errore tattico, in termine di security, ripetuto anche in El Salvador e in Guatemala; per evitare lotte nelle carceri tra membri di maras diverse, ogni gang è stata destinata a un penitenziario prestabilito, determinando, non volutamente, un potenziamento degli assi di comunicazione e di compattamento delle varie cellule delle Maras stesse.25 Nonostante le tregue concluse in Honduras ed El Salvador tra autorità e gang, spesso grazie alla mediazione della Chiesa Cattolica locale (come in Honduras), tra il 2013 e il 2014, le difficili condizioni economiche e sociali della regione, aggravate da una siccità senza precedenti, hanno non solo provocato un aumento dei flussi migratori verso gli USA (dall’inizio del 2014 è cresciuto del 117% il numero dei bambini non accompagnati e sotto i 12 anni di età giunti in territorio statunitense), Roberto Valencia, “How El Salvador Handed its Prisons to the Mara Street Gangs”, Insight Crime, 3 settembre 2014, http://www.insightcrime.org/newsanalysis/how-el-salvador-handed-its-prisons-tothe-gangs 15 25 ma hanno anche esacerbato le tensioni in tutto in Centro America, ad eccezione del Nicaragua, dove politiche più inclusive verso le gang e il potenziamento delle forze dell’ordine hanno permesso azioni meno drastiche, riducendo il rischio di violenze. Ora l’allerta principale è dovuto all’intensa collaborazione tra le principali Maras e i cartelli messicani più importanti, come i Los Zetas e Sinaloa, vista anche la centralità crescente dell’Honduras nel traffico di cocaina. National Gang Intelligence Centre, 2010 (si noti in particolare l’epicentro di Los Angeles) 16