Rassegna Stampa Ischia, Castello Aragonese, Chiesa di Santa Maria della Libera Gina Carla Ascione La Vergine Annunciata con San Nicola (Affresco), Ignoto inizi sec. XIV La Madonna con Bambino e Santi (Affresco), Ignoto seconda metà sec. XIV La chiesa della Madonna della Libera, risalente al XII secolo, e dedicata in un primo tempo a S. Nicola di Bari, si presenta oggi spoglio, ad eccezione di alcune tracce di affresco sulla parete a sinistra dell’ingresso e dei due dipinti murali sovrapposti, posti a metà della navata, sul lato destro rispetto all’ingresso. L’intervento di restauro, che è consistito nello stacco del dipinto più tardo, ha consentito la restituzione di entrambi, permettendo un’analisi stilistica dei due manufatti. Il dipinto sovrapposto si presentava come il più danneggiato, in quanto era stato esposto per un lungo periodo alle intemperie ed aveva costituito una protezione per quello più antico. L’opera raffigura una Madonna con Bambino, lacunosa nella parte centrale del corpo e nell’intera figura di Gesù, del quale sono visibili soltanto i piedini. La Vergine appare piuttosto leggibile, mentre delle due figure laterali, in piedi, rimangono soltanto lacerti. L’affresco, di alta qualità pittorica, presenta affinità con il ciclo della cripta della Cattedrale del Castello, conservati nella Cappella a destra dell’ingresso, raffiguranti una teoria di Santi e Martiri, databili intorno agli anni ‘50 del Trecento e riconducibili alle opere contemporanee eseguite da Roberto d’Odorisio e da Lello da Orvieto o miniate da Cristoforo Orimina. Il dipinto più antico raffigura, invece, una Vergine Annunciata in trono, ai cui piedi si inginocchia un Angelo e dal lato opposto un San Nicola con il fanciullo coppiere. L’iconografia è legata al miracolo della liberazione di un ragazzo fatto prigioniero dai saraceni e detenuto a Babilonia, dove fungeva da coppiere del sultano, riportato in patria attraverso l’intervento miracoloso del Santo. La presenza di san Nicola, anche negli affreschi della cripta della Cattedrale del castello, e sull’eremo del monte Epomeo appare chiaramente legata al terrore suscitato sull’isola dalle continue incursioni turche. Il dipinto, degli inizi del XIV secolo, può essere ricondotto ad un ambito meridionale, puntato verso una cultura tardo bizantina, di tipo pugliese, alla maniera di Giovanni da Taranto, attivo a Napoli a partire dal 1304. Gli scorci architettonici del trono, raffigurato come un’architettura gotica, finemente intarsiata con mosaici cosmateschi, richiamano l’impianto delle storie di San Domenico della tavola, oggi conservata nel Museo di Capodimonte, proveniente da una chiesa domenicana del territorio. Nell’affresco ischitano, così come nella tavola di Capodimonte, si mescolano riferimenti ai miniatori attivi a Napoli alla fine del duecento, di matrice svevo-bolognese-maiorchina, con l’eco suscitata dalle novità giottesche nelle Storie francescane di Assisi. L’interpretazione del mo- Opuscolo del Ministero per i Beni e le Attività culturali. Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali (Ferrara 2-5 aprile 2008) Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania. Soprintendenza per i Beni Architettonici, per il Paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Napoli e Provincia dello assisiate si limita, tuttavia, ad una rilettura superficiale esclusivamente delle partiture architettoniche, in un’opera che reinterpreta in versione gotica tardo-duecentesca le idee rivoluzionarie del fiorentino. Nel corso del restauro sono emersi interessanti dati tecnici sulla natura dei due dipinti. Il più antico è stato realizzato su di uno strato d’intonaco di malta di calce e sabbia di colore grigio chiaro, di circa un centimetro di spessore. Attraverso una lacuna sul lato sinistro sono visibili tracce di colore rosso, forse riferibili al disegno preparatorio (sinopia); lo stesso disegno è riportato con una quadrettatura leggibile in particolare intorno al viso della Vergine. Le aureole sono in rilievo, con scanalature e resti di doratura; le decorazione in opus sectile del trono e le tegole del tetto sono riprodotte con incisioni molto sottili e precise. In origine dovevano essere presenti lumeggiature in oro, delle quali rimangono leggere tracce soprattutto nei fiori sul manto della Vergine. Il dipinto più tardo è stato eseguito su di uno strato d’intonaco molto sottile, composto da materiali simili a quelli del primo e probabilmente reperibili nella zona intorno La Rassegna d’Ischia n. 3/2012 49 alla chiesetta. La pittura è realizzata a fresco, con la tecnica del “verdaccio” per gli incarnati, dei quali purtroppo rimane soltanto lo strato preparatorio, mentre le successive velature sono andate perdute. L’intervento di restauro è consistito nel distacco del dipinto superiore e nella sua collocazione su pannello in nido d’ape e vetroresina. L’affresco staccato presentava grandi lacune, che sono state riempite con una malta neutra di tonalità e composizione simile a quella originale ritrovata sulle pareti della chiesa. Una volta ricollocato sul muro alla stessa altezza del dipinto più antico, è stato completato il lavoro di pulitura cui è seguita l’integrazione delle lacune e la presentazione estetica. Il dipinto più antico, molto ben Castello d’Aragona Chiesa della Madonna della Libera Costruita nel XII secolo, apparteneva alla famiglia Calosirto d’Ischia, dalla quale nacque poi il Santo Patrono dell’isola, San Giovan Giuseppe della Croce. Era la parrocchia di San Nicola. Nel 1301 durante l’ultima eruzione dell’Epomeo (cratere del Monte Rotaro) il popolo d’Ischia fece voto alla Madonna e le dedicò la chiesa detta della Libera perché la Madonna lo aveva salvato dalla catastrofe. Infatti è effigiata con le mani protese in avanti nell’atto di fermare la lava vulcanica. L’immagine esposta nella chiesa è la copia fedele dell’origimale esistente nella cattedrale d’Ischia, dove fu trasferita agli inizi del 1800 da questa chiesa. La copia è stata eseguita dal maestro pittore Antonio Cutaneo d’Ischia. 50 La Rassegna d’Ischia n. 3/2012 aderente al suo supporto e con ottime condizioni della pellicola pittorica, non ha subito danni durante le operazioni di stacco. Il restauro è consistito nella rimozione a bisturi dei residui della malta del dipinto superiore e in una leggera pulitura con spugna umida e impacchi di carbonato di ammonio. Sono state successivamente eseguite piccole stuccature per consolidare le fessurazioni e le lacune provocate dalla scalpellatura antica dell’intonaco. Si è proceduto infine ad un leggero ritocco attraverso il quale, con velature ad acquarello, è stato abbassato il tono delle lacune provocate dallo scalpello e le abrasioni della pellicola pittorica. E stata infine rimossa parte della cornice in stucco ed in alcuni punti si sono rinvenute tracce della antica cornice dipinta. Restauro: Ditta Martelli Castaldi s.a. s.