Il culto di “Maria Madre della Consolazione Avvocata del popolo reggino” a cura di don Luigi Cannizzo Maria Vergine Madre della Consolazione è la Patrona principale dell’Arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova. La Festa, una delle feste più importanti della provincia di Reggio Calabria, si celebra solennemente in città dal sabato al martedì dopo la prima domenica che segue l’8 settembre di ogni anno. Reggio Calabria, «da secoli, ha una profonda devozione a Maria Santissima, che venera, sotto il titolo della Consolazione; una devozione che è entrata nella storia non solo religiosa, ma anche civile della città; che ha dato origine e forma a manifestazioni religiose e popolari, che fanno parte ormai del patrimonio culturale del popolo reggino. Reggio si esalta e si ritrova nella sua Patrona, sente la Madre di Dio particolarmente vicina, da Maria si sente protetta e difesa» 1 . La prima celebrazione nota della festa risale al 21 novembre 1592, conseguentemente al primo soccorso mariano al popolo di Reggio Calabria durante la peste che colpì Reggio Calabria e Messina nel 1576 e che si protrasse poi per molti anni. Per quanto riguarda le origini, secondo la tradizione un quadro della Madonna sarebbe stato ritrovato da un contadino mentre zappava la terra ed inseguito, la medesima effige avrebbe parlato ad un frate cappuccino in preghiera dinanzi ad esso per chiedere alla Vergine aiuto e protezione e far scampare dalla città la pestilenza. La Vergine che accordò tale favore alla popolazione reggina chiese al frate che si facesse da quel giorno in poi, ogni anno, una solenne processione di ringraziamento. 1 A. SORRENTINO, La Madonna della Consolazione nella religiosità e nel culto popolare, Zappia , Reggio Calabria, 1987, 9. La leggenda vuole che il dipinto, trasportato più volte nel Duomo della città, riappariva miracolosamente presso il luogo dove era stata ritrovato e dove poi sarebbe sorta la Basilica dell'Eremo, nella quale il quadro viene ancora oggi custodito. Ogni anno, all’inizio dei festeggiamenti e fino alla domenica successiva al 21 novembre, l’immagine viene trasferita dalla Basilica dell’Eremo al Duomo di Reggio Calabria. Alla vigilia 2 dell’inizio dei festeggiamenti molti fedeli si recano alla collina dell’Eremo, dove si trova il quadro della Madonna, che generalmente viene fatto risalire alla fine del 1400. Il giorno dopo, di sabato, il quadro viene portato a spalla, sulla pesante Vara dai pescatori, da volenterosi e dai numerosi portatori dalla Basilica dell’Eremo verso la Cattedrale, dove viene celebrata l’eucaristia e così si iniziano i festeggiamenti che si protraggono per ben quattro giorni consecutivi e che hanno termine con la processione del martedì. I festeggiamenti presentano alcuni elementi comuni ad ogni altra festa, quali luminarie, concerti bandistici, gare pirotecniche, ma anche elementi particolari, come le sfilate di carri allegorici con riferimenti a situazioni locali, l’offerta del Cereo Votivo da parte dell’Amministrazione Comunale, le danze popolari, le esposizioni e le fiere dell’artigianato locale e nazionale. Testimonianze storiche Prima di esporre il cursus storico della nascita e del progressivo sviluppo del culto in onore della Madonna della Consolazione da parte del popolo reggino, bisogna accennare al fatto che in realtà alcuni strumenti che ancora oggi possediamo, quali opuscoli, libretti di preghiere e di devozione, novenari, immaginette, poesie ed canti, in onore della Vergine, costituiscono un patrimonio ricco e vario della cultura e della religiosità della popolazione reggina. Infatti, questi sussidi e questi strumenti messi nelle mani dei fedeli, anche se spesso disomogenei nel linguaggio, nelle espressioni e nella forma, ma diffusi largamente tra il popolo credente, rappresentano la manifestazione di una 2 L’usanza della veglia alla Madonna durante la notte che precede la discesa del quadro dall’Eremo al Duomo è molto antica, risale infatti al 1658. tipica religiosità popolare nata al di fuori dei riti e delle parole prescritti dalla liturgia della Chiesa. In altri termini il sentimento religioso del popolo, non potendo accontentarsi nel corso dei secoli di una adesione spesso distante e lontana dal sentire comune, popolare e devozionale, che veniva proposto dalle forme e dalle espressioni del culto liturgico ufficiale, aveva cercato «appagamento ed espansione in altre forme più consone alla sua mentalità e ai suoi bisogni. E dobbiamo riconoscere che l'introduzione del linguaggio volgare nelle pratiche religiose ha fatto molta strada. Infatti nell’era moderna ci si è venuti largamente adattando e rassegnando, come ad un fatto inevitabile e forse irreversibile, alla incomprensione della liturgia da parte dei fedeli ed alla loro conseguente estraneità di fronte ad essa» 3 . Solo grazie alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II e l’ammissione dell’uso delle lingue volgari e delle varietà rituali nella liturgia, è stato possibile comprendere la possibilità di conciliare ed armonizzare, sebbene con grosse difficoltà, liturgia e pietà popolare. Per esaminare il processo storico ed evolutivo del culto in questione è necessario raccogliere ed analizzare le fonti che ci permettano di risalire il più possibile, in maniera scientifica, ai fatti reali legati al sorgere del culto, disgiungendoli da varie narrazioni spesso intrise di credulità e devozione popolare legate al diffondersi del culto alla Madre della Consolazione, per giungere attraverso l’analisi dell’avvicendarsi dei fatti accaduti realmente lungo tappe storiche fino a giungere ai giorni nostri. Tra le fonti dunque dobbiamo prendere in esame dopo una breve, ma utile catalogazione, tutto ciò che può realmente servire alla ricomposizione reale della devozione mariana della popolazione reggina. Per quanto riguarda una prima serie di fonti legate alla credenza popolare, possiamo dividere questi libretti devozionali in due gruppi: da un lato le composizioni semplici e senza pretese, dall’altro le composizioni elaborate e di tono più sostenuto ed autorevole, collocando questa 3 M. MARIOTTI, «Lingua e rito nel culto cattolico. I termini della questione e la sua soluzione tridentina», Estratto dall’Annuario 1966-67 del Liceo Ginnasio “Tommaso Campanella” di Reggio Calabria, Reggio Calabria 1967, 195196. letteratura popolare nella sua giusta luce ed inquadrandola nelle vicende storico - ambientali del tempo. Infatti, tra le composizioni in onore della Vergine, molte si riferiscono ad episodi o avvenimenti realmente accaduti. Essi però, nella fantasia popolare, assumevano contorni vaghi ed erano avvolti in un’atmosfera soprannaturale. Il popolo cioè, invece di dare ai fenomeni una spiegazione razionale e scientifica, li interpretava simbolicamente. In un secondo momento abbiamo tentato di vedere quali di queste composizioni erano più genuine e più sentite dal popolo. Perciò una gran parte delle preghiere e dei canti riguarda produzioni popolari, facilmente assimilabili e comprensibili dal popolo. Altre invece sono composizioni più elaborate che si avvicinano di più al culto liturgico e sono opera di sacerdoti o persone colte che risentono ovviamente dell’influsso dei documenti ufficiali della Chiesa. Questo gruppo di fonti infatti, rivelano uno sfoggio di erudizione che si manifesta attraverso i continui riferimenti ai Padri della Chiesa e ai teologi; perfino gli argomenti devozionali sono trattati con sottigliezza teologica e ciò emerge chiaramente nelle ripetute citazioni in latino. Ovviamente il popolo spesso incolto o del tutto analfabeta capiva pochissimo o spesso nulla di queste preghiere, il più delle volte incomprensibili per il contenuto troppo elevato o per il linguaggio forbito ed inconsueto. Tuttavia questi libretti di devozione, anche se non sempre hanno risposto pienamente alle esigenze di chiarezza e di semplicità, vanno considerati come tentativi di alimentare ed illuminare nel popolo la devozione mariana. Tra questi in particolare i canti e le invocazioni popolari, rivelano nella loro specifica essenzialità e ripetitività, i contenuti della fede popolare espressa come richiesta di aiuto, intercessione e consolazione e come desiderio di protezione e di rassicurazione che spinge i fedeli annualmente verso i diversi santuari e i luoghi di culto. Un altro gruppo di fonti, certamente più autorevoli, con un impronta di matrice storica e liturgica la troviamo negli scritti di alcuni esponenti del clero calabrese come il Can. Giorgio Calabrò, Mons. Natale Licari, Mons Pietro Tramontana ed infine Mons. Antonio De Lorenzo 4 che tra tutti si distinse per i suoi scritti completi dal punto di vista del metodo scientifico di ricerca e compilazione a partire dall’analisi della veridicità delle fonti. Tale premessa ritenevo necessaria per la comprensione del culto mariano in onore della Madre della Consolazione che va giustamente inquadrata attraverso le categorie temporali 5 e spaziali 6 . Tenuto conto di queste premesse, ci siamo accostati alle produzioni devozionali cercando di cogliere i motivi di fondo, i riferimenti mentali, più o meno espliciti, a problemi concreti che si celavano dietro ad una semplice canzoncina o preghiera, talvolta dal tono dimesso e semplice, talvolta dal tono artificioso e arido. Questi piccoli sussidi di preghiera e di meditazione elaborati un po’ alla buona per i devoti ci aiutano a capire e a individuare certe caratteristiche del comportamento popolare in materia religiosa e devozionale e ci permettono di risalire allo sviluppo delle celebrazioni e del culto in genere nei confronti della Patrona della Chiesa reggina. Il culto che il popolo cristiano rivolge alla Madonna si concretizza in due grandi tempi in cui la fede popolare esprime la sua vicinanza e la sua devozione verso quella madre che percepisce quale avvocata e consolatrice: la Devozione Sabatina, meglio conosciuta come la pratica dei Sette Sabati e le celebrazioni vere e proprie della festa mariana cittadina che si svolgono annualmente nel mese di settembre. 4 Mons. De Lorenzo agli inizi del secolo XX scrisse alcune pubblicazioni che ancora oggi sono considerate la base scientifica per lo studio della storia e del culto verso la Patrona dell’Arcidiocesi di Reggio. Per la mia elaborazione mi sono particolarmente servito di due dei suoi libri pubblicati nel 1902 ai quali rimando per maggiore approfondimento: A. DE LORENZO, Il Santuario di Maria SS. della Consolazione,Tipografia Ravagli, Roma 31902 e A. DE LORENZO, Nostra Signora della Consolazione protettrice della città di Reggio in Calabria. Quadretti storici,Tipografia Ravagli, Roma 31902. 5 Si tenga presente che la devozione alla Madonna della Consolazione appare e si sviluppa progressivamente fino ai giorni nostri a partire dal XVI secolo. 6 Il culto per essere compreso pienamente va situato nel territorio calabrese, nel Sud dell’Italia, dove sono ancora forti gli influssi di una devozione popolare ricca di suggestioni ed emozioni legate alla sfera del divino. La devozione Sabatina Caratteristica del culto in onore della Madonna della Consolazione è la così detta devozione dei Sette Sabati, che è particolarmente diffusa presso il popolo reggino. Secondo gli storici ed in particolare negli scritti di Mons. Antonio De Lorenzo, essa ebbe origine nel 1693, in un momento di gravi calamità pubbliche che toccarono il territorio e la popolazione di Reggio Calabria e quando il popolo tributò alla Vergine la solenne festa di ringraziamento. Il Cardinale Gennaro Portanova con decreto del 28 luglio 1896 stabilì che i sabati dovevano essere celebrati esclusivamente nella chiesa Cattedrale o alla Chiesa dell’Eremo, in preparazione o in seguito alla festa della Madonna della Consolazione. Lo stesso Arcivescovo nel 1897 istituì per l’accoglienza dei pellegrini la Pia Congregazione di Maria SS. della Consolazione, approvandone anche il relativo regolamento. Questa pratica consiste essenzialmente nella partecipazione alla liturgia Eucaristica, alla Confessione e alla Comunione, nella celebrazione delle Lodi o dei Vespri in onore della Vergine o di altre preghiere, fra cui il Rosario, recitate in forma privata o comunitaria in chiesa o durante il pellegrinaggio, nella visita alla chiesa Cattedrale o all’Eremo. Molto lodevolmente si possono aggiungere una riflessione sulla Parola di Dio o sulla missione della Madonna nel mistero di Cristo e della Chiesa e qualche opera di misericordia corporale o spirituale a favore di fratelli poveri o bisognosi 7 . Seguendo una prassi consolidata, molti devoti della Vergine prolungano questa pratica estendendola a tutti i sabati dell’anno. È interessante notare come col passare degli anni, questa pratica sia stata estesa presso tutte le parrocchie cittadine soprattutto per tutti quelli che per qualsiasi ragionevole motivo, fossero impediti di praticarla nel tempo o nei luoghi indicati. La tradizione dei Sette Sabati affonda le sue radici in un rituale tutto particolare legato alle tradizioni popolari e al folklore; i sabati venivano solennemente annunciati dalla banda cittadina 7 Cfr. A. SORRENTINO, La Madonna della Consolazione nella religiosità e nel culto popolare, Zappia, Reggio Calabria 1987, 12-13. che, nelle ore pomeridiane del venerdì precedente il primo sabato, percorreva la principale arteria cittadina mentre il popolo intonava i canti tradizionali e le laudi popolari alla Vergine. A sera la città veniva illuminata dalle luminarie e dai fuochi pirotecnici. La notte del venerdì precedente il primo giorno di festa il Santuario dell’Eremo diveniva luogo di ritrovo e di preghiera di tantissimi devoti che per tutta la notte vegliavano in preghiera eseguendo preghiere, giaculatorie e canti mariani. Ancora oggi, durante i Sette Sabati, la gente si alza presto la mattina per recarsi alla chiesa Cattedrale o alla Basilica dell’Eremo per partecipare alla celebrazione eucaristica. Nelle ore pomeridiane nelle piazze antistanti le due chiese si cantano le laudi alla Madonna, tra cui risalta il canto della Salve Regina e quello del tradizionale inno reggino Vergine bella e santa. Ma i Sabati in particolare assumono un tono speciale se celebrati al Santuario sito alle falde della collina detta Monte della Madonna. Fin dalla mezzanotte i devoti si avviano lentamente a gruppi, recitando i più il Rosario, per giungere all’alba per la celebrazione della Messa. Assume un tono particolare l’ultimo dei Sette Sabati: sin dalle prime ore della sera di venerdì i pellegrini sono numerosissimi e più del solito, che si recano alla Basilica per la solenne veglia di preghiera presieduta dall’Arcivescovo assistito dall’intero clero; alle luci dell’alba dopo la celebrazione eucaristica l’effigie di Maria Consolatrice lascia l’Eremo per essere portata processionalmente fino alla Cattedrale della città. Da sottolineare la compilazione di alcuni sussidi di preghiera per permettere una partecipazione spirituale alla pratica dei Sette Sabati: sono libretti che raccolgono preghiere e pratiche di devozione, raccolte ed ordinate per ogni sabato. I brani in prosa si alternano a brevi poesie dedicate alla Vergine. Questi libretti sono opera di sacerdoti che spesso si rifanno ad espressioni della liturgia. Scopo dei suddetti manuali è di far sì che coloro che partecipano alla pratica dei pellegrinaggi all’Eremo o al Duomo possano avere una guida per la preghiera, e quelli che non potranno intervenire, possano trovare uno spunto pratico per la devozione alla Madonna, in particolare gli anziani, i sofferenti e tutti coloro che bramano di essere da Lei consolati. Accanto alla pratica dei Sette Sabati precedenti la discesa del quadro della Madonna della Consolazione, dobbiamo aggiungere la consuetudine dei Sette Sabati seguenti la discesa della sacra effigie in città. Non sappiamo di preciso quando questa devozione sia cominciata, ci è noto però che il cardinale Gennaro Portanova in un decreto del 28 luglio 1896 ribadiva che essi dovevano essere celebrati esclusivamente in Cattedrale e nel Santuario. Per quanto riguarda la pratica dei Sette Sabati seguenti la festa, bisogna specificare che essi vengono celebrati in Duomo alle prime ore del mattino, con la celebrazione eucaristica. Dopo il vespro si cantano le lodi alla Vergine e si recitano le litanie lauretane. Generalmente, nelle preghiere che si recitano in queste occasioni, si ricordano i miracoli operati dalla celeste patrona in favore della città di Reggio. La Madonna è salutata con i seguenti appellativi ripresi dalle litanie della Vergine: “mater divinae gratiae, causa nostrae laetitiae, virgo potens, salus infirmorum, refugium peccatorurn, consolatrix: afflictorum, advocata populi regini, virgo virginum, mater Christi, mater amabilis, regina sanctorum omnium, stella matutina” e con i seguenti aggettivi: “gloriosissima, amabilissima, tenerissima, soavissima, potentissima, clementissima, fedelissima, candidissima, formosissima”; mentre le espressioni liturgiche e bibliche si incontrano con quelle della pietà popolare. Dopo la Riforma Conciliare, la Chiesa Reggina memore degli insegnamenti contenuti al numero 13 della Sacrosantum Concilium che raccomanda che i pii esercizi «tenuto conto dei tempi liturgici, siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra liturgia, derivino in qualche modo da essa, e ad essa data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano» 8 , ha cercato di formulare e proporre ai fedeli alcuni schemi di meditazione e di preghiera, accessibili a tutti e che possano essere liberamente seguiti, secondo l’ispirazione di ciascuno. 8 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, «Sacrosantum Concilium, 13.», EV 1 (1962-1965) 363. In particolare durante le celebrazioni eucaristiche sono adottati i formulari delle Messe del Comune della Beata Vergine Maria presenti nel Messale Romano ed in particolare quelli raccolti nelle Messe della Beata Vergine Maria, edite dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 1987. La festa settembrina Fin dal lontano 1693 i reggini ogni anno a settembre, festeggiano la Vergine della Consolazione con solenni onoranze civili e religiose. I preparativi cominciano però molti giorni prima: Reggio manifesta in città e provincia il suo amore verso la Madonna attraverso una vera esplosione di religiosità. Essa si esprime per mezzo di tutto ciò che può fare spettacolo e colpire gli occhi di chi guarda, specialmente del forestiero. Si curano le luminarie, si allestiscono bancarelle e giostre per i divertimenti di grandi e bambini. Da ogni parte si invoca la Vergine, si offrono grossi ceri, le donne sciolgono voti, alcune camminano scalze per tutta la durata della processione. Un tempo questa festività era occasione di ossequio tra il potere religioso e civile, e in particolare l’alternarsi delle vicende legate alla storia e alla politica della città, contribuivano a rendere i festeggiamenti e le celebrazioni religiose e civili più o meno solenni e cerimoniose. Del resto il rituale tranne qualche rarissima eccezione dal XVI secolo ad oggi risulta pressoché inalterato: le autorità civili seguono la processione della sacra effigie assieme al clero e ad una folla immensa di devoti che da ogni parte della provincia reggina e dalla vicina città di Messina mostrano la loro devozione alla Vergine accompagnandone processionalmente la Vara in ossequioso silenzio ed in atteggiamento di lode e preghiera. Le manifestazioni popolari e le celebrazioni cultuali cominciano circa un mese e mezzo prima della festa, col primo dei Sette Sabati, ma la festa vera e propria ha inizio il sabato mattina con la processione della Madonna che dall’Eremo scende in città. Nei secoli passati invece, era costume del Settecento che, all’ingresso dell’immagine in Duomo, un oratore da un pulpito preparato in Piazza Duomo tenesse una pubblica laude verso la Protettrice della città, e ridestasse nel popolo il sentimento della gratitudine, e disponesse gli spiriti a vivere intensamente i giorni di festa. La sera di lunedì si cantavano i solenni vespri con l’alternarsi di corali provenienti da fuori città, spesso dai diversi paesi della regione calabrese. Il quadro veniva collocato il primo giorno dinanzi alla «cappella del Capillo» o «dei Diano» e, l’ultimo, dinanzi alla cappella della SS. Trinità, ove si vedevano esposte una bandiera turca e una scimitarra, conquistate dai Calabresi a Lepanto. Dal 1693, per decreto dall’Arcivescovo Ibanez, fu stabilita la sacra veglia d’armi e di devozione, per cui i nobili, il clero, i rappresentanti degli altri ceti vegliavano, mentre le donne e le ragazze delle famiglie potenti di Reggio pregavano. La festa si concludeva il martedì pomeriggio con la solenne processione di restituzione del quadro al santuario. Per quanto riguarda coloro che trasportavano la Vara, fin dal 1576 fu stabilito che dovevano portarla prima quelli che avevano effettuato la «discesa» dell’effigie in città, poi i bagnaresi, i cosentini e i reggini fornai e marinai. Fin dal 1782 bagnaresi, marinai e fornai di Reggio e qualche cosentino di transito esercitarono questo rito di devozione. Per quanto riguarda il Cereo votivo, esso veniva portato solennemente all’Eremo il 21 novembre, in seguito si decise di trattenerlo in Cattedrale ai piedi dell’altare fino al giorno in cui veniva riportato al Santuario mariano cittadino al seguito della effige della Vergine. Talvolta nel corso della storia per motivi diversi (inclemenza del tempo, riparazioni da eseguire all’Eremo) la Vara rimase in Duomo per altri giorni: fino all’8 dicembre nel 1886, nel 1899, 1901, 1915, 1927, 1999, fino al 1 dicembre nel 1912 e fino al 15 dicembre nel 1895. inoltre ogni anno si cercò di abbellire sempre di più la festa, introducendo varie innovazioni. Altro fatto di rilievo degno di essere segnalato fu la presenza nelle processioni del sabato e del martedì dei frati Cappuccini e dei frati Riformati, questi ultimi da oltre 30 anni disertavano le processioni della Madonna. Tra le tante feste di settembre forse quella che viene ricordata come memorabile fu quella della processione in mare del 1904, favorita da un mare tranquillo e abbellita dal seguito di tantissime imbarcazioni adornate di bandiere tricolori, mentre i giovani a bordo accompagnavano il rito con canti, alternati dal suono delle musiche. Gli anni che seguirono furono turbati dalla Prima Guerra Mondiale, dopo la quale ripresero le celebrazioni festose del settembre. Intorno al 1920 si ebbe la prima edizione dei carri allegorici, per iniziativa di alcuni napoletani di Piedigrotta. I carri floreali invece si facevano già prima del terremoto del 1908. Nel 1924 un comitato cittadino, formato da elementi molto giovani, seppe dare alla festa una intonazione molto elevata. Lunedì sera ebbe luogo una grande passeggiata storica che, iniziata alle 7 da piazza Garibaldi, percorse tutto il corso fino alla via Romana (l’attuale via G. De Nava) dove fu ricevuto il Re Carlo V; dopo i1 corteo rifece il corso Garibaldi, poi la via marina seguito da una folla immensa di persone. Alle 10,30 di martedì ebbe luogo la Messa Pontificale presieduta da Mons. Rinaldo Rousset. Alle 17 dello stesso giorno si svolse la processione ed al ritorno in Cattedrale venne acceso in piazza «il tradizionale trionfino». Prima della processione furono lanciati dei palloni aerostatici e mancò per ragioni che non è stato possibile ancora conoscere, l’intervento degli aeroplani invitati a sorvolare Reggio. Finita la processione, ci furono quattro carri allegorici che attraversarono il Corso come avevano fatto il sabato sera. La festa si concluse con l’accensione dei fuochi. Nel 1936 la festa coincise con l’incoronazione della Vergine e del Bambino della quale abbiamo già trattato. Varie furono le innovazioni: in particolar modo furono potenziate le gare sportive, venne introdotta una Sagra della Canzone Calabrese all’Eremo, oltre alla consueta sfilata dei carri allegorici che da piazza Garibaldi giungevano al Santuario, ed alla manifestazione floreale sul Corso. Negli anni di guerra che seguirono, poiché le tristi circostanze sconsigliavano lo svolgimento dei festeggiamenti civili, la celebrazione non risultò meno solenne, sebbene ridotta ai soli festeggiamenti religiosi. Nel 1940, date le circostanze del momento, la discesa del quadro miracoloso non poté essere fatta nella forma solenne e tradizionale, e poiché il popolo desiderava la presenza dell’effige in città a protezione dalla guerra, si decise la discesa del quadro per le prime ore della notte. Fu lo stesso Arcivescovo Mons. Enrico Montalbetti, poi morto durante la guerra colpito da un mitragliamento aereo il 29 gennaio 1943, che sali al santuario alle ore 21 dell’ 11 settembre per prelevare il quadro, accompagnato da vari sacerdoti che nelle proprie braccia lo portarono su una automobile per essere successivamente avvolto e portato in Cattedrale. In quei giorni nonostante la paura dei bombardamenti non mancarono i pellegrinaggi. Nel 1941, nonostante le difficili circostanze, il 2 agosto si diede inizio alla pratica dei Sette Sabati tradizionali in onore della Vergine, anche se fu mantenuto il divieto delle funzioni notturne, e la celebrazione delle messe ebbe luogo dall’alba in poi. Quanto alla festa, le autorità in seguito alla richiesta di Mons. Montalbetti concessero che il quadro fosse portato processionalmente in Duomo, che stavolta ebbe luogo non di sabato, secondo la consuetudine, ma il giorno precedente, venerdì 12 settembre, in modo che fosse evitata la veglia tradizionale nei pressi dell’Eremo, nella notte di venerdì, pericolosa per l’assembramento del popolo. Nel 1944 la processione fu imponentissima e la festa fu celebrata con particolare solennità e con straordinario concorso di popolo. Sia nel 1945 che nel 1946 l’Arcivescovo Mons. Antonio Lanza celebrò nel Duomo le solenni liturgie pontificali, e le processioni ebbero gran partecipazione di popolo. Finiti gli eventi bellici, la festa di settembre fu celebrata con la solennità di sempre. Accanto ai festeggiamenti civili si svolsero parallelamente quelli religiosi. Reggio nei quattro giorni di settembre acquistò l’aspetto ridente e tranquillo di sempre, con l’accensione delle luminarie, i parchi dei divertimenti, i carri allegorici e floreali, le fiere, le gare sportive ed i fuochi d’artificio. Non mancò mai alle celebrazioni delle funzioni liturgiche ed alle processioni il popolo devoto e numeroso. Dal 1961 è sorta la consuetudine di fare delle rassegne di canti e danze popolari con l’invito di gruppi folkoristici provenienti da tutto il mondo. Durante gli anni che hanno visto la popolazione reggina coinvolta in vicende politiche e sociali poco favorevoli al suo sviluppo, ed in particolare nel 1970, per i noti Fatti di Reggio, in cui Reggio perse il privilegio di essere il capoluogo della regione Calabria, la festa venne limitata solo alle funzioni religiose L’anno seguente, ancora a causa dei Fatti di Reggio, la festa limitata solo alle funzioni religiose, subì varie modifiche. Per la prima volta dal lontano 1693 non ci sono stati a ricevere la Vara né il sindaco né la giunta comunale; il clima di contestazione e di tensione influenzò anche questa secolare tradizione. Davanti a palazzo S. Giorgio, sede dell’Amministrazione Comunale, ci fu un distacco improvviso: la processione si spezzò a metà, avanti, l’Arcivescovo ed i religiosi, dietro la Vara con i fedeli, anche se poi tale incidente venne rimediato grazie all’iniziativa di alcuni che raggiunsero la processione del Clero e con il loro esempio stimolarono i restanti portatori a congiungersi al gruppo. Sempre durante il tempo delle celebrazioni settembrine del 1971, per la prima volta i portatori modificarono improvvisamente il percorso professionale, evitando la fermata davanti il palazzo municipale e nella processione successiva del martedì, il quadro per la prima volta dopo tre secoli raggiunse il quartiere dei ferrovieri e dei pescatori. Nella mattinata inoltre era stata infranta un’altra tradizione: l’offerta del colossale Cero Votivo, sormontato dallo stemma della città venne privata dell’ufficialità e il dono è stato deposto alla base dell’effigie da sacristi della Cattedrale e non come al solito dai vigili urbani. Nel 1972 i festeggiamenti sia religiosi che civili ripresero secondo le consuetudini. È stata anche ripristinata l’offerta del Cero Votivo da parte della Civica Amministrazione. Quanto alle manifestazioni civili, si ebbero concerti di complessi bandistici, di cori polifonici e spettacoli di musica leggera, oltre alla rassegna di canti e danze popolari, molte le gare sportive e, sul corso Garibaldi sfilarono i carri artistici e floreali e i gruppi folkoristici e la festa si concluse con i tradizionali fuochi d’artificio. In questi ultimi anni fino ad oggi molto spazio è stato dedicato al folklore, alla musica e a qualche rappresentazione teatrale in vernacolo. L’intelaiatura della festa è rimasta però, grosso modo, quella di sempre: la tradizione liturgica e celebrativa legata alla devozione e alla tradizione popolare con la partecipazione di migliaia di fedeli. Attualmente la festa settembrina è rimasta praticamente invariata nella forma mantenendo un segno di continuità con le tradizioni precedenti. Una delle novità introdotte dall’attuale Arcivescovo Reggino, Mons. Vittorio Mondello, è la preparazione prossima dei giorni antecedenti la festa, dal martedì al giovedì, con la celebrazione di un Convegno Pastorale Diocesano che ha come tema una delle situazioni particolarmente vicina alle necessità della chiesa reggina, il quale ha inizio con una celebrazione nella Chiesa Cattedrale della Liturgia della Parola presieduta dal presule. Il Convegno viene chiuso ufficialmente la sera del venerdì precedente il sabato della processione cittadina con una solenne veglia di preghiera all’Eremo, ai piedi del monte dove si custodisce la miracolosa icona della Madonna della Consolazione. È da notare l’afflusso di tantissimi fedeli, del Clero diocesano, del Capitolo Metropolitano, dei religiosi e delle religiose e del Seminario Arcivescovile. Alle prime luci dell’alba del giorno di sabato, dopo la celebrazione eucaristica, i botti e la musica danno solennemente inizio ai festeggiamenti mariani. I portatori della Vara provvedono a rimuovere l’effige dall’enorme simulacro della Basilica per deporlo all’interno della pesante Vara che la custodirà per tutto il tempo della processione fino in Cattedrale. Lungo il tragitto, i portatori non omettono di sostare il simulacro dinanzi agli ospedali e ai nosocomi della città, ricordando ai malati, ai sofferenti e gli anziani la protezione e la consolazione della Vergine. Giunta in città abbiamo il rito della consegna della Vara dal Custode dei Cappuccini all’Arcivescovo e al Clero affinché ne curino la custodia ed il culto; la processione in seguito si snoda per le principali vie della città ed arrivata in piazza Duomo, inizia lo spettacolo della Volata: i Portatori entrano di corsa e depongono trionfalmente in Chiesa la Vara Mariana, ai piedi dell’altare, mentre tra lacrime e commozione la gente continua a pregare ed inneggiare a Maria. Durante il giorno di sabato e in quelli successivi della domenica e del lunedì, la popolazione si reca devota ad onorare Maria, vivendo forti momenti di fede e di spiritualità nell’ascolto della Parola di Dio, nella celebrazione della eucaristia presieduta dai vescovi originari della Diocesi. La domenica mattina la liturgia Pontificale dell’Arcivescovo, animata dal Coro Diocesano, assume un tono particolarmente festoso per la presenza di tantissimi fedeli giunti ai piedi di Maria da ogni parte della Calabria per onorarla ed invocare la sua protezione. Il lunedì sera la celebrazione dei Vespri solenni in onore della Madonna apre alla gioia della festa che avrà il suo culmine nella celebrazione della messa mattutina di martedì con il rito consolidato dell’offerta del Cereo Votivo da parte dell’Amministrazione Comunale e nel pomeriggio la processione con il simulacro e la conclusione in piazza Duomo col saluto e l’indirizzo di un messaggio di fede e di speranza da parte del pastore a tutti i fedeli della Diocesi, mentre la Vara rientra in Cattedrale tra l’emozione e il canto dei fedeli devoti. Il Santuario Basilica dell’Eremo Il quadro della Madonna della Consolazione è custodito abitualmente nella chiesa dell’Eremo dei Padri Cappuccini. Più volte i Cappuccini furono costretti a lasciare la loro casa: partiti nel 1783, vi ritornarono nel 1796; ripartiti nel 1809 per ordine dei Francesi e ultimamente nel 1866 per la soppressione degli ordini religiosi, vi ritornarono nel 1911. La primitiva cappella, costruita a mò di baracca, in cui fin dall’inizio veniva venerata l’effigie della Vergine, venne sostituita col tempo con una chiesa, anch’essa sottoposta a varie vicissitudini. Distrutta dal terremoto del 28 dicembre 1908 fu sostituita con una nuova baracca; venne nuovamente ricostruita su progetto dell’architetto Sbaracani di Roma, e solennemente consacrata dall’Arcivescovo Mons. Giovanni Ferro. Nella Basilica vi è la tomba del Venerabile Gesualdo Melacrinò (1725-1803), sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Al suo interno sono da menzionare alcune opere artistiche di particolare valore: la pala dell’altare di Alessandro Monteleone, il tabernacolo ligneo di matrice francescana, e nell’attiguo convento, molte tele provenienti dal Convento di Fiumara di Muro (RC). La Basilica Cattedrale di Reggio Calabria Come già affermato il quadro della Madonna della Consolazione viene solennemente trasportato dall’Eremo alla Basilica Cattedrale il secondo sabato di settembre. La festa si celebra il martedì successivo. Il quadro rimane esposto nella Cattedrale fino alla domenica successiva al 21 novembre, quando viene riportato alla Basilica dell'Eremo. Durante i tre mesi di sosta in Cattedrale «si succedono, nei sabati, i pellegrinaggi delle zone pastorali della diocesi; in giorni opportuni si svolgono i pellegrinaggi dei presbiteri, delle suore, degli alunni delle scuole, degli ammalati, dei giovani. Questi pellegrinaggi rivestono alto valore ecclesiale e mariano e, poiché si tengono all'inizio dell’anno sociale, servono anche a proporre i piani pastorali e a rinnovare l’impegno di operare in unità di intenti» 9 . La chiesa Cattedrale, dedicata alla Madonna Assunta, è stata elevata a Basilica Minore con Bolla di Paolo VI Inter honorificos del 21 giugno 1978. La Cattedrale di Reggio ha subito nei secoli diverse distruzioni e devastazioni. L’attuale edificio è stato ricostruito su progetto del P. Carmelo Angelini e consacrato il 2 settembre 1928 dall’Arcivescovo Mons. Carmelo Pujia. 9 SORRENTINO, La Madonna della Consolazione Patrona di Reggio Calabria, 18. La devozione del popolo Reggino Come più volte affermato tra la Chiesa e la Vergine i legami non sono soltanto numerosi e stretti: sono essenziali. Sono intessuti dal di dentro. Questi due misteri sono più che solidali: si può persino affermare che essi sono un unico mistero. È un fatto significativo e degno di nota: le stesse difficoltà che si riscontrano nei riguardi della Chiesa si ritrovano, spesso, in certi credenti, nei riguardi della Vergine. Oltre il rapporto di maternità spirituale, per cui è Madre della Chiesa, Maria è il modello dell’atteggiamento spirituale con cui la Chiesa celebra e vive i divini misteri. È anche immagine di tutta la Chiesa, quale modello e maestra di vita spirituale per i cristiani, assumendo così un valore esemplare, universale e permanente. Alla luce di ciò «l’orientamento antropologico del culto mariano non è una nota di secondaria importanza e deve essere messa in particolare evidenza, perché a questa annotazione l’uomo contemporaneo è particolarmente sensibile. Maria si presenta così come il modello compiuto del discepolo del Signore, interpretando i sentimenti del pellegrino in viaggio verso la Gerusalemme celeste, promotore della giustizia che libera l’oppresso e della carità che soccorre il bisognoso, ma soprattutto testimone operoso dell’amore che edifica Cristo nei cuori» 10 . Tra liturgia e pietà popolare Il culto della Madonna della Consolazione è legato a importanti episodi della vita del popolo reggino storicamente accaduti. Si tratta di una pratica religiosa ancora viva in tutte le classi sociali, ma, in modo particolare, presso la gente umile, che invoca la Vergine quale rifugio, consolazione, speranza di futuro gaudio. Ciò ci permette di comprendere come alla radice del culto ci sia il 10 A. SORRENTINO, La Madonna della Consolazione nella religiosità e nel culto popolare, 19. bisogno della fuga dalle ostilità del mondo e della natura e l’attesa della sicurezza dalla protezione della grande madre di tutti, appunto la Madonna. La invocazione della protezione ha quasi una consistenza fisica: si esprime in atteggiamenti collettivi, acquisisce le dimensioni del dolore e della gioia, diventa un processo di liberazione dalle paure e dalle angosce, dalle persecuzioni e dalle violenze. Persino quando crolla la fiducia in chi governa, il popolo si rifugia nel divino. Infatti, confidando nell’intervento soprannaturale, le miserie della realtà presente sembrano diventare più sopportabili. Ed ecco che, di fronte alla cultura della classe dominante, il popolo se ne crea un’altra più consona alla sua mentalità, meno legata alle liturgie ufficiali, più espressione di un bisogno di grazia attuale, con funzione liberatoria dalla realtà talvolta contraria e ostile al bene comune. Del resto i testi delle invocazioni, delle novene, delle preghiere alla Vergine Consolatrice esprimono il bisogno degli ultimi di far sentire la loro voce nel contesto religioso e sociale, ecco perché si ricorre a Maria, che essendo stata consolata da Dio con la risurrezione del figlio Gesù, è in grado di sostenere e consolare tutti quelli che sono provati dallo sconforto, dal dolore e dalla miseria quotidiana, spesso caratteristica della gente del Sud. A Maria il popolo si rivolge per chiedere aiuto e protezione in questa terra e di poter vivere sostenuti dalla Grazia divina per ottenere la salvezza eterna: in questo Maria è riconosciuta come Aiuto dei cristiani e Porto di salvezza eterna. Inoltre la gente del luogo, nel corso dei secoli, spesso provata dall’indigenza e dalla povertà trova in Lei il paradigma della povera d’Israele alla quale con fiducia ci si può rivolgere per essere sollevati e confortati, la gente anzi vuole percepire materialmente la vicinanza della Consolatrice: le immagini, le medaglie che raffigurano la Madonna, spesso potate addosso, acquistano il valore simbolico di proteggere chi le indossa, come pure l’abito votivo color celeste con trine rosse. La Vara, l’enorme «macchina da trasporto della venerata effigie» deve essere portata esclusivamente a spalla dapprima soltanto come privilegio riservato ai pescatori e ai marinai 11 , che assolvono ormai da molti secoli questo compito; anche se dalla metà del XX secolo ad oggi per disposizione diocesana essa è affidata ai portatori della Vara, provenienti dai diversi ambiti sociale, che in più di cinquecento unità a turno si danno il cambio per sostenere il peso di oltre dodici quintali, lungo il tragitto della processione religiosa dall’Eremo alla Cattedrale. Essa deve ogni anno fare lo stesso percorso, deve rimanere in Duomo nel tempo stabilito e la Vergine deve essere festeggiata nel migliore dei modi. Guai a trasgredire o modificare il rituale della cerimonia. Il popolo è molto legato alla tradizione e con molta lentezza si lascia attirare dalle novità o si convince che certi atteggiamenti sono ormai superati. La gente effettivamente tiene molto alle manifestazioni esteriori ed a modo suo è sincero. Però, dobbiamo pure notarlo, le pratiche liturgiche non vengono trascurate. Infatti, sia prima della festa di settembre al Santuario sia durante la permanenza del quadro in Cattedrale, molti praticano la devozione dei Sette Sabati accostandosi ai sacramenti, in particolare la riconciliazione e l’eucaristia. È interessante accennare alle modalità con cui la Chiesa Diocesana si pone dinanzi ad un fenomeno così massiccio di partecipazione alle funzioni religiose di devozione a Maria. La Chiesa ha sentito sempre il bisogno di tenere sotto il suo diretto controllo il popolo dei devoti, affinché esso non deviasse verso una celebrazione dove il pagano e il religioso si confondessero e affinché non si accentuasse il divario fra la religione prescritta e quella vissuta, ricorrendo talvolta a pronunciamenti ufficiali come accadde nel 1916 12 e nel 1949 13 . Da allora la preoccupazione passò 11 Ciò dimostra il profondo legame tra la popolazione di Reggio Calabria ed il mare. In particolare Reggio è assieme a Messina la città dello Stretto, ed il mare e la pesca per secoli furono la principale occupazione e risorsa del popolo. Maria in molte località del litorale cittadino inoltre viene invocata quale Madonna di porto salvo. 12 Esemplificativo è l’intervento dell’ Episcopato calabrese che nel 1916, in una lettera pastorale, così si pronunciava: «mentre da una parte dobbiamo riconoscere nelle nostre popolazioni un fondo religioso, che si estrinseca in una quantità di pratiche esteriori di culto, dobbiamo poi nostro malgrado constatare che a queste pratiche manca ordinariamente il soffio animatore della vera pietà, e che esse si riducono ad un vuoto formalismo, o, tutto al più, ad un vaporoso ed evanescente sentimentalismo religioso. [...] La vera pietà non consiste solamente in esterne manifestazioni di religione [...] ma nella piena osservanza della legge di Dio e della Chiesa; [... ] nell’esercizio delle virtù cristiane [... ]. Buona, lodevolissima la devozione alla Vergine Santissima ed ai Santi, purché [... ] non trasmodi». E a proposito delle processioni: «amiamo e veneriamo le vere processioni [... ] detestiamo e deploriamo [...] una quantità di abusi [...] che di pastore in pastore della Comunità Diocesana affinché il culto mariano in città venisse progressivamente svuotato da legami alla tradizione e i festeggiamenti si potessero risolvere e limitare solo alle celebrazioni liturgiche in cui Maria viene invocata Consolatrice ed Avvocata del popolo di Reggio e venisse inquadrata sempre più la figura materna della Vergine all’interno della celebrazione dell’unico mistero pasquale del Cristo. Da notare purtroppo che il popolo reggino, anche quando osserva le indicazioni pastorali dei vescovi, astenendosi da manifestazioni esterne ed esasperate, non riesce a concepire la devozione come qualcosa di esclusivamente spirituale ed interiore, staccata dalle espressioni sensibili; che difficilmente può essere separata dal comportamento devozionale della massa dei fedeli, e ciò anche contro le sollecitazioni delle Autorità ecclesiali che chiedono in definitiva solo una partecipazione attenta, attiva e spirituale alla liturgia che si preoccupa di celebrare le opere grandi che Dio ha compiuto per la salvezza del mondo mediante la figura di Maria. Ecco perché alla luce degli insegnamenti conciliari la Chiesa propone ai fedeli di Maria un cammino di purificazione del culto da una serie di elementi che poco hanno a che fare con esso, ma al contrario sono il vuoto risultato di credenza e devozione popolare spesso ridotta a sentimentalismo e di matrice individualistica. Questo processo che è risultato lento e faticoso nel corso della storia, oggi ha prodotto i suoi frutti facendo sì che l’assemblea credente che si porta all’Eremo o in Cattedrale per pregare Maria, guardi principalmente al Mistero di Cristo proposto e celebrato nella liturgia attraverso i riti e le preghiere. rendono le processioni non solo profane, ma [... ] scandalose e ridicole [... ]. Se si vogliono bande, mortaretti, fuochi d'artifizio, si cerchino altri mezzi per procurare al popolo questi divertimenti [...] ma non si faccia servire una processione a strumento di tali guadagni [...]. Oh! se invece le nostre popolazioni fossero un pò più docili, se invece di voler comandare in queste cose, che non sono di loro competenza, ubbidissero con semplicità, come sarebbe il loro dovere, quanti di questi abusi sarebbero già da tempo scomparsi». 13 Malgrado queste sollecitazioni, la situazione non migliorò molto se nel 1949 gli arcivescovi e vescovi della Calabria dovettero ribadire che era necessario conservare alle feste la loro finalità eminentemente religiosa e che occorreva evitare che il fine spirituale fosse soffocato o mortificato dagli elementi ed interessi profani. In particolare vennero proibiti, in occasioni di festeggiamenti religiosi, gli spettacoli cinematografici all’aperto, anche se con soggetto religioso, le orchestrine con canti o con musica leggera, il suono di inni che non fossero religiosi. Nel caso poi che tale prescrizione fosse stata trasgredita, sarebbe rimasta senz’altro vietata qualsiasi solennità sia esterna che interna e si sarebbe osservato «il rito delle altre domeniche». La trasgressione delle presenti norme sarebbe stata passibile delle vigenti sanzioni canoniche, non escluso il divieto, nel futuro, della medesima festa. Innanzitutto è stato necessario separare gradualmente l’elemento liturgico e rituale dalle pratiche devozionali: faticoso è stato eliminare racconti eseguiti in canto, filastrocche, inni tramandati da padre in figlio, di generazione in generazione che spesso attribuivano alla Vergine ciò che è proprio della mediazione del Cristo Salvatore, oppure cancellare da questi testi popolari e dai libretti devozionali a larga diffusione gli errori teologici e di fede relativi al culto Mariano. Lentissimo altresì il processo di applicazione delle norme riportate all’interno del Capitolo V del Direttorio su pietà popolare e liturgia dal titolo La venerazione per la Santa Madre del Signore, in quanto la popolazione più legata alle tradizioni che alla Tradizione, ha fatto molta fatica nel recepire, comprendere ed attuare i principi dottrinali, liturgici e cultuali presenti in esso 14 . Conciliare liturgia, spiritualità, credenza e pietà popolare non risulta affatto semplice. Se ci fermiamo a riflettere, molte sono le considerazioni che possiamo fare per comprendere il legame ad esempio tra pietà popolare e spiritualità: del resto se quest’ultima si intende e si fa coincidere con la vita cristiana, cioè come vita in Cristo, e la vita spirituale come vita vissuta nello Spirito e secondo lo Spirito, allora è necessario mettersi alla ricerca di alcuni dati caratteristici presenti nella devozione popolare per giungere alla conclusione che è necessario trovare, sperimentare e vivere nella liturgia la vita stessa di Dio in noi. Infatti, «una genuina spiritualità cristiana, cerca di fatto, nel vissuto della pietà popolare il necessario riferimento alla Parola e alla fede, la necessaria esperienza liturgica e sacramentale, la confessione e la celebrazione del mistero e dei misteri di Cristo, alla comunione trinitaria» 15 che possa conciliare da un lato l’esperienza soggettiva della fede personale e dell’adesione a Dio e dall’altro, una prospettiva delle comunione ecclesiale vissuta come esperienza celebrativa grazie alla celebrazioni delle azioni liturgiche. 14 Cfr. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, 152-173. 15 J. CASTELLANO CERVERA, ‹‹Liturgia, pietà popolare, spiritualità››, Rivista liturgica 89 (2002) 941. La liturgia del resto richiama e suppone una partecipazione soggettiva e comunitaria nutrita di vita teologale; nella quale tutti i sensi, gli affetti e i sentimenti del singolo e dell’intera assemblea siano coinvolti. Il linguaggio simbolico della liturgia, dalle parole, ai gesti, ai segni, ai canti, ai movimenti, ai colori, richiamano ad una dimensione di vita cristiana che è sì soggettiva ma che deve essere integrata nella collettività, ecco perché la pietà popolare per essere compresa pienamente ed inquadrata nella liturgia deve essere svuotata gradualmente da una dimensione intimistica e devozionalistica per aprirsi sempre più alla dimensione ecclesiale della lode e del ringraziamento di Dio. È dunque necessario in riferimento al culto indirizzato alla Madonna della Consolazione per così dire educare la Comunità credente a scoprire il senso profondo sotteso alla Tradizione e alle tradizioni che riporti il credente alla bellezza della celebrazione della fede che è vita vissuta nella verità e sperimentata nella liturgia. Educazione alla scoperta della pietà popolare che diviene «un’attività che presume obbiettivi chiari e percorsi da seguire, differenziati e circostanziati, al fine di raggiungerli» 16 tenendo conto della sensibilità, della cultura e del cammino di fede che ogni Chiesa suppone. Seguire principalmente le direttive e le indicazioni contenute negli insegnamenti e nel Magistero della Chiesa diviene, secondo il mio parere, la strada maestra da percorrere per vivere nella liturgia l’unione e l’intesa perfetta tra ciò che è legato alla fede e l’incontro personale con il Cristo Risorto e la comunione col resto della Comunità che vuole e deve condividere il medesimo percorso di vita. Ciò emerge innanzitutto nella Costituzione sulla liturgia al numero 13 dove si afferma: « I “pii esercizi” del popolo cristiano, purché siano conformi alle leggi e alle norme della Chiesa, sono vivamente raccomandati, soprattutto quando si compiono per mandato della Sede apostolica. Di speciale dignità godono anche quei “sacri esercizi” delle Chiese particolari che vengono compiuti per disposizione dei vescovi, secondo le consuetudini o i libri legittimamente 16 C. MAGGIONI, «Cosa significa “educare alla pietà popolare” a partire da Sacrosantum Concilium 13», Rivista liturgica 89 (2002) 961. approvati. Bisogna però che tali esercizi siano regolati tenendo conto dei tempi liturgici e in modo da armonizzarsi con la liturgia; derivino in qualche modo da essa e ad essa introducano il popolo, dal momento che la liturgia è per natura sua di gran lunga superiore ai pii esercizi» 17 . Questo testo ci permette di comprendere la liturgia quale “culmine e fonte” della vita della Chiesa (SC 10) che non esaurendo completamente tutta la ricchezza della vita spirituale trova nei “pii esercizi”, la possibilità di aggancio alle tradizioni tramandate dai padri, il cui compito precipuo è di permettere di esprimere a livello personale la fede vissuta e celebrata, e permettere una giusta armonizzazione con la liturgia. Alla luce di tale insegnamento ecclesiale e sotto le indicazioni del vescovo diocesano è possibile svuotare la devozione personale dal puro sentimentalismo per essere integrata nel tessuto liturgico ed ecclesiale. La Chiesa dunque è chiamata a farsi garante e maestra spirituale soprattutto di coloro che fanno fatica a comprendere e vivere l’integrazione tra le due realtà 18 . Inoltre i criteri incontrati nel testo conciliare li troviamo ampliati ed integrati nel Direttorio su pietà popolare e liturgia, che estende i “pii esercizi” alle svariate forme di devozione personale, curando il rapporto tra liturgia e pietà popolare, operando una distinzione tra esse e aiutando attraverso indicazioni pratiche, la natura, i limiti e le modalità della devozione popolare messa a confronto con le azioni liturgiche 19 . Educare alla pietà popolare e alla liturgia e disporre la Comunità al primato della liturgia, significa in definitiva formare coscienze capaci di saper leggere la linea di demarcazione che intercorre tra le due, attraverso un cammino di conversione e di rinnovamento ecclesiale che risulta essere faticoso e lento ma che può portare soprattutto in alcune regioni del mondo, come ad esempio la città di Reggio Calabria con la sua devozione alla Madre della Consolazione, ad un 17 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, «Sacrosantum Concilium, 13. Costituzione sulla Sacra liturgia», E V 1 (1962-1965) 363. 18 Per un maggiore approfondimento rimando allo studio di C. MAGGIONI, «Cosa significa “educare alla pietà popolare” a partire da Sacrosantum Concilium 13», Rivista liturgica 89 (2002) 961-980. 19 Cfr. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, 11-13, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, 22-25. rinnovamento qualitativo che metta al centro l’uomo ed il suo incontro con il Signore grazie alla presenza di Maria che consolando ed intercedendo per il suo popolo, lo aiuti nella crescita umana e spirituale e lo conduca alla salvezza. Liturgia e pietà popolare infine, non vanno ignorate, ma l’azione educatrice della Chiesa deve permettere che le ricchezze di ciascun popolo e cultura divengano valori oggettivi che esprimano il giusto atteggiamento dell’uomo dinanzi a Dio. Ecco perché «un’autentica pastorale liturgica saprà appoggiarsi sulle ricchezze della pietà popolare, purificarle e orientarle verso la liturgia come offerta dei popoli» 20 . E’ oggi più che mai necessario recuperare o meglio mettere in pratica, se eventualmente non si fosse mai fatto, la giusta comprensione del culto rivolto a Maria Vergine alla luce della liturgia che attraverso gesti e parole vuole celebrare nella storia e nella Chiesa l’unico Mistero Pasquale di Cristo, incarnato, morto e risorto per la salvezza dell’umanità. La considerazione è immediata: nonostante il culto riservato alla Vergine Maria nella liturgia e nelle pratiche di devozione e pietà popolare, si sia diffuso fin dal nascere della Chiesa come necessità dell’assemblea credente, che riteneva particolarmente vicina Maria nelle prove e nelle difficoltà della vita, ancora oggi spesso esso fatica ad essere letto e compreso alla luce del Cristo, che la liturgia celebra nei ritmi e nel tempo ed assumere la giusta collocazione all’interno di esso. Guardare a Maria significherà allora non fermarsi a vivere la devozione nei suoi confronti riducendola a puro sentimentalismo e devozionalismo, ma accogliere da Lei l’esempio per una perfetta e totale conformazione a Gesù Cristo. Le due grandi dimensioni del culto mariano espresse nella comunione e nella esemplarità dovranno essere la strada maestra da imboccare per cogliere la ricchezza del culto mariano nella Chiesa. 20 GIOVANNI PAOLO PP. II, «Vicesimus quintus annus, 18. Lettera apostolica nel XXV anniversario della Costituzione Conciliare sulla sacra liturgia», EV 11 (1988-1989) 983. Alla luce di ciò si comprende come il culto nei confronti di Maria Madre della Consolazione potrà diventare un utile mezzo per raggiungere questa meta: Ella diviene modello ed immagine della Chiesa in cammino verso il Signore facendosi prossima a tutti coloro che la invocano e chiedono il suo aiuto e la sua materna intercessione, che potrà essere raggiunta per mezzo delle azioni liturgiche. La liturgia diviene allora il luogo ed il mezzo affinché il credente per intercessione di Maria possa raggiungere ed incontrare il Signore, il Dio che si desidera sentire vicino soprattutto nei momenti di particolare prova e difficoltà. Il compito di Maria sarà quello di portare l’uomo a Cristo, soprattutto i deboli ed i sofferenti. Come riporta infatti il testo dl Prefazio della Messa, Maria diviene allora per l’umanità la consolatrice del genere umano in quanto in prima persona ha sperimentato la consolazione da parte di Dio: nell’incarnazione del Verbo nel suo grembo verginale, nel momento massimo di sofferenza ai piedi della croce del Figlio morente che gli affidava la maternità universale della Chiesa e quando accolse assieme ai discepoli nel cenacolo lo Spirito Santo Consolatore. Maria è dunque per la Chiesa la Madre Consolata e Consolatrice, l’uomo partecipa della sua stessa consolazione nella misura in cui si rende disponibile all’azione trasformante dello Spirito che permette l’incontro vivificante col Cristo presente ed operante nella liturgia. Le tradizioni e la storia del popolo reggino, ci fanno capire quanto l’uomo senta il bisogno di sperimentare la consolazione di Dio che passa attraverso l’intercessione di Maria Consolatrice. Nelle prove, durante le pestilenze ed i terremoti la popolazione accoglie l’intervento della Vergine che la salva dalle disgrazie e dalla mortalità. Il segno di gratitudine è dunque l’invocazione, la preghiera e le forme devozionali di penitenza e di richiesta di sostegno, che con il passare del tempo vengono istituzionalizzate in forme che poi diverranno azioni di culto anche se miste a manifestazioni di devozione e di pietà che il popolo farà fatica ad armonizzare ed integrare. È necessario dunque porre una chiara linea di demarcazione tra le forme di culto liturgico e le varie manifestazioni di pietà popolare che ancora oggi coesistono. Armonizzare le due possibili forme è la sfida dei nostri giorni per permettere che le espressioni di pietà vengano liberate da accentuazioni che talvolta sono totalmente distanti dagli insegnamenti della Chiesa. Allo stesso momento è a mio avviso necessario conservare le forme tradizionali del culto popolare purificandole da eccessive forzature che talvolta sfociano nel paganesimo. Ciò e amplificato dal dato oggettivo che la celebrazione locale di tale culto liturgico spesso fatica a cogliere le disposizioni magisteriali attuali e conseguentemente la ricezione viene rallentata. Questo potrà portare a dar vita a modelli nuovi di celebrazione che evidenzino come le tradizioni locali e popolari possano integrarsi col culto ufficiale della Chiesa, pensando alla formulazione di testi che recepiscano le istanze e le ricchezze tramandate nei secoli della devozione popolare reggina.