Anno XXXI - N. 2 - Giugno 1999 Sped. in A.P. - Art. 2 Comma 20/C - Legge 662/96 - Filiale di Milano NEGRI NEWS 123 MENSILE DELL’ISTITUTO DI RICERCHE FARMACOLOGICHE MARIO NEGRI si deve fare? Ha il diritto il paziente di scegliere, statisticamente parlando, fra la vita e la morte? SALUTE E DIRITTI Libertà di cura? Esiste il diritto al suicidio? Proviamo a calare la discussione sulla libertà di cura nel vivo dei casi concreti che quotidianamente devono essere affrontati. Il malato allo stadio terminale e il malato con diverse, possibili opzioni di intervento farmacologico e/o clinico. Quando il rifiuto di una terapia equivale al suicidio, la “società” come deve comportarsi? Minori e incapaci: chi deve decidere per loro? Perché non possono non esistere limiti oggettivi alla “libertà di cura” come diritto individuale? Una casistica poco filosofica 1. Si tratta di un caso disperato in cui non esistono sostanzialmente possibilità di ottenere un miglioramento che possa ridare una speranza di vita, come ad esempio in un paziente portatore di tumore che sia ad uno stadio “terminale“. In questo caso il termine “libertà di cura” non ha alcun significato perché non esistono rimedi; nessuno può quindi interferire sulla volontà del paziente sia che decida di andare a Lourdes o di rivolgersi ad uno stregone. 2. Si tratta invece di un paziente che ha una malattia curabile e per cui esistono vari farmaci più o meno di efficacia equivalente; tuttavia le alternative farmacologiche danno luogo ad effetti collaterali diversi. In questo caso la libertà di scelta è ragionevole: il medico dovrà spiegare al paziente come stanno le cose fornendo tutte le informazioni disponibili. Non vi è dubbio che debba essere il paziente a decidere, tanto per fare un esempio, se preferisca curare la sua ipertensione avendo qualche disturbo gastrointestinale o invece un po’ di mal di testa. Un corollario di questa situazione può essere quello di una alternativa fra un intervento medico (ad esempio a base di farmaci) o un intervento chirurgico. Se i risultati dei due tipi di intervento sono comparabili, sarà di nuovo un obbligo del medico fornire tutte le informazioni dei vantaggi e degli svantaggi di ciascuna terapia perché alla fine sia il paziente a decidere, assumendosene le responsabilità, quale alternativa scegliere. 3. Il caso seguente è più complicato perché il paziente ha la necessità urgente di fare una trasfusione di sangue, ma per ragioni ideologiche o anche più semplicemente per la paura di essere infettato, rifiuta la trasfusione. Se purtroppo non esistono alternative terapeutiche note e se la mancata trasfusione può rappresentare un pericolo di vita per il paziente, cosa (continua in ultima pagina) MALATTIE DEL SECOLO Dimezzare la mortalità prematura Le catastrofi del XX secolo sono ben note – 20 milioni di persone sono state uccise dall’epidemia di influenza del 1919, 200 milioni in guerre e carestie, e circa 2 miliardi sono morti per malattie evitabili nella prima infanzia. Ma questo è stato il secolo della vita, non della morte. Nel mondo, vi è stata una diminuzione di 3 volte nella mortalità infantile dopo il 1950, e alla fine del secolo l’attesa di vita nell’insieme di tutti i Paesi in via di sviluppo è migliore di quella di ogni Paese avanzato nel 1900: metà delle persone oggi raggiunge l’età di 70 anni (e nei paesi sviluppati i tre quarti vi arrivano). Ciònondimeno, nel 1990 vi sono stati 50 milioni di morti, di cui 15 milioni circa nella prima infanzia (0-4 anni), 15 milioni nella mezza età (35-69 anni), e 15 milioni in età più avanzata. Se i tassi di mortalità infantile fossero stati in tutto il mondo ai bassi livelli dell’Europa Occidentale, nel 1990 vi sarebbero stati soltanto 1 milione di morti nell’infanzia invece di 15 milioni – ma se la mortalità infantile fosse stata elevata come in Europa Occidentale nel 1900 vi sarebbero stati più di 30 milioni di morti! Le sole cause importanti di morte che stanno aumentando rapidamente sono l’HIV (AIDS) e il tabacco. Nessuno sa quante decine di milioni (o centinaia) di milioni di morti l’HIV causerà nel prossimo secolo, ma se le attuali abitudini di fumo rimarranno stabili il numero di morti per tabacco aumenterà da circa 3 milioni per anno 1990 (ossia circa 30 milioni per decennio) a 10 milioni per anno nel 2030 (ossia 100 milioni per decennio). Nel mondo vi sono circa 1,5 miliardi di persone che già fumano, o che fumeranno quando raggiungeranno l’età adulta, e l’evidenza epidemiologica in Europa, America e Cina suggerisce che circa metà di coloro che continueranno a fumare sigarette saranno uccisi dalla loro abitudine (a meno che non smettano). Inoltre, anche nella mezza età smettere di fumare evita la maggior parte del rischio di venir uccisi dal tabacco, e farlo prima evita quasi del tutto questo rischio. D’altra parte se il mondo dedicherà sufficienti risorse per far continuare la diminuzione della mortalità infantile nei paesi poveri (a meno che non succedano catastrofi), possiamo già immaginare un tempo in cui la gran parte di coloro che eviteranno l’HIV e il tabacco vivranno fino a 70 anni (in realtà in Italia 5 su 6 già vi arrivano). RICHARD PETO Università di Oxford - UK NEGRI NEWS 123, Giugno 1999, pag. 1 Alcuni recenti episodi in cui la magistratura è intervenuta imponendo determinate terapie hanno sollevato il problema della libertà di cura. Cosa significa il termine “libertà di cura” quando chi se ne attribuisce il diritto non ha adeguate informazioni? Quali sono i limiti della libertà? Quali sono i diritti dei minori o degli incapaci di intendere? Filosofi e moralisti possono discutere dei principi generali, ma in realtà può essere più importante passare dalla teoria alla pratica o addirittura alla casistica per cercare di capire come ci si debba comportare. Ci riferiremo a quattro tipologie che possono forse rappresentare una buona panoramica dei problemi da discutere. Possiamo rispondere proponendo una situazione simile che è di più immediata comprensione. Se qualcuno vuole suicidarsi, come si comporta la società? Cerca in tutti i modi di evitare questo evento; non si chiede se esista la libertà di suicidio, ma si mobilita chiamando vigili del fuoco, psichiatri, psicologi e familiari o chiunque possa persuadere il candidato suicida a rinunciare; fra l’altro non esita a ricorrere a qualsiasi “trucco” per dissuadere e così salvare, almeno temporaneamente, il candidato suicida. Ci dovremmo comportare diversamente nei confronti di chi, rifiutando un trattamento fondamentale per sopravvivere, si comporta di fatto come un suicida? 4. L’ultimo caso riguarda una situazione in cui la “libertà di cura” non può essere esercitata dall’interessato perché troppo piccolo o incapace, ma viene perciò effettuata da chi è responsabile, genitori o tutori. Il problema è relativamente semplice SILVIO GARATTINI FARMACI Nuovi antitumorali di origine marina Lo studio di nuovi prodotti naturali di origine marina (come l’ET743) è un campo di ricerca promettente per migliorare la messa a punto di terapie antitumorali innovative. Un lavoro che vede impegnati molti gruppi di ricerca in tutto il mondo. Quello che si sta facendo nel Dipartimento di Oncologia dell’Istituto. La scarsità quantitativa dei composti estratti dagli organismi marini e la necessità di sintetizzarli in laboratorio diminuendone la tossicità. Il Dipartimento di Oncologia dell’Istituto Mario Negri è impegnato da anni nello studio di farmaci antitumorali con meccanismo d’azione innovativo. Negli ultimi cinque anni una parte delle ricerche si è rivolta allo studio di nuovi prodotti naturali di origine marina, che hanno mostrato un’interessante attività antitumorale a livello preclinico. Che dal mare si possano estrarre composti con attività terapeutica contro i tumori è noto da molti anni. Basti pensare che uno dei farmaci antileucemici più utilizzati in clinica, la citosina arabinoside, è stata identificata per la prima volta in una spugna denominata criptotetia cripta. Successivamente è stato possibile ottenere questo farmaco attraverso una sintesi chimica. NEGRI NEWS 123, Giugno 1999, pag. 2 Ricerche a livello mondiale Più recentemente sono migliorate anche le tecnologie per l’esplorazione marina a diverse profondità ed è stato possibile ottenere un’elevata varietà di campioni di microorganismi e macroorganismi vegetali e animali da cui estrarre potenziali farmaci. Anche se vi sono diversi gruppi negli Stati Uniti, in Australia, in Giappone e in Europa che lavorano in questo campo, il gruppo che recentemente ha ottenuto notevoli successi nell’identificazione di farmaci dal mare è quello della Pharma Mar. Questa compagnia ha avuto il vantaggio di utilizzare la struttura di una delle più grandi ditte di pesca della Spagna e del mondo, la Pescanova, che dispone di una flotta di 140 navi, con grande potenzialità di raccolta di campioni in tutti i mari del globo. Giovandosi di questa struttura, di un competente gruppo di biologia marina e di collaborazioni con università e istituti di ricerca di grande competenza e prestigio in tutto il mondo, Pharma Mar, una piccola costola di Pescanova, ha investito risorse in un grande progetto, cioè quello di identificare potenziali farmaci antitumorali di derivazione marina. Da diversi anni, nell’ambito del Dipartimento di Oncologia dell’Istituto Mario Negri, il Laboratorio di Farmacologia Antitumorale e il Laboratorio di Biologia e Terapia delle Metastasi diretto dalla Dott.ssa Raffaella Giavazzi, collaborano attivamente con i ricercatori della Pharma Mar, dei centri di Tres Cantos (Madrid, Spagna) e di Boston (USA) per studiare il meccanismo d’azione e le proprietà farmacologiche di molti composti estratti da organismi marini. Presso i nostri laboratori sono in studio alcuni composti ed esistono già evidenze di un’attività antitumorale, per lo meno in sistemi sperimentali preclinici. Uno di questi, denominato Ecteinascidina-743 (ET-743), scoperto nel mar dei Caraibi, è già da molti mesi in sperimentazione clinica in diversi centri oncologici europei e statunitensi. È ancora presto per poter definire l’efficacia di ET-743, ma in alcuni pazienti per i quali non esistevano terapie disponibili, si è osservata una regressione del tumore. Questi dati sono estremamente preliminari e non ci consentono di trarre conclusioni sull’efficacia clinica di ET-743, ma ci fanno sperare che la successiva sperimentazione clinica (Fase II e Fase III) avrà un esito positivo. È da notare come i farmaci antitumorali che si sono scoperti negli ultimi dieci anni sono nella gran maggioranza dei composti di origine naturale. Ad esempio i taxani estratti dalla corteccia e più recentemente dalle foglie di alcuni tipi di tassi hanno mostrato una notevole attività in pazienti con tumore della mammella e dell’ovaio. La ricerca nel campo dei prodotti naturali di origine marina è ancora agli inizi, ma la ricchezza degli organismi vegetali e animali e dei microorganismi è presumibilmente molto maggiore di quella terrestre. La sopravvivenza di molte specie marine, soprattutto di organismi di piccola dimensione non difesi da una corazza, è dovuta alla capacità di sintetizzare composti che possono attuare una vera guerra chimica nei confronti di potenziali aggressori. Strutture chimiche complicate Si sono sviluppate pertanto, nel corso dell’evoluzione, delle capacità metaboliche che portano alla sintesi di composti con una struttura chimica estremamente complicata, difficilmente immaginabile anche dal più fantasioso e abile chimico, con numerose attività biologiche di potenziale interesse per la terapia di malattie umane. La ricerca di questi composti è molto difficile in quanto una volta isolato un principio attivo presente in un certo organismo marino, si deve identificare chimicamente la molecola responsabile dell’attività biologica presente nell’estratto. Una volta identificata la molecola attiva se ne deve purificare una quantità sufficiente per lo studio del suo meccanismo d’azione e delle sue proprietà biologiche e farmacologiche. Successivamente si procede a valutare l’attività antitumorale in tumori murini e in tumori umani che crescono in topi atimici (studi di attività antitumorale in vivo) e a valutare il quadro tossicologico in diverse specie animali. Gli studi dell’attività antitumorale in vivo, soprattutto su tumori scarsamente sensibili all’attività di farmaci disponibili, e la valutazione tossicologia, consentono di avere degli elementi utili per decidere se, e a quali dosi, incominciare la sperimentazione clinica (Fase I). Uno dei problemi che si possono incontrare è la relativa scarsità quantitativa di un certo composto estratto da un organismo marino e la necessità di attuare dei programmi di produzione attraverso la coltura dell’organismo stesso che produce il composto d’interesse o della sua sintesi chimica. In collaborazione con Pharma Mar il premio Nobel per la chimica Elias Janes Corey con il suo gruppo all’Università di Harvard (Boston, MA, USA) è riuscito a sintetizzare ET-743, dei frammenti che compongono ET-743 e suoi analoghi strutturali. La disponibilità di un’ampia varietà di molecole analoghe a ET-743 ci consentirà di ottenere informazioni preziose sull’importanza delle varie parti della molecola nel determinare i vari effetti biologici osservati. Ad esempio ET-743 ha mostrato una notevole attività antitumorale nei sistemi preclinici utilizzati dai nostri laboratori, ma anche un certo grado di epatotossicità. Attraverso lo studio di analoghi strutturali di ET-743 ci proponiamo di identificare farmaci ugualmente attivi, ma meno tossici. Nei nostri laboratori sono in corso di attuazione questo e altri progetti che riguardano ET-743 e molti altri prodotti marini e ci auguriamo di poter dare nel prossimo futuro, ai lettori di Negri News, risultati nuovi e promettenti di questo affascinante campo di ricerca. MAURIZIO D’INCALCI Dipartimento di Oncologia Laboratorio di Farmacologia Antitumorale Istituto Mario Negri, Milano SEMINARI Italia, malattie rare e farmaci orfani Si è svolto in marzo a Firenze il Seminario Internazionale sul rapporto fra malattie rare e farmaci orfani alla luce delle esperienze realizzate in diversi Paesi. Si stima che le malattie rare siano circa 5.000, cioè il 10% delle patologie conosciute, con una frequenza variabile da 1:20.000 a 1:200.000. Nella sola Comunità Europea si stimano tra 20 e 25 milioni le persone (malati, parenti, medici, amici, ecc..) coinvolti da una malattia rara spesso debilitante e non di rado invalidante. Alle malattie rare si collegano i cosiddetti “farmaci orfani” che l’industria farmaceutica non ha interesse a sviluppare in base ad una stretta valutazione economico-industriale. A Firenze si è auspicata la creazione di un’anagrafe delle malattie rare riferita alle diverse aree italiane ed è stata sottolineata la necessità di una apposita legge nazionale sulla produzione di “farmaci orfani”: in America l’Orphan Drug Act, con opportuni meccanismi fiscali, ha permesso in 13 anni di sviluppare alcune centinaia di nuovi medicinali per curare malattie rare. ora dall’inizio dei sintomi, questo beneficio è dilatato e a dieci anni di distanza risultano salvate 80 vite anzichè 19. In questo caso infatti il trattamento riduce il rischio assoluto di morte da 443 per 1000 pazienti a 353 per 1000 pazienti. INFARTO La streptochinasi funziona a lungo Il GISSI-1 dimostra che il miglioramento della sopravvivenza ottenuto con la streptochinasi somministrata al momento del ricovero in ospedale resta a dieci anni dall’infarto. La riduzione del rischio di morte, già provata a un anno di distanza, è risultata mantenersi nel tempo: il controllo sul 93% della popolazione partecipante in origine allo studio, rintracciata grazie alle Anagrafi dei Comuni. Fondamentale la tempestività di trattamento. Una verifica 10 anni dopo Per verificare questo risultato il GISSI, nato dalla collaborazione tra l’Associazione Nazionale dei Medici Cardiologi Ospedalieri (AMNCO) e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, ha seguito per più di dieci anni il destino degli oltre 11.700 pazienti che, nei primi anni 80, avevano preso parte al mega-studio GISSI-1. L’obiettivo di questo studio consisteva nel valutare l’efficacia nell’infarto di un trattamento per infusione endovenosa della durata di un’ora con una singola dose di 1,5 milioni di streptochinasi, un farmaco fibrinolitico dimostratosi in grado di riaprire l’arteria coronarica colpita “sciogliendo” il coagulo che provoca l’infarto miocardico. Il trattamento sperimentale veniva confrontato in modo “randomizzato” con la terapia a quel tempo di routine nei pazienti ricoverati con infarto acuto entro 12 ore dall’inizio dei sintomi. I risultati del GISSI-1, pubblicati sulla prestigiosa rivista The Lancet nel 1986, indicarono una riduzione intorno al 20% della mortalità intraospedaliera nei pazienti che avevano ricevuto la streptochinasi entro le prime 12 ore dall’inizio dei sintomi, che corrispondeva a un beneficio assoluto di 22 vite salvate ogni 1000 pazienti trattati. Inoltre la dimensione del beneficio risul- tava tempo-dipendente, con riduzioni maggiori di mortalità nei pazienti trattati precocemente. I pazienti furono seguiti per il primo anno dopo l’infarto e questo primo follow-up indicò che il beneficio era ancora presente. Dieci anni dopo questi risultati, gli uffici anagrafici dei Comuni di residenza sono stati interpellati dal GISSI per rintracciare i pazienti e verificarne la sopravvivenza per valutare se il beneficio si manteneva nel tempo. Attraverso la collaborazione delle anagrafi, rivelatesi indispensabile ed efficente, è stato possibile recuperare il 93% della popolazione interessata. A dieci anni dall’infarto l’aumento della sopravvivenza prodotto dalla streptochinasi, che era ancora presente ad un anno, è risultato essersi mantenuto in modo significativo: il trattamento riduce il rischio assoluto di morte a dieci anni da 469 per 1000 pazienti a 450 per 1000 pazienti, ossia produce un beneficio netto di 19 vite salvate ogni 1000 pazienti trattati. Nei pazienti che si presentano in ospedale e ricevono il trattamento entro la prima Come sottolinea l’editoriale di Circulation le due ragioni per guardare al GISSI come a un punto di riferimento sono, come 10 anni fa, complementari: da un lato i risultati clinici ed epidemiologici e le loro implicazioni di salute pubblica, dall’altro il fatto di dimostrare che la ricerca più innovativa può prodursi a basso costo, identificandosi strettamente con la pratica corrente di un Sistema Sanitario Nazionale. Il GISSI-1 è stato riconosciuto a livello internazionale come lo studio che ha aperto l’era della fibrinolisi, rendendola accessibile a tutti i pazienti colpiti da infarto. In seguito ai suoi risultati la terapia fibrinolitica è diventata la terapia raccomandata di routine. La conferma della persistenza dei suoi benefici anche sul lungo termine rinforza la raccomandazione di trattare il più presto possibile tutti i pazienti che non hanno controindicazioni a questo trattamento e che si presentano entro 12 ore dall’inizio dei sintomi, velocizzando il più possibile le procedure di avvio al trattamento già in Pronto Soccorso. I risultati indicano inoltre l’opportunità di promuovere campagne di informazione alla popolazione sull’assoluta neccessità di non perdere tempo nel caso di sintomi di infarto. MARIA GRAZIA FRANZOSI Centro di coordinamento GISSI DOPING E SPORT Per un’informazione corretta Con la non giustificata pretesa di migliorare le prestazioni sportive si usano farmaci e integratori studiati, in realtà, per indicazioni e con posologie differenti; inoltre, nella nostra società farmacocentrica, si tende a delegare a queste sostanze effetti ottenibili altrimenti con allenamento e dieta adeguati. Insieme alla lealtà nelle competizioni, sono questi i punti messi a fuoco – in tema di doping e sport – da questa agile pubblicazione nata dalla collaborazione di farmacisti e medici: raccoglie in 48 pagine, con taglio divulgativo, schede su farmaci e altre sostanze dopanti (anabolizzanti, ormoni peptidici e glicoproteici, stimolanti, molecole che innalzano la soglia del dolore o mascherano le tracce di sostanze vietate, aminoacidi, integratori) più la classificazione Cio (Comitato internazionale olimpico) e si rivolge a operatori sanitari, ma soprattutto atleti e genitori di ragazzi che fanno sport. L’opuscolo offre quindi un’informazione semplice e corretta sul doping, basata sulle conoscenze scientifiche disponibili e mirata a sfatare i luoghi comuni. “La maggior parte delle sostanze dopanti non aumenta la performance” precisa per esempio Rina Di Pasquale, farmacista co-autrice del manuale “mentre quelle che producono qualche effetto comportano anche maggiori rischi, come gli anabolizzanti”. Edito da Medical Economics Italia, il manuale costa 3.000 lire (parte del ricavato verrà devoluto all’Istituto Mario Negri per un progetto di assistenza sanitaria in un Paese in via di sviluppo) e va richiesto all’editore (fax 02.38040607) poiché sono ancora in via di attivazione canali distributivi come palestre e librerie, oltre alle edicole. NEGRI NEWS 123, Giugno 1999, pag. 3 Ormai più di dieci anni fa, nel 1985, i risultati di uno studio totalmente italiano, condotto dal Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenza nell’Infarto Miocardico (GISSI), venivano salutati a livello internazionale come l’inizio di una nuova era nel trattamento dell’infarto: con una semplice infusione di un’ora con un farmaco largamente disponibile e a basso costo era possibile ridurre del 20% la mortalità dei pazienti con infarto. Quel “vecchio” studio è ritornato sulle prime pagine della rivista leader nel campo cardiovascolare, Circulation, che sul numero del 15 Dicembre ’98 riporta i dati che descrivono il destino di quei pazienti a 10 anni di distanza: l’aumento della sopravvivenza dei pazienti colpiti da infarto acuto del miocardio ottenuto con la somministrazione tempestiva di streptochinasi è ancora presente; dopo tutto questo tempo si conferma inoltre, in armonia con quanto era stato osservato durante il ricovero in ospedale, che l’ampiezza del beneficio è direttamente proporzionale alla tempestività nella somministrazione del trattamento. Due indicazioni importanti RICERCA E SALUTE SALUTE E DIRITTI L’alprostadil è efficace Libertà di cura? (continua dalla prima pagina) Una ricerca interamente italiana fornisce nuove speranze nella lotta alle gravi arteriopatie degli arti inferiori. Si tratta del più grande studio fino ad oggi condotto su questa drammatica ed invalidante patologia che può portare all’amputazione di una gamba o alla morte del paziente. Misurati i benefici dell’infusione di alprostadil durante le 3 settimane di ricovero ospedaliero. Necessarie ora ulteriori sperimentazioni con più cicli di trattamento. I risultati di uno studio ideato e condotto in Italia danno oggi qualche speranza in più ai pazienti affetti da gravi arteriopatie degli arti inferiori. La ricerca, infatti, documenta per la prima volta l’efficacia di un trattamento farmacologico in questi malati che hanno una qualità di vita davvero povera e una prognosi molto grave. Nei pazienti colpiti dalla malattia, definita “Ischemia cronica critica degli arti inferiori”, il processo arteriosclerotico ha finito per ridurre lo spazio interno delle arterie degli arti inferiori. Di conseguenza il flusso sanguigno viene notevolmente ridotto, con la inevitabile diminuzione dell’apporto di sangue e di ossigeno ai tessuti periferici. Il danno che i tessuti stessi ne ricevono è enorme. Questi pazienti soffrono per la presenza di un dolore al polpaccio che compare anche a riposo, tipicamente di notte, e per la comparsa di lesioni cutanee che stentano a rimarginare e a guarire. Per loro la prospettiva è realmente drammatica. La minaccia più prossima è quella della perdita dell’arto: circa un terzo dei malati ne subisce l’amputazione entro un anno. La loro sopravvivenza, inoltre, è inferiore a quella di molte persone colpite da tumore. NEGRI NEWS 123, Giugno 1999, pag. 4 Benefici sostanziali Lo studio italiano, pubblicato negli Stati Uniti da una delle più prestigiose riviste di medicina, gli Annals of Internal Medicine, è frutto di una ricerca condotta da un gruppo di una sessantina di centri di chirurgia vascolare e angiologia e coordinato dall’Istituto Mario Negri. Il gruppo, denominato I.C.A.I. (sigla che identifica la malattia studiata), ha sperimentato su oltre 1500 pazienti l’effetto dell’alprostadil-alfa-ciclodestrina, un farmaco appartenente alla categoria delle prostaglandine. Tutti i malati coinvolti sono stati trattati secondo le procedure chirurgiche di rivascolarizzazione (essenzialmente angioplastica e bypass) e le terapie mediche oggi normalmente praticate. In aggiunta a questi trattamenti una metà di loro, selezionata in modo casuale, è stata sottoposta a infusione endovenosa del farmaco sperimentale. L’infusione durava un paio di ore al giorno e veniva praticata durante l’intero periodo del ricovero in ospedale, in media circa tre settimane. La proporzione di pazienti guariti, cioè non sottoposti ad amputazione e dimessi senza ulcere né dolore, è risultata superiore di un terzo nel gruppo trattato con alprostadil rispetto al gruppo di controllo, che non riceveva il farmaco. In altri termini, senza il nuovo trattamento la guarigione ha riguardato un paziente su quattro, mentre con l’uso dell’alprostadil si è arrivati ad uno su tre. Il vantaggio ha interessato diverse categorie di pazienti per le quali si riconosce una prognosi diversa: diabetici e non diabetici, chi lamentava solo dolore e chi aveva anche ulcere, chi è stato sottoposto a un intervento di rivascolarizzazione e chi non era idoneo ad esso, tutti hanno goduto di un sostanziale beneficio. Come era stato previsto dai ricercatori, dopo un singolo corso di terapia il vantaggio si è man mano ridotto nel tempo, risultando marginale all’ultima visita di controllo programmata dopo sei mesi. Questa osservazione lascia aperta la porta ad una ulteriore sperimentazione: verificare se più cicli di trattamento con alprostadil, ripetuti nel tempo, possono aumentare, e soprattutto prolungare, il beneficio che i pazienti ne traggono. Oltre a segnalare il primo dato positivo per pazienti gravi e fino ad oggi privi di rimedi farmacologici efficaci, questo studio coglie un altro importante risultato. È la dimostrazione di come la collaborazione tra molti centri e diverse aree di intervento possa raccogliere grandi numeri di pazienti attorno a una ipotesi semplice, che si può facilmente proporre e verificare nella pratica clinica quotidiana. Gli oltre 1500 malati studiati dal gruppo I.C.A.I. hanno consentito di dare una prima risposta a un problema che molti studi precedenti condotti in campo internazionale, basati su un numero minore di pazienti, hanno lasciato per anni irrisolto. VITTORIO BERTELÈ Unità di Medicina Vascolare Consorzio Mario Negri Sud Per ulteriori informazioni: Segreteria I.C.A.I. C/O Istituto Mario Negri Milano Dottor Vittorio Bertelè Tel. 02-39014314 Fax 02-3546277 email: [email protected] Dottoressa Maria Carla Roncaglioni Tel. 02-3901481 Fax 02-39001916 email: [email protected] Nota: il rapporto originale del lavoro è disponibile all’indirizzo http://www.acponline.org/journals/annaltoc.htm se rientra nelle prime due tipologie, ma è di natura diversa se entra nella terza e cioè: i genitori o i tutori hanno il diritto di impedire che l’ammalato riceva un trattamento, il solo, che ha forti probabilità di essere risolutivo? Poco importa la ragione per cui i genitori non vogliano la terapia, siano anche le più comprensibili come quelle di tipo compassionevole che intendono evitare al figlio trattamenti dolorosi. Anche in questo caso sostenere che il genitore ha il diritto di scegliere per il figlio e scandalizzarsi per il fatto che un magistrato possa sospendere temporaneamente la potestà paterna è in contrasto con quando normalmente viene fatto in altre circostanze. Qualsiasi genitore che abusi del figlio o maltratti il figlio viene destituito della sua autorità con il consenso popolare. Quale è la differenza fra maltrattare il figlio ed impedirgli di avere una terapia efficace? Né può essere accettato il fatto che il genitore voglia scegliere anziché una terapia che ha il vaglio dell’evidenza, una terapia di cui non si sa nulla. Si tratta della stessa situazione: scegliere fra la possibilità di vita e la certezza di morte. Ben venga quindi l’intervento del magistrato per riparare ad un errore, seppure in buona fede e con tutte le attenuanti, di chi ha la responsabilità, ma non ha le conoscenze per esercitarla. Non intervenire significherebbe rendersi corresponsabili di un atteggiamento del tipo “padre-padrone” molto vicino nei fatti ad un comportamento criminale. Considerando queste tipologie si può forse concludere che la “libertà di cura” non è sempre un diritto individuale, ma rispecchia situazioni in cui la società ha il diritto di intervenire in vari modi e, quando necessario, anche in modo drastico. SILVIO GARATTINI NEGRI NEWS Direttore Responsabile SILVIO GARATTINI Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri - Ente Morale via Eritrea 62 - 20157 Milano Tel. 02.39014.1 - Telex 331268 NEGRI I Fax 02.354.6277 Fotocomposizione e Stampa: Stamperia Stefanoni Bergamo Iscritto nel registro del Tribunale di Milano al N. 117 in data 28 marzo 1981 Tiratura 34.300 copie Finito di stampare nel maggio 1999 Per garantire la privacy. In conformità a quanto previsto dalla legge n. 675/96 art. 10 sulla tutela dei dati personali, l’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” garantisce tutti i suoi lettori che i più assoluti criteri di riservatezza verranno mantenuti sui dati personali forniti da ognuno. A tal fine si fa presente che le finalità dell’Istituto Mario Negri sono relative solo alla spedizione del “Negri News”. 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