Lisa Jane Smith La Setta dei Vampiri L’INCANTESIMO ROMANZO Newton Compton Editori 1 Capitolo 1 Espulsa. Era una parola spaventosa per una studentessa dell’ultimo anno, e continuava a risuonare nelle orecchie di Thea Harman mentre l’auto di sua nonna si avvicinava all’edificio scolastico. «Questa», disse nonna Harman dal sedile anteriore del passeggero, «è la vostra ultima possibilità. Ve ne rendete conto, vero?». L’autista si accostò al marciapiede, mentre lei continuava a parlare. «Non so perché siate state buttate fuori dall’ultima scuola, e non voglio saperlo. Ma se sentirò anche solo odore di guai in questo istituto, me ne lavo le mani e vi spedisco tutte e due da vostra zia Ursula. E voi questo non lo volete, non è vero?». Thea scosse la testa con vigore. La casa di zia Ursula era soprannominata il Convento, una fortezza grigia in cima a una montagna desolata. Muri di pietra ovunque, un’atmosfera tetra, e la zia che controllava a vista ogni loro mossa con le labbra serrate. Meglio la morte. Sui sedili posteriori, accanto a Thea, anche sua cugina Blaise scuoteva la testa, ma naturalmente non aveva sentito neanche una parola. Anche Thea aveva qualche difficoltà a concentrarsi. Le girava la testa e si sentiva molto confusa, come se metà di lei fosse ancora nel New Hampshire, nell’ufficio del 2 preside. Continuava ad avere davanti agli occhi la sua espressione mentre diceva a lei e Blaise che stavano per essere espulse, di nuovo. Quella volta però era stato peggio. Non avrebbe mai dimenticato la luce blu e rossa della macchina della polizia che vedeva lampeggiare dalla finestra, o il fumo che si alzava dai resti carbonizzati dell’aula di musica, o le grida di Randy Marik mentre i poliziotti lo portavano in prigione. E Blaise continuava a sorridere. Trionfante, come se non fosse che un gioco. Thea lanciò un’occhiata alla cugina. Blaise era bella e mortale, e di questo naturalmente non aveva colpa. Lo era sempre stata; faceva parte di lei come gli ardenti occhi grigi e i capelli color fuliggine. Era diversa dalla dolcezza bionda di Thea come la notte è diversa dal giorno, ed era la sua bellezza a metterle sempre nei guai, ma Thea non poteva fare a meno di amarla. Dopotutto, erano cresciute come sorelle. E il legame fra sorelle era il più forte… per una strega. Non possiamo farci espellere un’altra volta. Non possiamo. E so che in questo esatto momento stai pensando che puoi rifare tutto daccapo e la cara vecchia Thea sarà sempre al tuo fianco, ma stavolta ti sbagli. Stavolta dovrò impedirtelo. «È tutto», concluse bruscamente la nonna, mettendo fine alla ramanzina. «Tenetevi fuori dai guai fino alla fine di ottobre o ve ne pentirete. E adesso fuori». Colpì lo schienale del sedile del guidatore col suo bastone. «A casa, Tobias». L’autista, un ragazzo riccio che non aveva più di vent’anni ma già sfoggiava l’espressione stupita e abbacchiata che tutti gli apprendisti della nonna assumevano 3 dopo qualche giorno, mormorò: «Sì, Somma Signora», e allungò la mano sul cambio. Thea afferrò la maniglia e scese in fretta dall’auto. Blaise le andò subito dietro. La vecchia Lincoln Continental si allontanò velocemente. Thea rimase insieme a Blaise sotto il sole caldo del Nevada, di fronte al complesso di edifici a due piani in mattoni. Il liceo di Lake Mead. Thea chiuse e riaprì gli occhi un paio di volte, cercando di rimettere in moto il cervello. Poi si voltò verso sua cugina. «Dimmi», disse severamente, «che non hai intenzione di rifare qui la stessa cosa». Blaise rise. «Non faccio mai la stessa cosa due volte». «Sai cosa intendo». Blaise contrasse le labbra e si chinò per aggiustarsi il gambale dello stivale. «Secondo me la nonna ha esagerato un po’ con le prediche, non sei d’accordo? Credo ci sia qualcosa che non ci dice. Insomma, che c’entra la fine del mese?». Si raddrizzò, gettò indietro i folti capelli scuri e sorrise soavemente. «Non dovremmo andare in segreteria a farci dare gli orari?» «Vuoi rispondere alla mia domanda?» «Mi avevi chiesto qualcosa?» Thea chiuse gli occhi. «Blaise, stiamo rimanendo a corto di parenti. Se succede di nuovo… be’, vuoi finire in Convento?». Per la prima volta Blaise si rabbuiò. Poi si strinse nelle spalle, e il tessuto dell’ampia camicia color rubino si increspò, creando piccole pieghe simili a onde liquide. «Faremo meglio a sbrigarci, se non vogliamo arrivare in ritardo». 4 «Vai avanti tu», rispose Thea con voce stanca. La guardò allontanarsi, i fianchi che ondeggiavano, il passo leggero che era il suo marchio di fabbrica. Fece un altro respiro, studiando le costruzioni, con i loro ingressi ad arco e i muri d’intonaco rosa. Sapeva già cosa l’aspettava. Un altro anno accanto a loro, a camminare tranquilla per i corridoi con la consapevolezza di essere diversa da tutti quelli che aveva intorno, a fingere nel contempo di essere uguale. Non era difficile. Gli umani non erano troppo svegli. Ma ci voleva una certa dose di concentrazione. S’era appena incamminata anche lei verso la segreteria quando sentì delle voci concitate. Un gruppetto di studenti s’era radunato ai margini del parcheggio. «Sta’ lontano». «Uccidilo!». Si avvicinò senza farsi notare. Ma poi vide cosa c’era a terra e, preoccupata, fece tre balzi in avanti finché non lo raggiunse e poté osservarlo per bene. Oh… che meraviglia. Corpo lungo, forte… testa larga… e sulla coda una fila di anelli che vibravano rapidi. Producevano un suono simile al fischio del vapore, o a semi di melone dentro una scatola. Il serpente era verde oliva, con grossi rombi sul dorso. Le squame sulla testa brillavano, sembravano quasi bagnate. E la lingua nera guizzava così veloce… Un sasso le passò sopra la testa sibilando e cadde a terra accanto al serpente. Si alzò una nube di polvere. Thea alzò lo sguardo. Un ragazzo con dei jeans corti indietreggiava, l’espressione impaurita e trionfante. «Non fare così», disse qualcuno. «Prendi un bastone», disse qualcun altro. 5 «Stagli lontano». «Uccidilo». Volò un altro sasso. Le facce intorno a Thea non erano crudeli. Alcune sembravano curiose, altre impaurite, altre ancora colme di una sorta di affascinato disgusto. Ma per il serpente la conclusione sarebbe stata la stessa. Un ragazzo coi capelli rossi partì all’assalto con un bastone. Altri si chinarono a raccogliere sassi. Non posso permetterlo, pensò Thea. I serpenti a sonagli erano in realtà abbastanza deboli, avevano una spina dorsale delicata. Quei ragazzini avrebbero potuto uccidere il serpente anche senza volerlo. Per non parlare del fatto che rischiavano di farsi mordere. Ma lei non aveva niente… né un diaspro contro il veleno, né dell’iperico per calmare la mente. Non importava, doveva fare qualcosa. Il ragazzo dai capelli rossi si muoveva in cerchio col suo bastone come un lottatore che studia il suo avversario. Gli altri lì intorno alternavano avvertimenti e incitazioni. Il serpente si era raggomitolato su se stesso, la lingua guizzava così velocemente che Thea non riusciva a seguirla con gli occhi. Era impazzito. Dopo aver buttato a terra lo zaino, passò davanti al ragazzo. Vide che la guardava scioccato e sentì che molti gridavano, ma cercò di estraniarsi da tutto. Aveva bisogno di concentrarsi. Spero di esserne capace… Si inginocchiò a una trentina di centimetri dal serpente. La bestia si preparò all’attacco. La parte superiore del corpo sollevata a forma di esse, la testa simile a una frec- 6 cia che sta per essere scoccata. Niente sembra più pronto a scattare di un serpente in quella posizione. Calmo… sta’ calmo, pensò Thea, fissando le pupille a fessura di quegli occhi gialli da gatto. Alzò lentamente le mani, coi palmi rivolti verso il serpente. Brusii preoccupati si alzarono dalla folla dietro di lei. Il serpente inspirava ed espirava con un violento sibilo. Thea respirava piano, cercando di irradiare pace. Ora, chi poteva aiutarla? Naturalmente, la sua protettrice personale, la dea più vicina al suo cuore. Ilizia dell’antica Creta, la madre degli animali. Ilizia, Signora delle bestie, di’ a questa creatura di calmarsi, ti prego. Aiutami a vedere nel suo piccolo cuore di serpe, così che io sappia cosa fare. E poi accadde, la meravigliosa trasformazione che neanche Thea riusciva a capire. Parte di lei divenne il serpente. Uno strano sfumare dei suoi confini: era se stessa, ma era anche arrotolata sul terreno caldo; adirata, eccitabile e desiderosa sopra ogni cosa di tornare al riparo di un cespuglio. Qualche tempo prima aveva avuto undici figli, e non si era mai ripresa del tutto dall’esperienza. Ora era circondata da creature grandi, calde, che si muovevano velocemente. Grosse-cose-viventi… troppo vicine. Non reagiscono ai miei segnali di minaccia. Meglio morderli. Il serpente aveva solo due modi di comportarsi nei confronti di animali che non erano fonte di cibo: 1) agitare la coda finché non vanno via; 2) se non se ne vanno, colpire. La Thea persona teneva le mani immobili e cercava di far penetrare un nuovo pensiero in quel piccolo cervello 7 di rettile. Odorami. Assaggiami. Non ho lo stesso odore di un umano. Sono una figlia di Hellewise. La lingua del serpente le solleticò il palmo. Le punte erano così sottili e delicate che Thea a malapena riusciva a sentirne il tocco sulla pelle. Però percepiva che il serpente stava abbandonando lo stato di massima allerta. Si stava rilassando, pronto ad andarsene. A breve, se gli avesse detto di guizzare via, l’avrebbe ascoltata. Dietro di lei, sentì una nuova confusione. «C’è Eric!». «Ehi, Eric – un serpente a sonagli!». Non deconcentrarti, pensò Thea. Una nuova voce, più lontana, ma in avvicinamento. «Lasciatelo stare, ragazzi. Probabilmente è solo un serpente toro». Seguì un clamore di eccitati dinieghi. Thea sentiva svanire la sua connessione. Resta concentrata… Ma nessuno sarebbe riuscito a concentrarsi con la baraonda che si verificò a quel punto. Udì dei passi veloci. Un’ombra sfrecciò rapida da oriente. Poi sentì un respiro affannoso. «È un Mojave!». E poi qualcosa la colpì, facendola cadere di lato. Successe così in fretta che non ebbe il tempo di girarsi. Atterrò dolorosamente sul braccio. Perse il controllo sul serpente. Tutto quello che riuscì a vedere fu una testa squamosa verde oliva che scattava in avanti, così veloce da diventare una macchia indistinta. Le mascelle erano spalancate – sorprendentemente grandi – e le zanne affondarono nella gamba coperta dai jeans del ragazzo che aveva spinto via Thea. 8 Capitolo 2 Fra i ragazzi dilagò il panico. Stava succedendo tutto troppo in fretta; Thea non riusciva a distinguere le diverse sensazioni. Metà delle persone davanti a lei stava scappando. L’altra metà gridava. «Chiamate un’ambulanza…». «Ha morso Eric…». «Ve l’avevo detto di ammazzarlo!». Il ragazzo dai capelli rossi si scagliò avanti col suo bastone. Gli altri si sparpagliarono alla ricerca di sassi. Il gruppo si trasformò in una folla inferocita. Il serpente impazzito agitava i suoi sonagli, uno spaventoso suono vibrante. Era furioso, pronto a colpire di nuovo da un momento all’altro, e non c’era nulla che Thea potesse fare. «Ehi!». La voce la colse di sorpresa. Era quella di Eric, il ragazzo che era stato morso. «Calmi, ragazzi. Josh, quello dallo a me». Si rivolse al tipo con i capelli rossi che teneva in mano il bastone. «Non mi ha morso. Mi è solo venuto addosso». Thea lo fissò. Era completamente matto? Ma gli altri gli diedero ascolto. Una ragazza con un paio di pantaloncini militari e un top che lasciava scoperto l’ombelico lasciò cadere la pietra che aveva in mano. «Lasciatelo… lo riporto fra i cespugli, dove non farà male a nessuno». 9 Matto senza ombra di dubbio. Parlava in tono pratico e ragionevolissimo, e cercava di bloccare il serpente con quel piccolo bastone. Qualcuno doveva prendere in pugno la situazione, e in fretta. Un lampo color rubino catturò l’attenzione di Thea. Blaise era tra la folla, con le labbra contratte. Thea prese una decisione. Si tuffò verso il serpente. L’animale guardava il bastone. Prima di afferrarne il corpo ne afferrò la mente, immobilizzandolo solo per un istante, il tempo necessario ad agguantarlo proprio sotto la testa. Continuò a tenerlo mentre spalancava le mascelle e sferzava il terreno con la coda. «Afferragli la coda e portiamolo via di qua», disse ansimando a quel matto di Eric. Lui guardava la sua presa sul serpente, esterrefatto. «Per amor di Dio, non lasciarlo andare. Può voltarsi in un secondo…». «Lo so. Prendilo!». Lo prese. I ragazzi si dispersero quasi tutti, mentre Thea faceva dietrofront stringendo la testa dell’animale con il braccio ben disteso. Blaise non scappò, guardò semplicemente il serpente con un leggero disgusto, come se emanasse un cattivo odore. «Ho bisogno di questa», sussurrò Thea in fretta mentre passava accanto alla cugina. Con la mano libera diede uno strattone alla collana di Blaise. La fragile catenina d’oro di spezzò e le sue dita si richiusero intorno a una pietra. Poi si diresse verso la boscaglia, il serpente era pesante, non era facile trasportarlo. Procedeva rapida, perché Eric non aveva molto tempo. Dietro la scuola il terreno 10 risaliva per poi degradare di nuovo verso il basso, diventando sempre più incolto e di colore grigio-bruno. Quando gli edifici scomparvero, Thea si fermò. «Questo è un buon posto», disse Eric. La sua voce tradiva la forte tensione che lo agitava. Thea lo squadrò con un’occhiata rapida e vide che era pallido. Coraggioso e completamente pazzo, pensò. «Ok, al mio tre lo lasciamo andare». Fece un cenno con la testa. «Buttalo in quella direzione e arretra in fretta». Lui annuì e contò con lei. «Uno… due… tre». Con un leggero dondolio, lo lasciarono andare contemporaneamente. Il serpente volò formando un arco aggraziato in aria e atterrò vicino a dei cespugli di salvia purpurea. Immediatamente strisciò al riparo, senza mostrare il minimo segno di gratitudine. Thea sentì la sua mente fredda e squamosa che si ritirava pensando: Quest’odore… quest’ombra… al sicuro. Fece un respiro profondo, e solo allora si accorse che fino a quel momento aveva trattenuto il fiato. Dietro di lei sentì che Eric improvvisamente si sedeva a terra. «Be’, ecco fatto». Il suo respiro era veloce e irregolare. «Ora potrei chiederti un favore?». Sedeva con le lunghe gambe distese, ancora più pallido. Gocce di sudore gli imperlavano il labbro superiore. «Sai, non sono proprio sicuro che non mi abbia morso», disse. Thea sapeva – e sapeva che Eric sapeva – che l’aveva morso. I serpenti a sonagli a volte colpivano senza mordere, e a volte mordevano senza iniettare il veleno. Ma non stavolta. Quello che non riusciva a credere era che a un umano importasse a tal punto di un serpente da non curarsi del morso ricevuto. «Mostrami la gamba», gli disse. 11 «Veramente, credo sia meglio avvisare l’infermeria». «Lasciami guardare, per favore». Parlò con gentilezza, inginocchiandosi di fronte a lui, avvicinandosi lentamente. Come avrebbe fatto con un animale spaventato. Il ragazzo restò fermo, lasciandosi arrotolare la gamba dei jeans. Eccola lì. La piccola duplice ferita sulla pelle abbronzata. Non c’era molto sangue. Ma era già gonfia. Anche se fosse tornata alla scuola di corsa, anche se gli infermieri avessero infranto ogni limite di velocità, non si sarebbero mai mossi abbastanza in fretta. Certo, gli avrebbero salvato la vita, ma la gamba si sarebbe gonfiata come una salsiccia e sarebbe diventata viola, e lui avrebbe trascorso giorni di incredibile sofferenza. Ma Thea teneva in mano la corniola di Iside. Una pietra rosso cupo su cui era inciso uno scarabeo, simbolo della regina delle dee egizie, Iside. Gli antichi Egizi ponevano le pietre ai piedi delle mummie; Blaise se ne serviva per accendere la passione. Ma era anche il più potente purificatore di sangue esistente. Improvvisamente Eric gemette. Si coprì gli occhi col braccio, e Thea sapeva cosa stava provando. Debolezza, nausea, disorientamento. Le dispiaceva per lui, ma la sua confusione era un vantaggio. Premette la mano sulle ferite, tenendo la corniola nascosta fra le dita serrate. Poi cominciò a canticchiare sottovoce, cercando di visualizzare il risultato che voleva ottenere. Il problema delle gemme era che non funzionavano da sole. Erano solo un mezzo per catalizzare le facoltà psichiche, indirizzarle, dirigerle verso un preciso obiettivo. 12 Trova il veleno, isolalo, disperdilo. Purifica ed elimina. Poi stimola le difese naturali del corpo. Infine, calma il gonfiore e il rossore, facendo rifluire il sangue. Mentre era lì in ginocchio, con il sole che le scaldava la nuca, si rese conto all’improvviso di non avere mai fatto niente di simile. Aveva guarito degli animali – cuccioli avvelenati da un rospo o gatti punti da un ragno – ma mai una persona. Buffo che l’istinto le avesse subito detto cosa fare. Aveva quasi avuto la sensazione di doverlo fare. Si sedette sui talloni, infilandosi la corniola in tasca. «Come ti senti?» «Uh?», Eric abbassò il braccio. «Scusa… credo di aver perso coscienza per un minuto». Bene, pensò Thea. «Ma come ti senti adesso?». La guardò come se stesse cercando con tutte le sue forze di non perdere la pazienza. Voleva spiegarle che le persone che vengono morse da un serpente a sonagli normalmente si sentono male. Ma poi la sue espressione cambiò. «Mi sento… buffo… credo che la gamba si sia intorpidita». Gettò un’occhiata dubbiosa al polpaccio. «No, sei stato solo fortunato. Non ti ha morso». «Che?». Affannosamente si tirò più su la gamba dei jeans. Poi si limitò a fissare la sua pelle. Era liscia e intatta, con solo una leggerissima traccia di rossore. «Ero sicuro…». Alzò gli occhi e la fissò. Era la prima volta che Thea poteva osservarlo con calma. Era carino, snello e con i capelli color sabbia e un viso dolce. Gambe lunghe. E gli occhi… verde intenso con pagliuzze grigie. In quel momento aveva uno sguardo attento e stupefatto, come un bambino incredulo. «Come hai fatto?», le chiese. Thea ammutolì, scioccata. 13 Non avrebbe dovuto reagire in quel modo. Cosa c’era che non andava in lui? Quando riuscì di nuovo a parlare, disse: «Io non ho fatto niente». «Invece sì», rispose lui, e ora i suoi occhi erano limpidi e diretti, pieni di una strana sicurezza. Improvvisamente sul suo viso si dipinse un’espressione di pura meraviglia. «Tu… sei così diversa». Si chinò lentamente verso di lei, come in trance. E poi… Thea sperimentò uno strano sdoppiamento. Era abituata a vedersi attraverso gli occhi degli animali: una grossa creatura glabra con una pelle finta. Ma ora vide se stessa con gli occhi di Eric. Una ragazza inginocchiata con i capelli biondi sciolti sulle spalle e dolci occhi castani. Un viso troppo gentile, con un’espressione molto preoccupata. «Sei… bella», disse Eric, ancora meravigliato. «Non ho mai visto nessuno… ma è come se ci fosse una nebbia intorno a te. Sei così misteriosa…». Una quiete profonda ma carica di tensione sembrò calare sul deserto. Il cuore di Thea batteva così forte da farla tremare. Che cosa stava succedendo? «È come se tu facessi parte di tutto quello che c’è intorno», disse Eric con un tono saggio ma infantile. «Gli appartieni. E c’è tanta pace…». «No», disse Thea. Non c’era nessuna pace in lei. Era terrorizzata. Non sapeva cosa stava succedendo, ma sapeva che doveva andare via. «Non andare», la pregò lui. Aveva l’espressione addolorata di un cucciolo col cuore spezzato. E poi… la strinse. Non bruscamente. Le sue dita non si chiusero sul suo polso, le sfiorarono solo il dorso della mano, ritraendosi quando lei face un salto. 14 Ma non aveva importanza. Quel tocco leggero le aveva fatto rizzare i peli dell’avambraccio. E quando guardò di nuovo quegli occhi verdi spruzzati di grigio, seppe che anche lui se ne era accorto. Una specie di acuta dolcezza, un’euforia ebbra. E… una connessione. Come se ci fosse stata una comunicazione più profonda delle parole. Ti conosco. Vedo quello che vedi… Quasi inconsapevolmente, Thea alzò una mano. Le dita leggermente allargate, come per toccare uno specchio, o un fantasma. E lui fece lo stesso. Si fissarono. E poi, un attimo prima che le dita si toccassero, un’ondata gelida di panico travolse Thea. Che accidenti stava facendo? Era impazzita? Improvvisamente le fu tutto chiaro, troppo chiaro. Il futuro le si spiegò davanti, con ogni nitido dettaglio. Pena di morte per aver infranto la legge del Mondo delle Tenebre. Lei al centro del Circolo Interno, mentre provava a spiegare che non era stata sua intenzione svelare i loro segreti, che non voleva… avvicinarsi a un umano. Che era stato tutto uno sbaglio, solo un momento di stupidità, perché voleva guarirlo. E loro che le porgevano comunque la Coppa della Morte. La visione fu così chiara che sembrava una profezia. Thea saltò su come se le mancasse la terra sotto i piedi, e fece l’unica cosa che le venne in mente. Disse con cattiveria: «Sei fuori? Oppure ti s’è surriscaldato il cervello? O cosa?». Di nuovo quell’espressione ferita. È un umano. Uno di loro, ricordò a se stessa. Mise ancora più disprezzo nella voce. «Sono parte di tutto… ti ho fatto qualcosa alla gamba… sì, certo. Scommetto che credi ancora a Babbo Natale». 15 Ora appariva scioccato – e insicuro. Thea gli sferrò il colpo di grazia. «O ci stavi provando?» «Uh? No», rispose. Sbatté le palpebre e si guardò intorno. Il deserto era come sempre, grigio-verde, secco e piatto. Poi si guardò la gamba. Di nuovo chiuse gli occhi, come per riprendere il controllo sulla realtà. «Io… senti, mi dispiace se ti ho spaventata, non so cosa mi succede». All’improvviso le rivolse un sorriso umile. «Forse sono un po’ strano, sarà la paura. Credo di non essere coraggioso come pensavo». Thea provò un grande sollievo. Se l’era bevuta. Grazie a Iside gli umani erano più stupidi delle galline. «E non ci stavo provando. Volevo solo…», s’interruppe. «Sai, non so neanche come ti chiami». «Thea Harman». «Io sono Eric Ross. Sei nuova di queste parti, vero?» «Sì». Smettila di parlare e vattene, ordinò a se stessa. «Se vuoi che ti porti a fare un giro nei dintorni, o qualsiasi altra cosa… voglio dire, mi piacerebbe rivederti…». «No», disse Thea seccamente. Avrebbe voluto limitarsi a quel monosillabo, ma doveva togliergli del tutto quell’idea dalla testa. «Io non voglio rivedere te», replicò, troppo scossa per pensare a una risposta più gentile. Poi si voltò e se ne andò. Aveva forse altra scelta? certo non poteva parlare ancora con lui. Anche se si sarebbe sempre chiesta perché era stato così pazzo da preoccuparsi per il serpente. Ma non poteva domandarglielo: da quel momento in poi doveva restargli il più lontano possibile. Si affrettò a tornare a scuola, e immediatamente capì di essere in ritardo. Il parcheggio era deserto. Fuori dagli edifici non c’era nessuno. 16 Ed è anche il mio primo giorno, pensò. Lo zaino era a terra dove lo aveva lasciato, e c’era un quaderno lì accanto sull’asfalto. Li raccolse entrambi e quasi di corsa andò in segreteria. Fu solo a lezione di fisica, dopo aver consegnato il modulo all’insegnante e aver superato file di occhi curiosi fino a un posto vuoto in fondo, che si rese conto che il quaderno non le apparteneva. Lo aprì a una pagina dove era scritto in blu, con una calligrafia appuntita e sbilenca, Introduzione ai vermi piatti. Sotto c’erano delle illustrazioni accompagnate dalle didascalie: Classe dei Turbellari e Classe dei Trematodi. I vermi erano disegnati benissimo, con il loro sistema nervoso e gli organi riproduttivi sfumati in colori diversi, ma l’artista li aveva anche dotati di buffe facce sorridenti. Grottesche, ma tenere in modo insolito. Thea girò pagina e trovò un altro disegno, il Ciclo vitale della tenia. Uhm. Sfogliò le pagine al contrario fino alla prima: «Eric Ross, Zoologia Avanzata I». Chiuse il quaderno. Come avrebbe fatto a restituirglielo? Parte della sua mente continuò a chiederselo per tutta l’ora di fisica e per quella successiva, applicazioni informatiche. Un’altra parte si dedicò intanto a quello che faceva normalmente in una nuova scuola, o in mezzo a qualsiasi assembramento di umani: osservare e catalogare, restare all’erta contro eventuali pericoli, evitare di dare nell’occhio. E una terza parte pensava semplicemente: non sapevo ci fosse un corso di zoologia qui. La domanda che non si voleva porre era: cosa era successo nel deserto? Ogni volta che quel pensiero si affacciava, lo respingeva bruscamente. In qualche modo do- 17 veva essere colpa dei suoi sensi, troppo sensibili dopo la fusione con il serpente. Comunque, non aveva importanza. Uno strano incidente isolato. Nell’atrio, durante l’intervallo, Blaise la raggiunse di corsa, veloce come una leonessa nonostante i tacchi alti. «Come va?», disse Thea, mentre la cugina la faceva entrare in una classe momentaneamente vuota. Per tutta risposta Blaise allungò la mano. Thea ripescò la corniola dalla tasca. «Mi hai rovinato la collana», disse Blaise facendo ondeggiare i capelli neri come la notte ed esaminando la pietra per vedere se si fosse rovinata. «Ed era una di quelle che avevo fatto io». «Scusami. Avevo fretta». «Sì, e perché? Che ci volevi fare?». Blaise non attese la risposta. «Hai curato quel ragazzo, vero? Sapevo che era stato morso. Ma è un umano». «Rispetto per la vita, ricordi?», disse Thea. «E non arrecare danno a nessuna creatura». Lo disse senza troppa convinzione. «Non include gli umani. E lui che cosa ha pensato?» «Niente. Non ha capito che lo stavo curando; non si è neanche reso conto di essere stato morso». Non era proprio una bugia. Blaise la osservò con occhi grigi sospettosi e incupiti. Poi alzò lo sguardo al cielo e scosse la testa. «Se almeno te ne fosse servita per accendergli il sangue, avrei capito. Ma magari hai fatto anche un po’ di questo…». «No che non l’ho fatto», disse Thea. E nonostante si sentisse arrossire, la sua voce restò fredda e decisa. L’orrore di quella visione di morte l’accompagnava ancora. «Infatti non ho intenzione di rivederlo più», proseguì 18 con tono tagliente, «e gliel’ho detto, ma ho questo stupido quaderno, e non so che farne», agitò le pagine davanti al viso di Blaise. «Oh», commentò lei, inclinando la testa. «Be’… glielo restituisco io per te. Lo troverò in qualche modo». «Lo faresti?», Thea era stupita. «È molto gentile da parte tua». «Sì che lo è», disse Blaise. Prese il quaderno, reggendolo con cautela, come se avesse le dita bagnate. «Bene, sarà meglio che vada alla prossima lezione. Algebra». Fece una smorfia. «Ciao». Mentre la guardava andare via, Thea fu colta da un sospetto. Di solito Blaise non era così accomodante. Stava di certo architettando qualcosa. Si mise a seguire la scia color rubino della sua camicia che si avviava verso l’atrio e poi imboccava senza esitare un corridoio lungo il quale erano disposti degli armadietti. Lì, vide una figura snella con lunghe gambe e capelli color sabbia. Frugava in un armadietto. Non ci ha messo molto a trovarlo, pensò Thea cupamente. Continuò a spiare la scena da dietro lo sportello blu mare di un armadietto rotto. Blaise gli si avvicinò da dietro con molta lentezza, i fianchi che ondeggiavano. Gli posò una mano sulla spalla. Eric sobbalzò leggermente, poi si voltò. Blaise restò lì ferma. Non doveva fare altro. Blaise attraeva i ragazzi per il mero fatto di esistere. Per i suoi splendidi capelli neri, lo sguardo ardente… uniti ad un fisico che avrebbe fermato il traffico su un’autostrada. Curve in abbondanza, e abiti 19 che le valorizzavano tutte. Su un’altra ragazza quell’abbondanza sarebbe sembrata eccessiva, ma su Blaise era semplicemente mozzafiato. Ragazzi che pensavano di avere un debole per le tipe esili impazzivano per lei, con la stessa rapidità di quelli che credevano di preferire le bionde. Eric ammiccò, aveva già l’aria confusa. Sembrava che non sapesse cosa dire. Non era insolito. Quando c’era Blaise di mezzo, i ragazzi perdevano sempre la parola. «Sono Blaise Harman». La sua voce era profonda e liquida. «E tu sei… Eric?». Eric annuì, continuando a sbattere gli occhi. Sì, era già cotto, pensò Thea. Che idiota. Si sorprese lei stessa della propria veemenza. «Bene, perché non vorrei restituirlo alla persona sbagliata». Tirò fuori il taccuino da dietro la schiena come un prestigiatore. «Oh, dove l’hai preso?». Il suo sguardo esprimeva sollievo e gratitudine. «L’ho cercato ovunque». «Me l’ha dato mia cugina», rispose Blaise con noncuranza. Quando lui cercò di afferrarlo, non lasciò la presa, e le loro dita si toccarono. «Aspetta. Mi devi qualcosa per avertelo restituito, non credi?». La sua voce era dolce come il miele. E Thea seppe in quel momento, senza alcun dubbio, cosa sarebbe successo. Eric non aveva scampo. 20 Capitolo 3 S pacciato, perso, andato. Blaise l’aveva scelto, e si trattava solo di sapere in che modo avrebbe giocato con lui. Una sfilza di nomi affollò la mente di Thea. Randy Marik. Jake Batista. Kristoffer Milton. Troy Sullivan. Daniel Xiong. E adesso: Eric Ross. Ma Eric aveva ripreso a parlare, pieno di animazione. «Tua cugina? È l’altra ragazza nuova? Thea?» «Sì. Ora…». «Senti, sai dov’è? Vorrei davvero parlarle». Di nuovo quello sguardo confuso: Eric fissava un punto nel vuoto. «È solo che è così… non ho mai incontrato nessuna come lei…». Blaise allentò la presa sul quaderno e rimase a fissarlo. Dal suo nascondiglio, anche Thea lo fissava. Non era mai successo prima. Sembrava che quel ragazzo neanche vedesse Blaise. Già questo era abbastanza strano. Ma, per la Dea blu dalla testa di scimmia, Signora della Curiosità, quello che Thea davvero voleva sapere era perché si sentiva così sollevata. Suonò la campanella. Blaise era ancora lì, esterrefatta. Eric infilò il quaderno nello zaino. «Puoi dirle solo che ho chiesto di lei?» 21 «Non le importa se hai chiesto di lei!», scattò Blaise con una voce che di certo non era più dolce come il miele. «Ha detto molto esplicitamente che non voleva vederti più. E se fossi in te starei attento. Perché non ha un bel carattere». Le ultime parole furono pronunciate con un tono quasi rabbioso. Eric sembrò leggermente allarmato, e abbattuto. Thea vide che il suo pomo d’Adamo si muoveva nervosamente, come se stesse deglutendo. Poi, senza salutare Blaise, si girò e si allontanò verso l’estremità opposta del corridoio. Be’, per la Dea della Testa di corvo rossa che ha il potere del fulmine. Blaise si voltò e a grandi passi si avviò nella direzione di Thea. Lei non si preoccupò di nascondersi. «Così hai visto tutto. Be’, spero sarai contenta», disse Blaise con voce pungente. Thea non lo era. Era confusa. Stranamente agitata, e impaurita, perché la Coppa della Morte le fluttuava ancora davanti agli occhi. «Dobbiamo lasciarlo stare», rispose. «Starai scherzando», disse Blaise. «Lo avrò. È mio. A meno che», aggiunse, con gli occhi che scintillavano, «tu non abbia già delle mire su di lui». Thea esitò, scioccata. «Io… be’, no…». «Allora è mio. Mi piacciono le sfide». Blaise si passò una mano fra i capelli, scompigliandosi le nere ciocche ondulate. «È proprio una fortuna che la nonna abbia tanti amuleti d’amore in negozio», disse meditabonda. «Blaise», Thea cercò di fare ordine nei suoi pensieri. «Non ricordi cosa ci ha detto la nonna? Se ci saranno altri problemi…». 22 «Nessun problema per noi», disse Blaise, con voce piatta e sicura. «Solo per lui». Thea si allontanò, sentendosi stranamente svuotata. Lascia perdere, pensò. Non c’è niente che tu possa fare. Mentre raggiungeva la classe non vide molti membri del Popolo delle Tenebre. Un ragazzino, probabilmente una matricola, che aveva l’aria di un mutaforma; un insegnante con la luce vorace delle lamie – i nati vampiri – negli occhi. Nessun vampiro trasformato, né lupi mannari. Nessun’altra strega. Naturalmente, non ne era sicura. Tutti gli abitanti del Mondo delle Tenebre erano esperti nell’arte della dissimulazione, del camuffarsi, del passare inosservati. Dovevano esserlo. Era proprio quell’abilità a permettere loro di sopravvivere in un mondo dove gli umani erano la stragrande maggioranza… e amavano uccidere le creature diverse da loro. Quando prese posto per l’ora di letteratura, però, notò una ragazza nella fila davanti alla sua. Era una ragazza graziosa dalle ossa sottili, con ciglia folte e capelli morbidi e neri come fuliggine. Aveva un viso a forma di cuore, e delle fossette. Ma quello che attirò lo sguardo di Thea fu la sua mano, che giocherellava con una spilla appuntata sul gilet a righe blu e bianche. Una spilla che rappresentava un fiore nero. Una dalia. Thea aprì immediatamente il quaderno su una pagina bianca. Mentre l’insegnante leggeva un brano del racconto Rashomon, iniziò a disegnare una dalia nera, ripassandola più e più volte, in modo che la ragazza potesse vederla distintamente. Quando alzò la testa, vide che lei la stava guardando. La ragazza sbatté gli occhi mentre osservava il disegno. Sorrise a Thea e annuì leggermente. 23 Thea sorrise e annuì a sua volta. Dopo la lezione, senza alcun bisogno di parlare, Thea seguì la ragazza verso l’entrata della scuola. Lei si guardo intorno per assicurarsi che non ci fossero curiosi in giro, poi si voltò verso Thea con un’espressione che assomigliava a una rassegnata malinconia. «Circolo di Mezzanotte?». Thea scosse la testa. «Circolo del Crepuscolo. Anche tu?». Il viso della ragazza si accese di timida gioia. Aveva occhi scuri e profondi. «Sì!», disse, «ma ce ne sono solo altre due come noi – dell’ultimo anno intendo – e sono tutte e due del Circolo di Mezzanotte, non osavo sperare!». Le tese la mano, e le regalò un ampio sorriso. «Piacere, Dani Abforth». Thea si sentì più leggera. La risata della ragazza era contagiosa. «Thea Harman. Unità». Era da sempre il saluto fra le streghe, il simbolo della loro armonia, della loro unione. «Unità», mormorò Dani. Poi spalancò gli occhi. «Harman? Una Donna del Focolare? Una figlia di Hellewise? Davvero?». Thea rise. «Siamo tutte figlie di Hellewise». «Sì, ma… sai cosa intendo. Tu sei una discendente diretta. Sono onorata». «Be’, sono onorata anch’io. Abforth è “Allbringingforth”, “Coloro che fanno progredire”, no? Un lignaggio altrettanto notevole». Dani sembrava ancora in soggezione, perciò Thea aggiunse in fretta: «Anche mia cugina è qui, Blaise Harman. Siamo tutte e due nuove… ma anche tu lo sei, probabilmente. Non ti ho mai vista prima dalle parti di Las Vegas». 24 «Ci siamo trasferite il mese scorso, giusto in tempo per l’inizio della scuola», disse Dani. Corrugò la fronte. «Ma se sei nuova, che vuol dire che non mi hai mai vista?». Thea sospirò. «Be’, è un po’ complicato…». Suonò la campanella. Sia lei che Dani guardarono le aule, deluse, poi si scambiarono un’occhiata. «Ci vediamo qui a pranzo?», chiese Dani. Thea annuì, le chiese dove si trovava l’aula di francese, poi andò di corsa verso l’ala opposta dell’edificio. Durante le due ore successive cercò di ascoltare davvero l’insegnante. Non sapeva cosa altro fare. Doveva concentrarsi per scacciare dai suoi pensieri l’immagine di due occhi verdi screziati di grigio. A pranzo, trovò Dani seduta sui gradini di entrata. Thea si accomodò accanto a lei e aprì una bottiglia di acqua e uno yogurt al cioccolato che aveva comprato al bar. «Devi spiegarmi come fai a conoscere Las Vegas», disse Dani. Parlava a bassa voce perché il cortile della scuola era pieno di ragazzi che oziavano al sole con i loro sacchetti per il pranzo. Thea adocchiò una fila di palme nane e si lasciò sfuggire un sospiro. «Blaise e io… le nostre madri sono morte quando siamo nate. Erano gemelle. E poi anche i nostri papà sono morti. Perciò siamo cresciute trasferendoci da un parente all’altro. Di solito l’estate la passiamo da nonna Harman, e durante l’anno viviamo con qualcun altro. Ma questi ultimi due anni… be’, dall’inizio del secondo anno di superiori abbiamo cambiato cinque scuole diverse». «Cinque?» 25 «Cinque. Mi pare cinque. Lo sa Iside, potrebbero essere sei». «Ma perché?» «Continuiamo a farci espellere», rispose succintamente Thea. «Ma…». «È colpa di Blaise», disse Thea. Era furiosa con Blaise. «Fa delle cose ai ragazzi. Ragazzi umani. E in un modo o nell’altro finisce che ci buttano fuori. Tutte e due, perché io sono sempre troppo stupida per dire che è lei la responsabile». «Non stupida. Sei solo leale, ne sono sicura», disse Dani con calore, e posò la sua mano su quella di Thea. Lei gliela strinse, confortata in qualche modo dalla sua simpatia. «Comunque, quest’anno eravamo nel New Hampshire da zio Galen, e Blaise l’ha fatto di nuovo. Al capitano della squadra di football. Si chiamava Randy Marik…». Thea s’interruppe e Dani le chiese: «Cosa gli è successo?» «Ha dato fuoco alla scuola per lei». Dani fece un verso che era a metà strada fra uno sbuffo e una risatina. Poi velocemente riacquistò un’espressione seria. «Scusa, non è divertente. Per lei?». Thea si appoggiò alla ringhiera in ferro battuto. «È proprio questo che piace a Blaise», rispose con voce cupa. «Avere potere sui ragazzi, incasinargli la mente. Spingerli a fare cose che normalmente non farebbero. Per provarle il loro amore, capisci. Ma il fatto è che non è soddisfatta se non li distrugge completamente…», scosse la testa. «Avresti dovuto vedere Randy, alla fine. Fuori di testa. Non credo tornerà mai completamente in sé». 26 Dani non sorrideva più. «Un potere del genere… sembra Afrodite», disse a bassa voce. E aveva ragione. Afrodite, la dea greca dell’amore, in grado di trasformare la passione in un’arma per avere il mondo ai propri piedi. «Prima o poi devo raccontarti cosa ha fatto agli altri ragazzi con cui ha giocato. In un certo senso, Randy è stato fortunato…». Thea riprese fiato. «Comunque, per concludere, siamo state rispedite da nonna Harman perché non c’erano parenti disposti a ospitarci. Hanno pensato che se non riusciva a raddrizzarci lei, non ci sarebbe riuscito nessuno». «Ma deve essere fantastico», disse Dani. «Voglio dire, vivere con la Vegliarda. Uno dei motivi per cui mia madre ci ha fatto trasferire qua era che voleva che studiassimo con tua nonna». Thea annuì. «Sì. Arrivano da ogni parte del Paese per assistere alle sue lezioni, o per comprare amuleti e altro. Non è sempre facile viverle accanto, però», aggiunse ionica. «Ogni anno cambia un paio di apprendisti». «Quindi riuscirà a raddrizzare Blaise?» «Non credo che sia possibile. Quello che fa Blaise… è semplicemente nella sua natura, come è in quella del gatto giocare con il topo. E se finiremo nei guai un’altra volta, la nonna dice che ci manderà da zia Ursula in Connecticut». «Al Convento?» «Già» «Allora sarà meglio che vi teniate fuori dai guai» «Lo so. Dani, com’è questa scuola? Voglio dire, è il genere di posto dove Blaise può restare fuori dai guai?» «Be’», Dani sembrò incerta. «Be’… te l’ho detto prima, nella nostra classe ci sono solo altre due streghe, e 27 sono tutte e due del Circolo di Mezzanotte. Forse le conosci… Vivienne Morrigan e Selene Lucna?». A Thea caddero le braccia. Vivienne e Selene: le avevano viste ai circoli estivi, fra le ragazze del Circolo di Mezzanotte erano quelle che indossavano gli abiti più scuri. Insieme a Blaise avrebbero formato… be’, una combinazione letale. «Magari potresti spiegare loro la situazione, potrebbero aiutarti a tenere Blaise sotto controllo», continuò Dani. «Se vuoi vederle adesso, dovrebbero essere sul patio, di solito mangio lì insieme a loro». «Uhm…», Thea esitò. Parlare a quelle due… be’, dubitava che avrebbe ottenuto dei risultati. Ma d’altra parte, non aveva un’idea migliore. «Perché no?». Mentre si dirigevano verso la sala mensa, vide qualcosa che la fece fermare di colpo. Affissa sul muro con del nastro adesivo c’era della carta da pacchi coi bordi colorati di arancione e di nero. Al centro era disegnata una figura grottesca: una vecchia con un vestito nero, capelli bianchi scompigliati, la faccia da megera orribilmente ricoperta di verruche. Stava a cavalcioni su una scopa e portava un cappello a punta. Sotto il disegno una scritta recitava: IL 31 OTTOBRE… LA FESTA PIÙ INCREDIBILE DI HALLOWEEN. Con le mani sui fianchi, Thea disse: «Quando impareranno che le streghe non portano mai cappelli a punta?». Dani sbuffò, il suo visetto a cuore era sorprendentemente minaccioso. «Sai, magari l’idea di tua cugina non è così sbagliata, dopotutto». Thea la guardò stupita. «Be’, sono una specie inferiore. Devi ammetterlo. Forse sono prevenuta, ma mai quanto loro». Si avvicinò a 28 Thea. «Sai, hanno perfino pregiudizi sul colore della pelle». Allungò il braccio. Thea guardò la sua pelle perfetta di un intenso color nocciola. «Loro direbbero che siamo di razze diverse», disse Dani, accostando il braccio a quello abbronzato di Thea. «E magari che una di noi due è meglio dell’altra». Thea non poté negarlo. Tutto quello che riuscì a replicare fu: «Be’, due torti non fanno una ragione…». «Ma tre sì!», esclamò Dani, completando il vecchio detto streghesco. Poi scoppiò a ridere e accompagnò Thea fino al patio. «Vediamo, dovrebbero essere lì… oh. Ooops». Oooops, pensò anche Thea. Vivienne e Selene sedevano in disparte. Blaise era con loro. «Avrei dovuto saperlo che le avrebbe trovate subito», mormorò fra sé. Sedevano vicinissime, in assoluta confidenza: sembrava che già qualcosa bollisse in pentola. Quando Thea e Dani le raggiunsero, Blaise alzò lo sguardo. «Dove sei stata?», disse agitando un dito in tono di rimprovero. «Ti aspettavo per fare le presentazioni». Si salutarono. Poi Thea si mise a sedere e osservò le altre due ragazze. Vivienne aveva capelli rossi come la pelliccia di una volpe e anche da seduta si vedeva che era molto alta. Aveva un viso estremamente espressivo; pareva che sprizzasse energia. Selene era una bionda platino con pigri occhi blu. Era più minuta, e i suoi movimenti avevano una grazia languida. Ora, come faccio a chiedere educatamente: “Per favore, aiutatemi a dare una calmata a mia cugina?”, si chiese Thea. Già sapeva che sarebbe stato inutile. Viv e Selene 29 sembravano già sotto l’incantesimo di Blaise: la guardavano, controllavano le sue reazioni, come se cercassero costantemente la sua approvazione. Perfino Dani la guardava con una sorta di stupore reverenziale. Blaise faceva quell’effetto sulle persone. «Si parlava di ragazzi», disse Selene spostando languidamente la cannuccia del suo tè freddo. Thea sentì un tuffo al cuore. «Per giocare un po’», chiarì Vivienne con la sua bella voce melodiosa. Thea sentì che le stava venendo un brutto mal di testa. Nessuna meraviglia che Blaise sia così sorridente, pensò. Queste due sono proprio come lei. Lo aveva visto succedere in altre scuole: giovani streghe che si divertivano a infrangere le leggi del Mondo delle Tenebre esercitando i loro poteri non umani sui ragazzi. «Non c’è nessun ragazzo come noi qui?», chiese Thea, come ultima speranza. Vivienne alzò gli occhi al cielo. «Uno al secondo anno, Alaric Breedlove, del Circolo del Crepuscolo. Questo posto è un deserto… dico sul serio». Thea non ne fu molto sorpresa. Le ragazze erano sempre più numerose dei maschi, anche se nessuno sapeva perché. In alcuni posti, poi, la sproporzione era particolarmente grande. «Quindi dobbiamo arrangiarci», disse Selene con voce strascicata. «Ma può anche essere divertente. Sabato ci sarà il ballo annuale, e ho già scelto chi mi accompagnerà». «Anch’io», disse Blaise, e gettò a Thea un’occhiata significativa. Ecco qua. Thea sentì che le si serrava la gola. 30 «Eric Ross», proseguì Blaise, assaporando ogni parola. «E Viv e Sel mi hanno detto tuuutto di lui». «Eric?», fece Dani. «La stella del football, vero?» «E del baseball», aggiunse Vivienne. «E anche del tennis. Ed è intelligente: segue i corsi avanzati e lavora alla clinica veterinaria. Sta studiando per entrare alla Davis. Per diventare veterinario, sapete». Ecco perché si preoccupava così tanto per il serpente, pensò Thea. E perché aveva quei vermi piatti sul quaderno. «Ed è così dolce», mormorò Selene. «Con le ragazze è timidissimo, praticamente non apre bocca. Nessuna di noi è mai riuscita a combinarci niente». «È perché usate i metodi sbagliati», fece Blaise, e i suoi occhi lanciavano lampi cupi. Thea sentì un gran vuoto dentro e un cerchio alla testa. Fece l’unica cosa che le venne in mente. «Blaise», esordì. Guardò la cugina negli occhi, rivolgendole un appello a cuore aperto. «Ascolta, Blaise. È raro che ti chieda qualcosa, no? Ma ora devo farlo. Voglio che lasci perdere Eric. Lo farai… per me? Per amore dell’Unità?». Blaise socchiuse gli occhi lentamente. Bevve un lungo sorso di tè freddo. «Come mai, Thea? Mi sembri molto agitata». «Non è vero». «Non sapevo che t’importasse così tanto di lui». «E non m’importa. Cioè, naturalmente non m’importa di lui. Ma mi preoccupo per te, per tutte noi. Penso…». Thea non avrebbe voluto dirlo, ma le parole le uscirono di bocca suo malgrado. «Penso che possa avere dei sospetti su di noi. Stamattina mi ha detto che sembravo così diversa dalle altre ragazze…». Riuscì a fermarsi prima di 31 rivelare che Eric aveva capito di essere stato guarito. Quello sarebbe stato davvero rischioso, specie perché non sapeva con chi potevano spettegolare Vivienne e Selene. Blaise la squadrò attentamente. «Vuoi dire… pensi che sia un medium?» «No, no», sapeva che non era un medium. Era entrata nella sua mente, e non apparteneva a nessuna famiglia di streghe di cui si fosse persa traccia. Non aveva poteri. Era umano, proprio come il serpente era solo un serpente. «Be’, allora», disse Blaise. Ridacchiò, un suono allegro, gioioso. «Pensa solo che sei diversa, e in questo non c’è nulla di preoccupante. Noi vogliamo che ci trovino diverse». Non capiva. E Thea non poteva spiegarle cosa intendeva. Non senza addentrarsi su un terreno molto pericoloso. «Quindi, se non ti dispiace, avanzo le mie pretese su di lui», disse Blaise con fare cerimonioso. «Ora, vediamo cosa fare con i ragazzi al ballo. Primo, bisognerà che ci procuriamo un po’ del loro sangue». «Cosa?», esclamò Dani raddrizzandosi sulla sedia. «Solo un pochino», rispose Blaise soprappensiero. «Sarà di vitale importanza per alcuni incantesimi che ho intenzione di fare in seguito». «Be’, buona fortuna», disse Dani. «Agli umani non piace il sangue, fuggiranno come conigli se farai una cosa del genere». Blaise la guardò con un mezzo sorriso. «Non credo», disse. «Ancora non te ne intendi. Se fai le cose come si deve, non scappano. Saranno spaventati, scioccati, e torneranno per averne ancora». 32 Anche Dani sembrava scioccata… e tuttavia affascinata. «Ma perché vuoi far loro del male?» «Facciamo solo quello che è nella nostra natura», rispose Blaise con voce di miele. Non m’interessa, pensò Thea. Non sono affari miei. «No», si sentì dire. Fissava il mucchietto di tovagliolini che stringeva nel pugno. Con la coda dell’occhio vide l’espressione esasperata di Blaise. Le altre potevano non comprendere il motivo del suo no, ma Blaise capiva sempre sua cugina. «Prima ti ho chiesto se lo volevi», le disse, «e mi hai risposto di no. Ora hai cambiato idea? Vuoi giocare con lui?». Thea guardò il mucchio di tovagliolini. Che cosa poteva rispondere? Non voglio perché ho paura? Non posso perché stamattina è successo qualcosa fra me e lui e non capisco cosa? Non posso perché se lo vedo ancora ho il presentimento che infrangerò la legge, e non intendo quella che ci proibisce di rivelare agli umani il segreto della nostra esistenza; intendo l’altra, quella che ci dice di non innamorarci mai… Non essere ridicola. Una cosa del genere è fuori discussione, disse a se stessa. Vuoi solo impedire che finisca come Randy Marik. E puoi riuscirci senza farti coinvolgere. «Sto dicendo che lo voglio», disse a voce alta. «Vuoi giocare con lui?» «Voglio giocare con lui». «Bene». Invece di arrabbiarsi, Blaise si mise a ridere. «Bene. Congratulazioni. La mia cuginetta sta diventando grande, finalmente». «Oh, per favore», Thea le lanciò un’occhiataccia. Lei e Blaise non erano nate lo stesso giorno, ma solo per un 33 pelo. Blaise era nata un minuto prima di mezzanotte, e Thea un minuto dopo. Era un’altra delle ragioni per cui erano così legate, ma Thea la odiava quando si dava arie da cugina maggiore. Blaise si limitò a sorridere, gli occhi grigi scintillavano. «E, guarda un po’… ecco il tuo innamorato», disse simulando una profonda sorpresa. Thea seguì il suo sguardo e vide sul lato opposto del patio un ragazzo con capelli rossicci e lunghe gambe. «Che fortuna», proseguì Blaise. «Perché non lo raggiungi e non lo inviti al ballo?». 34 Capitolo 4 I n quel momento Thea arrivò quasi ad odiare sua cugina. Ma non aveva scelta, quattro paia di occhi la osservavano: quelli grigi di Blaise, quelli verde smeraldo di Vivienne, quelli azzurri di Selene e gli scuri occhi vellutati di Dani. Tutti la fissavano, in attesa. Thea si alzò e cominciò la sua lunga camminata attraverso il patio. Le sembrava che tutti la guardassero. Cercò di mantenere l’andatura composta e sicura, il viso sereno. Non era facile. Più si avvicinava a quei capelli color sabbia, più desiderava voltarsi e fuggire. Ora le sembrava di vedere il mondo come se si trovasse dentro a un tunnel: ai lati percepiva solo una macchia indistinta; l’unica cosa nitida era il profilo di Eric. Proprio quando era ormai a portata di voce, lui alzò lo sguardo e la vide arrivare. Sembrò stupito. Per un attimo i suoi occhi incontrarono quelli di lei: un verde più scuro di quelli di Vivienne, più intensi, e più innocenti. Poi, senza una parola, si voltò e si allontanò in tutta fretta lungo un passaggio fra due edifici della scuola. Prima che Thea riuscisse a capire cosa era successo, era scomparso. 35 Restò inchiodata a terra. Dentro di lei c’era un grande vuoto, riempito solo dallo spiacevole, cupo rimbombo del cuore. Ok; mi odia. Non lo biasimo. Forse è meglio; forse ora Blaise dirà che possiamo lasciarlo perdere. Ma quando fece ritorno al tavolo ombreggiato, Blaise aggrottò la fronte, pensierosa. «È solo che ancora ti manca la tecnica», le disse. «Non preoccuparti, ti insegno io». «Possiamo aiutarti anche io e Viv», mormorò Selene. «Imparerai in fretta». «No, grazie», replicò Thea. Il suo orgoglio era ferito e si sentiva le guance in fiamme. «Posso farcela da sola. Domani. Ho già un piano». Sotto il tavolo, Dani le strinse la mano. «Andrai benissimo», disse Blaise. «Solo, fai in modo che sia domani. Altrimenti potrei credere che non lo vuoi sul serio». E poi, con immenso sollievo di Thea, suonò la campanella. «Caprifoglio, achillea, angelica…». Thea cercò di sbirciare attraverso lo spesso vetro blu di una bottiglietta senza etichette. «Una qualche polverina nociva…». Era nel negozio della nonna, ben oltre l’orario di chiusura. Era completamente sola. Trovarsi lì, circondata da tutte quelle erbe e gemme e amuleti, le dava una sensazione di conforto. Di controllo. Amo questo posto, pensò, guardando tutt’intorno a sé gli scaffali che da terra arrivavano al soffitto, pieni di bottiglie, scatole e fiale polverose. Un’intera parete era riservata a teche colme di pietre: grezze o lavorate, rare e semipreziose, alcune con dei simboli o delle parole incise, altre ancora sporche della terra dalla quale proveniva- 36 no. A Thea piaceva toccarle e mormorarne i nomi: tormalina, ametista, topazio dorato, giada bianca. E poi c’erano le erbe profumate: tutto ciò di cui potevi aver bisogno per curare un’indigestione, richiamare a te un amante, calmare l’artrite o lanciare un maleficio sul padrone di casa. Alcune – quelle semplici – funzionavano anche se chi le usava non era una strega. Erano semplicemente dei rimedi naturali, e la nonna li vendeva agli umani. Ma i veri incantesimi richiedevano conoscenze arcane e poteri psichici, e nessun umano poteva effettuarli. Thea stava realizzando un vero incantesimo. Prima cosa, viola del pensiero. Utile in tutti gli incantesimi d’amore. Thea aprì una scatola di latta e delicatamente fece scorrere tra le dita i petali essiccati viola e gialli. Poi ne fece cadere una manciata in un sacchetto di garza sottile. Cos’altro? I petali di rosa erano essenziali. Sollevò il coperchio di un grosso barattolo di ceramica e mentre ne gettava dentro un pizzico, le giunse alle narici una folata dolcissima. Camomilla, sì. Rosmarino, sì. Lavanda… levò il tappo di una fialetta di essenza di lavanda. Quella poteva usarla subito. La mescolò sul palmo con un cucchiaino di olio di jojoba, poi si bagnò le tempie e la nuca con quel liquido fragrante. Sangue, scorri! Mal di testa, sparisci! La tensione nel collo si alleviò quasi all’istante. Trasse un respiro profondo e si guardò intorno. Alcune ossa della terra, sì, potevano essere di aiuto. Quarzo rosa tagliato in forma di cuore per l’attrazione. Un pezzo di ambra grezza per il fascino. Oh, e anche un po’ di magnetite e un paio di piccoli granati per il fuoco. 37 Era pronto. L’indomani mattina si sarebbe fatta un bagno, lasciando in infusione nell’acqua quella specie di bustina da tè gigante e accendendo delle candele rosse disposte in cerchio. Sarebbe rimasta a mollo in quella potente mistura, lasciando che il suo odore, la sua essenza, le penetrassero la pelle. E una volta uscita, sarebbe stata irresistibile. Stava per andarsene quando un sacchetto di pelle catturò il suo sguardo. No. Quella no, si disse. Il miscuglio che hai qui basterà a risvegliare affetto e interesse. È abbastanza forte, sufficiente a catturare la sua attenzione. Tu non desideri qualcosa più forte. E tuttavia si ritrovò a prendere quel morbido sacchetto. Ad aprirlo, giusto per guardarci dentro. Era pieno di schegge di un bruno rossastro, ognuna grande quanto un’unghia, dall’odore aromatico e legnoso. Radice di eupatoria. Garantita per attrarre un cuore riluttante. Ma normalmente proibita alle vergini. Avventatamente, senza lasciarsi il tempo di pensare, Thea aggiunse una dozzina di schegge al miscuglio. Poi mise sullo scaffale il vecchio sacchetto di pelle. «Hai già deciso?», disse una voce dietro di lei. Thea si girò di scatto. Sua nonna era ai piedi della stretta scaletta che portava all’appartamento sopra il negozio. «Eh… cosa?», si nascose il sacchetto dietro la schiena. «La tua specialità. Erbe. Pietre, amuleti… spero non vorrai diventare una di quelle ragazze salmodianti. Odio quella musica lamentosa». Thea amava la musica. In effetti, amava tutto quello che la nonna aveva menzionato, ma ancora di più amava 38 gli animali. E non c’era molto posto per gli animali nella vita di una strega, non da quando i famigli erano stati banditi durante l’Epoca dei Roghi. Ci si poteva servire di parti di animali, senza dubbio. Zampe di lucertola e lingua di usignolo. Blaise cercava sempre di impadronirsi degli animali di Thea proprio a quello scopo, e Thea doveva litigare per tenerla lontana. «Non so, nonna», disse, «ci sto ancora pensando». «Be’, hai ancora un po’ di tempo, ma non troppo», le rispose sua nonna, avvicinandosi lentamente. Il viso di Edgith Harman era un ammasso di rughe, camminava curva e aveva bisogno di due bastoni, ma in realtà stava benissimo, considerando che aveva oltre cent’anni, mandava avanti la propria attività e tiranneggiava tutte le streghe del paese. «Ricorda, quando compirai diciotto anni dovrai prendere delle decisioni. Tu e Blaise siete le ultime della vostra stirpe. Le ultime due dirette discendenti di Hellewise. Questo vuol dire che avete delle responsabilità, dovrete dare l’esempio». «Lo so». A diciotto anni, avrebbe dovuto scegliere non solo la propria specialità, ma anche il Circolo al quale unirsi per la vita: Crepuscolo o Mezzanotte. «Ci penserò, nonna», promise, appoggiandole il braccio libero sulle spalle. «Mi restano ancora sei mesi». La nonna le accarezzò gentilmente i capelli, la sua mano era solcata da vene in evidenza. Fece passare a Thea quel po’ di mal di testa che le era rimasto. Sempre tenendo il sacchetto dietro la schiena, disse: «Nonna? Sei davvero così arrabbiata all’idea che resteremo qui per tutto l’anno scolastico?» «Be’, mangiate troppo e lasciate i capelli nella doccia… ma immagino di poter resistere». La nonna rise, poi 39 si accigliò. «Se vi comportate bene fino alla fine del mese». L’aveva detto di nuovo. «Ma che deve succedere alla fine del mese?». La nonna le lanciò un’occhiata. «Samhain, naturalmente! La vigilia di Ognissanti». «Lo so questo», disse Thea. Perfino gli umani celebravano Halloween. Si chiedeva se la nonna avesse uno dei suoi momenti di confusione. «Samhain… e il Circolo Interno», replicò la nonna bruscamente. «Quest’anno per la cerimonia è stato scelto il deserto». «Il deserto? Intendi qui? Il Circolo Interno verrà qui? Madre Cibele e Aradia e tutti quanti?» «Tutti quanti», disse la nonna. Improvvisamente, le sue rughe assunsero un’aria severa. «E per l’Aria, e per il Fuoco, non li farò venire a casa mia solo perché voi possiate rovinare tutto. Ho una reputazione da difendere, sai?». Thea annuì un po’ confusa. «Io… be’, non mi meraviglio che fossi preoccupata. Non ti faremo vergognare. Lo prometto». Mentre Thea infilava con discrezione il sacchetto sotto il braccio e si accingeva a salire le scale, la vecchia signora aggiunse: «Ricordati di unire un po’ di piantaggine a quell’intruglio, per legare il tutto». Thea si sentì arrossire furiosamente. «Uh… grazie nonna», disse, e andò a cercare la piantaggine. Sopra il negozio c’erano due piccole stanze da letto e un cucinotto. La nonna occupava una camera, Thea e Blaise dividevano l’altra. Tobias, l’apprendista della 40 nonna, era stato confinato nel laboratorio al piano di sotto. Blaise era stesa sul letto e stava leggendo un grosso libro con la copertina rossa. Poesia. Nonostante l’atteggiamento frivolo, non era una stupida. «Indovina un po’», disse Thea, e senza dar tempo a Blaise di aprire bocca le raccontò dell’imminente Circolo Interno. Attese per osservare la reazione di Blaise. Magari si sarebbe spaventata, o perlomeno avrebbe espresso dei buoni propositi. Ma lei sbadigliò soltanto, e si stiracchiò come un gatto sazio e soddisfatto. «Bene. Magari potremo guardare come invocano gli antenati». Inarcò un sopracciglio. Due anni prima, nel Vermont, mentre il mondo umano giocava a dolcettoscherzetto, si erano nascoste dietro gli aceri e avevano spiato il raduno di Samhain. Avevano visto gli Anziani evocare la magia di Ecate, la più antica fra tutte le streghe, la dea della luna e della notte e della stregoneria, per richiamare gli spiriti oltre il velo. Per Thea era stato spaventoso, ma eccitante; per Blaise solo eccitante. Se voleva farla preoccupare, aveva fallito di nuovo. Thea guardò i tre fiori blu a forma di stella che teneva nel palmo della mano. Poi, uno alla volta, li mangiò. «Adesso di’: “Ego borago gaudia semper ago”», la istruì Selene. «Vuol dire: “Io, borragine, dono sempre coraggio”. È un vecchio incantesimo romano». Thea mormorò le parole. Per il secondo giorno consecutivo, si trovava nel patio a guardare dei capelli color sabbia dall’altra parte del cortile. «Va’ a prenderlo, tigre», disse Blaise. Vivienne e Dani annuirono incoraggianti. Thea raddrizzò le spalle e s’incamminò. 41 Non appena Eric la vide arrivare, imboccò il passaggio laterale. Idiota che non sei altro, pensò Thea. Non sai cosa è meglio per te. Forse dovrei lasciarti a Blaise. Ma lo seguì. Era immobile proprio dietro l’angolo, lo sguardo perso in lontananza. Riusciva a vederne solo il profilo: carino, pulito, e in un certo senso solitario. Thea deglutì, assaporando il retrogusto dolce dei fiori di borragine. Non era abituata a parlare agli umani, specie ai ragazzi umani. Gli dirò solo: «Come va?», e farò l’indifferente, pensò. Ma quando aprì la bocca, quello che ne uscì fu: «Scusa». Lui si voltò subito. Sembrava stupito. «Scusa?» «Sì, scusa per essermi comportata così male. Secondo te perché ti seguivo?». Eric sbatté le palpebre, e a Thea parve che arrossisse sotto l’abbronzatura. «Pensavo fossi arrabbiata con me perché continuavo a fissarti. Cercavo di non farti arrabbiare di più». «Tu mi fissavi?», e anche Thea si sentì un po’ accaldata. Come se le erbe del bagno ribollissero odorose, sotto la pelle. «Be’, cercavo di non farlo. Ormai credo di essere riuscito a limitarmi a uno sguardo ogni trenta secondi», affermò serio. Thea cercò di non ridere. «Va bene, non mi dai fastidio», disse. Sì, adesso senza dubbio sentiva l’odore del filtro d’amore. Il profumo inebriante della rosa e della viola del pensiero, e quello speziato della radice di eupatoria. Eric sembrò prenderla alla lettera. Ora la stava fissando inequivocabilmente. «Scusa per essermi comportato 42 da idiota, prima. Col serpente, intendo. Davvero non era una scusa per provarci». Thea sentì un campanello d’allarme. Non voleva ricordare quello che era successo nel deserto. «Sì, ok, lo so», disse. Lui la guardava con tale intensità, e i suoi occhi erano di un verde così profondo. «Be’, vedi, la ragione per cui volevo parlarti era… sai, questo sabato c’è il ballo annuale. Perciò pensavo che magari potremmo andarci insieme». All’ultimo secondo si ricordò che nella società umana erano i ragazzi che di solito invitavano le ragazze. Forse era stata troppo esplicita. Ma lui sembrava… be’, molto contento. «Scherzi! Dici sul serio? Ci verresti con me?». Thea si limitò ad annuire. «Ma è fantastico. Voglio dire… grazie». Era eccitato come un bambino a Beltane. Poi si rannuvolò. «Però, l’avevo scordato. Sabato notte devo lavorare in clinica, l’ho promesso alla dottoressa Salinger, il mio capo. Da mezzanotte fino alle otto del mattino. C’è bisogno di qualcuno che faccia la notte per controllare gli animali, e la dottoressa sarà fuori città per una conferenza». «Non fa niente», disse Thea. «Andremo al ballo prima di mezzanotte». Era sollevata. Voleva dire che la sua recita a beneficio di Blaise sarebbe stata più breve. «È un appuntamento, allora». Sembrava ancora molto felice. «E Thea?», pronunciò quel nome timidamente, quasi avesse paura a usarlo. «Magari… magari una di queste volte potremmo fare qualcos’altro. Intendo, potremmo uscire, o potresti venire a casa mia…». «Uh…». L’odore della radice di eupatoria le stava davvero dando alla testa. «Uh… be’, questa settimana mi 43 sto abituando alla nuova scuola e tutto il resto. Magari più in là». «Ok. Dopo». Il suo sorriso giunse inaspettato, stupefacente. Gli cambiò completamente il viso, trasformandone la dolce, seria timidezza in un radioso carisma. «Se posso esserti d’aiuto in qualunque modo, non hai che da chiedere». Come è bello, pensò Thea. Sentiva una specie di vortice nello stomaco, come il battito delle ali di un uccello attirato giù da un ramo con l’inganno. Non si era accorta di quanto fosse attraente, o di come le screziature grigie dei suoi occhi catturassero la luce del sole… “Smettila!”, ordinò a se stessa bruscamente. Non si tratta che di dovere, e lui è un verme. Un’ondata di vergogna la travolse nell’usare quella parola, anche solo nel pensiero. Senza volerlo, gli si fece più vicina; ora lo guardava dritto in faccia. Erano a solo qualche centimetro di distanza, ormai, e le girava davvero la testa. «Devo andare, adesso. Ci vediamo dopo», mormorò, e si costrinse a indietreggiare. «A dopo», disse lui, ancora raggiante. Thea fuggì. Mercoledì, giovedì e venerdì cercò di ignorarlo. Lo evitò nei corridoi, fingendosi terribilmente impegnata. Avrebbe solo voluto che non avesse sempre quell’aria così sognante e felice. E poi c’era Blaise. Blaise aveva già un paio di vigorosi giocatori di football che la seguivano ovunque, Buck e Duane, ma nessuno dei due era stato invitato al ballo. Blaise aveva un metodo unico quando doveva scegliere un partner. Diceva a tutti di togliersi dai piedi. 44 «In realtà, è meglio per te se lasci perdere», aveva detto ad un affascinante ragazzo di origine asiatica con l’orecchino. Era giovedì, ora di pranzo, e le streghe avevano un intero tavolo tutto per loro. Vivienne e Selene con Blaise da un lato, Dani e Thea dall’altro. Il bel ragazzo teneva un ginocchio su una sedia e sembrava molto nervoso. «Sono fuori dalla tua portata, Kevin, ti rovinerei. Meglio se te ne vai», gli disse Blaise, senza smettere di fissarlo col fuoco che covava negli occhi grigi. Kevin barcollò, a disagio. «Ma sono ricco», rispose semplicemente, senza affettazione. «Non sto parlando di soldi», replicò Blaise. Gli rivolse un sorriso di commiserazione. «E comunque, non mi sembra che tu sia davvero interessato». «Scherzi? Sono pazzo di te. Ogni volta che ti vedo… non so; è solo che mi fai impazzire». Gettò un’occhiata alle altre ragazze e Thea capì che si sentiva tremendamente in imbarazzo. Ma non abbastanza da smettere di parlare. «Per te farei qualunque cosa». «No, non credo», Blaise giocherellava con un anello che portava all’indice sinistro. «Cos’è?», intervenne casualmente Vivienne. «Mmh? Oh, solo un piccolo diamante», disse Blaise. Allungò la mano e la pietra scintillò. «Stuart MacReady me l’ha dato stamattina». Kevin barcollò di nuovo. «Io posso comprartene a dozzine». Thea era dispiaciuta per lui. Sembrava un tipo a posto, e lo aveva sentito dire che voleva diventare un musicista. Ma per esperienza sapeva che dirgli di andarsene non sarebbe servito a niente. Lo avrebbe reso solo più determinato. 45 «Ma io da te non vorrei un anello», lo stava rimproverando dolcemente Blaise. «Stuart me l’ha dato perché era il solo ricordo che gli restava di sua madre. Per lui quest’anello era tutto, perciò ha voluto darlo a me». «Io farei lo stesso», disse Kevin. Blaise scosse la testa. «Non credo». «Invece sì». «No. La cosa più importante per te è la tua macchina, e non ci rinunceresti mai». Thea aveva visto quella macchina. Era una Porsche grigia metallizzata. Il ragazzo la lucidava amorevolmente ogni mattina nel parcheggio della scuola con un panno di camoscio. Ora Kevin sembrava confuso. «Ma… quell’auto non è proprio mia. Appartiene ai miei genitori. Me la prestano soltanto». Blaise annuì comprensiva. «Vedi? Ti avevo detto che non lo avresti fatto. Ora, perché non te ne vai, da bravo bambino?». Dentro Kevin qualcosa si ruppe. Fissò Blaise supplichevole, senza mostrare la minima intenzione di muoversi. Alla fine Blaise fece un cenno in direzione dei robusti giocatori. «Forza amico», disse uno di loro, a Thea pareva che fosse Duane. Presero Kevin per le spalle e lo spinsero via. Lui continuò a guardarsi indietro. Blaise si strofinò vivacemente le dita sulla blusa. Selene gettò indietro i capelli chiari e disse con voce strascicata: «Credi che cederà la macchina?» «Be’…», Blaise sorrise. «Diciamo solo che dovrei avere un mezzo adeguato per andare al ballo. Naturalmente, non so ancora chi ci porterò…». 46 Thea si alzò. Dani era rimasta in silenzio per tutto il pranzo, e ora guardava Blaise; gli scuri occhi a metà fra orrore e ammirazione. «Io vado via», disse Thea in tono allusivo, e fu sollevata quando Dani smise di fissare Blaise e si alzò. «Oh, a proposito», disse Blaise, prendendo lo zaino, «ho dimenticato di darti questa». Allungò a Thea una fialetta, come quelle che venivano usate per i campioncini di profumo. «A che serve?» «Per il ballo. Ricordi, per metterci il sangue dei ragazzi». 47 Capitolo 5 «C osa?», disse Thea. Almeno di questo poteva parlare chiaramente. «Blaise, sei impazzita?» «Mi stai dicendo che non vuoi fare incantesimi? Spero proprio di no», disse Blaise in tono minaccioso. «Fa parte del gioco, sai». «Sto dicendo che non c’è modo di prendere abbastanza sangue da riempire questa senza che se ne accorgano. Che diremo alle vittime? “Voglio solo un ricordino per non dimenticarti?”» «Usa il tuo ingegno», disse melodiosamente Vivienne, arrotolandosi intorno alle dita una ciocca biondo rame. «A mali estremi potremo sempre usare la Coppa del Lete», aggiunse Blaise tranquillamente. «Allora non avrà importanza cosa faremo, non lo ricorderanno». Thea per poco non svenne. Era una proposta assurda, come usare una bomba nucleare per schiacciare una mosca. «Tu sei impazzita», replicò piano. «Sai che alle vergini non è permesso usare quel tipo di incantesimo, e probabilmente non sapremo usarlo neanche da madri, neanche quando saremo vegliarde. È roba per gli Anziani». Fissò Blaise finché lei non abbassò gli occhi grigi. «Non credo che sia giusto classificare alcuni incantesimi come proibiti», rispose Blaise con sdegno, ma non guardò più Thea e non insistette sull’argomento. Quando lei e Dani lasciarono il patio, Thea notò che l’amica aveva preso una delle fialette. 48 «Andrai al ballo?» «Immagino di sì». Dani alzò le spalle delicate. «John Finkelstein del corso di letteratura straniera me l’ha chiesto un paio di settimane fa. Non sono mai stata prima a uno dei loro balli, ma magari questa è la volta buona per cominciare». Che cosa intendeva fare? Thea si sentiva a disagio. «E pensi di fargli un incantesimo?» «Ti riferisci a questa?». E si mise a giocherellare con la fialetta. «Non so. Ho pensato di prenderla, giusto nel caso in cui…», guardò Thea, sulla difensiva. «Tu ne hai presa una per Eric». Thea esitò. Ancora non aveva parlato a Dani di Eric. Una parte di lei desiderava aprirsi e una parte aveva paura. E comunque; che cosa pensava veramente Dani degli Estranei? «Dopo tutto», disse Dani, con un dolce sorriso tranquillo, «sono soltanto umani». Sabato sera Thea tirò fuori un vestito dall’armadio. Era di un verde pallido – così pallido da sembrare quasi bianco – e di uno stile d’ispirazione greca. I vestiti delle streghe dovevano essere gradevoli al tatto, oltre che alla vista, e quell’abito era morbido e leggero, si gonfiava in modo stupendo quando lei girava su se stessa. Blaise non indossava un vestito. Portava uno smoking con i papillon e una fascia di seta rossa, che le stava meravigliosamente. Questo sarà probabilmente l’unico ballo della storia in cui la ragazza più popolare porta i gemelli, pensò Thea. Eric arrivò puntualissimo. Bussò alla porta del negozio, l’unica usata dagli Estranei. Il Popolo delle Tenebre si serviva di un’altra porta sul retro, che era senza nome e 49 senza indicazioni, a parte quello che sembrava un graffito fatto da qualche vandalo: una dalia nera tracciata con lo spray. “Ok”, pensò Thea. Prima di aprire la porta fece un bel respiro. Nient’altro che dovere, dovere, dovere… Ma il primo impatto non fu imbarazzante come pensava. Lui sorrise e le porse un mazzolino di orchidee bianche. Lei sorrise e lo prese, poi gli disse: «Stai bene». Portava un completo di un marrone molto chiaro, morbido e dall’aria comoda. «Io? Tu stai bene. Voglio dire… sei meravigliosa. Con quel vestito i tuoi capelli sembrano d’oro», poi guardò in basso come per scusarsi. «Non vado a molti balli, mi dispiace». «No?». A scuola aveva sentito le ragazze che parlavano di lui. Sembrava che piacesse a tutte, tutte lo volevano. «No, di solito ho parecchio da fare. Sai, lavoro, faccio sport». Aggiunse più dolcemente: «E mi riesce difficile parlare alle ragazze». Buffo, con me non sembri avere questi problemi, pensò Thea. Vide che si guardava intorno. «È il negozio di mia nonna. Vende ogni genere di cose, provenienti da tutto il mondo». Lo osservò attentamente. Era un test importante. Se lui – un umano - credeva in quella roba, o era un fissato di New Age o era pericolosamente vicino alla verità. «Forte», commentò lui, e Thea pensò, con grande felicità, che stava mentendo. «Cioè», proseguì – ovviamente si stava sforzando moltissimo per trovare un modo educato per lodare le bambole voodoo e i prismi di cristallo «credo che le persone possano davvero agire sul proprio corpo cambiando il proprio stato d’animo». 50 Non sai quanto hai ragione, pensò Thea. Sentirono il ticchettio dei tacchi di Blaise sul legno delle scale. Prima apparvero le scarpe, poi le gambe inguainate nei pantaloni aderenti, poi tutte le altre curve, enfatizzate qua e là dalla brillante seta rossa. Alla fine apparvero le spalle e il viso, i capelli color della notte, in parte legati e in parte lasciati sciolti a incorniciarle il viso di tempestosi riccioli scuri. Thea lanciò un’occhiata a Eric. Stava sorridendo a Blaise, ma non in quel modo idiota da pesce lesso che avevano gli altri ragazzi. Il suo sorriso era autentico. «Ciao, Blaise», la salutò. «Vai al ballo? Puoi venire con noi se ti serve un passaggio». Blaise si fermò di colpo. Poi lo incenerì con lo sguardo. «Grazie, ho un appuntamento col mio cavaliere. Sto andando a prenderlo adesso». Prima di aprire la porta, fissò Thea intensamente. «Hai tutto quello che ti serve per stasera, no?». La fialetta era nella pochette verde chiaro di Thea. Ancora non sapeva come sarebbe riuscita a riempirla, ma annuì nervosamente. «Bene». Blaise uscì in tutta fretta e salì su una Porsche grigia metallizzata, parcheggiata lì fuori. L’auto di Kevin. Ma, per quanto ne sapeva Thea, Blaise non stava andando a prendere Kevin. «Credo di averla fatta infuriare», disse Eric. «Non preoccuparti. A Blaise piace essere furiosa. vogliamo andare?». Dovere, dovere, dovere, continuava a ripetere fra sé Thea mentre entravano nella sala mensa. L’aspetto ordinario che aveva durante il giorno era completamente 51 scomparso. Le luci e la musica erano curiosamente eccitanti e il vortice di colori che si creava sulla pista da ballo era invitante. Non sono qui per divertirmi, si disse di nuovo Thea. Ma sentiva il sangue scorrere veloce. Vide che Eric le rivolgeva un’occhiata cospiratoria e le sembrò quasi di poter sentire quello che sentiva lui: come se fossero due bimbi che si tenevano per mano all’ingresso di un incredibile parco dei divertimenti. «Uh, meglio che te lo dica subito», disse Eric. «Io non so davvero ballare, lenti a parte». Oh, fantastico. Ma naturalmente lei era lì per quello. Inscenare la seduzione di Eric a beneficio di Blaise. Proprio in quell’istante iniziò un lento. Thea chiuse gli occhi per un attimo e si arrese al suo destino, che non sembrava poi così terribile quando lei e Eric fecero il loro ingresso in pista. Tersicore, musa della danza, aiutami a non fare la figura della stupida. Non era stata mai così vicina a un ragazzo umano, e non aveva mai provato a ballare al suono della musica degli umani. Ma Eric non sembrò accorgersi della sua mancanza di esperienza. «Sai, non riesco a crederci», le disse. Le sue braccia la circondavano delicatamente, quasi con reverenza. Come se avesse paura che potesse rompersi stringendola troppo. «Cos’è che non riesci a credere?» «Be’…», scosse la testa. «Tutto, credo. Che sono qui con te. E che tutto sembra così facile. E che hai sempre un odore così buono». Thea rise suo malgrado. «Stavolta non ho usato l’eupatoria…», cominciò, e poi avrebbe voluto mordersi la lingua. Un’ondata di adrenalina l’attraversò provocandole un doloroso formicolio. 52 Era impazzita? Si stava facendo scappare gli ingredienti di un incantesimo, che la Terra l’assistesse. Il problema era che le veniva troppo facile parlare con lui. Dimenticava troppo spesso che non faceva parte del suo mondo. «Tutto a posto?», le chiese Eric quando il silenzio si fece troppo lungo. Sembrava preoccupato. No, non è tutto a posto. Ho Blaise da un lato e le leggi del Mondo delle Tenebre dall’altro, e tutt’e due vogliono cogliermi in fallo. E non so neanche se ne vali la pena… «Posso chiederti una cosa?», gli disse bruscamente. «Perchè mi hai spinto via dal serpente?» «Eh? Si stava preparando a colpire. Avrebbe potuto morderti». «Ma avrebbe potuto mordere anche te». Ti ha morso. Eric aggrottò la fronte, come se si stesse scervellando su un irrisolvibile mistero della vita. «Sì… ma in qualche modo non mi sembrava così grave. Penserai che sono uno stupido». Thea non sapeva cosa rispondere. E improvvisamente si sentì terribilmente combattuta. Il suo corpo desiderava appoggiare la testa sulla spalla di Eric, ma la sua mente urlava, le mostrava segnali di pericolo. In quel momento si sentirono delle voci concitate dai margini della pista. «Togliti di mezzo», diceva un ragazzo in giacca blu. «Lei ha sorriso a me». «Era a me che sorrideva, idiota che non sei altro», replicò con rabbia un altro ragazzo in giacca grigia. «Quindi fatti da parte e lasciami passare». Volarono imprecazioni. «Sorrideva a me, e farai meglio a toglierti dai piedi». Altri insulti. «Sorrideva a me, fatti da parte». 53 Iniziò una rissa, le ragazze accorsero. “Ma che novità”, pensò Thea. Non ebbe nessun problema ad individuare Blaise. Lo smoking orlato di rosso era circondato da un nugolo di ragazzi, a loro volta accerchiati dalle dame abbandonate e furiose. «Forse dovremmo andare a salutare», disse Thea. Voleva dire a Blaise di non provocare una rissa. «Ok. Certo è popolare, eh?». Riuscirono a farsi strada tra la folla. Blaise era nel suo habitat ideale, felice dei complimenti e di quella confusione. «Ho aspettato un’ora e mezza, ma non ti sei fatta viva», le stava dicendo Kevin, molto pallido. Portava una camicia immacolata di seta bianca e pantaloni neri dal taglio impeccabile. Aveva delle profonde occhiaie. «Forse mi hai dato l’indirizzo sbagliato», rispose Blaise pensosa. «Non sono riuscita a trovare casa tua». Teneva sottobraccio un ragazzo molto alto con lunghi capelli biondi che gli arrivavano alle spalle, sicuramente passava in palestra quattro o cinque ore al giorno. «Comunque, vuoi ballare?». Kevin fissò il ragazzo biondo, che ricambiò il suo sguardo a muso duro. «Non fare caso a Sergio», disse Blaise. «Mi stava solo tenendo compagnia. Non vuoi ballare?». Kevin abbassò gli occhi. «Be’, sì, certo, certo che voglio…». Quando Blaise si staccò da Sergio, Thea le si avvicinò. «Meglio che tu non faccia niente di eclatante», le sibilò all’orecchio. «C’è già stata una lite». Blaise si limitò a lanciarle un’occhiata divertita e prese il braccio di Kevin. La maggioranza dei ragazzi la seguì, e una volta che la folla si fu dispersa, Thea vide Dani 54 seduta a un tavolino. Portava uno scintillante vestito dorato, ed era sola. «Andiamo a sederci», propose Eric, prima che Thea potesse dire una parola. Lo guardò riconoscente. «Dov’è John?», chiese Thea all’amica mettendosi a sedere. Dani fece un cenno verso la folla al seguito di Blaise. «Ma non m’importa», disse, sorseggiando un bicchiere di punch con filosofia. «Mi annoiavo. Non so niente di questi balli». Thea sapeva che voleva dire che erano diversi dalle danze dei circoli, dove regnava l’armonia e non esistevano le coppie. Si danzava con gli elementi e con tutti gli altri, un unico grande insieme interconnesso. Eric si offrì di andare a prendere altro punch. «Con lui come sta andando?», chiese Dani a voce bassa quando si fu allontanato. I suoi occhi vellutati scrutarono Thea con curiosità. «Finora tutto bene», rispose Thea evasiva. Poi guardò la pista da ballo. «Vedo che anche Viv e Selene sono venute». «Già. Credo che Vivienne abbia già ottenuto il sangue. Ha punto Tyrone con la spilla del bouquet». «Scaltra», disse Thea. Vivienne indossava un vestito nero che rendeva i suoi capelli rossi brillanti come fiamme, e Selene sfoggiava un violetto scuro che faceva risaltare la sua capigliatura bionda. Entrambe si divertivano un mondo. Dani sbadigliò. «Credo che andrò a casa presto…», esordì, poi s’interruppe. Un trambusto confuso proveniva dalla parte opposta della sala, di fronte all’entrata principale. Le persone si muovevano agitate. All’inizio, Thea pensò che fosse una 55 lite di poca importanza per colpa di Blaise, ma poi una sagoma avanzò barcollando sulla pista. «Voglio sapere», disse una voce aspra che sovrastò la musica. «Voglio sapeeereee». Il gruppo smise di suonare. Le persone si voltarono. C’era qualcosa in quella voce che non poteva essere ignorato. Era così palesemente anormale, con una cadenza strana perfino per un ubriaco. Si trattava di una persona disturbata. Thea si alzò in piedi. «Voglio sapeeereee», ripeté la figura petulante, dall’aria sperduta. Poi si voltò e Thea sentì brividi gelati scorrerle lungo la schiena. Portava una maschera di Halloween. Una maschera di plastica da giocatore di football retta da un elastico, simile a quelle indossate dai bambini. Perfettamente adatta ad una festa di Halloween. Ma al ballo annuale era grottesca. Oh, Ilizia, pensò Thea. «Me lo puoi dire?», chiese la figura ad una ragazza bassa con un vestito a balze nere. Lei indietreggiò, avvicinandosi al suo partner. Il signor Adkins, l’insegnante di fisica di Thea, arrivò di corsa, con la cravatta che gli svolazzava disordinatamente. Non sembrava ci fosse nessun altro insegnante in giro, probabilmente erano andati tutti da qualche parte a cercare di sedare le risse causate da Blaise, pensò Thea. «Ok, calmati ora, calmati», disse il signor Adkins, come se avesse di fronte uno studente indisciplinato. «Non c’è niente di cui preoccuparsi…». Il ragazzo con la maschera di Halloween tirò fuori qualcosa dalla giacca. Sotto le luci da discoteca l’oggetto 56 scintillò come un arcobaleno, riflettendo i colori come uno specchio. «Un rasoio a serramanico», disse Dani con voce soffocata. «Per la Regina Iside, dove l’ha preso?». Qualcosa in quell’arma, forse il fatto che fosse così stravagante, così fuori moda, la rendeva più spaventosa di un coltello. Thea immaginò quel rasoio che penetrava la carne. Il signor Adkins stava indietreggiando a braccia aperte, come se volesse proteggere gli studenti dietro di lui. Nei suoi occhi si leggeva la paura. Devo far smettere tutto questo, pensò Thea. Il problema era che non sapeva come fare. Se si fosse trattato di un animale, si sarebbe fatta avanti e avrebbe cercato di controllarne la mente. Ma non poteva controllare una persona. Cominciò ad avvicinarsi lo stesso, lentamente, in modo da non attirare l’attenzione. Si spostò al margine della folla che circondava la pista, fino a trovarsi a poca distanza dal ragazzo. Che ora era passato a una nuova domanda. «L’avete vista?», chiedeva. Continuò a ripetere la domanda mentre camminava, e le persone indietreggiavano. Vivienne e Selene si spostarono una da un lato e una dall’altro, accompagnate dai loro cavalieri. Il rasoio scintillava. Thea spostò lo sguardo verso il lato opposto della sala, dove c’era Blaise insieme a Kevin Imamura. Senza nessun Buck, nessun Duane a proteggerla. Ma Blaise non sembrava spaventata. Di lei non si poteva negare una cosa: aveva un fenomenale coraggio. Stava immobile con una mano sul fianco e Thea capì che sapeva benissimo chi era il ragazzo che le stava andando incontro. 57 In mezzo alle coppie, Thea intravide qualcos’altro. Eric era dall’altro lato della pista, con due bicchieri di punch in una mano e uno nell’altra. Si muoveva parallelamente al ragazzo mascherato, proprio come stava facendo lei. Provò a incrociare il suo sguardo, ma la folla era troppo fitta. «L’avete vista?», chiese di nuovo il ragazzo a una coppia proprio di fronte a Blaise. «Voglio sapeeereee». La coppia si divise subito, come due birilli su una pista da bowling. Blaise restò allo scoperto, alta ed elegante nel suo completo nero, con le luci che scintillavano sui capelli corvini. «Eccomi, Randy», disse. «Cos’è che vuoi sapere?». Randy Marik si fermò, ansimando. Sotto la maschera, il respiro aveva un suono soffocato. Il resto della vasta sala era stranamente silenzioso. Thea si avvicinò lentamente. Eric sopraggiunse dal lato opposto, e solo allora si accorse di lei. Scosse la testa e senza parlare le sillabò le parole «Sta’ lontana». Sì. E tu lo affronterai armato di tre bicchieri di plastica pieni di punch. Gli lanciò un’occhiataccia e mormorò: «Stai lontano tu». La mano di Randy tremava, facendo lampeggiare il rasoio. Il petto si sollevava e si abbassava freneticamente. «Che c’è, Randy?», chiese Blaise. La punta di una delle sue scarpe col tacco batteva impaziente sul pavimento. «Sto male», disse Randy. Fu quasi un gemito. La sua testa ondeggiava in modo strano, come se non fosse ben collegata al collo. «Mi manchi». La sua voce fece venire a Thea la pelle d’oca. Sembrava quella di un bambino di quattro anni imprigionato in un corpo da diciottenne. 58 «Non faccio altro che piangere», disse. Con la mano sinistra si sfilò la maschera. Kevin indietreggiò inorridito. Thea fu travolta da un’ondata di orrore. Stava piangendo sangue. Rivoli di sangue gli scendevano dagli occhi, mescolandosi alle lacrime. “Un incantesimo?”, si chiese Thea. Poi capì. No, si era tagliato. Proprio così. Si era fatto due incisioni a forma di mezzaluna sotto gli occhi, e il sangue sgorgava da lì. Anche il resto del viso era spettrale. Era bianco come un cadavere, con pochi peli ispidi sul mento. Gli occhi erano spiritati. I capelli, che un tempo erano biondo rame e setosi, ora sembravano rovinati e sbiaditi. «Hai fatto tutta la strada dal New Hampshire per dirmi questo?», disse Blaise alzando gli occhi al cielo. Randy fece un sospiro singhiozzante. Quello scambio di battute sembrò infondere coraggio a Kevin. «Ascolta amico, non so chi sei… ma è meglio se le stai lontano», gli disse. «Perché non te ne vai a casa a smaltire la sbronza?». Fu uno sbaglio. Gli occhi folli che sovrastavano le guance sporche di sangue lo misero a fuoco. «Chi sei tu?», disse Randy come un ebete, facendo un passo avanti. «Chi… sei… tu?» «Spostati Kevin!», gli gridò Thea allarmata. Troppo tardi. La mano col rasoio scattò avanti, colpendo rapidamente. Il sangue schizzò dal viso di Kevin. 59 Capitolo 6 K evin lanciò un urlo, portandosi una mano alla guancia. «Mi ha tagliato! Questo pazzo mi ha tagliato!». Il sangue gli scorreva tra le dita. Randy alzò di nuovo il rasoio. Thea cercò di raggiungerlo con la mente. Anzi, non raggiungerlo. Afferrarlo. Agì completamente d’istinto; era spaventata a morte, e tutto quello che riusciva a pensare era che avrebbe ucciso Kevin, e forse anche Blaise. Afferrò… qualcosa. Dolore e pena e furia che sembravano saltare in tondo come un babbuino in gabbia. Riuscì a mantenere la presa per un solo istante, ma in quell’attimo Eric gettò due bicchieri di punch in faccia a Randy. Randy urlò e abbandonò Kevin, per scagliarsi contro Eric. Thea fu sommersa da un’ondata di puro terrore. Randy affondò il rasoio, ma Eric fu più veloce; fece un salto indietro schivandolo e gli si portò alle spalle. Randy si girò e menò un altro fendente. Poi continuarono a girare in tondo nella loro danza macabra. Thea sentiva la morsa della paura stringersi più ferocemente a ogni loro mossa. Ma Eric evitò tutti i colpi di rasoio fino a quando un movimento sulla pista da ballo non catturò l’attenzione di Thea. Era il signor Adkins con altri due insegnanti. Si avvicinarono a Randy, accerchiandolo. Ne seguì una grande confusione. Quando tutto fu finito, Randy era a terra. 60 Fuori si sentì il suono di sirene che si avvicinavano. Eric s’allontanò da quel groviglio di persone. Col respiro affannato guardò Thea. Lei annuì per dirgli che stava bene, poi chiuse gli occhi. Si sentiva debole, esausta, stava malissimo. Ora avrebbero portato via Randy, non c’era niente da fare per lui. Sembrava definitivamente andato. In quell’istante si vergognò di essere una strega. «Bene, gente», stava dicendo il signor Adkins. «Usciamo da qui. Sgomberiamo la sala». Guardò Blaise, china su Kevin: gli stava premendo un fazzoletto sulla guancia. «Voi due potete restare». Posò una mano sulla spalla di Blaise. «Te la senti?». Blaise lo guardò con gli occhi grigi spalancati e un’espressione di disperazione molto teatrale. «Credo di sì», rispose coraggiosamente. Il signor Adkins deglutì. Le strinse la spalla e mormorò qualcosa tipo: «Povera bambina». Oh, finiscila, pensò lei. Ma una piccola parte egoista di sé si sentiva sollevata. Stavolta Blaise non era finita nei guai; nessuna di loro due sarebbe stata espulsa. La nonna non avrebbe dovuto umiliarsi di fronte al Circolo Interno. E Blaise sembrava davvero preoccupata per Kevin. Lo curava con grande premura. Come se davvero le importasse di lui. Thea riuscì a superare il braccio disteso di un insegnante che le bloccava il passaggio. «Stai bene?», sussurrò a Blaise. Blaise la guardò enigmatica. Fu allora che Thea vide la minuscola fialetta nascosta nel fazzoletto. Era piena di sangue. «Tu…», non riusciva a trovare le parole. 61 Blaise le fece un sorrisetto che significava: Lo so. Ma era un’occasione troppo buona per lasciarsela sfuggire. Thea indietreggiò e finì contro Eric. Lui la abbracciò con forza. «Sta bene?» «Lei sì. Io devo andarmene da qui». Eric la guardò negli occhi. Era molto provato: i capelli scomposti, lo sguardo cupo. Tutto quello che disse fu: «Andiamo». Uscendo incontrarono Vivienne e Selene. Thea non poteva negarlo: sembravano entrambe sconvolte e infelici. Ma quanto sarebbe durato il loro dolore? Dani era nel parcheggio con John Finkelstein. «Me ne vado a casa», disse a Thea con aria allusiva, e gettò qualcosa in un cespuglio di ciliegio selvatico. Era una fialetta vuota. Thea sentì un gran sollievo. Sfiorò il braccio di Dani. «Grazie». Dani rivolse lo sguardo verso la sala mensa. «Mi chiedo cosa volesse sapere», mormorò. Proprio in quel momento si sentì un ululato dall’ingresso, come in risposta alla sua domanda. Non sembrava un suono emesso da una persona; assomigliava più a un animale in agonia. «Peeeeerchèèè?». Thea si girò di scatto e raggiunse la jeep di Eric quasi correndo. Mentre percorrevano le strade buie Eric disse piano: «Immagino fosse un ex ragazzo». «Del mese scorso». Lui la guardò. «Era messo male, poveretto». E questo, pensò Thea, è un modo gentile di riassumere la questione. Era messo male, e per sempre. Poveretto. 62 «È Blaise», rispose. Non voleva parlargliene, ma le parole gli si affollavano nella mente, chiedevano di uscire, e se non gli avesse raccontato tutto sarebbe esplosa. «Fa sempre così, e non riesco a fermarla. Sceglie i ragazzi, e loro s’innamorano, e poi li scarica». «Amore? Hm», disse Eric. Thea lo guardò stupefatta. Lui guardava davanti a sé, le dita agili salde sul volante. Bene. E io che credevo che tu fossi un ingenuo. Forse vedi più cose di quanto pensassi. «È una specie di amore», replicò. «È come… sai, nell’antica Grecia adoravano la dea Afrodite. Era la dea dell’amore, e si credeva che fosse assolutamente spietata». Thea scosse la testa. «Ho visto uno spettacolo una volta, su una regina che si chiamava Fedra. Afrodite la fece innamorare del figliastro, e alla fine dello spettacolo sul palcoscenico erano quasi tutti morti. Ma Afrodite continuava a sorridere. Perché faceva soltanto quello che fa una dea… nello stesso modo in cui un tornado sradica una casa o un incendio brucia una foresta». Si fermò. Si sentiva a pezzi ed era senza fiato. Ma in un certo senso stava meglio, come se si fosse liberata da un peso. «E tu credi che Blaise sia così». «Sì, una specie di forza naturale che non può frenarsi. Ti sembra un’idea folle?» «A dire il vero no». Eric fece un sorriso tirato. «La natura è primitiva. I falchi catturano i conigli. I leoni maschi uccidono i cuccioli. È una giungla». «Ma questo non lo rende giusto. Forse per le dee, e per gli animali, ma non quando si tratta di umani». Ci mise un momento prima di rendersi conto di cosa aveva detto. Aveva usato la parola “umani” al posto di “persone”. 63 «Be’, gli uomini non sono così diversi dagli animali, dopotutto», replicò Eric con dolcezza. Thea si abbandonò contro lo schienale. Si sentiva ancora confusa e infelice, ma quello che più la spaventava era quel forte bisogno di continuare a parlarne con Eric. Sembrava capire così bene… più di chiunque altro. E non solo la capiva: per lui era importante quello che diceva. «So di cosa hai bisogno», le disse all’improvviso, illuminandosi. «Stavo per proporti il buffet aperto fino a tardi, da Harrah, ma conosco qualcosa di meglio». Thea guardò l’orologio, vide che erano quasi le undici. «Cosa?» «Cucciolo terapia». «Che?». Lui si limitò a sorridere e deviò verso sud. Si fermarono di fronte a un modesto edificio grigio, con un’insegna che diceva SUN CITY ANIMAL HOSPITAL. «Tu lavori qui». «Già. Possiamo dire a Pilar di staccare prima», disse Eric, scendendo dalla macchina e aprendo con una chiave la porta principale dell’edificio. «Andiamo». Una ragazza carina, coi capelli castani che le arrivavano alle spalle, li fissò da dietro il bancone all’entrata. Thea riconobbe Pilar Osorio, frequentava la loro stessa scuola. Una ragazza tranquilla, con l’aria da brava studentessa. «Com’era il ballo?», chiese. Thea pensò che guardava Eric con occhi infiammati dal desiderio. Eric alzò le spalle. «Orribile, per la verità. C’è stata una rissa e ce ne siamo andati». Thea notò che non aveva neanche accennato al fatto che era stato lui a sedare il putiferio. 64 «Che brutta cosa», disse Pilar con voce comprensiva, ma Thea pensò che in realtà non le dispiaceva affatto che il ballo fosse andato male. «Già. Come sta il nostro ragazzo?» «Bene, un po’ sovraeccitato. Magari più tardi puoi portarlo a fare una passeggiata». Pilar prese la giacca. Rivolse un cenno educato a Thea e si diresse verso la porta. «A lunedì». Lui le piace, pensò Thea. Una volta che la porta fu chiusa Thea si guardò intorno. «Quindi ora la clinica è chiusa». «Sì, ma qualcuno deve fare il turno di notte se c’è qualche animale». Le sorrise di nuovo. «Seguimi». Superarono un ambulatorio e un corridoio e poi raggiunsero un canile sul retro. Thea si guardò intorno interessata. Prima di allora non era mai stata nella parte di una clinica veterinaria non aperta al pubblico. C’erano molte gabbie. Da quella in fondo si alzarono guaiti speranzosi. Eric la fissò con un’aria divertita. «Tre, due, uno…». Aprì la gabbia. Un grosso cucciolo di labrador si catapultò fuori, agitando freneticamente la coda. Era di un colore bellissimo, che andava dall’oro scuro al quasi bianco delle zampe. «Ehi, Bud», lo chiamò Eric. «Ehi, bello; chi è un bravo cane?». Fissò Thea con uno sguardo solenne. «Ecco a te il cane più coccoloso al mondo». Thea si accovacciò sul pavimento in vinile e spalancò le braccia. «Uh, il vestito…», l’avvertì Eric gentilmente, ma il cucciolo si era già alzato sulle spalle. Thea lo abbracciò e lui le andò addosso, le zampe sulle spalle, il fiato caldo nell’orecchio. 65 «Credo di essermi innamorata», disse Thea senza fiato, sostenendo a fatica il dolce e caldo peso del cucciolo. Era circondata da felicità. Non doveva sforzarsi per fondersi con la mente del cucciolo; lui aveva preso il sopravvento praticamente con forza. Tutti i suoi pensieri erano buoni, e tutti erano incentrati sul presente, su quel momento stesso. Adesso. L’odore meraviglioso di quell’attimo, e la favolosa sensazione di un grattino dietro l’orecchio sul morso di una pulce. Sentimenti buoni, felici… questo grosso cane spelato mi piace proprio… Anche se in pratica è lui che comanda. Il cucciolo la morse e Thea fece finta di morderlo a sua volta. «Sbagliato; sono io il capobranco», lo informò, prendendolo per le mascelle. C’era solo una cosa strana. Riusciva a vedere il mondo come lo vedeva il cane, e sulla destra non c’era niente. Solo uno spazio vuoto. «Ha qualcosa che non va agli occhi?» «Hai notato la cataratta. Molte persone non se ne accorgono subito. Sì, è cieco dall’occhio destro. Forse quando sarà più grande potrebbe tornare a farsi operare». Eric si mise a sedere a terra appoggiandosi al muro, con un gran sorriso. «Ci sai fare davvero con gli animali», disse. «Tu non ne hai?». Era un domanda gentile, non indiscreta. Thea rispose distrattamente. «Be’, di solito li tengo solo per un po’. Li raccolgo e quando li ho curati li lascio andare… o trovo loro una casa, se vogliono essere addomesticati». «Li curi». Di nuovo, una domanda gentile, ma Thea ne fu leggermente scossa. Perché non riusciva a tenere a freno la 66 lingua con quel ragazzo? Alzò gli occhi e vide che la scrutava con attenzione, gli occhi verdi vigili. Sospirò. «Gli do da mangiare, li porto dal veterinario se ne hanno bisogno. Poi aspetto finché non guariscono». Lui annuì, ma quello sguardo indagatore non scomparve. «Hai mai pensato di fare il veterinario?». Thea fu costretta ad abbassare lo sguardo. Fece finta di voler baciare il cucciolo. «Eh? Non proprio», mormorò con il volto nascosto nella pelliccia bionda. «Ma hai un dono. Ascolta, ho un po’ di opuscoli sulla U.C. Davis. I loro corsi sono eccellenti – e quelli di specializzazione fra i migliori del Paese. Non è facile entrarci, ma tu potresti farcela. So che è così». «Non ci scommetterei», mormorò Thea. C’erano molte gravi macchie sul suo curriculum: quattro espulsioni, per esempio. Ma non era quello il vero problema. Il vero problema era che una strega non faceva il veterinario. Semplicemente non era possibile. Poteva scegliere di specializzarsi in erbe, gemme o abbigliamento rituale; in canti o rune o ricerca o amuleti… in centinaia di cose, ma niente che si insegnasse alla U.C. Davis. «È difficile da spiegare», disse. Ormai non si sorprendeva più di nulla, ma di certo quello strano desiderio di dare spiegazioni a un umano era sconvolgente. «È solo che la mia famiglia non approverebbe, davvero. Vogliono tutta un’altra carriera per me». Eric aprì la bocca, poi la richiuse. Il cucciolo starnutì. «Be’, forse potresti aiutare me con la domanda di ammissione, devo fare il tema e sto impazzendo». Furbo che sei, pensò Thea. 67 «Forse», rispose. In quel momento suonò un citofono, lontano ma insistente. Bud abbaiò. «Che diavolo… è il citofono esterno», disse Eric. «Ma a quest’ora non dovrebbe esserci nessuno». Si alzò e si diresse verso l’ingresso dell’edificio. Thea lo seguì, accarezzando appena la testa di Bud con la punta delle dita per tenerlo sotto controllo. Eric aprì la porta, poi per la sorpresa fece un passo indietro. «Rosamund… che ci fai qua? Mamma lo sa che sei uscita?». Qualcosa di simile a un tornato in miniatura entrò nella sala d’aspetto. Era una bambina, con una gran massa di capelli castano chiaro che sbucavano da un berretto da baseball. Portava una coperta blu arrotolata sotto il braccio e l’espressione che s’intuiva sotto i capelli era feroce. «Mamma ha detto che Madame Curie non sta davvero male, invece soffre molto. Chiama la dottoressa Joan». Così dicendo la bambina marciò verso il bancone e mollò la coperta blu, spostando una cartellina e dei biglietti promemoria per le vaccinazioni. «Ehi. Sta’ ferma». Lei lo ignorò, ed Eric guardò Thea. «Ehm, questa è mia sorella Rosamund. E non so come sia arrivata qui». «Sono venuta in bici e voglio che Madame Curie stia bene, ora». Bud si era alzato su due zampe e provava ad annusare la coperta. Thea lo spinse giù con gentilezza. «Chi è Madame Curie?» «Madame Curie è un porcellino d’India», rispose Eric. Toccò il panno. «Roz, la dottoressa Joan non c’è. È fuori città per una conferenza». 68 L’espressione feroce di Rosamund restò immutata, ma il mento cominciò a tremare. «Ok, ascolta. Darò un’occhiata a Madame Curie e vedrò se posso fare qualcosa. Ma prima dobbiamo telefonare alla mamma per farle sapere che sei viva». Si diresse al telefono. «Riporto dentro Bud», disse Thea. «Penso che abbia scambiato Madame Curie per il pranzo». Ricondusse il cucciolo sul retro e lo persuase a entrare nella gabbia con la promessa di coccole extra più tardi. Quando tornò in ufficio, Eric era chino su un piccolo porcellino d’India bianco e marrone. Sembrava preoccupato. «Be’, c’è qualcosa che non va… presumo. Sembra più debole del solito, e direi letargica…». Improvvisamente fece uno strillo e tirò indietro la mano. «Non troppo letargica», proseguì, guardando il sangue che affiorava sul pollice. Si asciugò con un fazzolettino e si chinò di nuovo. «È di cattivo umore», disse Rosamund. «E non mangia abbastanza. Te l’avevo detto ieri che stava male». «No, non me l’hai detto», rispose Eric con calma. «Mi hai detto che era stufa di vivere in un sistema patriarcale». «Be’, è stufa. E malata. Fa’ qualcosa». «Senti, non so cosa fare. Aspetta». Si avvicinò di più all’animaletto. «Non tossisce… quindi non è streptococco. I nodi linfatici sono a posto… ma le giunture sembrano gonfie. Questo è strano». Rosamund lo guardava, gli occhi verdi pieni di orgogliosa fiducia. Come quelli di Eric, notò Thea. 69 Allungò una mano e toccò delicatamente la morbida pelliccia del criceto con le dita. Anche la sua mente si unì a quel tocco delicato. Pensieri da animaletto spaventato. Al porcellino d’India non piaceva essere lì, desiderava la segatura della propria gabbia, la sicurezza. Non le piacevano gli odori della clinica, né le grosse, strane dita che si calavano dall’alto su di lei. Casetta, nido, stava pensando. E poi, una cosa buffa. Un concetto… più odore e sapore che immagine. Madame Curie stava immaginando di mangiare qualcosa… qualcosa di croccante e leggermente aspro. Ancora e ancora e ancora. «C’è qualcosa che le piace molto?», chiese Thea dubbiosa. «Qualcosa tipo il cavolo?». Eric spalancò gli occhi, poi si raddrizzò come se avesse ricevuto una scossa. La fissò a lungo con i suoi profondi occhi verdi. «Ecco cos’è! Sei geniale!». «Cosa?» «Quello che hai detto. Ha lo scorbuto». Si precipitò fuori dalla stanza e tornò con un librone scritto in caratteri molto piccoli. «Sì… ecco qua. Anoressia, stato letargico, giunture ingrossate… presenta tutti i sintomi». Girò febbrilmente le pagine e poi disse trionfante: «Tutto quello che dobbiamo fare è darle un po’ di verdure, o magari dell’acido ascorbico nell’acqua». Scorbuto… non era la malattia che colpiva un tempo i marinai? Quando facevano lunghe traversate senza frutta fresca o verdure? E l’acido ascorbico era… vitamina C! «Sì! Sono stati giorni caldi e a casa abbiamo acqua molto dura: tutte cose che hanno sottratto vitamina C alla sua dieta. Ma rimediare è facile». Eric guardò Thea e scosse la testa con ammirazione. «Io ho studiato per anni, 70 oltre a lavorare qua, e a te basta guardare un animale per capire. Come riesci a farlo?» «L’ha chiesto a Madame Curie», disse Rosamund come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Thea la guardò con circospezione. Ma in quella famiglia erano tutti ottimi osservatori? «Ah, ah», replicò scherzosamente. «Mi piaci», disse Rosamund, come se stesse constatando un dato di fatto. «Ora, dove trovo del cavolo?» «Va’ a guardare nel frigo dei vaccini sul retro», disse Eric. «Se non ce n’è, possiamo sempre usare delle vitamine in gocce». Rosamund trotterellò via. Eric la osservò, con palese affetto. «Una bambina interessante», osservò Thea. «È una specie di genio. È anche la più piccola femminista militante del mondo. Ha citato in giudizio l’associazione locale di trekking maschile, sai. Non la fanno iscrivere, e nell’associazione femminile non si fanno escursioni, si lavora all’uncinetto». Thea lo guardò. «E tu che ne pensi?» «Io? Io la accompagno dall’avvocato quando mamma non può. Perlomeno la smette di lamentarsi. Oltretutto, ha ragione». Chiaro e semplice, pensò Thea. Lo guardò mentre ripiegava la coperta blu, e sentì una voce piena di enfasi nella testa, sembrava un annunciatore che presenta un gioco a premi. E ora, guardate questo ragazzo. Dolce ma appassionato. Coraggioso. Profondamente acuto. Timido ma con uno spiccato senso dell’ umorismo. È intelligente, onesto, ama gli animali… È umano. 71 Non mi importa. Si sentiva… be’, strana. Come se avesse respirato troppa radice di eupatoria. L’aria sembrava dolce, pesante e in un certo senso eccitante, come impregnata di elettricità tropicale. «Eric…». Si sorprese a sfiorargli il dorso della mano. Lui lasciò andare la coperta e le strinse la mano. Non la guardava, però. Fissava ancora la scrivania. Respirava affannosamente. «Eric?» «A volte penso che se chiudessi gli occhi un attimo, tu scompariresti». Oh Ilizia, pensò Thea, oh Afrodite. Sono proprio nei guai. Il punto era che quello che provava era terribile e meraviglioso. Si sentiva imbarazzata e al tempo stesso al sicuro, spaventata a morte e coraggiosissima. E quello che voleva era talmente semplice. Se anche lui provava le stesse cose, tutto sarebbe andato bene. «Non so più immaginare la mia vita senza di te, ma ho tanta paura che te ne andrai», disse Eric, guardando ancora rassegnato il computer sulla scrivania. Poi si voltò verso li lei. «Sei arrabbiata?». Thea scosse la testa. Il cuore minacciava di uscirle dal petto. Quando i suoi occhi incontrarono quelli di lui, fu come se si fosse chiuso un circuito. Erano connessi, adesso, e spinti l’uno verso l’altra come se Afrodite stessa li tenesse fra le braccia. E poi fu tutto caldo e meraviglioso. Meglio che tenere fra le braccia il cucciolo, perché anche Eric poteva stringere lei. E i fremiti di paura che l’avevano attraversata 72 sembrarono esplodere come fuochi d’artificio e trasformarsi in pura gioia. La sua guancia sfiorava quella di Eric. Non aveva mai provato nulla che le desse una tale beatitudine. La guancia di Eric era liscia e ferma… e lei era al sicuro lì, era amata. Un senso di pace la colmava come acqua fresca. Erano due uccelli che si sfioravano con le ali. I cigni scelgono il proprio compagno per la vita… e quando lo vedono, lo riconoscono, pensò. È questo che è successo nel deserto. Ci siamo riconosciuti; è stato come se potessimo vedere l’uno nell’anima dell’altra. Una volta che tra due persone succede questo, sono unite per sempre. Sì, e nel Mondo delle Tenebre esisteva una parola per definire tutto questo, le disse una parte di sé, cercando di distruggere quella pace. Il principio dell’anima gemella. Stai cercando di dire che il tuo unico e solo è un umano? Ma Thea non poteva spaventarsi, non adesso. Si sentiva esclusa sia dal Mondo delle Tenebre sia da quello umano. Lei ed Eric formavano una realtà a parte; e le bastava soltanto stare lì a respirare e sentire il suo respiro, senza preoccuparsi del futuro… Una porta si aprì cigolando ed entrò un soffio di aria fredda. Gli occhi di Thea si spalancarono per la sorpresa. Poi il cuore le balzò nel petto e cominciò a battere fortissimo. Non era la porta da cui era entrata Rosamund. Era il portone principale, che Eric doveva aver lasciato aperto. E Blaise era lì in piedi nella sala d’attesa. 73 Capitolo 7 «V i ho cercati dappertutto», disse Blaise. «Ho dovuto chiamare la signora Ross per scoprire dove eravate». I capelli neri spettinati e agitati dal vento le ricadevano sulle spalle. S’era sfilata il papillon rosso e il primo bottone della camicetta era aperto. Le guance erano arrossate e c’era una luce cupa negli occhi grigi. Era bellissima, e molto, molto strega. Thea e Eric si erano separati di botto e Thea ebbe la sensazione che fossero arrossiti entrambi. «Stavamo solo…», disse Eric. «Uhm. Ehm». Mentre Blaise lo scrutava, raccolse la coperta blu e la piegò di nuovo. «Ehm. Posso farti vedere la clinica?» «Non m’importa molto degli animali, a meno che non siano allo spiedo». Blaise osservò la stanza con la mano su un fianco. Oh, è di umore fantastico. Thea aveva le mani sudate. Non era sicura di cosa pensasse Blaise dell’abbraccio in cui li aveva sorpresi… ma Thea avrebbe dovuto sedurre Eric, no? Lo sguardo le cadde sul Kleenex macchiato del sangue di Eric. Senza farsi notare, prese il fazzoletto e lo accartocciò. «Così hai lasciato il ballo», disse a Blaise. «Dov’è…». Con chi aveva appuntamento Blaise quella sera? Sergio? Kevin? Qualcun altro? 74 «Non c’è nessun ballo», disse Blaise. «L’hanno annullato. Merito di Randy: è stato una seccatura di prim’ordine». Poi la sua espressione cambiò; ammiccò e sorrise dolcemente. «E tu chi sei, tesoro?». In piedi davanti alla porta che dava sul corridoio, Rosamund indietreggiò, stringendo Madame Curie al petto. Non disse una parola, ma i verdi occhi ostili non abbandonarono Blaise neanche per un secondo. «Uhm, scusami», disse Eric. «Questa è mia sorella. È… timida». «Ah, allora è una caratteristica di famiglia», replicò Blaise. «Che carini». Thea intervenne. «Credo sia ora di tornare a casa». Aveva bisogno di parlare a Eric, ma da sola, senza la sorveglianza di una piccoletta scorbutica e di una strega sospettosa. Lanciò un’occhiata a Eric. Anche lei si sentiva un po’ timida. E lo stesso valeva per lui. «Be’… ci vediamo a scuola». «Sì». Improvvisamente lui sorrise. «Sai, c’è qualcos’altro che volevo dirti. Nel caso pensassi di entrare alla Davis, potresti seguire zoologia avanzata. È un buon corso». «Uhm… vedremo». Era fin troppo consapevole delle occhiate di Blaise. Una volta fuori, però, Blaise le disse solo: «Scusa se sono stata maleducata. Ma ti ho cercata dappertutto, per farti sapere quanto fossi disperata. E…», scosse la chioma corvina con un sorriso accattivante, «è così divertente comportarmi male di tanto in tanto». Thea sospirò, poi si fermò di colpo. «Blaise, la macchina!». 75 La Porsche grigia metallizzata di Kevin sembrava reduce da una guerra. Il paraurti anteriore era ammaccato, la portiera del passeggero accartocciata, e il parabrezza incrinato. «Ho avuto un problemino», ammise Blaise con disinvoltura. «Comunque è tutto a posto; stasera ho incontrato un ragazzo che si chiama Luke Price, che ha una Maserati». Guardò Thea, poi aggiunse: «Tu non disapprovi mica, vero… che si trattino gli umani in questo modo?» «No… maturalmente no. È solo che non voglio farmi espellere di nuovo». «Fare un incidente non è illegale. Aspetta, devi salire dalla parte del guidatore». Partì. Guidava, apparentemente senza dirigersi da nessuna parte. Thea restò in silenzio, profondamente consapevole delle occhiate indagatrici che la sorella le scoccava. «Allora», esordì Blaise con il suo tono più soave, «l’hai preso?» «Cosa?» «Non scherzare». Thea allungò la mano col Kleenex. «Non ho riempito la fialetta; era ridicolo. Ma usando l’ingegno ne ho ottenuto abbastanza». «Mmm», le dita affusolate di Blaise, con le unghie rosso sangue, si richiusero delicatamente sul fazzolettino. Stupita, Thea lo tirò via e il Kleenex si strappò. Lei se ne ritrovò in mano un angolo. «Ehi…». «Qual è il problema? È solo per sicurezza», disse Blaise disinvolta. «E allora, com’è andato il resto?» «Bene», rispose Thea. Aveva i palmi sudati, ma riuscì a conservare un tono leggero. «Credo sia cotto», aggiun- 76 se, cercando di imitare il tono languido e arrogante di Blaise. «Oh, davvero?». Erano finite sulla Strip, il che voleva dire che l’auto adesso era imbottigliata nel traffico. Le luci al neon illuminavano il curioso sorrisetto di Blaise. «E cos’era quella cosa sulla Davis?» «Niente. È il college dove vuole andare, quindi naturalmente vorrebbe che andassi con lui». «Pensa già al futuro. Be’, hai fatto in fretta. congratulazioni». A Thea non piacque il modo in cui lo disse. Ora più che mai voleva proteggere Eric da Blaise, ma non sapeva bene come. Sua cugina sospettava qualcosa? «Sai, credo che la cosa più divertente sia il “pop”», disse Blaise con aria trasognata. «I ragazzi umani sono tutti diversi… ma alla fine, sono tutti uguali. E quando si arrendono completamente, riesci quasi a sentirlo. C’è un “pop”, come un pallone che scoppia». Thea deglutì, fissando il grosso leone dorato di fronte all’MGM Grand Hotel. I suoi occhi verdi le ricordarono Eric. «Davvero? Interessante». «Oh, sì. E, dopo il pop, crollano, e tutto ciò che sono, l’intera persona, fuoriesce in una sorta di emorragia interna. Dopodiché, naturalmente, sono inservibili. Come uno stallone troppo vecchio per accoppiarsi. Sono semplicemente… finiti». Che cosa carina. «Sai, credo che Eric, sia pronto per quel pop. È già innamorato di te, si vede. Credo sia il momento». Thea restò zitta. Una ragazza vampiro, con indosso un vestito con il disegno di una rosa nera, si fece strada in mezzo al traffico bloccato. Thea disse: «Blaise…». 77 «Cosa c’è, hai qualche problema? Ti riesce difficile? Magari hai un debole per lui? Ti piace un po’ troppo?» «Blaise…». «Ti sei innamorata?» Brividi di terrore scossero Thea, e l’ultima domanda rimase sospesa in aria. Alla fine sussurrò: «Non essere ridicola». «E tu non cercare di prendermi in giro. Ricorda con chi stai parlando. Conosco lo sguardo idiota che hai quanto ti sdilinquisci per qualche animale. Ho visto come lo abbracciavi». Thea era disperata. Non aveva paura solo di Blaise. La Legge del Mondo delle Tenebre non avrebbe potuto essere più esplicita riguardo alla punizione che spettava a che si innamorava di un umano. Morte. Non solo per lei, ma anche per Eric. C’era solo una cosa che Thea potesse fare. Si voltò e fissò Blaise. «Bene, Blaise, mi conosci. Siamo sempre state come sorelle, e io so che nonostante il modo in cui a volte ti comporti, tu mi vuoi sempre bene…». «Certo che te ne voglio», rispose Blaise impaziente, e Thea capì che in parte era proprio quello il problema. Sotto la luce intermittente delle colonne al neon del Ball hotel, vide che gli occhi di Blaise erano umidi. Aveva paura per Thea… ed era arrabbiata perché aveva paura. Thea strinse la mano della cugina. «Allora devi ascoltarmi. Era un’aperta supplica. Blaise, quando ho incontrato Eric per la prima volta, è successo qualcosa. Non riesco a spiegarlo – non riesco neanche davvero a descriverlo. Ma si è creato un legame. E so che ti sembrerà folle, ma…», dovette fare una pausa per riprendere fiato. 78 «Blaise, se tu trovassi la tua anima gemella, e fosse qualcuno che tutti ti proibiscono di amare…». Si fermò di nuovo, stavolta perché Blaise era raggelata. Per un momento restarono lì ferme, e poi, molto lentamente, Blaise allontanò la mano da quella di Thea. «Trovato… la tua… anima gemella?», disse. Calde lacrime salirono agli occhi di Thea. Non si era mai sentita tanto sola. «Credo di sì». Blaise si girò verso il parabrezza. La luce viola illuminò i suoi capelli neri. «È più grave di quanto pensassi». Le lacrime cominciarono a scorrere sulle guance, incontrollabili. «Ma mi aiuterai?». Blaise per un po’ picchiettò con le dita affusolate sul volante. Alla fine disse: «Certo che ti aiuterò. Devo. Siamo come sorelle… non ti lascerei mai in mezzo ai guai». Thea fu così contenta che le girò la testa. Paradossalmente, la felicità la fece piangere più forte. «Ho avuto tanta paura… è da quando è successo che cerco di capire cosa fare». Singhiozzò. Blaise la guardava sorridendo con una strana luce negli occhi grigi. «Blaise?» «Ti aiuterò», disse Blaise, continuando a sorridere. «Lo prenderò per me. E poi lo ucciderò per aver messo in pericolo mia sorella». Per un momento nell’animo di Thea tutto rimase perfettamente immobile… e il momento successivo scoppiò il caos. «Mai», disse. «Mi senti, sorella? Mai». Blaise continuò a guidare, perfettamente calma. «Adesso non ti rendi conto che è la cosa migliore. Ma un giorno mi ringrazierai». «Blaise, ascoltami. Se fai del male a lui, lo fai a me». «Ti passerà». Sotto le luci arcobaleno del Riviera, Blaise 79 sembrava un’antica divinità. «È meglio stare un po’ male ora che essere giustiziate poi». Thea era così arrabbiata che tremava. Così arrabbiata che fece uno sbaglio. Se avesse continuato a ribadire le sue ragioni, Blaise alla fine l’avrebbe ascoltata. Ma era furiosa e terrorizzata e parlò senza riflettere: «Be’, non credo che ci riuscirai. Non credo che potrai portarmelo via neanche volendo». Blaise la fissò, come se per una volta fosse rimasta senza parole. Poi gettò indietro la testa e rise. «Thea», disse. «Io posso portare via qualsiasi ragazzo a chiunque. In ogni luogo, in ogni situazione. È questo che faccio». «Non stavolta. Eric mi ama, e questo tu non puoi cambiarlo. Non riuscirai a prendertelo». Blaise sorrideva misteriosamente. Ma mentre sterzava per lasciare la Strip e immettersi di nuovo su strade poco illuminate, disse solo tre parole. «Aspetta e vedrai». Thea non dormì bene. Continuava a vedere il viso di Randy Marik, e nel sogno quel viso si tramutava in quello di Eric, rigato di sangue, con lo sguardo vacuo. Si svegliò e vide i raggi del sole che illuminavano la stanza. Era una camera da letto dalla personalità scissa. Una parte era ordinata e perfettamente arredata nelle tonalità blu pallido e verde foglia. L’altra metà era caotica e aveva solo quel colore, il colore primigenio, quello che risvegliava le emozioni, che significava passione e odio. Rosso. Di solito Blaise stava lì, sotto la sua trapunta di velluto rosso Ralph Lauren, ma quella mattina era già uscita. 80 Brutto segno. Blaise si alzava presto solo quando c’era un motivo. Thea si vestì e scese al piano di sotto con circospezione. Il negozio era vuoto, a parte Tobia che era seduto con un’espressione scontrosa al suo solito posto, dietro il registro di cassa. Quando Thea lo salutò rispose con un grugnito, fissando il muro e passandosi una mano tra i riccioli castani. Di sicuro avrebbe preferito passare il weekend fuori come qualunque altro diciannovenne. Thea entrò nel laboratorio. Blaise, davanti al lungo tavolo, portava le cuffie e canticchiava fra sé. Di fronte a lei c’era un nuovo lavoro. Thea si avvicinò furtiva. Vide subito che era molto bello. Blaise era un genio nella creazione dei gioielli, che per la maggior parte ricalcavano modelli antichi. Creava collane con figure di api e farfalle, fiori a spirale, serpenti, delfini che saltavano. Tutto era vivo, gioioso… pieno di magia. Era lì che si vedeva il vero genio. Blaise metteva insieme ogni singolo elemento con uno scopo ben chiaro in mente. Le gemme venivano scelte per accrescere vicendevolmente il proprio potere: rubino per il desiderio, opale nero per l’ossessione, topazio per lo struggimento, granato per il calore. E asteria, lo zaffiro stellare grigio fumo a sei punte. La pietra di Blaise, dell’identico colore dei suoi occhi. Erano tutte sparse davanti a Blaise. Ma la sua magia non stava solo nelle gemme. Ogni gioiello aveva nascondigli segreti per le erbe, minuscole cavità da riempire di pozioni o polveri. Poteva letteralmente impregnare i gioielli di stregonerie. Anche il disegno nascondeva un incantesimo. Ogni linea, ogni curva ogni stelo aveva un significato, poteva 81 ipnotizzare chi lo guardava come un simbolo tracciato sul terreno col gessetto. Semplicemente bastava guardare quel gioiello per rimanere stregati. La collana a cui stava lavorando in quel momento era assolutamente mortale. Thea la vedeva prendere forma. Blaise si serviva del metodo di lavorazione a cera persa: scolpiva prima i suoi pezzi nella cera blu, dalla quale ricavava degli stampi in cui colava l’oro, l’argento o il rame. Il pezzo che stava realizzando in quel momento era da mozzare il fiato. Da far fermare il cuore. Un capolavoro intricato che avrebbe avuto quasi lo stesso effetto della cintura magica di Afrodite: nessun maschio avrebbe potuto guardarlo senza cadere sotto il suo incantesimo. E lei aveva un po’ del sangue di Eric. L’ingrediente vitale che le avrebbe permesso di personalizzare quell’incantesimo per lui. La cosa buona era che avrebbe impiegato qualche giorno per completare il pezzo, ma una volta finito… Eric non aveva speranze. Thea indietreggiò, senza sapere se Blaise l’avesse vista o no. In realtà, non faceva differenza. Si diresse meccanicamente verso la camera da letto. Lei ed Eric erano anime gemelle. Ma Blaise era, in un certo qual modo, Afrodite in persona. E chi avrebbe resistito a tanto? Che cosa farò? Anche lei aveva un po’ del sangue di Eric sull’angolo del fazzoletto. Ma non avrebbe mai potuto superare Blaise nella creazione di incantesimi d’amore. Sua cugina aveva anni di esperienza e un talento naturale che le permetteva di surclassare tutti gli altri. 82 Perciò devo escogitare qualcos’altro. Qualcosa per impedirle di arrivare a lui, prima di tutto. Per proteggerlo… Thea si scosse. Non posso. È troppo pericoloso. Gli incantesimi d’invocazione non sono per le vergini. Perfino il Circolo Interno deve servirsene con cautela. Ma la nonna ha l’occorrente. Lo so. Ho visto la scatola. Anche solo provarci potrebbe uccidermi. Una strana serenità la pervase. Concentrarsi su quello – sul rischio – era meglio che pensare a quello che la nonna avrebbe detto se l’avesse scoperta. Non aveva paura di affrontare il pericolo per Eric. E finché continuava a riflettere su quello, poteva bloccare il pensiero che la sua idea non solo era pericolosa, ma era sbagliata. Scese le scale come una sonnambula. Calma e distaccata. «Toby, dov’è la nonna?». Lui sollevò la testa soltanto di un centimetro. «Doveva vedersi con Thierry Descouedres. Qualcosa a proposito delle sue terre. Mi ha detto di andare a riprenderla stasera». Thierry era un vampiro e un Signore della Notte. Possedeva gran parte della terra a nordest di Las Vegas, ma che c’entrava la nonna? Non importava. La cosa importante era che sarebbe stata via tutta la giornata. «Be’, allora perché non esci a divertirti un po’? Posso sorvegliare io il negozio». Tobias la guardò spalancando gli occhi blu, e poi il suo viso rotondo s’illuminò. «Davvero? Lo faresti sul se- 83 rio? Ti darei un bacio. Vediamo, andrò a trovare Kishi… no magari Zoe… o forse Sheena…». Come ogni stregone della sua età era terribilmente popolare fra le giovani streghe della città. Ancora borbottando tra sé, controllò il portafoglio, afferrò le chiavi della macchina e si diresse verso la porta come se Thea potesse cambiare idea da un momento all’altro. «Tornerò in tempo per andarla a prendere. Prometto», disse in fretta, e poi uscì. Appena fu sola, Thea voltò il cartello sulla porta per indicare che il negozio era chiuso, diede una mandata, e in punta di piedi raggiunse il bancone. Era sul ripiano chiuso in basso. Uno scrigno di ferro che pareva avere almeno cinquecento anni. Thea lo sollevò a fatica: era davvero pesante. Stringendo i denti e tenendo gli occhi fissi sulla tenda di perline che separava il negozio dal laboratorio della nonna, barcollò su per le scale. Scese altre due volte a prendere gli ingredienti necessari. La tenda non si mosse mai. Alla fine andò nella camera della nonna. Appeso a un chiodo vicino alla testata del letto c’era un grosso anello di ferro con dozzine di chiavi. Thea lo prese. Tornò in camera sua, chiuse la porta e ci piazzò un asciugamani sotto, così che Blaise non sentisse puzza di fumo. Ok, ora apriamo questa cosa. Si mise a sedere a gambe incrociate di fronte allo scrigno. Non fu difficile trovare la chiave adatta alla serratura, le bastò cercare quella più vecchia e arrugginita del mazzo. Entrava alla perfezione e lo scrigno si aprì. Dentro c’era una cassetta di bronzo, e dentro quella, una d’argento. 84 Nella cassetta d’argento c’era un libro antico, con i fogli ingialliti e friabili, e una bottiglietta verde con il tappo sigillato da cera e nastri. C’erano anche trenta o quaranta amuleti. Thea ne prese uno e lo esaminò. Una ciocca di capelli biondi era stata intrecciata su se stessa a formare un nodo, poi sigillata con un pezzo rotondo di argilla. L’argilla era di uno scuro rosso terroso e Thea la guardò con reverenza. Era stata fatta con fango… e col sangue di una strega. Probabilmente un Circolo intero ci si era dedicato per settimane: potenziare il sangue, cantare, mescolarvi ingredienti segreti, cuocerlo nel fuoco rituale. Sto toccando una strega, pensò Thea. L’essenza stessa di qualcuno che è morto da centinaia di anni. Il simbolo cabalistico stampato sull’amuleto avrebbe dovuto indicare chi era la strega a cui il monile era associato. Ma molti pezzi d’argilla erano così consumati che Thea non riusciva a trovare traccia di un simbolo. Non preoccuparti. Nel libro troverai la descrizione della strega giusta, poi dovrai solo capire qual è il suo amuleto. Girò con attenzione le fragili pagine, cercando di decifrare quella scrittura sbiadita e filiforme. Ix U Sihnal, Annie Butter, Markus Klingelsmith…, no, sembravano tutti troppo pericolosi. Lucio Cagliostro, forse. Ma non voleva un alchimista. Dewi Ratih, Omiya Inoshishi… Aspetta un attimo, Phoebe Garner. Scorse con impazienza la pagina dedicata a Phoebe. Una gentile ragazza inglese vissuta prima dell’Epoca dei Roghi e che aveva posseduto i famigli. Era morta giovane di tubercolosi, ma chiunque l’avesse conosciuta la considerava una vera benedizione, perfino gli umani, che ne apprezzavano l’abilità di allontanare gli incantesimi 85 dal villaggio. I suoi concittadini avevano pianto sulla sua tomba. Perfetto, pensò Thea. Poi cominciò a rovistare fra gli amuleti, cercandone uno che portasse impresso sull’argilla lo stesso simbolo che appariva sul libro sotto il nome di Phoebe. Eccolo! Posò l’amuleto sul palmo della mano. I capelli di Phoebe erano di un castano ramato, molto delicati. Bene, ora doveva preparare il falò. Bisognava usare legno di frassino e di quercia, i due tipi che erano stati bruciati per cuocere l’argilla. Thea raccolse i bastoncini secchi nel più grande braciere di bronzo della nonna, e diede loro fuoco. Ora aggiungere schegge di quassia, cardo benedetto, radice di mandragola. Servivano solo a risvegliare un potere generico. La vera magia stava nella bottiglietta ricavata da un singolo pezzo di malachite. Era la pozione d’invocazione, e Thea non aveva la minima idea di cosa contenesse. Scalfì la cera con le unghie, finché il tappo non poté girare liberamente. Poi fece una pausa, le mani che le tremavano, il cuore che martellava nel petto. Fino a quel momento, aveva solo guardato cose che le erano precluse: una colpa perdonabile. Adesso stava per accendere un fuoco proibito… e quello non era perdonabile. Se gli Anziani avessero scoperto cosa aveva fatto… Tirò via il tappo. 86 Capitolo 8 U n odore acuto e acre le assalì le narici. Mentre teneva la bottiglietta al di sopra delle fiamme dovette chiudere gli occhi più volte per scacciare via le lacrime, poi con molta attenzione la inclinò. Una goccia, due gocce, tre. Il fuoco divampò, divenne blu. Era pronto. Il falò era l’unico modo per far arrivare uno spirito dall’altro lato, se non si voleva attraversare il velo e andarselo a prendere di persona. Thea strinse l’amuleto di Phoebe con entrambe le mani e lo spezzò, spaccando l’argilla e rompendo il sigillo. Poi, tenendolo sul fuoco, pronunciò le parole di potere che aveva sentito dire agli Anziani durante l’ultimo Samhain. «Che il Potere delle Parole di Ecate possa venire a me». Le parole si presentarono subito alla sua mente, scivolando fuori dalla sua bocca. Le ascoltò come se fossero pronunciate da qualcun altro. Da oltre il velo… io ti richiamo! Attraverso le nebbie degli anni… io ti richiamo! Dal vuoto aereo… io ti richiamo! Per il sentiero angusto… io ti richiamo! Al cuore della fiamma… io ti richiamo! Giungi in fretta, a mio vantaggio, e senza indugio! Sentì una tonante vibrazione, come se un terremoto scuotesse il pavimento. Al di sopra delle normali fiamme 87 ne divamparono altre: fiamme fredde, spettrali, blu pallido e violette, che si alzarono a lambirle le nocche. Cominciò ad aprire le mani, per far cadere l’amuleto dentro quel fuoco magico. Ma proprio mentre stava per farlo, sentì un tremendo rumore. La porta della camera da letto si spalancò all’improvviso, e per la seconda volta in dodici ore dovette assistere con orrore all’apparizione di Blaise. «Balla tutto… che combini?» «Blaise, resta indietro!». Blaise strabuzzò gli occhi. Spalancò la bocca e fece un balzo avanti. «Che stai facendo?» «Ho quasi finito…». «Sei pazza!». Blaise cercò di strapparle l’amuleto dalle mani, poi, dato che Thea non cedeva, afferrò la scatola d’argento. «Lasciala!», Thea prese l’altro lato della scatola. Iniziarono a tirarla con forza, ognuna dalla sua parte. Il fuoco bruciava le mani di Thea. «Lasciala!», urlò Blaise, cercando di strapparle di mano la scatola. «Ti avverto…». Le dita di Thea erano umide di sudore. La scatola le sfuggì. Fu allora che successe. Blaise cadde all’indietro facendo rovesciare la scatola, e gli amuleti si sparsero ovunque. Ciocche di capelli grigi, neri, rossi, tutti per aria. La maggior parte ricadde a terra, ma una ciocca finì direttamente nel falò. Thea sentì lo schianto del sigillo d’argilla che si spezzava. Restò impietrita per un istante, poi mise la mano nel fuoco. Ma l’argilla era già rovente: era diventata bianca per il calore. Non riusciva a toccarla. Per un attimo sol- 88 tanto, le parve di vedere un simbolo scolpito in mezzo al blu delle fiamme, e poi esplose un lampo, come un fulmine a ciel sereno. La forza d’urto la catapultò sul letto di Blaise, e mandò Blaise contro il muro. Quel lampo formò una colonna e qualcosa schizzò fuori. Thea, più che vederla, la percepì. Una forma spettrale che si scatenò per la stanza come una furiosa folata di vento artico. Spedì per aria libri e vestiti. Quando raggiunse la finestra, sembrò fermarsi un istante, come per raccogliersi, poi schizzò via attraversando il vetro. Era sparita. «Grande Madre della Vita», sussurrò Blaise, ancora contro la parete. Fissava la finestra con gli occhi spalancati e lucidi per la paura. Era spaventata. Blaise era spaventata. Fu allora che Thea capì che era successo qualcosa di grave. «Cosa abbiamo fatto?», mormorò. «Cosa abbiamo fatto… cosa hai fatto, semmai», scattò Blaise, mettendosi a sedere e riacquistando l’autocontrollo. Era di nuovo se stessa, o quasi. «Cos’era quella cosa?». Thea indicò timidamente gli amuleti sparpagliati. «Cosa credi che fosse? Una strega». «Ma chi?» «Come faccio a saperlo?». Thea stava quasi gridando, la paura cedette il posto alla rabbia. «Questa è quella che stavo riportando indietro». Raccolse i capelli ramati e l’amuleto spezzato di Phoebe Garner. «Quello era un amuleto qualunque che è caduto quando hai preso la scatola». 89 «Non cercare di dare la colpa a me. Tu sei quella che fa gli incantesimi proibiti. Tu sei quella che invoca gli antenati. E qualunque cosa accada con quella roba», Blaise indicò la finestra, «tu sei responsabile». Si alzò, ergendosi in tutta la sua altezza. «E questo è quello che ti meriti per aver cercato di aizzarmi contro gli spiriti!». Si voltò, e a grandi falcate uscì dalla stanza. «Non stavo aizzando gli spiriti contro di te!», gridò Thea, ma la porta si era già chiusa violentemente. La rabbia di Thea svanì. Era sconvolta, inebetita. Guardò la scatola d’argento rovesciata, dove aveva messo il fazzoletto con il sangue di Eric. Cercavo solo di trovare qualcuno che proteggesse lui. Qualcuno che lo aiutasse a respingere i tuoi incantesimi, che capisse che è una persona, anche se è un umano. Si guardò intorno desolata. Poi, sentendosi più vecchia della nonna, si rimise in piedi a fatica e cominciò meccanicamente a ripulire. Rovesciando la cenere dal braciere, trovò una specie di residuo attaccato al fondo. Non riusciva a lavarlo via e neanche a grattarlo con un coltello. Infilò il braciere sotto il letto. Mentre riordinava, continuava a rimuginare. Chi era sbucato fuori? Non c’era modo di saperlo. Era impossibile arrivarci per esclusione, con tutti quegli amuleti privi di simbolo. Che faccio adesso? Non sapeva neanche quello. Se lo dico a qualcuno – anche alla nonna – dovrò spiegare perché stavo cercando di invocare i morti. Ma se la verità viene fuori, per me ed Eric sarà la fine. Verso il tramonto una limousine si fermò nel vicolo sul retro. Thea la vide dalla finestra e, allarmata, scese di corsa al piano di sotto. 90 Due vampiri educati e inespressivi stavano aiutando la nonna a scendere dall’auto. Servitori di Thierry. «Nonna, che cosa è successo?» «Non è successo niente. Sono solo un po’ debole, ecco tutto». Colpì uno dei vampiri con il suo bastone. «Posso fare da sola, figliolo!». «Signora», rispose il vampiro, che poteva anche avere tre o quattro volte gli anni della nonna. Rivolgendosi a Thea, disse: «Tua nonna è svenuta, per un po’ è stata abbastanza male». «E quell’apprendista sfaticato non s’è fatto vedere», disse la nonna, avviandosi verso l’ingresso posteriore. Thea rivolse ai vampiri un cenno di saluto. «Nonna, riguardo a Tobias… è stata colpa mia. Gli ho lasciato il giorno libero». Da tutto il giorno sentiva una terribile morsa allo stomaco, e adesso era anche peggio. «Stai male davvero?» «Non temere, per qualche anno mi avrete ancora tra i piedi». Cominciò a salire le scale, a fatica. «I vampiri non capiscono cosa vuol dire essere vecchi». «Perché sei andata lì?» La nonna si fermò per tossire. «Non sono affari tuoi, comunque per prendere delle decisioni con Thierry. Ha accordato al Circolo Interno il permesso di servirsi delle sue terre per Samhaim». Thea andò nel piccolo cucinotto a preparare una tisana. Poi, quando la nonna si mise sotto le coperte a sorseggiare la bevanda calda, si fece coraggio. «Nonna, quando gli Anziani invocano gli spiriti durante Samhaim… come li rispediscono indietro?» «Perché t’interessa?», rispose la nonna scorbutica. Ma poiché Thea non rispondeva e si limitava a guardarla, proseguì. «Ci sono degli incantesimi che vengono usati 91 per l’invocazione – e non chiedermi quali – e per rispedire indietro gli spiriti si pronunciano al contrario. La strega che invoca uno spirito deve essere la stessa che lo congeda». Quindi solo io posso farlo. «Tutto qui?», chiese Thea. «Oh. Naturalmente no. C’è un lungo procedimento per accendere il fuoco e spargere le erbe, ma se tutto viene fatto a dovere, si può far scendere lo spirito che sta fra le pietre erette e rispedirlo da dove è venuto». La nonna continuò a borbottare, ma Thea si soffermò sulla frase precedente. «Fra… le pietre erette…», le sfuggì. «Le pietre erette che circondano gli spiriti. Be’, Thea! Se non avessi un cerchio di qualche tipo per rinchiuderli, semplicemente… voom», la nonna fece un ampio gesto. «Scapperebbero via e chi li ritroverebbe più? Ecco perché oggi sono andata da Thierry», aggiunse sorseggiando rumorosamente la tisana. «Abbiamo bisogno di un luogo dove le arenarie formino un circolo naturale… e naturalmente tocca a me organizzare tutto…», continuò a lagnarsi a bassa voce. Thea si sentì svenire. «Devi essere fisicamente vicino allo spirito, per rispedirlo indietro?» «Naturalmente. E non credere che non sappia perché me lo chiedi». Thea rimase senza fiato. «Stai architettando qualcosa per Samhaim… e probabilmente è un’idea di Blaise. Voi due siete come Maya e Hellewise. Scordatevelo: questi sono incantesimi per gli Anziani, non per le vergini». Smise di parlare per tossire. «Non capisco perché volete diventare vegliarde quando 92 siete ancora vergini. Dovreste godervi la vostra gioventù, finché l’avete…». Thea la lasciò che ancora borbottava. Non aveva tracciato alcun cerchio prima di invocare lo spirito: non sapeva che avrebbe dovuto farlo. E ora… come poteva avvicinarsi abbastanza a quella cosa? Be’, dovrà restare nel mondo, si disse per farsi coraggio. Davvero un peccato… ma tanto ci sono altri spiriti che se ne vanno in giro come se niente fosse. Magari, se non gli piacerà vagabondare, tornerà indietro. Ma si sentiva male per il senso di colpa, era scoraggiata. E preoccupata – anche se solo un po’ – per lo svenimento della nonna. Blaise non salì in camera. Restò al piano di sotto e lavorò alla sua collana fino a notte inoltrata. Lunedì a scuola parlavano tutti di Randy Marik e del ballo andato a monte. Le ragazze erano seccate e furiose con Blaise; i ragazzi erano seccati e furiosi con Randy. «Stai bene?», chiese Dani a Thea dopo la lezione di letteratura. «Sembri un po’ pallida». Thea sorrise debolmente. «È stato un weekend impegnativo». «Davvero? Hai fatto qualcosa con Eric?» Il tono con cui pronunciò quel “qualcosa” allarmò Thea. Il viso a forma di cuore di Dani era come sempre dolce e premuroso… ma Thea non riusciva a fidarsi nemmeno di lei. Era una Creatura delle Tenebre, una strega, e odiava gli umani. Non importava. Thea era così nervosa che le parole le uscirono di bocca senza che lei potesse farci niente. «Fa- 93 re qualcosa tipo? Sfasciargli la macchina? Trasformarlo in un rospo?» Dani sembrò scioccata, e spalancò gli scuri occhi vellutati. Thea si voltò e si allontanò in fretta. Stupida, stupida, si disse. Sei stata una completa idiota. Forse non devi più fingere di giocare con Eric di fronte a Blaise, ma davanti alle altre streghe devi continuare a recitare. Senza quasi guardare dove andava, si diresse all’armadietto di Eric, ignorando le persone che incrociava. Sto qui solo da una settimana. Come può essere diventato tutto così orribile nella mia vita? Sono in guerra con Blaise; ho fatto un incantesimo proibito; non ho il coraggio di parlare alla nonna… e ho infranto la legge del Mondo delle Tenebre. «Thea, ti cercavo». Era la voce di Eric. Affettuosa, piena di speranza… l’esatto contrario di Thea. Si voltò e vide gli occhi verdi, luminosi e screziati di grigio e quel sorriso meraviglioso. Un sorriso che l’assorbì completamente, rischiarando il mondo. Magari sarebbe andato tutto bene, dopotutto. «Ieri ti ho chiamato, ma continuava a rispondermi la segreteria». Thea non aveva neanche ascoltato i messaggi. «Scusa… sono successe un sacco di cose». Eric aveva un’aria così gentile che Thea si sentì in dovere di dargli almeno una spiegazione. «Mia nonna è stata male». Lui si fece subito serio. «È terribile». «Sì». Thea cercò nello zaino il cuscinetto di erbe che vi aveva riposto quella mattina. Poi esitò. «Eric… c’è un 94 posto dove possiamo parlare da soli? Solo per pochi minuti? Voglio darti una cosa». Lui sbatté gli occhi, poi inarcò le sopracciglia. «Non chiedo di meglio. E conosco il posto adatto. Andiamo». La condusse attraverso il campus fino a un grosso edificio isolato dal resto del complesso. Aveva un aspetto squallido, e la vernice sul portone a due ante era scrostata. Uno striscione annunciava a lettere arancioni e nere: NON PERDETEVI LA PIÙ INCREDIBILE FESTA DI HALLOWEEN «Dove siamo?». Eric, che stava aprendo la porta, si portò un dito alle labbra. Diede un’occhiata dentro, poi le fece un cenno. «È la vecchia palestra. Dovrebbero ristrutturarla come centro servizi per gli studenti, ma non ci sono abbastanza soldi. E adesso… cos’è che volevi darmi?» «È…». Quando capì dove si trovava, restò impietrita, e ogni pensiero sul cuscinetto di erbe svanì dalla sua mente. «Eric…». Si guardò intorno con gli occhi sbarrati, sentendo una lenta ondata di nausea che cominciava ad agitarle lo stomaco. «È per la festa di Halloween?» «Sì. Ogni semestre organizzano un paio di eventi per raccogliere fondi. È un po’ strano… ma è stato fatto anche l’anno passato e ha portato un sacco di soldi». “Strano” non è il termine giusto, pensò Thea esterrefatta. Strano non si avvicina neanche lontanamente a questo. Metà della sala era vuota, solo un pavimento di legno consunto, un tabellone da basket rotto, e tubazioni scoperte lungo il soffitto. L’altra metà però sembrava un incrocio fra una prigione medievale e una sala da gioco. L’attraversò lentamente, i passi riecheggiavano nel vuoto. 95 Stand di legno di varie dimensioni erano decorati con carta crespa nera e arancione e ragnatele finte. Thea lesse un’insegna dopo l’altra. «Prevediamo il fututo…. Tiro alla Strega… Pesca delle teste essiccate?». «In realtà si pescano mele», disse Eric, che sembrava imbarazzato. «E non si gioca davvero d’azzardo. Si usano i soldi finti e poi si scambiano con dei premi». Thea non riusciva a smettere di fissare gli stand. Ruota della Tortura: una ruota della fortuna con il fantoccio di una strega legato al centro. Blackjack Maledetto. Freccette del Diavolo… un gioco di freccette con una strega di sughero come bersaglio. E c’erano immagini di streghe dappertutto. Streghe di pezza appese a cappi che pendevano dalle tubazioni. Streghe di cartone che spiavano maligne in cima agli stand. Streghe di carta che ballavano sulle pareti. Erano grasse, magre, con i capelli bianchi, grigi, con gli occhi storti, strabici, con le verruche, buffe, spaventose… e brutte. Questa era la sola cosa che avevano in comune. È questo che pensano di noi. Gli umani. Tutti gli umani… «Thea? Stai bene?» Thea si voltò di scatto. «No, non sto bene». Fece un gesto ad indicare la sala. «Vuoi guardare questa roba? Credi davvero che sia divertente? Che ci sia qualcosa da festeggiare?». Senza rendersi conto di ciò che faceva, lo fece voltare perché potesse guardare bene la Vergine di Ferro… una copia di legno della macchina di tortura, con punteruoli di gomma. «Cosa farà la gente? Pagherà il biglietto per entrare là dentro? Non capiscono che una volta era vera? Che ci si mettevano persone vere, e che quando si chiudeva il co- 96 perchio, quei punteruoli gli si conficcavano dentro, nelle braccia e nello stomaco, e negli occhi…». Non riuscì a continuare. Eric sembrava ferito come Dani poco prima. Non l’aveva mai vista così. «Thea, ascolta, mi dispiace… non avevo mai pensato…». «O quella», indicò la Ruota della Tortura. Continuava a parlare, non riusciva a fermarsi. «Sai come funzionava realmente? Mettevano la strega sulla ruota, le spezzavano tutte lo ossa, così potevano farle passare braccia e gambe attraverso i raggi come spaghetti. Poi mettevano la ruota su un palo e la lasciavano lì a morire…». Il viso di Eric si contorse per l’orrore. «Dio, Thea…». «E queste immagini… le streghe che venivano torturate non avevano la pelle verde e gli occhi maligni. Non erano mostri, e non avevano nulla a che fare col diavolo. Erano persone». Eric cercò di accarezzarla, ma lei si ritrasse, fissando una strega particolarmente brutta sul muro. «Pensi che questo sia un posto adatto per una festa? Che sia un bel divertimento? Che le streghe avessero quest’aspetto?». Allungò il braccio di scatto, sull’orlo di una crisi isterica. «Be’, lo pensi?». Con gli occhi della mente, vide con chiarezza com’era diviso il mondo: Dani e Blaise e tutte le altre streghe a sinistra; Eric e tutti gli studenti della scuola a destra. Le razze si odiavano e si disprezzavano a vicenda… e lei da qualche parte nel mezzo. Eric le mise una mano sulla spalla. «No, non credo che sia un posto adatto. Thea, mi vuoi ascoltare per un secondo?». La stava scuotendo, ma lei vide che aveva le lacrime agli occhi. 97 «Mi sento malissimo», le disse. «Non ho mai preso sul serio tutta questa roba – ed è stata una mia stupida colpa, e so che non è una scusa. Ma ora che me lo dici, capisco quanto è orribile. E non avrei mai dovuto portare qui proprio te, fra tutti…». Thea, che aveva cominciato a rilassarsi, s’irrigidì di nuovo. «Perché non me, “fra tutti”?». Eric esitò un attimo, poi la guardò negli occhi e parlò piano. «Per il negozio di tua nonna. Voglio dire, so che sono solo erbe e suggestioni, ma so anche che un tempo qualcuno l’avrebbe denunciata, l’avrebbe chiamata strega». Thea si rilassò di nuovo. Non era un problema che la gente pensasse che la nonna era una strega, se per “strega” intendevano una vecchia stravagante che parlava alle piante e si inventava lozioni casalinghe per capelli. E non riusciva a non credere a Eric, le bastava fissare quegli occhi verdi per fidarsi di lui. Ma vide un’opportunità e la colse. «Sì, e probabilmente avrebbero bruciato me per averti fatto questo regalo», gli disse, aprendo la mano. «E tu probabilmente ti saresti spaventato, o ti saresti fatto prendere dalla superstizione, se ti avessi chiesto di tenerlo con te tutto il tempo: avresti pensato che volevo farti qualche sortilegio…». «Non avrei pensato proprio a niente», rispose lui deciso, e prese il piccolo involto verde. Aveva l’odore fresco degli aghi di pino del New Hampshire, ed era proprio quello il contenuto… principalmente. Aveva aggiunto qualche erba protettiva e un cristallo di Ishtar, un berillo dorato a trentatré facce, sul quale era inciso il nome della dea madre babilonese. Era tutto quello che poteva fare per aiutarlo a respingere gli incantesimi di Blaise. 98 «Lo avrei baciato soltanto e me lo sarei messo in tasca, senza mai separarmene», continuò Eric. E così fece, fermandosi dopo il bacio per dire: «Mmm, ha un buon odore». Thea non poté fare a meno di sorridergli. Si azzardò a dire: «Veramente, è solo per ricordarti di me». «Non lascerà mai le mie tasche», disse lui solennemente. Be’, aveva funzionato. «Guarda, probabilmente possiamo fare qualcosa per la festa», disse Eric, guardandosi intorno. «Il comitato scolastico non vuole cattiva pubblicità. Che ne dici se corro a prendere in prestito una macchina fotografica dall’aula di giornalismo? Potremmo fare qualche foto e la gente capirebbe perché protestiamo…». Thea diede un’occhiata all’orologio. «Perché no? Tanto credo di aver già perso francese». Lui sorrise. «Torno fra un minuto». Quando rimase sola, Thea si aggirò lentamente fra gli stand silenziosi, persa nei suoi pensieri. Ci sono stati momenti, durante la mia crisi isterica, in cui gli ho quasi detto la verità. E dopo ho pensato che forse aveva capito da solo. Ma sarebbe poi così terribile? È già condannato a morte solo perché l’amo; non fa differenza che lo sappia o meno. E se lo sapesse… che direbbe? Magari non ha problemi con le streghe finché per lui rimangono una cosa astratta, ma davvero ne vuole una come ragazza? Il solo modo di scoprirlo era chiederglielo. Si appoggiò a una scala e guardò senza davvero vederla un’incerata distesa sotto un cappio che penzolava. Ov- 99 viamente, erano solo congetture. Che futuro potevano mai avere…? Improvvisamente Thea si rese conto di cosa stava guardando. Da sotto il telo spuntava una scarpa, e la scarpa era attaccata a qualcosa. Inconsciamente, aveva immaginato che fosse un altro fantoccio… ma ora mise a fuoco la scena. Le venne subito la pelle d’oca. Perché mai avrebbero dovuto mettere a una strega delle Nike nere alte alla caviglia? 100 Capitolo 9 L a scarpa era così fuori luogo in quella scena che per un istante Thea pensò che i suoi occhi le stessero giocando un scherzo. Era sicuramente colpa di quell’atmosfera tetra… la stanza cupa e oppressa da tutti i suoi macabri stand. Magari doveva solo distogliere lo sguardo e poi osservare meglio… Era ancora lì. Dovrei aspettare, dovrei chiamare qualcuno. Potrebbe essere qualcosa di terribile. Ci sono le autorità umane; dovrei almeno aspettare Eric. Thea si ritrovò a muoversi come in sogno, al rallentatore. Strinse fra indice e pollice l’orlo del telo e lo sollevò giusto di qualche centimetro. C’era una gamba attaccata alla scarpa. Una gamba in blue jeans. Non era un fantoccio. E poi c’era un’altra scarpa. Fu sommersa da un’ondata di orrore e adrenalina. E, stranamente, lo shock la aiutò a riprendersi. Il suo primo pensiero fu: È una persona e potrebbe essere ferita. Passò in modalità soccorso, frapponendo un muro fra sé e la propria paura. “Aspetta, stai bene? Fammi vedere…”. Tirò l’incerata, strattonandola per farla venir via. Vide delle gambe, un corpo, dita serrate sulla manica del fantoccio di una strega vestita di nero… 101 Poi vide la testa e fece un salto indietro, con le mani premute sulla bocca. Aveva dato solo un’occhiata, ma quello che aveva visto le era rimasto impresso a fuoco nella mente. Un viso grigio e blu, orribilmente gonfio. Gli occhi che sporgevano in modo grottesco. La lingua simile a una salsiccia che spuntava fra le labbra livide… Le cedettero le gambe. Aveva già visto dei morti. Aveva partecipato alle cerimonie di commiato dove le spoglie mortali delle streghe venivano restituite alla terra. Ma quelle erano morti naturali, e i cadaveri sembravano sereni. Mentre questo… Sembrava essere un ragazzo. Aveva i capelli corti e il torace piatto. Ma era impossibile riconoscere la faccia. Un’espressione così stravolta – non pareva neanche umana… È stata una morte violenta. Possa il suo spirito essere liberato, e non trattenuto qui dal bisogno di vendetta. Oh, Sekhmet, dea egizia dalla testa leonina; Signora della Morte, Tu che apri la via, Sekhmet che riduci al silenzio… I suoi pensieri sconnessi furono interrotti quando la luce del sole penetrò nella stanza. Eric esclamò: «Sono tornato!». Thea si alzò. Le gambe minacciavano di cedere un’altra volta. Aprì la bocca, ma ne uscì solo un sussurro. «Eric…». Lui la raggiunse di corsa. «Cosa c’è che non va? Thea?» «C’è un morto». Eric stralunò gli occhi incredulo, poi fissò il corpo alle spalle di Thea. Fece un passo verso la cosa sul pavimento, si fermò, si accovacciò e restò a osservarla per un se- 102 condo. Poi si voltò di scatto e abbracciò Thea come se potesse in qualche modo proteggerla da quello che aveva visto. «Non guardare; non guardare», ansimò. «Oh, Dio, è orribile». «Lo so. L’ho visto». «È orribile; così orribile…». Continuavano a stringersi. Era il solo rifugio che avevano in quell’incubo. «È morto. Quel ragazzo è morto», disse Eric. Era ovvio, ma Thea capiva il suo bisogno di sfogarsi. «Non c’è nulla che possiamo fare per lui. Oh, Dio, Thea, credo sia Kevin Imamura». «Kevin?». Puntini neri danzavano davanti agli occhi di Thea. «Non, non può essere…». «Gli ho visto quella camicia altre volte. E i capelli… e fa parte del comitato che si occupa delle decorazioni di questo posto. Probabilmente stava preparando quel pupazzo». La mente di Thea le mostrò un’immagine orribile. Un graffio rimarginato sul quel viso tumefatto, simile alla ferita prodotta dal taglio di un rasoio. E i morbidi capelli neri…, sì, poteva essere Kevin. E questo voleva dire… Blaise. «Andiamo», stava dicendo Eric con voce stupefatta e strozzata. «Dobbiamo avvertire la preside». Stordita, Thea si lasciò guidare da lui. La sua mente era da tutt’altra parte. Blaise. Blaise sapeva… Blaise avrebbe potuto… Non riusciva neppure a formulare quel pensiero, ma non poteva scacciarlo. …arrivare fino in fondo? Non solo versare del sangue, ma prendere una vita? 103 Era proibito alle streghe. Ma gli Harman erano in parte lamie, e a volte i vampiri uccidevano per il potere. possibile che Blaise si fosse addentrata così tanto nell’oscurità? Dopo essere andati in presidenza, gli avvenimenti si succedettero in fretta, ma Thea non era realmente presente. Intorno a lei le attività fervevano: le segretarie, la preside, la polizia. Era grata a Eric, che continuava a ripetere la loro versione dei fatti ininterrottamente, in modo che lei non dovesse fare nulla. Devo trovare Blaise. Erano di nuovo davanti alla palestra. La polizia delimitava l’edificio col nastro giallo. Studenti e insegnanti si accalcavano per guardare la scena. Thea osservò la folla, ma non vide Blaise da nessuna parte. Sentiva i commenti della gente intorno a lei. «Ho saputo che era Kevin Imamura». «Qualcuno ha detto che il ragazzo del ballo è tornato e l’ha beccato». «Eric! Eric, tu l’hai visto davvero?». Poi una voce sovrastò le altre. «Ehi, preside Cheng, che ne sarà della festa di Halloween? Per allora la palestra sarà agibile?». La preside, che parlottava con un paio di agenti di polizia, si voltò. Con i capelli neri che le svolazzavano davanti agli occhi, mossi dal vento, si rivolse a tutti i presenti. «Non so cosa ne sarà della festa. Si è consumata una tragedia, e ora ci saranno delle indagini. Dobbiamo solo aspettare e stare a vedere cosa succede. Per favore, gli insegnanti riaccompagnino gli alunni in classe». 104 «Non posso rientrare», bisbigliò Thea. Lei ed Eric erano un po’ in disparte e la folla si stava assottigliando. Sembrava che gli altri li avessero dimenticati. «Ti riporto a casa», disse immediatamente Eric. «No, devo trovare Blaise. Devo chiederle una cosa». Cercò di pensare lucidamente, anche se era ancora inebetita. «Eric, avrei dovuto dirtelo prima. Devi stare attento». «A cosa?» «A Blaise». Lui la fissò, incredulo. «Thea…». Rivolse lo sguardo alla vecchia palestra. «No puoi credere che lei c’entri qualcosa con… quanto è successo a Kevin». «Non lo so. Potrebbe aver convinto qualcuno a ucciderlo, o averlo spinto a togliersi la vita». Thea parlava a voce bassa. Guardò Eric negli occhi, desiderava con tutte le sue forze che le credesse. «Eric, so che non riesci a capire, ma quello che ti ho detto di lei è vero. È come Afrodite. O Medea. È felice quando distrugge qualcosa. Specie quando s’infuria… e ora è furiosa con te». «Perché?» «Perché mi hai preferito a lei… perché mi piaci… per un sacco di motivi. Questo non ha importanza. Il punto è che potrebbe venire a cercarti. Potrebbe provare a… sedurti. E…», Thea guardò il nastro giallo intorno all’edificio, mosso dal vento, «…potrebbe cercare di farti del male. Quindi, starai attento se la vedi? Me lo prometti?». Eric era esterrefatto e sconvolto, ma annuì lentamente. «Te lo prometto». «Ci vediamo dopo allora. Ci sono ancora delle cose di cui dobbiamo parlare, ma prima devo trovare Blaise». 105 Si incamminò, lasciando Eric solo, a ripararsi dal vento. Era consapevole che lui la stava fissando. Poi Thea si accorse che qualcuno la chiamava a gesti. Era Dani, e sembrava preoccupata. «Thea, stai bene?» «Più o meno». Thea fece una risata molto poco convincente. «Hai visto Blaise nei paraggi?». La mano morbida di Dani accarezzò la sua. «Lei e Vivienne sono andate a casa… a casa tua, cioè. Io torno con te, se ti va. Non dovresti restare da sola». Thea le strinse la mano. «Grazie, mi farebbe piacere». Si sentì grata e sollevata che Dani non ce l’avesse con lei. «Dani, volevo scusarmi per come mi sono comportata prima…». «Non ci pensare. Non so cosa possa aver detto di sbagliato, ma non volevo farti arrabbiare. Thea, stai bene sul serio? Davvero? Perché non voglio turbarti ancora di più…». «Perché?», rispose, e poi: «Che succede, Dani?». «Tua nonna sta male. Ecco perché Blaise e Vivienne sono andate a casa: la mamma di Vivienne l’ha chiamata sul cercapersone. È una guaritrice – la mamma di Vivienne, intendo – e credo che voglia portare tua nonna a casa sua». Thea era agitata. Las Vegas attirava molte Creature delle Tenebre, ma la nonna si era trasferita lì per ben altre ragioni. Le lamie e i vampiri trasformati erano richiamati dai moltissimi umani di passaggio, di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza in caso di scomparsa. Le altre streghe venivano per i vortici di potere nel deserto. Ma la nonna era venuta per il clima caldo e secco. Aveva avuto problemi ai polmoni fin da bambina. 106 Per favore, fa’ che non sia grave, continuava a pensare Thea mentre Dani la riportava a casa in macchina. Si sentiva fragile, come se le avessero strofinato la pelle fino a farla diventare troppo sottile. Quando arrivarono al negozio, la nonna era già andata via. «Sta bene?», chiese Thea. «È qualcosa di grave?» «Non troppo grave», le rispose Tobias. «Oggi continuava a girarle la testa, poi ha avuto un attacco di tosse e non riusciva a smettere. Alla fine ha deciso che era meglio cercare qualcuno che cantasse per lei, per scacciare il male. E così ha chiamato la signora Morrigan». Oh, fantastico… i canti. Proprio quello che la nonna detesta. Doveva sentirsi davvero male se li ha chiesti. «Posso chiamarla?» «Io non lo farei», si intromise Vivienne. I suoi occhi verdi erano gentili, la voce rassicurante. «Sono sicura che a questo punto la mamma si starà occupando di lei, e quando inizia un canto, le occorre tutta la notte. Meglio non disturbarle. Ma non preoccuparti, Thea, la mia mamma è davvero brava». «Sì… non sono preoccupata», Thea si guardò intorno distrattamente, e alla fine fissò di nuovo Vivienne. «Hai saputo che cosa è successo a scuola?» «No», Vivienne era vagamente curiosa.«Che cosa è successo?». Invece di risponderle, Thea chiese:«Dov’è Blaise?» «Di sopra a preparare una borsa. Stanotte resta da me. Vieni anche tu, Thea?». Thea stava già correndo su per le scale. Si precipitò nella stanza che divideva con Blaise. Sua cugina stava preparando una piccola valigia. 107 Thea non si perse in chiacchiere. «Hai ucciso Kevin Imamura?». Blaise lasciò cadere a terra un body di seta nero. «Ho fatto cosa? Di che parli?» «È morto». «E tu pensi che sia stata io? Grazie molte, ma non è lui che voglio uccidere». Blaise socchiuse gli occhi e Thea sentì improvvisamente freddo. Poi inclinò la testa da un lato. «E com’è morto?» «È stato strangolato. Qualcuno lo ha ucciso». Blaise alzò solo un sopracciglio e mormorò: «Mmm, mi chiedo dove sarà Randy?». Prese una camicetta, la osservò e aggiunse: «Vuoi venire con me a casa di Viv? Sempre meglio che startene qua da sola». «Non so. Devo sorvegliarti per essere sicura che Eric non faccia la stessa fine di Kevin?». Blaise la incenerì con lo sguardo. «Quando vado dietro a un ragazzo, lo prendo. Non lo strangolo prima che inizi il divertimento». Chiuse di colpo la valigetta e uscì irata dalla stanza. Thea si mise a sedere sul letto. Nonostante le sue parole taglienti, Thea sapeva che non era stata Blaise. Sua cugina era rimasta genuinamente sorpresa quando le aveva parlato di Kevin. E Randy? Potrebbe essere stato lui, se è riuscito a scappare in qualche modo dal posto in cui l’avevano portato. Aveva un motivo per odiare Kevin. Eppure… Un’altra spiegazione le si affacciò alla mente con tale rapidità che Thea capì che doveva essere già nascosta nel suo animo da tempo. Lo spirito. 108 Rimase seduta per un tempo infinito, cercando di pensare. Era come tentare di ritrovare la strada in mezzo a una fitta nebbia. La nonna non c’è… e se sta male non posso darle altre preoccupazioni… Blaise, naturalmente, non mi aiuterà… ma devo potermi fidare di qualcuno… Dani bussò con gentilezza. «Posso entrare?». Quando Thea annuì, venne avanti e si andò a sedere sul letto di Blaise. «Sono uscite. Ho detto anche a Tobias che poteva andare: voleva vedere una ragazza. Io stasera resto con te, se vuoi». Thea fece un sospiro incerto. «Grazie Dani». «Senti Thea, non voglio farmi gli affari tuoi, ma… stai bene? Voglio dire, sei pallida come un cadavere…». Dani si morse il labbro. «Scusa. Brutta scelta di parole. Ma sono tua amica, e se c’è qualcosa che posso fare, vorrei aiutarti». Un altro sospiro. Poi Thea si decise. «Ho fatto un incantesimo proibito». Dani sembrò colpita, ma non sconvolta. «Quale?» «Ho invocato uno spirito». Dani non urlò né svenne, e Thea capì che poteva raccontarle tutta la storia. La sua invocazione… tutto, a parte il motivo per cui l’aveva fatto. «E adesso ho paura», concluse. «Ieri ho fatto uscire qualcosa, e oggi Kevin è stato ucciso. Non è stata Blaise. Lei pensa che Randy possa essere coinvolto, ma…». Thea scosse la testa. «Ma, Thea, ragiona. Perché dovrebbe avere qualcosa a che fare con il tuo incantesimo?». La razionalità di Dani era rasserenante. «Hai fatto uscire qualcuno, non qualcosa. Gli Anziani invocano i predecessori tutto il tempo 109 senza che succeda nulla di brutto. Ti senti in colpa solo perché sai che non dovevi farlo». «No, Dani, non so spiegartelo, ma la cosa che ho lasciato uscire… non era amichevole. Ha scagliato a terra me e Blaise. Nessuno degli spiriti invocati dagli Anziani lo ha mai fatto». «Be’…», Dani sembrava dubbiosa. «Ma perché uno dei predecessori dovrebbe voler uccidere un umano?» «Non lo so», rispose. Parlarne, in qualche modo, le aveva schiarito la mente. Disse piano: «Però, forse… il libro ce lo dirà». Dieci minuti dopo sedevano fianco a fianco sul letto di Thea, con lo scrigno di ferro sul pavimento e il libro in mezzo a loro. «Per cominciare, puoi dirmi qualcosa dell’amuleto che è caduto nel fuoco?», chiese Dani con tono indagatore, da ispettore della polizia. «Per esempio, se aveva i capelli grigi magari…». «La strega era vecchia». Thea la capì subito. «No, non erano grigi, né bianchi. Erano scuri… mogano, direi». Chiuse gli occhi, tentando di ricordare. «È successo tutto così in fretta, ma credo fossero lunghi. Erano ripiegati molte volte, nell’argilla». «Perciò forse era una donna». «Sì». Thea continuò a leggere per parecchi minuti. «Aspetta un momento. Guarda qua». «Suzanne Blanchet», lesse Dani con qualche difficoltà. «Nata nel milleseicentotrentaquattro a Esgavans, il giorno in cui vennero accesi dei falò per celebrare la pace tra Francia e Spagna. Processata nel milleseicentocinquantaquattro a Ronchain, prigioniera presso la corte di Rieux». 110 «E senti per quali accuse», disse Thea, cupa. «Aver lanciato un maleficio sul raccolto del grano, aver ucciso il bestiame, aver portato la fame nel paese, “e aver strangolato gli infanti di notte coi suoi lunghi capelli”». «Strangolato», sussurrò Dani. «Lei negò, quindi la torturarono. Ascolta: “Dopo essere stata un po’ sottoposta al supplizio della ruota, si mise ad urlare che non era una strega, ma quando intensificarono la tortura, ammise che era vero”». «E poi torturarono la sua famiglia», continuò Dani, spostando il dito qualche riga più sotto. «Oh, Iside, guarda qua. Aveva un fratello di dieci anni di nome Clement e una sorella di sei di nome Lucienne. Li torturarono entrambi». «E li bruciarono». Thea aveva cominciato a tremare in modo incontrollabile. La stanza non era fredda, ma lei aveva la sensazione che nelle vene le scorresse del ghiaccio. «Senti. “Ai bambini fu promessa la grazia di essere strangolati prima di venire messi al rogo, ma poiché il boia non aveva ricevuto la paga, furono consegnati vivi alle fiamme…”». Non riuscì a finire. «…davanti agli occhi della propria sorella», sussurrò Dani. Anche lei stava tremando, e si era rannicchiata accanto a Thea. «Come hanno potuto farlo?» «Non so», disse Thea con voce inespressiva. «Insomma, non mi meraviglio che le leggi del Mondo delle Tenebre siano così severe. Non c’è da stupirsi se dobbiamo restare nascoste: guarda cosa ci fanno se ci scoprono». Thea deglutì – non le andava di pensare alle regole del loro mondo. «E poi bruciarono Suzanne», proseguì piano, gli occhi fissi sul libro. «Quando la consegnarono alle 111 fiamme, proruppe in numerose esclamazioni, giurando vendetta a gran voce». «Lo fare anch’io», disse Dani, con una nota d’acciaio nella voce dolce. «Tornerei e li ucciderei». Di colpo si ammutolì, e lei e Thea si guardarono. «E forse è proprio quello che ha fatto», disse Thea lentamente. «Solo che non ha potuto vendicarsi dei suoi torturatori. Ma ha ritrovato una scena simile a quella impressa nella sua memoria: la riproduzione di una camera della tortura. E c’era Kevin, che faceva qualcosa al pupazzo di una strega… lo impiccava, forse. Forse lo trattava in un modo che l’ha fatta pensare a…». Thea accennò al libro. «Comunque sia, qualcosa l’ha fatta infuriare». «E l’ha ucciso. Strangolandolo: proprio il crimine di cui era stata accusata. Thea?». Dani fece una smorfia, poi continuò. «Quando hai visto il corpo di Kevin, aveva qualcosa intorno al collo?». Thea fissò le finestre, cercando di ricordare. Quel terribile viso tumefatto… la lingua che sporgeva… e segni scuri sulla gola. «No», disse piano. «C’erano dei segni, ma qualunque cosa lo avesse strangolato, era sparita». «L’ha portata via con sé». Dani rabbrividì, poi posò le mani sul libro. «O magari no. Ascolta Thea, questa è una storia fantastica da raccontare a una festa, ma, davvero, sono solo congetture». Thea fissava la pagina ingiallita fra le dita di Dani. «Non credo», rispose piano. «Vedi il simbolo accanto al nome di Suzanne Blanchet? Lo riconosco. L’ho visto soltanto per un secondo… sull’amuleto che è finito nel fuoco». «Sei sicura?». 112 Thea distolse lo sguardo. «Sì. È lei, Dani. E la colpa è mia. Io l’ho lasciata uscire… e ora sta uccidendo delle persone. A causa mia, qualcuno è morto». Fu solo quando lo ebbe detto ad alta voce che l’enormità dell’accaduto la colpì, come se pronunciare quelle parole le avesse rese vere. Kevin era morto. Non sarebbe più andato a scuola, non avrebbe avuto la possibilità di riparare la sua Porsche. Mai più avrebbe sorriso a una ragazza. Aveva perso tutto quello che una persona poteva perdere. «E io… io ci sto così male», disse Thea. Il dolore che le serrava la gola si riacutizzò in uno sorta di spasmo. Non riuscì a trattenere le lacrime. Dani la tenne stretta mentre singhiozzava. Alla fine, quando Thea si calmò, le disse: «Non lo sapevi. Non volevi fare nulla di male. Stavi solo giocando, ed è andata male. Non lo sapevi». «Non ha importanza». Thea si asciugò il viso con la manica. Ora il dolore nel petto s’era attutito, e lentamente si stava rendendo conto che sentiva qualcos’altro, qualcosa di cado e luminoso. Il bisogno di agire. «Non ha importanza», ripeté, questa tragedia è successa perché io l’ho resa possibile. Ma ti dirò una cosa: non permetterò che continui. Devo fermarla. Il che vuol dire che devo rimandarla indietro». «Sono con te», disse Dani, la piccola mascella serrata per la determinazione. «Ma come?». The fissò la parete un momento, poi rispose: «Ho un’idea». 113 Capitolo 10 «L a nonna mi ha detto che l’unica persona che può rimandare indietro uno spirito è quella che l’ha invocato», disse Thea. «Ma il problema è che devi stargli vicino. Poi puoi fare un incantesimo di restituzione». «Ok», disse Dani annuendo. «Ma…». «Aspetta, ci sto arrivando». Thea si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro, fra il suo letto e quello di Blaise. Cominciò a parlare, prima lentamente, e poi sempre più veloce. «Sto pensando che non può essere la prima volta che succede. Una volta, da qualche parte, in qualche modo, una strega deve aver invocato uno spirito che poi è scappato. E la strega sarà stata costretta ad andare a cercarlo per riprenderlo». «Sicuramente sì. E allora?» «Allora, se trovassimo un resoconto di come ha fatto – come è riuscita a ritrovarlo – potremmo avere una possibilità». Dani si stava entusiasmando. «Sì, e non c’è neppure bisogno di ritrovare un precedente di uno spirito invocato. Insomma, alcuni non vanno affatto dall’altra parte una volta morti, giusto? Magari uno di quelli è stato spedito al di là del velo e noi potremo trovarne il resoconto». «O un racconto. O un poema. Qualsiasi cosa possa darci un’idea di come costringere lo spirito a stare nella tua stessa stanza mentre fai l’incantesimo». Thea s’interruppe e sorrise a Dani. «E la nonna possiede cro- 114 nache e storie e poemi in quantità industriale. Nel laboratorio ci sono centinaia di libri». Dani saltò in piedi, gli occhi scuri che brillavano. «Chiamo mia mamma e le dico che stanotte resto qui. Poi… lo troveremo». Dopo che Dani ebbe avvisato sua madre, Thea chiamò Eric per assicurarsi che stesse bene. Ora che sapeva di aver lasciato libero uno spirito folle, era preoccupata per lui. «Sei sicura di stare bene tu?», le chiese lui. «Insomma, mi sento ancora uno schifo per averti portato in quel posto. Volevo… be’, mi piacerebbe poterti vedere senza che accada qualcosa di terribile». Thea ebbe la sensazione che il suo cuore venisse stretto in una morsa. «Anch’io». «Magari potremmo fare qualcosa domani. Se ti va». «Sarebbe bello». Non osava continuare a parlare con Dani lì accanto. Se l’avesse sentita, avrebbe subito intuito i suoi sentimenti. La prima cosa che Tea notò nel laboratorio fu che Blaise aveva portato con sé il suo nuovo lavoro. Doveva averlo quasi finito. «Inizierò da qui», disse Dani, in piedi di fronte a una grossa libreria. «Alcuni sembrano molto antichi». Thea si dedicò agli altri scaffali. C’erano libri di ogni genere: con la rilegatura in pelle, cartone, tela, camoscio, o anche non rilegati. Alcuni erano stampati, altri scritti a mano. Certi erano in lingue che Thea non conosceva. Sul primo scaffale non trovò nulla, a parte un incantesimo interessante dal titolo “COME FABBRICARE UN ELISIR DI AVVERSIONE, che funzioni altrettanto bene, o forse appena un po’ peggio, dei tradizionali Elisir di 115 Ripugnanza o Aborrimento, e che sia meno delicato e costoso dell’Elisir di Odio utilizzato dai reali o dai nobili. Si conserva in ottime condizioni per un tempo lunghissimo”. Mmm… Thea mise il libro da parte. Aveva passato in rassegna per metà lo scaffale successivo quando Dani disse: «Ehi, ho trovato il tuo albero genealogico». Thea corse a controllare. «Sì, è quello che la nonna tiene nascosto. Non si avvicina neanche lontanamente a Hellewise». Rise. «Chi è questo tipo?», Dani indicò un nome. «“Hunter Redfern”. Credevo che i Redfern fossero una celebre famiglia di vampiri». «Di lamie. Cioè, c’è una differenza, lo sai. Chi viene trasformato in vampiro non può avere figli». «Ma che ci fa una lamia nel vostro albero genealogico?» «Celebrò una cerimonia di parentela con Maeve Harman, nel Seicento. Allora era lei a capo della famiglia. Vedi? E discendiamo tutti dalla loro figlia Roseclear». «L’ha fatto con un vampiro? Da brividi». Thea sorrise. «Lo fece per porre fine alla guerra fra le loro famiglie: c’era una faida in atto. E così oggi tutti noi Harman abbiamo un po’ di sangue vampiresco». «Mi ricorderò di stare attenta se cominci a fissarmi il collo». Dani scorse l’albero genealogico. «A quanto pare tu e Blaise siete le ultime discendenti femmine degli Harman». «Sì, è così. Le ultime Donne del Focolare». «È una grossa responsabilità». Più o meno quello che diceva la nonna. Improvvisamente Thea scoprì di odiare gli alberi genealogici. «Be’. 116 Uhm. Credo faremmo meglio a proseguire con la lettura». Solo molte ore più tardi Dani disse piano: «L’ho trovato». «Cosa?». Thea andò a sedersi accanto a lei. Il libro che Dani teneva sulle ginocchia era rilegato in verde con una falce di luna e tre stelle in copertina: un simbolo delle streghe molto diffuso nel Mondo delle Tenebre. «È un libro di storielle umoristiche, ma dovrebbero essere tutte vere. Questa parla di un uomo di nome Walstan Harman del Settecento. Morì, ma non passò dall’altra parte. Restò in città e si mise a fare scherzi alla gente: appariva di notte con la testa sotto il braccio e roba del genere. Però non restava mai in un posto abbastanza a lungo perché lo prendessero». «Allora come lo catturarono?». Dani fece un sorriso trionfante. «Non lo catturarono, lo attirarono». Thea s’illuminò. «Ma certo… che stupida che sono. Ma come?». Il dito sottile di Dani continuò a scorrere la pagina. «Bene, prima attesero Samhain, in modo che il velo fra i due mondi fosse più sottile. Poi Nicholas Harman allestì questo sontuoso banchetto, con un enorme tavolo su cui era servita in abbondanza la pietanza preferita di Walstan». Dani fece una smorfia. «Che a quanto pare era pasticcio di carne d’orso e zucca, in crosta di granoturco. C’è anche la ricetta. Bleah». «Lascia perdere. Funzionò?» «A quanto pare sì. Lasciarono i pasticci sul tavolo in una stanza vuota, poi tracciarono un cerchio tutt’intorno. Il vecchio Walstan venne attratto dal cibo, non riuscì a non dargli almeno un’occhiata, anche se non poteva 117 mangiarlo. E quando entrò, aprirono la porta e lo catturarono». «Lo spedirono in fretta e con gran soddisfazione per lo stretto sentiero al vuoto aereo», lesse Thea. Lo storia sembrava vera: solo una persona che avesse davvero assistito a un’invocazione o avesse visto un incantesimo di restituzione poteva conoscere quelle parole. «Quindi ora sappiamo cosa fare», disse Dani. «Aspettiamo Halloween e poi attiriamola. Dobbiamo solo trovare qualcosa che le piaccia…». «O qualcosa che odi», s’intromise Thea che aveva appena avuto un’idea. Si guardarono. «Come ciò che ha visto nella vecchia palestra», sussultò Dani. «Qualcosa che le ha ricordato quello che le hanno fatto». «Sì, solo che…», Thea s’interruppe. Stava esaminando tutti gli scenari possibili, ma non voleva condividere i suoi pensieri con Dani. A parte il fatto che gli umani avevano già in programma qualcosa per Halloween, qualcosa che avrebbe attirato Suzanne. Se la polizia riapriva la vecchia palestra, la festa sarebbe stata un richiamo incredibilmente allettante. Tutti quegli orribili stands… Perciò se voglio attirarla da qualche altra parte, devo escogitare qualcosa che sia peggio, qualcosa che le ricordi in modo ancora più netto quanto è successo. E ho bisogno di un’esca, di un bersaglio che la attiri. Un umano. Qualcuno che mi aiuti, che si presti… Non Eric. I suoi pensieri arrivarono a un punto morto quando intuì le possibili conseguenze. Le mani divennero di ghiaccio e il cuore rallentò i battiti. 118 No. Eric no, non importava cosa sarebbe successo. Neanche per salvare delle vite. Respinse l’idea. Sicuramente c’erano altri modi, e li avrebbe trovati. C’era tempo… «Thea? Sei ancora qui con me?». Dani la stava osservando. «Cercavo solo di farmi venire in mente qualcosa». Thea si costrinse a parlare con calma e a concentrarsi su Dani. «Uhm. Ascolta, ho appena avuto una buona idea… forse ci resta un po’ di tempo. Se Suzanne tiene ancora sott’occhio la vecchia palestra, noi potremmo approfittarne. Finché l’edificio resta chiuso, nessuno può entrare, e lei non ha modo di assalire nessuno». «Lo spero», rispose Dani. «Voglio dire, capisco la furia di Suzanne, ma nessuno merita di morire come Kevin. Neanche un umano». Più tardi, a notte fonda, mentre Dani dormiva tranquilla nel letto di Blaise, Thea continuava a fissare il debole bagliore che proveniva dalla finestra. Non era solo l’immagine di Kevin che la tormentava. Continuavano a tornarle in mente le parole di Dani e della nonna sulle sue responsabilità. Anche se rimando indietro Suzanne, anche se la nonna guarisce, anche se riesco a impedire a Blaise di uccidere Eric… che ne sarà di me? Sono una strega rinnegata. E non c’è futuro per me ed Eric… a meno che non fuggiamo. Ma lui dovrebbe lasciare per sempre la sua famiglia, e verremmo perseguitati ovunque andassimo. E io tradirei le Donne del Focolare e il Mondo delle Tenebre. Un ultimo pensiero arrivò a tormentarla, prima che riuscisse a costringere la sua mente a svuotarsi. 119 Questa storia non può avere un lieto fine. Non c’è speranza. Il mattino dopo Thea arrivò a scuola in ritardo. E riuscì a trovare Blaise solo dopo averla cercata dappertutto; finalmente a ora di pranzo lei e Dani incontrarono le streghe del Circolo di Mezzanotte nel cortile. «Per favore, mostracela», stava dicendo Selene quando Thea e Dani le raggiunsero. «Solo un’occhiatina, eh?» «Prima voglio provarla», rispose Blaise, che sembrava molto compiaciuta di sé. Bevve un sorso di tè freddo, ignorando Thea e Dani. «Come sta la nonna?», chiese Thea senza alcun preambolo. Blaise si voltò. «Meglio, e non per merito tuo. Perché non hai chiamato stamattina?» «Ho dormito troppo». Dopo aver avuto incubi terribili su gente strangolata. «Ieri notte siamo rimaste in piedi fino a tardi. Non è stata colpa di Thea», aggiunse Dani. «Tua nonna si sta riprendendo molto bene», disse Vivienne gentilmente. «Ha solo bisogno di riposare un po’. Mamma probabilmente la farà rimanere da noi un paio di giorni. Il sonno aiuta a guarire, sai». Thea sentì una leggera sensazione di sollievo, fresca come brezza primaverile. La nonna stava meglio: una cosa in meno di cui preoccuparsi. «Grazie Viv. Ti prego, ringrazia anche tua madre». Blaise alzò un sopracciglio e sbuffò. Poi si picchiettò il mento con le sue lunghe unghie. «Un giro di prova…», ripeté, lo sguardo perso in lontananza. 120 Era vestita in modo insolito, con un abito di seta color bronzo che aveva una chiusura lampo tirata fin sotto il mento. Thea ebbe un improvviso soprassalto. «Cosa devi provare?», chiese Dani. Blaise le rivolse un sorriso sornione. «Aspettate e vedrete». Perlustrò il cortile con lo sguardo e disse dolcemente: «Ed ecco il bersaglio perfetto. Selene, andresti a chiamarlo, per piacere?». Selene si alzò e veleggiò languidamente in direzione del ragazzo indicato da Blaise. Thea lo riconobbe. Era Luke Price, un ragazzo che guidava una scattante Maserati rossa e sembrava il protagonista bello e dannato di un film hollywoodiano. Aveva un’aria studiatamente trasandata e la barba di qualche giorno, occhi blu elettrico, e al momento pareva vagamente sorpreso di aver dato retta a Selene, che lo stava accompagnando da Blaise. «Luke, come va?», disse Blaise con tono amichevole. Luke alzò le spalle. «Tutto bene. Che vuoi?». I suoi occhi blu elettrico indugiarono su Blaise, ma ovviamente cercava sempre di fare il duro con le ragazze. Blaise fece una risatina, come se la domanda la cogliesse di sorpresa. «Quello che non posso avere», mormorò, e sembrò leggermente stupita della propria risposta. «Voglio parlarti», proseguì soave, riacquistando l’autocontrollo. «E…», piegò la testa di lato, pensosa. «Magari le chiavi della tua auto». Luke rise forte. Si appoggiò al muro di cemento accanto alle scale, pescando con due dita una sigaretta dal taschino della camicia. «Sei pazza», disse piano. Dani tossì quando il fumo le arrivò alle narici. Thea fece roteare la bottiglietta d’acqua che teneva in mano. 121 Blaise fece una smorfia«. Mettila via; è disgustosa», disse. Luke le soffiò il fumo in faccia. «Se devi dirmi qualcosa, dilla». Fissò con disapprovazione la giacca chiusa fino al collo di Blaise. «Altrimenti smettila di farmi perdere tempo». Blaise sorrise. Si sfiorò la zip. «Vuoi provare a indovinare cosa ho sotto?». Gli occhi di lui percorsero dall’alto in basso la giacca, specie nei punti in cui fasciava più strettamente le curve di Blaise. «Magari potresti mostrarmelo». «Vuoi che te lo mostri? Sei davvero sicuro?». Thea alzò gli occhi al cielo, mentre col pollice giocherellava con l’apertura della bottiglia. Luke s’accigliò, e soffiò fuori il fumo a labbra strette. Gli occhi blu elettrico erano sottili come fessure. «Tu vuoi solo stuzzicarmi…». Blaise prese la lampo fra due dita e la abbassò. La collana era stretta come un collare, risaltava sulla pelle candida e sulla semplice maglia di un nero opaco. Ed era esattamente come Thea l’aveva immaginata. Fragile, raffinata, magica. Volute di stelle e lune formavano disegni incantevoli. Gemme di tutti i tipi erano incastonate fra le sue misteriose linee. Corniola verde, topazio imperiale, eliolite, cinabro. Zaffiro viola, smeraldo africano, quarzo affumicato. Mentre la guardava sembrava trasformarsi, le sue linee cambiavano come fossero liquide. Ti attiravano al cuore del suo mistero, ti si avvolgevano attorno come morbidi fili lucenti. Ti stringevano… Thea si riscosse di soprassalto. Dovette chiudere gli occhi e sollevare una mano per riprendersi. 122 E se fa questo a me… Luke non riusciva a distogliere lo sguardo. Thea poteva vedere il cambiamento che si rifletteva sul suo viso, mentre la collana operava il suo incantesimo. Come un attore da Oscar che nel giro di pochi secondi si trasforma da bello e impossibile a ragazzetto vulnerabile proprio sotto gli occhi degli spettatori. Spalancò la bocca, le labbra serrate si ammorbidirono. I muscoli intorno agli occhi si rilassarono e lo sguardo diffidente venne spazzato via. Sembrò sorpreso, poi totalmente indifeso. Quegli occhi blu elettrico divennero del tutto sconcertati, le pupille si dilatarono. Annaspò come se gli mancasse l’aria. Ora pareva intimorito; ora ipnotizzato; ora anelante… Stregato. Era ormai trasformato. Tutto il suo corpo sembrava rimpicciolito. Le labbra erano dischiuse. Gli occhi spalancati e luminosi. Pareva che da un momento all’altro dovesse gettarsi a terra e mettersi ad adorare Blaise. Lei era seduta come una regina, coi capelli corvini che ricadevano sulla collana, il petto che si sollevava leggermente al calmo ritmo del suo respiro, gli occhi che brillavano come gemme. «Butta via quella sigaretta schifosa», disse. Luke fece cadere la sigaretta e la calpestò come se fosse un ragno. Poi puntò di nuovo gli occhi su Blaise. «Sei… sei bellissima». Allungò una mano per toccarla. «Aspetta», disse Blaise. Il suo viso assunse un’espressione tragica e malinconica. «Prima voglio raccontarti una triste storia. Avevo un cagnolino che amavo, un cocker spaniel, facevamo insieme lunghe passeggiate all’imbrunire». 123 Thea guardò la cugina con la coda dell’occhio. Non aveva mai sentito una bugia tanto grossa. E perché Blaise s’era messa a parlare di cani? «Ma è stato investito da un tir», mormorò Blaise. «E da allora, mi sento così sola… mi manca tanto». Fulminò con lo sguardo l’inerme ragazzo che le stava di fronte. «Luke… vuoi essere il mio cagnolino?». Luke sembrava confuso. «Vedi», proseguì Blaise facendosi scivolare una mano nella tasca, «se potessi avere qualcuno che me lo ricordi, mi sentirei proprio meglio. Perciò, se vuoi infilarti questo per me…». Teneva in mano un collare blu per cani. Luke era sempre più confuso. Un intenso rossore si diffuse dal collo fino al mento. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. «Per me?», lo blandì Blaise, facendo tintinnare il collare: sicuramente era troppo grande per un cocker spaniel, notò Thea. «Te ne sarei così grata». Sembrava che Luke stesse combattendo una tremenda battaglia interiore. Il respiro si fece affannoso. Deglutì. Contrasse la mascella. Poi, molto lentamente, allungò una mano per prendere il collare. Blaise lo abbassò. Gli occhi di lui lo seguirono. Muovendosi a scatti, come se i muscoli del suo corpo si rifiutassero di obbedire, s’inginocchiò accanto a Blaise. Restò lì, il viso impietrito, mentre Blaise gli allacciava il collare intorno al collo. Quando l’ebbe stretto bene, scoppiò a ridere. Poi guardò le altre e fece tintinnare l’anello metallico che serviva ad assicurare la targhetta. «Bravo cagnolino», disse, e gli diede una pacca sulla testa. 124 Il viso di Luke s’illuminò di un’eccitazione che sconfinava nell’estasi. Guardò Blaise negli occhi. «Ti amo», disse rauco, ancora accovacciato. Blaise arricciò il naso e rise ancora. Poi si riallacciò la giacca. La trasformazione del viso di Luke stavolta fu più rapida. Per un istante rimase del tutto inespressivo, poi si guardò intorno come se si fosse appena risvegliato nel bel mezzo di una lezione. Le dita corsero al collare. Travolto dalla rabbia e dall’orrore, saltò in piedi. «Che succede? Che ci faccio qui?». Blaise gli rivolse uno sguardo perfettamente sereno. Luke si strappò il collare e gli tirò un calcio. Anche se scoccava a Blaise occhiate di odio, pareva non ricordare gli ultimi minuti. «Allora, mi dici cosa vuoi o no?», disse bruscamente, col labbro superiore che tremava. «Non voglio mica aspettare tutto il giorno». Poi, visto che nessuno gli rispondeva, s’allontanò con aria offesa. I suoi amici dall’altra parte del cortile ridevano a più non posso. «Oops», disse Blaise, «mi sono scordata di chiedergli le chiavi della macchina». Si girò verso le altre. «Ma direi che funziona». «Direi che è impressionante», sussurrò Dani. «Direi che è incredibile», mormorò Selene. «Direi che è stupefacente», aggiunse Vivienne. Io direi che è l’Armageddon degli accessori, pensò Thea. E, fra parentesi, Vivienne e Selene non c’avevano messo molto a cambiare atteggiamento. Anche se erano rimaste scioccate per quanto era successo a Randy e Kevin, il loro sdegno non era durato a lungo. 125 «Blaise», disse seccamente, «se te ne vai in giro per la scuola a mostrare quella roba, provocherai un putiferio». «Ma io non ho intenzione di mostrarlo in giro», rispose lei. «Per il momento sono interessata a un solo ragazzo. E questa», si toccò la gola, «ha dentro il suo sangue. Se fa quest’effetto sugli altri, mi chiedo cosa succederà a lui». Thea respirò profondamente per sciogliere il nodo che sentiva allo stomaco. Non aveva mai affrontato Blaise nel campo della stregoneria. E nessuno aveva mai osato sfidarla per un ragazzo. Ma non aveva scelta… e rimandare non sarebbe servito a nulla. «Di sicuro stai aspettando il momento giusto per fargli un’imboscata», disse. «Non appena abbasso la guardia». Funzionò. Blaise la guardò, alta e regale nella sua giacca di seta bronzea, le mani in tasca, i capelli che le ricadevano sulle spalle come una cascata. Le rivolse un sorriso calmo. «Non ho bisogno di tendere imboscate a nessuno», disse, con spaventosa sicurezza. «Anzi… perché non fissiamo un appuntamento dopo la scuola? Solo noi tre. Io, tu ed Eric: ci affrontiamo una volta per tutte. E che vinca la strega migliore». 126 Capitolo 11 «N on capisco», disse Erik con voce lamentosa mentre Thea lo trascinava verso le gradinate. «Be’, è logico». «Blaise vuole parlarmi da solo e tu vuoi che io accetti». «Esatto». Thea si rese conto che nella sua voce c’era un’inflessione allegra e desolata allo stesso tempo, per quanto potesse sembrare strano. «Te l’avevo detto che probabilmente ti avrebbe cercato…». «E mi hai detto di stare attento. Sei stata piuttosto chiara in proposito». «Lo so. È solo…». Thea cercò di trovare una spiegazione che non fosse proprio una bugia e strinse la bottiglietta d’acqua. Non aveva bisogno di chiedergli se aveva con sé l’amuleto protettivo: riusciva a sentire l’odore degli aghi di pino del New Hampshire. « È solo che credo sia meglio sistemare le cose», disse alla fine. «In un modo o nell’altro. Perciò, forse, se parlare faccia a faccia… be’, puoi decidere cosa vuoi e risolviamo la cosa». «Thea…». Eric si fermò, costringendo anche Thea a fermarsi. Sembrava assolutamente esterrefatto. «Thea, non so a cosa stai pensando, ma non ho bisogno di parlare con Blaise per sapere cosa voglio». Le posò dolcemente le mani sulle braccia. «Niente di ciò che dirà potrà cambiare le cose». 127 Thea lo guardò, osservò il suo volto pulito e buono e i suoi occhi profondi. Era convinto che le cose fossero facili. «Allora dille solo questo», disse, simulando un tono ottimista. «E l’intera faccenda sarà risolta». Eric scosse la testa, ma la seguì senza fare obiezioni. Blaise era appoggiata alla panchina vicino al campo da baseball. Quando si trovarono a un paio di metri di distanza, Thea si fermò e fece segno a Eric di andare avanti. Lui si avvicinò a Blaise, che si raddrizzò con la pigra grazia di un serpente che esce dalla cesta. Thea infilò il pollice nella bottiglietta e la agitò piano. «Thea mi ha detto che volevi parlarmi». La voce di Eric era cortese ma non incoraggiante. Dopo averlo detto, si voltò a guardare Thea. «Sì», rispose Blaise con la sua voce liquida e suadente. Ma Thea, con immensa sorpresa, si accorse che sua cugina guardava a terra, impacciata. «Ma adesso… be’, sono così imbarazzata. So cosa pensi di me… be’, ti sto parlando di certe cose mentre la tua ragazza ti guarda là in fondo». «Be’…», Eric si girò di nuovo. «Non ti preoccupare», aggiunse, con voce più dolce. «Voglio dire, è meglio parlare davanti a lei piuttosto che alle sue spalle». «Sì. Sì, è vero». Blaise fece un respiro profondo per riprendersi e poi alzò il viso e fissò Eric negli occhi. Che diavolo stava facendo? Thea fissava sua cugina. Che senso aveva quella sceneggiata? «Eric… Non so come dirtelo, ma… Ci tengo a te. So che sembra strano. Starai pensando che ho dozzine di ragazzi e che da come li tratto sembra che non mi importi nulla di nessuno. E non ti biasimo se vuoi andartene in 128 questo preciso istante, senza neanche starmi a sentire». Blaise giocherellava con la zip, tirata su fino al mento. «Ah, senti, non me ne andrò. Non ti farei mai questo», disse Eric, e la sua voce era ancora più gentile. «Grazie. Sei così carino, non me lo merito». Distrattamente, come se fosse il gesto più casuale del mondo, Blaise afferrò la zip e la tirò giù. La collana sbucò fuori. Non guardarla, disse Thea fra sé e sé. Lei invece fissava la nuca di Eric, che si irrigidì improvvisamente. «E sai, ti sembrerà strano, ma alla maggior parte di quei ragazzi non piaccio davvero». La voce di Blaise adesso era dolce: seducente ma vulnerabile. «È solo che… mi vogliono. Guardano la superficie, e non provano neanche a cercare in profondità. E questo mi fa sentire… così sola a volte». Anche a quella distanza, Thea vedeva stelle dorate e lune muoversi e fluttuare. Radice di eupatoria e altre essenze deliziose solleticarono le sue narici. Prima non l’aveva notato; era troppo presa dall’incantesimo della collana. E nell’aria riecheggiavano debolmente due o tre note appena percepibili. Cristalli risonanti. Ovvio. Blaise stava attaccando tutti i sensi, tessendo una tela dorata dalla quale era impossibile scappare… e tutte le sue armi erano state personalizzate col sangue di Eric. «Tutto ciò che ho sempre voluto è un ragazzo che tenga davvero a me, che riesca a guardare sotto la superficie». La voce di Blaise si incrinò. «E… be’, prima che sapessi che piacevi a Thea, pensavo che quel ragazzo potessi essere tu. Eric, per favore, dimmi: è assolutamente impossibile? Devo perdere ogni speranza? Perché se mi dici di sì, lo farò». 129 Eric aveva assunto una posizione strana, come se fosse storpio. Thea riusciva a sentire il suo respiro accelerato. Non voleva guardarlo in faccia: sapeva che espressione doveva avere in quel momento. Come quella di Luke. Stupore vuoto che mutava in ammirazione per Blaise. «Basta che me lo dici», continuò Blaise, alzando una mano con gesto melodrammatico. «E se mi dirai di no, me ne andrò per sempre. Ma se… se credi che potresti interessarti a me… anche solo un po’…». Lo guardò con occhi luminosi e pieni di desiderio. «Io…». La voce di Eric era tesa ed esitante. «Io… Blaise…». Sembrava non riuscisse a iniziare la frase. E non c’era da stupirsi. Era già perso. Thea ne fu improvvisamente certa e smise di agitare la bottiglietta di plastica. Il suo piccolo Elisir di Aborrimento non aveva alcuna possibilità contro la magia di Blaise. Eric era completamente preso e Blaise lo stava catturando. E non era colpa sua. Nessuno poteva sperare di resistere alla fascinazione che stava esercitando. Magia e psicologia insieme, così meravigliosamente unite che la stessa Thea per poco non si fece convincere. Ma doveva tentare comunque. Non poteva lasciar andare via Eric senza lottare. Dopo averla agitata un’ultima volta, con forza, Thea tolse il pollice dal collo della bottiglietta. Un liquido incolore volò in aria, schizzò in alto e si riversò su Eric. Un geyser di odio. Ma non tutto andò per il verso giusto. Appena il misterioso acquazzone colpì Eric, lui si girò per vedere da dove provenisse. Invece di guardare Blaise mentre l’elisir gli impregnava la pelle, fissò Thea. 130 Lei guardò a sua volta i suoi occhi screziati di grigio con una sorta di terrore. Un doppio incantesimo. Adesso era sotto l’influenza di due condizionamenti magici: uno lo spingeva ad amare Blaise e l’altro a odiare lei. Oh, Ilizia, è finita… Era un momento critico, e Thea reagì d’istinto. Raggiunse Eric, per salvarlo, per salvarsi. Proiettò un pensiero, proprio come avrebbe allungato la mano per salvare qualcuno che sta per cadere da un precipizio. Eric. Una connessione… Come un circuito che si chiude: e fu sufficiente. Thea sentì un’ondata di… qualcosa, qualcosa di caldo e dolce, più magico della magia di Blaise. Forse un distillato di elettricità. L’aria tra lei e Eric era talmente carica che le venne la pelle d’oca, come se qualcuno l’avesse sfiorata con del velluto. Era come stare nel punto dove si scontravano delle forze cosmiche. E andava tutto bene. Sul viso di Eric era dipinta la solita espressione. Viva, sveglia, piena di calore… per lei. Nessuna venerazione abulica per Blaise. Thea. Non può essere così facile, pensò. Ma lo era. Lei ed Eric si fissavano nell’aria tremante e l’universo era un solo grande cristallo risonante d’amore. Stiamo bene insieme. Un grido scosse la silenziosa comunione. Thea guardò verso la panchina e vide che Blaise era sparita. «Mi hai bagnato», strillò Blaise. «Sei pazza? Hai idea di cosa fanno le gocce d’acqua sulla seta?». Thea aprì la bocca, poi la richiuse di nuovo. Il sollievo che provava era così dolce che le girava la testa. Non sa- 131 peva se Blaise pensasse davvero che l’elisir fosse solo acqua, ma una cosa era chiara: l’incantesimo di Blaise, per quanto potente, adesso era spezzato. E Blaise lo sapeva. Blaise richiuse la zip di scatto e se ne andò. «È arrabbiata», disse Eric. «Be’…», Thea era ancora stordita. «Te l’ho detto che le piace arrabbiarsi». Afferrò il braccio di Eric con delicatezza, e si appoggiò a lui. «Andiamo». Dopo solo pochi passi Eric disse: «Grazie a Dio mi hai gettato addosso l’acqua». «Sì». Anche se l’elisir non aveva funzionato, aveva in qualche modo interrotto la concentrazione di Eric o distratto Blaise o qualcosa del genere. In seguito avrebbe cercato di capire cosa aveva spezzato un incantesimo potente come quello di Blaise… «Sì, perché, sai, stava diventando davvero imbarazzante», proseguì Eric. «Continuavo a pensare a una scusa gentile per dirle che non c’era alcuna possibilità, ma non ci riuscivo. E appena mi sono reso conto che dovevo dirlo e urtare i suoi sentimenti… be’, ci hai bagnati». Thea si fermò di colpo. Era serio. «Voglio dire, so che ho comunque urtato i suoi sentimenti. Altrimenti non se ne sarebbe andata via così arrabbiata. Uhm, tu sei arrabbiata adesso? Thea?». Thea riprese a camminare. «Stai dicendo che non hai neanche desiderato di stare con lei? Neanche per un attimo?». Lui si fermò. «Come potrei voler stare con lei se voglio stare con te? Te l’ho detto prima che iniziasse l’intera faccenda». 132 Forse è perché siamo anime gemelle. Forse è perché lui è così testardo. Ma qualunque cosa sia, è meglio non dire niente a Blaise. Avrebbe un motivo in più per ucciderlo se scopre che il suo incantesimo è rimbalzato contro un muro di gomma. «Be’, comunque, adesso è tutto risolto», mormorò, e in quel momento lo credeva davvero. Era troppo felice per pensare a qualcosa di brutto. «Lo è? Allora possiamo finalmente uscire? Tipo darci un appuntamento?» Lo disse in tono così colmo di desiderio che Thea rise. Si sentiva leggera e libera e piena di energia. «Sì. Possiamo uscire anche adesso. O possiamo entrare. A casa tua, intendo. Mi piacerebbe rivedere tua sorella e Madame Curie». Eric fece una smorfia preoccupata. «Be’, a Madame Curie probabilmente farebbe piacere. Ma Roz ha perso la causa: il tribunale ha stabilito che l’associazione di trekking maschile è un ente privato. E non si può dire che sia al settimo cielo». «Un motivo in più per andarla a trovare. Povera piccola». Eric la squadrò. «Sul serio? Potresti andare ovunque a Las Vegas e vuoi venire a casa mia?» «Perché no?». Thea non disse che per lei una casa di umani era più esotica di qualunque altro posto. Era felice. La casa era semplice, di legno, all’ombra di un paio di comuni alberi, non palme. Mentre entravano Thea si sentì sommersa da un’ondata di timidezza. «Mamma è ancora al lavoro. E», Eric guardò l’orologio, «Roz dovrebbe restare in camera sua fino alle 133 cinque. Arresti domiciliari. Stamattina ha messo la Barbie nel forno a microonde». La porta di Rosamund era tappezzata di cartelli scritti a mano. VIETATO ENTRARE. ALLA LARGA, CAPITO ERIC? IL FEMMINISMO È IL CONCETTO RADICALE SECONDO CUI LE DONNE SONO PERSONE. Quando Eric aprì la porta un salvadanaio a forma di puzzola gli volò contro. Lui si abbassò. Il proiettile improvvisato colpì il muro e, stranamente, non si ruppe. «Roz…» «Odio tutti! E tutti mi odiano!». Un libro dalla copertina rigida volò contro il muro. Eric chiuse velocemente la porta. Bang. «Non ti odia nessuno!», gridò. «Be’, io invece odio tutti! Vattene!». Bang. Bang. Crash. «Penso sia meglio lasciarla sola», disse Eric. «Ogni tanto è un po’ di cattivo umore. Vuoi vedere la mia camera?». La sua camera era carina, stabilì Thea. Tanti libri, alcuni che odoravano di muffa. «Li ho presi al negozio di libri usati». Anatomia comparata dei vertebrati. Sviluppo e struttura del feto del maiale. Il pony rosso. La maggior parte parlava di animali, in un modo o nell’altro. E tanti trofei. Trofei di baseball, di basket, qualcuno di tennis. «Devo alternare baseball e tennis nei vari anni». Attrezzature sportive erano sparpagliate disordinatamente in giro, insieme ai libri e a qualche calzino sporco. Non era così diversa dalla camera di un adolescente del Mondo delle Tenebre. Semplicemente era la camera di una persona. 134 Sulla scrivania c’era la foto di un uomo che aveva gli stessi capelli e lo stesso magnifico, ammaliante sorriso di Eric. «Chi è?» «Mio padre. È morto quando Roz era piccola: un incidente aereo. Era un pilota». Eric lo disse con semplicità, ma il suo sguardo s’incupì. Thea disse dolcemente: «Anche i miei genitori sono morti quando ero piccola. La cosa triste è che non me li ricordo veramente». Eric guardò di nuovo la fotografia. «Sai, non ci avevo mai pensato, ma io sono felice di ricordarmelo così bene. Perlomeno è stato con noi per tanto tempo». Si sorrisero a vicenda. Vicino al letto c’era un acquario dal quale proveniva il piacevole ronzio del filtro dell’acqua. Thea vi si sedette accanto e guardò la luce iridescente. Spense la luce della camera per vederlo meglio. «Ti piace?» «Mi piace tutto», disse Thea. Lo guardò. «Tutto». Eric sbatté le palpebre. Guardò il letto dove era seduta Thea, poi lentamente andò alla scrivania. Abbassò il gomito per appoggiarsi e dei fogli caddero a terra. «Ops». Thea trattenne una risata. «È la domanda per U.C.Davis?». Eric alzò lo sguardo, speranzoso, mentre li raccoglieva. «Certo. Vuoi vederla?». Thea stava per dire di sì. Era talmente di buon umore che era pronta a dire di sì a tutto, voleva essere aperta a tutto. Ma un pensiero improvviso le fece cambiare idea. Succedeva tutto troppo velocemente. «Non adesso, grazie». 135 «Be’…». Rimise a posto i fogli. «Sai, puoi ancora valutare l’idea di iscriverti al corso di zoologia a scuola. La signora Gasparro è un’ottima insegnante. E ti piacerebbe davvero quello che studiamo». Forse potrei, pensò Thea. Che male ci sarebbe? «E se vuoi, il dottor Salinger è sempre in cerca di aiuto extra. Non paga molto, ma è una buona esperienza». E… che male ci sarebbe? Non contravverrei a nessuna legge. Non dovrei usare neanche alcun potere, potrei solo stare vicina agli animali. «Ci penserò», disse Thea. Poteva sentire nella propria voce l’eccitazione a stento trattenuta. Guardò Eric, che stava seduto con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, piegato in avanti, e la fissava con trasporto. «E… grazie», aggiunse dolcemente. «Per cosa?» «Perché… vuoi il meglio per me. Perché ci tieni a me». La luce dell’acquario proiettava ghirigori azzurri sulle pareti e sul soffitto. Faceva sembrare la camera un piccolo mondo sottomarino. Danzava sulla pelle di Thea. Eric la guardò a lungo. Deglutì e chiuse gli occhi. Poi, senza riaprirli, disse con voce stravolta dall’emozione: «Non credo che tu sappia quanto tengo a te». Poi riaprì gli occhi. Di nuovo quella connessione. Sembrava attirarli l’uno verso l’altra, era quasi una sensazione fisica. Era eccitante, ma pericolosa. Eric si alzò molto lentamente e attraversò la stanza. Si sedette accanto a Thea. Nessuno dei due abbassò gli occhi. E poi le cose semplicemente accaddero da sole. Le dita si intrecciarono. Continuavano a fissarsi. Erano così 136 vicini che i respiri si fusero. Thea ebbe un brivido di elettricità. Tutto sembrava avvolto da una foschia dorata. Crash. Qualcosa colpì l’altra parte del muro. «Ignoralo; sono i fantasmi», mormorò Eric. Le sue labbra erano vicinissime a quelle di lei. «È Rosamund», mormorò a sua volta Thea. «Non sta bene… e non è una bella cosa. Dovremmo cercare di farla sentire meglio». Era così felice che voleva che tutti condividessero la sua gioia. Eric cercò di dissuaderla. «Thea…». «Fammi solo vedere se riesco a tirarla su. Torno subito». Eric chiuse gli occhi, li aprì, e accese la lampada. Le rivolse un sorriso addolorato. «Ok. Tanto devo annaffiare le piante di mamma fuori, dar da mangiare ai conigli e cose varie. Fammi sapere quando si è ripresa abbastanza. Ti aspetto». Thea bussò e si abbassò per entrare in camera di Rosamund. «Roz? Posso parlarti solo un minuto?» «Non chiamarmi così. Chiamami Fred». «Uhm, e come mai Fred?». Thea si sedette con cautela sul bordo del letto: anzi, non era il letto, in realtà, ma la rete a molle. Il materasso era per terra, messo di lato in un angolo. Sembrava che l’intera camera fosse stata colpita contemporaneamente da un uragano e da un terremoto, e puzzava di porcellino d’India. Lentamente, una testa fece capolino da sotto il materasso. Due occhi verdi fissarono Thea. «Perché», disse Rosamund con un tono sorprendentemente maturo, «non sono più una ragazza. Le cose sono sempre andate così per le ragazze, andranno sempre così 137 e non cambieranno mai. E non ripetermi anche tu che le donne sanno ascoltare, lavorano meglio nei sottomarini e sono brave con i motori, perché non m’importa. Da adesso sarò un ragazzo». «Sei una bambina intelligente», disse Thea. Era incredibilmente intelligente, e desiderava confortarla più di ogni altra cosa. «Ma devi studiare la Storia. Le cose non sono sempre andate così. Ci sono state epoche in cui le donne e gli uomini erano uguali». Rosamund disse solo: «Quando?» «Be’… nell’antica Creta, per dirne una. Erano tutti figli di Ilizia, la Grande Dea, e i ragazzi e le ragazze facevano entrambi cose pericolose, come le acrobazie con i tori selvaggi. Ovviamente…». Thea fece una pausa, colpita da un pensiero improvviso. «Arrivarono i Greci e li conquistarono». «Uhm, uhm». «Ma…», Thea si sforzava di ripescare le sue nozioni di storia umana. «Be’, gli antichi Celti non erano male, ma poi arrivarono i Romani e li conquistarono. E… e…». La storia umana era un problema. «Te l’ho detto», disse amaramente Rosamund. «Finisce sempre così. Adesso vattene». «Be’…», Thea esitò. Fu tutta colpa dell’euforia. Quella sensazione di stordimento che le fece credere che non mondo andasse tutto bene. La rese troppo sicura di sé, le fece pensare che la legge del Mondo delle Tenebre fosse una piccolezza di cui si poteva fare a meno, se necessario. Non farlo, le sussurrava una parte della sua mente. Non farlo o te ne pentirai. 138 Ma Rosamund era così triste. E il bagliore dorato circondava ancora Thea, facendola sentire al sicuro. invulnerabile. «Ascolta», disse. «Forse non ti aiuterà molto, ma ti racconterò una storia, una storia che mi faceva sentire meglio quando ero piccola. Soltanto, devi mantenere il segreto». Gli occhi verdi di Rosamund brillarono di interesse. «Una storia vera?» «Be’… non posso dire che sia proprio vera». E almeno questa non è una bugia: non posso dirlo. «Ma è una bella storia, e parla di un tempo in cui le donne erano al potere. Parla di una ragazza di nome Hellewise». 139 Capitolo 12 T hea si sistemò sulla rete del letto, anche se non si poteva dire che fosse un posto comodo. «Dunque, tutto accadde all’epoca in cui ancora esisteva la magia, ok? E Hellewise sapeva fare magie, così come la maggior parte dei membri della sua tribù. Era la figlia di Ecate, Regina delle Streghe…». «Era una strega?», Roz sembrava intrigata. «Be’, non la chiamavano così allora. La chiamavano Donna del Focolare. E non aveva l’aspetto di una strega di Halloween. Era bella: alta, con lunghi capelli biondi…». «Come te». «Eh? Ah», Thea sorrise. «Grazie, ma non è così. Hellewise era davvero bella, ed era anche intelligente e forte. E quando Ecate morì, Hellewise guidò la tribù insieme a sua sorella, Maya». Adesso Rosamund aveva tirato su la testa dal materasso. Ascoltava con grande interesse, anche se continuava ad avere un’espressione scettica. «Dunque, Maya». Thea si morse il labbro. «Be’, anche Maya era bella: alta, ma con lunghi capelli neri». «Come la ragazza che ti è venuta a cercare dal veterinario». Thea trasalì. Aveva dimenticato che Rosamund aveva visto Blaise. «Be’… ehm, sì, un po’. Comunque, anche Maya era intelligente e forte, ma non le piaceva dividere 140 la supremazia con Hellewise. Voleva comandare da sola e voleva qualcos’altro. Vivere per sempre». «A me sembra una buona idea», bofonchiò Rosamund. «Be’, sì, sono d’accordo, non c’è niente di male a essere immortali. Ma, sai, dipende da quanto sei disposta a pagare. Mi segui?» «No». «Be’…», Thea era imbarazzata. Qualunque Creatura delle Tenebre avrebbe capito di cosa stava parlando, anche nell’improbabile eventualità che non avesse mai sentito la storia. Ma ovviamente gli umani erano diversi. «Be’, sai, c’era un prezzo da pagare. Nessun normale incantesimo poteva renderla immortale. Le tentò tutte e Hellewise la aiutò persino. E finalmente capirono qual era l’incantesimo che avrebbe funzionato, ma a quel punto Hellewise si rifiutò». «Perché?» «Perché era troppo orribile. No, non chiedermelo», aggiunse Thea appena vide che gli occhi di Rosamund si accendevano di interesse. «Non te lo dirò. Non è cosa da bambini». «Cosa, cosa? Se non me lo dici, immaginerò cose anche peggiori». Thea sospirò. «Aveva a che fare con i bambini, ok? E col sangue. Ma non è questo il punto della storia». «Uccidevano i bambini?» «Non Hellewise. Maya lo fece. E Hellewise cercò di fermarla, ma…». «Scommetto che bevve il loro sangue». Thea si fermò e fissò Rosamund. I bambini umani erano ignoranti ma non stupidi. «Ok, sì, bevve il sangue. Soddisfatta?». 141 Roz sorrise, annuì e si rimise a sedere, godendosi ogni singola parola del racconto. «Ok, quindi Maya divenne immortale. Ma solo dopo seppe il prezzo che avrebbe dovuto pagare. Poteva vivere per sempre, ma solo se beveva il sangue di una creatura mortale ogni giorno. Altrimenti, sarebbe morta». «Come un vampiro», disse con sollievo Rosamund. Thea rimase scioccata per un istante, poi rise di se stessa. Ovviamente gli umani conoscevano i vampiri, così come conoscevano le streghe. Stupide leggende piene di false informazioni. Ma questo significava che Thea poteva raccontare la sua storia senza timore che Rosamund la prendesse alla lettera. «Proprio come i vampiri, sì», disse con enfasi, fissando Rosamund. «Maya fu il primo vampiro. E tutti i suoi figli furono condannati anch’essi ad essere vampiri». Roz storse il naso. «I vampiri non possono avere figli». Poi fu presa dal dubbio «Possono?» «Quelli che discendevano da Maya potevano», disse Thea. Non avrebbe mai pronunciato la parola “lamia” davanti a un’umana. «Quelli che non possono sono quelli che diventano vampiri dopo essere stati morsi. Maya aveva un figlio vampiro di nome Red Fern e mordeva le persone. Questa è la storia, capisci: Maya voleva piacere a tutti. Perciò iniziò a mordere tutti quelli della sua tribù. E alla fine Hellewise decise che doveva smetterla». «Come?» «Be’, era questo il problema. La tribù di Hellewise voleva lottare contro Maya e gli altri vampiri. Ma Hellewise sapeva che, se lo avessero fatto, probabilmente sarebbero morti tutti. Entrambi gli schieramenti. Perciò Hellewise sfidò a duello solo Maya. Una singolare tenzone». 142 Rosamund spinse via il materasso. «Mi immagino un duello col signor Hendries, il capo dell’associazione di trekking». Saltò sul materasso e si lanciò all’attacco di un cuscino con le mani e i piedi… e i denti. «E vincerei anche. È fuori forma». «Be’, Hellewise non voleva lottare, ma doveva. Aveva paura, perché come vampiro Maya adesso era molto più forte». Per un attimo Thea si fermò e immaginò vividamente la vecchia storia, come faceva da bambina. Vide Hellewise con l’abito di pelle bianco, in piedi nella foresta scura, che aspettava l’arrivo di Maya. Sapeva che, se anche avesse vinto la battaglia, probabilmente sarebbe morta, ed era abbastanza coraggiosa da rimanere. Aveva la forza di volontà di rinunciare a tutto per il popolo che amava, e per la pace. Non credo che io potrei mai essere così coraggiosa. Cioè, spero di esserlo, ma ho il terribile sospetto che non ci riuscirei. E allora accadde una cosa strana. In quell’istante, le sembrò di sentire una voce, non la solita che sentiva nella sua mente, ma una voce insistente e quasi accusatoria, che le poneva una domanda perentoria, come se Thea non avesse già deciso. Rinunceresti a tutto? Thea si mosse sul letto, nervosa. Di solito non sentiva voci. Forse è quello che si è chiesta Hellewise, disse a se stessa. «Allora cosa successe? Ehi! Thea! Cosa successe?». Rosamund saltellava sul materasso come una lottatrice. «Ah. Be’, fu una battaglia terribile, ma Hellewise vinse. Cacciò via Maya. E la tribù fu lasciata in pace e visse- 143 ro tutti felici e contenti… uhm, tranne Hellewise. Morì a causa delle ferite». Rosamund smise si saltellare e la fissò incredula. «E tu mi hai raccontato questa storia per farmi sentire meglio? Non ho mai sentito un racconto così schifoso». Era così agitata che tremava. Thea si era scordata che aveva a che fare con una bambina umana. Allargò le braccia come aveva fatto col cucciolo Bud, come avrebbe fatto con ogni creatura sofferente, e Rosamund le corse incontro. «No, no», disse Thea, affrettandosi a consolarla. «Vedi, il punto è che il popolo di Hellewise sopravvisse e fu libero. E può sembrare una sciocchezza, visto che erano solo una piccola tribù, ma quella piccola tribù crebbe sempre più e rimase libera. E tutte le streghe del mondo discendono da essa, e tutte ricordano Hellewise e la onorano. È una storia che tutte le mamme raccontano alle proprie figlie». Rosamund per un attimo riprese fiato tra i singhiozzi. «E ai figli?» «Be’, anche ai figli. Quando dico “figli”, intendo “figli e figlie”. È solo per abbreviare». Un occhio verde indagatore sbucò fuori da una massa di capelli arruffati. «Come quando si dice “uomini” per intendere anche le “donne”?» «Sì». Thea ci rifletté su. «Immagino che sia sbagliato in entrambi i casi». Alzò le spalle. «La cosa importante è che il coraggio di una donna ci… le… ha rese tutte libere». «Senti», Rosamund la fissò, scostando i capelli. «Mi stai prendendo in giro o è una storia vera? Perché, francamente, a me tu sembri una strega». 144 «Era quello che stavo per dire io», disse una voce divertita alle spalle di Thea. Thea si voltò di scatto. La porta era leggermente aperta e sulla soglia c’era una donna. Era alta e allampanata, con degli occhialetti sottili e lunghi capelli castani. La sua espressione le ricordava Eric, quando aveva quello sguardo di tenero smarrimento, come se improvvisamente fosse stato colpito da uno dei misteri sconvolgenti della vita. Ma non aveva importanza. Quello che importava era che era una sconosciuta. Un’Estranea. Un’umana. Thea aveva spifferato i segreti del Mondo delle Tenebre, la storia delle streghe, e un’adulta umana aveva sentito tutto. Improvvisamente le si intorpidirono mani e piedi. L’alone dorato scomparve lasciandola in una realtà fredda e grigia. «Mi dispiace», stava dicendo l’umana, ma a Thea sembrò che la voce provenisse da molto lontano. «Non volevo spaventarti. Stavo solo scherzando. Mi piaceva davvero la storia: una sorta di leggenda moderna per bambini, giusto?». Lo sguardo di Thea si fissò su un altro umano alle spalle della donna. Eric. Anche lui aveva sentito tutto. «Mamma scherza sempre», disse nervosamente. Gli occhi verdi erano dispiaciuti… e intensi. Come se stesse cercando di stabilire una connessione con Thea. Ma Thea non voleva connettersi. Non poteva funzionare, con tutte quelle persone. Era circondata da umani, intrappolata in una delle loro case. Si sentì come il serpente a sonagli circondato da enormi creature armate di bastoni. 145 Fu sopraffatta da un terrore puro e assoluto. «Dovresti fare la scrittrice, sai?», stava dicendo l’umana. «Tutta questa creatività…». Entrò in camera. Thea si alzò, facendo cadere a terra Rosamund. Stavano andando verso di lei, le sembrava che persino le pareti si stessero stringendo. Erano alieni, crudeli, sadici, terrorizzanti, malvagi, non-della-sua-specie. Erano Cotton Mather e l’Inquisizione e sapevano di lei. L’avrebbero denunciata, si sarebbero messi a gridare: «Strega!». Thea corse via. Sgattaiolò tra Eric e sua madre come un gattino spaventato, senza nemmeno sfiorarli. Attraversò di corsa il corridoio e il salotto e uscì dalla porta. Fuori il cielo era coperto e stava facendo buio. Thea si fermò solo un attimo per orientarsi, poi si diresse a ovest, camminando più in fretta possibile. Il cuore le batteva forte e le diceva di andare più veloce. Scappa, scappa. Vai alla terra. Trova casa. Correva cambiando direzione continuamente a zigzag, come una volpe inseguita dai cani da caccia. Era a dieci minuti da casa quando sentì il rombo di un motore che la seguiva. Si voltò. Era la jeep di Eric. Eric stava guidando e a bordo c’erano sua madre e Rosamund. «Thea, fermati. Per favore, aspetta». Eric fermò la jeep e saltò giù. La superò e le bloccò la strada. Thea raggelò. «Ascoltami», disse con voce bassa dando le spalle alla jeep. «Mi dispiace che siano venute anche loro, non sono riuscito ad impedirglielo. Mamma si sente malissimo. Stava piangendo, Roz stava piangendo… per favore, torni da noi?». Sembrava sul punto di scoppiare in lacrime anche lui. Thea era semplicemente paralizzata. 146 «È tutto ok. Sto bene», disse. «Non volevo turbare nessuno». Per favore lasciami andare. «Ascolta, non avremmo dovuto origliare. Lo so. Era solo… sei così buona con Rosamund. Non ho mai visto nessuno che le piacesse così tanto. E… e… so che sei sensibile riguardo tua nonna. È questo che ti ha infastidito, vero? Quella storia te la raccontava lei, vero?». Pian piano, da qualche parte in fondo alla mente di Thea, si accese una luce. Lui credeva che fosse una storia inventata. «Anche noi abbiamo le nostre storie di famiglia», stava dicendo Eric, con una punta di disperazione nella voce. «Mio nonno ci raccontava di essere un marziano: giuro su Dio che è vero. E un giorno venne all’asilo e io avevo raccontato a tutti i bambini che era un marziano e tutti gli fecero bip bip e scoppiarono a ridere, e io mi sentii così in colpa. Lui era davvero imbarazzato…». Stava farfugliando. Thea si era ripresa abbastanza da sentirsi dispiaciuta per lui. Ma poi davanti a lei si profilò un’ombra e si irrigidì di nuovo. Era sua madre, con i setosi capelli al vento. «Ascolta, Thea», disse la madre di Eric. Aveva un’espressione triste e seria. «Tutti conoscono tua nonna, sanno che è anziana, che è un po’… stramba. Ma se ti sta spaventando, se ti racconta roba strana…». «Mamma!», gridò tra i denti Eric. Lei lo zittì con un cenno della mano. Le si erano appannati gli occhiali. «Non devi starla a sentire, ok? Nessun bambino dovrebbe. Se vuoi un posto dove stare; se hai bisogno di qualcosa – se dobbiamo chiamare i servizi sociali…». «Mamma, per piacere, ti prego. Sta’ zitta». 147 I servizi sociali, pensava Thea. Per Iside, ci sarà una specie di indagine. Gli Harman in tribunale. La nonna accusata di essere demente, o di far parte di qualche setta. E poi il Mondo delle Tenebre avrebbe imposto la sua legge… Il terrore si tramutò in isteria e poi scomparve improvvisamente, lasciandola estremamente calma. «È tutto a posto», disse, spostando lo sguardo su Eric. Non lo fissò direttamente negli occhi ma recitò accuratamente la sua parte. «Tua madre vuole solo essere d’aiuto. Ma davvero», continuò la pantomima anche con la madre, «va tutto bene. Mia nonna non è strana. Racconta storie, ma non spaventa nessuno». Basterà? È quello che volete sentire? Ora mi lascerete in pace? Apparentemente sì. «È solo che non voglio sentirmi responsabile per te ed Eric se… be’…». La mamma di Eric sospirò nervosamente e fece una risatina isterica. «Ci lasciamo?». Thea cercò a sua volta di simulare una risata. «Non si preoccupi. Non ci ho mai pensato». Rivolse un sorriso ad Eric, abbassando gli occhi perché non riusciva a guardarlo. «Mi dispiace di essere stata così… permalosa. Ero solo imbarazzata, credo. Come tuo nonno». «Torni da noi? O ti riaccompagniamo a casa?», la voce di Eric era dolce. Voleva che tornasse a casa sua. «A casa mia, se non ti spiace. Devo sbrigare delle faccende». Sollevò lo sguardo, sforzandosi di sorridere di nuovo. Eric annuì. Non era felice, ma nemmeno agitato come prima. Sul sedile posteriore della jeep, Rosamund guardò Thea e le strinse la mano. 148 «Non ti arrabbiare», sibilò, agguerrita come sempre. «Sei arrabbiata? Mi dispiace. Vuoi che uccida qualcuno per te?» «Non sono arrabbiata», sussurrò Thea, guardando al di sopra della testolina arruffata di Rosamund. «Non preoccuparti». Avevo deciso di applicare la strategia di ogni animale in trappola. Aspetta il tuo momento. Non lottare finché non vedi una reale possibilità di scappare. «Ci vediamo domani», disse Eric mentre lei scendeva dalla jeep. La sua voce era quasi una supplica. «A domani», disse Thea. Non era ancora il momento di andarsene. Li salutò con la mano finché la jeep non fu lontana. Quello era il momento. Si precipitò in casa, su per le scale, dritto da Blaise. «Aspetta un minuto», disse Blaise. «Spiegami bene. Quindi stai dicendo che non hanno creduto a niente?» «Esatto. Tutt’al più la mamma di Eric crede che nonna sia un po’ suonata. Ma ci è mancato poco, per un attimo ho creduto che volesse far internare la nonna o cose del genere». Erano sedute sul pavimento, vicino al letto di Blaise. Blaise mangiava caramelle gommose e con l’altra mano scriveva su un blocco giallo a righe, il tutto mentre ascoltava attentamente il suo racconto. Perché Blaise era così. Poteva essere vanitosa ed egocentrica, litigiosa, irascibile, pigra, crudele con gli umani, e in generale non era facile vivere con lei, ma per la famiglia avrebbe fatto qualsiasi cosa. Era una strega. Mi dispiace di aver detto che un po’ potresti assomigliare a Maya, pensò Thea. 149 «È colpa mia», disse ad alta voce. «Sì, lo è», replicò Blaise, continuando a scrivere. «Avrei dovuto trovare un modo per tenerlo lontano all’inizio». Ma, ovviamente, era colpa di Blaise se non l’aveva fatto. Aveva pensato che Eric fosse più al sicuro con lei che con Blaise. Aveva pensato che in qualche modo… in qualche modo… Le cose avrebbero funzionato. Ecco. C’era sempre stata, in fondo al suo cuore, una segreta speranza di un possibile futuro con Eric. Un posticino nascosto nel suo animo in cui conservava l’illusione che tutto potesse andar bene. Ma adesso doveva affrontare la realtà. Non c’era futuro. L’unica cosa che poteva dare a Eric era la morte. Ed era tutto ciò che lui poteva dare a lei. Lo aveva capito con un’improvvisa e terribile intuizione quando aveva visto la madre di Eric in camera. Non c’era modo che potessero stare insieme senza essere scoperti. Anche se fossero fuggiti, un giorno, da qualche parte, il Popolo delle Tenebre li avrebbe trovati. Sarebbero stati portati al cospetto del Concilio del Mondo delle Tenebre, i vampiri e le streghe più anziani. E la legge avrebbe seguito il suo corso... Thea non aveva mai visto un’esecuzione, ma ne aveva sentito parlare. E se gli Harman avessero provato a fermare il Concilio, sarebbe iniziata una guerra. Streghe contro vampiri. Forse persino streghe contro streghe. Poteva significare la fine di tutto. «Quindi pare che non dobbiamo uccidere la madre», disse Blaise, aggrottando le sopracciglia mentre studiava i suoi appunti. «D’altro canto però, se uccidiamo i ragaz- 150 zi, la madre sarà disperata e potrebbe trovare un legame. Perciò, per essere sicure…». «Non possiamo uccidere nessuno», disse Thea. La sua voce era flebile ma decisa. «Non intendevo noi due. Chiamerò uno dei nostri cari cugini vampiri. Ash… dovrebbe trovarsi da qualche parte sulla costa occidentale, vero? O Quinn, gli piacciono queste cose. Un morsetto veloce, un po’ di sangue…» «Blaise, non lascerò che i vampiri uccidano Eric. O qualcun altro», aggiunse prima che Blaise potesse aprire bocca. «Non è necessario. Nessuno deve morire». «Allora hai un’idea migliore?». Thea guardò la statuetta di Iside, la Regina delle Dee egiziane, sulla scrivania. «Io… non lo so. Ho pensato alla Coppa del Lete. Fare in modo che si dimentichi di me. Ma la cosa potrebbe destare sospetti – un’intera famiglia con un vuoto di memoria. E i ragazzi a scuola si chiederebbero perché Eric non ricorda più il mio nome». «Vero». Thea fissò la luna incastrata tra le corna dorate di Iside. La sua mente, che aveva lavorato con freddezza e razionalità, aiutandola a sopravvivere, si era bloccata. Doveva esserci un modo per salvare Eric e la sua famiglia – altrimenti, la sua stessa vita non avrebbe più avuto senso. Poi ci arrivò. «La soluzione migliore, credo», disse lentamente, perchè le procurava quasi un dolori fisico, «sarebbe che Eric smettesse di interessarsi a me. Che si innamorasse di un’altra». Blaise si rimise a sedere. Allungò la caramella gommosa con le sue unghie lunghe ed eleganti. Ne mangiò un pezzetto. «Ti ammiro», disse. «Molto premurosa». 151 «Non tu», replicò Thea a denti stretti. «Hai capito? Un’umana. Se si innamora di un’altra ragazza mi dimenticherà senza bisogno di bere nessuna coppa. Nessuno sparirà né avrà amnesie; nessuno si insospettirà». «Ok. Anche se mi sarebbe piaciuto metterlo alla prova. Ha una grande forza di volontà, credo che avrebbe resistito per un po’. Sarebbe stata una bella sfida». Thea ignorò la sua osservazione. «Ho ancora un po’ del suo sangue. La domanda è: hai conservato qualcosa, qualche incantesimo d’amore che gli faccia perdere completamente la testa?». Blaise mangiò un altro pezzetto di caramella gommosa. «Ovviamente». Spalancò gli occhi verdi. «E, ovviamente, è un incantesimo proibito». «Lo immaginavo. Blaise, ormai sono la principessa degli incantesimi proibiti. Uno in più non ha importanza. Ma lo realizzerò io, non voglio metterti nei guai». «Non ti piacerà. Avrai bisogno della pietra di bezoar presa dallo stomaco di uno stambecco, e si dà il caso che ne abbia presa una quando abitavamo da zia Gerdeth». Gli stambecchi erano una specie a rischio. Ma tanto quello era già morto. «Lo farò io», disse decisa Thea. «Ci tieni proprio a lui, vero?» «Sì», sussurrò Thea. «Penso ancora che siamo anime gemelle. Ma…». Rinunceresti a tutto? «Non voglio causare la sua morte. O una guerra tra gli Harman e il resto del Mondo delle Tenebre. E se devo rinunciare a lui, lo farò fino in fondo, assicurandomi che sia al sicuro con qualcun’altra che lo ami». «Hai già in mente qualcuna?» «Si chiama Pilar». Thea guardò sua cugina. «Blaise? Quando Luke ti ha chiesto cosa volevi, e tu gli hai rispo- 152 sto “quello che non posso avere”… che cosa intendevi dire?». Blaise reclinò la testa all’indietro e fissò il soffitto. Poi abbassò lo sguardo. «Le persone desiderano forse ciò che possono avere?» «Io… non lo so». Blaise si strinse le ginocchia e vi appoggiò il mento. «Se possiamo avere una cosa, in realtà non la vogliamo più. Perciò c’è sempre qualcosa che desideriamo e non possiamo avere… e forse questo è un bene». A Thea non sembrava un bene. Sembrava una lezione di vita di uno di quei terribili programmi educativi che dovrebbero renderti più matura. «Facciamo l’incantesimo», disse. 153 Capitolo 13 «S ai, probabilmente ti amava solo per la radice di eupatoria», disse Blaise. Thea, seduta nel laboratorio di chimica vuoto, alzò lo sguardo. Era l’intervallo, e quello era il posto più tranquillo di tutta la scuola. «Grazie, Blaise. È proprio quello di cui avevo bisogno». Però forse era vero. Aveva quasi dimenticato di avere usato un incantesimo per conquistarlo, all’inizio. Questo poteva esserle d’aiuto, si disse. Se avesse potuto pensare che nulla era stato autentico, non ne avrebbe sofferto. Ma aveva ancora la sensazione di essere racchiusa in un blocco di ghiaccio. «L’hai preso?» «Certo». Blaise gettò un anello sul tavolo. «Le ho chiesto se potevo vederlo, poi ho fatto finta che mi fosse caduto fra i cespugli. Lo sta ancora cercando». Thea prese dallo zaino l’incantesimo di unione. Due bambole anatomicamente perfette, modellate con la cera blu che Blaise usava per i gioielli. Meravigliose piccole creature: Blaise era un’artista. Il maschio conteneva il Kleenex imbevuto del sangue di Eric e un singolo capello color sabbia che Thea si era trovata su una spalla. Thea mise l’anello di turchese di Pilar intorno ai piedi della femmina e lo legò con un filo rosso. Allungò una mano. 154 Blaise tirò fuori dal suo zaino una bottiglietta esagonale chiusa da un turacciolo. Il liquido che conteneva era un miscuglio di cose disgustose, inclusa la pietra di bezoar macinata. Thea trattenne il respiro mentre versava il tutto sulle due figurine: immediatamente dalla cera si levò un denso fumo. «Ora legale insieme», disse Blaise, tossendo ed agitando la mano davanti al viso per respirare. «Lo so». Thea prese un nastrino scarlatto lungo più di due metri e cominciò ad avvolgerlo intorno alle bambole. Le fasciò come due mummie. Piegò ad anello il capo restante. «Ed ecco qua», disse Blaise. «Uniti fino alla morte. Congratulazioni. Vediamo, ora sono le dieci e un quarto, avrà dimenticato la tua esistenza alle… diciamo, dieci e sedici». Si stiracchiò e si passò le mani fra i capelli morbidi, una cascata di acqua nera. Thea cercò di sorridere. Il dolore era insopportabile. Era come se una parte del suo corpo le fosse stata mozzata. Aveva la sensazione che la pelle fosse carne viva e sanguinante e non riusciva a concentrarsi su cose come il francese o la trigonometria. Doveva esserci qualcosa di più nella vita. Andrò da qualche parte e farò qualcosa per gli altri; lavorerò nei Paesi del terzo mondo o cercherò di salvare le specie in via di estinzione. Ma pensare a future opere pie non eliminava il dolore. Né la sensazione che una volta finita tutta quella storia sarebbe diventata definitivamente insensibile e non sarebbe mai più stata felice. E tutto questo per un umano… 155 Non ci riusciva più. Ormai le era impossibile tornare al suo vecchio modo di pensare. Forse gli umani erano diversi, ma erano sempre persone. Non valevano meno delle streghe. Erano solo diversi. Riuscì ad arrivare alla fine delle lezioni senza imbattersi in Eric, anche se fu costretta a sgattaiolare per i corridoi dopo il suono della campana e arrivare in classe in ritardo. Stava andando alla lezione di storia, che anche Dani seguiva, quando andò praticamente a sbattere contro Pilar. «Thea!». Nella sua voce c’era una certa sorpresa. Thea alzò lo sguardo. Incontrò due occhi color ambra incorniciati da folte ciglia nere. Pilar la guardava in modo molto strano. Ti stupisci della tua buona sorte?, pensò Thea. Eric ti si è già dichiarato? «Che c’è», chiese. Pilar esitò, poi scosse la testa e si allontanò. Thea si affrettò a raggiungere l’aula. «Thea!», la chiamò Dani. Le parlavano tutti con lo stesso tono meravigliato. «Dove sei stata? Eric ti sta cercando dappertutto». Certo, avrei dovuto immaginarlo. Blaise si sbagliava: non riuscirà a dimenticarmi e ad andarsene. È un gentiluomo, me lo verrà a dire. «Posso venire a casa con te?», chiese a Dani tristemente. «Ho bisogno di un po’ di tranquillità». «Thea…», Dani la trascinò in un angolo e la scrutò con occhi ansiosi. «Eric vuole vederti sul serio… ma cosa c’è che non va?», bisbigliò. «C’entra Suzanne? La vecchia palestra è sempre chiusa, vero?» 156 «Non ha niente a che fare con lei». Stava per chiederle di nuovo di andare via quando una sagoma alta e slanciata apparve sulla porta. Eric. Andò subito verso Thea. I ragazzi che stavano intorno alla cattedra li guardarono. L’insegnante li fissò. Thea si sentiva un fenomeno da baraccone. «Dobbiamo parlare», disse Eric con voce piatta. Non l’aveva mai visto così. Era pallido, con lo sguardo vitreo, il viso scavato. Sembrava che non dormisse da una settimana. E aveva ragione. Dovevano parlarne e farla finita. Doveva dirgli che era tutto a posto, o non sarebbe mai riuscito a lasciarla. Posso farcela. «Da qualche parte dove possiamo discutere in pace», gli disse Thea. Lasciarono Dani e attraversarono il campus, superando la vecchia palestra col nastro giallo della polizia che penzolava. Attraversarono il campo da football. Thea non sapeva dove stessero andando, e sospettava non lo sapesse neanche Eric: semplicemente continuarono a camminare finchè non furono lontani. Il verde curato dei prati si tinse di giallo, poi lasciò posto al marrone, e alla fine al deserto. Thea si strinse le braccia al corpo, e pensò che la temperatura si era abbassata moltissimo nel giro di una settimana e mezza. L’estate era finita sul serio. E ora ne parleremo, pensò quando Eric si fermò. Ok, non ci devo pensare, devo solo dire le frasi giuste. Si costrinse a guardarlo. 157 Lui le rivolse uno sguardo sofferente e tormentato e disse: «Voglio che tu la smetta». Buffa scelta di parole. Forse intendeva: «Voglio lasciarti, non vederti più». Farla finita con quello strazio. Non riusciva a capire, così chiese solo: «Cosa?» «Non so cosa stai combinando», le rispose, «ma voglio che tu la smetta. Adesso». I suoi occhi verdi erano decisi. Non chiedevano scusa, ma pretendevano qualcosa da lei. Il tono di voce era piatto. Improvvisamente Thea ebbe la sensazione che le cose le stessero sfuggendo di mano. Le venne la pelle d’oca. Presa alla sprovvista, disse: «Io… di che parli?» «Sai benissimo di cosa parlo». La guardava ancora dritto negli occhi. Thea fece segno di no con la testa. Lui alzò le spalle, come a dire che se l’era cercata. «Qualunque cosa tu stia facendo», le disse scandendo chiaramente ogni sillaba, «per fare in modo che mi piaccia Pilar, devi piantarla. Non è giusto nei suoi confronti. È turbata perché mi sto comportando da pazzo. Ma io non voglio stare con lei. È te che amo. E se vuoi liberarti di me, dimmelo, ma non cercare di farmi piacere un’altra». Thea ascoltò tutto il discorso come se stesse volando a molti metri da terra. Il cielo e il deserto sembravano troppo luminosi, non erano caldi, solo splendenti. Mentre la sua mente girava in tondo come Madame Curie nella gabbia, riuscì a replicare: «Come potrei mai aver fatto qualcosa… per farti piacere Pilar?». Eric si guardò intorno, individuò una roccia, e andò a sedercisi sopra. Per quasi un minuto restò a guardarsi le 158 mani. Alla fine alzò lo sguardo, aveva un’espressione impotente. «Dacci un taglio, Thea», le disse. «Mi credi davvero così stupido?» Oh. «Oh». Poi pensò che non poteva restarsene lì come una scema. L’hai già ingannato una volta. Sei riuscita a fargli credere di non essere stato morso da un serpente. Per amore della Dea Terra, qualsiasi cosa stia pensando adesso, puoi fargli cambiare idea. «Eric, siamo stati tutti sotto pressione…». «Oh, ti prego, non provarci neanche». Sembrava che si rivolgesse ai fichi d’India lì accanto, studiandone le spine orribili come se progettasse di saltarci in mezzo. «Per favore, non ci provare». Fece un profondo respiro e parlò con ponderata calma. «Tu incanti i serpenti e leggi il pensiero dei criceti. Curi il morso di un serpente a sonagli semplicemente toccando la ferita. Ti insinui nella mente delle persone. Prepari potpourri magici e quella matta di tua cugina è la dea Afrodite». La guardò. «Ho scordato qualcosa?». Thea individuò un’altra roccia e si avviò in quella direzione muovendosi come un automa. Si mise a sedere. Era sconvolta, alienata, e non riusciva a connettere. Sentiva solo il proprio respiro, nient’altro. «Ho la sensazione», disse Eric, guardandola coi suoi occhi verdi, «che voi discendiate sul serio da Ecate, la vecchia Regina delle Streghe. Sbaglio?». «Pensi di aver vinto qualcosa?», Thea ancora non riusciva a pensare. Non riusciva a rispondere nulla di intelligente. Poteva solo farfugliare. 159 Lui restò zitto e sorrise, un sorriso triste e sarcastico, il primo che gli avesse visto fare quel giorno. Poi il sorriso si spense. «È così, vero?», le disse semplicemente. Thea guardò il deserto in lontananza, fino alla maestose rocce. Lasciò che lo sguardo si perdesse nella vastità, finchè il panorama non divenne solo una distesa di un verde bruciato. Poi si sfiorò il naso con due dita. Stava per fare una cosa per cui i suoi antenati l’avrebbero condannata, una cosa che nessuno di coloro con cui era cresciuta avrebbe mai potuto capire. «È vero», mormorò. Lui sospirò, insignificante e sperduto nella vastità del deserto. «Da quanto l’hai capito?», gli disse. «Non… non so bene. Cioè, credo di averlo sempre saputo in qualche modo. Ma non era possibile, e tu non volevi che lo sapessi. Quindi io non lo sapevo». Una sorta di eccitazione s’era insinuata nel suo sconforto. «È vero, allora. Puoi fare delle magie». Dillo, si fece forza Thea. Tutto il resto lo hai già fatto. Pronuncia quella parola davanti a un umano. «Sono una strega». «Una Donna del Focolare, hai detto. È questo che mi ha raccontato Roz». A quelle parole Thea si riscosse, piena di orrore. incredula. «Eric… non puoi parlare di queste cose con Roz. Non capisci. La uccideranno». Lui non sembrò sconvolto come si sarebbe aspettata. «Sapevo che avevi paura di qualche cosa. Pensavo che temessi solo che quella gente potesse fare del male a te, e a tua nonna». 160 «Lo faranno; mi uccideranno. Ma uccideranno anche te e Roz, tua madre e qualsiasi altro umano, se crederanno di essere stati scoperti…». «Chi sono loro, esattamente?». Lo guardò, annaspando per un attimo alla ricerca delle parole, poi tradì la sua stirpe una volta per sempre. «Il Mondo delle Tenebre». «Ok», replicò lui lentamente, mezz’ora più tardi. Erano seduti su una roccia, uno accanto all’altra. Non si toccavano, ma tutto il corpo di Thea sentiva quella vicinanza. «Ok, quindi in parole povere i discendenti di Maya sono lamie e quelli di Hellewise sono streghe. Insieme formano questa grande organizzazione segreta, il Mondo delle Tenebre». «Sì». Thea doveva combattere il proprio istinto, che la spingeva a sussurrare. «Non si tratta solo di lamie e di streghe, però. Ci sono mutaforma e vampiri e lupi mannari e altre creature. Tutte le razze da cui quella umana si tiene lontana». «Vampiri», mormorò Eric al fico d’India, con gli occhi che si facevano di nuovo vitrei. «È una cosa incredibile, vampiri veri. Non so perché, è una conseguenza più che logica…». Guardò Tea, lo sguardo di nuovo limpido. «Ascolta, se avete tutti questi poteri soprannaturali, perché non prendete il potere?» «Non siamo abbastanza numerosi», disse Thea. «E “voi” siete troppi. I nostri poteri non sarebbero sufficienti». «Ma, ascolta…». «Vi riproducete molto più in fretta, avete più figli… e ci uccidete quando riuscite a trovarci. Le streghe erano 161 sull’orlo dell’estinzione, prima di unirsi con le altre razze e formare il Mondo delle Tenebre. Ed ecco perché la legge del Mondo delle Tenebre è così severa riguardo alla necessità di proteggere dagli umani il nostro segreto». «Ed ecco perché hai cercato di passarmi a Pilar», disse Eric. Thea poteva percepire l’intensità dello sguardo di Eric. Si concentrò sui rovi ai suoi piedi. «Non volevo che morissi. Non volevo morire neanch’io». «E davvero ci uccideranno perché ci amiamo?» «Senza pensarci un attimo». Le toccò la spalla. Thea avvertì il calore che si sprigionava dalla sua mano e dovette sforzarsi per non tremare. «Allora manterremo il segreto», disse. «Eric, non è così semplice. Non capisci. Non c’è nessun posto dove potremmo andare, non possiamo nasconderci da nessuna parte. Il Popolo delle Tenebre è ovunque». «E seguono tutti le stesse regole». «Sì. È quello che permette loro di sopravvivere». Lui fece un profondo respiro, poi disse con voce roca: «Dev’esserci un modo». «Anch’io ho voluto crederlo… per un po’». Le tremava la voce. «Ma dobbiamo affrontare la realtà. La sola possibilità che abbiamo di sopravvivere è andarcene ognuno per la sua strada. E tu devi cercare con tutte le tue forze di dimenticare me e tutto quello che ti ho detto». Adesso tremava sul serio, e aveva le lacrime agli occhi. Ma strinse i pugni ed evitò di guardarlo. «Thea…». Le lacrime cominciarono a scendere sulle guance della ragazza. «Non voglio essere la causa della tua morte!». 162 «E io non posso dimenticarti! Non riesco a smettere di amarti». «Be’, magari anche questo è un incantesimo», rispose lei, tirando su col naso. Le lacrime ormai sgorgavano copiose e cadevano sulla roccia. Eric si guardò intorno, poi, non trovando nulla di meglio, le asciugò le guance col pollice. Lei si ritrasse. «Ascoltami! Quando hai elencato tutto quello che ho fatto, hai saltato una cosa. Faccio incantesimi d’amore anche per me. Ne ho fatto uno su di te, ecco perché all’inizio ti sei innamorato». Eric non sembrò colpito. «Quando?» «Quando l’ho fatto? Il giorno che ti ho invitato al ballo». Lui rise. «Tu…». «Thea», scosse la testa. «Ascolta», le disse con gentilezza, «mi sono innamorato di te prima di allora. È successo quando eravamo qui col serpente. Ci siamo guardati e… e… ho visto un alone che ti circondava ed eri la cosa più bella del mondo». Scosse di nuovo la testa. «E forse quella era magia, ma non si trattava di un sortilegio». Thea si asciugò gli occhi con la manica. Ok, quindi l’eupatoria non c’entrava niente. E comunque, sembrava che tutti gli incantesimi d’amore gli rimbalzassero addosso: neanche le bambole avevano funzionato… Improvvisamente si chinò per prendere lo zaino. «E non capisco come mai questo non abbia funzionato», mormorò. Tirò fuori una trousse per il trucco, aprì la lampo e prese due piccoli oggetti. Le bambole erano ancora avvolte nel filo. A un primo sguardo sembravano a posto. Poi Thea lo vide. 163 Il maschio si era girato. Invece di trovarsi faccia a faccia con la femmina, le dava la schiena. Il nastro scarlatto era ancora strettamente legato. Non poteva assolutamente essere scivolato, non era possibile che fosse successo per caso. Ma le bambole erano nella trousse, e la trousse era rimasta nel suo zaino per tutto il giorno. Eric stava guardando intensamente le bambole. «Quello è l’anello di Pilar. Ehi, è questo l’incantesimo su me e Pilar? Posso vederlo?» «Oh, perché no?», sussurrò Thea. Era di nuovo confusa. Quindi non poteva essere stato un caso, e nessun umano avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. E una strega neppure. Forse… Forse c’era una magia più potente degli incantesimi. Magari era la forza delle anime gemelle, e se due persone erano destinate a stare insieme, niente avrebbe potuto dividerle. Eric stava svolgendo goffamente il nastro. «Restituirò l’anello a Pilar», disse. Disfece l’incantesimo d’unione e rimise con delicatezza i vari componenti nella trousse. Poi la guardò. «Ti ho sempre amato», le disse. «Ho solo una domanda…». S’interruppe e tornò a essere il timido Eric che conosceva. «E la domanda è: mi ami?», concluse alla fine. La sua voce era dolce, ma la guardava senza battere ciglio. Forse ci sono delle cose che non si possono combattere… 164 Lei si costrinse a guardarlo. Ma non riusciva a metterlo a fuoco, le immagini le si sdoppiavano davanti agli occhi. «Ti amo», sussurrò. «Non so cosa succederà, ma ti amo». Caddero lentamente come in un sogno, l’una nelle braccia dell’altro. «C’è un problema», disse Thea un po’ dopo. «Oltre a tutti gli altri. La settimana prossima devo fare una cosa e ho bisogno che tu mi dia un po’ di tempo». «Che cosa?» «Non posso dirtelo». «Devi dirmelo», rispose lui calmo, il suo respiro sui suoi capelli. «Adesso devi dirmi tutto». «È roba magica ed è pericolosa…». Si accorse del suo errore un secondo troppo tardi. «Che vuol dire pericolosa?». Eric si tirò in piedi. Il suo tono le fece capire che quell’intervallo di serenità era finito. «Se pensi che ti lascerò fare da sola qualcosa di pericoloso…». Alla fine riuscì ad averla vinta. Era bravo a sfinire le persone – perfino meglio di sua sorella – e Thea non sapeva dirgli di no. Gli raccontò di Suzanne Blanchet. «Una strega morta», commentò lui. «Uno spirito. E molto arrabbiato». «E tu pensi che tornerà». «Penso non si sia mai allontanata. Forse è rimasta nei paraggi della vecchia palestra, cosa che non le è servita a niente perché nessuno è andato ad aggredire quei fantocci. Ma se la riaprono per la festa di Halloween…». 165 «Sarà piena di umani che affolleranno quegli stand e le ricorderanno quello che odia. Può scrollarseli di dosso come un cane si libera delle pulci». «Qualcosa del genere. Credo potrebbe essere davvero pericoloso. Perciò dobbiamo cercare di attirarla da qualche altra parte e rispedirla da dove è venuta». «E come hai intenzione di fare?» «Non so». Thea si posò una mano sulla fronte. Il sole calava oltre le rocce e le ombre del pomeriggio si allungavano sul deserto. «Hai già un piano», disse semplicemente Eric. Non tu, pensò Thea. Mi sono ripromessa di non servirmi di te. Neanche per salvare delle vite. «Hai un piano che credi sia pericoloso per gli umani. E per me, dato che ho intenzione di aiutarti». Non mi servirò di te… «Rendiamo le cose più semplici per tutti. Tu sai che non te lo lascerò fare da sola. Potremmo prenderlo come un dato di fatto, e cominciare da qui». Questo è il ragazzo matto che ignora i morsi di un serpente e affronta un folle armato solo di un bicchiere di punch, ricordò a se stessa. Davvero pensavo di convincerlo a non aiutarmi? Ma se dovesse succedergli qualcosa… Di nuovo quella voce. Thea non la capiva, ma non le piaceva affatto. Rinunceresti a tutto? 166 Capitolo 14 U n’altra settimana passò più o meno tranquillamente. Nonna Harman tornò a casa, la sua tosse era migliorata. Non notò niente di diverso in Thea. Ormai faceva notte presto, e a scuola tutti parlavano di feste e costumi. L’aria era più fredda e venne comunicato l’annuncio che per la notte di Halloween la vecchia palestra sarebbe stata riaperta. Thea venne a sapere che Randy Marik era stato trasferito in un ospedale psichiatrico, in terapia intensiva. Pareva facesse dei progressi. Ogni giorno lei ed Eric lavoravano al loro piano. Il solo momento davvero emozionante fu la sera in cui Thea entrò in camera, si mise a sedere sul letto di Blaise, e le disse: «Non lo fermano neanche le pallottole». «Che?», Blaise smise di spalmarsi la crema e alzò gli occhi. «Voglio dire, gli incantesimi non lo fermeranno. Eric. Gli rimbalzano addosso. Te lo dico perché prima o poi scoprirai che non sta con Pilar». Blaise richiuse il tubetto di scatto. Restò a guardarla per un minuto buono, poi disse secca: «Di che stai parlando?». Thea aveva perso ogni voglia di scherzare. Abbassò gli occhi a terra. «Dico che siamo anime gemelle», rispose piano. «E che non posso evitarlo. Davvero, non c’è niente, niente, che io possa fare». 167 «Non riesco a crederci, dopo tutto quel…». «Vero. Dopo tutto quel lavoro. E dopo che io ho provato e riprovato a farla finita, perché sono spaventata a morte. Ma non c’è modo di combattere questa cosa, Blaise. È quello che sto cercando di spiegarti. Devo trovare un modo per accettare la situazione». Guardò la cugina: «Ok?» «Sai che non è ok. Non lo è proprio per niente». «Quello che sto cercando di dirti, credo, è questo: per favore, prometti che non proverai a ucciderlo e che non ci tradirai. Non sopporterei di trovarmi di nuovo contro di te. E non posso smettere di infrangere la legge». Blaise scagliò il tubetto contro la cassettiera. «Ti senti bene, Thea?», le chiese preoccupata. «Ti stai comportando in modo molto…». «Fatalista?» «Fatalista e assolutamente inquietante». «Sto bene. È solo che… non so cosa succederà, ma sono, direi… calma. Farò del mio meglio. Eric farà del suo meglio. E a parte questo, non c’è nulla di certo». Blaise la fissò per un altro minuto, gli occhi grigi che la scrutavano. Poi scosse la testa. «Non ti tradirò. Sai che non lo farei mai. Siamo sorelle. E quanto a provare a ucciderlo…», alzò le spalle, cupa. «Probabilmente non ci riuscirei. Quel ragazzo è impossibile». «Grazie, Blaise». Thea le sfiorò il braccio. Blaise le accarezzò la mano con le sue unghie rosse, solo per un momento. Poi si appoggiò alla testiera e sistemò più comodamente i cuscini con un colpetto. «Non dirmi niente però, va bene? Me ne lavo le mani di voi due e non voglio sapere che succede. Oltretutto, ho già i miei problemi. Devo decidermi fra una Maserati e una Karmann Ghia». 168 Halloween. Thea guardava il mondo avvolto nell’oscurità dalla sua finestra. Nel vicolo non c’erano molti bambini, ma sapeva che erano tantissimi quelli che si aggiravano per la città. Gnomi e fantasmi e streghe e vampiri: tutti finti. I vampiri veri se ne stavano a casa seduti davanti al caminetto, o magari partecipavano a party esclusivi, e se la ridevano. E le vere streghe si preparavano per i loro Circoli di Samhain. Thea indossò una veste bianca senza maniche, molto semplice. Strinse una morbida cintura intorno alla vita e con un capo formò un cappio rivolto verso l’alto, facendoci passare dentro l’altro capo per tre volte. Il Nodo di Iside. Le streghe lo facevano da quattromila anni. Fece un respiro e guardò di nuovo fuori. Goditi la pace finchè puoi, si disse. Sarà una notte movimentata. La jeep di Eric si fermò nel vicolo. Si sentì un unico colpo di clacson. Thea afferrò lo zaino che aveva nascosto sotto il letto. Era pieno di roba. Quercia, frassino, schegge di quassia, cardo benedetto, radice di mandragola, e il residuo indurito sul fondo del braciere di bronzo, che era riuscita a grattare a fatica usando uno dei coltelli da lavoro di Blaise. Un timbro di legno, anche quello inciso con gli utensili di Blaise. E una fialetta di onice con tre preziose gocce della pozione d’invocazione prese dalla bottiglia di malachite. Corse verso le scale. «Ehi, vai già via?», le chiese Blaise, uscendo dal bagno. «Manca – quanto? – un’ora e mezza prima del Circolo». 169 Blaise era bellissima: solo in quel periodo era meravigliosamente, pienamente se stessa. Anche la sua tunica nera era senza maniche. I capelli sciolti le arrivavano ai fianchi, ed erano intrecciati con piccole campanelle. Le braccia risaltavano candide e splendide contro il nero dei capelli e della veste. Era scalza, e portava una cavigliera. «Devo uscire di corsa a fare una cosa, prima», le rispose Thea. «Non chiedermi niente». Blaise ovviamente non sapeva cosa stavano architettando Thea e Eric. E neanche Dani. Era meglio così. «Thea…». Blaise si fermò in cima alle scale e la chiamò un attimo prima che si precipitasse fuori. «Sta’ attenta!». Thea la salutò con la mano. I sedili posteriori della jeep erano pieni di legna. «Ho pensato che fosse meglio portarne un altro po’, per prudenza», disse Eric prendendole lo zaino e buttandolo in macchina. Poi aggiunse, cambiando completamente tono: «Sei… fantastica… con quel vestito». Gli sorrise. «Grazie. È tradizionale. Anche tu sei carino». Eric era vestito come un soldato francese di Ronchain del diciassettesimo secolo, perlomeno da quanto avevano potuto capire dalle xilografie nei vecchi libri. Si inoltrarono nel deserto, superando le alte rupi brulle, allontanandosi dalla strada maestra e immergendosi fra gli arbusti, finchè non trovarono il posto. Non era che un piccolo avvallamento circondato da colonne di arenaria rossa. Non somigliavano per niente ai monoliti di Stonehenge, erano molto più somiglianti – così bozzute e storte – a torri di plastilina fatte da un bambino che poi aveva cercato di buttarle giù. In ogni caso, servivano allo scopo. 170 Si trattava di un luogo che avevano scoperto da soli, e Thea ne era molto orgogliosa. «Il fuoco brucia ancora», disse. «Bene». Era rimasto acceso al centro del cerchio per tutti gli ultimi tre giorni. Thea sperava che avrebbe incuriosito Suzanne, allontanandola dalle persone riunite nella vecchia palestra. E a quanto pare aveva funzionato. Non solo il fuoco, naturalmente. Dovevano attirarla anche i tre fantocci che giacevano a terra, legati ai pali. «Anche i nostri ragazzi sembrano a posto», commentò Eric. Raccolse il fantoccio più piccolo e lo spolverò. Quando piantò il bastone in un buco del terreno, per farlo stare in piedi, il manichino assunse vagamente l’aria di uno spaventapasseri. Uno spaventapasseri vestito con una tunica nera legata da un nodo di Iside. Con un cartello appeso al collo: LUCIENNE. L’altro fantoccio piccolo portava un cartello con su scritto: CLEMENT. Quello grande, invece, ne aveva uno con scritto: SUZANNE. «Ok», disse Thea quando ebbero scaricato la legna, lasciando il suo zaino sulla jeep. «Ora ricordati di non fare nulla finchè non torno io, va bene? Niente di niente. E se ritardo di qualche minuto, aspettami e basta». Lui smise di annuire. «La festa di Halloween inizia alle nove. Se non sei qui alle nove in punto, potrei…». «No. Non toccare nulla, non fare nulla». «Thea, potremmo perderla. E se lei pensa che qui non succede niente e quindi va alla festa…». «Non farò tardi», replicò Thea semplicemente. Era l’unico modo per chiudere la discussione. «Ma non bruciare le streghe prima che io sia qui a tracciare il cerchio. Ok?» 171 «Buona fortuna», disse lui. Con quegli abiti esotici era bello e misterioso. Diverso dal solito. Si baciarono sotto la luna, piena per metà. «Sta’ attento», sussurrò Thea, riuscendo alla fine a trovare la forza per staccarsi da lui. «Torna sana e salva», rispose lui bisbigliando. «Ti amo». Tornò in città con la jeep, per partecipare all’incontro delle vergini del Circolo del Crepuscolo. Quell’anno si teneva in un club del Mondo delle Tenebre alla periferia sud della città. Sulla porta non c’era nessuna targa, ma sul tappetino, fra due sorridenti zucche di Halloween, era stata dipinta una dalia nera. Thea bussò e la porta si aprì. «Dani! Sei fantastica». «Anche tu», le rispose Dani. Era vestita di bianco, con una lunga e diafana veste a pieghe che le arrivava alle caviglie, sembrava un’egiziana. Le trecce nere trattenute sulla sommità del capo da un fermaglio d’argento le ricadevano sulle spalle, sulla schiena e le braccia. Era una bellissima regina Iside. «Non hai indossato un costume?», le chiese. «Io e Blaise dovremmo essere Maya e Hellewise», replicò Thea. La verità era che si sentiva più a suo agio con il normale vestito del Circolo, e Blaise sapeva di essere magnifica con il suo. «Be’, scendi. Sei l’ultima», le disse Dani prendendola per mano. Scesero una rampa di scale e raggiunsero una stanza sotterranea. Aveva un’aria dismessa, disordinata, con cassette rovesciate a mo’ di sedili, e fili di lucette colorate appese fra i pilastri di cemento. Delle sedie metalliche erano state spostate di lato. 172 «Ciao Thea! Ehi! Felice incontro!», la chiamò qualcuno. Thea girò per la sala dispensando sorrisi e abbracci. «Felice Samhain», continuava a dire. «Unità». Per quei pochi minuti si dimenticò di quello che doveva accadere quella notte. Era così bello rivederli tutti insieme, tutti i suoi amici dei Circoli estivi. Kishi Hirata era vestita da Amaterasu, la dea del sole giapponese, di oro e arancio. Alaric Breedlove – che frequentava il secondo anno alla Lake Mead High – da Tammuz il pastore, figlio della dea madre Ishtat. Claire Blessingway da Donna che si Rinnova, dea navajo, con un vestito decorato con turchesi e petali rossi. Nathaniel Long da Herne, dio celtico della caccia, tutto di verde con corna di cervo. Quella sera gli umani indossavano costumi per mascherarsi. Le streghe invece li mettevano per riflettere la propria interiorità: com’erano veramente, o come desideravano essere. «Prendi, assaggia questo», disse Claire, porgendole un bicchiere di carta. Dentro c’era una densa tisana rossa con cannella e chiodi di garofano. «È ibisco. Una ricetta di mio padre». Qualcun altro stava offrendo dolcetti di pastafrolla a forma di falce di luna. Thea ne prese uno. Era tutto così accogliente, caldo, e lei sarebbe stata felicissima se avesse potuto semplicemente godersi la serata. Trascorrere un normale Samhain. Festeggiare… Ma Eric l’aspettava al buio e al freddo nel deserto. E Thea faceva il conto alla rovescia. «Ok gente, è ora di iniziare». Lawai’a Ikua, una graziosa ragazza dalla corporatura robusta con capelli che sembravano fatti di nylon nero, era in piedi al centro della stanza. Indossava una tunica 173 rossa e una ghirlanda di fiori: Pele, la dea hawaiana del fuoco, pensò Thea. «Avanti, formiamo il cerchio. Bene, così. Chang Xi, sei tu la più giovane adesso». Una ragazza minuta con grandi occhi a mandorla si aggregò timidamente agli altri. Thea non l’aveva mai vista prima, doveva aver compiuto sette anni dopo l’ultimo Circolo d’estate. Era vestita di verde giada come Kuan Yin, la dea cinese della compassione. Paralizzata dalla tensione, prese un ramoscello di ginestra e spazzò l’area al centro del cerchio. «Thea, tu occupati del sale». Thea fu sorpresa e felice. Prese la ciotola di sale marino che Lawai’a le porgeva e percorse lentamente il perimetro del cerchio, spargendolo. «Alaric, tu prendi l’acqua…». Lawai’a s’interruppe, guardando in direzione delle scale con aria stupita. Thea vide che anche gli altri si voltavano. Si girò a sua volta. Due adulte, due Madri, stavano scendendo. Quando la luce rischiarò i loro volti, Thea ebbe un sussulto. Era zia Ursula. Indossava un vestito grigio e aveva l’espressione tetra che Thea conosceva tanto bene. Nessuno nella stanza fiatò. Restarono immobili come alberi a guardare le donne, finchè non furono ai piedi delle scale. Interrompere un Circolo a metà era una cosa inaudita. «Felice Samhain», disse Lawai’a esitante. «Felice Samhain», rispose gentilmente zia Ursula, ma senza sorridere. Come un’insegnante scontenta. «Spiacente di interrompervi, ci vorrà solo un minuto». Il cuore di Thea cominciò a battere forte. 174 È solo la voce della coscienza che mi fa sentire in colpa, cercò di convincersi. Non possono avercela con me. Ma era proprio così. E una parte di lei lo sapeva già prima che zia Ursula passasse in rassegna il cerchio e dicesse: «Thea Sophia Harman». Come se non sapesse chi sono, pensò Thea confusa. Frenò il cieco impulso di superare la zia e correre in strada. Ora capiva perché i conigli erano così stupidi da lasciare un buon nascondiglio e correre alla cieca quando un cane si avvicinava. Semplice panico, tutto qua. Fece un passo avanti, fra Kishi che la fissava a sinistra e Nat stupefatto a destra. Si sentiva tutti gli occhi addosso. «Che succede?», chiese, cercando di sembrare meravigliata. Zia Ursula la guardò dritto negli occhi, come a dire: Lo sai. Ma non aprì bocca, il che forse era anche peggio. «Dani Naete Mella Abforth» Oh, Ilizia, Dani no… Dani stava uscendo dal cerchio. Teneva la testa alta, orgogliosa, ma Thea le poteva leggere negli occhi la paura. Si fece avanti, la veste di lino le ondeggiava intorno alle caviglie, e si mise accanto a Thea. Dani, mi dispiace… «È tutto», disse zia Ursula. «Voialtri potete continuare il vostro Circolo. Felice Samhain a tutti». E rivolgendosi a Thea e Dani: «Voi verrete con me». La seguirono in silenzio. Non c’era altro da fare. Una volta fuori, nell’aria fresca della notte, Dani disse: «C’è qualcosa… che non va?». Spostò lo sguardo da zia Ursu- 175 la all’altra donna, che era bassa, ma aveva un portamento altero. A Thea sembrava avesse un’aria familiare, poi capì. È Nana Buruku. Del Circolo Interno. Non è un affare di famiglia. Ci ha mandato a chiamare il Circolo Interno. «Dobbiamo parlare di un po’ di cose. Andiamo, così potremo sistemare tutto in fretta», disse tranquilla Nana Buruku, posando una mano color cannella sul braccio di Thea. La vecchia Lincoln Continental era ferma lì fuori. Nana Buruku si mise alla guida. Sui sedili posteriori Dani e Thea si tenevano per mano. Le dita di Dani erano ghiacciate. L’auto percorse le strade costellate di finti mostri e fantasmi, fino a una grande casa simile a un ranch, con alti muri di mattoni che nascondevano alla vista il giardino sul retro. La casa di Selene, pensò Thea, leggendo «Lucna» sulla cassetta della posta. Deve essere il posto in cui si riuniscono le vergini del Circolo di Mezzanotte. Zia Ursula scese dall’auto. Thea e Dani rimasero dentro con Nana Buruku. Dopo pochi minuti, la zia tornò con Blaise. Selene, vestita d’argento, e Vivienne, in nero, le seguirono fino alla strada. Erano serie e spaventate, non sembravano certo delle streghe pericolose. Ma Blaise sì. Scalza, al freddo, le campanelle tintinnati, era rossa in viso e sembrava arrabbiata e sprezzante. Aprì di scatto la portiera e si lasciò cadere sul sedile accanto a Thea, che le fece spazio. «Che succede?», chiese quasi gridando. «Mi perderò i dolcetti di mezzaluna, tutto quanto. Che Samhain è mai questo?». 176 Thea non l’aveva mai ammirata come in quel momento. «Torneremo in tempo», disse Dani, e la sua voce non tremò, anche se aveva le dita fredde. Che coraggiose sono tutte e due, pensò Thea. E io? Ma nonostante tentasse con tutte le sue forze, non riusciva a emettere neppure un suono, aveva la gola serrata. Si aspettava quasi che Nana Buruku imboccasse l’autostrada e si dirigesse verso il deserto, verso i territori di Thierry. Invece la Lincoln prese strade familiari e alla fine si fermò nel vicolo dietro il negozio di nonna Harman. Thea avvertiva su di sé lo sguardo interrogativo di Dani. Ma non aveva idea di cosa stesse succedendo, e aveva paura di guardarla in faccia. «Forza», disse zia Ursula, e le fece entrare dal retro, oltre la tenda di perline che conduceva al laboratorio. Tutte le sedie degli studenti della nonna erano state disposte a formare un circolo approssimativo. C’erano alcune persone sedute e altre in piedi che parlavano tranquillamente, ma quando Thea fece il suo ingresso al seguito di Nana Buruku, s’interruppero tutti e la guardarono. Thea spostò lo sguardo da un viso all’altro, le sembrava di essere precipitata in un sogno confuso e sconnesso. Nonna Harman aveva un’aria molto severa e stanca. Madre Cibele, la Madre del Circolo Interno, come la nonna ne era la Vegliarda, pareva ansiosa. Aradia, la Vergine, col bel viso triste e serio. Gli altri li riconobbe per averli visti due anni addietro. Erano molto famosi, tutti li conoscevano. Rhys, Belfana, Creon, Old Bob. 177 Zia Ursula e Nana Buruku erano le ultime due dei nove membri del Circolo. Sembravano persone normali, impiegati o pensionati molto svegli, come se ne incontrano tutti i giorni per strada. Non lo erano. Si trattava della più grande concentrazione di talenti magici di tutto il mondo. Fra le streghe erano i geni, i prodigi, i saggi, i veggenti, i responsabili delle decisioni. Erano il Circolo Interno. E tutti loro stavano guardando Thea. «Le ragazze sono arrivate», disse piano Madre Cibele ad Aradia. «Sono al centro». La nonna disse: «Bene, possiamo cominciare. Prendete posto tutti, per favore». Non era una richiesta, ma un ordine. La nonna era la più anziana fra tutte quelle celebrità. Ma non guardava Thea. E quella era la cosa più terribile, più spaventosa. Si comportava come se lei e Blaise fossero delle sconosciute. Si misero tutti a sedere, spostandosi fino a formare un cerchio più ordinato. Portavano abiti di tutti i giorni, notò Thea: completi, pantaloni e camicette. Nel caso di Aradia, jeans. Nel caso di Old Bob, una tuta sudicia. Quindi non avevano neanche iniziato la loro cerimonia, quella sera. La questione era abbastanza importante da saltare Samhain. Era un processo. Belfana spinse la sedia a rotelle di Creon fino a uno spazio libero. Fu l’ultima a sedersi. Mi hanno accerchiato, pensò Thea, terrorizzata. Era la sua peggiore paura, quella che l’aveva spinta ad allontanarsi da Eric nel deserto la prima volta che aveva 178 avvertito che erano anime gemelle. E ora l’incubo si era avverato. Sentiva il respiro spezzato di Dani, e il fioco tintinnio delle campanelle di Blaise quando spostava il peso da un piede all’altro. «Bene», disse nonna Harman, con voce stanca ma formale. «In nome della Terra, dell’Aria e del Fuoco, richiamo questo Circolo all’unità». Proseguì recitando l’antica formula per le riunioni di deliberazione. Quelle parole si fusero con il rombo del battito del cuore nelle orecchie di Thea. Non aveva mai pensato che essere completamente circondata da altre persone potesse essere così terrificante. Dovunque guardasse vedeva un’altra faccia indecifrabile. Si sentiva in trappola come fra umani. «Thea Sophia Harman», continuò la nonna, e all’improvviso Thea ritrovò tutta la concentrazione. «Sei sotto accusa…». Seguì una pausa apparentemente eterna, anche se in realtà durò meno di un attimo. «…per aver fatto incantesimi proibiti in aperta disobbedienza alle leggi di Hellewise e di questo Circolo…». Per un po’ Thea non riuscì a sentire altro che quelle parole: «aver fatto incantesimi proibiti». L’accusa restò sospesa, riecheggiò nell’aria. Parte di lei continuava ad aspettare le altre, più terribili imputazioni: aver tradito i segreti del Mondo delle Tenebre e essersi innamorata di un umano. Ma non arrivarono. «…invocato uno spirito dai luoghi estremi oltre il velo… aver unito due umani con un incantesimo d’amore proibito…». E poi la nonna lesse il nome di Blaise. 179 Blaise era accusata di aver creato una collana utilizzando materiali vietati e di aver unito due umani con un incantesimo proibito. Dani venne accusata di complicità nell’invocazione di uno spirito dai luoghi remoti: un’accusa falsa, pensò Thea con la testa che le girava. Sentiva uno strano formicolio in tutto il corpo, dalle piante dei piedi ai palmi delle mani, fino ai capelli. Era paura… e qualcosa che assomigliava al sollievo. Non lo sapevano. Non avevano scoperto la parte peggiore, altrimenti l’avrebbero già detto, no? E se io sto zitta, perché mai dovrebbero scoprirlo? Poi spostò l’attenzione sulla nonna, che aveva finito di leggere le accuse e ora stava parlando di nuovo con un tono di voce normale. «E devo dire di essere delusa da tutte e tre. Specie da te, Thea. Me lo sarei aspettato da lei, naturalmente» – fece un cenno in direzione di Blaise, rivolgendosi al resto del Circolo – «la mia discendente che oggi è vestita come la figlia cattiva di Ecate. Ma onestamente credevo che Thea avesse più buon senso». E difatti sembrava delusa. E anche… ferita. Thea era sempre stata la brava bambina, la ragazza d’oro, la più giovane e promettente delle Donne del Focolare. Ora, spostando lo sguardo da un viso all’altro, leggeva ovunque delusione. Ho fallito; ho disonorato la mia stirpe. Mi vergogno tanto… Avrebbe voluto farsi piccola, piccola e scomparire. Proprio allora ci fu un tintinnio argentino di campanelle. Blaise scuoteva i capelli neri. Aveva un’aria spavalda e sprezzante, molto orgogliosa, e anche un po’ annoiata. 180 «Quello che vorrei sapere io è chi ha fatto la spia», disse in un sussurro quasi impercettibile, ma indubbiamente minaccioso. Chiunque sia stato, se ne pentirà». E improvvisamente, per qualche ragione, Thea si sentì meno spaventata. Quella delusione non era poi così importante. Era impossibile scandalizzare il Circolo Interno e restare incolumi. Blaise ne era la prova. Fu allora che Thea capì quanto fosse paradossale la situazione. Per tutta la vita si era messa nei guai per colpa di Blaise, e ora eccole qua, nel peggiore guaio possibile… per colpa sua. E anche Dani c’era finita di mezzo. I suoi occhi vellutati erano pieni di lacrime. Quando se ne accorse, Thea sentì che il groppo alla gola si allentava. Era di nuovo in grado di parlare. «Ascoltate, scusatemi, ma c’è qualcosa che dovreste sapere. Prima di andare avanti…». «Ti sarà dato modo di parlare in seguito», disse Madre Cibele, con voce morbida e ferma, come il suo corpo piccolo e tondo. «No, devo dirlo adesso». Thea si voltò verso la nonna e si rivolse, solo per quei pochi secondi, proprio a sua nonna, non alla Vegliarda del Circolo Interno. «Nonna, Dani non dovrebbe essere qui. Davvero. Davvero. Non sapeva nulla dell’invocazione; ho fatto tutto da sola. Lo giuro». L’espressione di sua nonna s’ammorbidì un po’, le rughe sul viso si distesero. Ma tornò subito impassibile. «Bene, bene, lo vedremo più tardi. La prima cosa da scoprire è cosa hai fatto tu. Dal momento che a quanto pare sei stata proprio tu l’istigatrice». Quando sentì le parole “più tardi”, la consapevolezza travolse Thea come un uragano. 181 Più tardi… Che ore sono? Si guardò freneticamente attorno per trovare un orologio. Poi, dietro il capo grigio del Vecchio Bob… Le dieci meno dieci. Eric. Non sapeva come fosse stato possibile, ma la tensione che aveva provato fin dal momento in cui zia Ursula era andata a cercarla le aveva fatto completamente dimenticare che lui la stava aspettando nel deserto. Ora poteva vederlo, perfettamente chiaro nella sua mente, come se fosse fisicamente lì con lui. Eric fissava l’orologio, i minuti che passavano, e Thea non arrivava. Eric che guardava il falò e i tre fantocci vestiti di nero legati ai pali. E la festa. La festa di Halloween della scuola. Le porte metalliche e scrostate che venivano aperte e i ragazzi che si riversavano all’interno. Scarpe che calpestavano l’impiantito consunto, maschere che si aggiravano sotto i fantocci di streghe penzolanti. Ragazzi che ridevano forte, che si scambiavano banconote finte, che si affollavano negli stand della tortura. Mentre qualcosa era in agguato fra le tubazioni del soffitto. Forse invisibile, forse simile a un’ombra bianca e percepibile come una raffica di vento artico. Forse simile a una donna dai lunghi capelli color mogano. In agguato… poi all’improvviso che piomba giù… Li ucciderà. Sono completamente inermi... Thea avvertì il morso della paura, simile a punte di metallo conficcate nella sua carne. Stava accadendo tutto in quel momento, e lei non faceva nulla per impedirlo. Ormai era già passata un’ora, e non ci aveva neppure pensato. 182 Capitolo 15 «T hea». Dani le aveva afferrato un braccio e la scuoteva. «Stanno parlando con te». Le visioni svanirono. Thea si ritrovò nel laboratorio della nonna, le sembrava di vedere tutto attraverso una lente deformante. I visi erano distorti; le voci riecheggiavano in modo strano. «Ti ho chiesto, come hai imparato la formula per invocare gli spiriti?», chiese la nonna parlando con estrema lentezza. Eric. Non mi aspetterà; comincerà senza di me. O forse no? Gli ho detto di non fare niente. Ma sarà preoccupato per la festa… La festa. Tutti quei ragazzi… anche bambini. Umani, ma pur sempre persone. Come pulcini avvistati da un falco. Quanti di loro faranno la stessa fine di Kevin? «La formula per invocare gli spiriti!». La nonna urlava come se Thea fosse dura d’orecchi. «Io… noi… io ti ho sentita a Samhain due anni fa. Nel Vermont. Ho visto l’invocazione fatta dal Circolo Interno». Anche la sua voce risuonava strana e distorta. «Ti abbiamo vista. Tutte e due. Eravamo nascoste dietro gli alberi e non ve ne siete neanche accorti», affermò Blaise con voce chiara, e le campanelle tintinnarono di nuovo. Thea sentì confusamente di ammirarla, anche se nella sua mente si susseguivano senza tregua orribili pensieri. 183 Eric… ma se cerco di raggiungerlo, se il Circolo Interno scopre che è coinvolto… questo sì che provocherebbe la sua morte. Un umano che conosce il Mondo delle Tenebre. Condanna a morte immediata. Ma Suzanne. Se dà fuoco a quei fantocci, Suzanne lo ucciderà come ha ucciso Kevin. Qualunque cosa fosse successa Eric sarebbe morto in ogni caso. A meno che… «Quale… spirito… hai invocato?». Ormai la nonna gridava come se Thea fosse non solo sorda ma anche lenta di comprendonio. A meno che… «È proprio quello che voglio dirti», rispose Thea. Aveva intravisto una strada. Per lei sarebbe stata la fine, ma forse poteva salvare Eric. Se c’era abbastanza tempo, se la lasciavano in pace, se Eric non si metteva a fare l’eroe in quel momento esatto… «Voglio dirvelo», ripetè. E poi le parole uscirono a precipizio, sempre più in fretta, come se dentro di lei fosse crollata una diga. «E vi dirò tutto… ma per favore, nonna, per favore, ora devi lasciarmi andare, poi tornerò e farete di me ciò che vorrete». «Aspetta un minuto», disse Madre Cibele, ma Thea non poteva aspettare. «Per favore, per favore nonna. Ho fatto una cosa terribile, e sono la sola che può rimediare. Tornerò…». «Aspetta, aspetta, aspetta. Calmati», rispose la nonna. Anche lei sembrava agitata. «Cos’è questa fretta improvvisa? Spiegati con calma. Cosa pensi di dover fare?» «Devo rimandarla indietro». Thea capì che doveva dare una qualche spiegazione. Provò a parlare con calma e lentamente, per farsi capire bene. «Lo spirito che ho la- 184 sciato scappare, nonna. Si chiama Suzanne Blanchet ed è stata bruciata nel Seicento. Ora è libera, là fuori, e ha già ucciso un umano. Adesso ascoltavano tutti, alcuni si sporgevano in avanti, altri apparivano accigliati. Thea guardò il cerchio di visi intorno a lei, rivolgendosi a tutti, uno per uno. Era ancora terrorizzata, ma che importava? Solo Eric era importante per lei. «La settimana scorsa ha ucciso un ragazzo della mia scuola. E stasera ne ucciderà altri, alla festa di Halloween. Ora non posso spiegare come faccio a saperlo… non c’è tempo. Ma lo so. E sono la sola in grado di fermarla. Sono stata io a invocarla; solo io posso rimandarla indietro». «Sì, ma sfortunatamente non è così semplice», disse una voce pacata. Thea si voltò e riconobbe Rhys, un uomo dall’aspetto robusto che indossava un camice bianco. «Se lo spirito è libero…». «Lo so, ma conosco un modo per catturarlo. È tutto pronto, e io…», Thea esitò. «Ho convinto qualcuno con l’inganno ad aiutarmi», disse lentamente. «E ora è in pericolo. Questo è il motivo per cui dovete lasciarmi andare, perché devo occuparmene di persona. Vi prego». «Vuoi andare a scuola. Dove si tiene la festa», disse zia Ursula. Anche se aveva le labbra contratte come al solito, non sembrava arrabbiata. Sembrava più… furba. Thea aprì la bocca per rispondere di no, poi si fermò, nuovamente confusa. La festa… o il deserto? Se davvero Suzanne stava uccidendo dei ragazzi alla festa, doveva andare lì. Ma solo se Eric nel frattempo non la stava attirando nel deserto. Nel suo cuore lui era sempre più importante di chiunque altro. Ma se non stava facendo niente – e Suzanne era al 185 party – avrebbe potuto uccidere prima che Thea e Eric riuscissero ad attirarla… Sto impazzendo. Si sentiva, letteralmente, svenire. La testa le girava vorticosamente. C’erano troppe opzioni. Tutto dipendeva da dove era Suzanne in quel momento, e non c’era modo di saperlo. Thea iniziò a tremare con violenza, puntini neri le danzavano davanti agli occhi. Non so che fare. «Scusate… potreste ascoltarmi tutti per un attimo? Vedo qualcosa». Era la voce di Aradia, calma e controllata. Matura e consapevole, anche se era di poco più grande di Thea. Cercò di guardarla attraverso quel pulviscolo nero di punti vorticosi. «Credo sia qualcosa di importante, qualcosa che riguarda quello di cui stiamo parlando», continuò Aradia. Il suo bel viso, dalla pelle liscia colo caffelatte, era rivolto a Thea. I grandi occhi castani erano fissi su un punto indefinito davanti a lei, come sempre. Aradia non vedeva con quegli occhi, non ne aveva bisogno. Vedeva con la mente… e vedeva cose che erano nascoste ai più. «Vedo un ragazzo: è vestito con un costume d’altri tempi. È accanto a un fuoco, in mezzo a un cerchio di pietre». Eric… «Tiene in mano un bastone, un tizzone. Si guarda intorno. Ora sta… vedo una specie di spaventapasseri. Non capisco bene. Sta sopra a un mucchio di legna. Si china. Dà fuoco alla legna». No. 186 «Devo andare», disse Thea. Non stava più chiedendo il permesso. Aradia stava ancora parlando. «Ecco, la legna prende fuoco. Ora vedo più chiaramente… e non è uno spaventapasseri; pare una specie di strega. Una bambola». Si interruppe, i begli occhi ciechi di spalancarono. «Si muove… no, c’è qualcos’altro a muoverla. Ora lo vedo: uno spirito. Uno spirito fa muovere la bambola. Adesso avanza, va verso il ragazzo…». «Devo andare», disse Thea. E poi si mosse, si fece strada spingendo da parte Rhys e Old Bob, spezzò il cerchio. Le perline della tenda le colpirono il viso, richiudendosi rumorosamente alle sue spalle. «Aspetta un attimo, Thea!». «Thea, torna qui!». «Ursula, va’ a prenderla…». La jeep. Ho lo zaino nella jeep. Prima devo prenderlo. Le chiavi della Lincoln erano appese a un chiodo accanto alla porta sul retro. Thea le afferrò. Aprì la porta nel momento stesso in cui tre o quattro persone sbucavano da dietro la tenda. Gliela sbattè in faccia. La macchina. Svelta. Va’ via. Fece retromarcia per uscire dal vicolo, i pneumatici che stridevano. Vide la luce che usciva dal negozio quando i suoi inseguitori spalancarono la porta, poi imboccò Burren Street. Eric… Guidava in modo per lei inconsueto, accelerando a tavoletta un attimo prima che scattasse il rosso, imboccando le scorciatoie al buio. In pochi minuti raggiunse il club del Mondo delle Tenebre, con le zucche illuminate sulla veranda. 187 Non c’era posto per parcheggiare la Lincoln. La lasciò in mezzo alla strada, con la chiave ancora nel cruscotto. Prese quelle della jeep e saltò a bordo. In fretta. In fretta. Partì con la jeep sgommando. Muoviti. L’autostrada. Eric… Fa’ che non sia troppo tardi. Devo raggiungerlo. È tutto quello che chiedo, il resto non m’importa. Rinunceresti a tutto? Stavolta la voce non le sembrò sconosciuta, né minacciosa. Solo curiosa. E Thea conosceva la risposta. Sì. Se riuscissi solo ad arrivare lì, in tempo, potrei farlo andar via. Gli racconterò una storia, lo convincerò in qualche modo. Lo farò nascondere. Dirò al Circolo che l’ho ingannato, o incantato, per farmi aiutare. Non svelerò nemmeno il suo nome. Non potranno costringermi. Qualunque cosa mi faranno, lui sarà al sicuro. È la sola cosa che mi interessa. È tutto quello che chiedo. Ma era comunque molto, e lo sapeva, perciò continuò a tenere il piede sull’acceleratore. Lo svincolo per uscire dall’autostrada. Una strada secondaria. Guidava a velocità folle. Una voce ronzante nella testa ripeteva: «Sbrigati, sbrigati», anche se l’auto sbandava pericolosamente. Il deserto. Ora la strada era brutta. La visibilità era scarsa; la luna era quasi calata. La jeep sobbalzava sui dossi e le buche. Eric, fa’ qualcosa. Parlale, scappa. Sei così intelligente, per favore, per favore, usa la testa. Distraila, tienila lontana dal tuo collo. 188 Quanto poteva essere forte uno spirito? Thea non lo sapeva. Per favore, ora capisco tutto, mi rendo conto di ogni cosa. Sono stata egoista, ho pensato solo a me stessa, a cosa poteva rendermi felice. Tutte quelle fesserie su quanto fossi disperata. Avrei dovuto mettermi a ballare per la felicità, altroché. Finché Eric sta bene, non m’importa se vive su Marte, non m’importa se non lo rivedrò più. Se starà bene sarò felice, vergognosamente felice. Uno scossone la fece sobbalzare. Ormai aveva lasciato la strada e si faceva guidare dai punti di riferimento nel paesaggio. Attraversò foreste di piante di yucca morte che assomigliavano a tanti Cugini It. Ci voleva un’eternità, troppo. Sbrigati. Sbrigati. Ora vedeva le colonne di arenaria di fronte a lei, illuminate dai fari. Ecco! Vai, vai! La jeep sfrecciò sui cespugli di acacia. Nella depressione fra le colonne riusciva ad intravedere il falò. Si diresse in quella direzione. Fuoco, movimenti, una persona… «Eric!» Urlava mentre spingeva il freno con tutta la forza che aveva. La macchina si fermò di botto, a pochi centimetri da un cumulo deforme di arenaria. «Eric!». Aveva lo zaino in mano. Spalancò la portiera e scese giù correndo. «Thea! Stai lontana!». Fu allora che lo vide. La luce del fuoco illuminava l’arenaria già vivida di uno strano bagliore. Ogni cosa sembrava rossa, come se tutto il paesaggio fosse stato immerso nel sangue. Il rug- 189 gito del motore della jeep e quello del fuoco si fusero, sembrava di sentir crepitare le fiamme dell’inferno. Ma Eric era vivo e combatteva. Combatteva con quella cosa. Thea gli si buttò contro, mentre la sua mente registrava ogni dettaglio. Una forma spettrale che prima pareva una donna e l’istante successivo una nube sfilacciata. Una parte avvolgeva Eric, che si teneva entrambe le mani intorno al collo. Pezzi dell’amuleto di aghi di pino che Thea aveva confezionato per lui giacevano sparsi ai suoi piedi. Inservibili. «Lascialo stare! Sono io che ho architettato tutto!», urlò Thea. Raggiunse Eric e colpì il fantasma con violenza, attaccò il tentacolo arrotolato intorno alla gola. Le sue mani incontrarono quelle di Eric, e aria fredda. «No, Thea, attenta…». Vide che la cosa si districava da Eric, lasciandolo barcollante. Poi la vide riformarsi, compatta, e scagliarsi contro di lei. «Thea!». Eric la spinse di lato. Una folata fredda le passò accanto. Lei ed Eric caddero uno sull’altra. «Eric», boccheggiò Thea, prima di alzarsi. Provò a spingerlo via, guardandosi intorno in cerca di quella creatura. «Va’… allontanati da qui! La jeep è accesa, salta su e allontanati. Ci sentiamo più tardi». «Rimaniamo schiena contro schiena», rispose Eric senza fiato. «È incredibilmente veloce». Aggiunse a denti stretti: «Sai che non me ne andrò». «Questa è roba da streghe, idiota che sei!», lo aggredì lei, restando in posizione come aveva detto lui. «Non ti voglio qui. Mi sei solo di impiccio». 190 Era stato un coraggioso tentativo. Riuscì perfino a far trasparire qualcosa di simile all’odio. Ed Eric non era perfetto. Si voltò, l’afferrò per le spalle e le urlò: «Sai che non me ne andrò, quindi non sprecare il tuo tempo!». Poi la spinse di nuovo di lato e il vento gelido le sferzò una guancia, lasciandole l’orecchio intorpidito. «Scusami», le disse lui con voce normale. «Stai bene?». Thea si girò e guardò dietro di sé. Lo spettro era lì che galleggiava. Aveva le sembianze di una donna fatta di vapore, con gambe e braccia solo vagamente delineate, ma una lunga coda di capelli che sferzavano l’aria. «Ho quel che serve», Thea mormorò a Eric, riconoscendo implicitamente che poteva restare. «Ma fare l’incantesimo richiederà qualche minuto. Dovremmo tenerci lontano dalla…». Teneva sott’occhio la coda, ma non fu abbastanza veloce. Ci fu un rumore – una via di mezzo fra lo schiocco di una frusta e una scarica elettrica – e i capelli d’improvviso le si avvolsero intorno al collo. All’inizio avvertì solo una sensazione di freddo. Ghiaccio senza sostanza, come una sciarpa di vento artico. Poi però lo spettro fece forza e la sciarpa si strinse e adesso sì che aveva sostanza. Era come di metallo, un tubo pieno di liquido gelido, il tentacolo di una creatura aliena che avesse ghiaccio al posto del sangue. La soffocava. Non riusciva a respirare né a infilarci le dita sotto. La morsa si strinse di più, dolorosamente. Sentiva che gli occhi cominciavano a uscirle dalle orbite. «Guardami!», gridò Eric. Teneva in mano un ramo infuocato ad un’estremità e saltava su e giù come un invasato dall’altra parte del falò. «Guarda, Suzanne! Prendo 191 la tua sorellina!». Affondò il ramoscello infuocato nel corpo di Lucienne, non nel mucchio di legna ai suoi piedi, ma proprio nel fantoccio. «Ecco! Che te ne pare?», affondò ancora una volta il ramo. Un anello di fuoco divampò sugli abiti neri. «Confessa di essere una strega!». Thea sentì che i capelli scivolavano via e si ritrovò libera. Cercò di gridare, ma non le uscì che un gracidio soffocato. Eric però si stava già buttando di lato. Doveva averlo fatto per tutto quel tempo. Schivare i colpi. «Tieni duro, Eric!». «Ok, ma fa’ in fretta!», e si gettò dal lato opposto. Thea si costrinse a distogliere l’attenzione da lui. Lo zaino era ai bordi del cerchio, dove l’aveva lasciato cadere. Lo afferrò e ne rovesciò il contenuto a terra. Doveva agire senza commettere errori e più in fretta di quanto non avesse mai fatto precedenza. Quercia e frassino. Li gettò nel falò, poi rapidamente si avvicinò al fuoco, trascinando gli altri ingredienti. Strappò una busta di plastica e prese una manciata di schegge di quassia. Erano leggere, e dovette praticamente mettere la mano fra le fiamme per assicurarsi che vi finissero in mezzo. Il cardo benedetto era in polvere; lo gettò con grande attenzione. La radice di mandragola era intera, gettò dentro anche quella. Aveva appena afferrato la boccetta di onice, quando Eric gridò: «Thea, buttati giù». Non alzò gli occhi per guardare. Si buttò a terra all’istante, e così si salvò la vita. Un vento ghiacciato le sollevò i capelli verso il fuoco. 192 «Suzanne!», stava gridando Eric. «Ho tuo fratello! Guarda!». Ora tutti e tre i pali erano in fiamme, ed Eric saltava dall’uno all’altro, colpendo i fantocci col ramo. Thea strappò via con i denti il tappo di plastica della boccetta. La scosse immergendo di nuovo la mano nel fuoco. Uno, due, tre. Il falò divampò altissimo, le fiamme divennero blu. Thea si tirò indietro. «Suzanne! Qui!». La voce di Eric faceva fatica a coprire il crepitare delle fiamme. Le lacrime scorrevano sul viso di Thea, il naso e gli occhi le bruciavano per l’odore acre. A tentoni afferrò l’ultimo ingrediente… il sacchetto con il residuo del braciere di bronzo. Ne prese una manciata con la mano sinistra e la gettò fra due ceppi carbonizzati ai bordi del falò. Poi si alzò in piedi, e vide che Eric era nei guai. Aveva perso il tizzone. Lo spettro lo aveva afferrato per la gola e lo faceva girare vorticosamente, cambiando forma ogni secondo. Eric teneva la bocca aperta, ma non emetteva alcun suono. «Che il Potere delle Parole di Ecate possa venire a me!». Lo urlò, in mezzo al fragore delle fiamme, verso l’ombra vorticosa e in continua trasformazione. E le parole arrivarono, le uscirono di bocca dotate di una loro forza autonoma. «Dal cuore della fiamma… io ti rimando indietro! Per il sentiero angusto… io ti rimando indietro!». Mise in quelle parole tutta la forza che aveva, urlando con un’autorità che non aveva mai sospettato di possede- 193 re prima d’allora. Perché lo spirito lottava. Non voleva tornare da nessuna parte. «Al vuoto aereo… io ti restituisco! Attraverso le nebbie degli anni… io ti rimando indietro!». Eric vacillò, venne spinto con violenza da una parte. Sembrò che lo spettro lo sollevasse in aria. «All’altra parte del velo… ti restituisco! Va’ in fretta, a mio vantaggio, e senza indugio!». I piedi di Eric scalciavano l’aria. È così che è morto Kevin, si disse Thea con assoluta certezza. Si ritrovò a urlare parole che non aveva mai sentito prima. «Per il potere della Terra e dell’Aria e dell’Acqua! Per il potere del Fuoco in questa notte che appartiene a Ecate! Per il mio potere di figlia di Hellewise! Va’ in fretta, a mio vantaggio, e senza indugio, brutta stronza!». Non aveva idea da dove le fossero arrivate quelle parole. Ma un istante dopo Eric cadde. L’ombra l’aveva lasciato andare. Si scagliò contro Thea, ma poi si fermò come se fosse andata a sbattere contro un muro di mattoni. Era proprio sopra il falò. Presa. Le fiamme azzurre eruttavano fumo, ma solo lateralmente. E sopra, Thea distingueva chiaramente l’ombra. Per la prima volta non pareva più una nube, ma una donna. Una ragazza. Più grande di Thea, certo, ma dimostrava al massimo vent’anni. Con lunghi capelli scuri, il viso pallido e grandi occhi tristi. Dischiuse le labbra come se volesse parlare. Thea la fissò. Sentì la sua stessa voce sussurrare: «Suzanne…». 194 La ragazza allungò una mano pallida verso di lei. Ma in quello stesso momento il fuoco divampò di nuovo verso l’alto. Sembrò incendiare anche i suoi capelli. Le fiamme scure l’avvolsero e sul suo viso si dipinse un’espressione di infinita tristezza. D’istinto Thea allungò una mano… Il fuoco ruggì… E ci fu un bagliore simile a quello di un lampo. Suzanne fu attirata verso il cuore della fiamma. E il bagliore si trasformò in un cono: il sentiero angusto. Buste di plastica e altri rifiuti cominciarono a vorticare intorno al cerchio, come catturati da un vortice. Suzanne e il cono di luce bianca si fusero e scomparvero, inghiottendosi reciprocamente. Al vuoto aereo. Attraverso la nebbia degli anni. Le fiamme infuriarono innalzandosi al di sopra di Thea, poi si abbassarono. Il blu sembrò ricadere sul fondo. Il fuoco tornò giallo, come qualsiasi falò. Come se fosse stata tirata una tenda. Oltre il velo. Ecco dove si trova ora Suzanne. Ai bordi del falò, dove era stato gettato il residuo raschiato dal fondo del braciere, restava un grumo di morbida argilla. Thea si inginocchiò e lo raccolse. Guardò al centro del fuoco, e vide una ciocca di lunghi capelli color mogano. Le punte iniziavano ad annerire e ad accartocciarsi tra le fiamme. Thea allungò la mano e velocemente racchiuse i capelli nell’argilla. Non fu certo un gesto perfetto, Blaise avrebbe fatto un lavoro di gran lunga migliore, ma i capelli erano lì dentro. A tentoni perlustrò il terreno alla ricerca del timbro di legno, lo trovò e lo premette sull’argilla. 195 Il simbolo di Suzanne, il segno cabalistico che rappresentava il suo nome, rimase indelebilmente impresso. Fatto. L’amuleto era stato ricomposto, Suzanne era di nuovo in trappola. Sarebbe rimasta nel luogo a cui apparteneva, a meno che qualcun altro non fosse così stupido da farla tornare. Thea fece cadere l’amuleto senza guardarlo, si alzò, e barcollando girò intorno al falò per raggiungere Eric stesa a terra. Vedeva tutto stranamente grigio. Dopo tutto questo… deve stare bene… oh, ti prego, fa’ che… Nel momento in cui lo raggiunse Eric si mosse. «Eric, ce l’abbiamo fatta. È andata via. Ce l’abbiamo fatta». Lui le sorrise debolmente. Con voce roca le disse: «Non devi piangere». Non si era neanche resa conto delle lacrime che le rigavano le guance. Eric si mise a sedere. Era ridotto davvero male, con i capelli scompigliati e il viso sporco. Le sembrò bellissimo. «Ce l’abbiamo fatta», sussurrò di nuovo. Allungò una mano per toccargli i capelli, e restò paralizzata. Lui gettò un’occhiata verso le fiamme, poi la guardò di nuovo. «Odiavo dirle quelle cose. Voglio dire, non importa quanto fosse cattiva…», accarezzò il collo di Thea con dolcezza. «Stai bene? Credo che tu abbia un livido». «Io? Sei tu quello che è messo male», gli sfiorò il collo con le dita della mano libera. Ma capisco che cosa vuoi dire», mormorò. «Mi è… dispiaciuto… per lei alla fine». 196 «Non piangere. Per favore. Non lo sopporto», le disse lui piano, e l’abbracciò con il suo braccio libero. E poi si ritrovarono a baciarsi come matti. Fuori di sé per la gioia. Ridevano e si baciavano e si abbracciavano. Thea sentì sulle labbra di lui il sapore delle proprie lacrime, si scaldò al suo calore, tremando come un uccellino. Un momento dopo sentirono un rumore. Thea evitò di guardare, ma Eric lo fece e s’irrigidì. «Uh, abbiamo compagnia». Alzò gli occhi anche lei. Proprio oltre le colonne di arenaria c’erano delle macchine. Erano ferme lì. Dovevano essere arrivate durante la lotta con Suzanne, quando il fragore delle fiamme aveva sovrastato il rumore dei motori, mentre tutta l’attenzione di Thea era concentrata sullo spettro che tentava di ucciderla. Infatti i passeggeri erano già scesi. Nonna Harman, sorretta da zia Ursula. Rhys con il suo camice. La sagoma rotondetta di Madre Cibele che teneva una mano sul braccio di Aradia. Old Bob, Nana Buruku. Praticamente tutto il Circolo Interno era lì radunato. 197 Capitolo 16 T hea cercò di allontanare Eric. Poteva ancora salvarlo. Ma lui non la lasciava andare. E poi il suo istinto le suggeriva di tenerlo stretto a sé. Restarono lì insieme, abbracciati, ad affrontare uniti il Circolo Interno. «Bene», disse Madre Cibele, chiudendo gli occhi. «Aradia ci ha condotto qui pensando che aveste bisogno di aiuto. Ma vi siete difesi da soli. Abbiamo assistito alla fine, davvero notevole». «Anch’io ho visto», intervenne Aradia. Il suo viso si girò verso Thea, sulle labbra l’ombra di un sorriso. «Hai fatto un buon lavoro, Thea Harman. Sei una vera Donna del Focolare». «Sì, e da dove è venuta quell’ultima invocazione?», disse la nonna, appoggiandosi al bastone che la aveva dato Rhys. «In tutta la mia vita non ho mai sentito nessuno invocare il potere come figlia di Hellewise». Lo disse brontolando, ma Thea ebbe la strana sensazione che ne fosse quasi compiaciuta. Le aveva tutte di fronte a sé: la Vergine, la Madre e la Vegliarda del Circolo Interno. Restò abbracciata a Eric. «Non so da dove mi sia venuta», rispose, e fu felice di sentire che la voce non le tremava troppo. «È venuta… e basta». 198 «E tu? Come ti chiami, giovanotto?», domandò la nonna. «Eric Ross». A Thea piacque il tono in cui lo disse, tranquillo e rispettoso, ma non intimidito. La nonna spostò lo sguardo su Thea. E di nuovo su di lui. «Hai aiutato mia nipote in questa cosa?» «Lui non sa nulla…», esordì Thea, ma naturalmente era inutile. E ridicolo. «Io so di amare Thea», la interruppe Eric. «E lei ama me. E se c’è qualche regola che dice che non possiamo stare insieme, è una regola stupida». Era incredibilmente coraggioso, e terribilmente giovane. Thea sentì la testa che le girava. Strinse con forza le dita di Eric, finché le loro mani non tremarono. Per la prima volta si rese conto di avere una brutta scottatura sulla mano destra. «Per favore, nonna, lascialo andare», mormorò. E poi, dato che la nonna restava zitta: «Ti prego… non lo rivedrò più e lui non parlerà. Ha solo cercato di aiutarmi, di salvare delle vite. Per favore, non punitelo per colpa mia». Le lacrime le riempirono gli occhi e cominciarono a scenderle sul volto. «Il ragazzo ha cercato di difendere la legge», intervenne Aradia. «Almeno credo». Thea non era sicura di aver sentito bene. Neanche la nonna, a quanto pareva. «Che vuoi dire?», chiese. «Hellewise ha detto che alle streghe è proibito uccidere gli umani, no?», disse Aradia, serena. «Be’, quello spirito era una strega che aveva già ucciso un umano… e voleva ucciderne altri. E lui ha dato una mano a rimandarla indietro. Ha aiutato Thea a distruggere 199 l’incantesimo proibito, e a impedire che la legge venisse nuovamente infranta». «Un’arringa davvero notevole», mormorò Rhys, ma Thea non riuscì a capire se fosse d’accordo o meno. La nonna fece un passo avanti, lo sguardo fisso su Eric. «E cosa hai fatto esattamente per aiutarla, giovanotto?» «Non so se sono stato d’aiuto», rispose Eric col suo tono tranquillo e diretto. «Per lo più ho cercato di non farmi ammazzare…». «Quando hai acceso i falò?», chiese Thea sottovoce, con le mani ancora intrecciate alle sue. Lui le lanciò un’occhiata, gli tremava leggermente l’angolo della bocca. «Alle nove», rispose. «Anche se io non c’ero». Thea alzò leggermente la voce. «E sapevi che Suzanne avrebbe cercato di fermarti, e non avevi nessuna magia per combatterla. Allora perché l’hai fatto?». Lui la guardò, poi osservò la nonna. Poi di nuovo lei. «Lo sai perché. Perché altrimenti sarebbe andata alla festa». «E avrebbe ucciso altre persone». Thea guardò sua nonna. La nonna fissava Eric, gli occhi scuri fissi e concentrati. «Quindi hai salvato delle vite». «Non lo so», rispose di nuovo Eric, sincero in modo irritante. «Ma non ho voluto rischiare». «Ha salvato anche la mia vita», disse Thea. «Suzanne ha cercato di uccidermi. E non sarei mai riuscita a compiere l’incantesimo di restituzione se lui non l’avesse distratta». 200 «Carino da parte sua, ma non sono molto sicuro», disse Old Bob, passandosi una mano sul mento ispido. Il suo viso segnato dalle rughe era perplesso. «Non c’è scritto da nessuna parte che far rispettare una legge compensi il fatto di averne infranta un’altra. Specie una legge del Mondo delle Tenebre. Potremmo metterci nei guai se prendessimo la cosa sottogamba». La nonna e Madre Cibele si guardarono. Poi la nonna si rivolse a Old Bob. «Ti ho cambiato i pannolini… non dirmi che sulla legge del Mondo delle Tenebre ne sai più di me», sbottò. «Non permetterò a una combriccola di vampiri assetati di sangue di dirmi che cosa devo fare». Guardò gli altri. «Dobbiamo andare in un luogo più appartato. Torniamo da me». Un luogo più appartato. Mentre la jeep sferragliava e sobbalzava verso casa Thea si sentiva confusa ma piena di speranza. Eric guidava e Thea era seduta dietro, quindi non potevano parlare. Zia Ursula era sul sedile davanti accanto a lui. La nonna si sta battendo per me. E Aradia, e forse anche Madre Cibele. Non vogliono che io muoia. Credo che non vogliano neanche che muoia Eric. Ma la dura realtà continuava a fugare le sue speranze. Che possono fare? Non possono perdonare una strega e un umano che stanno insieme. Non possono rischiare la guerra col Mondo delle Tenebre, neanche per salvare me. Non c’è soluzione. La piccola carovana si fermò nel vicolo dietro il negozio della nonna. 201 Poi Thea si ritrovò nel laboratorio, in mezzo alle sedie disposte a cerchio. Creon e Belfana erano già lì ad aspettarli, e anche Blaise e Dani, sedute. «Stai bene?», esordì Dani, alzandosi… e poi si azzittì. Guardava Eric con gli occhi scuri sbarrati per lo stupore. Un umano nel Circolo. «Abbiamo rimandato indietro Suzanne», rispose Thea semplicemente. Strinse di nuovo la mano di Eric. Il Circolo Interno si richiuse intorno a loro due – una strega e un umano -, al centro. «Abbiamo un problema», disse la nonna. E spiegò la situazione, anche se tutti avevano già capito. Fece un resoconto completo, guardando ognuno di loro a turno. Aradia e Madre Cibele le sedevano ai lati, e ogni tanto intervenivano con dei commenti meditabondi. Thea impiegò qualche minuto per comprendere la sua strategia. La nonna stava cercando di portarli dalla sua parte uno alla volta, rivolgendosi a ciascuno individualmente e facendo capire senza ombra di dubbio che la Madre e la Vergine la sostenevano. Voleva convincerli tutti. «E il risultato finale è che dobbiamo giudicare questi due», disse alle fine. «Dobbiamo decidere cosa fare di loro. È una decisione che spetta al Circolo Interno, alle figlie e ai figli di Hellewise. Non al Consiglio del Mondo delle Tenebre», aggiunse guardando Old Bob. Lui si passò una mano fra gli ispidi capelli grigi e borbottò: «Il Consiglio potrebbe non vederla allo stesso modo», ma sorrise. «C’è stato un tempo», aggiunse la nonna, «in cui streghe e umani convivevano pacificamente, molto più di adesso. Sono sicura che chiunque abbia un albero genea- 202 logico che risale abbastanza indietro nel tempo lo sappia già». Eric guardò Thea, che scosse la testa e fissò Blaise. «Vuol dire», intervenne Madre Cibele, «che molto tempo fa le streghe prendevano mariti umani. Per compensare il fatto che non c’erano mai abbastanza uomini. A quei tempi esisteva ancora il terzo Circolo, il Circolo dell’Alba. Quello che cercò di insegnare la magia agli umani». «Finchè gli umani non iniziarono a bruciarci», disse Belfana, il viso lentigginoso cupo e serio sotto la massa di capelli rossi. «Be’, questo qui non brucerà nessuno», commentò acidamente zia Ursula. In quel momento, Thea pensò che le voleva bene. «Nessuno sta dicendo che le leggi dovrebbero essere cambiate», affermò Madre Cibele, congiungendo le dita paffute. «Non possiamo tornare a quei giorni, e ora sappiamo che per noi gli umani rappresentano un pericolo. Il punto è: c’è modo di fare un’eccezione in questo caso?» «Non vedo come», replicò seccamente Rhys. «Non senza finire tutti accusati di tradimento». «Significherebbe dare un nuovo inizio alle Guerre della Notte», aggiunse Nana Buruku. «Ogni razza del Popolo delle Tenebre contro tutte le altre». «Non auguro loro alcun male», disse Creon dalla sua sedia a rotelle, la sua voce ansimante era a malapena udibile. «Ma non possono vivere nel nostro mondo, e non possono vivere nel mondo umano». Quelle parole, pensò Thea, riassumevano benissimo la situazione. Per loro non c’era posto. Perché lei era una strega e lui un umano… 203 L’idea le venne in un lampo, come la scintilla uscita dal falò. Così semplice. Eppure così terribile. Poteva funzionare… Ma riuscirei a sopportarlo? Rinunceresti a tutto? Tutto: incluse la nonna e Blaise. Dani e Lawai’a e cugina Celestyn. Zio Galen, zia Gerdeth, zia Ursula… Selene e Vivienne, tutto il Circolo del Crepuscolo. L’odore delle erbe, lavanda mista a petali di rosa. Il bacio fresco di una pietra sul palmo della mano. Ogni canto, ogni invocazione… tutti gli incantesimi che aveva appreso. La potenza della magia che scorre fra le punta delle dita. Perfino il ricordo di Hellewise… Hellewise con la sua veste bianca, nella foresta scura… Rinunceresti a tutto… per la pace? Per Eric? Ma questa volta la voce interiore era la sua stessa voce. Si ritrovò a guardare Eric, e già conosceva la risposta. Era così buono, così caro. Tenero ma appassionato. Intelligente e coraggioso e onesto e perspicace… e amorevole. Mi ama. Per me era pronto a morire. Lui rinuncerebbe a tutto. Eric la stava osservando, gli occhi grigi e screziati pieni di preoccupazione. Capiva che stava succedendo qualcosa. Thea gli sorrise. E fu orgogliosa della sua forza di carattere, perché perfino in quel momento, circondato da persone che dovevano sembrargli uscite da qualche incubo orribile, riuscì a rivolgerle un mezzo sorriso tirato. 204 «Ho un’idea», disse, rivolgendosi alla nonna e al Circolo Interno. «La Coppa del Lete». Calò il silenzio. I presenti si guardarono l’un l’altro. La nonna sembrava esterrefatta. «Non solo per lui», disse Thea. «Per me». Si udirono nel silenzio lunghi respiri. La nonna chiuse gli occhi. «Se ne berrò abbastanza, dimenticherò tutto». Thea parlava con calma, fissando tutte quelle facce serie nella stanza. «Ogni cosa del Mondo delle Tenebre. Non sarei più una strega, perché non ricorderei chi sono». «Diverresti una strega perduta», disse Aradia. Il suo bel viso era calmo, non sembrava sconvolta. «Come i sensitivi che non sanno da chi discendono. E le streghe perdute possono vivere in mezzo agli umani». «E nessuno dei due si ricorderà del Mondo delle Tenebre», riprese Thea. «Quindi non potremmo infrangere le leggi». «La legge verrebbe rispettata», disse Aradia. La mano di Eric strinse con ancora più forza quella di Thea. «Ma…». Lei lo guardò. «È il solo modo che abbiamo per restare insieme». Lui non replicò. Il silenzio che seguì fu molto lungo. Poi Blaise, che era rimasta a osservare in piedi, a braccia conserte, disse: «A me ha detto che erano anime gemelle». Per un istante, Thea credette che ci fosse del disprezzo nella sua voce, che volesse ferirla. Ma la nonna si voltò sorpresa. «Anime gemelle. È da un po’ che non ne sentivo parlare». «Un mito arcaico», intervenne Rhys, agitato. 205 «Forse no», disse Madre Cibele dolcemente. «Forse gli antichi poteri si stanno risvegliando. Forse cercano di dirci qualcosa». La nonna guardò a terra. Quando rivolse di nuovo lo sguardo verso Thea, nei fieri occhi scuri c’erano delle lacrime. E per la prima volta da quando la conosceva, quegli occhi le parvero veramente vecchi. «Se ti permetteremo di farlo», le disse, «se ti lasceremo rinunciare alla tua stirpe e allontanarti da noi… dov’è che andrai?». Fu Eric a rispondere. «Verrà con me», disse semplicemente. «Mia mamma e mia sorella le vogliono già bene. E la mamma sa che è un’orfana. Se le dirò che Thea non può più restare qui… be’, la prenderà con sé, non c’è alcun dubbio». «Capisco», rispose la nonna. Eric non aveva accennato al fatto che sua madre era già convinta che Thea vivesse in una situazione precaria con una vecchia signora squilibrata, ma Thea ebbe la sensazione che la nonna lo sapesse. Ci fu un’altra pausa, mentre la nonna si guardava intorno. Alla fine, annuì, e sospirò. «Credo che la ragazza ci abbia offerto una via d’uscita», disse. «Ci sono obiezioni?». Nessuno parlò. Molti erano quasi commossi. Credono sia un destino peggiore della morte, si rese conto Thea. Improvvisamente Blaise disse: «Vado a prendere la Coppa». Uscì di corsa. Bene. È un bene farla finita in fretta, pensò Thea. Il cuore le batteva all’impazzata. Lei ed Eric si stringevano le mani a tal punto che le dita ferite le facevano male. 206 «Non sarà doloroso», gli sussurrò. «Ci sentiremo confusi… ma la memoria tornerà… a parte quella riguardante la magia». «Potrai passare a zoologia», disse lui, «e andare alla Davis». Le sorrideva, ma aveva le lacrime agli occhi. Dani fece un passo avanti. «Posso? Vorrei salutarti». All’inizio mantenne l’autocontrollo, ma poi perse la voce e si gettò fra le braccia di Thea. Thea ricambiò il suo abbraccio. «Mi dispiace di averti messo nei guai», le mormorò. «Non l’hai fatto, hai detto a tutti che non è stata colpa mia. Non mi faranno niente. Ma a scuola mi sentirò così sola senza di te…». Si allontanò scuotendo la testa, cercando di non piangere. «Che tu sia benedetta». Blaise tornò, accompagnata dal tintinnio di campanelle. In una mano teneva un calice di peltro e nell’altra una bottiglia. Appena la vide Thea fu percorsa da un brivido. Il vetro era così annerito dagli anni che non si riusciva a distinguerne il colore originario, e la bottiglia era talmente deformata che non si capiva se in origine fosse cilindrica o squadrata. Il tappo era rivestito di cera e chiuso da sigilli e nastri. La nonna ruppe i sigilli e tolse i nastri. Cercò di svitare il tappo rompendo la cera, ma Blaise dovette aiutarla. Poi inclinò la bottiglia sopra il calice che Blaise le porgeva. Ne uscì un liquido marroncino. La nonna continuò a versarlo finché la coppa non fu piena a metà. «Quando lo berrai», disse a Thea, «ti dimenticherai di me. Non riconoscerai più nessuno qui. Ma noi non ti dimenticheremo». Poi dichiarò ufficialmente dinnanzi al 207 Circolo: «Thea Sophia Harman, che sia messo agli atti che sei una degna figlia di Hellewise». Si avvicinò e la baciò su una guancia. Thea la strinse forte, abbracciando il fragile, vecchio corpo per l’ultima volta. «Arrivederci, nonna. Ti voglio bene». Poi si avvicinò Blaise, porgendole la coppa con entrambe le mani. Era indomita e bella, i capelli erano una cascata nera, le mani pallide avvolgevano il calice. «Addio», disse Thea. Blaise le sorrise. Ora, si disse Thea. Non esitare. Non ci pensare. Alzò la coppa e bevve. Il primo sorso le andò quasi di traverso. Era… sapeva di… I suoi occhi incontrarono quelli di Blaise. Erano grandi, grigi e luminosi. Sostennero il suo sguardo fermamente. Anzi, sua cugina aveva un’espressione così determinata che sembrava volesse avvertirla di qualcosa. Thea continuò a bere. Tè. Tè freddo annacquato. Era di quello che sapeva la Coppa del Lete. Ma la bottiglia era sigillata – e lei non aveva avuto abbastanza tempo – c’era la cera sul sughero… Thea esaminava freneticamente tutte le possibilità. Ma le restava abbastanza buonsenso da fare una cosa: bevve in gran quantità il liquido nella coppa, qualunque cosa fosse. Una volta che Eric avesse finito, il Circolo non avrebbe più avuto modo di esaminare la pozione. E quando Blaise le tolse il calice di mano per passarlo a lui, rimase del tutto imperturbabile. 208 Eric bevve, sembrò leggermente sorpreso, e continuò a bere. «Finiscilo tuuuutto», disse Blaise. Teneva gli occhi ancora fissi su Thea. E fu allora che Thea capì senza ombra di dubbio. Hai preparato tutto quando hai parlato per la prima volta di somministrare ai ragazzi umani la Coppa del Lete dopo aver preso loro il sangue al ballo della scuola. Hai versato il contenuto e l’hai messo da qualche altra parte sostituendolo col tè, e poi hai rimesso i sigilli: evidentemente eri in grado di riprodurli usando degli stampi. E adesso… adesso… Quando Blaise riprese il calice, Thea fu travolta da un pensiero che la trascinò sull’orlo dell’isteria. Non funzionerà mai. Non ci crederanno mai. Ma… Prese la mano di Eric e gli piantò le unghie nel palmo. Non osò dirgli neanche una parola, non ebbe neppure il coraggio di guardarlo. Non parlare, non fare niente, imita solo quello che faccio io, pensava. Cercò di rendersi inespressiva come una bambola di cera. Eric rimase immobile. Non sapeva cosa aspettarsi, ma ovviamente sentì le unghie di Thea. E dimostrò la sua intelligenza non dicendo neanche una parola. «La seduta è aggiornata», disse la nonna con voce tesa. «Blaise, accompagnali fuori finché sono ancora in confusione. Dovrebbero essere in grado di tornare a casa da soli». Si voltò senza guardare Thea. «Nessun problema», replicò Blaise. «Vengo con te», disse Aradia. 209 Capitolo 17 S ’incamminarono verso la jeep di Eric. L’aria notturna era gelida e non c’era la luna. Thea teneva la mano sulla schiena di Eric, pronta a sospingerlo se avesse esitato. Ma lui non rallentò il passo. Arrivata alla portiera della macchina, Thea guardò Blaise. Aveva paura di mostrare una qualsivoglia emozione. Aradia poteva vederli? Desiderava disperatamente abbracciare Blaise per l’ultima volta. «Il negozio ha una finestra che dà su questo lato?», chiese Aradia. Thea guardò Blaise. Blaise rispose: «No». «Allora potete salutarvi. Dopodiché dovrete fingere di non conoscervi». Thea la fissò, poi dovette reprimere la risata che le nasceva nel petto. «Ora so perché sei la Vergine», disse, in un sussurro a malapena udibile. «Ma… se ne è accorto qualcun altro?» «Non credo. Alcuni avranno dei sospetti, ma penso che terranno la bocca chiusa. Ditevi addio in fretta». Thea abbracciò Blaise, non riusciva a lasciarla andare. «Grazie. Oh, Ilizia, Blaise, mi mancherai». «Ora sono io l’ultima degli Harman», disse Blaise cercando di simulare un tono ironico, di scherno, ma con poco successo. «Avrò la stanza tutta per me», aggiunse 210 con un’intonazione più credibile. «E darò a Sheena quel che si merita». «A chi?» «Giusto, tu non lo sai. È quella che ci ha tradito. Una delle ragazzette di Tobias, del Circolo della Mezzanotte. A quanto pare ci spiava. Lui le ha svelato qualcosa e lei ha capito che stavamo facendo degli incantesimi proibiti, e poi ha spifferato tutto alla nonna». «Ora non ha più importanza». «Scherzi? Io finirò al Convento. La ammazzo». Le campanelle tintinnarono quando scosse la testa. Poi strinse più forte Thea. «Non so perché vuoi stare con un umano, mormorò, ma spero che continuerai a volerlo, ora che l’hai conquistato». «Blaise, quando torni, per favore, non fare più del male. Gli umani sono persone. Davvero». Blaise sospirò; Thea aveva seri dubbi sulla condotta futura di sua cugina. Ma ciò che disse, con un sussurro quasi impercettibile, fu: «Mi mancherai, sorella». Poi la lasciò andare. Quando salì sulla jeep, Aradia si affacciò alla portiera aperta. «Due cose», disse rapidamente. «E sono il solo aiuto che posso darvi. Madre Cibele ha menzionato il Circolo dell’Alba. Ho sentito delle voci secondo cui da qualche parte ci sono delle streghe che stanno progettando un nuovo inizio: vogliono dimenticare l’Epoca dei Roghi, e non riconoscono la legge del Mondo delle Tenebre. Non so se è vero. Ma se le cose stanno così, magari puoi trovare quel Circolo». Thea rimase senza fiato. Una debole speranza si risvegliò dentro di lei, come una gioia inaspettata. 211 «E l’altra cosa», disse Aradia, con un raro sorriso che le illuminava il volto. «Si dice che alcuni tuoi cugini Redfern abbiano assunto dei comportamenti curiosi. Ho perfino sentito che alcuni vogliono trovare l’anima gemella fra gli umani, proprio come te. Potresti provare a contattarli e vedere di che si tratta». Thea ritrovò il fiato, e con questo le lacrime. «Oh, Aradia, grazie». «Buona fortuna, Thea. Anche a te, Eric. A tutti e due, dovunque andiate». Eric, che era rimasto tranquillamente seduto al volante, si protese per sfiorarle la mano. «Grazie». Thea capì dalla sua voce che era confuso e stupito, ma cercava di non darlo a vedere. Poi partirono. Thea si voltò a guardare Blaise che diventava sempre più piccola. Una brezza leggera le soffiava fra i capelli, e sembrava una oscura e misteriosa Afrodite, una dea che agiva sempre nel modo più imprevedibile. Eric guidò ad alta velocità finché non furono a distanza di sicurezza dal negozio, poi accostò su una stradina di un quartiere residenziale. Guardò Thea e disse cauto: «Sono immune anche a questa roba? Perché non mi sto dimenticando niente. Oppure farà effetto da un momento all’altro?». Thea lo baciò. Poi scoppiò in una risata isterica. «No. No». «Vuoi dire che siamo davvero al sicuro? Che conserverai i tuoi poteri?» «Sì! Sì!». Dovette ripeterglielo parecchie volte prima di riuscire a convincerlo. Ma alla fine lui capì, e il suo viso si tra- 212 sformò istantaneamente. Illuminato dal suo sorriso irresistibile. La strinse e la scosse e alla fine saltò giù dalla jeep e gridò: «Bene! Evviva Blaise! Sì! Sì!» «Eric!». Eric tirò un pugno alla jeep. «Eric, torna su, idiota che sei! Qualcuno del Popolo delle Tenebre potrebbe vederci». Poi, ridendo ancora, senza riuscire a fermarsi per l’amore e la gratitudine e il sollievo, allargò le braccia e disse: «Vieni qua». Lui saltò su. Si adattavano perfettamente l’uno al corpo dell’altra, le sue braccia la circondavano, il suo respiro accarezzava i capelli di lei. «Sono così felice», le disse. «Ti amo, strega». Thea rideva e piangeva. «Ti amo anch’io». Le baciò una tempia. Lei gli restituì il bacio sulla guancia. Poi lui la baciò sulla bocca e rimasero così a lungo. E Thea dimenticò di ridere. Dimenticò che esisteva un mondo là fuori. Restarono seduti vicini nell’oscurità, appoggiati l’una all’altro, semplicemente respirando. Al sicuro. Uniti. Thea era con una persona che la conosceva, che vedeva quello che vedeva lei. La sua anima gemella. Ed erano liberi di stare insieme, senza essere inseguiti, senza paura. Si sentì piena di gioia e tranquillità. E anche di una quieta tristezza. Quel nuovo inizio non era un dono dal cielo. Era pur sempre un’esule, divisa dalla sua famiglia. Aveva perso la nonna per sempre. Se voleva rivedere Blaise, doveva farlo in segreto. Aveva rinunciato a molto. Quasi a tutto. Ma non se ne pentiva. Non con Eric caldo e forte fra le sue braccia. Non col Mondo delle Tenebre al riparo da 213 una guerra civile, e con la minaccia agli umani ormai scongiurata. “E adesso?”, si chiese. Stranamente, anche se non c’era una risposta chiara, non aveva paura. Riusciva a intravvedere molti futuri, e sembravano tutti ugualmente possibili. Ora sarebbero andati a casa di Eric, e sua madre sarebbe stata sconcertata ma ospitale, e Roz sarebbe stata aggressiva ma felice. E la settimana seguente Thea sarebbe tornata a scuola e si sarebbe iscritta al corso di zoologia avanzata. Avrebbe ottenuto una borsa di studio per la Davis e avrebbe fatto il veterinario, e avrebbe usato i propri poteri per scoprire cosa c’era che non andava negli animali malati. O si sarebbe appassionata di lupi o di elefanti e sarebbe diventata una naturalista che andava in posti sperduti per studiarli. Oppure lei ed Eric avrebbero adottato un cucciolo come Bud e avrebbero scritto insieme un libro per aiutare le persone a capire i loro cani. Oppure avrebbe trovato il Circolo dell’Alba e incontrato le streghe che volevano dimenticare l’Epoca dei Roghi. E sarebbero stati i primi a far conoscere di nuovo la magia agli umani, e Rosamund sarebbe cresciuta indomita e orgogliosa, e avrebbe conosciuto tutte le leggende di Hellewise. Oppure avrebbe ritrovato i cugini vampiri e scoperto se veramente il principio delle anime gemelle era tornato in auge. E il loro gruppo sarebbe stato una calamita che avrebbe attratto altri giovani del Popolo della Notte con idee radicali, dando inizio a una rivoluzione sotterranea. Forse una nuova generazione di Redfern e Harman avrebbe stretto un’alleanza con gli umani. Forse era tempo che l’odio finisse. 214 Forse gli antichi poteri si stavano risvegliando e nuovi tempi dovevano arrivare. Forse il mondo era in procinto di cambiare. Solo una cosa era certa. C’erano infinite possibilità. Abbracciò Eric e sentì il suo respiro. Era in pace con la notte. (Continua con L’angelo nero) 215 INDICE p. 2 9 21 35 48 60 74 87 101 114 127 140 154 167 183 198 210 Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 Capitolo 10 Capitolo 11 Capitolo 12 Capitolo 13 Capitolo 14 Capitolo 15 Capitolo 16 Capitolo 17 216