’ Dotti amici’ Amico Ricci e la nascita della storia dell’arte nelle Marche a cura di Anna Maria Ambrosini Massari ’ Anna Maria Ambrosini Massari Anna Maria Ambrosini Massari, ricercatrice e docente al corso di laurea in Scienze dei Beni Culturali presso l’Università di Urbino, si occupa di pittura e grafica, tra Cinque e Seicento, con particolare attenzione ad argomenti di area marchigiana ed emiliana. Numerosi suoi studi sono indirizzati alla storia del collezionismo e alla storiografia artistica. Ha curato diverse pubblicazioni, tra le quali i cataloghi delle mostre dedicate a Simone Cantarini a Pesaro e Bologna nel 1997, la mostra delle opere d’arte delle Casse di Risparmio marchigiane (Jesi, Macerata, Pesaro) svoltasi alla Mole Vanvitelliana di Ancona nell’autunno 2000, i cataloghi delle Pinacoteche di Fano e Pesaro, del fondo dei disegni italiani alla Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro e un volume dedicato a Federico Barocci e alla sua scuola (2005). Dotti amici’ Autore del primo studio sistematico dedicato alla storia dell’arte delle Marche, le Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona (1834), Amico Ricci (Macerata, 1794-1862) ha offerto a quest’area, periferica rispetto alle direttrici tradizionali della storiografia, una oggi imprescindibile trattazione, modernamente rivolta non solo alle tre arti ‘maggiori’: architettura, pittura e scultura, ma anche alle cosiddette arti ‘minori’, quali la ceramica e l’oreficeria. Da questo lavoro di capillare recupero storico, dentro la tradizione erudita sette-ottocentesca, all’alba della moderna filologia, si sviluppa anche il nuovo interesse per i Primitivi, variamente affiorante nelle lettere e negli scritti. Ricci ne è testimone fin dal suo studio del 1829 su Gentile da Fabriano, e poi nell’evoluzione dei suoi interessi, sempre più vicini al Purismo. Utilizzando il fondo documentario della Biblioteca “MozziBorgetti” di Macerata, il volume raccoglie una selezione dell’epistolario di Amico Ricci nel quale sono stati scoperti, tra l’altro, molti disegni e manoscritti inediti del fermano Alessandro Maggiori, grande collezionista, personalità poliedrica, determinante per i temi del libro. Negli anni fecondi della redazione delle Memorie spicca nelle lettere il continuo scambio e confronto intellettuale e critico con numerosi corrispondenti, eruditi locali, artisti, protagonisti dell’età neoclassica e purista come Francesco Leopoldo Cicognara e Pietro Estense Selvatico. il lavoro editoriale ISBN 978 88 7663 420 8 € 100,00 In copertina: Vincenzo Morani, Ritratto di Amico Ricci, 1856, Pollenza, Palazzo Ricci ’ Dotti amici’ Amico Ricci e la nascita della storia dell’arte nelle Marche a cura di Anna Maria Ambrosini Massari ’ Anna Maria Ambrosini Massari Anna Maria Ambrosini Massari, ricercatrice e docente al corso di laurea in Scienze dei Beni Culturali presso l’Università di Urbino, si occupa di pittura e grafica, tra Cinque e Seicento, con particolare attenzione ad argomenti di area marchigiana ed emiliana. Numerosi suoi studi sono indirizzati alla storia del collezionismo e alla storiografia artistica. Ha curato diverse pubblicazioni, tra le quali i cataloghi delle mostre dedicate a Simone Cantarini a Pesaro e Bologna nel 1997, la mostra delle opere d’arte delle Casse di Risparmio marchigiane (Jesi, Macerata, Pesaro) svoltasi alla Mole Vanvitelliana di Ancona nell’autunno 2000, i cataloghi delle Pinacoteche di Fano e Pesaro, del fondo dei disegni italiani alla Biblioteca Nazionale di Rio de Janeiro e un volume dedicato a Federico Barocci e alla sua scuola (2005). Dotti amici’ Autore del primo studio sistematico dedicato alla storia dell’arte delle Marche, le Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona (1834), Amico Ricci (Macerata, 1794-1862) ha offerto a quest’area, periferica rispetto alle direttrici tradizionali della storiografia, una oggi imprescindibile trattazione, modernamente rivolta non solo alle tre arti ‘maggiori’: architettura, pittura e scultura, ma anche alle cosiddette arti ‘minori’, quali la ceramica e l’oreficeria. Da questo lavoro di capillare recupero storico, dentro la tradizione erudita sette-ottocentesca, all’alba della moderna filologia, si sviluppa anche il nuovo interesse per i Primitivi, variamente affiorante nelle lettere e negli scritti. Ricci ne è testimone fin dal suo studio del 1829 su Gentile da Fabriano, e poi nell’evoluzione dei suoi interessi, sempre più vicini al Purismo. Utilizzando il fondo documentario della Biblioteca “MozziBorgetti” di Macerata, il volume raccoglie una selezione dell’epistolario di Amico Ricci nel quale sono stati scoperti, tra l’altro, molti disegni e manoscritti inediti del fermano Alessandro Maggiori, grande collezionista, personalità poliedrica, determinante per i temi del libro. Negli anni fecondi della redazione delle Memorie spicca nelle lettere il continuo scambio e confronto intellettuale e critico con numerosi corrispondenti, eruditi locali, artisti, protagonisti dell’età neoclassica e purista come Francesco Leopoldo Cicognara e Pietro Estense Selvatico. il lavoro editoriale ISBN 978 88 7663 420 8 € 100,00 In copertina: Vincenzo Morani, Ritratto di Amico Ricci, 1856, Pollenza, Palazzo Ricci “Dotti Amici” Alla mia mamma bambina © 2007 il lavoro editoriale casella postale 297, Ancona www.illavoroeditoriale.com Tutti i diritti riservati ISBN 978 88 7663 420 8 “Dotti Amici” Amico Ricci e la nascita della storia dell’arte nelle Marche a cura di Anna Maria Ambrosini Massari Provincia di Macerata il lavoro editoriale Oggi come allora, uomini come lui, pur con i loro limiti assai angusti, farebbero spicco nel mezzo di una desolante mediocrità e decadenza. A. Moravia, Introduzione a M. Leopardi, Viaggio di Pulcinella, ed. Roma 1945, p. 29 Uno dei molti finali possibili sarà la scoperta, nel pieno di una scena di massa, che dell’erudizione non si può fare a meno, oggi più che mai, perché “fuori del limbo non c’è eliso”. G. Agosti, Su Mantegna 1, Milano 2005, p. 9 RINGRAZIAMENTI Desidero ringraziare quanti hanno aiutato e favorito il progredire del lavoro e la sua realizzazione. In primo luogo, insieme alla Direttrice, Alessandra Sfrappini, di cui ho potuto conoscere a fondo le non comuni doti scientifiche e organizzative, tutto l’efficiente e generoso personale della Biblioteca MozziBorgetti di Macerata, dove auguro a tutti di aver occasione di lavorare. Grazie a Elisa Barchiesi, brava, seria ricercatrice, valida collaboratrice; a Maria Maddalena Paolini per l’aiuto indispensabile, puntuale e caparbio, nel difficile lavoro degli indici. Grazie ad Anna Cerboni Baiardi, per il suo contributo, per la condivisione. Un sentito ringraziamento va alla famiglia degli eredi Ricci, nella persona della signora Adele Failla Lemme. Alla famiglia dei conti Maggiori di Fermo e a quella dei discendenti del pittore Vincenzo Morani, in particolare la signora Guendalina. Ringrazio Andrea Emiliani, per l’incoraggiamento e per una introduzione che vale tutto il libro, Giovanna Perini per i numerosi consigli. Un ringraziamento particolare e fortissimo va a Stefano Tumidei, per la pazienza con cui mi ha ascoltato e l’intelligenza, sempre brillante e risolutiva, con cui mi ha aiutato durante il corso di tutto il lavoro. Devo molto anche ad Andrea De Marchi, cui non ho osato, nonostante si fosse generosamente offerto, sottoporre tutto il manoscritto. Gli sono debitrice di molti suggerimenti (senz’altro di quel che di buono si potrà trovare; il resto, eventualmente, fa parte di quello che non ha potuto esaminare). Grazie di cuore a Bonita Cleri, a Giorgio Mangani per aver compreso e sopportato i ripetuti ritardi nella conclusione del volume e Antonio Lepore per l’infinita comprensione. La lista di chi ha variamente sostenuto questo lavoro è lunga e mi pare di per sé una cosa buona. Grazie, dunque, a Andrea Bacchi, Marisa Baldelli, Gabriele Barucca, Benedetta Basevi, Franco Battistelli, Silvia Blasio, Antonio Brancati, Alessandro Brogi, Piero Cammarota, Achille Cantalamessa, Giovanna Capitelli, Ermanno Carini, Marina Cellini, Giorgio Cerboni Baiardi, Costanza Costanzi, Valter Curzi, Roberta Dini, Lucia Diotallevi, Don Mario di San Ginesio, Giampiero Donnini, Donatella Donati, il sig. Mansi, Andrea Emiliani, Alexander Auf Der Heyde, Pierluigi Falaschi, Cristina Galassi, Mario Gambelli, monsignor Pierantonio Gios, Erika Giuliani, Stefano Grandesso, Cinzia Lacchia, Stefania Lapenta, Francesco Federico Mancini, Fabio Marcelli, Alessandro Marchi, Francesco Mariucci, Marina Massa, Matteo Mazzalupi, Maria Lisa Micheli, Mauro Minardi, Alma Monelli, Benedetta Montevecchi, Raffaella Morselli, Raoul Paciaroni, Laura Pancotto, Cesare Patrignani, Cecilia Prete, signora Gemma Ricotta di San Ginesio, Filippo Rossi, Ettore Sannipoli, Giulia Semenza, Andrea Sestieri, Fabio Silleoni, Carlo Sisi, Natalia Tizi, Maria Rosaria Valazzi, Ranieri Varese, Silvia Villani, Carlo Virgilio, Romina Vitali, Barbara Zenobi. Le foto del fondo Ricci di Macerata sono state realizzate dallo Studio Luigi Ricci di Macerata. INDICE Premessa di Anna Maria Ambrosini Massari XIII Presentazione di Alessandra Sfrappini XV Introduzione di Andrea Emiliani XVII ‘Dotti amici’: Amico Ricci e la nascita della storia dell’arte nelle Marche di Anna Maria Ambrosini Massari ‘Un ignoto corrispondente….’. Per una lettura ‘polifonica’ dell’erudizione ottocentesca, XXIII ‘Un diligente illustratore’?, XXVII ‘Io ho conosciuto ormai ogni pittore di vaglia, che vanti l’Italia…’, XXXVII ‘Dotti amici’, LVI Artisti, conoscitori e mercanti, LXXVII Il ‘Viaggio’ e l’occhio, LXXXVIII UNA SCOPERTA NEL FONDO RICCI DI MACERATA: MANOSCRITTI E DISEGNI DI ALESSANDRO MAGGIORI (1764-1834) di Anna Maria Ambrosini Massari Alessandro Maggiori pittore, collezionista, erudito, 1. Un fondo Maggiori nel fondo Ricci, 19. APPENDICE A Alessandro Maggiori, Epistola illustrativa le opere eseguite dai Carracci nella Galleria Farnese, 71. APPENDICE B Elenco dei manoscritti autografi di Alessandro Maggiori nel fondo Ricci di Macerata, 76. APPENDICE C Amico Ricci, Necrologio di Alessandro Maggiori, 83. IX XXIII 1 AMICO RICCI: PROFILO BIOGRAFICO E DELLE OPERE di Elisa Barchiesi Cornice della storia, 87. La carica di gonfaloniere, e il ripristino dell’università a Macerata, 94. Genesi e sviluppi delle Memorie, 98. Il metodo, 104 Il ‘Viaggio per i vari paesi della nostra montagna compiuto nel settembre 1828’, 110. La rete erudita: verso le Memorie e ritorno, 117. ‘Abbozzo di Indice delle Memorie’: gli snodi storici, 132. Il progetto della seconda edizione e la fortuna delle Memorie, 136. Bologna, la ‘seconda patria’, la presidenza all’Accademia di Belle Arti, successo e riconoscimenti, 153. Opere di Amico Ricci, 157. 87 TRA DOCUMENTAZIONE E COLLEZIONISMO: L’INCISIONE NEGLI STUDI DI AMICO RICCI 159 di Anna Cerboni Baiardi DALL’EPISTOLARIO DI AMICO RICCI: LETTERE ARTISTICHE, 1827-1845 a cura di Anna Maria Ambrosini Massari 177 GIOVANNI DE LAZARA 181 LUIGI DE ANGELIS 190 PIETRO FANCELLI 196 ALESSANDRO MAGGIORI 202 MICHELE BAGGIONI 258 CARLO ROSEI 269 ANTONIO BOLOGNINI AMORINI 279 FRANCESCO LEOPOLDO CICOGNARA 286 GIOVANNI BATTISTA VERMIGLIOLI 289 ANTONIO DIEDO 294 MONALDO LEOPARDI 300 GIOVANNI ROSINI 312 POMPEO BENEDETTI DI MONTEVECCHIO 318 LEONARDO TRISSINO 324 GIOVANNI BATTISTA NICCOLINI 344 X RAFFAELE e GAETANO DE MINICIS 346 GIACINTO CANTALAMESSA CARBONI 352 GIUSEPPE RANALDI 360 GAETANO GIORDANI 368 SEVERINO SERVANZI COLLIO 389 PIETRO ESTENSE SELVATICO 400 JOHANNES WITT GAYE 409 CAMILLO RAMELLI 414 STEFANO TOMANI AMIANI 423 VINCENZO MORANI 427 GIOVANNI BATTISTA DI CROLLALANZA 441 INDICE RAGIONATO DELL’EPISTOLARIO a cura di Anna Maria Ambrosini Massari, Maria Maddalena Paolini 445 APPENDICE Amico Ricci Viaggio per i vari paesi della nostra montagna eseguito nel settembre 1828 a cura di Anna Maria Ambrosini Massari, Elisa Barchiesi 511 INDICE DEI NOMI 537 INDICE DEI LUOGHI 553 XI PREMESSA di Anna Maria Ambrosini Massari Il volume mira a far riemergere un contesto tanto fitto di presenze quanto dimenticato e sottovalutato, quale è quello dell’erudizione locale nella prima metà dell’Ottocento, periodo denso di ‘timori e tremori’, decisivo per le sorti del patrimonio artistico, tra gli entusiasmi e la violenza della fase napoleonica e le incursioni ambivalenti dei grandi conoscitori negli anni della faticosa e spesso apparente sistemazione entro l’Unità nazionale. La figura e l’opera di Amico Ricci assumono un ruolo centrale e catalizzante molte e diverse realtà, locali e nazionali, per la notevole impresa della scrittura delle Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona – Macerata 1834 –, vera e propria opera ‘polifonica’, che offre, soprattutto nei modi e nelle fasi della sua preparazione, uno spaccato della situazione del metodo e degli studi. Il libro è il frutto, in primo luogo, di un’indagine nel tanto folto quanto poco visitato fondo manoscritto di Amico Ricci, conservato presso la Biblioteca Mozzi-Borgetti di Macerata, che si è rivelato denso di materiali1 utili per approfondire la vita, l’opera, il metodo di lavoro di Ricci e, dunque, anche la situazione dell’erudizione del suo tempo, con riflessi significativi per i rapporti sul territorio ma anche a più vasto raggio nazionale. La ricostruzione di questo tensivo sistema culturale si deve specialmente 1 Come sempre quando si lavora in un fondo manoscritto, tanto più se quasi inesplorato come questo di Ricci a Macerata, non si vorrebbe chiudere mai le ricerche, per l’infinita potenzialità dei risultati, per l’intrigante sistema degli intrecci di temi e relazioni, per i mille segreti e, talora, le inattese trappole che contiene. Alla fine, però, ci si accorge di cominciare a dare importanza a cose che non ne hanno: allora, è giunto il momento di recuperare gli obiettivi fondanti della ricerca e consentire ad altri di giungere a nuovi e migliori traguardi, sperando che sia anche grazie quanto fin ora determinato. Nel corso delle ricerche ho via via focalizzato l’attenzione su alcuni temi, anticipandoli in convegni e articoli: A.M.Ambrosini Massari, Memorie delle pitture di Urbino: una guida “polifonica” di Gaetano Giordani bolognese, in G. Perini e P. Cucco (a cura di) La guida di Urbino d’Innocenzo Ansaldi e altri inediti di periegetica marchigiana, Urbino 2004, pp. 159-180; Alcune guide marchigiane inedite di Alessandro Maggiori, in B. Cleri, G. Perini (a cura di) Guide e viaggiatori tra Marche e Liguria dal Sei all’Ottocento, atti del convegno, Urbino 2004, ed. Urbino 2006, pp. 431-448; Un viaggio marchigiano di Johannes Gaye, in “Notizie da Palazzo Albani”, XXXIII, 2004, pp. 159-173; Ricci, Maggiori, Gentile: la nascita dalla storia dell’arte nelle Marche e un disegno, in C. Prete (a cura di) Gentile da Fabriano,“Magister Magistrorum”,atti delle giornate di studio, Fabriano, 29-30 giugno 2005, Istituto Internazionale di Studi Piceni; ed. Senigallia 2006, pp. 129-146; Collezioni e collezionisti marchigiani:‘genius loci’ e alterne fortune tra ‘700 e ‘800, convegno Ferrara 2006, a cura di R. Varese, Il collezionismo locale: adesioni e rifiuti, in corso di stampa. XIII all’Epistolario, di cui si presenta qui una selezione, mirata agli anni e ai protagonisti delle ricerche finalizzate alla scrittura delle Memorie, ma evocativa di una nuova attenzione per le opere e il patrimonio artistico, che segna, con progressi e involuzioni, il lento trapasso dal sistema dell’erudizione sette-ottocentesca a quello della moderna filologia e storia dell’arte. La selezione tratta dall’Epistolario di Ricci offre un ventaglio di spunti e chiavi di lettura sui principali temi delle ricerche, mostrando un contesto locale molto vivace e attivo, con una fitta circolazione di idee sul piano nazionale, in costante dialettica fra ritardo e progresso. I corrispondenti rappresentano, ognuno, problemi e spunti diversi nella ricostruzione della temperie culturale che va illuminando il metodo operativo di Ricci mentre procede verso la redazione delle Memorie e, dopo, nella lunga fase di lavoro per la mai compiuta seconda edizione, testimoniata da una copia dell’opera postillata, anch’essa nel fondo di Macerata – Ms 240-240bis –. L’idea originaria di un’edizione critica delle Memorie – impresa per la quale oggi potrebbero essere maturi i tempi e gli strumenti – diventava sempre più secondaria rispetto alla progressiva emergenza di personaggi, idee, rapporti, novità, modelli, obiettivi, che si profilavano tra le carte manoscritte e nel confronto con quanto poi effettivamente stampato. Esemplificativo, in tal senso, è anche il testo pubblicato in Appendice al volume, che riunisce alcune tappe di un Viaggio per i vari paesi della nostra montagna, compiuto da Ricci tra 1828 e 1831, per prendere direttamente visione di opere da trattare nelle Memorie. La vivacità del panorama che si andava delineando, richiedeva altresì un lavoro di chiarimento di alcuni problemi di base, prima di qualunque altra analisi. A poco a poco, infatti, lavorando su quei materiali, è emersa una diversa paternità per un notevole nucleo di manoscritti, tradizionalmente attribuiti ad Amico Ricci ed effettivamente pertinenti al suo fondo. L’autore di essi è risultato essere uno dei più importanti fra i ‘dotti amici’ di Ricci, il fermano Alessandro Maggiori, cui qui ho dedicato uno scritto, posto prima di quello di Elisa Barchiesi, dedicato alla vita e opere di Ricci, perché senza questo riassestamento dei ruoli non aveva senso procedere, oltre al fatto che Maggiori si pone come maestro e guida per Ricci e come primo ideatore, già nei primi anni novanta del Settecento, di una Storia dell’arte e degli artisti marchigiani. Segue lo studio monografico di Elisa Barchiesi, cui suggerii una tesi su Ricci qualche anno fa, che ho poi seguito da vicino e grazie alla quale l’autrice ha progressivamente messo a punto il primo moderno ed esaustivo profilo biografico e delle opere dello studioso maceratese, di cui approfondisce fonti culturali, metodo, impostazione estetica e relazioni. A lei si deve, inoltre, una basilare collaborazione alla trascrizione dei materiali manoscritti qui presentati. Anna Cerboni Baiardi chiude la sezione dei saggi, aprendo l’orizzonte su una parte avvincente ma assai intricata del fondo, quella delle incisioni, delineando il ruolo di amatore e collezionista di Ricci, sempre in relazione con le situazioni culturali più interessanti del tempo, locali e nazionali. XIV PRESENTAZIONE di Alessandra Sfrappini Fra i nuclei librari che hanno concorso alla formazione della Biblioteca MozziBorgetti quello, per l’esattezza archivistico librario, di Amico Ricci è uno dei più pregevoli e significativi. Si tratta a tutti gli effetti di una biblioteca professionale, supporto e specchio del lavoro quotidiano dello storico che ha dedicato all’arte delle Marche, nel 1834, un’opera rimasta fondamentale e ai temi dell’architettura e delle arti una serie di altre, meno note, trattazioni storiche e monografie. Si intuisce agevolmente quale preziosità rappresentino per le biblioteche pubbliche le donazioni di raccolte di questo tipo, quasi “scatole nere” dei percorsi formativi e culturali dei possessori, con le tracce delle reti dei riferimenti lungo le quali essi hanno sviluppato le loro ricerche e condotto le riflessioni sottese ai libri da scrivere o all’attività professionale che hanno esercitato. Nello stesso tempo, su uno sfondo più ampio, queste raccolte fortemente caratterizzate proiettano l’ombra del paesaggio culturale in cui il personaggio stesso è inserito. Interessano per questo, in modo particolare, gli storici della lettura, oltre agli storici delle biblioteche, che censiscono questi organismi alla ricerca dei segnali distintivi, di volta in volta, della cultura propria di un’élite, di un’organizzazione religiosa, formativa o culturale, in rapporto a contingenze e a contesti storici precisi. Qua e là, non necessariamente, la ricognizione porta in luce, accanto agli interessi specialistici, la passione del collezionismo che può aver suggerito al possessore di includere qualche manufatto librario di particolare qualità estetica fra i volumi già presenti nella raccolta, accrescendo in tal modo il valore dell’insieme. Nel nostro caso, dobbiamo considerare che oltre ai libri di Amico Ricci sono giunti anche i suoi quaderni, i taccuini, i carteggi – dunque appunti, abbozzi, materiali preparatori e di studio, conservati oggi nel fondo manoscritti della Comunale unitamente al materiale archivistico prodotto da altri membri della sua nobile famiglia – e anche numerose opere grafiche da lui raccolte, ragione per la quale il quantitativo di 1775 opere a stampa che viene abitualmente citato quale sua donazione non rende giustizia alla qualità di un apporto (omogeneo nelle discipline e variegato nelle tipologie) che ha arricchito sensibilmente l’offerta culturale della MozziBorgetti. Conformemente all’uso del tempo, la biblioteca di Amico Ricci era fornita di un proprio catalogo sistematico compilato nel 1840 e aggiornato nel ’49. Un’appendice alfabetica ordinata topograficamente consentiva di rintracciare le XV monografie su monumenti e opere d’arte di varie città d’Italia e le numerose guide di viaggio presenti nella raccolta. Di grande interesse risultano oggi anche alcuni testi annotati direttamente dall’autore. Per le biblioteche pubbliche di antica fondazione è particolarmente importante la rilevanza significativa dei fondi librari e storici di cui dispongono, un dato che quotidianamente conforti l’impegno posto non soltanto nella conservazione di quanto è stato loro conferito nel corso del tempo, ma pure nella creazione degli strumenti di accesso e di consultazione di quegli stessi materiali al fine di un loro pieno utilizzo. La casualità e l’occasionalità che sono alla base di tanti dei loro incrementi non consentono alle biblioteche di questo tipo di evitare che, con l’andar del tempo, parti del loro patrimonio si trasformino in cimeli o perdano del tutto interesse agli occhi del pubblico del momento, magari in attesa che contesti mutati e future sensibilità di studio possano farli riaffiorare. Non è questo il caso del fondo Ricci della Mozzi-Borgetti, un nucleo librario e documentario che lo studioso ha legato alla Biblioteca di cui era stato curatore e che ben conosceva, cui vediamo oggi rivolgersi un pubblico crescente, in stretto collegamento con il ventaglio dei nuovi percorsi aperti alla ricerca storico artistica negli ultimi anni. La considerazione della caratura scientifica del personaggio e della ricchezza dei temi storici e culturali con i quali il suo operare lo poneva in relazione aveva suggerito, già nell’avvicinarsi del bicentenario della nascita, di richiamare l’attenzione delle sedi istituzionali su questa “gloria” della cultura delle Marche assai poco nota oltre la cerchia degli specialisti. Sondando il terreno, in vista di un’iniziativa di studio a carattere nazionale a lui dedicata, se ne era tratta la percezione che, anche in quella cerchia, non molti avessero avuto l’opportunità di incontrare l’opera del Ricci nel suo complesso: un nome familiare a tanti appariva dunque, in fondo, ancora nuovo. La ricerca affrontata con rigore da Anna Maria Ambrosini e dalle sue collaboratrici, che vede oggi la luce per la sensibilità dell’ente provinciale, mette fine a una mancanza critica troppo lungamente protratta. Essa si è giustamente rivolta, in primo luogo, allo studio del sistema di ricerca, di impostazione metodologica, di contatti messi in atto per elaborare le Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca d’Ancona e dunque del ruolo centrale di Amico Ricci, fondatore della storiografia artistica regionale. Mettendo a fuoco la sua formazione, il pensiero e l’ attività scientifica nel contesto della produzione coeva, il libro segna un definitivo punto di arrivo per la conoscenza del personaggio. Al contempo, dalla sua nuova prospettiva, esso indica una possibile ulteriore stagione di ricerca e di ampia valorizzazione dei fondi di provenienza Ricci conservati nella Biblioteca. Per entrambe le cose, siamo grati alle autrici. XVI INTRODUZIONE di Andrea Emiliani La personalità del marchese Amico Ricci è rimasta a tutt’oggi confinata nell’ambito delle risorse e delle occasioni fornite dalle tesi e tesine universitarie. Da decenni lo sostiene una buona voce del Thieme-Becker Kunsterlexicon, ma anche il migliore, in assoluto, tra i kunsteratlas e cioè la Kunstliteratur di Julius von Schlosser, edito nel 1919, tradotto e riedito in Italia con la particolare insistenza di Benedetto Croce (ripubblicato infine dopo la guerra con una parziale revisione di Otto Kurz, allora bibliotecario del Warburg a Londra), si limita anch’esso a due accenni piuttosto elementari, poco più che di mera elencazione bibliografica. Il primo è riservato ovviamente alla prima tra le opere a stampa, le classiche Memorie storiche delle arti e degli artisti nella Marca di Ancona, edito a Macerata nel 1834. Il secondo, ed ultimo, è quello relativo alla Storia dell’Architettura in Italia, pubblicato a Modena tra 1857 e 1860. Neppure un ricordo avvantaggia la figura del nostro nella breve, quanto ormai fondamentale pubblicazione riassuntiva, un disegno, appunto, oppure – come scrive lo stesso autore Carlo Ludovico Ragghianti – il Profilo della critica d’arte in Italia, scritto in carcere per attività antifasciste dal nostro temperamentale, grande studioso. In forma di libretto tascabile, fu pubblicato poi da Vallecchi nel 1948 ma senza aggiunte e correzioni rispetto a quella composizione carceraria priva ovviamente di strumenti e di consultazioni. Considerazione non certo più vasta, ma di certo più attenta, è quella che a Ricci studioso di architettura dedica Ferdinando Bologna nel suo ammirevole, prezioso volume dedicato nel 1982 alla Coscienza storica dell’arte in Italia. Credo che invece traspaia di fronte a chiunque che la carenza dell’opera dell’Amico Ricci nel quadro di una prima metà del secolo XIX, dove la sua personalità avrebbe potuto e dovuto trovar illuminazione, nonché un quadro di riferimento adeguato per la sua naturale collocazione derivata, come diversamente non potrebbe, dalla personale condizione di agiato nobiluomo. Appunto verso il nobiluomo venivano affluendo, per giunta rafforzati, i dati oggettivi del patrimonio artistico in prevalenza della Marca d’Ancona. Messe a punto – come questa analisi dimostra – da una seconda ondata di connoisseurs, affluiti dopo la Restaurazione e per giunta raffinati dal confronto consultivo con molti corrispondenti (si osservi ormai la vastità dell’osservatorio), accelerate dai movimenti ormai chiaramente libertari e nazionalistici a ridosso dell’età di Pio IX, anche le conoscenze odeporico-itinerarie del marchese Ricci vengono accumulandosi in modo ammirevole. Anche se forse non tempestivamente messe in cantiere ed in lavorazione. Collocate XVII com’erano negli anni Trenta avrebbero potuto precedere, come di fatto fecero, le patrie ricognizioni commissariali del Cavalcaselle e del Morelli: per non dire delle implacabili, astutissime infiltrazioni commerciali ed antiquarie di Otto Mündler, quando sarà vicino il momento, e l’attenzione costante di Lord Eastlake, con il libretto di assegni della National Gallery di Londra ormai aperto per gli acquisti. Che furono bellissimi. Ma l’assenza involontaria di Ragghianti sul campo maceratese ha in realtà procurato un vuoto ideologico e culturale, lasciando il milieu marchigiano, tra i più attivi italiani, fuori dalla pur complessa progressione che, decorrendo dal conterraneo ma ormai autorevolissimo abate Luigi Lanzi di Treia, trova seguaci in Leopoldo Cicognara, come in Diedo e infine in Pietro Estense Selvatico. La linea interpretativa di decisa dignità formale ed etica che il primo presidente dell’Accademia napoleonica di Venezia, fin dal 1809 si era allargato, per di più, grazie alla collaborazione con l’Antologia del Vieusseux a Firenze. Un altro nobiluomo, ben studiato da Anna Cerboni Baiardi, il marchese Antaldo Antaldi, pesarese, aveva allestito con le Notizie di alcuni architetti, pittori, scultori di Urbino, Pesaro e de’ luoghi circonvicini, il suo più breve cantiere (ma altrettanto fitto di informazioni) della Marca di Pesaro e di Urbino. Purtroppo si direbbe aver gravato su di lui, quell’attitudine ‘centonaria’ ed archivistica che è venuta alla luce dalla recente, esemplare edizione commentata. Queste ed altre considerazioni, anche se con una relativa semplificazione, possono essere rivolte al milieu marchigiano: degli amici di Monaldo, e di tutti coloro che, impegnati dapprima nelle manovre napoleoniche, si erano un poco compromessi attorno ai numerosi piccoli Alberi della Libertà, e che tuttavia seguitano a analizzare, identificare, ciò che è rimasto sul terreno del patrimonio, tanto variabile e diverso, delle Marche inferiori, inedito e mobilissimo quanto a modelli culturali nelle numerose vallate che dal mare risalgono fino alla storica coabitazione artistica con la montana Umbria verde. Valgono ancora per decenni, vorrei dire, i modelli di lettura del territorio esemplati dal Lanzi e con molta minor capacità di fare scelte, e di avviare, dunque, processi storici riconoscibili sul piano, non solo del minuto temperamento archivistico, ma anche del robusto temperamento qualitativo e storico. Di questa ostinata periegesi, pur orientata verso finalità nuove e probabilmente – a nascosti tratti – anche patriottica, quando non piuttosto clericalista, resiste il modello di rilevamento territoriale che il XVIII secolo aveva chiarito essere il metodo, il solo possibile, per allineare e comprendere – come soldatini su e giù per quelle valli e per quei passi appenninici in mezzo a tensioni sociali ed economiche, ecc. – l’attività di quell’affollarsi fitto e piacevole di tanti artisti in altrettanti e più luoghi, cittadine, insediamenti, conventi, oratori e, a questo punto, anche dimore private. Argomento che mai si mette a punto proprio negli anni della Restaurazione e nei seguenti, almeno fino all’arrivo dei grandi conoscitori citati, dopo la prima requisizione e soppressione napoleonica operata da Gaspard Monge e dai suoi ottimi commissari, tra il 1797 e il ’98 (ivi compreso l’abile, astuto Trattato di Tolentino del 10 febbraio del ’97, che avrebbe potuto rovinarci la vita del patrimonio se usato a XVIII grande orizzonte). Essi si saldano infine con il gruppo Appiani, composto dal duo modenese-bolognese Antonio Boccolari e Giuseppe Santi, comandato da Eugenio de Beauharnais in persona tra il 1809 ed il 1811 (che gettò davvero per aria la solidità del patrimonio pubblico marchigiano). Come si legge bene nei documenti, oppure nelle pagine critiche e storiche di alcuni, consci e moderni storici delle arti. Valga per tutti Pietro Giordani postosi per una sua nuova volontà interpretativa, dal 1811 in poi, davanti all’opera generale di Innocenzo da Imola, per tentarne un riepilogo, non più solamente etico e di storia culturale, ma anche e soprattutto, forse, per analizzare, riconoscere, riepilogare, annotare il vasto e sconnesso mondo del patrimonio qual era un tempo ben organizzato nelle città e nelle campagne: e quasi perfetto nella graticola razionalista e prerivoluzionaria dei luoghi ancora intatti ed anzi relativamente reinvestiti, con l’andare del secolo, dalle nuove cure parrocchiali e nella riforma della liturgia dell’organizzazione diocesana. In questo territorio e con questi mezzi di ricognizione, ancora legati a quella osservazione a cannocchiale rovesciato che, a mio modo di vedere, è stata valorosa e tipica dell’occhio illuminato, il campione assoluto e insostituibile è l’amico di Ricci, il collaboratore e sodale di una conoscenza a molti livelli, incominciando da quella territoriale: Alessandro Maggiori. Dalla vicina terra di Monte San Giusto il fermano Maggiori assicura alla Marca e anche all’Italia un suo specialissimo occhio topografico ed artistico (compilerà anche una specie di guida nazionale nel 1832), e ad Amico Ricci in particolare la più speciale fornitura di materiali odeporici, con uno scrutinìo costante, dinamico, incessante, propizio ad ogni combinazione possibile nel grande museo diffuso italiano. Le ricerche svolte in questo volume hanno rivelato una eredità di Maggiori a Ricci, non solo di temi, di viaggi, di obiettivi storicoartistici ma anche di un nucleo straordinario di manoscritti e disegni che contribuiscono in maniera determinante a delineare un nuovo profilo, di altissimo spessore, di Maggiori artista e conoscitore, vero maestro per Amico Ricci. Nato a Fermo nel 1764, il Maggiori morirà nel 1834, proprio mentre il marchese Amico Ricci, sconvolto, sta stampando le sue Memorie storiche, che sono appunto a Maggiori dedicate. Personalmente, ricordo bene l’orgoglio e la soddisfazione con le quali Roberto Longhi, mostrandomi la sua straordinaria biblioteca di via Benedetto Fortini a Firenze, mi narrava di averla per intero rilevata dai discendenti del Maggiori in Ancona. E ne illustrava l’ineccepibile vastità e attenzione. Ritengo di aver visto accomunate, in quell’occasione, le virtù della conoscenza razionale e organizzata del grande, meraviglioso territorio italiano, e la nuova eccezionale connoisseurship che a distanza di più di un secolo veniva ricomponendo perfezione e qualità, bellezza e senso del rapporto, luogo e sistema di relazione dell’antico mondo di questo paese. Una seconda, per quanto minore, fonte di informazione tecnica per il lavoro del marchese Ricci dovette essere – come è attestato anche nell’epistolario – quella fornitagli dal giovane Gaetano Giordani (nulla a che fare con il predecessore segretario accademico Pietro, un piacentino capitato a Bologna per lavoro e studio). Gaetano era il nipote del capo portiere dell’Accademia, che per un suo adolescente e crescente interessamento alle questioni didattiche e all’organizzazione della Pinacoteca Nazionale di Bologna, giunse a subentrare al paesista Tambroni negli XIX anni Venti, e a lungo sostò senza apparente dimensione alcuna nell’organico dell’Istituto. La ricognizione attributiva e di identificazione, per il giovane Giordani si mescolava anche con le revisioni dei materiali conoscitivi storici, come per eccellenza accadde nel caso delle carte di Marcello Oretti; e quasi certamente portava alle tasche del giovane qualche contributo tra mercantile e di mediazione, così da sopravvivere. Il piccolo capolavoro di Gaetano si divide, anno 1835 e 1836, tra Catalogo e Guida della Pontificia Accademia di Belle Arti in Bologna, due pubblicazioni dove così la forma catalografica che quella descrittiva del complesso storico trovano un’intensa accelerazione e sovrapposizione di notizie: e dove ci sembra davvero divenire materiale di ricerca e di assestamento analitico proprio questa ricca accumulazione di dati che si rese possibile dopo la Restaurazione; e cioè nel momento nel quale numerose fratture occasionali hanno attraversato e talora spezzato il corpo allora decisamente storico, compatto e riconoscibile delle topografie artistiche tradizionali e costretto storici e conservatori ad adottare meccanismi, precisione delle identità e infine registrazioni intelligenti del profilo filologico e positivo che da questo accumulo aveva finito per derivare. Il modello del catalogo può essere ricondotto al primo esempio redatto a ridosso d’una mostra di Accademia, la prima che l’intelligenza di Giuseppe Bossi mise in piedi a Milano, nelle sale di Brera, nel 1805: una redazione elementare ed esauriente che a me ha sempre ricordato la forma iniziale delle catalogazioni del Lavallèe al Louvre. Purtroppo, neppure Gaetano Giordani si era dimostrato in grado, negli anni Trenta, di rimescolare con le mani e con la penna le carte dell’altro Giordani, l’insofferente Pietro, il quale, del resto, con la Restaurazione aveva guadagnato Milano e le rive piacentine del Po, da cui si era mosso quindici anni prima tra la vitale confusione della sua fuga dal convento dei Benedettini, ossia dei Monaci Neri, e della sua decisione di avviarsi alla nuova vita della borghesia napoleonica e cisalpina. E dunque alla moderna burocrazia prefettizia: dalla quale peraltro doveva presto saltar fuori per poter raggiungere Bologna nel 1804, tentare i modi per una sopravvivenza aggravata dall’ostilità del padre Giovan Battista e qui cercare di mettere in atto quella che poteva, a suo modo di vedere, rendersi concreta e coinvolgente: nientemeno che una riforma immediata e comprensibile della letteratura e delle arti in Italia. Le tappe di questa riforma, d’altronde, furono anche per Pietro Giordani aspre e indigeribili in questa città di Bologna, misogallica e ostile, se non nemica d’ogni classicismo, d’ogni disinvoltura nei confronti del passato, d’ogni deviazione rispetto al cammino fermamente legato alla forma naturalistica d’una eloquenza barocca e carraccesca. Pietro Giordani ci prova, nel giugno del 1806, salone di Paolo III Farnese in Palazzo d’Accursio; e abbatte la scure di un’interpretazione civile ed etica, e alla fine politica ma non filofrancese, sugli affreschi di Carlo Cignani, che tutto attorno celebrano le gesta dei Re Taumaturghi nella piazza Maggiore di Bologna. La prosa di Pietro Giordani è d’una perfetta, astratta combinazione virtuale tra purismo trecentista e quella che lui chiamava un’influenza diretta tratta dalla letteXX ratura greca (analogo in questo a ciò che pensava sulle rive dell’Adriatico, a Recanati, il fanciullo Leopardi). Nel 1811, la scoperta degli affreschi di Innocenzo da Imola sotto le tappezzerie della Casina della Viola a pochi metri dall’Accademia, dove per raccomandazione di Antonio Aldini finalmente è potuto entrare (1808), innescano nell’esperienza del Giordani, che intanto vede nascere la Pinacoteca Nazionale, l’intenzione di costruire una Storia della Pittura in Romagna, mentre da un paio e più d’anni, il compagno Leopoldo Cicognara scrive la sua Storia della Scultura Italiana (1808-1818): divisamento che s’arresta, come sempre nel suo carattere indeciso, per non produrre infine altro che un triplice abbozzo di scritto che sarà reso pubblico soltanto nell’edizione omnia del tipografo Gussalli, a Milano, anno 1854. Ed altrettante, abbondanti carte di recupero d’una filologia iniziale che avrà costituito motivo di discussione e di interrogativi diversi condotti dietro le stanze di Sant’Ignazio alle Belle Arti di Bologna. Tuttavia, come spesso avviene nel corso della vita tormentata e difficoltosa di Pietro Giordani, nessuno entrò in possesso delle sue esercitazioni di filologia umanistica o di ricostruzione collezionistica dell’area interessata all’opera di Innocenzo: e, dunque, di un ambito che aveva conosciuto, quale incentivo alla naturale stagione della formazione di raccolte private, anche il dinamismo portato sul vecchio sistema delle arti italiano e padano dai numerosi eventi che su quel sistema si erano avventati: dalle soppressioni guidate da Gaspard Monge dalle fila dell’Armèe d’Italie nel 1796-98, alle ben più sommoventi requisizioni comandate da Eugenio de Beauharnais nel 1810-11, e coordinate da Andrea Appiani, condotte disordinatamente dal Boccolari e dal Santi. Fu un polverìo di dipinti, una ventata di immagini sconnesse dalle vecchie posizioni storiche, dai tradizionali appendimenti domestici. Costumi e gusti del collezionismo, tra i quali non regna sempre il criterio della qualità e dell’ordine, si erano messi in cammino. La pubblicazione delle Memorie storiche, avvenuta nel 1834 e in simultaneità con la morte del più vivace tra i conoscitori locali, Alessandro Maggiori, è in certo qual modo rappresentativa della fine di quella stagione che proprio dai sommovimenti di età napoleonica si era mossa; e che, come l’Epistolario ben dimostra, aveva messo all’opera un gruppo intero di protagonisti di quella prima organizzazione della conoscenza non più immobile ma piuttosto dinamica del patrimonio artistico di condizione privata: tanto tradizionale e storica, quanto recentemente immessa in quelle fila. La morte del Maggiori coincide (l’abbiamo detto) con la necessità, la volontà di Amico Ricci, di procedere alla costruzione di un’altra sua opera di prestigio metodologico e storico. Ed anzi, di ben maggior impegno procedurale e sistematico. Si tratta di quella Storia dell’Architettura Italiana che, nata da una costola della famosa Storia della Scultura, edita tra 1808 e 1818 per mano di Leopoldo Cicognara (e per costante, rilevantissima collaborazione nascosta proprio di Pietro Giordani), avrebbe certamente avuto necessità di godere della presenza di archivi prestigiosi, quale quello insostituibile dei principi Hercolani, quanto soprattutto dell’uso di biblioteche di informata, aggiornata struttura: che a quelle date poteva essere costituita, per esempio, anche dall’ormai cresciuta Biblioteca dell’Accademia di Belle Arti Pontificia, dove per anni e con sforzi economici cospicui si erano rivolte le XXI cure del Giordani, insieme alla sapienza di Giovan Antonio Antolini, di Leandro Marconi, del Basoli, dell’Aspari. Giunta ormai a consunzione la vicenda umana dello scrittore Antonio Bolognini Amorini, presidente dell’Accademia fin dall’uscita storica del vecchio Carlo Filippo Aldrovandi, il cultore d’ogni resistenza clementina al futuro, fu quasi spontaneo per il cardinal Vannicelli Casoni proporre la nomina susseguente proprio nella persona del marchese Amico Ricci. Effettivamente, l’edizione delle Memorie storiche doveva considerarsi, a quelle date di mezzo, priva di confronti altrettanto attivi quanto ad analisi del territorio e a ricognizioni sull’esistente storico e attuale. Anche i movimenti politici e di insubordinazione insurrezionale e carbonara non lasciavano troppi spazi alla tranquillità necessaria per nominanze come quella, appunto, dell’Accademia bolognese. Nella quale si aggiravano ancora aneddoti e vicende che si erano addossati e sovrapposti dopo l’esclusione voluta dalla Restaurazione di alcuni insegnanti di autonomia e di nerbo; ed il lento ritrarsi della scuola in una professionalità tradizionalistica e anche codina. Basterà gettare gli occhi sul testo degli Atti accademici – pochi – nell’arco degli anni 1845-1862. Sono questi infatti gli anni nel corso dei quali Amico Ricci pubblica la sua Storia dell’Architettura (Modena 1857), innova qualche restauro o migliorìa ambientale dell’edificio, ma non dimostra di essere in grado di riprendere il cammino di frequentazioni e di amicizie tali da uscire dal chiuso mondo di una borghesia eletta ma certo non rilevante per opere d’ingegno. Siamo nel cuore di quella sorta di depressione, oppure di significativo rivolgimento, nel corso del quale è la città intera a mutare indirizzo e ad attraversare una perfino singolare anoressia artistica e di vita culturale. Il suo silenzio, dove peraltro si affermano medicina, ingegneria, meccanica, agricoltura moderne, durerà – se vogliamo fissare termini di qualche significato – fino all’affermazione nazionale di Riccardo Bacchelli e soprattutto di Giorgio Morandi. Un secolo, per l’esattezza, da quel tentativo che Pietro Giordani aveva immaginato di suscitare per una riforma italiana delle lettere e delle arti. XXII ‘DOTTI AMICI’: AMICO RICCI E LA NASCITA DELLA STORIA DELL’ARTE NELLE MARCHE* di Anna Maria Ambrosini Massari ‘Un ignoto corrispondente...’. Per una lettura ‘polifonica’ dell’erudizione ottocentesca ….Volete adunque ch’io, l’ultimo dei dilettanti, e arciconvinto d’essere ‘a tenui cose nato’, ardisca gareggiare co’ più valentuomini che onorate ed onoraste di Vostre corrispondenze, siccome un de Lazara, un Boni, un Tiraboschi, e mi sforzate a darVi distinto ragguaglio di quelle principalità pittoresche che de’ nostri nazionali mi occorrano in questo mio passaggio per la Germania….1. Nel 1922 Roberto Longhi si divertiva, da par suo, a inscenare una dotta conversazione epistolare tra eruditi, sullo scorcio del Settecento. Una lettera artistica, che immaginava occasionata dalla richiesta, da parte dell’abate Luigi Lanzi2, a un ignoto corrispondente, di descrivergli le opere italiane vedute nella sua visita alla Galleria di Pommersfeld. Un raffinatissimo divertissment, che ci conduce dritto nel cuore del sistema erudito, delle sue modalità comunicative, come si strutturano nel Settecento ‘illuminista’ e dialogico, per poi stabilizzarsi nell’Ottocento. La lettera è la sede privilegiata della circolazione delle idee e delle ricerche, tanto che si diffonde, e molti esempi se ne trovano nella produzione di Amico Ricci e dei suoi ‘dotti amici’3, come * Questo scritto introduttivo al volume mira a focalizzare alcuni suoi nuclei e alcune chiavi di lettura del tema prescelto. Va dunque premesso che nella maggiorparte dei casi si tratta di una panoramica su argomenti che tornano, svolti singolarmente, nei saggi e nell’Epistolario, ai quali si rimanda, anche attraverso richiami nelle note, per ogni più specifica trattazione degli argomenti. Tutti i documenti citati, quando non indicato diversamente, rimandano a materiali conservati nel Fondo Ricci della Biblioteca Mozzi-Borgetti di Macerata. Ho evidenziato in neretto le principali ricorrenze dei nomi dei corrispondenti di Ricci. 1 R. Longhi [1922], Un ignoto corrispondente del Lanzi sulla Galleria di Pommersfelden, [scherzo 1922], “Proporzioni”, III, 1950, pp. 216-230, in Scritti giovanili, Firenze 1961, I, pp. 475-492. La pubblicazione del testo, come tutto quel volume di “Proporzioni” era un omaggio a Pietro Toesca. 2 Un esempio scelto ai più alti vertici delle presenze nel campo storico, artistico, letterario, non selezionati causalmente, ma tra le punte più avanzate dell’erudizione che abbandona la retorica e la cieca fiducia nella ‘tradizione’. La citazione del padovano Giovanni de Lazara, corrispondente anche di Amico Ricci, accanto a Lanzi, Girolamo Tiraboschi e Mauro Boni, era già stata rimarcata come rilevamento del suo alto profilo erudito, da P.L. Fantelli, Un noto corrispondente del Lanzi: Giovanni De Lazara, “Atti e Memorie dell’Accademia Patavina di Scienze, Lettere ed Arti”, XCIV, 1981-1982, pp. 107-144, citazione p. 107, dove rimarcava che la sua menzione, in quel particolare consesso, lo rendeva modello di una ambiente già svincolato da un’astratta erudizione, diffusa in Italia. 3 Per fare solo qualche esempio, si ricordi che anche il Bassorilievo scolpito da Fedele Bianchini ed eretto alla memoria della marchesa Chiara Accoretti Rossi di Macerata, Pesaro 1827 è modulato su una let- XXIII modello per scritti, più o meno brevi, che vengono stampati mantenendo le caratteristiche espressive e strutturali della lettera, a cominciare dal destinatario. In ogni caso, il contenuto delle lettere, la collaborazione dei corrispondenti è alla base di opere più complesse e articolate. Le Memorie storiche ne rappresentano un esempio sintomatico, fin dalla dichiarazione dell’autore che, nell’Introduzione, tra gli elementi che gli hanno consentito di portare a termine il lavoro, accanto al suo impegno, mette la generosità di molti dotti amici, che me ne coadjuvarono col loro consiglio, col loro sapere l’impresa4. Ed è proprio questa ‘polifonia’ del lavoro erudito che va indagata, come nucleo di relazioni, pensieri, metodo, che rappresentano l’immagine più autentica di quel contesto culturale, nel nostro caso, selezionando l’argomento artistico. Gli Epistolari, in particolare, diventano i veri e propri canali della comunicazione nella sua vena più autentica, spesso, poi, destinata ad essere compressa nelle opere a stampa. Il loro studio, dunque, può consentire una nuova comprensione e, per molti aspetti, rivalutazione di quel mondo, possibile attraverso una analisi incrociata delle opere effettivamente stampate, con le carte manoscritte, che conservano il maggior grado di autonomia, idee, relazioni, progetti. Sul ruolo di centrale importanza delle carte manoscritte e degli Epistolari, sede della comunicazione per eccellenza5 si è recentemente puntata l’attenzione, a partire da quel tera a Leonardo Trissino. Altri testi sullo stesso modello epistolare sono: Un dipinto di Lodovico Lipparini bolognese eseguito pel signor conte Gualdo di Vicenza. Lettera al chiarissimo signor conte Alessandro Maggiori, in Operette di Belle Arti, Bologna 1831, pp. 75-84; Delle belle arti in Gubbio, in ibidem, pp. 109-139 lettera al Trissino; Lettera a Vincenzo Morani, Bologna 1836; Lettera a Camillo Ramelli, Fabriano 1843; di S. Servanzi Collio, Sopra una tavola di Allegretto Nucci da Fabriano e su di altro dipinto a muro d’innominato autore esistenti in Apiro. Lettera del conte Severino Servanzi Collio al chiarissimo signore Marchese Amico Ricci…, Macerata 1845, una lettera inviata a Ricci sull’argomento, il 24 agosto 1837, è conservata nel suo Epistolario e qui riprodotta a pp. 395-399 e in particolare, pp. 398-399, che contiene l’allegato sul tema che poi verrà sviluppato nell’opuscolo. Si veda anche il saggio di E. Barchiesi a p. 142 e la mia introduzione alla corrispondenza Servanzi a p. 392 e a pp. 156157 per un elenco delle opere, la maggiorparte delle quali furono prima pubblicate su riviste, soprattutto “Il Giornale Arcadico”. 4 A. Ricci, Memorie… cit., I, p. 6. 5 D. Levi, “Troppa modestia, o troppo alta meta...”: note sull’erudito padovano Giovanni De’ Lazara, in F. Caglioti (a cura di) Giornate di studio in ricordo di Giovanni Previtali,“Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, serie IV, 1-2, Pisa 2000, pp. 321-337. Lo scritto della Levi, a partire dalla personalità emblematica del de Lazara, interpreta l’erudizione del tempo, alla luce di questo iato tra opere effettivamente pubblicate e manoscritti, individuando negli Epistolari, la sede che meglio ne riflette le caratteristiche e le contraddizioni, un’analisi che trova numerose verifiche in questa ricerca. Molto importante anche la lettura di D. Levi, del metodo di Lanzi tra taccuini e Storia pittorica, che in fondo apre un’osservazione di analoghe modalità nei contesti eruditi, si veda in particolare, il paragrafo Attribuzione e Storia, in D. Levi, (a cura di), Luigi Lanzi, Taccuino di Roma e di Toscana (1778-1789), serie Studi, 1, Scuola Normale Superiore di Pisa, Pisa 2003, pp. XXXIX-XLII. Densi spunti, nella stessa direzione, in alcuni contributi al convegno, C. Furlan, M. Grattoni d’Arcano (a cura di) Fabio di Maniago e la storiografia artistica in Italia e in Europa tra Sette e Ottocento, Udine 2001, in particolare, L. Caburlotto, Nella cerchia di Giovanni De Lazara: Pietro Brandolese e Giannantonio Moschini, in ibidem, pp. 161-170. Strutturale, per la prospettiva prescelta, la lettura dell’erudizione del tempo, di F. Bernabei, Estetica e storiografia artistica nell’età di Fabio di Maniago, pp. 171-178: gli sconvolgimenti politici della fine del Settecento sono tali da costringere a rifondare le basi del metodo, il giudizio formale esige, in uno schema intellettuale rinnovato, la sua autonomia. Da qui, l’annuncio delle novità ma anche la fase difficile della loro affermazione e le contraddizioni del metodo. Illuminante, per il conte- XXIV modello interpretativo del sistema erudito fra Sette e Ottocento, che ha nell’opera di Giovanni Previtali un fondamentale e continuo stimolo6. La sua lettura del Settecento come sede, illuminista, della nascita di una moderna storia dell’arte ha in Lanzi7 il suo centro d’indagine e l’esperienza di Lanzi – con altre importanti figure di eruditi e antiquari – dà il timbro nuovo del metodo anche all’erudizione della prima metà dell’Ottocento: con un interesse concreto per le opere, per l’esperienza sul campo, per la ricostruzione storica delle epoche anche più lontane e neglette. Questi germi di quella che sarà, solo più tardi, la vera e propria nascita della moderna filologia nel campo storico-artistico risultano quasi sempre più vitali nelle carte manoscritte, nei taccuini di viaggio, negli Epistolari, dove meno forte incombe il freno della retorica e della tendenza letteraria che caratterizza le opere a stampa. D’altra parte, anche nel caso di Lanzi, l’enorme mole di materiali viene a poco a poco selezionata e organizzata, grazie agli apporti dei corrispondenti, di una repubblica delle arti (che forse è già opportuno cominciare a distinguere dalla più generica repubblica delle lettere)8. Si tratta di una compagine complessa, dove frequenti sono i tramandi di dati senza l’urgenza del riscontro diretto, spesso le notizie si sovrappongono e gli errori si diffondono ma, tenuto conto di questi limiti oggettivi, e comunque significativi, il lavoro operoso della cerchia erudita italiana fino alla prima metà dell’Ottocento e oltre, va considerato pur sempre insostituibile e mirabile, per la creazione di una rete di rapporti e conoscenze. La prima metà dell’Ottocento è il momento più esaltante del recupero di un appassionato contatto9, da parte della classe intellettuale sto bolognese, anche G. Perini, La letteratura artistica in Emilia al tempo di Fabio di Maniago, pp. 211219. Della stessa autrice restano di centrale importanza, sia per il contesto erudito, che per l’analisi dei documenti e degli Epistolari, tra gli altri contributi, Marcello Oretti e gli altri : la storiografia artistica a Bologna nella seconda metà del Settecento, in A. Iacobini, M. Massa, C. Prete (a cura di), Pitture in diverse città : Marcello Oretti e le Marche del Settecento Firenze 2002, pp. 21-32; Le lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento a Cimelio, in E. Cropper (a cura di) Documentary culture: Florence and Rome from Grand-Duke Ferdinand I to Pope Alexander VII , Bologna 1992, pp. 165-183. 6 G. Previtali, La fortuna dei Primitivi. Dal Vasari ai neoclassici, (1964), ed. Torino 1989. E si veda la indispensabile Nota introduttiva di E. Castelnuovo all’edizione 1989, pp. 25-28. 7 Da qui si radica una forte tradizione critica che attribuisce questo ruolo centrale a Lanzi, in particolare, come recentemente ricordava C. Gauna, La ‘Storia Pittorica’ di Luigi Lanzi, arti, storia e musei nel Settecento, Firenze 2003, p. 2, nota 5, negli studi di E. Castelnuovo, C. Ginzburg, Centro e periferia, in Storia dell’arte italiana, parte I, vol. 1, Torino 1979, pp. 287-300; P. Barocchi, Storiografia e collezionismo dal Vasari al Lanzi, in ibidem, vol. 2, pp. 5-82; F. Bologna, La coscienza storica dell’arte in Italia, Torino, 1982, pp. 160-169. Ma si veda anche G.C. Sciolla, Per una rilettura della letteratura artistica italiana del Settecento, in R.P. Ciardi, A. Pinelli, C.M. Sicca, (a cura di) Pittura toscana e pittura europea nel secolo dei Lumi, convegno Pisa 1990, ed. 1993, pp. 25-37. 8 D. Levi, “Troppa modestia,… cit., p. 321, sempre con il riferimento al volume di Previtali ed anche all’Introduzione di Enrico Castelnuovo. 9 Per l’amore del mio luogo nativo, e per naturale inclinazione a tutto ciò, che riguarda le Belle Arti, imprendo a scrivere le memorie storiche di esse nella provincia del Piceno, affermava Ricci nell’Introduzione alle Memorie storiche, A. Ricci, Memorie… cit., I, p. 5. Indispensabili, per un articolata analisi di questo periodo, a partire dai testi, con l’individuazione dei principali temi eruditi, P. Barocchi, Storia moderna dell’arte in Italia, I, Dai Neoclassici ai Puristi, 1780-1861, Torino 1998, F. Mazzocca, Scritti d’arte del primo Ottocento, Milano-Napoli, 1998. Lo stesso autore condensa temi e protagonisti, in M. Hansmann, M. Seidel (a cura di), Per un profilo della letteratura artisica in Italia nella prima metà del XIX secolo, in Pittura italiana dell’Ottocento, Firenze 2005, pp. 83-88. XXV e dirigente, con il territorio e il patrimonio, con la storia di quel patrimonio, in tutti i suoi aspetti ed epoche, superando a poco a poco le preclusioni tradizionali, ‘vasariane’, amplificate dalla storiografia barocca. Per quanto riguarda le Marche, questa particolare congiuntura che, con una nuova consapevolezza del patrimonio artistico, prepara la strada alle più avvertite ricognizioni dei moderni conoscitori, e, come vedremo, fatalmente, anche dei mercanti senza scrupoli, trova in Amico Ricci e nel suo Epistolario, un punto eccezionale di aggregazione. Sono specialmente gli anni e i corrispondenti legati alla stesura delle Memorie storiche, qui selezionati, che lo impegnano dal 1827 al 1834, con una fase successiva per una seconda edizione mai realizzata10, a dare il timbro delle ricerche, dei rapporti, del sistema culturale che sorregge queste comunicazioni, sulla base di un preciso progetto, lo stesso che anima i suoi viaggi di ricognizione. Rapporti e viaggi con una funzione propedeutica a un più ampio progetto, erano il nuovissimo schema metodologico di Lanzi11, che trasforma il viaggio in un vero e proprio strumento conoscitivo, come le relazioni variamente intessute per la scrittura delle Istoria Pittorica dell’Italia: non più un diario, una guida o una semplice raccolta amatoriale, ma una serie di tappe verso un disegno compiuto per il tema prescelto. La scelta di affiancare alle lettere, in Appendice a questo volume, la pubblicazione del Viaggio per alcuni paesi della nostra montagna è stata fatta proprio per offrire due momenti diversi della stessa ricerca, due fasi complementari e autonome, quella della raccolta di notizie attraverso collaboratori i più diversi, locali e nazionali, che attualizzavano e revisionavano le fonti tradizionali e quella della ricognizione diretta, la via pionieristica al metodo del moderno conoscitore12. 10 Ma numerose sono le ricerche, che proseguono oltre la metà de quinto decennio del secolo, riflesse da molte lettere, con corrispondenti che entrano in contatto con Ricci proprio a seguito della pubblicazione delle Memorie, con l’intento di fornire nuove notizie e assestamenti di quelle già registrate. Si vedano, nell’Epistolario, i casi dei fratelli De Minicis di Fermo, o di Severino Servanzi Collio, di Stefano Tomani Amiani e altri. Queste e altre aggiunte e correzioni sono concentrate da Ricci nella copia dell’opera, Ms 240-240bis, da lui postillata. 11 Sul Viaggio e il metodo in Lanzi, quale utile modello interpretativo per i successivi svolgimenti, richiamo in particolare l’edizione dei taccuini, D. Levi, (a cura di), Luigi Lanzi, Taccuino… cit.; L. Bartolucci, in C. Costanzi (a cura di), Luigi Lanzi, Viaggio del 1783 per la Toscana Superiore, per l’Umbria, per la Marca, per la Romagna, pittori veduti: antichità trovate, ed. Venezia 2003, pp. XXVXXI; C. Gauna, La Storia… cit., in particolare il capitolo quarto, pp. 145-187, dove, tra l’altro, indica nella rete di corrispondenti, l’elemento che differenzia i primi viaggi di Lanzi, compiuti tra 1782 e ‘83, da quelli di un decennio dopo, per la seconda edizione della Storia. Sul metodo di Lanzi per la Istoria e le tappe delle sue edizioni, restano imprescindibili, P. Barocchi, Sulla edizione lanziana della Storia Pittorica della Italia, 1795-1796 in F. Caglioti (a cura di) Giornate di studio..., cit., pp. 293-319; Eadem, Sulla edizione del 1809 della “Storia pittorica della Italia” di Luigi Lanzi, “Saggi e Memorie di storia dell’arte”, 25, 2001, pp. 297-307; 12 Il Viaggio è pubblicato in Appendice all’Epistolario, pp. 511-532. Da valutare, in una eventuale edizione critica delle Memorie, molti altri manoscritti di Ricci, fasi intermedie del suo lavoro, dove assembla le diverse modalità delle ricerche. Esempio sintomatico il Ms 203, Artisti della Marca, dove le notizie sono raccolte entro trattazioni alfabetiche degli artisti. Qui ritroviamo stralci di lettere, anche di quelle qui pubblicate, trascrizioni dal Viaggio, spogli bibliografici e altro ancora, prima di procedere all’inevitabile selezione delle Memorie. XXVI Come nelle lettere, anche nel Viaggio, l’immediatezza è garanzia di verità e queste note conservano tutta la forza dell’impatto diretto e dell’appunto intuitivo di fronte alle opere, con l’evidenziarsi di una importante caratteristica, una costante nel lavoro di Ricci: la sua sensibilità, veramente moderna, per la tutela e la conservazione delle opere, che diventa un aspetto imprescindibile anche per la loro corretta comprensione. ‘Un diligente illustratore’? Un diligente illustratore: con questa angusta definizione, che pur voleva segnalare il merito di aver dato, finalmente, un’opera unitaria a una regione come le Marche, multiformi per la loro natura e per la loro attività artistica, Schlosser inseriva Ricci nel panorama esemplificativo della storiografia artistica locale in Italia13. Quella valutazione del ruolo di Amico Ricci risulta, oggi, quantomeno riduttiva, anche se strettamente legata alle premesse ‘crociane’, di Schlosser, in tutta la trattazione sulla letteratura locale italiana, grazie a lui, peraltro, entrata per la prima volta a far parte strutturale della letteratura artistica. Il panorama locale restava un mondo sommerso, se pur riconosciuto, però, come molto importante per l’Italia, un campo straordinariamente fecondo e di carattere esplicitamente italiano, come la letteratura delle guide ma, infine, liquidato da Schlosser come fenomeno generale, del quale, pertanto, vanno presi in considerazione, e con brevissime note, solo alcuni aspetti principali, come l’opera di Ricci, appunto: Naturalmente dovremo conoscere e valutare solo nei suoi tratti principali di fenomeno generale tutta questa letteratura estesa colle sue propaggini fin nel cuore dell’Ottocento, diversissima per valore e per importanza, proprio come le Accademie, l’Arcadia, e i sonetti, in questa terra immersa nei sogni e politicamente inerte fino al Risorgimento14. Ricci veniva comunque riabilitato rispetto al rogo cui la moderna filologia aveva condannato l’erudizione ottocentesca. Ma quel mondo, a una più equilibrata valutazione, si rivela molto più affine ai modelli di ricerca storico-documentaria del Settecento, che alla degenerazione municipalistica e retorica che effettivamente avviluppò molta produzione del secolo. Indubbiamente, quella degenerazione in vuota retorica degli 13 J. von Schlosser, La storiografia artistica locale in Italia, primo capitolo del libro ottavo, della sua Letteratura artistica, dedicato alla Letteratura locale italiana, (1924) ed. it. Firenze 1964, p. 529: Le Marche, multiformi per la loro natura e per la loro attività artistica, hanno finalmente trovato un diligente illustratore nel marchese Ricci (1834), l’autore della prima storia dell’architettura italiana. La menzione di Ricci torna più avanti, nel capitolo sulla Bibliografia della letteratura locale italiana, nella parte più generale dedicate alle Marche, cit., p. 597, dove cita anche il Compendio del 1835 alle Memorie, in maniera generica, senza autore, destinato, da qui, a restare ancora per molto tempo ignoto, D. Levi, Cavalcaselle, il pioniere della conservazione dell’arte italiana, Torino 1988, p. 135. L’autore del Compendio è il nobile erudito bolognese, amico di Ricci, marchese Antonio Bolognini Amorini, su cui si veda la sezione relativa nell’Epistolario. 14 J. von Schlosser, La Letteratura artistica..., cit., p. 527. Notava F. Mazzocca, Scritti d’arte..., cit., p. XV, che la vocazione tutta italiana, posta entusiasticamente in risalto da Julius von Schlosser nella sua Letteratura artistica... a discutere e scrivere d’arte, non si sia mai manifestata in maniera così estesa ed appassionata come nella prima metà dell’Ottocento..., poiché in quelle discussioni c’era la ricerca della propria identità. XXVII scritti d’arte di carattere municipalistico, a fronte del nuovo metodo filologico, pesò come un macigno per una condanna fin troppo generalizzata15. Nelle severe recensioni tedesche, ben poco si salva degli scritti dedicati ad argomenti artistici in Italia. In particolare la rivista “Kunstblatt” tende a rimarcare la scarsa verifica sui testi, l’assenza di indagine stilistica, la condiscendenza alle fonti più importanti. Tra i materiali degni di una menzione e di una recensione troviamo, nel 184716, un opuscolo di Severino Servanzi Collio, indirizzato ad Amico Ricci ed effettivamente elaborato da una lettera17. Anche diverse sue opere avevano avuto l’onore di essere recensite da riviste tedesche18. E non si possono tacere i richiami all’inascoltato Ricci19, per quanto riguarda l’altra sua principale opera, da affiancare alle Memorie, quella Storia dell’architettura in Italia, stampata a Modena in tre volumi, tra 1857 e ’60, che, nelle intenzioni dell’autore, aspirava a porsi quale terzo punto di riferimento per la storiografia artistica moderna, accanto alla Storia pittorica di Luigi Lanzi e a quella riservata alla scultura, di Francesco Leopoldo Cicognara20. Amico Ricci indubbiamente paga il suo debito alle caratteristiche dell’erudizione dell’epoca, in particolare nel senso delle concessioni all’autorità delle fonti e di una più generica e diffusa tradizione, che impedisce un vaglio delle notizie e una veri15 D. Levi, Cavalcaselle… cit., pp. XXII-XXIII, note 9 e 10, metteva in evidenza questo aspetto, ricordando la presa di posizione di Adolfo Venturi, nel 1891, La letteratura artistica nel 1890, “La Nuova Antologia”, a. III, vol. XXXI, 1891, pp. 205-230, cit. p. 206, quando condanna il settore come fatto ormai per istrenne di capo d’anno, per emporii pittoreschi o per l’albo di dame e il severissimo giudizio espresso su “Kunstblatt”, Kunstgeschichtlicher aus Italien, n. 81, 9 ottobre 1838, pp. 330-331 secondo cui, dopo la chiusura dell’“Antologia”, la critica d’arte in Italia è o scoperto panegirico o trivialità: di indagine scientifica non è più il caso di parlare. 16 Si tratta dello scritto Sopra una tavola… cit.: Su Italienische Kunstgeschichte, “Kunstblatt”, nn. 2628 del 29 maggio, 3 giugno e 10 giugno 1847, p. 111, cit. in D. Levi, Cavalcaselle… cit., p. XXVI, nota 32, che ricorda anche una menzione dei lavori del bolognese Gaetano Giordani in ibidem, n. 80 del 4 ottobre 1838, pp. 325 sgg; n. 82 del 14 ottobre 1845, pp. 342-343. 17 Si veda nota 3. 18 Alfred Reumont recensì le Operette di Belle Arti di Ricci, Bologna 1831, su “Kunstblatt”, n. 60, 1832, pp. 237-239. Un articolo di Franz Kugler su l’Elogio di Gentile, fu stampato nel 1837 su “Museum”, nn. 2-5. Una recensione alle Memorie storiche, di Johannes Gaye uscì nei “Jahrbücher der Literatur”, 1840, XC, appendice, pp. 42-68, XCI, appendice, pp. 10-31. Per la fortuna critica delle Memorie, notevole, soprattutto nell’immediato, rimando a E. Barchiesi, pp. 150-152. 19 A. Venturi, Storia dell’arte italiana. L’arte romantica, Milano 1904, III, p. 555, nota I, lo citava per l’attualità del suo giudizio su Nicola Pisano e sui busti che decorano il primo piano del Battistero di Pisa, opera di un artista che annunciava il risorgimento della scultura in Italia. Anche P. Toesca, Il Trecento, Torino 1951, p. 113 affermava l’importanza della che la storia dell’architettura di Ricci fosse fondamentale fonte per questo settore, in particolare per il Medioevo, secondo Toesca, per l’architettura civile, poiché mancava uno studio sul tema. 20 M. Barresi, in C. Sisi, E. Spalletti (a cura di) La pittura di genere storico. Storia e mito di Raffaello nella pittura dell’ ’800 in Italia, in Raffaello: elementi di un mito. Le fonti, la letteratura artistica, la pittura di genere storico, catalogo della mostra, Firenze 1984, pp. 161-201 curava una scheda sulla Storia dell’Architettura di Ricci, dove però gli viene dato il Compendio alle Memorie, scritto nel 1835 da Antonio Bolognini Amorini, invece delle Memorie e opere che avrebbe scritto nel 1878, sedici anni dopo la morte di Ricci. La Storia dell’architettura è menzionata da Schlosser, che anzi sottolinea, come si veda alla nota precedente, il ruolo di autore della prima opera del genere in Italia. Il ruolo di terza grande opera, dopo Lanzi e Cicognara è sottolineato in A. Aleci, Ricci Amico, in G. C. Sciolla, (a cura di), L’arte, Torino-Milano 2000, ad vocem. XXVIII fica sulle opere, liberi da condizionamenti. Ma il suo lavoro non scade mai nella vana retorica e nella vuota erudizione letteraria cui non sfuggirà, per esempio, l’ambiziosa opera di uno dei suoi più importanti corrispondenti, la Storia della pittura italiana esposta coi monumenti, che Giovanni Rosini comincerà a stampare dal 1837, negli anni in cui Ricci lavora alla seconda, mai realizzata edizione delle Memorie. La sua personalità di studioso si rivela stimolata da diversi orizzonti culturali, aperta alle più avanzate sollecitazioni, che dalla formazione neoclassica lo conducono al Purismo e, soprattutto, va qui rimarcato il peso delle sue Memorie storiche delle Arti e degli artisti della Marca di Ancona, quale fonte imprescindibile per le Marche, unica nel suo genere e pionieristica, faticosamente e consapevolmente impostata su un terreno privo di riferimenti21. Impresa tanto più ardua, in quanto dedicata a un territorio, come sottolineava lo stesso Schlosser, variamente diviso e lontano dai principali centri di aggregazione e divulgazione culturale. Un’opera, alla base di qualunque ricerca di storia artistica marchigiana, pur considerando che trattando della Marca di Ancona, restava esclusa la zona più a nord, comprensiva di quella che all’epoca era la delegazione di Pesaro e Urbino22. Si delineava comunque una moderna coscienza di identità. Gli argomenti trattati, inoltre, comprendono pittura, scultura, architettura ma anche le cosiddette arti minori, dando un peso a questa sezione trascurata della produzione artistica, nella ricostruzione di una completa immagine dell’evoluzione storica dell’arte e delle sue presenze, nelle Marche. Come precisa l’autore nella sua Introduzione, tutto il lavoro nasce proprio da questa premessa: la mancanza, rispetto anche ad altri settori, quali le antichità, o la medicina, la matematica, la letteratura, di trattazioni esaustive sul piano dei monumenti di Belle Arti, che tanto in architettura, scultura, e pittura dal medio evo a noi essa [questa bella provincia] contiene, e le memorie dei molti Artisti, che in essa ebbero culla, e che alla gloria delle arti picene, e dell’Italia tutta contribuirono23. Lo sottolineava, subito dopo la loro pubblicazione, l’amico e corrispondente bolognese Antonio Bolognini Amorini, autore di un Compendio alle Memorie storiche, già spunto per un’analoga considerazione di Donata Levi, che definiva le Memorie, ottimo frutto della erudizione locale, riservando alcune pagine di apprezzamento per l’opera di Ricci, che aprivano uno squarcio, negli studi moderni, sul velo d’in- 21 Sull’Introduzione alle Memorie, si veda anche E. Barchiesi, pp. 117-118. 22 C. Pongetti, Lo spazio funzionale, in E. Carini, P. Magnarelli, S. Sconocchia (a cura di) Quei monti azzurri. Le Marche di Leopardi, atti del convegno Ancona 2000, ed. Venezia 2002, pp. 787-798, con densa bibliografia sull’argomento della divisione amministrativa delle Marche nel primo Ottocento e la maggiore ralazionalità della parte nord e invece il favore dei localismi in quella sud. C’erano sei delegazioni: Pesaro-Urbino, Ancona, Camerino, Macerata, Fermo Ascoli. Dipartimento del Metauro con capitale Ancona, del Tronto con capitale Fermo ma in epoca napoleonica e poi con la delegazione apostolica, Ascoli, dipartimento del Musone, capitale Macerata, p. 795. 23 A. Ricci, Memorie… cit., I, p. 6. Chiara è in questa impostazione, l’influenza di Lanzi, con le sue premesse alla Istoria, sulla necessità di scrivere compendi. Si veda, in particolare, sul tema, D. Levi, Taccuino di Roma… cit., pp. XLIII-LI: Storia e compendio. Infine, però, il metodo non sosterrà Ricci, che non riuscirà a travalicare il racconto più aneddotico. XXIX differenza che l’avvolge24. Bolognini Amorini scriveva a Ricci che il suo lavoro, tra gli altri, aveva un merito particolare nel fatto di aver trattato un tema secondario, quale quello della storia artistica di un luogo provinciale come le Marche e dunque le Memorie, che non sono meno importanti di Vasari, Baldinucci e Lanzi sono altresì più meritevoli: La sua opera, signor Marchese, nulla ha da invidiare a quella de’ Vasari, de’ Baldinucci, de’ Lanzi e di altri, i quali se per la qualità de’ soggetti che avevano da trattare, possono per avventura essere più interessanti; questa sua è più rimarchevole, per avere con artisti non così sublimi saputo dar loro una importanza non meno utile alla storia delle arti…25. In effetti, il lavoro si pone come la prima e unica ricerca monografica sul tema in un ambito provinciale, nello sforzo di rappresentare una storia unitaria e, dunque, almeno i lineamenti di una identità culturale26. Va in questo senso anche la scelta di trattare sia arti maggiori che minori, che parte da un’esigenza storica, appunto, maturata sui frutti del lavoro erudito-enciclopedico settecentesco. Con le Memorie, inoltre, si predispone una straordinaria quanto unica panoramica bibliografica27 relativa ai temi trattati nei vari capitoli, che condensa le fonti, il lavoro storico-erudito e la periegetica fino a quel momento, cui va affiancata la ricerca e la verifica documentaria, sia a partire da menzioni nelle fonti, che con capillari investigazioni in archivi di chiese, conventi e privati. Le note, perlopiù, contengono i rimandi bibliografici e documentari, le trascrizioni di eventuali iscrizioni sulle opere, il nome del ‘dotto amico’ che abbia, di caso in caso, comunicato notizie o opere, fornendo ancora oggi una ineludibile base per ogni ricerca su argomenti di storia dell’arte marchigiana. Il titolo scelto è di per sé significativo, emblematico del timbro dell’erudizione locale del tempo e del temperamento stesso di Ricci. Se, infatti, tra i massimi modelli e prototipi per l’opera sono le “Storie” di Lanzi, Cicognara e D’Agincourt, infine, l’opera di Ricci non ardisce a questa intitolazione e preferisce la più pacata indicazione di Memorie storiche, ricollegandosi a una tradizione locale assai viva all’epoca, 24 D. Levi, Cavalcaselle… cit., in particolare, pp. 132-138. Fermo restando l’orizzonte documentaristico, tipico dell’erudizione locale, dell’opera, rimarcato a p. 138, e sul quale tornerò più avanti. 25 Ms 1065 c. 224/2, qui trascritta a pp. 282-283. 26 Per trovare un’analoga intenzione monografica e un medesimo affondo cronologico, dovremo in fondo attendere i volumi che Pietro Zampetti ha dedicato in particolare alla pittura e alla scultura delle Marche. Dopo Ricci, peraltro, si assesta l’indagine storico-artistica che si ferma col Rinascimento, cui è debitrice, dopo un secolo dalle Memorie, anche L’Arte nelle Marche di Luigi Serra, 1834. Una densa panoramica della situazione culturale marchigiana, nella presa di coscienza di un’identità anche storico-artistica, nei primi anni del Novecento è offerta dal volume di C. Prete, L’arte antica marchigiana all’Esposizione Regionale di Macerata del 1905, Milano 2006. Ben individuabile è la faticosa strada che porta a una sempre maggiore distinzione delle scuole, in un dibattito nutrito di polemiche. Sul tema, spunti di riflessione anche in A. Marchi, “Quel fascino però severo e pur dolce dei maestri di provincia”. Piccolo (e parziale) florilegio sulla pittura camerinese, in A. De Marchi, M. Giannatiempo Lopez, (a cura di) Il Quattrocento a Camerino. Luce e prospettiva nella Marca, catalogo della mostra Camerino 2001, ed. Milano 2002, pp. 129-135. 27 Anche da questo punto di vista le Memorie storiche rappresentano un insostituibile viatico nelle ricerche, ancora oggi. Uno sguardo sintetico sul tema si può avere da una scorsa all’Indice, qui predisposto, pp. 446-507 relativo alle voci bibliografiche che si incontrano nella selezione dall’Epistolario. XXX anche nell’ambiente più vicino al maceratese, che vuole sottolineare la ricerca di materiali, il loro accumulo, più che una loro selezione e interpretazione, proprio quello che Lanzi voleva sfuggire, con la sua idea della scrittura di un compendio28. Memorie è un titolo e un’intenzione che ben rispecchia l’erudizione che gravita attorno a Ricci, sospesa tra tradizione e nuovi orizzonti metodologici, tra letteratura e conoscenza diretta delle opere. Memorie era il titolo dell’opuscolo scritto nel 183029 da Pompeo Benedetti Montevecchio, quasi parallelamente all’Elogio di Gentile di Ricci, del 1829. Memorie intorno ai letterati e agli artisti della città di Ascoli Piceno, si intitolava l’opera dell’ascolano Giacinto Cantalamessa Carboni, anch’essa stampata nel 1830. A questo genere di scritti appartenevano le Notizie dell’Antaldi, concluse attorno al 1805 ma con postille più tarde del bolognese Gaetano Giordani30, a sua volta autore redattore dei manoscritti marchigiani, intitolati: Memorie di Belle Arti per la Marca Anconitana e Memorie delle pitture di Urbino31. Molti altri potrebbero gli esempi, tratti dal lavoro di Giuseppe Ranaldi, che dà ai suoi manoscritti questo titolo, alle ricerche di Severino Servanzi Collio, di Camillo Ramelli32. Già nelle premesse, il metodo punta a una raccolta di quanto più materiale possibile – dunque la quantità più che la selezione – in una sorta di identificazione tra la ‘memoria’ e il ‘documento’ e sottolinea che si tratta di in un’impresa condotta con molto impegno e con l’aiuto dei ‘dotti amici’: …io mi detti con ogni diligenza, e direi anzi con entusiasmo a raccogliere dapprima nella mia patria, e quindi a grado a grado nei più riposti, e obliati luoghi della provincia quanto più potei intorno alle memorie, che vi si contenevono di belle arti, e di artisti, e se dopo non molto mi vidi innanzi una copia sufficiente di notizie e di documenti per tesserne la storia, che ora produco, ne debbo l’intento ottenuto alla mia fermezza nelle fatiche a quest’unico scopo per molti anni dirette, non meno che alla generosità di molti dotti amici, che me ne coadjuvarono col loro consiglio, col loro sapere l’impresa33. Obiettivi, peraltro, di grande concretezza, se pur in una cornice non certo compendiaria. Ancora una volta, il confronto fra carte manoscritte e Memorie è illuminante. Le discussioni dell’Epistolario, gli appunti del Viaggio, le postille alle Memorie forniscono numerosi spunti di riflessione sul metodo, e, implicitamente, su opere e artisti, evidenziando al meglio le contraddizioni dell’epoca. Nelle Memorie Ricci seleziona e taglia, ma non al fine di seguire un’ipotesi interpretativa, bensì per timore di azzardare e di solito scompaiono, come verificato nel Viaggio, le intuizioni più giuste, le notizie, apparentemente secondarie ma deter28 Si veda nota 23. Le caratteristiche del compendio lanziano, struttura che doveva sostenere la sua Storia, erano soprattutto, il più essenziale di quanto è sparso in molti altri e dove il metodo stesso faciliti la brevità a aiuti l’intelligenza, I, pp. 495-496, cit. in D. Levi, Taccuino di Roma… cit., p. XLVI. 29 Delle opere di maestro Gentile da Fabriano, memorie pittoriche di Pompeo Benedetti già Montevecchio duca di Ferentillo, Pesaro, Annesio Nobili 1830 30 Notizie di alcuni architetti, pittori, scultori di Urbino, Pesaro e de’ luoghi circonvicini, pubblicate nel 1996 a cura di Anna Cerboni Baiardi. 31 Rispettivamente, Ms B 1794 e Ms B 1799, Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, del 1829. 32 Si veda alle rispettive sezioni. Significativamente, non troviamo queste intitolazioni in Maggiori, la cui formazione settecentesca e illuminista, rifugge dall’aspetto più letterario di queste intitolazione. 33 A. Ricci, Memorie… cit., I, p. 6. XXXI minanti per la comprensione degli eventi. Vince l’autorità delle fonti ed anche dei ‘dotti amici’, che, se rappresentano una straordinaria panoramica sulla vita culturale del tempo, locale e non solo, condizionano l’autore delle Memorie, che risulta invece assai più libero e autonomo negli appunti manoscritti, aspetto d’altra parte sostanziale per molta erudizione, nello stesso periodo34. Se si leggono alcune minute di Ricci qui presentate, la sua intrapredenza, sicurezza, scorrevolezza anche stilistica appare evidente. Come il suo atteggiamento critico anche di fronte alle fonti considerate più autorevoli, compreso Lanzi e l’imprescindibile visione delle opere, prima di formulare un giudizio35. Le fonti vengono sottoposte a un vaglio imparziale – talora anche patetico e ingenuo – di cui fanno le spese anche quelle più autorevoli, come Lanzi ma soprattutto quella miriade di scritti municipalisti, verso i quali sente di appartenere a una sorta di fronda ‘revisionista’:… alle Storie municipali fa duopo usare molta cautela prima di prestar fede; giacché vi fu un tempo, in cui gli Scrittori ebbero più a gloria di far risaltare i personaggi, di che tessevano l’elogio, di quello sia la verità…36. L’altro punto centrale, qui offerto alla riflessione, è la piena consapevolezza di Ricci sulla novità di un lavoro dedicato esclusivamente ad artisti e opere delle Marche: egli affrontava per la prima volta il tema della storia dell’arte in un territorio quasi del tutto comprensivo dell’odierno volto regionale, dal VI secolo dopo Cristo all’epoca contemporanea: non era impresa da poco. Non esisteva niente di simile, così mirato sul territorio e, se dal punto di vista dei modelli che sostengono l’idea stessa del progetto, sono le opere di Lanzi e di Cicognara a porsi alla base del lavoro, a livello più locale le Memorie storiche rappresentavano un’assoluta novità37. Fra gli ascendenti delle Memorie, in area marchigiana, va senz’altro annoverata, la voluminosa raccolta di testi, notizie, documenti, che compongono le Antichità Picene dell’abate Giuseppe Colucci, di Penna San Giovanni. Non sarà un caso che, tra le carte del fondo Ricci di Macerata, qui restituite alla mano di Alessandro Maggiori, si trovi un manoscritto, con una attenta compulsazione delle notizie storico-artistiche tratte dalle Antichità Picene38. 34 Come accennato, notava la struttura delle Memorie, di taglio documentaristico, tipico dell’erudizione locale; dove gli elementi archivistici e storici prevalevano sulla analisi diretta, che comunque restava superficiale, D. Levi, Cavalcaselle… cit., p. 138. Una prova dell’esclusione frequente delle notizie più originali viene dal controllo del Ms 203, Artisti della Marca. 35 Si vedano in particolare quelle scritte ad Alessandro Maggiori, tra cui segnalo la lettera del 15 marzo 1828, pp. 216-217, commentate nella biografia introduttiva alla sezione, pp. 202-215 e si veda lo stesso tema trattato nel presente scritto, nel paragrafo sul Viaggio per alcuni paesi della nostra montagna. 36 A. Ricci, Memorie… cit., II, p. 27 e si veda, sul tema, la sezione dedicata a de Lazara, p. 183 e nota 8. 37 D. Levi, Cavalcaselle… cit., p. 139, rilevava la singolarità del caso marchigiano nell’esperienza di Cavalcaselle, per la scarsità delle fonti disponibili in quel momento. Le Memorie sono suo viatico fondamentale. Lo notava anche S. Papetti, Ragione e sentimento: aspetti dell’arte nelle Marche fra Neoclassicismo e Purismo, in C. Costanzi, M. Massa, S. Papetti, Il tempo del bello, Leopardi e il Neoclassico tra le Marche e Roma, catalogo della mostra Recanati 1998, p. 6-8, dove citava, quali premesse al lavoro di Ricci, oltre alla complicità intellettuale di Maggiori, l’importante guida di Ascoli di Baldassarre Orsini (1790) e le Antichità Picene del Colucci. 38 Ms 237, Memorie spettanti alle belle arti, tratte dalle Antichità Picene dell’abate Giuseppe Colucci, (1801). Anche la data è un primo segnale della impossibilità di una pertinenza a Ricci, nato nel 1794, XXXII Ricci le menziona nell’Introduzione alle Memorie, come contributo per l’archeologia, tanto che la decisione di dare principio alla mia storia dalla venuta di Alboino in Italia, seguendola per l’ordine del tempo, fino a oltre la metà del secolo XVIII, si motiva anche per l’esistenza dell’opera del Colucci, oltre che per numerosi scritti esistenti, riguardanti l’argomento39. Ma, se è vero che l’archeologia era stata fertile terreno per gli studi eruditi settecenteschi, è anche vero che le Antichità Picene sono molto più di una raccolta di ‘memorie’ archeologiche: Molte indicazioni contiene la grande compilazione del Colucci segnalava giustamente Schlosser40. Un’opera, anch’essa costruita in gran parte grazie al fitto carteggio con eruditi locali e nazionali, tanto importante per l’erudizione della prima metà dell’Ottocento quanto scarsamente considerata oggi41. Colucci è invece una fonte importante già per Lanzi, col quale intrattiene una corrispondenza, negli anni della preparazione della Storia Pittorica e del viaggio, ad essa connesso, nelle Marche42. I contatti di Lanzi sono con alcuni dei principali protagonisti della ricerca erudita antiquaria del secondo Settecento marchigiano, quali, oltre a Colucci, il pesarese Annibale degli Abbati Olivieri o il fermano Michele Catalani43. Personalità centra- di questo manoscritto, di cui certamente avrà potuto avvalersi, quando divenne, subito dopo la morte di Maggiori, nel 1834, sua proprietà. Sul tema, più avanti, si veda in particolare il mio scritto sulle carte e i disegni di Alessandro Maggiori nel fondo Ricci, a pp. 26 e 19 sgg. 26. 39 A. Ricci, Memorie… cit., I, pp. 6-7. 40 J. von Schlosser, La letteratura… cit., p. 595. Sul Colucci (1752-1809) e la sua opera: R. De Minicis, Biografia di Giuseppe Colucci, Forlì 1840; D. Pilati (a cura di), R. Sassi, Note su Giuseppe Colucci: autore delle “Antichita Picene”, ed. 1987; M. Mei, Delle antichità picene di Giuseppe Colucci : un recupero culturale, “Notizie da Palazzo Albani”, 15.1986 No. 2, pp. 125-128; D. Poli (a cura di) Il Piceno antico e il Settecento nella cultura di Giuseppe Colucci, atti del convegno Penna San Giovanni 1996, ed. Roma 1998; E. Catani, Carteggio epistolare tra Annibale degli Abbati Olivieri e Giuseppe Colucci, nota preliminare, in Annibale degli Abbati Olivieri (1708-1789), atti del convegno Pesaro 1996-1998, ed. “Studia Oliveriana”, 15/16.1995/96, pp. 153-162; G. Piccinini, Una istituzione culturale per la Nuova Italia: La Deputazione di Storia Patria in E. Carini, P. Magnarelli, S. Sconocchia (a cura di) Quei monti azzurri..., cit., pp. 481-493, in particolare pp. 481-483. 41 Lo notava G. Piccinini, Una istituzione… cit., p. 481-482. Più avanti, si segnala la ricerca dell’opera, sempre più rara, del Colucci, da parte di G.P. Vieusseux, che incarica l’avvocato Gaetano De Minicis di Fermo, di procurargli, in ogni modo e ad ogni prezzo, quei volumi. Sui carteggi col Colucci, oltre al contributo citato alla nota precedente, va ricordato quello di R.M. Borraccini Verducci, Giuseppe Colucci e Giuseppe Antonio Vogel: note su un carteggio disperso, “Studia Picena”, 59, 1994, pp. 292-330; della stessa autrice, segnalo, oltre a un contributo nel volume Il Piceno antico… cit., Le Antichita picene di Giuseppe Colucci: cronaca di una sottoscrizione libraria obbligata, pp. 67-109, anche uno studio su La biblioteca di Giuseppe Colucci: formazione e composizione di una raccolta libraria erudita del Settecento, in La nobiltà della Marca nei secoli XVI-XVIII, patrimoni, carriere, cultura, atti del convegno di Studi maceratesi, Abbadia di Fiastra, Tolentino 1996, ed. Macerata 1998, pp. 246-297. 42 In una visita alla casa che fu di Colucci, nel Viaggio, p. 514, Ricci si appunta alcune opere di scultura parte della collezione, dove spicca la biblioteca dell’abate. 43 Su di lui, A. Evangelista, Michele Catalani, Fermo 1834, poi in A. Hercolani, Biografie e ritratti di uomini illustri piceni, Fermo 1839, II, ed. anastatica, Bologna 1973, volume unico. Qualche spunto in L. Bartolucci, Luigi Lanzi e l’esperienza di viaggio nell’Italia centrale, in C. Costanzi (a cura di), Luigi Lanzi… cit. Alcune lettere, anche di Catalani sono pubblicate in M. Cardone, Quattro ospiti illustri di Annibale degli Abati Olivieri, “Studia Oliveriana”, 1997-1998, XVII-XVIII, pp. 167-174. XXXIII li nella progressiva acquisizione dell’importanza del recupero e della storicizzazione di documenti del passato, ‘illuministicamente’ rivalutato quale testimonianza, che si estendeva dall’antichità, ai secoli tardoantichi e al Medioevo. Sono questi gli anni in cui la produzione di testi di storiografia artistica-erudita aumentano e si diffondono, sempre più interessando quelle tematiche di ricostruzione della storia locale44, a partire dall’archeologia, che avranno sempre più specifica trattazione col secolo successivo. L’opera colucciana, in particolare, è uno straordinario documento del trapasso tra la erudizione settecentesca a quella del secolo successivo, un modello di lavoro, inteso a una capillare restituzione della storia marchigiana, con notizie ossessivamente accumulate attraverso documentazioni, ‘reperti’ di vario genere; utile, per la sua composizione, anche per comprendere come si avviasse una nuova idea di ‘raccolta’ non esclusiva, ma anzi tesa a trovare elementi che testimoniassero le epoche più antiche, i luoghi meno noti e che avrà, perciò, una profonda influenza, non solo nelle modalità della ricerca erudita, come è evidente nell’opera di Ricci ma anche nel profilarsi di un collezionismo artistico verso aree prima neglette, quali quelle dei Primitivi: ogni oggetto del passato è un documento della storia, e più quei documenti sono rari, più sono preziosi, sono tasselli di un iter di documentazione storica, archeologica, artistica, letteraria per la storia del territorio, vanno inseriti in un contesto di confronti, classificati, catalogati. È il metodo stesso dell’erudizione a porsi alla base anche di nuovi interessi collezionistici. La caparbia impresa del Colucci, coi suoi 31 volumi editi delle Antichità Picene – e praticamente altrettanti manoscritti presso la Biblioteca di Macerata – verrebbe voglia di descriverla come volumi in forma di museo, costituita come è dall’assemblaggio di storie e miscrostorie, di città, paesi e valli marchigiane, di santi e visite pastorali, memorie e documenti di tutte le epoche. 44 Il clima erudito e la ricerca storico-documentaria si possono riassumere in alcune date e in alcuni nomi: per esempio, nel Discorso sugli antichi piceni pronunciato nel 1781 da Annibale degli Abati Olivieri all’Accademia degli Erranti di Fermo, analogo tema affronta Colucci nello stesso anno, Dissertazione sugli antichi piceni, mentre sui lavori, anche manoscritti, del dimenticato protagonista, il citato canonico Michele Catalani, baseranno molte delle loro ricerche gli eruditi tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento, come dimostrano le discussioni delle lettere qui pubblicate, in particolare quelle con Alessandro Maggiori e le note alle Memorie storiche. Il canonico Michele Catalani, autore di manoscritti e testi sulle opere nelle chiese di Fermo (1770), donò la propria libreria alla biblioteca di Fermo nel 1803, lo si veda in V. Curi, Guida di Fermo, Fermo 1864, p. 32, con un singolare anticipo sulle donazioni analoghe che seguiranno nell’Ottocento, come quella di Tommaso Borgetti che dona la propria raccolta libraria alla Biblioteca Comunale di Macerata, nel 1833, già arricchita dalle donazioni settecentesche di Bartolomeo Mozzi e dell’avvocato Francesco Mornati. Nello stesso anno la biblioteca del cavaliere Angelo Cancellotti fu acquistata dal comune di Sanseverino, la libreria di Nicola Antonelli costituì il primo nucleo della Biblioteca Comunale di Senigallia. Sul tema rinvio a G. Semenza, Per il ricordo delle “cose che scompaiono o che sono scomparse”, note sul collezionismo storico marchigiano, in A.M. Ambrosini Massari (a cura di) Banca Popolare dell’Adriatico. Collezione d’arte, Rimini 2003, pp. 169-174. Numerosi i testi del genere utilizzati da Ricci e argomento di discussione anche nelle lettere. Se ne può avere una panoramica dall’Indice analitico-critico dell’Epistolario. Si veda anche C. Costanzi, Appunti per una storia del collezionismo artistico marchigiano attraverso l’itinerario del Lanzi, in C. Costanzi (a cura di), Luigi Lanzi… cit., pp. XLV-XLVI. XXXIV Il modello più esplicito per un recupero e un nuovo interesse verso i Primitivi era l’Histoire de l’Art par les monuments, edita a Parigi tra il 1811 e il 1820 di Sèroux d’Agincourt, riferimento ricorrente nella corrispondenza e nelle Memorie su queste tematiche. Il lavoro del francese poggiava su una nuova comprensione e apprezzamento dalle caratteristiche di quelle tavole, quali la semplicità aggraziata del disegno, che avevano costituito nella radicata tradizione vasariana e classicista, che sostiene anche l’educazione di Ricci, elementi di sottovalutazione rispetto alla maturazione rinascimentale. Ma una nuova consapevolezza filtra attraverso la lettura di D’Agincourt. Lo conferma esplicitamente Ricci, nelle Memorie, quando afferma che del suo giudizio si deve tenere grandissimo conto, siccome quello d’un uomo, che la lunga sua vita consumò nella considerazione del bello artistico, e che per meglio riconoscerlo trascorse diligentemente la storia dell’arte dalla sua decadenza fino al felice suo risorgimento, in guisa che ebbe sempre agio di stabilirne la bellezza col mezzo del confronto: imperocché altro non essendo il bello, che un insieme di aggradevoli sensazioni, che alla fisica, e morale nostra natura recano diletto, D’Agincourt ha potuto sentirle tutte in questo genere, esaminando le diverse mutazioni, che di mano in mano furono introdotte negli oggetti, e con l’unanime consentimento degli uomini ravisarne la verità45. Confronto e necessità di classificazione, per comporre l’ordine della storia, sempre con un’idea evolutiva ma comunque con un interesse nuovo, paritetico per le diverse mutazioni, che di mano in mano furono introdotte negli oggetti: passaggio obbligato verso la verità. Ogni opera di ogni epoca è un documento della storia, con una progressione e allargamento di quell’attitudine erudita e collezionistica che, nel Settecento antiquario aveva portato alla ribalta lo studio e le raccolte di epigrafi e reperti. L’interesse per i Primitivi che affiora nell’Epistolario di Ricci e nelle Memorie conserva questo sapore, in certo senso antiquariale, che d’altra parte è impossibile disgiungere, fin da subito, da una nuova comprensione e ammirazione di quei ‘reperti’, che si sente l’urgenza di salvaguardare dalla fatale rovina che seguiva dall’ignoranza del loro valore. Un dovere della nuova classe erudita era anche di porre rimedio a questa ignoranza46. Questa esigenza di intendere47 si collega direttamente, dunque, con quella di conservare. Un altro punto da rimarcare, infatti, in tutto il lavoro di Ricci è la grande sensibilità dimostrata, davvero in anticipo sui tempi, per i problemi della conservazione e del restauro. Quest’ultimo elemento è fittamente documentato dalle carte, come qui attestano le lettere e soprattutto il Viaggio per alcuni paesi della nostra montagna, ma anche le Memorie storiche, dove frequente è il richiamo dell’autore al problema, serissimo, della conservazione delle opere, della loro salvaguardia, con una seria disapprovazione delle condizioni quasi sempre gravi per degrado e incuria, in 45 A. Ricci, Memorie… cit., I, p. 212-213. Lo spunto sono le opere di Carlo Crivelli, prese a modello di una nuova comprensione della bellezza delle opere dei Primitivi. 46 Si ricordi la lettera di Alessandro Maggiori a Ricci in cui lamenta la vendita del polittico di Crivelli già in San Domenico, citata a pp. LXXXVII-LXXXVIII. Numerosi gli spunti dalle lettere e anche dal Viaggio. Maggiori è uno dei più sensibili a questo problema, si veda nel saggio che lo riguarda, pp. 16-17. 47 È il termine usato da Maggiori nella lettera citata alla nota precedente, Ms 1069, c. 1037/97. XXXV cui versano le opere48. Si riflette la consapevolezza di una situazione che minaccia il patrimonio indipendentemente da spoliazioni e vendite, che risiede nell’ignoranza dei cittadini rispetto a questi preziosi beni che dovrebbero sentire come propri. Numerosi sono i luoghi delle Memorie dove emerge l’attenzione di Ricci per lo stato di conservazione delle opere. Quando ricorda due tavole del celebre polittico di Carlo Crivelli già nel Duomo di Camerino49, per una, in particolare, afferma che dopo la rovina della chiesa, conseguente al terremoto del 1799, tornò visibile nella sagrestia, dopo la riedificazione, ma così sconciamente ridipinta, che meglio sarebbe stato il non più vederla50. Ancora una volta, il rapporto con Alessandro Maggiori deve avere avuto un ruolo nell’indirizzare questa sensibilità in Ricci. Ancora nel 1787, dunque ante-Lanzi, questi rimarcava l’urgenza di scrivere un libro di tutte le pitture, scolture, e architetture, addirittura con la precisa volontà di farne anche una sorta di mappa delle situazioni in pericolo, con la segnalazione delle opere rovinate, in via di rovina o distrutte, operazione che sarebbe stata da fare per tutta l’Italia. Una consapevolezza sui problemi della conservazione e della tutela delle opere davvero singolare e in anticipo sui tempi, che si lega indissolubilmente a una prima idea di quello che si può già individuare come un metodo di catalogazione, indispensabile alla memoria e alla presa di coscienza degli addetti istituzionali. Quando le opere sono ricordate nei libri più si rispettano51... 48 Notava già la sensibilità di Ricci per queste tematiche, anche in relazione alla consapevolezza del valore del patrimonio per salvaguardarlo dalle vendite, D. Levi, Cavalcaselle…, cit., p. 136. 49 A. Ricci, Memorie… cit., I, p. 210. Si tratta di una delle tavole del polittico variamente smembrato e disperso, di cui poco più avanti Ricci ricorda la tavola conservata già allora a Brera, con Crocifissione fra San Giovanni Evangelista e la Maddalena, cuspide del complesso, che seguì la tavola centrale con la celebre Madonna della candeletta, nel 1811. Sul polittico, R. Lightbown, Carlo Crivelli, cit., pp. 418435. A pp. 236-237 – e note 9, 10, a p. 248 – del secondo volume delle Memorie, si innesta, sul tema del restauro, quello delle possibilità di un riutilizzo dell’antica tecnica della pittura a encausto, che si inserisce nel dibattito ‘neoclassico’ avviato negli anni ‘80 del Settecento, con riferimenti precisi, tra gli altri, a testi quali le Memoires sur la peinture à l’encaustique, et sur la peinture à la cire, del Caylus, stampato a Ginevra nel 1780, o l’opuscolo dell’Astori sul moderno encausto (1786). 50 Un documento che rivela in modo particolare questa mirata attenzione sul tema del restauro, si trova in un manoscritto miscellaneo e riguarda la collezione Manfrin di Venezia. La Memoria premessa alla statistica della Manfriniana Pinacoteca in Venezia in Canal Regio è un dettagliato resoconto, datato 6 novembre 1829, delle condizioni dei dipinti della raccolta. Traccia la storia e poi anche la pratica del restauro a Venezia.Ms 166, 1824-1838, Miscellanea delle arti, cit. in L. Gianfelici, Le Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona del marchese Amico Ricci, tesi di laurea Macerata a.a. 1993-1994, p. 143, parla del Ms 166, per la sensibilità di Ricci per la conservazione e il restauro delle opere, specialmente per il documento sulla Manfriniana, che cita e trascrive, pp. 138-143, in seguito, anche S. Ciaschini, Amico Ricci (1794-1862) scrittore d’arte: la Storia dell’Architettura in Italia dal IV a tutto il XVIII secolo, tesi di laurea, Bologna 1998-’99, pp. 116-122. Sul tema del restauro a Venezia e sulla figura di Pietro Edwards, tra 1778 e 1797, direttore alla manuntezione delle pubbliche pitture di Venezia, si veda C. Brandi, in Enciclopedia Universale dell’Arte, 1990, XI, p. 322; A. Conti, Manuale di restauro, Torino 1996, p. 173. 51 Si veda per queste e altre prese di posizione di Maggiori, il saggio su di lui a p. 17. XXXVI “Io ho conosciuto ormai ogni pittore di vaglia, che vanti oggi l’Italia...”52 La sensibilità conservativa di Ricci è in diretta connessione con la sua frequentazione degli artisti, dei loro studi ed anche il peso dato ai loro pareri è sempre centrale nelle sue ricerche, come vedremo meglio nel prossimo paragrafo. La sua passione per l’arte contemporanea, la sua consapevole conoscenza della situazione artistica è variamente testimoniata dalle opere edite e inedite. Nelle lettere filtrano le discussioni più attuali sull’arte contemporanea, in particolare a Roma. Un pittore più volte citato è Filippo Agricola, che in una lettera di Maggiori53 apre un varco su quel clima di mitizzazione di Raffaello, che caratterizzava gli ambienti artistici romani, dal secondo decennio del secolo: Agricola avrebbe chiesto a Maggiori un disegno di Raffaello con la Fornarina, che credeva gli appartenesse54. Vividi spunti sul tema dell’arte contemporanea provengono, inoltre, dal carteggio con l’amico intimo e raffinatissimo erudito, il vicentino Leonardo Trissino, che parla di vari argomenti tutti di stretta attualità, sulle novità artistiche e le accese polemiche che le accompagnano55, tra Venezia e Roma, verso la metà del terzo decennio. Ricci parla dell’entusiasmo con cui sono stati accolti, a Roma, 52 Una lettera del 1829 all’amico scultore Fedele Bianchini è emblematica della sua sicurezza nella padronanza dei fatti artistici contemporanei:…Io ho conosciuto ormai ogni pittore di vaglia, che vanti in oggi l’Italia, e mi sono dovuto convincere che non vi fu mai epoca più sfortunata di questa. I quadri di oggi sono una servile imitazione delle cose francesi, le quali se non furono mai stimate presso noi, che vantiamo una maggioranza sopra tutte le altre nazioni in queste cose, lo sono meno oggi, che i francesi sono al nostro livello, quando non si vogliono dir peggiori loro, che si prendono per originali, che i nostri, che vogliono essere loro imitatori. Trissino è della mia opinione…, Ms 1075, c. 2191/12, da Vicenza, 13 ottobre 1829. 53 Si veda p. 213, nota 47 e la lettera del 15 giugno 1829, a p. 231. A p. 313, nota 120, carteggio Rosini, per altri spunti, in relazione alla ricerca dei personaggi nelle opere di Raffaello. Nel carteggio Maggiori, un passo di una minuta di Ricci, p. 233, del 31 agosto 1829, è dedicato alla cupola che Pietro Benvenuti ha preso a dipingere nella cappella dei Medici. Purtroppo non è possibile vederla e il pittore ha preso dieci anni per completarla ma sia Ricci che Maggiori non ripongono grandi speranze nei risultati, non tanto per sua incapacità ma perché l’affresco è ormai tecnica non congeniale ai tempi, fatta eccezione per il bolognese Pelagio Palagi: Convengo con voi che Benvenuti abbia poca pratica del fresco cosa comune alla maggior parte dei tempi nostri, mentre se si esclude Palagi tutti gli altri si trovano in ugual circostanza; si veda più avanti, nota 76. 54 La mitizzazione di Raffaello passava attraverso l’enfatizzazione di alcuni aspetti della sua vita, in cui la Fornarina aveva talora il ruolo della perdizione, talaltra dell’ispirazione. Si pensi, per qualche esempio a Jean-Auguste-Dominique Ingres, Raffaello alla Farnesina con la Fornarina, Cambridge, Fogg Art Museum; Raffaello e la Fornarina, disegno di Annibale Gatti, Firenze, collezione privata, studio per l’affresco con Trionfo dell’amore, nel salone da pranzo di palazzo Gattai a Firenze, 1870; Cesare Mussini, Onofrio Diofebi, Raffaello che per la prima volta spoglia la Fornarina (Raffaello e la Fornarina), litografia, Milano Biblioteca Nazionale braidense, tratta da un dipinto di Mussini del 1837. Sul tema resta insostituibile, C. Sisi, E. Spalletti, La pittura di genere storico. Storia e mito di Raffaello nella pittura dell’’800 in Italia, in Raffaello: elementi di un mito. Le fonti, la letteratura artistica, la pittura di genere storico, catalogo della mostra, Firenze 1984, pp. 161-201 e in particolare, pp. 181-190. Sono perlopiù gli artisti stranieri a nutrire il fenomeno ma un evento catalizzante fu la scoperta del sepolcro di Raffaello nel 1833, nel Pantheon, cui assistette Thordvaldsen, come consigliere della commissione consultiva di Belle Arti. Accanto a lui erano Overbeck, Minardi, Vernet, Camuccini ed anche Filippo Agricola, che rappresentavano l’Accademia di san Luca. 55 Si vedano la minuta di Ricci del 27 aprile 1827 e le lettere di Trissino del 5 maggio 1827 e 8 maggio 1829, a p. 332 e pp. 333, 341-342. Per un inquadramento degli argomenti, si vedano in particolare, le pp. 328-329. XXXVII i ritratti di Ariosto e Alessandra Benacci, ultimi (1823-1824) della serie di Filippo Agricola con le coppie dei poeti (Dante e Beatrice, 1820; Petrarca e Laura, 1822; Tasso ed Eleonara, 1823). Informa l’amico del successo di Franz Ludwig Catel, in una esposizione romana del 1826, con un dipinto che rappresentava Tasso che si ritira a Sant’Onofrio e riceve l’alloro dal cardinale Aldobrandini56: la speranza è che da qui possa giungere la rinascita della pittura da più parti attesa. Trissino chiede notizie sui dissapori tra Tenerani e Thorvaldsen, a causa dei lavori per il Mausoleo del principe Eugenio de Beauharnais, duca di Leuchtenberg, a Monaco. Nella lettera del 5 maggio 1827 racconta delle reazioni suscitate a Venezia dal Monumento a Canova, promosso da Leopoldo Cicognara, con una sottoscrizione europea e realizzato da allievi dello scultore, tra cui sono ricordati Rinaldo Rinaldi e Giuseppe De Fabris, nella chiesa di Santa Maria Gloriosa ai Frari, a Venezia, tra il 1822, subito dopo la morte dell’artista, e il 1827. Le parole di Trissino evocano le fasi conclusive dell’opera e le polemiche che sollevava, in particolare per le forme troppo colossali e la nudità del genio realizzato da Giuseppe de Fabris57. Eco delle vicende più attuali, la notizia, nella lettera del 1 novembre 1828, a pochi giorni di distanza, della morte di Vincenzo Monti, sentita da Trissino come una grave perdita, che unita ad altre, tra cui indubbiamente quella di Canova, fanno presentire, malinconicamente, un sentore di incipiente decadenza intellettuale58. Inequivocabile testimonianza dell’attenzione verso l’arte contemporanea è lo scritto d’esordio di Ricci, nel 1827, che nasce proprio, secondo un modulo tipicamente neoclassico, dall’ispirazione derivante da un’opera d’arte, in questo caso un bassorilievo, eseguito dallo scultore di Macerata, Fedele Bianchini, intimo amico di Ricci59. Si tratta del Bassorilievo eretto alla memoria della marchesa Chiara Accoretti 56 Sul tema, Epistolario, pp. 328-329 e la minuta di Ricci a pp. 331-332, nota 136. Il titolo riferito da Ricci è un pastiche. Il dipinto di Catel dovrebbe essere quello realizzato per la mostra di via Margutta del 1826, che però era la Morte del Tasso, su cui A. Stolzenburg, (a cura di) Franz Ludwig Catel (1778-1856), paesaggista e pittore di genere, Roma 2007, pp. 85-86, documentabile da temi analoghi quali quelli del 1834, oggi al Palazzo Reale di Napoli, con la scena della Morte del Tasso, e il pendant con Tasso nel convento di Sant’Onofrio. Ma per altri suggerimenti e bibliografia, si vedano le pp. 328-329 e in particolare la nota 136 dell’Epistolario. Catel nel 1830 comprava una tenuta a Valleripa, proprio nei pressi della città di Ricci, Macerata. Al Pio Istituto Catel, a Roma, sono conservati due dipinti che la rappresentano, Contadino che ara nella proprietà di Catel presso Macerata, e Scena di raccolto nella proprietà di Catel presso Macerata, eseguiti tra 1850 e 1855, H. Geller 1960, Franz Catel. Leben und Werk des deutsch-römischen Malers zum 100jähringen Todestag des Künstlers, manoscritto a macchina, p. 130, cit. in A. Stolzenburg, (a cura di) Franz Ludwig… cit., pp. 105, 165, 166. 57 Sui temi, gli artisti e le opere qui citati rinvio alle pp. 324-330 dell’Epistolario. In particolare, pp. 329 e lettere a pp. 333, 341-342. Su De Fabris e il Monumento a Canova, anche S. Grandesso, in S. Pinto, L. Barroero, F. Mazzoca (a cura di), su progetto di S. Susinno, Maestà di Roma, da Napoleone all’Unità d’Italia, catalogo della mostra Roma 2003, ed. Milano 2003, p. 185. 58 Lettera del primo novembre 1828, pp. 339-340. 59 Per notizie e bibliografia su Bianchini si veda anche il saggio di E. Barchiesi, pp. 98-99 ma anche 100, 103, 104, 126 e passim, per notizie anche sulla corrispondenza, fittissima, tra l’erudito e l’amico scultore, figlio dell’amministratore agricolo della famiglia Ricci. Il contributo più recente sull’artista è un profilo contenuto nel saggio di S. Papetti, Da Canova a Tenerani: aspetti della scultura marchigiana del primo ottocento, in E. Carini, P. Magnarelli, S. Sconocchia (a cura di) Quei monti azzurri… cit., pp. 835-843, su Bianchini, pp. 838-840. XXXVIII Franz Ludwig Catel, Morte di Tasso, Napoli, Palazzo Reale Franz Ludwig Catel, Tasso che si ritira a Sant’Onofrio, Napoli, Palazzo Reale XXXIX Franz Ludwig Catel, Scena di raccolto nella proprietà di Catel presso Macerata, Roma, Pio Istituto Catel Monumento a Canova,Venezia, Santa Maria Gloriosa dei Frari XL Rossi, scolpito da Fedele Bianchini, stampato a Pesaro nel 1827, dedicato all’amico vicentino Leonardo Trissino60 cui riconosceva il merito della sua vocazione agli studi storico-artistici. L’opera, tuttora conservata al Cimitero di Macerata, viene esaltata con il suo autore, che, rientrato in patria dopo il soggiorno romano presso Canova61, vi ha ricondotto, primo fra tutti, l’aureo gusto, improntato all’ideale neoclassico della greca semplicità. L’amico Bianchini è ricordato nelle Memorie, nonostante il proponimento introduttivo di non trattare gli artisti viventi. Tra i seguaci marchigiani di Canova che contribuirono a conservare alla scultura quel grado di eccellenza cui il maestro seppe riportarla, accanto al sanseverinate Floriano Fiorani, compare Bianchini, che dà saggi non equivoci del profitto, che ha fatto nella scuola di sì gran maestro62. Altro artista, amico e corrispondente di Ricci, è il pittore bolognese Pietro Fancelli, che lo scultore Bianchini accompagna in visita ai luoghi meritevoli di Macerata, in occasione della sua trasferta marchigiana, per eseguire il sipario e il quadro centrale del Teatro dei Filodrammatici63. Con Fancelli c’è uno scambio di vedute sulla qualità degli artisti e delle opere che il pittore ha modo di apprezzare nel suo soggiorno ascolano, opinioni altamente stimate da Ricci, che dimostra di aver già più volte discorso con lui, a Bologna, sulla scrittura delle Memorie. Un parere, quello di Fancelli, che contribuisce, con la sua esigenza ‘neoclassica’ di semplificazione, a una nuova positiva valutazione dei Primitivi e di personalità eterodosse, se pur 60 Si veda anche, sul tema, al carteggio con Trissino, in particolare nota 131. Lo scritto dedicato al Bassorilievo del Bianchini è rielaborazione di una lettera, come Ricci enuncia nelle ultime pagine, precisandone la data, Da Macerata il 20 febbraio 1827. Leonardo Trissino rispondeva con molti elogi per lo scritto di Ricci, in una missiva inviata da Vicenza il 6 Aprile 1827. La lettera esordiva con la promessa di mandare l’opuscolo al comune amico Giovanni de Lazara. A Trissino, Ricci dedicherà anche la Visita a diversi studi di Belle Arti in Roma del 1835, Bologna, 1838, indicandolo ancora come motore primo dei suoi interessi storico-artistici. Il Bassorilievo di Bianchini si veda a p. 99 del saggio di E. Barchiesi, e si veda anche p. 100 e nota 53. 61 Bianchini fu a Roma, tra 1808 e 1818, G. Hubert, La sculpture dans l’Italie napoléonienne, Paris ed. 1964, p. 174, dove si ricorda che il soggiorno romano dell’artista era stato favorito dal prefetto del Musone che aveva ottenuto l’appoggio del vicerè, si veda anche in S. Papetti, Da Canova a Tenerani… cit., p. 838. Più che lo stuudio avrà frequentato le accademie canoviane a Palazzo Venezia. Nella corrispondenza, dove i temi sono perlopiù privati, segnalo una lettera, Ms 1075, c. 2183/4, scritta da Vicenza il 23 settembre 1826, dove Ricci racconta a Bianchini alcune tappe di un suo viaggio di riposo e forse convalescenza. Si reca a Possagno, paese miserabile, e privo di qualunque industria, dove ammira il Tempio di Canova, praticamente terminato. Dice che sta diventando una vera risorsa per il posto, molti forestieri vi si recano e già a quest’ora vi si sono stabilite locande, e botteghe, che prima erano sconosciute. Poi descrive il Tempio, che è una perfetta copia della Rotonda di Roma…: È però un bel colpo d’occhio il vedere questa fabbrica innalzata sulla cima di un colle, attorniata da bellissimi alberi i quali formano al quadro un eccellente contrapposto. Prosegue con la visita alla casa di Canova, la quale nulla presenta di particolare, non contenendo delle opere di quest’artista. Singolare la nota che segue alla vista di un dipinto del Canova: Viddi il suo gran quadro della Deposizione di Cristo dalla Croce disposto per l’altare maggiore del Tempio. Se Canova avesse risparmiato di farlo non avrebbe che schivato quel tanto, che da ciascuno viene asserito, che s’era ottimo scultore, era altrettanto infelice pittore. Del Buonarroti non se ne rinvengono con tanta facilità, per cui fa duopo il contentarsi d’esser apprezzato in una cosa senza tentarne altre. 62A. Ricci, Memorie… cit., II, p. 413, nota 8. Come preciseremo più avanti, altra eccezione è per l’intagliatore Venanzio Bigioli e per il figlio Filippo, I, p. 195, 203, nota 49; II, p. 247. 63 Si veda all’Epistolario, pp. 196-198 e lettere, pp. 199-202, con allegato un disegno di Fancelli della chiesa di San Francesco ad Ascoli-Piceno. XLI influenzate da Raffaello, come Cola dell’Amatrice o ancora pressoché sconosciute, come il Pagani64. Fin da giovanissimo, dunque, accanto all’interesse per lo studio delle opere e degli artisti del passato, Ricci coltiva quello per l’arte contemporanea. Tra i suoi numerosi taccuini, diversi sono legati a viaggi di studio, con vivide note sulle opere, gli artisti, gli stili65, tra i pochi documenti che precedono il vero e proprio esordio nella scrittura e negli studi storico-artistici, paralleli alla progressiva maturazione del suo gusto estetico, sempre attento alle opere degli artisti contemporanei. Ricci perfeziona la sua cultura artistica a Roma, visitando gli studi degli artisti, come documenta una serie di scritti sul tema, che comprende almeno tre testi, solo uno dei quali pubblicato, quello relativo a una visita agli atelier artistici romani del 183566, mentre rimasero inediti quello con una visita a pittori e scultori del gennaio 182467, e l’ultimo, riservato a visite a scultori, della fine del 184568. Dei tre testi, in realtà, solo quello del 1824 si può definire una cronaca, che racconta con una scrittura veloce, impressiva, di chi è più attento a registrare i ricordi che a selezionare i giudizi. Nell’opuscolo del 1835 tornano molti protagonisti già incontrati negli appunti del ’2469 ma con una calibratura dei temi e delle notizie, delle opere presentate, che denuncia la tensione teorica, indubbiamente legata alla revisione del testo per la stampa, ma debitrice di un percorso compiuto, di una struttura acquisita. L’intonazione è mutata, tutta tesa a rilevare l’aspetto teorico: i 64 Il parere di Fancelli è tenuto in considerazione da Ricci anche quando si tratta di attribuzioni. Per esempio, a proposito della Madonna di Loreto di Vincenzo Pagani, nella chiesa di Sant’Agostino ad Ascoli Piceno, Ricci ricorda l’opinione di Fancelli sul fatto che un soggetto analogo nella sacrestia di San Francesco, oggi perduto, sarebbe stato il prototipo dell’invenzione. A. Ricci, Memorie… cit., II, p. 119. L’esistenza dell’opera proveniente da San Francesco era testimoniata da un regesto della Pinacoteca ascolana, G. Gagliardi, La Pinacoteca di Ascoli Piceno, Ascoli Piceno 1988, p. 20 e si veda in W. Scotucci, P. Pierangelini, Vincenzo… cit., p. 204. Sulla considerazione del parere degli artisti e sui rapporti con essi, quali ‘conoscitori’, si veda anche più avanti, pp. LXXVII-LXXXVIII. 65 Si veda nota 123 sul tema dei ‘viaggi artistici’. 66 A. Ricci, Visita a diversi studi di Belle Arti in Roma nel dicembre dell’anno 1835, Bologna, Bartolotti, 1838 (con annotazioni manoscritte sulla copia presso la Biblioteca di Macerata). Già uscito nei fascicoli del “Tiberino”, 26-32, 1836. La pubblicazione è dedicata all’amico e corrispondente di Vicenza, Leonardo Trissino. 67 Ms 166, cc. 424-442, intitolato, Visita agli studi di Roma nel gennaio 1824 citato, con il Ms 167, cc. 11v.-17, prima versione, dove la data è il 2 gennaio 1824, in L. Gianfelici, Le Memorie storiche… cit., p. 143; S. Ciaschini, Amico Ricci… cit., p. 9, nota 6. 68 A. Ricci, Visita ad alcuni studi scultorii in Roma negli ultimi giorni dell’anno 1845, manoscritto redatto da un copista, inserito – è il n. 15 – in una delle numerose sillogi di testi, editi e inediti, assemblati col titolo Operette di Belle Arti, spesso anche postillati da Ricci, che ripete il titolo di una pubblicazione uscita nel 1831, presso lo stampatore Turchi di Bologna, contenente alcuni suoi scritti, in parte già pubblicati su riviste. 69 Il Ms 166, cit., è trascrizione, sicuramente autografa di Ricci, del Ms 167, cit. Sembrerebbe una sistemazione di quel testo base. In ogni caso, si tratta di un contesto e di un modo di operare che resterà caratteristico di Ricci, come testimoniano l’opuscolo del 1835 e quello del 1845. Le visite del ’24, ad artisti italiani e stranieri, sono, tra gli altri, ai pittori Chauvin, Catel, Camuccini, Agricola, Landi, Bassi; agli scultori, Tadolini, Solà, Baruzzi, Thorvaldsen. I testi meritano una pubblicazione integrale, cui sto lavorando. XLII motivi della grandezza e della bellezza, i confronti fra le arti70. Viene offerta una straordinaria campionatura di opere e artisti, nello sfondo unico di Roma: emporio di questo mezzo di civilizzazione, e la dichiarazione delle opere che vi si creano può essere un documento dei lumi del secolo71. La scultura occupa oltre la metà dell’opuscolo. Apre la lista Pietro Tenerani: si trova qui, la tra l’altro, la prima descrizione della sua Flora o Primavera72. Seguono, in ordine di apparizione, opere e notizie di molti altri73 scultori, italiani e stranieri, quali Carlo Finelli, Adamo Tadolini, Giuseppe De Fabris, Filippo Gnaccherini, lo spagnolo Antonio Solà, il fiammingo Mathieu Kessels, Rinaldo Rinaldi, Paul Lemoyne, Bertel Thorvaldsen, l’inglese John Gibson, Luigi Bienaimè, il tedesco Emil Wolff. Il testo è un fitto susseguirsi di descrizioni di opere, perlopiù in corso di lavorazione da parte degli artisti. Modello per tutti resta Canova, sia nei temi religiosi, cui è dedicata la prima parte della trattazione, che mitologici, frutto della meravigliosa immaginazione dei Greci. La scultura deve scegliere, preferibilmente, temi che richiedano poche figure, per ottenere i migliori risultati, in quanto essa non avrebbe, tradizionalmente, se pur Roma in quegli anni dimostra che vi sono eccezioni, la facoltà propria dei pittori, di chiaramente tramandare alla mente altrui le loro idee….74. L’autore è consapevole di fornire una vasta panoramica, se non di tutte, di quasi tutte le migliori 70 Rilevava l’interesse di questo scritto di Ricci, proprio come visita agli studi che è una variante della ‘memoria’ della visita, oltre a rilevarne un ‘calco’ della Memoria del 1785, di Ennio Quirino Visconti, al Principe Sigismondo Chigi, sullo Stato attuale della romana letteratura, S. Rolfi Otswald, in L. Barroero, S. Susinno (a cura di) La città degli artisti nell’età di Pio VI, “Roma moderna e contemporanea”, volume monografico, X, 1-2, gennaio-agosto 2002, p. 289. S. Papetti, Da Canova a Tenerani… cit., p. 835, dedica alcune note a questo scritto del 1835 di Ricci. Le inedite note del 1845, con notizie di alcuni studi di scultori, Vincenzo Gajassi, Emil Wolff, Rinaldo Rinaldi sono un po’ tra le due soluzioni, quella più diretta del ‘24 e quella più a tavolino, del ‘35, con una fitta elencazione e descrizione di opere in corso di lavorazione e relativi apprezzamenti sugli artisti. 71 A. Ricci, Visita a diversi studi… cit., p. 1. Sul tema degli studi artistici nell’Ottocento, ‘luogo simbolico’, specialmente a Roma e Milano, F. Mazzocca, Scritti d’arte… cit., pp. 407-432, che, tra l’altro, segnalando la pressoché totale assenza di Questi luoghi alternativi all’ufficialità delle Accademie nella letteratura artistica, ci offre un’ulteriore indicazione dell’importanza di testi come quelli di Ricci qui presi in esame. Importante anche S. Susinno, Artisti a Roma in età di Restaurazione. Dimore studi e altro, convegno Volpedo 1994, ed. Volpedo 1994, pp. 52-65; S. Grandesso, Dal classicismo more romano alla scultura romantica come natura, sentimento religioso e impegno civile, in C. Sisi (a cura di), L’Ottocento in Italia. Le arti sorelle. Il Romanticismo 1815-1848, Milano 2006, pp. 165-195. Un episodio precedente ma in queste direttrici, S. Rolfi Otswald, Roma 1793. Gli studi degli artisti nel giornale di viaggio di Sofia Albertina di Svezia, in L. Barroero, S. Susinno (a cura di) La città degli artisti… cit., pp. 48-89. 72 S. Androsov, S. Grandesso, in Maestà di Roma... cit., p. 395; S. Grandesso, Pietro Tenerani (17891869), Cinisello Balsamo 2003, p. 57. La Flora è oggi a Pietroburgo, Ermitage. Sul Primato della scultura, per una panoramica del pensiero, negli anni 1824-1858, P. Barocchi, Storia moderna… cit., pp. 555-607; F. Mazzocca, Il primato della scultura: Canova e Thorvaldsen, in Maestà di Roma… cit., pp. 99-103, anche tutta la sezione, con contributi di vari autori, fino a p. 119. S. Grandesso, Dal classicismo more romano..., cit., pp. 165-195. 73 In Visita a diversi studi… cit. Compaiono anche alcuni architetti, in relazione a lavori che stanno seguendo, come Luigi Poletti, direttore dei lavori alla Basilica Ostiense o Antonio Serra di Bologna. Nella copia di Macerata figurano molte postille di Ricci. 74 A. Ricci, Visita a diversi studi… cit., p. 5. Frequenti le citazioni da articoli di riviste sulle varie opere esaminate, in particolare dall’“Ape Italiana”. Sul tema, si richiama il recente, densissimo di M. Cardelli, I due Purismi. La polemica sulla pittura religiosa in Italia 1836-1844, Firenze 2005, per una analisi del ruolo delle riviste in questi anni e sui collaboratori e gli articoli. XLIII Pietro Tenerani, Flora, San Pietroburgo, Ermitage XLIV opere prodotte in quel momento a Roma e dà anche notizia di alcuni modelli veduti in qualche studio, i quali attendono di esser scelti da doviziosi e benefici mecenati per poi in marmo essere prodotti…75. A differenza della scultura, la situazione contemporanea della pittura è meno favorevole e la copia delle commissioni è ben inferiore al numero di coloro, che a quest’arte si dedicano76. Ad ogni buon conto, a Roma trionfano le buone massime, i maestri fanno seguire agli allievi la via maestra di Raffaello, Correggio, Tiziano. In particolare sono ricordate opere di Vincenzo Camuccini, che dirige i pittori napoletani, pensionati a Roma, tra cui ricorda Tommaso De Vivo e Nicola Sessa. Segue il Nazareno Fredrick Overbeck, modello di quella pittura di sentimenti religiosi, che elevano la fantasia quasi all’entusiasmo77. Il suo stile, inoltre, va lodato perché tende a conformarsi a quella precisione e naturalezza, che distinsero i primi anni del secolo XVI, corrispondendovi con un colorito uniforme. Per lo stesso motivo è apprezzato il romano Filippo Agricola. Le dotte istruzioni del faentino Minardi assicurano la riuscita degli allievi a lui affidati dalla munificenza del Governo Pontificio78, Tommaso Minardi guidava dunque anche i giovani piceni. Nel vivace e internazionale panorama artistico romano spiccano almeno due di loro. Ricci li segnala con orgoglio, anche perché nelle Memorie aveva preferito escludere i viventi. Francesco Podesti è giovane d’altissima speranza. Menziona una replica del quadro con Tasso che legge la Gerusalemme Liberata al duca Alfonso d’Este e ricorda la bella tela col martirio di san Lorenzo che dipinse il Podesti pel Duomo di Ancona sua patria, un’opera che definisce davvero un monumento per la storia delle Arti Picene 75 A. Ricci, Visita a diversi studi… cit., p. 25. Fedele alla sua documentazione ‘storica’, che deve riflettere una situazione stratificata, come nelle Memorie, tratta anche qui le arti minori, che, in particolare nelle raffinate pietre e gemme incise, fanno rivivere nei tempi attuali, questa specializzazione giunta a gradi di sublime perfezione coi Greci. Ricorda l’opera di Giovanni Pikler, continuata dal romano Giuseppe Girometti e dal figlio Pietro. Tra i mosaicisti menziona il De Poletti. 76 Ibidem, p. 28. Uno dei principali motivi è la diminuzione del numero delle chiese, e in genere una decadenza cagionata piucché da altre circostanze dai costumi del tempo, e da estranei usi. Ne è esempio la crisi della pittura ad affresco. Su questo tema si veda anche l’opinione di Ricci in una lettera al Maggiori, a pp. 232-234, a proposito degli affreschi di Pietro Benvenuti nella Cappella Medici, a Firenze, citata anche alla nota 53: … convengo con voi che Benvenuti abbia poca pratica del fresco cosa comune alla maggior parte dei tempi nostri, mentre se si esclude Palagi tutti gli altri si trovano in ugual circostanza. Aggiungeremo che la maniera di Benvenuti non può molto piacere a chi ha presente lo stile dei grandi coloritori del secolo XVI…I committenti, dice nella Visita, preferiscono decorare le loro dimore con pitture mostruose e puerili, o con carte tinte in Francia, o con drappi, o con mediocri litografie. Ancor più pessimista in una lettera del 1829, all’amico scultore, Fedele Bianchini, Ms 1075, c. 2191/12, di cui uno stralcio è citato alla nota 52. In essa esprime la sua opinione sulla situazione di decadenza della pittura in Italia, che sa solo imitare le opere francesi, opinione condivisa con Alessandro Trissino. 77 Ibidem, p. 33. 78 Sul ruolo di Minardi, quale protettore della pittura nelle province marchigiane, anche in forza della Presidenza dell’Accademia di San Luca, S. Papetti, Ragione e sentimento… cit., pp. 13-16, anche per la sua sosta a Fermo, nel 1828, in relazione al lavoro del suo discepolo Luigi Cochetti per il Teatro dell’Aquila. Sul Minardi rimando anche a p. 428, nota 230 dell’Epistolario. Per la sua visita a Sanseverino nel 1838, si veda, R. Paciaroni, Breve storia di un quadro “senza storia” nella Galleria Nazionale dell’Umbria, in «Notizie da Palazzo Albani», XXXII (2003), p. 43; Idem, Bernardino di Mariotto da Perugia. Il ventennio sanseverinate (1502-1521), Milano, 2005, p. 58, p. 103, pp. 138-139, nota n. 112. XLV Francesco Podesti, Tasso che legge la Gerusalemme Liberata al duca Alfonso d’Este, Roma, collezione Briganti. Francesco Podesti, Martirio di san Lorenzo, bozzetto per il dipinto già Ancona, Duomo, Roma, Galleria d’Arte Moderna. XLVI Filippo Bigioli, Funerali di Dante, Sanseverino, Pinacoteca Civica del secolo XIX, rammaricandosi di non averla potuta inserire nelle Memorie, per tener fede al proponimento di non parlare degli artisti viventi79. L’altro artista piceno menzionato è il sanseverinate Filippo Bigioli, già eccezione al proposito di tacere sui viventi nella sua opera e qui lodato come artista di cui tutti i giornali di Roma parlano con ammirazione per il suo quadro coi Funerali di Dante, per quello con l’Annunziata, che decora l’unica chiesa di Aliforni, nei pressi di Sanseverino e, presto avrebbero parlato per l’opera in lavorazione, con il ritratto della La Madonna col Bambino e santi appare alla Beata marchesina Luzi, commissionatogli dai Prelati Luzi suoi concittadini80. 79 Ibidem, p. 35. Ricci ricorda l’articolo di P.E. Visconti sul dipinto Torlonia, oggi in collezione Briganti a Roma, uscito sull’“Ape italiana”, I, 1835, pp. 35-40. Il quadro sul tema del Tasso è una delle opere citate da G. Mazzini, Pittura moderna italiana, (1840), 1911, XXI, p. 311, come modello per la pittura di storia. Quella che vedeva Ricci è probabilmente la replica con varianti per Teodoro Galitzin, perduta, mentre una terza versione, di qualche anno successiva, circa 1838, si trova ai Musei Civici d’arte e storia di Brescia, M.T. Barolo, schede in M. Polverari (a cura di), Francesco Podesti, catalogo della mostra Ancona 1996, pp. 140-147, 170-173. La pala per il Duomo di Ancona, consegnata nel 1829, è stata distrutta durante l’ultima guerra, resta il bozzetto, conservato a Roma, Galleria d’Arte Moderna, sul tema, G. Piantoni, scheda in ibidem, p. 122. 80 Ricci lo chiama col nome del padre intagliatore, anch’esso storpiato in Vincenzo, anziché Venanzio, ma si tratta del figlio Filippo, sia per le opere citate che per il fatto che in questi anni aveva studio a Roma, dove si era trasferito, G. Piangatelli, Filippo Bigioli: la società e la committenza nelle Marche, in XLVII Filippo Bigioli, Annunziata, Aliforni, SS. Annunziata. Filippo Bigioli, La Madonna col Bambino e santi appare alla Beata marchesina Luzi, Sanseverino, S. Agostino. Un lungo preambolo è inserito per giustificare il ruolo e l’importanza anche della pittura di genere, entro lo schema gerarchico classicista: non essendo questa una di quelle parti, che maggiormente danno risalto all’arte, lodiamo, che si mantenga, ma non desideriamo, che si estenda a pregiudizio poi del sublime, come già avvertimmo81. La visita del 1835, in realtà molto più Discorso accademico, come suona il sottotitolo, che cronaca di incontri reali è, in tal senso, uno scritto che condensa la strut- G. Piantoni (a cura di), Filippo Bigioli e la cultura neoclassico-romantica fra le Marche e Roma, Sanseverino 1998, pp. 11-21; G. Piantoni, Bigioli illustratore e decoratore nella Roma romantica, in ibidem, pp. 29-34. Schede delle opere, in ibidem, pp. 117-120, 133-134 e p. 120. Nelle Memorie, è citato nel I volume, a p. 203, nota 49, dove cita il quadro coi Funerali di Dante, che era appena stato esposto, a Roma, dalla Società di Amatori e Cultori di Belle Arti, come registrava “Il Tiberino”, del 27 aprile 1834. Il ritratto Luzi non era ancora finito ma prometteva un giudizio favorevole. Oggi si trova nella chiesa di Sant’Agostino a Sanseverino. L’Annunziata nella chiesa omonima di Aliforni, presso Sanseverino, fu esposta per due settimane nello studio del pittore, in via Sistina 79, nella primavera 1835. Giunge nelle Marche a metà del mese di Maggio. Un articolo che lo descrive ed elogia è anche quello di P.E. Visconti, sul “Diario di Roma”, il 14 marzo 1835. I funerali di Dante sono alla Pinacoteca civica di Sanseverino, con un gruppo di opere provenienti dagli eredi del pittore e direttamente dal suo studio. Ricci ne parlava già nel “Tiberino”, del 27 aprile 1834. L’opera ha un soggetto suggerito dall’erudito Giuseppe Ranaldi, cui il pittore poi mandò un bozzetto per discuterne insieme. Una metodologia che ritroveremo nei rapporti tra Ricci e Vincenzo Morani. Ranaldi non apprezzerà, invece, lo stile algido e neoraffaellita del ritratto Luzi, pienamente apprezzato, invece, dal committente, monsignor Bernardino Luzi. 81 RIbidem, p. 38. Più avanti, pp. 41-42, per le scene di genere popolaresche, originate dalla pittura fiamminga, un genere di minore pittura, ricorda che vi fu sommo Bartolomeo Pinelli. XLVIII Ritratto di Amico Ricci, incisione, post 1834 tura estetica che sostiene anche le Memorie storiche e riflette una situazione diffusa in quegli anni, in Italia. Una solida formazione impostata sui canoni classicisti, con la nuova linfa del rigore neoclassico, del mito degli antichi, animato da una spiritualità di matrice romantica, su cui si innesta il naturale trapasso nel Purismo. La parte finale del testo è quasi un manifesto di queste intenzioni: Che il romanticismo abbia invaso a’ nostri giorni il regno delle lettere, e molti scrittori sieno sorti a combatterne (senza però che siasi ancora ben definito cosa intendere si debba per romanticismo) è fuori di dubbio. Che poi questo abbia esteso il suo dominio anche nel regno delle arti vi fu chi lo disse ma a noi non sembrano ne’ ben spiegate le cagioni, ne’ meglio dimostrati gli effetti; giacché non possiamo considerare romantico in fatto di pitture un argomento che prendendo origine dall’epoca dell’antica Cavalleria sia poi misto di vero, e d’immaginario; e se così lo considerassimo potremmo dire romantiche molte delle più classiche produzioni dei pittori cinquecentisti; traendo per lo più essi i loro argomenti dalla mitologia alla quale amalgamarono alcun che di storico82. 82 Ibidem, pp. 38-39. Se romantici pertanto si diranno gli argomenti, che tratti da Walter Scott il romano pittore [Antonio] Porcelli produce in bellissimi quadri, lo accorderemo ma non per questo siamo d’avviso, che un tale metodo possa ne’ degradare, ne’ sconvenire a quest’arte. Sul clima artistico e culturale, solo apparentemente ambiguo, in realtà tipico dell’Italia già almeno dal terzo decennio, dove si con- XLIX Roma risulta assai piena di vita dal punto di vista artistico e può ancora essere capitale delle arti, centro di elaborazione e diffusione degli stili83. La panoramica di Ricci negli studi di artisti italiani e stranieri, che fanno di Roma la base del loro lavoro, fotografa una situazione vitale, densa di proposte, stagliata su un sistema teorico in piena evoluzione84. L’intenzione normativa è già quella che troveremo, di lì a poco, nell’opuscolo con la lettera al pittore Vincenzo Morani, autore dei ritratti di Ricci e suo protetto e amico per un lungo periodo di tempo, dagli anni della pubblicazione delle Memorie, fino agli ultimi della vita. Le tappe dei loro rapporti, ricavate qui per la prima volta e in tutta la loro importanza, sono rivelatrici dell’evoluzione del gusto di Ricci, del suo profondo interesse per l’arte contemporanea, anche attraverso la sempre più decisa adesione alla vita accademica bolognese, dapprima come socio onorario, poi tra 1845 e ‘47, quale Presidente. La corrispondenza col pittore calabrese si scala dal 1836 agli anni estremi della vita di Ricci85. Nel 1836 avvenne la conoscenza tra i due, a Roma, come annota Ricci sul retro di una lettera, dove ci offre un ritratto umano e professionale del pittore86. Al 1836 si data anche la missiva che parla di un primo ritratto di Ricci, forse quel prototipo da cui venne ricavata l’incisione inserita nella copia delle Memorie, postillata da Ricci87 e probabile occasione della conoscenza e frontano e si fondono le radici classiche con le istanze romantiche, religiose e patriottiche, richiamo, in particolare, il già menzionato catalogo della mostra romana Maestà di Roma, che offre un ampio e recente ventaglio di temi e problematiche, nel contesto romano che qui interessa. Un nucleo di ricerche sviluppate sulle determinanti intuizioni di Stefano Susinno, sul ruolo ancora cosmpolita e catalizzante variegate poetiche e sintomatiche novità, di Roma, ancora per tutta la prima metà dell’Ottocento e oltre. Tra i suoi numerosi studi, richiamo specialmente, La pittura a Roma nella prima metà dell’Ottocento, in E. Castelnuovo (a cura di), La Pittura in Italia, L’Ottocento, Milano 1991. Tra i fondamentali contributi di F. Mazzocca, variamente richiamati nel corso del testo, ricordo qui, oltre ai suoi contributi nel catalogo Maestà di Roma; Per un profilo della letteratura artistica in Italia… cit. Di M. Cardelli, I due Purismi…cit. e si veda anche C. Sisi (a cura di), L’Ottocento in Italia… cit.. 83 L. Barroero, F. Mazzocca, S. Pinto, Arte a Roma in epoca moderna. Il modello storiografico di Stefano Susinno. L. Barroero, La centralità di Roma, in Maestà di Roma… cit., pp. 17-22; F. Mazzocca, Il sistema delle arti, in ibidem, pp. 22-31; S. Pinto, Geografia e storia nella luce della postmodernità, in ibidem, pp. 32-37. 84 Molti i temi e i protagonisti, notevole l’insistenza sul ruolo di Roma come richiamo per gli stranieri, che vanno educati ai principi dell’arte ‘ideale’, della grande tradizione italiana, in modo che, una volta tornati in patria, non dimentichino più quei principi, che devono contribuire nel presente, a ribadire la grandezza italiana del passato, A. Ricci, Visita…cit., p. 42-43 e passim. 85 Le lettere sono in tutto tredici. Nell’Epistolario ne sono state selezionate sette ma anche nelle altre, Ms 1070, c. 1399/2, c. 1406/9, c. 1407/10, 1408/11, c. 1409/12, scalate soprattutto negli anni quaranta, il rapporto resta vivo e continuativo. Le lettere selezionate evidenziano percorsi comuni, le altre riguardano maggiormente l’opera di Morani, che relaziona Ricci sui suoi committenti e lavori e saranno oggetto di una mia prossima pubblicazione su “Notizie da Palazzo Albani”. 86 La si veda nell’Epistolario a p. 439 e citata nella biografia introduttiva a Vincenzo Morani, pp. 427431 cui rinvio per una trattazione più particolareggiata dei rapporti con Ricci e per le notizie sulla vita e la carriera del poco noto pittore, con relativa bibliografia. 87 Ms 240-240bis, l’incisione si trova nella prima pagina a sinistra del primo volume. L’altro ritratto di cui si parla in una lettera del maggio 1856, p. 440 è quello, firmato e datato, conservato alla Residenza Ricci, a Pollenza, di cui una replica è conservata presso la Biblioteca di Macerata. Li si veda nel saggio L Vincenzo Morani, Ester incoronata da Assuero, in deposito alla Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno, dalla Galleria di Arte moderna di Roma. Vincenzo Morani, San Paolo frustato a Filippi, Roma, Basilica di San Paolo fuori le mura LI poi dell’amicizia tra l’artista e l’erudito, che in quel periodo, come si è visto dallo scritto sugli studi artistici, aveva trascorso un certo periodo a Roma. Tra l’altro, in questi anni, è assiduo collaboratore di alcune delle principali riviste con sede a Roma, quali “Il Tiberino” e il “Giornale Arcadico”. Anche nelle lettere mostra di essere ben inserito e ben informato della situazione culturale, specialmente in relazione alla vita dell’Accademia di San Luca88. Il rapporto con Morani riflette molto bene la naturale evoluzione del Neoclassicismo di Ricci in Purismo, caratteristico della situazione culturale italiana. In fondo, il Purismo è proprio una sorta di pastiche che fonde l’armonia del classicismo, purificata dai ritmi lineari neoclassici, con la riscoperta, anche spirituale, di quel mondo medievale, in pittura coincidente con gli artisti preraffaelliti, che proveniva dalle istanze romantiche89. Morani era un pittore avviato a brillante carriera. Nel 1834, con la Morte di Archimede, documentata da un bel disegno a matita nera – Roma, Galleria Carlo Virgilio – aveva vinto il pensionato romano e negli anni successivi lavorava, tra l’altro, alla decorazione della cappella del palazzo del duca Marino Torlonia, conclusa nel 1842, anno in cui esegue la tela con Ester incoronata da Assuero, in deposito alla Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno, dalla Galleria di Arte moderna di Roma, cui Pietro Laviano dedica uno scritto90. Nel 1859 fa parte dell’équipe di Minardi, che decora San Paolo fuori le Mura, dove esegue San Paolo frustato a Filippi. Come si vede dalle lettere, Ricci voleva assumere, nei confronti di Morani, un ruolo di protettore e insieme di guida per la sua poetica, indirizzandone l’opera e suggerendo i soggetti. Ed è con uno scritto elaborato da una lettera, che pubblica i suoi consigli al pittore su un soggetto da trattare, nel 183691. Si trattava dell’Incontro di David e Abigaille, sul quale, nei mesi precedenti alla stampa dell’opuscolo, troviamo discussioni tra l’erudito e il pittore che lavora al progetto, proponendo varianti, preferendo una composizione più affollata92, dove Ricci suggeriva una scena con solo di E. Barchiesi, pp. 86 e 88. Secondo una fonte familiare, quale è l’ultima discendente della famiglia, la signora Adele Failla Lemme, autrice del volumetto sui Ricci, La famiglia Ricci a Pollenza, Pollenza 1984, p. 18, Amico, fin da giovane, aveva i capelli bianchi. Di un ulteriore ritratto, in maniera più vaga, si parla in una lettera del 1840, Ms 1070, c. 1404/4. 88 Si discute sulla nomina di Salvatore Betti a segretario dell’Accademia, nelle lettere di Trissino e spunti in quelle di Giordani, pp. 341-342, 380-381. Col Betti tiene una corrispondenza tra il 1829 e il 1858, Ms 1065, cc. 185-211. Le sue soste romane dovevano essere frequenti e dense di relazioni. 89 Sul tema, il recente M. Cardelli, I due Purismi… cit. Sempre da vedere, almeno, P. Barocchi, Storia moderna… cit., in particolare, i capitoli dedicati a Dalla mitologia alla storia (1809-1854), pp. 219-376 e Riscoperta del Vasari e dei Primitivi. Puristi e antipuristi, pp. 443-553. 90 Si veda, anche per i rimandi bibliografici, alla sezione con la corrispondenza di Morani a pp. 427431. Nel 1861, un’opera di Morani decorerà la chiesa dell’Assunzione a Kady-Keuy, in Turchia, G. Capitelli, S. Grandesso, Roma fuori di Roma, in S. Pinto, L. Barroero, F. Mazzocca (a cura di), su progetto di S. Susinno, Maestà di Roma…cit., p. 600. S. Susinno, La pittura a Roma…cit., p. 423, in particolare per le decorazioni Torlonia e p. 428, Incoronazione di Ester. 91 A. Ricci, Al signor Vincenzo Morani, Bologna, Sassi, 1836. 92 Le lettere, in particolare quella del 6 febbraio 1836 e del 20 dicembre 1836, pp. 432-433, parlano del tema, tratto dal capitolo XXV del Libro I dei Re, discusso nell’introduzione, a pp. 429-430. La lettera del 25 febbraio 1837, pp. 433-434, plaude alla stampa dell’opuscolo, schermendosi per una fama immeritata che così gli veniva offerta. LII Francesco Francia, Santo Stefano Roma, Galleria Borghese Vincenzo Morani, disegno da Francesco Francia, Santo Stefano, Roma, collezione eredi Morani due figure. La semplicità ‘neoclassica’ dell’idea di Ricci è altresì calata, nel testo del suo scritto del ’36, in un clima profondamente spirituale, unito a un senso della ricostruzione storica, addirittura minuziosa. Si stava dunque indirizzando a calibrare l’impostazione influenzata dal Neoclassicismo, sulle nuove istanze della pittura di storia, nutrite di spirito religioso, come già adombrato nella Visita agli studi del 1835. Non ci si meraviglia, pertanto, se appena un anno dopo la proposta con Davide ed Abigaille, Ricci inviava a Morani un’altra lettera, già in fase di elaborazione per la stampa ma rimasta inedita, dove gli suggeriva di dipingere un’opera sul tema byroniano de I due Foscari93: dalla Bibbia alla storia italiana, per quanto romanzata, da cui sarà tratto, nel 1844, il libretto di Francesco Maria Piave, con musiche di Giuseppe Verdi. Il pur compiaciuto romanticismo del tema viene contenuto da una serie di suggerimenti classicisti, intesi a mantenere il decoro e la bellezza, richiamando, tra l’altro, la lezione di Vasari. È un compito difficile, perché la scena si svolge in un tetro carcere e la situazione è altamente drammatica ma il compito è all’altezza del pittore, che dovrà mantenere, anche in questo contesto, 93 Il documento, inedito, è trascritto nella sezione dell’Epistolario, pp. 434-437 e discusso a pp. 429430. La sua data è il 7 maggio 1837. Purtroppo, ad oggi, non rimangono tracce, né grafiche, né dipinte di questi soggetti. Morani deve aver lavorato almeno al primo dei due, in quanto nelle lettere menzionate alla nota precedente, afferma di essere impegnato nell’opera, della quale avrebbe inviato a Ricci un bozzetto. Ma forse un accenno al tema de I due Foscari è nella lettera di Morani del 24 agosto 1837, pp. 437-438, dove, pur ammirando la proposta di Ricci, dice di non poterla eseguire perché già impegnato diversamente ma di averne comunque tratto un bozzetto che, appena possibile, gli avrebbe mostrato. LIII Francesco Francia, Nozze di Cecilia e Valeriano, Bologna, San Giacomo, Oratorio di santa Cecilia dignità e gravità alle figure. Il consiglio finale appare ugualmente sospeso tra autorità della tradizione e forza della verità naturale: Le opere dei grandi artefici vi possono servire di esempio, ma più che esse udite la voci della natura come quella che nel Magistero ogni opera imitativa sorpassa. Una ulteriore spinta all’evoluzione di queste variegate tendenze verso il Purismo, proviene a Ricci, dai rapporti con il marchese Pietro Estense Selvatico, che si scalano, nella corrispondenza, tra 1839 e 185194. Già nel 1840 Ricci incitava Morani ad andare a presentarsi a Selvatico, tanto che l’artista gli dice di non essere ancora riuscito a incontrarlo ma che era certo sarebbe stato un incontro importante, perché, oltre di essere dotto ha il bel titolo di vostro amicissimo95. Le lettere di Selvatico sono tra le più belle dell’Epistolario, hanno tutta la foga del suo ingegno, l’erudizione profonda, la severa disciplina, il fastidio dell’ovvio, la soddisfazione del navigare controcorrente ma con l’occhio sempre vigile sul presente, che accompagna anche la sua passione e l’impegno nella riscoperta di grandi Primitivi, quale, in primo luogo, Andrea Mantegna. In queste lettere, informatissime su opere, libri, fatti e tendenze, apprendiamo che Ricci doveva essersi avventurato nella traduzione di uno dei testi base 94 La sezione che lo riguarda nell’Epistolario è alle pp. 400-408. 95 Lettera del 3 febbraio 1840, p. 439. LIV per gli orientamenti puristi, De l’Art Chrétien, di Francois Alexis Rio, del 1836. La profonda stima da parte di Selvatico, che gli dà rigorosi consigli per prepararsi all’impresa, poi mai realizzata, si esprime quando dice di aver avuto lui stesso un’idea del genere ma di averla abbandonata, sapendo che vi stava lavorando Ricci96. Selvatico richiama liberamente Ricci alla fede purista, sottolineando la delicatezza del suo ruolo, quale Presidente dell’Accademia bolognese, nel poter avviare i giovani nella giusta direzione, che è quella di raccomandargli non solo di non copiare ma di non guardare neppure i Carracci; pochissimi studi su quegli ammanieratissimi adoratori del naturalismo il più volgare e dell’eclettismo il più strambo possono traviare qualunque più eletto ingegno. Non badiate che vi dicano purista, bacchettone o peggio; ma inculcate con quell’autorità che vi è data che studino il divino Francia, vedrete in pochi anni quali stupendi risultamenti ne avrete97. La devozione per Francesco Francia e per la cultura che lo circonda affiora in lettere precedenti a quelle di Selvatico, proprio nella corrispondenza con Morani, cui Ricci scrive, nel 1837, sullo stato deplorevole delle opere del Francia e suoi coevi nell’Oratorio di santa Cecilia, in San Giacomo a Bologna, grave al punto da coinvolgere il Governo, visto che riguarda un oggetto di tanta ammirazione per artisti ed amatori d’arte98. Il pittore, che segue con attenzione la vicenda, da parte sua ben conosceva quegli affreschi. Come precisa Ricci, in una sosta bolognese aveva ritratto in un ricordo a colori, la prima storia dello sposalizio, proprio quelle Nozze di Cecilia e Valeriano, del Francia, che un inglese vorrebbe acquistare. E un’altra lettera, di Morani a Ricci, completa il quadro di una ormai radicata ammirazione per quella pittura e di un ben definito indirizzo di poetica: a causa della pittura a fresco incantevole del vostro carissimo Francesco Francia, mi rimasi lì tutta la giornata senza poter vedere altro99. Si tratta, peraltro, di suggerimenti che trovavano un terreno già fertile e coltivato. Un disegno di proprietà degli eredi Morani, a Roma, riconferma lo sguardo ‘purista’ del pittore, catturato da Francia, di cui copia il bel Santo Stefano della Galleria Borghese100. 96 Si veda la lettera del 21 dicembre 1839, a pp. 404-405. Le carte Ricci documentano l’attività dell’erudito nella traduzione dal francese. Per esempio il Ms 184-184bis, con la traduzione di J.J. Barthélemy, Voyage du jeune Anacharsis en Grèce, e altri manoscritti, quali il 234, 255, 281. 97 Lettera del 19 luglio 1845, pp. 407-408. 98 Minuta di Ricci dell’agosto 1837, pp. 438-439. È un missiva piena di civica adirazione per lo scempio del degrado delle opere e le loro vendite illegittime da parte di alcuni nobili possessori, quali il principe Pallavicini, nel caso dell’affresco di Guido Reni a Palazzo Zani, sempre a Bologna. Ma per maggiori dettagli rimando all’introduzione e note alla sezione Morani. In questo caso si vedano, in particolare, pp. 430-431. 99 Lettera del 28 settembre 1840, Ms 1070, c. 1404/4. In altre lettere Morani affronta l’argomento, una è del 12 dicembre 1840, Ms 1070, c. 1405/8, dove ancora si discute sul problema della salvaguardia degli affreschi e dice di aver sensibilizzato vari componenti dell’Accademia, per cui sollecita a Ricci una memoria in forma di domanda. Un’altra è del 27 marzo 1841, Ms 1070, c. 1406/9, dove sembra tutto ormai pronto perché quella memoria abbia buon esito. 100 Sul disegno, tratto dal Santo Stefano del Francia della Galleria Borghese, già in P. Caduto, Vincenzo Morani, tesi di laurea 1993, sezione disegni, III, n. 43, figurano molte osservazioni sull’uso del colore e della composizione nell’opera del pittore. LV ‘Dotti amici’ La revisione del ruolo di Ricci comporta l’emersione del vivace contesto dell’erudizione del tempo, con cui egli mostra di avere e mantenere fertili rapporti culturali e di amicizia, fitti di scambi e collaborazioni, a partire dall’impegnativa impresa della scrittura delle Memorie, proseguendo in questo un modello di lavoro proveniente dal sistema erudito settecentesco, con una nuova articolazione tematica sul piano storico, erede del modello winckelmanniano, secondo le complementari attualizzazioni di Lanzi e Cicognara. L’Epistolario di Amico Ricci, nel suo fondo manoscritto presso la Biblioteca Mozzi-Borgetti di Macerata offre una vivida panoramica sulle principali tematiche nell’erudizione del tempo e non solo marchigiane, quali il recupero, il progressivo apprezzamento, e di conseguenza anche il diffondersi del mercato dei Primitivi; un nuovo interesse, più diretto, per le opere e al tempo stesso la permanenza di freni retorici e letterari; il riflesso dell’arte contemporanea, anche dei grandi centri, soprattutto Roma; il raggio e l’entità dei rapporti con personalità locali e nazionali, l’uso delle fonti, tra slanci di autonomia critica e adesione deviante alla loro autorità; le discussioni sulle novità librarie e le ricerche di libri ed anche di disegni e stampe. Si tratta di un voluminoso Epistolario, che conta oltre cinquecento corrispondenti, per più di quattromila lettere, molte inframmezzate dalle preziose minute di Ricci, e che rivela un’impensata articolazione dei suoi rapporti eruditi, con artisti, con molti custodi della storia e dell’arte locale, nei vari centri marchigiani, nomi spesso citati quali autori di opuscoli su monumenti, artisti, opere, dei quali, peraltro, ad oggi, si conosceva pochissimo sulla vita, le relazioni, i modelli, i modi di operare, gli effettivi contributi. Un universo popolato di eruditi, amatori d’arte, cultori di storia patria, una rete fittissima di rapporti oltre i limiti regionali, proiettati sul mondo della cultura italiana, anche con la presenza di alcuni dei suoi più significativi protagonisti, tra Neoclassicismo e Purismo, quali Francesco Leopoldo Cicognara e Pietro Estense Selvatico. Sono proprio alcuni di questi ‘grandi’, quelli con cui Amico Ricci amerà associare il suo nome e il suo profilo di studioso, quando si troverà ad abbozzare, su richiesta del giovane ricercatore Giovan Battista Crollalanza di Fermo, alcune note autobiografiche101. Sono due i tratti del suo profilo professionale che vuole sottolineare: cognizioni e relazioni. Dice di aver molto viaggiato l’Italia; in modo da cimentare le mie cognizioni considerando le opere dei grandi nostri maestri e formando utili relazioni cogli uomini più distinti per dottrina. Fra i tanti, annota Leopoldo Cicognara, Ippolito Pindemonte, Antonio Diedo e altri. Tra i suoi numerosissimi corrispondenti, dunque, seleziona Cicognara e Diedo. Quest’ultimo, quale segretario di Cicognara, negli anni della direzione dell’Accademia di Venezia, dal 1808 al 1826, doveva essere considerato da Ricci prosecutore del 101 Le si veda pubblicate nell’Epistolario, p. 442, con la missiva del Crollalanza in relazione, pp. 442443, datata 18 aprile 1841. Si trattava, probabilmente, del progetto per la Biblioteca Picena, promosso da un gruppo di letterati fermani, su cui tornerò più avanti. LVI suo pensiero, anche educativo102, in sintonia con l’indirizzo neoclassico, che guida la formazione di Ricci. Fondamentale, anche il ruolo di Cicognara quale interlocutore ed interprete privilegiato103 di Antonio Canova, fondante di quella centralità della scultura, espressione del Neoclassicismo, che resta in primo piano, come si è già visto, negli scritti di Ricci, fin dal primo, del 1827, dedicato a un’opera del già citato amico maceratese, allievo di Canova, Fedele Bianchini104. I poderosi risultati nella storiografia, con la Storia della scultura dal suo Risorgimento in Italia fino al secolo di Canova105, di Cicognara, sono alla base dei criteri, se non dei risultati di Ricci, dall’impianto della periodizzazione barocca, al riflesso del nuovo metodo, storico e visivo, di Winckelmann e Séroux d’Agincourt, cui è sensibile, fin dalle Memorie storiche e ancor più nella Storia dell’Architettura, che stamperà a Modena, tra 1857 e ‘60. La figura e l’opera di Cicognara sono un modello fondante, seguito con spirito emulativo, come si vede in modo chiarissimo per quanto riguarda la gestione della sua biblioteca, esemplata su quella del grande ferrarese, divulgata nel 1821106. In uno dei suoi manoscritti107, Ricci commenta con entusiasmo quel testo, di cui il suo fondo conserva una copia fittamente postillata. Sono scritte a lato dei vari numeri, le sue valutazioni e molto frequente è l’esclamazione esemplare bellissimo o edizione rarissima. Tanto forte è quell’influenza da indurlo a organizzazione la sua biblioteca, 102 Nonostante i rapporti si fossero incrinati, in particolare quando Diedo gli subentrò, nel 1826, quale Presidente dell’Accademia, dove rimase fino al 1839, la lunga sintonia era stata frutto di percorsi comuni, si veda in F. Mazzocca, Antonio Diedo, in Scritti d’arte dell’Ottocento, Milano-Napoli 1998, pp. 1042-1043. Inoltre, Diedo fu Presidente, negli anni in cui Ricci scriveva le Memorie storiche e cominciava ad avere un ruolo sempre più attivo presso l’Accademia di Bologna. La corrispondenza con Diedo si veda alle pp. 294-299. 103 F. Mazzocca, Scritti d’arte… cit., p. 1035. Su Cicognara, per un inquadramento e bibliografia rimando alla sezione che lo riguarda nell’Epistolario, pp. 286-288. 104 A. Ricci, Bassorilievo eretto… cit. 105 L. Cicognara, Storia della Scultura dal suo Risorgimento in Italia fino al secolo di Napoleone per servire di continuazione alle opere di Winckelmann e di D’Agincourt, Venezia 1813-1818, 3 voll. 106 Catalogo ragionato dei libri d’arte e d’antichità posseduti dal conte Cicognara, Pisa 1821, 2 voll., stampato in vista della vendita della biblioteca. Molti acquisti di volumi della biblioteca Cicognara, confluita nel 1824 nella Biblioteca Vaticana, provenivano dagli eredi di Giuseppe Bossi, dalle cui raccolte giungevano anche i numerosi disegni acquisiti da Cicognara per l’Accademia di Belle Arti di Venezia, F. Mazzocca, Scritti d’arte… cit., pp. 1035-37. 107 Ms 268, Miscellanea di Belle Arti, pp. 479-511, Bibliografia pittorica estratta dal catalogo ragionato dei libri d’arte e d’antichità posseduti dal conte Cicognara, Pisa 1821. Nell’epistolario di Amico Ricci sono presenti solo due lettere scritte da Cicognara, Ms 1066, cc. 460-461. Quella trascritta è peraltro significativa di più rilevanti contatti e comunque dell’inserimento anche di Amico Ricci, come di molti altri eruditi e collezionisti, nel raggio di interesse di Cicognara, per la sua ricerca di pezzi per le sue collezioni, in questo caso di stampe e si veda a p. 287, nota 88, alla biografia premessa alla corrispondenza di Cicognara. Notevole, il caso di un altro marchigiano, il conte Girolamo Possenti di Fabriano, collezionista di avori, menzionato nella Storia della Scultura, Venezia 1816, II, p. 442, poi nelle Memorie spettanti alla storia della calcografia, Prato 1831, p. 74, 87, contattato attraverso l’erudito perugino, corrispondente di Ricci, Giovan Battista Vermiglioli, nel 1814, sul tema, R. Varese, Prime indicazioni per la ricostruzione del Museo Possenti in Fabriano: una collezione neoclassica in Cultura nell’età delle Legazioni, atti del convegno Ferrara 2003, ed. Firenze 2005, Quaderni degli Annali dell’Università di Ferrara, Sezione storia, 1, pp. 743-788, pp. 745-750 per il contatto, prolungato, con Cicognara. Si veda anche alla sezione dell’Epistolario dedicata al letterato fabrianese Camillo Ramelli, pp. 414-422. LVII Cola dell’Amatrice, Salita al Calvario, affresco, Ascoli Piceno, convento Santissima Annunziata seguendo con ogni scrupolo lo stesso schema adottato da Cicognara, come si può ricostruire attraverso un’altra serie di manoscritti108, fin dal titolo: Catalogo ragionato dei Libri d’Arte e d’Antichità posseduti dal Marchese Amico Ricci, identico a quello di Cicognara, come le voci e la successione della Distribuzione delle materie. 108 Si tratta, in particolare, della serie di manoscritti 175, 175bis, 175ter, la più ragionata nella sua organizzazione e del tutto riflettente il modello di Cicognara. Ms 175, Catalogo ragionato dei Libri d’Arte e d’Antichità posseduti dal Marchese Amico Ricci, parte I, 1840, n. 669 titoli. Ms 175bis stesso titolo ma parte II, 1840. Sono numerati ma non è veritiero perché evidentemente continua ad aggiungere titoli, come si vede alle carte 5 e 6, senza numerazione. Molti casi anche nella parte prima, comunque in questa seconda quelli numerati sono 669. In questa parte, senza dubbio la più voluminosa di titoli, c’è anche una suddivisione per luoghi, relativi ai soggetti delle opere, poi indicizzati nell’Appendice, vale a dire nel manoscritto 175ter. Ms 175ter Appendice al tomo 2° del Catalogo ragionato…, Monte Milone 1849, con indice alfabetico finale: Indice delle città, terre, regni, e provincie contenute nella parte II del catalogo ragionato de libri d’arte. Altri manoscritti riguardanti la biblioteca di Ricci sono: Ms 189 Catalogo di libri, un elenco dalla A alla Z, con indice finale dei luoghi, che sembra precedente agli Mss 175; Ms 254, Catalogo dei libri spettanti a scienze sacre posseduti…; Ms 255, Catalogo di libri, 1833, come da dato interno, Li 2 aprile 1833 furono contati tutti i volumi esistenti tanto nella libreria dello scrittorio del signor cavalier Amico marchese Ricci, quanto nell’altro camerino, e si trovarono in quello n. 1848 in questo 1070, e così in ambedue i locali volumi n. 2918 – scrittura che si ritrova in vari manoscritti Ricci, probabilmente un segretario –. Dentro, con scrittura di Ricci, tabelle in ordine alfabetico, con titolo dell’opera, edizione e scansia, osservazioni. Qui anche libri non solo di carattere storico-artistico ma storico-artistico-antiquario. Una considerevole parte dei libri è tuttora conservata presso la Biblioteca, dalla morte del possessore e per sua volontà. Sul tema si veda anche E. Barchiesi, p. 104, nota 75. La descrizione della biblioteca in quel momento, 1862, in Elenco dei libri che il cavalier Amico de’ Marchesi Ricci Petrocchini Maceratese con disposizione testamentaria sotto il dì 26 settembre 1844 per atti Salustri Francesco notaio maceratese avea graziosamente lasciato in Legato alla Patria Biblioteca, i quali poi dal Marchese Matteo nipote ed erede dello zio paterno furono consegnati ai sottoscritti curatori nel 1862 il dì 26 aprile, trentesimo della morte del benemerito cavalier Amico il quale elenco è stato redatto e collazionato dal vice bibliotecario D. Francesco canonico Rutili. Da rilevare anche le mancanze, tra le quali spicca la Storia dell’arte dimostrata coi Monumenti… del D’Agincourt, presente nei succitati manoscritti, nell’edizione di Prato 1826-’29. Quasi tutti i volumi hanno nella prima pagina il nome autografo di Amico Ricci e un rimando all’antica collocazione. Molti di questi libri sono anche postillati da Ricci, come il Catalogo ragionato del Cicognara. Le postille segnalano, perlopiù, edizioni più recenti delle opere elencate, altri testi dell’autore in esame. Capita anche che vengano inserite voci del tutto nuove. In connessione con le ricerche librarie, specialmente nel settore artistico, anche alcuni manoscritti miscellanei, divisi per temi, dove raccoglie titoli, trascrive articoli, per esempio il Ms 262, Bibliografia artistica della Marca Anconitana o il Ms 268, Miscellanea di Belle Arti. LVIII Cola dell’Amatrice, Comunione degli Apostoli, Ascoli Piceno, Pinacoteca Civica. Ma, a parte la selezione più alta dei suoi corrispondenti, quella più vicina, probabilmente, al profilo ideale del suo lavoro, le presenze nell’Epistolario sono variegate e molteplici. Per quanto riguarda le lettere qui selezionate, distese su un arco temporale che va dal 1827 al 1845 circa, che puntano a mettere in luce le modalità delle ricerche per scrivere le Memorie storiche, assai cospicue sono le corrispondenze con eruditi locali, nelle diverse cittadine in cui vertevano gli interessi che più coinvolgevano Ricci, quali quelle nelle sedi di alcune scuole pittoriche del Quattrocento, di cui si stavano rivalutando ruolo e protagonisti, come Fabriano, Sanseverino, Camerino, accanto ad alcuni centri, come Ancona, Fermo, Ascoli Piceno, le cui testimonianze artistiche riflettevano i mutamenti storici e stilistici nei vari periodi, seppure l’interesse sembra sempre di più concentrarsi verso quelle epoche più antiche, delle quali si va riscoprendo una nuova bellezza. Come ben esprime una lettera da Ascoli, del pittore bolognese Pietro Fancelli, parlando delle cose degne di ammirazione nella città: … La maggior parte delle fabbriche ricordano lo stile così detto gotico e lombardico siccome la chiesa dei Francescani nella piazza del Popolo, l’interno della quale è veramente teatrale. Più avvicinandosi i tempi meritano considerazione i Crivelli, gli Alemanni etc., ed in seguito riconosco un genio in Cola dell’Amatrice, tanto né suoi edifici di più purgata architettura eretti di puro travertino come nelle sue pitture eccellenti in vero, fra le quali ricorderò sempre con lode il Cenacolo dei Padri dell’Annunciata e il quadro nella cappella del chiostro di San Francesco che rappresenta la Comunione di Cristo agli Apostoli...109. 109 Le due opere citate di Cola sono rispettivamente l’affresco con Salita al Calvario, nel refettorio del convento dei francescani di Ascoli, SS. Annunziata e la Comunione degli Apostoli, proveniente dal LIX Dalle lettere emerge un panorama dell’erudizione locale assai vivace, impegnato nello studio e nel recupero delle testimonianze del passato che potessero articolare una storia dell’arte delle proprie città, attivandone relazioni e confronti sul piano più vasto delle altre località, sia regionali che nazionali. Le Marche rappresentano un significativo modello di realtà provinciale che addensa interessi contrastanti per il suo patrimonio artistico, anche a livello internazionale e nel primo Ottocento sono caratterizzate da un notevole dinamismo dei rapporti personali e soprattutto epistolari. Vi troviamo personalità che, in particolare nella zona tra Fermo e Ascoli Piceno, animano l’ambiente di una decisa vivacità intellettuale. A Fermo, si segnala il gruppo composto da personalità quali i fratelli Gaetano e Raffaele De Minicis, Giuseppe Fracassetti, Carlo Emanuele Muzzarelli, Giovan Battista Crollalanza, tutti, in modi diversi, in contatto con Ricci110. Sono soprattutto collezionisti e letterati, ardenti patrioti e, comunque, appassionati estimatori del patrimonio locale, che vogliono relazionare con la scena nazionale. I De Minicis, attorno al 1838, progettano di continuare la Biblioteca Picena111, e, significativamente, pensavano di dividerla in due sezioni: una relativa agli scrittori piceni, l’altra alle biografie di illustri italiani112. Nel progetto era coinvolto anche Ricci, con altri protagonisti dell’erudizione del tempo, suoi corrispondenti e amici, quali Monaldo Leopardi e Giacinto Cantalamessa113. chiostro di San Francesco, oggi alla Pinacoteca Civica. Fancelli continua segnalando la bellezza dello sconosciuto Pagani e rivendicando la necessità di ‘risorgimento’ dalla crisi attuale, impersonifcata da artisti quali i Trasi, i Giosafatti, i Monti. Si veda nella sezione dell’Epistolario, pp. 199-200 e si veda la biografia introduttiva sul pittore, pp. 196-198 per altre notizie e bibliografia. Fancelli allega un vivido disegno dell’interno della chiesa di San Francesco, a p. 202, con la lettera dell’8 marzo 1832. 110 A. Luzi, Letteratura e società nelle Marche del primo Ottocento, in E. Carini, P. Magnarelli, S. Sconocchia (a cura di) Quei monti azzurri… cit., pp. 389-398. I De Minicis sono suoi assidui corrispondenti nella fase successiva alla pubblicazione delle Memorie, come documentato dalle lettere trascritte nell’Epistolario, pp. 346-351. In sporadico contatto con lui sono anche Crollalanza, se ne veda la lettera e notizie a pp. 441-443 e Muzzarelli, Ms 1069, c. 1425. Più frequenti i rapporti epistolari con Fracassetti, Ms 1067, cc. 641-664, non documentati nella presente selezione anche se il suo nome emerge ogni tanto, quale affidabile fonte di notizie, e si veda sotto il suo nome nell’Indice dell’Epistolario. 111 F. Vecchietti, Biblioteca picena o sia notizie istoriche delle opere e degli scrittori piceni, Osimo, presso Domenico Antonio Quercetti, 1790-’96, tomi 5. 112 Ricava l’intenzione di continuare la Biblioteca Picena, da documenti presso il fondo De Minicis della Biblioteca di Fermo. Tra le personalità di spicco nelle Marche del tempo, fra gli altri, Luzi ricorda il medico di Urbino ma residente a Macerata, Francesco Puccinotti, assertore della funzione sociale della cultura. Vorrei segnalare che questi fu grande amico di Ricci, con cui tenne una fitta corrispondenza, Ms 1071, cc. 1547-1570, pubblicata in, E. Bettucci, XXII Lettere inedite di Francesco Puccinotti ad Amico Ricci, Macerata 1898. 113 A. Luzi, Letteratura e sociaetà… cit., p. 397. Il volume presenta vari studi utili per un inquadramento recente, storico-economico-culturale nel periodo che interessa. G. Piccinini, Una istituzione culturale per la Nuova Italia: La Deputazione di Storia Patria, pp. 481-493, in particolare pp. 481-483, che tra l’altro, rileva fitti contatti tra Giovan Pietro Vieusseux e Gaetano De Minicis. Luzi ricorda che i De Minicis erano inoltre in contatto con Antonio Cesari, Cesare Cantù, Domenico Valentini, Pietro Giordani, quest’ultimo in corrispondenza col Cantalamessa e mette in luce anche il ruolo di Fracassetti, che nel 1802 è componente del governo provvisorio di Fermo. Nel 1822 lesse alla Accademia dei Giovani Filomati In Morte del Canova. Nel ‘31 fu firmatario, con Tommaso Salvadori, di un proclama inneggiante alla libertà, Inno ad Eugenio Beauharnais. Partecipò ai moti del ’31 e al Governo delle Province Unite, fino all’arresto. Un altro personaggio che affiora nelle lettere e che ha LX Benvenuto di Giovanni, Miracoli di Sant’Antonio, Siena, Battistero Solo qualche esempio, che si affianca al poderoso circuito di rapporti attivato da Ricci, fin dall’inizio delle sue ricerche, attorno al 1827, che poteva contare su alcuni canali ‘esteri’ privilegiati, legati alle sue residenze a Bologna e nel territorio di Vicenza, luogo di origine della madre. Scopriamo un’erudizione inserita in una rete non banale di rapporti, aperta a sollecitazioni molteplici, al rilievo di errori e a suggerimenti anche severi, come quelli di Pietro Estense Selvatico, che, riferendosi al linguaggio di Ricci nelle Memorie, senza mezzi termini, così lo incalza:… desidererei amaste forse un pò più in alcuni luoghi, lo stile e la lingua, il primo talvolta un pò un contatto epistolare con Ricci è il conte Pietro Alethy di Osimo, ma dalmata di Ragusa, collezionista di medaglie e corrispondente di Foscolo, U. Foscolo, Epistolario, III, (1809-1811), Firenze 1953, p. 354; C. Grillantini, Storia di Osimo, II, Osimo 2006, p. 577; G. Natali, Amici marchigiani di Ugo Foscolo, “Rassegna marchigiana”, ottobre 1927-settemre 1928, pp. 199-206. Due lettere documentano un contatto con Amico Ricci, Ms 1065, cc. 95-96. Fu maestro di Andrea Cardinali, di Monte San Pietrangeli, carbonaro, fu eletto dai maceratesi – era nei Catenati – deputato dell’Assemblea nazionale delle Province Unite. Sul tema, E. Carini, Due classicisti marchigiani: Saverio Broglio d’Ajano e Andrea Cardinali, in Quei monti azzurri… cit., pp. 399-427. LXI Francesco di Gentile, Ritratto di giovane, già Bergamo, collezione Pesenti ravviluppato, non limpido, la seconda forse a quando a quando mancante di quella proprietà che aggiunge tanta bellezza ed evidenza alle scritture114. Alcuni episodi documentano il dibattersi di atteggiamenti più ancorati al passato e che tendono a subire i condizionamenti del campanilismo, con altri più aperti e liberi nei giudizi: tutti, però, indipendentemente dai risultati, dimostrano un nuovo interesse per le opere e per la loro diretta osservazione. Nell’Epistolario di Ricci si trovano numerosi esempi che riflettono le diverse e spesso contrastanti spinte, che si dibattono tra passato e futuro, tra retorica e nuova filologia. Due casi, che si possono considerare agli estremi opposti, sono quelli dell’abate di Siena, Luigi De Angelis e del danese Johannes Gaye. Il primo, richiesto di una collaborazione nella ricerca di opere di Gentile da Fabriano, a Siena, nel corso delle ricerche che confluiranno nello scritto di Ricci del 1829, dedicato al pittore fabrianese, gli segnala un affresco nel Battistero, che descrive minuziosamente, col Miracolo della mula, della serie dei Miracoli di Sant’Antonio, opera del senese Benvenuto di Giovanni115. A parte lo stato pionieristico delle cognizioni sulla pit114 Si veda a p. 405. Su Selvatico, biografia e lettere, pp. 400-408. 115 Per i dettagli della vicenda e per un inquadramento bibliografico rinvio alla biografia introduttiva a De Angelis, nell’Epistolario, pp. 190-195. LXII tura del Quattrocento, compatibile con i tempi, la lettera rimanda a un atteggiamento di certa erudizione, sterilmente celebrativa, insofferente verso le ferree leggi della nuova filologia, che portò De Angelis a costruire artatamente, anche scomponendo polittici, una completa successione di pittura senese primitiva, attirando le aspre critiche, nel 1827, di Carl Friedrich von Rumohr, nelle sue Italienische Forschungen e, più tardi, di Gaetano Milanesi, che chiarì per primo, sulla base di un documento, la paternità degli affreschi del Battistero di Siena e non perse occasione di colpire, con severità e talora feroce ironia, gli scritti del De Angelis116. La prima parte della sua lettera a Ricci è un vero e proprio manifesto della distanza incolmabile fra le sue posizioni e quelle pragmatiche della moderna filologia. Commentando la traduzione italiana, appena stampata, nel 1829, a cura di Francesco Longhena, della Vita e opere di Raffaello di Quatrémere de Quincy117, avanguardia di un modo nuovo, diretto di osservare e confrontare le opere, De Angelis dice testualmente che l’impresa gli sembrava un fallimento, sia da parte dell’autore francese che del traduttore italiano, che non sono stati in grado di mettere in luce lo spirito del grande artista, poiché l’importante è capire chi fosse Raffaello, non quel ch’egli abbia dipinto. Quello è spirito, questa è materia. Una mera catalogazione delle opere, con il luogo ove sono conservate diventa un merito solo per chi le possiede e, ingenuamente, ripone le sue speranze di migliore riuscita, nell’Elogio storico di Raffaello Santi da Urbino, di Luigi Pungileoni118, anch’esso da poco pubblicato, che, nonostante ammirevoli tentativi di rifarsi ai documenti, non riesce a uscire da uno schema letterario. All’opposta sponda da queste posizioni, si pone la ventata di novità che giunge a Ricci e a diversi membri della sua cerchia erudita, dall’incursione marchigiana di Johannes Gaye119. In particolare, è emblematico il suo intervento in una discussione che mette bene in luce le contraddizioni che segnano gli albori della filologia, unitamente al nuovo interesse per i Primitivi. Ne sono protagonisti i fratelli Gaetano e Raffaele De Minicis, il fabrianese Camillo Ramelli, Amico Ricci e, anche se indirettamente, Gaye120. Siamo nel 1837 e dunque in un clima erudito che può già tenere conto delle Memorie storiche e delle notizie che se ne ricavavano. La querelle si innesca a partire da una tavola, il Ritratto di giovane di Francesco di Gentile, già Bergamo, collezione Pesenti, artista fabrianese del secondo Quattrocento, influenzato da Carlo Crivelli e del 116 Sul tema, in particolare si veda il recente studio a cura di P. Petrioli, Gaetano Milanesi, Erudizione e storia dell’arte in Italia nell’Ottocento. Profilo e carteggio artistico, Siena 2004, pp. 19-22 e passim. Rimando, per maggiori chairimenti, al testo richiamato alla nota precedente. 117 Istoria della vita e delle opere di Raffaello Sanzio da Urbino del signor Quatrémere de Quincy voltata in italiano, corretta, illustrata ed ampliata per cura di Francesco Longhena, Milano 1829. 118 Pungileoni, originario di Correggio (1762-1844) minore conventuale, ha una corrispondenza con Ricci, Ms 1071, cc. 1572-1585, negli anni 1824-1832. Oltre alla vita di Raffaello, si ricordino, gli Elogi storici del Correggio (1817) di Giovanni Santi, (1822) di Federico Brandani (1826) di Timoteo Viti (1835). 119 A. M. Ambrosini Massari, Un viaggio marchigiano di Johannes Gaye, in “Notizie da Palazzo Albani”, XXXIII, 2004, pp. 159-173. Per un inquadramento su Gaye e altre notizie in merito, si vedano le pp. 409-413. 120 Sul tema, vari spunti nell’Epistolario, in particolare nei carteggi De Minicis, Ramelli, Gaye. LXIII tutto sconosciuto all’epoca121. La tavola proveniva dalla collezione Castrica di Fabriano ed era sintomaticamente destinata a diversi passaggi di mano in breve volgere di tempo122. La sua iscrizione, Franciscus Gentilis de Fabriano pinsit venne interpretata da Ricci come autografo di Gentile, il cui nome di battesimo sarebbe stato Francesco, e il quadro, dunque, suo autoritratto123. Sulla base di questo dipinto, i fratelli De Minicis scrivevano entusiasti a Camillo Ramelli, convinti di possedere una Visitazione di Gentile124, leggendo su quella loro tavola una iscrizione identica a quella del supposto Autoritratto del pittore. Ma, all’entusiasmo dei De Minicis, che circuita attraverso Ramelli a Ricci, fanno seguito due significative postille dello studioso maceratese alle sue Memorie, dove annota dubbi sul problema della lettura dell’iscrizione e comunque sull’autografia di Gentile della Visitazione, che sembrava non reggere, anche qualitativamente, il suo nome. Ricci annota genericamente: Pur dare si vorrebbe la spiegazione all’epigrafe col credersi, che quel Franciscus Gentilis sia veramente il nome di un figlio del fabrianese, o di un discepolo di lui125. L’osservazione è accolta senza ulteriori commenti ma con un sintomatico si vorrebbe, che denota la diffidenza con cui viene presa in considerazione l’ipotesi. Poco più avanti126, dopo aver trascritto la lettera di Gaetano De Minicis, inoltratagli da Ramelli, Ricci è ancor più laconico: Taluno, che ha osserva- 121 Sul pittore, in particolare, A. De Marchi, Il vero Francesco di Gentile, in Pittori a Camerino nel Quattrocento: le ombre di Gentile e la luce di Piero, in A. De Marchi (a cura di) Pittori a Camerino nel Quattrocento, Milano 2002, p. 83-84 ma si veda a pp. 346, nota 143. Per altre notizie dalle lettere, Epistolario, p. 271, nota 72. De Marchi ricorda le discussioni erudite a partire dalla scritta sulle tavole, Castrica e De Minicis, mentre ritiene contraffazione ottocentesca una identica scritta sul trittichino Perkins che esclude dal catalogo. 122 Dalla collezione Castrica passò a un certo musico Brunetti poi rivenduto e capitato nelle mani di un certo signor Vincenzo Serafini, che al presente cerca di venderlo egli pure, siccome ha detto nel mostrarlo, secondo il racconto di G. Giordani, nel suo manoscritto del 1829, conservato alla Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, Ms B 1794 – su cui si veda alla sezione Ricci-Giordani –, Memorie di Belle Arti per la Marca Anconitana, c. 39. Quando Ricci ne parla nelle Memorie, I, p. 154, l’opera è di proprietà del pittore e mercante fabrianese Vincenzo Liberati. Alla nota 29, p. 169, del I tomo delle Memorie, Ricci ripercorre le principali tappe della conoscenza del dipinto. 123 A. Ricci, Memorie… cit., I, p. 154. Francesco di Gentile è chiamato anche in Elogio del pittore… cit., p. 6 e nell’opuscolo di P. Benedetti Montevecchio, Delle opere di maestro Gentile da Fabriano, memorie pittoriche di Pompeo Benedetti già Montevecchio duca di Ferentillo, Pesaro 1830, p. 2. Tratto da questo dipinto ritenuto di Gentile, Amico Ricci possedeva il disegno realizzato da Francesco Rosaspina, A. Ricci, Memorie… cit. I, p. 154, nota 29, anche 20, e 46, p. 176, durante il viaggio effettuato con Antaldi nelle Marche, nel 1804. Nel 1840, il disegno era ancora nelle mani di Ricci visto che Camillo Ramelli, nella lettera inviata il 30 dicembre di quell’anno, chiedeva di poter vedere il disegno “che so essere da voi posseduto ”. Gaetano Giordani, a sua volta, nel 1829, parlando del Ritratto Castrica racconta che esisteva un disegno presso il marchese Antaldi, fatto per lui dal Rosaspina nel 1804, durante la visita a Fabriano e fu portato da me in dono al signor marchese Amico Ricci di Macerata in occasione che ha dato alle stampe l’Elogio di Gentile da Fabriano. A sua volta Ricci, nelle Memorie, afferma di possedere il disegno e di tenerlo fra le sue cose più care 124 Sulla perduta Visitazione De Minicis rinvio alla nota 143 a p. 346. La lettera di Gaetano De Minicis – che scriveva quasi sempre, in particolare su questi temi, col fratello, a Ramelli, è del 17 ottobre 1837. Quest’ultimo la gira a Ricci. La si veda a p. 420. 125 Ms 240, p. 154, la prima osservazione è sul dipinto già Pesenti. 126 Ms 240, c. 154. Dove riporta anche tutta la lettera di De Minicis a Ramelli, come spiegato, qui, alla nota 143. LXIV Ludovico Urbani, Madonna in trono col Bambino, San Sebastiano, Benedetto, Recanati, Museo Diocesano to il quadro dei sig.ri Deminicis crede non essere di Gentile da Fabriano ma piuttosto di un suo creato. Si affidava il giudizio alla mediocrità del lavoro e mi si farebbe credere che i signori possessori siano dubbiosi della proferita originalità. Almeno la prima delle due osservazioni, condotta sull’interpretazione della scritta, si deve a Johannes Gaye, come rivela la bella lettera che invia a Ricci nel 1838127, dalla quale apprendiamo, ricevendo conferme da altre lettere dell’Epistolario, che il solerte ricercatore di origine danese, aveva potuto vedere anche la tavola di proprietà De Minicis. Ma, evidentemente, forse anche a seguito dei dubbi di Gaye, altri dovettero seguire, in una scena fluida, dove la situazione del metodo e delle conoscenze è in progressiva e continua evoluzione. L’osservazione diretta della tavola rendeva addirittura superflua l’iscrizione. Se la qualità non è compatibile con quella di Gentile, nessuna scritta può convincere. È una metodologia troppo avanzata per Ricci, che non riesce a divincolare del tutto la visione delle opere dal- 127 La si veda a pp. 412-413. LXV l’autorità di documenti, fonti o iscrizioni, come vedremo meglio nell’analisi delle sue tappe del Viaggio per alcuni paesi della nostra montagna. Il profilo culturale di Gaye, formato nel segno dell’educazione filologica di von Rumohr e addestrato alla palestra dell’analisi documentaria, rappresenta una delle punte più avanzate, nella strada verso la moderna filologia, nel quadro delle presenze nell’Epistolario di Ricci. Il suo inedito percorso marchigiano lo mette in contatto con alcuni dei principali attori di quello stesso contesto: oltre a Ricci, Giacinto e Ignazio Cantalamessa Carboni, i De Minicis, Severino Servanzi Collio che l’aveva guidato a Sanseverino128. D’altra parte, Gaye si interessa vivamente non solo a vedere le opere e a raccogliere documenti per il suo Carteggio inedito d’artisti129, ma anche alle ricerche degli eruditi locali, alla loro produzione, come dimostrano diverse recensioni che pubblica in seguito, a cominciare da quella dedicata alle Memorie storiche130. Se la maggiorparte dei ‘dotti amici’ di Ricci non arrivano ad affinare la loro lettura visiva sul modello di Gaye, è altresì vero che si diffonde, in generale, una nuova attenzione per le opere, più diretta e concreta. Anche un erudito lontano dal campo artistico, come Monaldo Leopardi131, le cui ricerche per collaborare all’impresa di Ricci sono condotte su testi e documenti della sua celebre biblioteca e di archivi, in cui spulcia notizie specialmente su artisti in qualche modo legati a Recanati, si accende di inusuale entusiasmo quando, sollecitato da Ricci a ricontrollare la tavola, già vista da lui, proveniente da Santa Maria della Piazza a Recanati, all’epoca nella Cattedrale e oggi al Museo Diocesano, visionata anche dal gesuita Diego Calcagni, nelle sue Memorie istoriche della città di Recanati nella Marca d’Ancona132, si accorge che vi figura un’iscrizione col nome dell’autore, Ludovico Urbani da Sanseverino. Ma nell’erudizione contemporanea un tratto caratteristico sta proprio nelle opposte tensioni che deflagrano in una situazione di blocco, che non riesce a imbocca- 128 Rimando per queste e altre notizie e per la bibliografia di riferimento alla sezione Gaye dell’Epistolario, in particolare la biografia introduttiva, pp. 409-410 e note 198-199. Un importante contatto è anche quello col pesarese Antaldo Antaldi. 129 Pubblicato postumo in tre volumi, nel 1840, a Firenze, a cura dello storico e amico Alfred Reumont. 130 È il già citato articolo, pubblicato dopo la morte di Gaye, su “Jahrbücher der Literatur”, 1840, XC, appendice, pp. 42-68, XCI, appendice, pp. 10-31. Si veda, anche per altri articoli su eruditi vicini a Ricci, come il perugino Giovan Battista Vermiglioli, cui dedicò una recensione sullo scritto, Della fontana maggiore di Perugia, e degli scritti intorno la medesima, sempre sugli Jahrbücher, LXXXIV, Appendice, pp. 1-17, un elenco, alfabetico per autore, nelle Notizie bibliografiche dei lavori pubblicati in Germania trattanti delle belle arti in Italia raccolte e compilate da Alfredo Reumont, pubblicate nel 1847, sull’“Archivio storico italiano”, 1847, v, pp. 157-212. 131 La sezione del carteggio con Leopardi è alle pp. 300-311. Sulla biblioteca di Leopardi, che restava, come le molte altre, pur sensibili alle novità, espressione di una concezione gerarchica del sapere, oltre alla bibliografia citata alla nota 105, p. 300, si veda, D. Fioretti, Note sulla Biblioteca di Monaldo Leopardi, “Studia Picena”, 63, 1998, p. 316 e, sul tema delle biblioteche nelle Marche tra Sette e Ottocento, R. M. Borraccini Verducci, Le Biblioteche delle Marche, in Quei monti azzurri… cit., p. 469. 132 Messina 1711, p. 146. Si veda la lettera a p. 309-310, dove lamenta di non riuscire a fare analoghe verifiche sulla predella, che non riesce a vedere bene, anche perché l’opera era posizionata in alto. LXVI Sebastiano Ceccarini, Ritratto dell’abate camaldolese Pietro Francesco Zaghis, Venezia Seminario della Madonna della Salute re del tutto la strada del nuovo e, talora, nasconde in un ossessivo accumulo di notizie, l’incapacità di una selezione interpretativa. Ecco perché gli Epistolari sono un mezzo privilegiato per comprendere questo sistema erudito e, infine, questo mondo, alle soglie di mutamenti estremi, di ribaltamenti istituzionali, che ne mineranno per sempre ruolo e sopravvivenza. Una notevole personalità, che rappresenta con altissimo profilo di ricerca e approfondimenti queste problematiche, è quella del padovano Giovanni de Lazara133, un vero maestro per Ricci. Raffinato bibliofilo, conoscitore, collezionista, indefesso raccoglitore di notizie, sempre attento alle relazioni, non solo locali, delle sue ricerche, che hanno un respiro ampio, oltre a delineare, nelle linee già indicate da Giovanni Previtali, il suo ammirato interesse per i pittori del Quattrocento. De Lazara quasi vive e respira attraverso la comunicazione epistolare, con la quale dimostra anche una straordinaria capacità di mettere in relazione, sulla base dei comuni interessi, i suoi corrispondenti134. Si veda come, nel caso di 133 Il suo profilo biografico e carteggio con Ricci, di anni avanzati, alle soglie della morte, occorsa nel 1833, è alle pp. 181-189. 134 Valutazione in D. Levi, p. 323, che sottolinea come de Lazara sapeva mettere in contatto in un intreccio fittissimo e molti pertinente i vari eruditi, sulla base di una serie di temi comuni. È un aspetto della sua generosità, insita nella sua idea del lavoro erudito e anche della sua bibliofilia e collezionismo di stampe, indissolubili dall’ampia utilità e fruizione. Su questi temi, anche di L. Caburlotto, in particolare, Private passioni e pubblico bene, studio, collezionismo, tutela e promozione delle arti in Giovanni De Lazara (1744-1833) “Saggi e Memorie di Storia dell’arte”, 25 (2001), pp. 123-217. Emblematico l’aiuto dato da de Lazara, con Pietro Brandolese, a Lanzi, per la terza edizione della Storia, su cui, si LXVII Ricci, lo collega, si potrebbe dire, in diretta, con Giannantonio Moschini135, che gli dà notizie sul pittore e incisore anconetano Paolo Bartolomeo Clarici, citando dal suo Della letteratura Veneziana del secolo XVIII, Venezia 1806. Moschini approfitta dell’occasione per segnalare anche un quadro di Sebastiano Ceccarini, tuttora nel Seminario della Madonna della Salute a Venezia, col Ritratto dell’abate camaldolese Pietro Francesco Zaghis (1739)136. Una sorta di dialogo a tre è quello che vibra tra Ricci, de Lazara e il vicentino Leonardo Trissino137, personaggio tutto da scoprire, per temi e relazioni, anch’egli vittima di quell’afasia, che colpisce de Lazara al di fuori del veicolo epistolare138. Le ricerche, le conclusioni, il metodo, illuminati dalla lucida spinta di verifica settecentesca, non riescono a incanalarsi in una determinazione, circoscrizione, riduzione per la stampa e diventano sintomatiche di una crisi, che si cristallizza tra terzo e quinto decennio dell’Ottocento, come esemplificano casi analoghi, se pur di portata inferiore, dal punto di vista intellettuale e del metodo, quali risultano, nel contesto dell’Epistolario di Ricci, il sanseverinate Giuseppe Ranaldi o, variante ulteriore dello schema, il bolognese Gaetano Giordani139. Il primo trascorre l’esistenza nella ricerca d’archivio, mette insieme una miriade di notizie, documenti, copie di iscrizioni, profili di artisti. Molte le ipotesi di lavoro, i progetti di scritti che non realizzerà mai e che giacciono nei tre voluminosi manoscritti conservati alla Biblioteca di Sanseverino, nei quali una scelta doveva sembrare, al tempo stesso, una perdita. Pochissimo quello che pubblica, rispetto ai documenti raccolti che restano, nonostante sviste e talora troppo facili entusiasmi, una base per ogni ricerca che riguardi artisti e opere a vedano di D. Levi, anche Appunti su Luigi Lanzi e alcuni suoi corrispondenti veneti e friulani, in F. Caglioti, M. Fileti Mazza, U. Parrini (a cura di) Ad Alessandro Conti (1946-1994), “Quaderni del seminario di storia della critica d’arte”, 6, 1996, pp. 247-267; P. Barocchi, Sulla edizione del 1809 della “Storia pittorica della Italia” di Luigi Lanzi, “Saggi e Memorie di storia dell’arte”, 25, 2001, pp. 297307. Un capitolo sui corrispondenti in C. Gauna, La Storia Pittorica di Luigi Lanzi, arti storia e musei nel Settecento, Firenze 2003, pp. 177-183, non quelli marchigiani. Rinvio anche alla sezione de Lazara, pp. 180-181, nota 1, per altra bibliografia. 135 La generosità di de Lazara, le cui scoperte furono in effetti tutte pubbicate da altri, G. Natali, Storia letteraria d’Italia, Il Settecento, (1929), ed. Milano 1944, p. 428, si profila fin dall’elogio tributatogli proprio da Giannantonio Moschini, per la liberalità con cui apriva a tutti la sua preziosa biblioteca, Della letteratura veneziana del secolo XVIII, Venezia 1806-1808, p. 57. G. Previtali, La fortuna… cit., pp. 145-147, in particolare, p. 147. L. Caburlotto, Nella cerchia di Giovanni de Lazara: Pietro Brandolese e Giannantonio Moschini, in C. Furlan, M. Grattoni d’Arcano (a cura di) Fabio di Maniago… cit., pp. 161-170. Si veda anche più avanti, p. 182, nota 5. 136 Del quadro di Ceccarini, Moschini parlava nel suo La chiesa e il Seminario di S. Maria della Salute, Venezia 1824, p. 123. Per maggiori precisazioni, anche sul Clarici, Ceccarini e bibliografia, p. 184, nota 10. 137 Per Trissino, introduzione e nutrita selezione dal carteggio a pp. 324-343. 138 Come sottolinea D. Levi, “Troppa modestia,… cit., p. 321-322, questa afasia, che portò de Lazara a non pubblicare mai niente, né il compiuto (1793-’95) catalogo delle pitture di Padova e del territorio, legato all’incarico di Ispettore delle Pubbliche Pitture della provincia di Padova, né la vita di Mantegna sulla quale si affannò per quasi tutta la vita, è una sorta di metafora della crisi dell’erudizione, tra documentazione e selezione degli argomenti. 139 Le sezioni dell’Epistolario che li riguardano sono rispettivamente a pp. 360-367 e a pp. 367-388. LXVIII Sanseverino140. Ancor più complesso il caso di Giordani. Egli, oltre a una massa davvero impressionante, incontrollabile, di manoscritti e appunti, moltissimi anche foglietti volanti, conservati nel suo fondo bolognese alla Biblioteca dell’Archiginnasio, pubblica un numero notevole di scritti, studi, opuscoli, storie e descrizioni di quadri e monumenti141. Le opere stampate da Giordani, però, non rendono ragione della sua straordinaria capacità di ricercatore e del margine di novità del suo metodo, che consiste nell’abbinare la mole, talora soffocante, delle fonti e dei richiami bibliografici, con la visione diretta delle opere, la cui valutazione non può prescindere dallo stato di conservazione. Il lavoro quotidiano come custode della Pinacoteca, di cui scrive, tornandoci in varie edizioni, un celebre Catalogo142, incide nella sua valutazione delle opere d’arte come materiali. Giordani è stato considerato fra i più tipici anche se non eccelsi esponenti di questa classe di intellettuali locali 143, che non riusciva a sottrarsi a un’autorità delle fonti che, nel suo caso, va aggiunto, coincide anche con un ruolo sociale inferiore alla maggiorparte degli eruditi in contatto con lui, che lo rispettano pur avendo sempre un’espressione di benevolo sussiego nei suoi confronti144. Giordani conserva 140 Anche in questo caso e anche per le opere effettivamente stampate da Ranaldi, rimando alla sua biografia introduttiva pp. 360-363, con maggiore precisazione dei temi, della bibliografia e per alcune ‘sviste’, quali il problema dell’individuazione della figura di Bernardino di Mariotto, su cui e per un recente profilo della figura di Ranaldi, R. Paciaroni, Bernardino di Mariotto da Perugia. Il ventennio sanseverinate (1502-1521) Milano 2005, pp. 10-12 e E. Barchiesi, pp. 143-146, anche per le immagini oggetto di discussione, di Pinturicchio e Bernardino. Una variante, nel senso di onnivora attività, sia di registrazione manoscritta che di pubblicazione, fu il caso di Severino Servanzi Collio, amico ed estimatore di Giuseppe Ranaldi, cui dedica, due anni dopo la morte, nel 1856, lo scritto Cenni storici per la vita di Giuseppe Ranaldi da San Severino nel Piceno. 141 Raccolti già da Giordani stesso Scritti del cavaliere Gaetano Giordani di Bologna, Bologna 1868 e anche in una Bibliografia, scritti del cavaliere Gaetano Giordani di Bologna, stampato sempre a Bologna 1871. 142 Catalogo dei quadri che si conservano nella pinacoteca della pontificia Accademia di belle arti in Bologna, prima edizione, Bologna 1826, ristampato numerose volte. 143 D. Levi, Cavalcaselle.....cit., p. 115. Tale giudizio è ricavato, d’altra parte, specialmente sulla base dei testi pubblicati, dedicati per lo più ad argomenti di ambito bolognese. In questi scritti Donata Levi rilevava giustamente la personalità di Giordani come agli antipodi rispetto a quella di Cavalcaselle, e dunque alla fisionomia del moderno conoscitore, rimarcando l’aspetto letterario, dilettantesco, disattento alle verifiche del suo lavoro, fermo a un desueto gusto seicentesco e soprattutto non interessato all’osservazione diretta delle opere. In particolare faceva notare, proprio a partire dal Catalogo, prendendo spunto dall’Introduzione, quanto l’autore procedesse sulla base della opinione de’ nostri Professori e in generale delle personalità che, sia in Italia che fuori, godessero della pubblica estimazione. La straordinaria erudizione di Giordani, d’altra parte, lo aveva reso famoso in molte parti d’Italia e sarà proprio lui a dare le prime indicazioni, nel 1861, su come muoversi nelle Marche, a Giovan Battista Cavalcaselle, cui segnalerà alcuni dei ‘dotti amici’, tra cui Amico Ricci e i fratelli De Minicis, D. Levi, ibidem, p. 115, p. 163, nota 78, la lista di contatti era anche per altre, numerose località d’Italia. 144 Frequente, in molte lettere, il riferirsi a lui chiamandolo il buon Giordani, apprezzato per le sue ricerche ed anche per la sua generosità, ma non integrato nella compagine sociale dell’erudizione, perlopiù nobiliare, del tempo. In questo senso, particolarissima, la vivida amicizia col marchese Antaldo Antaldo di Pesaro, con cui sembra avere un rapporto abbastanza alla pari, per quanto si riferisca spesso a lui, chiamandolo suo benefattore. Rimando per questa amicizia erudita, al mio scritto, Memorie delle pitture di Urbino: una guida “polifonica” di Gaetano Giordani bolognese, in G. Perini e P. Cucco (a cura di) La guida di Urbino d’Innocenzo Ansaldi e altri inediti di periegetica marchigiana, Urbino LXIX