SOMMARIO ISSN 1826-6371 1 GORIZIA-GORICA Festa della cultura slovena Scoperto il busto del poeta sloveno Simon Gregor@i@ nel centenario della sua morte 1 I DISCORSI UFFICIALI tenuti dalla dr. Lojzka Bratu¡ e da Andrea Bellavite alla cerimonia d’inaugurazione del monumento a Gregor@i@ 3 SLAVIA FRIULANA-BENE#IJA 140 anni d’Italia, 40 anni di Dom I 40 anni del periodico fondato dai sacerdoti sloveni 5 UDINE-VIDEM Gli 80 anni de «la Vita Cattolica» È intervenuto il presidente del Senato, Franco Marini 7 UDINE-VIDEM Le minoranze a 25 anni dalla risoluzione Arfé Nel corso del convegno sono intervenuti anche rappresentanti della minoranza slovena 9 CIVIDALE-#EDAD Rilanciare la cultura slovena Incontro con i consiglieri regionali sloveni organizzato da Skgz e Sso Anno VIII N° 11 (108) 31 ottobre 2006 11 SLOVENIA Riconoscimento al circolo culturale Ivan Trinko Il presidente della Slovenia, Drnovœek, gli ha attribuito l’Ordine d’oro al merito 14 L’INTERVISTA Un’opportunità per conoscere il teatro A colloquio con Maja Lapornik, coordinatrice del progetto Studio Art 17 STORIA Mussolini smentisce la Lega Slava A proposito di slavi e sloveni Scoperto il busto del poeta sloveno Simon Gregor@i@ nel centenario della sua morte GORIZIA-GORICA Festa della cultura slovena Negli interventi sottolineata l’eredità spirituale del poeta e sacerdote sloveno i è avverato il sogno della comunità slovena di Gorizia. Nei Giardini pubblici di Gorizia, tra le vie Dante e Petrarca, laddove già da tempo sono stati eretti i busti di alcune personalità goriziane, ha finalmente trovato posto anche quello del celebre poeta sloveno, Simon Gregor@i@, inaugurato sabato 21 ottobre. L’evento è stato realizzato dalla consulta slovena presso il comune di Gorizia in collaborazione con le due organizzazioni slovene più rappresentative, la Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso e l’Unione culturale economica slovena-Skgz, l’Unione culturale cattolica slovena-Zskp, l’Unione dei circoli culturali sloveni-Zskd, il Centro culturale Lojze Bratu¡ e il Kulturni dom di Gorizia. Il busto di bronzo, che ritrae Gregor@i@ da giovane, è opera dell’artista di Gorizia, Silvan Bev@ar e poggia su una base di marmo bianco sulla quale sono impressi versi significativi del poeta. La numerosa partecipazione di pubblico all’inaugurazione dell’opera testimonia quanto la poesia di Gregor@i@ sia ancora fortemente radicata nella nostra realtà territoriale. Molte le autorità presenti, tra gli altri il sottosegretario Miloœ Budin, il vicepresidente del parlamento sloveno, Vasja Klavora, il sottosegretario sloveno, Silvester Gabrœ@ek, l’assessore regionale alla Cultura, Roberto Antonaz, il consigliere regionale sloveno, Mirko Œpacapan, il console generale sloveno a Trieste, Jo¡e Œuœmelj, il presidente del Consiglio provinciale di Gorizia, Alessandro Fabbro, gli assessori provinciali Mara #ernic e Marko Marin@i@, gli assessori comunali Claudio Cressati e Silvester Primo¡i@, il sindaco di Nova Gorica, Mirko Brulc, il prefetto Roberto De Lorenzo, il questore Emilio Ruocco, i presidenti di Sso e Skgz, Drago Œtoka e Rudi Pavœi@ e lo scrittore sloveno di Trieste, Boris Pahor. Quale simbolo della partecipazione di tutto il popolo sloveno all’evento, il ministero alla Cultura della Repubblica slovena e il Congresso mondiale sloveno hanno reso omaggio al poeta con una corona fasciata dal tricolore. Dopo l’esibizione della banda Kras di Doberdò del Lago, diretta da Patrick Quaggiato, e la recita, in lingua italiana e slovena, di poesie di Gregor@i@ ad opera di Jan Leopoli e di Barbara Rustja, nel suo intervento introduttivo il presidente della Consulta comunale, Igor Komel, ha sottolineato l’impegno della stessa nel promuovere la convivenza e il dialogo tra le comunità che risiedono a Gorizia. L’idea di erigere un busto in memoria di Gregor@i@ è nata 40 anni fa ma solo negli ultimi due anni si è proceduto, su sollecitazione di Toma¡ Pavœi@ da Idrija, alla sua realizzazione concreta. (…) A nome del sindaco di Gorizia, Vittorio Brancati, assente per malattia, è intervenuto in italiano, sloveno e friulano l’assessore comunale, Cressati : «Questa è la festa della cultura, della cultura slovena, della cultura di Gorizia e di tutto il nostro territorio», ha esordito. Ha poi sottolineato come il secolo precedente sia stato attraversato da conflitti nazionali ed ideologici, nemici del progresso sociale ed economico. Da qui, l’impegno odierno dell’Europa a costruire un futuro comune che scaturisce dal riconoscimento della sua veste multiculturale. L’omaggio a Gregor@i@, ha concluso S Cressati, è quindi motivo di gioia per tutti i cittadini di Gorizia, qualsiasi sia la loro appartenenza linguistica. L’assessore regionale Antonaz ha definito «ottuse e antistoriche» le polemiche sollevate sull’iniziativa, avendo la nostra regione uno statuto speciale proprio per la sua secolare specificità multiculturale e plurilinguistica. Antonaz ha poi aggiunto che il cittadino goriziano di lingua slovena ha maggiori possibilità lavorative di quello di Ljubljana, in ugual modo il cittadino italiano di Gorizia rispetto ad un suo connazionale. Dal confronto, infatti, nasce un arricchimento reciproco. «E come potremmo negarlo? Noi che viviamo nel cuore dell’Europa, dobbiamo pensare con spirito europeo!». Antonaz ha, infine, fatto riferimento all’impegno profuso dalla regione per fare sì che il Trgovski dom diventi, quanto prima, la casa delle culture goriziane, È arrivato poi il momento più atteso, accompagnato da un lungo ed intenso applauso: la scopertura del busto da parte del pronipote del poeta, il sindaco di Kobarid (Caporetto), Pavel Gregor@i@. Alla benedizione del monumento da parte del vicario episcopale per i fedeli sloveni dell’arcidiocesi di Gorizia, mons. Oskar Sim@i@, sono seguiti i discorsi ufficiali (che pubblichiamo qui di seguito, ndt.) della prof. Lojzka Bratu¡ e del direttore del settimanale diocesano Voce Isontina, Andrea Bellavite. L’inaugurazione è proseguita con la recita e il canto di composizioni di Gregor@i@: si è, quindi, esibito, tra gli altri, un coro misto di 250 coristi che, sotto la direzione di Hilarij Lavren@i@ e con il soprano di Sant’Andrea-Standre¡, Alessandra Schettino ha interpretato il canto patriottico «Znamenje». D’ora in poi sarà ancora più gradito passeggiare per il Parco di Gorizia e ci auguriamo che il monumento serva a ricordare e a sottolineare il carattere multiculturale di Gorizia nonché quanto sia viva e vitale la comunità slovena. Una caratteristica questa che gli sloveni continueranno a coltivare finchè sopravviverà nella loro coscienza l’insegnamento del poeta sloveno Simon Gregor@i@. Danijel Devetak (Novi glas, 26. 10. 2006) I DISCORSI UFFICIALI Pubblichiamo qui di seguito la versione integrale, in lingua italiana, dei discorsi ufficiali tenuti, nel corso della cerimo nia di inaugurazione del monumento al poeta Simon Gregor@i@, dalla dr. Lojzka Bratu¡ e dal direttore del setti manale diocesano di Gorizia Voce Isontina, Andrea Bellavite. Lojzka Bratu¡: le lingue sono una ricchezza inestimabile Cent’anni fa morì a Gorizia Simon Gregor@i@ (1844 -1906), sacerdote e poeta, la cui vita è strettamente legata alla nostra città. Da Vrsno, suo paese natio tra le amate montagne dell'Alto Isonzo, venne a Gorizia per intraprendere gli studi ginnasiali e quelli teologici. Ordinato sacerdote, iniSLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 1 ziò l'attività pastorale a Kobarid (Caporetto), da dove dopo alcuni anni venne trasferito nella Valle del Vipacco, dapprima a Rihemberk (oggi Branik) e in seguito a Gradiœ@e. Durante la permanenza in queste località si recò di frequente nel capoluogo isontino, sia per incontrare alcuni amici, come ad esempio lo scrittore Fran Erjavec e msgr. Fran@iœek B. Sedej, che per poter seguire da vicino la vita culturale della comunità slovena. Risalgono a quel periodo gli incontri con gli amici residenti in località più lontane, quali ad esempio il sacerdote Ivan Vrhovnik, il poeta Anton Aœkerc, il famoso parroco alpinista Jakob Alja¡ e tanti altri, con i quali Gregor@i@ intrattenne pure una fitta corrispondenza. Tra i suoi corrispondenti figura Ivan Trinko, personalità di spicco della Benecia. Negli ultimi tre anni di vita il poeta visse stabilmente a Gorizia, in una casa situata sull'odierno Piazzale Medaglie d’oro. Sul luogo in cui sorgeva, si trova oggi un imponente cedro. Gli anni trascorsi da Gregor@i@ a Gorizia, la sua morte e i solenni funerali vennero descritti da alcuni suoi contemporanei. Tra due ali di folla commossa il 26 novembre del 1906 la folla giunse nella chiesa di S. Ignazio. Dopo la cerimonia funebre un corteo interminabile percorse l'odierna Via Carducci avviandosi verso Solkan, dove un'altra folla attendeva il feretro. E così di seguito lungo la Valle dell'Isonzo fino alla chiesetta di San Lorenzo, sul colle sovrastante il fiume, dove il poeta fu sepolto, come aveva sempre desiderato. Simon Gregor@i@ è una delle figure di maggior rilievo tra i poeti sloveni dell’Ottocento e, per la rara musicalità della sua poesia, occupa un posto del tutto particolare. La sua produzione poetica va dalle composizioni giovanili Iskrice domorodne (Faville patriottiche) ai grandi testi quale l’ode So@i (All’Isonzo), inno alle bellezze del fiume con la visione profetica – probabilmente unica nella poesia europea – degli orrori del primo conflitto mondiale, l’allora assai discussa confessione filosofico-religiosa #loveka nikar! (L’uomo, giammai!), il canto Oljki (All’ulivo) nelle cui immagini solenni il concetto della pace e della riconciliazione tra gli uomini si unisce alla speranza nella salvezza estrema, fino alle sentite Predsmrtnice (Vigilie di morte). Il vigore della sua poesia, dai mezzi espressivi basati sia sui canti popolari che su una sensibilità letteraria originale e irripetibile, sta innanzitutto nella capacità introspettiva del poeta e, di conseguenza, nell’esposizione schietta e sincera dei suoi pensieri e sentimenti. Tutto ciò valse a Gregor@i@ l’appellativo di «goriœki slav@ek» (l’usignolo di Gorizia). La sua poesia si diffuse tra gli strati più vasti della popolazione slovena, nella cui coscienza continua a vivere ancora oggi. Questo monumento situato sul suolo pubblico, nel centro cittadino, è finora l’unico ad essere stato eretto, in collaborazione con l’amministrazione comunale, in memoria di una personalità slovena. Il monumento dedicato a Gregor@i@ rende onore a Gorizia alla pari dei monumenti a personalità italiane e friulane, esposti in questo parco. Sono tutti testimoni della realtà multietnica del territorio in cui viviamo. La varietà di popoli, lingue e culture costituisce, infatti, una ricchezza inestimabile, che va riconosciuta ed apprezzata. Possa il messaggio di questa solenne giornata rappresentare un incoraggiamento ed un invito a proseguire sulla via del rispetto reciproco. È questo un sincero augurio che rivolgiamo a noi stessi e alle generazioni future. Andrea Bellavite: Gregor@i@ uomo, poeta, credente, prete Non è certo questo il momento di tracciare ampie linee biografiche o di sottolineare le caratteristiche principali della poetica di Simon Gregor@i@: del resto anche il lettore itaSLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 2 liano può facilmente avvicinarsi ai suoi «Canti» attraverso le numerose traduzioni delle sue opere. Ci basti ricordare il difficile periodo storico tra la data della sua nascita – il 1844 – e quella della sua morte, esattamente 100 anni fa – il 1906, per riconoscere al suo disegno artistico un afflato che a volte si è incarnato in una vera e propria prospettiva profetica: in quella che forse è considerata l’ode più famosa, «So@i» (All’Isonzo), 35 anni prima dello scoppio della Prima guerra mondiale, scriverà «Su te, misero, si addensa un tremendo uragano, una bufera immensa, dal caldo meridione infuriando verrà e strage recherà alla pianura ferace che la tua corrente disseta»: parole che richiamano l’ansia dell’uomo di pace davanti alla tempesta imminente, il valore poetico attribuito ad un fiume la cui straordinaria bellezza contrasta inevitabilmente con il colore di tanto sangue versato, la preoccupazione forse più del «padre» che del «pastore d’anime» che vede i suoi figli minacciati da terribili prove. In questo contesto mi piace sottolineare quattro aspetti della sua complessa personalità. Simon Gregor@i@, grande uomo: ha saputo interpretare la propria esistenza come un dono ai propri fratelli, soprattutto a quegli abitanti delle valli intorno all’Isonzo che vivevano in condizioni di grande povertà; con umiltà e decisione se ne è fatto cantore, realizzando ante litteram il compito che ognuno di noi dovrebbe prefiggersi, quello di dare voce a chi non ha voce. È stato «figlio», ma anche appunto «padre» del suo popolo, consapevole della ricchezza della sua cultura slovena, della bellezza della propria lingua da lui portata all’emozione della lirica, della forza di un’identità secolare. Simon Gregor@i@, profondo poeta: cantore degli umili, portavoce dei diseredati, non può che essere malinconico testimone del desiderio che alberga nel cuore di ogni essere umano, quel desiderio di infinito così contrastante con il mistero dell’estrema fragilità della condizione umana. Non si tratta di pessimismo ma di quella caratteristica che accomuna tutti i grandi artisti e che Romano Guardini chiamava la «malinconia». I suoi versi superano le contingenze storiche e parlano dei sentimenti immutabili ed incancellabili del fondo dell’anima, al punto che ancor oggi è uno dei più amati rappresentanti della letteratura slovena, sempre più conosciuto ed apprezzato anche nel resto d’Europa. Simon Gregor@i@, autentico credente: intriso di intenso senso religioso, il nostro poeta dona la sua voce anche alla natura, riconoscendo in essa la presenza del divino. La fede non si configura certo in lui come una tranquilla acquisizione, quanto come una conquista da rinnovare giorno dopo giorno, dentro l’orizzonte di quell’inquietudine esistenziale che accompagna ogni pellegrino dell’assoluto. Nelle sue poesie e nell’esperienza della sua vita si intrecciano la contemplazione sublime delle sue montagne e la cruda rappresentazione della realtà quotidiana, in un unico slancio verso la descrizione della maestà della vita. Simon Gregor@i@, degno sacerdote: uomo di Dio – in un non sempre pacifico ma sempre intenso colloquio con il trascendente; uomo al servizio dei fratelli – in un impegno attivissimo, mosso da un amore ardente per le persone a lui affidate e per tutto il suo popolo, rappresentante eminente di quel ministero sacerdotale sanamente patriottico, così intensamente proiettato nella salvaguardia della cultura, della lingua, dei valori morali e religiosi costitutivi del popolo sloveno. Nel suo cercare un segno della bellezza di Dio dentro la palese contraddizione della miseria umana; nel suo rimanere fedele agli impegni ministeriali, pur sentendo troppo stretto il vincolo di appartenenza ad un’istituzione ecclesiale non sempre all’altezza degli spazi eterni ed eterei della poesia; proprio in questa sua originale posizione è stato prete autentico, forte, coraggioso, mai domo. Questi e molti altri motivi mi portano in conclusione ad uno speciale plauso all’iniziativa di collocare in questo luogo il busto artistico di Simon Gregor@i@: proprio in questi «Giardini», inquadrati fra le vie che ricordano i grandi della letteratura italiana; a pochi passi dal quartiere ebraico che ha visto crescere alcuni fra i gioielli dell’ebraismo goriziano, campioni della glottologia e della filosofia; in vista del parco di Villa Coronini che conserva la casa dove è nato l’austroungarico indimenticabile cantore delle nostre mon- I 40 anni del periodico fondato dai sacerdoti sloveni tagne; accanto al busto di uno dei più prestigiosi rappresentanti della cultura friulana… Ecco, in pochi passi tanti nomi che soltanto chi abita nel territorio goriziano (per intendersi dal punto di vista geografico, quello che apparteneva all’antica e gloriosa Arcidiocesi di Gorizia), ha il privilegio di poter chiamare «propri»: «nostro Julius Kugy», «nestri Carlo Michaelstaedter», «unsere Pietro Zorutti», «naœ Dante Alighieri», «nostro Simon Gregor@i@»… Ecco un grande motivo - anche da parte di un mezzo veronese e mezzo toscano trapiantato da bimbo in questa terra - di fronte a questo nuovo busto per ringraziare Dio perché ci ha donato il santo orgoglio di chiamarci e di essere goriziani, goricani, gurissans.... SLAVIA FRIULANA-BENE#IJA 140 d’Italia, 40 anni di Dom Nel 1966, a cent’anni dal proclama del Giornale di Udine, un forte no all’assimilazione Centoquarant’anni di appartenenza allo Stato italiano degli sloveni della provincia di Udine, quarant’anni di presenza del nostro giornale Dom in Benecia: due anniversari che meritano una particolare sottolineatura e una lettura «sapienziale» per cogliere il significato di questi due avvenimenti, che in qualche modo si richiamano tra di loro, non certo per la portata storica, ma per i collegamenti e gli insegnamenti che vi si possono cogliere. A cento anni di distanza dal plebiscito, che sancì il passaggio del Veneto e del Friuli al Regno d’Italia, i sacerdoti sloveni delle Valli del Natisone sentirono la necessità di instaurare un collegamento con la loro gente presente nelle Valli e nella diaspora, che in quegli anni aveva raggiunto l’apice della sua consistenza in Europa, nelle Americhe e in Oceania. Fondarono un bollettino interparrocchiale cui diedero nome «Dom», parola che, come si legge nell’editoriale del primo numero, uscito per il Natale del 1966, per gli sloveni non significa solo la casa come edificio, ma anche «la famiglia, i genitori, la moglie, i figli, il paese, la propria lingua, i canti, le tradizioni, la chiesa, la propria terra, il luogo natio, in una parola tutto quello che le persone hanno di più caro. Dom non è una parola vuota, è la nostra vita». Le finalità del giornale Già dalla testata, quindi, i sacerdoti davano contenuto profondo alla loro iniziativa: «Dom» inteso come radice e prospettiva di vita, come fondamento di una comunità che si riconosce in una fede, in una lingua, in un territorio, in valori umani collaudati dalle prove della storia. Dom non come sentimento, nostalgia dell’emigrante lontano, rimpianto per i bei tempi passati, ma come concezione antropologica da tenere salda e da difendere di fronte all’emigrazione verso l’estero, che in quelle preoccupanti dimensioni creava una situazione inedita e di difficile gestione, e ai segnali evidenti di una «emigrazione» culturale, provocata da alcuni nuovi fenomeni sociali, verso lidi dove venivano messi in discussione sia i valori umani e cristiani che quelli legati alla lingua, alla cultura e alle tradizioni depositate da secoli nella comunità slovena. Dom, un nome sloveno per un giornale scritto in sloveno, e nelle sue varianti dialettali, perché, si legge sempre nel- l’editoriale del primo numero, «è la lingua che parliamo nelle nostre famiglie, perché è la nostra lingua materna. È la nostra lingua locale, che ci è stata data da Dio, che è parlata da tanti e tanti anni dai nostri antenati. Desideriamo che si conservi anche per il futuro e la parlino i nostri figli e i figli dei nostri figli. La lingua materna è un grande dono fatto da Dio alle persone». La lingua, dunque, non come semplice mezzo di comunicazione, ma come valore culturale e religioso della persona e della comunità che, continuando a usarla, stabiliscono una solidarietà particolare sia all’interno del gruppo che con le generazioni passate e future. Si tratta di una visione difficilmente riscontrabile in altre società con vicende storiche «normali», che può essere spiegata solo come il risultato di un sofferto processo di affermazione della propria identità e diversità sviluppatosi in un contesto ostile e di programmata assimilazione, nel quale la lingua slovena e quanto ad essa legato – canti, preghiere, catechismo, predicazione, liturgia – rappresentava la più alta espressione identitaria. Ed era questo il motivo per cui da una parte era profondamente amata, dall’altra fortemente combattuta. Il proclama del Giornale di Udine La lotta contro la lingua slovena iniziò esattamente cent’anni prima della fondazione del Dom, con quell’articolo del «Giornale di Udine», datato 22 novembre 1866, in cui, sotto il titolo «Gli Slavi in Italia», fu lucidamente delineato il programma di assimilazione degli sloveni della provincia di Udine: «Questi Slavi bisogna eliminarli, ma col benefizio, col progresso e colla civiltà». Ma, precisava subito il giornale, «non faremo nessuna violenza; ma adopereremo la lingua e la coltura di una civiltà prevalente quale è l’italiana per italianizzare gli Slavi in Italia, useremo speciali premure per migliorare le loro sorti economiche e sociali, per educarli, per attirarli a questa civiltà italiana, che deve brillare ai confini, tra quelli stessi che sono piuttosto ospiti nostri». È da ricordare che il «Giornale di Udine», che aveva iniziato le pubblicazioni il 1° settembre 1866, non era un semplice giornale di opinione. Era sostenuto politicamente dallo scienziato e statista Quintino Sella, nominato commissaSLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 3 rio del re per la provincia di Udine, che aveva dato al giornale l’incarico di pubblicare gli atti amministrativi e giudiziari della provincia di Udine. Direttore era il giornalista e politico friulano Pacifico Valussi, che già all’indomani della proclamazione dell’unità d’Italia aveva illustrato le ragioni storiche, militari, etnologiche ed economiche per cui le Alpi Giulie dovevano rappresentare il confine dell’Italia. Questa tesi era sostenuta anche da un altro friulano, il nobile Francesco Prospero Antonini, che nel suo «Il Friuli orientale» sottolineava che gli italiano non avrebbero potuto mai provvedere ad una valida difesa del territorio «veneto», accettando i confini del regno sull’Isonzo. Il «problema sloveno» non veniva preso in considerazione come fatto culturale, ma con una logica discriminatoria simile a quella che veniva usata nei confronti dei ceti sociali più poveri, deboli ed emarginati: se di loro bisognava interessarsi, era solo per eliminare le cause del loro stato di indigenza. Cioè per «redimere» dal loro stato di inferiorità gli sloveni, si doveva eliminare la causa del loro stato: la lingua slovena. E da allora questo è stato fatto, usando tutti i mezzi. Il Plebiscito per l’Italia La retorica sull’adesione plebiscitaria all’Italia da parte di tutti gli abitanti della Slavia, eccetto uno, risulta del tutto fuori luogo per due motivi. Il primo è di ordine storico - politico. Gli sloveni delle Valli del Natisone «tifavano» per il Regno Sabaudo perché in esso vedevano la Repubblica di Venezia, che per 377 anni aveva governato saggiamente i fedelissimi «schiavoni», lasciando loro autonomia amministrativa e giudiziaria e non intromettendosi nelle loro questioni interne, tantomeno in quelle linguistiche, come del resto aveva fatto con gli altri popoli lungo le sponde dell’Adriatico, dello Ionio e dell’Egeo. Per questo nel 1848, con a capo i sacerdoti locali e i pochi intellettuali della zona, avevano partecipato ai moti del 1848 ed avevano tentato di impedire ad un distaccamento militare austriaco, bloccandolo sul Monte San Martino, di raggiungere Udine per reprimere l’insurrezione. L’Austria non aveva voluto ripristinare le vecchie autonomie ed aveva mantenuto i nuovi ordinamenti francesi, per cui nel 1850 i sindaci del «Distretto di San Pietro degli Slavi» inviarono al luogotenente del Regno Lombardo – Veneto, conte Radetzky, un «ricorso» nel quale chiedevano due cose: una «giudicatura propria e locale di prima istanza» e «impiegati e adetti alla medesima che conoscano, oltre l’Italiano, la lingua Slava». Autonomia giudiziaria, quindi, e uso della lingua locale nell’amministrazione della giustizia, come ai tempi della Repubblica di Venezia. L’Austria fece orecchi da mercante, da qui l’adesione unanime dei votanti della Slavia al giovane Regno italiano. Il secondo motivo, per ridimensionare la retorica sull’adesione totalitaria degli sloveni all’Italia, va ricercato nei numeri e nelle modalità del plebiscito. Nei sette comuni delle Valli del Natisone votarono sì 3867 persone, su circa 14 mila abitanti. Meno di un quarto, perché potevano partecipare al voto solo i maschi e con un certo censo. Curiosa anche la modalità della votazione che avveniva palesemente in un clima di festa e musica. «Plebiscito a suon di remonica a San Pietro e a San Leonardo in località Nanarbie – scrisse nel suo taccuino il vicario di San Leonardo, don Antonio Banchig –. I suonatori di remonica ogni sera per tutto l’anno passavano per le borgate suonando e gridando: Viva Vittorio Emanuele re d’Italia con Roma capitale». È da ricordare, infine, che il plebiscito fu del tutto inutile ai SLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 4 fini del passaggio della Slavia e di tutto il Veneto all’Italia: la decisione venne presa a Vienna dove già il 3 ottobre fu firmato il trattato di pace. L’anticlericalismo italiano Il Regno d’Italia, arrivato in Friuli nel 1866, non era ammantato solo da un radicale nazionalismo, frutto di una concezione dello stato di stampo giacobino, che considerava le minoranze linguistiche come corpo estraneo da assorbire dal momento che espellerlo avrebbe comportato pericolose reazioni interne e internazionali. La nuova formazione statale era pervasa anche da un feroce anticlericalismo che vedeva nella Chiesa e nel clero il maggiore ostacolo al compimento del disegno dell’unificazione dell’Italia con Roma capitale. Lo Stato pontificio, già sostanzialmente ridimensionato con la perdita di alcune regioni a favore del Regno Sabaudo nel 1860, possedeva Roma con il Lazio e resisteva alle minacce politiche e militari sotto il pontificato di Pio IX sostenuto da tutta la la Chiesa italiana e universale. La micidiale combinazione tra nazionalismo e anticlericalismo si riversò, nei decenni successivi, sulla Slavia Friulana provocando un dissesto culturale e sociale, cui i sacerdoti sloveni si opposero con tutte le forze. Durante il fascismo furono messi a tacere e minacciati di confino; nel 1933, con un intervento che violava il concordato appena firmato, Mussolini proibì loro di predicare, spiegare il catechismo, usare canti e preghiere nella locale lingua slovena secondo una millenaria tradizione. Dopo la seconda guerra mondiale, con fatica ripristinarono in alcune parrocchie lo sloveno e nel 1966 fondarono il periodico Dom, un mezzo di informazione e formazione religiosa e culturale nel solco di una tradizione anche scritta in lingua slovena, a cominciare dai catechismi per arrivare al Trinkov koledar, il cui primo numero fu stampato nel 1953, in occasione del 90° compleanno del poeta di Tercimonte. Ma torniamo ai fatti del 1866 in Friuli e nella Slavia. L’impatto dell’amministrazione italiana con la realtà del Friuli non fu idilliaco e già nei primi mesi prevalsero tra la popolazione ed il clero la prudenza e l’ostilità di fronte al nuovo apparato politico che non nascondeva il suo anticlericalismo. L’arcivescovo di Udine, mons. Andrea Casasola (1863–1884), come scrisse Quintino Sella, commissario del re per la provincia di Udine, tenne un contegno «sprezzante», mentre «tutti gli altri vescovi del Veneto fecero a gara nell’aderire al nuovo governo». Di fronte a questo atteggiamento lo stesso Sella comunicò al presidente del Consiglio, Bettino Ricasoli, l’intenzione di confinare a Cagliari l’arcivescovo Casasola. L’atteggiamento dell’arcivescovo e della maggioranza del clero e dei cattolici del Friuli nei confronti della nuova amministrazione italiana era giustificata dai provvedimenti che le autorità avevano adottato negli anni e nei mesi precedenti. Il 17 maggio 1866, con la firma di Vittorio Emanuele II, entrò in vigore la legge Crispi, che accordava al governo del Re la facoltà di assegnare il domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, ai camorristi e a tutte le persone indiziate di voler restaurare l’antico ordine di cose, o nuocere in qualunque modo all’unità d’Italia. Giustamente la legge fu chiamata «del sospetto», perché chiunque poteva essere oggetto delle sanzioni previste in base ad una semplice denuncia verbale di agire contro l’unità dello Stato. Appena le legge fu sancita, nei territori già facenti parte del Regno d’Italia, il governo senza alcuna forma di processo mise in carcere e cacciò in esilio alcuni sacerdoti e vescovi italiani. Nel mese di giugno del 1866 venne approvata la legge che stabiliva la soppressione delle congregazioni religiose e che le «case e gli stabilimenti appartenenti agli ordini, alle congregazioni, alle corporazioni» siano incamerati dallo Stato. Il giornale «L’osservatore cattolico» di Milano scrisse che quella legge «era stata giurata nelle congreghe dei framassoni. In quel giorno Crispi gridava: “Il cattolicesimo ha fatto il suo tempo”» e mentre i deputati votavano la legge, il parlamento «non pareva un’aula di legislatori. Gli spropositi, i nonsensi, le contraddizioni, le bestemmie scoppiavano, s’incrociavano, cadevano da tutte le parti». Da questo clima di ostilità verso la Chiesa si comprende perché non c’era nessun motivo per la Chiesa udinese di desiderare l’Italia liberale, anche se negli anni dopo Villafranca anche in Austria iniziano riforme dello stesso segno politico, nonché dello stesso intento liberalizzatore. Quanto fossero stati fondati i timori per l’arrivo delle nuove autorità italiane, fu dimostrato da una serie di provvedimenti a scapito delle istituzioni ecclesiastiche: furono requisite chiese e conventi, i cappuccini di Udine furono costretti a riscattare il loro convento con i frutti di una colletta. Lo stesso san Luigi Scrosoppi, della congregazione dei filippini, il benefattore delle «derelitte» e dei poveri, fu fatto oggetto di angherie, la sua chiesa e la residenza dei padri furono requisite, mentre la comunità dei gesuiti, ospite dei filippini e retta da p. Antonio Banchig da Tarcetta, prese la strada dell’esilio e trovò rifugio a Gorizia. L’insulto più in voga contro i preti e i cattolici era: papista, gesuita, filippino! Il clero sloveno Lo stesso arcivescovo mons. Casasola subì un’aggressione il 15 marzo 1867, «quando una folla inferocita – come scrisse il giornale cattolico “Il cittadino italiano” (18-19. 5. 1881) – invase e mise a soqquadro il palazzo arcivescovile. Chi disse che si voleva uccidere l’arcivescovo, altri che lo si voleva far fuggire. Fatto è che dal quel giorno e fino al 25 marzo dell’anno successivo mons. Casasola rimase chiuso in palazzo, prigioniero volontario, in segno di protesta. Ne uscì per recarsi a Torino al matrimonio del principe ereditario Umberto con Margherita, svoltosi il 22 aprile 1868. Rientrato a Udine, gli fu comunicata la nomina a grand’ufficiale della Corona d’Italia, onorificenza che, a quei tempi, s’accordava ben raramente e per meriti insigni». Ma mons. Casasola gentilmente ringraziando pregò […] per doveri di coscienza, di essere sollevato di accettare l’offerta onorificenza». Per il momento il clero sloveno dell’arcidiocesi di Udine, in particolare nelle Valli del Natisone, non fu fatto oggetto di particolare attenzione e alle autorità passò inosservata la pubblicazione nel 1869 del catechismo sloveno per i fedeli dell’arcidiocesi di Udine, voluto dallo stesso mons. Casasola. Conseguenze negative riguardo all’uso dei dialetti sloveni nelle chiese, invece, si ebbero nelle Valli del Torre e del Cornappo. Già nel 1866 non si predicò più in sloveno a Ramandolo, Cergneu, Pradielis, Cesariis, Stella, Flaipano; nel 1870 a Villanova delle Grotte e Lusevera, dieci anni più tardi a Malina, nel 1885 a Montemaggiore, Taipana e Monteprato, nel 1890 fu la volta di Monteaperta e Chialminis. Resta aperto il quesito se in questi paesi ci fu un intervento delle autorità, civile e/o religiosa, per proibire lo sloveno oppure si verificò un cedimento «naturale» favorito dal clima nazionalistico e dalla mancanza di sacerdoti che conoscessero la lingua locale. Il governo intervenne nel campo dell’istruzione, moltiplicando le scuole nei comuni, fondando nel 1876 a San Pietro al Natisone (fino al 1867 San Pietro degli Slavi) l’istituto magistrale «allo scopo di preparare le giovanette slovene, desiderose di avviarsi alla carriera dell’insegnamento elementare». I risultati in questo campo furono insignificanti, vuoi per la mancanza di mezzi adeguati vuoi perché il dialetto sloveno era usato nelle famiglie, in chiesa, nel paese e in tutte le manifestazioni che non avevano carattere di ufficialità. Nel 1895, dopo 19 anni di presenza italiana nella Slavia, Francesco Musoni è costretto a riconoscere che l’istruzione «come viene impartita, non raggiunge lo scopo che si propone: lo scopo cioè di far apprendere la lingua italiana». G. M. (Dom, 15. - 31. 10. 2006) UDINE-VIDEM Gli 80 anni de «la Vita Cattolica» È intervenuto il presidente del senato, Franco Marini «L’esempio di dignità e di civiltà che viene dalla vostra terra è un paradigma straordinario di coesione sociale e di armonia culturale. Una coesione e un’armonia che si sono sviluppate all’interno della vostra stessa Regione, tra minoranze e comunità etniche diverse, tra lingue e tradizioni peculiari». È questo uno dei passaggi più significativi del discorso che il presidente del Senato, Franco Marini, ha pronunciato nel corso della celebrazione dell’ottantesimo anniversario di attività del settimanale diocesano «la Vita Cattolica», che ha avuto luogo lo scorso 13 ottobre, nel centro Paolino di Aquileia di Udine, in una cornice di festa e di sentita condivisione del messaggio che il giornale ha diffuso accompagnando, passo dopo passo, la storia del Friuli in questi decenni. Alla festa – a fare gli onori di casa è stato il direttore Ezio Gosgnach – hanno partecipato numerose aurorità, tra le quali senatori e deputati friulani, assessori e consiglieri regionali, vicari foranei, numerosi sacerdoti, collaboratori e diffusori del giornale. «La comunità friulana – ha ricordato il presidente del Senato – ha attraversato il Novecento affrontando problemi profondi e gravi. L’emigrazione anzitutto, verso le Americhe, e con diverse ondate. Quasi tutti questi italiani che partivano spesso conoscevano solo le loro lingue locali, e solo attraverso di queste, comunicavano tra di loro». Marini ha poi ricordato gli anni del secondo conflitto mondiale e della guerra fredda, il disastroso terremoto del 1976 e l’opera di ricostruzione che rimane una lezione morale e civile che la comunità friulana seppe dare e che rimane, ancora oggi, scolpita nella coscienza di tutti gli italiani. «Il vostro giornale, animato da cattolici, ma offerto e letto da tutta la comunità, – ha sottolineato Marini – è stato un vero strumento di crescita civile e democratica. Una testimonianza concreta e forte di come una profonda ispirazione religiosa e morale possa innervare e alimentare di nuova linfa la vita sociale, la stessa crescita della democrazia civile e politica». L’arcivescovo, mons. Brollo, è andato alla radice del messaggio del settimanale diocesano: «la Vita Cattolica – ha sottolineato – ha un solo proprietario: il Vangelo, per questo è stata e continua ad essere un giornale per la gente e della gente, mantenendo lo stile del clero friulano». L’arcivescovo ha evidenziato come il settimanale diocesano non si sia interessato solo della vita della Chiesa, ma di SLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 5 tutto il Friuli, «di qui le battaglie: da quella per l’Università all’impegno per difendere la lingua e la cultura friulane». Il presidente della editrice del giornale, mons. Igino Schiff, ha detto che «la Vita Cattolica vive accanto a tanti altri mezzi di informazione e con loro è capace di interloquire, sempre attenta al nostro mondo particolare, alla cultura e alle lingue locali, ma anche aperta agli apporti di retaggi diversi». Ad esprimere l’apprezzamento per l’opera del settimanale diocesano in questi ottant’anni e il suo impegno per la crescita culturale e civile del Friuli sono stati il presidente del consiglio regionale, Alessandro Tesini, il quale ha ricordato come «La Vita Cattolica prima di altri ha cominciato a raccontare le storie dei paesi, dei borghi, delle frazioni. Per questo più e meglio di altri ha saputo dare voce al Friuli», il presidente della provincia, Marzio Strassoldo che ha dato atto al giornale di essere stato «strumento di animazione, impulso e stimolo per le grandi questioni del Friuli», il sindaco di Udine, Sergio Cecotti, che ha sottolineato il legame tra il giornale e la cultura del territorio. A tracciare un ampio profilo storico de «la Vita Cattolica» è stato lo storico Gianfranco Ellero. Sotto il regime, ha ricordato, il giornale era «afascista» ed era l’unico «in cui la politica e la glorificazione del regime erano confinate in seconda pagina». Ellero ha ripercorso i decenni che vanno dalla seconda guerra mondiale al periodo del terremoto e della ricostruzione, dalle lotte per l’istituzione dell’Università del Friuli all’impegno per l’epprovazione della legge di tutela delle minoranze e per le trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua friulana. «Nel giro di ottant’anni – ha concluso il prof. Ellero – il Friuli cistiano e contadino cantato da Pier Paolo Pasolini e da altri poeti di lingua friulana, da terra di emigrazione si è trasformato in terra di immigrazione; da terra di confine, e per lunghi anni di frontiera, si ritrova al centro di un grande spazio supernazionale che sta riprendendo la forma dell’antica Metropoli di Aquileia fra Antichità e Medio Evo: ciò significa che il futuro, anche immediato, sarà molto diverso dal passato che ho fatto scorrere sulle parole in questo breve profilo storico, e giustamente il settimanale si pone come monitor ecologico e sociale, più che politico, e come luogo di pratica linguistica, visto che sta dando continuità alle rubriche in friulano e, una volta al mese, anche a contributi in sloveno, per dar voce in lingua originale alla Slavia friulana». Al termine il presidente del Senato e l’arcivescovo di Udine hanno consegnato riconoscimenti a diverse personalità, tra le quali anche a mons. Marino Qualizza, che da lunghi anni cura per il settimanale una seguita rubrica su questioni telogiche. G. B. (Dom, 31. 10. 2006) Alessandro Tesini, alla celebrazione al Sacrario monumentale, nel quale sono tumulati i resti di 453 sloveni e croati, che furono internati nel campo di concentramento di Gonars. Qui, infatti, tra il 1941 e il 1943, furono rinchiusi cinquemila civili deportati per motivi politici dalla provincia di Lubiana. Tesini ha, inoltre, ricordato che il prossimo anno la Slovenia adotterà l'euro e con il primo gennaio 2008 assumerà la presidenza dell'Ue, mentre per la Croazia è ormai avanzata la procedura di adesione all'Unione. «L'Unione europea non è un qualsiasi accordo intergovernativo – ha sottolineato Tesini – ciascuno di noi ha ceduto sovranità all'Ue per affidare a quella dimensione gli obiettivi di una politica di pace, di sicurezza, di stabilità, di benessere per i nostri cittadini ed è nell'orizzonte dell'Ue che noi oggi ci ritroviamo. Non si entra nell'Ue a metà e men che meno vi si rimane a metà». «Per questo è indispensabile il lavoro che abbiamo cominciato a fare, da anni, anche con l'appuntamento di Gonars – ha detto ancora Tesini – perché si creino le condizioni affinché i presidenti dei nostri Paesi non compiano un gesto genericamente simbolico, ma segnino una situazione nuova, che ci consenta di guardare al passato con pieno rispetto delle reciproche vittime». «Trovarci assieme, rendere omaggio a queste vittime, dicendo chiaramente che la causa per cui sono morte, a distanza di tanti anni, è stata vinta perché i giovani di oggi possono vivere in un mondo diverso, migliore – ha insistito Tesini – diventa un gesto non retorico. E saldiamo il pegno del prezzo pagato con le vittime innocenti di quella barbarie, violenza e crudeltà che, proprio grazie all'Ue, siamo riusciti a lasciarci alle spalle sapendo costruirci una realtà dove ciascuno di noi resta se stesso, sapendo convivere in una dimensione più ampia». «Il giorno in cui questo si realizzerà – ha concluso Tesini – avremo veramente vinto e l'omaggio reso alle vittime di Gonars sarà davvero compiuto». La celebrazione, organizzata dal Consolato Generale di Trieste della Repubblica di Slovenia, si è svolta alla presenza anche del vicepresidente dell'Assemblea Nazionale Slovena, Marko Pavliha, che a sua volta ha parlato dell'importanza di riconoscere la storia per costruire il futuro e dell'impegno a costruire un'Europa di pace, armonia e prosperità. La realtà del campo di concentramento di Gonars e il contesto storico sono stati delineati dal sindaco Ivan Cignola e testimonianze sono state portate dal rappresentante regionale dell'Anpi, Luciano Rapotez, e da Slavko Malnar per le delegazioni croate di Cabar e Fiume. Erano, inoltre, presenti il console di Slovenia Bo¡idar Humar e i consoli di Croazia, Miriam Matan@ic e Davorka Sari@. TRIESTE-TRST GONARS Omaggio di Tesini alle vittime slovene L'omaggio alle vittime del campo di internamento di Gonars è diventato, da tempo, l'occasione attraverso la quale abbiamo imparato a fare i conti con la storia, con le responsabilità che le nostre nazioni, i nostri popoli e le nostre istituzioni si sono assunti con il passato: per guardare avanti. Un futuro che è nella appartenenza alla stessa Unione Europea. Lo ha affermato il presidente del Consiglio regionale, SLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 6 I sogni spezzati dei bambini nei Campi del Duce In una mostra l’orrore della guerra e dei lager visti con gli occhi dei più piccoli Sono struggenti e sconfortanti, come lo possono essere tutti i ricordi di qualsiasi guerra, ma finiscono per essere ancora più tristi e dolorosi, quando si scopre che a scriverli sono state le piccole dita di mani infantili, delle più vulnerabili vit- time di tutti i conflitti, internate nei «Campi del Duce», come vennero definiti da Capogreco i campi di concentramento di Arbe, Gonars, Monito, Visco, Renicci e Padova. E proprio a loro, ai mille sogni spezzati, all’accettazione della più crudele realtà, ma soprattutto ai tanti dolorosissimi ricordi che si portano indelebili all’interno della propria memoria, è dedicato l’omaggio intitolato «Quando morì mio padre», visitabile alla Risiera, fino al 28 gennaio 2007. La mostra, corredata anche da una documentatissima pubblicazione, è opera di tre storici, Metka Gomba@, Boris M. Gomba@ e Dario Mattiussi, che con il supporto del Centro Isontino di Ricerca e Documentazione storica e sociale, Leopoldo Gasparini, hanno voluto rendere pubblici una serie di documenti, disegni e testimonianze di bambini sloveni e croati, internati nei campi di concentramento del confine orientale, tra il 1942 e il 1943. L’allestimento curato dai Civici Musei, dall’Assessorato alla Cultura, dal comune di Trieste e dalla Commissione scientifica della Risiera, ha così riproposto lo struggente argomento del confino infantile, a cui sono state sottoposte alcune migliaia di bambini sloveni e croati. La chiave di lettura, alla quale si è dedicata la Gomba@, è alquanto inconsueta e si rifà a un vasto lavoro di ricerca, all’interno del quale la storica di Lubiana ha passato in rassegna voluminosi documenti cartacei custoditi dall’Archivio di Stato della Repubblica di Slovenia e dal Museo sloveno di storia contemporanea (che hanno concesso anche il materiale esposto), estrapolando tutto ciò che si riferiva alle sofferenze ed ai ricordi dei più piccini. Come spiega la stessa ricercatrice «a molti dei bambini che dopo l’8 settembre 1943 ritornarono a casa o in ciò che era rimasto dei loro paesi e dei loro agglomerati di villaggi, fornirono aiuto le organizzazioni di base del fronte di liberazione, che permisero loro di raggiungere regioni non provate dalla guerra, dove venivano seguiti dai servizi scolastici e sociali». E proprio in queste regioni le più giovani vittime vennero stimolate, in forma di terapia, a riscrivere le proprie memorie e a raccontare le sofferenze sopportate nei mesi di internamento. «La diligenza di chi pensò di archiviare questi scritti ha fatto arrivare fino a noi queste testimonianze, rendendoci partecipi degli eventi», offrendoci un punto di vista non certo viziato o strumentalizzato, ma soltanto sconvolto da ciò che ha dovuto sopportare. Ivana Godnik (Il Piccolo, 7. 11. 2006) UDINE-VIDEM Le minoranze a 25 anni dalla risoluzione Arfé Nel corso del convegno sono intervenuti anche rappresentati della minoranza slovena In occasione del 25° anniversario dall’approvazione della risoluzione Arfè, lo scorso 11 ottobre si è tenuto a Udine un convegno sull’importanza e sul contenuto di quel documento, sulla legge italiana, sulla normativa affine vigente nel nostro Paese e sulla mancata attuazione della legge di tutela in Italia. In apertura del convegno, svoltosi sotto il patrocinio dell’Università di Udine, la riflessione sul significato stori- co della prima risoluzione di Arfé, coordinata dall’ex presidente dell’Ufficio europeo per le lingue meno diffuse, Donald O’Riagaina, è stata offerta dal professore Claudio Cressati e dallo scrittore Sergio Salvio. A questo proposito va ricordato come Arfé iniziò ad occuparsi delle minoranze e dei loro diritti, che considerava uno dei pilastri fondamentali sui quali costruire l’Europa unita, dopo aver incontrato gli sloveni della Slavia friulana, a Cividale nel 1979, nel corso della sua campagna elettorale per l’elezione del primo parlamento europeo. Di quell’epoca, in cui la comunità slovena operava in un clima politico ostile, ha parlato Viljem #erno. Ci vogliono fondi per il bilinguismo La sezione pomeridiana del convegno è stata introdotta da MarcoStolfo con una relazione dettagliata sullo sviluppo del diritto internazionale in tema di tutela delle minoranze linguistiche fino ai giorni nostri. La dr. Silvana Schiavi Fachin si è, invece, soffermata sulla realtà della regione Friuli Venezia Giulia ed ha approfondito la questione del bilinguismo e plurilinguismo, che necessita un notevole impiego di risorse in termini di impegno profuso, impiego di finanziamenti per l’istruzione e non solo, dal momento che l’uso delle lingue deve essere esteso a tutti i contesti di vita e a più livelli. La Fachin ha, inoltre, sottolineato la necessità di un’attiva politica di promozione del plurilinguismo, un fenomeno con il quale il bambino deve familiarizzare nella prima infanzia, a cominciare dalle lingue parlate nell’ambiente in cui vive. Nella nostra realtà regionale questo comporta inserire nel processo di formazione il friulano, lo sloveno ed il tedesco. L’ex deputato Franco Corleone, che ha descritto il difficile iter dalla legge 482 nel parlamento italiano, ha sottolineato quanto sia grande la responsabilità della classe politica regionale per la non attuazione della legge in tema di mezzi di comunicazione. Ha, inoltre, richiamato l’attenzione sulla necessità di una particolare rete radiotelevisiva per il friulano. Nel suo intervento Iole Namor, che ha parlato a nome del Comitato 482, ha sottolineato come oggi lo sloveno, il friulano ed il tedesco godano di maggior visibilità in regione: molte sono infatti le amministrazioni locali, compresa la provincia di Udine, che hanno esposto le tabelle con la toponomastica bilingue in varie località, al contrario di alcuni comuni della Slavia friulana. Le amministrazioni pubbliche hanno istituite gli sportelli per la promozione delle lingue minoritarie, le cui competenze vanno, però, ulteriormente sostanziate ed estese a tutto il territorio. Visibilità delle lingue minoritarie La comunità slovena della provincia di Udine, ha aggiunto Jole Namor, dev’essere oggetto di attenzione sia da parte della provincia che della regione. Ha poi sottolineato come, nonostante le amministrazioni pubbliche inizino ad attuare la legge di tutela 482, resta critica la situazione in cui versa la scuola, dove le grandi aspettative delle tre comunità minoritarie regionali sono state solo in parte soddisfatte e soprattutto per la mancanza di fondi. Per quanto riuarda la programmazione Rai nelle lingue minoritarie, invece, la situazione è rimasta perlopiù invariata. Nel corso dell’ultima parte del convegno sono intervenuti i rappresentanti delle tre comunità minoritarie: per la comunità di lingua tedesca, Velja Plozner, il presidente dell’Agenzia regionale per la lingua friulana-Arlef e in rappresentanza della commissione regionale consultiva slovena, Mario Lavren@i@. SLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 7 L’amministrazione regionale va nella giusta direzione La legge di tutela per gli sloveni è ancora su un binario morto, ha sottolineato Lavren@i@, il quale ha poi fornito un’illustrazione dettagliata della problematica slovena, contestualizzandola nell’ambito del progetto di realizzazione dell’euroregione. Lavren@i@ ha aggiunto che, a piccoli passi, la regione si sta muovendo nella giusta direzione. A questo proposito ha fatto particolare riferimento alla legge regionale per la minoranza slovena, nata in accordo e in collaborazione con le organizzazioni più rappresentative della stessa. Ha, infine, sollevato la necessità che, in futuro, nell’ambito della legge elettorale regionale e nazionale sia garantito il seggio per un rappresentante sloveno. Il ruolo dell’Università a Udine Nell’ultima parte del convegno, concluso dagli interventi della docente di lingua e cultura friulana presso l’Università di Udine e nuova direttrice del centro per la ricerca del friulano-Cirf, , Piera Rizzolati, si è tenuto un dibattito su quanto l’Università può fare per le minoranze. È stato, quindi, sottolineato che, oltre al friulano per la cui affermazione l’ateneo udinese riveste un ruolo importante, è necessario che l’Università si impegni anche nella promozione del plurilinguismo regionale. L’Università riveste altresì un compito importante per la crescita culturale generale e di sensibilizzazione e informazione in tema di minoranze linguistiche. (Novi Matajur, 19. 10. 2006) IL COMMENTO Un anniversario importante Nell’Europa di un tempo, divisa in due parti dalla Cortina di ferro, le minoranze rappresentavano un elemento di disturbo. Venivano, infatti, considerate una minaccia alla stabilità fondata sul rigido equilibrio dei due blocchi, a loro volta costituiti da Stati nazionalistici, ognuno dei quali rappresentava un sistema ermeticamente chiuso. La società civile, nel senso che le attribuiamo oggi, era allora ancora «in fasce», mentre il mondo della politica e della scienza ignoravano il concetto di «diversità linguistica». La preoccupazione per le minoranze era presente solo laddove queste rappresentavano una potenziale minaccia per la stabilità dei singoli Paesi o dei rapporti internazionali, allora segnati severamente dai confini tracciati a Jalta. Anche per questo motivo nessuno si occupava seriamente della questione e ogni appello veniva ignorato. Questo il clima in cui, nel 1979, nacque il primo parlamento democratico europeo eletto. Appena due anni più tardi questo parlamento affrontò il tema del plurilinguismo, che oggi rappresenta un elemento integrante della società europea. Se si è arrivati a questo, il merito va a un piccolo gruppo di deputati, soprattutto appartenenti al partito socialista, con due figure di rilievo: John Hume il laburista nord irlandese e il premio nobel per la pace (che gli fu assegnato per il Trattato di pace per l’Irlanda del Nord) e il socialista italiano, Gaetano Arfé, un umanista convinto assertore dell’importanza delle minoranze linguistiche in Europa e della necessità che questa iniziasse ad occuparsi del plurilinguismo. Così, 25 anni fa, nel 1981, fu approvato il documento di Arfè, il primo documento internazionale in tema di tutela SLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 8 delle minortanze linguistiche, al quale seguirono due convenzioni del Consiglio d’Europa, i documenti Ovse e l’attestato delle Nazioni unite, tutti approvati all’indomani della caduta del muro di Berlino, quando la questione della minoranza era al centro dell’attenzione e tutto era molto più semplice. Allora il documento di Arfé era considerato un atto coraggioso, che ha aperto la via ad un diverso modo di guardare alle minoranze. Per questo motivo si tratta di un anniversario importante. Bojan Brezigar (Primorski dnevnik, 11. 10. 2006) UDINE-VIDEM Una finestra sulle minoranze in Europa Nell’ambito della manifestazione «Lingue minoritarie. Friuli Venezia Giulia», organizzate a 25 anni dalla prima risoluzione Arfé sulla tutela delle minoranze linguistiche, adottata dal parlamento di Strasburgo (16 ottobre 1981) è stata allestita nell’atrio di Palazzo Antonini la mostra «Chê altre Europe. Mostre su lis minorancis linguistichis e nazionâls inte Unione europeane». Si tratta di una panoramica molto completa e graficamente efficace della realtà delle minoranze linguistiche in Europa, presentate su grandi pannelli, paese per paese. Vengono indicati il territorio d’insediamento, la diffusione e soprattutto il grado di tutela dei loro diritti che varia notevolmente. Un lavoro pregevole anche per la grande sintesi che ha richiesto e per lo sforzo di rendere graficamente realtà per loro stessa natura complesse e diversificate. Nel quadro europeo colpisce in particolare la situazione italiana per la pluralità delle minoranze linguistiche e nazionali presenti sul suo territorio e nel caso di Friuli e Sardegna anche la loro consistenza. La mostra, preparata in occasione dei 25 anni di attività di radio Onde Furlane, è stata realizzata da Carli Pup e per la parte grafica da Luisa Tomasetig. È un lavoro che dovrebbe essere presentato nelle scuole e nei centri culturali della nostra provincia e non soltanto. Sarebbe opportuno però affiancare alla mostra, che peraltro è tutta in friulano, anche un opuscolo che aiuti nella lettura di una realtà a livello italiano ed europeo molto articolata e stimolante. (Novi Matajur, 19. 10. 2006) UDINE -VIDEM Lo sloveno emarginato dalla provincia La denuncia in consiglio del consigliere Shaurli «Lo sloveno va tutelato con azioni concrete, piuttosto che attraverso belle enunciazioni, che rimangono lettera morta». È il grido d'allarme lanciato al presidente della Provincia di Udine, Marzio Strassoldo, durante il consiglio provinciale del 2 ottobre, che prevedeva, tra l'altro, la ricognizione dello stato di attuazione dei programmi. Ne è stato autore il capogruppo dei Ds, Cristiano Shaurli, che, nel corso di un intervento a tutto campo, si è detto «seriamente preoccupato per le attività del settore cultura». «Questa amministrazione – ha detto Shaurli – ha richia- mato spesso le peculiarità socioeconomiche, culturali e linguistiche della Provincia di Udine, così come il policentrismo regionale che peraltro condivido. Non vorrei, tuttavia, che il richiamo fosse soltanto simbolico e strumentale, poiché la stessa Provincia di Udine è policentrica ed è ancor più ricca culturalmente proprio per le sue diverse specificità». Dopo questo cappello introduttivo, il diessino è entrato nello specifico, ovvero si è riferito specificamente alle azioni di tutela delle lingue minoritarie. «Analizzando il documento di ricognizione – ha denunciato Shaurli – pare, invece, che la Provincia di Udine pensi di tutelare e valorizzare una specificità culturale e linguistica di straordinaria importanza come quella friulana, rendendola egemonica sull'intero territorio provinciale e non rendendosi conto di fare, così, un torto in primis alla stessa lingua, cultura e storia che si vorrebbero valorizzare». Un'accusa subito corredata dai numeri, quelli che fanno capo alle linee di intervento attuate in riferimento alla Promozione delle lingue minoritarie, così come previsto nella L.482/99. «È davvero preoccupante – ha rimarcato Shaurli – la situazione degli sportelli linguistici a palazzo Belgrado. Il friulano beneficia di 4 dipendenti già prorogati, il tedesco ne ha uno in scadenza, non ancora prorogato. Per lo sloveno manca ancora la figura dell'addetto. A questo stato di fatto si aggiungono numerose pubblicazioni, tutte in lingua friulana, la formazione per i dipendenti degli Eell con 6 corsi di friulano già effettuati e l'unico corso in sloveno non ancora effettuato. Voglio sottolineare che sto parlando della legge 482, poiché a queste attività sarebbero giustamente da aggiungere tutte quelle azioni previste dalla legge 15». Con la convinzione di chi reclama un sacrosanto diritto, Cristiano Shaurli ha contestato al presidente Strassoldo come, nei documenti della Provincia, «si continui a usare il plurale “lingue minoritarie”, in quanto nelle azioni concrete non vi è alcuna traccia di iniziative riguardanti le minoranze di lingua tedesca e slovena. Non capisco, invero, perché negli obiettivi che questa amministrazione si era posta si trovi ancora scritto “La Provincia di Udine ha inteso sviluppare un'ampia azione rivolta alla valorizzazione delle specificità e delle diverse espressioni linguistiche presenti sul territorio. Tali realtà vanno viste non soltanto come elementi di identificazione e di integrazione delle diverse comunità e di arricchimento del panorama culturale, ma come vera e propria risorsa”. Personalmente continuo a considerare le lingue minoritarie una grande risorsa e, pur dai banchi dell'opposizione, lavorerò per far in modo che anche l'ente Provincia, oltre che a declamarlo, operi in tal senso. Forse basterebbe qualche comparsata in meno per capire che il friulano di Lestizza non è la lingua che si parla a Sauris, Taipana o Pulfero, che queste espressioni linguistiche non soltanto non sono antagonistiche, ma hanno pari dignità, storia e importanza e alcune, purtroppo, hanno già dovuto subire tentativi di egemonizzazione forzata, della quale oggi, guardando all'Europa, nessuno spero senta la nostalgia». Concludendo l'intervento, Shaurli ha lanciato una frecciata al veleno, o, se vogliamo, una provocazione sarcastica. «Presidente Strassoldo — ha detto —, ritengo che l'assessore regionale Antonaz abbia già esaurientemente risposto alle sue critiche in merito al friulano sottofinanziato e che lo abbia fatto con il corredo dei numeri. Io mi permetterei soltanto di aggiungere alla sua richiesta alla Regione di “essere trattati almeno come gli sloveni”. Mi auguro, invece, che la Regione non ci tratti e non tratti il friulano con l'attenzione che, invece, lei riserva alla minoranza slovena di questa Provincia». Gianpietro Carniato (Dom, 15. 10. 2006) Incontro con i consiglieri regionali sloveni organizzato da Skgz e Sso CIVIDALE-#EDAD Rilanciare la cultura slovena All’ordine del giorno la situazione culturale ed economica nella Slavia friulana unedì 16 ottobre presso il Circolo culturale Ivan Trino, a Cividale, ha avuto luogo l’incontro tra i rappresentanti dei circoli culturali sloveni e di altre organizzazioni della provincia di Udine e i consiglieri regionali sloveni Tamara Bla¡ina, Mirko Œpacapan, Igor Kocijan@i@ e Bruna Zorzini Speti@. Nel corso dell’incontro, promosso dai comitati provinciali dell’Unione culturale economica slovena-Skgz e della Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso, si è parlato della situazione attuale della comunità slovena nella Slavia Friulana, della quale hanno tracciato un’ampia panoramica i presidenti provinciali dello Sso, Giorgio Banchig, e della Skgz, Jole Namor. Sono, quindi, intervenuti i rappresentanti sloveni delle Valli del Natisone, del Torre, di Resia e della Val Canale: la direttrice della scuola bilingue di San Pietro al Natisone, ˘iva Gruden, il presidente dell’Unione emigranti sloveni, Renzo Mattelig, l’operatore culturale Viljem #erno, la presidente del circolo culturale sloveno «Rozajanski dum», Luigia Negro, il presidente del circolo culturale sloveno Planika, Rudi Bartaloth, il ricercatore Riccardo Ruttar, per il circolo culturale Re@an, Aldo Clodig, il segretario dell’Unione agricoltori-Kme@ka L zveza di Cividale, Stefano Predan. Il principale obiettivo che le due organizzazioni slovene più rappresentative e le associazioni locali slovene perseguono nella provincia di Udine è la tutela della lingua e cultura slovene. In questa direzione ed in contesti differenti sono impegnati gli operatori politici e culturali. Nella panoramica generale sono le Valli del Natisone-Nediœke doline a godere di miglior copertura, mentre più critica è la situazione delle valli del Torre-Terske doline. La comunità slovena di Resia è bersagliata dalle polemiche sollevate da esponenti locali sul dialetto resiano, che il presidente della provincia di Udine, Marzio Strassoldo, sostiene essere una parlata locale. Posizione questa affermata addirittura nell’ambito della speciale commissione provinciale 482. Migliore il clima che si respira nella Val Canale-Kanalska dolina, dove, accanto alla minoranza slovena, sono presenti anche quella tedesca e friulana. Per un salto qualitativo del proprio operato sarebbe necessaria la creazione, a San Pietro al Natisone-Œpietar di un centro polifunzionale. Nella località opera l’Istituto per la cultura slovena che, in futuro, potrebbe diventare la «punta SLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 9 dell’iceberg» nella promozione linguistica e culturale. Ma il male peggiore per gli sloveni della provincia di Udine è rappresentato dalla mancanza di scuole slovene, una lacuna solo in parte compensata dalla scuola elementare e materna bilingui. In realtà sarebbe necessario l’istituzione di una scuola media con insegnamento di lingua slovena, mentre ad oggi c’è solo il corso di lingua slovena presso la scuola media di San Pietro. La scuola materna bilingue è, invece, alla ricerca di un’ubicazione per la sezione rivolta ai bambini che hanno dai due ai tre anni di età. Un problema ulteriormente aggravato dalla mancanza di spazi opportunamente attrezzati, mentre la scelta dei genitori di iscrivervi il proprio figlio può essere decisiva per la stessa scuola bilingue. La legge di tutela prevede anche l’insegnamento della lingua slovena presso le scuole superiori. L’istruzione slovena dovrebbe espandersi territorialmente e non limitarsi ad un solo comune. In questa direzione sono rivolti gli sforzi profusi a Tarvisio, dove si pone la necessità di creare una scuola che consideri anche le comunità friulana e tedesca. Un altro capitolo affrontato è l’uso dello sloveno nella sfera pubblica: gli sportelli bilingui non sono presenti ovunque, e neppure a Cividale-#edad. Un sevizio questo necessario, che lungi dall’essere strumento passivo, dovrebbe fungere da ruota motrice per la promozione della cultura slovena. Altro paragrafo importante la toponomastica bilingue, presente in alcuni comuni e in altri no, come anche la mancata ricezione della programmazione radiotelevisiva in lingua slovena, che rappresenta uno strumento importante per l’affermazione della lingua e cultura slovene. Per incentivare la crescita demografica della comunità locale slovena è necessario promuovere la cultura. Il quadro attuale è, infatti, demotivante: si assiste al progressivo spopolamento dei paesi di montagna, ad un’impennata del calo demografico e alla carenza di attività tradizionali, che potrebbero rappresentare un polo di attrazione per il turismo. Nel corso dell’incontro sono, inoltre, state sollevate diverse critiche sull’operato della Comunità montana TorreNatisone-Collio (nella cui sfera di competenza sono inseriti il comune più povero ed il più ricco della regione, rispettivamente Drenchia-Dreka e San Floriano-Œteverjan) e di alcune amministrazioni comunali, in merito alla mancanza di coordinamento e di una diversa politica linguistica, economica, ecc. Significativo quanto ha asserito Jole Namor: la comunità slovena era politicamente più forte quando le sue problematiche venivano considerate prioritarie dai programmi delle liste comunali, con il disgregarsi di queste ultime anche la stabilità degli sloveni è venuta meno. Si è, tra l’altro, parlato anche della questione delle organizzazioni slovene che il regolamento regionale definisce primarie e dell’apertura di nuove cave nelle Valli del Natisone. Dal canto loro, dopo aver fatto riferimento alle competenze della regione, della Comunità montana, dei comuni e dello Stato, i consiglieri regionali sloveni hanno sottolineato che la promozione del processo di collaborazione e di integrazione dei soggetti minori fa parte degli obiettivi dell’amministrazione Illy. Questo significa che la responsabilità della soluzione dei problemi non può ricadere esclusivamente sulla giunta e sul consiglio regionali. Per questo motivo e per evitare l’insorgere di problemi in futuro, i consiglieri hanno sollevato la necessità di maggiori contatti con la comunità slovena locale e, all’unanimità, hanno attribuito la colpa per alcune e gravi carenze alla mancata attuazione delle leggi di tutela 38/2001 e 482/99. Attuazione che, è stato sottolineato, spetta anche alla regione «caldeggiare». SLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 10 Plauso unanime degli intervenuti, invece, all’attenzione che la regione rivolge alla comunità slovena nell’ambito del nuovo statuto e della legge speciale per la minoranza slovena. Un passo in avanti questo che contempla nuove responsabilità. Le norme regionali e l’assegnazione dei finanziamenti, hanno ricordato i consiglieri regionali, sono invece di competenza di una commissione speciale emanazione dell’assessorato alla Cultura e presieduta da Antonaz, nell’ambito della quale la società civile slovena è rappresentata dagli esponenti dello Sso ed Skgz. Si è trattato di un incontro costruttivo, senza promesse irrealizzabili, ma con l’impegno di tutti a promuovere nel prossimo futuro una più stretta collaborazione. Anche per gli sloveni della provincia di Udine non sarà indifferente l’esito delle prossime elezioni regionali e il numero di consiglieri sloveni che sarà eletto in Consiglio regionale. In breve, se da una parte non è possibile risolvere tutti i problemi, molto si può fare, però, attraverso un lavoro pianificato e assegnando priorità ai problemi più urgenti. A. M. (Novi Matajur, 19. 10. 2006) MINORANZA Bersani, tagli alle minoranze Il decreto Bersani colpisce duramente anche le minoranze linguistiche. Nei tagli alla spesa pubblica, previsti dal decreto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 4 luglio scorso, a cui è allegato l'elenco, si trova infatti anche la voce «minoranze linguistiche». La «riduzione» prevista è di 1.813.273 euro per l’anno 2007, di 1.929.359 euro per il 2008 e di ben 4.387.405 euro per il 2009. Si tratta di tagli alla legge 482/99 di tutela delle minoranze linguistiche storiche la cui dotazione totale non raggiunge nemmeno i 10 milioni di euro. A lanciare l'allarme è il Comitato 482 tramite il suo portavoce Carli Pup. La legge statale 482 del 1999, approvata con grandissimo ritardo, si è ottenuta dopo anni di lotte e sacrifici ed ancora oggi non è applicata almeno in due settori fondamentali, quello dell’istruzione e dei mezzi di comunicazione (Rai). E ora, sottolinea Carli Pup, il governo vorrebbe ridurre drasticamente quei miseri fondi già di per se insufficienti a coprire le spese necessarie per l’applicazione della legge. È sempre la stessa musica, prosegue il portavoce del Comitato 482, per coprire anni di sperperi e di buchi fatti da quanti, a Roma, amministravano il bene pubblico, non si trova nulla di meglio che requisire le briciole destinate alle minoranze linguistiche. Dopo una decisione del genere cosa risponderanno da Roma al Consiglio d’Europa che aveva già duramente richiamato lo Stato italiano al rispetto dei diritti delle minoranze (Risoluzione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa del 14 giugno 2006)? Il Comitato 482 si rifiuta di accettare passivamente queste scelte vergognose e sottolinea che è possibile porvi rimedio con una modifica in sede di manovra finanziaria statale. Ricorda che la Regione, attraverso il Protocollo d’intesa con la Presidenza del Consiglio, sottoscritto a Roma il 6 ottobre scorso ha chiesto «un adeguato rifinanziamento della legge n. 482/99». Chiede inoltre a tutti i consiglieri regionali, a tutti i parlamentari eletti in Friuli Venezia Giulia, agli Enti locali di una regione come la nostra dove gli appartenenti alle minoranze linguistiche rappresentano la maggioranza della popolazione, di sostenere questa specifica richiesta e di adoperarsi, con tutti gli strumenti a loro disposizione, affinché il Governo e il Parlamento italiano la facciano propria. (Novi Matajur, 26. 10. 2006) COMITATO PARITETICO Primo passo nella giusta direzione Eletti dal Consiglio regionale i primi sette nuovi membri Il Consiglio regionale ha recentemente eletto sette nuovi membri del Comitato paritetico, cinque italiani e due sloveni: i due esponenti sloveni di centrosinistra Nives Koœuta e Stojan Speti@, che hanno raccolto il maggior numero di voti, e gli italiani Livio Furlan, Stefano Pizzin e Marino Vocci. Due gli esponenti eletti dal centrodestra, Adriano Ritossa e Stefano Rigotti. Ora la parola passa al governo, alla giunta regionale e agli amministratori locali, chiamati ad eleggere i loro rappresentanti. «Un passo questo che – sottolinea Sandor Tence nell’articolo di fondo pubblicato sul Primorski dnevnik dello scorso 26 ottobre – auspichiamo venga fatto in tempi brevi». «Il governo Prodi – continua l’articolo – ha, infatti, ritenuto opportuno che innanzitutto si rinnovi il Comitato paritetico per poi procedere con l’approvazione dell’elenco dei comuni, che il precedente Comitato paritetico aveva inviato a Roma per ben tre volte. Se da una parte le mutate condizioni politiche e amministrative richiedono il rinnovo del Comitato, dall’altra riteniamo che, senza attendere oltre, il consiglio dei ministri dovrebbe inoltrare l’elenco dei comuni, da inserire nel territorio di tutela, al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affinché questi ne prenda visione. L’insediamento del nuovo Comitato paritetico potrebbe, infatti, richiedere tempo senza contare, poi, che gli intoppi politici sono sempre dietro l’angolo». SLOVENIA Riconoscimento al circolo Ivan Trinko Il presidente della Slovenia, Drnovœek, gli ha attribuito l’Ordine d’oro al merito La massima onorificenza assegnata dal Presidente della Repubblica slovena è stata consegnata mercoledì 25 ottobre, a Lubiana, al circolo culturale Ivan Trinko di Cividale. Lo «Zlati red za zasluge», l’Ordine d’oro al merito, è un riconoscimento per gli oltre cinquant’anni di attività del primo circolo culturale costituito nella provincia di Udine. «Il circolo, pur in un’atmosfera sociale difficile – si legge nella motivazione – ha saputo svolgere la funzione di nucleo materno, dal quale negli anni Sessanta e Settanta del 20. secolo si sono sviluppate tutte le altre iniziative culturali, scolastiche e di ricerca nella Benecia». Alla cerimonia, avvenuta nel palazzo presidenziale, hanno preso parte, oltre al presidente Michele Obit – che ha ricevuto il riconoscimento dalle mani di Janez Drnovœek – gli ex presidenti ed i fondatori del circolo, oltre a rappresentanti delle associazioni Skgz e Zskd. Il circolo Ivan Trinko è la prima associazione della Benecia ad aver ricevuto un così importante riconoscimento dallo Stato sloveno. Viene così premiato l’impegno di tutti coloro che, a partire dal 2 ottobre 1955, si sono attivati per la conservazione e lo sviluppo della cultura slovena nelle nostre zone. Un impegno nato in tempi sicuramente più difficili di questi, quando dedicarsi alla tutela delle tradizioni e del dialetto sloveno locale era considerato, da alcuni, «un tradimento». Oggi l’attività del circolo spazia dalla pubblicazione di libri all’organizzazione di mostre e conferenze, fino alla recente produzione di film e documentari. Ogni anno il circolo pubblica poi il «Trinkov koledar», almanacco che rappresenta una «fotografia» della situazione sociale e culturale nelle zone della provincia abitate dagli sloveni. Importante è anche l’apertura dimostrata dal circolo nei confronti delle altre minoranze in Italia, oltre che i tradizionali, continui contatti con l’alta valle dell’Isonzo. «La Slovenia non vi ha dimenticato» ha rimarcato poco dopo la consegna del riconoscimento il presidente Drnovœek, prima di posare per una fotografia assieme ai rappresentanti del circolo. L’appuntamento lubianese è stata anche l’occasione per una rapida visita, accompagnati dal prefetto di Tolmino, Zdravko Likar – che ha proposto il circolo come meritevole dell’encomio – al parlamento sloveno, ospiti del parlamentare Jo¡ef Œkol@. I rappresentanti del circolo hanno anche avuto modo di conoscere di persona il neoeletto sindaco di Lubiana, Zoran Jankovi@. (Novi Matajur, 2. 11. 2006) TRIESTE-TRST Visita del ministro sloveno ˘agar La collaborazione tra le minoranze e l’euroregione gli argomenti affrontati Sarebbe opportuno allargare anche alle regioni del Prekmurje (in Slovenia, abitata da ungheresi) e del Porabje (in Ungheria, abitata da sloveni) la collaborazione, già intessuta nell’ambito dei progetti europei da Italia e Slovenia e inerente non solo gli stati, ma anche le minoranze delle zone di confine. E questo propri in relazione al fatto che all’interno del Prekmurje e del Porabje sono presenti le minoranze slovena e ungherese. Lo ha proposto il ministro sloveno all’Autonomia locale e alla Politica regionale, Ivan ˘agar, alla conferenza stampa, che ha avuto recentemente luogo presso la sede dell’Associazione regionale economica slovena-Sdgz, a Trieste. Nel corso della sua visita al capoluogo giuliano, il ministro ˘agar è stato dapprima ricevuto presso la sede della giunta regionale dal presidente Riccardo Illy, con il quale ha parlato di euroregione e delle interessanti possibilità di sviluppo che comporta; in seguito ha incontrato altri esponenti dell’amministrazione regionale. Presente alla conferenza stampa anche il sottosegretario sloveno, responsabile dell’Ufficio per gli sloveni d’oltre confine e nel mondo, Zorko Pelikan, che oltre a concordare con la proposta di ˘agar, ha sottolineato quanto la collabrazione nell’ambito dei progetti europei rafforzi le minoranze e il più ampio contesto in cui vivono. Dopo aver salutato positivamente la vasta gamma di possibilità e sfide che si stanno aprendo per lo sviluppo regionale, il ministro ˘agar ha, tra l’altro, ricordato che in Slovenia è in corso il procedimento che, nel 2009, porterà all’istituzione delle province. Una svolta questa che influirà sulla collaborazione transfrontaliera. Dopo aver sottolineato la necesità di una normativa di tuteSLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 11 la per la minoranza, che le consente di esercitare la funzione di ponte nei rapporti transfrontalieri, Pelikan ha accettato con soddisfazione la decisione del governo italiano di rinnovare il Comitato paritetico e, quindi, di rimuovere la legge di tutela dal binario morto sul quale si trova. (…) Per quanto riguarda la collaborazione futura tra le minoranze, ˘agar ha detto che sono tanti i canali attraverso i quali questa può essere esplicata, dal turismo alla cultura, dimensione quest’ultima che più di ogni altra fa emergere le loro diversità. (…) Ultimo atto della visita del ministro ˘agar a Trieste è stato l’incontro con i presidenti delle organizzazioni slovene più rappresentative, della Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso, Drago Œtoka, e dell’Unione culturale economica slovena-Skgz, Rudi Pavœi@, nonché con gli esponenti del mondo economico della comunità slovena in Italia e di quella italiana in Slovenia. P. R. (Novi glas, 2. 11. 2006) posito Fontanot ha aggiunto che, a causa del gemellaggio con il comune di Wagen, è prevista l’aggiunta del toponimo tedesco sulla tabella all’entrata del paese. «Se ci sono le tabelle bilingue in Istria, perché mai non dovrebbero esserci anche da noi?». A chiederselo il presidente del circolo culturale sloveno Jadro e operatore culturale, Karlo Mucci, che oltre a salutare con favore l’affissione delle tabelle, ne sottolinea l’importanza per la comunità slovena, invita anche il comune di Monfalcone a fare altrettanto e conclude: «Ora ci aspettiamo che la nuova amministrazione comunale proceda al rinnovo della commissione consultiva slovena». I. De. (Primorski dnevnik, 10. 10. 2006) RONCHI DEI LEGIONARI-RONKE Alla vista delle nuove tabelle stradali bilingui, che sono state installatete a Ronchi dei Legionari, si prova un’insolita soddisfazione poiché allo sloveno viene dato un posto di rilievo in una città collocata ai margini del territorio etnicamente di lingua e cultura slovene. Non si tratta solo di qualche tabella simbolica, utile a sgravare la coscienza degli amministratori, come è già successo altrove. Sono, infatti, centocinquanta le tabelle stradali affisse a Ronchi ben in vista sugli incroci, dal centro città alla strada che porta all’aeroporto. Se, per esempio, una cosa simile accadesse a Trieste, scatenerebbe una vera e propria rivoluzione e indurrebbe la gente a pensare che gli amministratori sono impazziti. Il comune di Ronchi dei Legionari, invece, sottolinea la normalità di questo intervento. Si tratta, infatti, di un ulteriore passo in avanti verso l’affermazione di un bilinguismo visibile, attraverso il quale si vuole sottolineare il riconoscimento della comunità minoritaria in un determinato territorio. La decisione dell’amministrazione comunale di Ronchi è tanto più degna di lode se solo pensiamo a quanti scrupoli genera l’introduzione del bilinguismo visibile soprattutto tra quelli che sul nostro territorio sono favorevoli alla minoranza ed alla convivenza. Non si tratta naturalmente di un caso o di un fatto unico in sé, ma dell’esito di una politica, che già da anni sta maturando a Monfalcone sotto l’egida delle amministrazioni di centrosinistra. Non ricordiamo che in essa abbiano mai esercitato la loro influenza posizioni antislovene, avanzate dalla destra, che non sono mancate anche in questa occasione. Un cenno va fatto anche al lodevole operato di importanti istituzioni culturali, tra le quali il centro culturale polivalente che pubblica la nota rivista, rivolta alla promozione della convivenza, «Il territorio». Questo ed altri circoli sono da anni interessati da una positiva ventata culturale, che ha contribuito a creare un’atmosfera, nell’ambito della quale per la maggior parte delle persone la lingua slovena è diventata un valore e non un problema. È, inoltre, più che positivo l’operato della comunità slovena locale, legata al circolo Jadro, della scuola di Vermegliano-Romjan e del comitato dei genitori. Un lavoro oneroso, che passa spesso inosservato il loro, al quale si aggiunge un altro tassello alla costruzione di una convivenza civile tra italiani e sloveni a Ronchi dei LegionariRonke. Duœan Udovi@ (Primorski dnevnik, 10. 10. 2006) Esposte 150 tabelle bilingui Un atto dovuto ed un investimento per la convivenza Lungo le strade del comune di Ronchi dei Legionari-Ronke sono state installate 150 tabelle stradali bilingui con i fondi stanziati in base alla legge di tutela 482/’99. È questo un atto attraverso il quale, oltre a sottolineare la connotazione bilingue di questa zona, vuole essere un riconoscimento all’operato della comunità slovena locale ed è espressione della volontà dell’amministrazione comunale, la quale, inserita nel territorio di attuazione della legge di tutela, usufruisce dei finanziamenti stanziati dalla legge per la valorizzazione della comunità slovena. (…) «La nostra amministrazione è da sempre impegnata nella promozione di una convivenza civile e democratica», sottolinea il sindaco Roberto Fontanot, alle prese, com’era prevedibile, con le reazioni polemiche dei partiti di destra. Tra questi ultimi a fare la voce grossa è, soprattutto, il consigliere comunale di Alleanza nazionale, Gaspare Petraia, il quale rimprovera all’amministrazione di aver tenuto all’oscuro il consiglio comunale dall’attuazione della legge 482, di trovare i fondi per le tabelle bilingui, al contrario di quanto accade per altre necessità e propone un referendum per decidere sull’installazione delle tabelle stesse. Gli risponde il consigliere comunale di Rifondazione comunista, Luigi Bon: «Ciò che per la destra rappresenta un problema, è interpretato dal resto della popolazione come una ricchezza culturale e linguistica del nostro territorio. In un’epoca in cui in tutta Europa assistiamo alla caduta dei confini, siamo chiamati ad investire nella promozione della convivenza. Dobbiamo renderci conto del ruolo fondamentale che riveste il riconoscimento dei diritti linguistici e della secolare storia della comunità slovena a Ronchi dei Legionari, dove opera attivamente e con successo una scuola con lingua d’insegnamento slovena. L’affissione delle tabelle è prevista dalle leggi del 1999 e 2001, quando quindici consiglieri firmarono la richiesta di inserimento di queste zone nel territorio di tutela». Il consiglio comunale di Ronchi ha, inoltre, approvato (con solo due voti contrari e 18 favorevoli) l’articolo dello statuto che consente l’uso delle lingue minoritarie nel corso dei consigli comunali. A questo proSLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 12 IL COMMENTO La politica della convivenza nel Monfalconese TRIESTE-TRST Scritte antislovene in via Montorsino È stata lordata con scritte antislovene l’insegna della scuola elementare slovena in via Montorsino a Roiano, da qualche anno dimessa per quell’uso. L’edificio ospitava la scuola elementare e media inferiore slovena «degli eroi di Basovizza-Fran Erjavec». Le aule ospitano attualmente lezioni della Glasbena Matica. L’atto vandalico è stato commesso durante la notte. In merito alla vicenda interviene il segretario dell’Unione slovena, Peter Mo@nik, che ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica, chiedendo che si proceda penalmente nei confronti dei responsabili. Nel documento Mo@nik sottolinea che non va perseguito solo l’imbrattamento. «La scritta aggiunta dagli imbrattatori è offensiva e violenta nei confronti della minoranza linguistica slovena autoctona della provincia di Trieste ed è, pertanto, reato previsto e punito dall’articolo 18-bis della legge n°482 del 15.12.1999. detto articolo è stato da ultimo modificato dalla legge n° 85 del 24. 02. 2006, che ha inspiegabilmente diminuito le penne prima previste, visto il tenore ed i contenuto della Convenzione di New York del 1966 per l’eliminazione della discriminazione razziale ed etnica, atto internazionale vincolante per l’Italia, più di una legge ordinaria». Prosegue l’avvocato Mo@nik: «La legge n° 482 del 15.12.1999 è operante in provincia di Trieste, come comunicato dal Ministero degli Interni al Consiglio d’Europa nel febbraio-maggio del 2004, in occasione del periodico rapporto sull’attuazione della Convenzione europea di tutela delle minoranze, ratificata da anni dall’Italia e per essa vincolante. Ad essa è necessario fare riferimento di intolleranza e di violenza (l’imbrattamento di una tabella di proprietà pubblica, indicante una scuola dell’obbligo della minoranza linguistica ricopre chiaramente entrambe le ipotesi) contro gli appartenenti alle minoranze linguistiche, singoli o collettivi che siano. Innumerevoli sono gli episodi simili a quello denunciato, che si ripetono da anni e visto che i “soliti ignoti” ben potrebbero essere persone già note alle Forze dell’Ordine o alla Giustizia, una perizia calligrafica potrebbe già dirimere i dubbi sugli eventuali responsabili». (Il Piccolo, 11. 10. 2006) SCUOLA I genitori seguono le orme dei figli L’alto numero di genitori iscritti al corso di sloveno per principianti, organizzato su iniziativa della direzione e dell’associazione dei genitori della scuola con lingua d’insegnamento slovena in via Brolo, a Gorizia, ha sorpreso anche gli stessi promotori. Nonostante non si tratti del primo corso, l’interesse catalizzato è notevole. Una risposta positiva questa che, auspichiamo, venga imitata anche altrove nell’ambito del territorio in cui risiede la minoranza slovena, e non solo a Gorizia. Tutto questo interesse nasce da finalità pratiche e si spiega con la volontà da parte dei genitori, italiani o di matrimoni misti, di apprendere la lingua slovena per poter segui- re nello studio i propri figli, iscritti alla scuola slovena. Da qui deriva anche l’insolito approccio metodologico di insegnamento dello sloveno, che nella sua semplicità sembra quasi geniale: per una volta sono, infatti, i genitori a seguire le orme dei figli nell’apprendimento della lingua, e non viceversa come di solito accade. Un esempio interessante e motivante, se aggiungiamo il fatto che gli stessi genitori sono disposti a pagare per apprendere lo sloveno attraverso lo svolgimento degli stessi compiti per casa che vengono dati ai loro figli. Cosa pretendere di più, dal momento che da tempo sosteniamo che si arriverà ad una svolta nell’affermazione della convivenza e della reciproca comprensione solo quando i nostri concittadini italiani e stranieri si sarebbero decisi ad apprendere lo sloveno? Gorizia, il Monfalconese e forse anche altre località rappresentano un’isola felice e necessitano di ulteriori elaborazioni per trarne un modello efficace e duraturo, degno di essere imitato anche altrove nel territorio di etnia slovena. Fin qui tutto bene, le difficoltà iniziano, come al solito, quando si tocca il tasto dei finanziamenti. Sin dalle prime fasi, infatti, la lodevole iniziativa della scuola di Gorizia si è trovata senza un’adeguata copertura finanziaria. Questo è anche il momento della verità, perché offre agli organi competenti la possibilità di dimostrare il loro reale interesse alla promozione della convivenza, all’affermazione della lingua slovena e a garantire un prospero futuro alle scuole slovene. Duœan Udovi@ (Primorski dnevnik, 15. 10. 2006) TRIESTE-TRST Corso di lingua slovena per i genitori Al corso triennale iscritti italiani e croati Sono 37 i genitori degli alunni che si sono iscritti al corso di sloveno organizzato dalla direzione didattica della scuola dei santi Cirillo e Metodio in zona San Giovanni a Trieste. Il corso è stato organizzato in seguito all’esito di un sondaggio testato alla fine dello scorso anno scolastico su genitori italiani e stranieri. Come afferma la direttrice della scuola, Fiorella Ben@i@, il corso risponde ad un progetto di più ampio respiro, che prevede anche la lettura di quotidiani in lingua slovena, rappresentazioni teatrali con sottotitoli in italiano, la conoscenza delle attività economiche locali e la partecipazione a varie manifestazioni culturali sia in regione che in Slovenia. Al progetto collaborano in rete la direzione didattica di San Giovanni-Svet Ivan, che comprende le scuole per l’infanzia di Lonjer, Barcola-Barkovlje, le scuole elementari Oton ˘upan@i@ di San Giovanni e Fran Mil@inski di Cattinara, la direzione didattica di San Giacomo. Vi collaborano, inoltre, anche se non in rete: le scuole per l’infanzia comunali di Greta, San Giovanni e la casa dello studente Sre@ko Kosovel. Le lezioni si terranno una volta alla settimana fino a novembre e il corso sarà triennale. Il corso è sovvenzionato dagli stessi genitori, dal fondo della scuola e, per la maggior parte, dai finaziamenti stanziati in base alla legge di tutela 482/99, che prevede l’allargamento dell’offerta formativo-educativa anche agli adulti. (…) (Primorski dnevnik, 17. 10. 2006) SLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 13 A colloquio con Maja Lapornik, coordinatrice del progetto Studio Art L’INTERVISTA Un’opportunità per conoscere il teatro «Ottantasei iscritti in tre province è un numero straordinario per la nostra realtà» A bbiamo chiesto a Maja Lapornik, coordinatrice e tra i promotori della scuola di teatro slovena «Studio Art» di illustrarci il significato, le origini, il programma e di parlarci dei giovani che si sono iscritti in gran numero. Signora Lapornik, qual è il significato storico del teatro della minoranza in tema di tutela del patrimonio culturale e di valorizzazione dell’appartenenza nazionale? «È importante ed insostituibile il ruolo che, nel nostra realtà territoriale, il teatro riveste in tema di tutela della cultura e di valorizzazione dell’appartenenza nazionale. Gli sloveni di Trieste iniziarono ad operare efficacemente in ambito teatrale già immediatamente dopo il 1848, con la Primavera dei popoli. Le prime rappresentazioni sono state organizzate a Trieste dal Circolo slavo il 23 ottobre del 1849, sotto la regia di Feliks Globo@nik. Nei primi anni Sessanta a Trieste, prima ancora che a Lubiana e Maribor, fu istituita la Sala di lettura slovena, centro di creatività culturale e, in seguito, teatrale. Nel 1874 fu istituito il gruppo teatrale dei Dilettanti sloveni, attivo fino al 1902, quando venne istituito il Circolo d’arte drammatica, che diede inizio all’attività oggi promossa dal Teatro stabile sloveno e che dal 1904 ebbe sede presso la Casa del popolo a Trieste. Pensi, nell’epoca in cui fu incendiato il Narodni dom e imperversava il fascismo, vennero messe in scena ben 245 opere della drammaturgia nostrana e mondiale! Per non dimenticare il Teatro popolare di Regent, che in quel periodo rivestì un ruolo importante. Anche nell’illegalità l’attività teatrale non vene meno. Il nostro teatro ha, quindi, radici antiche e riveste un ruolo importante nell’ambito del nostro patrimonio culturale». Quando maturò nella comunità slovena l’idea di istituire la scuola di teatro? «L’idea in sé ha dei precedenti: in passato, infatti, il nostro teatro ha organizzato più volte corsi di teatro, che hanno riscosso successo. Così come rappresentano una costante nella nostra attività i corsi di dizione. A distanza di anni dal primo tentativo di istituirle, questa è la prima volta che la Scuola di teatro investe il territorio regionale. (…) Da lungo tempo nella nostra realtà serpeggiava la volontà di promuovere un progetto duraturo ed articolato con e per i giovani. Sono tanti, infatti, sul nostro territorio, i giovani appassionati di teatro. È obiettivo dello Studio Art fornire ai giovani una seria preparazione teatrale, e, avvicinando i giovani all’ente teatrale (non solo al nostro), rafforzare il legame tra teatro e territorio, non da ultimo, alla formazione di un ambizioso quadro che, in futuro, possa intraprendere l’attività teatrale». Perché Studio Art, da dove deriva e cosa nasconde questo nome? «Che ci creda o no, il nome è nato per caso, mi è venuto spontaneo: due parole che in sé connotano l’operatività del progetto. Vi si colgono, infatti, concetti quali la scuola, lo studio, l’arte…, tutti vocaboli che rispondono ai nostri obiettivi. Ma, in nessun modo, non essendo in lingua slovena, SLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 14 vuol essere una negazione della nostra identità, che anzi il progetto afferma ulteriormente». Per l’estensione del territorio interessato, il progetto ha richiesto una notevole abilità organizzativa. Quali sono state le maggiori difficoltà, che avete riscontrato? «Non parlerei di difficoltà, piuttosto della gran mole di lavoro che ha comportato. Per quanto mi riguarda, non è stato facile elaborare il concetto di scuola, che da una parte richiede professionalità e aspirazioni, dall’altra attenzione alla disponibilità di finanziamenti, alle esigenze e alla fisionomia del territorio al quale il progetto è rivolto. Per non parlare, poi, del lavoro minuzioso, spesso inosservato, che comporta l’impegno organizzativo e di coordinamento, sul quale non mi soffermo. Mi rallegra il fatto che la scuola di teatro sarà operativa anche nella Slavia friulana, dove ha riscosso ampio interesse tra i giovani. Lavorare a questo progetto, nel quale credo molto, è, quindi, per me fonte di grande soddisfazione». Ci parli del programma previsto dallo Studio Art «Le lezioni si svolgeranno a Trieste, Gorizia e, in provincia di Udine, a San Pietro al Natisone, e saranno tenute da diversi docenti. Una volta al mese sono, inoltre, previsti per tutti gli studenti laboratori intensivi, la visita ai singoli teatri e mostre, l’incontro con creatori e registi. Occasioni queste che, oltre a promuovere la conoscenza reciproca tra gli studenti, li coinvolgerà in due progetti comuni: gli studenti prepareranno insieme una serata di poesia, prevista per la fine di febbraio, e una rappresentazione per il gran finale». Alla scuola di teatro si è iscritto un gran numero di giovani. Avevate già previsto questo successo o era inatteso? «Sì e no. Da anni seguo i giovani a livello di teatro amatoriale e so quanto essi amino il teatro, che considerano un luogo magico, nel quale sperimentare la propria creatività e cercare la libertà. Non mi aspettavo però questo successo: 86 iscritti in tre province è un numero straordinario per la nostra realtà, che certo ci lascia soddisfatti e orgogliosi! Un numero che, oltre a sottolineare l’amore per l’attività teatrale nei giovani, è indicativo anche di una generazione che sa quello che vuole. La risposta di questi giovani è chiara e, da parte nostra, richiede il massimo impegno per rispondere alle loro attese». La scuola si avvale di docenti noti ed affermati nel proprio ambito. In base a quale criterio sono stati scelti? «In base alla levatura professionale e alla necessità di proporre un’offerta formativa di qualità ai giovani della minoranza slovena». Fino a poco tempo fa le difficoltà finanziarie del Teatro stabile erano pane quotidiano per i media degli sloveni in Italia e se a questo aggiungiamo il clima avvilente in cui si dibatte il sistema teatrale italiano, ne ricaviamo un quadro piuttosto preoccupante. Ci sentiamo, però, sollevati se guar- diamo al prossimo ingresso della Slovenia nel territorio Schengen. Un traguardo che ci lascia sperare in una successiva apertura dello spazio culturale e nell’intreccio delle più svariate esperienze in ambito economico, finanziario, formativo, sociale, ecc. In questo contesto come immagina il futuro lavorativo degli studenti iscritti allo Studio Art? «A questo proposito dobbiamo essere molto chiari nel sottolineare che, oggi, anche la migliore Accademia non assicura niente a nessuno. Oltre a questo, Studio Art non è un’accademia di arte drammatica. Per questo motivo il futuro lavorativo degli studenti non può essere la nostra preoccupazione primaria. Studio Art dà la possibilità di conoscere il teatro e sé stessi, di iniziare a cimentarsi con il teatro. Se decideranno di intraprendere questo mestiere, li aiuteremo e forniremo loro gli strumenti necessari. Il cammino professionale comporta, però, un percorso più lungo che non può prescindere dall’Accademia. Chi ha le idee chiare, riuscirà prima o poi a raggiungere il proprio obiettivo, ne sono certa. Per quanto riguarda le nuove prospettive che, con l’adesione a Schengen si profilano all’orizzonte, penso che queste offrano anche al teatro nuove dimensioni e sfide. Sta a noi sfruttarle pienamente. Vorrà pur dire qualcosa il fatto che, tra gli iscritti allo Studio Art, vi sono anche alcuni giovani provenienti da Koper-Capodistria e da Nova Gorica e altri ancora di nazionalità italiana, alcuni dei quali si sono iscritti nel contempo anche a corsi di lingua slovena». Vorrebbe aggiungere altro? «Sì, vorrei rivolgere un grazie sentito a molti: alle due organizzazioni slovene più rappresentative (Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso, Unione culturale economica slovena-Skgz) e al direttivo del Teatro stabile sloveno per aver sostenuto la fondazione della scuola, alle associazioni culturali a Trieste, Gorizia e della Slavia Friulana che hanno reso possibile la realizzazione materiale del progetto, ai docenti e collaboratori che, come me, confidano nella formazione teatrale dei nostri giovani. Spero di riuscire a ricambiare questa fiducia». Igor Gregori (Novi glas, 12. 10. 2006) OPICINA-OP#INE Draga 2006 Riflessioni su una delle più vecchie manifestazioni della minoranza slovena Con i suoi 41 anni compiuti, la manifestazione culturale slovena Draga (organizzata a settembre a Opicina-Op@ine, ndt.) è una delle più vecchie sul territorio della minoranza. Non è una delle più frequentate né delle più amate, ma è senz’altro tra quelle che godono di maggiore eco, nonostante, con il passare degli anni, abbia perso quell’incisività politica e ideale, che aveva acquisito in anni in cui era bandita la partecipazione non solo a Draga, ma anche alle serate organizzate dai Circolo degli intellettuali sloveni-Dsi. Draga resta, comunque, un polo d’interesse per molti veterani e anche per altri, atratti da sempre nuovi relatori e dagli argomenti trattati. Solo osservatori superficiali hanno rilevato che è poco frequentata, nonostante sia vero che Draga resta per alcuni un vero e proprio tabù, il che dimostra che le ideologie non sono ancora del tutto scomparse. Anche se all’inizio Draga non riuscì a raccogliere intorno a sé molti simpatizzanti, sia nei circoli nostrani che all’estero, ha però saputo sollevare riflessioni e critiche, sia sul piano ideologico che su quello politico. È, quindi, comprensibile che sia stato rifiutato e condannato dalla compagine di sinistra (allora l’ingiuria «fascista» era usata quotidianamente). Ma anche i «nostri» non accolsero Draga a braccia aperte: per alcuni era un vocabolo troppo «clandestino», per altri troppo «cattolico» (quasi integralista), gli emigranti guardavano a Draga con diffidenza, perché alla sinistra tendeva la mano del dialogo e della riconciliazione. Nei primi anni Settanta vennero meno anche i timidi tentativi di avvicinamento con la sinistra e ci vollero quasi vent’anni per abbattere le resistenze al pluralismo, che allora iniziava a farsi strada. Draga aprì, quindi, i battenti ai dissidenti, a critici più o meno accaniti del regime della ex Jugoslavia e anche a quanti, all’indomani dello sfacelo dello Stato federale, presero le distanze dalle posizioni comunemente diffuse, più tardi ancora anche ai principali artefici del processo di democratizzazione e di indipendenza della Slovenia. Il tempo diede ragione alla maggior parte delle posizioni critiche, che furono oggetto di discussione e di riflessione nel corso di Draga. Lungi dall’essere una forma di autocompiacimento, con questo vogliamo solo sottolineare come Draga sia una delle poche occasioni, all’interno della comunità slovena, che dà libero accesso a tutti gli esponenti del mondo culturale, politico, artistico, ai pensatori di diversa estrazione politica e ideologica, che hanno a cuore le sorti del pluralismo e della democrazia, dell’essere sloveni e del cattolicesimo, della società civile e della Chiesa. Il tutto animato dallo spirito del dialogo, necessario agli sloveni, dal momento che Draga non gode di molte imitazioni né all’interno della minoranza né in Slovenia. Un dialogo necessario per vincere la paura di fronte all’ignoto, al diverso, alla concorrenza e agli avversari, agli interlocutori. Dialogo che non deve servire ad appianare le differenze, ma che ci deve insegnare a vivere uniti nella diversità. Questo spirito è emerso anche nel corso dell’edizione di quest’anno, che ha visto l’impegno, diretto o indiretto, di tutti i partecipanti a tessere un comune filo conduttore, che potremmo semplicemente interpretare come invito ad abbandonare la paura, intesa come strumento di difesa, che ostacola lo sviluppo di rapporti costruttivi tra i singoli, nella società, nella famiglia, nella Chiesa. Una constatazione, questa, valida per tutti, a partire da Miran Koœuta, che ha parlato di miti, difficoltà e prospettive della cultura minoritaria. Come altri, intervenuti dopo di lui, Koœuta ha sottolineato la necessità della libertà di comunicazione, presupposto indispensabile per superare gli strascichi prodotti dagli scossoni e dagli errori del passato e per introdurre noi stessi e gli altri a nuove opportunità. Tutti gli intervenuti e la maggior parte di quanti hanno preso parte al dibattito, hanno sottolineato che nella nostra cerchia, più ristretta e più ampia, c’è ancora molto da conoscere, da dire e da chiarire. Per questo motivo abbiamo ancora bisogno di Draga e di manifestazioni simili. Sergij Pahor (Naœ vestnik, ottobre 2006) La Cooperativa Most pubblica anche il quindicinale bilingue Dom. Copie omaggio sono disponibili allo 0432 700896 SLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 15 LA RIFLESSIONE Vera riconciliazione o mera formalità? Negli ultimi tempi assistiamo ad una vera e propria ondata di riflessioni e posizioni sulla riconciliazione, che dovrebbe migliorare i rapporti tra Italia e Slovenia, attualmente buoni sul piano formale, ma freddi. Alcuni ritengono opportuno allargare la riconciliazione anche alla Croazia, il che dovrebbe avviare una migliore collaborazione in tema di infrastrutture (corridoio n°5, integrazione dei porti, autostrada Trieste-Fiume, gasdotto, ecc.) e di politica europea (euroregione) tra i porti che si affacciano sull’Adriatico settentrionale. Anche se mascherati dietro linee di principio, sono molte le voci interessate che, in nome delle stesso principio, dovremmo respingere, se è vero che la riconciliazione ha soprattutto un significato morale. Ma è anche vero che dalla summenzionata collaborazione dipende lo sviluppo di tutta la fascia confinaria e, quindi, anche di noi stessi. Per quanto riguarda i benefici materiali queste voci sono quindi anche fondate e centrate. In linea di principio nessuno può né deve rifiutare la riconciliazione, dal momento che un simile atteggiamento sarebbe ripugnante e darebbe adito al proseguio di quell’atteggiamento ostile, causa di tutto il male commesso nel secolo scorso. Non potremmo mai affermare che la verità è relativa, ma è anche vero che ognuno difende la sua ragione ed ha anche il diritto di farlo, ma solo entro i limiti concessi dal dialogo, che diversamente non avrebbe senso. È difficile essere giudice e vittima nello stesso tempo perché è impossibile prendere sufficiente distanza verso le proprie e le altrui antagonistiche argomentazioni. Per questo motivo ogni discussione, sia essa tra gli storici o i politici, tra i cronisti, i commentatori o la gente comune, lascerà sempre qualche punto inespresso, non chiaro, che solleverà successive polemiche. Probabilmente è vero che è impossibile soddisfare tutti. Va detto, inoltre, che quasi sempre l’impatto con la dialettica italiana è per gli sloveni deludente (negativo) (porazen). Ad ogni nostra argomentazione, per quano esplicita sia, l’interlocutore latino risponderà con un «Sì, sì, ma…». E a quel «ma» farà seguito una lunga elencazione di nuove argomentazioni, spesso senza alcuna attinenza con l’ogetto in discussione, ma attraverso le quali, in un modo o nell’altro, si vuole respingere e rinnegare l’eventuale torto commesso. Non riusciremo a venirne a capo se non siamo pronti al compromesso, il che spesse volte significa ignorare e sottacere… Ma siamo davvero pronti a questo? Naturalmente non si tratta di denunciare chi ha sbagliato e chia ha subito, dal momento che l’elenco delle accuse è per l’una e l’altra parte infinitamente lungo e controverso. E, tuttavia, non è possibile trascurare alcuni aspetti: per esempio il fatto che l’Italia abbia per ben due volte invaso il territorio sloveno, appropriandosi di una sua larga fetta (con annessa la provincia di Lubiana), che con la minoranza abbiano agito erroneamente sia l’Italia liberale che quella democratica, per non parlare dei crimini commessi dal regime fascista, artefice della campagnia di snazonalizzazione e di oppressione, su tutto il territorio in cui risiede la minoranza slovena. Un’Italia in cui, ancora oggi, si nega l’esistenza della comunità slovena nella provincia di Udine (l’origine slovena dei dialetti parlati nella Slavia friulana, a Resia e nella val Canale, è stata, infatti, nuovamente ribadita nel corso di un recente simposio degli slavisti), sloveni che negli SLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 16 ultimi 130 anni hanno assistito ad una vera e propria operazione di pulizia etnica (laddove un tempo vivevano quasi 40mila persone, oggi non si raggiungono le 10mila unità) e l’effettiva eutanasia culturale (la prima scuola slovena pubblica è stata istituita solo nel 2001). Non si dimentichi, infine, che la legge di tutela resta lettera morta. Nessun rappresentante o istituzione italiani hanno mai chiesto scusa per tutto questo né al popolo sloveno né ai suoi rappresentanti né alla minoranza slovena. Questi sono i fatti. D’altro canto è anche vero che nel secondo dopoguerra la resistenza e il regolamento dei conti a sfondo ideologico hanno mietuto molte vittime tra la popolazione italiana; che molti innocenti sono stati infoibati; che ancora oggi si ignora il luogo di sepoltura di molte vittime, che in tanti esultarono per l’esodo degli italiani dall’Istria, che la minoranza italiana non sia stata adeguatamente tutelata in Jugoslavia, che sia stata notevolmente ridotta di numero dal regime comunista (e il fatto che anche ad altri sia stato riservato lo stesso trattamento non ne sminuisce la gravità), che molti si irritano appena sentono parlare di restituzione agli esuli dei beni immobili, ecc. Se si giungerà ad un atto di riconciliazione, cosa che ci auguriamo vivamente, i rappresentanti delle due nazioni interessate concorderanno sugli argomenti da trattare nei loro discorsi ufficiali. Speriamo che alla comunità slovena non venga dato motivo per altre lamentele. L’atto di riconcliazione tra Italia e Slovenia non allegerisce la responsabilità italiana verso la minoranza slovena, dal momento che ci hanno perseguitato pur essendo noi cittadini italiani e non ci hanno riconosciuto i diritti costituzionali. La mancata attuazione della legge di tutela rappresenta un vero atto di violazione della Costituzione da parte del governo italiano. Spetta, invece, ai nostri rappresentanti sventare ogni tentativo di inganno, dal momento che la riconciliazione significa innanzitutto riconoscere le proprie colpe ed errori. Per questo motivo è inaccettabile la scelta della Risiera di San Sabba quale teatro dell’incontro di riconciliazione tra i due (o tre) presidenti. Questa, infatti, simboleggia i crimini compiuti contro gli ebrei sotto l’occupazione nazista, quando l’Italia non c’era più. Se, infatti, la cerimonia avesse luogo nella Risiera, si trasformerebbe in un atto di condanna del nazismo e dell’antisemitismo, mentre resterebbero nell’ombra i crimini perpetrati dall’esercito italiano durante l’occupazione della Jugoslavia e sul territorio in cui risiede la minoranza slovena. Si ripeterebbe, così, l’assurda situazione, che si ebbe nel secondo dopoguerra a causa del cedimento degli alleati, che temevano l’avanzata del comunismo. Neanche uno dei centinaia di ufficiali italiani, accusati di aver commesso crimini di guerra in territorio jugoslavo, fu costretto a deporre davanti al giudice. Nutriamo, inoltre, dei dubbi anche sull’opportunità di coinvolgere la Croazia nell’atto di riconciliazione tra Italia e Slovenia. Quest’ultima infatti non ha conti in sospeso con la Croazia, vengono così meno le ragioni per una riconciliazione su fatti riguardanti il passato. Il coinvolgimento della Croazia rischierebbe di indebolire l’importanza storica della riconciliazione. Non ci aspettiamo una stretta di mano tra i presidenti italiano e sloveno davanti al monumento agli eroi sloveni, sulla piana di Basovizza, ma proponiamo che la scelta cada su altri luoghi, come Gonars e la grotta di Gramonza o, meglio ancora, la sala del parlamento sloveno. Scelta questa che ci sembra più adatta per l’importanza dell’evento. Proprio come è accaduto per l’atto di riconciliazione del cancelliere Brandt, presso la sede del parlamento in Polonia. (Mladika, 8 / 2006) STORIA Mussolini smentisce la Lega Slava A proposito di slavi e sloveni Pare incredibile che, nonostante le affermazioni da parte degli esperti di linguistica, anche recenti, ed al riconoscimento ufficiale, ancora si trovi qualcuno che si affanni a negare l’identità slovena alla popolazione della Slavia Italiana, come titola Carlo Podrecca il libro dedicato alla sua terra. Libro, nel quale al Podrecca il fatto d’essere stato un combattente garibaldino non impedisce di affermare che «non v’ha soluzione di continuità geografica e etnografica tra la Slavia Italiana e le altre propaggini slave» (Edizioni Est 1977, pag. 124). Nel suo libro «Il mio diario di guerra – MCMXV- MCMVII», Libreria del Littorio, il 15 settembre 1915 Mussolini afferma: «Tappa a San Pietro al Natisone. Primo dei sette comuni in cui si parla il dialetto sloveno. Incomprensibile per me». A Robich, poi, dice, si fermano alcune ore, ed egli cerca di parlare con un bambino, che non lo capisce. In seguito si annota tutto ciò che vede usando i nomi sloveni della regione. Non lontano da Caporetto da una cappella votiva sul ciglio della strada copia perfino la dicitura slovena: «Nikdar noben se ni bil zapiscen / Ki v varstvu Marije je bil izzogen». Testo che, nonostante qualche errore di trascrizione, è testimone dell’identità del luogo. E Mussolini commenta: «No. Questi sloveni non ci amano ancora. Ci subiscono con rassegnazione e con malcelata ostilità. Pensano che noi siamo di “passaggio” e che non resteremo e non vogliono compromettersi, nel caso incui tornassero, domani, i padroni di ieri» (pagg. 109-110). Come si vede, anche per Mussolini, nel 1915, da San Pietro al Natisone a Caporetto non c’è soluzione di continuità riguardo l’identità slovena della popolazione. Certo, dieci anni dopo, divenuto capo del Governo, Mussolini estese l’assimilazione degli sloveni da Cividale a tutta la Venezia Giulia, ma il progetto, grazie all’opposizione della popolazione, fallì. Tanto più sono perciò destinati a fallire, già sul nascere, i tentativi antistorici e anacronistici nell’ambito dell’Europa unita. Boris Pahor (Dom, 15. 10. 2006) TRIESTE-TRST ne sinfoniche e cameristiche al balletto, dall'etno alla lirica. L'inaugurazione di questa sera, come di consueto realizzata nell'ambito del Festival internazionale di musica contemporanea Kogojevi dnevi, vedrà protagonista il gruppo Gaudeamus, formato dai dodici giovani pluripremiati artisti del centro culturale studentesco Skuc di Lubjana. L'ensemble, diretto da Aleksandar Spasi@, presenterà brani di Merku, Mihel@i@, Srebotnjak, Burkat, Voglar, Ramovœ e Bo¡[email protected] maestro Spasic tornerà nel capoluogo giuliano il 10 novembre, questa volta con un organico di oltre cento musicisti - quattro solisti, l'Orchestra da camera del litorale e cori uniti di Domzale e Limbar-Moravce - che alla Cattedrale di S. Giusto eseguiranno la «Messa di Requiem» di Mozart. Entrambe queste serate saranno a ingresso libero. Sarà il Kulturni dom di via Petronio a ospitare tutti gli altri eventi inseriti nel percorso triestino della Stagione, che proseguirà il 7 dicembre con il concerto del rinomato insieme vocale Ottetto sloveno , che celebra i 55 anni dalla fondazione. Il 29 gennaio saranno di scena Tamara Raseni e Cristina Santin, con brani scelti della letteratura per due pianoforti. Dalla Croazia approderà, il 18 febbraio, l'Ensemble dei fiati dell'Accademia di musica di Zagabria, mentre il 23 marzo avrà luogo il recital dell'arpista di fama mondiale, Jasna Corrado Merlak. Infine, il 12 maggio, i solisti, l'orchestra e il coro del Teatro dell'Opera di Lubiana porteranno sul palcoscenico del Kulturni dom «La Bohème» di Puccini. Ai teatri di Gorizia sono serbati tre eventi. Il fisarmonicista Igor Zobin si esibirà il 24 gennaio al Kulturni Dom, dove il 26 febbraio gli ospiti saranno Mauro Maur, primo trombettista dell'Accademia della Santa Cecilia di Roma, e la pianista Françoise de Cloosey, con un programma dedicato alle celebri musiche da film di autori italiani; nel Teatro Verdi, invece, il 30 marzo, la compagnia di balleto del Teatro nazionale di Lubiana proporrà «Romeo e Giulietta» di Prokofjev. Due gli appuntamenti a S. Pietro al Natisone: il 9 febbraio, nella Chiesa di Vernasso, suonerà il Quartetto d'archi affiancato dall'arpa, dall'Accademia di musica di Lubiana, e il 19 aprile, nella palestra comunale di Liessa, il quartetto Jaraja proporrà musiche popolari slovene in una versione insolita. Tutti i concerti avranno inizio alle 20.30. Per ulteriori informazioni: [email protected], telefono 040 418605, [email protected], 0481 531508. Dejan Bozovi@ (Il Gazzettino, 25. 10. 2006) SLOVIT/SLOVENI IN ITALIA Quindicinale di informazione «Intrecci musicali» della Glasbena Matica Iniziata lo scorso 25 ottobre la stagione concertistica Comincia questa sera, alle 20.30, nella Deutscher Hilfsverein di Trieste, la Stagione concertistica «Intrecci musicali» della Glasbena Matica. Il variegato e stimolante cartellone è composto con un'attenzione particolare al panorama artistico della nostra regione e della Slovenia, ma l'arricchimento del programma di quest'anno proviene dalle importanti collaborazioni di respiro internazionale ancora più ampio, mirato a coinvolgere nella rassegna soprattutto i musicisti dei paesi dell'est. Gli eventi, che saranno proposti nel territorio delle tre province dove il centro musicale sloveno svolge la propria attività, spaziano dalle pagi- DIRETTORE RESPONSABILE: GIORGIO BANCHIG EDITRICE: ost società cooperativa a r.l. PRESIDENTE: GIUSEPPE QUALIZZA DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE: 33043 CIVIDALE DEL FRIULI, BORGO SAN DOMENICO, 78 TELEFONO: 0432 700896 - FAX 0432 701455 E-MAIL [email protected] - STAMPA IN PROPRIO REG. TRIB. UDINE N. 3/99 DEL 28 GENNAIO 1999 ASSOCIATO ALL’UNIONE m STAMPA PERIODICA ITALIANA UNA COPIA = 1,00 EURO ABBONAMENTO ANNUO = 20,00 EURO C/C POSTALE: 12169330 MOST PICCOLA SOCIETÀ COOPERATIVA A R.L. - 33043 CIVIDALE SLOVIT N° 11 del 31/10/06 pag. 17