N° 9 - NOVEMBRE 2013 - CHESHVAN 5774 • ANNO XLVII - CONTIENE I.P. E I.R. - Una copia € 6,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 Roma MEDIO ORIENTE ITALIA VATICANO TUTTI CONTRO TUTTI IL MITO DI PRIEBKE INCONTRO CON PAPA BERGOGLIO SHALOMשלום EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA בס’’ד L’ultimo saluto Rav Ovadia Yosef, tra i grandi maestri dell’ebraismo Anniversario del 16 ottobre 1943 FOCUS EDITORIALE I l tema della raccolta dell’otto per mille, quello che i contribuenti italiani devolvono allo Stato o ai diversi culti riconosciuti, non è materia particolarmente brillante. E mi sarei ben guardato dal trattarlo se non fossi stato sollecitato da un articolo non firmato apparso sul giornale dell’Ucei che propone una curiosa rappresentazione dei fatti, addirittura in parte mistificandoli. Tutti felici. Quest’anno il gettito complessivo è stato ben oltre le aspettative: 5,2 milioni di euro (lo scorso anno era stato di 4,7). Ma quando si tratta di spiegarne le ragioni le cose diventano fumose e l’Ucei ricorre ad uno strano indicatore, mettendo in rapporto il numero dei firmatari dell’otto per mille con gli iscritti ad una singola comunità (come se le firme venissero quindi solo dagli ebrei e non dal complesso dei contribuenti). Succede così che per l’Ucei le due maggiori Comunità ebraiche di Roma e Milano, sono rispettivamente ultima e penultima nella raccolta delle preferenze; in testa alla classifica città dove quasi non vi sono ebrei come Parma, Merano, Casale, Mantova. Scrive il giornale dell’Ucei: “la raccolta è in genere scarsamente caratterizzata da fenomeni locali, il suo andamento generale appare piuttosto uniforme”. Ma la verità è un’altra e l’Ucei si guarda bene dal dirlo. Su un totale di 79mila 833 firme a favore dell’ebraismo italiano (lo scorso anno erano state 70mila), il contributo che viene da Roma e Milano è fondamentale: sono addirittura le prime due città in termini di sottoscrizione, Roma con 10.943 firme e Milano con 10.766 firme, ambedue in crescita rispetto allo scorso anno (insieme fanno oltre il 26% della raccolta dell’otto per mille). Seguono Torino (4351 firme), Firenze (2213), Venezia (2110) e poi la stragrande maggioranza delle città che oscillano fra il migliaio e poche centinaia di sottoscrizioni, fino al fondo della classifica con Benevento (71 firme), Enna (48), Isernia (31). Su 18 milioni e mezzo di dichiarazioni otto per mille, l’Ucei raccoglie appena lo 0,43% dei contribuenti, ma se si guarda il dato geografico la percentuale cresce sensibilmente soprattutto a Roma, ben oltre il doppio, con lo 0,94% e a Milano con lo 0,75%. Come dire che a Roma quasi 1 una persona su 100 ha destinato l’otto per mille all’Ucei. L’Unione delle Comunità dovrebbe quindi spiegare perché abbia voluto minimizzare - meglio sarebbe dire, nascondere il contributo delle due maggiori comunità. Forse perché questo dimostra che non si è realizzato il progetto inseguito da anni, attraverso i suoi mezzi di comunicazione (il giornale dell’Unione è sceso a 13.000 copie al mese, distribuite verso un pubblico sostanzialmente solo ebraico), che voleva creare un’immagine dell’Ucei fortemente percepita sull’intero territorio nazionale. La verità dei numeri (quelli forniti ufficialmente dall’Agenzia delle Entrate) è ben diversa: in termini di raccolta dell’otto per mille, l’immagine dell’ebraismo italiano risulta invece come è sempre stato, ovvero a macchia di leopardo, con i due grandi centri comunitari che - anche per una loro autonoma capacità di fare informazione e di essere attivi sul territorio – hanno insieme a Torino (guarda caso città con un proprio giornale ebraico) una forte visibilità che si traduce in maggiori sottoscrizioni. Lo riconosce lo stesso Assessore al Bilancio Ucei, Noemi Di Segni che nella relazione scrive: “Non vi è dubbio che questo è un risultato eccellente che dà riscontro alle iniziative delle Comunità territoriali, dell’UCEI e di tanti singoli che si sono adoperati per favorire questa maggiore raccolta”. Bisognerà ora analizzare questi dati anche alla luce di un bilancio Ucei 2012 condizionato dalla pesante macchina organizzativa, parte della quale lavora solo per la comunicazione finalizzata all’otto per mille. Scrive nella relazione al Bilancio l’Assessore Di Segni: “... la quota effettiva di gettito ottopermille che è distribuita, sotto forma di trasferimenti diretti, alle Comunità ammonta complessivamente a 54%. La percentuale effettiva di quota ottopermille gestita dall’UCEI, compresa la prededuzione (pari a 416mila €, relativa alla comunicazione otto per mille, ndr.), ammonta a 41,5%. Agli enti esterni sono quindi assegnati effettivamente 4,5 % del totale gettito”. Sul totale delle uscite (6,2 milioni di euro), particolarmente pesante è il costo del lavoro: i 28 dipendenti dell’Ucei costano ogni anno complessivamente 1 milione e 456 mila euro (mediamente 52 mila euro a dipendente). Altrettanto oneroso è il funzionamento degli organi istituzionali (107mila euro) e in particolare del nuovo Consiglio (52 membri), che si è strutturato a sua volta in sottocommissioni, e per il quale ogni anno si spendono quasi 56mila euro di rimborsi; a cui vanno aggiunti 30mila € come compensi ai revisori. La coperta per i finanziamenti è quindi molto corta. Alle 21 Comunità vanno complessivamente per il sostegno delle loro attività 2,9 milioni di euro (a Roma l’Ucei ha destinato 1 milione di €). Rimangono ulteriori scarsi finanziamenti – per appena 195mila euro - che l’Ucei ha destinato a 17 progetti di Enti ebraici, fra questi: due progetti dell’Adei Wizo (10.000 €), il Cdec (40.000 €), l’Ose (15.000 €), il Pitigliani per il Kolnoa Festival (20.000), Shirat Hayam Centro Estivo Ostia (15.000 €), la Deputazione Ebraica (25.000 €). L’Ucei gestisce inoltre otto progetti strategici (formazione, scuola, servizi sociali, assistenza gestionale, network piattaforma informatica, indagine socio-demografica, Kasherut e Scuole rabbiniche), ai quali destina il 10% del gettito, con un finanziamento complessivo 420.703 €. Bisognerà vedere ora come verrà distribuito un ulteriore importo derivante dal maggiore gettito otto per mille non preventivato, pari a 968.636 €. Un’ultima considerazione. Gli ebrei sono 24.169. I valdesi in Italia sono 27.000, raccolgono 570mila firme e oltre 37 milioni di €, spendendo per la comunicazione il 5% del totale delle somme a disposizione; gli avventisti del settimo giorno sono 10.000, raccolgono 2 milioni 112mila € e per la campagna informativa spendono 89.000 €, pari a circa il 4%; i luterani sono 7.000, raccolgono 49.233 firme per 3 milioni 355mila € e spendono in pubbblicità 108.000 € pari al 3,9%. L’Ucei dedica alla comunicazione un investimento che non quantifica ma che oscilla in modo prudenziale tra l’8 e il 15%, per una cifra - dipende da come la si vuole contabilizzare - tra 416mila e 800mila €. “Lo scenario economico finanziario che si dispiega - scrive l’assessore Ucei, Di Segni - è preoccupante e richiede una profonda riflessione sulle azioni da intraprendere nel breve e nel medio periodo, e sul ruolo che l’Unione è chiamata a svolgere”. Come non essere d’accordo? NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 Otto per mille: il dovere di informare 3 COPERTINA Le ragioni di un lutto collettivo Al funerale di rav Ovadia Yosef hanno partecipato più persone di quante non siano scese in piazza contro la guerra in Libano nel 1980 o per chiedere giustizia sociale ed economica nel 2011 NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 O 4 ttocentocinquantamila persone hanno partecipato al funerale di rav Ovadia Yosef zzl. Sarebbe meglio dire che 850mila persone hanno percorso chilometri a piedi pur di partecipare al funerale, si sono arrampicate sui tetti di Yerushalaim pur di vedere passare il carro funebre ed hanno piantato in asso il lavoro o lo studio per correre al cimitero come se fosse morto un membro della loro famiglia. La società laica israeliana, ma non solo israeliana, guardando le immagini di questa imponente raccolta di persone si è resa conto che rav Ovadia Yosef zzl non era solo il capo spirituale del partito religioso sefardita Shas, non era solo lo scomodo esternatore di frasi ben manipolate da un certo tipo di stampa, ma era prima di ogni cosa un grande maestro, un possek di raro genio, sensibilità e preparazione. La morte di rav Ovadia ha fatto riunire insieme più persone di quanto non abbiano fatto le proteste contro la guerra in Libano negli anni del 1980 o le manifestazioni per la giustizia sociale ed economica del 2011. Un funerale che la stampa ha definito come “l’accompagnamento funebre più imponente nella storia dello Stato di Israele”. I commentatori, gli opinionisti e gli analisti sociali con kippà e senza si sono lanciati in tentativi di definizioni attraverso il concetto di “carisma”, “capacità sociale” o “vicinanza con il popolo”. In pochi, pochissimi, sono andati diritti alla radice del legame tra rav Ovadia ed il popolo ebraico: la Torà. Rav Ovadia era un grande rav. Un grande insegnante. Un grande comunicatore. Un rabbino capace di parlare con parole semplici anche dei concetti più difficili, capace di comunicare con il popolo perché non ha mai dimenticato di venire dal popolo, capace di essere un possek, un decisore halachico, dall’ampio respiro e dalla grande dote di saper permettere prima ancora che vietare. Un uomo, rav Ovadia, che come politico ha saputo dare nuova dignità al mondo sefardita come ai tempi di Maimonide, facendo in modo, attraverso la Torà e la politica stessa, che l’establishment rabbinico ashkenazita fosse costretto ad accettare sempre più dayanim e rabbini sefarditi nei ranghi della Rabbanut statale. Se negli spazi laici dello stato di Israele chiamarsi Haddad e chiamarsi Stein non è la stessa cosa a favore del secondo rispetto al primo, nel mondo religioso grazie a rav Ovadia le due presenze sono sullo stesso piano. Questa realtà può spiegare la massiccia presenza di sefarditi al funerale di Rav Ovadia: sono i suoi figli, i figli spirituali, coloro i quali si sono lacerati le vesti come si fa con un parente stretto al momento dell’accettazione del lutto. Ma non c’era sono solo sefarditi tra le 850.000 persone in lacrime. Molti dei volti addolorati erano etiopi. Nel 1973 quando rav Ovadia divenne rabbino capo sefardita di Israele, in maniera impiegato come mezzo per stabilire il legame nuziale con una donna specifica e liberarla dichiarandola vedova. Seguire quest’approccio così estremo significava e significa mostrare una profonda sensibilità verso le donne. Ma rav Ovadia ebbe a cuore, nel suo cuore di possek, anche la questione della pace e della sicurezza. In maniera palesemente diversa rispetto al mondo che lo circondava già nel 1979 sosteneva i colloqui di pace e l’idea della restituzione dei territori conquistati in guerra in nome della pace, nonché la stessa idea della un Bet Din che aveva come unico scopo quello di fornire ogni soluzione halachica possibile per liberare le donne agunot da questa condizione. Si narra che persino un anello nuziale con inciso un determinato nome di donna ed indossato da un soldato caduto non riconoscibile veniva restituzione dei terroristi arrestati in nome della restituzione dei soldati israeliani rapiti e tenuti in ostaggio. Lo sguardo verso il mondo militare e la sensibilità verso chi difende lo Stato di Israele ha portato rav Ovadia nel 2011 a riconoscere le conversioni dei soldati all’interno del Bet Din militare ed a sostenere il loro riconoscimento da parte del rabbinato centrale di Israele. L’altro sguardo che possiamo avere su rav Ovadia è quello politico legato ai conflitti ed agli intrighi di corte di un movimento, Shas, che ha molte luci e moltissime ombre e che per molto tempo ancora farà parlare di sé e delle tristi lotte di potere che oggi si accentuano dopo la morte del Maran Ovadia Yosef zzl. Le ombre di Shas e della sua corruzione sono pubbliche, come lo sono le crociate contro il dissidente rav Haim Amsalem che sostiene l’arruolamento militare di charedim ed il loro obbligo al lavoro. Ombra è l’assenza di un’adeguata preparazione secolare nelle scuole sotto influenza del partito Shas, cosa che non permette alle masse sefardite una crescita laica all’interno di un paese, Israele, che tende da sempre alla discriminazione sefardita da parte della intellighenzia ashkenazita. In questo modo Shas, non permettendo un reale riscatto dei sefardim se non all’interno dei confini religiosi, avrà sempre un bacino elettorale al quale attingere. Queste ombre non devono però farci dimenticare il Maestro, il grande maestro della nostra generazione che ha influenzato profondamente la nostra ebraicità, indipendentemente dai mondi ebraici di riferimento: qui a Yerushalaim tra le yeshivot che hanno dedicato intere giornate di studio alle decisioni halachiche di rav Ovadia ed ai suoi responsa, c’era anche la Yeshivà Conservative di rechov Agron. Se all’uomo politico Ovadia Yosef potremmo e potremo criticare molte azioni, al Maestro dobbiamo portare il nostro tributo e perpetuare la forza dei suoi insegnamenti, la forza umana delle sue facilitazioni che hanno avvicinato e tenuto saldo tanto mondo ebraico alla Torà. Pierpaolo Pinhas Punturello NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 rivoluzionaria e contraria alla maggioranza del mondo ebraico dell’epoca, compresi i Chabad, generalmente molto attenti ad avvicinare gli ebrei “lontani”, affermò che i Beta Israel etiopi erano ebrei in tutto e per tutto, aprendo quindi le porte della loro alyà e lavorando negli anni successivi alla loro integrazione nella società israeliana. Questa ferma posizione di accoglienza verso il mondo etiope portò Rav Ovadia a licenziare nel 2009 un dirigente scolastico del gruppo politico Shas che si rifiutava di accettare studenti etiopi. La sua indiscutibile presenza di uomo di Torà ha fatto in modo che anche moltissimi charedim ashkenaziti fossero tra coloro che hanno portato l’ultimo saluto a rav Ovadia. Lituani, chassidim, chabad: un intero ventaglio di radici est europee ha pianto l’autorità halachica di rav Ovadia pur nella distanza delle origini e dei mondi di formazione. Molte, moltissime le donne presenti al funerale. Il rapporto di rav Ovadia con l’altra metà del cielo fu tutt’altro che scontato e monolitico. Ha sempre sostenuto il dovere dello studio per le donne, la necessità di una loro formazione e di una loro educazione scolastica e persino accademica ed è stato sempre molto sensibile al tema delle agunot, le donne abbandonate dai propri mariti senza aver ricevuto un divorzio e quindi senza prospettive di nuovi matrimoni e nuove vite. Sempre nel 1973, dopo la guerra dello Yom Kippur, in quanto rabbino capo sefardita Rav Ovadia istituì 5 COPERTINA Meglio permettere che vietare Questo era l’insegnamento principale di rav Ovadia Yosef che per le sue innovative decisioni halachiche è considerato unanimemente uno dei grandi Maestri dell’ebraismo. Lo racconta un suo talmid chacham, rav Moschè Hacmoun, rabbino del Bet El di Roma NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 I 6 l rabbino Ovadia Yosef, leader spirituale della comunità ebraica sefardita è morto all’età di 93 anni, lunedì sette ottobre, tre di Cheshvan 5774. È stato il rabbino Capo di Israele dal 1973 al 1983 e nel 1984 ha contribuito alla nascita del Shas, il più importante partito politico religioso israeliano. È stato colui che riuscito a trasformare la comunità sefardita, a dargli un ruolo ragguardevole come forza sociale, politica e religiosa. Dalla sua casa di Gerusalemme esercitava un'enorme influenza su autorità religiose e civili, intellettuali e no, studenti e persone che da ogni parte del mondo giungevano per chiedergli consigli e suggerimenti. Le sue decisioni halachiche sono divenute un punto di riferimento per tutti gli ebrei, al di là della provenienza d’origine. Come hanno testimoniato le immagini dei funerali, ai quali hanno partecipato più di ottocentomila persone, la sua popolarità e la sua autorevolezza facevano breccia anche negli strati della popolazione meno vicini all’ortodossia. Rimane di lui, oltre alla grandiosità della sua attività, l’immagine sempre ben curata con il turbante, l’occhiale fumè e la tunica risalente all’antica tradizione sefardita, mentre impartisce lezioni di Torà sorseggiando il suo thè caldo al quale non faceva mai a meno. Abbiamo parlato con Rav Moschè Hacmoun, rabbino del Bet El di Roma che l’ha conosciuto. Perché è stata importante la figura di Rav Ovadia Iosef? Perché il suo grande amore per il popolo di Israele non vedeva limiti e confini: non era raro vederlo lacrimare per le sofferenze altrui e cercare di dare il meglio di sé per risolvere questioni per le quali si rivolgevano a lui. Questa è stata la grandezza del “Maran”: quando sentiva una tragedia, una qualsiasi disgrazia, immediatamente il suo cuore si spezzava. Ottocentocinquantamila persone lo hanno accompagnato nel suo ultimo viaggio, persone che si sentivano in una condizione di impossibilità di ringraziare per tutto il bene che hanno ricevuto, verso colui che ha illuminato ed elevato il loro spirito, che ha abbellito la loro Torà e cultura. Una Torà che cammina, che non si è fermata fino al momento finale: questo è stato Rav Ovadia Yosef. Egli sarà per sempre ricordato come tra i più grandi nella storia della nazione per l’influenza decisiva e culturale sul popolo d’Israele insieme a Moshe Rabbenu, Rambam e Rabi Yosef Caro. Nostro Morè e Rav. Ci racconta il suo incontro con il Rav? Negli anni ’90, una volta terminato il mio servizio militare, ero solito recarmi ogni venerdì al Bet Amidrash “Yechave Daat” presso il quartiere Har Nof di Gerusalemme. E una volta terminata la preghiera, Rav Ovadia teneva una lezione di Halachà sulle questioni più attuali. Dopo di che, era possibile conversare con lui e porgli questioni più personali e private. In quel periodo ero allenatore nazionale di squadre di spicco e rinomate, fattore che implicava un grande investimento di energie e tempo. Ragion per cui non avevo spazio per potermi dedicare allo studio della Torà. E la mia domanda al Rav è stata: ”Dovrei continuare a occuparmi della pallacanestro o abbandonare la mia carriera per dedicami alla Torà quanto più possibile?”. La sua risposta è stata, inaspettatamente, di continuare ad occuparmi del basket perché “la santificazione del Nome di Hashem viene effettuata nel cuore dell’Israele laica”, ossia secondo lui l’uscita nel mondo sportivo, lontano dalla Torà e dalle mizvot, ha la necessità di persone che possano e che abbiano la capacità di essere una dugmà Ishit (un esempio personale) soprattutto per coloro che sono lontani dalla cultura religiosa. Ci troviamo di fronte a una risposta rivoluzionaria: osservare una mitzvà che può “santificare” il nome di D. attraverso la messa in pratica delle regole ebraiche nella vita di colui che lavora nell’ambito dell’eduzione sportiva. Quali erano state le sue origini? Rav Ovadia Yosef nacque a Baghdad nel 1920, all’età di soli 4 anni “sale” spiritualmente e si trasferisce in Israele con la sua povera famiglia. Si stabiliscono a Yerushalaym, dove il padre apre un negozio di verdura. All’età di 9 anni, per contribuire al mantenimento economico della famiglia (Parnasat Amishpachà) lavora nel negozio del padre, sebbene fosse interessato a dedicarsi completamente allo studio della Torà. I rabbini della Yeshivà, nella quale studiava, “Porat Yosef”, si rendono conto della dote che questo bambino possedeva, una dote accompagnata da una passione innaturale, ragione per cui spronano i suoi genitori a fargli abbandonare il lavoro e a farlo dedicare interamente alla Torà, assicurandogli, anche, un futuro senza dubbio di successo. E così fu. E’stato un Posek (decisore) che ha scritto molto? Nel corso della sua vita Rav Ovadia Yosef ha scritto una cinquantina di libri che sono diventati il patrimonio letterario di Halachà più importante ed utilizzato degli ultimi tempi. La sua creazione, enciclopedia halachica composta da quesiti e risposte intitolata “Yabia Omer”, mi ha accompagnato fin da quando ero ragazzo: la sua unicità, la ricchezza di fonti hanno avvicinato non solo la parte religiosa di Israele, ma anche quella laica, ed hanno fatto sì che questa composizione abbia vinto il Pras Israel (Premio di Israele). Ha conquistato la reputazione di essere tra i più coraggiosi, dopo essersi preso cura della causa degli ebrei etiopi affermando con audacia che essi non avevano la necessità di convertirsi in quanto ebrei a tutti gli effetti. Questa sentenza ha avuto l’importante funzione di portare il governo israeliano ad occuparsi della que- Il Rishon di Zion “I l Rishon di Zion (annuncerà) eccoli qua, darò un annunciatore a Gerusalemme (Isaia 41,27)”. La partecipazione massiccia alle esequie di Ovadia Yosef z.l., paragonata alla rivelazione del Sinai, ha fatto affermare al Rav, anzi Chacham, Eliahu Ben Haiim, Rosh Yeshivà sefardita della Yeshivà University: “Come la Torà è stata data alla presenza di seicentomila persone, così è stata ripresa alla presenza di seicentomila persone”. La dipartita del più influente Rishon Le Zion del nostro secolo fornisce l’occasione tra l’altro di riflettere sulla profonda differenza che esiste tra il titolo sefardita di Rishon Le Zion ed il generico Rav Ha Rashi, Rabbino Capo Ashkenazita di Israele. Oltre alla fonte biblica citata dal profeta Isaia, il titolo e la vicenda storica relativa meritano la nostra attenzione ed emozione. Reuven Kashani venti anni fa pubblicava un’opera in ebraico dedicata alla storia di questa istituzione dall’esilio babilonese (Resh Galutà) al Naghid Sefardita. Bisogna attendere il 1525 per tornare a proporre il ruolo di Rishon Le Zion insieme con il Chacham Bashi per l’impero ottomano. Il termine fu una conseguenza del tentativo del rinnovo della Semichà (investitura rabbinica) a Zefat da Rabbi Yaakov BeRav. Sicuramente la tensione dell’epoca continuò negli anni successivi, senza porre mai in discussione il ruolo centrale di Gerusalemme come centralità del potere. Il primo Chacham Bashi di nomina governativa fu Rabbì Eliahu risolse tutti i casi di agunà, cercando qualsiasi appoggio dell’Halachà per liberarle. Il fatto che ogni caso sia stato preso in considerazione, accuratamente, dimostra non solo una grande sensibilità, bensì una grandissima responsabilità, una responsabilità che moltissimi, se non tutti i rabbini, non si sono azzardati a prendere. Rav Ovadia ha allevato molti alunni, qualcuno era il suo pupillo? I suoi figli, che sono stati e sono i capi delle Yeshivot da lui costituite: Rav Yaakov Yosef z.l. che è deceduto qualche mese fa, R. Itzack Yosef che è l’attuale Rabbino Capo d’Israele sefardita, Rav Avraham Yosef, Rav David Yosef e Rav Moshe Yosef. Come era il rapporto con la politica? Differentemente dall’opinione comune, egli non amava la politica ma la utilizzava, al massimo, come mezzo e tramite di diffondere la Torà e le tradizioni sefardite presso coloro che facevano parte degli strati della società anche più lontani da essa. Jonatan Della Rocca Nella foto a sinistra: rav Ovadia Yosef al matrimonio di rav Moschè Hacmoun Capsali, nominato da Maometto II; dopo di lui abbiamo Eliahu Mizrachi (Re’em) ed altri grandi Rabbini fino al 1864 dove una fonte legislativa turca stabiliva che il Chacham capo di Costantinopoli fosse il capo di tutta la nazione ebraica che risiedeva nell’Impero Ottomano. Il Chacham Bashi vestirà con manti regali ed avrà un turbante sul capo. Il titolo Chacham fu diffuso nella Comunità Sefardita di Londra e persino il Rabbino di Bagdad stendeva la sua autorità in Iraq come Chacham Bashi. Il termine Rishon Le Zion ha origine dalla scelta del Rav HaMaghen, R. Moshè Galante che rifiutò nel 1665 il titolo di “Rabbino e Presidente del Tribunale di Gerusalemme” preferendo il titolo di Rishon Le Zion. Il primo titolo di Chacham Bashi di Erez Israel venne dato nel 1842 a Rabbi Haiim Gagin che unì al titolo Chacham Bashi anche quello di Rishon Le Zion. Lo storico M. D. Gaon stilò una lista di Rabbanim di Jerushalaim dal 1437 al 1939 in cui venne nominato Rishon Le Zion con decreto Ben Zion Meir Hai Uziel. Il luogo dell’insediamento del Rishon Le Zion è la Sinagoga Iochanan Ben Zakkai nella Città vecchia e dalla fine dell’impero ottomano, precisamente dal 1921, fu scelto di eleggere due Rabanim Rashim, uno askenazita chiamato Rabbino Capo d’Israele ed il suo ben zug, compagno di studio e collega sefardita, chiamato Rishon Le Zion. Voglia il Signore concedere alla nostra generazione di vedere realizzata la profezia di Isaia: “Ecco sta per venire il primate di Zion ed a Gerusalemme darò un annunciatore”. Rav Umberto Piperno NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 stione e a trasferirli immediatamente in Israele. È inoltre noto come lui abbia cercato di contrastare l’autorità halachica ashkenazita in Israele, innalzando il nome e le tradizioni dei sefarditi considerandole assolutamente di pare valore, se non superiori, a quelle degli ashkenazim. Perché Ovadia ha avuto così tanto seguito? Una volta divenuto Rabbino Capo di Israele si ripromise pubblicamente di seguire la strada di Beth Hillel, un cammino che ha cercato di facilitare le halachot al fine di avvicinare Am Israel alla Torà. Soleva dire nelle sue lezioni: “Coach deeter adifa”, ovvero “la forza di permettere, di dire che qualcosa è permesso viene preferita”, spiegando che, come è stato affermato anche da Rashi, facile proibire, dire di no, ma è indubbiamente più difficile permettere: scavare fino in fondo, faticare nel cercare appoggi e opinioni che possano alleggerire e risolvere situazioni complicate e sensibili. Questo deriva da un grande Ahavat Israel: un amore senza confini, che cerca di prendere ogni caso accuratamente come proprio, se non di più. Ed è proprio l’amore illimitato che non vede barriere e che mette la vita del prossimo in precedenza alla propria che dimostra quanto Rav Ovadia Yosef sia stato un Gadol Israel (un grande d’Israele). Quali sono state le decisioni più importanti come Rabbino capo d’Israele? Dopo la guerra di Kippur, nell’ottobre del ’73, gli venne chiesto dal Generale dell’IDF, l’esercito israeliano, di trovare una soluzione per le ottocentocinquanta donne i cui mariti erano dati persi in battaglia, presumibilmente morti. Se non si fosse trovata alcuna prova che testimoniasse le loro morti, queste donne sarebbero state aduno - “incatenate” ai loro matrimoni e impossibilitate a risposarsi secondo la legge ebraica. E nel 1976, Rav Ovadia Yosef 7 COPERTINA Storia delle Pantere Nere d’Israele Negli anni ’70 i ‘Pantherim Shechorim’ furono un gruppo estremista che rivendicava i diritti per i sefarditi S e ci si imbatte in qualcosa di paradossale, si finisce prestissimo per incontrare un buon numero di ebrei addetti ai lavori. Uomini e donne che da ormai 70 anni possono vivere anche a Tel Aviv o Gerusalemme. Insomma, sono israeliani. E’ appena iniziato il 1971, quando all’aeroporto di Lod sbarca una dirigente del Partito Comunista degli Stati Uniti d’America vicinissima anche al Black Panthers Party, il più radicale dei movimenti afroamericani, successivamente scivolato sulle posizioni antiebraiche-antisioniste dei cosiddetti Mussulmani Neri di Louis Farrakhan. All’epoca i controlli di sicurezza erano piuttosto rudimentali, e tutti si sentivano molto più inutilmente ottimisti di quanto sia invece possibile oggi. Angela Yvonne Davis (che ormai ha 69 anni, e nessun ebreo in famiglia, proprio come allora) voleva incontrare i con un suo gruppo di estrema sinistra. Ancora in piena militanza, è morto nel 2007. Già nel 1973 la Guerra di Yom Kippur aveva cambiato completamente le carte in tavola. Poi la pace con l’Egitto di Anwar el-Sadat permise a Israele di dedicarsi ai problemi interni. La direzione del paese passò alla destra e al suo capo storico, Menachem Begin. I mizrahi trovarono nella tradizione sefardita il più forte cemento per la propria particolare identità, e quindi nel sionismo fondato sulla alakhà la base per una rinnovata azione politica. Il partito religioso Shas ne rappresentò gli interessi con fermezza e successo. A Gerusalemme, il quartiere di Musrara dove Saadia Marciano aveva abitato fin da bambino e dove aveva creato le sue “Pantere” appare oggi una zona privilegiata, ricca di musei, gallerie d’arte e centri culturali. Ma negli anni ’50 del secolo passato, prima della riunificazione e della Guerra dei Sei Giorni, si trovava quotidianamente sotto il tiro dei cecchini giordani che rendevano molto pericolosa la vita dei residenti. Saadia Marciano e le pantere sostenevano, forse giustamente, che dopo la nascita dello Stato ebraico i luoghi più precari e pericolosi risultavano destinati agli ultimi arrivati. L’Operazione Tappeto Volante (50.000 ebrei dallo Yemen), i pogrom di Baghdad e delle altre grandi capitali arabe d’oriente e del nordafrica, sembravano insomma aver fornito a Israele il popolo dei suoi difficili, insicuri confini. Piero Di Nepi Nella foto in alto: Angela Davis, a sinistra: Saadia Marciano NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 LA RIVINCITA DEI MIZRAHI 8 dirigenti di un forte movimento di protesta degli olim immigrati in Israele dopo l’espulsione in massa dai paesi arabi. I cosiddetti “Mizrahi”, ebrei “d’oriente”, costituivano quasi il 60% della popolazione ebraica. Si trattava allora - e lo è tuttora - di una componente decisiva della società israeliana, ma in qualche modo penalizzata dal prevalere degli askenaziti nelle istituzioni e nell’economia. Il problema si era seriamente aggravato con l’arrivo degli ebrei russi dall’Unione Sovietica, che ricevevano un trattamento ritenuto di favore rispetto alle durissime condizioni che i mizrahi avevano trovato all’inizio degli anni ’50. Angela Davis intendeva verificare la possibilità di una saldatura politica tra gli obiettivi riformisti di Saadia Marciano, uno dei leader mizrahi, e i gruppi palestinesi. Progetto naturalmente impraticabile, e Angela Davis tornò a casa senza risultati. Ma Marciano aveva acquisito tutti gli elementi necessari per fondare il partito semirivoluzionario e ultralaicista delle Pantere Nere d’Israele. Il laburismo israeliano dirigeva allora lo Stato sotto la guida molto energica Golda Meir, erede di David Ben Gurion e di Levi Eshkol. Immediatamente Pantherim Shechorim fu di fatto individuato come minaccia per la sicurezza nazionale in un momento difficile. Il 18 maggio 1971 si verificarono a Gerusalemme scontri violentissimi tra la polizia e 7.000 manifestanti. Ci furono 74 arresti e 20 feriti, anche gravi. La storia seguì poi altre strade. Saadia era nato a Oujda in Marocco nel 1950. La famiglia raggiunse Israele in quello stesso anno. Nel 1977 Marciano entrò alla Kneseth A riempire di una folla mai vista le strade di Gerusalemme per i funerali del Gran Rabbino Ovadia Yosef scomparso all’età di 93 anni, la sera del 7 ottobre - 4 Chesvan 5774 - erano forse in 850.000. Però le autorità, proprio come qui da noi, hanno preferito giocare al ribasso ed alla tosatura dei numeri, fornendo la cifra ufficiale di non più di mezzo milione di persone. Comunque impressionante, per un paese che accoglie sei milioni di ebrei, per la maggior parte non strettamente osservanti. Ma anche se Ovadia Yosef è stato un uomo di assoluto carisma spirituale nello Stato ebraico, al di là della devozione e del riconoscersi nella tradizione sefardita gli uomini, le donne i bambini che sono accorsi da tutto Israele per accompagnarlo nel suo ultimo viaggio in questo mondo, volevano sicuramente proclamare un fortissimo “Ci siamo anche noi!”, anzi “noi soprattutto”. Ed è un ci siamo di decisivo valore politico. Qualcuno infatti li chiama impropriamente sefarditi d’Israele, altri con sfumature non del tutto amichevoli li definiscono “maghrebi” cioè nordafricani, ma in realtà il termine riconosciuto da tutti è “mizrahi”, ebrei d’oriente. Ebrei che riconoscono le proprie radici nei paesi di cultura islamica dai quali dovettero fuggire, dopo l’ondata di pogrom spietati che precedettero e poi seguirono la fondazione di Israele. Si sentono ancora penalizzati dalla formazione sostanzialmente askenazita della classe dirigente, e sono convinti di costituire la vera forza demografica e militare dello Stato. Gli israeliani mizrahi esigono dunque parità nell’amministrazione, negli affari, nelle università, e ormai anche nelle yeshivot. Tuttavia, nell’esercito e nella sicurezza nazionale occupano posizioni di grande rilievo. Quale sia la verità vera, trattandosi di ebrei, è materia di contesa, che si prolungherà per tempi non prevedibili. Chi conosce bene Israele sa che probabilmente hanno ragione loro. (P.D.N.) L’ebraismo askenazita? È nato nella Roma Imperiale È il risultato rivoluzionario di una ricerca genetica della New York University convertivano poi alla nuova religione”, spiega Richards. “In base ai nostri dati”, aggiunge, “l'80 per cento delle linee di discendenza materne degli askenaziti proviene da donne indigene italiane”. “Circa 2000 anni fa, nella città di Roma prosperava un’ampia comunità ebraica di cui facevano parte numerosi convertiti”, continua il genetista. “Si stima che fossero ben 6 milioni gli individui che agli albori dell’Impero Romano praticavano l’ebraismo”. Lo studio di Atzmon e Ostrer esamina invece i marcatori genetici e autosomi di entrambi i sessi, giungendo però alla stessa conclusione: gli Askenaziti discendono da donne dell’Europa meridionale e occidentale e non dalla Palestina o dall’Impero Cazaro come molti credevano. Secondo il New York Times il legame genetico askenaziti-sefarditi che emerge dallo studio è un risultato straordinario che smentisce la tesi sostenuta dal controverso storico israeliano Shlomo Sand nel libro The Invention of the Jewish People, nel quale afferma che gli ebrei askenaziti dell’Europa centro-orientale discenderebbero dai Cazari, una tribù turca che si convertì al giudaismo nel XII secolo e creò un impero nel Caucaso. Sempre secondo Sand il popolo ebraico non esiste perché la diaspora ebraica sarebbe soltanto il frutto di una leggenda, creata dai sionisti a fini opportunistici. La scienza però lo smentisce. “La parentela genetica tra askenaziti e sefarditi esiste ed è provata”, afferma Ostrer. “La firma genomica delle due comunità è molto simile a quella degli italiani”, continua Ostrer, “da ciò si deduce che gli avi di entrambi siano stati un’antica popolazione dell’Italia settentrionale composta da ebrei sposati con italiani. Anche durante il Medioevo”, spiega, “vi sono state moltissime interazioni matrimoniali tra italiani ebrei e non”. Resta da capire se questa nuova ricerca avrà implicazioni culturali o religiose visto che l’affiliazione all’Ebraismo per via materna vige ormai dal 200 d.e.v. “Avevo previsto polemiche e forti reazioni alle nostre tesi”, ribatte Richards, “credo però che esiste il modo per conciliare la nostra scoperta con le posizioni di altri studiosi: considerare che i progenitori maschili degli askenaziti provengano dal Medio Oriente mentre le matriarche siano di origine europea”. Alessandra Farkas Dall’alto: Harry Ostrer e Martin Richards NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 N EW YORK – Quattro matriarche ebree vissute in Italia all'inizio dell'Impero Romano sono le antenate comuni dell'80 per cento della popolazione di ebrei askenaziti, il gruppo che costituisce oggi la maggioranza della popolazione ebraica mondiale (il 90% degli ebrei Usa, il 50% in Israele). Lo rivela un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature Communications secondo cui le donne della fiorente comunità ebraica romana di 2000 anni fa sarebbero le progenitrici dell'intero popolo ebraico della Mitteleuropa. Basata sull'analisi genetica delle sole linee matriarcali, la ricerca di Martin Richards dell’Università di Huddersfield in Gran Bretagna sembra corroborare un altro studio fondato sull’esame dell’intero genoma, realizzato da Gil Atzmon dell’Albert Einstein College of Medicine e Harry Ostrer della New York University che individuava una comune discendenza italiana sia per gli Askenaziti che per i Sefarditi. Lo studio di Richards conferma dunque la stretta parentela genetica tra due comunità per tanto tempo divise e persino rivali: askenaziti e sefarditi. “Considerate le somiglianze genetiche tra i due gruppi”, spiega Richards, “si deduce che all’antica popolazione ebraica della Roma imperiale appartengono non solo le progenitrici degli askenaziti ma anche quelle dei sefarditi di Spagna e Portogallo”. Precedenti studi genetici avevano stabilito che le comunità ebraiche della diaspora erano state fondate da uomini i cui cromosomi Y (trasmessi dal padre ai soli figli maschi) avevano sequenze che si riscontrano di solito in Medio Oriente. La sorpresa è arrivata quando i genetisti hanno studiato il Dna mitocondriale femminile trasmesso esclusivamente dalla madre a tutti i figli e considerato lo strumento ideale per ricostruire gli alberi genealogici. Con l’intero genoma mitocondriale oggi a disposizione, Richards è riuscito a dimostrare che molte comunità ebraiche al di fuori d’Israele hanno origine dal matrimonio tra uomini provenienti dal Levante e donne locali “italiane” poi convertitesi all’ebraismo. Gli esperti sono giunti a questa conclusione comparando le variazioni genetiche all’interno delle comunità ebraiche con quelle della popolazione locale non ebraica. “I risultati suggerivano un modello di migrazioni in cui gli uomini, con molta probabilità mercanti, arrivavano da soli dalle regioni del Medio Oriente e prendevano in moglie donne del posto che si 9 MEDIO ORIENTE Il miracolo di Obama L’inconcludente politica statunitense, incapace di fermare la minaccia nucleare iraniana, ha paradosslamente avvicinato Israele all’Arabia Saudita. Nel nuovo Medio Oriente il conflitto non sarà con i palestinesi ma una feroce contrapposizione tra sciiti e sunniti NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 I 10 l grande spettacolo del rovesciamento delle alleanze mediorentali è cominciato, e le sue conseguenze sono tutte da disegnare. E’ un giuoco di scacchi molto pericoloso che, come sempre, comincia in casa Obama. Fino ad ieri gli Stati Uniti avevano un alleato principale nel mondo arabo, l’Egitto. Certo, esso non era più importante di Israele nella strategia americana, ma aveva una funzione stabilizzante insostituibile. Quando la Fratellanza Musulmana ha preso il potere, Obama ha compiuto un passo falso: l’ha abbracciata come fosse portatrice di democrazia, con un certo cinismo nei confronti della parte laica del Paese, perché anche lui sa, proveniendo per la metà della sua storia dal mondo musulmano, come la sharia non sia gradita proprio a tutti coloro che sono nati islamici. Ma nell’abbraccio americano verso al Ikwan, che comprendeva anche le forze vincenti tunisine e tutto ciò che è connesso in varie maniere alla stessa sigla, inclusi i turchi di Erdogan e vari gruppi libici o siriani, Obama si è illuso di realizzare la sua grande rivoluzione strategica che punta a un abbraccio mondiale fra cristiani e musulmani, con annessa la frangia del conflitto israelo palestinese. Ma non gli è riuscito: tutti ricorderanno come il generale Sisi abbia interpretato la furia del popolo egiziano di fronte alla presa del potere di una parte che forse poteva ambire quanto a voti all’egemonia ideologica, ma che ne aveva fatto il peggiore di tutti gli usi praticando di nuovo, come al tempo di Mubarak, la prepotenza settaria e la corruzione. La sconfitta di al Ikwan si è posta come un grande punto interrogativo per Obama, che comunque ha puntito Sisi con cautela, togliendoli solo una parte dei finanziamenti americani: chi sarebbe stato ora il suo interlocutore ideale per il grande abbraccio fra le due religioni trainanti? La domanda è giunta mentre il Medio Oriente è preda di una grande guerra fra sunniti e sciiti. Ma la sconfitta della grande forza egiziana ha messo in rilievo, senza possibilità di smentita, una frattura verticale anche nel mondo sunnita, perché se è vero che oggi tutti i confini del Medio Oriente sono di nuovo in discussione a causa dello scontro fra le due correnti basilari dell’Islam, appunto quella sciita e quella sunnita, pure all’interno di quest’ultimo gruppo, che è maggioritario, non esiste un solo leader come per gli sciiti, dove l’Iran predomina senza sfidanti. Fra i sunniti, oltre all’Egitto l’altra grande potenza è quella Saudita, con Sisi soddisfatto della caduta dei Fratelli Mussulmani che in nome di un nuovo panislamismo, stavano cercando un’alleanza egiziana col grande nemico, l’Iran sciita e presto anche nucleare. Per gli americani una speranza di stabilità era nel passato venuta anche dalla Turchia, ma Erdogan ha follemente esagerato nella sua visione ottomano-islamista, che l’ha spinto a credere di poter prendere la guida del mondo ispirato dai Fratelli Musulmani e ristabilire l’impero Turco. L’ha fatto però con due tattiche fallimentari: la repressione dei costumi laici nel suo Paese, che ha suscitato grandi manifestazioni soffocate nella violenza, e con un odio antisraeliano che è sfociato, dopo molti atti di intolleranza, nella incredibile consegna di una rete del Mossad ai vicini iraniani e al sostegno scriteriato di Hamas. I Sauditi intanto hanno in questi ultimi due anni individuato il loro maggior problema nella questione siriana, punta di diamante delle strategie iraniane. Assad ha resistito tanto a lungo perché puntellato da uomini, armi, stretegie tutte messe a punto dal regime iraniano degli ayatollah e dai guerriglieri Hezbollah, che con Assad hanno assassinato e compiuto razzie. L’asse sciita è stato a un centimetro dall’essere attaccato militarmente da Obama, quando Assad ha usato contro il suo popolo il gas venefico Sarin sorpassando la cosiddetta “linea rossa”. Ma non è accaduto. Al contrario, l’accordo di Obama con la Russia (che è l’altro grande alleato strategico di Assad perché Putin vede in lui un presidio strategico in Medio Oriente e ha nel porto di Tartus l’accesso russo al Mediterraneo) per distruggere senza intervento militare le armi chimiche di Assad, non solo ha risparmiato il rais siriano dopo 100mila morti, ma lo ha in certo modo garantito. Infatti nessuno potrà cacciarlo via finchè l’accordo della consegna delle armi di distruzione di massa nelle sue mani non verrà concluso, chissà quando. Contemporaneamente all’accordo che ha reso furiosa non solo l’Arabia Saudita ma tutti i paesi del Golfo, si è consolidata la famosa politica della mano tesa dell’Iran, in realtà una scatola vuota riempita solo dai sorrisi del nuovo presidente iraniano Rouhani all’ONU e dall’idea mai sostanziata di realtà che, tramite i colloqui in corso, si possa arrivare a una svolta nell’arricchimento dell’uranio. La verità è che l’Iran ha un bisogno disperato di ridurre le sanzioni che ne rovinano l’economia, che cerca di indurre il mondo a diminuirle, e che sta guadagnando tempo come peraltro, per affermazione dello stesso Rouhani nel 2005, ha già fatto: una strategia consolidata nella quale Obama e dietro di lui tutto il mondo occidentale è cascato senza battere ciglio e che i sauditi non possono accettare, perché per loro il rischio di un Iran nucleare è inaccettabile e definitivo. Dunque, mentre il consesso internazionale spera in un accordo negoziale con l’Iran, chi è rimasto a dire che i colloqui di fatto servono all’Iran per mettere in salvo il suo progetto atomico, è Israele - che ha dichiarato che se la bomba atomica iraniana fosse in vista non avrà paura di fermarla da solo - e una parte del mondo arabo, ovvero i Sauditi e i loro alleati. Un’alleanza oggettiva, che potrebbe allargarsi di molto nel mondo sunnita. Ciò significa però dissentire vigorosamente dalla politica americana. Israele temporeggia ed esita, ma i Sauditi hanno compiuto un passo molto pesante: si sono rifutati infatti di entrare a far parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sostenendole l’inutilità. Infatti, hanno detto i rappresentati del re saudita, negli scorsi mesi il Consiglio ha sempre coperto Assad con il veto russo, e adesso è inane testimone dell’avventura che il mondo intraprende lasciando che Assad continui la sua strage coperto di fatto dalla forza iraniana, a sua volta diventata potabile per via del nuovo atteggiamento americano. Un vero attacco a Obama, innanzitutto che mette a rischio grandiosi commerci di petrolio e di armi e la grande base americana che ha sede negli Emirati. Dunque, per strano che possa essere, mentre Obama tenta il suo vagheggiato riavvicinamento delle civiltà stavolta scegliendo, anche se con qualche apprensione, la parte sciita, quella sunnita, almeno dal lato saudita, sceglie una linea che somiglia a quella di Israele, così come altre componenti interessate a dire al mondo che a loro il conflitto maggiore non appare certamente quello fra israeliani e palestinesi, ma quello fra sunn- iti e sciiti. Così per esempio i trenta milioni di curdi che ambiscono a un loro Stato. Che cosa Obama pensi di potere ottenere con la trattativa iraniana non si sa, ma forse, e lui non lo sa, il risultato non previsto può essere una pace sunnita-israeliana dettata da comuni interessi antiraniani. Non è un caso che il mondo palestinese si stia in queste settimane invece riavvicinando ad Assad. Fiamma Nirenstein Alla scoperta dell’enogastronomia ebraica domenica 17 novembre dalle 10.00 alle 19.00 Palazzo della Cultura via del Portico d’Ottavia 73 Roma Ingresso gratuito mail: [email protected] facebook: Gusto Kosher twitter: @GustoKosher Prodotto da In collaborazione con Con il patrocinio di Ambasciata di Israele in Italia NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 Gusto Kosher 11 MEDIO ORIENTE Un Medio Oriente che sta andando in frantumi Circolano delle cartine in cui Siria, Irak, Libano, Arabia Saudita, Libia vanno a pezzi e le entità che ne escono si ricompongono secondo linee tribali, religiose, geopolitiche. Israele sta nel mezzo e l’America è lontana C NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 ome in ogni città italiana che si rispetti vi sono alcune decine di migliaia di allenatori potenziali della squadra di calcio locale, che chiacchierando al bar sono capaci di fare molto meglio di chi per puro caso si trova davvero in panchina a dirigere i calciatori, così il mondo ebraico è pieno di potenziali primi ministri che farebbero la pace molto meglio e molto prima di Netanyahu e dei suoi predecessori. Purtroppo, nel calcio come in politica, le cose sono un tantino più complicate di quel che sembra e bisognerebbe fare attenzione prima di dare ricette. Per esempio non si capisce facilmente chi sta con chi e chi sta contro. Prendiamo per esempio la Siria. Gli Stati Uniti sono arrivati a un passo da bombardare le truppe di Assad per via del loro uso di gas velenosi, Israele un paio di volte, a quanto si dice, l’ha dovuto fare 12 per evitare il trasferimento di armi perfezionate e soprattutto di gas velenosi a Hezbollah. Gli Usa hanno approvato Israele? Per nulla, anzi hanno fatto trasparire il loro dissenso con alcune pericolose soffiate sulle modalità degli attacchi israeliani. La Turchia, d’altro canto, è insoddisfatta della passività americana; dovrebbe dunque approvare le azioni israeliane; e invece no, le condanna come violazione della sovranità siriana, proprio mentre bombarda nel territorio siriano. Arabia Saudita e Qatar sono anch’essi per i ribelli; ma mentre l’Arabia Saudita appoggia i generali egiziani (che combattono nel Sinai Hamas, anch’esso anti-Assad), la Turchia e il Qatar sono contro i generali egiziani e pro Assad. Gli Stati Uniti sono contro gli egiziani, ma ancora - si spera - contrari ad Hamas. Arabia Saudita ed Egitto sono contro l’Iran, che è il principale sostenitore di Assad, ma la Turchia tiene con Teheran dei rapporti piuttosto cordiali. Insomma, è difficile capire qualche cosa del balletto intorno alla guerra, come è difficile mettere ordine sulle posizioni delle forze interne al conflitto: vi sono delle forze moderate, come si illudevano gli americani? I curdi con chi stanno, con Assad o con i ribelli? E che rapporti hanno coi curdi iracheni e con quelli turchi (e questi fra loro)? La verità è che quel quadro artificiale che si era formato in Medio Oriente dopo la Prima Guerra Mondiale e la fine dell’impero ottomano, che aveva retto lo shock della seconda Guerra Mondiale, della nascita di Israele, della sua resistenza vittoriosa alle aggressioni, della guerra fredda, sta andando a pezzi. Circolano delle cartine con un nuovo Medio Oriente in cui Siria, Irak, Libano, Arabia Saudita, Libia vanno a pezzi e le entità che ne escono si ricompongono secondo linee tribali, religiose, geopolitiche. E naturalmente c’è chi pesta in questo torbido per puntare a emirati islamici, nuovi imperi ottomani o persiani, vecchie egemonie russe sulle rotte del petrolio, che una volta erano della seta. Per non parlare del peso crescente (economico ma anche politico) che in questo gioco ha la Cina. Israele sta in mezzo a questa situazione confusa e aggressiva, e deve evitare di perdere anche una sola partita, perché sa che non ci sarebbe il girone di ritorno. Difficile fare l’allenatore (o il primo ministro) in questa situazione. Anche perché - per continuare con le metafore sportive - vi è chi gioca a sparigliarla, come quei cattivi giocatori di biliardo o di bocce che non riuscendo a piazzare la loro sfera vicino al bersaglio, cercano di colpire il boccino per far saltare a caso tutta la configurazione. E’ questo ormai il ruolo dell’America di Obama, perdente su tutti i fronti, che oggi sembra capace solo di fare mosse azzardate “per vedere l’effetto che fa”. Vediamo alcuni esempi. protettore del regno saudita. Se Obama stringe legami con l’Iran, abbandona l’Arabia Saudita, che è il suo grande avversario nell’area (e Israele, naturalmente, che l’Iran minaccia quotidianamente, anche usando le sue pedine di Hamas e soprattutto Hezbollah). Che la diplomazia saudita, di solito prudentissima, abbia deciso un gesto del genere, la dice lunga sullo stato dei rapporti (e del resto al posto degli Usa ha risposto e in maniera piuttosto arrogante la Russia). Rispetto a questa situazione, vanno lette con molta attenzione le affermazioni ripetute dal governo israeliano per cui vi sarebbe una convergenza rispetto all’Iran con “paesi arabi” non citati per nome, ma facili da identificare. Un altro fatto è il taglio dei finanziamenti all’Egitto, deciso a freddo, stica israeliana in Iran agli iraniani, distruggendo una risorsa preziosissima contro l’atomica iraniana. Ciò illustra l’ormai evidente ambiguità della politica turca (che di recente fra l’altro ha commissionato la propria difesa antimissile alla Cina e non agli Stati Uniti, pur essendo membro della Nato). Ma, come le altre soffiate provenienti nei mesi scorsi dal governo americano che riguardavano le operazioni di Tzahal in Siria, ha anche il sapore di un ricatto. E’ chiaro che gli americani non solo si sono impegnati a far ripartire i negoziati fra Israele e l’Anp, ma sostengano in quella sede posizioni inaccettabili per Israele sui problemi della sicurezza, come lo sgombero israeliano della Valle del Giordano, magari sostituendolo con un contingente internazionale (la cui efficacia si è ben vista in questi mesi in Libano, dove Hezbollah fa quel che gli pare), sul Golan (dove il contingente Onu è semplicemente sparito) e nel Sinai (dove le forze internazionali sono state in pratica prese a ostaggio dai terroristi). Fra i molti problemi che chi guida Israele (ma sul serio, non dal Bar sport) deve affrontare è fino a che punto piegarsi alle imposizioni americane (essendo Israele ricattabile dagli Usa in diverse misure sul piano economico, militare, di sicurezza e diplomatico), e quando rifiutare queste pressioni, ribellandosi a Obama come hanno fatto in sostanza Egitto e Arabia Saudita. E’ una decisione delicatissima, soprattutto in mezzo ai giri di valzer che la presidenza americana sta facendo in maniera spregiudicata o sconsiderata con i nemici storici propri e dei propri alleati. Il terrorismo che si sta riaccendendo, le dinamiche fuori controllo ai confini, il ruolo di fornitore d’armi e protettore dei regimi canaglia che si è assunta la Russia rendono ancora più difficile la condotta israeliana. Chi vuole bene a Israele ed è felice vedendone fiorire l’economia e la tecnologia, la libertà e la vita quotidiana, deve sperare che la mano ferma e la grande esperienza politica di Bibi Netanyahu permettano di superare senza danni questo tempo difficilissimo. Ugo Volli NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 Il più noto è la svolta repentina sull’Iran, in seguito all’apparizione del presidente persiano Rouhani alle Nazioni Unite e alla sua “offensiva dello charme”. L’amministrazione Obama sembra decisa ad abbandonare una politica di interdizione dell’espansionismo iraniano che dura da trent’anni e ha come punto focale la disputa intorno all’armamento nucleare iraniano, che gli ayatollah cercano non solo come mezzo per “cancellare Israele dalla carta geografica”, ma anche per stabilirsi come potenza egemone nell’area che va dall’Egitto all’India, dall’Asia centrale al Corno d’Africa, dove è concentrata buona parte del petrolio del mondo. Questo progetto naturalmente cerca di scalzare la presenza e la prevalenza americana nell’area. Di qui uno scontro molto complicato e prolungato, in cui sembra che gli Stati Uniti abbiano improvvisamente deciso di abbandonare il loro ruolo e i loro alleati. In questo senso va letto anche la rinuncia di Obama a lottare contro il regime di Assad, protetto dell’Iran (e della Russia). Una conseguenza di questa scelta è l’altro esempio di mutamento traumatico, segnalato in maniera clamorosa dal rifiuto dell’Arabia Saudita di entrare nel consiglio di sicurezza dell’Onu per protesta contro la sua impotenza sul caso siriano: è uno schiaffo che va più che all’Onu, agli Stati Uniti, che sono stati per settant’anni il grande dopo alcuni mesi dalla presa del potere dei militari che hanno eliminato la Fratellanza Musulmana che godeva del gradimento di Obama. E’ chiaro che il governo militare è ben stabile, che gli islamisti riescono a fare del terrorismo ma non a mobilitare le masse. E’ chiaro anche che l’Egitto è il baricentro del mondo arabo, il paese più popolato e più antico. Perché Obama lo vuole punire con il taglio di tutti i finanziamenti “non indispensabili”? Certamente l’amministrazione non approva la repressione degli islamisti, la rottura con la Turchia, l’appoggio reciproco con l’Arabia Saudita (che ha dichiarato di volersi sostituire agli aiuti americani, e probabilmente anche il coordinamento con Israele nell’isolare e combattere le bande armate islamiste del Sinai (che sono per lo più targate Hamas). Si è creato dunque un asse fra Israele Egitto e Arabia Saudita, senza se non contro gli Stati Uniti? Difficile dirlo. Certo che c’è stato un altro episodio istruttivo, cioè la rivelazione di un giornalista molto vicino al governo americano del fatto che la Turchia avrebbe consegnato tre anni fa una rete spioni- 13 MEDIO ORIENTE Quel posto che viene negato ad Israele I Lo Stato ebraico non ha mai fatto parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, per colpa del rifiuto arabo sraele ha avanzato la propria candidatura per uno dei dieci seggi non permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per il biennio 2019-2020. Il Consiglio di Sicurezza è l’organo più importante dell’ONU, sia per la rilevanza delle questioni di sua competenza, sia perché, in alcuni casi, dispone di poteri decisionali vincolanti. Il suo compito è quello di garantire il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale; il Consiglio di Sicurezza determina dunque l’esistenza di una minaccia alla pace o un atto di aggressione e stabilisce le misure da prendere per risolvere la controversia in questione, finanche imponendo sanzioni o autorizzando l’uso della forza (art.42 Carta ONU). Ottenere un seggio in seno al Consiglio di Sicurezza conferisce ad un Paese grande prestigio e una maggiore voce in capitolo nel prendere le decisioni sulle vicende internazionali. Lo Stato ebraico figura nella lista dei Paesi che non sono mai stati eletti membri del Consiglio, come molti microstati e Stati di recente indipendenza. L’ambasciatore israeliano all’ONU Ron Prosor ha affermato che “è giunto il momento” che Israele effettui questo tentativo; tuttavia, non si tratterà di un’operazione semplice: vincere un seggio nel Consiglio di Sicurezza richiede una maggioranza dei due terzi degli Stati dell’Assemblea Generale, che devono votare ispirandosi al criterio del “contributo dei Membri delle Nazioni Unite al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale ed agli altri fini dell'Organizzazione, ed inoltre ad un'equa distribuzione geografica” (art. 23 Carta ONU). Israele sarà in lizza con Germania e Belgio per i due seggi destinati alla zona “Europa Occidentale e altre aree”, essendo escluso dall’area Asia-Pacifico per volontà di numerosi stati islamici. La Germania in particolare si presenta come un concorrente scomodo: è il terzo maggior contribuente finanziario delle Nazioni Unite ed ambisce ad un simile posto da 25 anni. La votazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 17 ottobre scorso ha assegnato a Ciad, Cile, Lituania, Nigeria e Arabia Saudita cinque dei dieci seggi non permanenti del Consiglio di Sicurezza per un periodo di due anni che inizierà dal primo gennaio 2014. Questi Paesi hanno ottenuto la maggioranza dei due terzi dell’Assemblea Generale e vanno a rimpiazzare Azerbaijan, Guatemala, Marocco, Pakistan e Togo, il cui mandato si concluderà alla fine del 2013. Gli altri cinque membri non permanenti del Consiglio sono Argentina, Australia, Lussemburgo, Corea del Sud e Ruanda, che manterranno la carica anche per il prossimo anno. A questi dieci, si affiancano ovviamente i cinque membri permanenti, dotati di diritto di veto (art. 27 Carta ONU): Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia e Cina. L’eterogeneità dei Paesi membri del Consiglio di Sicurezza permette di continuare a coltivare le speranze per un successo di Israele, candidato per il biennio 2019-2020. Tuttavia, l’ostilità mostrata nei confronti dello Stato ebraico da parte di numerosi Paesi dell’Assemblea Generale lascia presagire un percorso non semplice, come ha dimostrato anche recentemente la votazione del 29 novembre 2012 che ha riconosciuto alla Palestina lo status di stato non membro delle Nazioni Unite. Daniele Toscano IMPRONTE VIAGGI E TURISMO ארגון רומאי חברים של ישראל Associazione Romana Amici d’Israele NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 PRESENTA 14 Il kibbutz racconta la storia di Israele 15 – 22 DICEMBRE 2013 (8 giorni, 7 notti) Alla scoperta di Israele con una guida d’eccezione: Angela Polacco In programma incontri istituzionali Quotazione p.p. € 1600,00 Supp. singola p.p. € 320,00 Per il programma completo: www.impronteviaggi.it - www.federazioneitaliaisraele.it biglietteria aerea nazionale ed internazionale biglietteria ferroviaria e marittima itinerari in Israele su misura pacchetti turistici vacanze e benessere Via S. Croce in Gerusalemme, 77 / 77A - 00185 Roma - Tel. 067001906-909 [email protected] Governo palestinese: scomparsi due miliardi di euro Lo denuncia la Corte dei Conti europea. La corruzione dell’Anp è una notizia che non interessa nessun giornale S tavolta il “J’accuse”, che sa di tardiva resipiscenza, viene dall’interno degli organismi della euro burocrazia. Secondo la Corte dei Conti, fondata nel 1977 e con sede in Lussemburgo, negli ultimi quattro anni 2008 – 2012, i vertici del governo provvisorio palestinese avrebbero dilapidato quasi due miliardi di euro. La notizia è stata anticipata dal “Sunday Times” e il report non è ancora disponibile on line, ma sarà questione di poco tempo. In Italia ovviamente non c’è stato, o quasi, un giornale che abbia dato rilievo alla cosa e la veicolazione della notizia si deve in pratica solo a “Progetto Dreyfus”. Così come riportato dal “Sunday Times” che l’ha letto, il rapporto della Corte dei conti europea racconta come gli ispettori europei abbiano visitato Gerusalemme est, Gaza e la Cisgiordania e abbiano indi- KADIMA IMMOBILIARE www.kadimaimmobiliare.it Cerchiamo giovani professionisti che hanno già operato nel settore immobiliare e che vogliono mettersi in gioco ora che il gioco si fa duro. ENTRA NELLA NOSTRA SQUADRA Telefonaci per fissare un colloquio oppure invia il tuo curriculum a Andrea CASTORINA [email protected] 3921631012 Stefano CAVIGLIA [email protected] 3460271320 Valutazione gratuita e senza impegno per la vendita/locazione di immobili di tipo residenziale e commerciale Consulenza per acquisto immobili con le caratteristiche richieste dal committente Aste Immobiliari Progettazione e realizzazione di lavori di ristrutturazione per singoli appartamenti, ville o intere palazzine. 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Il “Sunday Times” ha anche sentito il parere di “Transparency International”, osservatorio europeo con sede a Berlino, specializzato nel monitoraggio della corruzione in politica e nelle aziende. L’empasse politica che caratterizza la situazione del parlamento palestinese sin dal 2007 ha di fatto “accordato all’amministrazione di Ramallah una gestione illimitata dei fondi pubblici”. E ha sottolineato pure come il nepotismo sia “estremamente diffuso nel settore pubblico e in quello privato dei palestinesi.” Per la cronaca, i palestinesi sono il maggior beneficiario di finanziamenti internazionali per cooperazione e sviluppo (UE, ECHO, WB, ONU, UNRWA ecc.). Ad esempio, l’anno scorso ogni singolo palestinese ha ricevuto dalla comunità internazionale 3.100 dollari contro i 174 dollari a testa dei congolesi e i 74 dollari dei pakistani. Il problema è che neanche uno di quei dollari è finito al posto giusto. Il lato davvero paradossale di tutta questa orrenda storia è che, recentemente, Abu Mazen, ha accusato Israele per la crisi economica nei territori palestinesi, bussando nuovamente a quattrini presso le organizzazioni internazionali. Il governo palestinese, infatti, stipendia direttamente circa 150.000 dei quasi due milioni di palestinesi che vivono in Cisgiordania. Una vera e propria lottizzazione che serve solo per continuare a tenere il potere socio-politico su tutta la popolazione. Dimitri Buffa 15 ITALIA Gli scenari futuri del Medio Oriente Incontro promosso dal Centro di Cultura con i giornalisti Maurizio Molinari e Monica Maggioni “M edio Oriente fra dittatori e libertà. Cosa dobbiamo aspettarci per il 2014” è stato il titolo scelto dal Centro di Cultura Ebraica per il dibattito che ha visto protagonisti due ospiti particolarmente ferrati sul tema: Maurizio Molinari, corrispondente de La Stampa negli Stati Uniti, e Monica Maggioni, direttore di Rainews24; a condurre la serata, Jonatan Della Rocca. I due relatori hanno potuto fornire un punto di vista privilegiato per descrivere le vicende mediorientali: il pubblico è stato così stimolato ed ha partecipato con domande ed interventi. Al centro della discussione è stata la Siria, tema ricorrente dell’attualità internazionale; Monica Maggioni, a questo proposito, è stata la prima giornalista ad aver intervistato Assad dopo le risoluzioni dell’ONU del settembre scorso. La giornalista ha trovato il leader siriano tutt’altro che assediato e spaventato, consapevole degli equilibri e dei rapporti di forza che lo circondano, ma deciso a giocare la sua partita fino in fondo. Monica Maggioni ha riscontrato come l’intero Paese sia sconvolto dalle vicende belliche, ma, ciononostante, anche come Assad mantenga un ampio controllo sulla società siriana. L’opposizione al regime, inoltre, col passare degli anni, si è trasformata, divenendo sempre più eterogenea ed accogliendo tra le sue fila ampie frange dell’estremismo islamico, inclusa al-Qaeda: ciò ha reso difficile l’interpretazione della situazione e del destino siriano. Maurizio Molinari si è occupato di tracciare il punto di vista americano in proposito, spiegando la decisione di Obama di rinunciare all’attacco a seguito di un’attenta valutazione costi-benefici, visti i rischi di gestione che probabilmente si sarebbero presentati. Dalla Siria il discorso si è ampliato all’intera area mediorientale, dove è in atto un riassestamento geopolitico che vede coinvolte tutte le potenze della zona, con gli Stati Uniti (e ovviamente anche Israele) attenti osservatori. Da qui anche il nuovo atteggiamento della Casa Bianca nei confronti dell’Iran di Rohuani, altro tema caldo di queste settimane: è innegabile che nella Repubblica islamica il reale potere decisionale spetti all’ayatollah Khamenei, ma non è da trascurare l’atteggiamento del nuovo Presidente, che ha mostrato un interesse a fronteggiare la comunità internazionale in modo non provocatorio, segnando un progresso rispetto al suo predecessore. Probabilmente la scelta di Teheran è dettata dall’esigenza di alleviare le sanzioni mediante progressive concessioni, ma vi è anche la consapevolezza che l’equilibrio della regione potrebbe cambiare in favore di altri Paesi: il riferimento è al Qatar e soprattutto all’Arabia Saudita, che nutre sempre più ambizioni di potenza regionale, anche in antitesi con lo storico alleato americano. Infatti, Riad ha come acerrimi nemici l’Iran e Assad e non ha gradito il mancato intervento USA in Siria; da qui si sono susseguiti una serie di alterchi con Washington, culminati ad ottobre con il rifiuto del seggio al Consiglio di Sicurezza dell’ONU in segno di protesta. Tuttavia, come ha fatto notare Monica Maggioni, se gli interessi sauditi sono chiari, non saranno implementati facilmente, visto che l’Arabia Saudita non fa eccezione rispetto agli altri Stati dell’area e si configura anch’essa non come una realtà monolitica, bensì con tante sfaccettature che non renderanno semplice un processo di ascesa; il primo punto nell’agenda di Riad, ha aggiunto Molinari, era la fine dei Fratelli Musulmani in Egitto ed è stato conseguito, ma la partita più importante si gioca adesso in Siria. L’esito al quale si va incontro è estremamente incerto: se non si hanno certezze sullo svolgimento della Conferenza Ginevra II tra poche settimane, tantomeno è possibile fare previsioni più a lungo termine. Il rischio più grave è che in Siria prosegua ancora a lungo lo stillicidio in atto con il relativo disastro umanitario, mentre in tutta la regione si potrebbe andare verso una crescente instabilità. D.T. PRIMA DI STIPULARE O RINNOVARE LA POLIZZA RICHIEDI UN PREVENTIVO A tutti gli iscritti C.E.R. riserviamo uno sconto , e se sei sulla polizza auto fino al SHOMER SHABBAT il risparmio arriva al NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 25% 16 Sconto tariffa RCA Sconto furto/incendio 30% A tutti gli iscritti C.E.R. 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Al termine dell’incontro, Netanyahu nelle dichiarazioni alla stampa ha spiegato che per ottenere la pace in Medio Oriente bisogna risolvere anche la questione del programma nucleare iraniano e che è possibile fermare l'Iran, “in maniera pacifica”. "Tutti noi vogliamo pace e stabilità e Medio Oriente", ha detto Netanyahu, che oggi a Roma incontrerà John Kerry. "Questa è una delle ragioni del colloquio" con il segretario di Stato americano con cui parlerò del processo di pace con i palestinesi, ma c'è un'altra questione "che sovrasta questo negoziato. Se vogliamo che il negoziato abbia successo serve una strategia contro le armi nucleari e chimiche". "Entro la fine dell'anno - ha avvertito Netanyahu - l'Iran disporrà di 20mila centrifughe, con un aumento del 100%". Teheran sostiene di volere sviluppare un programma nucleare pacifico, "ma questo non è vero", ha detto ancora il primo ministro israeliano, ricordando come molti paesi producano energia nucelare a fini pacifici "senza far uso di centrifughe o plutonio". L'Iran vi fa ricorso "per arrivare alla bomba nucleare" e noi "non vogliamo" che abbia la capacità di costruirla. L'Iran è "molto vicino" a questo esito e servono "dei dispositivi di dissuasione" per fermarlo , "un obiettivo che puo' essere raggiunto anche in maniera pacifica". La nostra ricerca della pace è condivisa "dall'Italia e da molti paesi arabi", ha affermato infine Netanyahu. NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 I Per il premier israeliano: “Serve una strategia contro il nucleare iraniano. È un obiettivo che si può raggiungere anche in maniera pacifica” 17 FOCUS Anniversario 16 ottobre 1943. “I giovani sono la nostra speranza” NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 Il discorso del Presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici Signor Presidente, siamo qui nel Tempio Maggiore per commemorare e ricordare il 70° anniversario della razzia degli ebrei di Roma che avviò la stagione della caccia all’uomo nella nostra città fino alla liberazione del 4 giugno del 1944. AverLa qui con noi nel cuore del nostra Comunità insieme con la nostra collettività, in parte qui rappresentata, conferma, se ce ne fosse stato bisogno, la vicinanza dell’Italia, nella condivisione del nostro dolore e della nostra Memoria. Una Memoria che sappiamo, come ci ha ribadito ieri il presidente del Consiglio, Enrico Letta, essere di tutti gli italiani. E’ inutile nascondere che queste celebrazioni sono state accompagnate in questi giorni dagli echi della morte del torturatore di via Tasso e del complice nella strage delle Fosse Ardeatine (non vogliamo più pronunciare il suo nome). Un criminale che non essendosi mai pentito in vita ha proseguito la sua opera di carnefice, lascian- 18 do ai posteri un testamento in cui reitera i suoi comportamenti, i suoi “ideali, le sue torture a via Tasso e le sue esecuzioni. Peggio ancora la negazione delle Camere a Gas. Un vano tentativo di intimidirci, ma tutta la nostra comunità come sempre non si è né piegata né spaventata. Il fatto positivo è che questa vicenda ha aperto un positivo dibattito che ci ha permesso di vedere il volto dell’Italia più bello. Un Paese unito, dalle forze dell’Ordine, che ringraziamo, a quelle civili, Istituzionali e quelle religiose. Il Questore e il Prefetto di Roma hanno imposto funerali intimi e privati per “motivi di ordine pubblico”. Il Sindaco Ignazio Marino che, allineandosi con loro, ha vietato di ospitare la salma con una tomba, onde evitare diventi luogo di pellegrinaggi di nostalgici. Il Cardinale Agostino Vallini, a nome Vicariato di Roma, ha rifiutato le esequie pubbliche nelle Chiese di Roma. Tutta la cittadina di Albano guidata da un sindaco coraggioso, Nicola Marini, che è stata violata da gruppi neonazisti. Per questo ci sentiamo orgogliosi di essere romani e italiani, proprio per avere visto la società civile tutta in prima linea in questa batta- A tal proposito rimangono impressi nei nostri cuori Presidente le parole che pronunciò il 27 gennaio del 2011 “furono i Giusti a salvare l’onore dell’Italia”. Grazie. Oggi, Signor Presidente, siamo qui insieme ai sopravvissuti e scampati alla Shoàh, per continuare a lavorare insieme ed uniti per la Memoria. Un esercizio di Memoria che come ci insegnano i sopravvissuti alla Shoàh non serve per piangere i morti o impietosire alcuno. Nessuna lacrima e pietà restituirà i loro corpi e le loro anime né riporterà sorriso alle vedove e ai loro figli. Ma una Memoria condivisa servirà a costruire per il “LA DEPORTAZIONE FU UN TRADIMENTO presente e per il futuro gli anticorpi contro l’indifferenza E UN CRIMINE ISTITUZIONALE” e l’odio, verso chiunque. Per questo loro si stanno sacrifiIl Rabbino Capo rav Riccardo Di Segni: cando con il racconto e la testi“Nella nostra lunga storia i nostri antenati hanno sperimonianza, tornando nei luoghi mentato umiliazioni, visto il pericolo, ma quello che accaddell’orrore come faremo fra de nei mesi dell'occupazione in Italia è molto, molto di più. pochi giorni con il nostro SinCon il loro gesto i nazisti ruppero una convivenza millenadaco e le scuole di Roma Capiria. Fu un tradimento, un crimine istituzionale”. tale a Birkenau ed Auschwitz. L’Italia che ha partorito il fascismo ha il dovere di coltivare i valori fascista. Una somma che cambiava la vita di molti ma che consegnò della Memoria per se stessa e per l’Europa. Un’Europa che rischia poi alla morte altri. In pochi hanno pagato per questo. E chi ha implodere, non solo per la crisi economica, ma perché esistono subito un processo, ha pagato troppo poco. Chi riuscì a sottrarsi ai spinte xenofobe e razziste, dalla Grecia alla Norvegia, passando per tribunali deve ringraziare le loro vittime che, gasate ed infornate a l’Ungheria e la Francia. Dobbiamo fermare quest’onda e le elezioni Birkenau, non poterono inchiodarli alle loro responsabilità. Una europee si avvicinano senza una degna protezione giuridica che puntuale descrizione possiamo leggerla nel libro di Osti Guerrazzi argini ed isoli questi partiti e movimenti. E’ ora di mobilitarsi, prima “Caino a Roma”. Vi sono stati anche Conventi, ed “ROMA RICORDA I DEPORTATI, è triste sottolinearlo, che apriroSI INCHINA E RINGRAZIA”. no loro le porte solo in cambio della conversione o di vile dena“SENZA MEMORIA NON C'E' ro. Esaurito, intere famiglie venCIVILTÀ, CULTURA E UMANITA'“ nero accompagnate in mezzo alla strada preda dei carnefici. Il Sindaco Ignazio Marino: Tutto si poté attuare grazie “La città di Roma ricorda i deportati e le persone all’indifferenza di troppi. che oggi non ci sono più. Si inchina e li ringrazia”. Quell’indifferenza magistral“Il 16 ottobre – ha prosweguito il Sindaco - dovrà mente illustrata da una sopravdiventare una giornata di valori condivisi. Non vissuta, Liliana Segre, in una bisogna dimenticare, mantenere la memoria di intervista rilasciata in questi quanto accaduto è importante, senza memoria giorni. non c'è civiltà, cultura, umanità. Dobbiamo Ma se è pur vero che siamo stati rifiutare qualsiasi forma di violenza a perenne traditi, è altresì vero che la solimonito contro ogni forma di intolleranza razziale darietà non è mancata, e se perché Roma non può restare in silenzio”. molti si sono salvati è perché in che sia troppo tardi. tanti hanno aperto le loro case, gli ospedali ed altri Conventi, che a Vi è comunque una speranza e su questo abbiamo il dovere di rischio della vita accolsero in condizioni difficili intere famiglie essere ottimisti. Sono i nostri giovani. Quelli che Lei prima di tutto ebraiche. Senza chiedere in cambio nulla, né soldi né conversione. ha l’opportunità di incontrare nelle scuole e con cui spesso ho il Tutte le loro storie sono raccolte allo Yad Vashem e ancora oggi privilegio potermi confrontare. Sono una maggioranza, spesso ricevono le Medaglie dei Giusti, la più alta onorificenza dello Stato senza voce e senza vetrina, perché le azioni positive non fanno mai d’Israele a perpetuo ricordo. Siamo onorati di avere con noi, fra gli notizia. Sono quei giovani che grazie all’impegno di docenti sensialtri, il figlio di Gino Bartali. Che la memoria di tutti loro rimanga in bili e responsabili hanno approfondito in questi anni i temi della benedizione anche per le le future generazioni. NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 glia di civiltà. Avete compreso il dolore dei familiari delle vittime e preso atto che quelle ferite non si sono mai rimarginate. Grazie, Presidente. Siamo qui per commemorare coloro che dal 16 ottobre vennero presi casa per casa in ogni angolo della città, e non solo nel quartiere ebraico, in quella che fu percepita come “Città Aperta”. Una illusione che svanì grazie alle vergognose complicità con l’occupante nazista, dei funzionari dell’Anagrafe, delle Questure, dei militi fascisti, tradendo ancora una volta i propri cittadini ebrei, dopo le Leggi Razziste del 38. Questo nonostante l’illusione che la raccolta 50 chili d’oro in sole 36 ore, tra il 27 ed il 28 settembre, garantisse la loro l’immunità. Il 7 ottobre, 2500 carabinieri del Lazio vengono deportati nei campi d’internamento in Germania su ordine del generale Graziani, forse per evitare “intralcio” pochi giorni dopo. L’11 ottobre viene razziata la storica biblioteca della nostra Comunità con circa 7000 volumi risalenti all’epoca medioevale. Ancora oggi, Presidente, siamo alla ricerca di quei manoscritti che si presumiamo siano in Russia e confidiamo nel suo sostegno e in quello del Governo per il recupero. 1021 vennero catturati il 16 ottobre e solo 16 fra loro tornarono. Una sola donna, Settimia Spizzichino. Dopo il 16 ottobre altri 900 verranno poi catturati anche e sopratutto grazie all’opera dei delatori, che per 5000 lire vendettero i loro concittadini che cercavano inutilmente di scappare dalla furia nazi- 19 Memoria. Hanno raccolto il “Testimone della Memoria” facendo proprie le testimonianze dei nostri sopravvissuti, a cominciare da quelli che non sono più fra noi. Settimia Spizzichino fu la prima ad avere il coraggio di parlare, appena tornata. Un compito difficile perché le loro parole non furono subito comprese, a cominciare dalle nostre comunità che, uscite distrutte e dilaniate sia nell’anima che nelle esigenze di ricostruire una vita “normale”, ascoltavano mal volentieri i loro discorsi. Tanti rimasero in silenzio fino a circa 20 anni fa, altri non hanno più proferito parola fino alla loro morte. Chi ha ricominciato non ha più smesso, sacrificando con il racconto il ritorno ad una vita normale e grazie al paziente sostegno dei loro coniugi hanno costruito un rapporto con i giovani che è andato al di là della testimonianza. Per questi giovani spesso sono diventati loro maestri di vita e questo ci commuove. Mi permetto di citare come esempio di speranza ciò che è avvenuto a Roma al liceo artistico Caravillani, dove un’insegnante ha usato parole che possiamo definire infelici nei confronti di una sua alunna ebrea. Normalmente le proteste si circoscrivono tra l’alunno/a, i loro genitori e la dirigenza scolastica. In questo caso uno ad uno i loro compagni hanno reagito ammonendo l’insegnate per poi “ammutinarsi” fino a quando hanno ottenuto il suo prepensionamento. Una solidarietà commovente grazie alla sensibilità del loro Dirigente Scolastico che dimostra che abbiamo il dovere di essere ottimisti. Per questo siamo onorati di averli qui con noi, oggi. Dei sopravvissuti del 16 ottobre solo in due sono rimasti fra noi, Enzo Camerino e Lello Di Segni, ma non possiamo dimenticare gli altri, Luciano Camerino, Sabatino Finzi, Leone Sabatello, Angelo Efrati, Cesare Efrati, Cesare Di Segni, Michele Amati, Lazzaro Anticoli, Ferdinando Nemes, Arminio Wachsberger, Isacco Sermoneta, Mario Piperno, Angelo Sermoneta. Ma come possiamo dimenticare Romeo Salmoni, Shlomo Venezia, Ida Marcheria, Milena Zarfati, Lello Perugia, Luigi Sagi? Se anche la Camera darà via libera al Disegno di Legge votato ieri sera dalla Commissione Giustizia al Senato, senza alcun voto contrario, per l’introduzione del reato del Negazionismo dei Crimini Contro l’Umanità e della Shoàh, ci consentirà essere il 15° paese europeo ad avere adottato tale norma. Una “medicina” che non si dovrà mai sostituire all’attività della didattica sulla Shoàh. Con commozione ringrazio i primi firmatari al Senato, Silvana Amati e Lucio Malan. Il presidente della Commissione Giustizia Francesco Nitto Palma ed il relatore Felice Casson insieme a tutta la Commissione. Ma un grazie particolare lo dobbiamo a chi si è esposto in prima linea, la prof.ssa Donatella Di Cesare che con il suo libro “Se Auschwitz è il nulla. Contro il Negazionismo” ha sensibilizzato l’opinione pubblica. All’avvocato Roberto De Vita che con il suo impegno volontario ha inchiodato alla Giustizia diversi gruppi e militanti spacciatori dell’odio. Il “Boia delle Ardeatine” ce lo ha dimostrato: il pericolo è in mezzo a noi. Citando Piero Terracina in un magistrale intervento alla scuola di Fanteria a Cesano e riferendosi ai negazionisti ha detto: non so perché neghino, ma sono certo che se fossero vissuti durante la Shoah sarebbero stati dalla parte dei carnefici. Anzi sarebbero stati loro stessi dei carnefici. Foto di G. Spizzichino COMMEMORAZIONE 16 OTTOBRE: NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 “NON ABBASSARE LA GUARDIA CONTRO L’ANTISEMITISMO E CONTRO IL RAZZISMO, QUALUNQUE SIA LA LORO PROVENIENZA” 20 Il messaggio di Papa Francesco agli ebrei di Roma "Illustre Rabbino Capo, stimati membri della Comunità ebraica di Roma, desidero unirmi, con la vicinanza spirituale e la preghiera, alla commemorazione del 70esima anniversario della deportazione degli Ebrei di Roma. Mentre ritorniamo con la memoria a quelle tragiche ore dell’ottobre 1943, è nostro dovere tenere presente davanti ai nostri occhi il destino di quei deportati, percepire la loro paura, il loro dolore, la loro disperazione, per non dimenticarli, per mantenerli vivi, nel nostro ricordo e nella nostra preghiera, assieme alle loro famiglie, ai loro parenti e amici, che ne hanno pianto la perdita e sono rimasti sgomenti di fronte alla barbarie a cui può giungere l’essere umano. Fare memoria di un evento però non significa semplicemente averne un ricordo; significa anche e soprattutto sforzarci di comprendere qual è il messaggio che esso rappresenta per il nostro oggi, così che la memoria del passato possa insegnare al presente e divenire luce che illumina la strada del futuro. Il Beato Giovanni Paolo II scriveva che la memoria è chiamata a svolgere un ruolo necessario ‘nel processo di costruzione di un futuro nel quale l’indicibile iniquità della Shoah non sia mai più possibile’ (Lettera introduttiva al documento: Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, Noi ricordiamo. Una riflessione sulla Shoah, 16 marzo 1998) e Benedetto XVI nel Campo di concentramento di Auschwitz affermava che ‘il passato non è mai soltanto passato. Esso riguarda noi e ci indica le vie da non prendere e quelle da prendere’. L’odierna commemorazione potrebbe essere definita quindi come una ‘memoria futuri’, un appello alle nuove generazioni a non appiattire la propria esistenza, a non lasciarsi trascinare da ideologie, a non giustificare mai il male che incontriamo, a non abbassare la guardia contro l’antisemitismo e contro il razzismo, qualunque sia la loro provenienza. Auspico che da iniziative come questa possano intrecciarsi e alimentarsi reti di amicizia e di fraternità tra Ebrei e Cattolici in questa nostra amata città di Roma. Dice il Signore per bocca del profeta Geremia: ‘Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza’. Il ricordo delle tragedie del passato divenga per tutti impegno ad aderire con tutte le nostre forze al futuro che Dio vuole preparare e costruire per noi e con noi. Shalom!". “16 ottobre 1943 - La razzia degli ebrei di Roma” In mostra la vita quotidiana. Storie di vittime e carnefici al Vittoriano fino al 30 novembre All’inaugurazione di ieri sono intervenuti il presidente del Senato Pietro Grasso, il ministro dei Beni culturali Massimo Brani, Renzo Gattegna e Riccardo Pacifici, presidenti dell'Unione delle Comunità Ebraiche italiane e di quella di Roma, insieme a molte famiglie delle vittime. Per la prima volta la mostra - curata da Marcello Pezzetti - mostra i volti delle vittime e anche dei carnefici: da Theodor Dannecker a Herbert Kappler, e “per la prima volta - spiega Pezzetti - anche di alcuni dei 365 riservisti tedeschi e austriaci” chiamati come rinforzo per il progetto diabolico di una deportazione che volevano di 8 mila ebrei. “Fino ad oggi non sapevamo chi fossero - spiega ancora Pezzetti -. Erano uomini comuni, impreparati, infatti riuscirono a prendere 'solo' 1250 ebrei”. A testimoniare la confusione di quei giorni, anche un telegramma del vicariato che proibiva al convento teresiano di accogliere ebrei il 16 ottobre. E ancora, i foglietti scritti a macchina in italiano con cui i tedeschi facevano capire i loro ordini dopo le irruzioni in casa: prendete vestiti, gioielli, cibo per 8 giorni e nessuno, neanche i malati, deve rimanere indietro. Una dettagliatissima mappa racconta come il rastrellamento attraversò tutta la città, con singoli ebrei pescati fino in periferia e non solo nel ghetto. E poi, la cronaca disegnata dal pittore Aldo Gay su quelle drammatiche ore, le video-interviste dell'Archivio della Memoria e della Spielberg Foundation e della Fondazione Museo della Shoah, i bigliettini d'aiuto lanciati dal treno della morte in partenza dalla stazione Tiburtina. E soprattutto una galleria fatta di fotografie, giocattoli, vestitini, diari, a ricordare ancora una volta che quelle vittime erano mamme, bambini, nonni, ragazzi. C'è chi riconosce commosso il papà e chi si rivede ragazzo, come Lello Di Segni, 87 anni e unico sopravvissuto alla deportazione di quel giorno che vive ancora a Roma. “Un viaggio dolorosissimo - ha commentato il ministro Bray - e insieme un'occasione importante, perche' la cultura serve a tutelare il patrimonio, ma anche la memoria. Mi auguro serva a capire che c'era un disegno preciso, che nulla accadde per caso”. “Non c'è mai stata una mostra sul 16 ottobre - conclude Pezzetti anche se fu la prima e la più grande deportazione d'Italia. La mostra e' dedicata soprattutto agli studenti. Secondo me dovremmo farne una versione itinerante”. I volti dei persecutori e dei deportati E rano 2 ragazzi come tanti, con i loro sogni e le loro aspettative dalla vita, i loro ideali li avevano portati a servire la propria patria nell’esercito, erano stati decorati con medaglie per il loro valore, i loro volti erano belli, con occhi profondi, penetranti. Le loro strade si sono incontrate perché uno era un nazista coinvolto nella retata del 16 ottobre 1943 a Roma e l’altro era un ebreo romano deportato. Alla mostra esposta al Vittoriano, “16 ottobre 1943. La razzia degli ebrei di Roma”, abbiamo il privilegio di seguire le storie e di guardare i volti di coloro che, da una parte o dall’altra, sono stati coinvolti in quella che è stata definita dal curatore, Marcello Pezzetti (Direttore scientifico della Fondazione Museo della Shoah di Roma), “la razzia più grande d’Italia, la più grande ferita della città di Roma”. Sono volti che, con le loro storie, ci interrogano, ci coinvolgono in un evento che non può essere considerato estraneo a nessuno di noi perché – e li vediamo con i nostri occhi – loro sono come noi, uguali a noi. La mostra si apre con una parete ricoperta dai 1022 nomi di coloro che furono prima arrestati il 16 ottobre 1943 e poi deportati ad Auschwitz due giorni dopo: “Non è una statistica, sono 1022 vite”, ha affermato Pezzetti. Una esposizione importante ed utile da tutti i punti di vista, soprattutto perché comprende tanti documenti originali e perché spiega in modo chiaro, efficace e coinvolgente cosa è successo agli ebrei italiani dalla fine del ghet- to, nel 1870, attraverso la prima guerra mondiale, fino alle leggi razziali del 1938, le deportazioni e la liberazione. L’attenzione del pubblico è catturata, tra i tanti documenti esposti, dalla croce al merito di guerra ottenuta nel 1918 da Emanuele Pugliese (1874-1967) che nel 1922 comandò una divisione a difesa di Roma durante la “marcia” dei fascisti sulla capitale, dalla Ketubbà (contratto matrimoniale) del 1884 decorata con i colori della bandiera italiana, dai preziosi volumi della Biblioteca della Comunità Ebraica di Roma (XIV-XIX sec.) scampati alla razzia nazista, dal documento che testimonia l’unico processo relativo al 16 ottobre istruito dai tribunali italiani (24/02/1950) e dai volti di intere famiglie sterminate: la descrizione della loro storia è posta accanto ai loro volti che ci guardano e ci impongono il compito di impegnarci affinché quello che è accaduto a loro non accada né a noi, né ai nostri figli. Un compito al quale non può sottrarsi nessuno, soprattutto adesso che, per il passare del tempo, i testimoni diretti ci stanno lasciando. La mostra è stata realizzata grazie all’impegno dello staff della Fondazione Museo della Shoah di Roma ed alla collaborazione di importanti istituti nazionali ed internazionali. Silvia Haia Antonucci NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 D alla A di Berta Abramsohn alla Z di Zaira Zarfati, passando per i Terracina, Piperno, Spizzichino. E' con un muro di nomi, esattamente 1022 vite, anime e futuri spezzati, che si apre il viaggio nel tempo di “16 ottobre 1943 - La razzia degli ebrei di Roma”, mostra che da oggi fino al 30 novembre racconterà al Complesso del Vittoriano una delle pagine piu' terribili della storia recente, la deportazione romana di 70 anni fa. 21 FOCUS Alla stazione Tiburtina la targa “Meditate che questo è stato” I Collocata in ricordo della deportazione da Roma n occasione del settantesimo anniversario della razzia degli ebrei di Roma, si è svolta al binario 1 della stazione Tiburtina, la cerimonia di commemorazione della deportazione degli ebrei romani. Alla presenza del segretario generale della Cgil Susanna Camusso, del presidente e dell’ad di Ferrovie dello Stato Lamberto Cardia e del presidente Mauro Moretti, del sindaco di Roma Ignazio Marino, del governatore del Lazio Nicola Zingaretti, del presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici e del presidente delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna, è stata ricollocata la targa commemorativa che ricorda il rastrellamento del 16 ottobre 1943 con la scritta “Meditate che questo è stato”, tratto da “Se questo è un uomo”, di Primo Levi. Tanti gli studenti che hanno preso parte alla cerimonia. “Siamo qui - ha detto Marino - per ricordare con quanta ferocia la deportazione e lo sterminio colpirono il cuore millenario di Roma. Oltre mille persone videro spezzata la propria vita. Donne, uomini, bambini, neonati e anziani, intere famiglie, furono spogliati della loro dignità per una logica che mai potrà trovare giustificazione. Qui su questo binario il 18 ottobre i carri merci caricarono oltre 1000 ebrei romani e una scritta bianca in gesso segnava la destinazione: Auschwitz. Oggi il dovere di tutti noi è quello di perseverare con tutti gli strumenti che abbiamo per non dimenticare, per tenere viva una memoria condivisa. La targa che si apprestiamo a ricollocare è un doveroso omaggio ma soprattutto un monito verso chi vuole offuscare ciò che è accaduto”. Il sindaco ha poi ricordato la figura di Michele Bolgia: “che tolse il piombo ad alcuni dei vagoni sigillati”, e “per quel gesto fu arrestato e ucciso alle Fosse Ardeatine”. “Sono questi i gesti di una Roma solidale - ha concluso - che hanno riportato la democrazia. Nel ricordare vogliamo scuotere e agire e costruire una coscienza collettiva perché nessuno sia più preda di ideologie aberranti”. “Queste targhe ci aiutano a ricordare cosa è successo 70 anni fa in questo posto - ha affermato Zingaretti - E ogni volta che le leggiamo facciamo rivive un pezzo di nostra memoria. Ed è importante perché sono luoghi che noi viviamo nella quotidianità ma anche i luoghi sono stati testimoni. Le città non sono solo case o stazioni ma sono la vita che c’è stata attorno a questi spazi. Ed è la storia e la memoria che ci dice chi siamo. Ricostruire la memoria collettiva ci rende più forti perché ci dà identità, uniti da una storia comune. Mille deportati, ad ognuno fu dato un numero ma dietro quei numeri noi non dimentichiamo che c’erano persone. Uomini e donne, bambini. Ci dobbiamo inchinare di fronte a chi perse la vita per dei valori”. Dalla stazione Tiburtina partirono più di mille persone, ma ne tornarono solo 16. Nessuno degli oltre 200 bambini riuscì a sopravvivere. Consiglio comunale di Roma, mozione bipartisan: no mausolei a criminali e odio razziale NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 L' 22 16 ottobre: fiaccolata silenziosa organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio C ome ogni anno dal cuore di Trastevere si è mossa la marcia silenziosa in occasione del ricordo del rastrellamento del 16 ottobre 1943, a opera di nazifascisti. Ad aprire il corteo uno striscione della Comunità di Sant'Egidio e della Comunità ebraica di Roma che recitava 'Non c'è futuro senza memorià e poi diversi cartelli che ricordavano i nomi dei campi di concentramento: Ravensbruck, Gross-Rosen, Auschwitz, Birkenau, Bergen Belzen. Ad accogliere la fiaccolta - che ha percorso a ritroso l'itinerario dal Collegio militare di Trastevere al Ghetto la strada fatta dai deportati il sindaco di Roma, Ignazio Marino, il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti; i presidenti di Camera e Senato Laura Boldrini e Pietro Grasso e Andrea Riccardi fondatore della Comunità di Sant'Egidio. Assemblea capitolina, con 39 voti a favore e l'astensione del consigliere della lista civica ‘Marino’ Riccardo Magi, ha approvato una mozione bipartisan perché si impedisca che sul territorio romano vengano eretti mausolei o siano riservati luoghi a futura commemorazione di persone che si sono macchiate di crimini contro l'umanità. Il documento chiede inoltre che venga promossa "ogni iniziativa idonea a contrastare l'odio e l'intolleranza razziale in ogni sua forma". La mozione è stata votata in occasione della seduta straordinaria dell'Assemblea capitolina sulla Shoah, la prima dall'introduzione nello Statuto dell'articolo che elegge il 16 ottobre giornata simbolo del rifiuto di qualsiasi forma di violenza a perenne monito contro ogni manifestazione di intolleranza ideologica, razziale e religiosa. ITALIA Il mito di Priebke ‘martire’ ed ‘eroe’ della libertà V enerdì 11 ottobre è morto sul divano della casa di Roma dove si trovava agli arresti domiciliari Erich Pribke, ex capitano delle SS che ha svolto un ruolo di primo piano nell’assassinio di 335 cittadini italiani alle Fosse Ardeatine. Nato a Hennigsdorf il 29 luglio del 1913, a 20 anni aderì al Partito Nazionalsocialista di Hitler e poi, grazie a Heinrich Himmler, entrò nelle SS e quindi nella Gestapo. Priebke nei suoi comportamenti e nelle sue dichiarazioni ha sempre ribadito la legittimità di ciò che ha fatto e la sua fedeltà al nazismo. Non ha mai preso le distanze da quella ideologia e da Hitler, ed anche nella lunga videointervista che ha rilasciato poco prima di morire ha attinto abbondantemente all’archivio antisemitico nazista, ribadendo che la seconda guerra mondiale fu scatenata dall’ “ebraismo mondiale”, che: “Nei campi le camere a gas non si sono mai trovate, salvo quella costruita a guerra finita dagli americani a Dachau. Testimonianze che si possono definire affidabili sul piano giudiziario o storico a proposito delle camere a gas non ce ne sono; a cominciare da quelle di alcuni degli ultimi comandanti e responsabili dei campi” e che l’ “industria dell’olocausto” è una mistificazione il cui scopo è far entrare miliardi nelle casse di istituzioni ebraiche e in quelle dello stato di Israele. L’anziano nazista nel corso degli anni è stato trasformato in un simbolo della galassia neonazista e cattointegralista italiana, e quindi dal giorno della sua morte si sono susseguite molte iniziative – sia nel mondo reale che in quello virtuale del web – per “onorare” colui che è stato definito “martire” dal suo avvocato Paolo Giachini. Il giorno stesso della dipartita, la sezione Italia del sempre attivo sito neonazista Stormfront ha subito aperto il forum di discussione “Erich Priebke morto” dove sono stati pubblicati molti post con ampi stralci dell’ultima intervista negazionista dell’anziano SS, tanti “onori all’SS hauptsturmfuhrer Erich Priebke”, e le immancabili velate minacce al presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici. Il 13 ottobre alcuni esponenti dell’organizzazione neonazista Militia hanno tentato di depositare delle rose ed uno striscione presso l’abitazione in cui viveva Priebke; EffeDiEffe il principale sito web italiano di matrice antisemita ha pubblicato un virulento articolo a firma del suo direttore Blondet dove, tra l’altro, si legge che: “rifiutano il funerale, rifiutano la sepoltura, non sanno più cosa inventarsi per farsi vedere dagli ebrei, compiacerli e adularli” e che “alla torma di sciacalli” si è assoggettata anche la chiesa che ormai non adora più Gesù “ma i giudei”. Don Floriano Abrahamovicz, prete lefebvriano da anni attivo polemista antisemita, in un’intervista radiofonica densa di sottolineature antisemite e negazioniste ha detto che “Priebke semplicemente ha applicato la legge internazionale marziale, non lo condanno assolutamente. Non è un criminale. I criminali sono stati quelli che hanno fatto saltare i ragazzi in via Rasella”. Sempre don Abrahamovicz ha tenuto a Resana in provincia di Treviso una messa da requiem per Priebke cui ha partecipato in prima fila anche il sindaco del paese, che ha spiegato la sua presenza così: “Io non sono né meglio né peggio di Priebke. Anch’io eseguo ordini dallo Stato che hanno ripercussioni negative sui miei cittadini. Sono costretto ad applicare leggi criminali…”. Tanti sono stati i politici, specie delle amministrazioni locali e spesso tramite i social networks, che si sono trasformati in paladini dell’anziano SS. A Verona Roberto Bussinello, ex leader di Forza Nuova e da poco nominato nell’organismo di vigilanza dell’azienda pubblica dell’energia scaligera (Agsm), sul suo profilo Facebook ha scritto: “Capitano, non è importante chi ti fa il funerale e dove sarai sepolto, tu vivrai per sempre nel cuore di chi sogna e di chi lotta. Il nostro onore si chiama fedeltà”. Anche il presidente de La Destra Francesco Storace ha colto l’occasione della morte di Priebke per dire: “Priebke? Le bombe atomiche a Hiroshima hanno fatto più vittime… Priebke ha fatto quello che doveva fare e ha eseguito degli ordini”. Ancora più aspra è stata la provocazione da parte di Jorge, il figlio di Priebke residente a Bariloche in Argentina: “Dove dovrebbe essere seppellito mio padre? Per me anche in Israele, così sono contenti… Gli ebrei la smettano di rompere, sono dei risentiti, quelli rompono nel mondo fin da prima di Cristo. Il processo contro mio padre è stata una falsificazione fatta dagli ebrei”. La morte di Priebke s’è trasformata così in un palcoscenico per i principali estremisti antisemiti, Maurizio Boccacci ha partecipato ai funerali di Albano Laziale dove ha colto l’occasione per lanciare l’ennesima minaccia verso il presidente della CER Riccardo Pacifici; ad Albano è intervenuto anche don Curzio Nitoglia, padre spirituale e confessore di Priebke, ma anche uno dei più fanatici predicatori dell’antisemitismo. Il segretario nazionale di Forza Nuova Roberto Fiore ha poi minacciato di presentare un esposto denuncia contro la Comunità Ebraica di Roma in merito a quanto accaduto ad Albano Laziale (dove non c’era praticamente nessun membro comunitario…): “L’obiettivo degli attivisti della Comunità Ebraica romana… era di prendere la bara, oltraggiarla e impedire il funerale; un chiaro atto di matrice anticristiana”. Anche il negazionista francese Roberto Faurisson si è espresso al proposito sul suo blog dicendo che il “vero crimine del capro espiatorio (Priebke n.d.a.)” era il suo “revisionismo”: “Nel momento in cui, sul piano storico e scientifico i revisionisti riportano vittoria su vittoria, si capisce il panico che sta aumentando sempre più tra i seguaci della religione dell’ ‘Olocausto’ o della ‘Shoah’. E poi bisogna creare le condizioni necessarie affinché l’Italia, a sua volta, adotti una legge speciale contro il revisionismo”. Le polemiche più numerose e virulente sono state però condotte dall’avvocato di Priebke Paolo Giachini, simpatizzante neonazista da lunga data e vicino a tutti i principali esponenti del neonazismo italiano, che s’è spinto sino a minacciare la comunità ebraica di Roma di denunciarla per ”violazione della legge Mancino”. Giachini che ha ospitato in casa sua l’anziano SS per circa quindici anni, è stato il principale artefice della costruzione del mito di Priebke “martire” e da anni conduce polemiche antisemite contro gli ebrei italiani. Nel 1997 ad esempio, durante un dibattimento processuale ha distribuito ai giornalisti presenti un documento in favore di Priebke dal titolo ‘I centri Wiesenthal e il caso Priebke’ in cui imputava il processo contro l’ex capitano SS alle trame di un onnipotente “estremismo ebraico-sionista internazionale”, ed oggi, dopo il funerale del suo protetto, ha colto l’occasione per scagliare l’ennesima invettiva antiebraica: “Volevano facesse la fine di Bin Laden”. Intorno alla bara di Priebke neonazisti, tradizionalisti cattolici e certi “garantisti” il cui garantismo coincide con la difesa di neonazisti e negazionisti, stanno edificando una sorta di santuario dell’antisemitismo nazista e del negazionismo, per ora virtuale ma che rischia però, qualora Priebke venisse seppellito in Italia, di trasformarsi in una Predappio in camicia bruna o in un nuovo mausoleo Graziani di Affile, come hanno subito compreso Alessandra Ortona dell’Ugei ed il presidente Riccardo Pacifici. Stefano Gatti NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 Sul palcoscenico della morte dell’ex SS sono saliti i più squallidi personaggi dell’estrema destra italiana e della chiesa preconciliare antisemita 23 ANTISEMITISMO Di ebrei antisemiti, antisionisti e neonazisti. E di ebrei redenti E brei che odiano altri ebrei. Oppure che “si limitano” a odiare Israele, come se negare il diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico non fosse una palese forma di antisemitismo. I funerali fuori Roma del boia delle Fosse Ardeatine, Erich Priebke – osannato e rimpianto dai tanti neonazisti – e l’ennesimo caso di un sedicente atleta arabo, tunisino questa volta, che ha rifiutato di gareggiare con un rivale israeliano hanno ricordato al popolo del Libro due delle principali fonti da cui sgorga l’odio antisemita: gli ambienti dell’estrema destra orfana del nazionalsocialismo e tanta parte del mondo arabo e islamico che non ha mai digerito la creazione dello Stato d’Israele. Tuttavia le cronache recenti restituiscono anche il ritratto di un odio per lo Stato e per tutto il popolo ebraico, i cui protagonisti sono essi stessi ebrei. La Anti Defamation League ha aggiornato la lista delle organizzazioni americane “fissate con la delegittimazione di Israele”. Gruppi che, spiega il presidente dell’Adl Abraham H. Foxman, “lavorano per convincere l’opinione pubblica americana che Israele è il ‘cattivo’ internazionale che merita di essere ostracizzato e isolato”. Non si può ignorare come nella top ten stilata da Adl ci siano ben due organizzazioni ebraiche. Fra i più accaniti odiatori dello Stato ebraico fa il suo debutto il movimento Naturei Kartai, formazione ultraortodossa e pervicacemente antisionista, assurta in anni passati agli onori delle cronache per aver partecipato a uno dei tanti convegni organizzati dall’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad per demonizzare Israele e contestarne il diritto all’esistenza. L’Adl, che ha compilato la lista basandosi sulla capacità dei singoli gruppi di organizzare o sponsorizzare le azioni di boicottaggio e di disinvestimento da Israele così come sull’impegno profuso a fare opera di lobbying contro lo Stato ebraico, osserva poi come la Jewish Voice for Peace “sfrutti intenzionalmente i riti e la cultura ebraica allo scopo di convincere altri ebrei che opporsi a Israele non solo non contraddice ma è addirittura coerente con i valori ebraici”. Come spiegare questo odio di sé di parte del mondo ebraico? “È un prodotto che non dobbiamo demonizzare della violenza e della visceralità dell’antisemitismo”, risponde David Meghnagi, psicanalista e docente di Psicologia clinica a Roma Tre, “per cui il conflitto non è più con l’esterno ma è interno, intrapsichico, soprattutto per chi non ha sviluppato un’identità ebraica sul piano culturale e di Ungheria: leader neonazista si scopre ebreo e si converte NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 U 24 n estremista di destra, antisemita, nemico di Rom e Sinti, che all'improvviso, circa un anno fa, viene messo di fronte alle proprie radici ebraiche e si converte, abbandonando le prediche piene d'odio che l'avevano fatto salire fino ai vertici del partito ultraconservatore Jobbik. Difficile immaginare una nemesi tanto carica di valori simbolici come quella toccata al politico ungherese Csanad Szegedi, europarlamentare, tra i fondatori della Guardia ungherese, milizia paramilitare collegata a Jobbik. Dopo aver scoperto di avere origini ebraiche, che metà del ramo materno della sua famiglia era morta ad Auschwitz, Szegedi è sprofondato in un abisso di confusione. Per un anno si è nascosto all'opinione pubblica, racconta il settimanale Welt am Sonntag, fino all'illuminazione: sono ungherese ed ebreo, e va bene così. Szegedi inizia a rispettare lo shabbat, frequenta la sinagoga, impara l'ebraico per leggere il talmud e cerca di rispettare le 613 regole che gli prescrive la religione. Anche se “non ci riesco sempre”, spiega, in particolare per quanto riguarda la cucina kosher, un trauma per una persona abituata alla cucina ungherese. conseguenza non ha gli anticorpi per interpretare la realtà”. In altre parole “l’impatto violento della discriminazione e il bisogno di farsi accettare producono un conflitto interiore dove uno cerca di scappare da se stesso o da una parte di se stesso”. Attenzione, aggiunge Meghnagi “questo è uno sdoppiamento che si è consolidato sul piano storico dopo l’emancipazione e prima della quale l’identità degli ebrei era declinata solo sul piano religioso”. Nel caso di Naturei Karta, spiega ancora, “si attribuisce al sionismo una colpa ontologica che ha prodotto la catastrofe della Shoah. E c’è tutta una corrente dell’ebraismo che identifica nel sionismo il responsabile delle persecuzioni per aver osato affrettare i tempi del Messia”. Una corrente centro ed est europea visto che sostanzialmente “l’ebraismo italiano e sefardita hanno accettato con più facilità il sionismo senza viverlo come un conflitto con la tradizione religiosa”. Per Meghnagi, che a Roma Tre dirige anche un Master in didattica della Shoah, è però importante che tutti capiscano l’origine di quell’odio: “È, paradossalmente, un barlume di identificazione ancora vivente di chi cerca di giustificarsi con l’esterno antisemita e cerca di spiegare - come se ce ne fosse il bisogno - l’universalismo dei valori ebraici. È un barlume di resistenza, anche nascosta e inconsapevole, in chi altrimenti potrebbe tagliare del tutto i ponti con l’ebraismo. Ecco perché - sottolinea - occorre sempre declinare in positivo l’identità e capire che quell’odio di sé viene dall’esterno. E non si deve dimenticare che il ritorno, la teshuvah, è sempre possibile”. Il caso più eclatante? Quello di Csanád Szegedi, eurodeputato e numero due del partito neonazista ungherese Jobbik che, dopo aver speso metà della sua vita ad accusare gli ebrei di ogni infamia, ha scoperto che l’odio antisemita inculcatogli in famiglia era lo “scudo” inventato dai propri nonni per rinnegare se stessi e tentare di sfuggire alle discriminazioni. Riscoperta la propria origine ebraica, Szegedi ha lasciato lo Jobbik per avvicinarsi, con l’aiuto di un rabbino di Budapest, alla cultura e alle tradizioni delle proprie origini. Daniel Mosseri Sono stati i suoi rivali nel partito a metterlo di fronte a quella verità sconvolgente. Non era piaciuta la sua scalata all'interno di Jobbik. Serviva qualcosa per farlo fuori. Quando è uscita fuori l'appartenenza all'ebraismo, i nonni in campo di concentramento, è stato chiaro che per Szegedi non ci sarebbe stato futuro tra gli ultraradicali della destra. Da numero due del partito era diventato il problema numero uno, scrive il settimanale. Eletto nelle file di Jobbik al parlamento europeo nel 2009, dopo la svolta della sua vita ha abbandonato il partito, ma non ha lasciato il posto di deputato Ue. Meglio restare nel gruppo misto, evitando che qualche altro rappresentante dell'estrema destra potesse prendere il suo posto. Dopo lunghe riflessioni, ha spiegato Szegedi al Welt am Sonntag, “ho scoperto che posso continuare a vivere il mio conservatorismo come ungherese e fedele di religione ebraica”. “Sono sempre un timorato di Dio rispettoso dei valori tradizionali della famiglia, ha aggiunto, ma da ebreo, non più da calvinista”. Le disgustose idee dell’Odifreddi-pensiero hi pensa che antisemitismo e odio per Israele siano appannaggio dei centri sociali e il negazionismo della Shoah bagaglio appresso di rottami del nazi-fascismo o strumenti ideologici di professori universitari in cerca di emozioni rivoluzionarie ritardate, si sbaglia. Quelle sono frange rumorose che però non hanno gran seguito nell’opinione pubblica, sono piuttosto utili per diagnosticare il virus dell’antisionismo rabbioso che circola in certi ambienti. Sono persino patetici, anche se a volte pericolosi, nei loro atteggiamenti violenti. I nemici autentici sono invece quelli si nascondono dietro apparenti critiche spacciate per legittime, quelli che mirano in realtà alla distruzione di Israele, per esempio i sostenitori del boicottaggio economico e culturale dello Stato ebraico, la mefitica sigla BDS, sotto la quale diventa lecito spacciare menzogne per verità, manipolazione della storia invece di attenersi ai fatti accaduti, scambio di ruoli, come avviene quando si paragona Israele alla Germania nazista. I porta bandiera di questo odio, dissimulato come una lecita opinione, hanno via libera nel nostro paese, e il veleno che diffondono attraverso i media, in gran parte compiacenti, ha buon gioco a espandersi, trovando quasi sempre difensori in chi ritiene che spacciare una menzogna per verità sia un diritto garantito dalla libertà di espressione. Qualche volta però avviene il miracolo, l’errore di sentirsi ormai al sicuro nel propagandare il proprio veleno, ritenendosi al di sopra di qualsiasi critica, spinge a commettere un passo falso, dire apertamente ciò che fino a quel momento era stato più che altro insinuato, il piedistallo sul quale si ergeva onnipotente il negazionista traballa, e l’odiatore, il falsificatore della storia, ondeggia e miseramente cade. E’ successo a Piergiorgio Odifreddi, che nel giro di una settimana è riuscito a distruggere - almeno questo ci auguriamo una fama conquistata attraverso una presenza ossessiva su giornali, tv, libri, convegni; non c’era festival letterario, politico, spirituale che non lo includesse nel programma. Credendosi un illustre esperto in comunicazione, visti gli indubbi risultati raggiunti, non si è reso conto di essere andato oltre, per cui la caduta, causata da una cattiva valutazione, è stata rovinosa. Invece di insinuare come aveva sempre fatto, per una volta ha scritto senza ipocrisie il suo pensiero sul blog ospitato da Repubblica. Non sappiamo quanti lettori abbia, ma tra loro c’era sicuramente Jacopo Jacoponi che a metà ottobre ne ha scritto sulla Stampa, rivelando il vero Odifreddi-pensiero. “Camere a gas? Le conosciamo solo dalla propaganda alleata”, e poi “Norimberga? Confesso di essere molto vicino alle sue posizioni (di Priebke), il processo (di Norimberga) è stato un’opera di propaganda. I processati hanno dichiarato, con lapalissiana evidenza, che se la guerra fosse andata diversamente, a essere processati per crimini di guerra sarebbero stati gli alleati”. Aggiunge poi Odifreddi, tuttologo per eccellenza: “Non entro nello specifico delle camere a gas, perché di esse so appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal ‘ministero della propaganda’ alleato nel dopoguerra. E non essendo uno storico, non posso fare altro che ‘uniformarmi’ all’opinione comune. Ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti”. Ricorda poi, opportunamente, Jacoponi sulla Stampa, quando Odifreddi paragonava i morti delle Fosse ardeatine “a quelli causati dai raid israeliani nei territori palestinesi - ‘dieci volte superiori’: a quando un tribunale internazionale per processare e condannare anche Netanyahu e i suoi generali?”. Sempre sulle camere a gas “la maggior parte delle persone si forma un’idea su romanzi e film hollywoodiani, ma così nascono i miti”. E possiamo fermarci qui con le citazioni, una più disgustosa dell’altra. L’Odifreddi smascherato ha provocato la risposta di Elena Loewenthal, sempre sulla Stampa, che chiama ‘fetido’ l’odio del nostro verso Israele, usando poi giustamente la parola ‘antisemitismo’, uno strale che finora non era mai riuscito a colpire il prof. di matematica, aggiungendo “il delirio di parole scatenato da Odifreddi è una sconcezza terribile”. Nello stesso giorno Stefano Jesurum lo accusa di essere un cattivo maestro, visto che scrive e insegna all’università, citando August Bebel “l’antisemitismo è il socialismo degli imbecilli”. Evidentemente non contento delle attenzioni ricevute, Odifreddi ha commesso il secondo errore: ha scritto al direttore della Stampa e a Aldo Grasso, che sul Corriere della Sera del 20.10, in prima pagina, gli aveva rifilato un pezzo al fulmicotone. Entrambi gli hanno risposto citando quanto lo stesso Odifreddi aveva scritto nel suo blog, ma in maniera furbastra aveva evitato di inserire nella replica. Il risultato è stato quello che ognuno si può immaginare, una doppia brutta figura nel giro di qualche giorno. E una fama andata definitivamente in frantumi. D’ora in poi si guarderà con estrema cautela e attenzione dallo scrivere concetti ‘fetidi e sconci’, non perché non gli appartengono più, nelle sue repliche li ha confermati persino aggravandoli, ma perché sa di vivere in un paese dove è meglio essere ipocriti, soprattutto nel linguaggio. E lui, per una volta nella sua vita, ha invece scritto ciò che pensava. Di Odifreddi, purtroppo, è piena l’Italia, fanno meno errori, questo sì, riconoscerli è più difficile, ma con un po’ di volontà si riesce lo stesso a smascherarli. Un errore, prima o poi, come è successo per Odifreddi, lo commetterano. Angelo Pezzana NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 C L’odiatore di Israele ha gettato la maschera, per lui le camere a gas non sono fatti ma opinioni. La Shoah è solo propaganda 25 PENSIERO La battaglia per la libertà non si finisce mai di combattere I NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 l commento su una visita a Masada è stata l’opportunità per riflettere nuovamente su perché nella cultura ebraica si cerchi così frequentemente il senso degli eventi analizzandoli attraverso il paradigma delle battaglie di liberazione. Giuridicamente le libertà si distinguono in “libertà di…” e “libertà da…”, per la storia le battaglie degli ebrei sono state in entrambe le direzioni, senza alcun dubbio, e talora sono state coincidenti, perché liberarsi dagli egiziani o dai tedeschi significava potere avere accesso a tutte le “libertà di…”, in primis quella alla vita. Ci si chiede allora perché un concetto tanto banale vada spiegato e rispiegato, fino a seccare la gola. Forse perché ci si è talmente assuefatti alle varie “libertà di…” che non riusciamo più a vederle laddove vengono negate, e senza andare tanto lontano basterebbe mettersi per qualche ora vicino al cassonetto sotto casa. Certo ci sono i Rom specializzati per settore, ma ci sono altrettante persone “normali” che in ore più discrete rastrellano il nostro superfluo. Dunque non siamo ancora riusciti a soddisfare i bisogni elementari che consentano a tutti di avere il diritto al cibo. Non è anche questa una guerra di liberazione? Il cibo - il primo fra i diritti, la cui negazione porta malattie devastanti e per cui si sono combattute le guerre più sanguinose e tante ne sono ancora in atto - non è ancora diventato un bene per tutti. I tempi delle libertà (usando il concetto al plurale si vuole ricomprenderle entrambe) sembrano ancora di là da venire. Proprio per questo è indispensabile celebrare tutte quelle vinte. Perché la tanto citata speranza dove la possiamo radicare altrimenti? La nostra memoria è il terreno più fertile dove far attecchire i sogni delle generazioni successive. Allora sorge un dubbio: aver definito senza speranza la giovane generazione contemporanea non è avere, nello stesso tempo deciso di smettere di lottare per la libertà? La risposta non può che essere affermativa. Ma non è una generazione che è ferma, è una società che ha insegnato a sognare un solo sogno: l’arricchimento esponenziale delle proprie risorse economiche di gene- 26 razione in generazione. E, ora che questa scala si è spezzata, si fatica persino a vedere i segnali di movimento che, invece, ci sono come il ritorno dei giovani all’agricoltura e ai mestieri. Non sappiamo quanto della storia celebrata da Giuseppe Flavio sia vera o verosimile, ma sappiamo che nella celebrazione identitaria questo è un luogo in cui la libertà venne celebrata al prezzo della vita. Forse è questo ciò che diventa difficilmente razionalizzabile: il valore identificante di una storia complessa, diffusa sul pianeta in infinite battaglie di liberazione la cui summa si raccoglie in due parole: il popolo ebraico. Certamente gente che è stata salvata prima di tutto dal proprio sogno nella Diaspora e in Israele, la Storia si è sviluppata nelle battaglie continue e non ancora finite per il diritto ad esistere prima di tutto e per tutte le battaglie di libertà che ne discendono. Poteva essere un ragionamento scontato, ma evidentemente non è così. La storia delle guerre di liberazione, di nessuno degli stati contemporanei arriva a 5774 anni, e dunque nessun popolo porta una memoria così lunga dei propri diritti negati. Evidentemente la leggerezza dei tempi contemporanei non consente di confrontarsi con temi corposi e l’imponente fisicità di Masada e la storia della sua tragedia parla all’inconscio risvegliando domande la cui risposta non può che essere un’altra domanda: perché la nostra storia è stata un susseguirsi di guerre di liberazione, per altro non ancora compiute? Clelia Piperno Il terrorismo di oggi nasce dalle minacce di ieri L’analisi di Shay Shaul massimo studioso del terrorismo internazionale, ospite di un convegno organizzato dal Benè Berith “L Sandro Di Castro, dopo aver ricordato quel giorno in cui fu ferito insieme ad altre 36 persone e fu assassinato il piccolo Stefano Gay Tache, ha sottolineato il perché dell’iniziativa: “quest’anno volevamo approfondire un po’ di più la tematica e prendere spunto dall’attentato di 30 anni fa, compiuto nella forma classica del terrorismo palestinese, per analizzare qual è stata l’evoluzione del terrorismo dal 1982 ad oggi: quali sono le nuove forme e come è cambiato il modo di fare terrorismo che diventa sempre più devastante (come possiamo vedere con l’attentato dell’11 settembre). È un input che vogliamo dare perché a volte non ci rendiamo neanche conto di essere sotto attacco terroristico ed è sempre bene vigilare”. Poi ha preso la parola Shay Shaul, docente all’IDC di Herzlia, che vanta nel suo prestigioso curriculum la vicepresidenza del consiglio sulla Sicurezza Nazionale israeliana, e quella della storia militare nazionale dell’Idf (Israeli Defense Forces). Shaul ha tenuto una vera e propria relazione sulla storia e le minacce attuali del terrorismo. Il punto di svolta, secondo l’esperto israeliano, è avvenuto in due periodi cruciali: il primo, dopo la guerra dei Sei giorni, quando i massimi dirigenti palestinesi decisero di esportare la lotta armata e gli attacchi terroristici fuori dai confini israeliani, prima con i dirottamenti aerei e poi con gli attentati che presero di mira le comunità ebraiche. E poi nel decennio tra la fine degli anni Settanta ed Ottanta quando due avvenimenti internazionali di vasta portata cambiarono le sorti mediorientali ed internazionali per gli anni a venire, e di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze: l’ascesa khomenista e l’occupa- zione dell’Afghanistan da parte dell’allora URSS. In entrambi i casi Shaul ha spiegato come questi due fenomeni storici si siano legati in modo esplosivo al terrorismo palestinese. Divenendo una minaccia costante e duratura per il mondo intero. Khomeini con la sua rivoluzione sprigionò il terrorismo sciita, la proclamazione della Jihad, la guerra santa contro i cosiddetti “crociati” e gli ebrei, trovando una saldatura della politica del terrore in Libano, dove sponsorizzò la nascita del movimento terroristico di Hezbollah. Mentre la ritirata dei russi al termine del conflitto in Afghanistan, segnò l’affermazione di Al Qaeda, tra i maggiori gruppi fondamentalisti islamici radicali, che diede il via alla rete di reclutamento e allo sprigionamento del terrore su scala mondiale. J. D. R. NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 o stato di Israele e gli ebrei nel mondo sono in guerra” così ha tuonato Shay Shaul, uno dei massimi studiosi del terrorismo internazionale, che è stato l’ospite d’onore della serata organizzata dal Benè Berith per ricordare l’attentato della sinagoga del 9 ottobre 1982. Davanti a un folto pubblico che ha riempito la sala di Palazzo Valentini, dapprima hanno indirizzato parole di saluto, Sandro Di Castro e Ruben Della Rocca, rispettivamente presidente e vicepresidente della sezione romana del B.B. Poi è intervenuto l’onorevole Stefano Dambruoso, già sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano e Capo dell’Ufficio per il Coordinamento dell’attività internazionale del Ministero della Giustizia, che ha messo in guardia dalla pericolosità e l’imprevedibilità delle cellule terroristiche reclutate sulla Rete. 27 PENSIERO Lo studio come valore È merito del popolo ebraico se la conoscenza è diventata un diritto che appartiene a tutti. Solo l’ebraismo ha saputo rendere l’alfabetizzazione un dovere altamente spirituale e funzionale N el secolo primo A E.V., gli esponenti più avveduti e lungimiranti del movimento farisaico promossero l’istituzione di scuole secondarie per l’insegnamento gratuito della Torah. Nel secolo successivo fu presa la decisione che i padri inviassero i figli a scuola dall’età di sei o sette anni. Si trattò di una decisione rivoluzionaria e unica nella storia dell’antichità, che portava a compimento un lungo processo storico e culturale che aveva trovato nell’insegnamento dei profeti e nell’azione di Ezra dei momenti importanti. Per la prima volta nella storia un gruppo religioso, e per sua bocca come si sarebbe in seguito verificato, una nazione intera proclamava che la conoscenza era un diritto che apparteneva a tutti. Era anzi un dovere rispetto ai figli. Seppure limitata alla dimensione specificamente religiosa, che nell’ebraismo rabbinico coinvolge ogni aspetto della vita, la conoscenza non era un appannaggio esclusivo di una casta sacerdotale o di una classe sociale che dominava le altre. Quando un pagano chiese a Rav Hillel, se era possibile riassumere la Torah su un piede, il Maestro rispose “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Poi aggiunse: ora va e studia. Lo studio era un precetto, un atto dovuto che contribuiva a migliorare se stessi e a salvaguardare la sopravvivenza della comunità. Non solo. Contribuiva a salvare il mondo intero perché è sulla Torah e i suoi precetti che il mondo poggiava. Per Rav Hillel l’amore verso il prossimo e la giustizia, altro grande pilastro dell’ebraismo, Dal 1982 operiamo con successo nel settore dei traslochi e dei trasporti nazionali e internazionali DIVISIONE TRASLOCHI Trasporti su tutto il territorio nazionale e internazionale PARCO AUTOMEZZI ATTREZZATURE SPECIALI NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 Scale telescopiche fino a 15 piani braccio-gru semovente 28 DIVISIONE DEPOSITO MERCI Magazzino di 18.000 mq coperti 60.000 mq scoperti DIVISIONE ARCHIVI Catalogazione e gestione di archivi cartacei ed elettronici in ambienti sicuri ed idonei DIVISIONE AMBIENTE Gestione dei rifiuti, disinfestazioni, disinfezioni, derattizzazione sicurezza degli alimenti www.devellis.it - [email protected] SEDE DI ROMA: Via Volturno, 7 - Tel. 06.86321958 SEDE DI FROSINONE: Via ASI, 4 Tel. 0775.89881 - Fax 0775.8988211 hanno bisogno di essere nutriti e approfonditi dallo studio e dalla conoscenza della Torah. In un mondo dove l’analfabetismo era la norma, una corrente religiosa importante dell’ebraismo, che in seguito alla distruzione del Tempio, emerse come suo rappresentante riconosciuto, faceva dell’alfabetizzazione un dovere altamente spirituale e funzionale alla vita religiosa della comunità. Contro ogni logica “economica” e “sociale”, al prezzo di sacrifici grandi, un ebreo era obbligato ad apprendere a leggere e a scrivere. Non perché questo gli potesse servire per delle particolari funzioni politiche o sociali, come avveniva presso gli altri popoli e le altre religioni, dove la scrittura era riservata a pochi e contribuiva al dominio di pochi su molti. Nell’ebraismo apprendere a leggere e scrivere, erano un atto dovuto verso se stessi e gli altri, indipendentemente dalla condizione sociale ed economica, perché che elevava lo spirito e garantiva la sopravvivenza di una comunità spossessata del suo centro politico e culturale. Un’azione carica di significati religiosi che contribuiva a salvare il mondo perché nella rappresentazione che se ne aveva era sulla Torah che l’esistenza del mondo poggiava. Grazie a questa decisione, assunta quando il popolo ebraico viveva ancora in maggioranza nella Terra di Israele, gli ebrei avevano una “patria portatile” che non li avrebbe abbandonati nell’esilio. Il Tempio distrutto grazie allo sviluppo del culto sinagogale, poteva trasferirsi interamente nei cuori e nella preghiera, nella meditazione e nello studio. Soggiogati da poteri altrui, gli ebrei poterono conservarsi spiritualmente liberi in un rapporto unico con il Divino che non aveva bisogno di mediazioni altrui. Colpita al cuore e perseguitata, la loro religione non si ridusse a un culto locale e marginale. L’ebraismo continuò a svilupparsi e a dare, in condizioni talora impossibili, i suoi frutti duraturi. La scelta operata dal mondo farisaico portava in realtà a compimento un processo intrinseco alla religiosità ebraica, che ha contribuito a fissare nei secoli successivi tratti importanti dell’identità ebraica e dei suoi valori fondanti, come anche purtroppo alcuni dei pregiudizi da cui l’ebraismo è da sempre stato circondato. Popolo alfabetizzato, gli ebrei sono stati oggetto di proiezioni deliranti e paranoidi ad opera delle maggioranze dominanti. Usciti sconfitti nello scontro mortale con l’Impero, demonizzati dalla Chiesa trionfante, disprezzati sotto il giogo islamico, gli ebrei riuscirono a sopravvivere come gruppo anche perché erano necessari e funzionali alle società in cui erano dispersi. In questa complessa e ambigua dialettica con i poteri forti da cui erano “tollerati” e allo stesso tempo perseguitati e periodicamente derubati, diventare del tutto “superflui” poteva essere la fine. È un aspetto tragico della storia ebraica del passato, con le sue eroiche strategie di sopravvivenza, ma anche con le sue fragilità costitutive (si pensi al ruolo degli ebrei di corte), che merita di essere approfondita. David Meghnagi Il suo film ‘Hotel Meina’ seppe creare una sintonia totale con la sofferenza delle persone barbaramente trucidate H o conosciuto Carlo Lizzani nel 2007, nell’occasione di un convegno che si tenne in Campidoglio sul tema “La memoria visiva di chi pensa e crea. L’importanza della sua conservazione”. Ogni invitato a intervenire era chiamato a illustrare l’importanza della memoria visiva nella sua professione e nelle sue attività e a illustrare i metodi per la sua conservazione. Nel mio caso si trattava della storia della scienza e, oltre a fare un discorso specifico e tecnico, mi era sembrato opportuno mostrare con qualche esempio quanto possano essere importanti e suggestive le immagini nella storia della scienza. Mostrai alcune fotografie che avevano avuto per me un forte potere evocativo, che mi era servito anche per trasmettere meglio e con maggiore profondità il senso di certe vicende storiche. Tra le tante ricordo quella di Mussolini che visita la Biblioteca dell’Istituto di Matematica dell’Università di Roma appena inaugurata. Mi ha sempre scosso vedere l’immagine del Duce che passeggia assieme al direttore dell’Istituto, il matematico Francesco Severi, in camicia nera e stivali, in quegli stessi locali in cui avrei passato tanto tempo a studiare. In un’altra foto Severi tiene il discorso inaugurale davanti al Duce e a Bottai, nella stessa aula in cui io e tanti colleghi abbiamo poi tenuto le nostre lezioni. Ben diversi sentimenti suscita la foto di un altro grande matematico ebreo, Federigo Enriques, che conversa con Albert Einstein: la posa disinvolta e familiare descrive più di molti discorsi il prestigio che aveva la scienza italiana nel mondo, prima che il fascismo la facesse a pezzi. Non meno suggestiva è la foto di un altro grande scienziato ebreo, John von Neumann, emigrato negli USA e protagonista dell’impegno scientifico nella lotta contro il nazismo, che riceve la medaglia della libertà dal presidente Eisenhower mentre sta ancora sulla breccia, pur essendo con- dannato sulla sedia a rotelle per un cancro osseo. Non mancai di mostrare alcune foto personali evocative di quei tempi drammatici. Molti anni fa era usuale che dei fotografi prendessero immagini di persone per strada: consegnavano un numeretto, potevi andare a vedere la foto e, se ti piaceva, la compravi. In un’immagine del 1940, mio padre e mia madre camminano per una strada di Roma leggendo attoniti una copia del Messaggero che annuncia l’inizio della tragedia: otto armate tedesche sono entrate nel Belgio. Conobbi Lizzani nell’occasione di quel convegno perché la mia presentazione lo colpì, venne a dirmelo e mi propose di incontrarci. Ci vedemmo alcuni giorni dopo al tavolo di un bar a Piazza Cola di Rienzo. Parlammo di molte cose tra cui anche il rapporto tra matematica e arte, che era un tema che lo intrigava molto. Fui vivamente impressionato dalla sua personalità intensa e al contempo discreta. Sapevo che egli aveva sempre avuto una militanza politica molto netta, e ricavai l’impressione consolante che si può avere una siffatta militanza ed essere al contempo aperto e curioso di ogni altro punto di vista. Quando ci accomiatammo mi promise di inviare dei biglietti, per me e mia moglie, per l’anteprima del suo nuovo film, Hotel Meina. Di fronte alla sua morte drammatica sento il dovere di ricordare la figura di Lizzani sia per il ricordo intenso che mi ha lasciato sia per l’impressione destata da quel film. Da un lato, esso propone un’immagine attenta della condizione di integrazione piena dell’ebraismo nella società italiana e del dramma che rappresentò il suo artificioso sradicamento dalla realtà. D’altro lato, esso dimostra che cosa può l’arte quando riesce a parlare al cuore. Difatti, quando noi pensiamo al dramma della Shoah sentiamo la necessità di andare oltre la nuda registrazione dei fatti. Ci chiediamo come può aver vissuto certe circostanze drammatiche una persona di cui sappiamo tante cose: ci sforziamo di immaginarla nel vagone piombato, mentre scende dal treno, mentre subisce violenze. Nelle immagini terribili del film, soprattutto quelle finali, il film di Lizzani realizza ciò che soltanto l’arte può riuscire a fare: creare una sintonia totale con la sofferenza delle persone barbaramente trucidate. Ed è per questo che sono sempre più convinto che, per perpetuare la memoria nelle scuole, può essere assai più efficace, invece di propinare lezioni documentarie che talora sono noiose e sanno di imparaticcio, sia meglio proporre la visione di opere d’arte come questa, capaci di suscitare una profonda empatia. Grazie Lizzani. Giorgio Israel NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 In ricordo di Carlo Lizzani: quel modo straordinario di raccontare la Shoah 29 ISRAELE Israele e Bulgaria, una amicizia di lunga data Il legame tra i due paesi si è rafforzato nella collaborazione anti-terrorismo, specie dopo l’attentato di Burgas I NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 buoni rapporti che oggi hanno Israele e Bulgaria, affondano le loro radici in un passato che precede la nascita dello Stato ebraico. Proprio nel 2013, infatti, è caduto il settantesimo anniversario della salvezza degli ebrei bulgari dai campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale. Il “giusto” che si oppose alla deportazione fu Dimitar Pesev: vicepresidente della Camera, già Ministro della Giustizia nel 1935-36, Pesev, seguito da 43 parlamentari, presentò al governo una protesta per bloccare l’ordine di rastrellamento degli ebrei bulgari. Le sue pressioni, grazie anche all’appoggio di personalità pubbliche di rilievo e della Chiesa ortodossa bulgara, furono efficaci: le deportazioni dalla Bulgaria non ebbero luogo e gli ebrei, seppure in condizioni precarie, riuscirono a sopravvivere. Nel dopoguerra, la maggior parte degli ebrei bulgari scelse la via dell’emigrazione in Israele, anche prima della sua proclamazione nel 1948. Il regime comunista che si instaurò nel dopoguerra fu incapace di 30 garantire una riabilitazione economica della comunità ebraica locale; parallelamente, anche l’ideale sionista e il senso di insicurezza comunicato dalle atrocità della guerra spinsero le scelte degli ebrei bulgari in questa direzione. Durante la Guerra fredda, nei rapporti con Israele, la Bulgaria risentì delle pressioni sovietiche e manifestò una certa ostilità verso lo Stato ebraico. All’indomani della caduta del muro di Berlino, però, proprio Israele, assieme alla Corea del Sud, rappresentò uno dei nuovi interlocutori diplomatici di Sofia, che si apriva così al dialogo col blocco occidentale. Da quel momento, le relazioni tra i due Paesi hanno intrapreso una graduale crescita, che si è evidenziata sotto molteplici aspetti. Una battuta d’arresto poteva emergere dopo il 18 luglio 2012, quando un attentato terroristico ha tolto la vita a cinque turisti israeliani e ad un bulgaro che era l’autista del autobus. Dopo sei mesi di indagini, nel febbraio 2013, le autorità bulgare hanno individuato la responsabilità di Hezbollah in questo attentato, confermando gli iniziali sospetti avanzati dal premier israeliano Netanyahu. Parole di stima sono giunte dall’ambasciatore israeliano a Sofia, Shaul Khamis Raz, il quale in un’intervista a “Trud”, uno dei più antichi quotidiani bulgari, ha evidenziato la correttezza della Bulgaria, che non ha sottovalutato il coinvolgimento del gruppo terrorista libanese; sin dal momento successivo all’attentato, alti rappresentanti del governo bulgaro hanno partecipato ai lavori instancabilmente. “Questo è stato importante - ha aggiunto - perché ci ha fatto capire che non eravamo soli in un momento difficile”. Proprio per questo “le relazioni bulgaro-israeliane sono eccellenti a tutti i livelli”. Questa vicenda non ha dunque scalfito l’amicizia tra i due Paesi. Poco più di un mese dopo, alla fine di agosto del 2012, l’allora vice primo ministro israeliano (e attuale Ministro della Difesa) Moshe Ya’alon aveva visitato Sofia e nel suo discorso alla Sinagoga Centrale aveva affermato che “Israele e Bulgaria non si fermeranno fino a quando tutti i responsabili per l'attentato a Burgas non saranno puniti […]”. Un’ulteriore dimostrazione è giunta poche settimane dopo, quando nel mese di settembre, sei settimane dopo l’attentato, si è tenuto un incontro dei due governi a Gerusalemme, naturale prosieguo del vertice del luglio 2011 a Sofia. L’agenda di questi summit ha mostrato come la cooperazione tra Israele e Bulgaria si stia sviluppando proficuamente. A luglio 2011 l’attenzione si era soffermata maggiormente sulle relazioni bilaterali e sulla cooperazione nei campi dell’economia, dell’agricoltura e del turismo; a Gerusalemme, invece, i negoziati hanno portato a individuare unità di intenti negli ambiti dell’information technology e delle comunicazioni, nella sanità e nelle scienze mediche, ma anche nella scienza, nella cultura e nell’educazione. Daniele Toscano Carmiel, la prima città al mondo certificata per la qualità dell’ambiente ta una regione ad alto potenziale di sviluppo. Inoltre, vi è la necessità di ribaltare la situazione demografica che vede in quella zona la popolazione ebraica in minoranza. Gli ebrei in Galilea sono ancora oggi meno della metà della popolazione: assai più del 25% che rappresentavano ancora negli anni ’80, ma ancora lontani dalla metà. In particolare non riesce ad attrarre gente dal centro del Paese: chi arriva nei villaggi della Galilea sono soprattutto giovani che abbandonano Haifa alla ricerca di migliori standard di vita, mentre altri si dirigono verso Tel Aviv. L’evoluzione della città è stata rapida, soprattutto dalla fine degli anni ‘70 ed ha ricevuto un enorme impulso dagli immigrati etiopi prima e da quelli dell’ex-URSS dopo. Solo questi ultimi ammontano a 17.000. Dopo il ritiro dal sud del Libano nel 2000, nella città sono arrivate famiglie di libanesi che hanno preferito Israele, molti dei quali abitano in un unico quartiere. Secondo l’ufficio di statistica aggiornato al dicembre 2011 abitano a Carmiel 44.710 persone con una crescita dello 0,7% annuale. Il sito del municipio indica ottimisticamente in 120.000 abitanti la mira per il 2020. Anche Carmiel, come il resto del nord di Israele, è stata inaspettatamente obiettivo di razzi katiuscia durante la seconda guerra del Libano. Prima di allora infatti si pensava che la città fosse al sicuro dai missili perché coperta da un catena montuosa al nord e perché popolata anche da arabi. Paola Abbina • AL N S UT Puoi s FINO5 A5 ANNI! r e GR A La sicurezza delle migliori cure per tutta la vita E toscri ot GRANSALUTE ve C armiel è una città nel nord di Israele. Il suo nome significa “la vigna di Dio”, riprendendo con questo l’antica denominazione della “valle della vigna” e rispecchiando l’abbondanza di vigneti presenti nella zona. È conosciuta in tutto il Paese per l’alto standard di vita. Nel corso degli anni sono stati costruiti diversi quartieri ognuno con le sue specifiche esigenze, come centri commerciali, strutture educative e ludiche. Carmiel è stata la prima città ha ricevere la certificazione ISO 9002 per la qualità dei suoi servizi. La città infatti ha emanato uno statuto speciale per la tutela dell’ambiente e la prevenzione dell’inquinamento ed è diventata un centro industriale con imprese tecnologiche avanzate. Carmiel serve tutta l’alta Galilea come sede per grandi eventi, si tengono infatti diversi festival nazionali ed internazionali di cultura, cinema e letteratura. La storia della città inizia nel 1956 quando parte dei villaggi arabo israeliani di De’ir Al Assad, Bi’inà e Nahf sono stati dichiarati “aree chiuse”. Una volta questa zona, tra Acco e Tzfat, era una cava di marmo fino a che nel 1961 le autorità israeliane non hanno deciso di costruirvi Carmiel, dando in cambio agli abitanti di allora “terre altrettanto buone”, ma la cosa non è passata inosservata tanto che nel 1965 il Paese ha assistito ad una viva protesta - finita però con un nulla di fatto - a Tel Aviv contro la discriminazione di altri cittadini per il mancato assegnamento di lotti di terre a chi era stato espropriato. La fondazione della città è dunque radicata nello sforzo di ripopolazione ebraica della Galilea, un obiettivo che lo Stato di Israele persegue dai primi anni ‘60 e sul quale continua ad investire anche oggi. Il motivo è duplice: insieme al Neghev, la Galilea è considera- GRANSALUTE è la polizza sanitaria che ti consente di costruire una copertura assicurativa per avere le migliori cure ed un efficace servizio di prevenzione per tutta la vita. • GRANSALUTE offre certezza e serenità PER SEMPRE: infatti, dopo il primo rinnovo, la polizza può essere disdetta solo dall’Assicurato e in nessun caso dalla Compagnia. • GRANSALUTE offre un check-up completo Vieni in agenzia per avere maggiori informazioni e chiederci un preventivo AGENZIA GENERALE DI ROMA PARIOLI Shirly Tammam Via D. 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Furono uccisi più di cento ebrei e il giorno dopo oltre trentamila vennero deportati. Con il senno di poi si può dire che fu il primo segnale della Shoà. Quella notte passò alla storia con il nome Reichskristallnacht. In italiano si usa l’espressione: «notte dei cristalli». Come sempre, le parole dicono molto. E dicono anzitutto che di quella notte fu conservata memoria più per i vetri andati in frantumi, che per le persone uccise. Nella formula italiana manca tuttavia il termine Reich. In tedesco la parola completa suggeriva l’idea che si trattasse di un’iniziativa centrale, una notte di violenza organizzata dal Reich. Ma le numerosissime testimonianze attestano anche il coinvolgimento di molti cittadini tedeschi in una cerimonia di mortificazione collettiva del popolo ebraico che mirava alle sinagoghe, agli oggetti di culto, alla Torà. A Potsdam le SA, le «squadre d’assalto» o «camice brune», irrompendo nella 32 Via dei Volsci,165 - 00185 ROMA 06.4462024 (lab.) - 06.93548963 (abit.) cell. 349.7710957 sinagoga, fecero in mille pezzi il rotolo della Torà. A Francoforte furono invece costretti a farlo alcuni giovani ebrei e le SA si appuntarono i frammenti alle giacche come «portafortuna»; mentre ciò accadeva, il rabbino dovette recitare i dieci comandamenti e un tenore ebreo cantare l’aria del Flauto magico di Mozart: «In questi sacri luoghi non si conosce la vendetta». A Düsseldorf la masnada dette fuoco ai rotoli della Torà danzando intorno al rogo. Episodi del genere si verificarono durante tutta la notte nelle grandi città, da Berlino a Colonia, fino ai centri più piccoli, dove non mancavano le comunità ebraiche e le sinagoghe. Alle quattro del mattino dell’antica sinagoga di Heidelberg restavano solo le assi di legno incenerite. A Baden-Baden, invece, celebre luogo di cura, per non disturbare gli ospiti si cominciò solo la mattina alle dieci: un corteo di sei ebrei, obbligati a portare una stella di David con la scritta «Dio non ci abbandona», fu scortato dagli uomini delle SA attraverso la città fino alla sinagoga dove furono costretti a leggere brani del Mein Kampf. La notte dei cristalli fu organizzata centralmente dal Reich. Ma non avrebbe potuto essere attuata, in quelle dimensioni, se alle SA non si fosse aggiunta la gente del luogo (come testimoniano le numerose foto). È importante notare che, mentre nella stampa si parlava di «razza ebraica», di «complotto ebraico», di «finanza ebraica», le violenze di quella notte furono inequivocabilmente antireligiose. Come spiegare l’atteggiamento della maggior parte della popolazione che andava dalla sorda passi- vità alla complicità attiva? Che giustificazione dare per l’indifferenza verso quell’attacco? D’altronde le sinagoghe profanate, là dove erano rimasti ancora gli edifici, diventarono prima depositi dei beni confiscati agli ebrei, quindi luoghi di raccolta per la deportazione, e infine, dopo la guerra, furono adibite agli usi più diversi: lavanderie, officine, fabbriche, asili, piscine, chiese, ristoranti. Ancor oggi a Poznan, in Polonia, l’antica sinagoga è, dal 1938, piscina pubblica. Solo da pochi anni in Germania, per iniziativa delle comunità ebraiche, alcuni di questi edifici sono tornati a essere sinagoghe. La data del 9 novembre è oggi a stento segnalata dagli organi di informazione e soprattutto non è inscritta nella memoria collettiva. Fa parte di quel passato della Germania che i più anziani non hanno mai voluto ricordare e i più giovani non vogliono ricordare più. Chissà perché in Italia, guardando al monumento di Berlino, si crede che la Germania abbia fatto, più di altri paesi, un lavoro di scavo e di confronto con il proprio passato. Non è vero. E non bisogna fare l’errore di credere che Berlino, metropoli multiforme e complessa, rappresenti il paese. In tutto il resto della Germania, con punte esasperate nei nuovi Länder, Auschwitz è un nome tabuizzato e interdetto. Ha per i tedeschi quasi il sapore di un’offesa personale – come se si mirasse intenzionalmente a farli sentire colpevoli. E i tedeschi – si sa – non amano sentirsi colpevoli. Forse dovrebbero cominciare a ricordare proprio quella terribile notte di cui restano tracce in numerosissime città e cittadine tedesche dove di solito - un buon esempio è Friburgo in Brisgovia - la piazza centrale, in cui si ergeva l’antica sinagoga, l’Altersynagogenplatz, esibisce un grande vuoto che nessun giardino e nessun monumento possono colmare. È anche il vuoto di responsabilità di quei tedeschi - molti - che hanno lasciato che bruciassero sinagoghe, libri, rotoli della Torà, prima ancora che fossero deportati i loro concittadini ebrei. Sono gli stessi che hanno coperto per anni assassini e criminali nazisti. Donatella Di Cesare GLI EBREI CHE HANNO FATTO STORIA Mordechai Anielewicz Guidò la resistenza contro i nazisti nell’assedio al Ghetto di Varsavia prendere contatti dal ghetto di Varsavia con l’esercito Polacco per il rifornimento di armi e per quanto possibile coordinare gli attacchi contro i nazisti. La ZOB si prodigò anche per “punire” quei personaggi, ebrei, che denunciavano i loro stessi correligionari alle autorità naziste per ottenere permessi o vantaggi di qualsiasi tipo. Nel 1942, a seguito delle numerose deportazioni, il numero degli ebrei presenti nel ghetto era di 60.000 (inizialmente erano 350.000). Mordechai Anielewicz fu nominato capo dell’Organizzazione ebraica di difesa. Egli insieme al suo gruppo, nonostante gli scarsissimi mezzi, seppe osteggiare con successo le retate naziste nel ghetto. Il 18 gennaio 1943, i nazisti avevano programmato un’altra grande deportazione degli ebrei nei campi di sterminio. L’Organizzazione di difesa pianificò un piano che ebbe successo e nel ghetto ci fu uno stato di guerriglia che durò quattro giorni. I mesi tra gennaio ed aprile del 1943 furono molto tesi, e il 19 aprile, alla vigilia di Pesach, con l’inizio dell’ultima deportazione, scoppiò la rivolta. I nazisti subirono numerose perdite e, nonostante i loro mezzi, non riuscirono ad espugnare il ghetto con facilità. La lotta durò per quattro settimane e le SS, capitanate dal generale Jurgen Stroop, bruciarono casa per casa mettendo fine alla rivolta. Anielewicz, insieme alla sua fidanzata e al gruppo dirigente della ZOB, capendo che non c’era più speranza, decise di suicidarsi nel bunker del ghetto l’8 maggio del 1943. Lo stesso gesto che, secoli prima, fecero gli ebrei di Masada resistendo all’assedio romano, un gesto figlio dell’esasperazione ma anche dell’orgoglio della propria identità ebraica. Mordechai Anielewicz è entrato a pieno titolo tra i grandi della storia ebraica; all’inizio del 1944 gli fu concessa l’onorificenza postuma della Croce di Guerra dal governo polacco in esilio; in sua memoria in Israele è stato fondato il Kibbutz Yad Mordechai e in Italia, la sede romana dell’Hashomer Hatzair porta ancora con fierezza il suo nome. Angelo M. Di Nepi NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 L a storia di Mordechai Anielewicz è la storia di un giovane ebreo, di un combattente, che dedicò la sua intera esistenza alla difesa del popolo ebraico; egli, insieme ad altri giovani valorosi guidò la resistenza contro i nazisti nella triste vicenda dell’assedio del Ghetto di Varsavia. Mordechai Anielewicz nacque nel 1919 nella città di Wyskow, in Polonia. Cresciuto in una povera famiglia ebraica, completò comunque gli studi superiori e, giovanissimo, aderì al movimento giovanile sionista Hashomer Hatzair divenendone presto il leader. Il 7 Settembre 1939 con lo scoppio della guerra e l’imminente avanzata nazista nei territori polacchi, Anielewicz fuggì nei territori della Polonia dell’est con l’obiettivo di giungere in Romania ed aprire un canale che potesse consentire agli ebrei di raggiungere la Palestina, allora sotto mandato britannico; il piano fallì, fu catturato e imprigionato dai sovietici che, dopo il rilascio, lo rispedirono a Varsavia. Sebbene la situazione degenerasse di giorno in giorno e la vita per gli ebrei fosse sempre più difficile ed umiliante, in pochi sospettavano le reali intenzioni dei tedeschi. Anielewicz, capendo perfettamente il piano nazista, fuggì di nuovo da Varsavia e partì per la Lituania, nella città di Vilnia, dove avevano trovato rifugio molti ebrei. Il leader dell’Hashomer Hatzair s’impegnò nel risvegliare le coscienze e far aprire gli occhi al proprio popolo su ciò che stava realmente accadendo. Egli spronò gli ebrei polacchi a reagire e combattere. Da segnalare che Anielewicz, come Jabotinksy prima di lui, incontrarono non poche difficoltà nel convincere gli ebrei a non avere un atteggiamento passivo nei confronti dei soprusi che ricevevano continuamente. Anielewicz tornò a Varsavia ed inviò un gruppo di suoi fedelissimi per le comunità ebraiche dei territori occupati; questi tennero seminari, stamparono opuscoli e quant’altro con l’obiettivo di “svegliare” gli ebrei dalla loro stessa ingenuità. Con il trascorrere del tempo, la situazione per gli ebrei peggiorò; ogni giorno arrivavano notizie delle continue uccisioni di massa perpetrate in tutta l’Europa Orientale; i leader dei movimenti giovanili come l’Hashomer Hatzair, il Dror e il Benè Akiva si unirono per fondare un’Organizzazione ebraica di combattimento conosciuta come ZOB, Żydowska Organizacja Bojowa. Questa, composta solo da ragazzi, si occupò di 33 SPETTACOLO I Documentario shock svela chi sono e che fanno i bambini di Hitler ragazzi venuti dal Brasile? Dimenticateli, questa non è fantascienza, né un Terzo Reich 2.0, ma realtà, e verità: carne della propria carne, sangue del proprio sangue, sono i bambini di Hitler, ovvero, Katrin Himmler, Monika Goeth, Rainer Hoess, Niklas Frank, Bettina Göering. I cognomi dicono tutto, e svelano alberi genealogici innestati dal Male, dall’ideologia e prassi nazista: Bettina è la nipote di Hermann Göering (zio); Katrin la nipote di Heinrich Himmler (zio), il secondo in comando dopo Adolf Hitler; Rainer è il nipote di Rudolf Hoess (nonno), creatore e comandante del campo di Auschwitz, Niklas è il figlio di Hans Frank, il governatore generale della Polonia nella Seconda Guerra Mondiale; Monika è la figlia di Amon Goeth, comandante del campo di concentramento di Plaszo’w (ricordate Schindler’s List?). Ebbene, si trasformano in consapevoli, dolenti e davvero interessanti talking heads nel documentario ‘Hitler’s Children’ di Chanoch Zeevi, in cartellone al 15° Festival di Rio. Enormi le questioni che sollevano, a partire dall’eredità biologica, quando il sangue e i geni hanno un cosi’ gravoso passato: c’è chi ha scritto della propria condizione di sciagurato “ereditiere”, come Niklas, che gira le scuole per dire che, sì, ai padri si può, si deve, ribellarsi; c’è chi, Monika, ha scoperto da un sopravvissuto a Plaszo’w l’enormità criminale del sadico genitore; chi, Katrin, ha sposato un ebreo e tagliato ogni ponte con il resto della famiglia, perché di fronte ad avi del genere “non ci sono, purtroppo, mezze misure: cancellazione o cieca fedelta”; chi, come Rainer, visita Auschwitz per la prima volta e, di fronte ai giovani discendenti degli internati, confessa: “Che farei se avessi qui mio nonno? Lo ucciderei con le mie mani”; chi, Bettina Göering, da 35 anni vive nei boschi a Santa Fe’, New Mexico, con la giusta distanza per provare a salvare, cibo e musica, qualcosa di quella Germania che le è stata così infausta. “Certe storie non hanno mai fine, questa storia (l’Olocausto, NdR) non ce l’ha”, conclude il doc un giornalista israeliano. Ma sono le domande a non avere via d’uscita: ogni bambino cerca l’amore dei genitori, ma quando è il figlio di Hitler? il nostro dicembre attività domenicali dai 2 ai 13 anni giornate divertenti ricche di attivita’ e giochi alle quali tuo figlio non vorra’ mancare! domeniche di ebraismo a bottega chi ci sta? 1 e 15 dicembre dalle 10.00 alle 15.30 e ci rivedremo anche nel 2014! 8, 15 e 22 dicembre e, su prenotazione, anche 29 dicembre e 5 gennaio dalle 8.30 alle 20 NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 pranzo incluso e possibilità di orari flessibili 34 dal 23 dicembre, Venite anche ai centri invernali! SPECIALE SPETTACOLO DI CHANNUKKA domenica 1 dicembre alle 11.30 “LA FISARMONICA DI MENDEL” Centro Ebraico Italiano Il Pitigliani – Via Arco de’ Tolomei, 1 – 00153 Roma Per info: Giorgia e Roberta – [email protected] – 06.5897756/06.5800539 LIBRI Il futuro del mondo sarà ancora a stelle e strisce Gli Stati Uniti rimarranno ancora per decenni la più grande potenza planetaria. Le ragioni di questo successo spiegate nel suo ultimo libro da Maurizio Molinari S i legge America e si può interpretare ancora come un Eldorado senza fine. Nonostante l’11 settembre, la crisi economica e il debito pubblico alle stelle, gli Stati Uniti potranno proseguire a svolgere quel ruolo di leadership che vantano da decenni. Grazie a una capacità di dinamismo e creatività che li porta ad essere il laboratorio di idee innovative e il motore di crescita mondiale a dispetto delle economie asiatiche emergenti. E’ ciò che ci racconta Maurizio Molinari nel suo ultimo libro, uscito qualche settimana fa, “L’aquila e la farfalla, perché il XXI secolo sarà ancora americano” (Rizzoli). E’ un viaggio itinerante che percorre i sentieri sociali, dell’economia e della tecnologia applicata alle nuove sfide del millennio appena iniziato. E’ un testo che miscela la cronaca, che il giornalista de “La Stampa” affronta nelle sue esperienze quotidiane, con approfondimenti sociologici ed economici. E l’autore fa bene a sottolineare come i cinquanta Stati a stelle e strisce sappiano coniugare la crescita con il Welfare e il nuovo Patto sociale, la meritocrazia e l’intuito personale, costituendo ancora un valido esempio di come possa svilupparsi la mobilità sociale, dando l’opportunità a tutti di affermarsi e contribuire al progresso del Paese. Molinari, da appassionato reporter, ci elenca un decalogo di percorsi che caratterizzano i nuovi successi americani. Dallo sviluppo dell’high tech, non pago dell’affermazione della Silicon Valley, ai risultati annunciati sulla rivoluzione energetica che, grazie a un nuovo modo di trivellazione, porterà nei prossimi anni all’indipendenza petrolifera ed energetica. Nella fotografia rappresentata non mancano pagine dedicate alle sfide che le grandi metropoli debbono affrontare per prevenire ed arginare disastri ambientali e urbanistici a cui ci hanno abituato gli Stati Uniti negli ultimi anni. Un capitolo a parte è dedicato al versante politico, in cui “le minoranze diventano espressione dei valori della maggioranza”. Leggiamo che l’elezione alla Casa Bianca dell’afroamericano di colore Obama è interpretata anche come il paradigma dell’inizio di come le comunità etniche sappiano interpretare non solo le proprie istanze ma soprattutto quelle della collettività nazionale. Un fenomeno che viene spiegato con le parole di Gloria Chen: “Gli asiatici americani e gli abitanti delle Isole del Pacifico si affermano e hanno successo in politica non come candidati etnici bensì come cittadini americani il cui principale intento è rafforzare la nostra nazione”. Questo vale per gli ispanici, come per gli asiatici, divenendo ciò che viene definito un “modello post razziale” . Che passa anche per la legalizzazione dei clandestini e dell’immigrazione legale, favorendo gli studenti. Spiega l’autore: “E’ una sfida che ha a che vedere con l’identità dell’America”, “perché la maggioranza di noi è stata come loro” sottolinea Obama, ricordando “irlandesi, polacchi, italiani, scandinavi, cinesi e giapponesi che hanno costruito questa nazione mattone per mattone, dopo un arrivo reso difficile dalle resistenze di chi era già qui”. J. D. R. Mostra fotografica di Federica Valabrega ‘Daughters of the King’ Dal 26 novembre al 15 gennaio 2014 presso la Ermanno Tedeschi Gallery È un percorso, tanto artistico quanto personale della giovane fotografa romana. Daughters of the King, che in ebraico suona come “Benot Melech” è un work in progress atto ad esplorare, attraverso decine di scatti fotografici, il ruolo delle donne ebree ortodosse all’interno delle loro comunità. Molti i luoghi visitati dall’artista: New York, diverse città di Israele, Parigi, Gerba e alcune città del Marocco. Col suo occhio-obiettivo Valabrega ci restituisce una visione diversa dagli stereotipi a cui siamo abituati; le sue fotografie – realizzate in tre anni di lavoro - consentono di vedere queste donne in un altro modo, pur non trascurando mai la loro carica spirituale. SALMONì OFFICINA SPECIALIZZATA VIA GALVANI 51C/D/E - 00153 ROMA ORARIO NO STOP 8,30 - 18,00 CHIUSO IL SABATO AUTO DIAGNOSI MECCANICA GENERALE DIESEL E BENZINA INIEZIONE BENZINA E DIESEL FRENI ABS - ESP ASSISTENZA SCOOTER AMMORTIZZATORI ALZACRISTALLI ELETTRICI SERVIZIO CARRO ATTREZZI TAGLIANDI PROGRAMMATI E AUTORIZZATI DALLE CASE COSTRUTTRICI Tel. 06.5741137 Cell. 3394510504 - [email protected] Allestimenti eventi con buffet dolci e salati Dolci per shabbath • Kiddushim per i Templi Torte e pasticceria tradizionale e monoporzioni Torte artistiche • Wedding cakes Vicolo della Serpe, 21 • tel. 06.6531328 cell. 393.8598192 • www.koshercakes.it NUOVA APERTURA Via Cremona, 37 (zona Piazza Bologna) • Cell. 340.7426976 NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 ELETTRAUTO 35 LIBRI 1938: quando gli italiani si scoprirono di pura razza ariana Una maggioranza insensibile e antisemita raccontata nel libro di Avagliano e Palmieri NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 «È 36 tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti». Così recitava il Manifesto della razza che nel luglio 1938, dopo una virulenta propaganda sui giornali, ufficializzò la svolta antisemita dell’Italia fascista. Tra settembre e novembre di quello stesso anno il regime passò dalle parole ai fatti, varando le cosiddette leggi razziali che equivalsero alla «morte civile» per gli ebrei, banditi da scuole, luoghi di lavoro, esercito, ed espropriati delle loro attività. La bella gioventù dell'epoca (universitari, giornalisti e professionisti in erba) rappresentò l'avanguardia del razzismo fascista. Molti di loro avrebbero costituito l'ossatura della classe dirigente della Repubblica, cancellando le tracce di quel passato oscuro. Non a caso, per lungo tempo la persecuzione è stata declassata dalla memoria collettiva, e da una parte della storiografia, a una pagina nera che gli italiani, in fondo «brava gente», avrebbero subìto passivamente. Per restituirci un’immagine quanto più veritiera possibile dell’atteggiamento della popolazione italiana di fronte alla persecuzione dei connazionali ebrei, Mario Avagliano e Marco Palmieri, nel saggio Di pura razza italiana. L’Italia «ariana» di fronte alle leggi razziali (Baldini & Castoldi), hanno compiuto una ricognizione di un’enorme mole di fonti (diari, lettere, carteggi burocratici e rapporti dei fiduciari della polizia politica, del Minculpop e del Pnf) dal 1938 al 1943. Ne è emersa una microstoria che narra un «altro Paese», fatto di persecutori (i funzionari di Stato), di agitprop (i giornalisti e gli intellettuali che prestarono le loro firme), di delatori (per convinzione o convenienza), di spettatori (gli indifferenti) e di semplici sciacalli che approfittarono delle leggi per appropriarsi dei beni e le aziende degli ebrei. Rari i casi di opposizione e di solidarietà, per lo più confinati nella sfera privata. Una microstoria che ribalta il netto giudizio assolutorio degli italiani formulato nel 1961 da Renzo De Felice nella sua Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, che è stato a lungo condiviso da larga parte della storiografia. Leggendo gli stralci dei documenti d’archivio, dei rapporti di polizia, delle relazioni dei fiduciari del regime, dei diari e delle lettere dei persecutori e delle vittime, pubblicati nel saggio di Avagliano e Palmieri, risulta infatti che complessivamente in quegli anni bui, tra il 1938 e il 1943, milioni di persone si scoprirono di pura razza italiana e i provvedimenti razziali riscossero il consenso maggioritario della popolazione, talvolta convinto, talvolta indotto dall’efficace campagna di propaganda, talvolta infine dovuto a ragioni di opportunismo. E non mancarono episodi di violenza verbale o fisica, soprattutto dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale. L’atteggiamento degli italiani “ariani” contribuì a rinchiudere gli ebrei italiani in un nuovo ghetto, dopo l’emancipazione del Risorgimento. Un ghetto invisibile, le cui mura erano costituite, oltre che dalla privazione dei diritti civili e sociali, dalle umiliazioni, dai gesti di indifferenza e dagli epiteti scritti o verbali subiti da vicini, colleghi, ex amici, fanatici antisemiti, giornalisti e intellettuali. Una pagina nera della storia italiana su cui ancora non si è fatta pienamente luce e che questo libro finalmente disvela con tragica evidenza e con rigore storico. Il libro sarà presentato dal Centro di Cultura Ebraica di Roma e dalla Fondazione del Museo della Shoah il 20 novembre alle ore 18, presso la Sala Protomoteca del Campidoglio. La casa editrice Giuntina inaugura una collana di libri ebraici per ragazzi Il primo libro in uscita è “La fisarmonica di Mendel” L a casa editrice Giuntina – specializzata in editoria ebraica – lancia una importante novità: a 34 anni dalla sua fondazione, dà vita ad una collana di libri per bambini. “Le richieste di pubblicare libri ebraici per bambini - spiegano alla Casa editrice - ci arrivavano già da tempo, ma realizzare una nuova collana non è semplice”. La collana si chiamerà “Parpar” che in ebraico significa “Farfalla”; ogni libro sarà particolare, colorato, disegnato leggero e rappresenterà un’anima peculiare dell’ebraismo, ogni libro una farfalla. Verranno pubblicate storie bibliche, libri sulle feste, su episodi di storia ebraica, libri che aiuteranno a rafforzare l’identità, libri con storie dalla tradizione yiddish, libri sull’osservanza delle regole, sulla presenza di Dio nel mondo e libri di autori israeliani. Insomma, libri per tutti i gusti. Il primo libro della collana s’intitola “La fisarmonica di Mendel”. Pubblicato negli Stati Uniti, racconta la storia di Mendel, musicista klezmer nello shtetl di Melnitz. Come molti ebrei emigrerà a New York, portandosi dietro solamente la sua fisarmonica. Nel Nuovo Mondo la sua vita cambierà completamente: troverà un lavoro, metterà su famiglia e la sua musica lentamente sarà dimenticata. Ma un giorno il suo bisnipotino Samuel, rovistando in soffitta ritroverà la fisarmonica di Mendel e ne rimarrà affascinato... Domenica 1° dicembre ore 11.00 - IL PITIGIANI “La fisarmonica di Mendel” In occasione della festa di Chanukkà, spettacolo per bambini tratto dal libro di Heidi Smith Hyde, con musica e recitazione dal vivo. Evento in collaborazione con La Giuntina. pranzo per grandi e piccini su prenotazione. Info e prenotazioni 065800539 LA TOP TEN DELLA LIBRERIA KIRYAT SEFER 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 L’UOMO CHE PENSAVA DI ESSERE IL MESSIA di C.Leviant, ed. Giuntina RITRATTO DI UNA SPIA di D.Silva, ed.Giano SEI MESI SETTE GIORNI di D.R.Gillham, ed. Piemme LA FAMIGLIA KARNOWSKI di I.J.Singer, ed.Adelphi IL NOSTRO APPUNTAMENTO di E.Lehman e S.Bitran, ed. Piemme FIORI NELLE TENEBRE di A.Appelfeld, ed. Guanda LA FORTUNA DEI WISE di S. Nadler, ed. Bollati Boringhieri L’ULTIMO INFILTRATO di O. Borg, ed. Newton Compton LA LENTA NEVICATA DEI GIORNI di E.Lowenthal, ed.Einaudi PER CORAGGIO, PER PAURA, PER AMORE di A.Rosenfeld Alla scoperta di luoghi, persone, storie nell’ultimo libro di Stefano Caviglia È uscito qualche settimana fa un nuovo libro sugli ebrei a Roma, scritto da Stefano Caviglia “Alla scoperta della Roma ebraica. La storia, i luoghi, la vita della più antica comunità della diaspora”, editrice Intra Moenia. E’ un agile pamphlet dove vengono descritte le tappe salienti bimillenarie della comunità locale dagli albori ai nostri giorni, con un’appendice dedicata ai locali sorti negli ultimi anni nell’ex ghetto e alle ricette che caratterizzano la cucina giudaico romanesca. Con abilità Caviglia unisce le qualità di giornalista a quelle già cimentate dello storico. Integra alla ricerca bibliografica l’amore di fare la cronaca di come sia cambiata l’identità della comunità, e anche della zona intorno alla Sinagoga negli ultimi tempi. E’ un excursus fluido e piacevole con una scrittura fresca e ricca di particolari, in cui sono anche presenti ricostruzioni illustrate da Mario Camerini della zona prima dell’abbattimento dei cancelli che definivano gli ingressi del ghetto e che aiutano a una conoscenza della mappatura dell’intera area nell’epoca passata. L’autore, scorrendo le pagine, fa rivivere la storia degli ebrei romani caratterizzata da un alternarsi di periodi che segnano l’isolamento, la proibizione di condurre una vita normale, di studiare il Talmud, come avvenne nei tre secoli di ghetto, ed altri anni in cui si respira la speranza di riscatto. Come ha evidenziato Anna Foa, durante la presentazione avvenuta nel corso del Festival della cultura e della enogastronomia giudaico-romanesca “la storia si dipana attraverso i luoghi perché Caviglia mette insieme la storia con la capacità di andare in giro. Oltre all’amore per la Comunità che traspare, che dà sostanza, si percepisce che la sente molto vicina. Così alla ricerca oggettiva si unisce la volontà di far conoscere e di far amare la Roma ebraica”. E’ la stessa tesi declinata dal giornalista Paolo Conti: “Chiunque sia romano amerà questo libro. Roma senza questa identità non sarebbe leggibile. Siamo tutti romani e questo libro lo spiega benissimo”. Mentre Vittorio Vidotto, il docente con il quale Caviglia scrisse la sua tesi di laurea, che è poi è divenuto un testo di successo sulla Comunità nel periodo successivo alla demolizione del Ghetto, ha commentato “E’ un libro che denota la profondità di giudizio e l’acume dello storico”. Non sono mancate, oltre alle parole di plauso, le differenti interpretazioni degli oratori sui temi storici sollevati dal testo: da come è stato vissuto il sionismo nella capitale, che è stato identificato dalla storiografia come fenomeno di nicchia, alla significativa partecipazione ebraica alla vita sociale capitolina agli inizi del Novecento, in modo sorprendentemente sproporzionato rispetto all’esiguità nei numeri degli iscritti alla comunità. J. D. R. Mosè ci ha portato nell’unico posto senza petrolio Angelo Pezzana Bollati Boringhieri Editore, p. 130 € 8,5 Dopo il successo dell’antologia sullo humour gay Si fa per ridere, il fondatore del Salone del Libro di Torino, Angelo Pezzana, collaboratore di Shalom, è autore di un breve concentrato di umorismo ebraico. Una raccolta divertente di storielle tutte inedite, all’insegna del Witz, del motto di spirito sarcastico e sfrontato, molto spesso provocatorio. Una risata che travolge irritualmente tutto e che non teme di ironizzare, a cominciare da se stessi: «Che differenza c’è tra una mamma ebrea e un rottweiler? Che il rottweiler, dopo un po’, il bambino lo lascia andare. La mamma ebrea mai». Travolgente. Lo Zohar rivelato Il Libro della saggezza della Kabbalah Michael Laitman Edizione URRA, p.342 € 21 Lo Zohar rivelato è il libro introduttivo ad una serie dal titolo Zohar per tutti, un’edizione semplificata de Il libro dello Zohar (Il libro della Luce), che è uno dei testi più imperscrutabili che siano mai stati scritti. L’autore, Michael Laitman, noto studioso di Kabbalah, con estrema semplicità, coinvolge il lettore in un viaggio verso un mondo spirituale grazie alla forza particolare di cui sono dotate le pagine del libro, che conduce alla gioia assoluta e alla saggezza. Sulle orme dei suoi due grandi maestri, Rav Yehuda Ashlag (Baal Hasulam) e Rav Baruch Ashlag, Laitman nel 1991 ha fondato l’Istituto di Ricerca Ashlag che accoglie migliaia di persone, diffondendo la saggezza della Kabbalah e l’amore per il prossimo come valore principale per l’esistenza dell’umanità. Nudo tra i lupi Bruno Apitz Longanesi p. 462 € 18,60 Marzo 1945, nel lager di Buchenwald è arrivato un nuovo convoglio, ma tra i deportati ce n’è uno con un bagaglio del tutto sorprendente. Zacharias Jankowski, ebreo polacco, riesce ad introdurre nel campo una valigia in cui è nascosto un bimbo di tre anni. Tale presenza diventa il fulcro della narrazione, un cuore pulsante e vivo nell’infinito dolore del lager, in cui morte, torture e delazioni rappresentano la brutale normalità. Tutto questo fino all’aprile del ’45, giorno in cui il campo verrà liberato dagli americani. Bruno Apitz, spettatore e protagonista degli eventi narrati, torna a vivere dalle pagine di questo incredibile racconto di speranza e di vita oltre l’orrore. Venga pura la notte Roberto Riccardi Edizioni e/o, p.238 € 16,5 Roberto Riccardi ci propone un nuovo ed avvincente thriller poliziesco. Il protagonista, Rocco Liguori, tenente dei carabinieri di Alba, è chiamato ad indagare su un caso internazionale. E’ costretto a recarsi a l’Aja, a disposizione del Tribunale internazionale per la ex Jugoslavia, per incontrare il procuratore Silvia Loconte: il colonnello Dragojevic, che Liguori aveva arrestato in Bosnia e che era stato condannato sette anni prima per la strage di Sebrenica, ha tentato di suicidarsi e spetterà ora al tenente verificarlo. Immerso nel flusso dei ricordi della vecchia indagine, il protagonista, non senza colpi di scena, risolverà brillantemente anche questo caso. A cura di Jacqueline Sermoneta NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 Conoscere la Roma ebraica 37 ROMA EBRAICA Un incontro nel segno della continuità ma anche della novità NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 "L’ 38 Papa Bergoglio ha ricevuto una delegazione della Comunità ebraica romana antisemitismo sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna!". Con queste parole papa Francesco ha accolto – lo scorso 11 ottobre - in udienza privata una ampia delegazione della Comunità ebraica di Roma, guidata dal rabbino capo Riccardo Di Segni e dal prof. Gavriel Levi. Parole importanti dette - come ha ricordato lo stesso pontefice - a pochi giorni dalle celebrazioni in ricordo dei 70 anni dalla deportazione degli ebrei romani. "Sarà anche l'occasione - ha aggiunto - per mantenere sempre vigile la nostra attenzione affinché non riprendano vita, sotto nessun pretesto, forme di intolleranza e di antisemitismo, a Roma e nel resto del mondo". quasi tutto. Bisogna lavorare per chiarire ancora, per comprendere le sensibilità e i punti critici, perché i messaggi positivi si diffondano, l’amicizia e la fiducia crescano e il rispetto reciproco sia reale. La seconda e forse più importante linea riguarda la responsabilità pubblica che deriva dalla nostra vicinanza. Vorrei fare un esempio. Secondo il nostro calendario liturgico abbiamo letto lo scorso Sabato la storia di Noè e del diluvio universale. C’è qualcosa che ci tormenta oggi in quel racconto, in cui, di tutta l’umanità, sopravvive solo una famiglia chiusa dentro una barca, mentre il resto è distrutto dal diluvio. In questi giorni assistiamo paradossalmente al contrario: a chi muore dentro a una barca mentre intorno sopravvive un’umanità impotente e in parte indifferente. Si è trattato di un incontro, ha sottolineato nel suo discorso iniziale rav Di Segni “che abbiamo desiderato come segno di continuità e di novità. Continuità perché esiste in questa città un rapporto tra le nostre due comunità di fede che è eccezionale per la sua antichità - quasi due millenni -, la sua drammaticità in molti periodi della storia, la sua valenza simbolica come emblema del difficile rapporto ebraico cristiano e come laboratorio di confronto. Non possiamo entrambi ignorare questa lunga storia locale ma di significato universale, riflettere sui suoi insegnamenti, correggere gli errori, lenire le ferite, costruire. Novità perché quello che è successo al popolo ebraico nello scorso secolo - Shoà e fondazione dello Stato d’Israele - ha segnato profondamente non solo l’ebraismo ma il mondo intero e la Chiesa stessa, indirizzandola verso un nuovo percorso. Ognuno dei Papi che si sono succeduti in questi ultimi tempi ha dato il suo contributo notevole a questo percorso”. Rav Di Segni ha quindi indicato due linee per il dialogo tra ebraismo e cristianesimo. “La prima riguarda il nostro confronto, i problemi di relazione tra di noi. Guardandoci dietro è evidente cosa è stato fatto di buono. Ma spesso la soluzione di un problema ne apre molti altri e non dobbiamo illuderci di aver risolto tutto o La nostra storia e la nostra fede si ribellano a tutto questo”. Papa Francesco ha ricordato che la storia tra la Comunità ebraica e la Chiesa di Roma “è stata spesso attraversata da incomprensioni e anche da autentiche ingiustizie", ma anche che ha “conosciuto ormai da molti decenni lo sviluppo di rapporti amichevoli e fraterni". "Paradossalmente – ha aggiunto – la comune tragedia della guerra ci ha insegnato a camminare insieme". "Mi piace sottolineare questo aspetto - ha osservato Bergoglio -, perché se è vero che è importante approfondire, da entrambe le parti, la riflessione teologica attraverso il dialogo, è anche vero che esiste un dialogo vitale, quello dell'esperienza quotidiana, che non è meno fondamentale". "Anzi ha aggiunto -, senza questo, senza una vera e concreta cultura dell'incontro, che porta a relazioni autentiche, senza pregiudizi e sospetti, a poco servirebbe l'impegno in campo intellettuale. La delegazione ricevuta dal Papa comprendeva tra gli altri il presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna; i rabbanim rav Alberto Funaro, rav Gianfranco Di Segni, rav Ariel Di Porto; oltre ad alcuni consiglieri e rappresentanti delle istituzioni della Comunità. Quella memoria intima e dolorosa che non fa notizia In migliaia hanno partecipato, insieme ai sopravvissuti, alla marcia silenziosa organizzata dalla Comunità Q “Oro macht frei”, storia di un inganno Presentato il documentario con le testimonianze di chi visse le drammatiche ore della raccolta dei 50 kg. d’oro L a sera del 14 ottobre l'associazione ANED ha organizzato la presentazione del documentario “Oro macht frei” presso il teatro Vittoria di Roma. Il titolo del documentario riprende con un gioco di parole l'insegna - subdola nella sua ironia sottile e crudele ancorché incomprensibile - affissa all'entrata del campo di concentramento di Auschwitz che recita “arbeit macht frei”, letteralmente “il lavoro rende liberi”. I deportati nel campo erano infatti convinti che lo scopo di quel viaggio condotto sui carri merci avesse come destinazione un campo di lavoro. Il titolo del documentario rimanda ad un altro beffardo inganno tedesco, quello di promettere la libertà alla comunità ebraica di Roma in cambio della consegna – da portare a termine in 36 ore di 50 kg d'oro. Il documentario fa parlare i testimoni di quelle drammatiche ore, in cui i membri della comunità ebraica rinuncia- rono a qualsiasi oggetto d'oro: dalle piccole fedi, ai ciondoli, agli orologi, fino ai denti. Sebbene il Vaticano avesse promesso di mettere l'oro mancante nel caso la comunità ebraica non fosse riuscita a raggiungere la quantità prestabilita, dato il caparbio e tenace impegno degli ebrei romani (aiutati anche in parte con donazioni da parte di simpatizzanti non ebrei), non ce ne fu alcun bisogno. La sala del teatro gremita di esponenti e membri della comunità ebraica di Roma ha partecipato con sentimento alla proiezione del video, riconoscendo volti noti tra gli intervistati, tutti reduci dalla condizione di clandestinità e reclusione sopportata durante il periodo delle leggi razziali ed a seguito della deportazione degli ebrei di Roma il 16 ottobre del 1943. Preziose, inoltre, le testimonianze di due sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Il documentario – prodotto da Joel Markel - riporta foto degli archivi della comunità ebraica di Roma e di quelli di famiglie ebraiche superstiti. Carlotta Livoli NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 Foto di S. Di Castro uest’anno la ricorrenza della deportazione degli ebrei a Roma è caduta pochi giorni dopo la morte del boia nazista Priebke. Mai come in questa occasione i riflettori sono stati puntati sulla Shoah. All’improvviso, tutti si sono scoperti antinazifascisti e hanno condannato a gran voce l’antisemitismo: quale atrocità! Il gerarca nazista non lo ha voluto nessuno. O meglio, la sua salma non è stata accettata. I cittadini di Albano sono scesi in rivolta, in Italia neanche i cimiteri già pieni di nazisti ne hanno voluto sentir parlare; la perla poi ci è giunta dalla Germania: “Noi? Che c’entriamo? Non è di nostra competenza”. E fin qui tutto a posto. Gli articoli di ribrezzo verso Priebke, le condanne dei crimini nazifascisti, le grida dell’opinione pubblica, sono stati certamente di conforto, soprattutto per chi ha vissuto in prima persona la barbarie nazista e per chi ha combattuto per la Resistenza. C’è un però: perché gli opinion maker, protagonisti di oggi, sono stati meri spettatori, ieri? Perché Erich Priebke ha vissuto dal ‘98 ad oggi agli arresti domiciliari nonostante l’ergastolo, e perché negli ultimi anni è stato libero di andare in giro per la città con badante e guardia del corpo, senza che nessuno si indignasse? Quando la Comunità ebraica cercava di farsi sentire e alcuni ebrei manifestavano insieme a pochissimi altri antifascisti sotto la sua abitazione di via Cardinal San Felice, dove erano tutti gli “indignados”? E’ questo il contesto in cui appaiono più che mai confortanti iniziative intime e sincere come la camminata silenziosa - organizzata da Daniel Di Porto e da Elvira Di Cave - per ricordare il rastrellamento degli ebrei a Roma. Senza flash né riflettori, con giornalisti e politici, il corteo è partito da Largo Stefano Gaj Tachè ed ha percorso le vie e i vicoli da cui, il 16 ottobre 1943, è stata presa la gran parte degli ebrei. Figli e nipoti dei sopravvissuti hanno pronunciato tutti i 1023 nomi dei deportati ad Auschwitz e Eitan Di Porto, di 8 anni, ha nominato i 200 bambini che da quell’inferno non sono mai tornati. Grazie alla Fondazione Museo della Shoah, che ha permesso di proiettare i volti di 300 catturati, il ricordo è stato ancora più tangibile, forse per la forza che l’impatto visivo ha avuto nel rendere la memoria più consapevole, più vicina, rispetto al distacco dei soli numeri. Al termine del percorso, le centinaia di persone che hanno partecipato all’iniziativa hanno ascoltato in raccoglimento nel Tempio Maggiore le parole del capo rabbino Riccardo Di Segni, del presidente della Consulta CER Elvira Di Cave e dello storico Marcello Pezzetti. Come lo scorso anno, gli obiettivi sono stati raggiunti: trasmettere affetto e vicinanza agli ex deportati, condividere il dolore, e dimostrare che c’è ancora chi tiene alta la memoria. Anche quando non fa notizia. Micol Anticoli Foto di G. Spizzichino 39 ROMA EBRAICA La razzia del 16 ottobre 1943 Convegno organizzato dalla CER e dall’Istituto Storico Germanico di Roma I persecutori, i deportati, i salvati, la situazione della Comunità ebraica di Roma e l’atteggiamento dei diplomatici e militari tedeschi alla vigilia del 16 ottobre 1943, le conseguenze e la memoria della razzia, l’elaborazione del lutto, sono stati i temi affrontati durante il convegno “La razzia del 16 ottobre 1943. Dimensioni e problemi della ricerca storica a settant’anni di distanza”, organizzato dalla Comunità Ebraica di Roma e dall’Istituto Storico Germanico di Roma. “E’ un onore – ha detto all’inizio Martin Baumeister Direttore del DHI, che ha definito un “onore” il fatto che il convegno si sia svolto presso l’Istituto Germanico ed ha sottolineato l’importanza di analizzare criticamente quello che è successo. Paolo Masini, Assessore di Roma Capitale alle Periferie ed ai Lavori Pubblici, ha portato i saluti del Sindaco Ignazio Marino; Riccardo Shmuel Di Segni, Rabbino capo di Roma, ha sottolineato come ci sia ancora da studiare tanto sull’argomento trattato e come sia importante, dal punto di vista simbolico, il luogo del convegno: e Riccardo Pacifici,Presidente della Comunità ebraica di Roma, ha messo in evidenza il ruolo importante degli storici per affrontare le sfide del presente. Molto interessanti sono state le relazioni di Marcello Pezzetti e Sara Berger (Fondazione Museo della Shoah di Roma), reduci dall’inaugurazione della mostra esposta al Vittoriano, “16 ottobre 1943. La razzia degli ebrei di Roma”, che hanno analizzato le vicende dei deportati ed i profili di coloro che organizzarono ed effettuarono la razzia. Filomena Del Regno (Università di Roma “La Sapienza”) ha messo in evidenza le particolarità dell’ebraismo romano, estremamente legato alla propria città e la fiducia, fino all’ultimo, riposta dai vertici della Comunità nel papa e nello Stato. Gabriele Rigano (Università per stranieri di Perugia) ha fatto luce sul profilo dei deportati e sulle liste utilizzate dai nazisti per effettuare la retata. Liliana Picciotto (Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) ha sottolineato il “moto popolare spontaneo di carità cristiana mai visto né prima né dopo il 16 ottobre 1943”. Lutz Klinkhammer (DHI) ha descritto gli inutili tentativi della diplomazia di fermare la razzia mentre Amedeo Osti Guerrazzi (DHI) ha messo in evidenza la situazione “congelata” prima del 16 ottobre, in cui non era chiaro chi comandava a Roma, non erano ancora state fatte delazioni, e dopo, quando è apparso chiaro agli ebrei che le autorità dello Stato non contavano e quindi erano in balia dei nazisti. Mario Toscano (Università di Roma “La Sapienza”) e Hahle Maryam Badrnejad (Università Ludwig Maximilian di Monaco di Baviera) hanno trattato la rappresentazione della memoria dopo la liberazione a Roma, nel tentativo di dare un conforto ai parenti, di riaffermare la fede dei padri e l’attaccamento allo Stato di Israele. Interessante e coinvolgente è stato l’intervento di David Meghnagi (Università Roma Tre) che ha parlato del ritardo nell’elaborazione del lutto, sia perché fino almeno al 1947-48 si aspettava ancora il ritorno dei deportati, sia per la mancanza di un posto in cui seppellire la persona defunta ed ha affermato come la testimonianza dia all’ex deportato un senso all’esistenza in quanto “restituisce la giustizia ad un mondo privato di giustizia”. Silvia Haia Antonucci (Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma) ha analizzato le varie fonti, alcune delle quali inedite, conservate presso l’ASCER, che hanno contribuito a precisare il numero dei deportati ed, infine, Damiano Garofalo (Fondazione Museo della Shoah di Roma) ha mostrato come fino ad oggi solo 7 film abbiano rappresentato la razzia del 16 ottobre, non sempre in modo storicamente corretto (“16 ottobre 1943” di Giannarelli, 1960; “L’oro di Roma” di Lizzani, 1961; “La linea del Fiume” di Scavarda, 1976, “La Storia” di Comencini, 1986, “43-97” di Scola, 1997, “Amen” di Gavras, 2002; “La finestra di fronte” di Ozpetek, 2003). Silvia Haia Antonucci Funerale con inumazione nel cimitero Flaminio: NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 Prima agenzia a Roma certificata ISO 9001:2008 40 - Autofunebre Mercedes - Feretro completo di accessori - Atto di morte e mod. 10 per inumazione - Auto assistenza al servizio (Rabbino) - Valletti per trasporto a spalla del feretro - Diritti di agenzia TOTALE: € 1.680,00 06.863.222.83 - 24H Via R. Lanciani, 65 - 00162 Roma WWW.BOUSQUET.IT - TRASPARENZA - QUALITÀ - CONVENIENZA Ferramonti. Il campo sospeso Documentario sul campo di concentramento fascista più grande d’Italia “L a memoria è importante per non dimenticare ed evitare altre stragi” con queste parole il Ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge è intervenuto alla proiezione del documentario di Cristian Calabretta “Ferramonti. Il campo sospeso”, svoltasi presso la Sala della Protomoteca del Campidoglio. Il Ministro ha sottolineato come “l’altro”, la persona valutata “diversa” dalla maggioranza non debba essere considerata un pericolo e, per veicolare tale messaggio, la scuola ha un ruolo fondamentale. Ha anche paragonato la recente strage di immigrati affogati nei pressi di Lampedusa con quello che accadeva a Ferramonti, definendoli “episodi che quasi si assomigliano”. Anche Leone Paserman, Presidente della Fondazione Museo della Shoah di Roma, tra gli intervistati del documentario, ha citato la tragedia di Lampedusa, ricordando come durante la conferenza di Evian del luglio 1938, nella quale fu chiesto asilo per gli ebrei ai rap- presentanti delle nazioni intervenuti, solo la Repubblica Domenicana rispose affermativamente. I suoi genitori venivano dalla Polonia, si trasferirono a Genova e poi il padre, poiché ebreo straniero, fu internato al campo di Ferramonti, mentre il resto della famiglia fu confinato a Montefiascone. Ferramonti è stato il campo di concentramento per ebrei stranieri più grande d’Italia e, grazie all’intervento del suo direttore, Paolo Salvatore che concesse agli internati un minimo di libertà, al suo interno furono organizzate attività culturali, musicali e sportive. Infine, il registra Cristian Calabretta ha raccontato la difficoltà incontrata all’inizio della realizzazione del documentario, quando si è scontrato con una diffusa tendenza a minimizzare l’importanza storica della vicenda del campo ed anche con una volontà di non sapere per non fare i conti con il proprio passato. “Ferramonti. Il campo sospeso”, oltre a parlare della vita al suo interno, racconta anche la storia della nave Pentcho, un battello fluviale con 514 profughi, approntato dall’organizzazione sionistica Bethar, che da Bratislava, percorrendo il Danubio e poi in mare aperto, voleva raggiungere la Palestina mandataria; in realtà affondò nel Mar Egeo, i passeggeri furono salvati da una nave italiana, portati prima a Rodi, quindi a Bari ed, infine, a Ferramonti. S.H.A. Fino al 30 novembre la mostra sul film ‘Il giardino dei Finzi Contini” A lla vigilia delle diverse commemorazioni e degli eventi per il 16 ottobre, il museo ebraico di Roma ha inaugurato una delle più belle e interessanti mostre mai ospitate: quella sul film “Il giardino dei Finzi Contini”, di Vittorio De Sica. rettrice e responsabile del museo ebraico. Lo scopo principale della mostra, come ha puntualizzato Olga Melasecchi, è ricordare le vittime della deportazione, come la famiglia Finzi Contini. Particolarmente graditi sono stati gli interventi di Lino Capolicchio e di Emi De semplice antagonista che urla e picchia la folla, non per quello che era veramente: un soldato che si fingeva gentile e comprensivo e che poi portava i prigionieri a morire alle camere a gas”. Giorgia Calò ASSOCIAZIONE D.A.N.I.E.L.A DI CASTRO AMICI MUSEO EBRAICO DI ROMA L’“Associazione Daniela Di Castro è nata per aiutare il Museo Ebraico di Roma nella tutela, conservazione, promozione, diffusione e sviluppo della ricchezza del suo patrimonio. Un progetto curato dall’assessore alle Attività Culturali della Comunità, Gianni Ascarelli, ideato da Ariela Piattelli, in collaborazione con il figlio del regista Manuel De Sica, con il fondamentale contributo di Olga Melasecchi, curatrice del catalogo della mostra, e Alessandra Di Castro, di- Sica, che hanno reso onore alla memoria del regista con i ricordi dei momenti più belli della realizzazione del film tratto dal romanzo di Bassani: “La genialità di Vittorio De Sica è stata nella mancanza di tedeschi nel film”, racconta Emi De Sica “Il tedesco è sempre rappresentato come un PER INFORMAZIONI E PER ISCRIZIONI: www.associazionedanieladicastro.org [email protected] Tel. 334 8265285 NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 Amici del Museo Ebraico di Roma” 41 ROMA EBRAICA Il sindaco di Roma Ignazio Marino commosso ad Auschwitz. “Non dimenticare” Sami Modiano racconta la Shoah agli studenti “E ravamo tutti in fila indiana. C’era un medico davanti a noi. Lui con un semplice gesto del dito decideva: destra o sinistra. Non sapevamo cosa significasse. L’abbiamo capito dopo. Vita o morte”. Sono parole che lacerano l’anima. Soprattutto se a pronunciarle è Sami Modiano, ebreo nato a Rodi, classe 1930. Uno dei pochi sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz. “Non avevamo realizzato di essere arrivati nell’inferno”, ricorda commuovendosi mentre a fissarlo sono centinaia di occhi di ragazzi. Sono quelli degli studenti di 24 licei romani partiti dalla Capitale, con il sindaco Ignazio Marino, per partecipare al viaggio della Memoria svoltosi lo scorso ottobre. Dietro di loro un vagone piombato è fermo sui binari che un tempo portavano nel lager nazista. Attorno c’è silenzio. E’ una bella giornata domenica mattina ad Auschwitz. Così come lo era il 3 agosto del 1944, giorno in cui Sami arrivò lì, a soli 13 anni: “Per alcuni ebrei è stato il viaggio più lungo. Il nostro treno si è fermato qui - racconta -. C’era un silenzio totale ma è durato pochissimo. Sono arrivati gli strilli e gli ordini dei tedeschi che aprivano le porte dei vagoni. Ci buttavano giù come sacchi di patate dal treno della morte. E poi bastonate da tutte le parti”. Ma a tormentare ancora oggi Sami sono gli ultimi ricordi dei suoi cari. Ad Auschwitz era stato deportato con suo padre e sua sorella. Non li rivide più. E nonostante gli inutili tentativi di dimenticare, quel B7456 tatuato sul braccio lo riporta inevitabilmente a quegli orribili giorni: “La mia famiglia l’ho persa qui - dice singhiozzando -. Le ultime parole di mio padre furono ‘Tieni duro Sami’. E io quelle parole le ho portate con me per tutta la vita”. “Tutto questo lascia sconvolti. E’ una storia che va ricordata perché la dimensione della violenza supera qualunque immaginazione”. Questo uno dei pochi commenti di Ignazio Marino, per la sua prima volta ad Auschwitz. E’ emozionato il sindaco-chirurgo, si commuove più volte davanti a quell’inferno protetto da chilometri di filo spinato. Pensa a suo padre, deportato anche lui in un campo di concentramento nella Polonia sud orientale: “Per me c’è una sofferenza aggiuntiva legata ai miei ricordi di famiglia - confessa - il mio papà l’8 ottobre 1943 fu deportato da Trieste in un vagone piombato. Quando tornò pesava 40 chili”. Dopo il suono dello shofar che ha riecheggiato davanti ai resti dei forni crematori e delle camere a gas dove milioni di innocenti hanno perso la vita, Sami riprende il suo racconto: “La vita di un ebreo non contava niente - dice mentre tanti studenti scoppiano in lacrime -. Eravamo dei numeri. Dei numeri da smaltire. Qui era la fabbrica della morte”. E lancia poi un monito ai tanti ragazzi che lo ascoltano: “Avete una vita davanti e dovete avere a mente due parole: Mai più”. Un impegno a tenere vivo il ricordo che porterà avanti anche il sindaco Marino: “La memoria va rafforzata ed è importante che Roma lo faccia ogni anno - promette il primo cittadino -. I giovani devono divenire ambasciatori di pace e armonia perché tutto questo non possa più accadere”. E proprio per rinnovare la Memoria, Marino lancia una proposta: “Stiamo pensando di dedicare il nome di una scuola romana a Shlomo Venezia perché aiuterà meglio a ricordare”. Shlomo Venezia scomparso un anno fa - era uno dei pochissimi sopravvissuti al Sonderkommando, il gruppo di prigionieri ebrei che lavoravano alle camere a gas e ai forni crematori di Auschwitz-Birkenau. Erminia Danese e Ernesto Buonaiuti Giusti fra le nazioni NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 Q 42 La cerimonia di consegna della medaglia svoltasi al Liceo Morgagni uando si parla di Shoà le prime cose che ci vengono in mente sono violenza, forni crematori, camere a gas, insomma morte. Tuttavia in quel periodo così buio c’è stato uno spiraglio di luce, e questi spiragli si chiamano Giusti fra le nazioni: persone che hanno consapevolmente messo a rischio la propria vita per salvare i pochi ebrei che riuscivano ad sottrarre dalla deportazione e da una morte certa. Ci sono persone ‘famose’ tra i Giusti fra le nazioni, come Raoul Wallenberg o Monsignor Verolino. Questa è invece la storia di due nuovi Giusti: Erminia Danese ed Ernesto Buonaiuti, che durante la guerra salvarono Giorgio Castelnuovo. Purtroppo i due eroi non sono più in vita, ma i loro cari si, ecco perché il 22 ottobre 2013, il Liceo Scientifico Morgagni ha aperto la sua aula magna per ospitare una cerimonia di conse- gna della medaglia Giusti alla loro memoria. Alla cerimonia, insieme agli studenti del liceo, hanno preso parte: Loredana Termite, preside della scuola, l’Addetto culturale dell’ambasciata israeliana a Roma Ofra Farhi nipote del salvato, insieme alla sua collega Livia Link, Federico Casini, prorettore dell’università La Sapienza e i parenti dei Giusti e del salvato. Quando iniziarono i rastrellamenti degli ebrei da parte dei tedeschi, Giorgio Castelnuovo e la sua famiglia scapparono in Eritrea per sfuggire agli arresti, ma dovettero tornare subito in Italia in quanto visti come nemici e come un pericolo. La madre di Giorgio fu accettata in un convento, ma lui era troppo grande e le suore non lo accettarono. Per fortuna il prof. Buonaiuti, celebre cattolico “riformista” che insegnava alla Sapienza e che aveva perso la cattedra per non aver aderito al fascismo, lo nascose per tre mesi e non gli fece mai mancare il cibo e un buon nascondiglio dove Giorgio passava la maggior parte della sua giornata. Dopo tre mesi Giorgio si nascose in un convento, ma dovette scappare perché venne riconosciuto da un ragazzo fascista; fu Erminia Danese a correre in suo aiuto e a salvargli la vita dandogli ospitalità. Dopo la liberazione Giorgio si trasferì in Israele, dove nel 1948 partecipò alla nascita dello Stato ebraico. Oggi vive in un kibbuz con la sua famiglia. Ernesto Buonaiuti ed Erminia Danese sono state due persone eccezionali, come li hanno ricordati i loro parenti Carlo e Daniele Danese e Emanuele Pratore ed Eugenio Marongiu, ed è per loro una grande gioia e soddisfazione che la loro memoria venga onorata con questo riconoscimento per il loro coraggio e la loro umanità. Come è scritto nel Pirkei Avot: “Chi salva una vita salva il mondo intero”. La cerimonia si è conclusa con l’inno Israeliano Hatikvà e con l’inno Italiano, seguiti poi dalla consegna delle medaglie Giusti fra le nazioni. G. C. Visita del vicepresidente della Knesset alla scuola ebraica Foto di G. Spizzichino L o scorso 7 Ottobre è venuto a far visita alla scuola Ebraica il Presidente della Knesset Yuli-Yoel Edelstein. Giunto in Italia per importanti colloqui Istituzionali, tra cui quello con il Ministro degli Esteri Emma Bonino e quello con il Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, ha deciso di rivolgere qualche parola ad un gruppo di Studenti della Scuola Ebraica, senza rinunciare ad una visita alla Sinagoga. Non c’è figura più adatta a rappresentare la forza e la rivincita del popolo d’Israele di un uomo deportato nei Gulag e costretto ai lavori forzati per aver insegnato la lingua Ebraica di nascosto, non solo come esempio di coraggio e dedizione, ma anche come caso di un emigrato che in soli quindici anni è riuscito a ricoprire un’importante carica in campo politico. Durante l’incontro, scandito dal commovente coro dei bambini delle elementari, Yuli Edelstein ha espresso poche parole, ma davvero d’impatto. In primis, un pensiero verso Stefano Gaj Taché z.l., il cui nome è stato da poco inserito nella lista delle vittime del terrorismo. Da qua l’importanza delle istituzioni ebraiche, non solo come protezione ma anche come punto di forza, come collante. Ha ricordato la storia dell’Arco di Tito, storico monumento alla potenza romana, ma simbolo di un popolo che, sebbene un tempo schiavo, ha resistito alle persecuzioni, e che ora può vedersi padrone di uno stato e della propria libertà. Non poteva mancare un breve commento politico. “C’è tanta potenziale cooperazione tra Israele ed alcuni paesi Europei, basata sulla produzione di alta tecnologia, industria militare, ricerca scientifica, estrazione dei gas, ma soprattutto nel campo delle risorse umane”. Rebecca Mieli Attentato alla Sinagoga del 1982: un obbligo sapere quello che avvenne o scorso 9 ottobre si è tenuto, presso l’Aula Magna del Palazzo della Cultura, un incontro riservato ai ragazzi del terzo e del quarto anno di liceo, in occasione del trentunesimo anniversario dell’attentato al Tempio Maggiore di Roma. All’incontro sono intervenuti il rabbino capo Rav Riccardo Di Segni, le famiglie Tachè e Gaj, il presidente della CER Riccardo Pacifici, la ricercatrice di storia Serena Di Nepi e l’assessore alle Scuole Ebraiche Ruth Dureghello, Molto spazio è stato dato alle immagini di repertorio di quel lontano 1982 grazie alla proiezione di un filmato realizzato in collaborazione con il Centro di Cultura Ebraica in cui sono stati riproposti i momenti più significativi che hanno seguito l’attentato: i discorsi dell’allora rabbino capo Elio Toaff, di papa Giovanni Paolo II, spezzoni dei vari telegiornali, testimonianze, fino alla più recente affissione della targa nello slargo delle “tre palme” di fronte alla sinagoga in memoria del piccolo Stefano. La Prof.ssa Di Nepi, nel ricordare che il piccolo Stefano non era solo un bambino ebreo ma anche un cittadino italiano, insieme al rappresentante degli studenti Davide Bentura, ha commentato il lavoro di ricerca e di documentazione svolto da un gruppo di studenti riguardante il periodo storico e il clima politico che hanno preceduto l’attentato: dalle tensioni tra Siria e Israele, ai rapporti che intercorrevano tra Arafat e Bertinotti fino alla strage di Sabra e Chatila. Un altro gruppo di alunni ha lavorato sull’analisi delle testate dei giornali dell’epoca in cui si parlava dell’attentato, in particolar modo Oggi, L’Espresso e Gente, settimanali che hanno trattato l’argomento in modo superficiale, non idoneo alla gravità dell’accaduto. Tre ragazze hanno voluto approfondire le testimonianze dei feriti e dei sopravvissuti e si sono concentrate ad esaminare le figure dei terroristi. Le ricerche sono state seguite dalla commossa testimonianza di Sandro Di Castro, sopravvissuto all’attacco terroristico e dall’intervento del fratello di Stefano, Gady, che si è rivolto ai ragazzi in maniera diretta e sincera: “Chi ci ha rimesso la pelle sarebbe potuto essere uno di noi, un nostro figlio! Non dobbiamo permettere che un episodio così si ripeta, per questo dovete sapere e ricordare quanto è accaduto! E non è un favore che dovete fare a me, è un favore che fate a voi stessi se volete un futuro sereno e felice”. A concludere l’incontro sono stati i discorsi di Pacifici e di Rav Benedetto Carucci, preside del liceo. Entrambi hanno rinnovato quanto detto in precedenza da Rav Di Segni: l’importanza di essere sempre attenti e vigili, rifacendosi non solo a quel fatidico attentato del ’82, ma anche ad avvenimenti contemporanei come l’attentato alla scuola ebraica di Tolosa e gli attentati a sfondo antisemita che negli ultimi anni sono stati sventati in Italia. Yael Di Consiglio NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 L La cronaca di quei tragici giorni è materia di studio nella scuola ebraica 43 ROMA EBRAICA “Chazak veemaz”, forza e coraggio. Buon compleanno Hashomer Hatzair Grande partecipazione di pubblico al Teatro Parioli per festeggiare il centenario di fondazione del movimento sionista halutzista NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 F 44 esteggiare cento anni richiede celebrazioni speciali, per questo anche l’Hashomer Hatzair di Roma si è impegnata ad onorare questa ricorrenza. Il 27 ottobre, infatti, è andato in scena l’evento culminante di questo anno, che ha completato le varie iniziative che si sono susseguite nel corso del 2013. Shomrim di tutte le età sono dunque giunti al teatro Parioli ed hanno potuto apprezzare il lavoro svolto dalla Maskirut del Centenario, composta da bogrim, superbogrim, shlichonim, genitori e volontari; il tutto, naturalmente, sotto la direzione dello shaliach Gilad Peled. Ogni adulto ha svolto la funzione di tutor affiancando un gruppo di bogrim per aiutarli in ogni singolo progetto. “I ragazzi inizialmente erano diffidenti, poi hanno capito che per loro poteva essere un arricchimento ed abbiamo trovato le giuste sinergie”, ha dichiarato a Shalom Raffaele Terracina, uno dei più attivi tra gli organizzatori. A Raffaele hanno fatto eco gli stessi bogrim: nessuno ha nascosto le difficoltà, ma alla fine si è riconosciuta l’importanza dei contributi provenienti dai diversi punti di vista. “L’organizzazione con shomrim di diverse età è stata una bella esperienza, mi ha dato tantissimo, ho imparato molto”, dice Federica Astrologo; Emanuel Salmonì ha riscontrato “quanto il movimento sia cambiato negli anni”, tanto da condurre ad un confronto con i vecchi shomrim. Non è mancato il sostegno di coloro che hanno terminato da pochi anni la loro esperienza nel Movimento, talvolta completandola con un anno in kibbutz: è il caso di Alessia Fischer, che ha affermato di aver sentito il bisogno di mettere in pratica gli ideali acquisiti, o di Enrico Campelli, sempre rimasto legato all’Hashomer tanto da essere tornato in qualità di shlichon, una sorta di educatore degli educatori. Un’importante collaborazione è giunta anche da Israele grazie ad Edna Angelica Calò, che ha avuto un percorso di vita strettamente legato al Movimento. Nella prima parte della giornata si sono svolte delle peulot sul confronto intergenerazionale e sul concetto di realizzazione all’interno e all’esterno del Movimento. Vi è poi stata la presentazione di tutti i lavori preparati per l’occasione, che sono andati oltre la mera serata istituzionale e che costituiscono dei progetti finalizzati ad avere una continuità. Sono così stati condivisi col pubblico il cd con le musiche dei balli israeliani, una favola per i più piccoli, un gioco da tavola, una mostra su questi cento anni, i libri con le interviste e i saggi sulla storia dell’HH. Durante la serata, bogrim e chanichim si sono esibiti con balli e recite; non sono poi mancate foto e filmati d’epoca, che hanno suscitato un po’ di nostalgia; inoltre, si è ricordato anche cosa è stata storicamente l’Hashomer Hatzair, evocando i contributi dati nella fondazione dei primi kibbutzim e nella lotta al nazismo durante la Seconda Guerra Mondiale. L’HH è stata anche nominata “ispettore ambientale” da parte del Presidente dell’Associazione Nazionale di Tutela Ambientale Ennio Maccari, coronando così il progetto condotto da Raffaele Pace. Presenti nel pubblico anche il vicepresidente della CER Giacomo Moscati insieme a vari assessori, il Presidente dell’UCEI Renzo Gattegna, il Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni, l’ambasciatore d’Israele a Roma Naor Gilon, il responsabile europeo dell’HH Omer Hakim. Tra i volti meno noti ai più, ma sicuramente familiare a chi ha una profonda conoscenza del Movimento, Ghil Mor, shaliach a Roma alla fine degli anni ’90: “È bello tornare e trovare un movimento così vivo” ha detto a Shalom, “ma voglio ricordare a tutti che domani iniziano altri cento anni e sarà molto più complicato mantenere lo stesso spirito”. “Siamo presenti in questo mifkad in 560 chaverim ve chaverot” hanno sentenziato orgogliosamente le due rashei-ken Tami Fiano e Alessia Campagnano concludendo la serata; tutti gli ex shomrim presenti in sala hanno risposto con il classico “chazak veemaz” (forza e coraggio), tirando fuori il proprio legame con l’Hashomer Hatzair, talvolta rimasto latente, ma sicuramente mai venuto meno. Daniele Toscano Premio ‘Don Luigi Di Liegro’ a Alessandro Viterbo Il riconoscimento per l’impegno a favore dell’Associazione Tsad Kadima Alessandro Viterbo è stato insignito lo scorso 16 ottobre del Premio “Don Luigi Di Liegro per il giornalismo e la ricerca sociale” presso la Pontificia Università Gregoriana”. Il Premio, giunto alla V edizione, era dedicato quest’anno al tema “Salute”, a cui Don Luigi Liegro ha dedicato molte sue iniziative. Alex Viterbo ha ricevuto il Premio prevalentemente per il suo impegno nell’associazione israeliana Tsad Kadima, che promuove l’accesso all’educazione e l’integrazione di bambini e adolescenti cerebrolesi, anche creando apposite strutture e formando personale specializzato. Alex Viterbo, nato a Padova ed emigrato in Israele nel 1977, si è laureato all’Università Ebraica di Gerusalemme in Biologia e specializzato in Fisiologia. Membro dell’Associazione Israeliana di Ematologia e del Forum Israeliano per le Lesioni Cerebrali, è oggi direttore del Centro analisi dell’Ospedale Misgav Ladach di Gerusalemme. Nel 1994 ha preso parte a una spedizione umanitaria per il soccorso ai profughi della guerra in Ruanda. Ha poi organizzato spedizioni umanitarie in Armenia, Turchia, Kosovo e Haiti. È membro del consiglio direttivo di Tsad Kadima di cui cura le relazioni esterne, in particolare con l’Italia – ha fondato nel 2004 l’Associazione Amici di Tsad Kadima in Italia. Il premio nel 2006, con il sostegno della Provincia di Roma, per mantenere viva la figura e l’opera di Don Luigi Di Liegro. Fortunèe Habib DOVE E QUANDO 14 21.00 Il Pitigiani Invito a cena con talk show di G I O V E D I Hamos Guetta e David Meghnagi presentano H. Guetta e Livio Anticoli con la partecipazione speciale di Mirella Calò, Benjamin Fargion e Giordana Sermoneta Info e prenotazioni: 06.5898061 – 06.5800539 ------------------------------------------------- 16 30 SABATO 30 NOVEMBRE E DOMENICA 1° DICEMBRE 21.00 Centro Le Palme Via del Portico d’Ottavia, 71 “Se vedemo in piazza” I “ragazzi” del laboratorio teatrale delle Palme vi aspettano con Alberto Pavoncello e la sua Compagnia “quasi stabile”. I proventi delle serate saranno devoluti interamente in beneficenza. Info e prenotazioni: 06 68400636 – 06 6877594 – 06 5584325 – 3381910525 Salone delle Fontane, Piazza Ciro S A B A T O il Grande Casino Night 2013 Biglietti e informazioni in sede ------------------------------------------------- 18 11.00 ADEI WIZO 19 17.00 Centro di Cultura Ebraica Centro Bibliografico UCEI, Lungotevere Sanzio 5 M A R T E D I “Le comunità ebraiche di Pitigliano e Siena nel censimento del 1841 ed il loro rapporto con quella fiorentina” Presentazione del libro di Lionella Viterbo. Intervengono: Amedeo Spagnoletto, Gianfranco Di Segni, Claudio Procaccia. Modera Bice Migliau. Sarà presente l’Autrice ------------------------------------------------- 21 DICEMBRE 01 27 Ore 16.30 attività per bambini. Ore 18.00 – accensione della channukkia Channukkà in Piazza Barberini Info: [email protected] 11.00 Il Pitigiani In occasione della festa di Chanukkà “La fisarmonica di Mendel” Spettacolo per bambini tratto dal libro di Heidi Smith Hyde, con musica e recitazione dal vivo. Evento in collaborazione con La Giuntina. pranzo per grandi e piccini su prenotazione. Info e prenotazioni 065800539 ore 18.00 Arkadà di chanukkà Adei Wizo 02 11.00 Adei Wizo “Cleopatra e l’incantesimo 10 16.00 Centro di Cultura Ebraica 15 17.00 Le Palme “Cezanne e gli Artisti del ‘900” M A R T E D I al Vittoriano. Visita guidata a cura di Cesare Terracina Info e prenotazioni al Centro di Cultura Ebraica: 06.5897589 [email protected] Pomeriggio di Cabaret DOMENICA > A CURA DEL CENTRO DI CULTURA EBRAICA < SHABAT SHALOM Parashà: Vayshlach Venerdì 15 NOVEMBRE Nerot Shabath: h. 16:31 Sabato 16 NOVEMBRE Mozè Shabath: h. 17:33 --------------------------------------------------Parashà: Vayeshev Venerdì 22 NOVEMBRE Nerot Shabath: h. 16.26 Sabato 23 NOVEMBRE Mozè Shabath: h. 17.28 --------------------------------------------------Parashà: Miketz Venerdì 29 NOVEMBRE Nerot Shabath: h. 16.22 Sabato 30 NOVEMBRE Mozè Shabath: h. 17.25 --------------------------------------------------Parashà: Vaygash Venerdì 6 DICEMBRE Nerot Shabath: h. 16.21 Sabato 7 DICEMBRE Mozè Shabath: h. 17.24 CHABAD LUBAVITCH ROMA Presenta l’accensione della grande Chanukkià In Piazza Barberini: mercoledì 27 novembre ore 18.00 la prima candela e ogni sera alla stessa ora. Domenica 1 dicembre ore 16 30 attività per bambini (Concorso Chanukkià) - Musica e balli con Josi Anticoli – Coro Hakol e sufganiot In Piazza Bologna sabato 30 novembre ore 20.00 In Piazza Gimma mercoledì 4 dicembre ore 20.00 Info Rav Hazan [email protected] 06.8632.4176 Il Pitigiani L U N E D I dell’Egitto” Visita guidata alla Seminario Feldenkrais con Irene Habib “Piedi stabili ma flessibili: istruzioni per l’uso...” Info: [email protected] ------------------------------------------------- Chabad Lubavitch di Monteverde organizza: Festa di Chanukkà per tutta la famiglia al Tempio dei Colli Portuensi, giovedì 28 novembre alle 20:30. Accensioni: Largo dei Librari (via dei Giubbonari) EBREI NELLA STORIA Lunedì 2 dicembre alle 18:00 DOMENICA “Chi è ebreo?” dal quesito posto, Si ringraziano Vitaliano Menasci e Fabio Pontenel 1958, da Ben Gurion a “cincorvo per l’organizzazione quanta saggi di Israele”, all’analoVia Frattina (angolo via del Gambero) ga domanda posta oggi ai giovani Martedi 3 dicembre alle 17:30 delle comunità ebraiche. in coll. Si ringrazia Alberto e Patrizia Calò per l’organizcon l’associazione Hans Jonas zazione Piazza Risorgimento Mercoledì 4 dicembre alle 17:30 Pranzo in sede Si ringrazia Ariel Di Cori per l’organizzazione 18.00 Centro Le Palme Festeggiamo Channukkà Accensione delle candele, dolci e canzoni MERCOLEDI ------------------------------------------------- 28 Gran bazar di Chanukkà cenza. Info in sede Il valore della festa di Channukkà ai giorni nostri, G I O V E D I con Rav Enzo Di Castro ------------------------------------------------- 24 ADEI WIZO DOMENICA Mercatino e bric a brac di benefi- 16.30 Centro Le Palme “Con il naso tra le stelle” Visita guidata al Planetario e DOMENICA spettacolo 3D. Seguirà brunch in sede. A cura della Professoressa Stefania Efrati. Info e prenotazioni in sede o Stefania 328 6131823 20.30 Il Pitigiani Accendiamo la quarta candelina con Sufganiot e melodie di SABATO Chanukkà. “… Il meglio è da venire” concerto con Gabriel Zagni, Riccardo Coen e ospiti speciali 21.30 ADEI WIZO “Cezanne e gli Artisti del ‘900” al Vittoriano. Visita guidata alla L U N E D I mostra a cura della Dott.ssa Sara Procaccia. Info e prenotazioni Sara 339 5014188 ------------------------------------------------- accompagnati dalle note di Marco Valabrega ------------------------------------------------- 18.30 Il Pitigiani Poesia è memoria con Roberto Olla, Francesca G I O V E D I Farina, Roberto Piperno mostra a cura della Dott.ssa Sara Procaccia. Info e prenotazioni Sara 339 5014188 08 11.30/19.00 Il Pitigiani 13.00 Le Palme NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 NOVEMBRE 45 DOVE E QUANDO APPUNTAMENTI ADEI Continua il corso sulle più belle forme delle challot, giunto ormai alla quinta edizione! Prenotazioni obbligatorie, info Valentina Hazan 347 1198398 o in sede Inizio del corso di cucina a tema, primo modulo: i fritti Prenotazioni obbligatorie, info in sede Proseguono in sede i lunedì del burraco ore 15.30, anche per principianti Proseguono le lezioni di Torah a cura di Rav Haim Della Rocca Prenotazioni obbligatorie, info in sede CENTRO DI CULTURA EBRAICA TRADUCO E IMPARO L’EBRAICO Riprende il corso per imparare l’ebraico leggendo e traducendo ivrit be ivrit testi di scrittori israeliani. Con Ester Di Segni Martedì dalle ore 8.30 alle 10.00 oppure mercoledì dalle 18.00 alle 19.30 Info e iscrizioni: 06.5897589 oppure [email protected] Corso di ebraico moderno per principianti È in apertura un nuovo corso il giovedì dalle 18.30 alle 20.00 Info e iscrizioni: 06.5897589 oppure [email protected] IL PITIGLIANI GRUPPO GHIMEL: Tutti i giovedì alle 16.30. E’ il gruppo della terza età, ma non solo, che attraverso appuntamenti settimanali si incontra per raccontarsi, socializzare e confrontarsi, anche con ospiti e esperti per approfondire insieme nuove tematiche. Con Elisabetta Moscati Anticoli e Davide Spagnoletto. La Deputazione ebraica offre un servizio pulmino gratuito, andata e ritorno, dalla propria abitazione per le nostre attività! Programmi educativi: Domeniche di ebraismo: 17 novembre, 1° e 15 dicembre dalle 10.00 alle 15.30, pranzo incluso. Eletto il nuovo Comitato Direttivo della Hevrat Yehudei Italia L’Assemblea Generale Straordinaria della Hevrat Yehudei Italia, riunitasi a Gerusalemme lo scorso 10 ottobre, ha eletto il nuovo Comitato Direttivo. Sono risultati eletti: Angelo Piattelli (nominato successivamente presidente), Chanoch Cassuto, Angela Polacco Lazar, Viviana Di Segni, Pinchas Punturello, Ruhama Bonfil Piperno Beer e Cecilia Nizza. Cecilia Nizza è subentrata a Filippo Ventura dopo che questi, pur essendo stato eletto, ha comunicato di rinunciare all’incarico. Del Comitato dei Probiviri fanno parte: il Giudice Elyiahu Ben Zimra, il prof. Sergio Della Pergola e la dr.ssa Susy Zylibon. NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 U 46 Continuano gli imperdibili incontri di attività e giochi per delineare e rafforzare la nostra identità ebraica e imparare l’ebraico! Info e prenotazioni: [email protected] Roberta 3395641847, 065800539 - 065897756 (Giorgia) A bottega chi ci sta?! 8, 15 e 22 dicembre dalle 8.30 alle 20.00 pranzo incluso. 1° dicembre Festa di Channukkà dalle 9.30 in poi, pranzo incluso. Pomeriggio su prenotazione. A richiesta possibilità di estendere l’attività fino al 29 dicembre. Info e prenotazioni: [email protected] 065897756 065898061 (Sharon) Open Day: Channukkà mercoledì 27 novembre dalle 16.30. ... e non finisce qui! Centri invernali: siamo aperti durante le vacanze dalle 8.30 alle 16.30 pranzo incluso. Info Giorgia 065897756 065898061, [email protected] Le Scuole ringraziano Le Scuole della Comunità Ebraica di Roma ringraziano tutti coloro che durante l’anno scolastico 2012-2013 e 2013-14 hanno devoluto offerte per permettere la frequenza di alcuni alunni, in questo momento più disagiati di altri, alle nostre Scuole. Queste donazioni hanno consentito di proseguire negli studi ebraici, nel pieno rispetto delle mitzvot legate allo studio della Torah. Un ringraziamento va in particolare alla Sig.ra Stella Calò Di Porto per l’offerta fatta in memoria dei suoi genitori; al gruppo categoria Urtisti 63 e Venditori San Pietro per quella in memoria di Settimio Limentani (detto Limone); al gruppo di studio Yom Yom per offerta in memoria di Bruno Greco, Leone Sermoneta (detto Leprocchio), Crescenzo Piazza o Sed (detto Ciccillo), Emanuele Di Segni (detto Calimero), Cesare Di Consiglio e Settimio Di Porto (detto Angiulello). Deputazione: una domenica di solidarietà e di divertimento grazie alla generosa ospitalità di Enrico Di Veroli na gita all’aria aperta in una calda ottobrata romana; dell’ottimo cibo; la compagnia allegra degli amici e una buonissima musica eseguita dal vivo da David Calò. Questi gli ingredienti – mica tanto semplici – di una riuscitissima ed allegra domenica organizzata dalla Deputazione di Assistenza, guidata da Piero Bonfiglioli. Quasi duecento persone hanno risposto con entusiasmo a questa bella e nuova iniziativa, tutti ospitati nella casa di campagna del generoso Enrico Di Veroli. Un giornata di svago e di divertimento che aveva però una importante finalità sociale: i biglietti e la lotteria svoltasi nel pomeriggio hanno consentito di raccogliere fondi che verranno devoluti ai più bisognosi della Comunità. Una domenica riuscita alla perfezione grazie ai numerosi sponsor (Marco Sed Yotvatà, Boccione, Occhialone, Gianni Campagna, Alberto Ouazana, Marco Dell’antico Forno del Ghetto), ma soprattutto alle dedizione e all’impegno di tantissime persone. Innanzitutto il Gruppo Chamsa ideatori della gita (Liana Di Porto, Angela Calò, Mara Funaro, Costanza Di Veroli, Mino Di Veroli) e poi un gruppo agguerrito di signore: Albertina Terracina, Emma Limentani, Donatella Pajalich, Enrica Efrati, Rossella Calò, Chicchi Ester Di Nepi, Mirella Calò, Adamo Di Porto. Infine un ringraziamento a Gianni Spizzichino ‘Biscaccia’ che ha supervisionato l’intensa attività della cucina, da cui sono uscite una infinità di pietanze. NASCITE BAR-BAT MIZVÀ Noa, Naomi Amati di Simone, Joseph e Shulamit Shuly Elias Gabriele Spizzichino di Maurizio e Raffaella Sonnino Debora, Or Ascoli di Fabio e Daniela Spizzichino Joseph Tesciuba di Alfie e Patrizia Buaron Noa Astrologo di Alessandro Sion e Mikol Limentani Sara Greco di Fabrizio e Alessandra Di Cori Mia, Sara Cecchini di Francesco e Pamela Terracina Daniele Gai di Massimo e Livia Ottolenghi Federico, Avraham David Cecchini di Francesco e Pamela Terracina Fiore Spizzichino di Riccardo e Raffaella Di Castro Mia Yael Sciunnacche di Marco e Tiziana Del Monte Vittoria Piperno di Guglielmo e Ruth Limentani Mia Rodriguez di Ramiro e Fabiana Pavoncello Rebecca Della Torre di Alberto e Sara Del Monte Joshua Asher Pavoncello di Cesare e Bettina Pavoncello Gaia Livoli di Umberto e Jessica Sermoneta Mazal Tov Giulia Passannanti di Maurizio e Renata Foà PARTECIPAZIONI BIRCHONIM LIBRETTI Gianni Di Nepi – Claudia Ascarelli David Di Segni – Turchese, Angela Gattegna Gabriele Meir Di Segni – Ruth Migliara Renato, Reuven Efrati – Ylenia Panzieri Gabriele Rabba – Cherie Dyana Fadlun Isacco Zarfati – Ariela Volterra Marco Zarfati – Alessandra Zarfati AUGURI Tanti auguri a Sergio e Luciana Mieli per i loro cinquant’anni di matrimonio dagli ospiti e dal personale della casa di riposo. Il 25 maggio 2013 Tamir Pace ha celebrato il suo Bar Mizvà. Per una dimenticanza il suo nome è stato omesso dalla lista dei mignanim. Ci scusiamo con i genitori. Mazal tov a Levi Walter (Nathan) e Sharon Moscati per la nascita del figlio Eitan a Gerusalemme. Auguri dai nonni Lanfranco e Sara, famiglia Spizzichino Sandro, Debora, Sara, Ariela e Samuel e dalla bisnonna Franca Sorani di Firenze. La cerimonia del berit milà si è svolta sabato 19-10-2013 al Tempio Italiano. Mazal tov a Gianni Di Nepi e Claudia Ascarelli per il loro matrimonio. Auguri alle famiglie, in particolare al padre della sposa Emanuele Ascarelli, Direttore del DIRE-UCEI. Si sono sposati Isacco Zarfati e Ariela Volterra. I migliori auguri agli sposi, alle famiglie, in particolare alla madre dello sposo Clelia Di Castro, custode della Scuola Media Ebraica. LA DEPUTAZIONE EBRAICA... ... desidera ringraziare Marco Funaro che in occasione della sua nomina a Hatan Torà ha deciso di devolvere quanto destinato ai suoi regali alle famiglie gravemente disagiate della nostra keillà. A Marco un affettuoso e caloroso Mazal Tov. ... desidera ringraziare i suoi amici che in occasione di Rosh Ha-Shanà hanno generosamente effettuato Mishberach al nostro Ente. ... desidera ringraziare i Maestri Riva e Ulman, gli amici del coro Soul Singers e del coro di Tel Aviv Regavim che hanno deciso di donare all’Ente i proventi del loro concerto, occasione, grazie alla musica e alle voci di questi due splendidi cori, di promozione della cultura della solidarietà, dell’accoglienza, della pace e della giustizia, valori irrinunciabili per una società civile. Piero Bonfiglioli è affettuosamente vicino a Piero Piperno e ai suoi figli, amici da sempre della Deputazione, per la scomparsa della cara Sandra. CI HANNO LASCIATO Attilio Anticoli 06/09/1936 – 12/10/2013 Marcella Astrologo in Piperno 23/10/1939 – 30/09/2013 Sandra Corcos in Piperno 29/05/1929 – 09/10/2013 Guy Joseph Debach 12/12/1942 – 24/09/2013 Lo scorso 18 agosto è nato Nathan Sciunnacche. Lo annunciano con gran felicità il papà Leonardo, la mamma Simona Di Castro e il fratellino David. La redazione si unisce alla loro gioia. Settimio Di Porto 21/06/1961 – 05/10/2013 Domenica 6 ottobre, esattamente sessanta anni dopo il loro matrimonio (avvenuto nel tempio Maggiore il 4 ottobre 1953), Attilio e Speranza Pavoncello hanno festeggiato sempre nella stessa sinagoga una traguardo familiare straordinario: le Nozze di Diamante. Un record di amore non così comune che è stato festeggiato da amici e parenti. Bruno Greco 20/02/1950 – 22/09/2013 Il 19 ottobre Daniele Gai, figlio di Massimo e Livia Ottolenghi, consigliere della CER, ha celebrato il suo Bar Mizvà. Con i migliori auguri della redazione. Gemma Spagnoletto ved. Di Nepi 10/11/1930 – 02/10/2013 DA OGGI POTETE SEGUIRE IL CENTRO DI CULTURA EBRAICA ANCHE ON LINE SU: www.culturaebraica.roma.it Pacifico Di Segni 02/03/1928 – 20/10/2013 Fiorella Di Veroli ved. Mieli 26/06/1930 – 22/10/2013 Gianfranco Lanternari 25/02/1936 – 22/10/2013 Settimio Limentani 27/02/1962 – 25/09/2013 Jacqualine Mosseri 17/06/1920 – 09/10/2013 Franca Sabatello ved. Tedeschi 14/04/1927 – 17/09/2013 Enrica Zarfati ved. Calò 25/09/1927 - 08/10/2013 Giuseppe Zarfati 08/02/1936 23/09/2013 IFI 00153 ROMA - VIA ROMA LIBERA, 12 A TEL. 06 58.10.000 FAX 06 58.36.38.55 NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 MATRIMONI LITOS ROMA 47 ROMA EBRAICA La porta sempre aperta della Signora Mieli NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 L 48 Fra i suoi principali meriti l’aver saputo creare affiatamento e solidarietà tra gli insegnanti a preside Mieli era per tutti noi insegnanti la Signora Mieli e così noi per lei: la signora Orvieto, la signora Valentini, la signora Di Castro... Eravamo entrati a far parte del corpo docente della scuola media Angelo Sacerdoti dopo aver avuto un colloquio con lei: poche domande, quelle giuste per capire se poteva affidarci una delle sue classi e quindi i suoi ragazzi. Quasi tutti noi insegnanti eravamo entrati nella scuola ebraica privi di esperienze di insegnamento, catapultati alla cattedra dall’università, dalla ricerca scientifica e dalla famiglia. La Signora Mieli non pretendeva di insegnarci nulla, ma il suo esempio, la personalità, l’esperienza, la cultura, il rapporto con la scuola, con i ragazzi, con le famiglie e tutto il personale scolastico sono stati per noi un modello di comportamento e un codice etico che ci ha guidato negli anni e ha continuato a guidarci anche dopo che è andata in pensione. Conosceva famiglie, genitori, nonni, zii e per tutti aveva una parola di comprensione. Periodicamente veniva nelle varie classi a interrogare, sorvegliando in tal modo la disciplina, lo svolgimento dei programmi, i progressi o meno degli alunni e l’interazione tra noi e i ragazzi. Di fronte alle nostre difficoltà non mancavano mai il suo sostegno e il suo incoraggiamento. Lei li conosceva tutti per nome i suoi ragazzi. Di ognuno sapeva chi era, se aveva problemi, se aveva bisogno di essere spronato o piuttosto di riconquistare fiducia in se stesso. Del resto la sua porta era sempre aperta a tutti, a noi insegnanti, agli alunni, ai genitori, alla segretaria, alle custodi, “le zie”: Velia, Lella, Renata, Colomba… che hanno fatto parte della storia della scuola media Angelo Sacerdoti. Su certe cose non si discuteva. L’orario delle classi lo faceva lei, attenta prima di tutto al bene dei ragazzi: “non si possono sovraccaricare in certi giorni”, gli insegnanti si adattano. La mattina prima delle otto la sala professori era il luogo d’incontro e l’arrivo della Signora Mieli era il momento fondamentale. Nella minuscola sala entravano i fatti del giorno, le novità, gli aneddoti, gli eventi familiari insieme alla ricerca di soluzione dei problemi scolastici dei singoli alunni e delle classi. Qui nascevano idee e progetti, vivi ancora oggi, che hanno portato la scuola ebraica ad aprirsi all’esterno e a presentare l’ebraismo e la storia degli ebrei a Roma ai coetanei e alla città. Uno dei meriti della Signora Mieli era quello di aver creato affiatamento e solidarietà tra gli insegnanti. Eravamo una squadra. Lei ascoltava tutti, ponderava e poi rispondeva decisa oppure metteva alla prova l’autore di un progetto con la sua risposta che lasciava margine al dubbio. Le decisioni erano sempre collegiali, non solo durante le riunioni veniva chiesta l’opinione di ognuno, ma spesso il pomeriggio circolavano le telefonate. La signora Mieli ci comunicava un suo pensiero, un suo dubbio e allora si continuava a parlare e a cercare se possibile la soluzione migliore, quella migliore “per il bene dei ragazzi”. In quegli anni tutti facevamo la domanda al Provveditorato per un incarico nella scuola statale, perché ogni anno veniva paventata la riduzione delle classi e a volte anche la chiusura della scuola stessa. Davanti all’impiegato ministeriale che ci invitava a scegliere fra le scuole disponibili, la nostra era sempre una risposta negativa, tanto che l’incredulo impiegato chiedeva: “In che scuola insegnate?”. “La scuola ebraica”. “Ma che c’ha ‘sta scuola ebraica che non ve ne volete andare?”. Ma come facevamo a spiegargli che la scuola era speciale per la presenza di una Preside speciale, capace di farci sentire parte di un progetto vero, grande, condiviso di una scuola ebraica in grado negli anni di riavvicinare gli alunni e le loro famiglie alla cultura e alle tradizioni ebraiche. Per quel progetto la Signora Mieli combatteva come un leone, così come per i suoi alunni e i suoi insegnanti, con una mente libera da qualsiasi condizionamento esterno, uno spirito scevro da ogni compromesso. C’è stato un anno in cui la davano per finita questa scuola, “chiusa, non ci sono soldi, si mantengono la scuola elementare e la superiore, si chiude la media!”. Se la scuola Angelo Sacerdoti è ancora viva e vegeta, dobbiamo ricordarci tutti che fu la Signora Mieli, e noi con lei, a volerlo con tutte le forze e le energie e ad averla vinta contro i detrattori della scuola media. Oggi noi piangiamo la sua perdita, ma le siamo grati di tutto ciò che in quegli anni ha dato a noi, a tante generazioni di alunni e quindi a tutta la Comunità e diamo voce al pensiero di tanti colleghi che come noi hanno avuto la fortuna di lavorare con la Signora Mieli. Franca Di Castro, Fiorella Di Porto, Maria Fausta Dragosei, Mirella Fiorentini, Claudia Orvieto, Paola Sonnino, Catia Valentini Addio Professoressa In ricordo di Fiorella Mieli per molti anni preside della Scuola Media Ebraica U na persona cara non c’è più tra di noi. La perdita di un grande personaggio della nostra comunità, di una persona squisita piena di entusiasmo per il suo lavoro che era per lei una missione. Parlo della professoressa Fiorella Mieli che ci ha lasciato lo scorso ottobre. La professoressa Mieli è stata la Preside della scuola media ebraica per tanti anni. Ricordiamo che prima dell’anno 1963 c’erano la scuola dell’avviamento professionale alla ORT e una scuola media non obbligatoria. Ma la legge del 31 dicembre 1962 N° 1852 istituì la Scuola Media Unificata, l’avviamento professionale e la scuola media confluirono l’uno nell’altra. La Professoressa Mieli si trovò a combattere insieme alle colleghe per l’aggiornamento dei programmi, un lavoro duro: adattare i nuovi programmi alle esigenze dei nostri ragazzi. Rigida nel proprio lavoro, ha saputo incoraggiare e stimolare gli alunni a studiare . Ha collaborato molto con la scuola professionale ORT aiutando gli alunni a trovare il giusto orientamento per crearsi un futuro. Voleva che i nostri giovani ragazzi sapessero della tragedia che colpì la popolazione ebraica il 16 ottobre 1943. Al riguardo mi chiamò per organizzare un viaggio per visitare i campi di concentramento e di sterminio, viaggiò che fu poi cancellato per il pesante pericolo di attentati anti-israeliani e antisemiti. Pochi conoscono il lavoro costante e spesso molto faticoso che la Professoressa Mieli ha dovuto svolgere. Anche i miei tre figli hanno studiato sotto la sua guida con ottimi risultati. Molti suoi ex allievi oggi sono diventati dei liberi professionisti: medici, avvocati, ragionieri, commercialisti e ciò grazie anche ad una cultura ebraica tradizionale che la Prof. Mieli ebbe l’intuizione e la cura di seguire. Grazie Fiorella per tutto quello che hai fatto per la nostra comunità. Non ti dimenticheremo mai. Roland Ganem LETTERE AL DIRETTORE voce lettori dei Un grazie ai vecchi Caro Direttore, cari amici di Shalom, scrivo a voi, che fate una tra le più belle riviste che conosco, e che mi ha visto tra i suoi collaboratori, per dirvi che l’altro giorno per il Tg2, ho confezionato alcuni servizi relativi alla cerimonia al Tempio in occasione dell’anniversario della razzia al ghetto. Nei giorni precedenti mi ero dovuto occupare della vicenda di quel nazista morto a cent’anni di cui anch’io, come Riccardo Pacifici, non voglio più pronunciare il nome, anche se non bisogna stancarsi di ricordarci e ricordare quello che lui e individui come lui hanno fatto. Vi scrivo perché guardando le immagini della cerimonia che dovevo scegliere per il servizio, oltre al bell’intervento di Riccardo - un tempo si diceva: “pubblicazione! Pubblicazione!” - la telecamera più volte indugiava sul pubblico, la sala, e sugli anziani reduci sopravvissuti. Quei vecchi (chiedo scusa, ma a me la parola vecchi piace, molto più che anziani) mi hanno letteralmente commosso, e mi sono scoperto il ciglio inumidito. Come quando ho visto “Schindler’s list”. Avrei voluto abbracciarli e baciarli, quei “vecchi”, inginocchiarmi davanti a loro con rispetto e dire loro “grazie!”. Grazie perché trovano e hanno trovato la forza di raccontare, di dirci quello che fu, di impedirci di dimenticare. A loro vada tutta la mia gratitudine. La memoria è la nostra speranza. Un saluto caro e grazie anche a voi per tutto quello che fate. Valter Vecellio, Vice-caporedattore del Tg2 Rai I carnefici della Shoah non furono solo i nazisti Caro Direttore, in questi giorni abbiamo ricordato i 70 anni dall’inizio della Shoah in Italia, con la razzia del 16 Ottobre a Roma. Più di mille i deportati, uccisi in gran parte al loro arrivo ad Auschwitz il 23 ottobre, otto giorni dopo. Nei nove mesi successivi altri 1000 e più furono catturati e inviati nei campi della morte in Polonia. Nel Marzo del 1944 i trucidati ebrei alle Fosse Ardeatine furono 75, le vittime in tutto ammontarono a 335. Quindi quella del 16 Ottobre del ’43 è una data che va ricordata sempre, una pagina delle più tragiche della bimillenaria storia dell’ebraismo romano. Quello che non si sottolinea abbastanza, a mio parere, è la fondamentale responsabilità del regime fascista. L’ebraismo italiano stava subendo dal 1938 le leggi razziste volute da Mussolini, senza alcuna pressione della Germania, è bene ricordarlo. Erano norme durissime, umilianti, non meno feroci di quelle naziste. Fecero diffondere un virulento antisemitismo che sfociò con la nascita della Repubblica di Salò la quale varò una legislazione che fece passare il fascismo da discriminatorio a persecutorio. Gli ebrei erano pericolosi nemici da prendere, catturare e consegnare ai tedeschi, i veri padroni dell’Italia dal settembre ’43. I repubblichini sapevano molto bene la fine che avrebbero fatto. E’ noto che la metà degli ebrei italiani, fu presa dalle camice nere, come mio padre Angelo, da quelle che si chiamavano “le bande fasciste” che operavano in tutto il territorio nazionale. Molti lo facevano per la taglia di 5.000 lire ad ebreo, molti altri per odio antisemita. Non lo dimentichiamo: la Shoah non sarebbe stata possibile, almeno in quella dimensione, senza l’attiva collaborazione dei fascismi europei, francesi, croati, ungheresi e italiani. Va detto con forza, specialmente ora, che la mala pianta della xenofobia e del fascismo sta rialzando la testa in tutta Europa, dalla Grecia alla Francia. Cesare Di Porto (Cesare Cavallo) [email protected] Shoah: una storia familiare che non possiamo raccontare Egr. Direttore, Nella memoria collettiva della deportazione degli ebrei romani ci illudiamo di sapere tutto o di poter raccontare tutto. E invece vi sono dei vuoti, dei buchi neri della memoria che non potranno mai essere colmati. Mio nonno si chiamava Anselmo Calò z.l. ‘Portierino’ ed era un ex deportato ad Auschwitz. Per lungo tempo non volle raccontare la sua storia, poi dopo 50 anni decise di ritornare nel ‘campo’ per testimoniare la sua esperienza ad una scolaresca. Rimase in sospeso la promessa, fatta a noi nipoti, che ci avrebbe reso testimoni della sua storia affinché noi potessimo a nostra volta raccontarla ai nostri figli e a chiunque avesse avuto voglia di ascoltare ciò che è stato. Purtroppo mio nonno venne a mancare prima di poter onorare la sua promessa e quindi noi non abbiamo una storia personale e di famiglia da raccontare a nostra volta. Siamo figli e nipoti di ex deportati “spuri” che non hanno la loro storia personale da raccontare timorosi che un giorno, in un futuro non troppo remoto, qualcuno metterà in dubbio ciò che è stato e abbiamo paura di non avere quella forza e quella veemenza che deriva dal racconto di una esperienza propria. Allora l’unica strada da intraprendere, soprattutto per noi, figli e nipoti della Shoa, è quella dello studio, della ricerca e degli approfondimenti cercando così di riappropriarci, oltre che della nostra storia, anche di piccoli aneddoti che forse nemmeno ci appartengono. Sorrido all’idea che forse insieme a zi’ Leoncino e a Sabatino ed a altri ebrei romani, anche mio nonno Anselmo si mise ad urinare sull’albero addobbato delle SS, in una notte a ridosso del Natale del 1944 nel campo di prigionia di Jawichovitz e sono sicura che se un domani mi troverò a raccontare ciò che è stato attraverso la divulgazione della ricerca commissionata sul sotto campo di Jawichovitz mi prenderò questa piccola licenza. A volte penso che così come in vita, mio nonno non fu mai considerato in modo opportuno (ricordo che riconsegnò il suo fazzoletto e la tessera Aned perché non fu invitato a partecipare, a differenza degli altri, ad una delle prime cerimonie in cui i sopravvissuti erano invitati speciali), anche ora da morto ci sia il rischio che la sua memoria non venga sufficientemente onorata. Ma forse onorare la Prof. Silvestro Lucchese Chirurgo specialista CHIRURGIA ANO-RETTALE • CHIRURGIA DELLE ERNIE IN DAY HOSPITAL CHIRURGIA DEFINITIVA DEL PROLASSO EMORROIDARIO IN 1 GIORNO SENZA MEDICAZIONI - DOLORE E DISAGIO MINIMI RIPRESA DELLA FUNZIONE INTESTINALE IMMEDIATA ED INDOLORE Casa di Cura “Sanatrix” - Via di Trasone, 61 - Tel. 06.86.32.19.81 (24h) www.silvestrolucchese.com URGENZE: 336.786113 / 347.2698480 / 06.86321981 NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 La 49 LETTERE AL DIRETTORE memoria di lui come uomo e come nonno è una faccenda tutta privata, personale e familiare, mentre è solo attraverso lo studio che si costruisce quella forza e solidità per trasmettere agli altri la storia della Shoa di cui lui fu solo un tassello infinitesimale ma, almeno per me, di valore inestimabile. Eleonora Di Porto NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 Shoah: una storia finalmente ricostruita Cari lettori, volevo condividere con voi ciò che mi è successo qualche giorno fa. Finalmente, dopo 70 anni, il 21 ottobre si è concluso un percorso che la mia bisnonna aveva iniziato, mio nonno continuato ed io, insieme a mia madre, terminato. Mio nonno materno aveva un fratello che è stato deportato il 16 ottobre 1943 e non è mai più tornato. La mia bisnonna è morta non sapendo che fine avesse fatto il figlio. Nel caso fosse sopravvissuto, dove aveva deciso di passare il resto dei suoi giorni? Perché non tornava a casa? Con il passare degli anni, uscirono fuori i primi documenti dove veniva dato per morto. Ma morto di cosa? Come? Quando? Dove? Non furono date spiegazioni. Era morto, basta. Per loro era semplicemente il numero “31267”, quello che gli avevano tatuato sul braccio. Per anni abbiamo creduto che fosse morto ad Auschwitz e, invece, la chiave di tutto era a Flossenburg. Dopo 70 ANNI, con una semplice email in lingua inglese, ho scoperto che mio zio, Cesare Menasci, il 22 ottobre 1944 è stato trasferito, dal campo di concentramento di Auschwitz, al campo di concentramento a Flossenburg dove è morto il 25 dicembre 1944. Il suo corpo, per nasconderlo, fu inserito nel forno crematorio e le sue ceneri sparse nei dintorni del campo. Subito dopo la guerra, le sue ceneri, insieme a tante altre, furono inserite dentro questo memoriale: la “Piramide delle Ceneri”. Finalmente, dopo 70 ANNI, sappiamo dove poter andare per porgere un saluto, un fiore, una preghiera... A mio zio. Due genitori straziati dal dolore, morti senza sapere la fine del loro figlio. Fratelli e sorelle che non hanno potuto mettere neanche un fiore a quel povero fratello, strappatogli troppo presto. Aveva solo 24 anni. La sua colpa era quella di essere ebreo. Caro zio, dopo 70 anni, puoi finalmente riposare in pace. Non dobbiamo dimenticare affinché tutto ciò non accada di nuovo. Lo dobbiamo fare per noi, per le generazioni future, ma soprattutto per chi è rimasto nei campi. Miriam Spizzichino 50 Che brutte lotte fratricide Ho letto con sgomento la lettera della Comunità Ebraica di Venezia e le relative repliche. Ne esco nauseato! La peggiore politica della prima repubblica non arrivava a tanto! Minoranza che non accettano il verdetto delle urne (rammento un caso analogo a Roma che ha portato a nuove elezioni). Probiviri che cambiano decisioni a seconda dello Scilipoti di turno. Dimissioni per protesta.... Ma in che ambiente siamo? Sono cariche che dovrebbero essere onorifiche per il bene dell’intero Ebraismo ed invece mi sembrano lotte fratricide volte ad accaparrarsi interessi materiali reconditi. Se questo è lo spirito che anima i nostri rappresanti non rimane che auspicare un 5 Stelle anche tra di noi. Avner Flavio Hannuna Shabbat al tempio Bet Shalom: diamo spazio a tutti Cari frequentatori del Tempio e non, penso che quello che è accaduto lo shabbat del 12 ottobre nel gazebo del tempio, è un punto su cui ognuno di noi dovrebbe riflettere. Non è la prima volta che mi trovo ad assistere a momenti come quelli e sempre per motivi banali. Il Tempio Bet Shalom è nato nella zona di Viale Marconi, è un luogo accogliente, che ci ha dato calorosità e armonia in qualsiasi momento. Quanta gente residente in questa zona, ha cominciato a frequentare il tempio, quando prima non ci pensava neanche? Quanta si è avvicinata alle mitzvot, grazie all’accoglienza dei Rabbanim, dei Parnassim, dei frequentatori? Perché perdersi in un bicchiere d’acqua? È mai possibile che non si può cedere il posto ai parenti stretti dei festeggiati, perché è nostra abitudine stare in un determinato posto? Al tempio grande ci sono i posti dei propri nonni, bisnonni, zii, capisco che sono stabiliti, ma al Bet Shalom deve continuare a governare la familiarità, l’ospitalità. Durante i kiddushim, diamo spazio a tutti. Se ci sono feste di Chatan Torah, Chatan Bereshit, Bar e Bat Mitzvah facciamo sentire la calorosità e gioiamo insieme a loro, piuttosto che discutere chi entra prima o dopo per un pasticcino. Frequentare il tempio quotidianamente, ogni Shabbat è un merito che sicuramente Hashem ci riconoscerà, però facciamolo riconoscere con Simchà, senza ma e però. Riprendiamo in mano la situazione e viviamo ogni Shabbat, Chag, feste di Bar e Bat Mitzvah con gioia e felicità. Deborah Pavoncello Israele, un modello per l’Africa Quand’ancora ero piccino, ed andavo d’estate in Tunisia a trovare i parenti, mia nonna era solita raccontarmi le storie della sua infanzia a La Goulette, della vita della comunità ebraica della città (che allora era decisamente più numerosa) e di come il popolo eletto era stato ed era fondamentale per la costruzione di una Tunisia moderna e prospera economicamente. Mi raccontava dell’operosità dei piccoli artigiani della Kasbah di Tunisi, dell’estrema laboriosità dei commercianti di Djerba, che all’epoca idearono la prima piccola distribuzione alimentare organizzata che tuttora occupa il 9 % della forza lavoro tunisina. Mi raccontava della perspicacia industriale delle famiglie di Sfax che portarono la Tunisia ai vertici mondiali nel settore tessile di qualità, mi raccontava di storie di successo e di fallimenti, ma di un estrema voglia di costruire un paese tra le mille difficoltà politiche internazionali di allora. Si ricordava e mi narrava delle scuole sioniste quand’ancora c’erano i francesi, dei primi giornali in lingua araba e arabo-ebraica. Israele in Tunisia ha dato tanto, e sempre. Parlando con un diversi amici dell’Africa Equatoriale (proprietari terrieri), mi son sentito di proporre il modello del Kibbutz israeliano per rilanciare la produzione agricola di alcuni di questi paesi e per superare lo scoglio della barriera sempre esistita sin dall’epoca coloniale tra Comunità locale e Stato nazionale. Un modello di grande efficienza economica, che messo a sistema agevolerebbe in tempi rapidi la crescita economica di questi paesi, che pur avendo ausilii economici derivanti dalla cooperazione internazionale e dagli impegni della comunità e delle istituzioni mondiali, non riescono ancora appieno a favorire un percorso di crescita economica sostenibile e di percezione della stessa EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA da parte delle comunità locali. Israele è stato ed è ancora per l’Africa (Settentrionale o Equatoriale che sia) un modello valido e un punto di riferimento. Am Israel Chai. Amshel Herzl SHALOMשלום Sono indignata Mi chiedo il motivo per cui nessuno abbia risposto alla lettera di un vero buon ebreo, Claudio Fano, pubblicata su Shalom di giugno dal titolo “Crisi. Porte chiuse in faccia a chi desidera aiutare”, visto che l’argomento è grave. Mi è venuto un dubbio: “A Roma vogliono solo i soldi?”. Cordialmente. Dalia Mordekhai Giacomo Kahn Direttore responsabile Ho scoperto Shalom Da un po’ ho scaricato l’app di Shalom e ho cominciato a leggere il vostro mensile. Io sono cristiano e pertanto nutro profondo rispetto per il mondo ebraico, tuttavia in Italia, ma credo in tutti i paesi, è molto difficile approfondire vari aspetti culturali e religiosi. Leggere Shalom mi ha dato una visione più ampia dal punto di vista del popolo ebraico riguardo all’attualità e al mondo che ci circonda, facendomi capire anche come è vista l’Italia da altre culture e da uomini che seppur italiani sono parte di una tradizione millenaria. I più profondi ringraziamenti e congratulazioni. Sammy Basso (Vicenza) Smokéd / affumicato: un gioco di parole. Una sfida nel segno di uno humor che non vuole offendere nessuno, ma sorridere di tutto. Ad essere ironico questa volta Smokèd non ci riesce proprio. Alla metà di ottobre qui a Roma figli e nipoti delle vittime di un crimine ormai antico, e tra le vittime gli ebrei non costituivano certo la maggioranza, hanno di fatto dovuto giustificarsi per non voler dimenticare vite spezzate, altre vite segnate per sempre, persecutori che liberamente vivevano nella città, in Italia, nel mondo. Ebbene sì, qualche volta anche quelli che sono nati soltanto perché gli assassini non sono riusciti a concludere il lavoro, “nel loro piccolo, si… arrabbiano molto”. Smokéd PER LA VOSTRA PUBBLICITÀ Tel. 06.5565166 - Fax 06.55307483 Cell. 392.9395910 - [email protected] Giorgio Israel Micol Anticoli Carlotta Livoli Silvia Haia Antonucci David Meghnagi Dimitri Buffa Rebecca Mieli Giorgia Calò Daniel Mosseri Jonatan Della Rocca Fiamma Nirenstein Donatella Di Cesare Angelo Pezzana Yael Di Consiglio Clelia Piperno Angelo M. Di Nepi Umberto Piperno Piero Di Nepi Pierpaolo P. Punturello Alessandra Farkas Jacqueline Sermoneta Segretaria di redazione Ghidon Fiano Miriam Spizzichino Roland Ganem Francesca Tardella Stefano Gatti Daniele Toscano Fortunèe Habib Ugo Volli DIREZIONE, REDAZIONE Lungotevere Sanzio, 14 - 00153 Roma Tel. 06.87450205/6 - Fax 06.87450214 E-mail: [email protected] [email protected] - www.shalom.it Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposto a riconoscerne il giusto compenso. 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NOVEMBRE 2013 • KISLEV 5774 Un ricordo per la Preside Prof. Fiorella Di Veroli Mieli Giorno triste il 22 Ottobre 2013 per tutti gli alunni della III A: la nostra professoressa, Preside, e un po’ mamma ci ha lasciati, ma in noi rimangono gli insegnamenti culturali ma, ancor più, quelli di vita che ci accompagneranno e si perpetueranno nei nostri figli. Ma ora mi piacerebbe pensare che lassù possa insegnare alle piccole vittime di Terezin tutto quello che loro non hanno avuto il tempo di imparare. Dico ciò, perché, un ricordo che avrò finché vivrò, nitido nella mia mente e che mi ha fatto ammirare e stimare questa donna, è stato quando, in III media, ci leggeva le poesie delle piccole vittime dell’Olocausto, “Non ho mai visto una farfalla”, con la voce che si interrompeva dalla commozione e dal pianto. Ciao Prof: grazie di tutto e Tiska Be Scialom Roberto Anticoli Paola Abbina 51 CATENA DI COLLEGAMENTO If I were a rich man, Ya ha deedle deedle, bubba bubba deedle deedle dum. È l'inizio della concatenazione di pensieri di Topol, il celebre violinista sul tetto. Cosa si potrebbe fare avendo una somma a disposizione, un pò per sé, ma anche per gli altri? Agli ebrei da sempre non manca la fantasia, l'altruismo, e la volontà storica di lasciare una traccia del proprio passaggio su questa terra. Questo è anche lo spirito del Keren Hayesod, i cui progetti di Lasciti, Donazioni e Fondi nascono per dare pieno valore alle storie personali e collettive. Sostenendo tra l’altro progetti per Anziani e sopravvissuti alla Shoah, Sostegno negli ospedali, Sviluppo di energie alternative,Futuro dei giovani, Sicurezza e soccorso, e Restauro del patrimonio nazionale. Tu con il Keren Hayesod protagonisti di una storia millenaria Giliana Ruth Malki - Cell. 335 59 00891 Responsabile della Divisione Testamenti Lasciti e Fondi del Keren Hayesod Italia vi potrà dare maggiori informazioni in assoluta riservatezza KEREN HAYESOD Milano, Corso Vercelli, 9 - Tel. 02.4802 1691/1027 Roma, C.so Vittorio Emanuele 173, - Tel. 06.6868564 Napoli, Via Cappella Vecchia 31 - Tel. 081.7643480 [email protected]