Dalmazia: paradiso perduto Pagine 2 e 3 DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww IL PROLOGO Il pallido ricordo delle mulattiere di Dario Saftich S embrano ormai lontani anni luce i tempi in cui per raggiungere la Dalmazia era necessario percorrere delle autentiche mulattiere. La costruzione dell’autostrada Zagabria-Spalato ha avvicinato la regione dalmata all’Europa centrale, avviando forse un cambiamento inesorabile del volto di questa terra. Oltre all’autostrada che proseguirà negli anni a venire la “sua corsa” verso meridione, in direzione di Ragusa, non mancano anche altre novità importanti in campo stradale. Da Carlopago in direzione sud è stata rimessa a nuovo la litoranea adriatica: niente più buche che mettono a dura prova le sospensioni, ma un manto d’asfalto perfetto. Per completare il quadro manca soltanto l’allacciamento tra Fiume dalmazia An no III • 007 n. 6 • S abato, 9 giugno 2 e l’autostrada verso Spalato, che dovrebbe realizzarsi tra qualche anno. Ma già così i collegamenti hanno compiuto un balzo di qualità sufficiente a far lievitare alle stelle i prezzi degli immobili in Croazia. E progetti di nuove cementificazioni della costa spuntano come funghi dopo la pioggia. Evidentemente non è tutto oro ciò che luccica... 2 dalmazia Sabato, 9 giugno 2007 STORIA La magia di una terra troppe volte devastata Dalmazia: paradiso perduto Ragusa G ià negli anni Trenta del secolo scorso la Dalmazia, lembo solare della Mitteleuropa, era stata una meta privilegiata del settembrino turismo d’élite. Ospitalità cosmopolita, con tavolozza gastronomica multietnica e speziata, in un susseguirsi di arcaiche città murate che nell’ora del crepuscolo evocavano allegorici squarci böckliniani; costa frastagliata, dirupi profondi, fiordi corsari, mare azzurrissimo tempestato d’isole lussureggianti di verzura e aromi mediterranei. Un “Paradiso terrestre” esaltato dal miscredente George Bernard Shaw e bordeggiato a lungo, nell’estate del grande scandalo dinastico del 1936, da Edoardo VIII in procinto di gettare alle ortiche la corona e di sposare l’enigmatica Wallis Warfield Simpson. Avevo nove anni e ogni mattina, appena alzato, correvo a contemplare dal balcone della nostra villa di San Piero della Brazza un lungo veliero al largo dell’isola, immobile nel silenzio che a quei tempi rarefatti, privi di stridori volgari, regnava assoluto nei siti marini esclusivi. Si percepiva appena, dalla poppa lontana, il battito regolare di due bandiere nel maestrale intermittente: vi si mescolavano il rosso e il blu dell’Union Jack e del vessillo monarchico jugoslavo. Due sagome appoggiate al parapetto del naviglio, scontornate su un abbaglio di controluce, parevano in quella vastità silente fissare soltanto me. Un mattino il papà che mi stava accanto cercò di spiegarmi qualcosa che non riuscivo a capire bene: “Il signore vestito di bianco, che vedi sulla sinistra della signora, è il re d’Inghilterra. Fra qualche mese la signora sarà sua moglie e lui non sarà più re”. Altri regnanti, noti artisti e scrittori, attori di fama mondiale, ricchi mercanti boemi di scarpe e di birra circolavano nelle canicole estive sui loro yacht fra la dioclezianea Spalato, gli arcipelaghi boscosi, le violastre e austere bocche di Cattaro. Sapevo anche che un celebre regista di Hollywood, dal buffo e saltellante nome canino di Hitchcock, che io pronunciavo Hikokko, aveva scelto come sua annuale residenza estiva l’albergo Argentina nell’antica Ragusa. Molto più tardi un amico dalmata, l’indistruttibile raguseo Ottavio Missoni, m’informò che Alfred Hitchcock usava dire della sua preziosa città natale, ribattezzata Dubrovnik dagli slavi: “Non c’è perla più rara sulla crosta terrestre. Tra queste mura vorrei morire, e poi rinascere”. La guerra oscurò da un giorno all’altro quel luminoso e appartato mondo di frontiera e lo desertificò. La morte e il dolore consumarono il primo terribile atto della loro opera distruttiva e fratricida. Si rivide l’ancestrale coltello balcanico saettare fra il viavai delle truppe d’oc- cupazione, Spalato offrì in sacrificio le rovine romane agli Stukas tedeschi, cinquantaquattro furiosi quanto incomprensibili bombardamenti angloamericani fecero di Zara la Dresda dell’Adriatico; poi esodi in massa, crolli di secolari ditte commerciali, attentati terroristici, cadaveri appesi per la gola su arpioni di patiboli medievali, saccheggi, genocidii, memoricidii culturali nel retroterra morlacco e bosniaco completarono lo svuotamento dell’identità locale avviando un inarrestabile processo di mutazione antropologica della vecchia Dalmazia slavolatina. S’avverava come ineludibile profezia una triste sentenza di Niccolò Tommaseo. Quel filologo principe della lingua italiana, che da Firenze inviava alla madre a Sebenico lettere in serbo-croato, già un secolo prima s’era rivolto amaramente alla sua terra incompiuta e promiscua quasi rimproverandola: “Illiria perduta, patria viva non ha chi di te nacque!”. Negli anni d’orrore della Seconda guerra mondiale anche il simbolo più alto dell’autonomismo dalmatico, l’aristocratica Repubblica marinara di Ragusa, dal Quattrocento non più serva di Venezia né tributaria della Sublime Porta, appariva assediata e muta dietro le sue imponenti fortificazioni come una Troia in attesa del cavallo di Ulisse. La parola “Libertas”, vergata sui gloriosi stendardi delle torri rinascimentali, che in tempi di pace prestavano la loro scenografia naturale all’Amleto di Shakespeare, sembrava ormai una beffa. Dopodiché, la Dalmazia e in particolare Ragusa conobbero il grigiore di un depresso turismo di massa. Risento gli afrori poveri e vischiosi del socialismo autogestionario inventato da un maresciallo comunista che intanto, col bianchissimo yacht Galeb, scorrazzava per le sue lussuose residenze «Buon compleanno Montenegro» Un legame profondo con la Serenissima H a compiuto il primo compleanno. Auguri sinceri per una vita gloriosa! Il 3 giugno 2006 veniva infatti proclamata l’indipendenza della Repubblica del Montenegro, a seguito del referendum del 21 maggio col quale i 650.000 abitanti del Montenegro hanno votato a maggioranza per la separazione dalla Serbia. Poche settimane più tardi è stato ufficialmente accolto in seno al consesso mondiale delle nazioni, diventando così il 192° membro effettivo dell’O.N.U. Più che una “nascita”, quella dello scorso anno è stata in realtà una “rinascita”! Il Montenegro venne infatti riconosciuto come Stato sovrano indipendente per la prima volta il 13 luglio 1878 (giorno della festa nazionale) dal Congresso di Berlino. Ed indipendente rimase fino al 1918, quando entrò a far parte del neocostituito Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni retto dalla dinastia serba dei Karađorđević, poi ribattezzato nel 1929 Regno di Jugoslavia. I legami con l’Italia furono sempre molto stretti, soprattutto quando nel 1896 Elena Petrović Njegoš, figlia di Nicola principe del Montenegro (nel 1910 autoproclamatosi re) sposò il futuro re Vittorio Emanuele III. L’animo nobile, generoso e colto della bella regina Elena ha lasciato tracce incancellabili nella memoria storica delle due popolazioni. Dall’aprile 1941 al settembre 1943 il Montenegro subì l’occupazione militare delle truppe italiane. Non riuscì allora il tentativo del Governo di Roma di istituire lo Stato autonomo del Montenegro e riportare sul trono i Petrović Njegoš, andati in esilio nel 1918. Terminate le cruente vicende della seconda guerra mondiale e della campagna di liberazione, nel 1945 insieme a Serbia, Croazia, Slovenia, Bosnia ed Erzegovina e Macedonia costituì la Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia guidata dal maresciallo Tito. A seguito dello sfaldamento fisico ed ideologico della Jugoslavia avvenuto nel 1991, quattro delle sei Repubbliche scelsero la strada dell’indipendenza; la Serbia ed il Montenegro rimarranno invece unite fino al 3 giugno 2006. Oggi il Montenegro è un Paese fortemente proiettato nella dimensione europea; sebbene non faccia ancora parte dell’UE - il lungo percorso di avvicinamento è stato tuttavia intrapreso - ha gia adottato l’euro come moneta nazionale e questo agevola enormemente sia gli scambi commerciali con gli altri Paesi che l’attrazione di investimenti stranieri. I confini con Serbia, Albania, Croazia e Bosnia ed Erzegovina, cui si aggiunge il tratto di mare Adriatico che lo separa dalla dirimpettaia Puglia, rendono il Montenegro un Paese balcanico di piccole dimensioni con una posizione fortemente strategica. E questa è oggi la formula per un rapido sviluppo economico. Più del 74 p.c. dei montenegrini è di religione cristiano ortodossa. Un profondo, seppur poco conosciuto, legame “storico” e “spirituale” unisce da tempo il Paese alla cultura italiana: le città costiere della Dalmazia montenegrina hanno fatto parte per circa quattro secoli dei possedimenti della gloriosa Repubblica di Venezia, fino alla sua caduta nel maggio 1797, quando si arrese, senza muovere armi, alle truppe francesi di Napoleone Bonaparte che, dopo averne violato la neutralità, la cedettero subito dopo all’Austria. Il 23 agosto dello stesso anno, al termine di una solenne quanto commovente cerimonia, alla presenze di tutte le milizie e di tutto il popolo, il Gonfalone della Serenissima Repubblica fu sepolto dal conte Giuseppe Viscovich, capitano della guardia, sotto l’altare del duomo di Perasto, proprio in Montenegro, pronunciando le seguenti parole: “Sapranno da noi i nostri figli e, la storia farà sapere a tutta l‘Europa, che Perasto L’isolotto della Madonna dello Scalpello nelle Bocche di Cattaro ha degnamente sostenuto sino all’ultimo l’onore del Veneto Gonfalone … Per 337 anni i nostri beni, il nostro sangue, le nostre vite sono state sempre per te, o San Marco...Tu con Noi, Noi con Te.”. Custode di meravigliose bellezze naturali (tra mare, montagne e parchi naturali) ed architettoniche di stile veneziano, il Montenegro, è un’area storica europea di altissimo profilo. Le incantevoli città di Cattaro, nell’omonima baia, dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, Budva, Santo Stefano, situate lungo i 200 km di costa sull’Adriatico, e l’antica capitale Cetinje, sono da anni ambite mete per il turismo internazionale. L’attuale capitale Podgorica ha invece una funzione prevalentemente istituzionale. A Cattaro, in particolare, vive una comunità organizzata di circa 500 italiani autoctoni, discendenti degli antichi abitanti illiri, latini e veneti, che nel corso del tempo ha mantenuto sempre forte la propria identità e il legame con l’Italia. Vittorio Giorgi dalmazia 3 Sabato, 9 giugno 2007 disseminate da Brioni a Spalato fino a Herzeg Novi e all’Antivari del Montenegro. Tito si occultava come un fantasma godereccio dietro le murate del suo yacht, invisibile alle fiumane umane dilaganti sulla pietra levigata dello Stradone di Ragusa, o “Stradun”, che taglia in due il cuore cittadino, dedito nell’età d’oro della repubblica allo splendore delle arti e dei traffici. Sudori grevi, vociumi starnazzanti, panini oleosi, abnormi gelati schipetari, calde bottigliette di Pepsi-cola in stridente contrasto con i palazzi modellati da Michelozzo e le tele di Tiziano, Pordenone, Vasari, custodite fra incunaboli e pergamene nelle basiliche domenicane e nei monasteri francescani. C’erano anche i nuovi ricchi, mescolati a qualche indefesso nuotatore eurocomunista come Santiago Carrillo. Questi privilegiati del capitalismo e del socialismo pranzavano negli storici alberghi Argentina ed Excelsior, contemplando dalle terrazze ombreggiate l’isolotto botanico di Lokrum: lì, fra rare piante esotiche, l’arciduca Massimiliano d’Absburgo, proveniente dal castello triestino di Miramare, aveva pernottato prima di ripartire su una nave da guerra per il Messico dove lo aspettavano Benito Juarez e il plotone d’esecuzione. Giunse poi il secondo ciclo della distruzione. L’ultima cosiddetta “guerra balcanica”. Ragusa, ormai conosciuta dalla pigra comunità internazionale col nome di Dubrovnik, doveva entrare per prima, fin dal 1991, nella lista sempre più tragica delle città martiri Vukovar, Sarajevo, Srebrenica - assediate dalle soldataglie agli ordini della cricca nazionalcomunista di Belgrado. La protezione garantita dall’Unesco alla millenaria città d’arte, “patrimonio dell’umanità”, non bastò a proteggerla dalle cannonate della marina serbizzata, dai mortai delle artiglierie “federali”, dai cecchinaggi e saccheggi perpetrati nel circondario da selvagge bande armate montenegrine. Per diversi mesi la popolazio- ne, privata di luce elettrica, d’acqua, di cibo, visse assetata e affamata sotto le granate nei sotterranei della cittadella oscurata e prigioniera. La compattezza petrosa di una struttura urbana piena di vicoli ravvicinati, di palazzi, scalinate, chiese, conventi quasi incastrati gli uni negli altri tutti lontani dai cimiteri fuoriporta, non concedeva alla gente sfinita spazi per la sepoltura delle vittime dell’assedio. L’appello lanciato allora al mondo da due ministri europei, l’italiana Margherita Boniver e il francese Bernard Kouchner, attivi in missione umanitaria fra le macerie, dipingeva un quadro terrificante: “La situazione attuale ci mostra bambini morti sotto le bombe, pietre secolari che si sbriciolano. Le donne e gli uomini accerchiati, privi d’acqua da 45 giorni, non hanno più speranza nell’aiuto dei loro simili. Dobbiamo salvare la storica Dubrovnik, isola di pace, città bianca e la sua regione”. Mi chiedo quanto e cosa sanno, di quell’orrendo calvario raguseo, avvenuto quindici anni fa nel cuore di un’Europa tranquilla, i molti e danarosi visitatori che, sulle tracce dei duchi di Windsor, stanno riscoprendo oggi la malia di una delle più belle e struggenti località mediterranee. Le cronache estive, esaltando l’improvviso boom turistico di Dubrovnik, “Atene degli slavi meridionali”, estraggono da una massa di anonimi 600 mila viaggiatori alcuni nomi fuori serie: Carlo d’Inghilterra, Carolina di Monaco, Rania di Giordania, la principessa Sayako, a cui s’aggiungono in sott’ordine vip cinematografici e salottieri come Michael Douglas, Catherine ZetaJones, Tom Cruise, Christopher Walken, John Malkovich, il magnate russo Roman Abramovich. Torno a domandarmi: tutti questi astri del variopinto firmamento mondano sanno qualcosa del sacco medievale che nel 1991, per volontà serba, incombeva su una città indifesa, a netta maggioranza croata, che da se- coli non era più un porto importante né una decisiva postazione strategica? Si può ben dire che l’ignoranza, a proposito di Ragusa-Dubrovnik, è davvero generalizzata poiché si espande con ottusa distrazione dal passato recente ai secoli andati. Quanti miliardari italiani, che ancorano le loro barche nel porticciuolo di Gruz, sanno che il latino e l’italiano erano lingue d’ufficio negli atti della repubblica ragusea? Quanti sanno che Ruggero Boscovich, fondatore dell’osservatorio astronomico di Brera, alla cui memoria Milano ha dedicato una via importante, era un illuminato gesuita nato nel 1711 a Ragusa? Quanti britannici ricordano che la parola inglese “argosy”, nave mercantile, deriva dal nome dei galeoni di Ragusa? Chi ormai conosce Ivan Gundulić, autore di poemi epici cinquecenteschi da cui crebbero, da una radice latina, i primi tronchi della letteratura croata. Ma la cosa più sconcertante resta l’amnesia ipocrita di serbi e montenegrini. Ecco. I signori della guerra montenegrini che per conto dei serbi bombardavano Dubrovnik, fingevano di non sapere che lo jugoslavismo, l’ideale della fratellanza fra serbi e croati, aveva avuto proprio nel raguseo Frano Supilo il missionario geniale che, parlando alla pari con Woodrow Wilson e Georges Clemenceau, seppe imporre con successo la causa unitaria degli slavi meridionali sul tavolo di Versailles. Concludendo, vale la pena di ricordare come il pugnace jugoslavista Supilo descriveva i contrasti, per così dire tommaseani, convergenti nella sua sfaccettata e ricca personalità: “Sono un dalmata che talora traduce in italiano sentimenti slavi, e talaltra in slavo pensieri italiani”. È la storia stessa di Ragusa e della Dalmazia che si definisce così e si confessa nelle parole di uno dei suoi figli migliori. Enzo Bettiza da “La Stampa” Traù Parco della natura Lagosta «ripulita»: niente più carcasse LAGOSTA – “Via le carcasse da Lagosta”. Grazie all’iniziativa intitolata “Ripuliamo la Croazia dai rottami”, avviata congiuntamente da Renault, Cios i Auto blic in tre anni dai parchi nazionali e dai parchi della natura in Croazia sono state rimosse oltre 10.000 automobili abandonate. L’iniziativa ha riguardato anche il più “giovane” Parco della natura, quello dell’isola di Lagosta (Lastovo) e del suo arcipelago. Pure lì qualcuno aveva lasciato arrugginire delle carcasse... San Benedetto del Tronto e Spalato Un solido ponte culturale tra le due sponde adriatiche SPALATO - Continuano i rapporti di amicizia tra le città di San Benedetto del Tronto e Spalato. Infatti, si sono tenute nel capoluogo dalmata le giornate dedicate al convegno internazionale per tema “La Francia e l’Adriatico (1807-1814)”, organizzato dall’Istituto di Ricerche delle Fonti per la Storia della Civiltà Marinara Picena di San Benedetto, l’Archivio di Stato di Ascoli Piceno, l’Università di Spalato, la Biblioteca Universitaria di Spalato e la “Dante Alighieri di Spalato”. L’iniziativa ha rappresentato il terzo appuntamento, dopo i primi due di San Benedetto del 1995 e del 2000, teso a costruire un ponte culturale tra le diverse sponde dell’Adriatico, nell’approfondimento della comune storia che caratterizza le regioni che si affacciano su questo mare. L’occasione di questo ultimo incontro è stata la ricorrenza del 200.esimo anniversario dell’avvento del Regno Napoleonico che ha prodotto profondi e decisivi cambiamenti nelle istituzioni e nella vita delle popolazioni soggette. La delegazione italiana era guidata da Gabriele Cavezzi, presidente dell’Istituto di Ricerche sambenedettese ed era composta dall’ammiraglio Albero Silvestro, uno degli studiosi più conosciuti d’Italia per la storia della marineria pontificia e non solo, dalla dottoressa Laura Ciotti dell’Archivio di Stato di Ascoli, dalla professoressa Lucia De Nicolò dell’Università di Bologna, certamente la più apprezzata studiosa italiana di storia marinara, in particolare di quella romagnola, dal dottor Giuseppe Merlini, archivista e storico sambenedettese, dall’architetto Maurizio Cavezzi, studioso del personaggio Dandolo, e dalla dottoressa Maria Perla De Fazi che ha letto un intervento del professor Marco Severi sulle fonti dell’Archivio di Stato Milano. Erano presenti con i loro interventi e contributi scientifici, per la parte croata, il professor Josep Milat, preside della facoltà di Filosofia dell’Università di Spalato, la professoressa Ljerka Šimunković titolare della cattedra di italianistica dell’Università di Spalato e di quella di Zara, nonché presidente della “Dante Alighieri” della stessa città, la dottoressa Nataša Baić-Žarko, direttrice dell’Archivio di Stato di Spalato, la dottoressa Dubravka Dujmović della Biblioteca Universitaria, la dottoressa Ranka Radić direttrice del Museo di Traù, nonché altri studiosi. Hanno presentato i saluti di benvenuto alcune autorità locali, tra le quali Ante Sanader, presidente della Regione spalatina-dalmata. Quest’ultimo si è a lungo intrattenuto con Cavezzi esprimendo i più vivi complimenti per l’opera svolta in tanti anni dall’Istituto da lui presieduto, nelle relazioni tra le due sponde, dichiarando un forte interesse a sviluppare ulteriormente tali incontri sul piano istituzionale con la Provincia di Ascoli Piceno ed i sindaci della costa marchigiana. Le relazioni presentate dagli studiosi, tutte di grande significato storico, verranno raccolte in un volume che sarà edito entro la fine dell’anno. Nel corso delle manifestazioni collaterali al convegno è stata di vivo interesse la visita al Museo della Marineria di Spalato; per l’occasione Cavezzi ha consegnato ai responsabili dell’istituto un quadro del sambenedettese Nicola Romani, conosciuto uomo di mare e testimone di numerose storie di pesca. (ab) San Benedetto del Tronto 4 dalmazia Sabato, 9 giugno 2007 Sabato, 9 giugno 2007 SPORT L’Hajduk è stato e rimane l’autentica squadra simbolo della regione (15 e fine) Dalmazia: terra di stelle calcistiche Una lista infinita di nomi di spicco In questa lunga carrellata di campioni che hanno reso grande l’Hajduk e che si sono fatti vale- di Igor Kramarsich Sono stati tantissimi i calciatori di cui abbiamo riportato le “storiche gesta”. Tanti altri, purtroppo, sono rimasti fuori giacché la lista dei campionissimi dalmati è praticamente infinita. I nomi da noi passati in rassegna rimarranno impressi in maniera indelebile nella storia del calcio dalmata. L’Hajduk soprattutto grazie a loro ha scritto pagine memorabili di storia calcistica. E quel che più conta ai fini del nostro discorso è il fatto che i successi sono stati inanellati grazie in primo luogo a talenti nati sulla costa dalmata o nell’entroterra. D’altronde l’Hajduk è sempre stato il magnete irresistibile per tutti i calciatori in erba della Dalmazia e delle regioni contermini: visto il serbatoio ampio dal quale poter attingere, un serbatoio che ha sfornato talenti in continuazione, non è difficile spiega- re le ragioni di questa continua permanenza nell’Olimpo calcistico da parte della squadra spalatina. E anche il fatto che il cuore dei tifosi dalmati, anche quando si sono trasferiti lontano dalla loro terra d’origine, magari a Fiume o Zagabria, ha sempre continuato a battere per la compagine spalatina per antonomasia. Che è stata e rimane un’autentico simbolo, una bandiera per la Dalmazia. Aljoša Asanović Branko Miljuš, da forte attaccante a possente difensore di fascia Giocatore polivalente. Un vero jolly in difesa che sapeva pure progredire parecchio sulle fasce in attacco. Nato a Knin il 17 maggio 1960, Branko Miljuš è stato nazionale jugoslavo. Le sue prime esperienze calcistiche le ha nella piccola società di Ustanik nel paesino di Srb. A soli 14 anni diventa un perno insostituibile della prima squadra! Beniamino del pubblico, trova nel locale dentista la sua carta vincente. Infatti come grande tifoso dell’Hajduk Slavko Skeja non indugia a chiamare la sua squadra del cuore e a raccomandare Miljuš. Gli spalatini mandano due leggende, Franjo Matošić e Andrija Anković a visiore questo giovane di belle speranze. Rimangono convinti della sua bravura e di lì a poco Miljuš firma il suo primo contratto da professionista. Arriva a Spalato nell’estate del 1975. Con le selezioni giovanili conquista tutto il possibile e per farlo crescere ancora di più prima di prenderlo in prima squadra la dirigenza nel 1981 lo manda a gio- Branko Miljuš care in seconda lega nelle file del Solin. Ma vi rimane per soli sei mesi tanto sono ottime le sua gare; ritorna a Spalato per entrare subito in prima squadra nell’Hajduk. Rimarrà un giocatore insostituibile fino al 1988. Non riesce mai a vincere il campionato della Jugoslavia, anche se nella stagione 1978/ 79 partecipa a parecchie amiche- voli, ma vince due coppe Jugoslavia: 1983/84 e 1986/87. In totale ha giocato ben 357 partite e segnato due reti. Nell’estate del 1988 è passato nella file degli spagnoli del Real Valladolid. Si è fermato per tre anni prima di andare per due anni in Portogallo nelle file del Vitoria Setubal. Nella nazionale seniores della Jugoslavia ha collezionato 14 presenze. Ha debuttato il 2 giugno 1984 in un’amichevole contro il Portogallo per chiudere contro l’Eire il 27 aprile 1988. Con la nazionale ha partecipato agli Europei del 1984 e alle Olimpiadi di Los Angeles dove ha vinto la medaglia di bronzo. Con l’Hajduk ha partecipato alla stagione d’oro nella Coppa Uefa nel 1984 quando per un soffio i dalmati non arrivarono nella finale, “grazie” al Tottenham. Una carriera iniziata come attaccante puro e finita come grande, possente terzino, non importa di che fascia. Quanto basta per renderlo famoso. Robert Jarni, si è messo in luce sia nel calcio sia nel calcetto Robert Jarni è stato uno degli ultimi grandi difensori dell’Hajduk. Nazionale croato sia di calcio, sia di calcetto, una vera rarità. Robert Jarni nasce a Čakovec il 26 ottobre 1968. I primi passi li compie nella squadra della città natia, l’MTČ. Nel 1985 arriva a Spalato e solo un anno dopo avviene il suo debutto in prima squadra al Trofeo Marjan. Per l’Hajduk gioca come seniores per cinque anni fino al 1991. In totale per lui 232 presenze e 48 reti. Due i trofei vinti con l’Hajduk: due coppe Jugoslavia nel 1986/87 e 1990/91. Una volta lasciato l’Hajduk comincia il suo girovagare per l’Europa. Prima tappa è l’Italia, ovvero il Bari. Dopo due anni passa a Torino, prima nel 1993 per un anno tra i granata e poi pure per un anno per la Juventus. Con la Juventus vince sia lo scudetto che la Coppa Italia. Nell’estate del 1995 va in Spagna. Prima per tre anni è membro del Real di Betis e dopo per un anno, dal 1998, del Real di Madrid con il quale vince la coppa Intercontinentale. Seguono due stagioni al Las Palmas e poi in Grecia con il Panathinaikos. Nella sua lunga carriera ha giocato pure per la nazionale del mondo. Con la nazionale juniores della Jugoslavia ha vinto nel 1987 i campionati mondiali. Ha giocato per la nazionale della Jugoslavia collezionando un totale di sette presenze e una rete. Da segnalare la sua partecipazione ai mondiali italiani del 1990. Seguiranno altri due mondiali con la Croazia nel 1998 (dove ha vinto la medaglia di bronzo) e nel 2002. Con la nazionale della Croazia ha esordito nel 1990 e ha chiuso ai mondiali del 2002. Per lui pure la partecipazione agli Europei del 1996. Per la nazionale croata ha disputato 81 partite e segnato una rete (pesante visto che è stata segnata ai mondiali del 1998). Per sei anni dal 2000 al 2006 è stato il giocatore con più presenze in nazionale. Robert Jarni Da non dimenticare pure la sua carriera di giocatore di calcetto coronata con svariati successi a livello nazionale con il MNK Split e coronata nel 2003 pure con diverse presenze nella nazionale. 5 re pure a livello nazionale ed internazionale diversi sono stati inevitabilmente «saltati». Come non ricordare: - Aljoša Asanović nazionale della Croazia (62 presenze, terzo posto ai mondiali in Francia) e della Jugoslavia - Zoran Simović portiere 10 volte in nazionale della Jugoslavia - il difensore e oggi selezionatore della nazionale della Croazia, Slaven Bilić (44 presenze, terzo posto ai mondiali in Francia) - l’attaccante Ivica Mornar (22 presenze) - l’attuale portiere della nazionale Stipe Pletikosa (60 presenze) - il polivalente Igor Štimac, giocatore, allenatore, direttore ed al- Stipe Pletikosa tro (53 presenze, terzo posto ai mondiali in Francia) - Igor Tudor (55 presenze, terzo posto ai mondiali in Francia). Ivan Pudar, un grande portiere purtroppo vittima di molti infortuni Grande portiere dell’Hajduk degli anni ’80. Ivan Pudar nasce a Zemun il 16 agosto 1961 e inizia la sua carriera nelle file dello Jadran di Castel San Giorgio (Kaštel Sučurac) dove passa la trafila dei pulcini e dei cadetti. Viene notato dall’Hajduk e nell’estate del 1979 viene chiamato a militare nelle fine della compagine spalatina. Subito arriva il primo successo: come nazionale juniores conquista gli Europei di categoria. Nel 1980 arriva il suo debutto in prima squadra e già nella seconda partita ufficiale si mette in luce per alcune ottime parate ad Amburgo in Coppa Campioni. Per lui una carriera fulminea. Gia nel 1982, a due anni dal debutto seniores, viene chiamato ai campionati mondiali in Spagna. Anche se rimane sempre in panchina è un’esperienza da ricorda- Ivan Gudelj, un campione «bloccato» dall’epatite Ivan Gudelj ha chiuso la carriera calcistica a soli 26 anni, ma dietro di lui rimane un ricco carnet, pieno di successi. Nato a Imotski il 21 aprile 1960 è stato un centrocampista difensivo e nazionale jugoslavo. La sua carriera comincia nel Mračaj di Runovići, all’epoca la più importante società dell’Imotska krajina. Il balzo decisivo nella sua carriera avviene nell’estate del 1975 quando su raccomandazione di uno degli allenatori delle sezioni giovanili passa all’Hajduk. Solo un anno dopo Josip Duvančić lo prende in prima squadra. Il suo debutto avviene al trofeo Marjan nel 1977. La prima rete un anno dopo, nel 1978 contro il Budućnost di Titograd. In totale per la prima squadra dell’Hajduk ha disputato 362 partite segnando 93 reti. Passa tutte le nazionali giovanili. È capitano della nazionale juniores che vince nel 1979 i campionato europei ed è l’uomo guida della nazionale che nel 1980 partecipa ai mondiali in Giappone. Nello stesso anno prende parte alle Olimpiadi di Mosca. Nella nazionale seniores debutta il 10 settembre 1980 contro il Lussemburgo, mentre l’ultima partita la disputa il 19 maggio 1986 contro il Belgio. In totale 33 presenze e tre reti. Nel 1982 entra nella storia della nazionale della Jugoslavia come il più giovane capitano, a soli 22 anni. La sua carriera è davvero fulminea e raggiunge l’apice nel 1982 quando diversi giornali dell’ex Jugoslavia lo proclamano miglior calciatore della Jugoslavia e la Slobodna Dalmacija lo proclama miglior sportivo della Dalmazia. Nello stesso 1982 partecipa ai Mondiali di Spagna e il giornale francese Equipe lo inserisce nella squadra ideale. Come capitano è pure alla testa della nazionale agli Europei del 1984. Nel suo Hajduk ha giocato in praticamente in tutte le posizioni e ha assaporato pure la gioia di vincere un campionato nel 1978/79 e due Coppe Jugoslavia nel 1983/84 e 1986/87. A livello internazionale nelle competizioni per i club con l’Hajduk ha giocato i quarti di finale della Coppa Campioni nel 1980, i quarti nella Coppa Coppe nel 1978 e le semifinali della Coppa UEFA nel 1984. Poco prima del ritiro aveva ottenuto parecchie offerte dall’estero tra cui spiccava quella del Real Madrid che gli aveva offerto un contratto preliminare ben tre anni prima del possibile passaggio, che all’epoca era fissato ai 28 anni d’eta. Però Gudelj lo aveva rifiutato. L’ultima partita ufficiale l’ha giocato il 13 settembre 1986. Per affaticamento totale è stato sostituito nell’intervallo da Adamović. Dopo un po’ è arri- re. Due anni dopo, nel 1984 partecipa come portiere titolare alle Olimpiadi di Los Angeles dove la Jugoslavia conquista la medaglia di bronzo. Ha percorso tutta la trafila delle nazionali dell’ex Jugoslavia. Però anche se la sua esperienza con la nazionale seniores è lunga, alla fine colleziona solo una presenza, quella alla Coppa Nehru nel 1985 in una partita contro la Cina il 29 gennaio. Con l’Hajduk ha vinto due coppe nazionali: 1983/84 e 1986/ 87. È stato pure portiere titolare nella grande stagione 1985/86 quando l’Hajduk è arrivato ai quarti di finali della Coppa Uefa. In totale la statistica fa registrare per lui 286 partite e quattro reti. Praticamente al culmine della sua carriera, nel 1986, è stato vittima di un gravissimo incidente stradale. Tanto grave da tener- lo lontano dai campi di calcio per ben 14 mesi. Rimessosi, per sei mesi ha giocato per il Spartak di Subotica. Tornato subito a Spalato vi è rimasto fino al 1990. Infine è arrivata pure l’esperienza internazionale tutta in Portogallo, prima al Sao Joao da Madeira e poi al Boavista di Porto. Però alla fine gli infortuni sono diventati troppi e ha deciso di chiude anzitempo la carriera di calciatore. Secondo molti una carriera che doveva essere migliore se non ci fossero stati tanti infortuni. Decise subito di intraprendere la carriera di allenatore. Un carriera iniziata in squadra di secondo livello come Omiš, Val, Uskok Klis, Solin Građa e Mosor di Žrnovnica. Ci furono pure tappe dove allenerà le squadra giovanili dell’Hajduk. Il grande successo arriva nella stagione appe- Ivan Pudar na conclusa. Inizia con il Šibenik che porta a fare un strepitoso campionato. Prima del 26 turno arriva la chiamata dell’Hajduk, in piena crisi. Pudar non ci pensa molto e accetta la sfida che i media davano per sicura per il prossimo anno. Zoran Vulić, un autentico jolly che si è fatto valere in diversi ruoli Ivan Gudelj vata la diagnosi: epatite B! Dopo svariate cure è sempre tornato sui campi di calcio ma prematuramente visto che la malattia tornava sempre. Capendo che ormai non c’era nulla da fare si è ritirato a soli 26 anni. Avendo il calcio nel sangue ha deciso di proseguire come allenatore. A soli 27 anni su raccomandazione di Miljan Miljanić è diventato selezionatore della nazionale Olimpica. In seguito ha diretto il Primorac di Stobreč che ha portato allo storico traguardo della Prima lega. Poi è stata la volta dello Zadar, degli austriaci del Vorwarts Steyer e del Dubrovnik. Infine è diventato allenatore e selezionatore delle nazionali giovanili della Croazia. Ruolo che ricopre tutt’ora. Nel frattempo una breve parentesi di allenatore del suo Hajduk, ma per soli 10 turni, la scorsa stagione. La famiglia Vulić è stata sempre legata al mondo del calcio e in primo luogo, da vera famiglia spalatina, all’Hajduk. Il padre di Zoran è stato portiere titolare della compagine dalmata per eccellenza, nella quale ha giocato dal 1951 al 1962. Ha disputato 339 partite e segnato ben 29 reti! Un’impresa per un portiere: ovviamente le reti sono state tutte messe a segno ai calci di rigore. Se il padre ha fatto molto, il figlio non è stato da meno. Zoran è cresciuto legato al mondo del calcio: da giovanissimo suo padre lo portava allo stadio. L’amore per il pallone era inevitabile. Nato il 4 ottobre 1961 a Spalato Vulić ha iniziato come attaccante per finire la carriera e rimanere ricordato come un ottimo difensore. Inizia a giocare a calcio per il Lavčević, oggi Dalmatinac; in parallelo si esibisce pure nelle giovanili dell’Hajduk. Si fa notare tanto che Tomislav Ivić lo chiama in prima squadra a nem- meno 18 anni, una rarità all’epoca. Il debutto nella stagione 1979/ 80 nella partita contro il Partizan, come centravanti! Essendo un giocatore polivalente, dotato di un’ottima visione del gioco. con il passare degli anni ricopre tutti i ruoli, meno quello del padre: in altre parole non ha mai fatto il portiere. Con l’Hajduk ha vinto tanti trofei. Ha vinto la coppa Jugoslavia in due occasioni: 1983/84 e 1986/87. In Croazia ha vinto due campionati: 1993/94 e 1994/95 e la coppa nel 1994/95. In totale nel suo carnet ci sono ben 417 partite giocate e 84 reti segnate. Nell’estate del 1988 è andato a giocare all’estero. Per prima per tre anni ha giocato in Spagna nella file del Mallorca. Prima del ritorno a casa ha trascorso due anni in Francia, nel Nantes dove per un breve periodo è stato pure capitano. Per la nazionale jugoslava ha giocato 25 volte segnando una rete. Ha debuttato il 30 aprile 1986 contro il Brasile per finire il 16 maggio 1991 a Belgrado contro le Far Oer. Un anno prima, la sua unica presenza ai Mondiali, quelli italiani. È riuscito a giocare pure per la nazionale della Croazia. In totale tre presenze, tra cui quella prima partita storica disputata a Zagabria contro gli Stati Uniti il 17 ottobre 1990. Finita la carriera di calciatore, Vulić è rimasto legato al mondo del calcio in primo luogo come allenatore. Le prime esperienze le ha avuto nella scuola calcistica dell’Hajduk, fino al 1997 quando è stato chiamato a dirigere la prima squadra nelle ultime cinque partite. Nel 2000 è stato di nuovo chiamato a reggere le sorti della prima squadra. Ed è stato un successo, visto che ha portato la squadra a vincere lo scudetto. Tre anni dopo ha fatto il bis, anche se è stato esonerato a tre turni dalla fine. Una vittoria pure nella Coppa Croazia conquistata nel 2002/03. Zoran Vulić La sua ultima esperienza sulla panchina dell’Hajduk al 25.esimo turno del campionato appena concluso. Per Vulić un rapporto molto tormentato, ma il suo legame d’amore con l’Hajduk non è mai venuto meno. 6 dalmazia Sabato, 9 giugno 2007 ONDA BLU Viaggio nelle bellissime isole della Dalmazia centrale, ricche di storia, La Civitas Vetus conserva l’orgoglio della primogenitura di Giacomo Scotti S empre sul lungomare, partendo dall’Arsenale e andando verso Sud, si arriva in località Sridnji Rat, un promontorio emergente fra due insenature, sul quale sorge, accanto all’antica rustica chiesa di santa Croce, il Convento francescano. Siamo di fronte a un complesso che comprende l’annessa chiesa della Madonna della Misericordia. La costruzione del convento cominciò nel 1461 e si concluse tre anni dopo, quella della chiesa si protrasse dal 1465 al 1471. Nel 1479 fu costruito il chiostro conventuale in stile rinascimentale. Altre opere complementari si protrassero fino al 1489, anno scolpito al limite dell’arco di volta all’entrata del chiostro. All’inizio del XVI secolo fu innalzato il campanile (il più antico della città) e nello stesso secolo, esattamente nel 1574, la chiesa subì un restauro per riparare i danni causati dall’irruzione dei Turchi nell’agosto di tre anni prima. Sulla facciata della chiesa, nella lunetta, si vede il rilievo della “Madonna con Gesù”, opera di Nicolò Fiorentino all’epoca sotto l’influsso del grande Donatello. La navata centrale è divisa in due parti dal monumentale jubè dorato somigliante a un’iconostasi. Gli stalli del coro sono in stile rinascimentale, opera di artisti dalmati. Sull’altare maggiore e sui due altari appoggiati sul lato occidentale del jubè si vedono dipinti del pittore veneziano Francesco da Santacroce, tre polittici del 1583. Sullo stesso lato per tutta la lunghezza dell’iconostasi, sovrastando i due altari e la monumentale porta che, nel mezzo, porta al coro, si susseguono sei scene del martirio di Cristo. Altri quadri di notevole valore sono “San Francesco che riceve le stimmate” di Palma il Giovane, nella navata centrale, l’ “Ecce homo” di un anonimo pittore dell’Italia settentrionale, due icone della scuola italo-bizantina e un “San Diego” che forse è di Decimosesto, con i colori di un Veronese e la luce di un Tintoretto. A questo dipinto è legata una leggenda. Dice che a bordo di una nave in viaggio dalla Dalmazia per Venezia si trovava un passeggero gravemente ammalato, il pittore. Era stato colpito da un male infettivo, per cui i marinai lo scaricarono sulla riva di Lesina abbandonandolo al suo destino. Sfinito dal male, l’uomo errò per la città bussando di casa in casa, ma le porte rimasero chiuse oppure venivano rapidamente serrate quando egli si avvicinava. Si temeva la peste. Allo stremo delle forze, il pittore raggiunse finalmente il convento francescano. I frati gli aprirono la porta, lo accolsero, lo curarono, lo sfamarono, lo guarirono. Per esprimere loro la sua immensa gratitudine, il pittore dipinse gratuitamente quell’ “Ultima cena” nella quale tutte le figure sono in grandezza naturale e sembra che parlino, tanto sono vive. La leggenda aggiunge che l’ultimo apostolo sul lato sinistro della tavola è l’autoritratto del pittore. Il quadro è siglato, e la sigla, letta MATT, fu attribuita a Matteo Ingoli. Nel corso della seconda guerra mondiale, per impedire che il quadro cadesse in mano ai Tedeschi dopo il ritiro dall’isola delle truppe italiane in seguito all’armistizio del settembre 1943, i partigiani impacchettarono attentamente la tela e la portarono al sicuro sull’isola di Lissa e di lì in Italia. Nel dopoguerra è stata rimessa all’antico posto, vestalmente custodita dai francescani. La collezione francescana comprende numerose altre tele, delle quali meritano menzione: “Il fidanzamento di santa Caterina” di Biagio da Traù (XV sec.), la “Deposizione dalla Croce” di ignoto del XVI secolo, la “Testa di Cristo” dello stesso secolo, “San Vincenzo Ferrer”, opera del Tiepolo, “San Pietro di Alcantar” del XVIII secolo, una “Madonna” del secolo Decimosettimo. Fra i rilievi in Cittavecchia Palma il Giovane. Nella cappella di Nord-Est, con un recinto marmoreo, spicca un crocifisso di Leandro Bassano. Il sepolcro sotto l’altare maggiore è del poeta Annibale Lucio-Lučić. Convento francescano: il refettorio oggi è un museo Dalla chiesa, per una porta secondaria, si entra nel chiostro nel quale si vede la massiccia vera del pozzo su un postamento quadrato. Il pozzo può contenere 300 mila litri di acqua. L’acqua veniva fornita anche alle navi ed alla cittadinanza attraverso un canale di cui si vedono tuttora le tracce davanti alla chiesa, nel muro dell’orto sotto i pini. Dal chiostro si passa nel refettorio del convento, oggi museo. Un’intera parete è coperta dalla maestosa tela dell’“Ultima cena” che ha reso celebre Lesina. Lungo otto e alto due metri e mezzo, il dipinto è attribuito dai critici moderni al ravennate Matteo Ingoli (15851631), mentre prima era stato considerato opera di Matteo Rosselli. Non manca però chi vede nel quadro un capolavoro di Palma il Giovane aiutato dai suoi discepoli. Il quadro risale all’epoca di transizione fra il XVI e il XVII secolo, l’intera gamma espressiva rivela la tarda pittura veneziana del secolo legno risaltano l’Annunciazione, San Giovanni (cromato in oro, XVI sec.), San Girolamo. Tra le rarità bibliografiche ci sono un breviario del XV secolo, un Corano del XVII secolo, l’Atlante di Tolomeo stampato nel 1524 a Norimberga, un portolano del Mar Caspio del 1595, cinque antifonari miniati del XV secolo. A questi preziosi oggetti si aggiungono bellissimi ricami del secolo Decimoquarto e del periodo barocco, una collezzione numismatica di monete coniate a Lesina. Ben 53 incunaboli si contano infine nella grande biblioteca i cui inizi risalgono alla costruzione del convento. In una sala speciale è sistemato l’Archivio. Un cipresso secolare spicca, fra piante esotiche, nel giardino del convento, il cui muro di cinta risale al 1545. Le cappellette barocche che dalla città portano al convento furono fatte costruire da Marino Capello, comandante della flotta adriatica nel 1720. A Lesina numerosi i monumenti sacri Altri monumenti sacri di Lesina sono la Chiesa di s. Spirito in Città, la chiesa e il Convento benedettino femminile, la Chiesa dell’Annunziata in Borgo. Quest’ultima è del XV secolo con una facciata rinascimenta- Lesina le sulla quale si ammira la lunetta col rilievo dell’Annunciazione che rivela la mano o l’influsso di Nicolò Fiorentino. Un dipinto raffigurante la Madonna, del XVI secolo, è posto sull’altar maggiore, mentre una santa Barbara di scuola veneziana e magnifici candelabri da processione si vedono sull’altare sul lato destro. La chiesa di santo Spirito, secolo Decimoquinto, ha un interessante arco spezzato sul portale e una figura romanica di santo al posto della lunetta; la rosetta è fuori dall’asse dell’edificio. Nell’interno si vedono un dipinto d’altare di Alessandro Varotari di Padova (1580-1650) e un piccolo quadro del Boschetus del XV secolo, la “Discesa dello Spirito Santo”. Chiesa e convento benedettino femminile si trovano nella Villa di Annibale Lucio, situata nella parte orientale della città, fuori le mura, un complesso rinascimentale ammirevole, sede del Centro per la tutela del patrimonio culturale di Lesina. Il complesso rappresenta la più pura creazione artistica di Lesina nel secolo Decimosesto. Consta di un alto pianoterra rappresentativo con loggia, cantina e terrazza sovrastata da un pergolato circondato da colonne di pietra, il tutto meravigliosamente inserito in un giardino nel mezzo del quale sorge il pozzo. Dal tutto emana la luminosità rinascimentale. Non è una villafortezza come quella di Ettoreo che incontreremo a Cittavecchia nè un palazzo suburbano dal quale il padrone poteva vigilare il podere circostante, ma un alloggio non sfarzoso, nè grande, armonioso, sereno, grazioso, per trascorrervi i giorni d’estate nel verde, con accanto una casetta per i servitori che oltre alla villa badavano anche al giardino. Questa villa del patrizio scrittore, autore delle più belle poesie d’amore ai primordi della letteratura croata, autore del primo dramma profano in lingua croata, vissuto fra il 1485 e il 1553, passò in eredità a suo figlio Antonio e dalla moglie di costui, Giulia Mazzari, fu lasciata in legato ai benedettini. Questi, al tempo del vescovo farense Milani (1644-1667), vi costruirono la chiesa e il convento in stile barocco, con una facciata ornata da motivi araldici. Nell’interno della chiesa si trova un notevole quadro di Liberale Cozza del 1750. Il Palazzo vescovile Concludiamo con una visita a uno degli edifici che sono all’origine della nuova città sorta su quella antica: il Palazzo vescovile, già convento benedettino. Fra le molte date incise a ricordo di restauri e riparazioni susseguitisi per secoli ve n’è una del 1249. I mobili delle sale sono in parte del XVIII e in parte del XIX secolo, risalenti questi all’ultima ricostruzione del 1870. La maggiore biblioteca dell’isola, la Biblioteca del Capitolo, insieme all’archivio capitolare, è sistemata in una sala sopra la sacrestia. La fondò nel 1461 il vescovo Tommasini. Certamente non abbiamo visto tutto quello che meriterebbe di essere ammirato. Chi ne ha voglia, per esempio, può raggiungere fuori città la località di Kameni Križ (letteralmente: Croce di Pietra) ed ammirare un gigantesco crocifisso scolpito sulla roccia nel XVI secolo, gettando nell’occasione, da quel punto, uno sguardo d’insieme sul bellissimo panorama della città. Ma è anche necessario concedersi un po’ di riposo, in vista del viaggio attraverso le altre località dell’isola – per cui consigliamo una sosta in uno dei boschetti di pini, o fra le palme, i pini, i gelsi, i tamarindi, le agave e le aloe del lungomare, del quale un tratto che porta al convento francescano, è chiamato “Viale egiziano”. Gite nei dintorni Percorrendo il lungomare, passando davanti al convento francescano, con una passeggiata di un chilometro e mezzo, o facendo in barca un miglio e mezzo di mare, si arriva a Pokonji dol, una insenatura adatta per i bagni. Una passeggiata “obbligatoria” è da farsi fino a Capo Pellegrin. Si va dalla Fortezza al porto dei traghetti di Vira a Nord e, più avanti, fino alla vecchia vedetta austriaca di Smokovnik sul dorsale della penisola che termina appunto con Capo Pellegrin. Questo è nudo, ma la penisola è coperta da un meraviglioso bosco. In questa zona si trova la preistorica grotta Markova Spilja, che ha fornito agli esploratori-archeologi eccezionali reperti a testimonianza della vita dei cavernicoli. Ci si arriva ovviamente anche per mare; la grotta si apre proprio presso l’approdo della baia di Parja. Sul lato meridionale della penisola, attraversando una piccola galleria, si arriva all’albergo “Sirena” alle baie di Vela e Mala Grčka (letteralmente: Grande e Piccola Grecia) che nel Medio Evo servivano da rifugio a galee e velieri. Il richiamo alla Grecia insito nel nome dalmazia 7 Sabato, 9 giugno 2007 cultura e monumenti di valore (21 e fine) delle baie e soprattutto il suono di quello di Parja così simile a Pharia, dovrebbero farci capire che siamo nella zona in cui sorse la prima colonia ellenica sull’isola; siamo infatti nella zona di Cittavecchia/Stari Grad. Via terra, partendo da Lesina città, vi si arriva percorrendo la camionabile che attraversa e costeggia la valle di un torrente asciutto, toccando i villaggi di Brusje, Grablje e Selca. Avviamoci. Poco prima di toccare il primo villaggio si vedono sulla destra della strada le rovine di una cinquecentesca villa estiva patrizia, Njivice. Al quinto chilometro dalla partenza s’incontra Brusje, un villaggio costruito all’inizio del Cinquecento da pastori che decisero di abbandonare le loro capanne sparse in collina e riunirsi. Ospitalissimi, per permettere ai pescatori di compiere i loro doveri religiosi anche quando si trovavano fuori di casa, costruirono nel 1569 a proprie spese una chiesetta dedicata alla Vergine Maria del Rosario nella baia di Vela Vira che serviva da porto sussidiario di Lesina città. Di quella chiesetta restano le rovine. Al 1731 risale la chiesa parrocchiale, due volte ampliata, sulla cui facciata si vede un san Giorgio a cavallo. All’interno vi è un notevole quadro d’altare – “Sant’Antonio abbate ed altri santi” – di B.Zelotti (1532-1592) qui portato dal convento domenicano di Lesina. Un altro quadro, sull’altare maggiore, raffigura san Giorgio a cavallo con sullo sfondo le isole di Brazza e Solta e il canale di Spalato, opera del pittore contemporaneo Ivo Dulčić nativo di Brusje. Si ammira poi la villa estiva del vescovo Bonajuti (1736-1759) costruita a forma di padiglione, oggi casa parrocchiale. Famosi gli olii aromatici Dal poggio sul quale sorgono questi edifici si ha una bella vista sul panorama circostante pressocchè interamente ricoperto da folte macchie di sempreverde rosmarino, di lavanda e di piretro. Brusje è famosa per la produzione di olii aromatici ed essenziali. Le distese di questi frutici, piante e fiori profumatissimi che crescono spontanei in vicinanza del mare (e il nome stesso di rosmarino – da ros marinus – significa “rugiada di mare” – corrono fino a Grablje ed oltre. Di cinque “cooperative di rosmarino” sorte in Dalmazia all’inizio del XIX secolo, quattro avevano sede nell’isola di Lesina:Brusje (fondata nel 1903), Grablje, Piccolo Grablje e Sveta Nedija/Santa Domenica, producendo fino a 120 vagoni all’anno di solo rosmarino disseccato. I contadini di Brusje, quando comincia la stagione della falciatura del rosmarino, traslocano sui terreni e vi restano fino alla conclusione dei lavori senza tornare a casa. Ovunque, sulla costa dalmata e sulle isole, non ci sono nozze senza rosmarino, ma sull’isola di Lesina che ne è la patria, gli sposi e gli ospiti si adornano di felci qui molto rare. Poco dopo Brusje, a sinistra della strada, ecco le rovine di un’altra villa patrizia estiva, Moncirovo. Cinque chilometri più avanti, il villaggio di Velo Grablje. Sorse nel Tredicesimo secolo in seguito all’insediamento di due famiglie patrizie, gli Ozori e i Gazzari. Se si vuole fare una passeggiata seguendo il letto asciutto di un torrente, si arriva a Malo Grablje, due chilometri più in basso; sembra un covo di pirati, completamente circondato da rocce. In realtà è un villaggio abbandonato, la popolazione si è trasferita in nuove abitazioni nell’assolata baia di Milna, che raggiungeremo anche noi, ma seguendo la via del mare. Riprendendo la strada che da Velo Grablje por- ta a Cittavecchia arriviamo allo spartiacque di Ozrin a un’altezza di 400 metri, da dove la strada scende nell’abitato di Selca (significato: piccolo villaggio) che rimane sulla destra. Di qui si può compiere un’escursione sulla Gomilica che è la massima vetta dell’isola, più comunemente detta di san Nicolò. Continuando invece da Selca per alcuni chilometri in discesa si arriva nella piana di Ploča da dove si entra finalmente nella prima città sorta nell’isola. Una storia intessuta di polemiche roventi Un capitolo molto interessante potrebbe essere la storia della storia della cittadina di Cittavecchia/Starigrad (e dell’isola), intessuta di polemiche, a cominciare dall’opuscolo “Lettera del signor dottor Giulio Bajamonti sopra alcune particolarità dell’Isola di Lesina” pubblicato a Napoli nel 1790. Per arrivare agli “Studi storici sull’isola di Lesina” di Giacomo Boglić (Zara 1873) ed alla “Corrispondenza archeologica fra Matteo Capor da Curzola a Pietro Nisiteo da Cittavecchia” (Zara 1887). Qui ci limitiamo soltanto a una controversia fra gli storici Šime Gliubich e Giovanbattista Machiedo. Quest’ultimo sosteneva che l’antica Pharos era sorta a Lesina-città, ereditandone il nome, (articolo “Pharia, Città Lesina e non Città-vecchia” ne “La Dalmazia”, 30-33, Zara 1846); il secondo controbatteva nella “Gazzetta di Zara” (73-75/1846) con la “Risposta all’articolo” eccetera, sostenendo, giustamente, che Pharia era sorta a Cittavecchia; e scriveva sull’argomento un opuscolo: “Faria Città Vecchia e non Lesina” che sarà pubblicato a Zagabria nel 1873. Cittavecchia/Starigrad conta circa 1400 abitanti, sorge nella baia, profonda 6 chilometri che da essa prende il nome, nella sua estrema parte orientale. Pur essendo stata spodestata nel ruolo di capoluogo dell’isola, alla quale ha dato il nome ed a sua volta perdendolo, la Civitas Vetus conserva l’orgoglio della primogenitura e, grazie alla sua attività di centro marittimo e commerciale, fino a pochi decenni or sono è stata la borgata con il maggior numero di abitanti dell’isola. Numerosi reperti archeologici Oltre a numerosi reperti archeologici (tombe, epigrafi, monete con le effigi di pino, di capra e di vasi), si sono conservati undici metri delle mura di cinta greche in via dei Ciclopi: grandi blocchi di pietra a secco. Altri resti della cinta perimetrale si vedono dietro la chiesa di san Giovanni. Pietre delle mura vennero inoltre immurate nel XVII secolo nelle fondamenta del campanile della chiesa parrocchiale. Una iscrizione sul campanile ricorda che esso sorge nel punto in cui si apriva la porta d’entrata alla città di Pharos dal mare: dederunt huius primordia molis de moenibus urbis reliquiae et quae dederat gressum in urbem janua. È chiamato “greco” dal popolo un pozzo posto in uno dei giardini al centro dell’antica città… Al periodo romano ci richiama un’iscrizione immurata nella scalinata della chiesa di san Rocco, sotto la quale c’erano le terme. Visitando in seguito altre chiese troveremo tracce dell’epoca romana paleocristiana. Cittavecchia continuò a prosperare Dopo il rapido sviluppo di Lesina città, continuò a prosperare anche Cittavecchia: ad essa faceva capo il commercio dei prodotti agricoli della fertile vallata della parte Nord dell’isola. Al fiorente commercio, soprattutto del vino nella seconda metà del XIX secolo, si aggiunse la marineria. Nell’anno 1830 Cittavecchia registrava 40 velieri di piccolo cabotaggio e nel 1890 sei velieri di lungo corso e 28 di navigazione costiera. Nel 1850 contava oltre tremila abitanti. Poi la crisi del vino e della navigazione a vela alla fine del XIX secolo provocarono emigrazioni in massa nei paesi d’Oltremare e quindi la riduzione del numero degli abitanti. Nel secondo dopoguerra c’è stata una lenta ripresa con la viticoltura, la piccola industria, il turismo. Una moderna cantina vinicola accoglie annualmente due milioni di litri di ottimo “Vugava”. Tre sono gli alberghi cui si aggiunge un villaggio di “bungalows”. La baia è un paradiso per i turisti nautici e i pescatori dilettanti, le numerose piccole insenature celano altrettante piccole spiagge. Cittavecchia di Lesina Il Battistero paleocristiano Ed ora una visita ai monumenti. Cominciamo dal Battistero paleocristiano accanto alla medievale chiesa di san Giovanni del XII secolo. Questa fu costruita sulle fondamenta di un tempio paleocristiano del VI o VII secolo dei quali si è appunto conservato il battistero che a sua volta era sorto sulle rovine di un tempio pagano. Il fonte battesimale, profondo 115 centimetri con due diramazioni a forma di croce, è stato parzialmente otturato per ragioni di sicurezza. La chiesa, già di Santa Maria, fu sede primaria del vescovo farense ed è il più antico luogo di culto cristiano sull’isola. La forma attuale è parzialmente gotica, l’abide e la pianta sono romaniche. La Chiesa parrocchiale di santo Stefano fu costruita nel 1605 sul posto di una precedente omonima chiesa. La piccola piazzetta sulla quale si affaccia, la facciata e il campanile del 1753, distaccato, creano un ambiente intimo e armonioso. Il pittore Francesco da Santacroce vi ha lasciato un bellissimo trittico raffigurante la Madonna, san Girolamo e san Giovanni Battista. Ammirevoli pure gli stalli del coro ed il fonte battesimale ereditato dalla precedente chiesa. Un rilievo del campanile raffigura un’antica nave oneraria. Interessante sotto il profilo architettonico è l’ex chiesa di san Girolamo rinascimentale, sulla strada che porta allo stabilimento balneare. Era parte integrante di un ospizio di religiosi glagoliti. Il Convento domenicano fu fondato nel 1482 e incendiato dai Turchi nel 1571, venne poi fortificato con torri laterali e un campanile. Nel 1893 fu costruita la nuova chiesa le cui dimensioni sproporzionate hanno rovinato l’armonia dell’insieme. In compenso l’interno si pregia di alcune notevoli tele: “San Giacinto” di Baldissera d’Anna, un “San Domenico con santi” di ignoto e un’eccezionale “Deposizione di Cristo nel sepolcro” del grande pittore veneziano Jacopo Robusti-Tintoretto. Raffigura un vecchio, una giovane donna, il poeta Pietro Ettoreo che fu il donatore e sua figlia Lucrezia. Sull’altare maggiore spicca un crocifisso ligneo, opera di scuola locale del Seicento. Un altro piccolo crocifisso, ottima fattura artigianale del veneziano Giacomo Piazzetta è del 1703. Nel convento si possono visitare il lapidario e, al piano sovrastante, una vecchia biblioteca e l’archivio, una collezione di quadri, una collezione numismatica e una raccolta di fossili. Una donna si fece immurare viva Non molto distante dal convento, sulla strada per il cimitero, sorge la chiesa di san Nicolò. Vi si trovano ex voto di marinai ed opere scultoree dell’artigianato artistico veneziano e di Antonio Porri. Nel XVI secolo una donna si fece immurare viva, per voto fatto al santo dei marinai, sullo spiazzo davanti alla chiesa. Cibandosi di quanto le forniva la pietà del popolo, rimase in quella terribile posizione di prigioniera fino alla morte. Pietro Ettoreo e «La pesca» Cittavecchia ha dato i natali al poeta Pietro Ettoreo-Hektorović (1487-1572) di famiglia patrizia. Fu coinvolto nei sanguinosi moti dei popolani del 1510 e del 1514, fu testimone di due incursioni turche sull’isola nel 1539 e 1571, viaggiò in Italia, tradusse le poesie d’amore di Ovidio, egli stesso scrisse poesie erotiche, ma il suo capolavoro resta il poema “Ribanje” (La pesca). Tra il 1520 e il 1569 si fece costruire un palazzo-fortezza che si conserva in tutta la sua mole nel centro della cittadina, con spiritose iscrizioni sulla facciata, una piscina circondata da un colonnato ad archi, il giardino. Sull’ingresso fece scrivere: “Petrus Hectoreus Marini filius proprio sumptu et industria ad suum et amicorum usum construxit”. L’acquario ha mantenuto il suo aspetto originario con pesci che vengono continuamente rinnovati. Anche il giardino è rimasto intatto, mentre l’interno dell’edificio, ad eccezione dell’atrio d’ingresso, ha subito trasformazioni. Nell’ala destra della villa-fortezza è sistemata una collezione etnografica. Davanti all’edificio c’è il busto del poeta. Fra le case di abitazione si distinguono quelle dei GelineoBervaldi, dei Bucic-Machiedo (Sei-Settecento), dei Politeo (Seicento). Pittoresca è la piazza “Skor”, nella parte orientale della città, tipica della concezione urbanistica barocca. Nel palazzo Bianchini (Juraj Bianchini, bano della Croazia, nato nel 1847 e morto nel 1928) è sistemata una Galleria d’arte con opere di pittori slavi contemporanei. Nello stesso palazzo si può ammirare una Collezione marittima: la “Camera del capitano”, la biblioteca, l’archivio della Capitaneria di porto di Cittavecchia, ritratti dipinti di illustri navigatori di tutta l’isola, dipinti di velieri, armi da fuoco che servirono per la difesa contro i pirati. Per mare. In motobarca, da Lesina città a Cittavecchia si arriva in tre ore; sono ventidue chilometri di mare, quasi il doppio di quanto se ne fanno via terra. Usciti dal porto di Lesina, si naviga nel canale lungo la costa con alla sinistra le Spalmadori, si doppia il Capo Pellegrin, estremo punto occidentale dell’isola, incontrando le biaette di Podstine, Mala Garčka e Vela Garčka; doppiato l’estremo punto occidentale dell’isola che è Capo Pellegrin con l’omonima baia, si passa sull’opposta costa dove, proseguendo verso oriente s’incontrano ancora le baie di Duga Luka con l’isolotto di Duga, Sokolica, Vela Vira. In questa località vi sono i resti di una villa vescovile del Cinquecento, le rovine di due cappelle, i ruderi di una villa rustica romana e di un ospizio francescano, tracce di castellieri illirici e necropoli. “La sistemazione concentrica dei tumulus – chiarisce lo storico Niko Duboković Nadalini – aveva un significato rituale, in quanto gli spiriti degli avi stavano a protezione, a guardia”. Dopo Vira viene la più boscosa di tutte le insenature, Jagodna. Sulla Punta Kosmaca c’è una suggestiva pineta. In località Carnica c’è una grotta carsica con sale sotterranee. L’insenatura di Stinica è il porticciolo del villaggio Brusje. Una maestosa gola annuncia poi l’ingresso al seno di Tatinja. Rocciosa è anche Grabovac seguita dall’insenatura di Lucisce con le rovine di ville patrizie e una cappella ben conservata. La successiva baia di Gračišće prende il nome dal sovrastante colle sul quale c’era una fortificazione preistorica. Un altro castelliere del secondo millennio a.C. sorgeva sulla penisoletta di Lompić che chiude la baia (vi sono state trovate ceramiche illiriche e dell’età classica). Stava a sentinella del golfo di Cittavecchia nel quale stiamo ormai addentrandoci. Costeggiamo altre baie (Radočindol, Konopljikova, Maslinica) con le residenze estive di patrizi e capitani di mare. Sul lato opposto del golfo ci saluta il promontorio di Kabal. 8 dalmazia Sabato, 9 giugno 2007 TURISMO Inaugurati il belvedere e il luogo per escursioni e gite di Kamenjak Rilancio per il lago di Vrana I l Parco della natura del lago di Vrana si è arricchito di nuovi importanti contenuti, in funzione turistica, che dovrebbero consentire la completa valorizzazione di quest’area dalla bellezza unica. Alla presenza dei dipendenti del Parco della natura, degli abitanti del comprensorio e dei rappresentanti delle Contee di Zara e di Sebenico e Knin, il ministro della Cultura Božo Biškupić ha inaugurato di recente il belvedere e il centro per escursionisti e gitanti di Kamenjak. Il lago di Vrana è una delle attrattive della Dalmazia centrosettentrionale, è stato inserito nell’elenco delle paludi di rivelanza mondiale. Con la realizzazione del belvedere è stata migliorata l’offerta turistica ed è stata permessa una migliore presentazione delle attività legate all’agriturismo nell’area del Parco della natura. La zona è stata arricchita con indicazioni turistiche, piste, ponti, nonché punti d’osservazione dai quali ammirare le varietà di volatiti che popolano l’area paludosa. Nel porticciolo di Prosika sono stati effettuati pure interventi per permettere un’accoglienza quanto migliore dei visitatori. Il belvedere e il luogo prediletto per le gite di Kamenjak sono ora i punti centrali cui fanno capo le visite turistiche nella zona del Parco della natura. Sono stati realizzati nell’ambito del progetto denominato “Sviluppo sostenibile del turismo nel Parco della natura del lago di Vrana e nei suoi dintorni”. Il costo del progetto è stato di 225mila euro: i fondi sono stati stanziati dall’Unione europea per il tramite del programma CARDS e dal Ministero della cultura di Zagabria. Dino Saffi Tante le manifestazioni e i progetti comuni Quarant’anni di amicizia tra Ragusa e la Provincia di Ravenna Dulcigno Fa gola la costa montenegrina Gli oligarchi russi all’assalto di Dulcigno CATTARO – Il Montenegro ha da poco conquistato la sua indipendenza politica, ma economicamente si sta ritrovando sotto a un padrone ben più potente di Belgrado: i magnati russi stanno investendo capitali in quantità specie lungo la costa adriatica, per assicurarsi il controllo del turismo, delle industrie più redditizie e delle infrastrutture. Il litorale montenegrino fa gola soprattutto al gigante dell’economia russa, il numero uno Roman Abramovich: ha in mente di trasformare parte della costa adriatica in una nuova Dubai dedicata al turismo di lusso: punta innanzi tutto all’acquisto della spiaggia di Velika Plaža, nella zona di Dulcigno (Ulcinj), una delle più suggestive della Dalmazia meridionale con i suoi 13 chilometri di litorale inconta- minato. L’asta verrà annunciata solo prossimamente, ma gli emissari del patron del Chelsea hanno già cominciato a comprare dai privati case e terreni nella zona, per mettere Abramovich in pole position rispetto ai due possibili concorrenti, la società ungherese Trigranit e un fondo di investimenti degli Emirati arabi uniti. Il Montenegro sta diventando, dunque, la spiaggia favorita dei ricchi russi: nel 2005, altri vari imprenditori hanno investito 73 milioni di euro in proprietà immobiliari, terreni, imprese commerciali e quant’altro. L’interesse russo, come sempre, fa lievitare i prezzi: negli ultimi dodici mesi il costo di un metro quadro di terra nella zona di Dulcigno è quintuplicato, passando da 50 a 250 euro. RAVENNA – Il 29 settembre 1967, l’allora presidente della Provincia di Ravenna, Giuseppe Gambi (in carica dal 15 marzo 1965 al 10 maggio 1968), e il sindaco di Ragusa (Dubrovnik), Nikola Grill, sottoscrissero il gemellaggio tra le rispettive istituzioni i cui territori s’affacciano sul mare Adriatico. “Prendiamo impegno di sviluppare ogni iniziativa atta a mantenere legami permanenti fra le rispettive comunità amministrate, a favorire una reciproca conoscenza e una diretta collaborazione sui singoli problemi di carattere economico, sociale e culturale e a contribuire al crearsi di una salda amicizia tra le genti”, si legge nel protocollo del 1967 che si chiude con queste parole: “Il presente patto, suggellato fra due enti territoriali appartenenti a Paesi con struttura sociale diversa, acquista valore nell’affermazione dei principi di democrazia, di autodecisione e di pacifica coesistenza”. A parte il riferimento ormai superato ai sistemi sociali diversi, sembrano parole scritte oggi, che non perdono assolutamente pregnanza politica. Quarant’anni dopo quel genellaggio presso il Palazzo della Provincia di Ravenna, si è tenuta una seduta straordinaria del consiglio alla presenza di ospiti illustri anche dalla Croazia. L’inizio della seduta solenne è stato preceduto, come avvenne quarant’anni fa a Ragusa (Dubrovnik), da un’esibizione del gruppo musici e sbandieratori del Rione Rosso di Faenza, nato negli anni Sessanta e conosciuto in tutt’Europa, davanti a 100 alunni della scuola elementare San Vincenzo de’ Paoli di Ravenna. Nell’ambito dei festeggiamenti per il quarantesimo anniversario del gemellaggio, in collaborazione con l’associazione Collegium Musicum Classense e i Comuni di Cervia e di Ravenna, si sono svolti due concerti del coro Libertas di Ragusa di- verde urbano come elemento importante per la qualità urbana, per uno sviluppo maggiormente sostenibile e per una promozione turistica integrata delle città della regione adriatica. Ragusa e la Provincia ravennate collaborano pure nel Progetto NAP, relativo alla valorizzazione delle aree Parco del- Ravenna retto da Viktor Lenert. “Le città di Ravenna e di Ragusa hanno entrambe ricevuto il riconoscimento dell’UNESCO come città patrimonio dell’umanità. Inoltre, la Municipalità di Ragusa è partner della nostra Provincia in diversi progetti finanziati con il programma comunitario INTERREG IIIA Transfrontaliero Adriatico 2000-2006” spiega il presidente della Provincia ravennate Giangrandi. Si tratta del Progetto B.A.R.C.A. relativo alla ricerca e conservazione dei Beni archeologici dell’Adriatico. Poi c’è il Progetto INFIORE, finalizzato alla messa in rete di territori dell’area adriatica per un’azione comune sul tema del l’Adriatico: tra cui le riserve naturali presso Ragusa. Obiettivo principale del progetto è la valorizzazione della vocazione eco-turistica e la fruizione ecocompatibile aumentando l’attrattività della regione adriatica. Infine, il Progetto FAREADRI col quale s’intende contribuire al rafforzamento della rete istituzionale dei rapporti fra le due sponde del mare comune. A seguito del kick-off meeting organizzato dalla Regione Emilia-Romagna (lead partner del progetto) è stato fissato l’incontro a Ragusa per il mese di ottobre su tre importanti tematiche: turismo, cultura e trasporti (sia aereo che marittimo). Anno III / n. 6 9 giugno 2007 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: DALMAZIA Redattore esecutivo: Dario Saftich / Impaginazione: Andrea Malnig Collaboratori: Giacomo Scotti, Dino Saffi e Igor Kramarsich Foto: Ivo Vidotto