-
ANNO XLI N. 1
GENNAIO 1993
MENSILE DELL'AICCRE
ASSOCIAZIONE LINITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI
dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale
Non anarchia autonomista,
ma coesione federale
di Fabio Pellegrini
Un contributo all't:'uropa dei cittadini,
nei pieno rispetto del principio di sussidiarietà
Gustave Doré, incisione, Gli slums, alloggi popolari di Londra
7
Iacp, intervento nella periferia romana, il «dinosauro» di Corviale
Sangue freddo e nervi al posto! La crisi politica che stiamo vivendo in Italia è già ad un alto livello di pericolosità e le preoccupazioni
aumentano anche perché all'esterno del nostro Paese non esistono più situazioni di riferimento ed ancoraggi sicuri, ma anzi si manifestano incipienti sintomi di incertezze e diminuite solidità democratiche: ovunque scandali, instabilità dei governi, per non parlare
poi delle situazioni nell'Europa centrale ed
orientale, rimanendo al Continente europeo.
I1 clima nel nostro Paese rimane, rispetto al
resto dell'Europa, il più grave, confuso ed il
più pericoloso. Prevale lo spirito di rivalsa di
chi ha subito dei torti o dei presunti danni,
insieme al tentativo di «sparare» sugli altri
per rifarsi una verginità rispetto ad un passato compromesso. Una forma di «iugoslavizzazione» sociale che alimenta una lotta di tutti
contro tutti e tutto, una frammentazione sociale che si riverbera su quella politica. La società reagisce con un certo fondamentalismo
forcaiolo e giustizialista orientandosi verso
nuovi movimenti e nuove aggregazioni politiche caratterizzate non sempre da un sufficiente senso di responsabilità generale, che
possono condurre a travolgere, insieme ai politici implicati nei tanti scandali di corruzione, anche le istituzioni democratiche.
I1 popolo manifesta il proprio disagio ed il
profondo disappunto di fronte ad uno spettacolo triste e decadente, ma al tempo stesso
sconcertato e smarrito può diventare pronto
a sostenere le posizioni semplificate e demagogiche che possono apparire più convincenti
al momento e che possono sembrare ridare la
speranza di una via d'uscita anche se nelle direzioni più svariate e contradditmrie.
I primi segnali di volontà politica rinnovatrice e risanatrice devono venire dalle istituzioni, in primo luogo dal Parlamento. In questo senso le massime autorità istituzionali dimostrano auesta consa~evolezzaed agiscono
di conseguenza. Ogni soluzione politica del-
l'operazione «mani pulite» deve comprendere
la condanna dei colpevoli, ma il futuro dipenderà dalla modifica dei meccanismi e delle regole in modo che determinino la selezione dei
nuovi dirigenti olit ti ci e del governo delle
istituzioni. I n primo luogo la questione delle
preferenze nelle elezioni. Se solo per essere
eletti al Consiglio Comunale di una grande
Città, necessitano centinaia di milioni di lire
(e qualche miliardo per l'elezione al Parlamento), o si ha una selezione antidemocratica, potendo competere solo chi dispone di
grandi patrimoni, o i candidati devono trovare quelle risorse con qualsiasi mezzo e a qualsiasi condizione; in quest'ultimo caso saranno
gli onesti ad essere danneggiati e bocciati.
Una nuova legge sul finanziamento pubblico
ai partiti ed una chiara e rigorosa normativa
sugli appalti pubblici, sono complementari ed
urgenti per svolgere una efficace azione moralizzatrice.
La nuova legge elettorale, oggi, è necessaria non tanto e perché quella «proporzionale»
non sia valida in via di principio, anzi è senz'altro quella che garantisce la maggiore rappresentatività degli orientamenti politici,
quanto perché la legge elettorale avendo una
funzione strumentale deve corrispondere ed
adattarsi alle esigenze dei tempi e alla natura
dei problemi ed oggi c'è bisogno di frenare
sia le conseguenze politiche negative derivanti dalla eccessiva frammentazione sociale, sia
d i avere nuove regole del gioco che ricompongano gli orientamenti politici dispersi, verso
nuove aggregazioni, nuove alleanze, nuove
persone ed evitare di precipitare in un caos
ingovernabile.
Una legge elettorale intesa nel suo fine strumentale deve dare risposte contingenti e non
di lunga prospettiva, potendola modificare ed
aggiornare sulla base dell'esperienza pratica e
l'evoluzione delle esigenze e dei problemi.
Più impegnativa e di natura fondamentale
è la riforma istituzionale la quale, non solo
deve rispondere ad esigenze contingenti, ma
con essa dev'essere dato un nuovo assetto alle
istituzioni, allo Stato ed ai rapporti tra questo ed i cittadini. Inoltre dovrà orientarsi verso la più ampia riforma istituzionale prevista
dal processo d'integrazione economica, sociale e politico sovranazionale che condurrà all'Unione europea. I n questa prospettiva la riforma istituzionale darà un contributo anche
politico immediato per avviare la soluzione
dei molti e gravi problemi che attanagliano
l'Italia. Si tratta di realizzare quel principio
di sussidiarietà, prima scritto nella «Carta»
europea delle autonomie locali ed ora sancito
dal Trattato di Maastricht, secondo il quale
è il cittadino il detentore del potere democratic0 il quale si organizza e lo organizza partendo dalla comunità locale salendo alla re-
-
-
(segue in ultinm)
som
ma
rio
COMUNI D'EUROPA
SCURO
3
La sovranità dei cittadini
a u t o n o m i e territoriali,
partecipazione,
cultura e partiti
Parlando di partecipazione pare opportuno
chiarire in via preliminare chi sia il cittadino sovrano, che ha diritto a partecipare.
Come ho già scritto altra volta, il buon Dio
un certo giorno si seccò di essere compromesso
dalle cattive azioni del potere politico e decise
di negare la sua «grazia» per legittimare quel potere: da allora - siamo all'alba delle nazioni
moderne, almeno di quelle europee e occidentali - la legittimazionefu lasciata alla cosiddetta
volontà della nazione. Ma le nazioni compivano troppe malefatte e gli uomini che le formavano - o molti di essi o comunque i più saggi si rifiutarono di identificarsi con la propria nazione (right or wrong, my country); quanto
meno di identificarsi in tutto e per tutto con essa. Parve più giusto di rifarsi a un criterio che
facesse risalire la ricercata legittimazione ad essi
uomini direttamente e alle loro coscienze, senza
intermediari:nacque così l'idea di legittimare il
potere politico, la sua radice etica e giuridica, rifacendosi a una «sovranità popolare». Riflettendoci, tuttavia, la sovranità popolare appariva
presto un concetto difficile, tutto da chiarire.
Popolare? di un dato popolo? di un gruppo
di popoli? di tutti i popoli della Terra? E poi:
in un dato momento? nel dispiegarsi di una fase
storica? tenendo conto dei soli viventi o anche
dei trapassati e dei nascituri?
Forse, se l'istituto della guerra veniva bandito
dall'orizzonte del fattibile e del razionale, occorreva poi che - si trattasse di un popolo o più
popoli - la sovranità popolare venisse concepita nel senso di trovare un limite - un suo limite - nell'illiceità di esprimersi in un senso totalmente avverso all'espressione di altre sovranità popolari, sino all'inevitabilema inammissibile uso della forza bruta - l'irrazionale forza
bruta, la guerra, il giudizio di Dio, mentre quest'ultimo aveva ormai negato la sua «grazia» -.
Premesso tutto ciò, nacque il problema di come si dovesse esternare la sovranità popolare. A
seconda della sua definizione - immediata ed
emotiva o distesa in un tempo ragionevole e informata o mediata nella storia, nella tradizione
o nelle successive esperienze - mutavano i caratteri e le esigenze della sua esternazione. Ci si
accorse, insomma, che il concetto di sovranità
popolare era ricco di differenti prospettive e probabilmente era opportuna la ricerca di un meccanismo di espressione che potesse evitare il taglio di un «nodo gordiano» e viceversa permet-
tesse di tener conto di una larga parte di questa
ricchezza di aspetti della detta sovranità.
Pensandoci meglio, ci si rese conto che valeva
la pena di risalire, attraverso l'aggettivo «popolare», ai fini essenziali degli uomini che compongono un popolo, qualsiasi popolo, tutti i popoli. Unfilosofo di fine Settecento, Kant - che
aveva guardato con attenzione a due rivoluzioni
contemporanee, l'americana (ilfederalismo) e la
francese (i diritti dell'uomo) - aveva affermato
(confessando di avere avuto l'ispirazione da un
altro pensatore, che consideriamo uno dei padri
della democrazia moderna, Rousseau), aveva
dunque affermato che, facendo attenzione, si
scopriva che anche l'uomo più volgare è in condizione di sentire dentro di sé la «voce della ragione)):a condizione, aggiungiamo noi, di non
frastornarlo, anzi di aiutarlo disinteressatamente
a sentirla. Ebbene, la «voce della ragione))dice
agli uomini, a ciascun uomo, che per evitare di
cadere nell'uso «irrazionale» della forza bruta è
necessario fra l'altro che la sovranità popolare
tenda ad essere unica per tutto il genere umano,
per tutta l'umanità, ovvero che si addivenga a
conciliare tutte le sovranità popolari, senza fermarsi a nessun singolo Stato o a nessuna singola
Nazione. La sovranità popolare non può vivere
di autentica vita autonoma che nell'hmbito di
una federazione di tutti i popoli, per quanto chimerica essa possa parere. La federazione è la regolatrice della coesistenza delle diverse sovranità popolari e le fa convergere verso una unica sovranità popolare terrestre.
Questa prima impostazione del problema non
risolve certo l'esigenza di chiarire in concreto
l'organizzazione del potere a tutti i livelli l'articolazione del potere - e di offrirci gli antidoti, in una vita sociale, in cui gli uomini che
la compongono sono insieme razionali e irrazionati: ma stabilisce che al fondo di tutte le autonomie, minoranza di tutte le minoranze, c'è
l'uomo, da cui non si può prescindere, coi suoi
diritti e coi suoi doveri - con la sua personalità, in conclusione -; e che nessuna autonomia,
fino a quella dell'uomo singolo, può prescindere
dalla prospettiva cosmopolitica. Questo va detto e ribadito nel momento in cui si riaffaccia,
nella considerazione di certa cosiddetta cultura
politica, la filosofia di Oswald Spengler.
In questo momento storico di presunte, rinnovate giustificazioni «culturali» del nazionalismo e anche del micronazionalismo razzista l'Europa delle etnie e delle cqulizie etniche))o,
più delicatamente, delle «regioni monoetniche))
- vogliamo richiamare il commento all'articolo I I della nostra Costituzione del mio amico
(segue a pag. 1S)
- L'urbanistica italiana è fuori Europa, di Giuseppe Campos Venuti
5 - Dopo il Vertice di Edimburgo si addensano nubi, di Raimond Vautier
7 - Un New Dea1 per l'Europa, di Dario Velo
8 - La concezione e la strategia del17Unioneeuropea
8 - Verso un nuovo ordine europeo
11 - Due anni soddisfacenti e tanta voglia di fare, di Fausta Giani Cecchini
12 - Ambiente urbano e governo della città, di Sandro Giulianelli
13 - Ambiente: quadro storico e attuale
GENNAIO 1993
opportunismo e criminalità
L'urbanistica italiana è fuori Europa
di Giuseppe Campos Venuti*
Non riusciamo a capire perché - o lo capiamo
troppo bene - tutte le associazioni italiane delle autonomie territoriali non stringano un patto
di ferro per ottenerefinalmente una legislazione
nazionale sul governo dei suoli. Ci si rende conto che in materia siamo in coda, se non fuori di
quanto realizzano gli altri Paesi della Comunità
europea? Oggi ci piace riportare h parte essenziale di una relazione (<<Evoluzione
ed involuzione della cultura di piano))), che Giuseppe
Campos Venuti, presidente dell'lstituto Nazionale di Urbanistica (INU) e uno dei capiscuola
dell'urbanistica italiana - riformista - di questo dopoguerra (l), ha tenuto nello scorso ottobre '92 a Venezia (Schola di San Giovanni
Evangelista), in un convegno promosso dal Pds
e dalla Sinistra unitaria europea.
La Tangentopoli urbanistica
Lo scandalo di Tangentopoli - ormai bisognerebbe chiamarlo di Tangentilandia - ha
messo a nudo le patologie del mercato imprenditoriale italiano delle opere pubbliche.
Patologie che nascono da una politica corrotta e incapace, da una economia corrotta e
inefficiente, ma anche da una società che, per
una parte notevole, si è rivelata anch'essa
corrotta, o almeno consapevolmente tollerante. Lo scandalo nazionale degli appalti è, comunque, positivamente esploso. Ma quando
metteremo a nudo anche le patologie del mercato immobiliare? Quando scopr&emo e denunceremo le tangenti urbanistiche, fonti di
altrettanta corruzione politica, economica e
professionale e causa diretta del selvaggio degrado della città e del territorio in Italia?
A combattere la cultura della legge e del
~ i a n ourbanistico sono stati. anche in auesto
caso, politici corrotti o semplicemente opportunisti, che nel mercato immobiliare selvaggio hanno visto soltanto uno strumento di potere; e insieme ad essi operatori economici rapaci ed incapaci, che hanno usato le speculazioni urbanistiche per inseguire facili ed
enormi guadagni e per supplire alle proprie
carenze imprenditoriali. Ma con questi c'erano anche professionisti rampanti, che hanno
rinunciato alla funzione etica dell'intellettuale, per garantire robuste parcelle, ma specialmente il monopolio del potere culturale.
Io sono contrario ad affidare ai giudici la
supplenza dei ruoli politici, economici e culturali, ma certamente sarebbe utile un altro
Di Pietro che scoprisse le tangenti miliardarie
della «urbanistica contrattata». Che non è come sostengono professionisti rampanti,
speculatori immobiliari e politici corrotti -
un realistico «do ut des» fra interessi pubblici
e privati, fra i quali trovare il giusto e necessario compromesso. Perché l'urbanistica contrattata è, invece, un mercato che riguarda
soltanto l'ammontare delle tangenti, in cambio di una variante, di un Piano Particolareggiato in deroga, di una Concessione più o meno irregolare e perfino di un Piano Regolatore addomesticato agli interessi delle grandi
immobiliari.
Ci vorrebbe forse un Di Pietro per scoprire
le tariffe delle tangenti urbanistiche, dopo aver
scoperto quelle per le opere pubbliche. Per scoprire quanto costa un metro cubo di variante
al piano regolatore, quanto un metro di area
dismessa riciclata per uffici o residenze, o di
zona verde trasformata in terreno edificabile.
Personalmente, io credo di poter dire che le
tangenti per le opere pubbliche sono più basse di quelle pagate per violare la disciplina urbanistica: o almeno che le patologie del mercato immobiliare fanno guadagnare di più e allo stesso tempo producono più danni delle patologie del mercato imprenditoriale.
Esplicitare le scelte di piano
Per sopprimere alla radice la causa delle
tangenti urbanistiche è allora necessario ripristinare la cultura del piano; che da dieci
anni è sbeffeggiata da parte d'intellettuali
spocchiosi e rampanti, di imprenditori in cerca di facili scorciatoie, di politici arrivisti e
opportunisti. Ma se il piano è necessario,
qualunque piano non è sufficiente. Bisogna
avere il coraggio di indicare esplicitamente le
scelte di piano che garantiscono gli interessi
sociali dei cittadini, insieme a quelli delle forze produttive, ma non quelli speculativi della
rendita urbana e delle grandi immobiliari.
Dunque bisogna indicare chiaramente quali sono le nostre scelte della pianificazione riformista per le città. E insieme promuovere
una legge sul regime immobiliare, che garantisca la perequazione fra tutti i proprietari,
sterilizzando le velleità urbanistiche delle
grandi finanziarie private e dello Stato speculatore che ha fondato l'Immobiliare Italia:
impedendo il tentativo di far quadrare i bilanci fallimentari pubblici e privati con lo sfascio delle città italiane.
Le scelte della pianificazione riformista sono ben note, ma bisogna avere il coraggio di
ripeterle e specialmente di confrontarle con
la politica in atto nelle città che, con le varianti o con il piano, le contraddice sistematicamente. Tanto per cominicare, ripetiamo
che l'aggressione edilizia al territorio extraurbano, le lottizzazioni speculative delle aree
agricole dovrebbero ormai essere bandite dalla cultura urbanistica ed architettonica. Eppure a Bari, come a Firenze, queste sono fra
le scelte principali degli ultimi anni, sottoscritte da professionisti rinomati, apprezzate
ed esaltate dalle riviste e dagli stessi quotidiani. [...l.
Dobbiamo poi ripetere che, finita l'espansione indiscriminata, anche la trasformazione
urbana può diventare un vero disastro per le
città. C i vuole allora, anche in questo caso
una indicazione esplicita: nel capoluogo di
un'area metropolitana, nelle zone centrali e
semicentrali delle maggiori città, le industrie,
le caserme, gli scali ferroviari dismessi, non
devono in alcun modo diventare fonti di nuo-
(1) cfr. ilil.VV. «Urbanisti italiani - Piccinato, Marroni,
Samonà, Quaroni, De Carlo, Astengo, Campos Venuti» («Sette
urbanisti italiani che hanno segnato le vicende disciplinari del secondo doooeuerran), Bari, editori Laterza, 1992.
L
* Presidente
dell'INU
GENNAIO 1993
La città industriale di Tony Garnier, 1901
COMUNI D'EUROPA
va cogestione, di densificazione edilizia, di
altre concentrazioni terziarie e direzionali.
Queste ultime vanno, al contrario, decentrate nelle periferie urbane e metropolitane, per
integrarsi con le vecchie funzioni residenziali
e qualificare i quartieri dormitorio esistenti.
Queste scelte strategiche sono esattamente
il contrario d i quanto è stato fatto a Milano
con dieci anni di varianti, o a Torino con un
piano nuovo di zecca. Sono il contrario di
quanto si continua a fare senza Piano a Genova, al riparo della nobile rivitalizzazione del
porto, che però non nasconde la selva di grattacieli cresciuti tutt'intorno e dimentica completamente le periodiche, disastrose inondazioni dello Sturla o del Bisagno. È ancora il
contrario di quanto si fa a Firenze, ora che la
vecchia variante Nord-Ovest è stata camuffata con un nuovo Piano Regolatore [...].
E dovremo anche riflettere fino a che punto la scelta del Sistema Direzionale Orientale
per Roma - che l'urbanistica riformista inventò più di 30 anni fa - non sia diventata
oggi il contrario, proprio di quelle alternative
riformiste che allora rappresentava. Come pure
dovremo riflettere a Bologna, se l'orgogliosa
attuazione morfologica del recente piano riformista, non faccia dimenticare agli amministratori della città il suo effettivo contrario, cioè
il processo in atto di accentramento strisciante da parte dell'università - 100.000 persone, su 400.000 abitanti - e di altre funzioni
congestionanti pubbliche e private.
Coerenza politica con le scelte di piano
Queste severe valutazioni critiche vanno
rivolte direttamente ai Sindaci e agli Assessori che, con troppa leggerezza, hanno sposato
o subiscono la dereguhtion urbanistica, ma
anche ai professionisti che danno una autore-
AICCRi
Assof:azionr: i:aliana wr ii Cotiuqiin
d61 C~cnimia delle Rp.<~rmcd'El:ro&>n
UNA METROPOLI
ALL'ALTEZZA DELLA SFIDA EUROPEA
Aree me?rapoQlarre
e psnrhcazcone da/ ferrrtorra espprerizc europee
vole, quanto indispensabile, copertura culturale alle deprecabili operazioni urbanistiche
in atto. E allora diciamolo pure francamente:
battersi coerentemente per l'alternativa urbanistica riformista è scomodo a livello politico
e culturale. Anche perché, in coerenza con
queste scelte per le città, diventa necessario
sostenere una proposta legislativa poco mirabolante, ma di tipo efficacemente perequativo: che, riconoscendo una bassa edificabilità
media ai terreni della città costruita avviata
alla trasformazione pianificata, rifiuti la privatizzazione degli eventuali plusvolumi previsti dal piano e permetta così concretamente
una politica urbanistica capace di deconge-
stionare le zone centrali e d i qualificare le periferie.
E allora dovremo accettare la sfida di misurarci con proposte radicali, almeno per le città più emblematiche. Per essere coerenti con
le scelte urbanistiche riformiste, bisogna avere il coraggio di chiedere la cancellazione di
tutte le varianti adottate a Milano negli ultimi dodici anni e impostare una nuova strategia di radicale decentramento a scala regionale. Per essere coerenti con le scelte urbanistiche riformiste, bisogna ridurre ad un terzo le
cubature del piano a Torino e decentrarne
buona parte nella periferia metropolitana: e a
Firenze bisogna fare altrettanto per le aree
della Fiat e della Fondiaria, oggi sottoposte
all'approvazione della Giunta Regionale di
Sinistra. Così come bisogna rimettere in discussione, se non le scelte, almeno le attuazioni urbanistiche, per quanto riguarda l'insufficiente decentramento terziario a Roma e
l'inversione del decentramento terziario a
Bologna. Procedendo sulla stessa linea per
Napoli, Brescia, Padova e così via. E questo
significa contestare quanto ha detto e fatto in
campo urbanistico, da dieci anni a questa parte, la grande maggioranza dei politici e degli
intellettuali di sinistra. Confermando ad essi
il nostro appoggio, solo se hanno la volontà e
la capacità di cambiare e di superarsi e sostituendo in caso contrario, tanto i sindaci e gli
assessori, quanto gli architetti.
[...l Nel prossimo gelido inverno, ci proporranno certamente il ricatto occupazionale
a sostegno delle più scandalose speculazioni
urbanistiche: e [...l dovremo resistere a denti
stretti, spiegando ai lavoratori e ai cittadini la
natura ricattatoria di quelle richieste. A maggior ragione dovremo essere assolutamente
coerenti con le nostre scelte di urbanistica riformista, quando saranno in ballo nuove possibili maggioranze municipali, a Torino a Milano, o a Brescia, fino a Roma e a Napoli, fossero pure «giunte di salute pubblica».
In questi casi, come nei precedenti, dovremo ripetere che una speculazione immobiliare non rappresenta una formazione produttiva di ricchezza, ma una semplice variante locale della speculazione finanziaria internazionale sulla lira. E che d a una singola speculazione, o peggio da un piano regolatore asservito agli interessi immobiliari, non verranno
mai vantaggi economici o sociali per i lavoratori e per i cittadini; ma solo nuove patologie
urbanistiche, che i lavoratori ed i cittadini
presto o tardi finiranno per pagare. E, partendo da queste valutazioni, dovremo opporci risolutamente a quelle speculazioni e a quei
piani regolatori asserviti alle immobiliari [...l.
Cogliamo l'occasione per sottolineare che, essendoci espressi in senso critico nei riguardi del
modo di realizzare a Roma lo SDO (l'incredibile decentramento tra Pietralata e Centocelle!),
abbiamo ricevuto ripetute minacce (che abbiamo riferito a chi di dovere). Vorremmo anche
sapere quali interessi speculativi siano collegati
alle proposte di scavare sotto 1'Appia Antica,
per collegare cementificazione di una parte con
h cementificazione dell'altra. (Argo)
La città giardino di Letchworth, Ebenezer Howard 1903
COMUNI D'EUROPA
W
GENNAIO 1993
che fa il Parlamento europeo?
Dopo il Vertice di Edirnburgo si addensano nubi
ambiguità di ruoli tra Commissione e Consiglio
di Raimond Vautier
I1 Consiglio europeo di Edimburgo sembrerebbe aver chiuso sei mesi nerissimi della storia comunitaria. Aperta dall'esito negativo
del referendum danese sulla ratifica del Trattato di Maastricht, la crisi politica ed economica della Comunità si è progressivamente
aggravata. I1 dibattito politico che ha accompagnato la consultazione referendaria francese, le drammatiche tensioni monetarie che
hanno messo a durissima prova il fun7ionamento del sistema monetario europeo, la grave congiuntura economica che ha effetti nefasti sulla occupazione europea, non sono che
alcune significative tappe che hanno segnato
il percorso comunitario del secondo semestre
1992.
La presidenza inglese del Consiglio, d'altro
canto,non ha voluto nè potuto risolvere in
modo tempestivo la grave situazione politica.
Al contrario, la frangia anti-europea del partito conservatore ha violentemente contestato la leadership del primo ministro britannico
John Major che in più di una occasione è stato costretto a modificare in un'altalena di posizioni spesso contrastanti il suo atteg,'oiamento nei confronti del Trattato di Maastricht e
della sua politica europea in grnerale.
Nel momento più drammatico della crisi
politica interna inglese, dopo essere accorso
al salvataggio di Norman Lamont, il Cancelliere dello Scacchiere colpevole di aver adottato una politica economica troppo «comunitaria», John Major è riuscito a far approvare
dai Comuni (con uno scarto di appena 3 voti)
la mozione che apre la strada a!la ratifica inglese al Trattato di Unione europea. Ma si è
affrettato, in un atteggiamento di prudenza
«tattica», a collegare la ratifica inglese alla definitiva e positiva soluzione della questione,
ancora aperta, della partecipazione della Danimarca agli accordi di Maastricht.
Dal canto suo il governo danese ha replicato alla sconfitta subita in occasione del referendum popolare, con posizioni approssimative e non prive di inquietanti ambiguità. Nel
tentativo di diradare le nebbie che avvolgono
tutte le forze politiche, il governo danese ha
presentato agli altri partners comunitari un
Libro bianco nel quale erano indicate otto diverse opzioni riguardanti la partecipazione
danese all'unione europea (nel migliore dei
casi) o alla Comunità (nel peggiore dei casi).
La situazione si è infine chiarita allorquando
è stato definito un «compromesso nazionale».
I n questo documento, i sette partiti danesi affermano che il risultato del referendum rende
caduco il Trattato di Maastricht. «La Danimarca e gli altri undici paesi si trovano di
fronte ad un problema reale che deve essere
risolto di comune accordo». 11 compromesso
nazionale indica chiaramente l'opzione
danese.
GENNAIO 1993
La Danimarca, secondo tale documento,
non intende «prendere parte alla dimensione
della difesa, che implica la partecipazione al1'UEO per una politica d i difesa o una difesa
comune.. . non introduce la moneta comune e
non è sottoposta alle esigenze di politica economica legate alla terza fase dell'UEM ... non
sarà vincolata dagli impegni relativi alla cittadinanza dell'unione.. . non potrà accettare il
trasferimento di sovranità in materia finanziaria e in materia di politica*.
I1 governo danese ha chieso inoltre clie il
suo particolare status fosse inserito in un accordo «giuridicamente vincolante» con una
durata illimitata senza che questo sia di ostacolo alla sua piena partecipazione alla Comunità europea. Si tratta di un quadro estremamente preciso ed altrettanto pericoloso poiché non fa altro che consacrare ulteriormente
la famosa clausola dell'opting out, clausola con
la quale la Gran Bretagna può non recepire nel
suo ordinamento le disposizioni riguardanti la
terza fase dell'UEM e quelle riguardanti la politica sociale e del lavoro.
Ma i problemi non si sono limitati alla posizione britannica e danese nei confronti di
Maastricht. Anche tra gli altri paesi comunitari non sono mancate le polemiche. Prima
tra tutte quelle riguardanti le nuove prospettive finanziarie che dovrebbero essere alla
base delle politiche interne (interventi strutturali, politica di ricerca, competitività dell'industria) e in politica esterna (relazioni con
i paesi dell'Europa centrale e orientale, con i
paesi in via di sviluppo) sono state oggetto di
aspre critiche da parte dei governi. Taluni ne
hanno sottolineato l'insufficienza, altri, al
contrario, hanno considerato le proposte della Commissione troppo ambiziose ed incompatibili con l'obiettivo del risanamento delle
finanze pubbliche. Le polemiche sulle prospettive finanziarie hanno risvegliato vecchi
istinti. Infatti, il Parlamento europeo e il
Consiglio dei Ministri hanno nuovamente
riaperto, dopo quattro anni di pace istituzionale, le famose battaglie di bilancio che hanno caratterizzato gli inizi degli anni ottanta.
Le vicende monetarie degli ultimi mesi, a
cui non è stata estranea la crisi di credibilità
politica che ha coinvolto la Comunità, hanno
accentuato in molti paesi il rispetto per i vincoli comunitari e riaperto la strada a tentazioni protezionistiche simili a quelle che si registrarono negli anni settanta in occasione della
crisi petrolifera. Tali reazioni rischiano di ritardare o peggio di bloccare il processo di
convergenza economica e monetaria avviato
con la prima fase dell'UEM. I1 prezzo pagato
a causa del mancato coordinamento delle politiche macroeconomiche dei Dodici è stato
particolarmente alto: la svalutazione e poi l'uscita del meccanismo dei cambi di lira e sterli-
na, elevati livelli di intervento delle banche
centrali per difendere le parità centrali tra le
diverse monete, un clima di crescente sfiducia che non ha mancato d i avere pesanti ripercussioni sulle prospettive di crescita economica e sul mercato del lavoro. Questi fattori hanno inoltre avuto come grave conseguenza quella di far ricadere sul cattivo funzionamento del Sistema monetario europeo la
responsabilità di questa congiuntura economica.
Si è fatta strada la tesi che maggiori vincoli
monetari comporterebbero maggiori problemi per i paesi comunitari senza reali benefici
per le economie. La tesi inversa, quella che
sottolinea l'importanza di avanzare più rapidamente verso una stretta integrazione monetaria, è rimasta soffocata dal clima di pesante diffidenza. In piena tempesta monetaria si è stati ad un passo dal crollo del Sistema
monetario europeo che avrebbe certamente
provocato il definitivo affondamento del
Trattato di Unione. Tuttavia, il peggio è stato scongiurato poiché il sistema, malgrado le
sue insufficienze (dovute alle repentine mutazioni dei fattori macroeconomici comunitari),
ha continuato a funzionare grazie al ruolo
delle monete guide e alla fermezza dimostrata
dalle autorità monetarie ed in particolare dal
Comitato Monetario. A quest'ultimo, d'altro
canto, è stato dato l'incarico di elaborare un
rapporto sui problemi provocati dalle turbolenze monetarie secondo i meccanismi di funzionamento dello SME.
A tutti questi ordini di problemi se n'è aggiunto uno altrettanto importante. Nel corso
di questi mesi infatti tutta l'attività produttiva della Comunità ha registrato un pesante
rallentamento. Tutti i dati economici disponibili confermano questo pesante trend: le
prospettive di crescita prevedono un aumento in termini di PIL pari solo allo 0,8%, il
tasso di utilizzazione degli impianti è sceso
paurosamente. La crescita della disoccupazione appare una tragica ed ineluttabile fatalità
senza che siano all'orizzonte misure che possano in qualche modo modificare questo pesante trend.
Preceduto da un clima drammatico, tipico
degli appuntamenti comunitari più importanti, il Consiglio europeo di Edimburgo ha
aperto la strada alla soluzione dell'impasse
politica riguardante il Trattato di Maastricht
fornendo invece risposte solamente inter10.cutorie su altre questioni di particolare interesse per la Comunità.
Sul problema danese non è stata prevista
nessuna clausola aggiuntiva al Trattato di
Maastricht come chiedeva il governo di Copenaghen. La decisione allegata alle conclusioni del Summit di Edimburgo costituisce il
quaciro entro cui è definita la partecipazione
COMUNI D'EUROPA
della Danimarca all'unione Europea. Sono
state in pratica accettate tutte le richieste danesi che prevedono la non partecipazione alle
disposizioni del Trattato di Maastricht in materia di cittadinanza, unione economica e monetaria, politica estera e di difesa, e cooperazione nel campo degli affari interni e giudiziari. I n materia sociale, una dichiarazione
del Consiglio europeo ricorda che le disposizioni del Trattato di Maastricht non impediscono l'attuazione di misure più favorevoli
per i lavoratori da parte della Danimarca.
Sulla base di questa decisione del Consiglio
europeo, il governo danese si è impegnato a
convocare entro la primavera prossima un
nuovo referendum popolare. Se quest'ultimo
avesse esito positivo, il Parlamento britannico dovrebbe operare l'esame del Trattato di
Unione nel giugno prossimo. Secondo le previsioni più ottimistiche il Trattato di Maastricht potrebbe entrare in vigore il lo luglio
1993.
Una condizione preventiva alla soluzione
del problema danese era costituita dalla definizione delle nozioni di sussidiarietà e di trasparenza. Sul principio di sussidiarietà senza
giungere alle conseguenze che le proposte britanniche facevano palesare (un ingabbiamento dell'autonomia della Commissione), la soluzione trovata ad Edimburgo apre la strada
ad una evoluzione del fenomeno comunitario
ben diversa da quella prevista dai padri fondatori della Comunità. In pratica si lascia ancora indefinito il problema delle competenze
esclusive dell'unione non essendo prevista
nel Trattato di Unione una lista precisa delle
materie soggette in maniera chiara alla sola
legislazione comunitaria. Per le altre materie
non rientranti nella competenza esclusiva (in
pratica tutte le politiche comunitarie) è prevista l'applicazione di due distinti criteri che
mirano a limitare al massimo l'intervento comunitario: si tratta del principio di necessità
e di quello di intensità. Con il primo, le istituzioni comunitarie ed in particolare la Commissione e lo stesso Consiglio (e ciò costituisce un indebolimento politico dell'esecutivo)
viene determinato se una particolare misura
giustifichi l'intervento comunitario. Si deve
in pratica determinare se gli Stati membri
isolatamente non siano in grado di adottare
una particolare politica e quale sia, per contro, il valore aggiunto di un'azione attuata direttamente dalla Comunità. Con i1 secondo
principio, quello dell'intensità dell'azione, si
determina invece il grado di intervento comunitario. I n pratica, questo principio deve
garantire che l'azione della Comunità europea sia proporzionale all'obiettivo perseguito
e condurre ad una scelta equilibrata degli
strumenti - legislativi ed operativi - che
devono essere impiegati.
Sulla base di questi orientamenti, il Consiglio europeo di Edimburgo ha affermato che
incombe a tutte le istituzioni comunitarie di
tradurre concretamente il principio di sussidiarietà. I1 documento del vertice dei Capi di
Stato e di Governo disegna poi le linee direttrici da seguire da parte di Commissione,
Consiglio e Parlamento europeo.
Con queste linee si determina, in pratica,
una sorta di negoziato permanente tra ConsiCOMUNI D'EUROPA
glio e Commissione sull'opportunità di presentare una determinata proposta legislativa
limitando di fatto il diritto di iniziativa che
il Trattato di Roma ha conferito alla Commissione per dare corpo al cosiddetto metodo
comunitario (proposta della Commissione per
decisione del Consiglio). Viene dunque a
crearsi una pericolosa ambiguità che certamente peserà sull'evoluzione politica del gioco istituzionale tra Commissione e Consiglio.
Questi sviluppi sono poco chiari ad una lettura superficiale dei testi di Edimburgo, ma
certamente è facile aspettarsi che il Consiglio
sfrutterà al massimo la possibilità che si aprono per un controllo più stretto sul diritto di
iniziativa legislativa della Commissione.
È importante sottolineare la profonda ambiguità dell'inserimento del principio di sussidiarietà nel Trattato di Maastricht. Si tratta infatti di un principio che regola politicamente le diverse articolazioni decentrate di
potere in una struttura a carattere federale.
Inserire il principio di sussidiarietà in un contesto giuridico che non prevede la definizione
di competenze per attribuzione e dove non
sono chiaramente indicate le competenze comunitarie e quelle nazionali, significa instaurare all'interno di tale sistema una sorte di
negoziato permanente. I1 principio di sussidiarietà calato nel sistema comunitario (che
non è un sistema federale) non è strutturalmente in grado di determinare il grado di
azione comunitaria. Ciò non può che aumentare piuttosto che diminuire i contrasti istituzionali che sovente si aprono tra le istituzioni
comunitarie.
Quanto al principio di trasparenza, il Consiglio europeo si è limitato a dichiarazioni di
pura facciata che apportano poco o nulla all'obiettivo di ravvicinare i cittadini europei alle
istituzioni comunitarie. I1 principale problema,
quello della pubblicità delle riunioni del Consiglio dei Ministri, il vero organo legislativo,
è stato semplicemente eluso prevedendo delle
sessioni pubbliche in occasione di discussioni
di scarso valore politico e giuridico.
Quanto alle nuove prospettive finanziarie,
l'accordo è stato trovato su una proposta di
compromesso elaborata e sostenuta dal presidente della Commissione Jacques Delors.
L'aumento delle risorse finanziarie comunitarie che sarà pari a11'1,27 del PIL comunitario
(contro 1' 1,37% delle proposte iniziali) avverrà non più in cinque anni, ma verrà scaglionato in un periodo di sette anni. Ciò significa che nel biennio 199411995 le risorse
in dotazione del bilancio C E E rimarranno
pressocché inalterate. I1 ridimensionamento
delle nuove prospettive finanziarie non sarà
senza ripercussioni su una serie di politiche
comuni, tra cui quella di coesione e quella riguardante la competitività dell'industria europea che risultano penalizzate rispetto alle
proposte originarie fatte dalla Commissione
nella primavera dello scorso anno. E certo
che l'obiettivo del riequilibrio tra regioni più
sviluppate e quelle meno favorite non potrà
essere pienamente conseguito. D'altra parte,
le politiche per rilanciare alcuni settori industriali in crisi avranno un impatto ben minore
rispetto alla necessità di ristrutturazioni del
sistema produttivo europeo.
Le minori risorse previste dal secondo Pacchetto Delors sono state in parte compensate
dall'iniziativa di crescita comunitaria decisa
dai Capi di Stato e di governo. Si tratta di
una serie di misure a carattere congiunturale
per favorire il rilancio dell'attività produttiva
all'interno della C E E e ristabilire un clima di
fiducia tra le forze economiche e sociali. Sono stati previsti prestiti per sostenere l'attività delle piccole e medie imprese e per la costruzione delle grandi reti transeuropee.
I n particolare, verrà costituito in seno alla
BEI un Fondo europeo di investimento dotato di un capitale di 2 miliardi di ECUattraverso cui sarà possibile garantire prestiti per un
importo pari a 5/10 miliardi di ECU.Un prestito di 5 miliardi di lire sarà invece lanciato
per il finanziamento delle grandi reti infrastrutturali europee. I n quest'ultimo caso, le
risorse finanziarie previste in origine dal Pacchetto Delors sono state trasformate da capitali a fondo perduto a strumenti di prestito.
È per questo che molti ritengono che l'iniziativa comunitaria di crescita sia una semplice
compensazione - con effetti macroeconomici meno certi - alla diminuzione delle risorse
in dotazione del bilancio comunitario nei
prossimi anni.
Ad Edimburgo si è parlato anche di allargamento della Comunità. Si è confermato
l'impegno di iniziare i negoziati di adesione
con Austria, Svezia e Finlandia una volta entrato in vigore il Trattato di Maastricht. Fin
da febbraio potranno tuttavia essere intrapresi dei negoziati non ufficiali con tali paesi.
Conformemente a questi orientamenti, i negoziati di adesione saranno fondati sull'articolo O del Trattato di Maastricht.
Queste sono in sintesi le principali conclusioni del Summit europeo di Edimburgo.
La crisi sembra scongiurata ma restano i
dubbi che Comuni d'Europa ha più volte sottolineato nelle sue pagine. Restano i dubbi
per un processo politico squilibrato entro il
quale non si vedono ancora prospettive per
uno sviluppo realmente democratico della
Comunità europea. La stessa prospettiva dell'allargamento genera preoccupazioni poiché
l'impalcatura istituzionale comunitaria non è
ancora consolidata e non è in grado di sopportare un peso eccessivo che non farebbe
che aggravare l'efficacia delle istituzioni comunitarie. Occorre dunque sfruttare al massimo queste evidenti carenze strutturali per
riprendere con ancora più energie un processo di profondo rinnovamento. I n quest'ottica, il ruolo del Parlamento europeo e dei Parlamentari nazionali è fondamentale. È in
queste sedi rappresentative che deve nascere
una vera costituzione europea.
Tale costituzione deve avere carattere federale. Deve essere dotata di un potere diretto sui cittadini ed essi a loro volta devono
concorrere alla sua formazione secondo procedure democratiche. I1 principio costituzionale è l'organizzazione di una pluralità di governi indipendenti e coordinati tra loro, in
modo tale che il governo federale, competente su tutto il territorio della federazione,
eserciti i poteri strettamente indispensabili
per garantire l'unità politica ed economica. I1
(segue a
pag. I-)
GENNAIO 1993
va accelerata l'Unione monetaria
Un New Deal per l'Europa
di Dario Velo*
Di un New Deal europeo si parlava nel ~Progetto Europa» del nostro Direttore, uscito nell'aprile 1983 della nostra rivista (e ristampato nell'opuscolo «Project Europe»: «les garanties dues
aux travailleurs pendant une revolution institutionelle, qui pemettra une restmcturation économique et un nouveau rapport de I'Europe
avec la planète»).
La convergenza monetaria non basta per
unire l'Europa. Le istituzioni non hanno il
consenso del popolo, se non sono capaci di
produrre politiche che rispondano ai bisogni
concreti e prioritari del singolo cittadino.
Maastricht stava portando in tutt'Europa deflazione, disoccupazione, crisi economica;
una decisa svolta nella politica comunitaria
era indispensabile, pena rendere irrealistico
l'obiettivo dell'unione monetaria stessa.
Questa svolta è iniziata a Edimburgo; l'unione economica ha subito una forte accelerazione, affiancando l'obiettivo dell'unione monetaria. Un piano ambizioso di sviluppo economico, che attiverà investimenti pari a 30.000
miliardi in due anni, è stato lanciato. Ma a
Edimburgo abbiamo assistito ad una svolta o
si è compiuta una tappa di un piano preordinato? La domanda non è retorica; rispondere
ad essa è importante per comprendere quali
saranno gli sviluppi futuri del processo di integrazione, per comprendere il copione che si
sta recitando sul grande palcoscenico
europeo.
Per orientare il giudizio, può essere utile
rifarsi ad un precedente storico, per molti
aspetti analogo all'attuale situazione europea.
Questo precedente è costituito dal New Deal
americano lanciato per uscire dalla grande depressione dal presidente Roosevelt. La strategia di rilancio eocnomico di Roosevelt si farà
su alcuni punti di importanza cruciale:
1) rafforzamento del Federal Reserve System. Fino al N m Deal, i singoli istituti di
emissione godevano di una relativa autonomia; la «banca centrale» di New York era in
grado di orientare tutto il sistema, grazie alla
propria leadership economica. I1 mercato finanziario e bancario risultavano frammentati, contribuendo ad alimentare tensioni fra gli
stati federali. Con il New Deal, il sistema monetario viene unificato, in base ad una struttura federale, così da conciliare l'esigenza di
garantire I'unitarietà del governo monetario e
l'articolazione federale del potere economico;
2) lancio di un programma di opere pubbliche per sostenere la modernizzazione del
sistema economico, aumentare l'occupazione, sostenere lo sviluppo equilibrato regionale. Simbolo di questo programma fu la creazione della Tennessee Valley Authority;
3) Un'ampia serie di riforme sociali, politiche e istituzionali, in modo da disegnare un
rinnovato patto di solidarietà fra classi, fra
generazioni e fra aree all'interno della federazione americana.
* Presidente del Centro studi europei dell'università
di Pavia
GENNAIO 1993
L'esperienza maturata dagli Stati Uniti
mezzo secolo fa può essere utilizzata come
chiave di lettura, almeno in prima approssimazione, per interpretare le scelte oggi in discussione a livello europeo. Non sfugge una
certa analogia fra le riforme del Federal Reserve System statunitense negli anni '30 e la
transizione oggi in discussione in Europa dallo SME alllUnione monetaria. Dove la Bundesbank occupa oggi in Europa la posizione
che la Federal Reserve di New York aveva
negli USA allora. Così come emerge l'analogia fra il programma di lavori pubblici e di interventi regionali lanciato da Roosevelt e il
pacchetto Delors approvato a Edimburgo.
Analogamente, le grandi riforme americane
possono essere accostate al grande disegno
costituzionale che gli europei si sono impegnati ad affrontare a partire da metà degli anni '90.
Ma se questi sono i punti d i contatto, una
differenza profonda separa le due esperienze.
I1 N m Deal costituì un programma lanciato
ed eseguito nel giro di pochi anni; il suo impatto fu rivoluzionario proprio per il grande
cambiamento che realizzò nello spazio di pochissimo tempo. L'Europa sta procedendo
oggi lungo un sentiero per molti versi analogo, ma ad una velocità di gran lunga inferiore. Questa diversa velocità ha una spiegazione elementare; mentre gli Stati Uniti potevano contare su un quadro politico federale con
un secolo e mezzo di vita, che aveva superato
con successo la prova della guerra di Secessione, l'Europa deve ancora darsi un sufficiente
grado di unità, superando divisioni con profonde radici storiche e sociali. I1 cammino per
l'Europa è certamente più in salita, dovendo
percorrere una strada irta di insidie.
Un New Deal europeo è iniziato. Ma la velocità del processo è lenta, tanto che risulta
più difficile cogliere il disegno complessivo
della fase storica che stiamo vivendo. Non è
solo questione di tempo. Un piano diluito nel
tempo è meno efficace. Uno dei meccanismi
che decretò i1 successo del N m Deal americano fu il grande impatto psicologico sulle masse, che cambiò le aspettative e mise in moto
tutte le energie. Un New Deal europeo, diluit o nel tempo, avrà minore impatto e quindi
perderà parte della propria forza d'urto.
Queste considerazioni evidenziano una
esigenza di fondo. Perché Edimburgo abbia
tutti gli effetti benefici che potenzialmente
può avere sullo sviluppo economico dell'Europa, è necessario che il sistema economico e
sociale prenda piena coscienza dell'occasione
che gli si offre: ciò sarà tanto più facile quant o più saranno acceleqati i tempi del piano approvato dal vertice. E realistico accelerare il
processo di integrazione? Arrivare più celermente alllUnione monetaria grazie al sostegno del pacchetto Delors? Porsi queste domande significa chiedersi in primo luogo se è
possibile superare le cause che hanno rallentato fino ad oggi l'integrazione monetaria. A
Maastricht è stata fatta una scelta gradualistica, cioè è stato deciso di procedere lentamen-
te verso l'Unione monetaria, per dare tempo
ai paesi devianti di risanare la propria situazione economica. Subito la convergenza, dopo l'unione politica ed economica. Questo è
stato il prezzo pagato per ottenere il si tedesco. A Maastricht è la Germania che ha fatto
la scelta politica più difficile e dolorosa, rinunciando al proprio «punto di forza» costituito dal marco. Si comprende che essa abbia
posto alcune condizioni economiche ai partners, per rendere accettabile al proprio interno il sacrificio del marco.
La Germania sta cercando di prendere
tempo, per evitare di trovarsi con una Banca
Centrale unica europea e stati membri disastrati, in condizione di far pagare il debito
del proprio malgoverno alla Germania stessa.
La crisi monetaria esplosa negli ultimi mesi
ha messo in evidenza quanto pericolosa sia
questa strada. Il risanamento da parte dei
paesi devianti è indispensabile; ma quanto
più lungo sarà il tempo lasciato a questo processo, tanto più aumenteranno i rischi che esso venga travolto dal disordine monetario.
Più lunga sarà la transizione verso l'Unione
monetaria, tanto più difficile risulterà mantenere gli accordi presi. Come conciliare I'esigenza di accelerare l'Unione monetaria rispettando il vincolo del risanamento dei paesi
devianti? L'accelerazione dell'unione economica decisa a Edimburgo è in grado di agevolare il compito. L'avvio dell'unione monetaria fra i paesi già pronti a questo passo certamente contribuirebbe a orientare le scelte anche dei paesi restanti nella direzione della
convergenza. Una forte iniziativa costituente
da parte del Parlamento Europeo potrebbe
costituire, in questa direzione, una svolta decisiva. Occorre accelerare il processo, per
quanto riguarda l'Unione monetaria, 1'Unione economica e la nuova costituzione europea. Solo così emergerà chiaramente il grande
disegno di un N m Deal europeo, in grado di
rilanciare il vecchio continente e portarlo
fuori dalla depressione attuale.
Un'ultima considerazione riguarda i promotori di questo processo. I n passato, ogni
qualvolta l'Europa è giunta ad una grande
svolta, si è assistito ad un copione sempre
eguale: I'iniziativa è stata franco-tedesca, I'Italia ha giocato al rialzo, la Gran Bretagna ha
cercato di opporsi con tutti i mezzi e di ritardare le decisioni. A Edimburgo il copione è
stato leggermente diverso: I'iniziativa è stata
franco-tedesca, la Gran Bretagna ha continuato (affiancata dalla Danimarca) a svolgere
un ruolo di freno; il gioco al rialzo è invece
stato svolto dalla Spagna, non dall'Italia. La
crisi del paese, impedisce oggi all'Italia di
svolgere a livello europeo il ruolo evolutivo in
passato sempre mantenuto, anche nel proprio
interesse. Se tutta l'Europa deve accelerare il
passo per varare un nuovo ciclo di sviluppo,
tale accelerazione deve essere massima nel
nostro Paese. Ciò è noto da tempo. Da Edimburgo è venuta un'ulteriore conferma d i
quanto alta sia la posta in gioco.
COMUNI D'EUROPA
importante risoluzione del Parlamento europeo
La concezione e la strategia del'unione europea
Il Parlamento europeo ha votato, il 20 gennaio 1993, un rapporto della Commissione affari istituzionali, elaborato dal socialdemocratico
tedesco Klaus Hansch, sulla «concezione dell'Unione europea nel quadro della creazione di
un ordine globale a livello europeo e nella prospettiva dell'allargamento».
È noto che otto Paesi europei (Austria, Cipro, Finlandia, Malta, Norvegia, Svezia, Svizzera e Turchia) hanno presentato domanda di adesione alla Comunità europea, ma che i governi
della CEE e la Commissione hanno deciso di
percorrere una «corsia preferenziale» per quattro
paesi wicchi» dell'Associazione Europea di Libero Scambio: in inglese «EFTA» (Austria, Finlandia, Norvegia e Svezia), in attesa che la Svizzera chiarisca il suo atteggiamento dopo il «no»
di un'esigua maggioranza di cittadini della Confederazione nel referendum del 6 dicembre sullo
Spazio Economico Europeo (l'accordo economico fra la Comunità e Z'EFTA) e che essi stessi
chiariscano il loro atteggiamento politico nei
confronti di Cipro, Malta e della Turchia.
È noto inoltre che i governi dellJAustria,deL
la Finlandia e della Svezia - i cui plenipotenziari hanno già incontrato i ministri degli esteri
della CEE a Bruxelles, il l o Febbraio 1993 intendono concludere rapidamente i negoziati
di adesione, per permettere alle ratifiche nazionali di svolgersi nel corso del 1994 e concludersi
entro il 31 dicembre 1994. In tal modo, questi
paesi potrebbero partecipare a pieno titolo alla
seconda fase delllUnione economica e monetaria, che inizierà il l o Gennaio 1994, ed ai prenegoziati per la revisione costituzionale dell1Unione europea, prevista per il 1996.
I governi
dei Dodici hanno in sostanza accolto quest'approccio dei paesi candidati alladesione, quando hanno affemato (Consiglio Europeo di Lisbona del giugno 1992) che l'accettazione del sistema di Unione deciso a Maastricht
doveva essere considerato come la condizione
sufficiente per rispondere positivamente alle domande di adesione e per procedere all'allargamento della Comunità.
È noto infine che almeno altri dodici Stati
europei (Lichtenstein, Polonia, Ungheria, Ukraina, Bielorussia, Slovenia, Repubblica Ceca,
Romania, Bulgaria, Lituania, Estonia, Lettonia) hanno manifestato in vario modo ma senza
ambiguità la loro convinzione che gli attuali
rapporti di associazione e10 di cooperazione con
la Comunità devono essere considerati come
l'anticamera dell'adesione e che i negoziati ufficiali dovranno essere avviati prima della fine di
questo secolo.
Votando il rapporto Hansch, il Parlamento
europeo ha confermato una posizione che può
essere fatta risalirefino alla risoluzione I-Ierman
del febbraio 1989 («prima l'approfondimento
della Comunità e poi il suo allargamento»), ma
che ha ricevuto - il 20 gennaio 1993 - una
sua inequivoca consacrazione cqrocedurale».
Secondo l'Assemblea, infatti, la commissione
istituzio,?aledeve portare rapidamente a termine
.
COIIUNI D'EUROPA
l'elaborazione di un progetto di Costituzione
«di tipo federale» (cosa che avverrà probabilmente entro il 2 luglio 1993, in modo tale da
sottoporlo alle Assise interparlamentarifederaliste: luglio 1993; agli Stati generali del Consiglio
dei Comuni e delle Regioni d'Europa: ottobre
1993; ed anche alla seconda Conferenza dei
Parlamenti della Comunità: novembre 1993).
Tale progetto di Costituzione deve costituire la
base dei lavori di revisione del trattato di Maastricht, che una Conferenza intergovernativa dovrà effettuare cqrima del 1996 e prima di ogni
decisione in merito all'allargamento»ed in ogni
caso «in cooperazione con il Parlamento europeo». È prevedibile che, considerati i tempi della politica europea, il progetto di Costituzione
elaborato dal Parlamento europeo sia dapprima
sottoposto all'esame dei partiti durante la campagna elettorale europea del 1994 e che, quindi,
la Conferenaza intergovernativa sia convocata
durante il secondo semestre del 1994, durante la
presidenza tedesca del Consiglio. Del resto, lo
stesso cancelliere Kohl ha recentemente affermato (incontro all'Aja con il governo olandese)
che l'ipotesi dell'anticipo della Conferenza intergovernativa doveva essere seriamente presa in
considerazione.
Se i negoziati di adesione avranno fatto, nel
frattempo, sostanziali passi in avanti, ciò vorrà
dire che i Dodici - o una maggioranza dei Dodici - dovranno esigere dai paesi candidati non
solo l'accettazione del trattato di Maastricht,
ma anche dei principi di fondo della sua revisione (dimensione della difesa europea, gerarchia
delle nome europee, potere di codecisione del
Parlamento europeo, composizione della Commissione e del Consiglio, ((optingout»...).
Attenzione, infine, alle interdipendenze fra
calendario europeo e calendari nazionali. Fra la
primavera del 1993 e la fine del 1995, quattordici paesi europei saranno chiamati a rinnovare
i propri parlamenti nazionali od eleggere il presidente della Repubblica: Francia, Norvegia, Spagna e Paesi Bassi (1993), Grecia, Lussemburgo,
Svezia, Austria, Germania e Danimarca (1994),
Portogallo, Svizzera e Belgio (1995), senza contare i paesi ad alta «mortalità parlamentare»
(elezioni anticipate), come l'Italia e l'Irlanda.
Il numero dei voti contro e delle astensioni
(122) e quello degli assenti (192), comparati a
quello dei voti favorevoli al rapporto Hansch
(204) ha già evidenziato la difficoltà per le forze
politiche europee di mobilitare un largo consenso su un modello di cooperazione nel continente
Europa, in assenza di un progetto chiaro di unificazione in seno alla Comunità.
Inutile ripete~eai nostri lettori che tale progetto non può che assumere le caratteristiche di
una costituzione europea su base federale, elaborata con i criteri democratici della trasparenza e del coinvolgimento di tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione.
Pier Virgilio Dastoli
il testo approvato a Strasburgo
Verso un nuovo ordine europeo
I1 Parlamento europeo
- Viste le sue risoluzioni sui mutamenti po-
litici in Europa a partire dal 1989 e sui nuovi
sviluppi nell'intero continente, nonché sulla
costituzione dell'unione Europea,
- viste le proposte di risoluzione degli
onn. D. Martin e altri (B3-0499190) e e Roumeliotis (B3-1937/90),
- vista la relazione della commissione per
gli affari istituzionali e visti i pareri della
commissione per gli affari esteri e la sicurezza
e della commissione per le relazioni economiche estere (A3-0189/92),
A. Considerando la crescente importanza
dell'unione europea e gli appelli sempre più
numerosi a essa rivolti affinché garantisca in
modo durevole la pace interna ed esterna tra
tutti i popoli europei, lo sviluppo della democrazia e del diritto in tutta Europa, la promozione di un benessere economico equo dal
punto di vista sociale e ben equilibrato a livello regionale, il rafforzamento della tutela
dell'ambiente naturale e il mantenimento e
sviluppo del patrimonio culturale di tutta
l'Europa,
B. Considerando che l'evoluzione negli
Stati dell'Europa centrale e orientale verso
un sistema politico democratico e un'economia di mercato, il proseguimento della politica di riforme nelle repubbliche nate sul territorio dell'ex Unione Sovietica e la fine del
confronto militare e ideologico in Europa
hanno creato anche per l'Unione e per i rapporti di essa con gli altri Stati europei una
nuova situazione,
C. Considerando che, anche dopo il crollo
delle dittature comuniste e la disgregazione
del predominio sovietico in Europa orientale,
la coesistenza pacifica dei popoli e lo sviluppo
delle libertà individuali, dello Stato democratico e del benessere economico non sono garantiti in modo durevole,
D. Considerando che l'integrazione fra gli
Stati europei nell'ambito dell'unione europea
rappresenta la strada da seguire per il superamento del nazionalismo, la soluzione pacifica
dei conflitti e la promozione dello sviluppo
GENNAIO 1993
economico e che tale successo senza precedenti non deve assolutamente essere tradito
bensì consolidato e sviluppato,
E. Considerando che i recenti sviluppi in
ambito economico, tecnologico, ecologico e
sociale mettono tutti i popoli europei di front e a nuovi problemi e pericoli la cui soluzione
e superamento sono sempre meno possibili
nell'ambito delle singole sovranità nazionali e
comportano invece, a fianco di una crescente
integrazione nell'unione europea, anche una
cooperazione paneuropea sempre più intensa,
F. Esprimendo il convincimento che l'appartenenza all'Europa non possa essere nettamente definita dal punto di vista geografico,
storico, etnico, religioso, culturale né tantomeno politico ma che presupponga in ogni caso la volontà politica di partecipare a un destino comune,
G. Convinto che l'impegno a favore innanzitutto della pace, della tutela dell'ambiente, dello sviluppo economico-sociale in
ambito mondiale e del rispetto dei diritti dell'uomo presuppongano una stretta collaborazione anche con Stati non europei, in particolare con gli Stati Uniti e il Canadà, con la
Russia e con le altre Repubbliche nate sul territorio dell'ex URSS, con la Turchia nonché
con gli Stati della costa orientale e meridionale del Mediterraneo,
H. Considerando che le conseguenze dell'ingiustizia sociale, degli squilibri economici,
della distruzione sempre più vasta dell'am-
biente e della crescita demografica in altre
parti del mondo si ripercuote anche sui popoli europei e li costringe a iniziative comuni
più decisive nella lotta a livello mondiale contro la fame, la povertà, la distruzione dell'ambiente e il riarmo,
I. Considerando le diverse proposte avanzate sull'evoluzione della struttura dell'Europa, in particolare la Carta per una «Nuova
Europa» firmata a Parigi nell'ambito della
CSCE,
J. Considerando le richieste della Turchia,
dell'Austria, di Cipro, di Malta, della Svezia,
della Finlandia e della Svizzera di entrare a
far parte dell'unione europea e tenendo cont o degli «accordi europei» con la RFCS, la
Polonia e l'Ungheria, che confermano il desiderio di adesione di tali Stati, le iniziative
corrispondenti di altri Stati europei e l'auspicio espresso dai paesi rivieraschi del Mediterraneo meridionale e orientale di rinsaldare i
loro legami con l'unione.
K. Considerando che l'effettiva adesione
all'unione implica, in primo luogo, l'adesione
alla sua vocazione federale, nonché la volontà
e la possibilità di accettarne pienamente tutte
le regole e tutti i principi, se necessario dopo
un appropriato periodo di transizione,
L. Considerando che l'adesione di altri
Stati all'unione europea perturberebbe profondamente il funzionamento delle Istituzioni comunitarie se non fosse accompagnato da
una modifica sostanziale delle stesse,
I. Caratteristiche fondamentali di un ordinlamento paneuropeo
1. È convinto che la nuova situazione in
Europa metta l'Unione europea di fronte a
sfide cui essa deve rispondere al proprio interno attraverso una più coraggiosa riforma
in vista di un'unione a vocazione federale
forte, basata sul rispetto del principio di sussidiarietà, e, all'esterno, con un nuovo progetto che garantisca una collaborazione sempre più stretta di tutti i popoli europei;
2. Considera auspicabile l'ampliamento
dell'unione europea con l ' a c ~ o ~ l i m e n tdi
o
Stati europei che dispongano di istituzioni
democratiche pienamente sviluppate e proprie di uno Stato di diritto - capaci di garantire la tutela dei diritti umani - e delle strutture dell'economia di mercato, e che siano in
grado di recepire l'acquis comunitario compresa l'Unione economica e monetaria, incluso l'accordo sulla politica sociale concluso
nell'ambito del Trattato di Maastricht, di accettare senza riserve l'obiettivo dell'unione
politica e siano disposti ad nperare in tal senso; ritiene inoltre che tale ampliamento non
risponda solo agli interessi degli Stati candidati ma anche a quelli dell'unione europea;
3 . Non ritiene né possibile né necessario
che tzrtti i paesi europei, quelli che si sentono
tali o quelli che sono legati all'Europa, si uniscano in futuro per formare un'unione e rileva del resto che le decisioni in merito all'ampliamento dell'unione dipendono anche dalla
lutura evoluzione politica, geopolitica ed economica dell'Europa nonché dall'evoluzione
interna dell'unione europea;
GENNAIO 1993
4. Giudica auspicabile che siano avviati
in primo luogo negoziati con i paesi del17EFT A che hanno presentato domanda di adesione, e che tali negoziati siano condotti parallelamente con l'obiettivo di pervenire all'eventuale adesione in un'unica data;
5 . ritiene che lo Spazio economico europeo, che non deve ridurre il ruolo della Corte
di giustizia europea e del Parlamento europeo, agevolerà il successivo ingresso degli
Stati dell'EFTA che desiderano aderire, offrendo anche una possibilità di più stretti legami economici e politici fra l'Unione europea e gli Stati europei economicamente più
sviluppati che non vogliono aderire ad essa;
6. Ritiene che gli accordi di associazione
(«accordi europei») finora conclusi siano ben
lontani dallo sfruttare appieno le possibilità
offerte dall'articolo 238 del Trattato C E E
per un più stretto legame con la Comunità e
per il sostegno ai processi di riforma nell'Europa orientale, e suggerisce in particolare di
esaminare se
possa essere ammessa un'associazione
all'unione che permetta agli Stati associati
un coinvolgimento adeguato nella PESC e la
partecipazione alla cooperazione nei settori
degli Affari interni e della Giustizia, senza
tuttavia impedire l'evoluzione di tali settori
verso una effettiva e completa comunitarizzazione;
possano essere create forme di associazione che consentano una cooperazione gra-
duale e progressiva, in vista di un'eventuale
adesione;
- possano essere sviluppate forme multilaterali di cooperazione regionale e di dialogo
politico regionale fra l'Unione e più Stati associati, allo scopo di promuovere la coesione
regionale e i rapporti di vicinato, e per contrastare il sorgere di nazionalismi;
7. Auspica che l'Unione europea continui a perseguire i suoi obiettivi politici, a prescindere dai previsti ampliamenti e associazioni, e apra a tutti gli Stati europei, che agiscono individualmente o in raggruppamenti
~ u b r e ~ i o n a lprogrammi
i,
di sostegno specifici
come SPES, SPRINT, ERASMUS o PETRA e agenzie come l'Agenzia europea dell'ambiente, chiedendo che detti Stati interessati contribuiscano in modo adeguato ai costi
di tali iniziative;
8. Chiede che l'Unione europea, parallelamente al rafforzamento e alla democratizzazione del proprio sistema istituzionale a carattere federale, istituisca un «Sistema di cooperazione confederale in Europa» suscettibile di
costituire un quadro globale europeo per la soluzione di determinati problemi di dimensione paneuropea quali ad esempio la garanzia
della sicurezza, il controllo dei movimenti migratori, la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, l'esecuzione di determinati compiti di protezione dell'ambiente, la tutela della salute, la lotta alla criminalità e il rispetto
dei diritti dell'uomo e delle minoranze;
9. Ritiene che il Consiglio d'Europa e la
CSCE faranno parte di questo «Sistema di
cooperazione confederale in Europa», per cui
dovrebbero proseguire e intensificare la loro
importante funzione di fori per accordi a livello paneuropeo nei rispettivi settori specifici di responsabilità, e che l'Unione Europea
dovrà esserne il centro motore;
10. Ritiene necessario che l'Unione europea in quanto tale figuri, accanto ai suoi Stati
membri, quale membro del Consiglio d'Europa e parte contraente della CSCE e che 1'Unione stessa assuma progressivamente, nei
settori di competenze a essa demandati, la
prerogativa di pronunziarsi a nome degli Stati membri;
1I. Si impegna affinché il «Sistema di cooperazione confederale in Europa» non sia
strutturato come una classica confederazione
unitaria e con competenze estese, bensì si sviluppi sulla base di una pluralità di confederazioni con compiti settoriali o regionali, la cui
formazione l'Unione europea dovrebbe promuovere;
12. Giudica importante che la cooperazione nell'ambito delle confederazioni con compiti settoriali sia strutturata in modo flessibile e che in esse cooperino rispettivamente
l'Unione europea e i paesi terzi interessati alla soluzione comune di problemi comuni in
determinati settori e che allo scopo sono anche disposti a esercitare in comune singoli diritti di sovranità;
13. Sottolinea che la cooperazione nell'ambito delle confederazioni con compiti
settoriali non deve limitare né ostacolare il
COMUNI D'EUROPA
processo di integrazione nelllUnione europea, collegato al trasferimento di competenze
nazionali;
14. ritiene che, in taluni settori, al ~Sistema di cooperazione confederale in Europa»
potrebbero partecipare, secondo le modalità
del caso, tanto gli Stati Uniti e il Canadà
quanto la Russia e altri Stati nati sul territorio dell'ex URSS, la Turchia e i paesi dell'area mediterranea non europea;
15. Ritiene che nel «Sistema di cooperazione confederale in Europa» la cooperazione
intergovernativa fra l'Unione europea e gli altri Stati sia di norma la struttura più realistica e adeguata per le decisioni politiche, a condizione però che il contributo di ogni Stato
partecipante, e soprattutto dell'unione europea, sia soggetto a un controllo parlamentare,
che le disposizioni giuridiche cosi convenute
possano entrare in vigore nell'unione europea e negli altri Stati solo previa approvazione del Parlamento europeo e10 dei Parlamenti
nazionali;
16. Sollecita la creazione di una «Accademia europea», cui siano chiamate, senza fissare quote nazionali, diverse personalità illustri, esperte e indipendenti della cultura e
dell'arte, della scienza, del mondo religioso e
della politica, che rappresentino e promuovano l'identità culturale europea nella sua molteplicità;
11. Riforme strutturali e istituzionali
L 'Unione
17. Ritiene che i1 Trattato sull'unione europea sottoscritto a Maastricht il 7 Febbraio
1992 sia necessario ma non sufficiente per consentire a quest'ultima di far fronte adeguatamente, dal punto di vista istituzionale e politico, alle nuove sfide e, in particolare, di accogliere un gran numero di nuovi Stati membri;
18. È convinto che l'Unione europea possa far fronte all'adesione di nuovi Stati e alle
sfide paneuropee solo qualora si evolva, sulla
base di una costituzione elaborata dal Parlamento europeo e da sottoporre alla ratifica
degli Stati Membri, in un'unione con strutture federali e competenze limitate ma concrete sulla base del principio di sussidiarietà
e istituzioni democratiche pienamente sviluppate;
19. Chiede quindi la convocazione - prima del 1996 e comunque anteriormente a
ogni decisione di ampliamento - di una
Conferenza intergovernativa incaricata di avviare questo processo con la partecipazione
del Parlamento europeo, sulla base di un progetto di Costituzione dell'unione, affinché
l'Unione stessa possa accogliere altri Stati europei, rafforzando allo stesso tempo la sua
coesione, la sua capacità decisionale e la sua
legittimità democratica;
20. Non condivide l'opinione espressa
nelle conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona del 27 giugno 1992, secondo cui l'ampliamento dell'unione agli Stati dell'EFTA
aspiranti all'adesione dovrebbe essere realizzato senza ulteriori riforme istituzionali;
COMUNI D'EUROPA
21. Insiste affinché nell'ambito dei prossimi negoziati di adesione vengano concordate
almeno le riforme istituzionali e strutturali
più urgenti;
22. Decide, in merito a tali riforme, i seguenti orientamenti;
a) per quanto attiene al Consiglio:
- il ruolo e la natura della presidenza
vanno ridefiniti nel rispetto del principio della parità tra gli Stati membri nonché tenendo
conto delle crescenti esigenze di continuità e
di presenza espresse dalla rappresentanza
esterna dell'unione europea;
- occorre accelerare la sua evoluzione a
seconda Camera legislativa nel senso di una
vera e propria Camera degli Stati a fianco del
Parlamento europeo; il Consiglio diventerà
un organo dell'unione in seduta permanente,
che si riunisce pubblicamente in sede legislativa e delibera a maggioranza in un procedimento di codecisione paritetica con il Parlamento europeo, ridefinendo, in considerazione dell'ampliamento dell'unione, la maggioranza qualificata in base a nuovi criteri, pur
rispettando la ponderazione dei voti;
- nell'emanazione di disposizioni di applicazione sulla base di normative adottate
dal Consiglio e dal Parlamento nell'ambito di
una chiara gerarchia delle norme, deve essere
conservato al Consiglio un ruolo particolare,
in quanto va mantenuta la responsabilità degli Stati membri in ordine all'esecuzione e all'applicazione delle leggi dell'unione;
b) per quanto attiene alla Commissione
- deve diventare l'esecutivo dell'unione
europea e come tale deve gestire gli affari sulla base delle norme dell'unione europea e degli orientamenti approvati dal Consiglio
europeo;
- occorre rafforzare la capacità di azione
e la responsabilità di fronte al Parlamento, in
particolare per gli impegni nell'ambito delle
relazioni esterne e del «Sistema di cooperazione confederale in Europa»;
- nei settori di sua competenza deve essere la Commissione sola a rappresentare 1'Unione europea verso l'esterno, in particolare
nei confronti delle strutture paneuropee; per
il resto essa opera di concerto con la Presidenza del Consiglio e sotto il controllo del
Parlamento europeo secondo le prassi di controllo vigenti negli Stati membri in materia di
politica estera;
- occorre introdurre il principio della
competenza politica,
- il Presidente della Commissione, nominato dal Parlamento su proposta del Consiglio europeo, deve decidere congiuntamente
al Consiglio e al Parlamento, garantendo una
rappresentanza equilibrata di tutti gli Stati
membri per quanto riguarda le funzioni di
rango più elevato dell'unione e la composizione dell'esecutivo;
- deve essere resa possibile la designazione di Commissari sostitutivi in settori specifici;
C) per quanto attiene al Parlamento
europeo:
- occorre aumentarne la rappresentatività con l'aumento del numero degli Stati membri dell'unione europea, fissando il numero
dei deputati conformemente al principio della «proporzionalità decrescente», in base al
quale il loro numero in rapporto a quello degli
abitanti dello Stato membro di appartenenza
diminuisce con l'aumentare della popolazione;
- deve partecipare con gli stessi diritti e
lo stesso peso del Consiglio a tutte le decisioni sulle entrate e sulle spese in tutti gli ambiti
della legislatura dell'unione europea (codecisione);
- occorre rafforzare considerevolmente il
suo controllo sulla politica estera di sicurezza, in particolare in considerazione del ruolo
dell'unione europea e delle sue decisioni nel
«Sistema di cooperazione confederale in Europa», nonché sul successivo sviluppo dell'Unione europea, attraverso il parere conforme
su tutte le decisioni fondamentali di PESC,
sulla stipula di trattati internazionali e su tutte le decisioni adottate all'unanimità dal
Consiglio dei Ministri dell'unione europea;
23. Per quanto attiene alllimpiego delle
lingue in un'unione europea ampliata:
- il rispetto della pluralità culturale e della sicurezza del diritto rendono indispensabile che ogni lingua nazionale dell'unione europea sia lingua ufficiale dell'unione stessa,
- ogni cittadino e ogni deputato ha il diritto di essere ascoltato nella sua lingua nell'ambito delle istituzioni dell'unione e a informarsi in tale lingua sulla politica e siilla legislazione dell'unione,
e reputa che l'aumento del numero delle
lingue ufficiali a seguito dell'ampliamento
della Comunità conseguente all'adesione di
nuovi Stati membri renderà indispensabile
pervenire a un accordo sull'utilizzazione tecnica di lingue di lavoro;
Il Consiglio d'Europa
24. Propone che il Consiglio d'Europa sia
messo in condizione di potenziare il proprio
ruolo per quanto riguarda la collaborazione
nei settori della cultura, della scienza, della
politica sanitaria, dell'urbanistica, del diritto
privato, della politica sociale e in campo
etico-sociale fra tutti gli Stati e le organizzazioni governative europee e suggerisce di trasformarlo, rafforzarlo, in un consesso per il
dialogo tra i Comuni e le Regioni nonché tra
le organizzazioni govenative e non governative esistenti in Europa;
25. auspica
- l'ulteriore sviluppo della Convenzione
sui diritti dell'uomo e le libertà fondamentali
e della Carta sociale europea, al fine, tra l'altro, di elaborare una Carta dei diritti delle
minoranze in Europa che garantisca tanto i
diritti individuali quanto quelli collettivi;
- il perfezionamento del regime di tutela
giuridica previsto dalla Convenzione europea
dei diritti dell'uomo, in particolare per quanto riguarda le denunce di violazione dei dirit(segue a pag. l>)
GENNAIO 1993
un bilancio per la Commissione donne del CCRE
Due anni soddisfacenti e tanta voglia di fare
di Fausta Giani Cecchini*
Chi esaminasse la storia del CCRE sotto il
profilo dell'attenzione ai problemi della popolazione femminile e, in particolare, al significato e valore della presenza d i donne nelle
amministrazioni locali e regionali per il conseguimento delle finalità politiche dell'organizzazione, potrebbe riscontrare che solo a
partire dagli inizi degli anni '80 questa tematica ha cominciato ad essere affrontata in maniera specifica. L'inizio di questo periodo è
databile con la prima Conferenza delle elette
locali e regionali europee organizzata a Pisa
dal CCRE in collaborazione con la Commissione CE (novembre 1983).
L'iniziativa nasceva per volontà delle amministrazioni e sulla spinta di varii elementi:
da un lato il sorgere e l'affermarsi, e partire
dagli anni '70, di movimenti e associazioni
femminili e femministe in vari paesi membri,
dall'altro I'indizione da parte dell'ONU del
decennio della donna, la formazione della
Commissione ad hoc del Parlamento europeo
(Presidente Yvette Roudy), l'emanazione
delle prime direttive in applicazione dell'art.
119 dei Trattati di Roma, l'impegno in questo campo della Commissione C E che portò,
fra l'altro, alla fondamentale pubblicazione
«Donne d'Europa».
Gli anni che passano dalla prima Conferenza (Pisa 1983) alla seconda (S. Jacopo di
Compostella 1986), alla terza (Anversa,
1988) sono caratterizzati da una elaborazione
via via sempre più approfondita della questione che del resto corre ancora parallelamente
all'azione della Commissione C E e del Parlamento europeo in questo settore.
Vanno emergendo e precisandosi alcuni
concetti, grazie anche ai contatti tra le elette
di vari paesi membri in occasione delle tre
Conferenze sopra citate:
- L'Europa unita dovrà colmare il suo
deficit democratico; ciò comporta, fra l'altro,
la parità fra i due sessi nelle leggi e nella
realtà.
- L'Europa unita dovrà poter contare su
tutte le intelligenze e le professionalità per
vincere la concorrenza mondiale sul piano
della ricerca scientifico-tecnologica, della
produzione, del mercato; ciò comporta, fra
l'altro, la necessità di non sprecare le intelligenze e le professionalità delle donne.
- L'Europa unita non sarà tale se al fattore economico e politico non unirà quello sociale. La storia che porta dall'art.119 dei
Trattati di Roma alle direttive comunitarie in
materia di parità donna-uomo dimostra che
proprio lavorando in questo settore per forza
di cose si passa dall'economico-politico al sociale, con risultati utili per tutti i cittadini,
donne e uomini.
* Presidente della Commissione permanente delle elette locali del CCRE. Membro della Giunta delI'AICCRE
GENNAIO 1993
- L'Europa unita dovrà dedicare attenzione particolare alle fasce più deboli della società; fra queste vanno annoverate le donne
che - a qualsiasi strato sociale appartengano
- sono svantaggiate rispetto agli uomini.
- L'Europa unita dovrà dedicare attenzione ai problemi dell'immigrazione; in parti-
I<m#R-
DULCMI-
UHLSTI"IIU
Donna europea: iniziamo il dis~orso
--
8, ,.".*<,.-G.=b",.
1
colare dovrà tener presenti quelli delle donne
immigrate, più gravi di quelli degli immigrati.
- La presenza di donne negli Enti locali
e regionali significa un modo nuovo di fare
politica: più aderenti aha realtà, più vicino ai
bisogni, più disponibile alle innovazioni. Per
questi motivi le amministratrici possono essere valide forze nella battaglia per la realizzazione dell'unità europea.
- Le amministratrici locali e regionali,
inoltre, sentendo con maggior immediatezza
i problemi delle donne, sono di forte stimolo
a risolverli (nell'ambito delle direttive e delle
azioni comunitarie) sul piano locale e regionale e a sostenere la realizzazione di un'Unità
europea che, risolvendo i problemi della popolazione femminile, liberi una riserva di
energie intellettuali, etiche, professionali che
sono indispensabili alla sua affermazione.
La terza Conferenza di Anversa segna un
momento di svolta nella politica del CCRE in
materia: infatti le amministratrici europee 1ì
riunite, convinte dell'importanza della questione, chiedono l'istituzione di una Commissione Permanente delle elette locali e regionali. La richiesta viene accolta dal Comitato Direttivo del CCRE (Monaco 1988). La Segreteria viene affidata nel 1991 all'AICCRE.
Da questo momento inizia quello che si
può definire il terzo periodo dell'attività del
CCRE in questo campo.
La Commissione tiene la sua prima riunione a Torino (luglio 1991).
Dopo una fase iniziale di rodaggio, la Commissione va via via precisando la sua linea
d'azione politica e la sua organizzazione, che
nell'anno 1992 prenderà corpo in misura considerevole.
Basta esaminare il livello del dibattito e le
risoluzioni finali della IV Conferenza di Heidelberg per rendersi conto di come la linea
d'azione sia stata bene individuata e fissata
(le amministratrici del CCRE affrontano i
problemi delle donne europee dal punto di vista delle amministrazioni locali e regionali
nella prospettiva dell'unità europea), di
quanta sia stata la ricchezza di elaborazione
dei temi esaminati, di quali impegni programmatici la Commissione Permanente sia stata
incaricata.
Sono segni del !grado di efficienza raggiunto dalla Commissione nel 1992: da un lato la
sua presenza attiva, attraverso la Presidente,
all'Assemblea dei Delegati e alla successiva
Conferenza di Praga (1-2 ottobre 1992) e alla
Conferenza internazionale «Donne e potere»
organizzata dal Consiglio d'Europa (Atene,
novembre '92), dall'altro il risultato dell'ultima riunione della Commissione stessa (Firenze, dicembre '92).
A Firenze è risultato chiaro che la Commissione sul piano politico ha ormai raggiunto un apprezzabile livello di chiarezza e di
amalgamazione; sul piano organizzativo, grazie anche all'applicazione del Regolamento
delle Commissioni votato a Praga e a un ulteriore chiarimento per ciò che concerne le persone componenti la Commissione, ha raggiunto un assestamento più che soddisfacente.
I1 clima generale della riunione di Firenze
e le decisioni, numerose ed importanti, in essa prese sul piano politico e organizzativo
permettono di prevedere un'attività serena e
proficua della Commissione nel realizzare il
programma che in quella sede è stato approvato per il 1993.
M
Dal 15 gennaio 1993
awìverà a tutti i soci,
gratìs per il 1993, l a genzia settimanale Europa Regioni: ma confidiamo che ogni amministrazione senta il dovere di abbonani
COMUNI D'EUROPA
ambiente urbano e governo della città
Ambiente e territorio: dal Libro Verde al
Libro Bianco, dala diagnosi alle proposte
di Sandro Giulianelli*
Si è svolto dal 19 al 20 novembre a Roma, organizzato dall'AICCRE in collaborazione con la Commissione CE, un seminario
su ((L'ambiente urbano e il governo della città e del territorio: gli orientamenti della Comunità europea». Molto qualificati sia
dal punto di vista tecnico che politico gli interventi e le rehzioni tenuti da amministratori locali e regionali e da docenti universitari. Il seminario era stato inoltre arricchito da alcune esperienze straniere (Berlino e Marsiglia) confrontate con dei casi italiani.
I1 mio compito è quello di introdurre un elemento d i riflessione sulle attività delle istituzioni comunitarie nei confronti delle tematiche urbane, dell'assetto del territorio e delle
iniziative operative che la Commissione esecutiva sta prendendo.
Devo fare subito una premessa: la Commissione esecutiva e le istituzioni comunitarie non hanno generalmente competenze dirette nè in materia di ambiente urbano, nè in
materia di assetto del territorio, nè d i urbanistica, in quanto i trattati che le istituiscono,
compreso il tanto discusso Trattato di Maastricht, si basano sul principio di sussidiarietà. Ciò significa che, sulla base di questo
principio, le azioni comunitarie hanno un
senso e sono ritenute legittime quando aggiungono qualcosa: rappresentano quindi un
valore aggiunto rispetto alle azioni che possono essere portate avanti dai singoli stati
membri. Di conseguenza appare chiaro che la
materia urbanistica e la materia dell'assetto
del territorio sono e restano una competenza
dei singoli stati membri.
Tuttavia, è evidente come una serie di politiche comunitarie abbiano ricadute sull'assetto del territorio, sull'organizzazione e sul
funzionamento delle nostre città. Faccio rapidamente qualche esempio: tutti gli interventi
finanziati dalla Comunità Europea sono erogati in base all'art. 10 dei Fondi strutturali.
Sulla base di questi fondi sono stati resi possibili interventi a Londra, a Marsiglia, a Rotterdam e a Napoli. Recentemente sono stati
approvati due interventi molto importanti in
Italia, a Genova e Venezia: a Genova per l'istituzione di un osservatorio urbano per il
monitoraggio degli interventi di restauro e di
recupero del centro storico; a Venezia per il
restauro dell'Arsenale. Questo duplice esempio è un caso in cui un intervento comunitario ha una ricaduta evidente in termini d i assetto urbano. Altro esempio classico è quello
dei fondi relativi al patrimonio architettonico: la Commissione europea ha un fondo di
sostegno per il recupero e la rivitalizzazione
del patrimonio architettonico delle città europee; è un fondo ancora molto esiguo che ha
un valore quasi emblematico, ma è comunque
importante perchè offre un segnale di interes-
* Ufficio Gabinetto del Commissario CE all'ambiente. Trascrizione da1 nastro dell'intervento al Seminario dell'AICCRE sull'ambiente urbano, Roma, 19-20
novembre 1992
COMUNI D'EUROPA
se da parte delle istituzioni comunitarie rispetto al patrimonio storico ed artistico delle
nostre città.
Tutte le altre politiche settoriali comunitarie, dalla politica dei trasporti alla politica
dell'energia, dalla politica dei rifiuti alla politica sociale, sono tutti interventi che in qualche modo si intrecciano con il funzionamento
delle città europee.
Se questo è vero, è anche vero che molti
aspetti della tematica ambientale hanno evidenti connotati transfrontalieri: un fiume che
attraversa più stati membri e ha problemi di
inquinamento interessa più stati membri e
quindi un'azione comunitaria ha un senso. E
ancora: le aree urbane sono i punti del territorio europeo dove c'è la maggior concentrazione di popolazione e la maggior concentrazione di attività; sono i luoghi dove l'inquinamento è più alto ed è evidente quindi che
un'azione comunitaria concentrata sulle aree
urbane avrà effetti positivi per risolvere in
generale i problemi dell'inquinamento, dall'effetto serra alle piogge acide.
Nel «Libro verde» sull'ambiente urbano, la
Commissione ha cercato di superare la logica
parziale.degli interventi specifici per guardare invece alla città come ad un insieme organico e integrato, cercando in questo modo di
uscire dalla logica delle emergenze per affrontare invece in termini organici e complessivi
il tema città. Non richiamo tutti i temi del Libro verde, ma è utile ricordare un punto centrale di questo documento che è una riflessione sull'organizzazione delle città. Partendo
proprio dall'emergenza ambientale delle città
europee, questo documento comunitario ha
iniziato una sorta di cammino a ritroso, andando ad analizzare le cause che sono alla base della crisi attuale delle aree urbane. I1 documento comunitario individua queste cause
in un tipo di organizzazione del territorio urbano che è quello che ereditiamo dalla carta
d i Atene e d a tutta l'urbanistica funzionalista
che divide rigidamente le aree urbane in zone
funzionali, di residenza, luogo di lavoro, luogo d i divertimento, spazi verdi, ecc., e che ha
settorializzato le attività delle città europee
portando, tra l'altro, i cittadini a sempre più
frequenti spostamenti da un punto all'altro
della città. Ciò comporta problemi di traifico
e d i congestione. Altra conseguenza è quella
che è stata definita, a proposito di Parigi, la
città a due velocità: cioè d a un lato la Parigi
ricca di funzioni, ricca di attività culturali,
ricca di monumenti, la Parigi alla quale tutti
noi pensiamo e, dall'altro la sterminata Parigi
che è invece l'esatto contrario: il luogo privo
di qualità, privo di funzioni qualificate, il
luogo, insomma, dell'assenza d i qualità.
Nel nostro testo di riferimento generale affermiamo che è vero che le città europee oggi
attraversano un momento di crisi, ma è anche
vero che le stesse offrono oggi una grande
possibilità di riscatto e di recupero. Pensiamo, per esempio, a tutti i grandi processi di
trasformazione che attraversano le città, di
cui il fenomeno delle aree industriali dismesse è quello più appariscente di tutto un processo di dismissione della intelaiatura che
ereditiamo dal secolo scorso. Pensiamo a tutte le grandi attrezzature urbane in disuso:
mattatoi, vecchi ospedali, edifici militari,
aree demaniali, banchine, porti, moli: tutto
questo armamentario è un'incredibile riserva
di edifici, d i spazi, di aree ubicate spesso in
posizione strategica. Queste rappresentano
altrettante occasioni da cogliere per ridisegnare le città europee in una prospettiva che
tenga conto della qualità urbana.
Abbiamo anche cercato di capire che cos'è
questa qualità urbana di cui tutti parlano. A
tale proposito, vorrei citarvi una riflessione
di un autore inglese che, in una ricerca che ha
recentemente concluso per conto della Commissione della Comunità Europea e del governo inglese, sostiene un paradosso della nostra epoca: saper riconoscere immediatamente quali sono i quartieri e le parti della città
dove ci piacerebbe vivere, ma sempre più raramente riscontriamo queste qualità nella città contemporanea. L'autore arriva a progettare un villaggio urbano nei dettagli, scegliend o un territorio d i proprietà del principe di
Galles dove alcuni promotori hanno tra l'altro iniziato un'operazione di costruzione di
questa sorta d i città ideale.
Naturalmente le istituzioni comunitarie
non si spingono fino a questo punto, ma hanno individuato, nella Conferenza Internazionale di Madrid che si è tenuta un anno fa, sette punti di orientamento generale che sono
alla base del nostro lavoro a Bruxelles e che
fondano la nostra azione attuale. Ve li richiamo brevemente: il primo punto è quello di favorire l'uso misto delle aree urbane basato
sulla coesistenza di uomini e attività molteplici: questa è una prima risposta al tipo di
città che prima criticavo: la città funzionalista. Si tratta di favorire un uso misto, una
GENNAIO 1993
coesistenza di attività differenti, di strati sociali diversificati e di ricostruire quella ricchezza che è alla base del senso stesso della
città. Inoltre bisogna cercare di riportare all'interno delle aree urbane le attività produttive, perchè spostandole fuori non si risolve
il problema. E allora, quale risposta dare?
Quella di lavorare sulle cause dell'inquinamento attraverso l'utilizzo delle tecnologie
oggi disponibili e rendere in questo modo le
attività produttive «pulite», cercando contemporaneamente la coesistenza di queste attività con la funzione residenziale.
Secondo punto: proteggere e valorizzare
l'identità delle città, ristabilendo il legame
tra i luoghi e la loro storia. E un punto particolarmente importante: si tratta di rispettare
l'individualità e i connotati di ogni città europea. L'idea che noi abbiamo dell'Europa comunitaria non è quella di omogeneizzazione,
ma è al contrario un'idea di esaltazione delle
differenze perchè proprio in esse vive la ricchezza culturale, sociale ed economica del nostro continente. Ciò comporta la lotta a quello che è stato definito l'lnternational Style,
cioè quello di una edilizia anonima che funesta le nostre periferie e che rende simili le città europee le une alle altre. Bisogna, invece,
recuperare quegli elementi di identità che derivano dalla storia delle nostre città, ma in
questo caso bisogna far anche attenzione a
non rivolgersi alla storia come ad un catalogo
da cui attingere stilemi architettonici, ma
piuttosto come ad un patrimonio di processi
culturali.
Terzo punto: indirizzare lo sviluppo e la
crescita delle città utilizzando le aree vuote al
loro interno: aree industriali dismesse, ex zone militari, ecc., piuttosto che occupare altro
territorio in periferia. Credo che questa sia
una via possibile da percorrere anche in considerazione del fatto che in fondo i fenomeni
di crescita impetuosa delle città europee si sono arrestati e quindi non dobbiamo più far
fronte ai grandi numeri: a questo punto c'è
più spazio per pensare alla qualità. Certo, resta l'incognita dell'immigrazione dal Maghreb e dai paesi dell'Est, ma credo che essa riesca ad essere incanalata e disciplinata.
Quarto punto, ridurre l'impatto del trasporto privato nelle aree urbane; su questo
punto tornerò più tardi.
Quinto punto, garantire la qualità degli
spazi pubblici e delle aree verdi: è sotto gli
occhi di tutti l'attenzione che mostravano i
nostri avi per caratterizzare e qualificare gli
spazi aperti nella città antica. Attenzione che
si è andata via via perdendo. Vorrei, invece,
sottoporre alla vostra riflessione il fatto di come spesso anche un singolo oggetto di arredo
urbano possa caratterizzare una città: se si
vede per esempio una cartolina con la cabina
telefonica rossa immediatamente si pensa a
Londra. Purtroppo a Londra queste cabine le
stanno togliendo completamente; questo è un
grave errore perchè è proprio l'esempio di un
oggetto che caratterizza e sintetizza una città. Stesso discorso per le colonne di Parigi,
quelle dove ci sono affissioni di manifesti, o
il paracarro di acciaio di Amsterdam.
Sesto punto, introdurre nella gestione delle aree urbane criteri di risparmio energetico
GENNAIO 1993
e di uso intelligente delle risorse.
Settimo, assicurare la partecipazione degli
abitanti alle decisioni riguardanti l'organizzazione della città e la gestione dei problemi
ambientali.
H o richiamato questi sette punti perchè in
qualche modo rendono il quadro di riferimento di quella che è la nostra attività attuale
a Bruxelles. Questa sta andando avanti in tre
direzioni: una prima direzione va nel senso
della ricerca; una seconda direzione verso
progetti pilota; una terza direzione concerne
l'attività normativa. Le ricerche sono molte,
ma ne cito soltanto qualcuna che mi sembra
particolarmente attuale ed in tema con gli argomenti che stiamo trattando.
Citerei prima di tutto «Città senza auto».
Questa ricerca ha avuto una grande attenzione di stampa e ha suscitato l'interesse generale, forse anche per il titolo provocatorio che
possiede, che parte dalla constatazione della
rottura del binomio autolcittà. Il famoso slogan di George Pompidou che diceva «I1 faut
adapter la ville a la voiture» è andato in crisi.
I n realtà si è dimostrato che, sulla base di
questo slogan, le città europee sono state uso un termine forte - «massacrate» dalle
grandi infrastrutture urbane; cito i1 caso di
Bruxelles dove, per realizzare una efficacissima rete di infrastrutture viarie, il centro antico è stato quasi completamente distrutto; op-
pure, dove non si è fatto questo, le città e i
centri storici sono rimasti soffocati da una
grande quantità di macchine che provoca non
solo inquinamento dell'aria, ma anche un inquinamento visivo. La soluzione qual è? I
provvedimenti di emergenza come le targhe
alterne scattano soltanto quando la crisi arriva a un punto talmente grave per cui non si
respira più. Allora ... che facciamo? I provvedimenti tampone vanno fatti, ma cerchiamo
anche di capire quali possono essere le soluzioni strategiche. L'auto elettrica può essere
una soluzione parziale: se si sostituisse l'auto
a benzina con l'auto elettrica nel settore dei
taxi, delle auto pubbliche, delle auto a noleggio, degli autobus, si risolverebbe una parte
dei problemi. Ma anche in questo caso se ciascuno di noi abbandonasse la sua auto a benzina per quella elettrica ci ritroveremmo nuovamente negli ingorghi. Credo inoltre che i
problemi dell'inquinamento sarebbero semplicemente spostati da un campo all'altro perchè, se è vero che in città non avremmo le
emissioni inquinanti, è anche vero che per
produrre energia elettrica si inquinerebbe
un'altra parte del territorio.
Allora, la soluzione quale può essere? Riteniamo, e lo sostiene anche questa nostra ricerca, che occorre un radicale cambiamento:
va interrotta la coesistenza tra città e trasporto privato e ciò andrebbe, evidentemente, a
Ambiente: quadro storico e attuale
La politica ambientale, dal villaggio ai problemi ecologici del pianeta, è stata affrontata dal CCRE
fin dalle sue origini: basti ricordare la conzmissione ((città-campagna»presieduta dal sindaco francese
Betrurier e il classico saggio del ministro e urbanista, pure francese, Claudius-Petit ~Aménagement
du territoire dans une perspective européenne». L'AICCRE e il suo mensile «Comuni d'Europa» sono
stati fra i primi in Europa ad andare alla radice del problema, affermando che la politica ambientale
non poteva essere decisa a posteriori, ma si trattava di condizionare il modello di sviluppo, cioè come si scriveva - di fare una sintesi a priori di sviluppo economico e pianìficazione del territorio.
Ma rapidamente «Comuni d'Europa» afiontò il problema ambientale su scala planetaria, che condizionava e condiziona qualsiasi quartiere urbano o villaggio periferico: basti ricordare l'articolo, che
fece epoca, intitolato «Sull'orlo dell'abisson (uscito il 20 giugno 1959), che portava come sottotitolo
«L'atomo, la salute, la pace e l'urgenza comunitaria». Continuando su questo rapporto tra la sovranazionalità e l'autonomia locale, in un altro articolo, che potremmo definire storico, la rivista ufficiale
delllAICCRE pubblicò un paginone col titolo «La morte della sovranità nazionale o la morte dell'Europa e delgenere umano»: il sottotitolo iniziava colsintomatico interrogativo «Il morbo di Minamuta a Marina di Ravenna?».
Una tappa fondamentale del CCRE in materia furono gli Stah generali di Nizza (15-18 giugno
1972), in cui si discusse un progetto di «Carta europea dei poteri locali per la salvaguardia dell'ambiente naturale e umano». Da Nizza scaturi la definitiva «Carta» della nostra organizzazione, varata
a Bruges il 28 giugno 1972: un'integrazione della «Carta di Brugesv del CCRE avvenne al termine
della Conferenza sulla politica dell'ambiente nella Comunità europea svoltasi a Roma, in piena collaborazione con la Commissione esecutiva della Comunità europea e con l'intervento del governo italiano (partecipò il ministro dell'ambiente Spadolini).
Venendo ai nostri giorni è d'obbligo sottolineare la non partecipazione polemica del Commissario
ad hoc della CE (che allora era Ripa di Meana, attualmente ministro italiano per l'ambiente) alla
Conferenza di Rio (giugno '92):sulla Conferenza di Rio «Comuni d'Europa» ha pubblicato una rigorosa corrispondenza di un nostro collaboratore (Toffoli), intitolata «Nord-Sud, ambiente-sviluppo:
strette interdipendenze~.In seguito a Rio è opportuno ricordare una posizione critica assunta anche
dal presidente delllAICCRE, Serafini, richiamando la consueta riunione di quest'estate, successiva
a Rio, degli scinzziati di tutto il mondo, Nord Sud Est Ovest, ad Erice in Sicilia: gli scienziati ad
Erice hanno ben sottolineato le volute e colpevoli lacune della Conferenza di Rio. Anche da Erice
si deduce che non solo il mondo, caduto il duopolio USA-URSS, va verso unanarchia planetaria
armata, ma si avvia altresi verso una distruzione ambientale per totale carenza di governo, che non
può far meno paura di guerre locali, per altro sempre più terribili e di estensione crescente, vista anche
l'accessibilità sempre maggiore di armi micidiali, che si accompagnano alla tradizionale bomba
atomica.
storico e attuale si è svolto il Convegno dellJAICCRE nel novembre 1992.
In questo
COMUNI D'EUROPA
vantaggio del mezzo di trasporto pubblico.
Questo va completamente ripensato e mi
sembra un'impresa possibile. Pensate se tutta
l'intelligenza creativa che oggi è applicata all'auto privata venisse dedicata in minima parte anche al ridisegno del trasporto pubblico.
Certo, è difficile caricare il mezzo pubblico
di tutti quei valori simbolici di cui oggi è investita l'auto privata: cioè far amare dal consumatore una Ferrari allo stesso modo del treno. Questo cambiamento di mentalità è molto difficile, ma è un'operazione che va comunque iniziata: la pubblicità, per esempio,
ci mostra sempre l'auto in condizioni assolutamente irreali, immersa in paesaggi naturali
lungo le coste, o in paesaggi urbani notturni:
quindi una realtà di sogno alla quale invece
corrisponde una realtà di ingorghi e di immobilità.
Bisogna ripensare completamente il sistema del trasporto urbano, pensando anche a
tipi di trasporto alternativo ed innovativo. Ci
sono già tanti esempi: quello di Perugia che
ha realizzato le scale mobili, e tantissimi altri
esempi che possiamo attingere dal passato:
durante l'esposizione universale di Parigi c'erano dei tapis roulant che trasportavano i visitatori a due velocità.
Bisogna fare uno sforzo di immaginazione
e ripensare a un sistema di trasporto urbano
che sia efficace, che sia competitivo con il
trasporto privato e che abbia anche un richiamo verso l'utente. La critica che è mossa verso la ricerca è quella di essere una bella utopia. Credo che intanto non ci sia nulla di male a fare un po' di utopia, ma la ricerca dimostra anche che questa ipotesi non solo è realizzabile, ma ha un costo dalle due alle cinque
volte minore rispetto a quello della città che
conosciamo. Naturalmente i costi variano in
funzione della densità: quanto più la città è
densa tanto più è conveniente il trasporto
pubblico (il caso di Parigi è classico, dove tra
l'altro il 53% della popolazione che vive nel
centro urbano non possiede auto privata). E
quindi un'ipotesi realistica che, non a caso,
ha interessato le grandi case automobilistiche, soprattutto la Renault e la Fiat, in quanto evidentemente esiste un mercato potenziale di grandissimo spessore.
Pensiamo a tutte le città del17Est europeo
dove non possiamo pensare di applicare il nostro modello, cioè quello che porta a distruggere le reti già esistenti di tram, di fare autostrade urbane, di vendere macchine, ecc.
Quindi, esse si aprono per l'industria una volta fatte alcune operazioni di riconversione;
sono operazioni che richiedono tempi lunghi,
ma in prospettiva, una volta fatte queste operazioni, aprono mercati immensi.
Moltissime città stanno portando avanti
politiche di questo genere, interessandosi a
questa nostra iniziativa: da Aosta a Lovagno,
a Birmingham e, in particolare, la città di
Amsterdam dove un referendum, che è stato
fatto qualche mese fa, ha deciso di escludere
dal centro storico tutte le macchine, comprese le auto dei residenti. Ad Amsterdam potremo ammirare il paesaggio che offre il canale
senza l'intromissione delle macchine. Sulla
base di questo referendum, Amsterdam si è
proposta come città leader di quello che abCOMUNI D'EUROPA
biamo chiamato «club di città senza auto»,
che verrà lanciato nel corso di una conferenza
internazionale nel prossimo mese di aprile in
cui ci proponiamo di mettere in contatto tutte le città europee che si stanno muovendo
con decisioni, progetti, piani e realizzazioni
che vanno in questa direzione. Pensiamo appunto a una sorta di modello analogo a quello
delle città denuclearizzate: dare una, due,
tre, quattro, cinque stelle, basandoci sul livello di avanzamento di questo tipo di realizzazioni che hanno come obiettivo la limitazione
progressiva del traffico nei centri storici.
Sulle altre ricerche condotte ci sarebbe
molto da parlare, ma traccerò soltanto gli
spunti essenziali. Una ricerca che mi sembra
molto interessante è quella del recupero delle
aree industriali dismesse. In questo caso abbiamo scelto sei siti in Europa e stiamo cercando di proporre delle ipotesi di utilizzazione di queste aree industriali dismesse, arrivando a formulare quasi dei piani di fattibilità; non soltanto quindi ipotesi progettuali
astratte, ma anche prefigurazioni di attori, di
scenari economici realistici.
Un'altra ricerca che vorrei citare è quella
su «Turismo e ambiente urbano» perchè è
evidente che certe forme di turismo rischiano
di compromettere la vivibilità di alcune città.
Pensiamo alle città con grandi movimenti turistici: ci troviamo di fronte ad una contraddizione perchè se da un lato la promozione
del turismo è un fattore di civiltà e di crescita
culturale, dall'altro il grande numero di turisti rischia di distruggere e di snaturare le città. Sono stato di recente a Firenze e ho notato che non ci sono quasi più residenti nel centro storico, perchè è una continua gita scolastica che attraversa senza soluzione di continuità la città.
Si pone il problema di disciplinare questi
afflussi turistici. Un esempio può venire da
alcuni tentativi fatti nelle città che hanno
ospitato ed ospitano grandi mostre. Per
esempio, ad Amsterdam per vedere le mostre
di Van Gogh e di Rembrandt occorre la prenotazione con la quale si ha diritto ad entrare
soltanto in una certa fascia oraria. Questa di
Amsterdam mi sembra un'ottima ed esemplare formula. Questa ricerca è ancora in corso
e quindi non ha ancora dato dei risultati definitivi, ma sta andando nella direzione della
ricerca di compatibilità.
Un'altra ricerca, «Rapporto tra beni culturali e ambiente*, mette in rilievo come tutti
i costi del restauro, della pulitura delle facciate dei monumenti diventano enormi se non si
interviene a monte per eliminare i fattori inquinanti. Secondo filone di intervento cui facevo riferimento prima è quello dei progetti
pilota: per verificare le teorie e le ipotesi contenute nel Libro verde, abbiamo promosso alcuni progetti pilota. Ve li cito rapidamente: a
Genova, dove si è sperimentato un progetto
di recupero «ecologico» del centro storico; ad
Amburgo, dove si sta studiando il recupero
delle aree verdi all'interno del centro urbano;
a Madrid, dove si sta invece studiando il recupero del quartiere di Villaverde (un quartiere molto degradato della periferia madrilena, con grandi problemi di integrazione sociale); a Copenaghen, dove invece si sta pro-
gettando il recupero di un quartiere degli anni '30 a ridosso del centro storico; a Lisbona,
progetto di riqualificazione di spazi pubblici;
a L'Aia, con un progetto di limitazione progressiva del traffico privato. Questi sono progetti pilota che funzionano grazie ad una
equipe tecnico-scientifica messa a disposizione dalla Commissione della Comunità europea che è coadiuvata dai tecnici e dalle amministrazioni locali. Questa equipe formula delle ipotesi di progetto pilota che troveranno in
seguito canali finanziari e attuativi.
Terzo settore di intervento è quello relativo alla vastissima attività normativa che si
esplica attraverso le direttive concernenti
l'auto pulita.
Vorrei soffermarmi su quella che, a mio
giudizio, è la proposta in discussione più interessante in questo momento, e cioè l'estensione della direttiva di impatto ambientale alle politiche, piani e programmi: la famosa direttiva PPP, come è stata chiamata.
Essa è attualmente all'esame della Commissione e, se approvata, comporterà l'obbligo per gli stati membri di sottoporre allo studio di impatto ambientale non solo i progetti,
come oggi succede, ma anche le politiche settoriali. Faccio un esempio: quando uno stato
membro creerà un piano generale dei trasporti o dell'agricoltura dovrà sottoporre questo
piano allo studio di impatto ambientale; stessa cosa quando si crea un piano territoriale
urbanistico, così come quando si farà un piano regolatore.
E quindi una direttiva di grande portata,
su cui naturalmente non c'è unanimità e che
è ancora in fase di trattativa e di negoziazione. Trattando di progetti e di interventi sulle
città si parla di grandi numeri, di grandi cifre,
di grandi impegni finanziari. Crediamo che
dentro questi grandi progetti bisogna far confluire sia il denaro pubblico che quello privato e riteniamo inoltre che anche le istituzioni
comunitarie debbano fare la propria parte.
Accanto a tutti gli strumenti finanziari (fondi
strutturali, ecc.) è stato istituito di recente un
nuovo fondo di carattere ambientale che è il
fondo «Life». Questo ha finalità ambientali
ed abroga, intanto, i canali finanziari esistenti precedentemente, diventando appunto il
fondo che dovrà sostenere tutte queste azioni
di carattere ambientale con contenuto sperimentale.
I settori di intervento sono la promozione
dello sviluppo sostenibile e della qualità dell'ambiente; quindi, tecnologie pulite, tecniche di riciclaggio dei rifiuti, bonifica dei siti
inquinati, miglioramento della qualità della
vita nell'ambiente urbano. Inoltre, tutela della natura e dell'habitat, strutture amministrative e servizi per l'ambiente: favorire la cooperazione tra gli stati membri per la gestione
delle problematiche ambientali transfrontaliere, la costituzione di reti e di network di
sorveglianza e così via.
Infine, il settore dell'educazione, formazione e informazione sulle tematiche ambientali. Questo fondo ha una dotazione di 400
milioni di ECU per i1 quadriennio 92-95 e naturalmente una parte di questo fondo sarà destinato a progetti ed iniziative urbane.
m
GENNAIO 1993
semblea parlamentare della Conferenza da
una delegazione il cui status venga definito
appositamente;
Dopo il vertice
(segue
da pag. 6)
modello federalista propone di conservare e
rispettare la sovranità degli Stati membri in
tutte le materie che hanno una dimensione ed
un significato nazionali, proponendo di trasferire ad un governo europeo, democraticamente controllato dal Parlamento europeo, la
sovranità nei settori della politica estera, della politica economica e della protezione dei
diritti umani.
Contrariamente al metodo diplomatico per
sua natura privo di trasparenza e di caratteristiche democratiche, che ha contraddistinto
le modifiche fino ad ora operate al Trattato
di Roma, l'elaborazione della costituzione europea deve essere svolta per via parlamentare
e coinvolgere il più possibile i cittadini della
Comunità. Una nuova strategia di azione per
l'istituzione di una vera Unione europea non
può che avvenire in tale quadro. E necessario
l'impegno di tutte le forze federaliste da realizzarsi nel quadro di una Convenzione della
costituzione federale europea.
a
La risoluzione del PE
isegue
d a pag. 10)
ti delle minoranze negli Stati europei;
- l'elaborazione di altre convenzioni europee in settori di interesse comune, soprattutto per quanto riguarda questioni giuridiche, politico-sociali, etniche ed etiche;
La Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE)
26. Rigiene necessario che la CSCE recentemente ampliata intensifichi e istituzionalizzi ulteriormente il proprio ruolo in materia di
politica della sicurezza, nello spirito e sulla
base del «Documento di Helsinki 1 9 9 2 ~approvato il 10 luglio 1992 dai Capi di Stato e
di governo dei paesi aderenti alla CSCE;
27. Ritiene particolarmente necessario un
ulteriore sviluppo della Carta della CSCE, in
considerazione anche del recente ampliamento di quest'ultima, al fine di conciliare i principi della non ingerenza e del rispetto dell'integrità territoriale con quelli del rispetto del
diritto all'autonomia e della tutela delle minoranze, e si compiace della nomina di un alto commissario CSCE responsabile per le minoranze nazionali, anche se la sua autonomia
e la sua capacità d'iniziativa sono limitate;
28. Ravvisa nella partecipazione degli Stati Uniti e del Canadà alla CSCE non solo un
segno del costante legame tra questi due paesi
e il destino dell'Europa, ma anche la possibilità di instaurare con essi una stretta collaborazione in ambiti diversi da quello della sicurezza;
29. in attesa di una piena partecipazione
della Comunità europea e, quando sarà il momento, dell'unione europea alla CSCE, auspica di essere rappresentato in seno all'AsGENNAIO 1993
L'UEO e la NATO
30. Ritiene necessario, per un periodo
transitorio, instaurare legami più saldi tra le
istituzioni dell'unione europea e I'UEO, in
quanto strumento per una politica comune
nel settore della difesa, e provvedere, nel
1996, a un'integrazione di quest'ultima nell'unione;
31. Accoglie con favore le decisioni adottate dall'UEO il 19 giugno 1992 in materia di
istituzionalizzazione e strutturazione del dialogo, della consultazione e della cooperazione
con gli Stati dell'Europa centrale e orientale;
32. ritiene che la NATO, mentre si sviluppa il ruolo della CSCE e prosegue la sua riorganizzazione e una ridefinizione degli obiettivi politici e strategici conformemente alle
dichiarazioni di Copenaghen e di Roma, possa ancora costituire uno strumento di garanzia della sicurezza in tutta l'Europa e di uno
stretto collegamento tra l'Europa, da un lato,
e gli Stati Uniti e il Canadà dall'altro;
33. individua nella creazione del Consiglio di cooperazione dell'atlantico settentrionale un punto di partenza appropriato per un
più approfondito collegamento, nel settore
della politica e della sicurezza, fra la NATO
e gli Stati dell'ex Patto di Varsavia;
34. ritiene auspicabile che la NATO diventi l'elemento portante di un patto di non
aggressione e di reciproca assistenza di vasta
portata, concluso da tutti gli Stati membri
con tutti gli altri Stati europei, inclusa la Russia - ed eventualmente altri Stati nati sul
territorio dell'ex-URSS - nonché con 1'Unione Europea;
Compiti delle Istituzioni
dell'Unione europea
35. conferma alla sua commissione competenze l'incarico di portare rapidamente a
compimento i lavori sul progetto di costituzione delllUnione europea;
36. invita i1 Consiglio, la Commissione e
gli Stati membri a trasformare l'Unione europea nel motore e nel fulcro del «Sistema di
cooperazione confederale in Europa» creando così un solido punto di partenza di un ordinamento paneuropeo che garantisca la pace
sul continente, promuova lo sviluppo di sistemi democratici, rafforzi la coesione economica e sociale, tuteli un ambiente di vita naturale per l'uomo, garantisca la molteplicità delle
regioni e delle culture europee e assuma le
proprie responsabilità nella lotta contro la fame, la povertà, la distruzione dell'ambiente e
il riarmo anche in altre zone del mondo;
37. incarica il proprio Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio,
alla Commissione, ai governi degli Stati
membri, degli Stati Uniti e del Canadà, al
Consiglio d'Europa, alla CSCE, alla UEO e
alla NATO.
a
La sovranità dei cittadini
isegue da
pag. 2)
Costantino Mortati. Ricordo che volle discuterne con me, tanti anni fa, per una intera mattina:
poi è apparso nel suo bel saggio «Ispirazione democratica della Costituzione», uscito nel volume, di varii autori, su «Il secondo Risorgimento
nel decennale della Resistenza e del ritorno del.
cominciala democrazia, 1945-19 5 5 ~Mortati
va cosi: «La concezione democratica che anima
la regolamentazione dei rapporti degli organifra
loro e con i cittadini trova il suo complemento
in una serie di norme che tendono a far valere
anche nei confronti dell'ordine internazionale
una medesima aspirazione alla pacifica coesistenza delle varie autonomie nazionali, secondo
principi di libertà, di uguaglifnza, di giustizia».
Pi2 sotto Mortati scriveva: «E degno di nota come alla corrente che conduce gli orientamenti
statali a subordinarsi a quello internazionale, ne
cowisponda una uguale da parte di quest'ultimo, che tende a dare rilevanza e garanzia internazionale ai.diritti fondamentali della persona.
Per la prima volta nella storia gli interessi della
persona umana, come tale, in tutti i loro aspetti
non solo di libertà formale ma di protezione
delle sue esigenze di sviluppo, sono presi in considerazione dalla società degli Stati».
Tenendo già presente questo quadro, nell'estate 1952, a Ginevra - in una settimana in
cui la commissione ad hoc del Consiglio dei
Comuni d'Europa metteva a punto la ((Carta
europea delle libertà locali» - Mortati ed io
(ma c'era con noi anche Giambattista Rizzo) ci
preoccupammo della partecipazione di base, dei
cittadini sovrani, alle istituzioni democratiche.
Facemmo introdurre, nelle «premesse generali*,
questo passaggio: «Le comunità [locali] devono
essere consapevoli di costituire il fondamento
dello Stato. Esse devono sviluppare una azione
amministrativa e creare i mezzi stabili (permanent facilities, nella versione inglese) perché
ogni cittadino, cosciente di essere membro della
comunità e vincolato alla collaborazione per il
sano sviluppo della comunità stessa, prenda parte attiva alla vita locale». La Rivoluzione francese aveva proclamato dei formali diritti dell'uomo, ma il successivo movimento socialista
aveva osservato che tali diritti rimanevano sulla
carta per le classi diseredate e preoccupate interamente del problema esistenziale: la partecipazione politica era del tutto aleatoria. In questo
nostro secolo, in cui la situazione della classe lavoratrice è radicalmente mutata (se mai c'è il
problema degli «emarginati sociali», vecchi,
handicappati, disoccupati, eccetera, che nelle
società opulente possono raggiungere, incredibilmente, fino a un terzo della popolazione), comunque in questo nostro secolo il problema si
è spostato: l'uomo che lavora ha una sua autonomia, dispone di tempo libero, si trova di fronte a mastodontici oligopoli del potere e a corporazioni chiuse dell'infomzazione, con costi
enormi per creare alternative, e ha bisogno,
quanto meno, di quei «mezzi stabili», di cui
parla la «Carta europea*.
Del resto Mortati ed io avevamo presente il
pensiero di Adriano Olivetti, espresso nel suo
classico ((L'ordine politico delle comunità»
(1945) e in altri scritti, di cui uno essenziale
composto a quattro mani con Massimo Severo
Giannini. La comunità concreta di Olivetti si
COMUNI D'EUROPA
poneva il problema di una comunità territoriale
«a misura d'uomo)),come base della piramide
politica: questa comunità, fra l'altro, avrebbe
disposto di una rete di centri comunitari, ove la
partecipazione dei cittadini non sarebbe stata
condizionata in partenza come viceversa avviene nei partiti politici. La comunità concreta di
Olivetti avrebbe anche messo a disposizione del
cittadino, senza condizionarlo in partenza unche in questo caso, i mezzi necessari per organizzare una autonoma «politica della cultura)),da
non confondere, secondo la classica distinzione
di Bobbio, con la «politica culturale» (quella
intollerante dello zdanovismo sovietico, ma non
solo di quello, come ci insegna una analisi spietata del capitalismo selvaggio).
Conviene qui sottolineare che i livelli in cui
si esplicano le varie autonomie «territoriali» o,
se si vuole, le molteplici «sovranità limitate))
(comunità, regione, stato nazionale o plurinazionale, comunità continentale, mondo) debbono vedere, tutte, al loro interno uomini e
gruppi «diversi» che convivono sotto una legge
comune. Questo principio ribadiva, in un saggio
composto durante l'ultimo conflitto mondiale,
Walter Lippman, che criticava il «principio di
autodeteminazione)) fatto suo dal presidente
Wilson: il mondo non deve essere dominato
dalle «secessioni» e dalle chiusure autarchiche,
non solo e non tanto economiche quanto politiche e spirituali.
Cosi, accanto alla partecipazione di ogni singola persona alla cosa pubblica e alla generale
prospettiva cosmopolitica, abbiamo indicato un
processo storico, offertoparticolamente oggi agli
uomini ragionanti: il processo federalista. Caduto il duopolio USA-URSS e cessato l'equilibrio
del terrore, il futuro, se il processo federalista si
interrompe in Europa e in tutto il resto del Mondo sino alle Nazioni Unite, è un futuro terribile:
è quello di una anarchia planeterìa amata - con
a m i sempre più micidiali e sempre più accessibili, anche ai poveri - e di un deperimento ambientale generalizzato e senza governo.
Per memoria voglio ricordare, sulla partecipazione, il convegno, svoltosi a cura della Sezione
italiana del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa (AICCRE) e in accordo col Comune di Bologna, a Bologna nell'aprile 1977, col
titolo ~Decentramentourbano e comprensori nel
quadro della realtà europea)).Ci si preparava ai
XII Stati generali del CCRE, che si svolsero nel
successivo giugno a Losanna: uno dei temi fondamentali trattati a Losanna fu: «La partecipazione dei cittadini alla vita politica locale».
Umberto Serafini
(Intervento alla Fondazione Bucchi, Convegno
in onore di Massimo Severo Gianninl)
Non anarchia autonomista
di risultati concreti e tende al rafforzamento
generale del sistema unitario delle autonomie
(iegue da pag, 2)
territoriali. esaltando al t e m ~ ostesso il ruolo
delle Regioni nei singoli Paesi e nell'unione
gione, allo Stato centrale fino al potere sovraeuropea, ed evitando una lotta di logoramennazionale, europeo e mondiale.
to tra i diversi livelli istituzionali, che anLa riforma istituzionale italiana, nella nuodrebbe ad esclusivo vantaggio dello Stato
va definizione dei poteri e delle competenze
centralizzato e della burocratizzazione della
tra i diversi livelli istituzionali. si caratterizComunità europea. Questa linea del resto si
zerà positivamente solo se riuscirà ad esaltare
è già rivelata vincente proprio con la conquil'insieme del sistema autonomistico dei potesta del «Comitato delle Regioni e delle autori territoriali ed all'interno di esso delle regionomie locali», ottenuto a Maastricht, pur esni. Questa esigenza richiede sul piano italiasendo rimasti soli nel rivendicare tale obiettino il riconoscimento di nuovi e ampi poteri
vo ritenuto invece da altri (I'ARE) fuorviante
alle Regioni anche nell'imbito della cooperae minimalista rispetto alla loro richiesta del
zione interregionale e dei rapporti con la CoSenato europeo delle Regioni (la terza Camemunità europea e sul piano europeo un vero
ra dell'unione?).
ed esteso processo di regionalizzazione della
I1 nostro impegno tenderà ad evitare che
Comunità europea, come già indicato dal
anche in Italia si ripeta il conflitto esploso
Parlamento europeo con la «Carta» allegata
nella Repubblica tedesca. Un allineamento rialla Risoluzione approvata nel luglio 1988.
gido delle Regioni italiane sulle posizioni
L'AICCRE, fin dai lavori della «Commisesclusiviste dei Laender tedeschi rischierebbe
sione Cossutta» del 1984, sostiene la trasfordi produrre riflessi negativi sui contenuti delmazione dell'attuale Senato in una Camera (o
la stessa riforma regionale italiana, alimenSenato) delle Regioni per andare oltre un ditando negli Enti locali i sospetti verso l'emersorganico Stato regionale.
gere
di un nuovo tipo di accentramento, quelLe Regioni non pretendono di fare la polilo regionale, a scapito proprio dei Comuni e
tica estera, bensì rivendicano la legittima
delle Province che invece devono trovarsi alcompetenza per la politica interna europea,
leati in un unico fronte per un nuovo Stato
nella prospettiva del superamento degli Stati
«unitario»
dotato di una coesione federale.
singoli e la costruzione dell'unione europea.
Dobbiamo lavorare affinché l'Italia sappia
Nella Repubblica federale tedesca è esploimboccare la direzione giusta e dobbiamo esso un preoccupante conflitto tra i Laender ed
sere fiduciosi nelle nostre possibilità di riuscii Comuni. L'occasione è data dalla scelta dei
re a vincere le attuali difficoltà per uscire d a
rappresentanti tedeschi nel «Comitato delle
questa
fase delicata della nostra storia repubRegioni e delle autonomie locali» istituito
bl'icana.
con il Trattato di Maastricht. Secondo i
L'esplosione stessa delle rivelazioni degli
Laender i Comuni e gli Enti intermedi tedescandali di corruzione (anche in passato scoschi dovrebbero essere esclusi dal «Comitaperti ma regolarmente insabbiati e occultati)
to». Con questa loro posizione sembrano conpossiamo considerarla come una crisi di crefondere la loro partecipazione al Consiglio inscita democratica del nostro Paese e può raptergovernativo della C E (in quanto parte di
presentare una svolta storica.
uno Stato federale, con poteri delegati e diritL'intreccio affari-politica ha alimentato
to di codecisione), con quella ad un organismo
fardelli ed oneri insopportabili ed ormai inche dev'essere inteso come uno strumento di
compatibili con la crescita economica, politielaborazione e di controllo delle politiche coca e civile dell'Italia.
munitarie le quali interessano ed investono
I1 lavoro che dobbiamo fare oggi è molto
l'insieme dei poteri territoriali. Secondo la profaticoso e richiederà non poco tempo: risanaspettiva indicata dal CCRE agli Stati generali
re moralmente il Paese; rinnovare il sistema
di Lisbona nel 1990, il «Consiglio» dev'essere
politico e dei partiti «al servizio della società
considerato come passaggio politico ad una Cae della costruzione europea»; innovare le
mera degli Stati, nella quale le presenze naziostrutture produttive e dare efficienza al sistenali siano rappresentative dello Stato ordinama economico e sociale; dare funzionalità almento e quindi con una presenza anche delle
l'Amministrazione statale (di cui si cominciò
Regioni nel caso degli Stati federali.
e poi si interruppe la riforma) ed ai servizi
Non credo necessario attardarmi molto ~ i ù
pubblici e privati; far crescere il senso civico
su questa questione, essendo chiara e nota da
dei cittadini ed una loro più adeguata e solida
tempo la proposta dell'AICCRE e di tutto il
adesione alle istituzioni democratiche a tutti
CCRE. Essendo questa proposta politicaW
i livelli.
mente realistica, garantisce il raggiungimento
mensile dell'AICCRE
Direttore responsabile: Umberto Serafini
Condirettore: Giancarlo Piombino
Redazione: Mario Marsa[a
Direzione e redazione: Piazza di Trevi 86 - 00187 Roma
Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma
te]. 6840461-2-3-4-5, fax 6793275
Questo numero è stato finito di stampare il 11/3/1993
ISSN 0010-4973
Abbonamento annuo: per la Comunità europea, inclusa l'Italia L. 30.000 Estero
L. 40.000; per Enti L. 150.000 Sostenitore L. 500.000 Benemerito L. 1.000.000
COMUNI D'EUROPA
Una copia L. 3.000 (arretrata L. 5.000)
I versamenti devono essere effettuati: 1) sul c/c bancario n. 300.008 intestato:
AICCRE c/o Istituto bancario San Paolo di Torino, sede a Roma, Via della
Stamperia, 64 - 00187 Roma, specificando la causale del versamento;
2) su1c.c.p. n. 38276002 intestato a "Comunid'Europa", piazzadi Trevi, 86-00187 Roma;
3) a mezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato a: AICCRE, specificando la
causale del versamento.
Aut. Trib. di Roma n. 4696 dell'll-6.1955.
Tip. Della Valle F. via Spoleto, 1 Roma
Fotocomposizione: Graphic Art 6 S.r.l., Via Ludovico Muratori Roma 11/13
Associato ali'USPI - Unione Stampa periodica italiana
Scarica

Anno XLI Numero 1 - renatoserafini.org