- ANNO XLI N. 1 GENNAIO 1993 MENSILE DELL'AICCRE ASSOCIAZIONE LINITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale Non anarchia autonomista, ma coesione federale di Fabio Pellegrini Un contributo all't:'uropa dei cittadini, nei pieno rispetto del principio di sussidiarietà Gustave Doré, incisione, Gli slums, alloggi popolari di Londra 7 Iacp, intervento nella periferia romana, il «dinosauro» di Corviale Sangue freddo e nervi al posto! La crisi politica che stiamo vivendo in Italia è già ad un alto livello di pericolosità e le preoccupazioni aumentano anche perché all'esterno del nostro Paese non esistono più situazioni di riferimento ed ancoraggi sicuri, ma anzi si manifestano incipienti sintomi di incertezze e diminuite solidità democratiche: ovunque scandali, instabilità dei governi, per non parlare poi delle situazioni nell'Europa centrale ed orientale, rimanendo al Continente europeo. I1 clima nel nostro Paese rimane, rispetto al resto dell'Europa, il più grave, confuso ed il più pericoloso. Prevale lo spirito di rivalsa di chi ha subito dei torti o dei presunti danni, insieme al tentativo di «sparare» sugli altri per rifarsi una verginità rispetto ad un passato compromesso. Una forma di «iugoslavizzazione» sociale che alimenta una lotta di tutti contro tutti e tutto, una frammentazione sociale che si riverbera su quella politica. La società reagisce con un certo fondamentalismo forcaiolo e giustizialista orientandosi verso nuovi movimenti e nuove aggregazioni politiche caratterizzate non sempre da un sufficiente senso di responsabilità generale, che possono condurre a travolgere, insieme ai politici implicati nei tanti scandali di corruzione, anche le istituzioni democratiche. I1 popolo manifesta il proprio disagio ed il profondo disappunto di fronte ad uno spettacolo triste e decadente, ma al tempo stesso sconcertato e smarrito può diventare pronto a sostenere le posizioni semplificate e demagogiche che possono apparire più convincenti al momento e che possono sembrare ridare la speranza di una via d'uscita anche se nelle direzioni più svariate e contradditmrie. I primi segnali di volontà politica rinnovatrice e risanatrice devono venire dalle istituzioni, in primo luogo dal Parlamento. In questo senso le massime autorità istituzionali dimostrano auesta consa~evolezzaed agiscono di conseguenza. Ogni soluzione politica del- l'operazione «mani pulite» deve comprendere la condanna dei colpevoli, ma il futuro dipenderà dalla modifica dei meccanismi e delle regole in modo che determinino la selezione dei nuovi dirigenti olit ti ci e del governo delle istituzioni. I n primo luogo la questione delle preferenze nelle elezioni. Se solo per essere eletti al Consiglio Comunale di una grande Città, necessitano centinaia di milioni di lire (e qualche miliardo per l'elezione al Parlamento), o si ha una selezione antidemocratica, potendo competere solo chi dispone di grandi patrimoni, o i candidati devono trovare quelle risorse con qualsiasi mezzo e a qualsiasi condizione; in quest'ultimo caso saranno gli onesti ad essere danneggiati e bocciati. Una nuova legge sul finanziamento pubblico ai partiti ed una chiara e rigorosa normativa sugli appalti pubblici, sono complementari ed urgenti per svolgere una efficace azione moralizzatrice. La nuova legge elettorale, oggi, è necessaria non tanto e perché quella «proporzionale» non sia valida in via di principio, anzi è senz'altro quella che garantisce la maggiore rappresentatività degli orientamenti politici, quanto perché la legge elettorale avendo una funzione strumentale deve corrispondere ed adattarsi alle esigenze dei tempi e alla natura dei problemi ed oggi c'è bisogno di frenare sia le conseguenze politiche negative derivanti dalla eccessiva frammentazione sociale, sia d i avere nuove regole del gioco che ricompongano gli orientamenti politici dispersi, verso nuove aggregazioni, nuove alleanze, nuove persone ed evitare di precipitare in un caos ingovernabile. Una legge elettorale intesa nel suo fine strumentale deve dare risposte contingenti e non di lunga prospettiva, potendola modificare ed aggiornare sulla base dell'esperienza pratica e l'evoluzione delle esigenze e dei problemi. Più impegnativa e di natura fondamentale è la riforma istituzionale la quale, non solo deve rispondere ad esigenze contingenti, ma con essa dev'essere dato un nuovo assetto alle istituzioni, allo Stato ed ai rapporti tra questo ed i cittadini. Inoltre dovrà orientarsi verso la più ampia riforma istituzionale prevista dal processo d'integrazione economica, sociale e politico sovranazionale che condurrà all'Unione europea. I n questa prospettiva la riforma istituzionale darà un contributo anche politico immediato per avviare la soluzione dei molti e gravi problemi che attanagliano l'Italia. Si tratta di realizzare quel principio di sussidiarietà, prima scritto nella «Carta» europea delle autonomie locali ed ora sancito dal Trattato di Maastricht, secondo il quale è il cittadino il detentore del potere democratic0 il quale si organizza e lo organizza partendo dalla comunità locale salendo alla re- - - (segue in ultinm) som ma rio COMUNI D'EUROPA SCURO 3 La sovranità dei cittadini a u t o n o m i e territoriali, partecipazione, cultura e partiti Parlando di partecipazione pare opportuno chiarire in via preliminare chi sia il cittadino sovrano, che ha diritto a partecipare. Come ho già scritto altra volta, il buon Dio un certo giorno si seccò di essere compromesso dalle cattive azioni del potere politico e decise di negare la sua «grazia» per legittimare quel potere: da allora - siamo all'alba delle nazioni moderne, almeno di quelle europee e occidentali - la legittimazionefu lasciata alla cosiddetta volontà della nazione. Ma le nazioni compivano troppe malefatte e gli uomini che le formavano - o molti di essi o comunque i più saggi si rifiutarono di identificarsi con la propria nazione (right or wrong, my country); quanto meno di identificarsi in tutto e per tutto con essa. Parve più giusto di rifarsi a un criterio che facesse risalire la ricercata legittimazione ad essi uomini direttamente e alle loro coscienze, senza intermediari:nacque così l'idea di legittimare il potere politico, la sua radice etica e giuridica, rifacendosi a una «sovranità popolare». Riflettendoci, tuttavia, la sovranità popolare appariva presto un concetto difficile, tutto da chiarire. Popolare? di un dato popolo? di un gruppo di popoli? di tutti i popoli della Terra? E poi: in un dato momento? nel dispiegarsi di una fase storica? tenendo conto dei soli viventi o anche dei trapassati e dei nascituri? Forse, se l'istituto della guerra veniva bandito dall'orizzonte del fattibile e del razionale, occorreva poi che - si trattasse di un popolo o più popoli - la sovranità popolare venisse concepita nel senso di trovare un limite - un suo limite - nell'illiceità di esprimersi in un senso totalmente avverso all'espressione di altre sovranità popolari, sino all'inevitabilema inammissibile uso della forza bruta - l'irrazionale forza bruta, la guerra, il giudizio di Dio, mentre quest'ultimo aveva ormai negato la sua «grazia» -. Premesso tutto ciò, nacque il problema di come si dovesse esternare la sovranità popolare. A seconda della sua definizione - immediata ed emotiva o distesa in un tempo ragionevole e informata o mediata nella storia, nella tradizione o nelle successive esperienze - mutavano i caratteri e le esigenze della sua esternazione. Ci si accorse, insomma, che il concetto di sovranità popolare era ricco di differenti prospettive e probabilmente era opportuna la ricerca di un meccanismo di espressione che potesse evitare il taglio di un «nodo gordiano» e viceversa permet- tesse di tener conto di una larga parte di questa ricchezza di aspetti della detta sovranità. Pensandoci meglio, ci si rese conto che valeva la pena di risalire, attraverso l'aggettivo «popolare», ai fini essenziali degli uomini che compongono un popolo, qualsiasi popolo, tutti i popoli. Unfilosofo di fine Settecento, Kant - che aveva guardato con attenzione a due rivoluzioni contemporanee, l'americana (ilfederalismo) e la francese (i diritti dell'uomo) - aveva affermato (confessando di avere avuto l'ispirazione da un altro pensatore, che consideriamo uno dei padri della democrazia moderna, Rousseau), aveva dunque affermato che, facendo attenzione, si scopriva che anche l'uomo più volgare è in condizione di sentire dentro di sé la «voce della ragione)):a condizione, aggiungiamo noi, di non frastornarlo, anzi di aiutarlo disinteressatamente a sentirla. Ebbene, la «voce della ragione))dice agli uomini, a ciascun uomo, che per evitare di cadere nell'uso «irrazionale» della forza bruta è necessario fra l'altro che la sovranità popolare tenda ad essere unica per tutto il genere umano, per tutta l'umanità, ovvero che si addivenga a conciliare tutte le sovranità popolari, senza fermarsi a nessun singolo Stato o a nessuna singola Nazione. La sovranità popolare non può vivere di autentica vita autonoma che nell'hmbito di una federazione di tutti i popoli, per quanto chimerica essa possa parere. La federazione è la regolatrice della coesistenza delle diverse sovranità popolari e le fa convergere verso una unica sovranità popolare terrestre. Questa prima impostazione del problema non risolve certo l'esigenza di chiarire in concreto l'organizzazione del potere a tutti i livelli l'articolazione del potere - e di offrirci gli antidoti, in una vita sociale, in cui gli uomini che la compongono sono insieme razionali e irrazionati: ma stabilisce che al fondo di tutte le autonomie, minoranza di tutte le minoranze, c'è l'uomo, da cui non si può prescindere, coi suoi diritti e coi suoi doveri - con la sua personalità, in conclusione -; e che nessuna autonomia, fino a quella dell'uomo singolo, può prescindere dalla prospettiva cosmopolitica. Questo va detto e ribadito nel momento in cui si riaffaccia, nella considerazione di certa cosiddetta cultura politica, la filosofia di Oswald Spengler. In questo momento storico di presunte, rinnovate giustificazioni «culturali» del nazionalismo e anche del micronazionalismo razzista l'Europa delle etnie e delle cqulizie etniche))o, più delicatamente, delle «regioni monoetniche)) - vogliamo richiamare il commento all'articolo I I della nostra Costituzione del mio amico (segue a pag. 1S) - L'urbanistica italiana è fuori Europa, di Giuseppe Campos Venuti 5 - Dopo il Vertice di Edimburgo si addensano nubi, di Raimond Vautier 7 - Un New Dea1 per l'Europa, di Dario Velo 8 - La concezione e la strategia del17Unioneeuropea 8 - Verso un nuovo ordine europeo 11 - Due anni soddisfacenti e tanta voglia di fare, di Fausta Giani Cecchini 12 - Ambiente urbano e governo della città, di Sandro Giulianelli 13 - Ambiente: quadro storico e attuale GENNAIO 1993 opportunismo e criminalità L'urbanistica italiana è fuori Europa di Giuseppe Campos Venuti* Non riusciamo a capire perché - o lo capiamo troppo bene - tutte le associazioni italiane delle autonomie territoriali non stringano un patto di ferro per ottenerefinalmente una legislazione nazionale sul governo dei suoli. Ci si rende conto che in materia siamo in coda, se non fuori di quanto realizzano gli altri Paesi della Comunità europea? Oggi ci piace riportare h parte essenziale di una relazione (<<Evoluzione ed involuzione della cultura di piano))), che Giuseppe Campos Venuti, presidente dell'lstituto Nazionale di Urbanistica (INU) e uno dei capiscuola dell'urbanistica italiana - riformista - di questo dopoguerra (l), ha tenuto nello scorso ottobre '92 a Venezia (Schola di San Giovanni Evangelista), in un convegno promosso dal Pds e dalla Sinistra unitaria europea. La Tangentopoli urbanistica Lo scandalo di Tangentopoli - ormai bisognerebbe chiamarlo di Tangentilandia - ha messo a nudo le patologie del mercato imprenditoriale italiano delle opere pubbliche. Patologie che nascono da una politica corrotta e incapace, da una economia corrotta e inefficiente, ma anche da una società che, per una parte notevole, si è rivelata anch'essa corrotta, o almeno consapevolmente tollerante. Lo scandalo nazionale degli appalti è, comunque, positivamente esploso. Ma quando metteremo a nudo anche le patologie del mercato immobiliare? Quando scopr&emo e denunceremo le tangenti urbanistiche, fonti di altrettanta corruzione politica, economica e professionale e causa diretta del selvaggio degrado della città e del territorio in Italia? A combattere la cultura della legge e del ~ i a n ourbanistico sono stati. anche in auesto caso, politici corrotti o semplicemente opportunisti, che nel mercato immobiliare selvaggio hanno visto soltanto uno strumento di potere; e insieme ad essi operatori economici rapaci ed incapaci, che hanno usato le speculazioni urbanistiche per inseguire facili ed enormi guadagni e per supplire alle proprie carenze imprenditoriali. Ma con questi c'erano anche professionisti rampanti, che hanno rinunciato alla funzione etica dell'intellettuale, per garantire robuste parcelle, ma specialmente il monopolio del potere culturale. Io sono contrario ad affidare ai giudici la supplenza dei ruoli politici, economici e culturali, ma certamente sarebbe utile un altro Di Pietro che scoprisse le tangenti miliardarie della «urbanistica contrattata». Che non è come sostengono professionisti rampanti, speculatori immobiliari e politici corrotti - un realistico «do ut des» fra interessi pubblici e privati, fra i quali trovare il giusto e necessario compromesso. Perché l'urbanistica contrattata è, invece, un mercato che riguarda soltanto l'ammontare delle tangenti, in cambio di una variante, di un Piano Particolareggiato in deroga, di una Concessione più o meno irregolare e perfino di un Piano Regolatore addomesticato agli interessi delle grandi immobiliari. Ci vorrebbe forse un Di Pietro per scoprire le tariffe delle tangenti urbanistiche, dopo aver scoperto quelle per le opere pubbliche. Per scoprire quanto costa un metro cubo di variante al piano regolatore, quanto un metro di area dismessa riciclata per uffici o residenze, o di zona verde trasformata in terreno edificabile. Personalmente, io credo di poter dire che le tangenti per le opere pubbliche sono più basse di quelle pagate per violare la disciplina urbanistica: o almeno che le patologie del mercato immobiliare fanno guadagnare di più e allo stesso tempo producono più danni delle patologie del mercato imprenditoriale. Esplicitare le scelte di piano Per sopprimere alla radice la causa delle tangenti urbanistiche è allora necessario ripristinare la cultura del piano; che da dieci anni è sbeffeggiata da parte d'intellettuali spocchiosi e rampanti, di imprenditori in cerca di facili scorciatoie, di politici arrivisti e opportunisti. Ma se il piano è necessario, qualunque piano non è sufficiente. Bisogna avere il coraggio di indicare esplicitamente le scelte di piano che garantiscono gli interessi sociali dei cittadini, insieme a quelli delle forze produttive, ma non quelli speculativi della rendita urbana e delle grandi immobiliari. Dunque bisogna indicare chiaramente quali sono le nostre scelte della pianificazione riformista per le città. E insieme promuovere una legge sul regime immobiliare, che garantisca la perequazione fra tutti i proprietari, sterilizzando le velleità urbanistiche delle grandi finanziarie private e dello Stato speculatore che ha fondato l'Immobiliare Italia: impedendo il tentativo di far quadrare i bilanci fallimentari pubblici e privati con lo sfascio delle città italiane. Le scelte della pianificazione riformista sono ben note, ma bisogna avere il coraggio di ripeterle e specialmente di confrontarle con la politica in atto nelle città che, con le varianti o con il piano, le contraddice sistematicamente. Tanto per cominicare, ripetiamo che l'aggressione edilizia al territorio extraurbano, le lottizzazioni speculative delle aree agricole dovrebbero ormai essere bandite dalla cultura urbanistica ed architettonica. Eppure a Bari, come a Firenze, queste sono fra le scelte principali degli ultimi anni, sottoscritte da professionisti rinomati, apprezzate ed esaltate dalle riviste e dagli stessi quotidiani. [...l. Dobbiamo poi ripetere che, finita l'espansione indiscriminata, anche la trasformazione urbana può diventare un vero disastro per le città. C i vuole allora, anche in questo caso una indicazione esplicita: nel capoluogo di un'area metropolitana, nelle zone centrali e semicentrali delle maggiori città, le industrie, le caserme, gli scali ferroviari dismessi, non devono in alcun modo diventare fonti di nuo- (1) cfr. ilil.VV. «Urbanisti italiani - Piccinato, Marroni, Samonà, Quaroni, De Carlo, Astengo, Campos Venuti» («Sette urbanisti italiani che hanno segnato le vicende disciplinari del secondo doooeuerran), Bari, editori Laterza, 1992. L * Presidente dell'INU GENNAIO 1993 La città industriale di Tony Garnier, 1901 COMUNI D'EUROPA va cogestione, di densificazione edilizia, di altre concentrazioni terziarie e direzionali. Queste ultime vanno, al contrario, decentrate nelle periferie urbane e metropolitane, per integrarsi con le vecchie funzioni residenziali e qualificare i quartieri dormitorio esistenti. Queste scelte strategiche sono esattamente il contrario d i quanto è stato fatto a Milano con dieci anni di varianti, o a Torino con un piano nuovo di zecca. Sono il contrario di quanto si continua a fare senza Piano a Genova, al riparo della nobile rivitalizzazione del porto, che però non nasconde la selva di grattacieli cresciuti tutt'intorno e dimentica completamente le periodiche, disastrose inondazioni dello Sturla o del Bisagno. È ancora il contrario di quanto si fa a Firenze, ora che la vecchia variante Nord-Ovest è stata camuffata con un nuovo Piano Regolatore [...]. E dovremo anche riflettere fino a che punto la scelta del Sistema Direzionale Orientale per Roma - che l'urbanistica riformista inventò più di 30 anni fa - non sia diventata oggi il contrario, proprio di quelle alternative riformiste che allora rappresentava. Come pure dovremo riflettere a Bologna, se l'orgogliosa attuazione morfologica del recente piano riformista, non faccia dimenticare agli amministratori della città il suo effettivo contrario, cioè il processo in atto di accentramento strisciante da parte dell'università - 100.000 persone, su 400.000 abitanti - e di altre funzioni congestionanti pubbliche e private. Coerenza politica con le scelte di piano Queste severe valutazioni critiche vanno rivolte direttamente ai Sindaci e agli Assessori che, con troppa leggerezza, hanno sposato o subiscono la dereguhtion urbanistica, ma anche ai professionisti che danno una autore- AICCRi Assof:azionr: i:aliana wr ii Cotiuqiin d61 C~cnimia delle Rp.<~rmcd'El:ro&>n UNA METROPOLI ALL'ALTEZZA DELLA SFIDA EUROPEA Aree me?rapoQlarre e psnrhcazcone da/ ferrrtorra espprerizc europee vole, quanto indispensabile, copertura culturale alle deprecabili operazioni urbanistiche in atto. E allora diciamolo pure francamente: battersi coerentemente per l'alternativa urbanistica riformista è scomodo a livello politico e culturale. Anche perché, in coerenza con queste scelte per le città, diventa necessario sostenere una proposta legislativa poco mirabolante, ma di tipo efficacemente perequativo: che, riconoscendo una bassa edificabilità media ai terreni della città costruita avviata alla trasformazione pianificata, rifiuti la privatizzazione degli eventuali plusvolumi previsti dal piano e permetta così concretamente una politica urbanistica capace di deconge- stionare le zone centrali e d i qualificare le periferie. E allora dovremo accettare la sfida di misurarci con proposte radicali, almeno per le città più emblematiche. Per essere coerenti con le scelte urbanistiche riformiste, bisogna avere il coraggio di chiedere la cancellazione di tutte le varianti adottate a Milano negli ultimi dodici anni e impostare una nuova strategia di radicale decentramento a scala regionale. Per essere coerenti con le scelte urbanistiche riformiste, bisogna ridurre ad un terzo le cubature del piano a Torino e decentrarne buona parte nella periferia metropolitana: e a Firenze bisogna fare altrettanto per le aree della Fiat e della Fondiaria, oggi sottoposte all'approvazione della Giunta Regionale di Sinistra. Così come bisogna rimettere in discussione, se non le scelte, almeno le attuazioni urbanistiche, per quanto riguarda l'insufficiente decentramento terziario a Roma e l'inversione del decentramento terziario a Bologna. Procedendo sulla stessa linea per Napoli, Brescia, Padova e così via. E questo significa contestare quanto ha detto e fatto in campo urbanistico, da dieci anni a questa parte, la grande maggioranza dei politici e degli intellettuali di sinistra. Confermando ad essi il nostro appoggio, solo se hanno la volontà e la capacità di cambiare e di superarsi e sostituendo in caso contrario, tanto i sindaci e gli assessori, quanto gli architetti. [...l Nel prossimo gelido inverno, ci proporranno certamente il ricatto occupazionale a sostegno delle più scandalose speculazioni urbanistiche: e [...l dovremo resistere a denti stretti, spiegando ai lavoratori e ai cittadini la natura ricattatoria di quelle richieste. A maggior ragione dovremo essere assolutamente coerenti con le nostre scelte di urbanistica riformista, quando saranno in ballo nuove possibili maggioranze municipali, a Torino a Milano, o a Brescia, fino a Roma e a Napoli, fossero pure «giunte di salute pubblica». In questi casi, come nei precedenti, dovremo ripetere che una speculazione immobiliare non rappresenta una formazione produttiva di ricchezza, ma una semplice variante locale della speculazione finanziaria internazionale sulla lira. E che d a una singola speculazione, o peggio da un piano regolatore asservito agli interessi immobiliari, non verranno mai vantaggi economici o sociali per i lavoratori e per i cittadini; ma solo nuove patologie urbanistiche, che i lavoratori ed i cittadini presto o tardi finiranno per pagare. E, partendo da queste valutazioni, dovremo opporci risolutamente a quelle speculazioni e a quei piani regolatori asserviti alle immobiliari [...l. Cogliamo l'occasione per sottolineare che, essendoci espressi in senso critico nei riguardi del modo di realizzare a Roma lo SDO (l'incredibile decentramento tra Pietralata e Centocelle!), abbiamo ricevuto ripetute minacce (che abbiamo riferito a chi di dovere). Vorremmo anche sapere quali interessi speculativi siano collegati alle proposte di scavare sotto 1'Appia Antica, per collegare cementificazione di una parte con h cementificazione dell'altra. (Argo) La città giardino di Letchworth, Ebenezer Howard 1903 COMUNI D'EUROPA W GENNAIO 1993 che fa il Parlamento europeo? Dopo il Vertice di Edirnburgo si addensano nubi ambiguità di ruoli tra Commissione e Consiglio di Raimond Vautier I1 Consiglio europeo di Edimburgo sembrerebbe aver chiuso sei mesi nerissimi della storia comunitaria. Aperta dall'esito negativo del referendum danese sulla ratifica del Trattato di Maastricht, la crisi politica ed economica della Comunità si è progressivamente aggravata. I1 dibattito politico che ha accompagnato la consultazione referendaria francese, le drammatiche tensioni monetarie che hanno messo a durissima prova il fun7ionamento del sistema monetario europeo, la grave congiuntura economica che ha effetti nefasti sulla occupazione europea, non sono che alcune significative tappe che hanno segnato il percorso comunitario del secondo semestre 1992. La presidenza inglese del Consiglio, d'altro canto,non ha voluto nè potuto risolvere in modo tempestivo la grave situazione politica. Al contrario, la frangia anti-europea del partito conservatore ha violentemente contestato la leadership del primo ministro britannico John Major che in più di una occasione è stato costretto a modificare in un'altalena di posizioni spesso contrastanti il suo atteg,'oiamento nei confronti del Trattato di Maastricht e della sua politica europea in grnerale. Nel momento più drammatico della crisi politica interna inglese, dopo essere accorso al salvataggio di Norman Lamont, il Cancelliere dello Scacchiere colpevole di aver adottato una politica economica troppo «comunitaria», John Major è riuscito a far approvare dai Comuni (con uno scarto di appena 3 voti) la mozione che apre la strada a!la ratifica inglese al Trattato di Unione europea. Ma si è affrettato, in un atteggiamento di prudenza «tattica», a collegare la ratifica inglese alla definitiva e positiva soluzione della questione, ancora aperta, della partecipazione della Danimarca agli accordi di Maastricht. Dal canto suo il governo danese ha replicato alla sconfitta subita in occasione del referendum popolare, con posizioni approssimative e non prive di inquietanti ambiguità. Nel tentativo di diradare le nebbie che avvolgono tutte le forze politiche, il governo danese ha presentato agli altri partners comunitari un Libro bianco nel quale erano indicate otto diverse opzioni riguardanti la partecipazione danese all'unione europea (nel migliore dei casi) o alla Comunità (nel peggiore dei casi). La situazione si è infine chiarita allorquando è stato definito un «compromesso nazionale». I n questo documento, i sette partiti danesi affermano che il risultato del referendum rende caduco il Trattato di Maastricht. «La Danimarca e gli altri undici paesi si trovano di fronte ad un problema reale che deve essere risolto di comune accordo». 11 compromesso nazionale indica chiaramente l'opzione danese. GENNAIO 1993 La Danimarca, secondo tale documento, non intende «prendere parte alla dimensione della difesa, che implica la partecipazione al1'UEO per una politica d i difesa o una difesa comune.. . non introduce la moneta comune e non è sottoposta alle esigenze di politica economica legate alla terza fase dell'UEM ... non sarà vincolata dagli impegni relativi alla cittadinanza dell'unione.. . non potrà accettare il trasferimento di sovranità in materia finanziaria e in materia di politica*. I1 governo danese ha chieso inoltre clie il suo particolare status fosse inserito in un accordo «giuridicamente vincolante» con una durata illimitata senza che questo sia di ostacolo alla sua piena partecipazione alla Comunità europea. Si tratta di un quadro estremamente preciso ed altrettanto pericoloso poiché non fa altro che consacrare ulteriormente la famosa clausola dell'opting out, clausola con la quale la Gran Bretagna può non recepire nel suo ordinamento le disposizioni riguardanti la terza fase dell'UEM e quelle riguardanti la politica sociale e del lavoro. Ma i problemi non si sono limitati alla posizione britannica e danese nei confronti di Maastricht. Anche tra gli altri paesi comunitari non sono mancate le polemiche. Prima tra tutte quelle riguardanti le nuove prospettive finanziarie che dovrebbero essere alla base delle politiche interne (interventi strutturali, politica di ricerca, competitività dell'industria) e in politica esterna (relazioni con i paesi dell'Europa centrale e orientale, con i paesi in via di sviluppo) sono state oggetto di aspre critiche da parte dei governi. Taluni ne hanno sottolineato l'insufficienza, altri, al contrario, hanno considerato le proposte della Commissione troppo ambiziose ed incompatibili con l'obiettivo del risanamento delle finanze pubbliche. Le polemiche sulle prospettive finanziarie hanno risvegliato vecchi istinti. Infatti, il Parlamento europeo e il Consiglio dei Ministri hanno nuovamente riaperto, dopo quattro anni di pace istituzionale, le famose battaglie di bilancio che hanno caratterizzato gli inizi degli anni ottanta. Le vicende monetarie degli ultimi mesi, a cui non è stata estranea la crisi di credibilità politica che ha coinvolto la Comunità, hanno accentuato in molti paesi il rispetto per i vincoli comunitari e riaperto la strada a tentazioni protezionistiche simili a quelle che si registrarono negli anni settanta in occasione della crisi petrolifera. Tali reazioni rischiano di ritardare o peggio di bloccare il processo di convergenza economica e monetaria avviato con la prima fase dell'UEM. I1 prezzo pagato a causa del mancato coordinamento delle politiche macroeconomiche dei Dodici è stato particolarmente alto: la svalutazione e poi l'uscita del meccanismo dei cambi di lira e sterli- na, elevati livelli di intervento delle banche centrali per difendere le parità centrali tra le diverse monete, un clima di crescente sfiducia che non ha mancato d i avere pesanti ripercussioni sulle prospettive di crescita economica e sul mercato del lavoro. Questi fattori hanno inoltre avuto come grave conseguenza quella di far ricadere sul cattivo funzionamento del Sistema monetario europeo la responsabilità di questa congiuntura economica. Si è fatta strada la tesi che maggiori vincoli monetari comporterebbero maggiori problemi per i paesi comunitari senza reali benefici per le economie. La tesi inversa, quella che sottolinea l'importanza di avanzare più rapidamente verso una stretta integrazione monetaria, è rimasta soffocata dal clima di pesante diffidenza. In piena tempesta monetaria si è stati ad un passo dal crollo del Sistema monetario europeo che avrebbe certamente provocato il definitivo affondamento del Trattato di Unione. Tuttavia, il peggio è stato scongiurato poiché il sistema, malgrado le sue insufficienze (dovute alle repentine mutazioni dei fattori macroeconomici comunitari), ha continuato a funzionare grazie al ruolo delle monete guide e alla fermezza dimostrata dalle autorità monetarie ed in particolare dal Comitato Monetario. A quest'ultimo, d'altro canto, è stato dato l'incarico di elaborare un rapporto sui problemi provocati dalle turbolenze monetarie secondo i meccanismi di funzionamento dello SME. A tutti questi ordini di problemi se n'è aggiunto uno altrettanto importante. Nel corso di questi mesi infatti tutta l'attività produttiva della Comunità ha registrato un pesante rallentamento. Tutti i dati economici disponibili confermano questo pesante trend: le prospettive di crescita prevedono un aumento in termini di PIL pari solo allo 0,8%, il tasso di utilizzazione degli impianti è sceso paurosamente. La crescita della disoccupazione appare una tragica ed ineluttabile fatalità senza che siano all'orizzonte misure che possano in qualche modo modificare questo pesante trend. Preceduto da un clima drammatico, tipico degli appuntamenti comunitari più importanti, il Consiglio europeo di Edimburgo ha aperto la strada alla soluzione dell'impasse politica riguardante il Trattato di Maastricht fornendo invece risposte solamente inter10.cutorie su altre questioni di particolare interesse per la Comunità. Sul problema danese non è stata prevista nessuna clausola aggiuntiva al Trattato di Maastricht come chiedeva il governo di Copenaghen. La decisione allegata alle conclusioni del Summit di Edimburgo costituisce il quaciro entro cui è definita la partecipazione COMUNI D'EUROPA della Danimarca all'unione Europea. Sono state in pratica accettate tutte le richieste danesi che prevedono la non partecipazione alle disposizioni del Trattato di Maastricht in materia di cittadinanza, unione economica e monetaria, politica estera e di difesa, e cooperazione nel campo degli affari interni e giudiziari. I n materia sociale, una dichiarazione del Consiglio europeo ricorda che le disposizioni del Trattato di Maastricht non impediscono l'attuazione di misure più favorevoli per i lavoratori da parte della Danimarca. Sulla base di questa decisione del Consiglio europeo, il governo danese si è impegnato a convocare entro la primavera prossima un nuovo referendum popolare. Se quest'ultimo avesse esito positivo, il Parlamento britannico dovrebbe operare l'esame del Trattato di Unione nel giugno prossimo. Secondo le previsioni più ottimistiche il Trattato di Maastricht potrebbe entrare in vigore il lo luglio 1993. Una condizione preventiva alla soluzione del problema danese era costituita dalla definizione delle nozioni di sussidiarietà e di trasparenza. Sul principio di sussidiarietà senza giungere alle conseguenze che le proposte britanniche facevano palesare (un ingabbiamento dell'autonomia della Commissione), la soluzione trovata ad Edimburgo apre la strada ad una evoluzione del fenomeno comunitario ben diversa da quella prevista dai padri fondatori della Comunità. In pratica si lascia ancora indefinito il problema delle competenze esclusive dell'unione non essendo prevista nel Trattato di Unione una lista precisa delle materie soggette in maniera chiara alla sola legislazione comunitaria. Per le altre materie non rientranti nella competenza esclusiva (in pratica tutte le politiche comunitarie) è prevista l'applicazione di due distinti criteri che mirano a limitare al massimo l'intervento comunitario: si tratta del principio di necessità e di quello di intensità. Con il primo, le istituzioni comunitarie ed in particolare la Commissione e lo stesso Consiglio (e ciò costituisce un indebolimento politico dell'esecutivo) viene determinato se una particolare misura giustifichi l'intervento comunitario. Si deve in pratica determinare se gli Stati membri isolatamente non siano in grado di adottare una particolare politica e quale sia, per contro, il valore aggiunto di un'azione attuata direttamente dalla Comunità. Con i1 secondo principio, quello dell'intensità dell'azione, si determina invece il grado di intervento comunitario. I n pratica, questo principio deve garantire che l'azione della Comunità europea sia proporzionale all'obiettivo perseguito e condurre ad una scelta equilibrata degli strumenti - legislativi ed operativi - che devono essere impiegati. Sulla base di questi orientamenti, il Consiglio europeo di Edimburgo ha affermato che incombe a tutte le istituzioni comunitarie di tradurre concretamente il principio di sussidiarietà. I1 documento del vertice dei Capi di Stato e di Governo disegna poi le linee direttrici da seguire da parte di Commissione, Consiglio e Parlamento europeo. Con queste linee si determina, in pratica, una sorta di negoziato permanente tra ConsiCOMUNI D'EUROPA glio e Commissione sull'opportunità di presentare una determinata proposta legislativa limitando di fatto il diritto di iniziativa che il Trattato di Roma ha conferito alla Commissione per dare corpo al cosiddetto metodo comunitario (proposta della Commissione per decisione del Consiglio). Viene dunque a crearsi una pericolosa ambiguità che certamente peserà sull'evoluzione politica del gioco istituzionale tra Commissione e Consiglio. Questi sviluppi sono poco chiari ad una lettura superficiale dei testi di Edimburgo, ma certamente è facile aspettarsi che il Consiglio sfrutterà al massimo la possibilità che si aprono per un controllo più stretto sul diritto di iniziativa legislativa della Commissione. È importante sottolineare la profonda ambiguità dell'inserimento del principio di sussidiarietà nel Trattato di Maastricht. Si tratta infatti di un principio che regola politicamente le diverse articolazioni decentrate di potere in una struttura a carattere federale. Inserire il principio di sussidiarietà in un contesto giuridico che non prevede la definizione di competenze per attribuzione e dove non sono chiaramente indicate le competenze comunitarie e quelle nazionali, significa instaurare all'interno di tale sistema una sorte di negoziato permanente. I1 principio di sussidiarietà calato nel sistema comunitario (che non è un sistema federale) non è strutturalmente in grado di determinare il grado di azione comunitaria. Ciò non può che aumentare piuttosto che diminuire i contrasti istituzionali che sovente si aprono tra le istituzioni comunitarie. Quanto al principio di trasparenza, il Consiglio europeo si è limitato a dichiarazioni di pura facciata che apportano poco o nulla all'obiettivo di ravvicinare i cittadini europei alle istituzioni comunitarie. I1 principale problema, quello della pubblicità delle riunioni del Consiglio dei Ministri, il vero organo legislativo, è stato semplicemente eluso prevedendo delle sessioni pubbliche in occasione di discussioni di scarso valore politico e giuridico. Quanto alle nuove prospettive finanziarie, l'accordo è stato trovato su una proposta di compromesso elaborata e sostenuta dal presidente della Commissione Jacques Delors. L'aumento delle risorse finanziarie comunitarie che sarà pari a11'1,27 del PIL comunitario (contro 1' 1,37% delle proposte iniziali) avverrà non più in cinque anni, ma verrà scaglionato in un periodo di sette anni. Ciò significa che nel biennio 199411995 le risorse in dotazione del bilancio C E E rimarranno pressocché inalterate. I1 ridimensionamento delle nuove prospettive finanziarie non sarà senza ripercussioni su una serie di politiche comuni, tra cui quella di coesione e quella riguardante la competitività dell'industria europea che risultano penalizzate rispetto alle proposte originarie fatte dalla Commissione nella primavera dello scorso anno. E certo che l'obiettivo del riequilibrio tra regioni più sviluppate e quelle meno favorite non potrà essere pienamente conseguito. D'altra parte, le politiche per rilanciare alcuni settori industriali in crisi avranno un impatto ben minore rispetto alla necessità di ristrutturazioni del sistema produttivo europeo. Le minori risorse previste dal secondo Pacchetto Delors sono state in parte compensate dall'iniziativa di crescita comunitaria decisa dai Capi di Stato e di governo. Si tratta di una serie di misure a carattere congiunturale per favorire il rilancio dell'attività produttiva all'interno della C E E e ristabilire un clima di fiducia tra le forze economiche e sociali. Sono stati previsti prestiti per sostenere l'attività delle piccole e medie imprese e per la costruzione delle grandi reti transeuropee. I n particolare, verrà costituito in seno alla BEI un Fondo europeo di investimento dotato di un capitale di 2 miliardi di ECUattraverso cui sarà possibile garantire prestiti per un importo pari a 5/10 miliardi di ECU.Un prestito di 5 miliardi di lire sarà invece lanciato per il finanziamento delle grandi reti infrastrutturali europee. I n quest'ultimo caso, le risorse finanziarie previste in origine dal Pacchetto Delors sono state trasformate da capitali a fondo perduto a strumenti di prestito. È per questo che molti ritengono che l'iniziativa comunitaria di crescita sia una semplice compensazione - con effetti macroeconomici meno certi - alla diminuzione delle risorse in dotazione del bilancio comunitario nei prossimi anni. Ad Edimburgo si è parlato anche di allargamento della Comunità. Si è confermato l'impegno di iniziare i negoziati di adesione con Austria, Svezia e Finlandia una volta entrato in vigore il Trattato di Maastricht. Fin da febbraio potranno tuttavia essere intrapresi dei negoziati non ufficiali con tali paesi. Conformemente a questi orientamenti, i negoziati di adesione saranno fondati sull'articolo O del Trattato di Maastricht. Queste sono in sintesi le principali conclusioni del Summit europeo di Edimburgo. La crisi sembra scongiurata ma restano i dubbi che Comuni d'Europa ha più volte sottolineato nelle sue pagine. Restano i dubbi per un processo politico squilibrato entro il quale non si vedono ancora prospettive per uno sviluppo realmente democratico della Comunità europea. La stessa prospettiva dell'allargamento genera preoccupazioni poiché l'impalcatura istituzionale comunitaria non è ancora consolidata e non è in grado di sopportare un peso eccessivo che non farebbe che aggravare l'efficacia delle istituzioni comunitarie. Occorre dunque sfruttare al massimo queste evidenti carenze strutturali per riprendere con ancora più energie un processo di profondo rinnovamento. I n quest'ottica, il ruolo del Parlamento europeo e dei Parlamentari nazionali è fondamentale. È in queste sedi rappresentative che deve nascere una vera costituzione europea. Tale costituzione deve avere carattere federale. Deve essere dotata di un potere diretto sui cittadini ed essi a loro volta devono concorrere alla sua formazione secondo procedure democratiche. I1 principio costituzionale è l'organizzazione di una pluralità di governi indipendenti e coordinati tra loro, in modo tale che il governo federale, competente su tutto il territorio della federazione, eserciti i poteri strettamente indispensabili per garantire l'unità politica ed economica. I1 (segue a pag. I-) GENNAIO 1993 va accelerata l'Unione monetaria Un New Deal per l'Europa di Dario Velo* Di un New Deal europeo si parlava nel ~Progetto Europa» del nostro Direttore, uscito nell'aprile 1983 della nostra rivista (e ristampato nell'opuscolo «Project Europe»: «les garanties dues aux travailleurs pendant une revolution institutionelle, qui pemettra une restmcturation économique et un nouveau rapport de I'Europe avec la planète»). La convergenza monetaria non basta per unire l'Europa. Le istituzioni non hanno il consenso del popolo, se non sono capaci di produrre politiche che rispondano ai bisogni concreti e prioritari del singolo cittadino. Maastricht stava portando in tutt'Europa deflazione, disoccupazione, crisi economica; una decisa svolta nella politica comunitaria era indispensabile, pena rendere irrealistico l'obiettivo dell'unione monetaria stessa. Questa svolta è iniziata a Edimburgo; l'unione economica ha subito una forte accelerazione, affiancando l'obiettivo dell'unione monetaria. Un piano ambizioso di sviluppo economico, che attiverà investimenti pari a 30.000 miliardi in due anni, è stato lanciato. Ma a Edimburgo abbiamo assistito ad una svolta o si è compiuta una tappa di un piano preordinato? La domanda non è retorica; rispondere ad essa è importante per comprendere quali saranno gli sviluppi futuri del processo di integrazione, per comprendere il copione che si sta recitando sul grande palcoscenico europeo. Per orientare il giudizio, può essere utile rifarsi ad un precedente storico, per molti aspetti analogo all'attuale situazione europea. Questo precedente è costituito dal New Deal americano lanciato per uscire dalla grande depressione dal presidente Roosevelt. La strategia di rilancio eocnomico di Roosevelt si farà su alcuni punti di importanza cruciale: 1) rafforzamento del Federal Reserve System. Fino al N m Deal, i singoli istituti di emissione godevano di una relativa autonomia; la «banca centrale» di New York era in grado di orientare tutto il sistema, grazie alla propria leadership economica. I1 mercato finanziario e bancario risultavano frammentati, contribuendo ad alimentare tensioni fra gli stati federali. Con il New Deal, il sistema monetario viene unificato, in base ad una struttura federale, così da conciliare l'esigenza di garantire I'unitarietà del governo monetario e l'articolazione federale del potere economico; 2) lancio di un programma di opere pubbliche per sostenere la modernizzazione del sistema economico, aumentare l'occupazione, sostenere lo sviluppo equilibrato regionale. Simbolo di questo programma fu la creazione della Tennessee Valley Authority; 3) Un'ampia serie di riforme sociali, politiche e istituzionali, in modo da disegnare un rinnovato patto di solidarietà fra classi, fra generazioni e fra aree all'interno della federazione americana. * Presidente del Centro studi europei dell'università di Pavia GENNAIO 1993 L'esperienza maturata dagli Stati Uniti mezzo secolo fa può essere utilizzata come chiave di lettura, almeno in prima approssimazione, per interpretare le scelte oggi in discussione a livello europeo. Non sfugge una certa analogia fra le riforme del Federal Reserve System statunitense negli anni '30 e la transizione oggi in discussione in Europa dallo SME alllUnione monetaria. Dove la Bundesbank occupa oggi in Europa la posizione che la Federal Reserve di New York aveva negli USA allora. Così come emerge l'analogia fra il programma di lavori pubblici e di interventi regionali lanciato da Roosevelt e il pacchetto Delors approvato a Edimburgo. Analogamente, le grandi riforme americane possono essere accostate al grande disegno costituzionale che gli europei si sono impegnati ad affrontare a partire da metà degli anni '90. Ma se questi sono i punti d i contatto, una differenza profonda separa le due esperienze. I1 N m Deal costituì un programma lanciato ed eseguito nel giro di pochi anni; il suo impatto fu rivoluzionario proprio per il grande cambiamento che realizzò nello spazio di pochissimo tempo. L'Europa sta procedendo oggi lungo un sentiero per molti versi analogo, ma ad una velocità di gran lunga inferiore. Questa diversa velocità ha una spiegazione elementare; mentre gli Stati Uniti potevano contare su un quadro politico federale con un secolo e mezzo di vita, che aveva superato con successo la prova della guerra di Secessione, l'Europa deve ancora darsi un sufficiente grado di unità, superando divisioni con profonde radici storiche e sociali. I1 cammino per l'Europa è certamente più in salita, dovendo percorrere una strada irta di insidie. Un New Deal europeo è iniziato. Ma la velocità del processo è lenta, tanto che risulta più difficile cogliere il disegno complessivo della fase storica che stiamo vivendo. Non è solo questione di tempo. Un piano diluito nel tempo è meno efficace. Uno dei meccanismi che decretò i1 successo del N m Deal americano fu il grande impatto psicologico sulle masse, che cambiò le aspettative e mise in moto tutte le energie. Un New Deal europeo, diluit o nel tempo, avrà minore impatto e quindi perderà parte della propria forza d'urto. Queste considerazioni evidenziano una esigenza di fondo. Perché Edimburgo abbia tutti gli effetti benefici che potenzialmente può avere sullo sviluppo economico dell'Europa, è necessario che il sistema economico e sociale prenda piena coscienza dell'occasione che gli si offre: ciò sarà tanto più facile quant o più saranno acceleqati i tempi del piano approvato dal vertice. E realistico accelerare il processo di integrazione? Arrivare più celermente alllUnione monetaria grazie al sostegno del pacchetto Delors? Porsi queste domande significa chiedersi in primo luogo se è possibile superare le cause che hanno rallentato fino ad oggi l'integrazione monetaria. A Maastricht è stata fatta una scelta gradualistica, cioè è stato deciso di procedere lentamen- te verso l'Unione monetaria, per dare tempo ai paesi devianti di risanare la propria situazione economica. Subito la convergenza, dopo l'unione politica ed economica. Questo è stato il prezzo pagato per ottenere il si tedesco. A Maastricht è la Germania che ha fatto la scelta politica più difficile e dolorosa, rinunciando al proprio «punto di forza» costituito dal marco. Si comprende che essa abbia posto alcune condizioni economiche ai partners, per rendere accettabile al proprio interno il sacrificio del marco. La Germania sta cercando di prendere tempo, per evitare di trovarsi con una Banca Centrale unica europea e stati membri disastrati, in condizione di far pagare il debito del proprio malgoverno alla Germania stessa. La crisi monetaria esplosa negli ultimi mesi ha messo in evidenza quanto pericolosa sia questa strada. Il risanamento da parte dei paesi devianti è indispensabile; ma quanto più lungo sarà il tempo lasciato a questo processo, tanto più aumenteranno i rischi che esso venga travolto dal disordine monetario. Più lunga sarà la transizione verso l'Unione monetaria, tanto più difficile risulterà mantenere gli accordi presi. Come conciliare I'esigenza di accelerare l'Unione monetaria rispettando il vincolo del risanamento dei paesi devianti? L'accelerazione dell'unione economica decisa a Edimburgo è in grado di agevolare il compito. L'avvio dell'unione monetaria fra i paesi già pronti a questo passo certamente contribuirebbe a orientare le scelte anche dei paesi restanti nella direzione della convergenza. Una forte iniziativa costituente da parte del Parlamento Europeo potrebbe costituire, in questa direzione, una svolta decisiva. Occorre accelerare il processo, per quanto riguarda l'Unione monetaria, 1'Unione economica e la nuova costituzione europea. Solo così emergerà chiaramente il grande disegno di un N m Deal europeo, in grado di rilanciare il vecchio continente e portarlo fuori dalla depressione attuale. Un'ultima considerazione riguarda i promotori di questo processo. I n passato, ogni qualvolta l'Europa è giunta ad una grande svolta, si è assistito ad un copione sempre eguale: I'iniziativa è stata franco-tedesca, I'Italia ha giocato al rialzo, la Gran Bretagna ha cercato di opporsi con tutti i mezzi e di ritardare le decisioni. A Edimburgo il copione è stato leggermente diverso: I'iniziativa è stata franco-tedesca, la Gran Bretagna ha continuato (affiancata dalla Danimarca) a svolgere un ruolo di freno; il gioco al rialzo è invece stato svolto dalla Spagna, non dall'Italia. La crisi del paese, impedisce oggi all'Italia di svolgere a livello europeo il ruolo evolutivo in passato sempre mantenuto, anche nel proprio interesse. Se tutta l'Europa deve accelerare il passo per varare un nuovo ciclo di sviluppo, tale accelerazione deve essere massima nel nostro Paese. Ciò è noto da tempo. Da Edimburgo è venuta un'ulteriore conferma d i quanto alta sia la posta in gioco. COMUNI D'EUROPA importante risoluzione del Parlamento europeo La concezione e la strategia del'unione europea Il Parlamento europeo ha votato, il 20 gennaio 1993, un rapporto della Commissione affari istituzionali, elaborato dal socialdemocratico tedesco Klaus Hansch, sulla «concezione dell'Unione europea nel quadro della creazione di un ordine globale a livello europeo e nella prospettiva dell'allargamento». È noto che otto Paesi europei (Austria, Cipro, Finlandia, Malta, Norvegia, Svezia, Svizzera e Turchia) hanno presentato domanda di adesione alla Comunità europea, ma che i governi della CEE e la Commissione hanno deciso di percorrere una «corsia preferenziale» per quattro paesi wicchi» dell'Associazione Europea di Libero Scambio: in inglese «EFTA» (Austria, Finlandia, Norvegia e Svezia), in attesa che la Svizzera chiarisca il suo atteggiamento dopo il «no» di un'esigua maggioranza di cittadini della Confederazione nel referendum del 6 dicembre sullo Spazio Economico Europeo (l'accordo economico fra la Comunità e Z'EFTA) e che essi stessi chiariscano il loro atteggiamento politico nei confronti di Cipro, Malta e della Turchia. È noto inoltre che i governi dellJAustria,deL la Finlandia e della Svezia - i cui plenipotenziari hanno già incontrato i ministri degli esteri della CEE a Bruxelles, il l o Febbraio 1993 intendono concludere rapidamente i negoziati di adesione, per permettere alle ratifiche nazionali di svolgersi nel corso del 1994 e concludersi entro il 31 dicembre 1994. In tal modo, questi paesi potrebbero partecipare a pieno titolo alla seconda fase delllUnione economica e monetaria, che inizierà il l o Gennaio 1994, ed ai prenegoziati per la revisione costituzionale dell1Unione europea, prevista per il 1996. I governi dei Dodici hanno in sostanza accolto quest'approccio dei paesi candidati alladesione, quando hanno affemato (Consiglio Europeo di Lisbona del giugno 1992) che l'accettazione del sistema di Unione deciso a Maastricht doveva essere considerato come la condizione sufficiente per rispondere positivamente alle domande di adesione e per procedere all'allargamento della Comunità. È noto infine che almeno altri dodici Stati europei (Lichtenstein, Polonia, Ungheria, Ukraina, Bielorussia, Slovenia, Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria, Lituania, Estonia, Lettonia) hanno manifestato in vario modo ma senza ambiguità la loro convinzione che gli attuali rapporti di associazione e10 di cooperazione con la Comunità devono essere considerati come l'anticamera dell'adesione e che i negoziati ufficiali dovranno essere avviati prima della fine di questo secolo. Votando il rapporto Hansch, il Parlamento europeo ha confermato una posizione che può essere fatta risalirefino alla risoluzione I-Ierman del febbraio 1989 («prima l'approfondimento della Comunità e poi il suo allargamento»), ma che ha ricevuto - il 20 gennaio 1993 - una sua inequivoca consacrazione cqrocedurale». Secondo l'Assemblea, infatti, la commissione istituzio,?aledeve portare rapidamente a termine . COIIUNI D'EUROPA l'elaborazione di un progetto di Costituzione «di tipo federale» (cosa che avverrà probabilmente entro il 2 luglio 1993, in modo tale da sottoporlo alle Assise interparlamentarifederaliste: luglio 1993; agli Stati generali del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa: ottobre 1993; ed anche alla seconda Conferenza dei Parlamenti della Comunità: novembre 1993). Tale progetto di Costituzione deve costituire la base dei lavori di revisione del trattato di Maastricht, che una Conferenza intergovernativa dovrà effettuare cqrima del 1996 e prima di ogni decisione in merito all'allargamento»ed in ogni caso «in cooperazione con il Parlamento europeo». È prevedibile che, considerati i tempi della politica europea, il progetto di Costituzione elaborato dal Parlamento europeo sia dapprima sottoposto all'esame dei partiti durante la campagna elettorale europea del 1994 e che, quindi, la Conferenaza intergovernativa sia convocata durante il secondo semestre del 1994, durante la presidenza tedesca del Consiglio. Del resto, lo stesso cancelliere Kohl ha recentemente affermato (incontro all'Aja con il governo olandese) che l'ipotesi dell'anticipo della Conferenza intergovernativa doveva essere seriamente presa in considerazione. Se i negoziati di adesione avranno fatto, nel frattempo, sostanziali passi in avanti, ciò vorrà dire che i Dodici - o una maggioranza dei Dodici - dovranno esigere dai paesi candidati non solo l'accettazione del trattato di Maastricht, ma anche dei principi di fondo della sua revisione (dimensione della difesa europea, gerarchia delle nome europee, potere di codecisione del Parlamento europeo, composizione della Commissione e del Consiglio, ((optingout»...). Attenzione, infine, alle interdipendenze fra calendario europeo e calendari nazionali. Fra la primavera del 1993 e la fine del 1995, quattordici paesi europei saranno chiamati a rinnovare i propri parlamenti nazionali od eleggere il presidente della Repubblica: Francia, Norvegia, Spagna e Paesi Bassi (1993), Grecia, Lussemburgo, Svezia, Austria, Germania e Danimarca (1994), Portogallo, Svizzera e Belgio (1995), senza contare i paesi ad alta «mortalità parlamentare» (elezioni anticipate), come l'Italia e l'Irlanda. Il numero dei voti contro e delle astensioni (122) e quello degli assenti (192), comparati a quello dei voti favorevoli al rapporto Hansch (204) ha già evidenziato la difficoltà per le forze politiche europee di mobilitare un largo consenso su un modello di cooperazione nel continente Europa, in assenza di un progetto chiaro di unificazione in seno alla Comunità. Inutile ripete~eai nostri lettori che tale progetto non può che assumere le caratteristiche di una costituzione europea su base federale, elaborata con i criteri democratici della trasparenza e del coinvolgimento di tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione. Pier Virgilio Dastoli il testo approvato a Strasburgo Verso un nuovo ordine europeo I1 Parlamento europeo - Viste le sue risoluzioni sui mutamenti po- litici in Europa a partire dal 1989 e sui nuovi sviluppi nell'intero continente, nonché sulla costituzione dell'unione Europea, - viste le proposte di risoluzione degli onn. D. Martin e altri (B3-0499190) e e Roumeliotis (B3-1937/90), - vista la relazione della commissione per gli affari istituzionali e visti i pareri della commissione per gli affari esteri e la sicurezza e della commissione per le relazioni economiche estere (A3-0189/92), A. Considerando la crescente importanza dell'unione europea e gli appelli sempre più numerosi a essa rivolti affinché garantisca in modo durevole la pace interna ed esterna tra tutti i popoli europei, lo sviluppo della democrazia e del diritto in tutta Europa, la promozione di un benessere economico equo dal punto di vista sociale e ben equilibrato a livello regionale, il rafforzamento della tutela dell'ambiente naturale e il mantenimento e sviluppo del patrimonio culturale di tutta l'Europa, B. Considerando che l'evoluzione negli Stati dell'Europa centrale e orientale verso un sistema politico democratico e un'economia di mercato, il proseguimento della politica di riforme nelle repubbliche nate sul territorio dell'ex Unione Sovietica e la fine del confronto militare e ideologico in Europa hanno creato anche per l'Unione e per i rapporti di essa con gli altri Stati europei una nuova situazione, C. Considerando che, anche dopo il crollo delle dittature comuniste e la disgregazione del predominio sovietico in Europa orientale, la coesistenza pacifica dei popoli e lo sviluppo delle libertà individuali, dello Stato democratico e del benessere economico non sono garantiti in modo durevole, D. Considerando che l'integrazione fra gli Stati europei nell'ambito dell'unione europea rappresenta la strada da seguire per il superamento del nazionalismo, la soluzione pacifica dei conflitti e la promozione dello sviluppo GENNAIO 1993 economico e che tale successo senza precedenti non deve assolutamente essere tradito bensì consolidato e sviluppato, E. Considerando che i recenti sviluppi in ambito economico, tecnologico, ecologico e sociale mettono tutti i popoli europei di front e a nuovi problemi e pericoli la cui soluzione e superamento sono sempre meno possibili nell'ambito delle singole sovranità nazionali e comportano invece, a fianco di una crescente integrazione nell'unione europea, anche una cooperazione paneuropea sempre più intensa, F. Esprimendo il convincimento che l'appartenenza all'Europa non possa essere nettamente definita dal punto di vista geografico, storico, etnico, religioso, culturale né tantomeno politico ma che presupponga in ogni caso la volontà politica di partecipare a un destino comune, G. Convinto che l'impegno a favore innanzitutto della pace, della tutela dell'ambiente, dello sviluppo economico-sociale in ambito mondiale e del rispetto dei diritti dell'uomo presuppongano una stretta collaborazione anche con Stati non europei, in particolare con gli Stati Uniti e il Canadà, con la Russia e con le altre Repubbliche nate sul territorio dell'ex URSS, con la Turchia nonché con gli Stati della costa orientale e meridionale del Mediterraneo, H. Considerando che le conseguenze dell'ingiustizia sociale, degli squilibri economici, della distruzione sempre più vasta dell'am- biente e della crescita demografica in altre parti del mondo si ripercuote anche sui popoli europei e li costringe a iniziative comuni più decisive nella lotta a livello mondiale contro la fame, la povertà, la distruzione dell'ambiente e il riarmo, I. Considerando le diverse proposte avanzate sull'evoluzione della struttura dell'Europa, in particolare la Carta per una «Nuova Europa» firmata a Parigi nell'ambito della CSCE, J. Considerando le richieste della Turchia, dell'Austria, di Cipro, di Malta, della Svezia, della Finlandia e della Svizzera di entrare a far parte dell'unione europea e tenendo cont o degli «accordi europei» con la RFCS, la Polonia e l'Ungheria, che confermano il desiderio di adesione di tali Stati, le iniziative corrispondenti di altri Stati europei e l'auspicio espresso dai paesi rivieraschi del Mediterraneo meridionale e orientale di rinsaldare i loro legami con l'unione. K. Considerando che l'effettiva adesione all'unione implica, in primo luogo, l'adesione alla sua vocazione federale, nonché la volontà e la possibilità di accettarne pienamente tutte le regole e tutti i principi, se necessario dopo un appropriato periodo di transizione, L. Considerando che l'adesione di altri Stati all'unione europea perturberebbe profondamente il funzionamento delle Istituzioni comunitarie se non fosse accompagnato da una modifica sostanziale delle stesse, I. Caratteristiche fondamentali di un ordinlamento paneuropeo 1. È convinto che la nuova situazione in Europa metta l'Unione europea di fronte a sfide cui essa deve rispondere al proprio interno attraverso una più coraggiosa riforma in vista di un'unione a vocazione federale forte, basata sul rispetto del principio di sussidiarietà, e, all'esterno, con un nuovo progetto che garantisca una collaborazione sempre più stretta di tutti i popoli europei; 2. Considera auspicabile l'ampliamento dell'unione europea con l ' a c ~ o ~ l i m e n tdi o Stati europei che dispongano di istituzioni democratiche pienamente sviluppate e proprie di uno Stato di diritto - capaci di garantire la tutela dei diritti umani - e delle strutture dell'economia di mercato, e che siano in grado di recepire l'acquis comunitario compresa l'Unione economica e monetaria, incluso l'accordo sulla politica sociale concluso nell'ambito del Trattato di Maastricht, di accettare senza riserve l'obiettivo dell'unione politica e siano disposti ad nperare in tal senso; ritiene inoltre che tale ampliamento non risponda solo agli interessi degli Stati candidati ma anche a quelli dell'unione europea; 3 . Non ritiene né possibile né necessario che tzrtti i paesi europei, quelli che si sentono tali o quelli che sono legati all'Europa, si uniscano in futuro per formare un'unione e rileva del resto che le decisioni in merito all'ampliamento dell'unione dipendono anche dalla lutura evoluzione politica, geopolitica ed economica dell'Europa nonché dall'evoluzione interna dell'unione europea; GENNAIO 1993 4. Giudica auspicabile che siano avviati in primo luogo negoziati con i paesi del17EFT A che hanno presentato domanda di adesione, e che tali negoziati siano condotti parallelamente con l'obiettivo di pervenire all'eventuale adesione in un'unica data; 5 . ritiene che lo Spazio economico europeo, che non deve ridurre il ruolo della Corte di giustizia europea e del Parlamento europeo, agevolerà il successivo ingresso degli Stati dell'EFTA che desiderano aderire, offrendo anche una possibilità di più stretti legami economici e politici fra l'Unione europea e gli Stati europei economicamente più sviluppati che non vogliono aderire ad essa; 6. Ritiene che gli accordi di associazione («accordi europei») finora conclusi siano ben lontani dallo sfruttare appieno le possibilità offerte dall'articolo 238 del Trattato C E E per un più stretto legame con la Comunità e per il sostegno ai processi di riforma nell'Europa orientale, e suggerisce in particolare di esaminare se possa essere ammessa un'associazione all'unione che permetta agli Stati associati un coinvolgimento adeguato nella PESC e la partecipazione alla cooperazione nei settori degli Affari interni e della Giustizia, senza tuttavia impedire l'evoluzione di tali settori verso una effettiva e completa comunitarizzazione; possano essere create forme di associazione che consentano una cooperazione gra- duale e progressiva, in vista di un'eventuale adesione; - possano essere sviluppate forme multilaterali di cooperazione regionale e di dialogo politico regionale fra l'Unione e più Stati associati, allo scopo di promuovere la coesione regionale e i rapporti di vicinato, e per contrastare il sorgere di nazionalismi; 7. Auspica che l'Unione europea continui a perseguire i suoi obiettivi politici, a prescindere dai previsti ampliamenti e associazioni, e apra a tutti gli Stati europei, che agiscono individualmente o in raggruppamenti ~ u b r e ~ i o n a lprogrammi i, di sostegno specifici come SPES, SPRINT, ERASMUS o PETRA e agenzie come l'Agenzia europea dell'ambiente, chiedendo che detti Stati interessati contribuiscano in modo adeguato ai costi di tali iniziative; 8. Chiede che l'Unione europea, parallelamente al rafforzamento e alla democratizzazione del proprio sistema istituzionale a carattere federale, istituisca un «Sistema di cooperazione confederale in Europa» suscettibile di costituire un quadro globale europeo per la soluzione di determinati problemi di dimensione paneuropea quali ad esempio la garanzia della sicurezza, il controllo dei movimenti migratori, la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, l'esecuzione di determinati compiti di protezione dell'ambiente, la tutela della salute, la lotta alla criminalità e il rispetto dei diritti dell'uomo e delle minoranze; 9. Ritiene che il Consiglio d'Europa e la CSCE faranno parte di questo «Sistema di cooperazione confederale in Europa», per cui dovrebbero proseguire e intensificare la loro importante funzione di fori per accordi a livello paneuropeo nei rispettivi settori specifici di responsabilità, e che l'Unione Europea dovrà esserne il centro motore; 10. Ritiene necessario che l'Unione europea in quanto tale figuri, accanto ai suoi Stati membri, quale membro del Consiglio d'Europa e parte contraente della CSCE e che 1'Unione stessa assuma progressivamente, nei settori di competenze a essa demandati, la prerogativa di pronunziarsi a nome degli Stati membri; 1I. Si impegna affinché il «Sistema di cooperazione confederale in Europa» non sia strutturato come una classica confederazione unitaria e con competenze estese, bensì si sviluppi sulla base di una pluralità di confederazioni con compiti settoriali o regionali, la cui formazione l'Unione europea dovrebbe promuovere; 12. Giudica importante che la cooperazione nell'ambito delle confederazioni con compiti settoriali sia strutturata in modo flessibile e che in esse cooperino rispettivamente l'Unione europea e i paesi terzi interessati alla soluzione comune di problemi comuni in determinati settori e che allo scopo sono anche disposti a esercitare in comune singoli diritti di sovranità; 13. Sottolinea che la cooperazione nell'ambito delle confederazioni con compiti settoriali non deve limitare né ostacolare il COMUNI D'EUROPA processo di integrazione nelllUnione europea, collegato al trasferimento di competenze nazionali; 14. ritiene che, in taluni settori, al ~Sistema di cooperazione confederale in Europa» potrebbero partecipare, secondo le modalità del caso, tanto gli Stati Uniti e il Canadà quanto la Russia e altri Stati nati sul territorio dell'ex URSS, la Turchia e i paesi dell'area mediterranea non europea; 15. Ritiene che nel «Sistema di cooperazione confederale in Europa» la cooperazione intergovernativa fra l'Unione europea e gli altri Stati sia di norma la struttura più realistica e adeguata per le decisioni politiche, a condizione però che il contributo di ogni Stato partecipante, e soprattutto dell'unione europea, sia soggetto a un controllo parlamentare, che le disposizioni giuridiche cosi convenute possano entrare in vigore nell'unione europea e negli altri Stati solo previa approvazione del Parlamento europeo e10 dei Parlamenti nazionali; 16. Sollecita la creazione di una «Accademia europea», cui siano chiamate, senza fissare quote nazionali, diverse personalità illustri, esperte e indipendenti della cultura e dell'arte, della scienza, del mondo religioso e della politica, che rappresentino e promuovano l'identità culturale europea nella sua molteplicità; 11. Riforme strutturali e istituzionali L 'Unione 17. Ritiene che i1 Trattato sull'unione europea sottoscritto a Maastricht il 7 Febbraio 1992 sia necessario ma non sufficiente per consentire a quest'ultima di far fronte adeguatamente, dal punto di vista istituzionale e politico, alle nuove sfide e, in particolare, di accogliere un gran numero di nuovi Stati membri; 18. È convinto che l'Unione europea possa far fronte all'adesione di nuovi Stati e alle sfide paneuropee solo qualora si evolva, sulla base di una costituzione elaborata dal Parlamento europeo e da sottoporre alla ratifica degli Stati Membri, in un'unione con strutture federali e competenze limitate ma concrete sulla base del principio di sussidiarietà e istituzioni democratiche pienamente sviluppate; 19. Chiede quindi la convocazione - prima del 1996 e comunque anteriormente a ogni decisione di ampliamento - di una Conferenza intergovernativa incaricata di avviare questo processo con la partecipazione del Parlamento europeo, sulla base di un progetto di Costituzione dell'unione, affinché l'Unione stessa possa accogliere altri Stati europei, rafforzando allo stesso tempo la sua coesione, la sua capacità decisionale e la sua legittimità democratica; 20. Non condivide l'opinione espressa nelle conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona del 27 giugno 1992, secondo cui l'ampliamento dell'unione agli Stati dell'EFTA aspiranti all'adesione dovrebbe essere realizzato senza ulteriori riforme istituzionali; COMUNI D'EUROPA 21. Insiste affinché nell'ambito dei prossimi negoziati di adesione vengano concordate almeno le riforme istituzionali e strutturali più urgenti; 22. Decide, in merito a tali riforme, i seguenti orientamenti; a) per quanto attiene al Consiglio: - il ruolo e la natura della presidenza vanno ridefiniti nel rispetto del principio della parità tra gli Stati membri nonché tenendo conto delle crescenti esigenze di continuità e di presenza espresse dalla rappresentanza esterna dell'unione europea; - occorre accelerare la sua evoluzione a seconda Camera legislativa nel senso di una vera e propria Camera degli Stati a fianco del Parlamento europeo; il Consiglio diventerà un organo dell'unione in seduta permanente, che si riunisce pubblicamente in sede legislativa e delibera a maggioranza in un procedimento di codecisione paritetica con il Parlamento europeo, ridefinendo, in considerazione dell'ampliamento dell'unione, la maggioranza qualificata in base a nuovi criteri, pur rispettando la ponderazione dei voti; - nell'emanazione di disposizioni di applicazione sulla base di normative adottate dal Consiglio e dal Parlamento nell'ambito di una chiara gerarchia delle norme, deve essere conservato al Consiglio un ruolo particolare, in quanto va mantenuta la responsabilità degli Stati membri in ordine all'esecuzione e all'applicazione delle leggi dell'unione; b) per quanto attiene alla Commissione - deve diventare l'esecutivo dell'unione europea e come tale deve gestire gli affari sulla base delle norme dell'unione europea e degli orientamenti approvati dal Consiglio europeo; - occorre rafforzare la capacità di azione e la responsabilità di fronte al Parlamento, in particolare per gli impegni nell'ambito delle relazioni esterne e del «Sistema di cooperazione confederale in Europa»; - nei settori di sua competenza deve essere la Commissione sola a rappresentare 1'Unione europea verso l'esterno, in particolare nei confronti delle strutture paneuropee; per il resto essa opera di concerto con la Presidenza del Consiglio e sotto il controllo del Parlamento europeo secondo le prassi di controllo vigenti negli Stati membri in materia di politica estera; - occorre introdurre il principio della competenza politica, - il Presidente della Commissione, nominato dal Parlamento su proposta del Consiglio europeo, deve decidere congiuntamente al Consiglio e al Parlamento, garantendo una rappresentanza equilibrata di tutti gli Stati membri per quanto riguarda le funzioni di rango più elevato dell'unione e la composizione dell'esecutivo; - deve essere resa possibile la designazione di Commissari sostitutivi in settori specifici; C) per quanto attiene al Parlamento europeo: - occorre aumentarne la rappresentatività con l'aumento del numero degli Stati membri dell'unione europea, fissando il numero dei deputati conformemente al principio della «proporzionalità decrescente», in base al quale il loro numero in rapporto a quello degli abitanti dello Stato membro di appartenenza diminuisce con l'aumentare della popolazione; - deve partecipare con gli stessi diritti e lo stesso peso del Consiglio a tutte le decisioni sulle entrate e sulle spese in tutti gli ambiti della legislatura dell'unione europea (codecisione); - occorre rafforzare considerevolmente il suo controllo sulla politica estera di sicurezza, in particolare in considerazione del ruolo dell'unione europea e delle sue decisioni nel «Sistema di cooperazione confederale in Europa», nonché sul successivo sviluppo dell'Unione europea, attraverso il parere conforme su tutte le decisioni fondamentali di PESC, sulla stipula di trattati internazionali e su tutte le decisioni adottate all'unanimità dal Consiglio dei Ministri dell'unione europea; 23. Per quanto attiene alllimpiego delle lingue in un'unione europea ampliata: - il rispetto della pluralità culturale e della sicurezza del diritto rendono indispensabile che ogni lingua nazionale dell'unione europea sia lingua ufficiale dell'unione stessa, - ogni cittadino e ogni deputato ha il diritto di essere ascoltato nella sua lingua nell'ambito delle istituzioni dell'unione e a informarsi in tale lingua sulla politica e siilla legislazione dell'unione, e reputa che l'aumento del numero delle lingue ufficiali a seguito dell'ampliamento della Comunità conseguente all'adesione di nuovi Stati membri renderà indispensabile pervenire a un accordo sull'utilizzazione tecnica di lingue di lavoro; Il Consiglio d'Europa 24. Propone che il Consiglio d'Europa sia messo in condizione di potenziare il proprio ruolo per quanto riguarda la collaborazione nei settori della cultura, della scienza, della politica sanitaria, dell'urbanistica, del diritto privato, della politica sociale e in campo etico-sociale fra tutti gli Stati e le organizzazioni governative europee e suggerisce di trasformarlo, rafforzarlo, in un consesso per il dialogo tra i Comuni e le Regioni nonché tra le organizzazioni govenative e non governative esistenti in Europa; 25. auspica - l'ulteriore sviluppo della Convenzione sui diritti dell'uomo e le libertà fondamentali e della Carta sociale europea, al fine, tra l'altro, di elaborare una Carta dei diritti delle minoranze in Europa che garantisca tanto i diritti individuali quanto quelli collettivi; - il perfezionamento del regime di tutela giuridica previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in particolare per quanto riguarda le denunce di violazione dei dirit(segue a pag. l>) GENNAIO 1993 un bilancio per la Commissione donne del CCRE Due anni soddisfacenti e tanta voglia di fare di Fausta Giani Cecchini* Chi esaminasse la storia del CCRE sotto il profilo dell'attenzione ai problemi della popolazione femminile e, in particolare, al significato e valore della presenza d i donne nelle amministrazioni locali e regionali per il conseguimento delle finalità politiche dell'organizzazione, potrebbe riscontrare che solo a partire dagli inizi degli anni '80 questa tematica ha cominciato ad essere affrontata in maniera specifica. L'inizio di questo periodo è databile con la prima Conferenza delle elette locali e regionali europee organizzata a Pisa dal CCRE in collaborazione con la Commissione CE (novembre 1983). L'iniziativa nasceva per volontà delle amministrazioni e sulla spinta di varii elementi: da un lato il sorgere e l'affermarsi, e partire dagli anni '70, di movimenti e associazioni femminili e femministe in vari paesi membri, dall'altro I'indizione da parte dell'ONU del decennio della donna, la formazione della Commissione ad hoc del Parlamento europeo (Presidente Yvette Roudy), l'emanazione delle prime direttive in applicazione dell'art. 119 dei Trattati di Roma, l'impegno in questo campo della Commissione C E che portò, fra l'altro, alla fondamentale pubblicazione «Donne d'Europa». Gli anni che passano dalla prima Conferenza (Pisa 1983) alla seconda (S. Jacopo di Compostella 1986), alla terza (Anversa, 1988) sono caratterizzati da una elaborazione via via sempre più approfondita della questione che del resto corre ancora parallelamente all'azione della Commissione C E e del Parlamento europeo in questo settore. Vanno emergendo e precisandosi alcuni concetti, grazie anche ai contatti tra le elette di vari paesi membri in occasione delle tre Conferenze sopra citate: - L'Europa unita dovrà colmare il suo deficit democratico; ciò comporta, fra l'altro, la parità fra i due sessi nelle leggi e nella realtà. - L'Europa unita dovrà poter contare su tutte le intelligenze e le professionalità per vincere la concorrenza mondiale sul piano della ricerca scientifico-tecnologica, della produzione, del mercato; ciò comporta, fra l'altro, la necessità di non sprecare le intelligenze e le professionalità delle donne. - L'Europa unita non sarà tale se al fattore economico e politico non unirà quello sociale. La storia che porta dall'art.119 dei Trattati di Roma alle direttive comunitarie in materia di parità donna-uomo dimostra che proprio lavorando in questo settore per forza di cose si passa dall'economico-politico al sociale, con risultati utili per tutti i cittadini, donne e uomini. * Presidente della Commissione permanente delle elette locali del CCRE. Membro della Giunta delI'AICCRE GENNAIO 1993 - L'Europa unita dovrà dedicare attenzione particolare alle fasce più deboli della società; fra queste vanno annoverate le donne che - a qualsiasi strato sociale appartengano - sono svantaggiate rispetto agli uomini. - L'Europa unita dovrà dedicare attenzione ai problemi dell'immigrazione; in parti- I<m#R- DULCMI- UHLSTI"IIU Donna europea: iniziamo il dis~orso -- 8, ,.".*<,.-G.=b",. 1 colare dovrà tener presenti quelli delle donne immigrate, più gravi di quelli degli immigrati. - La presenza di donne negli Enti locali e regionali significa un modo nuovo di fare politica: più aderenti aha realtà, più vicino ai bisogni, più disponibile alle innovazioni. Per questi motivi le amministratrici possono essere valide forze nella battaglia per la realizzazione dell'unità europea. - Le amministratrici locali e regionali, inoltre, sentendo con maggior immediatezza i problemi delle donne, sono di forte stimolo a risolverli (nell'ambito delle direttive e delle azioni comunitarie) sul piano locale e regionale e a sostenere la realizzazione di un'Unità europea che, risolvendo i problemi della popolazione femminile, liberi una riserva di energie intellettuali, etiche, professionali che sono indispensabili alla sua affermazione. La terza Conferenza di Anversa segna un momento di svolta nella politica del CCRE in materia: infatti le amministratrici europee 1ì riunite, convinte dell'importanza della questione, chiedono l'istituzione di una Commissione Permanente delle elette locali e regionali. La richiesta viene accolta dal Comitato Direttivo del CCRE (Monaco 1988). La Segreteria viene affidata nel 1991 all'AICCRE. Da questo momento inizia quello che si può definire il terzo periodo dell'attività del CCRE in questo campo. La Commissione tiene la sua prima riunione a Torino (luglio 1991). Dopo una fase iniziale di rodaggio, la Commissione va via via precisando la sua linea d'azione politica e la sua organizzazione, che nell'anno 1992 prenderà corpo in misura considerevole. Basta esaminare il livello del dibattito e le risoluzioni finali della IV Conferenza di Heidelberg per rendersi conto di come la linea d'azione sia stata bene individuata e fissata (le amministratrici del CCRE affrontano i problemi delle donne europee dal punto di vista delle amministrazioni locali e regionali nella prospettiva dell'unità europea), di quanta sia stata la ricchezza di elaborazione dei temi esaminati, di quali impegni programmatici la Commissione Permanente sia stata incaricata. Sono segni del !grado di efficienza raggiunto dalla Commissione nel 1992: da un lato la sua presenza attiva, attraverso la Presidente, all'Assemblea dei Delegati e alla successiva Conferenza di Praga (1-2 ottobre 1992) e alla Conferenza internazionale «Donne e potere» organizzata dal Consiglio d'Europa (Atene, novembre '92), dall'altro il risultato dell'ultima riunione della Commissione stessa (Firenze, dicembre '92). A Firenze è risultato chiaro che la Commissione sul piano politico ha ormai raggiunto un apprezzabile livello di chiarezza e di amalgamazione; sul piano organizzativo, grazie anche all'applicazione del Regolamento delle Commissioni votato a Praga e a un ulteriore chiarimento per ciò che concerne le persone componenti la Commissione, ha raggiunto un assestamento più che soddisfacente. I1 clima generale della riunione di Firenze e le decisioni, numerose ed importanti, in essa prese sul piano politico e organizzativo permettono di prevedere un'attività serena e proficua della Commissione nel realizzare il programma che in quella sede è stato approvato per il 1993. M Dal 15 gennaio 1993 awìverà a tutti i soci, gratìs per il 1993, l a genzia settimanale Europa Regioni: ma confidiamo che ogni amministrazione senta il dovere di abbonani COMUNI D'EUROPA ambiente urbano e governo della città Ambiente e territorio: dal Libro Verde al Libro Bianco, dala diagnosi alle proposte di Sandro Giulianelli* Si è svolto dal 19 al 20 novembre a Roma, organizzato dall'AICCRE in collaborazione con la Commissione CE, un seminario su ((L'ambiente urbano e il governo della città e del territorio: gli orientamenti della Comunità europea». Molto qualificati sia dal punto di vista tecnico che politico gli interventi e le rehzioni tenuti da amministratori locali e regionali e da docenti universitari. Il seminario era stato inoltre arricchito da alcune esperienze straniere (Berlino e Marsiglia) confrontate con dei casi italiani. I1 mio compito è quello di introdurre un elemento d i riflessione sulle attività delle istituzioni comunitarie nei confronti delle tematiche urbane, dell'assetto del territorio e delle iniziative operative che la Commissione esecutiva sta prendendo. Devo fare subito una premessa: la Commissione esecutiva e le istituzioni comunitarie non hanno generalmente competenze dirette nè in materia di ambiente urbano, nè in materia di assetto del territorio, nè d i urbanistica, in quanto i trattati che le istituiscono, compreso il tanto discusso Trattato di Maastricht, si basano sul principio di sussidiarietà. Ciò significa che, sulla base di questo principio, le azioni comunitarie hanno un senso e sono ritenute legittime quando aggiungono qualcosa: rappresentano quindi un valore aggiunto rispetto alle azioni che possono essere portate avanti dai singoli stati membri. Di conseguenza appare chiaro che la materia urbanistica e la materia dell'assetto del territorio sono e restano una competenza dei singoli stati membri. Tuttavia, è evidente come una serie di politiche comunitarie abbiano ricadute sull'assetto del territorio, sull'organizzazione e sul funzionamento delle nostre città. Faccio rapidamente qualche esempio: tutti gli interventi finanziati dalla Comunità Europea sono erogati in base all'art. 10 dei Fondi strutturali. Sulla base di questi fondi sono stati resi possibili interventi a Londra, a Marsiglia, a Rotterdam e a Napoli. Recentemente sono stati approvati due interventi molto importanti in Italia, a Genova e Venezia: a Genova per l'istituzione di un osservatorio urbano per il monitoraggio degli interventi di restauro e di recupero del centro storico; a Venezia per il restauro dell'Arsenale. Questo duplice esempio è un caso in cui un intervento comunitario ha una ricaduta evidente in termini d i assetto urbano. Altro esempio classico è quello dei fondi relativi al patrimonio architettonico: la Commissione europea ha un fondo di sostegno per il recupero e la rivitalizzazione del patrimonio architettonico delle città europee; è un fondo ancora molto esiguo che ha un valore quasi emblematico, ma è comunque importante perchè offre un segnale di interes- * Ufficio Gabinetto del Commissario CE all'ambiente. Trascrizione da1 nastro dell'intervento al Seminario dell'AICCRE sull'ambiente urbano, Roma, 19-20 novembre 1992 COMUNI D'EUROPA se da parte delle istituzioni comunitarie rispetto al patrimonio storico ed artistico delle nostre città. Tutte le altre politiche settoriali comunitarie, dalla politica dei trasporti alla politica dell'energia, dalla politica dei rifiuti alla politica sociale, sono tutti interventi che in qualche modo si intrecciano con il funzionamento delle città europee. Se questo è vero, è anche vero che molti aspetti della tematica ambientale hanno evidenti connotati transfrontalieri: un fiume che attraversa più stati membri e ha problemi di inquinamento interessa più stati membri e quindi un'azione comunitaria ha un senso. E ancora: le aree urbane sono i punti del territorio europeo dove c'è la maggior concentrazione di popolazione e la maggior concentrazione di attività; sono i luoghi dove l'inquinamento è più alto ed è evidente quindi che un'azione comunitaria concentrata sulle aree urbane avrà effetti positivi per risolvere in generale i problemi dell'inquinamento, dall'effetto serra alle piogge acide. Nel «Libro verde» sull'ambiente urbano, la Commissione ha cercato di superare la logica parziale.degli interventi specifici per guardare invece alla città come ad un insieme organico e integrato, cercando in questo modo di uscire dalla logica delle emergenze per affrontare invece in termini organici e complessivi il tema città. Non richiamo tutti i temi del Libro verde, ma è utile ricordare un punto centrale di questo documento che è una riflessione sull'organizzazione delle città. Partendo proprio dall'emergenza ambientale delle città europee, questo documento comunitario ha iniziato una sorta di cammino a ritroso, andando ad analizzare le cause che sono alla base della crisi attuale delle aree urbane. I1 documento comunitario individua queste cause in un tipo di organizzazione del territorio urbano che è quello che ereditiamo dalla carta d i Atene e d a tutta l'urbanistica funzionalista che divide rigidamente le aree urbane in zone funzionali, di residenza, luogo di lavoro, luogo d i divertimento, spazi verdi, ecc., e che ha settorializzato le attività delle città europee portando, tra l'altro, i cittadini a sempre più frequenti spostamenti da un punto all'altro della città. Ciò comporta problemi di traifico e d i congestione. Altra conseguenza è quella che è stata definita, a proposito di Parigi, la città a due velocità: cioè d a un lato la Parigi ricca di funzioni, ricca di attività culturali, ricca di monumenti, la Parigi alla quale tutti noi pensiamo e, dall'altro la sterminata Parigi che è invece l'esatto contrario: il luogo privo di qualità, privo di funzioni qualificate, il luogo, insomma, dell'assenza d i qualità. Nel nostro testo di riferimento generale affermiamo che è vero che le città europee oggi attraversano un momento di crisi, ma è anche vero che le stesse offrono oggi una grande possibilità di riscatto e di recupero. Pensiamo, per esempio, a tutti i grandi processi di trasformazione che attraversano le città, di cui il fenomeno delle aree industriali dismesse è quello più appariscente di tutto un processo di dismissione della intelaiatura che ereditiamo dal secolo scorso. Pensiamo a tutte le grandi attrezzature urbane in disuso: mattatoi, vecchi ospedali, edifici militari, aree demaniali, banchine, porti, moli: tutto questo armamentario è un'incredibile riserva di edifici, d i spazi, di aree ubicate spesso in posizione strategica. Queste rappresentano altrettante occasioni da cogliere per ridisegnare le città europee in una prospettiva che tenga conto della qualità urbana. Abbiamo anche cercato di capire che cos'è questa qualità urbana di cui tutti parlano. A tale proposito, vorrei citarvi una riflessione di un autore inglese che, in una ricerca che ha recentemente concluso per conto della Commissione della Comunità Europea e del governo inglese, sostiene un paradosso della nostra epoca: saper riconoscere immediatamente quali sono i quartieri e le parti della città dove ci piacerebbe vivere, ma sempre più raramente riscontriamo queste qualità nella città contemporanea. L'autore arriva a progettare un villaggio urbano nei dettagli, scegliend o un territorio d i proprietà del principe di Galles dove alcuni promotori hanno tra l'altro iniziato un'operazione di costruzione di questa sorta d i città ideale. Naturalmente le istituzioni comunitarie non si spingono fino a questo punto, ma hanno individuato, nella Conferenza Internazionale di Madrid che si è tenuta un anno fa, sette punti di orientamento generale che sono alla base del nostro lavoro a Bruxelles e che fondano la nostra azione attuale. Ve li richiamo brevemente: il primo punto è quello di favorire l'uso misto delle aree urbane basato sulla coesistenza di uomini e attività molteplici: questa è una prima risposta al tipo di città che prima criticavo: la città funzionalista. Si tratta di favorire un uso misto, una GENNAIO 1993 coesistenza di attività differenti, di strati sociali diversificati e di ricostruire quella ricchezza che è alla base del senso stesso della città. Inoltre bisogna cercare di riportare all'interno delle aree urbane le attività produttive, perchè spostandole fuori non si risolve il problema. E allora, quale risposta dare? Quella di lavorare sulle cause dell'inquinamento attraverso l'utilizzo delle tecnologie oggi disponibili e rendere in questo modo le attività produttive «pulite», cercando contemporaneamente la coesistenza di queste attività con la funzione residenziale. Secondo punto: proteggere e valorizzare l'identità delle città, ristabilendo il legame tra i luoghi e la loro storia. E un punto particolarmente importante: si tratta di rispettare l'individualità e i connotati di ogni città europea. L'idea che noi abbiamo dell'Europa comunitaria non è quella di omogeneizzazione, ma è al contrario un'idea di esaltazione delle differenze perchè proprio in esse vive la ricchezza culturale, sociale ed economica del nostro continente. Ciò comporta la lotta a quello che è stato definito l'lnternational Style, cioè quello di una edilizia anonima che funesta le nostre periferie e che rende simili le città europee le une alle altre. Bisogna, invece, recuperare quegli elementi di identità che derivano dalla storia delle nostre città, ma in questo caso bisogna far anche attenzione a non rivolgersi alla storia come ad un catalogo da cui attingere stilemi architettonici, ma piuttosto come ad un patrimonio di processi culturali. Terzo punto: indirizzare lo sviluppo e la crescita delle città utilizzando le aree vuote al loro interno: aree industriali dismesse, ex zone militari, ecc., piuttosto che occupare altro territorio in periferia. Credo che questa sia una via possibile da percorrere anche in considerazione del fatto che in fondo i fenomeni di crescita impetuosa delle città europee si sono arrestati e quindi non dobbiamo più far fronte ai grandi numeri: a questo punto c'è più spazio per pensare alla qualità. Certo, resta l'incognita dell'immigrazione dal Maghreb e dai paesi dell'Est, ma credo che essa riesca ad essere incanalata e disciplinata. Quarto punto, ridurre l'impatto del trasporto privato nelle aree urbane; su questo punto tornerò più tardi. Quinto punto, garantire la qualità degli spazi pubblici e delle aree verdi: è sotto gli occhi di tutti l'attenzione che mostravano i nostri avi per caratterizzare e qualificare gli spazi aperti nella città antica. Attenzione che si è andata via via perdendo. Vorrei, invece, sottoporre alla vostra riflessione il fatto di come spesso anche un singolo oggetto di arredo urbano possa caratterizzare una città: se si vede per esempio una cartolina con la cabina telefonica rossa immediatamente si pensa a Londra. Purtroppo a Londra queste cabine le stanno togliendo completamente; questo è un grave errore perchè è proprio l'esempio di un oggetto che caratterizza e sintetizza una città. Stesso discorso per le colonne di Parigi, quelle dove ci sono affissioni di manifesti, o il paracarro di acciaio di Amsterdam. Sesto punto, introdurre nella gestione delle aree urbane criteri di risparmio energetico GENNAIO 1993 e di uso intelligente delle risorse. Settimo, assicurare la partecipazione degli abitanti alle decisioni riguardanti l'organizzazione della città e la gestione dei problemi ambientali. H o richiamato questi sette punti perchè in qualche modo rendono il quadro di riferimento di quella che è la nostra attività attuale a Bruxelles. Questa sta andando avanti in tre direzioni: una prima direzione va nel senso della ricerca; una seconda direzione verso progetti pilota; una terza direzione concerne l'attività normativa. Le ricerche sono molte, ma ne cito soltanto qualcuna che mi sembra particolarmente attuale ed in tema con gli argomenti che stiamo trattando. Citerei prima di tutto «Città senza auto». Questa ricerca ha avuto una grande attenzione di stampa e ha suscitato l'interesse generale, forse anche per il titolo provocatorio che possiede, che parte dalla constatazione della rottura del binomio autolcittà. Il famoso slogan di George Pompidou che diceva «I1 faut adapter la ville a la voiture» è andato in crisi. I n realtà si è dimostrato che, sulla base di questo slogan, le città europee sono state uso un termine forte - «massacrate» dalle grandi infrastrutture urbane; cito i1 caso di Bruxelles dove, per realizzare una efficacissima rete di infrastrutture viarie, il centro antico è stato quasi completamente distrutto; op- pure, dove non si è fatto questo, le città e i centri storici sono rimasti soffocati da una grande quantità di macchine che provoca non solo inquinamento dell'aria, ma anche un inquinamento visivo. La soluzione qual è? I provvedimenti di emergenza come le targhe alterne scattano soltanto quando la crisi arriva a un punto talmente grave per cui non si respira più. Allora ... che facciamo? I provvedimenti tampone vanno fatti, ma cerchiamo anche di capire quali possono essere le soluzioni strategiche. L'auto elettrica può essere una soluzione parziale: se si sostituisse l'auto a benzina con l'auto elettrica nel settore dei taxi, delle auto pubbliche, delle auto a noleggio, degli autobus, si risolverebbe una parte dei problemi. Ma anche in questo caso se ciascuno di noi abbandonasse la sua auto a benzina per quella elettrica ci ritroveremmo nuovamente negli ingorghi. Credo inoltre che i problemi dell'inquinamento sarebbero semplicemente spostati da un campo all'altro perchè, se è vero che in città non avremmo le emissioni inquinanti, è anche vero che per produrre energia elettrica si inquinerebbe un'altra parte del territorio. Allora, la soluzione quale può essere? Riteniamo, e lo sostiene anche questa nostra ricerca, che occorre un radicale cambiamento: va interrotta la coesistenza tra città e trasporto privato e ciò andrebbe, evidentemente, a Ambiente: quadro storico e attuale La politica ambientale, dal villaggio ai problemi ecologici del pianeta, è stata affrontata dal CCRE fin dalle sue origini: basti ricordare la conzmissione ((città-campagna»presieduta dal sindaco francese Betrurier e il classico saggio del ministro e urbanista, pure francese, Claudius-Petit ~Aménagement du territoire dans une perspective européenne». L'AICCRE e il suo mensile «Comuni d'Europa» sono stati fra i primi in Europa ad andare alla radice del problema, affermando che la politica ambientale non poteva essere decisa a posteriori, ma si trattava di condizionare il modello di sviluppo, cioè come si scriveva - di fare una sintesi a priori di sviluppo economico e pianìficazione del territorio. Ma rapidamente «Comuni d'Europa» afiontò il problema ambientale su scala planetaria, che condizionava e condiziona qualsiasi quartiere urbano o villaggio periferico: basti ricordare l'articolo, che fece epoca, intitolato «Sull'orlo dell'abisson (uscito il 20 giugno 1959), che portava come sottotitolo «L'atomo, la salute, la pace e l'urgenza comunitaria». Continuando su questo rapporto tra la sovranazionalità e l'autonomia locale, in un altro articolo, che potremmo definire storico, la rivista ufficiale delllAICCRE pubblicò un paginone col titolo «La morte della sovranità nazionale o la morte dell'Europa e delgenere umano»: il sottotitolo iniziava colsintomatico interrogativo «Il morbo di Minamuta a Marina di Ravenna?». Una tappa fondamentale del CCRE in materia furono gli Stah generali di Nizza (15-18 giugno 1972), in cui si discusse un progetto di «Carta europea dei poteri locali per la salvaguardia dell'ambiente naturale e umano». Da Nizza scaturi la definitiva «Carta» della nostra organizzazione, varata a Bruges il 28 giugno 1972: un'integrazione della «Carta di Brugesv del CCRE avvenne al termine della Conferenza sulla politica dell'ambiente nella Comunità europea svoltasi a Roma, in piena collaborazione con la Commissione esecutiva della Comunità europea e con l'intervento del governo italiano (partecipò il ministro dell'ambiente Spadolini). Venendo ai nostri giorni è d'obbligo sottolineare la non partecipazione polemica del Commissario ad hoc della CE (che allora era Ripa di Meana, attualmente ministro italiano per l'ambiente) alla Conferenza di Rio (giugno '92):sulla Conferenza di Rio «Comuni d'Europa» ha pubblicato una rigorosa corrispondenza di un nostro collaboratore (Toffoli), intitolata «Nord-Sud, ambiente-sviluppo: strette interdipendenze~.In seguito a Rio è opportuno ricordare una posizione critica assunta anche dal presidente delllAICCRE, Serafini, richiamando la consueta riunione di quest'estate, successiva a Rio, degli scinzziati di tutto il mondo, Nord Sud Est Ovest, ad Erice in Sicilia: gli scienziati ad Erice hanno ben sottolineato le volute e colpevoli lacune della Conferenza di Rio. Anche da Erice si deduce che non solo il mondo, caduto il duopolio USA-URSS, va verso unanarchia planetaria armata, ma si avvia altresi verso una distruzione ambientale per totale carenza di governo, che non può far meno paura di guerre locali, per altro sempre più terribili e di estensione crescente, vista anche l'accessibilità sempre maggiore di armi micidiali, che si accompagnano alla tradizionale bomba atomica. storico e attuale si è svolto il Convegno dellJAICCRE nel novembre 1992. In questo COMUNI D'EUROPA vantaggio del mezzo di trasporto pubblico. Questo va completamente ripensato e mi sembra un'impresa possibile. Pensate se tutta l'intelligenza creativa che oggi è applicata all'auto privata venisse dedicata in minima parte anche al ridisegno del trasporto pubblico. Certo, è difficile caricare il mezzo pubblico di tutti quei valori simbolici di cui oggi è investita l'auto privata: cioè far amare dal consumatore una Ferrari allo stesso modo del treno. Questo cambiamento di mentalità è molto difficile, ma è un'operazione che va comunque iniziata: la pubblicità, per esempio, ci mostra sempre l'auto in condizioni assolutamente irreali, immersa in paesaggi naturali lungo le coste, o in paesaggi urbani notturni: quindi una realtà di sogno alla quale invece corrisponde una realtà di ingorghi e di immobilità. Bisogna ripensare completamente il sistema del trasporto urbano, pensando anche a tipi di trasporto alternativo ed innovativo. Ci sono già tanti esempi: quello di Perugia che ha realizzato le scale mobili, e tantissimi altri esempi che possiamo attingere dal passato: durante l'esposizione universale di Parigi c'erano dei tapis roulant che trasportavano i visitatori a due velocità. Bisogna fare uno sforzo di immaginazione e ripensare a un sistema di trasporto urbano che sia efficace, che sia competitivo con il trasporto privato e che abbia anche un richiamo verso l'utente. La critica che è mossa verso la ricerca è quella di essere una bella utopia. Credo che intanto non ci sia nulla di male a fare un po' di utopia, ma la ricerca dimostra anche che questa ipotesi non solo è realizzabile, ma ha un costo dalle due alle cinque volte minore rispetto a quello della città che conosciamo. Naturalmente i costi variano in funzione della densità: quanto più la città è densa tanto più è conveniente il trasporto pubblico (il caso di Parigi è classico, dove tra l'altro il 53% della popolazione che vive nel centro urbano non possiede auto privata). E quindi un'ipotesi realistica che, non a caso, ha interessato le grandi case automobilistiche, soprattutto la Renault e la Fiat, in quanto evidentemente esiste un mercato potenziale di grandissimo spessore. Pensiamo a tutte le città del17Est europeo dove non possiamo pensare di applicare il nostro modello, cioè quello che porta a distruggere le reti già esistenti di tram, di fare autostrade urbane, di vendere macchine, ecc. Quindi, esse si aprono per l'industria una volta fatte alcune operazioni di riconversione; sono operazioni che richiedono tempi lunghi, ma in prospettiva, una volta fatte queste operazioni, aprono mercati immensi. Moltissime città stanno portando avanti politiche di questo genere, interessandosi a questa nostra iniziativa: da Aosta a Lovagno, a Birmingham e, in particolare, la città di Amsterdam dove un referendum, che è stato fatto qualche mese fa, ha deciso di escludere dal centro storico tutte le macchine, comprese le auto dei residenti. Ad Amsterdam potremo ammirare il paesaggio che offre il canale senza l'intromissione delle macchine. Sulla base di questo referendum, Amsterdam si è proposta come città leader di quello che abCOMUNI D'EUROPA biamo chiamato «club di città senza auto», che verrà lanciato nel corso di una conferenza internazionale nel prossimo mese di aprile in cui ci proponiamo di mettere in contatto tutte le città europee che si stanno muovendo con decisioni, progetti, piani e realizzazioni che vanno in questa direzione. Pensiamo appunto a una sorta di modello analogo a quello delle città denuclearizzate: dare una, due, tre, quattro, cinque stelle, basandoci sul livello di avanzamento di questo tipo di realizzazioni che hanno come obiettivo la limitazione progressiva del traffico nei centri storici. Sulle altre ricerche condotte ci sarebbe molto da parlare, ma traccerò soltanto gli spunti essenziali. Una ricerca che mi sembra molto interessante è quella del recupero delle aree industriali dismesse. In questo caso abbiamo scelto sei siti in Europa e stiamo cercando di proporre delle ipotesi di utilizzazione di queste aree industriali dismesse, arrivando a formulare quasi dei piani di fattibilità; non soltanto quindi ipotesi progettuali astratte, ma anche prefigurazioni di attori, di scenari economici realistici. Un'altra ricerca che vorrei citare è quella su «Turismo e ambiente urbano» perchè è evidente che certe forme di turismo rischiano di compromettere la vivibilità di alcune città. Pensiamo alle città con grandi movimenti turistici: ci troviamo di fronte ad una contraddizione perchè se da un lato la promozione del turismo è un fattore di civiltà e di crescita culturale, dall'altro il grande numero di turisti rischia di distruggere e di snaturare le città. Sono stato di recente a Firenze e ho notato che non ci sono quasi più residenti nel centro storico, perchè è una continua gita scolastica che attraversa senza soluzione di continuità la città. Si pone il problema di disciplinare questi afflussi turistici. Un esempio può venire da alcuni tentativi fatti nelle città che hanno ospitato ed ospitano grandi mostre. Per esempio, ad Amsterdam per vedere le mostre di Van Gogh e di Rembrandt occorre la prenotazione con la quale si ha diritto ad entrare soltanto in una certa fascia oraria. Questa di Amsterdam mi sembra un'ottima ed esemplare formula. Questa ricerca è ancora in corso e quindi non ha ancora dato dei risultati definitivi, ma sta andando nella direzione della ricerca di compatibilità. Un'altra ricerca, «Rapporto tra beni culturali e ambiente*, mette in rilievo come tutti i costi del restauro, della pulitura delle facciate dei monumenti diventano enormi se non si interviene a monte per eliminare i fattori inquinanti. Secondo filone di intervento cui facevo riferimento prima è quello dei progetti pilota: per verificare le teorie e le ipotesi contenute nel Libro verde, abbiamo promosso alcuni progetti pilota. Ve li cito rapidamente: a Genova, dove si è sperimentato un progetto di recupero «ecologico» del centro storico; ad Amburgo, dove si sta studiando il recupero delle aree verdi all'interno del centro urbano; a Madrid, dove si sta invece studiando il recupero del quartiere di Villaverde (un quartiere molto degradato della periferia madrilena, con grandi problemi di integrazione sociale); a Copenaghen, dove invece si sta pro- gettando il recupero di un quartiere degli anni '30 a ridosso del centro storico; a Lisbona, progetto di riqualificazione di spazi pubblici; a L'Aia, con un progetto di limitazione progressiva del traffico privato. Questi sono progetti pilota che funzionano grazie ad una equipe tecnico-scientifica messa a disposizione dalla Commissione della Comunità europea che è coadiuvata dai tecnici e dalle amministrazioni locali. Questa equipe formula delle ipotesi di progetto pilota che troveranno in seguito canali finanziari e attuativi. Terzo settore di intervento è quello relativo alla vastissima attività normativa che si esplica attraverso le direttive concernenti l'auto pulita. Vorrei soffermarmi su quella che, a mio giudizio, è la proposta in discussione più interessante in questo momento, e cioè l'estensione della direttiva di impatto ambientale alle politiche, piani e programmi: la famosa direttiva PPP, come è stata chiamata. Essa è attualmente all'esame della Commissione e, se approvata, comporterà l'obbligo per gli stati membri di sottoporre allo studio di impatto ambientale non solo i progetti, come oggi succede, ma anche le politiche settoriali. Faccio un esempio: quando uno stato membro creerà un piano generale dei trasporti o dell'agricoltura dovrà sottoporre questo piano allo studio di impatto ambientale; stessa cosa quando si crea un piano territoriale urbanistico, così come quando si farà un piano regolatore. E quindi una direttiva di grande portata, su cui naturalmente non c'è unanimità e che è ancora in fase di trattativa e di negoziazione. Trattando di progetti e di interventi sulle città si parla di grandi numeri, di grandi cifre, di grandi impegni finanziari. Crediamo che dentro questi grandi progetti bisogna far confluire sia il denaro pubblico che quello privato e riteniamo inoltre che anche le istituzioni comunitarie debbano fare la propria parte. Accanto a tutti gli strumenti finanziari (fondi strutturali, ecc.) è stato istituito di recente un nuovo fondo di carattere ambientale che è il fondo «Life». Questo ha finalità ambientali ed abroga, intanto, i canali finanziari esistenti precedentemente, diventando appunto il fondo che dovrà sostenere tutte queste azioni di carattere ambientale con contenuto sperimentale. I settori di intervento sono la promozione dello sviluppo sostenibile e della qualità dell'ambiente; quindi, tecnologie pulite, tecniche di riciclaggio dei rifiuti, bonifica dei siti inquinati, miglioramento della qualità della vita nell'ambiente urbano. Inoltre, tutela della natura e dell'habitat, strutture amministrative e servizi per l'ambiente: favorire la cooperazione tra gli stati membri per la gestione delle problematiche ambientali transfrontaliere, la costituzione di reti e di network di sorveglianza e così via. Infine, il settore dell'educazione, formazione e informazione sulle tematiche ambientali. Questo fondo ha una dotazione di 400 milioni di ECU per i1 quadriennio 92-95 e naturalmente una parte di questo fondo sarà destinato a progetti ed iniziative urbane. m GENNAIO 1993 semblea parlamentare della Conferenza da una delegazione il cui status venga definito appositamente; Dopo il vertice (segue da pag. 6) modello federalista propone di conservare e rispettare la sovranità degli Stati membri in tutte le materie che hanno una dimensione ed un significato nazionali, proponendo di trasferire ad un governo europeo, democraticamente controllato dal Parlamento europeo, la sovranità nei settori della politica estera, della politica economica e della protezione dei diritti umani. Contrariamente al metodo diplomatico per sua natura privo di trasparenza e di caratteristiche democratiche, che ha contraddistinto le modifiche fino ad ora operate al Trattato di Roma, l'elaborazione della costituzione europea deve essere svolta per via parlamentare e coinvolgere il più possibile i cittadini della Comunità. Una nuova strategia di azione per l'istituzione di una vera Unione europea non può che avvenire in tale quadro. E necessario l'impegno di tutte le forze federaliste da realizzarsi nel quadro di una Convenzione della costituzione federale europea. a La risoluzione del PE isegue d a pag. 10) ti delle minoranze negli Stati europei; - l'elaborazione di altre convenzioni europee in settori di interesse comune, soprattutto per quanto riguarda questioni giuridiche, politico-sociali, etniche ed etiche; La Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) 26. Rigiene necessario che la CSCE recentemente ampliata intensifichi e istituzionalizzi ulteriormente il proprio ruolo in materia di politica della sicurezza, nello spirito e sulla base del «Documento di Helsinki 1 9 9 2 ~approvato il 10 luglio 1992 dai Capi di Stato e di governo dei paesi aderenti alla CSCE; 27. Ritiene particolarmente necessario un ulteriore sviluppo della Carta della CSCE, in considerazione anche del recente ampliamento di quest'ultima, al fine di conciliare i principi della non ingerenza e del rispetto dell'integrità territoriale con quelli del rispetto del diritto all'autonomia e della tutela delle minoranze, e si compiace della nomina di un alto commissario CSCE responsabile per le minoranze nazionali, anche se la sua autonomia e la sua capacità d'iniziativa sono limitate; 28. Ravvisa nella partecipazione degli Stati Uniti e del Canadà alla CSCE non solo un segno del costante legame tra questi due paesi e il destino dell'Europa, ma anche la possibilità di instaurare con essi una stretta collaborazione in ambiti diversi da quello della sicurezza; 29. in attesa di una piena partecipazione della Comunità europea e, quando sarà il momento, dell'unione europea alla CSCE, auspica di essere rappresentato in seno all'AsGENNAIO 1993 L'UEO e la NATO 30. Ritiene necessario, per un periodo transitorio, instaurare legami più saldi tra le istituzioni dell'unione europea e I'UEO, in quanto strumento per una politica comune nel settore della difesa, e provvedere, nel 1996, a un'integrazione di quest'ultima nell'unione; 31. Accoglie con favore le decisioni adottate dall'UEO il 19 giugno 1992 in materia di istituzionalizzazione e strutturazione del dialogo, della consultazione e della cooperazione con gli Stati dell'Europa centrale e orientale; 32. ritiene che la NATO, mentre si sviluppa il ruolo della CSCE e prosegue la sua riorganizzazione e una ridefinizione degli obiettivi politici e strategici conformemente alle dichiarazioni di Copenaghen e di Roma, possa ancora costituire uno strumento di garanzia della sicurezza in tutta l'Europa e di uno stretto collegamento tra l'Europa, da un lato, e gli Stati Uniti e il Canadà dall'altro; 33. individua nella creazione del Consiglio di cooperazione dell'atlantico settentrionale un punto di partenza appropriato per un più approfondito collegamento, nel settore della politica e della sicurezza, fra la NATO e gli Stati dell'ex Patto di Varsavia; 34. ritiene auspicabile che la NATO diventi l'elemento portante di un patto di non aggressione e di reciproca assistenza di vasta portata, concluso da tutti gli Stati membri con tutti gli altri Stati europei, inclusa la Russia - ed eventualmente altri Stati nati sul territorio dell'ex-URSS - nonché con 1'Unione Europea; Compiti delle Istituzioni dell'Unione europea 35. conferma alla sua commissione competenze l'incarico di portare rapidamente a compimento i lavori sul progetto di costituzione delllUnione europea; 36. invita i1 Consiglio, la Commissione e gli Stati membri a trasformare l'Unione europea nel motore e nel fulcro del «Sistema di cooperazione confederale in Europa» creando così un solido punto di partenza di un ordinamento paneuropeo che garantisca la pace sul continente, promuova lo sviluppo di sistemi democratici, rafforzi la coesione economica e sociale, tuteli un ambiente di vita naturale per l'uomo, garantisca la molteplicità delle regioni e delle culture europee e assuma le proprie responsabilità nella lotta contro la fame, la povertà, la distruzione dell'ambiente e il riarmo anche in altre zone del mondo; 37. incarica il proprio Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, ai governi degli Stati membri, degli Stati Uniti e del Canadà, al Consiglio d'Europa, alla CSCE, alla UEO e alla NATO. a La sovranità dei cittadini isegue da pag. 2) Costantino Mortati. Ricordo che volle discuterne con me, tanti anni fa, per una intera mattina: poi è apparso nel suo bel saggio «Ispirazione democratica della Costituzione», uscito nel volume, di varii autori, su «Il secondo Risorgimento nel decennale della Resistenza e del ritorno del. cominciala democrazia, 1945-19 5 5 ~Mortati va cosi: «La concezione democratica che anima la regolamentazione dei rapporti degli organifra loro e con i cittadini trova il suo complemento in una serie di norme che tendono a far valere anche nei confronti dell'ordine internazionale una medesima aspirazione alla pacifica coesistenza delle varie autonomie nazionali, secondo principi di libertà, di uguaglifnza, di giustizia». Pi2 sotto Mortati scriveva: «E degno di nota come alla corrente che conduce gli orientamenti statali a subordinarsi a quello internazionale, ne cowisponda una uguale da parte di quest'ultimo, che tende a dare rilevanza e garanzia internazionale ai.diritti fondamentali della persona. Per la prima volta nella storia gli interessi della persona umana, come tale, in tutti i loro aspetti non solo di libertà formale ma di protezione delle sue esigenze di sviluppo, sono presi in considerazione dalla società degli Stati». Tenendo già presente questo quadro, nell'estate 1952, a Ginevra - in una settimana in cui la commissione ad hoc del Consiglio dei Comuni d'Europa metteva a punto la ((Carta europea delle libertà locali» - Mortati ed io (ma c'era con noi anche Giambattista Rizzo) ci preoccupammo della partecipazione di base, dei cittadini sovrani, alle istituzioni democratiche. Facemmo introdurre, nelle «premesse generali*, questo passaggio: «Le comunità [locali] devono essere consapevoli di costituire il fondamento dello Stato. Esse devono sviluppare una azione amministrativa e creare i mezzi stabili (permanent facilities, nella versione inglese) perché ogni cittadino, cosciente di essere membro della comunità e vincolato alla collaborazione per il sano sviluppo della comunità stessa, prenda parte attiva alla vita locale». La Rivoluzione francese aveva proclamato dei formali diritti dell'uomo, ma il successivo movimento socialista aveva osservato che tali diritti rimanevano sulla carta per le classi diseredate e preoccupate interamente del problema esistenziale: la partecipazione politica era del tutto aleatoria. In questo nostro secolo, in cui la situazione della classe lavoratrice è radicalmente mutata (se mai c'è il problema degli «emarginati sociali», vecchi, handicappati, disoccupati, eccetera, che nelle società opulente possono raggiungere, incredibilmente, fino a un terzo della popolazione), comunque in questo nostro secolo il problema si è spostato: l'uomo che lavora ha una sua autonomia, dispone di tempo libero, si trova di fronte a mastodontici oligopoli del potere e a corporazioni chiuse dell'infomzazione, con costi enormi per creare alternative, e ha bisogno, quanto meno, di quei «mezzi stabili», di cui parla la «Carta europea*. Del resto Mortati ed io avevamo presente il pensiero di Adriano Olivetti, espresso nel suo classico ((L'ordine politico delle comunità» (1945) e in altri scritti, di cui uno essenziale composto a quattro mani con Massimo Severo Giannini. La comunità concreta di Olivetti si COMUNI D'EUROPA poneva il problema di una comunità territoriale «a misura d'uomo)),come base della piramide politica: questa comunità, fra l'altro, avrebbe disposto di una rete di centri comunitari, ove la partecipazione dei cittadini non sarebbe stata condizionata in partenza come viceversa avviene nei partiti politici. La comunità concreta di Olivetti avrebbe anche messo a disposizione del cittadino, senza condizionarlo in partenza unche in questo caso, i mezzi necessari per organizzare una autonoma «politica della cultura)),da non confondere, secondo la classica distinzione di Bobbio, con la «politica culturale» (quella intollerante dello zdanovismo sovietico, ma non solo di quello, come ci insegna una analisi spietata del capitalismo selvaggio). Conviene qui sottolineare che i livelli in cui si esplicano le varie autonomie «territoriali» o, se si vuole, le molteplici «sovranità limitate)) (comunità, regione, stato nazionale o plurinazionale, comunità continentale, mondo) debbono vedere, tutte, al loro interno uomini e gruppi «diversi» che convivono sotto una legge comune. Questo principio ribadiva, in un saggio composto durante l'ultimo conflitto mondiale, Walter Lippman, che criticava il «principio di autodeteminazione)) fatto suo dal presidente Wilson: il mondo non deve essere dominato dalle «secessioni» e dalle chiusure autarchiche, non solo e non tanto economiche quanto politiche e spirituali. Cosi, accanto alla partecipazione di ogni singola persona alla cosa pubblica e alla generale prospettiva cosmopolitica, abbiamo indicato un processo storico, offertoparticolamente oggi agli uomini ragionanti: il processo federalista. Caduto il duopolio USA-URSS e cessato l'equilibrio del terrore, il futuro, se il processo federalista si interrompe in Europa e in tutto il resto del Mondo sino alle Nazioni Unite, è un futuro terribile: è quello di una anarchia planeterìa amata - con a m i sempre più micidiali e sempre più accessibili, anche ai poveri - e di un deperimento ambientale generalizzato e senza governo. Per memoria voglio ricordare, sulla partecipazione, il convegno, svoltosi a cura della Sezione italiana del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa (AICCRE) e in accordo col Comune di Bologna, a Bologna nell'aprile 1977, col titolo ~Decentramentourbano e comprensori nel quadro della realtà europea)).Ci si preparava ai XII Stati generali del CCRE, che si svolsero nel successivo giugno a Losanna: uno dei temi fondamentali trattati a Losanna fu: «La partecipazione dei cittadini alla vita politica locale». Umberto Serafini (Intervento alla Fondazione Bucchi, Convegno in onore di Massimo Severo Gianninl) Non anarchia autonomista di risultati concreti e tende al rafforzamento generale del sistema unitario delle autonomie (iegue da pag, 2) territoriali. esaltando al t e m ~ ostesso il ruolo delle Regioni nei singoli Paesi e nell'unione gione, allo Stato centrale fino al potere sovraeuropea, ed evitando una lotta di logoramennazionale, europeo e mondiale. to tra i diversi livelli istituzionali, che anLa riforma istituzionale italiana, nella nuodrebbe ad esclusivo vantaggio dello Stato va definizione dei poteri e delle competenze centralizzato e della burocratizzazione della tra i diversi livelli istituzionali. si caratterizComunità europea. Questa linea del resto si zerà positivamente solo se riuscirà ad esaltare è già rivelata vincente proprio con la conquil'insieme del sistema autonomistico dei potesta del «Comitato delle Regioni e delle autori territoriali ed all'interno di esso delle regionomie locali», ottenuto a Maastricht, pur esni. Questa esigenza richiede sul piano italiasendo rimasti soli nel rivendicare tale obiettino il riconoscimento di nuovi e ampi poteri vo ritenuto invece da altri (I'ARE) fuorviante alle Regioni anche nell'imbito della cooperae minimalista rispetto alla loro richiesta del zione interregionale e dei rapporti con la CoSenato europeo delle Regioni (la terza Camemunità europea e sul piano europeo un vero ra dell'unione?). ed esteso processo di regionalizzazione della I1 nostro impegno tenderà ad evitare che Comunità europea, come già indicato dal anche in Italia si ripeta il conflitto esploso Parlamento europeo con la «Carta» allegata nella Repubblica tedesca. Un allineamento rialla Risoluzione approvata nel luglio 1988. gido delle Regioni italiane sulle posizioni L'AICCRE, fin dai lavori della «Commisesclusiviste dei Laender tedeschi rischierebbe sione Cossutta» del 1984, sostiene la trasfordi produrre riflessi negativi sui contenuti delmazione dell'attuale Senato in una Camera (o la stessa riforma regionale italiana, alimenSenato) delle Regioni per andare oltre un ditando negli Enti locali i sospetti verso l'emersorganico Stato regionale. gere di un nuovo tipo di accentramento, quelLe Regioni non pretendono di fare la polilo regionale, a scapito proprio dei Comuni e tica estera, bensì rivendicano la legittima delle Province che invece devono trovarsi alcompetenza per la politica interna europea, leati in un unico fronte per un nuovo Stato nella prospettiva del superamento degli Stati «unitario» dotato di una coesione federale. singoli e la costruzione dell'unione europea. Dobbiamo lavorare affinché l'Italia sappia Nella Repubblica federale tedesca è esploimboccare la direzione giusta e dobbiamo esso un preoccupante conflitto tra i Laender ed sere fiduciosi nelle nostre possibilità di riuscii Comuni. L'occasione è data dalla scelta dei re a vincere le attuali difficoltà per uscire d a rappresentanti tedeschi nel «Comitato delle questa fase delicata della nostra storia repubRegioni e delle autonomie locali» istituito bl'icana. con il Trattato di Maastricht. Secondo i L'esplosione stessa delle rivelazioni degli Laender i Comuni e gli Enti intermedi tedescandali di corruzione (anche in passato scoschi dovrebbero essere esclusi dal «Comitaperti ma regolarmente insabbiati e occultati) to». Con questa loro posizione sembrano conpossiamo considerarla come una crisi di crefondere la loro partecipazione al Consiglio inscita democratica del nostro Paese e può raptergovernativo della C E (in quanto parte di presentare una svolta storica. uno Stato federale, con poteri delegati e diritL'intreccio affari-politica ha alimentato to di codecisione), con quella ad un organismo fardelli ed oneri insopportabili ed ormai inche dev'essere inteso come uno strumento di compatibili con la crescita economica, politielaborazione e di controllo delle politiche coca e civile dell'Italia. munitarie le quali interessano ed investono I1 lavoro che dobbiamo fare oggi è molto l'insieme dei poteri territoriali. Secondo la profaticoso e richiederà non poco tempo: risanaspettiva indicata dal CCRE agli Stati generali re moralmente il Paese; rinnovare il sistema di Lisbona nel 1990, il «Consiglio» dev'essere politico e dei partiti «al servizio della società considerato come passaggio politico ad una Cae della costruzione europea»; innovare le mera degli Stati, nella quale le presenze naziostrutture produttive e dare efficienza al sistenali siano rappresentative dello Stato ordinama economico e sociale; dare funzionalità almento e quindi con una presenza anche delle l'Amministrazione statale (di cui si cominciò Regioni nel caso degli Stati federali. e poi si interruppe la riforma) ed ai servizi Non credo necessario attardarmi molto ~ i ù pubblici e privati; far crescere il senso civico su questa questione, essendo chiara e nota da dei cittadini ed una loro più adeguata e solida tempo la proposta dell'AICCRE e di tutto il adesione alle istituzioni democratiche a tutti CCRE. Essendo questa proposta politicaW i livelli. mente realistica, garantisce il raggiungimento mensile dell'AICCRE Direttore responsabile: Umberto Serafini Condirettore: Giancarlo Piombino Redazione: Mario Marsa[a Direzione e redazione: Piazza di Trevi 86 - 00187 Roma Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma te]. 6840461-2-3-4-5, fax 6793275 Questo numero è stato finito di stampare il 11/3/1993 ISSN 0010-4973 Abbonamento annuo: per la Comunità europea, inclusa l'Italia L. 30.000 Estero L. 40.000; per Enti L. 150.000 Sostenitore L. 500.000 Benemerito L. 1.000.000 COMUNI D'EUROPA Una copia L. 3.000 (arretrata L. 5.000) I versamenti devono essere effettuati: 1) sul c/c bancario n. 300.008 intestato: AICCRE c/o Istituto bancario San Paolo di Torino, sede a Roma, Via della Stamperia, 64 - 00187 Roma, specificando la causale del versamento; 2) su1c.c.p. n. 38276002 intestato a "Comunid'Europa", piazzadi Trevi, 86-00187 Roma; 3) a mezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato a: AICCRE, specificando la causale del versamento. 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