LA FIABA TRA SOCIETA’ E RELAZIONE Il lavoro di ricerca che qui si presenta e di cui si sono selezionate alcune parti ritenute significative, è dedicato alla fiaba studiata seguendo un approccio interdisciplinare anche se prioritariamente sociologico. Le considerazioni teoriche hanno fatto riferimento soprattutto alla rilevanza della narrazione intesa come relazione e come punto di ancoraggio nella nostra società globale che ci espone, accanto ad innumerevoli opportunità, anche a rischi di frammentazione dell’identità e di ripiegamenti narcisistici. La valenza della fiaba, intesa come narrazione/relazione, emerge nei contesti scolastici dove viene utilizzata per avvicinare i bambini non solo cognitivamente, ma anche emotivamente ed affettivamente. Questo è particolarmente significativo nel nuovo contesto multiculturale delineato dal fenomeno migratorio che ha visto aumentare la presenza di bambini stranieri a scuola. Per favorire l’integrazione alla scuola occorre muoversi nell’ottica interculturale, per creare contesti favorevoli allo scambio culturale, al rispetto reciproco, alla valorizzazione delle differenze. Si tratta di un progetto in continuo divenire per ricercare forme, strumenti e occasioni favorevoli. La ricerca svolta nel lavoro di dottorato ha toccato aspetti del progetto interculturale favoriti dalla fiaba in virtù delle modalità relazionali che rende possibili. Grazie alla disponibilità del C.R.E.M.I. si sono potuti conoscere in concreto ed indagare aspetti di interesse delle attività interculturali. Il lavoro di tesi è stato discusso il 19 febbraio 2008 presso l’Università “Sapienza” di Roma e valutato dalla commissione con la votazione di 110 e lode. Anna Alba Mandatori [email protected] 1 …CAPITOLO 1 LA NARRAZIONE “…un uomo è sempre un narratore di storie, vive circondato dalle proprie storie e da quelle di altre persone, vede ogni cosa nei termini di quelle storie e cerca di vivere la sua storia come se la stesse raccontando.”1 1.1. Il bisogno di narrare …il narrare è una vera e propria esigenza intrinseca dell’uomo, una sua profonda necessità. Attraverso il racconto riusciamo, infatti, a fissare la nostra esistenza e ad attribuirle un senso. Se si perdesse la capacità di raccontare “non riusciremmo più a vivere dentro noi stessi; la vita diventerebbe un caos completo, una grande schizofrenia in cui esplodono come in un fuoco d’artificio i mille pezzi delle nostre esistenze, perché, per ordinare e capire chi noi siamo, dobbiamo raccontarci.”2 Sono, infatti, la struttura narrativa, l’organizzazione testuale, la sintassi che ordinano e selezionano gli eventi, i tempi, le cause, gli effetti. “Mentre si vive non accade nulla. Le scene cambiano, le persone entrano ed escono, questo è tutto. Non ci sono inizi. I giorni si aggiungono ai giorni senza capo né coda, è un’addizione interminabile e monotona…Ma tutto cambia quando raccontate la vita.”3 La vita sarebbe dunque priva di senso se non la potessimo esprimere con il linguaggio ed il racconto. I racconti danno così un ordine e un significato che permette il padroneggiamento del mondo e la sua esplorazione attraverso le proprie possibilità. Oltre a padroneggiare il mondo le storie ci permettono di padroneggiare il tempo. Possiamo creare un legame tra il nostro passato e il nostro futuro sia come singoli sia come esseri storici, proprio grazie alle storie che ci permettono di costruire trame di nessi significativi e che permettono di trasformare Chronos in Kairos4, il tempo vuoto in tempo pieno, in tempo significativo. “Raccontare 1 Jean-Paul Sartre, La nausea, op. cit., p.64. Antonio Tabucchi, Dove va il romanzo?, Il libro che non c’è, Roma 1995, pp. 6-7. 3 Jean-Paul Sartre, cit. in S. Stame, Narrazione e memoria in R. Lorenzetti, S. Stame, Narrazione e identità. Aspetti cognitivi e interpersonali, Editori Laterza, Bari 2004, p. 7. 4 D. Taylor, Le storie ci prendono per mano. L’arte della narrazione per curare la psiche, Frassinelli, Piacenza 1999. 2 2 significa costruire un intreccio che permette al soggetto di raffigurarsi lo svolgimento della vita nel tempo e dunque, in una certa misura, di padroneggiare quest’ultimo.”5 Le storie ci permettono dunque di agire sul “tempo”, reiterando ciò che è irreversibile, dilatando il presente e compensando il senso di finitudine della vita. Il desiderio di raccontare forse ha origine proprio dal sentimento che provoca il sapere che la nostra vita ha un termine. Le storie ci permettono di moltiplicare la vita e metterla in relazione con la sua infinità. Ci permettono di attraversare i confini rappresentando ciò che non è più o è altrove, ciò che è possibile solo nella fantasia, ciò che ci lega con altre storie. Ci permettono, cioè, di trascendere la nostra singolarità nel momento in cui, narrando, mettiamo una storia in comune. …CAPITOLO 2 L’IDENTITA’ …2.1.1. L’identità nella società globale L’elemento distintivo dei nostri tempi è la consapevolezza di vivere in un unico contesto. In un mondo globalizzato non possiamo più ignorare ciò che accade altrove, e gli eventi che si verificano in una data località hanno ripercussioni molto vaste.6 I processi in atto modificano la matrice spazio-tempo, rimodellando il rapporto tra esperienza individuale e ambiente. La permeabilità dei confini spaziali riguarda uno degli aspetti segnalati da A. Melucci circa l’identità odierna. Siamo molteplici, infatti, in due sensi: “Il primo è quello dei confini e obbliga a chiedersi in termini sincronici dove comincia e dove finisce il soggetto d’azione. Il secondo è quello della continuità e pone in termini diacronici l’interrogativo sulla permanenza del soggetto d’azione nel tempo.”7 Secondo Agnes Heller la nostra è la cultura non di un luogo, ma di un tempo, perché non è in un luogo che ci sentiamo a casa, ma in un tempo, e precisamente nel presente assoluto.8 Concentriamo tutte le nostre attività, tutta la nostra vita nel presente, dilatandolo e riducendolo però a una successione di emergenze da risolvere.9 Questo determina una vera e propria “rigerarchizzazione 5 Anche in questo caso Jedlowski riprende il discorso di Ricoeur in Tempo e racconto circa l’ attività creatrice del narrare. Attraverso essa si può dare risposta ai problemi sollevati da sant’Agostino nelle Confessioni circa l’impossibilità per l’uomo, collocato in un preciso momento storico, di superare la lacerazione di un presente continuamente scisso tra un passato che non è più e un futuro che non è ancora. 6 R. Robertson, Globalizzazione, Asterios, Trieste 1999. 7 A. Melucci, Identità, op. cit., p. 123. 8 Agnes Heller, Dove siamo a casa, Angeli, Milano 1999, p. 25. 9 Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari 1999. 3 dell’ordine dei valori”10 in ragione della differente cogenza con cui si presentano i vari impegni. Indipendentemente dalla scala di rilevanza che deriverebbe dagli orientamenti di valore, le attività vengono ordinate secondo il criterio dell’urgenza. Il tempo diventa così nemico della relazione, che richiede invece il fermarsi ad ascoltare l’altro, la disponibilità a interrompere la catena delle proprie urgenze, la consapevolezza dei vincoli che questo semplice fermarsi ad ascoltare può implicare. È il soggetto dunque, che nella società attuale, si assume, nel bene e nel male, la responsabilità di organizzare la sua identità nella sua dimensione diacronica e sincronica. La definizione di confini e la capacità di mantenere la continuità è un processo permanente e difficoltoso che non può prescindere però dalla dimensione della relazione tra soggetti che permette loro di riconoscersi e definirsi.11 …2.2. L’identità e lo spazio morale “Sai […] il mio fiore […] ne sono responsabile! Ed è talmente debole e talmente ingenuo. Ha quattro spine da niente per proteggersi dal mondo.”12 La contemporaneità pone gli individui in una paradossale situazione: da un lato li scioglie da una serie di vincoli e sembra aprire un’ampia gamma di possibilità per l’azione individuale; dall’altro li priva dei riferimenti e dei criteri su cui fondare la scelta e l’azione. La sovrabbondanza di stimoli a cui siamo sottoposti può essere una risorsa, ma può essere difficile da governare e rielaborare e, in mancanza di riferimenti univoci, può dar luogo a disorientamento e spaesamento. La maggiore diffusione e circolazione delle informazioni aumenta le nostre conoscenze e la visibilità di ciò che è culturalmente distante, ma non per questo produce una maggiore consapevolezza, apertura e riflessività: “si può osservare infatti il diffuso senso di paura e di insicurezza che la dilatazione dei confini dell’esperienza e della gamma dei soggetti di cui siamo consapevoli (l’altro, lo straniero non è più una categoria lontana, ma una presenza quotidiana) tende a produrre, e che può provocare atteggiamenti di chiusura e intolleranza. Si può essere turisti nel 10 N. Luhmann, Die knappheit der Zeit und die Vordinglichkeit der Befristeten, in “Politische Plannung”, agosto 1975, p. 148, in C. Giaccardi, M. Magatti, La globalizzazione non è un destino, op. cit., p. 61. 11 A. Melucci, Identità, op. cit., pp. 123-124. 12 Antoine De Saint-Exupéry, Il piccolo principe, Tascabili Bompiani, Milano 2001, p. 119. 4 mondo delocalizzato, collezionisti di emozioni che guardano mondi lontani senza entrare in relazione con essi, sapendo che comunque poi si tornerà a casa.” 13 Maggiore conoscenza non equivale dunque a maggiore riflessività, che si realizza invece nello spazio simbolico, quello spazio dove avviene la “rielaborazione consapevole degli elementi individuali, sociali e culturali nella produzione (e scambio) di significati e di orientamenti per l’azione”.14 Lo spazio simbolico non deve però essere declinato nello “spazio estetico” – della dimensione ludica e della gratificazione soggettiva -. Z. Bauman a tale proposito parla dello spazio estetico come della dimensione dove viene meno il senso della responsabilità circa le proprie e le altrui azioni,15 uno spazio in cui si rischia di non essere più capaci di riconoscere niente se non se stessi e di rendere la realtà e le relazioni puramente strumentali ai propri fini. In un tale spazio il vivere nel presente assoluto, e il rifiuto del vincolo che la relazione inevitabilmente pone, vissuto come ostacolo alla mobilità e alla ricerca di sensazioni sempre nuove, precludono la dimensione della socialità, o almeno la condizionano pesantemente. Lo spazio simbolico va dunque esteso allo “spazio morale”, che è lo spazio della responsabilità. Essa significa capacità di risposta, e implica quindi una dimensione relazionale. Come ha sottolineato A. Melucci responsabilità significa da un lato rispondere a, e quindi riconoscere l’alterità che ci interpella e “assumere che nella nostra unicità non siamo tuttavia l’intero universo e che gli altri ci costituiscono e ci fanno esistere almeno quanto la nostra individualità”; dall’altro significa rispondere di, accettare il vincolo e il rischio che la scelta impone e non viverla come una privazione: “porre un limite non significa cancellare dall’esistenza le altre possibilità, ma soltanto accettare che la nostra azione non può coprirle simultaneamente tutte.”16 È nell’assunzione di responsabilità verso il proprio percorso biografico, verso il proprio presente e il proprio progetto che si può dare continuità alla nostra identità, proiettandola in un progetto di vita che non può però escludere l’altro. “La ricomposizione è possibile, a partire dall’individuo in relazione. È nella capacità di rielaborare la propria esperienza all’interno delle mutate condizioni, e quindi costruire un universo di significati nella relazione con l’altro, che lo spazio simbolico prende forma e si alimenta,”17 edificando quello spazio che rappresenta “la patria naturale del sé morale e il terreno più fertile per lo sviluppo di attitudini morali.”18 13 C. Giaccardi, M. Magatti, La globalizzazione non è un destino, op. cit., p. 51. Ibidem, p. 53. 15 Z. Bauman, Dentro la globalizzazione, op. cit., p.49. 16 A. Melucci, Culture in gioco, Il Saggiatore, Milano 2000, pp. 119-120. 17 C. Giaccardi, M. Magatti, op. cit. p. 56. 18 Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, op. cit., p. 31. 14 5 …2.3. L’identità che si narra In un mondo dove i confini, (geografici, culturali, sociali, professionali) sono sempre più permeabili e ciascuno può decidere le proprie appartenenze, operare le proprie scelte, stabilire i propri principi guida, è solo nella relazione che si possono costruire e trovare dei punti di ancoraggio. Non nella relazione fugace del contatto formale, ma nella relazione significativa che si stabilisce quando ci sentiamo amati per quello che siamo. È sulla dimensione del tempo che la narrazione, dunque, permette di trovare risposta alla nostra frammentarietà in un duplice modo: da un lato ordina le nostre esperienze, ponendole in un continuum tra passato e futuro, dall’altro ci mette in relazione con l’alterità, permettendoci di riconoscerci nelle nostre diversità; ma questo richiede disponibilità e tempo da dedicare alla relazione. Come afferma E. Lévinas19 il rapporto con l’altro non è una fusione ma è una dualità insuperabile, in cui l’altro permane col suo mistero. Qui sta quella che lo studioso francese chiama etica della carezza: la carezza è quel modo di stare accanto all’altro senza pretendere che sia come noi, rispettandone la diversità e il mistero. È così che la relazione si dispiega nel tempo: “la relazione con l’avvenire, la presenza dell’avvenire nel presente sembra ancora realizzarsi nel faccia a faccia con l’altro. La situazione del faccia a faccia sarebbe la realizzazione stessa del tempo; lo sconfinamento del tempo nell’avvenire non fa parte del modo d’essere di un soggetto solo, ma è la relazione intersoggettiva. La condizione del tempo sta nel rapporto tra esseri umani o nella storia.”20 …CAPITOLO 3 LA FIABA 3.4. La prospettiva sociologica Come emerge dalle analisi precedenti, autori con prospettive molto diverse hanno tuttavia elaborato concetti convergenti da un punto di vista sociologico, che riguardano la dimensione socializzativa, culturale, e relazionale della fiaba. 19 20 E. Lévinas, Il tempo e l’altro, Il Melangolo, Genova 1997, pp. 55-58. Ibidem, p. 49. 6 Bettelheim, pur considerando la fiaba un racconto fantastico, altamente simbolico, strumento ideale di crescita identitaria, ne ha pure sottolineato l’utilità come momento di incontro tra adulto e bambino. Lo stesso contenuto della fiaba indica le potenzialità dell’incontro con l’altro e la conclusione “vissero felici e contenti” esprime chiaramente l’idea che la vera realizzazione dell’individuo passa attraverso una positiva e duratura relazione con l’altro. La von Franz, da parte sua, ha usato il concetto di “funzione compensatrice” della fiaba per indicare che essa è sì archetipica e universale, ma si caratterizza anche attraverso sollecitazioni che gli provengono dall’ambiente culturale in cui si esprime. Essa inoltre descrive e favorisce il processo di individuazione come percorso di definizione del Sé che implica l’apertura alla relazione. La definizione della fiaba come “trasformazione di un’invarianza” data da Propp, è altresì illuminante nel segnalare sia la sua dimensione strutturale, e dunque costante, sia la sua dimensione variabile, e dunque dinamica, legata alla diacronia dei cambiamenti storico-sociali. Da questo punto di vista si può essere concordi nel considerare la fiaba non soltanto un prodotto fantastico, ma anche un oggetto di indagine attraverso il quale studiare aspetti della società attinenti ai suoi saperi, valori, credenze e tendenze. Inoltre, se si prescinde dal contenuto, essa si può analizzare come strumento di comunicazione, momento di incontro con l’altro, spazio di condivisione e costruzione di significati. E’ dunque in questa dimensione micro e macro, in questo duplice aspetto di essere creazione collettiva condivisa ed incontro unico e irripetibile che sta la peculiarità dell’”oggetto” fiaba. Alcuni studiosi, utilizzando le categorie di de Saussure21, hanno distinto ciò che è parole (individuale) da ciò che è langue (sociale), per sottolineare che un oggetto linguistico può essere un singolo atto di creazione (come nel caso di un’opera letteraria) o creazione socializzata, espressione di convinzioni, desideri, valori condivisi. A quest’ultima categoria apparterrebbero le fiabe in quanto creazioni collettive che esistono indipendentemente da chi le narra.22 Chi narra, però, narra a qualcuno e in quest’incontro si attivano dinamiche di tipo cognitivo, affettivo e relazionale, che coinvolgono identità che si costruiscono e definiscono. La fiaba è così langue, se la pensiamo come espressione di ciò che è condiviso e che prescinde il singolo, ma è allo stesso tempo parole, singolo atto di creazione, nel momento in cui subisce una sorta di riscrittura nella dinamica dell’incontro e comincia a vivere attraverso esso. Nel primo caso le fiabe sono “documenti storici”23 e “il testo letterario si presta [...] per la ricerca sociale in quanto 21 F. de Saussure, Corso di linguistica generale, Laterza, Bari 1970. Come si è visto, fu proprio in virtù del loro carattere impersonale che Propp potè studiare i racconti di fate con strumenti di tipo nomologico. Egli però fu pure accorto nel segnalare i limiti di tale metodo nell’ambito delle scienze storico-sociali. Cfr pp.59, 60 del presente lavoro. 23 Robert Darnton, Il grande massacro dei gatti, Adelphi, Milano 1988. p. 24. 22 7 rappresenta dati, fatti, valori che non rischiano di essere influenzati e/o condizionati dal ricercatore.”24 Nel secondo caso le dinamiche dell’interazione possono essere comprese grazie ad alcuni contributi della sociologia classica e della microsociologia, tradizioni di ricerca confluite nella sociologia narrativa. …3.4.2. Fiaba e relazione “Che splendido fabulatore! Meglio di tutti i cantastorie che mi era capitato di ascoltare nelle piazze e nelle feste di matrimonio; le pause giuste…cambiava andamento con grande rapidità…abbassava il fino a sussurrare e poi d’un timbro tratto, accompagnandosi con gesti appropriati del corpo, ecco che era a cavallo…era su una barca…montava sull’albero di una nave con tante vele e faceva salire anche me su quella nave…e insieme si andava per mari, spinti da un vento teso.”25 La fiaba si realizza pienamente nel rapporto di comunicazione, nell’esperienza dialogica tra chi narra e chi ascolta. La fiaba non è dunque nel libro ma nel momento in cui viene raccontata. Per questo Rak l’ha definita “un testo bifronte”. Sulla prima faccia sono leggibili le vicende di re, principesse, orchi, animali parlanti. Sulla seconda faccia è possibile raccontare, leggere e scrivere di altre persone e vicende che il narratore e il lettore siano disposti a introdurre a seconda della circostanza in cui il racconto viene messo in opera.”26 Essa si risveglia, come la Bella addormentata, solo al bacio del narratore “che mette in movimento il suo testo addormentato sul foglio, destandolo, violandolo e raccontandolo” “Il racconto che si trova scritto sulla pagina è soltanto uno dei tanti racconti possibili.”27 Il ruolo dell’ascoltatore non è secondario in questa sorta di riscrittura. Ciascun ascoltatore sulla base delle sue motivazioni, emozioni, schemi mentali, e bisogni del momento elabora il proprio “testo”, un po’ come avviene con “il test chiamato macchie di Rorschach…” ognuno “può vederci quello che vuole e avviarsi dal testo per uno degli infiniti reticoli di racconti…”28 In base a ciò l’ascoltatore rimanda dei feedback ( gestuali, verbali, vocali) di cui il narratore non può non tenere conto. 24 Antonietta Censi, Modelli di socializzazione Edizioni Eucos, Roma 2000, p.20. Dario Fo, L’amore e lo sghignazzo, Ugo Guanda Editore, Parma 2007, p. 16. 26 Michele Rak, Logica della fiaba, op. cit., p. 6. 27 Ibidem, p. 70. 28 Ibidem, p. 29. 25 8 3.4.2.1. Narrare …il rito del racconto è un momento di intimità che rassicura i piccoli ma anche i grandi, è un dono reciproco che aiuta a costruire e rinsaldare il legame. Spesso il contenuto delle storie narrate è meno rilevante del momento dell’incontro. Come nota Peter Bichsel, scrittore di favole: “Dopo tutto, il bambino che vuole sentirsi raccontare una storia vuole innanzitutto sentirla raccontare. Il necessario contenuto è il veicolo del racconto, non è il racconto che è il veicolo del contenuto.”29 Naturalmente i contenuti narrati hanno la loro importanza, ma narrare significa anche gettare un ponte che avvicina e fa sentire meno soli, “narrare è anche l’espressione di un desiderio che ha la narrazione medesima –la voce dell’altro, la presenza del suo corpo, l’attenzione che esprime- per proprio oggetto.”30 …CAPITOLO 5 LA FIABA A SCUOLA 5.1. Riferimenti teorici della ricerca I contesti indagati riguardano il territorio della Basso Lazio e quello delle Marche, con particolare riferimento al contesto fanese. Si tratta di due territori con alcuni punti di contatto, ma anche con significative differenze. Nel primo caso ci troviamo di fronte ad un territorio che negli ultimi decenni ha subito delle trasformazioni in senso industriale (impianto Fiat e industrie collaterali), che hanno causato una disgregazione del tessuto agricolo tradizionale con una conseguente crisi valoriale che, come spesso è accaduto, non ha visto l’affermarsi di nuovi valori.31 Da alcuni anni poi anche questo territorio è diventato meta di molti stranieri, il che ha colto la popolazione impreparata sia dal punto di vista logistico che culturale. Le scuole hanno dovuto affrontare, e ancora affrontano, non pochi problemi a contenere tale eterogeneità. Va affrontata la presenza di bambini che vivono in contesti socio-culturali deprivati, e soprattutto l’emergenza legata all’arrivo di bambini non italiani, il cui primo problema è quello 29 Cit. in Paolo Jelowski op. cit., p. 128. Ibidem. 31 C. Giaccardi, M. Magatti, La globalizzazione non è un destino, op. cit., p. 41. 30 9 linguistico. Spesso si tratta di bambini non stanziali e questo accresce ancor di più le problematiche. La situazione viene affrontata dagli insegnanti in maniera spesso estemporanea: non ci sono nel territorio centri di accoglienza né mediatori culturali e spesso si trova soluzione solo in attività compensatorie che però tendono a isolare il bambino straniero. La regione Marche, da questo punto di vista, ha un retroterra che le permette di affrontare l’arrivo di nuovi stranieri in maniera più matura. I primi stranieri sono giunti nella regione intorno alla metà degli anni ’9032 e dopo le iniziali difficoltà degli insegnanti, riguardanti soprattutto l’emergenza linguistica, si è gradualmente giunti alla realizzazione di esperienze più attente alle dinamiche integrative, cui poi si è data organicità con il lavoro in “rete”. Attraverso la realizzazione di progetti interculturali, promossi a livello interistituzionale, si è operata un sensibilizzazione di tutto il territorio.33 La presenza di un Centro Interculturale nel Comune di Fano (C.R.E.M.I.34), importante punto di riferimento per le scuole, permette di fronteggiare sia l’emergenza linguistica sia le problematiche del primo inserimento, grazie all’intervento di mediatori culturali. Il C.R.E.M.I. promuove pure dei percorsi interculturali didattici che affiancano la didattica dell’integrazione attuata dagli insegnanti in classe. Le differenze culturali, entrano all’interno di contenuti curricolari che attraversano trasversalmente le varie discipline (storia, letteratura, geografia…) ed in cui la fiaba si pone come elemento portante e strumento per l’attuazione di metodologie relazionali. Gli aspetti indagati dalla ricerca sul campo hanno riguardato dunque: - la narrazione – di fiabe – nella dimensione relazionale insegnante-alunno e alunni in gruppo; - la fiaba come strumento per costruire il pensiero narrativo; - l’utilizzo della fiaba in contesti dove si adottano approcci interculturali. 32 Oggi la regione Marche conferma la tendenza quindicennale di terza regione in Italia per presenza percentuale di alunni con cittadinanza non italiana presenti ormai in tutti gli ordini e gradi scolastici. La nazionalità maggiormente rappresentata è quella albanese, ma le appartenenze sono estremamente variegate. Anche nelle scuole di Fano dove si è svolta la ricerca, secondo i rilevamenti effettuati nel settembre 2007, vi sono numerosissime presenze straniere; la nazionalità più rappresentata è quella albanese, seguita da quella marocchina, rumena, tunisina e cinese, per un totale complessivo di 408 alunni presenti nei diversi ordini della scuola dell’obbligo. 33 Nel 2004 è stato realizzato un progetto sulla narrazione interculturale, promosso dal “tavolo Intercultura” della regione Marche, che ha coinvolto 30 istituzioni scolastiche (circa 100 scuole, dal momento che si è trattato in quasi tutti i casi di Istituti Comprensivi) dei quattro territori provinciali. Sono stati raccolti –grazie al coinvolgimento dei genitori immigrati di diversa nazionalità- 268 racconti, scritti spesso in italiano e nella lingua d’origine e che affondano le loro origini in 50 diversi Paesi. Ne è nato poi un libro, Raccontami una fiaba, distribuito a tutte le scuole partecipanti e disponibile presso il C.R.E.M.I. per chiunque sia interessato alle tematiche interculturali. 34 Il C.R.E.M.I. è nato formalmente nel 2003 da un accordo interistituzionale tra Regione Marche, Direzione Scolastica Regionale e Comune di Fano; il suo retroterra però, è costituito da esperienze legate a progetti educativi sulla diversità e alle azioni progettate per facilitare il lavoro delle scuole e dei docenti in un contesto via via più multiculturale. Integrato nei servizi educativi, il C.R.E.M.I., in linea con il suo retroterra, lavora per agevolare tutte le politiche interculturali, dall’accoglienza dei cittadini stranieri, alla progettazione di percorsi interdisciplinari, avvalendosi di esperti in intercultura, animatori e mediatori interculturali. 10 …5.2. Metodo di ricerca Per indagare sui metodi di utilizzo della fiaba e sulle modalità relazionali da essa attivate, nonché sulla didattica interculturale, si è fatto ricorso ad interviste non strutturate35, ritenute più idonee a cogliere quel sapere tacito che caratterizza i contesti organizzativi e, nello specifico, le scuole intese come comunità di pratica.36 Le interviste hanno riguardato in un primo momento otto insegnanti di tre Istituti Comprensivi e una scuola media della Basso Lazio. Successivamente, in seguito all’acquisizione di dati significativi riguardanti l’utilizzo della fiaba come strumento integrativo, si è deciso di realizzare una ricerca nelle Marche. Si sono così intervistati in questo contesto quattro insegnanti di tre scuole elementari della regione.37 A ciò si aggiungono due interviste con mediatrici culturali (presso il C.R.E.M.I.), volte ad approfondire le modalità di utilizzo della fiaba in situazioni di inserimento di bambini non italiani. …5.3. Insegnanti al lavoro in alcune scuole del Basso Lazio La fiaba per le sue proprietà si presta ad attivare numerosi percorsi didattici disciplinari e interdisciplinari che non sempre gli insegnanti sono pronti a cogliere. Nel contesto del Basso Lazio le scuole si muovono in linea con i cambiamenti normativi in atto già da diversi anni, ma non senza imbattersi in difficoltà di gestione e di organizzazione. Gli insegnanti possono muoversi ad un livello di maggiore autonomia collaborativa, ma le difficoltà non mancano, considerando le maggiori incombenze cui devono imbattersi, le difficoltà di un contesto socio-culturale sempre più 35 Le interviste, tutte le volte che ne è stato dato il consenso, sono state registrate e sono poi state trascritte integralmente. Nei pochissimi casi in cui non è stato dato il consenso alla registrazione si sono prese note subito trasferite su carta. 36 Barbara Poggio, Mi racconti una storia?, op. cit., p. 83. 37 La ricerca nel Basso Lazio è stata realizzata nel maggio 2007 e le scuole interessate sono state: l’Istituto Comprensivo di Piedimonte S. Germano, dove si sono intervistati due insegnanti di scuola elementare e due di scuola media; l’Istituto Comprensivo di Castrocielo dove si sono intervistati un insegnante di scuola elementare e un insegnante di scuola media; l’Istituto Comprensivo di Aquino dove si è intervistata una insegnante di sostegno –in questo caso l’intervista ha riguardato l’approfondimento di un progetto di integrazione di 5 bambini diversamente abili che ha utilizzato la fiaba- e la Scuola Media S. Tommaso di Roccasecca dove si è intervistato un insegnante. Il numero di bambini stranieri sul totale degli iscritti è rispettivamente così distribuito: 8,8%, 3,3%, 4%, 2,1%. I dati sono relativi all’anno scolastico 2006/2007. La ricerca nelle Marche è stata realizzata nel dicembre 2007 e le scuole interessate sono state: la Scuola Elementare L. Rossi dove si sono intervistati due insegnanti; la Scuola Elementare F. Corridoni dove si è intervistata un’insegnante e la Scuola Elementare Crocioni di Ostra centro dove si è intervistata un’insegnante. Il numero di bambini stranieri, rispetto al totale degli iscritti, è rispettivamente così distribuito:7,7%, 26,8%, 9%. I dati sono relativi all’anno 2007/2008. La ricerca non ha riguardato la scuola d’infanzia ma si è riferita a bambini della scuola di primo grado e ragazzi del secondo ciclo (solo prima media). 11 eterogeneo e, non ultimo, la presenza di atteggiamenti di chiusura che ancora alcuni insegnanti mostrano. L’attivazione di modalità didattiche dedicate alla fiaba, che contemplino classi aperte, percorsi interdisciplinari, progetti in rete, non è dunque particolarmente significativa. Le potenzialità dello strumento fiaba vengono così incanalate in una didattica prevalentemente individuale, perdendo l’occasione di stabilire modalità relazionali più proficue per gli stessi insegnanti e per gli stessi alunni attraverso una didattica che contempli la collaborazione tra insegnanti in percorsi interdisciplinari e modalità di lavoro di gruppo. La didattica individuale non è da intendersi contrapposta a quella interdisciplinare o di gruppo, bensì complementare. L’una e l’altra favoriscono determinate modalità relazionali e, per quanto attiene gli alunni, l’una e l’altra favoriscono determinati aspetti di definizione identitaria. Inoltre ci sono situazioni in cui non è possibile avvalersi simultaneamente di esse.38 Ciò che è rilevante però è che, tutte le volte che sia possibile, è proficuo avvantaggiarsi di modalità collaborative che permettano agli allievi di lavorare bene gli uni con gli altri. Ciò è vantaggioso per l’affermarsi di una “comunità reciproca”39, utile alla reciprocità sociale attuale e futura degli alunni. …5.4. Insegnanti al lavoro in alcune scuole delle Marche Le scuole indagate nel contesto marchigiano si trovano in un territorio che già da diversi anni ha adottato iniziative interculturali, che hanno sensibilizzato gli insegnanti all’adozione di una didattica dell’integrazione. Oltre alla esigenza di favorire l’inserimento di bambini stranieri, in tale contesto si avverte pure l’esigenza di un recupero delle proprie radici, affinché i bambini autoctoni abbiano un’identità culturale con cui confrontarsi. A ciò si aggiunge l’esigenza di una popolazione straniera insediata di seconda (talvolta terza generazione) che affianca all’interesse di far conoscere il contesto ambientale-culturale di provenienza il desiderio di approfondire i tratti del luogo culturale di nuova residenza. La consapevolezza è quella che fare integrazione non significa annullare le differenze, ma valorizzarle e considerarle vicendevolmente arricchenti. Perciò l’integrazione non è qualcosa che si attua solo nell’eccezionalità dei progetti, ma una pratica quotidiana che affianca ed integra le normali attività didattiche, in linea con l’idea che l’intercultura è un progetto da costruire. In questo senso la scuola rende esplicito quello che è stato definito curricolo latente40, che, insieme al sapere tacito, caratterizza la scuola come comunità di pratica.41 38 Jerome Bruner, La cultura dell’educazione, op. cit., p. 35. Ibidem. 40 Con curricolo latente si fa riferimento agli apprendimenti socio-emotivi, ai rapporti interpersonali stabiliti all’interno della scuola. In questo senso l’educazione è: “imparare a conoscere”, “imparare a fare”, “imparare ad essere” e 39 12 La consapevolezza degli insegnanti è dunque legata all’idea che non ci si debba solo muovere sul piano cognitivo, ma anche su quello emotivo-relazionale. La fiaba, sia per i suoi contenuti sia per la sua struttura, è considerata un buon modo per muoversi su questo doppio livello, in generale e, nello specifico, all’interno della prospettiva interculturale. Il lavoro di gruppo è ritenuto dagli insegnanti una metodologia molto proficua da utilizzare nei lavori di ideazione e scambio creativo, anche se ciò comporta per loro un maggiore investimento in termini di tempo ed energie. Si sono estrapolati i livelli più significativi di un percorso molto articolato e complesso che gli insegnanti realizzano con le loro proposte didattiche di integrazione. Tali livelli sono: - lettura e racconto di fiabe dal mondo; - discussione guidata per la riflessione e il confronto; - lavoro di ideazione e manipolazione in gruppo. - attraverso il racconto di fiabe diverse – che possono essere fiabe tradizionali o fiabe con personaggi-ponte42- l’insegnante promuove una maggiore conoscenza, grazie alla quale i bambini acquisiscono informazioni sul mondo che permettono loro di allargare lo sguardo. L’intervento dei mediatori culturali si colloca a questo primo livello, in quanto essi, oltre alla mediazione linguistica, presentano, proprio attraverso le fiabe, aspetti fondamentali della loro cultura e tradizione per evitare malintesi e incomprensioni e favorire il dialogo tra autoctoni e stranieri. Le fiabe offrono lo spunto ai mediatori per segnalare i cambiamenti che anche nei loro paesi d’origine stanno avvenendo. Questo si sottolinea perché le fiabe, pur contenendo dei tipici tratti culturali, non sono lo specchio della cultura che le ha prodotte, così come le fiabe italiane non sono lo specchio della cultura italiana. Si evita così la tendenza etnocentrica di considerare il nostro paese ai vertici del progresso tecnologico e materiale, considerando le altre culture arretrate o, comunque, molto più arretrate di quanto lo siano in realtà. A questo primo livello ci si muove su un piano prevalentemente cognitivo e di educazione alla multiculturalità. Maggiori conoscenze, però, non comportano di per sé maggiore riflessività e apertura, e la vicinanza fisica (l’altro, lo straniero sono ormai una presenza quotidiana)43 non è relazione44: è più propriamente incontro che rende “normale” l’eterogeneità, ma che deve portare a considerarla una risorsa e dunque non a vederla con indifferenza o sospetto. - la discussione promossa dall’insegnante e il confronto di fiabe provenienti dal mondo è volta proprio ad aprire quegli spazi di riflessione che fanno leva sul livello relazionale ed emotivo. “imparare a vivere insieme”. Cfr. B. S. Bloom, Caratteristiche umane e apprendimento scolastico, Armando Editore, Roma 1976; J. Delors, Nell’educazione un tesoro, Armando Editore, Roma 1996. 41 Barbara Poggio, Mi racconti una storia? op. cit. p. 83. 42 Cfr. § 4.2.2. Didattica dei personaggi ponte del presente lavoro. 43 C. Giaccardi, M. Magatti, La globalizzazione non è un destino, op. cit., p. 51. 44 La riflessione di Max Weber sull’agire dotato di senso porta alla distinzione tra interazione e relazione. Quest’ultima comporta un livello di reciprocità che va oltre il rapporto regolato da aspettative sociali. 13 L’insegnante individua quegli elementi delle fiabe che accomunano tutte le culture, secondo una prospettiva transculturale e allo stesso tempo tutti quegli elementi che invece sono tipici di ogni cultura. Il riferimento ai ruoli fissi e alle situazioni ricorrenti che strutturano la fiaba45 permette l’individuazione di quei valori universalmente condivisi che caratterizzano ciascun individuo a qualunque cultura appartenga e ciò favorisce sentimenti di appartenenza ad una comunità planetaria. I sentimenti di reciprocità si promuovono invece con il confronto di ciò che rende unici. In questo caso, si tratta spesso di agire per abbattere quegli schemi mentali che inducono ad interpretare la realtà secondo stereotipi. Con le fiabe, l’insegnante suscita sentimenti di empatia, di comprensione verso le emozioni e i vissuti degli altri, favorendo proiezione e decentramento per la definizione di una identità che si riconosca simile agli altri ma anche diversa, e per contemplare l’esistenza di altrettante identità costitutivamente simili e diverse.46 Da qui si avviano sentimenti di reciprocità cui si dà concretezza con il confronto diretto del lavoro di gruppo. - nel lavoro di ideazione e manipolazione di gruppo che si attua in tutte quelle attività laboratoriali47 in cui i bambini disegnano insieme, inventano fiabe nuove, preparano drammatizzazioni48; l’interazione si trasforma così in vera e propria integrazione, spazio per costruire il progetto interculturale. Dal vivo i bambini sperimentano sentimenti di affinità e di empatia e acquisiscono la consapevolezza della diversità, che nello scambio e nella negoziazione diventa ricchezza reciproca. L’integrazione, fino a questo momento narrata, viene esperita e pone le basi per lo sviluppo dei principi di equità e di spirito solidaristico. Il contatto, l’incontro qui diviene relazione. Il mettere in comune una storia porta così al riconoscimento dell’alterità propria e di quella altrui, e non solo quella dello straniero. Nel lavoro di drammatizzazione i bambini “sentono” come “sentono” gli altri e prendono consapevolezza di stili di vita, abitudini e comportamenti culturali differenti dal proprio. Si intravede in tutto ciò una possibilità di apertura verso lo spazio morale49, luogo della reciprocità e della responsabilità, che richiede uno sforzo consapevole, un progetto continuamente da costruire proprio come il progetto interculturale. Per enucleare alcuni aspetti significativi della prospettiva interculturale e del ruolo che in essa ha la fiaba, può essere utile il riferimento ad una scheda di lavoro –che allego- riguardante un’esperienza didattica realizzata in una scuola primaria fanese. La scheda è stata suddivisa in 45 V. Ja Propp, Morfologia della fiaba, op. cit. Il riferimento è ai due volti, l’idem e l’ipse, l’uno sociale e l’altro personale, dell’identità così come definiti da Ricoeur. P. Ricoeur, Sé come un altro, op. cit. p. 78. 47 Le attività laboratoriali inserite in percorsi interdisciplinari prevedono spesso situazioni in cui tutti bambini vengono posti nelle stesse condizioni secondo l’idea di azzeramento delle differenze. È questo il caso dei laboratori musicali oppure di quelli dedicati all’inglese come lingua 3, in cui l’apprendimento di nuove competenze linguistiche ha posto tutti gli alunni in condizione paritetica. 48 La drammatizzazione ha come naturale corollario l’attivazione di laboratori creativi finalizzati alla costruzione di scenari, di costumi e di oggetti scenici per la realizzazione della rappresentazione teatrale. Spesso vengono messe in scena fiabe interculturali inventate dai bambini. 49 Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, op. cit. p. 31. 46 14 cinque elementi: gli attori, l’azione, lo scopo, il mezzo e il contesto.50 L’esperienza si è realizzata nel corso di una serie di incontri grazie ai quali, in modo graduale, si è passati da una prima fase di incontro con la diversità ad una seconda fase di interazione per giungere infine alla fase di integrazione realizzata con il lavoro di gruppo. In primo luogo si evidenzia come gli attori del processo siano gli insegnanti, i mediatori culturali ed i ragazzi, in una reciprocità sia verticale che orizzontale. Se è vero, infatti, che vi sono elementi di verticalità (la lettura dell’insegnante o il racconto del mediatore, la tipologia della lezione), sono evidenti anche elementi di orizzontalità (il lavoro per gruppi, l’attività laboratoriale, la ricostruzione della fiaba). Questi aspetti delineano un ruolo “promozionale” dell’adulto, il quale indirizza l’interesse dei ragazzi, ne sollecita le scoperte, ne articola le conoscenze: è l’antitesi del modello della trasmissione descritto da Bruner, spesso ulteriormente esagerato dall’enfasi posta sulla trasmissione “dei contenuti”.51 Il bambino può vivere così, apertamente e senza particolari conflitti, la presenza di una figura quasi parentale a cui affidarsi e con cui confrontarsi. Ma anche il rapporto che si instaura tra insegnante e mediatore culturale è importante, agli occhi dei bambini, giacché si offre visibilmente l’esempio di una relazione fra diversi culturalmente che collaborano e che convivono all’interno dello stesso orizzonte esperienziale. L’altro attore importante è il bambino, e qui vediamo come la relazione con l’altro, o inteso come dato culturale o come persona, sia del tutto orizzontale: il lavoro nel piccolo gruppo eterogeneo induce alla negoziazione, alla condivisione della scoperta, alla realizzazione in comune di disegni, cartelloni, collages. E’ questo il momento in cui l’altro si scopre come diverso, portatore di un lascito culturale strano, ma che pure è così consueto che può essere capito e condiviso. Dalla comparazione di storie usate per questa esperienza, elementi culturali, geografici ed emozionali stabiliscono similitudini utili per lo sviluppo di un comune sentire: i monti Beschidi non sono poi così diversi dall’Appennino, e i pastori sembrano dappertutto uguali, si vestono di lana e raccontano storie forse esotiche ma simili a tante già sentite… e ci si accorge che lampi, tuoni e creature terribili fanno paura dappertutto, ci si sente per questo più simili in umanità, ci si scopre fatti delle stesse emozioni. Questo livello di partecipazione del bambino alla relazione è poi particolarmente visibile nelle attività artistiche e nella reinvenzione della fiaba, quando i contenuti delle diverse culture vanno riposizionati e rivissuti in una storia fiabesca completamente nuova. Circa l’azione, va detto che nella scheda analizzata se ne evidenziano di due tipi: da una parte la lezione, sia essa dialogica o condotta maieuticamente , dall’altra il lavoro di ricerca e di rielaborazione, o individuale o di gruppo. La lezione, anche la migliore lezione, è sempre “frontale”; si presenta come un rapporto asimmetrico che può magari dare frutti importanti dal 50 51 Per l’analisi è stata usata la pentade di Burke. Barbara Poggio, Mi racconti una storia?, p. 41, p. 121. J. Bruner, La cultura dell’educazione, op. cit., p. 34. 15 punto di vista dell’ordine cognitivo, ma che deve essere “superata” da una modalità di lavoro dove il rapporto con l’altro serva non solo a scoprire insieme cose nuove, ma dia pure la sollecitazione e la possibilità di condividerne la valenza relazionale, la ricchezza tipica di ogni incontro umano. Fondamentale è così il momento di lavoro in gruppo, in cui non solo si mettono in evidenza gli aspetti di conoscenza del territorio che vengono veicolati dalla fiaba, ma si definiscono i tratti rilevanti, di volta in volta negoziati, del racconto stesso e delle proiezioni che ogni bambino vi compie. Come si è sottolineato più volte, il lavoro in gruppo è di grande utilità ai fini dello sviluppo dell’identità complessiva e della relazione, sia essa personale che interculturale. Per lo scopo occorre ricordare che nel lavoro preso in esame si intende far vedere come ogni cultura, in ogni parte del globo, esplicita la propria identità territoriale incorporando nei racconti popolari quegli elementi dell’ambiente che in fondo ne modellano la risposta e l’adattamento. Se il riconoscimento di un comportamento universale è lo scopo primario, ad esso se ne può aggiungere un secondo che riguarda la conoscenza dei modi espressivi con cui una cultura si distingue e si rapporta alle altre. Promozione multiculturale, transculturale e interculturale si intrecciano per aiutare a formare il senso della propria identità culturale e di quella altrui: la fiaba polacca parla di una storia, così come quella italiana; in tutte e due, però, c’è l’impronta di uno spazio, di un territorio che riecheggia nella risposta degli uomini, che ne modula l’immaginario, ne segna i confini identitari. Circa il mezzo che viene usato per il raggiungimento dello scopo prefisso, la fiaba, si è già detto del suo valore espressivo e relazionale, di come possa prestarsi a varie attività laboratoriali e manipolative (disegni, collages, drammatizzazioni, teatro ecc.), di come si offra in maniera duttile alla rielaborazione ed al gioco di ruolo; l’elemento che qui emerge con forza è invece il modo con cui gli aspetti cognitivi -sui diversi territori e costumi- fungano da supporto ad una presa di coscienza di tipologie multiculturali e, in fondo, preparino comportamenti e favoriscano atteggiamenti di tipo interculturale. La fiaba, nella sua dimensione liberatoria e propositiva di schemi immaginativi52, conduce il bambino a riappropriarsi della dimensione fantastica , della finzione, del “come se”: la novità consiste nel fatto che il rapporto in cui avviene questo viaggio nella fantasia non è più un rapporto a due, ma multiplo e vario. Nel tessuto relazionale del gruppo la fiaba diventa patrimonio e creazione comune, con-vissuta e co-gestita nel gruppo. Gli elementi pratici di tale operazione –le attività laboratoriali- si configurano allora come il sostrato materiale di una riappropriazione che è anche una conquista: il mondo fantastico torna al bambino, ma lo arricchisce della consapevolezza dell’alterità. La dimensione comunitaria si configura, perciò, come 52 B. Bettelheim, Il mondo incantato, op. cit. 16 un “mondo in piccolo”, dove culture, lingue, razze e religioni esprimono la ricchezza della diversità e l’incanto della somiglianza. Per il contesto va osservato che la scuola appare oggi il luogo primario dell’incontro e della relazione interculturale; anzi, verrebbe da dire che si configura come la fucina, il laboratorio dove i flussi transnazionali del mondo globalizzato si definiscono e si fondono in una nuova realtà cosmopolita, i cui tratti essenziali sono il riconoscimento e la vicinanza personale, la coscienza della varietà e una percezione di sé di nuovo tipo, in cui giocano meno e secondariamente quegli elementi che storicamente hanno visto il mondo diviso in blocchi e nazioni. La dimensione etica della relazione che può essere costruita in tale contesto apre alla possibilità di scongiurare i ripiegamenti narcisistici in favore di uno “spazio morale”53 dove l’altro è compartecipe di un progetto comune. 53 Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, op. cit. p. 31. 17 SCHEDA DELL’ESPERIENZA Dati identificativi dell’esperienza di laboratorio Scuola Destinatari Primaria di Fano Alunni delle classi quarte Personale coinvolto Anno scolastico Esperto C.R.E.M.I., docente di 2004-05 (aprileclasse maggio) Titolo del laboratorio Obiettivo Formativo Unitario (competenza da far raggiungere agli alunni) Partendo dalla lettura e analisi di fiabe appartenenti a contesti geostorici differenti, acquisire Fiabe e geografia, tra la consapevolezza del fatto che tutti i racconti popolari posseggono precisi riferimenti alla cultura locale e realtà geografica per comprendere che l’esigenza di esplicitare la propria identità territoriale interculturalità è comune a tutti gli uomini. Obiettivi specifici di apprendimento • Conoscere la morfologia del territorio marchigiano e di quello polacco; • conoscere alcuni tratti della cultura marchigiana e di quella polacca; • acquisire la capacità di mettere in relazione caratteristiche territoriali e culturali, rilevando analogie e differenze; • conoscere alcune fiabe appartenenti alle culture dei territori presi in esame; • inventare una fiaba in cui si realizzi una convergenza di elementi delle fiabe marchigiane e di quelle polacche e in cui siano presenti aspetti tipici dei rispettivi territori; • realizzare un libro animato destinato a rappresentare la fiaba inedita ideata dagli alunni e di un opuscolo attestante l’attività svolta. Informazioni relative alla mediazione didattica Metodi Tempi Soluzioni organizzative Otto incontri di due 1.lavoro individuale • lezione dialogica ore ciascuno con 2.lavoro a piccolo e grande gruppo • metodo euristico frequenza settimanale eterogeneo per sesso e capacità • metodologia della ricerca/costruzione attiva del 3.attività di laboratorio sapere individuale PRIMA FASE Fasi di sviluppo Materiali e mezzi occorrenti PRIMO INCONTRO PRIMO INCONTRO -testi di fiabe marchigiane e, in particolare, -fiabe marchigiane: lettura e rilevazione di elementi morfologici e culturali fiaba intitolata Le nozze di Pollicino; presenti nella narrazione; -carta fisica della regione; carte tematiche -le Marche: morfologia e cultura del territorio; -individuazione delle relazioni tra gli elementi emersi dalla lettura della fiaba relative a specifici aspetti del territorio marchigiano (andamento delle dorsali e e quelli acquisiti a livello geografico; processo orogenetico, idrografia), libro di testo (sezione geografica); SECONDO INCONTRO -fiabe polacche: lettura e rilevazione di elementi morfologici e culturali SECONDO INCONTRO presenti nella narrazione; -carta fisica del Paese; carte tematiche -la Polonia: morfologia e cultura del territorio; -individuazione delle relazioni tra gli elementi emersi dalle lettura della fiaba relative a specifici aspetti del territorio polacco (andamento delle dorsali e processo e quelli acquisiti a livello geografico; orogenetico, idrografia, risorse del sottosuolo); fotocopie di pagine di libri di TERZO INCONTRO testo geografico inerenti la Polonia; -invenzione di una fiaba marchigiano-polacca; -testi di fiabe polacche e, in particolare, fiaba -progettazione di un libro animato destinato a rappresentare la storia ideata intitolata Il drago Vavel; dagli alunni; -predisposizione dei materiali per la realizzazione del prodotto; TERZO INCONTRO -quaderno individuale, materiale letto e QUARTO INCONTRO analizzato durante gli incontri precedenti; laboratorio: verifica dell’acquisizione delle competenze attraverso la -carta da pacchi bianca, pennarelli, cartoncini realizzazione del libro animato e di un opuscolo attestante l’attività. colorati, colori vari e pastelli, materiale non convenzionale portato dagli alunni, colla vinilica ecc.; QUARTO INCONTRO fotocopie, libro di testo, cartoncini colorati, colori vari e pastelli, colla vinilica, carta da pacchi bianca, materiale non convenzionale portato dagli alunni, computer, software di impaginazione, fotocopiatrice. 18 5.5. Considerazioni conclusive sulla ricerca I contesti scolastici indagati sono tra loro molto diversi, per quanto riguarda le modalità didattiche dedicate alla fiaba. Molto dipende dai diversi contesti socio-culturali. L’eterogeneità del primo non si è ancora accompagnata a proposte organizzate e organiche che vadano oltre le risposte estemporanee adottate dagli insegnanti per fronteggiare l’emergenza. Nel secondo caso un retroterra più favorevole e attento alle tematiche della diversità ha consentito di arrivare gradualmente ad esperienze mature di didattica interculturale. La narrazione fantastica è sicuramente presente nelle comunità scolastiche indagate, sia sul versante della fruizione sia su quello della produzione; se ne fa un largo uso, ma non sembra generalizzata fra gli insegnanti la consapevolezza delle sue potenzialità sul versante affettivorelazionale come esito della prassi di gruppo. Nel contesto del Basso Lazio, rispetto all’oggetto indagato, prevale, con qualche eccezione, una didattica individuale, volta alle acquisizioni delle competenze da raggiungere, attraverso strumenti che non contemplano percorsi interdisciplinari, classi aperte, o apprendimento cooperativo. Gli strumenti di apprendimento e di verifica sono quelli tipici del lavoro individuale: questionari, esercitazioni, trasformazioni del testo, elaborati. L’acquisizione di capacità critiche, il decentramento del proprio punto di vista, la capacità empatica, il rispetto per i diversi punti di vista, vengono favoriti dall’insegnante attraverso l’analisi e la discussione del testo fiabesco, che contiene sempre un messaggio implicito da individuare. La creatività è stimolata dalle attività di trasformazione, invenzione e reinvenzione della fiaba. Ciò per quanto attiene alla prassi scolastica quotidiana. La metodologia di gruppo è adottata nei laboratori contemplati in taluni progetti o nelle rappresentazioni teatrali di fine anno. Gli insegnanti sembrano così non approfittare adeguatamente della versatilità e della ricchezza della fiaba, che offre molteplici percorsi di apprendimento e relazione. La didattica della integrazione si attua a partire dal rispetto e dalla valorizzazione delle differenze. La lettura di racconti, l’individuazione di similarità e differenze, la discussione in classe, permettono certo di agire sul piano cognitivo e delle conoscenze: più informazioni sul mondo allargano lo sguardo, le consapevolezze, i punti di vista. Permettono pure di agire sul piano relazionale e affettivo perché, attraverso proiezioni e decentramento cognitivo affettivo e culturale, consentono di comprendere le emozioni e i vissuti degli altri. Ma, come si è visto, l’intercultura è un progetto e in quanto tale comporta dei percorsi da costruire insieme e una reciprocità di scambi. I bambini sono aiutati a costruire orizzonti condivisi se imparano a interagire nel rispetto reciproco; se imparano, lavorando in gruppo, che la convivenza comporta la negoziazione delle idee, il rispetto dei punti di vista e delle identità culturali. La diversità diventa ricchezza nell’interazione perché 19 ciascuno, indipendentemente dalle caratteristiche fisiche, dall’appartenenza sociale o etnica, può offrire un contributo al progetto comune. La drammatizzazione promuove un processo metacognitivo di natura empatica che coinvolge tutti gli aspetti intellettivi del bambino, da quelli cognitivi a quelli emotivi e promuove l’acquisizione di principi valoriali e l’incentivazione dello spirito solidaristico. Come si è osservato, nel contesto marchigiano, a partire dalla prassi scolastica, affiancata da progetti didattici interculturali, si creano le condizioni favorevoli per il progetto interculturale che si realizza compiutamente nella dinamica di gruppo. Nell’interazione si realizza il riconoscimento, la valorizzazione reciproca, il rapporto empatico. L’identità narrativa si definisce a partire dalla relazione con l’altro, con cui si possono costruire significati condivisi e assumersi responsabilità che riguardano il proprio progetto di vita e il progetto comune. Condividere una storia permette di definire le reciproche identità rispetto a ciò che ci rende simili e rispetto a ciò che ci rende diversi. La fiaba, con i suoi rimandi ad un lontano passato, può ancora offrire molto nella società mediatica e globale. I suoi contenuti permettono di accomunare nell’identità planetaria e contemporaneamente di definire le rispettive identità culturali. La sua struttura può essere caricata di contenuti nel lavoro di invenzione di gruppo, promuovendo la definizione identitaria di ciascuno e dinamiche relazionali empatiche e solidaristiche. Se si ha consapevolezza di tutto ciò si possono attivare percorsi didattici che puntino sull’insieme di potenzialità che essa offre. 20