NOTIZIE
Intorno alla Vita del conte
GIORDANO RICCATI
(Castelfranco Veneto, Biblioteca Comunale, N-7 / Ms.43)
a cura di
Alvise De Piero
Venezia 2011
Notizie intorno al Conte
Giordano Riccati
Il manoscritto delle Notizie intorno al Conte Giordano Riccati, conservato presso la
Biblioteca Comunale di Castelfranco Veneto, è stato qui trascritto rispettandone fedelmente le peculiarità e le oscillazioni ortografiche, comprese le abbreviazioni negli appellativi ecclesiastici, nobiliari, professionali e onorifici, sempre di facile comprensione. Solo
in qualche caso si è ricorsi all’integrazione esplicativa, indicata tra parentesi quadre al
pari delle pochissime lacune testuali che si è ritenuto di colmare.
Si è invece intervenuti nei confronti dell’uso settecentesco delle maiuscole per i nomi
comuni, come sempre sovrabbondanti rispetto alla nostra normativa corrente, alla quale
sono state ricondotte. Altrettanto sovrabbondante la punteggiatura originaria, che pure
è stata semplificata, riducendo drasticamente la presenza delle virgole, specie davanti a
congiunzione, e talvolta sostituendole con il punto e virgola, per meglio scandire la
sequenza delle varie parti di uno stesso periodo. Le citazioni bibliografiche sono state
infine rese adottando, per miglior chiarezza di indicazione, le norme tipografiche attualmente in vigore.
Si ringraziano vivamente Gilberto Pizzamiglio per i suggerimenti forniti in fase di edizione del testo; Laura Moretti per aver segnalato il manoscritto; la Biblioteca Comunale
di Castelfranco Veneto nella persona del Direttore Giacinto Cecchetto per averne concesso la trascrizione e pubblicazione; la Biblioteca Comunale “Vincenzo Joppi”di Udine per
aver permesso la consultazione dell’epistolario Riccati e Francesca Tamburlini per l’assistenza fornita durante la consultazione.
NOTIZIE INTORNO AL CONTE GIORDANO RICCATI
Nacque il Co. Giordano Riccati li 25 Febrajo dell’anno 1709 e furono suoi genitori il Co. Jacopo Riccati, e la Cont.a Elisabetta figlia del
Cav. Co.Vincenzo d’Onigo, e della Co. Sergia Pola. Giunto all’età d’anni 11 fu condotto dal padre a Bologna e collocato nel Collegio dei
Nobili di S. Francesco Saverio diretto dai Padri della Compagnia di
Gesù, dove si trattenne per anni sei, e vi studiò le belle lettere e la logica. Dopo il ritorno alla patria gli insegnò il Co. Jacopo la geometria, la
trigonometria, l’analisi, la statica e la dinamica, ed in queste due ultime scienze molto approfittò, quando l’anno 1749 uscì alla luce il Dialogo del P. Vincenzo Riccati suo fratello, dove delle forze vive e delle
azioni delle forze morte si tien discorso, ed in fatti nelle molte dissertazioni che poscia ha pubblicate fa un uso frequente del metodo delle
azioni, ch’è il fondamento principalissimo della meccanica. Non tralascio di notare che negli anni 1729 - 1730 fu a Padova per ivi prendere
qualche idea della giurisprudenza.
Terminato il corso de’ suoi studj si applicò distintamente all’architettura, alla musica ed all’acustica. È suo il disegno della cattedrale di
Trevigi, e benché sia stato obbligato a proseguire il principio di Pietro
Lombardo peccante di tozzo e a non metter mano nella Cappella assai
preziosa del S.̃mo Sacramento di Tulio Lombardo, figlio di Pietro, la
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pianta è riuscita assai regolare: vi è osservata un’esatta continuazione
di linee, e l’ordine secondario forma gli altari e l’ornamento interno
della porta maggiore. Nella stessa città sono architettate da lui la facciata della chiesa di S. Teonisto e la chiesa parocchiale di S. Andrea.
Ha egli pubblicato le seguenti memorie appartenenti all’architettura: Regole più importanti delle strutture architettoniche, nella “Raccolta
di varj Opuscoli”, Firenze, MDCCLXXI, presso Domenico Marzi e
Compagni; Della maniera di costruire un portico che ascende o discende
lungo un piano inclinato all’orizzonte, nella “N.[uova] R.[accolta]
Calogeriana” t. XXIII; Nuova maniera di costruire le scale elittiche,
“N.[uova] R.[accolta Calogeriana]”t. XXXV; Della figura, e dello sfiancamento degli Archi, nel t. XX del “Giornale di Modena”; Prefazione agli
Elementi d’architettura del Sig.r Francesco Maria Preti, in Venezia,
MDCCLXXX, appresso Giovanni Gatti. In questa prefazione tratta
ampiamente il Co. Giordano della disposizione dei triglifi e delle metope, dei dentelli e dei modiglioni. Sono ancora inedite due dissertazioni: Osservazioni sopra la misura degli ordini architettonici e degli archi ad
essi convenienti, ed altresì sopra lo scompartimento dei triglifi, dei dentelli e
dei modiglioni; Della combinazione degli archi di varia grandezza che hanno
luogo nella stessa struttura.
Nobilissime e lunghe applicazioni gli ha costato la musica. Ha egli
in pronto per la stampa un’opera in due tomi in quarto, il cui titolo [è]
Le leggi del contrappunto dedotte dai fenomeni, e confermate dal raziocinio.
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Un sugoso compendio della stessa si contiene nel Saggio sopra le leggi
del contrappunto, in Castelfranco, MDCCLXII, per Giulio Trento.
Stabilisce nel libro I che le ragioni grate all’orecchio, che si chiamano
consonanti, ridotte a numeri fra loro primi non contengono numero
impari maggiore del cinque, e sono di tre spezie: equisonanze, consonanze perfette e imperfette. Ammettono l’equisonanze il solo numero
impari 1; le consonanze perfette i numeri impari 1, 3; l’imperfette i
numeri impari 1, 5; 3, 5. Con tali consonanze si formano due soli consonanti accompagnamenti fondamentali di terza maggiore, quinta e
ottava, di terza minore, quinta e ottava, che appaghino compiutamente l’orecchio, siccome quelli che riferiscono al basso, col quale si fanno
i principali paragoni, il migliore aggregato di consonanze. Dal primo di
questi si deducono due accompagnamenti consonanti di terza e sesta
ambe minori, di quarta e sesta maggiore, e dal secondo gli altri due di
terza e sesta ambe maggiori, di quarta e sesta minore, che non lasciano del tutto contento l’udito, perché la più perfetta unione di consonanze corrisponde ad una parte che non è il basso.
Si concepisce ora adattato al suono base della cantilena l’uno e
l’altro fondamentale accompagnamento e, volendo cangiare accordo,
ella è cosa evidente che i migliori passi ch’io posso movere sono o
l’ascendere, o il discendere per una quinta, la quale discesa equivale
all’ascendimento per una quarta. Della successione di tre accompagnamenti o per terza maggiore, o per terza minore, l’uno fondato sopra il
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suono principale scelto ad arbitrio, e gli altri due sopra due suoni che
al principale si riferiscono in quinta e in quarta, nascono le scale dei
due modi per terza maggiore e per terza minore, sopra i quali si fondano al giorno d’oggi tutte le musiche composizioni. Serve ad amendue
i modi la stessa scala quando il modo minore si fondi sulla sesta corda
del modo maggiore.
La predetta scala non contiene solamente i due modi maggiore e
minore, ma ne comprende parimente altri cinque, che l’autore suole
chiamare derivati. I tre perfetti consonanti accompagnamenti fondati
sulle corde prima, quarta e quinta determinano la scala dei due modi
primitivi per terza maggiore e per terza minore. Al contrario la scala dei
modi derivati, ch’essi hanno comune coi primitivi, determina i tre
accompagnamenti a cui servono di base le relative corde prima, quarta e quinta. In tre di questi modi s’insinua un accompagnamento
nuovo di terza minore e quinta minore, avente per fondamento la
corda ch’è settima nel modo per terza maggiore, seconda nel modo
relativo per terza minore. Ammettendosi dalla quinta minore la ragione 7:10, in cui ha luogo il numero impari 7 che immediatemente succede al numero impari 5, il contrappunto adopera in figura di consonante l’accordo di terza minore e quinta minore, benché tale effettivamente non sia.
Dopo aver trattato dei tuoni subordinati al principale, pei quali in
grazia della varietà vada vagando una musica composizione, si discor-
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re della battuta formata da due parti, una principale compresa fra il
battere ed il levare, che tempo buono si appella, e l’altra secondaria
contenuta fra il levare ed il battere, che tempo cattivo suole chiamarsi;
e si stabilisce la maniera di pronunciar questi tempi. L’orecchio non
approva fra le due parti della battuta fuorché le due semplicissime
ragioni 1:1, 2:1.
Somministrano l’argomento al secondo Libro i passaggi da un
accompagnamento all’altro spettanti al tuono principale ed ai subordinati, fra i quali tengono il primo luogo le cadenze, che sono quei movimenti atti a lasciar più o manco contento l’orecchio, e che pongono
fine alla cantilena o a qualche suo passo. Sono conosciute le quattro
cadenze dalla quinta e dalla quarta corda alla prima, dalla prima e dalla
quarta corda alla quinta, ma s’ignorano dagli Scrittori di contrappunto
le cadenze dalla seconda corda alla quinta, dalla settima corda all’ottava, quantunque tutto giorno si pongano in pratica. Hanno le cadenze
aperte l’adito alle corde artificiali settima, sesta e seconda nel modo
minore, e quarta in amendue i modi, e da tali corde nascono gli accompagnamenti di terza diminuita e quinta minore, di terza maggiore e
quinta minore, di terza maggiore e quinta superflua, ed i loro derivati.
Dimostra il Co. Giordano che le ragioni 5:7, 7:10, 4:7, 7:8 sono accettate dalla quarta maggiore, dalla quinta minore, dalla sesta superflua e
dalla terza diminuita, e quindi i mentovati accordi introducono in
musica il numero 7. Troppo lunga riuscirebbe la relazione del restante
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del Libro II, che tratta ampiamente la materia dei passaggi naturali ed
artificiali.
Comincia il Libro III colla teoria delle musiche dissonanze, che
traggono l’origine dall’aggiungere all’accordo consonante un novello
suono preso dalla scala del tuono in cui si ritrova la cantilena. Detratte
dalla detta scala le corde prima, terza e quinta, che formano l’accordo
consonante, rimangono le corde settima, seconda e nona, quarta e
undecima, sesta e terzadecima, che con esso accordo unire si possono.
Nella serie 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 abbiamo primieramente l’ottava indivisa 1:2, indi l’ottava 2:4, partita nelle due consonanze perfette quinta 2:3, quarta 3:4. Segue il compartimento della
quinta 4:6 nelle due consonanze imperfette terza maggiore 4:5, terza
minore 5:6, e qui ha termine il consonante accompagnamento.
Continuando un tal ordine dovrebbe succedere la divisione della quarta 6:8 nelle due ragioni 6:7, 7:8, indi quella della terza maggiore 8:10
nelle due ragioni 8:9, 9:10, poscia quella della terza minore 10:12 nelle
due ragioni 10:11, 11:12, e finalmente quella dell’intervallo 12:14 nelle
due ragioni 12:13, 13:14. Ma conciossiaché le dissonanze si debbano
prendere dalla scala del modo, ed in questa sieno già determinate le
divisioni dei mentovati intervalli, ne segue che di tali divisioni dobbiamo necessariamente servirci. Le dissonanze riescono tanto più miti,
quanto dipendono dal ripartimento di ragioni più semplici, e perciò il
primo luogo si deve alla settima, il secondo alla nona, il terzo all’unde-
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cima, e l’ultimo alla terzadecima. Aggiunta la settima minore all’accompagnamento per terza maggiore, che naturalmente o artificialmente compete alla quinta corda del modo maggiore e minore, ne
nasce l’ottimo dissonante accompagnamento dinotato dai numeri 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, accostandosi molto la detta settima al numero 7, ch’è il
primo numero impari dissonante immediatamente vicino al cinque,
ultimo numero impari consonante. Non tralascia di trattare dei passaggi atti a preparare e a risolvere le dissonanze, e dei tempi nei quali si
possono preparare e introdurre, e fa distinta menzione dei molti privilegi che gode la settima specialmente minore e diminuita, a cui si adatta la ragione 7:12, competendo per conseguenza la ragione 6:7 alla
seconda superflua.
Preparati i materiali tutti per l’armonico edifizio, egli era necessario l’insegnare a ordinarli. Dà principio dalle varie disposizioni che
possono ricevere, a quattro, ad otto, a tre, a due parti gli accordi consonanti e dissonanti, e prova che l’ottima forma non si dee e non si può
sempre loro assegnare, perché la soverchia uniformità sazierebbe ben
presto l’orecchie, e perché disposto ottimamente l’accordo antecedente, il moto semplice delle parti richiede che si vanti ordine nel susseguente. Seguitano le regole per far transito dall’accordo antecedente al
susseguente, a cui se anche son consonanti, nove passi ci guidano, uno
fondamentale ed otto derivati. La perfezione di questi, oltreché ha relazione al passaggio fondamentale, dipende da due elementi, e sono la
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qualità del passo derivato di melodia, d’unisono, di grado e di salto, e
quella degli accordi corrispondenti ai due suoni che lo accompagnano,
secondo che sono di terza e quinta, di terza e sesta, di quarta e sesta. A
quest’ultimo accordo derivato spetta l’ultima sede, perché il senso
troppo chiaramente si accorge, che essendo la quarta una quinta rivoltata, il vero basso ci manca. È molto lodevole che le parti passino da
consonanza a consonanza di vario genere, onde si schivino i due unisoni, le due ottave, le due quinte, che sono vietate di seguito.
Le musiche composizioni deggiono esser fornite d’unità di subbietto, la quale consiste nella uniformità di alcune brevi cantilene di
facile rimembranza. Dal trasportare la stessa melodia in più tuoni e dal
collocarla in siti analoghi della composizione, trae l’unità di questa
l’origine, e dal congruamente alternare le diverse cantilene trae la sua
origine la varietà. Nel contrappunto, non altrimenti che nella poesia,
vari gradi di unità si ammettono, e più esatta di tutte si è quella delle
fughe o soggetti. In tali composizioni la guida, o la parte antecedente,
propone una cantilena appartenente ad un dato tuono, ordinata in
maniera che la risposta della parte conseguente, che comincia a cantare dopo qualche intervallo di tempo, rassomigli la proposta quanto è
possibile senza uscire dalla scala del tuono. Contiene ogni tuono due
esacordi simili che si sogliono chiamare per natura e per bequadro, a
ciascuno de’ quali si adattano le sillabe Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La.
L’uniformità della proposta e della risposta dipende interamente dalla
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similitudine dei mentovati esacordi, in virtù della quale i passi che fa la
parte antecedente nel primo e nel secondo esacordo, s’imitano perfettamente dalla parte conseguente nell’esacordo secondo o primo.
Interviene frattanto con frequenza che la proposta passi da un esacordo all’altro, ed in questi casi la risposta dee trasferirsi all’esacordo
abbandonato dalla proposta. Dopo ciò passa a trattare delle fughe raddoppiate, della imitazione, del canone, dei contrappunti doppi, degli
andamenti ostinati, del modo di comporre i versetti e l’arie, né lascia di
mettere in chiaro lume la verità che qualunque sia la musica composizione, bisogna che i passi ond’è formata, abbiano tale relazione e con
essa, e tra loro, che con ragione quella tutto di conveniente unità dotato, e questi parti del medesimo tutto si possano nominare.
Presa ad esaminare nel cominciamento del Libro IV la materia dei
musici temperamenti, ben presto si accorse che avea bisogno d’essere
rischiarata. Se nei modi maggiore e minore si usassero i soli accompagnamenti d’onde traggon l’origine, ed i loro derivati, non si dovrebbe
ritornare al temperamento. Rendesi questo necessario quando nel
modo maggiore si adoprano gli accompagnamenti del modo minore
relativo, che accetta la medesima scala, o al contrario, a cagione che il
secondo suono del modo per terza maggiore, ed il quarto del modo
relativo per terza minore discordano per il comma. Ecco i principj che
l’hanno guidato alla vera teorica dei temperamenti. La semplicità dell’equisonanze, delle consonanze perfette e delle imperfette stanno
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inversamente come i numeri impari 1, 3, 5. Essendo tutte l’equisonanze egualmente semplici, dovrebbero del pari alterarsi, ma ciò non si
può ottenere se non si lasciano intatte; dunque tali debbono rimanere.
Le consonanze perfette e l’imperfette hanno da modificarsi in ragione
dei numeri 3, 5, cioè a dire in ragione reciproca della loro semplicità. Tre
ottave sono composte da quattro quinte, una delle quali cala un
comma, e da una sesta minore. Diviso il comma in diciasette parti, per
tre di queste cali ciascuna quinta, e per cinque la sesta minore, e fra le
dette consonanze sarà il comma ottimamente distribuito. S’adatti questo temperamento ai tasti bianchi degli usuali strumenti e le quinte
propriamente tali, in cui hanno luogo uno e due tasti neri, calino per la
undecima parte del comma. È necessario questo ineguale temperamento, acciocché l’intervallo G#- Eb, che mutato nome al tasto superiore e inferiore s’adopra come quinta G#- D#, ovvero Ab- Eb, non offenda
intollerabilmente l’orecchio. L’ha il Co. Giordano prescelto, perché in
esso essendo proporzionati i divarj della quinta G#- D# e della sesta
maggiore A-G#, il miglioramento d’una tornerebbe in discapito dell’altra. La mentovata ineguaglianza dà ai tuoni per terza maggiore e per
terza minore un diverso carattere che molto giova alla musica.
Con molta ragione si può dar vanto la musica della facoltà d’imitare il senso delle parole e di risvegliare nell’animo i varj affetti. E pure,
chi ’l crederebbe! Una materia di tanta importanza rimane presso che
intatta, e richiedea d’esser trattata da capo a fondo, cominciando dai
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suoi primi principj, i quali scoperti che siano, spargono sopra d’essa
una pienissima luce. In un modo principale si possono colla musica
esprimere gli interni movimenti dell’animo, procurando d’imitare coi
suoni musicali quelle modificazioni che i particolari affetti nella voce
introducono. Lo stato tranquillo dell’uomo sta in mezzo tra le passioni
forti che vanno accompagnate da una straordinaria agitazione degli
spiriti animali, e fra le deboli, che rendono più del consueto languido e
meno attivo il moto delli spiriti mentovati. L’osservazione che gli affetti veementi ci fanno parlare più forte, più presto e più acuto, i fiacchi
più piano, più adagio e più grave, ci fa veder chiaramente come si possono usar nelle imitazioni il forte ed il piano, il presto e l’adagio, il
grave e l’acuto. Essendo proprio del sesso virile maestoso e robusto le
voci gravi, e del muliebre grazioso e molle lo acuto, sperimenterà l’udito i suoni gravi di maestà e robustezza forniti, i suoni acuti di grazia e
di mollezza, e conciossiaché l’uomo sia più atto della femmina a risvegliar terrore negli animi, delle voci gravi e virili e non delle acute e
muliebri si vagliono i maestri per movere colla musica l’affezione della
paura. Colla paura hanno molta connessione l’oscurità, l’ombra dei
morti, la profondità, cose tutte che coi suoni gravi si simboleggiano. Per
un contrario motivo le voci acute servono ad esprimere gli oggetti
sublimi. Di parecchie altre maniere d’imitazione tiene discorso il Co.
Riccati, ch’io tralascio per brevità, ed alquanto solamente mi fermo
sulla più importante. Il fonte donde scaturiscono le imitazioni più
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magistrali si è la circostanza accennata di sopra, che le affezioni veementi alzano il tuono ordinario della nostra voce, le fiacche l’abbassano, e quindi il solo trasferirsi dal grave all’acuto e dall’acuto al grave
serve ad esprimere una qualche veemenza e debolezza d’affetti.
L’interrogazione cui si dà luogo fra le figure rettoriche contiene in se
stessa un non so che d’energia, e per tal cagione volontieri s’esprime
con un passo melodico che si muove dal grave verso l’acuto. Alterando
frattanto gli affetti gagliardi e deboli il tuono ordinario della nostra
voce, si compiace la musica per vivamente imitarli di porre in opera
delle voci alterate, e se l’alterazione è di accrescimento serve agli affetti forti, e se di scemamento agli affetti fiacchi. Si dividono le alterazioni in due generi, il primo de’quali comprende le voci modificate per un
semituono minore, ed il secondo le alterazioni che dipendono dall’ineguale accordatura dei comuni stromenti da tasto. La scala del modo per
terza maggiore rappresenta lo stato tranquillo dell’uomo, e gli intervalli, che alla base del modo stesso rispondono, si debbono considerare
come giusti. Paragonata la scala del modo per terza minore e dei cinque derivati con quella del modo per terza maggiore, se una qualche
corda cala, risveglia gli affetti deboli, se cresce risveglia gli affetti forti.
Anche le corde artificiali hanno parte nella imitazione degli affetti,
secondo che calano e crescono rispettivamente alle naturali. Giova
parimenti al movimento delle passioni fiacche e veementi il por tosto
in opera, quando si passa da tuono a tuono, quelle voci, e naturali e
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artificiali, che il nuovo tuono modifica o col B molle o col Diesis.
Nota finalmente il Co. Giordano qual parte abbiano nella espressione degli affetti deboli e forti le alterazioni di alcuni suoni, le quali
traggono l’origine dall’ineguale accordatura de’ comuni stromenti da
tasto. Queste modificazioni si dividono in due classi, cioè a dire di scemamento, e servono agli affetti fiacchi; di aumentazione, e servono agli
affetti veementi. Le voci con B molle sono più gravi, e le voci con Diesis
più acute di quello [che] succederebbe se ancora ad esse si accomunasse il temperamento delle voci che corrispondono ai tasti bianchi. Dalle
mentovate alterazioni piccole, ma sensibili nei varj B molli e nei varj
Diesis, e molto maggiori nei B molli e ne’ Diesis impropriamente tali,
quando ai tasti un forastiero nome si assegna, deriva l’indole varia dei
tuoni o per terza maggiore, o per terza minore che hanno luogo negli
usuali strumenti.
Hanno relazione alla musica le Notizie di Monsig. Agostino Steffani
Vescovo di Spiga etc. autore di alcuni duetti che si leggono nel t. XXXIII
della “N.[uova] R.[accolta] Calogeriana”; l’Esame del sistema musico di
M. Rameau nel t. XXI del “Giornale di Modena”; l’Esame del sistema
musico del Sig.r Giuseppe Tartini nel t. XXII dello stesso “Giornale”, e le
Riflessioni sopra il Libro primo della Scienza teorica, e pratica della moderna musica del P. Francescantonio Vallotti etc. nel t. XXIII. Ha parimente
scritto l’Esame del sistema musico del Sig.r Ab. Giuseppe Pizzati contenuto nella parte quinta della Scienza de’ suoni, e dell’armonia, ma questo non
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è ancor pubblicato. Nel t. XXXVI del mentovato “Giornale” si leggono
due sue lettere al dottissimo P. D. Giovenale Sacchi, nella prima delle
quali si paragonano i duetti dell’Handel e del Bononcini, e nella seconda si cerca la ragione per cui le arie a voce sola del Bononcini, quantunque scritte con ottimo contrappunto e con melodie a quel tempo
aggradevoli, riescano presentemente di gusto antico. Non tralascio di
far menzione di una lettera nel t. XIX della “Raccolta Ferrarese di
Opuscoli”, nella quale si spiega un passo enarmonico contenuto nella
seconda parte dell’aria Padre perdona o pene del valentissimo Sig.
Niccolò Jomelli, e fa vedere che il genere enarmonico non merita
un’esclusione assoluta dal contrappunto.
Più profondi studj ha impiegato nell’acustica il Co. Giordano.
L’anno 1767 uscirono in Bologna otto schediasmi che trattano delle
corde o fibre elastiche, solide o fluide, di ciascuno dei quali procurerò
di dare un’idea quanto basta chiara.
I. La proporzione fra le distensioni delle corde e le forze che le
producono non era stata per ancora rettamente determinata.
Richiedeva la soluzione di questo problema la preconoscenza d’una
proprietà delle corde elastiche, cioè ch’esse ripugnano alla distensione
anche prima che sia loro applicata veruna forza stirante: alla quale
ripugnanza dà il nome di rigidità naturale per distinguerla dall’artificiale, che si eguaglia alla forza tendente, da cui viene accresciuta la
renitenza delle corde a lasciarsi di nuovo allungare. Con tale sicura
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scorta è pervenuto felicemente alla meta nello schediasma primo, e la
perfetta corrispondenza fra la teorica e gli esperimenti l’assicura di non
aver traviato.
Gli è riuscito altresì di scoprire il tempo in cui una corda si vibra
per lungo, mentre il peso ad essa attaccato a vicenda ascende e discende. La trovata legge di oscillazioni è diversa da quella che regola le
vibrazioni trasversali delle corde a due scannelli appoggiate. Se una
corda si vibra per lungo, si pongono in moto la massa della corda ed il
suo peso tendente, ma se oscilla di traverso si muove la sola sua massa.
In oltre, trattandosi delle oscillazioni per lungo, va messa in computo
la rigidità naturale della corda, la quale nulla altera le minime vibrazioni trasversali della corda medesima.
Merita riflessione la rigidità grande delle corde di metallo equiva7 la naturale rigidità della corda di ottone tesa dal
lendo a libre 1134 13
peso di due libre dal Co. Riccati nella sperienza adoprata. Bisogna per
altro distinguere la rigidità, che ripugna alle distensioni delle corde,
dalla tenacità, che ne impedisce il rompimento sino ad un certo segno.
La rigidità naturale sta in equilibrio con una po[r]zione della tenacità,
e quando la rigidità naturale più l’artificiale giunge a superar la tenacità, allora la corda si rompe. Facendo uso della regola stabilita dall’accuratissimo M. Sauveur, ha trovato che quella parte di tenacità della
testé mentovata corda di ottone che rimaneva da vincere, era incomparabilmente minore della rigidità naturale, siccome quella che si egua-
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gliava soltanto a libre 12 in circa.
II. Col mezzo degli stessi discorsi usati nello schediasma I giunge
il Co. Giordano nello schediasma II a discoprire la proporzione fra le
compressioni di qual si voglia fluido e le forze che le producono. La
formola esprimente la detta proporzione ci mostra a dito che posta
eguale a nulla la rigidità naturale del fluido, si dilaterebbe questo all'infinito qualora non fosse da forza veruna compresso. Ora ella è tale la
natura dell'aria di tanto maggiormente rarefarsi quanto più scema il
peso premente, e per conseguenza essa è priva fisicamente di naturale
rigidità, e tutta la sua ripugnanza a nuova costipazione dalla rigidità
artificiale uguale alla pressione che soffre unicamente dipende. In oltre
l'aria si vibra colla legge d'un pendolo a cicloide, quando agitata da un
corpo sonoro ce ne porta il suono all'orecchio. Questo fluido frattanto
non potrebbe oscillare in sì fatta guisa, se le sue densità non fossero
proporzionali ai pesi comprimenti almeno nelle minime compressioni:
ed essendogli riuscito di provare che se le densità si adattano ad una
tal legge nelle infinitesime costipazioni, la debbono accettare parimenti nelle finite, ella è chiaramente dimostrata la proprietà dell'aria
ammessa dal comune dei Fisici, che le sue densità seguitano dalle forze
comprimenti la proporzione. Gli esperimenti sono favorevoli alla teorica quanto il comportano le particole eterogenee miste all'aria, le resistenze che nell'effettuare i detti esperimenti si deggiono superare, e lo
scemamento o l'aumentazione del calore nell'aria, che l'elasticità ne
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diminuisce o ne accresce.
III. Il Co. Jacopo Riccati padre del Co. Giordano nel t. I de'
«Supplementi al Giornale d'Italia» ha trattato prima di ogni altro della
proporzione che passa fra le affezioni sensibili e la forza degli obbietti esterni da cui vengono prodotte. Suppone egli che la forza dell'obbietto agisca tutta raccolta nel punto medio di ciascuna fibra dell'organo, la quale piegandosi formi un angolo; che risolta la forza in due che
tirino direttamente le due metà della fibra, cagionino esse forze le
distensioni nelle mentovate due metà; e che per ultimo le distensioni
sieno proporzionali alle forze che le producono. Ritenuta soltanto la
prima supposizione, e fatta la riflessione che gli allungamenti nelle
due metà della fibra non sono generati dalle forze che tendono direttamente, ma bensì dagli accrescimenti di tensione che sostengono
mentre la fibra si va ripiegando, determina la proporzione fra le forze
applicate a squadra alla metà delle fibre, o corde tese, e le saette, le
distensioni e gli accrescimenti di tensione che le dette forze nelle
nominate fibre cagionano.
Colla stessa occasione ragiona della relazione fra le affezioni sensibili e le forze degli obbietti esterni da cui vengono cagionate, e dopo
aver notato le alterazioni che producono nelle saette, nelle distensioni
e negli aumenti di tensione le varie misure delle lunghezze, delle tensioni e delle rigidità delle fibre, passa alle conseguenze fisiche e mette
sotto gli occhi di chi legge i vantaggi ed i discapiti degli organi, e quali
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effetti ne derivino in riguardo alle sensazioni.
Le saette determinate dalla teorica le paragona con quelle somministrate dalla sperienza, l'esattissima misura delle quali la rettifica col
mezzo dei suoni delle due metà della corda piegata in angolo dalle
forze che producono le mentovate saette. Quantunque gli esperimenti
vadano d'accordo colla teorica con quella maggior fisica adequazione
che in tali ricerche può mai sperarsi, non lascia d'avvertire che se alla
metà della corda si applicassero forze notabilmente più grandi delle
usate nelle sperienze che riferisce, ne risulterebbero saette alquanto
minori di quelle che richiede il suo canone, perché in esso si è trascurata la resistenza che a cagione della sua grossezza patisce la corda
nello piegarsi in tre siti, cioè a dire a mezzo e nelle due estremità.
IV. Non si otterrà mai di trovare il tempo in cui una corda fa una
vibrazione, se prima non si determina la figura alla quale nello vibrarsi si adatta. Nella soluzione di questo problema ha il Co. Giordano da
prima seguitato il metodo dell'acutissimo Signor Tayler. Non si è accorto il lodato Scrittore, che la costante da determinarsi dopo la seconda
integrazione poteva ricevere infiniti valori ai quali corrispondono
altrettante figure, a cui è concesso alla corda di adattarsi mentre si
vibra. Può dunque oscillare intera con un solo ventre di oscillazione, e
divisa in parti eguali con tanti ventri di oscillazione collocati a vicenda
uno al contrario dell'altro, quante sono le parti eguali.
Per intero compimento della soluzione del problema non ha tra-
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lasciato di provare che conformata la corda ad una delle curve determinate, e cominciando poi a vibrarsi, si adatta sempre in qualunque istante ad una curva di simil natura. E conciossiaché le corde esempigrazia
di un gravicembalo si sogliano incitare all'oscillazione con una penna
che in angolo le ripiega, ha dimostrato che non ritengono questa figura, ma nel tempo d'una vibrazione d'una corda intera si adattano con
un picciolissimo bilanciamento a quella curva composta di moltissime
curve semplici atte a rendere un suono solo, che più s'accosta alla figura che da prima avea fatto ad esse prender la penna. Dell'accennato
bilanciamento ne ha poscia trattato in quattro lettere dirette ad un
nobilissimo cavaliere bresciano, il Sig.r Co. Girolamo Fenaroli, e pubblicate nel «Giornale di Modena», nella seconda delle quali determina
l'equazione generalissima delle curve bilanciate ed isocrone, in cui non
si dà comunicazione di moto da una particola all'altra della corda.
Dopo le premesse specolazioni è riuscito facile il trovare il tempo
impiegato da una corda tesa nel fare una vibrazione. La formola a cui
si perviene c'insegna che i tempi d'una vibrazione della stessa corda
1 1 1 1 1
sono proporzionali ai termini della serie 1, 2 , 3 , 4 , 5 , 6 , etc. secondo
che oscilla intera e divisa in due, tre, quattro etc. parti eguali; e stando
i numeri delle vibrazioni effettuate in pari tempo, per cui si sogliono
esprimere i suoni, in ragione reciproca delle durate d'una vibrazione, la
corda potrà produrre i suoni dinotati dalla progressione 1, 2, 3, 4, 5, 6
etc. Essendo questi soli i suoni che sono atte a rendere le trombe mari-
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ne e da fiato, ed il corno da caccia, la teoria stabilita spiega chiaramente cotale fenomeno.
Potendo frattanto una corda accomodarsi alla curva composta di
tutte le curve semplici atte a rendere un suono solo, accaderà che si faccia sentire l'unione di tutti i suoni 1, 2, 3, 4, 5, 6 etc., la quale stupenda
proprietà con alcuni esperimenti fa il nostro autore toccare con mano.
Da questa stessa proprietà si deduce la legge della comunicazione dei
tremiti sonori da una corda all'altra, e col mezzo d'essa si rende ragione della bellissima sperienza del celebre Sig.r Giuseppe Tartini, il quale
ha scoperto che stimolate coll'arco due corde del violino i di cui suoni
si esprimano con numeri fra loro primi, purché il più picciolo di questi
numeri non pareggi l'unità, s'ode sempre in aria un terzo suono dalla
detta unità dinotato. Che se si finga una corda infinitamente lunga, una
porzione finita di questa corda idonea a generare qual si voglia suono
sarebbe parte aliquota della lunghezza infinita, e quindi la mentovata
corda potrebbe in se stessa ricevere qualunque suono. L'esposta riflessione gli dà il coraggio di proporre una conghiettura intorno la maravigliosa struttura dell'organo dell'orecchio.
Essendogli stata richiesta una distinta dichiarazione, qualmente
dalle figure e da moti appartenenti ad una corda che rende un suono
solo si compongano le figure che prende ed i movimenti che concepisce, ogni qual volta col suono principale della corda intera sono misti
quelli delle sue parti aliquote, ha mostrata la costruzione delle predet-
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te figure, ed ha fatto vedere che i punti della corda sono spinti dalla
forza acceleratrice necessaria, acciocché ne segua la data mescolanza di
suoni. L’internarsi in questi pensamenti ha prodotto altresì il non
dispregievole frutto che gli riesca di mettere nel suo vero lume la spiegazione fisica del terzo suono, che mediante due suoni forti e continuati si produce nell’aria secondo l’osservazione del sopralodato
Signor Giuseppe Tartini.
Il dottissimo Signor Jacopo Ermanno ha tentato, negli atti di
Lipsia dell’anno 1716, di trovare il tempo periodico di una corda sonora che si vibra, senza prima indagare la curva alla quale si adatta la predetta corda oscillando. Non accordandosi colla scoperta formola quella del Sig.r Ermanno, si è posto il Co. Giordano ad esaminarne la soluzione, la quale è senza dubbio per più titoli difettosa. Conciossiaché il
commendato Autore abbia sbagliato nel determinare l’azione esercitata dall’elasticità della corda, fa vedere il nostro Co. Riccati che nella sua
soluzione tacitamente ne ha computata la vera azione, ed una riflessione aprendo la strada ad un’altra, dimostra che i punti della corda non
si muovono per le ordinate della curva determinata, ma bensì per segmenti di parabole apolloniane, i quali nella grandezza e nella posizione si adeguano colle predette ordinate. Si inoltra poscia a cercare col
metodo delle azioni, fondamento principalissimo della meccanica, la
curva a cui dee conformarsi una corda oscillando, e gli si presenta la
stessa curva colla prima soluzione scoperta.
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Ella è ammirabile la proprietà delle corde sonore: che la rigidità
naturale non altera i tempi delle loro minime vibrazioni trasversali. Si
spiega chiaramente questo fenomeno col provare che la diversità della
rigidità non cagiona computabile alterazione nelle velocità dei punti
analoghi di due corde che nel solo elemento della rigidità differiscono.
Sebbene abbia supposte infinitesime le vibrazioni delle corde
sonore, le verità dimostrate si adattano alle minime fisiche oscillazioni,
le quali, o più ristrette o più dilatate, conservano sempre lo stesso tuono.
La conformità della sua soluzione coi fenomeni rende manifesto che ai
minimi geometrici si possono sempre sostituire i minimi fisici.
Pretendendo i sommi geometri Leonardo Eulero, d’Alembert,
Luigi de La Grange, ch’oltre le figure dal Co. Giordano scoperte, possa
una corda che si vibra prenderne infinite tutte fra loro diverse, ed al
contrario sostenendo il celebre Signor Daniele Bernoulli che la soluzione del Sig.r Tayler è sola capace di soddisfare a tutti i casi possibili del
problema di cui si parla, dà fine allo schediasma IV col metter in chiaro la ragione che lo persuade d’aderire alla sentenza di questo matematico insigne.
V. L’aria è il corpo che suona negli stromenti da fiato, e la corda
d’aria contenuta dentro una canna cilindrica d’organo fa le sue vibrazioni non altrimenti che una corda solida, essendo questa resa elastica
da una forza stirante, e quella da una forza premente. Quindi la stessa
formola determina i tempi delle oscillazioni tanto delle corde solide
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quanto delle fluide, e poiché nella seconda le forze comprimenti stanno come le loro basi, o come i quadrati dei loro diametri, i tempi delle
vibrazioni accettano la proporzione delle lunghezze di esse corde, purché a cagione del freddo o del caldo non si muti la proporzione fra la
densità dell’aria ed il peso che la comprime.
Serve la medesima formola anche per ritrovare il tempo in cui il
suono si diffonde per un dato spazio, e perciò una corda d’aria nel fare
una vibrazione, ed il suono nel viaggiare per uno spazio eguale alla
lunghezza d’essa corda, v’impiegano pari tempo. E conciossiaché il
suono cammini alquanto più lento l’inverno, ed alquanto più celere la
state, una canna d’organo per conseguenza renderà nella fredda stagione un suono un poco più grave che nella calda. S’inganna il dottissimo Signor Eulero attribuendo tutta agli strumenti da fiato la varietà
ascendente ad un tuono che si osserva nelle contrarie stagioni d’inverno e di estate, paragonandoli cogli strumenti da corda, imperciocché
dal Co. Giordano si dimostra che questi più di quelli sono soggetti ad
alterazione.
Una corda aerea, non meno che una solida, può generare i suoni
1, 2, 3, 4, 5, 6 etc. (e tali effettivamente li producono la tromba ed il
corno da caccia) secondo che trema o intera, o divisa in parti aliquote,
ed intanto i raggi sonori ci portano i suoni tutti all’orecchio, in quanto
che si possono considerare siccome corde d’infinita lunghezza, e qualunque corda finita atta a rendere un determinato suono è parte ali-
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quota d’una corda infinita. Riesce dunque inutile l’ipotesi di M. de
Mairan, che si è immaginato l’aria composta di particole di tutti i suoni,
fra le quali ogni suono faccia vibrare le unisone. Colla considerazione
dei suoni delle trombe deduce il nostro Autore all’assurdo questa opinione, non essendo concepibile il perché non possano oscillare dentro
la tromba le particole di tuono medio fra 1 e 2, fra il 2 ed il 3, fra il 3 ed
il 4, etc. Le spiegate leggi regolano altresì le vibrazioni delle corde
d’aria contenute nelle canne convergenti, divergenti, e di qual si voglia
diversa figura.
Dalla velocità del suono deduce il numero di vibrazioni che fa una
corda d’aria in un minuto secondo, e paragonando ciò che risulta dal
computo cogli esperimenti dell’accuratissimo M. Sauveur, dimostra col
raziocinio e colla sperienza che una corda d’aria dentro una canna
cilindrica d’organo, a cagione di replicate riflessioni che succedono, è
alquanto più lunga della canna predetta. Quindi ne derivano siccome
corollarj le ragioni per cui il tuono d’una canna cresca e cali, allargandone o ristringendone l’apertura superiore, e discenda all’ottava grave
quando la detta apertura totalmente si chiude. Il sopra lodato Signor
Eulero stabilisce troppo scarso il numero delle vibrazioni effettuate da
una canna di organo in un minuto secondo, perché in cambio d’indagare la densità dell’aria pura e sonora introduce nella formola quella
dell’aria mista colle particole eterogenee. Il numero delle oscillazioni
da lui determinate discorda soverchiamente dalle osservazioni di M.
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Sauveur, non potendosi mai presumere che un uomo così diligente
abbia di tanto sbagliato.
VI. Uno strumento musico riuscirà perfetto se renderà i suoni della
stessa indole grati e forti egualmente. Egli è noto quanto gli artefici
abbiano posto di studio nella fabbrica degli stromenti, ed infatti avendo il Co. Giordano cercato le misure che debbono assegnarsi alle corde
d’uno stromento ed alle canne dell’organo, acciocché producano suoni
del pari forti e aggradevoli, ha scoperto che la pratica e la teorica vanno
perfettamente d’accordo.
Io non riferirò il lungo giro di raziocinio col quale dimostra che due
corde tese da forze proporzionali alle loro basi, e fornite nell’oscillare di
eguali forze vive, generano suoni del pari forti; dirò bensì qualche cosa
dei limiti che ha stabilito affinché i suoni egualmente grati si sentano.
La corda grave pertanto paragonata coll’acuta non ha da essere più sottile, né oscillando ha da muoversi per uno spazio più picciolo. Le corde
egualmente grosse formano il primo limite, ed il secondo è determinato dalle corde che si vibrano per uguali spazj, le quali deggiono avere le
grossezze proporzionali alle lunghezze, se di pari forze vive hanno da
fare acquisto nello vibrarsi. In quegli stromenti ne’quali assegnandosi a
ciascun suono la sua corda particolare c’è un pieno arbitrio, l’arte sta di
mezzo tra i due confini estremi, assegnando alle corde grossezze tali
che stieno in una ragione mezzana fra quella di egualità e quella delle
lunghezze: e così effettivamente si pratica nei gravicembali.
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Egli è d’uopo ricorrere al primo limite in quegli stromenti nei quali
la stessa corda rende più suoni per opera delle dita della mano sinistra,
che in diversi siti la premono. In tale circostanza le corde che suonano,
egualmente grosse, e varie solo nella lunghezza, acquistano velocità in
siti analoghi che stanno in ragione inversa dimezzata dei tempi delle
loro vibrazioni. Ma facendosi in siffatti stromenti transito da una corda
all’altra, si è posto ad indagare qual proporzione debba assegnarsi alle
diverse grossezze, acciocché passando da corda a corda, la mentovata
legge della velocità si conservi, e ritenendo i suoni la stessa indole,
l’orecchio non si avveda, che ad una corda anzi che all’altra appartengano. Le grossezze adunque delle corde hanno da riferirsi nella proporzione dei tempi delle loro vibrazioni, e le esperienze fatte sopra le
corde del violino hanno reso certo il Co. Giordano che la pratica si conforma colla teorica.
Preso ad esaminare un gravicembalo lavorato da Vito de’
Trasuntini l’anno 1559, ha trovato che le grossezze delle corde stanno
quasi esattamente di mezzo fra i due stabiliti confini, e che le predette
corde acquistano eguali forze vive mentre che oscillano. In tutti i gravicembali e le spinette da lui osservati, poste al paragone le corde gravi
colle acute, le ha ritrovate alquanto più corte di quello [che] richiede la
proporzione fra i tempi delle loro vibrazioni. Da ciò nasce la conseguenza che le corde gravi, relativamente alla loro grossezza, sono un
po’ meno tese delle corde acute. Di questa costante pratica ne rende la
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ragione, e finalmente nota non essere arbitrario l’armare uno stromento con corde di qualunque grossezza, ed armato che sia l’usar forze a
capriccio per far suonar esse corde. L’esperienza uniforme alla teorica
ha insegnato ai pratici le confacenti grossezze delle corde e la congrua
misura delle forze presso che eguali della penna per interamente
pareggiare il vigore dei suoni.
Colla scorta delle verità poste in chiaro rispettivamente alle grossezze delle corde dei gravicembali, determinansi agevolmente le misure che debbono assegnarsi alle canne d’organo, acciocché rendano
suoni del pari forti e aggradevoli. Dai suoi discorsi risulta che moltiplicando per le lunghezze delle canne le potestà delle lunghezze in cui si
riferiscono le grossezze delle corde dei gravicembali, ne nascono prodotti ai quali le basi delle canne d’organo hanno da farsi proporzionali. Le grossezze delle corde accettino una ragione esattamente media
fra i due limiti sopra statuiti e si corrispondano nella proporzione delle
radici delle lunghezze; si moltiplichi questa per la ragione delle lunghezze e ne proverrà una terza ragione come le radici dei cubi delle
lunghezze, che alle basi delle canne d’organo dovrà dar regola.
Conseguentemente i diametri, o le circonferenze d’esse canne, avranno da stare come le radici quadrate dei cubi delle loro lunghezze.
L’organo vecchio della Cattedrale di Trevigi era un’opera molto
perfetta lavorata da Urbano da Venezia l’anno 1420. Misurate diligentissimamente le circonferenze di alcune canne, ha trovato che la prati-
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ca conviene esattamente colla teorica.
VII. Negli stromenti naturali o artificiali da fiato viene determinato il tuono o da quell’ingegno col quale si genera il suono, che rispettivamente ad alcuni stromenti si chiama imboccatura, o dalla lunghezza della corda d’aria contenuta dentro il corpo d’essi stromenti.
Seconda il suono una sola di queste cause se dell’altra è molto più
forte, e se ciò non s’avvera, egli è d’uopo che le due cagioni si uniscano a produrre lo stesso tuono, onde non s’oda un suono falso ed ingrato. Spiegato il modo col quale l’aria concepisce il suono, nota che dalla
imboccatura dipende il tuono del fischio, delle pivette, dei fagotti, e
degli oboè, e di certi registri d’organo con piva, come per esempio dei
tromboncini. Se v’ha corda d’aria in questi stromenti, dalla sua lunghezza non trae l’origine il tuono, ma la canna serve a dar maggior
corpo alla voce.
Alla stessa classe apparterrebbe anche la voce dell’uomo e di altri
animali, se conforme la sentenza dell’ingegnoso M. Dodart i tuoni
d’essa derivassero dalle varie aperture della glottide. Frattanto il dotto
M. Parruin ha scoperto, e con accuratissimi sperimenti confermato, che
le due labra della glottide più o meno tese debitamente, cagionano
della voce i diversi tuoni. Pensa il nostro Autore che i due lodati scrittori insieme conciliare si possano, riflettendo essere confacente alla
maggior perfezione della voce, che l’apertura della glottide e la tensione delle sue labbra si uniscano nella determinazione del medesimo
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tuono, calando quella colla dovuta proporzione, mentre questa si
aumenta. In sì fatta guisa nulla perdono di stima le belle considerazioni di M. Dodart intorno alle menomissime alterazioni dell’apertura
della glottide, che non supera una linea qualora si passa per minutissimi gradi dal grave all’acuto, oppure non mutando suono si fa transito
con picciolissimi incrementi o decrementi dal piano al forte, o a rovescio dal forte al piano.
Benché il tuono della canna d’organo, del flauto, del flauto traverso, dell’oboè etc. dipenda dalla lunghezza della corda d’aria che si
mette in oscillazione, nulladimeno bisogna talmente regolare l’imboccatura, che il fiato possa concepire un tremito unisono alla corda predetta. In fatti nella tromba, secondo che l’imboccatura opportunamente si modifica, suonano o la corda intera, o le sue parti aliquote.
Adattata al fagotto la pivetta dell’oboè, in cambio della corda intera o
la metà, o le terze parti si vibrerebbero.
Termina lo schediasma VII col riferire un’esperienza, la quale ci fa
toccar con mano che negli stromenti da fiato l’imboccatura e la corda
d’aria determinano il tuono, il quale obbedisce a quello dei due elementi che ha maggior forza. Se la corda d’aria è assai corta, la varia imboccatura ottiene considerabili cangiamenti di tuono, i quali vanno divenendo sempre minori conforme a che la corda d’aria si allunga. S’ode il
suono falso quando coll’imboccatura sento d’alterare il tuono d’una
lunga corda d’aria. In tale circostanza la mentovata corda non può
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vibrarsi isocrona, ma dentro certi limiti fa transito dal grave all’acuto, e
dall’acuto al grave, ed in ciò consiste la natura del suono falso, come più
distintamente dichiarerà il Co. Giordano nello schediasma X.
VIII. Questo schediasma è da cinque brevi dissertazioni formato,
ed ha per argomento la propagazione dei tremiti sonori nell’aria.
1. Suppone l’Autore nella prima disertazione che il suono si propaghi per linee o raggi che partono dal corpo sonoro quasi da centro, e
che tutti i punti aerei contenuti nel medesimo raggio si vibrino per
uguali spazj. Tre fenomeni: cioè a dire che oscillando un corpo sonoro
sente in diverse distanze lo stesso suono in riguardo al grave o all’acuto, che portandomi l’aria all’orecchio più suoni che differiscono soltanto nel piano e nel forte, debbono le sue particole necessariamente
vibrarsi colle leggi di un pendolo a cicloide, e che il suono viaggia equabilmente, gli aprono la strada a spiegare il quarto fenomeno, che al cessare delle vibrazioni del corpo sonoro cessano altresì le agitazioni nell’aria. Dimostra che le particole aeree, nell’atto di ridursi alla quiete,
ricuperano la loro ordinaria compressione, e che accoppiandosi in esse
la quiete coll’equilibrio, se questo non viene rotto da una nuova oscillazione o reciprocazione del corpo sonoro, più non si muovono.
Determina poscia gli spazj scorsi dai varj punti di una linea aerea
nell’istante che il primo punto della stessa, viaggiando per un dato
spazio, ha fatto una mezza vibrazione, e conciossiaché questi spazj
sono a grado a grado minori secondoché le particole distano maggior-
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mente dal principio dell’onda; si comprimono le particole stesse e dalla
differenza delle compressioni di due particole contigue nasce la forza
sollecitante all’oscillazione la particola meno compressa, che si tramuta in forza acceleratrice qualora si divida per la massa della mentovata
particola. Essendogli riuscito di trovare le forze acceleratrici proporzionali agli spazi da percorrersi, si scopre possibile nell’aria il moto simile
a quello d’un pendolo a cicloide, che colla scorta dei fenomeni è stato
da lui supposto.
Passa a stabilire la velocità con la quale si propaga il suono e ne
deduce per corollario che, nel tempo d’una vibrazione d’una canna
d’organo, il suono si diffonde ad una distanza uguale alla lunghezza
della corda d’aria dalla canna compresa. Ha nominato piuttosto la lunghezza della corda d’aria che la lunghezza della canna perché, come ha
avvertito nello schediasma V, quella è alquanto maggiore di questa. Si
raccoglie dalla formola della velocità del suono che, nella stessa stagione, e sia esso debole o forte, grave od acuto, cammina egualmente
veloce. Il caldo minora la densità dell’aria, il freddo l’accresce, e quindi
la formola mentovata c’insegna che la celerità del suono nella state è
maggiore che nell’inverno; la qual varietà dall’accuratissimo Sig.r
Lodovico Bianconi è stata confermata colla sperienza.
Se per ridurre a computo la velocità del suono s’introduce nella
formola la densità dell’aria mista colle particole eterogenee, la quale sta
a quella del mercurio come 1 : 11826, si scopre che in un minuto secon-
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do dovrebbe il suono viaggiare piedi parigini 912, mentre realmente ne
scorre 1038. Ha ottimamente avvertito il Cav. Newton che le dette particole eterogenee, poco elastiche e meno costipabili, non sono atte a
concepire le vibrazioni sonore e quindi, preso siccome dato il viaggio
del suono manifestatoci dagli esperimenti col mezzo della nostra formola, stabiliremo la densità dell’aria pura e sonora, che nelle medie
stagioni si riferisce a quella del mercurio nella proporzione di 1:15294.
La proprietà che una canna d’organo fa una vibrazione nel tempo
stesso in cui il suono si propaga per uno spazio uguale alla lunghezza
della corda d’aria contenuta dentro la canna, ci servirebbe di scorta per
calcolare la velocità del suono se potessero supporsi del pari lunghe la
corda d’aria e la canna. Ammessa questa supposizione ed appoggiandoci agli esperimenti di M. Sauveur intorno alle canne d’organo di
cinque piedi, troveremo che il suono, il quale di fatto cammina piedi
1038 in un minuto secondo, ne dovrebbe scorrere 1020. Quindi,
mediante il viaggio reale del suono, si stabilisce la proporzione come
1020:1038, o sia prossimamente come 57:58, fra la lunghezza d’una
canna d’organo di cinque piedi e quella della tortuosa corda d’aria che
dentro la canna stessa va serpeggiando. Conciossiaché il dottissimo
Sig.r Luigi de la Grange nel tomo primo della Società di Turino condanni il metodo col quale il Cav. Newton determina la velocità del
suono, prende il Co. Giordano dello stesso metodo la difesa e mostra
che le formole del Sig.r de la Grange, ridotte al giusto, conducono alla
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medesima conseguenza del Newton, ch’egli avea giudicato ripugnare
alla natura dell’aria.
2. Essendo il Newton stato incolpato di petizion di principio, la
seconda dissertazione fa manifestamente toccar con mano non esser
giusta l’accusa, imperciocché supponendo che le particole aeree situate nel medesimo raggio si vibrino a guisa di un pendolo a cicloide per
ispazj, che vadano scemando secondoché le particole stesse son più
rimote dal corpo sonoro, e valendosi dello stesso metodo come nella
prima dissertazione, trova che le forze acceleratrici non sono proporzionali agli spazj da percorrersi, e che per conseguenza l’aria nella
mentovata ipotesi non potrebbe (qualmente s’era malamente supposto) oscillare colla legge di un pendolo a cicloide. Se il metodo peccasse di petizion di principio, si dovrebbero scoprire anche in tal caso le
forze acceleratrici come gli spazj da scorrersi; ma succedendo il contrario, cade l’accusa ed il metodo si dimostra incolpabile. S’incorrerebbe
in petizion di principio, se dalla supposizione che le particole aeree
oscillino non altrimenti che un pendolo a cicloide, si deducesse che le
forze acceleratrici si riferiscono nella ragione degli spazj che restano da
passarsi. Questa non è la strada che batte l’autore. Del moto supposto
raccoglie la costipazione delle particole, e dalla costipazione le forze
acceleratrici, le quali trovandosi a dovere soltanto nella ipotesi che il
suono si propaghi per linee o raggi e che le particole tutte collocate
nello stesso raggio si vibrino per eguali spazj, si rende manifesta l’ag-
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giustatezza del metodo.
3. Esamina nella terza dissertazione se l’aria possa vibrarsi colla
legge dei pendoli a cicloide, nella supposizione che il suono per settori sferici si propaghi, e presentandoglisi forze acceleratrici che non
abbracciano la proporzione degli spazj da percorrersi, dimostra non
essere possibile che il suono si diffonda in tal guisa. Ponendo anche qui
in opera il metodo delle due prime dissertazioni, sempre più si conferma ch’esso va esente dalla nota di petizion di principio.
4. L’acutissimo Sig.r Leonardo Eulero, nella dissertazione sopra la
natura del fuoco, stabilisce la velocità del suono con una formola differente dalla newtoniana, dal Co. Giordano parimente abbracciata.
Dandoci essa formola la velocità del suono maggiore del giusto, anche
quando s’introduce nel calcolo la densità dell’aria mista colle particole
eterogenee, molto peggio succederebbe se si mettesse a computo la
densità dell’aria pura, la quale unicamente è capace di ricevere e di
comunicare le vibrazioni sonore. Ora, quantunque questa sola riflessione discopra la falsità della formola del commendato Scrittore, ha
dedotto il Co. Riccati da essa la curva che rispettivamente alle distanze
dal primo punto d’una corda aerea determina gli spazj scorsi dai punti
della corda stessa nell’istante che il primo punto ha una mezza vibrazione compiuto, e mettendoci la mentovata curva sotto gli occhi un
fisico assurdo, ha fatto toccar con mano che la formola del Sig.r Eulero
non si accorda colla verità. Ed in fatti, secondoché le particole aeree si
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discostano dal principio del raggio sonoro, i detti spazj vanno scemando, in un dato punto lo spazio è nullo, diventano poscia gli spazj negativi, e finalmente lo spazio torna ad eguagliarsi al nulla in un altro
punto. Nella mezza vibrazione del primo punto del raggio scopre la
ragione per cui tutti i punti sino al primo punto di quiete s’abbiano da
movere per la medesima direzione. Ma, passato il punto immobile, non
giunge ad intendere qualmente i punti situati fra i due punti di quiete
possano oscillare per la direzione contraria.
5. Partecipati questi pensamenti al dottissimo P. D. Paolo Frisi, gli
propose questi di rintracciare se si potesse salvare la formola
dell’Eulero supponendo che tutte le particole d’aria componenti l’onda, benché nello stesso istante compiano il movimento, non lo principino però nell’istante medesimo, di modo che dall’una all’altra successivamente il tremito si comunichi. Accettata questa supposizione siccome vera, le particole aeree impiegherebbero nell’oscillare un tempo
tanto più picciolo, quanto fossero più prossime all’ultimo punto dell’onda. Perciò ogni particola produrrebbe un suono diverso, il quale si
sentirebbe vie più acuto secondo che l’orecchio si avvicinasse al fine
dell’onda: ma in qual si voglia sito s’ode lo stesso suono unisono a
quello del corpo sonoro; dunque le vibrazioni dell’onde aeree non si
conformano all’ipotesi proposta da esaminare.
A questa palpabile osservazione aggiunge la costruzione della
curva determinante gli spazj scorsi dalle particole aeree contenute nel-
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l’onda stessa, quando nel medesimo istante hanno compiuta un’oscillazione e gli si presentano dei fisici assurdi maggiori di quello nella
quarta disertazione considerato.
Oltre a ciò, essendo innegabile che le particole aeree ricevono dal
corpo sonoro la forza viva acquistata nell’oscillare, dimostra la ripugnante conseguenza che la forza viva delle mentovate particole supererebbe quella del corpo sonoro, di modo che l’effetto eccederebbe la
propria cagione.
Conchiude finalmente col provare che il moto non potrebbe far
transito da un’onda all’altra, ma nella sola onda prima sarebbe obbligato a fermarsi, e dall’aggregato dei notati inconvenienti ne inferisce
doversi cancellare la ipotesi di cui si parla dal libro della natura.
Al primo tomo dei riferiti schediasmi dovea succedere il secondo
che ne conteneva altri cinque, la cui edizione è stata frastornata dalla
partenza da Bologna del P. Vincenzo Riccati per le vicende della sua
religione. Darò un’idea sufficiente anche di questi schediasmi.
IX e X. Indagando l’autore le vibrazioni della pelle del tamburo e
delle corde inegualmente grosse, la cui ineguale grossezza è regolata
da una legge costante, che somministrano l’argomento agli schediasmi
IX e X, sèguita lo stesso metodo usato in riguardo alle oscillazioni delle
corde egualmente grosse, cercando prima quelle curve a cui possono
adattarsi, fornite della condizione che le forze acceleratrici delle minime fibre accettino la proporzione delle corrispondenti ordinate, e da
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esse curve poi deducendo i tempi delle vibrazioni. In sì fatta guisa si
determinano i suoni tutti unici e dirò così solitarj, che può rendere, per
esempio, una data corda, i quali richiedono che le mentovate forze stieno come le ordinate, e che tutti i punti della corda giungano nello stesso istante in quel sito che occupano quando la corda stessa sta in equilibrio ed in quiete, ed in un altro istante parimente pervengano allo
stato di quiete, impiegandovi nel passaggio da uno stato all’altro di
quiete quel tempo che esige il suono prodotto. Le predette curve le
chiama semplici, perché accomodandosi ad esse il corpo sonoro, produce un suono solo.
Le curve composte nascono dall’unione delle semplici, e quante
curve semplici c’entrano nella formazione della curva composta,
altrettanti suoni produconsi. Quando si batte una corda non ne risulta mai un suono solo: senonché il suono più grave è talmente predominante che copre gli altri, né gli lascia discernere, salvo che con molta
attenzione.
Se stimolata una corda si generano i suoni 1, 2, 3, 4, 5, 6, etc., i suoi
punti non si riducono in linea retta nel medesimo momento, ma si
avvera bensì la condizione che, nel tempo d’una vibrazione del suono
1, passano da uno stato all’altro di quiete assoluta. Si danno altresì gli
stati di quiete relativa propri dei suoni 2, 3, 4, 5, 6, etc., e l’intervallo di
tempo fra due prossimi stati di quiete, benché relativa, si rende manifesto al senso e serve per distinguere i detti suoni.
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Che se i suoni che può rendere una corda si corrispondono in
ragioni assimetre, e che almeno due se ne congiungano insieme, la
corda non può mai pervenire ad uno stato di quiete assoluta.
Nulladimeno gli stati di quiete relativa confacenti ai diversi suoni servono di appoggio all’orecchio per conoscere i suoni stessi, e poiché il
più grave è assai più vigoroso degli altri, se ne formerà idea distinta ed
agevolmente s’intuonerà. Di tal natura si è la corda la cui grossezza sia
inversamente come la radice cubica del quadrato quadrato dell’assissa,
delle cui vibrazioni tratta il Co. Giordano nell’esempio III dello schediasma X.
Pensa il dottissimo Sig.r Leonardo Eulero, nel t. III della Società
Real di Turino pag. 54-55, che la predetta corda non possa concepire
vibrazioni regolari ed isocrone, se non in alcuni incontri che dipendono dallo stato iniziale al quale la corda sia stata ridotta. Se la corda si
ripiegherà in una di quelle curve dalle quali un suono solo ne nasce, le
sue vibrazioni saranno regolari ed isocrone, e nel tempo conveniente al
suono prodotto passerà da uno stato all'altro di quiete assoluta. Ma se
la curva sarà composta da più d'una curva semplice, benché non si dia
stato di quiete assoluta, esistono nondimeno gli stati di quiete relativa,
il che è sufficiente onde si possa con verità asserire che la corda sia
capace di vibrazioni regolari ed isocrone. Ed in fatti se con qualche artificio riuscisse di formare una tal corda, se ne distinguerebbero perfettamente i suoni, e specialmente il più grave e predominante, il quale
40
s'intuonerebbe con esattezza. Conferma il Co. Riccati evidentemente la
sua asserzione coll'esempio dei cilindri sonori, dei cui suoni l'orecchio
ne forma una giusta idea, quantunque l'aggregato loro in proporzioni
sorde si corrisponda. Se il mentovato famoso Autore si fosse accorto
che la corda può produrre una mistura di suoni, ci avrebbe veduto più
addentro nella presente materia.
Non sono capaci di vibrazioni regolari ed isocrone quelle corde la
cui ineguale grossezza non è diretta da una legge costante, le quali non
possono accomodarsi a curve dotate della proprietà che le forze acceleratrici serbino la ragione delle ordinate, e quindi le predette corde
non possono mai vibrarsi colla legge d'un pendolo a cicloide. Non si
danno in esse stati di quiete né assoluta, né relativa comuni alle corde
intere, ma una particola ci giunge prima e l'altra dopo. Inoltre sono varj
gli intervalli di tempo fra due stati prossimi di quiete, non solo in diverse particole, ma ancora nella particola stessa, di modo che il tuono riesce sempre incerto, né può dall'orecchio apprezzarsi: e questa è la vera
idea di que' suoni che si chiamano falsi, la quale sino al presente non
è caduta in mente salvo che al nostro Autore.
Da una tal idea dipende la spiegazione di un curioso fenomeno,
cioè per qual cagione alcuni sieno forniti d'orecchio musico ed altri
no. Pensa il Co. Riccati che ciò dipenda dalla struttura del nervo uditorio, mediante la quale sia esso atto o non atto a concepire vibrazioni regolari.
41
Le corde idonee ad oscillare colla legge d'un pendolo a cicloide, o
si adattino a curve semplici producenti un suono solo, o pure a curve
composte relative ad un aggregato di più suoni, si vibrano sempre talmente equilibrate che una particola non influisce nel movimento dell'altra. Con tale condizione si rendono note le loro vibrazioni, se non
altro meccanicamente, mediante l'ajuto del moto trattorio, quando
nelle equazioni differenziali non riesce di separar le variabili. Ma se
qualcuna delle corde mentovate si accomoda ad una figura sbilanciata,
segue tosto comunicazione di moto fra le particole, sin tanto che ne
risulti una figura equilibrata. Che ciò succeda si rende manifesto dal
suono giusto che rende la corda, la quale, passando da uno stato all'altro di quiete, c'impiega il tempo d'una sua vibrazione.
Le particole delle corde che generano un suono falso si comunicano sempre il moto senza che possano mai formar tali curve, né concepire tali velocità, che le forze acceleratrici cangino soltanto lo stato in
quelle particole a cui sono applicate. Da ciò dipende l'incertezza del
suono e quella insuperabile difficoltà che s'incontrerebbe accingendosi all'impresa di rintracciare il moto di tali corde.
Si conchiuda dunque col Co. Giordano che l'unica maniera di trattare con frutto e con verità delle vibrazioni delle corde sonore capaci di
vibrarsi regolarmente consiste nel cercare prima le curve semplici, nelle
quali ripiegandosi producono un suono solo, e passar poi colla composizione di dette curve alla generazione di quelle che sono relative ad un
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aggregato di suoni. In queste sole, e non in altre maniere, si possono
permanentemente vibrare le nostre corde.
Conciossiaché le curve semplici, alle quali possono accomodarsi la
pelle del tamburo e le corde triangolari e coniche, siano espresse da
equazioni differenziali in cui non riesce di separar le variabili, merita
osservazione l'artificio col quale il nostro Autore determina col calcolo
i tempi delle loro vibrazioni, cercando primieramente sì fatti tempi
quando le curve sono fornite d'un numero infinito di ventri, e passando poi a stabilire i tempi predetti quando il numero dei ventri è finito.
La similitudine fra i volumi interi e le loro parti dei settori circolari
componenti la pelle del tamburo e delle corde triangolari o coniche, gli
aprono la strada al mentovato transito dalla legge dei tempi adattata al
numero infinito dei ventri alla legge generale.
XI. Quantunque il metodo col quale tratta delle vibrazioni sonore dei
cilindri, l'abbia preso dall'appendice sopra le curve elastiche aggiunta
dal chiarissimo Sig.r Leonardo Eulero alla sua famosa opera Methodus
inveniendi curvas maximi minimive proprietate gaudentes, nulladimeno
ha presa risoluzione di non tener celato questo lavoro fra i suoi manoscritti, e perché ha sparso più chiaro lume sopra l'oscuro argomento, e
perché l'ha arricchito di qualche scoperta, e perché gli è riuscito di
notare qualche sbaglio che non manca di segnare opportunamente
nelle sublimi meditazioni del profondissimo Autore.
Quella forza alla quale il Sig.r Eulero dà il titolo di elasticità asso-
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luta d'una lamina parallelepipeda, l'asserisce senza dimostrarlo proporzionale al prodotto della rigidità della materia, della larghezza della
lamina, e del quadrato della grossezza. Se il Co. Giordano per la strada calcata rispettivamente ai cilindri avesse cercato il valore della predetta forza, l'avrebbe trovata in ragione composta della rigidità della
materia, della larghezza della lamina, e del cubo, non del quadrato
della sua grossezza. Lo sbaglio avvertito influisce nella legge dei tempi
delle vibrazioni delle lamine elastiche stabilita dal Sig.r Eulero, alla
quale non si adattano gli esperimenti, se non nella circostanza che le
lamine sieno ugualmente grosse.
In riguardo ai cilindri dimostra il nostro Autore la mentovata forza
in ragione composta del quadrato-quadrato del diametro del cilindro
che si vibra e della rigidità della materia della quale è formato. Questa
forza peraltro, anziché affermarla eguale all'elasticità del cilindro, merita d'esser chiamata equipollente alla stessa elasticità, qualmente dalla
dimostrazione del Co. Giordano chiaramente raccogliesi.
Ma il principale motivo che l'ha indotto a donare al pubblico lo
schediasma XI, si è che il Sig.r Eulero omette la metà dei suoni che può
produrre una lamina, pretendendo che un nodo, o sito di quiete, non
possa mai cadere alla metà della lunghezza della lamina stessa. Fa
vedere il contrario rispettivamente ai cilindri e la sua dimostrazione si
accomoda interamente alle lamine. L'esperienza favorisce i suoi pensamenti, imperciocché sostenendo in bilico la lamina sopra un dito, ed
44
indi battendola, rende un suono chiaro che non viene punto frastornato dal dito che la tocca in un sito immobile.
Verso il fine dello schediasma insegna la maniera di stabilire la proporzione fra le rigidità delle materie onde varj cilindri sono composti.
Chiude finalmente la sua fatica col determinare la ragione fra le
lunghezze ed i diametri dei cilindri gravi ed acuti, acciocché rendano
suoni egualmente forti e aggradevoli. Essendo di poco uso gli strumenti musici composti di cilindri, e lavorandosene in picciola quantità, non
hanno potuto i pratici colle iterate sperienze ridurli a quella perfezione
di cui sono capaci. Perciò mette sotto gli occhi di chi legge una tavola
che per lo spazio di due ottave contenga le misure relative delle lunghezze e dei diametri dei cilindri, ed aggiunge le avvertenze necessarie per valersi di essa tavola con profitto.
XII. La comunicazione del moto fra due corpi si effettua senza
dubbio per opera di una forza media inviscerata nei corpi stessi, che
accelera uno o ritarda l'altro, oppure li accelera o li ritarda amendue,
secondo la varietà delle circostanze. Maravigliosa cosa si è che, assumendo siccome date le velocità iniziali e le masse di due corpi perfettamente molli o elastici, ne risultano sempre le stesse due serie di velocità dal principio della comunicazione del moto sino al suo compimento, qualunque sia la natura della forza media predetta.
Dipendendo frattanto essa forza media dalla rigidità e dalla figura dei
corpi, chiaramente si vede che queste nulla influiscono nella determi-
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nazione delle velocità corrispondenti dei corpi fra i quali segue la
comunicazione del movimento. Inoltre, cangiata ad arbitrio la forza
media, l'aggregato dei due corpi avrà sempre perduta la stessa massima misura di forza viva quando, compiuta la comunicazione del moto
colle leggi dei corpi molli, camminano essi corpi con pari velocità, ed
avrà sempre ricuperata la forza viva primiera quando sarà giunta al
termine la partecipazione del moto giusto ai canoni dei corpi elastici.
S'aggiunga che s'impiegheranno costantemente due tempi uguali nel
transito dalle velocità primitive alla media comune ai due corpi, e dalla
media alle terminali.
La diversa rigidità e figura dei corpi cagiona gli unici effetti di alterare gli spazj scorsi dai corpi nell'atto di parteciparsi il moto, ed i tempi
impiegati a percorrerli. Per istabilire questi spazj e questi tempi, egli è
d'uopo che sia cognita l'indole e l'energia della forza media. E poiché
ciò s'ignora generalmente, gli è caduto in pensiero di supporre che il
moto si comunichi mediante una corda elastica, le di cui forze rispettivamente alle distensioni sono state dal nostro Autore determinate
nello schediasma I. In tal ipotesi trova gli spazj passati dai corpi, i
tempi spesi nel passarli, e le velocità che in ciascun istante ai corpi
competono.
Seguendo le minime compressioni dei cilindri la stessa legge delle
minime distensioni delle corde, gli è riuscito di scoprire il tempo in cui
due cilindri della stessa materia, e forniti di basi uguali, si comunicano
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il moto urtando direttamente una base nell'altra con velocità relativa
che sia minima in riguardo alla rigidità della materia onde i cilindri
stessi sono formati.
Colla scorta dei cilindri e dei parallelepipedi, nei quali è conosciuta la relazione fra le compressioni e le forze comprimenti, si può determinare il tempo in cui, urtandosi con minima velocità relativa, si comunicano il moto altri corpi, e questa proposizione la conferma con un
esempio.
XIII. Conciossiaché abbia inutilmente tentata la costruzione della
curva descritta dalla ghianda di un pendolo, mettendo a computo la
distensione della corda alla quale è appesa la ghianda stessa, si ristringe il Co. Giordano a determinare nello schediasma XIII il massimo
allungamento nella corda prodotto. Mette questo schediasma in chiaro lume la maniera con cui deggionsi maneggiare i problemi nei quali
c'entra la forza centrifuga. L'anno 1763 ha il nostro Autore pubblicato
nella «Raccolta di Lucca» una dissertazione che tratta della vera origine e natura della forza centrifuga, in cui fa vedere che la predetta forza
nasce dalla perdita di forza viva infinitesima del secondo grado in
tempo minimo del primo grado. Quindi alla forza centrifuga non si
può attribuire salvoché quella menomissima azione che restituisce la
forza viva perduta. E se il problema richiede che le si assegni maggior
azione, fa di mestieri aggiustar le partite detraendo dall'azione di
un'altra forza quella quantità che si è concessa alla forza centrifuga.
47
Non essendo stata effettuata l'edizione del t. II degli schediasmi che
trattano delle corde o fibre elastiche, ha il Co. Giordano pubblicato lo
schediasma IX nei «Saggi scientifici e letterari dell'Accademia di
Padova», ed il X nel «Prodromo della Nuova Enciclopedia Italiana»,
apponendovi il titolo Suono falso. Gli schediasmi XI e XIII si leggono nei
tomi primo e quarto delle «Memorie di matematica e di fisica della
Società Italiana», e resta soltanto inedito lo schediasma XII.
Dopo aver dato un'idea sufficiente dei lavori del Co. Giordano
intorno all'architettura, alla musica ed all'acustica, mi ristringerò a
porre sotto gli occhi di chi legge un catalogo delle molte dissertazioni
che ha pubblicato, tralasciando per altro quelle che ho nominato.
Supplementi all'Elogio del P. D. Ramiro Rampinelli Bresciano etc.,
stampato nel “Giornale di Roma” MDCCLIX. Leggesi nelle “Nuove
Memorie per servire all'Istoria letteraria”, tomo terzo, in Venezia,
MDCCLX, appresso Silvestro Marzini, in 8o, pag. 171.
Informazione intorno all'opera Elementa Geometriae infinitesimorum,
Auctore P. Hieronimo Saladini Lucensi etc., Libri tres, Bononiae, MDCCLX,
ex Typographia S. Thomae Aquinatis. Nelle “Nuove Memorie per servire
all'Istoria letteraria”, tomo quinto, in Venezia, MDCCLXI, appresso
Giorgio Fossati, in 8o, pag. 273.
Nella “Nuova Raccolta Calogeriana”, in Venezia, presso Simone
Occhi, in 12o, si contengono le seguenti dissertazioni:
Determinare le leggi della comunicazione del moto fra i corpi molli
48
senza far uso di verun principio che dai Cartesiani e dai Leibniziani possa
essere contrastato, MDCCLXIV, pag. 349, t. XII.
Soluzione della difficoltà proposta dal dottissimo P. D. Girolamo
Saladini monaco celestino intorno ad una proposizione contenuta nell’opera
delle corde ovvero fibre elastiche del Co. Giordano Riccati, schediasma I, n.
XX, cioè che un peso minore della rigidità naturale di una corda la rompe,
MDCCLXX, tomo XIX, p. 287.
Riflessioni del Sig.r Co. Giordano Riccati sopra l'annotazione allo schediasma XXXVI, contenuto nel tomo III delle Opere del Sig.r Co. Jacopo
Riccati, MDCCLXX, tomo XIX, pag. 295.
Spiegazione d'una esperienza, tomo XXI.
Delle figure piane isoperimetre contenenti la massima superficie, t. XXIII.
Osservazioni sopra la necessità delle leggi dinamiche, tomo XXV.
Che lo studio delle matematiche non favorisce la miscredenza, t.
XXVIII. Questa dissertazione è citata dal P. Antonino Valsecchi
Pub.[blico] Prim.[ario] Professore di Teologia nella Università di
Padova nella Religion vincitrice, parte prima, pag. 133.
Parere sopra la forza viva, t. XXX.
Del centro della percossa, t. XXXI. È generale la soluzione di questo
problema, ed il metodo piano e facile usato dall'Autore merita d'essere considerato.
Nel tomo III delle opere del Co. Jacopo Riccati, in Lucca,
MDCCLXIV, appresso Jacopo Giusti, in 4o, che contiene XXXIX sche-
49
diasmi fisico-matematici, sono del Co. Giordano le tre seguenti scientifiche annotazioni:
Annotazione allo schediasma XXIII: Verae et germanae virium elasticarum leges ex phoenomenis demonstratae, pag. 258;
Annotazione allo schediasma XXVI: Della proporzione che passa fra
le affezioni sensibili e la forza degli obbietti esterni da cui vengono prodotte,
pag. 299. Gli schediasmi I e III: Delle corde, ovvero fibre elastiche, sono
una cosa stessa colle suddette due annotazioni;
Annotazione allo schediasma XXXVI: Difesa del corollario II della
proposizione XXXVI del lib. II dei Principj matematici della filosofia naturale del Cav. Isacco Newton, pag. 449.
Questa annotazione unitamente colle Riflessioni sopra la stessa già
mentovata, ci somministra un compiuto schediasma. Quelle forze derivate, che nascono dall'azione impedita d'una forza primitiva, svaniscono rimosso che sia l'ostacolo. Quindi la pressione uguale al peso della
colonna d'acqua sovrastante, che soffre la porzione del fondo del vaso
dove s'apre il foro, s'annienta allo schiudersi del foro stesso. Mentre
l'acqua comincia a scaturire dal buco è sollecitata da una forza minima,
la quale va gradatamente crescendo sintanto che diviene uguale al
doppio peso della sovra imminente colonna d'acqua, quando la velocità dell'acqua giunta ad esser equabile s'eguaglia a quella che avrebbe
acquistato un grave discendendo dall'altezza a cui l'acqua si sostiene
dentro del vaso.
50
Nell'annotazione di cui si parla, determina il Co. Giordano la figura del gorgo, che la natura formerebbe in un vaso cilindrico ripieno
d'acqua nel centro del cui fondo sia aperto un foro circolare, nella supposizione che l'acqua nel gorgo si accelerasse colla legge dei gravi
cadenti per la linea del piombo. Non essendo contento di questa figura ipotetica, è giunto a scoprire col calcolo delle variazioni la vera figura del gorgo, nascente dal girarsi d'un'ellisse di grado infinito intorno
al suo minimo semiasse, parallelo ai lati del vaso e che passa pel centro del fondo. A tale figura procura la natura di accostarsi quanto lo
permettono le resistenze e la grandezza menomissima delle particole
acquee, ma dentro i limiti del finito. Leggesi la memoria supra tale
argomento nel tomo III della Società Italiana alla pag. 238.
Il “Nuovo Giornale de' Letterati d'Italia”, che si stampa in
Modena, contiene parecchie dissertazioni del nostro Autore, delle quali
precedentemente non mentovate metterò qui sotto la serie.
Lettera del Sig.r Co. Giordano Riccati al Sig.r Arcipr. Giambattista
Nicolai, professore di analisi nella Università di Padova, in cui nuovamente
si difende dalla nota di petizion di principio la formola colla quale il Cav.
Newton determina la velocità della propagazione del suono per l'aria, t. XII,
n. XI, pag. 320.
Ella è cosa meravigliosa che le stesse ragioni che adduce il Ch.
Sig.r Ab. Frisi nella seconda parte della Cosmografia fisico-matematica
per seguire ad accusar il Newton di petizion di principio, l'assolvono
51
potentemente.
Risposta alle Riflessioni analitiche del Sig.r Ab. Gioacchino Pessuti, già
professore di matematica nel Corpo dei Cadetti Nobili di Pietroburgo sopra
una lettera scrittagli dal Sig.r Ab. Co. Vincenzo Riccati, ed inserita ultimamente nella «Nuova Raccolta di Opuscoli Scientifici e Filologici» stampata
in Venezia nell'anno 1776, t. XV, n. VI, pag. 144.
Ha il Co. Giordano pubblicato anonima questa Risposta fingendone autore un discepolo del Co. Vincenzo suo fratello. Merita d'esser
letta la lettera del dottissimo Sig.r Ab. Giuseppe Contarelli nel tomo
XVIII del predetto “Giornale”n. V, pag. 107, diretta all'autore anonimo,
nella quale cerca e determina le ragioni per cui l'Anonimo non ha
aggiunta la costante nell'integrazione d'una formola, e dopo aver
dimostrato che l'ha lecitamente tralasciata, prova innegabile la conseguenza dedotta: che ai numeri positivi e negativi competono i medesimi logaritmi.
Sopra i logaritmi dei numeri negativi lettere cinque del Sig.r Co. Ab.
Vincenzo Riccati al Sig.r Ab. Jacopo Pellizzari, allora professore di fisica e di
geometria nel seminario di Treviso, ora per la prima volta pubblicate; alle
quali se ne aggiunge una del Sig.r Co. Giordano Riccati, tomo XVI, n. VII,
pag. 157.
Fa toccare con mano il Co. Giordano che ridotta generale la formola esponenziale della logaritmica, i logaritmi dei numeri negativi
sono eguali a quelli dei numeri positivi.
52
Della rissoluzione cardanica dell'equazioni del terzo grado, tomo XXIV,
n. VII, pag. 170.
Maneggiato questo argomento per tutte le viste, finalmente conchiude che nel caso irreducibile spettando la formola cardanica alla
curva trascendente dei coseni circolari, egli è onninamente impossibile lo scioglierla algebraicamente.
Lettera del Sig.r Co. Giordano Riccati al Sig.r Abate Contarelli intorno
alle Riflessioni sulla verità di alcuni paradossi analitici creduti comunemente paralogismi, contenuta nei num.i I e II del “Giornale Letterato dai Confini
d'Italia”, tomo XXVIII, n. VII, pag. 256.
Era stato accusato il Co. Giordano di aver posto il reale eguale
all'immaginario nella Dissertazione della risoluzione cardanica dell'equazioni del terzo grado. Se l'Autore delle Riflessioni avesse incontrati i calcoli, si sarebbe accorto degli errori scorsi nella stampa, corretti i quali,
l'assurdo sarebbe svanito.
Del centro d'oscillazione, dissertazione I fisico-matematica del Sig.r Co.
Giordano Riccati, t. XXXIII, n. VII, pag. 140.
Del centro di oscillazione, dissertazione II del Sig.r Co. Giordano
Riccati, tomo XXXIV, n. IV, pag. 161.
Questo vecchio argomento è trattato con metodo affatto nuovo,
da cui si deducono delle curiose ed inaspectate conseguenze.
Dal“Giornale di Modena”passo alla“Raccolta Ferrarese”, che contiene alcune dissertazioni del nostro Autore.
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Del moto di discesa e di ascendimento dei corpi solidi immersi nei mezzi
fluidi, tomo IV, in Venezia, nella Stamperia Coleti, pag. 1.
La teorica dell'Autore, diversa da quella del Newton, cogli esperimenti fisicamente si accorda.
Dei due generi di resistenze che nascono dall'inerzia della materia e
ritardano il moto dei corpi solidi dentro dei mezzi fluidi, t. V, pag. 67.
Distingue il Co. Giordano due generi di resistenza, vale a dire la
continuamente applicata, o assoluta, e la ritardatrice, che trae l’origine
dal dividere la resistenza assoluta per la massa ritardata. Se si consideri il ritardamento non della sola massa solida, ma ancora di quella
massa fluida che viene spinta innanzi dal solido, ha scoperto il Co.
Giordano che avverandosi in questa ipotesi le leggi stabilite dal Co.
Jacopo suo padre in riguardo alle resistenze ritardatrici, che stanno fra
il quadrato ed il cubo della velocità attuale, la resistenza assoluta accetterà sempre la ragione del quadrato della velocità.
Del moto di un corpo discendente lungo un lato retto d'un triangolo
materiale, che può camminare liberamente sopra un piano parallelo, o inclinato all'orizzonte.
Dissertazione I: Del moto d'un corpo discendente lungo un lato retto
d'un triangolo materiale, che può camminare liberamente sopra un piano
orizzontale, tomo IX, pag. 99.
Dissertazione II: Del moto d'un corpo discendente lungo un lato retto
d'un triangolo materiale privo di gravità, che può camminare liberamente
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per una linea verticale, tomo X, pag. 69.
Dissertazione III: Del moto di un corpo discendente lungo un lato retto
d'un triangolo materiale privo di gravità, che può camminare liberamente
sopra un piano inclinato all'orizzonte, t. XII, pag. 3.
Dissertazione IV: Del moto d'un corpo discendente lungo un lato retto
d'un triangolo materiale fornito di gravità, che può camminare liberamente
sopra un piano inclinato all'orizzonte, tomo XVI, pag. 3.
Il tomo IV delle “Memorie di matematica e fisica della Società
Italiana”contiene altresì due memorie del nostro autore.
Della forza viva di alcuni corpi che ruzzolano sopra un piano orizzontale, o pure girano intorno ad un asse verticale, movendosi ancora, se così
piace, per una direzione orizzontale.
Il nulla immaginario non può confondersi col reale.
Si prova questa importantissima verità col mezzo della concoide e
di altre curve analoghe. Il dottissimo Eulero con un suo celebre metodo ha trovato competere all'unità positiva infiniti logaritmi immaginarj
ed il nulla, che confondendo il nulla immaginario col reale, ha supposto reale, ed all'unità negativa infiniti logaritmi tutti immaginarj. Ora,
non potendosi confondere il nulla immaginario col reale, il metodo
dell'Eulero non dà salvo che logaritmi immaginarj per l'una e per l'altra unità, e nulla conchiude.
Sono anche state impresse in Bassano:
Lettere due del Sig.r Co. Giordano Riccati all'ornatissimo Padre D.
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Francesco Maria Franceschini barnabita, professore di matematica
nell'Università di Bologna.
Attaccata a due punti fissi una corda a cui sia applicato un peso
che possa [in] lunghezza scorrere liberamente, avea il Padre
Franceschinis rettamente impugnata la maniera colla quale il celebre
Ab. Frisio risolveva la forza del peso. Dimostra il Co. Giordano che,
risolta la forza del peso a modo dell'Ab. Frisio, e replicate le risoluzioni acciocché le due porzioni della corda sieno direttamente stirate, ne
proviene finalmente la vera risoluzione.
Chiudo queste notizie coll'accennare che il nostro Co. Riccati è
stato onorato dalla Serenissima Repubblica di Venezia con varie commissioni, e specialmente per i ripari della Piave e per la regolazione
della Brenta.
*
*
56
*
CONTINUAZIONE DELLE MEMORIE DI
GIORDANO CO. RICCATI
Oltre all'opere riportate nel lungo catalogo posto in fine di queste
memorie, per cui somma lode ne viene al Co. Giordano Riccati, è da
notarsi che il Co. Ab. Vincenzo Riccati lasciò incominciata una grand'opera di meccanica, di cui non avea scritto che venti capitoli, e che il
nostro Autore proseguì e terminò. Il suo titolo è: Dei principj e dei metodi della meccanica, colla loro storia critica, libri due, opera postuma
dell'Ab. Co. Vincenzo Riccati. Ed è divisa in trentatre capitoli per libro:
nel primo libro si tratta Dei principj e dei metodi della meccanica colla loro
storia critica in riguardo alla statica. Nel secondo libro, Dei principj e dei
metodi della meccanica colla loro storia critica in riguardo alla dinamica. È
premessa a quest'opera una prefazione storica delle varie forme che il
suo primo Autore avea dato a quest'opera, e quindi in essa si assicurano i leggitori che egli, nel proseguimento di siffatta opera, di cui ha
scritto quaranta sei capitoli, non ha fatto che servirsi delle opere edite
del Co. Vincenzo e de' materiali manoscritti lasciati da lui. Tanto era
poco curante della sua gloria, che piuttosto che procurarsela colle altrui
opere, solea delle sue spesso spesso dar lode agli altri. Diffatti nel commercio ampio di lettere lasciato si vede quante gran cose vi aggiunse di
suo, e quanta fatica e quanto studio gli costò, cosicché a lui dobbiamo
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saper più grado che all'Ab.Vincenzo di averci dato una così grand'opera, che tradotta in latino dall'Ab. Alberto Vanautgarden onde fosse
publicata, si giace ancora con dispiacere dei dotti inedita.
A questa sua poca curanza della propria gloria, che si manifesta
ancora in una sua lettera di ringraziamento per la di lui aggregazione
spontanea all'Accademia di Padova, dicendo: «ho coltivato sempre gli
studj per fuggir l'ozio, né a veruna scientifica Accademia mi sono procurata l'aggregazione, e quindi riconosco più decorosa quella che
spontaneamente mi ha offerto cotesto illustre consesso», si dee
aggiungere la somma pazienza e tolleranza in rispondere a lunghe lettere dubitative con somma cortesia, anzi nuovamente offerendosi a
toglier i dubbi ai più bisognosi ed a tener lunghi colloquj con tutti quelli che avessero voluto approfittare della sua dottrina. Qui cade a proposito il ricordare ch'egli non ricusò mai di coltivare qualunque avesse
avuto desiderio d'apprendere sotto la sua direzione, anzi volentieri li
accettava e con somma sofferenza si addattava ad istruirli; né mai si
vide ch'egli si nojasse di tanta fatica, anzi incoraggiandosi nelle difficoltà. Una costumanza, che non è comune con nessun letterato che
abbia scritto tanto ed in così difficili materie, non voglio tralasciare or
che parlo della sua sofferenza, ed è che egli non iscrivea lettera di cui
non ne facesse due copie: l'una per ispedirla al suo fine e l'altra per
ritenerla nel suo commercio di lettere, di modo che ne’ suoi volumi di
lettere lasciati si veggono ordinariamente trattate molte bellissime qui-
58
stioni, e senza interrompimento si sa il suo pensiero e quello degli altri.
Le ore ch'egli dava allo studio erano quelle della mattina, né il dopo
pranzo s'impiegava che a leggere libri di belle lettere, perché non gli
portassero applicazione, ed anche si riserbava a scrivere qualche lettera di poco studio. Faceva lunghi passeggi più che non portava la sua
età, e la sera si tratteneva alle nobili conversazioni che dà la città di
Trevigi, né mai si sarebbe indotto a studiare od a scrivere col lume di
candela, temendo di non perdere la vista, che così fino alla morte sana
conservò e robusta senza mai abbisognare d'occhiale. Era egli poi
pieno il cuore di vera religione senza superstizione e pio senza ipocrisia, lepido nelle conversazioni, rispettoso con chi era maggiore di lui,
urbanissimo con chi gli era inferiore; in somma tanto s'era egli acquistato l'animo d'ogni ordine di persone della sua città che sopraggiunto da una forte dissenteria il dì 14 luglio 1790, onde gli convenne rimanersi in letto, non s'udia parlare che di lui per tutti gli angoli della città,
e ricercarne notizie e dolersi temendo della sua morte, come diffatti,
essendoglisi rinforzata la dissenteria e sopravvenutagli una infiammazione di basso ventre, tanto s'andò peggiorando la sua salute che con
dolore di tutti, dopo essere stato munito di tutti li sacramenti che ordina in tali momenti la Chiesa, passò egli tra più alle ore 14 del dì 20
luglio, giorno di martedì. E stato egli presente a se stesso fino agl'ultimi momenti ch'ebbe di vita, così che anch'egli pare, come di Eulero
narra nel suo elogio Monsieur Fujs, nel dì prima della sua morte ragio-
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nò del pianeta Urano sensatamente e del nuovo fenomeno osservato
ultimamente dall'Abate Chiminello della obliquità dell'eclittica diversa
nelle stagioni d'estate e d'inverno.
Il giorno appresso alla sua morte tutta la città si vide a lutto in que'
luoghi per cui dovea passare il feretro, e tutto il Capitolo de' monsignori canonici della cattedrale lo accompagnarono. Nel giorno 24 lo stesso Reverendissimo Capitolo fece pubbliche solenni preghiere per lui, e
gli fece l'onore di elogio funebre scritto in elegante stile latino
dall'Abate Antonelli, e detto alla presenza di S. E. Monsignor
Bernardino Marin Vescovo di Treviso, di tutto il Capitolo e di numeroso popolo ivi concorso. Il Collegio de' Nobili finalmente volle con singolare esempio onorare la morte di sì grand'uomo, coll'ordinare una
splendida funerale funzione nella chiesa de' SS. Quaranta per il dì 26,
a cui intervenne S. E. Giambattista Poli Podestà e Capitanio di Treviso,
unitamente al Collegio de' Nobili, oltre ad un gran numero di rispettabili forastieri e cittadini. Vi si recitò un elogio italiano del P. D.
Domenico Maria Federici dell'ordine de' Predicatori. E per fare il
Collegio de' Nobili che a perpetuità si dovesse ricordare la memoria de'
famosi uomini Riccati ad esempio de' suoi cittadini, decretò di voler
innalzare due busti di marmo, uno al Co. Giacomo Riccati padre del
Co. Giordano, ed uno a lui. Ne’ giorni che seguirono le qui accennate
funzioni funerali si videro esposti ovunque ritratti di lui, iscrizioni, epigrammi, emblemmi, sonetti, che dimostravano il dolore universale per
60
aver perduto un uomo che, se dispiacque a lontani per il danno che ne
viene alle scienze, certo è più spiacciuto a' cittadini, perché in lui
mancò oltre un uomo scienziato, l'esempio ad essi d'un morigerato
cavaliere cristiano.
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CATALOGO COMPLETO DI TUTTE LE OPERE EDITE DEL
CONTE GIORDANO RICCATI
1. Supplemento all'Elogio del Padre D. Ramiro Rampinelli monaco benedettino della Congregazione di Monte Uliveto, celebre professore di
matematica nell'Università di Pavia, stampato nel “Giornale di
Roma”, 1759. Leggesi questo supplemento nelle “Nuove Memorie
per servire alla Storia letteraria”, t. III, in Venezia, 1760, appresso
Silvestro Marsilii, in 8o, pag. 181.
2. Informazione intorno all'opera Elementa Geometriae infinitesimorum,
auctore D. Hieronimo Saladini Luccensi etc., libri tres, Bononiae,
1760, ex typographia S. Thomae Aquinatis. Leggesi nelle “Nuove
Memorie per servire all'Istoria letteraria”, t. V, in Venezia appresso
61
Giorgio Fossati, in 8o, pag. 273.
N.B. Questa informazione pure è senza nome dell'autore.
3. Saggio sopra le leggi del Contrappunto del Co. Giordano Riccati etc., in
Castelfranco, per Giulio Trento, in 8o, 1762.
4. Riflessioni sopra la vera origine della forza centrifuga, in Lucca, 1763,
per Giuseppe Ronchi, in 12o. Nella “Raccolta d'Opuscoli”.
5. Prefazione al Saggio intorno al sistema dell'universo ed al Trattato
della separazione delle indeterminate del Co. Jacopo Riccati, in Lucca,
1762, in 4o.
6. Prefazione all'opera dei principj e dei metodi della fisica del Co. Jacopo
Riccati, t. II, in Lucca, 1762, appresso Jacopo Giusti, in 4o.
7. Estratto del Saggio sopra le leggi del contrappunto del Co. Giordano
Riccati etc., è contenuto nel t. III, n. XIII, art. III, pag. 19, della
“Minerva”, in Venezia, 1763, presso Domenico Deregni, in 20o.
N.B. Questo estratto è senza nome dell'autore.
8. Nel t. III delle Opere del Co. Jacopo Riccati sono del Co. Giordano
tutte le annotazioni che determinano a un di presso il tempo in cui
è stato composto ciascun schediasma contenuto in quel volume.
Di più sono del Co. Giordano le tre lunghe scientifiche annotazioni seguenti.
9. Annotazione allo schediasma 23: Verae et germanae virium elasticarum leges ex phaenomenis demonstratae, pag. 239.
10. Annotazione allo schediasma 24: Della proporzione che passa fra le
62
affezioni sensibili e la forza degli obbietti esterni da cui vengono prodotte, pag. 287.
11. Annotazione allo schediasma 36: Difesa del Corollario II della proposizione XXXIV del libro II Dei principi matematici della filosofia
naturale del Cav. Isacco Newton, pag. 425.
12. Estratto di 39 schediasmi fisico-matematici del Co. Jacopo Riccati etc.
13. Estratto di 13 discorsi di argomento filosofico del Co. Jacopo Riccati etc.
N.B. Questi due estratti sono stampati senza il nome
dell’A.[utor] N.[ostro] nella “Minerva” interrottamente
cominciando dal t. IX, n. 49, art. I, pag. 3, e terminando al n.
66, art. 12, pag. 243 del t. XI, par. II. Gli accennati tomi sono
impressi in Venezia presso Giambattista Novelli. Avea fatto il
N.[ostro] A.[utore] ancora l'estratto dei discorsi di argomento rettorico, poetico ed erudito, e delle poesie del Co. Jacopo
suo padre, ma per la morte dell'autore della“Minerva”è rimasto inedito.
14. Prefazioni ai discorsi di argomento filosofico ed ai discorsi di argomento rettorico, poetico ed erudito, contenute nel t. IV dell'Opere del Co.
Jacopo Riccati.
N.B. Queste prefazioni sono senza nome dell'autore.
15. Delle corde, ovvero fibre elastiche schediasmi fisico-matematici del Co.
Giordano Riccati, in Bologna 1767, nella Stamperia di S. Tommaso
d'Aquino, in 4o.
63
N.B. Questo volume, che dovea esser seguito da un altro,
contiene otto schediasmi. Il secondo volume, benché terminato, non è stato pubblicato: era egli formato di cinque schediasmi, tutti i quali, come andremo notando in questo catalogo, sono stati stampati separatamente se se ne eccettui il
duodecimo.
16. Annotazioni alle lettere del Sig.r Co. Jacopo Riccati al Sig.r Marchese
Poleni sopra l'opera de' Castelli etc. dello stesso Poleni.
N.B. Sono contenute queste annotazioni insieme colle lettere nella “Nova Raccolta Calogeriana”, t. XVI, pag. 167,
Venezia 1768, presso Simone Occhi; dove, benché non abbino esse il nome dell'autore, pure nella prefazione a lui vengono attribuite.
17. Soluzione della difficoltà proposta dal dottissimo P. D. Gerolamo
Saladini Monaco Celestino intorno ad una proposizione contenuta nell'opera Delle corde, ovvero fibre elastiche del Sig.r Co. Giordano Riccati.
Schediasma I, n. XX; cioè che un peso minore della rigidità naturale d'una corda la rompe. È contenuta nella “N.[uova] R.[accolta]
Calogeriana”, t. XIX, alla pag. 287, in Venezia 1770, per Simone
Occhi, in 12o.
18. Riflessioni del Sig.r Co. Giordano Riccati sopra l'annotazione allo schediasma XXXVI, contenuto nel t. III delle Opere del Co. Jacopo
Riccati. Sono inserite queste Riflessioni nello stesso volume che
64
l'antecedente a pag. 295.
19. Lettera del Sig.r Co. Giordano Riccati al Sig.r Roberto Zuccareda Nobile
Trevigiano sopra le regole delle più importanti strutture architettoniche.
È contenuta questa lettera nel primo tomo della «Raccolta di vari
Opuscoli interessanti di più celebri autori parte inediti e parte
editi, ma rarissimi», Firenze 1771, presso Domenico Marzi e
Compagni.
20. Spiegazione d'una sperienza del Co. Giordano Riccati, nella “N.[uova]
R.[accolta] Calogeriana”, t. XXI.
21. Della maniera di costruire un portico che ascenda lungo un piano inclinato all'orizzonte del Co. Giordano Riccati, nella “N.[uova] R.[accolta] Calogeriana”, t. XXIII.
22. Delle figure piane isoperimetriche continenti la massima superficie del
Sig.r Co. Giordano Riccati. È inserta nello stesso tomo in cui è l'antecedente.
23. Osservazioni sopra la necessità delle leggi dinamiche, inserte nella
“N.[uova] R.[accolta] Calogeriana”, t. XXV.
24. Che lo studio delle matematiche non favorisce la miscredenza.
Dissertazione contenuta nella stessa “Raccolta”, t. XXVIII.
25. Lettera all'autore del parere sopra un articolo de' Signori efemeridisti di
Roma, che tratta della forza viva, nella “N.[uova] R.[accolta]
Calogeriana”, t. XXX, opusc. II, Venezia 1776, appresso Simone
Occhi.
65
N.B.: L'autore di questo parere è il Chiarissimo Sig.r Petronio
M. Caldani, che per dovuti riguardi nascose il suo nome:
avvertasi innoltre che nella stampa della lettera sono stati tralasciati alcuni pezzi che sono nel manuscritto originale.
26. Del centro della percossa, nel t. XXXI della stessa “Raccolta”.
27. Del centro della percossa. Dissertazione del Co. Giordano Riccati,
stampata nel t. XXXI della “N.[uova] R.[accolta] Calogeriana”.
28. Lettera del Sig.r Co. Giordano Riccati al Sig.r Arcipr. Giambattista
Nicolai, professore di analisi nell'Università di Padova, in cui nuovamente si difende dalla nota di petizion di principio la formola colla
quale il Cav. Isacco Newton determina la velocità della propagazione
del suono per l'aria. Leggesi nel t. XII, pag. 320 del“Nuovo Giornale
de' Letterati d'Italia”, Modena.
29. Lettera I del Sig.r Co. Giordano Riccati al Chiarissimo Sig.r Co.
Girolamo Fenaroli, nella quale s'indaga l'artificio di cui si serve la
natura per far sì che, incitata una corda al suono, si adatti in brevissimo tempo ad una curva bilanciata ed isocrona. È contenuta nel
“Giornale di Modena”, t. XIII, n. III, pag. 62.
30. Lettera II del Sig.r Co. Giordano Riccati al Sig.r Co. Girolamo Fenaroli, in
cui si determina l'equazione generalissima delle curve bilanciate ed isocrone. È contenuta nel“N.[uovo] G.[iornale]”, t. XIV, n. XII, pag. 269.
31. Risposta alle riflessioni analitiche del Sig.r Ab. Gioachino Pessuti, già
professore di matematica nel corpo de' Cadetti Nobili di Pietroburgo,
66
sopra una lettera scrittagli dal Sig.r Ab. Co. Vincenzo Riccati ed inserita nella N. R. di opuscoli scientifici e filologici, stampata in Venezia,
1776. È inchiusa questa Risposta nel “Giornale di Modena”, t. XV,
n. VI, pag. 144, anno 1778.
N.B. Benché nel principio di questa risposta l'autore si dichiari discepolo del Co. Ab. Vincenzo Riccati, sappiasi pure che
n'è autore il Co. Giordano che così ha creduto meglio celarsi
all'Ab. Pessuti.
32. Lettera del Sig.r Co. Giordano Riccati al Sig.r Jacopo Ab. Pillizzari sopra
i logaritmi de' numeri negativi. Nel “Giornale di Modena”, t. XVI,
pag. [manca], anno 1779.
N.B. Questa lettera va in seguito di altre cinque scritte sullo
stesso argomento dal Co. Ab. Vincenzo Riccati allo stesso
Pillizzari.
33. Lettera III del Sig.r Co. Giordano Riccati al Sig.r Co. Girolamo Fenaroli,
in cui supponendosi una penna applicata al punto medio di una corda,
si determina, lasciata che sia in libertà, il tempo impiegato a passare
dalla prima posizione alla curva isocrona bilanciata o semplice d'un
ventre solo, ovvero composta delle due semplici d'un solo ventre e di tre.
Nel detto «Giornale», t. XVIII, n. VIII, pag. 236, anno 1779.
34. Lettera IV del Sig.r Co. Giordano Riccati al Sig.r Co. Girolamo Fenaroli,
in cui si continua a versare nell'argomento della Lettera precedente. Nello stesso volume dell'antecedente, n. XX, pag. 292.
67
35. Notizie di Monsig.r Agostino Steffani, Vescovo di Spiga e Vicario
Apostolico negli Stati dell'Elettor Palatino del Reno, del March. di
Brandeburgo e dei Principi di Brunvvich, compilate dal Sig.r Co.
Giordano Riccati, nella “N.[uova] R.[accolta] Calogeriana”, t.
XXXIII.
36. Del suono falso, Dissertazione acustico-matematica del Sig.r Co.
Giordano Riccati, stampata nel Prodromo dell'Enciclopedia
Italiana, pag. 96, 1779.
N.B. Questa dissertazione con poca varietà formava lo schediasma X della parte II (che come dicemmo non fu pubblicata) dell'opera delle corde, ovvero fibre elastiche, ed in essa
avea per titolo: Delle vibrazioni delle corde inegualmente grosse.
37. Del moto di discesa o di ascendimento de' corpi solidi immersi ne' mezzi
fluidi. Dissertazione fisico-matematica del Co. Giordano Riccati,
impressa nel t. IV della “Raccolta Ferrarese d'Opuscoli”, in
Venezia, 1780, nella Stamperia Coleti, pag. 1.
38. Dei due generi di resistenze che nascono dall'inerzia della materia e
ritardano il moto dei corpi solidi dentro dei mezzi fluidi. Nel t. IV della
“Raccolta Ferrarese”, in Venezia 1780, pag. 67.
39. Nuova maniera di costruire le scale elittiche. Nella “N.[uova]
R.[accolta] Calogeriana”, t. XXXV.
40. Annotazione del Sig.r Co. Giordano Riccati alla lettera del Sig.r Co.
Jacopo suo padre sopra la trisezione degli angoli.
68
41. Prefazione agli Elementi di architettura del Sig.r Francesco Maria Preti,
in Venezia, 1780, presso Giovanni Gatti.
N.B. Questi elementi benché attribuiti al Preti dallo stesso
Co. Giordano, che solea anzi dar lode delle sue invenzioni
agli altri che toglierla altrui, sono per tal modo dal N.[ostro]
A.[utore] riordinati ed accresciuti, che più opera sua che del
Preti si possono chiamare.
42. Della figura e dello sfiancamento degli archi. Dissertazione fisico-matematica del Sig.r Co. Giordano Riccati. Posta nel t. XX, pag. 149 del
“Nuovo Giornale d'Italia”, Modena.
43. Esame del sistema musico di Mons. Rameau. Dissertazione acusticomatematica del Sig.r Co. Giordano Riccati. Nel t. XXI, pag. 47 del predetto “Giornale”.
44. Esame del sistema musico del Sig.r Giuseppe Tartini. Dissertazione acustico-matematica del Sig.r Co. Giordano Riccati. Nel t. XXII, pag. 169
del “Giornale di Modena”.
45 Estratto degli Elementi di architettura del Sig.r Francesco Maria Preti.
Stampato nel “Giornale di Modena”, t. XXII.
N.B. Questo estratto è stato impresso senza nome dell'autore.
46. Riflessioni sopra il libro I della Scienza teorica della moderna musica
del P. Francescantonio Vallotti, M.[onaco] C.[camaldolese], Maestro
di cappella nella Basilica di S. Antonio di Padova. Stampate nel t.
XXIII del “Nuovo Giornale de' Letterati d'Italia”, Modena, pag. 45.
69
Del moto d'un corpo discendente lungo il lato retto d'un triangolo materiale che può camminare liberamente sopra un piano paralello o inclinato all'orizzonte. Dissertazioni quattro fisico-matematiche del Sig.r
Co. Giordano Riccati.
47. La prima di queste dissertazioni è impressa nel t. IX della
«Raccolta Ferrarese», pag. 99.
48. La seconda nel t. X della stessa, pag. 69.
49. La terza nel t. XII della stessa, pag. 3.
50. La quarta nel t. XVI della stessa, pag. 1.
51. Della risoluzione cardanica dell'equazioni del terzo grado. Dissertazione
analitica del Sig.r Co. Giordano Riccati. Stampata nel t. XXIV, pag.
170 del “Giornale de' Letterati d'Italia”.
52. Delle vibrazioni sonore dei cilindri. Dissertazione acustico-matematica
del Sig.r Co. Giordano Riccati. Stampata nel t. I, pag. 444 delle
“Memorie di matematica e fisica della Società Italiana”.
N.B. Questa dissertazione formava lo schediasma XI della
parte II dell'opera Delle corde, ovvero fibre elastiche.
53. Lettera del Sig.r Co. Giordano Riccati al Sig.r Ab. Giuseppe Contarelli
intorno alle riflessioni sulla verità di alcuni paradossi analitici creduti
comunemente paralogismi. Questa lettera è impressa nel t. XXVIII,
pag. 256 del “Giornale di Modena”.
54. Lettere due del Sig.r Co. Giordano Riccati, all'ornatissimo P. D.
Francesco Maria Franceschinis barnabita. Sono stampate queste due
70
lettere in fine della dissertazione del detto P. Franceschinis, che ha
per titolo: Della tensione delle funi, Bassano, 1784.
55. Del centro di oscillazione. Dissertazione I fisico-matematica del Sig.r
Co. Giordano Riccati. Nel t. XXXIII, pag. 140 del “Giornale di
Modena”, anno 1786.
56. Del centro di oscillazione. Dissertazione II del Sig.r Co. Giordano
Riccati. Nel t. XXXIV dello stesso “Giornale”, pag. 161, 1786.
57. Delle vibrazioni del tamburo. Dissertazione fisico-matematica del Sig.r
Co. Giordano Riccati. Nel t. I dei “Saggi scientifici e letterari
dell'Accademia di Padova”, 1786, pag. 419.
N.B. Questa dissertazione formava lo schediasma della parte
II dell'opera Delle corde, ovvero fibre elastiche.
58. Della figura del gorgo che la natura forma in un vaso cilindrico ripieno
d'acqua nel centro del di cui fondo sia aperto un foro circolare, del Co.
Giordano Riccati. Nel t. III delle “Memorie di matematica e fisica
della Società Italiana”, Verona, 1786, pag. 238.
59. Lettere due del Co. Giordano Riccati al dottissimo P. D. Giovenale
Sacchi, professore d'eloquenza nel Collegio Imperiale di Milano sopra i
duetti dell'Handel e del Bononcini. Nel t. XXXVI del “Giornale di
Modena”, 1787, pag. 172.
60. Lettera del Nob. Sig.r Co. Giordano Riccati al Sig.r Gio. Batt.̃a
Bortolani, professore di cembalo e di contrappunto. Nel t. XIX della
“Raccolta Ferrarese di Opuscoli”, Venezia 1787, pag. 172.
71
61. Determinare il massimo allungamento che il peso d'un pendolo produce nella corda a cui è attaccato. Problema del Sig.r Co. Giordano Riccati.
Nel t. IV delle “Memorie di matematica e fisica della Società
Italiana”, Verona 1788, pag. 81.
N.B. Questo problema formava lo schediasma XIII dell'opera
Delle corde, ovvero fibre elastiche.
62. Della forza viva di alcuni corpi che ruotolano sopra un piano, oppure
girano movendosi ancora, se così piace per una direzione orizzontale.
Dissertazione impressa nello stesso volume dell'antecedente, pag.
96.
63. Teorema: Il nulla immaginario non si deve confondere col reale.
Stampato nello stesso tomo dell'antecedente, pag. 116.
64. Aggiunta alla dissertazione della figura e dello sfiancamento degli archi
del Sig.r Co. Giordano Riccati. Stampata nel “Giornale di Modena”,
t. XL, pag. 167, 1789.
65. Lettera I del Sig.r Co. Giordano Riccati intorno al risorgimento della
musica all'ornatissimo P. D. Giovenale Sacchi, professore d'eloquenza
nel Collegio Imperiale di Milano. Nel “Giornale di Modena”, t. XLI,
pag. 170, 1789.
66. Lettera II, nello stesso volume, pag. 180.
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CATALOGO DELLE OPERE INEDITE DEL CONTE
GIORDANO RICCATI
Aritmetica
1. Della divisione delle ragioni in un determinato numero di ragioni
uguali. Dissertazione.
2. Riflessioni sopra la regola di doppia falsa posizione.
3. Determinare i quadrati tutti che sono uguali a due quadrati.
4. Determinare in numeri interi i quadrati tutti che sono eguali a due quadrati.
5. Determinare tutti i triangoli rettangoli numerici la cui ipotenusa e i cui
lati sieno numeri interi.
[6] Dato un numero intero non quadrato trovar un numero intero quadrato che, moltiplicato pel suddetto, formi un prodotto che, accresciuto
d'un'unita, s'eguagli ad un numero quadrato.
7. Determinare gli infiniti ternarj di numeri interi, i quadrati di due de'
quali sieno eguali a quello del terzo.
Geometria
8. Determinare un triangolo rettangolo fornito della proprietà che il rettangolo de' suoi due lati, più il rettangolo d'uno de' lati nell'ipotenusa,
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s'eguagli al quadrato dell'ipotenusa.
9. Inscrivere l'ektagono nel circolo.
10. Della cicloide e delle principali sue proprietà.
11. Della lemniscata e delle sue proprietà.
12. Dato un circolo ed una retta fuori di esso determinare in esso un tal
punto a cui, condotte due linee dalla retta data, taglino esse due porzioni eguali di circolo.
13. Lettera contenente alcune riflessioni sopra un passo contenuto nel t. I
del «Nuovo Giornale d'Italia», stampato in Modena.
Dando il giornalista l'estratto del quarto tomo dell'Accademia di
Siena, riferendo un'operetta del P. Frisi, fa un delitto al P. Riccati
d'aver nella soluzione di certo problema scelto un metodo diverso da quello del P. Frisi. Ora il Co. Giordano diffende il fratello e
mostra essere più esteso il metodo usato dal P. Riccati.
14. Trovare nella spirale iperbolica la proporzione fra alcune aree.
15. Modi di delineare meccanicamente le sezioni del cono.
Analisi
16. Soluzione della difficoltà proposta dal Rollio intorno al metodo di ritrovare le radici dell'equazioni del terzo grado col mezzo di due sezioni
coniche che si toccano e s'intersecano.
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17. Esame del metodo col quale il Chiarissimo Sig.r Edmondo Waring ha
pensato d'aver ridotto l'equazioni del quinto grado a quelle del terzo.
18. Riflessioni intorno alla formola (1 + hγ - 1)m = (1 - hγ -1)m.
19. Esame del problema sciolto dal Sig.r Ab. Pessuti sopra i logaritmi.
20. Ritrovar l'integrale della formola (c · q · dSc · m ϕ ) e soluzione
d'altri problemi analoghi.
21. Uso del metodo delle variazioni nella soluzione di varj problemi.
Meccanica
22. Esame dell'ipotesi che nel moto accelerato le velocità accettino le ragioni degli spazj passati.
23. Determinare col mezzo delle formole delle forze continuamente
applicate la communicazione diretta del moto fra i corpi molli ed
elastici.
24. Dimostrazione della legge dell'equilibrio.
25. Soluzione del problema inverso delle forze centrali nel vuoto, quando
esse forze stanno reciprocamente come i quadrati delle distanze dal centro.
26. Della riduzione delle formole ds
= u, fds = mudu, fdt = mdu, fdt n =
dt
mdds alle misure conosciute. Dissertazione fisico-matematica.
27. Lettera al Chiarissimo Sig.r Ab. Contarelli in cui si dimostra l'asserzio-
75
ne del celebre Galileo, che un grave discende per un quadrante di circolo in tempo più breve che per la sua corda.
28. Determinare la forza necessaria acciocché la ruota d'un carro superi un
intoppo che s'incontri in una strada ascendente a cui sia paralella la
detta forza.
29. Determinare quell'arco di cerchio il cui diametro sia verticale, la corda
del quale sia passata da un punto grave in egual tempo che le due corde
di due semiarchi, supposto che nel passaggio dall'una all'altra di queste due corde il mobile non perda punto di velocità.
Idrostatica
30. Delle compressioni dell'aria. Dissertazione.
31. Annotazione del Sig.r Co. Giordano Riccati allo schediasma XXXI del
Co. Jacopo Riccati suo padre, contenuto nel t. III delle sue Opere,
pag. 336.
N.B. La dissertazione stampata che si legge dopo il mentovato schediasma è del P. Vincenzo Riccati. In questa il nostro
Co. Giordano scioglie in tutti tre i casi il problema: determinare nella cicloide il moto d'un pendolo a cui si resista dal
mezzo in ragione della velocità.
32. Riflessioni sopra la resistenza dei fluidi.
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33. Determinare la velocità colla quale l'acqua, o altro fluido non viscido,
esce da un foro circolare aperto nel fondo d'un vaso cilindrico, mentre
esso fluido si conserva sempre nel vaso all'istessa altezza.
N.B. Toglie a trattare di questa materia il nostro autore già
maneggiata da altri sommi geometri a solo fine di mostrare
l'utilità del metodo delle azioni.
34. Determinare la forza viva dell'acqua contenuta nel gorgo, la cui figura
sia un fusto conico.
35. Determinare col mezzo d'un pendolo la velocità dell'acqua corrente
ponendo in opera il metodo delle azioni.
Architettura
36. Della combinazione degli archi di varia grandezza che hanno luogo
nella stessa struttura. Dissertazione.
37. Osservazioni sopra le misure degli ordini architettonici e degli archi ad
essi convenienti, ed altresì sopra lo scompartimento dei triglifi, dei dentelli e dei modiglioni. Dissertazione.
38. Un arco circolare formato con tre pezzi eguali non è equilibrato.
39. Della costruzione e della quadratura di alcune volte e lunule.
Dissertazione.
40. Metodo per descrivere i sesti dei soffitti.
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41. Della spalla conveniente a qualunque arco elitico o circolare, ed anche
ai remenati delle porte e delle finestre.
42. Determinare la figura e la quantità del peso che dee sovrapporsi ad una
cuppola sferica, acciocché i suoi elementi sieno mutuamente equilibrati.
43. Determinare il centro di gravità di un mezzo remenato.
44. Della figura dei teatri. Dissertazione.
Musica e Acustica
45. Le leggi del contrappunto dedotte dai fenomeni e confermate col raziocinio, del Co. Giordano Riccati, libri quattro in due volumi.
N.B. Quest'opera costò all'autore la fatica di molti e molti
anni, e non poté avere la soddisfazione di vederla pubblicata.
46. Nuovo metodo di trovare un sistema enarmonico che da se stesso si
manifesta adequatamente generale. Dissertazione.
N.B. Questa è l'ultima cosa che scrisse il nostro autore.
47. Soluzione del problema di nuovo proposto per l'anno 1778
dall’Accademia Imperiale di Pietroburgo.
N.B.: Il problema è così espresso: Cujunam naturae ac characteris sint soni quos emittunt tubi cylindrici qui lateralem aperturam habent, et quaenam horum sonorum varietas sit espectu qualitatis, vel gravis, vel acutae, prout varie situm est foramen, vel
78
varie ampliatum.
48. Annotazioni sopra Monsieur Rameau.
49. Meditazioni sopra il canto fermo.
50. Esame del sistema musico del Sig.r Ab. Giuseppe Pizzati, contenuto
nella parte V della Scienza de' suoni e dell'armonia. Dissertazione
acustico-matematica.
51. Riflessioni sulle memorie I e II del Ch. P. D. Alessandro Barcha che servono d'introduzione a una nuova teoria di musica. Si leggono queste
memorie ne' tomi I e II dei “Saggi dell'Accademia di Padova”.
52. Avvertenze sopra la dissertazione del P. D. Giovenale Sacchi barnabita
che ha per titolo: Del numero e delle misure delle corde musiche etc., in
Milano 1761.
53. Annotazioni al libro primo della Scienza teorica e pratica della moderna musica, del P. F. Francescantonio Vallotti minor conventuale etc.
Scritti varj
54. Giudizio intorno all'opera del Sig.r Ab. Belgrado, che dimostra l'esistenza di Dio col mezzo de' teoremi geometrici.
55. Illustrazione d'una medaglia antica.
56. Dell'utilità e della necessità delle matematiche per l'altre scienze.
Dissertazione.
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Ha lasciato poi il N.[ostro] A.[utore], oltre a ciò che abbiamo
riferito, molti scritti sopra varie diverse opere di varj autori, oltre a molti
piccioli scritti di analisi e di geometria, che non abbiamo creduto di
dover qui riportare, mentre lo stesso autore parea tenerli chiusi onde
non vedessero la pubblica luce.
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CATALOGO DE’ CORRISPONDENTI DEL CONTE
GIORDANO RICCATI
Agdolo, Marchese Francesco
Agnesi, Cont.a Donna Maria
Agnesi, Cont.a Donna Teresa
Agostini, P. Giovanni
degli Azzoni Avogaro, Monsignor Co. Rambaldo
Affò, P. Ireneo
Anselmi, Giorgio pittore veronese
Berti, Don Pietro
Barca, P. D. Alessandro
Baldelli, Ab. Don Luigi
80
Belgrado, Ab. Co. Jacopo
Boaretti, Ab. Francesco
Bernardi, P. Don Parisio
Benaglia, Ab. Francesco
Busa Villanova, P. Valentino
Bevilacqua, Co. Antonio
Bregolin, Dottor Ubaldo
Bonati, Prof. Teodoro
Bonfioli, Mons.r Alfonso
Bettinelli, Ab. Saverio
Buratti, P. D. Benedetto
Canonici, Ab. Matteo Luigi
Caprara, Sen. Co. Carlo
Carburi, Prof. Co. Marco
Cavina, Ab. Co. Virgilio
Colombo, P. Ab. D. Gianalberto
Caldani, Prof. Leopoldo
Caldani, Petronio Maria
di Calepio, Mons. Co. Ulisse de' Conti
Caterzani, Prof. Sebastiano
Calandrelli, Ab. Giuseppe
Cedri, Avoc. Settimio
Coghetti, Can.co Medoro
81
Cesarotti, Ab. Prof. Melchiorre
Contarelli, Ab Giuseppe
Cossali, P. D. Pietro C.[hierico] R.[egolare] T.[eatino]
Cocoli, Prof. Domenico
Cristiani, Cap. Girolamo Francesco
Delanges, Cap. Paolo
Delfino, il Cardinale
Diziani, Gasparo
Fantoni, Can.co Pio
Franzoja, Co. Ab. Prof. Matteo
Fenaroli, Co. Girolamo
Franceschinis, P. D. Francesco Maria
Fontana, P. D. Francesco Maria
Fontana, P. D. Gregorio
Ferro, Francesco Sargente Generale
Florio, Mons. Co. Francesco
Frisi, Ab. D. Paolo
Fabris, P. Matteo Luigi
Giannini, Pietro
Giustiniani, Cav. Girolamo Ascanio
Guazzoni, P. Giannantonio
Grazziadei, Giambattista
Gardini, Ab. Giannantonio Prof.
82
Gradenigo, Mons. Giannagostino Vescovo di Ceneda
Lorgna, Cav. Anton Mario
Martini, P. Maestro Giambattista
Maffei, March. Scipione
Mandelli, P. Ab. D. Fortunato
Marzari, D.r Giambattista
Marcuzzi, D.r Don Sebastiano
Masi, Can.co Co. Giambattista
Memmo, Cav. Proc. Andrea
Mariscotti, March. Giacomo
de' Malfatti, Gianfrancesco Prof.
Meloni, Ab. Antonio
Monari, Ab. D. Marcantonio
Morosini, Mons. Vescovo di Verona
Miazzi, Giovanni
Nicolai, Ab. Arcipr. Giambattista Prof.
Pellizzari, Ab. Don Giacomo
Pellizzari, Ab. Don Antonio
Piacentini, Giacomo
Poleni, March. Giovanni
Preti, Francesco Maria
Pujati, Don Francesco Maria
Pedevilla, Ab. Giannantonio
83
Polfranceschi, Giambattista
Pindemonte, Cav. Ippolito
Polcani, Luigi Caccianemici
Paganini, Ab. Liberale
de' Panigai, Mons. Co. Bartolomeo
Polinà, P. D. Pier Maria
Querini, S. E. Angelo
Querini, S. E. Andrea
Riccati, Co. Ab. Vincenzo
di Rovero, Cav. Cristoforo
Riva, Lodovico
Rizzetti, Co. Giovanni
Rizzetti, Co. Luigi
Rampinelli, P. Don Ramiro
Ricci, Ab. Marcantonio
Roberti, Co. Ab. Giambattista
Rangoni, March. Gherardo
Saladini, Mons. Can.co Gherardo
Sbrojavacca, Co. Ottavio
Scotti, Co. Luigi
Suzzi, Ab. Prof. Giuseppe
Sibiliato, Ab. Prof. Clemente
Schioppalalba, Ab. Giambattista
84
Stendardi, D. Pietro C.[hierico] R.[egolare] T.[eatino]
Spada, Arcipr. Melchiorre
Sacchi, P. D. Giovenale
Salimbeni, Cap. Leonardo
Tiraboschi, Cav. Ab. Girolamo
Tartini, Giuseppe
Troili, Ab. Domenico
de' Toschi di Fagnano, Arcid. Conte Gianfrancesco
Trevisan, D.r Francesco
Toaldo, Prof. Ab. Giuseppe
Tomitano, Giulio Bernardino
Talier, Arcipr. Angelo Natale
Vallotti, P. Maestro Francescantonio
Valsecchi, P. Antonino
Wanautgarden, Ab. Alberto
dalla Valle, March. Alfonso
Vivorio, Abate
Vallisnieri, Prof. Antonio
Ximenes, Ab. Leonardo
Zuccarda, Conte Roberto
Zorzi, Ab. Alessandro
Zuliani, Prof. Ab. Pietro.
85
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