PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 rimo piano di Pierre __________________________________________ I nuovi schiavi Alexander 1 è uno di quelli che ce l’hanno fatta a fuggire dall’inferno dei «desaparecidos di Puglia, i desaparecidos del pomodoro» come li ha definiti il settimanale l’Espresso, che con la sua inchiesta ha portato alla ribalta il fenomeno delle persone finite nelle maglie della nuova schiavitù made in Italy. Succede talvolta che c’imbattiamo anche in storie come queste, nel nostro quotidiano operare: scoprire casualmente dalla lettura di un quotidiano, che uno dei nostri ospiti, sia parte in causa di una tragedia del tutto insospettata. «Ma sì, è proprio lui!», è il commento unanime, mentre rigiriamo tra le mani il giornale, prestando più attenzione a quella sua fotografia. Nell’articolo si parla di fantasmi, persone scomparse laggiù in Puglia, inghiottite da meccanismi di sfruttamento cinico e brutale, tenute in schiavitù come accadeva nei secoli passati. Sembrano storie partorite dalla fantasia di un qualche scrittore, oppure appartenere a fotogrammi di un documentario girato in zone dannate della terra; o ancora, somigliare a testi di canzoni inneggianti a storie maledette. Invece è tutto vero; stramaledettamente vero, e accade qui da noi, in terra italiana. Alexander nella sua fuga è riparato a Trento, e certo osservandolo non pare proprio nascondere tanto segreto. Quando lo informiamo di quanto appreso a suo riguardo, mostrandogli l’articolo in questione con le fotografie, gli prende un fremito per tutto il corpo; si mette a piangere e singhiozzare come un bambino. È ancora molto scosso e chiaramente impaurito. Dice che era in compagnia di un amico, di cui non sa più niente. Poi vuole copia del giornale, chiede di telefonare in patria e parla a lungo con la sorella, raccontandole della sua disavventura. Finalmente, un po’ riappacificato torna a sorridere per un momento. Elena è una giovane donna laureata che ha lavorato qualche anno come ricercatrice qui a Trento, presso l’università. Poi le è stato proposto un altro stage in un paese del Nord Europa e accetta volentieri il cambiamento: vuole arricchire il suo bagaglio culturale. Terminato il periodo concordato, ritorna in Italia, ma in altra città, a Bologna. Una grande azienda, un posto di lavoro promettente. Le offrono di lavorare in nero; o meglio, di iniziare senza un normale contratto di impiego, con la promessa di regolarizzare la sua posizione al più presto, per permetterle di rimanere. Ma il tempo passa e tutto resta uguale. Questioni burocratiche, le dicono. Deve avere pazienza e tutto si aggiusterà, finché un giorno è costretta, suo malgrado, a rimpatriare perché il suo permesso turistico sta per scadere e, a meno di non restare da clandestina, non le rimane altra soluzione. Non è l’unica in quella situazione dentro l’azienda; e tutti immigrati. Due facce di una stessa medaglia. La prima è certamente più brutale e induce indignazione, ma anche la seconda, nella sua «banale normalità» non è davvero meno incivile, dal momento che tende a disconoscere diritti fondamentali, rendendo le persone dei fantasmi alla mercé di chi le usa ai propri fini. Il paese Italia, che stando a certi stereotipi nazional – popolari, sarebbe abitato soltanto da persone colme di sentimenti umanitari e solidali, quasi per innata vocazione, nasconde nel profondo un ventre molle, fatto di soprusi, violenze e ingiustizie che sembrano venire da un passato arcaico. (continua a pag 5) 1 I nomi sono di fantasia.
3 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 Mosaico
pensieri e parole LE RAGAZZETTE D’OGGI Correvano gli anni Sessanta.... né scurette, e i lor capelli non fosser di tono accentuato ricorron ben presto a farsi camuffar la chioma ossigenata color di un rosso ram. Poi per l’abbigliamento la scelta è un gran pensare perché pure sovente la moda vuol cambiare. Frequente la comparsa del nuovo custumin, la corta minigonna e il nuovo borsellin e, tra questo e quest’altro, a dir la verità, è uno sciupar denari che un’impressione fa. Vorrebbero esser dive, del cinema le attrici, oppure esserne assunte per far le annunciatrici. Si auspican le doti e la capacità di una Lollo Brigida e Loren Sofia e sogni ad occhi aperti ne fanno in quantità. Non vogliono mangiarla la cruda realtà. (E.)
Le ragazzette d’oggi son come le scimmiette si copian a vicenda e son vanitosette. Si tingono le labbra rossetto metton su e con tacchetti a spillo si crescono più in su. Poi per l’acconciatura della capigliatura se sono nere in fatti, per doti di natura, si tengon la chioma bella così com’è nera, corvina, scura e il lor orgoglio è. Ma se, poniamo il caso, non fossero né bionde 4 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 FORZA RAGAZZI! Dedicata a quei giovani che hanno perso la sper anza. Ragazzi, su, coraggio! Tirate avanti ancora, affidatevi al raggio di una più bella aurora. Finché c’è giovinezza dovete ben sperare, sperar nella salvezza di ciò che bello appare. Afferratelo al volo quel palpito d’amore affinchè non sia un solo anelito del cuore. Raccogliete gli amici stringete a voi i parenti. Se in tanti, più felici saran certo i momenti. È ancor bella la terra e ancora azzurro il cielo. Fate voi che la guerra non crei più lo sfacelo. Fate voi che l’amore di tutti sia dominio, donate quel calore che agevola il cammino. Afferrate le mani di tutti quei fratelli che speran nel domani, in giorni ancor più belli. La pace e l’armonia sol questo ognun bramava, che il buon Gesù ci dia ciò che anche Lui sperava!! Nonna Renata I Nuovi schiavi (da pagina 3) E se talune cose accadono, è anche perché sono ancora in tanti, troppi, quelli che vedono e si fanno i fatti loro; sanno e tacciono per non immischiarsi, non avere rogne, oppure sono correi, se non addirittura artefici di quanto accade. E non solo al Sud, sia detto per inciso; anche qui al Nord, anche da noi. E sono molti; più di quanto non si pensi, a lavorare in nero, con contratti atipici e imbrogli vari, anche in aziende insospettabili. Certo è più facile girare la testa altrove e fingere di non vedere; magari schierarsi con quanti trovano sempre il pretesto per inveire contro i clandestini, considerati tutti quanti dei delinquenti. Quasi che la differenza tra le persone passasse attraverso un timbro o un francobollo. Bastasse quello per fare di una persona un disonesto, dovremmo toglierlo a tanti e darlo ad altri.
5 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 rubrica aperta a tutti Sovente mi accade di seguire
più telegiornali serali per vedere
come sono trattate le notizie.
Poche sere fa si parlava, sui vari
canali, di prostituzione.
Varie interviste ma una in
particolare
mi
ha lasciato
sconcertata, e non per le
dichiarazioni
della
giovane
donna ma per l’assurdità della
domanda.
“ Ti piace il lavoro che
fai?”
Probabilmente
è
accaduto
anche a noi di sentirci porre
questo quesito ed ogni tanto ci è
stato difficile rispondere per
molteplici motivi.
Come si può domandare ciò ad
una donna? Scusate ma non
credo che, in relazione alla
prostituzione di strada, ci siano
donne, uomini che si vendono
per il piacere di farlo.
A maggior ragione, come porre
una
domanda
così,
permettetemi il termine, STUPIDA,
ad una minorenne? Ebbene si, la
ragazza intervistata aveva forse 17 anni ed un bimbo piccolo nel suo paese d’origine.
Cascata nella rete della tratta della prostituzione, ingannata con una promessa di lavoro,
picchiata, una volta giunta in Italia, per obbligarla, nella paura, ad iniziare la sua nuova
attività. Il suo unico orgoglio mostrare alle telecamere la cicatrice del taglio cesareo.
Forse suo unico riferimento corporeo per ricordarsi che è viva, che a casa c’è un figlio che
l’ aspetta e trovare in lui la forza per sopportare tutto ciò.
Mi rifiuto di credere che questo sia un mezzo di sensibilizzazione sui temi sociali,
quali essi siano. Personalmente ci vedo di più il non riconoscimento della dignità
umana, il non rispetto per la sofferenza e l’ignoranza su una realtà molto
complessa. ( Attilia)
6 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 NOSTRA MADRE TERRA a cura di Maurizio Gaseprini Riprendiamo la rubrica di questa pagina proseguendo il discorso da dove lo avevamo inter rotto qualche numero fa; esattamente nel numero di gennaio febbraio 2006 per chi fosse interessato a rivedere quanto detto in precedenza . Stratosfera – E’ lo strato atmosferico che sta al di sopra della troposfera ed arriva ad un’altitudine di 50­60 chilometri. Qui avviene un fenomeno denominato inversione termica: cioè, mentre nella troposfera la temperatura diminuisce con l’aumento dell’altitudine, nella stratosfera diviene gradualmente maggiore fino a raggiungere la temperatura di 0 °C. Questo fenomeno è dovuto alla presenza di uno strato di ozono (molecola di ossigeno triatomica), l’ozonosfera, che assorbe la maggior parte delle radiazioni solari ultraviolette. Nella stratosfera i vari componenti si presentano sempre più rarefatti, il vapore acqueo ed il pulviscolo diminuiscono; esistono ancora alcuni rari fenomeni meteorologici e certi particolari tipi di nubi ( cirri). Mesosfera In questa zona, che si estende dai 50 agli 80 chilometri di quota, l’atmosfera non subisce più l’influsso della superficie terrestre ed è costante a tutte le latitudini. Non ci sono più né venti né correnti ascensionali, né nubi o perturbazioni: l’aria è completamente calma. In queste condizioni i gas si stratificano per diffusione e la composizione chimica media dell’aria inizia a variare man a mano che si sale. L’anidride carbonica scompare rapidamente ed il vapore acqueo ancora più in fretta ed anche la percentuale di ossigeno inizia a diminuire con la quota.
7 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 Aumentano le percentuali di gas leggeri come elio ed idrogeno. L’effetto riscaldante dell’ozono è terminato e la temperatura diminuisce sempre di più con la quota fino a stabilizzarsi, al limite superiore della mesosfera, a circa –80 °C. In questo strato si manifestano le stelle cadenti, cioè i piccoli meteoriti che di solito non riescono a raggiungere la superficie terrestre e bruciano prima di raggiungere la Terra, lasciando scie luminose. Oltre alla mesopausa, alla quota di circa 100 Km, l’aria è tanto rarefatta da non opporre una resistenza tangibile al moto dei corpi, diventando così possibile muoversi con il moto orbitale ( presenza dei numerosi ormai satelliti artificiali). Per questo motivo, in astronautica la mesopausa viene considerata il confine con lo spazio. Termosfera Oltre la mesopausa inizia la termosfera. In questo strato i gas presenti sono tanto rarefatti che è più opportuno parlare di atomi e molecole, che ricevono quasi interamente la radiazione solare diretta e sono quindi in prevalenza allo stato ionizzato ( insieme agli strati superiori della mesosfera, la termosfera costituisce la ionosfera terrestre). La temperatura in questo strato sale con la quota, per l’irraggiamento solare ed arriva ai 1700 °C al suo limite esterno. Al confine tra mesopausa e termosfera hanno luogo le aurore boreali. La composizione chimica è ancora simile a quella media, con una predominanza di azoto ed ossigeno, ma cambia sempre di più procedendo verso l’alto. A circa 550 Km di quota, questi due gas cessano di essere i due componenti principali dell’atmosfera, venendo sostituiti da elio ed idrogeno. Esosfera E’ la parte più esterna dell’atmosfera terrestre, dove la composizione chimica cambia radicalmente. L’esosfera non ha un vero e proprio limite superiore. I suoi costituenti, come già detto, sono per lo più idrogeno ed elio, in maggioranza particelle del vento solare catturate dalla magnetosfera terrestre. Con il prossimo articolo inizierò a descrivere i vari fenomeni di perturbazione ed inquinamento dell’atmosfera, in modo particolare quella che più ci interessa da vicino.
8 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 rini
dall’accoglienza le parole della
strada
Il Mistero della vita
a cura di don Dante Clauser
Sempre più spesso mi viene da riflettere sul mistero della
vita. Qualcuno dice che la vita è come la scaletta di un
pollaio: corta e piena di merda. Il salmo biblico segnato
con il numero 89 dice, in un modo più pulito ed elegante,
la stessa cosa. Recita così: gli anni della vita sono 70, 80 per i più
robusti, ma quasi tutti sono fatica e dolore; passano presto e noi ci
dileguiamo. Eppure, nonostante tutto, ha ragione Roberto Benigni
quando dice che la vita è bella. Non soltanto per chi crede nella vita
eterna. Ma anche per coloro che sanno gustare le cose belle della vita e
sanno gioire quando vedono il miracolo di un bambino che nasce.
9 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 SONO UN VAGABONDO a cura di Attilia Franchi “ Sai non sono un barbone, un clochard. Sono solo un vagabondo da 15 anni.” Questa frase mi ha colpita ed incuriosita parecchio, così avvicino Pierre durante un pranzo. Gli chiedo se ha voglia di raccontarci di lui. Decidiamo di incontrarci l’indomani in sala accoglienza alle 15. Pierre arriva con un attimo di anticipo e ne approfittiamo per bere un caffé. P: Sono 15 anni che giro per l’Europa, che frequento centri di accoglienza ma è la prima volta che qualcuno mi chiede di parlare di me. Grazie è un bel regalo per il mio anniversario…come si dice in italiano? Ah si, compleanno. 45 anni. Dimmi cosa vuoi sapere? A: In realtà non ho delle domande precise da porti. Per facilitare un inizio, cerchiamo di specificare i paesi europei dove sei stato e, per quanto sia possibile, quale differenze hai riscontrato nelle politiche sociali e di accoglienza. Per il resto lascio a te raccontare ciò che vuoi. P: Sono partito dalla Francia, mia terra d’origine. Spagna, Belgio, Inghilterra, Olanda, Germania, Italia, Grecia. Per rispondere subito alla tua, forse unica domanda, posso dirti che l’unica vera differenza è la polizia e l’accoglienza notturna. In Inghilterra la polizia si scriveva tutto di me su di un taccuino. Colore dei capelli, abbigliamento, piazze dove mi fermavo ed ogni tanto si preoccupavano solo di farmi spostare da una piazza ad un’altra. Per mangiare accedevo alla Sub­ckichen ma per dormire, per i vagabondi come me, non c’era nulla. Nei dormitori si accedeva solo su progetto attraverso i servizi sociali. L’esperienza più dura l’ho vissuta in Grecia, precisamente a Creta. Sono stato incarcerato per due mesi perché facevo la colletta. La cosa strana è che il greco povero può fare l’elemosina, lo straniero viene incarcerato. Ogni giorno devi lavorare per 4 ore per percepire pochissimi soldi. Ma questo è nulla. È la violenza alla quale ho assistito che mi ha fatto giurare che in Grecia non tornerò mai più. Stavamo rientrando in galera dal lavoro esterno. In fila davanti a me altri uomini. Uno di questi all’improvviso, senza apparente motivo, afferra con forza la propria pala ed ammazza un altro detenuto. Da quel giorno, per il tempo rimanente della carcerazione, non ho più chiuso occhio. La paura era la mia sola compagnia. Pensa ad esempio a quale umiliazione sei sottoposto. Terminato il processo vieni ammanettato e, visto che il carcere dista circa 10 minuti a piedi dal tribunale, ci arrivi a piedi. Già questo è strano, aggiungi poi che il tragitto è un percorso pedonale molto frequentato dai turisti… puoi tentare di immaginare quali pensieri ti passano per la mente. Dov’è la dignità dell’uomo?
10 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 La Grecia è veramente bella per il turista con i soldi, ma non ci andare da vagabondo come me. Cambiamo stato, non è bello ricordare certi avvenimenti. In Francia, Belgio ed Olanda mi sono appoggiato alle comunità di Emmaus e lavoravo nel recupero e restauro di mobili. So che ci sono anche qui in Italia, ma non mi sono mai preso il tempo di contattarle. Forse non ne ho nemmeno voglia. In Spagna la storia è stata un po’ diversa. Prima di tutto ci sono arrivato con dei soldi in tasca perché allora lavoravo tramite le agenzie interinali. A: Come ci sei arrivato in Spagna? P: Zaino in spalla, un po’ a piedi, un po’ in autobus, qualche tratto in auto­stop, ho attraversato i Pirenei. Sono arrivato così a Valencia e poi a Granada. E’ stata difficile come esperienza perché ho sempre dormito fuori, ma la garanzia di avere qualche soldo in tasca, mi tranquillizzava. Era la prima volta che uscivo dalla Francia e forse non ero ancora così vagabondo nell’animo. Vedi io mi sposto quasi sempre senza una meta ben precisa. Ora credo che andrò verso Aosta. In questo periodo c’è una grande festa celtica. Mi piace l’idea di andare lì anche perché è come ritrovare un po’ le mie origini. Sono cresciuto in una regione celtica della Francia. In Germania ci sono andato per partecipare all’Oktober­fest. Da lì, ormai 8 anni fa, sono arrivato per la prima volta in Italia. Roma, Brindisi, Napoli, Venezia. Qui mi sono divertito con i poliziotti in Piazza San Marco. Ogni ora venivano da me e mi dicevano che dovevo cambiare piazza per fare colletta. Io invece mi spostavo solo di angolo in angolo, insomma è come se avessi giocato ai quattro cantoni con le forze dell’ordine. Vedi se tu sei educato, non insistente, anche i poliziotti non ti rompono più di tanto le scatole. Ti controllano i documenti, questo si…ma sono cittadino comunitario! In Italia agli inizi mettevo per terra un cartone con scritto “merci”, ho poi scoperto che equivale al vostro grazie ed ho corretto il mio cartone per la colletta.
11 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 Facciamo una pausa sigaretta. Sulla soglia della porta chiedo a Pierre come ha fatto ad imparare così bene l’italiano. Appena rientriamo apre il suo enorme zaino, in fondo è la sua casa. Coperta, sacco a pelo e, sorpresa, tanti fumetti. P: In ogni stato dove sono stato ho sempre utilizzato i fumetti, in particolare quelli di Dylan Dog. Il disegno associato alle parole mi facilita molto nell’apprendimento delle varie lingue. Certo non leggo solo fumetti. Parte della giornata, mentre faccio colletta, lo impiego nella lettura. Victor Hugo, Boudelaire. Ogni tanto suono la fisarmonica a bocca. C’è una cosa che non mi piace di molta gente che vive per strada. Utilizza un cane per impietosire. Questo io non l’ho mai fatto. Parecchi anni fa avevo un cane anch’io. Era la mia sola vera e leale compagnia. Poi è sparito nel nulla e da allora non ho più voluto avere un animale. E’ un impegno, in parte anche un limite per viaggiare. Il tempo scorre velocemente. Pierre controlla l’orologio e mi dice che forse è ora che torni in strada a cercarsi un posto dove fare colletta. Gli chiedo se ha voglia di rispondere ad un’ultima domanda. A: Hai un sogno? P: Certo. Arrivare in India. Ho un amico che c’è già stato ed il suo racconto mi ha entusiasmato. Amo viaggiare, incontrare la gente, conoscere. Non posso immaginarmi fermo e fino a quando avrò la forza di portare lo zaino in spalla e le gambe sane per camminare non mi fermerò. Amo la mia libertà e per ora, non posso immaginarmi fermo in un appartamento. In fondo questa mia vita credo sia la realizzazione di un sogno che avevo da bambino. L’estate partivamo con gli scout o per la colonia estiva con il nostro piccolo zaino sulle spalle ed era il periodo in cui ero veramente felice. Mi ero ripromesso che da grande avrei fatto lo stesso e così è il mio oggi. “Buon viaggio e buon cammino ovunque tu vada. Che le stelle ti guardino sempre e la strada ti porti lontano.” Grazie per il racconto di te.
12 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 SENZA CONFINI uno sguardo oltre la siepe
di Andrea Bortolotti
dopo aver sfiorato l’Africa
i M 5.8.’06 Nanyuki Kenya All’Hotel Colera c’è un negro arrabbiato di fotografie, carne in brodo e grano di terra davanti ad una tazza di te da sorseggiare al centro. Mangia o l’Africa mangerà te. Sciocchi wazungu e un bianco nero dentro, respirano la contraddizione dal pavimento sporco e dalle sedie bucate, da una goccia di sangue rappresa sul camice del cuoco. All’Hotel Colera c’è un bianco strano, non se ne vedono molti qua, ha varcato la soglia di non so che porta, ma è accecato dal sole ancora inciso nel ricordo degli occhi. C’è un cristo in terra, una mano tesa e non la tocchi, chiama malattia, strascica i piedi fino alla fame. Così, freddo di chilometri e animali, l’Hotel Colera ti sbatte nell’Africa vera, e forse il falegname ne sa qualcosa.
13 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 Efata. Apriti. Così disse Gesù il Cristo al sordo muto. E ancora.. Se non ritornerete come bambini non entrerete mai. Queste le parole che mi scorrono nella testa dopo aver sfiorato per un mese l’Africa. Una fugace visione, protetta e ancora non vera, solo il tempo di sentire il profumo di questo mondo variegato e sempre ridotto a macchietta, alla banalità di un “Poveri Africani.” Ma l’Africa è qualcosa di enorme, di inconoscibile, qualcosa che non si può ridurre ad una parola. Parlare di Africa, o meglio di Kenya, di quei pochi chilometri quadrati che ho visto prenderebbe pagine e pagine che non ho il tempo, ne la capacità di scrivere. Le parole sono sempre state una mia croce oltre che un amore. Molti mi hanno domandato cosa ho fatto, o se c’era molta povertà, ma trovare una risposta è difficile. Ho riletto più e più volte i miei appunti, le mie impressioni e ogni volta mi sento di capire di meno, di aver bisogno di tempo. Cosa ho fatto in Africa? Una cosa che qua è considerata da molti una perdita di tempo: ho ascoltato. Lì ogni luogo, ogni oggetto, ogni persona ha qualcosa da dire, ogni granello di terra rossa e fertile ha una storia da raccontare. Durante questo mese ho incontrato persone di una semplicità e di una forza meravigliosa, ho visto povertà vissute con uno slancio ed una accettazione inverosimile per l’Occidente, naturale per questi posti. Poi ipocrisie e controsensi, gente che vive in capanne a pochi metri da ville smisurate, undici persone dentro un baracchino di lamiera e…malattia…la più grande delle ingiustizie, bambini che non saranno mai uomini, che sai non avere che pochi anni ancora da vivere. Aids. Avete mai avuto paura di un bambino? Ho provato l’orribile sensazione di avere paura a tenere in braccio un bambino, a dargli affetto, di sentirmi un verme, disgustato di me. E mi veniva in mente San Francesco che provava repulsione per i lebbrosi, ma poi si è abbandonato. Ed è questo che ho fatto mi sono abbandonato alla vita così come mi si presentava più vera di volta in volta, mi sono aperto per quanto ho potuto e il tempo mi ha
14 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 concesso, ho giocato con i bambini, ho parlato con la gente, mi sono immerso, concedendo a me stesso e agli altri il proprio tempo. La mia esperienza in Africa, il mio viaggio dal Vecchio Continente a quello Antico è diventato un viaggio di fede verso le persone e il Dio che non so chiamare con un nome, ma da qualche parte in me parla. Quella che era all’esterno una partenza all’interno è divenuto un ritorno verso me. Non che qua non mi ponessi domande o non vedessi i bisogni miei e degli altri, quello che mancava era la spinta, il coraggio. Ora quando mi prende lo sconforto, quando torna in me l’angoscia di un tempo mi trovo a pensare ai bambini di Tumaini, un centro per ragazzi malati di aids, e quello che sento è proprio Tumaini, Speranza. Mi tornano agli occhi volti di cui non so il nome, che forse non hanno più un nome ma sono stati sicuramente più vivi di come sono stato io per molto tempo. Spero che nessuno fraintenda le mie parole, che legga queste parole come quelle di un ragazzo che mitizza una realtà che non conosce veramente, un luogo tranquillo che ha incontrato con la guida esperta e il filtro di un missionario. Non penso di aver capito niente di più di quello che persone più attente possono vedere qua in Italia e a Trento ogni giorno, sicuramente però so un po’ di più di quell’Andrea che ho lasciato un mese fa e ora ritrovo. Con il tempo spero di trovare più chiarezza. Per ora mi accontento di aver scoperto la verità e la saggezza di due proverbi africani letti prima di partire. Chi parte e ritorna non è più colui che parte bensì colui che ritorna. E ancora: Se non sai dove stai andando sappi almeno da dove vieni. Ora mi resta da capire dove voglio andare e come. Ci tengo a ringraziare il Centro missionario (e a fargli un po’ di pubblicità) dal momento che dà a tanti ragazzi la possibilità e l’opportunità di confrontarsi con altre realtà e Giuseppe che ci ha fatto da guida in questa “avventura”.
15 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 alla ricerca di senso di fr. Antonino Butterini “Chi non è contro di noi è per noi” Quando mi proietto in queste riflessioni ho sempre davanti a me il Punto di Incontro sia coloro che servono sia coloro che vengono serviti. Il “Punto” mi è stato presente soprattutto alla lettura del testo di Marco con la frase posta a capo di questa riflessione. “Chi non è contro di me è con me” e immediatamente la accosto all’altra frase “Chi non è con me è contro di me” che troviamo nei vangeli successivi a quello di Marco e precisamente in Luca 11,23 e Matteo 12,30. La frase di Marco si inserisce in un episodio curioso. Evidentemente si parla molto bene di Gesù e qualcuno si è appropriato del suo nome per qualche motivo che non ci viene detto. Probabilmente per interessi sia materiali che di prestigio. Infatti questi tali vengono scoperti dagli apostoli che glielo proibiscono. Insomma spetta solo a Gesù spendere il suo nome e fare miracoli e al massimo ai suoi seguaci, soprattutto agli apostoli, approfittare di tale prestigio. Di questo loro intervento gli apostoli se ne vantano e vengono a farsi belli da Gesù che però li rimprovera, li riprende, giustificando questa sua irritazione: “Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me”: lì dove si fa del bene in nome di uno non si può poi parlare male di quello. Verrebbe da ribaltare il detto: Per parlare bene di Gesù bisogna fare del bene. Fare del bene, anzi qui si dice, fare dei miracoli. Ma ogni volta che si sceglie di fare il bene si opera un miracolo. Ecco perché mi passa davanti il Punto. Si fa del bene senza essere dalla parte di Gesù, ma ogni volta che si fa del bene si è già dalla sua parte. Infatti l’evangelista completa il racconto riportando un altro splendido detto di Gesù: “Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua 16 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 ricompensa”. Perché siete di Cristo, significa perché siete di quelli dell’Unto. Cristo è un aggettivo che significa “Unto”, Gesù il Cristo, Gesù l’Unto. Perché siete dalla parte dell’Unto. Chi è unto del Signore? Io credo ogni uomo in quanto uomo è già unto del Signore. Gesù è stato Unto proprio perché “uomo” pienamente consapevole e coerente con questa sua qualità. Da secoli cerchiamo di capire cosa significa e quando si è uomo. Noi oggi bolliamo come non uomo e come bestia un terrorista e lo si tratta bestialmente come nelle prigioni di Abu Graib o a Guantanamo. Ma anche i terroristi trattano le loro vittime come bestie e non come uomini. Quando si risponde con la vendetta siamo “uomo”? E quando non accogliamo l’altro solo perché “altro” di un’altra religione siamo uomo? Quando l’altro non mi permette di esprimere le mie convinzione religiose mi tratta da uomo? E quando l’altro non ha credenze religiose è per me ciononostante uomo? Uomo vuol dire “italiano e terzomondiale” , vuol dire “maschio e femmina”, “greco e barbaro”, “giudeo e cristiano”. Qui ormai non dico più cose mie, ma trascrivo quello che san Paolo ha scritto in una sua lettera ai Galati “non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”. Eppure pochi anni dopo il detto di Gesù viene riferito da Luca e da Matteo in modo diverso: “Chi non è con me è contro di me”, si comincia a distinguere tra chi è “con me” e chi “è contro di me”, ci sono quelli dalla mia parte e quelli che sono contro. La storia porta a separarci, costruire muri, a creare distinzioni. Oggi purtroppo la nostra storia sta costruendo muri che presagiscono sempre cose oscure, brutte, voglia di contrapporsi, di farsi la guerra, di farsi del male. Speriamo di ripensarci di tornare al Gesù più autentico e più vero, quello che ha scelto l’uomo.
17 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 a cura di Silvia Sandri Individui “per difetto”, individui “per eccesso” M
i ha incuriosito molto la definizione data dal Robert Castel sociologo, storico, studioso francese degli individui che compongono questa nostra società: gli “individui per difetto” e gli”individui per eccesso”. Negli ultimi anni abbiamo assistito allo stabilizzarsi di una “società degli individui”, società nella quale l’individuo era sovrano invitato ad essere se stesso, a realizzare i suoi desideri, a scegliere la propria vita. Queste libertà sono diventate via, via più effimere, “liquide” e non più strutturate come negli anni 60­70 dove erano presenti forti regolazioni, identità collettive. Libertà che sembra essere diventata più una condanna che una vera emancipazione. Anziché permettere l’accesso a nuove possibilità sembra invece che aumenti la fatica degli individui ad “essere se stessi”, creando nella società una divisione tra individui “per difetto” , tra quelli che sono privi di risorse e di supporti stabili per sostenere i cambiamenti, progettare la propria vita e che si ritrovano a vivere “alla giornata”, e, gli individui “per eccesso” quelli cioè che invece dispongono di risorse e di supporti per giocare il gioco della libertà ed inoltrarsi nell’avventura della costruzione di sé. Ci sono modi differenti di essere individui, e, al limite, dei modi negativi di esserlo. Per essere individui nel senso positivo del termine, capaci di organizzare e condurre la propria vita con un minimo di autonomia, si deve poter disporre di risorse e nella società di oggi gli individui dispongono di supporti disuguali per essere degli individui. Nel secolo scorso – cita R. Castel­ due sono stati i supporti che hanno permesso all’individuo di essere tale: la proprietà privata e la proprietà sociale, quell’insieme di risorse, di diritti, di protezioni che nella seconda metà del XX secolo, sono state agganciate alla condizione di lavoratore a tempo indeterminato e che hanno rappresentato una sorta di proprietà per i non proprietari. Protezioni sociali che sono state fondate sulle condizioni di lavoratore: il lavoratore ha potuto costruire la propria sicurezza proprio perché lavorava. Negli anni 60­70 l’operaio ha un salario decente che gli fornisce una base materiale adeguata, ma anche dei diritti: è assicurato contro i principali rischi sociali. Non vive alla giornata ma può proiettarsi nel futuro, permettersi delle “strategie” per sé e per la sua famiglia. Il suo avvenire è garantito dalla stabilità della sua carriera professionale e dai diritti che accumula anche per quando smetterà di lavorare. Il diritto alla pensione è un esempio 18 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 del tipo di risorse garantite dallo Stato, dalla proprietà sociale. E sono forse queste forme di garanzie, di protezione e di sicurezza che ha fatto si che negli ultimi anni si sia intensificata, nel nostro paese, la presenza di lavoratori extra europei Oggi si deve fare i conti con il diffondersi di forme di lavoro precarie che riguardano tutti italiani e stranieri. E così gli uomini si scoprono fragili, vulnerabili perché vengono erosi quei supporti che erano stati ideati perché si potessero realizzare le promesse di autonomia individuale, soprattutto per gli “individui per difetto”ai quali vengono a mancare una serie di sostegni per progettare l’avvenire. Maggiore fragilità e persone in difficoltà, minore la tolleranza in un momento in cui il lavoro è percepito come un valore e nello stesso tempo è maltrattato, poco considerato, poco garantito e riconosciuto. E tutto ciò rinvia e riconsiderare che cosa sia l’individuo oggi e sul come ricollocare il sociale nel cuore della costruzione dell’individuo. Ricerche, studi, riflessioni sul come e cosa fare sono molte e vanno dal rivedere il concetto di mutualità, concetto che passa attraverso la realtà del fare del bene, del dono, della condivisione e della solidarietà, dell’etica della responsabilità, della buona reciprocità per cercare di far fronte insieme alle negatività della vita, alle difficoltà, alle fatiche, al disagio, per arrivare a ripensare il lavoro sociale, all’azione politica. Può forse suonare strano ma una parte della politica dei servizi sociali nei territori è fatta dagli operatori sociali, da coloro che concretamente intervengono rispetto a varie manifestazioni di malessere sociale e relazionale, curando i rapporti delle singole persone con le istituzioni, rimodulando situazioni conflittuali familiari e non, che presentano il rischio di scivolare nella devianza o nell’emarginazione. Le prese di posizioni sono spesso nei confronti degli amministratori, funzionari, organizzazioni, spesso gerarchiche e lente. La rete, la connessione con altri, la ricerca del senso e del perché si fanno le cose, la valutazione delle risorse e delle risposte aiuta volte a scoprire soluzioni inedite, sopite o nascoste. Riuscire a vedere gli altri soggetti del contesto, le rispettive rappresentazioni e pensieri accomunanti, le conoscenze e le comprensioni a cui ci si sente vicini permette di rendere maggiormente visibile e comprensibile all’esterno quello che gli operatori ed i servizi fanno e a creare una aggregazione maggiore fra le reti ed i soggetti sociali facendosi così promotori di una rinnovata cultura dei diritti. Progettazione, azione educativa, credibilità, congruenza del progetto, degli ambienti educativi e delle organizzazioni nel loro complesso e dei singoli operatori, stili relazionali (la relazione nel lavoro sociale è importante), chiarezza e trasparenza, infine, supporta nell’agire educativo e nella ricerca di itinerari e proposte più articolate, varie e creative. Si tratta di mettere al centro le specificità e le singolarità degli individui e l’impegno come operatore, a “inventare” dei progetti capaci di individuare percorsi specifici, per supportare le persone che si avvicinano ai servizi. Ecco allora che relazione, saperi, valori, professionalità, competenze, come la riflessività e la particolare sensibilità frutto della personale storia della persona e della sua formazione professionale divengono funzionali nell’azione di aiuto e di contrasto alle marginalità.
19 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 notizie, curiosità, recensioni La Bibbia viene spesso letta più per provare, per dimostrare qualcosa che per inter rogar la sul nostro presente e ascoltarne il giudizio. L’ebraismo, invece, afferma che la continua inter rogazione è l’atteggiamento più giusto dell’uomo nei confronti di Dio e della sua Par ola, perché solo attraver so la domanda incessante noi possiamo intravedere il volto di Dio. La domanda è più importante della risposta. Paolo de Benedetti, profondo studioso e raffinato interpr ete della Bibbia, ha contribuito con i suoi libri, le sue lezioni, le sue confer enze – e la sua impareggiabile ironia ­ a suscitare l’interesse di un vasto pubblico ver so l’approccio ebraico alla Parola... (dalla quarta di copertina ) Piergiorgio Cattani (Trento, 1976) è laureato in lettere moderne ( tesi su Emmanuel Levinas) e filosofia ( tesi su Paolo de Benedetti). Studioso di tematiche filosofiche, religiose e politiche, è editorialista del quotidiano «Trentino» e collaboratore delle riviste «Questotrentino» e «Il Margine». Ha pubblicato Ho un sogno popolare (Ancora 2001). Editrice Il Margine € 13,00 CURIOSITÀ Durante la guerra di secessione, quando le truppe tornavano agli accampamenti dopo una battaglia, veniva scritto su una lavagna il numero dei soldati caduti; se non c'erano state perdite, si scriveva "0 killed", da cui l'espressione OK nel senso di "tutto bene". Lo Stato con la più alta percentuale di persone che vanno al lavoro a piedi è l'Alaska. Il Papa più giovane di tutti i tempi aveva solo 11 anni. Se una statua rappresenta una persona su un cavallo che ha entrambe le zampe anteriori sollevate, significa che la persona in questione è morta in guerra. Se il cavallo ha solo una zampa anteriore sollevata, la persona è morta a seguito di una ferita riportata in guerra. Se il cavallo ha tutte le quattro zampe a terra, la persona è morta per cause naturali. I giubbotti antiproiettili, le uscite antincendio, i tergicristallo e le stampanti laser hanno una cosa in comune: sono stati tutti inventati da donne. E' impossibile starnutire con gli occhi aperti (... ci state provando?!)
20 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 CARCERE E CITTADINANZA Ripor tiamo di seguito una pr ima par te del Documento del Gr uppo Tematico Car cer e, del CNCA. Dati, for me e funzioni del carcere Carcere è/e Esecuzione penale Parliamo di carcere, dunque di esecuzione penale. Altra cosa è la pena e l’iter giudiziario che la produce. La precisazione è indispensabile, alla luce dell’ambiguità politica e mediatica che deliberatamente inducono all’errore. La legge italiana sulla esecuzione delle pene – L. 354/75 e successive modificazioni ­ prevede diverse modalità di esecuzione della pena inflitta ad un cittadino: dalla privazione totale a diverse forme di limitazione parziale della libertà. Il carcere pertanto rappresenta la forma più severa di esecuzione della pena, l’estrema ratio; questo lascerebbe supporre che le persone detenute siano quelle responsabili di uno o più reati gravi, quelle che per la loro pericolosità e intenzione di continuare a delinquere rappresentino un particolare pericolo per la società. Purtroppo non è così. La maggior parte delle persone a cui viene comminata l’estrema ratio del carcere è proprio quella più fragile e sprovveduta, quella che dovrebbe poter fruire in larga misura delle pene alternative e che dovrebbe a maggior ragione fare a meno del bagaglio di violenza gratuito e patologico, di natura ambientale e relazionale, che si assimila in una cella, magari sovraffollata. La realtà carceraria nelle per sone, nei numeri, nelle strutture, nei tempi delle pene L’indulto di agosto ha fatto emergere in tutta la sua urgenza la necessità di una rivisitazione del nostro sistema penale e penitenziario. E’ vero, infatti, che i numeri nelle nostre carceri ricresceranno rapidamente, ma non per effetto del luogo comune secondo cui le persone indultate sono delinquenti e non possono che ritornare in carcere rapidamente. Questo luogo comune va decisamente sfatato: il sovraffollamento precedente all’indulto, infatti, non é stato determinato dalla quantità assoluta dei reati che paradossalmente, invece, sono diminuiti, bensì dall’effetto di un quadro legislativo inerente la penalità che nell’ ultimo decennio ed ancor più nell’ultimo quinquennio è stato particolarmente virulento: basti pensare alla legge Bossi­Fini, alla ex Cirielli e alla Fini­Giovanardi che ridetermineranno l’affollamento penitenziario appena deflazionato. Sono tre leggi che pesano come un macigno sulla debolezza economica, politica, sociale e di rappresentanza delle categorie sociali maggiormente penalizzate: migranti, tossicodipendenti, malati mentali e minori. Dalla revisione o meno di queste tre leggi dipenderà, dunque, il riaffollamento rapido del carcere o la sua stabilizzazione attuale (con buone possibilità di ulteriore riduzione dei numeri). Per contrastare la attuale “penalizzazione” del disagio occorre però procedere anche alla riforma dell’Ordinamento Penitenziario e a quella del Codice Penale. Mentre la prima (O.P.) potrebbe rendere giustizia ai mille aspetti disfunzionali propri della L.354/75 e sue successive modificazioni, la seconda potrebbe produrre una modalità diversa di approcciare il problema della devianza correlata alla marginalità, prevedendo istituti, quali ad esempio, la “messa alla prova” in grado di incidere positivamente nella riduzione della recidiva. Il programma governativo (sia precedente che attuale) ha messo in cantiere la costruzione di nuove carceri. Al di là della considerazione relativa ai costi economici e ai tempi necessari alla loro realizzazione concreta, va denunciato che questa scelta è indice della volontà politica di alzare i
21 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 numeri della penalità intramuraria: è noto che i contenitori producono il contenuto e non viceversa, come si vorrebbe far credere. Infine, ma non per ordine d’importanza, andrebbe riqualificato tutto il personale penitenziario per metterlo in condizione di svolgere il proprio ruolo in coerenza ai valori della Costituzione ed in parallelo andrebbero predisposti nuovi strumenti di controllo da parte dell’Ente committente: la comunità partecipante! L’indulto ed i suoi effetti (positivi e negativi) rischiano di focalizzare tutta l’attenzione sugli agìti delle persone indultate, distogliendola dalle persone che in carcere sono rimaste o che sono in regime di esecuzione penale esterna. Spegnendo i riflettori sul carcere si crea la premessa per il suo degrado. E’ sufficiente considerare i tagli ( sia già attuati che programmati) alle risorse finanziarie per comprendere come si riduca la possibilità di attivare quel “trattamento conforme a legge” che in passato è stato lasciato alle ortiche ed oggi è quasi “programmato”. L’inserimento delle persone che hanno fruito dell’indulto è un atto dovuto, importante e necessario. Ma il deflazionamento temporaneo delle carceri crea una premessa irrecuperabile, sia per avviare un processo di giustizia e legalità dentro le carceri che per coordinare nei territori il lavoro dei vari attori e degli UEPE, finalizzato a promuovere un reinserimento sociale a pieno titolo. E’ un punto di svolta decisivo per il futuro prossimo e remoto: andremo verso la replicazione o verso la civiltà etica e politico sociale, a seconda delle scelte strategiche di politica giudiziaria (con le ovvie ricadute sulla comunità) che verranno operate in questa congiuntura politica. Rispetto alla tipologia dei reati è da notare, secondo l’ultimo rapporto dell’Associazione Antigone, che sono in aumento quelli relativi alle violazioni della legge sulle armi e contro il patrimonio, mentre vi è una contrazione del reato di spaccio di stupefacenti. Un terzo dei detenuti è rappresentato da cittadini stranieri che commettono per lo più reati riconducibili al loro status di cittadini senza permesso di soggiorno, al loro reclutamento nell’area grigia dello sfruttamento lavorativo e al loro coinvolgimento in azioni illegali ­ reati contro la persona e reati di violazione della legge sugli stupefacenti­ spesso gestite dai sistemi camorristici di controllo del territorio. Se da un lato è positivo il dato relativo all’aumento del 7,61% dei condannati definitivi e alla diminuzione del 4,27% delle persone detenute in attesa di primo giudizio, d’altro lato non va sottaciuto il dato relativo alla diminuzione del 2,63% degli appellanti e dello 0,3% dei ricorrenti che sta ad indicare un sostanziale indebolimento dei diritti di difesa. Relativamente alla durata delle pene occorre segnalare che il 29,41% delle persone con una condanna inferiore ai 3 anni permane in carcere, così come circa il 60% dei detenuti con un residuo pena inferiore ai 3 anni: è evidente la scarsa applicazione della legge Simeone­Saraceni e l’ancora basso ricorso alle misure alternative. Le persone migranti, specie se irregolari, sono maggiormente penalizzate rispetto all’accesso alle misure alternative in quanto spesso prive di dimora stabile, rete parentale, lavoro e ancora troppo spesso esclusi dall’accesso ai trattamenti comunitari di contrasto alle dipendenze ­ nonostante la circolare n. 5/2000 del Ministero della Sanità.
22 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 Se è vero che , prima del provvedimento di indulto, il dato numerico delle persone che usufruivano delle misure alternative era molto vicino a quello delle persone recluse e che, quindi, le misure alternative costituiscono di fatto un’area collaterale e complementare dell’esecuzione penale grande quasi quanto quella carceraria , è altrettanto auspicabile che vi sia un loro utilizzo sempre maggiore nell’intento non tanto di attivare una funzione di controllo, ma di restituire dignità alle fasce più deboli della popolazione. Tale lettura è suffragata dall’incrocio dei dati relativi alle caratteristiche socio­anagrafiche della popolazione detenuta: il 35.5% non ha maturato la scuola dell’obbligo, il 25,43% dei detenuti si dichiara disoccupato ed il 2,59% in cerca di occupazione; oltre il 40% della popolazione detenuta proviene dal Sud Italia; da segnalare che gran parte della popolazione ristretta è detenuta in istituti distanti dal proprio luogo di vita in evidente contrasto con il dettato dell’ordinamento e del regolamento carcerario. (continua) Dal sociale al penale Significativa è, ancora, la distribuzione per fasce d’età della popolazione reclusa: dall’ultimo rapporto dell’Associazione Antigone risulta che il 66,7% della popolazione ristretta ha età compresa fra i 25 ed i 44 anni ed il 18,8% fra i 45 ed i 60 anni. E’ quindi la popolazione giovane­adulta e matura ad “essere più esposta al rischio di carcerazione, cioè proprio la popolazione più attiva sulla scena sociale, più coinvolta in reti di interazione, di partecipazione, di scambio”.
Considerando che le persone recluse con età superiore ai 44 anni sono in numero elevato e che, presumibilmente, non sono alla prima esperienza di detenzione è facile dedurre che le carriere devianti iniziano in età giovane adulta e si protraggono per lungo tempo: Quale significato diamo a questo dato: fallimento esistenziale? Fallimento dell’obiettivo di recupero che il carcere si dà? Il carcere è un contenitore di povertà e di esclusione sociale: infatti solo il 15% della popolazione carceraria è detenuta per reati gravi. Il ricorso al carcere come strumento di controllo e di esclusione sta aumentando, anche perché nei fatti la pena non è un momento di recupero e di partenza per l’attivazione di percorsi di reinserimento, come chiaramente vorrebbe la Carta Costituzionale e l’Ordinamento Penitenziario. Persone tossicodipendenti, persone con problemi psichiatrici e persone immigrate senza permesso di soggiorno non dovrebbero essere trattate in/o attraverso il carcere: occorre problematizzare il fatto che le tensioni sociali trovano sempre più la risposta del carcere, quando in realtà sono la spia di un disagio profondo della nostra struttura sociale; come dire: il “sociale” non trova risposte sul suo terreno e pertanto diventa “penale” col risultato di appesantire e degradare ulteriormente l’uno e l’altro territorio. Una spirale che viene accuratamente occultata. (continua)
23 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 di Corina Munteanu Con questo numero diamo inizio a questa nuova rubrica, curata da Corina Munteanu di Poganesti in Moldavia, che abbiamo ospitato per due mesi (settembre ottobr e) durante la sua per manenza a Trento per motivi di studio. Riportiamo di seguito l’intervento che ha fatto durante la riunione promossa dalla associazione Senza Confini, la sera del 25 settembre. Carissimi amici, Sono molto lieta di trovarvi qui stasera, in questo posto dov’è stato ideato il progetto “Poganesti”. Ho assistito allo svolgimento del progetto sin dall’inizio e ci tengo tanto che vada avanti perché amo molto il mio paese e mi rendo conto che il vostro sostenimento ha riportato la scintilla della speranza per la gente che non la vedeva più, già da tanti anni. Alcuni di voi hanno già avuto l’occasione di vedere che la gente di Poganesti è gente laboriosa ed accogliente ed è sempre stato così. Quelli che sono venuti per la prima volta hanno trovato il paese in una situazione deplorevole, perché dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, le cose peggioravano sempre di più. La Repubblica Moldova si è trovata quasi sempre al centro di dispute di confine e di politiche espansioniste. All’inizio era meta dei turchi, per diventarne dopo una dei russi. A metà del XIV secolo, sotto il governo di Stefan cel Mare (Stefano il Grande), il voivodato di Moldavia raggiunse il massimo splendore. Stefan cel Mare (o Stefan il Grande) è stato un uomo pieno di cultura. Ogni volta quando vinceva una guerra faceva costruire una chiesa o un monastero. Ce ne sono più di 40. Nel 1812 in seguito al Trattato di Bucarest, la parte orientale della Moldova viene consegnata ai russi che la ribattezzarono Bessarabia. Un’altra parte della Moldova è rimasta in Romania. La Bessarabia rimase nelle mani dei russi fino alla rivoluzione bolscevica del 1917, dopo la quale si decise di ricongiungersi alla Romania. Nel 1939 il patto Molotov­Ribbentrop (l'accordo tedesco­sovietico sulla divisione dell'Europa orientale), riconsegnò la Bessarabia romena all'URSS, ribattezzò l'intero territorio Repubblica Socialista Sovietica della Moldavia. L'area fu nuovamente occupata dalle forze rumene tra il 1941 e il 1944. Nel 1944 i rumeni furono costretti ad allentare la loro presa sulla zona e le autorità sovietiche tornarono a prenderne il controllo. Il conseguente processo di sovietizzazione comportò la deportazione di oltre 25.000 moldavi in Siberia e nel Kazakhistan. Facendo parte dell’URSS, la Repubblica Moldova era una delle più sviluppate, ma, purtroppo, si trattava di un’economia centralizzata – l’asso nella manica del grande impero. L’industria e l’agricoltura teneva impegnata tutta la gente. Dopo il crollo dell’URSS, e dopo il grande crollo
24 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 bancario del 1989, quando tutti persero i risparmi di una vita, i moldavi si trovarono in grande difficoltà. Nel 1989 l'alfabeto latino tornò a essere quello ufficiale; nel 1990 fu introdotta la bandiera moldava (rosso, giallo, blu) e venne approvata una dichiarazione di sovranità moldava. Nel 1991, infine, la Moldova proclamò la sua piena indipendenza. Le elezioni svoltesi il 25 febbraio 2001 hanno fatto tornare i comunisti alla guida del paese, per reazione a un decennio di liberismo filo­occidentale che aveva portato il Pil, nel periodo 1991­ 2000, a ridursi di un terzo, provocando una massiccia emigrazione. Il risultato lo vedete oggi, lo vedete attraverso il grande numero di cittadini moldavi che svolgono diversi lavori in Italia, ma anche in altri paesi come la Russia, Grecia, Francia, Spagna e Portogallo. Si calcola che siano circa un milione i moldavi residenti all'estero. Lo stato moldavo adesso si trova in fase di rinascita, rinascita dovuta in gran parte anche ai nostri cittadini che lavorano all’estero. Questa rinascita si è sentita a Poganesti insieme al vostro arrivo. Oggi, dopo 4 anni, abbiamo ottenuto insieme a voi dei bei risultati: la ristrutturazione della scuola e dell’asilo, e la cosa più importante, il sostentamento delle mense di tutte e due le istituzioni. L’elenco dei vostri atti di beneficenza è lunghissimo e vorrei specificare specialmente che avete dato ai nostri bambini la possibilità primaria di frequentare la scuola e l’asilo, perché a causa della povertà alcuni genitori sceglievano di tenerli a casa. I nostri bambini, specialmente quelli delle famiglie più disagiate vanno d’estate nelle colonie estive, quello che i loro genitori non sarebbero mai capaci di offrire loro. Tutte queste cose li stimolano nel processo di studio e nello sviluppo. Avrei da elencare tante bellissime cose che voi col vostro contributo avete fatto. Una sola cosa vi vorrei dire, che la felicità di un bambino vale più di qualsiasi cosa e voi non vi potete immaginare quanto bene avete fatto. La vostra reale spinta ha fatto sì che le cose funzionino anche in quel pezzo di terra dove non c’era speranza. È stato un grande aiuto per muovere le cose e, adesso, a Poganesti stanno ristrutturando la strada e costruiscono un acquedotto, perché la gente ha capito che si deve lavorare per star bene. Ma dietro tutto questo grande lavoro stanno delle persone che non si stancano mai di aiutare e colgo l’occasione di ringraziare da parte del mio paese, tutti voi.
25 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 UN AIUTO PRATICO DI ACCESSO AI SERVIZI PER LE PERSONE CHE VIVONO IN STRADA, MA NON SOLO. ANCHE UN MANUALE DI FACILE CONSULTAZIONE PER OPERATORI E VOLONTARI CHE OPERANO A FIANCO DELLE PERSONE SENZA DIMORA NELLA CITTÀ DI TRENTO, E TANTO ALTRO ANCORA. Di Maria Belén PROGETTO "PASSWORD DI STRADA" Giovedì 14 settembre, nella nostra sede di Via Travai, è stato presentato il Progetto " PASSWORD DI STRADA" . Questo Progetto è nato dal bisogno di democratizzare e mettere a disposizione di tutti, le informazione sui servizi e le iniziative presenti nella città di Trento che riguardano le persone senza dimora. Si tratta di un Progetto impegnativo per diversi motivi. Perché mette in rete molte realtà che operano con le persone senza dimora da tanto tempo, e perché queste strutture si sono messe a lavorare insieme, offrendo le informazione e le risorse che ciascuna già possiede, come strumenti utili a fronteggiare la realtà quotidiana. Come tutti sappiamo, non è semplice riuscire a condividere la quotidianità, giacché questa si presenta in tutta la sua complessità, e in modo immediato e veloce, chiedendoci di essere creativi ed efficaci. Quando abbiamo la possibilità di fermarci per riflettere sul nostro "fare", sulle nostre idee, e trasformare questo in risorse che possono servire a tutti, ci rendiamo conto che abbiamo in mano un’ enorme ricchezza da riscoprire e far diventare "strumento di lavoro" per tutti. Il Progetto prevede due fasi: la creazione e la produzione di materiali di informazione, e in seconda battuta, un momento di verifica e di valutazione di quanto realizzato e messo a disposizioni di utenti, volontari e operatori. I materiali prodotti sono: un dépliant pieghevole (tascabile), in materiale resistente e impermeabile per le persone senza dimora, che riporta tutte le informazioni riguardanti i servizi elementari che offre la città; un Manuale per Volontari, ed un Manuale per Operatori. I due manuali, sono stati pensati come guide per quanti operano nel campo dei senza dimora, tenendo conto dei bisogni specifici di entrambi i soggetti. Il Progetto si concluderà a fine anno. La nostra speranza è che i materiali prodotti trovino un pratico utilizzo e il gradimento di coloro che ne usufruiscono. Credo sia importante ricordare le strutture e le persone che hanno lavorato a questo progetto, con tanto impegno e disponibilità: Piergiorgio Bortolotti, Elizabeth Sdao e Milena Berlanda, per il Punto d'Incontro (capofila del Progetto); Enrico Lona per Unità di Strada; Nicola Pedergnana e Letizia Chiodi per il Comune di Trento; Annalisa Michelotti per ATAS; Pier Giorgio Guandalini e Carla Poli per APAS; Ana Lucia Dos Santos Wilson per AMIC; Maria­Caterina Sighel e Giacomo Zandonini per Volontari di Strada; Pierluigi Torboli per il Pronto Soccorso; Daniela Borsi per Villa S.Ignazio; MIchele Poli per LILA Trentino. Coordinando il gruppo di lavoro del progetto password di strada, ho avuto il piacere di conoscere da vicino tutte queste persone e realtà del sociale, e di poter continuare ancora adesso a collaborare con loro. Ci sono anche altri obiettivi che sarebbe bello prefiggersi di raggiungere: ad esempio, quello di mettere in discussione i nostri criteri di guardare la realtà e gli schemi mentali con i quali ci
26 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 rapportiamo ad essa; cercando assieme modalità diverse di rispondere ai tanti problemi che ci interrogano. Sarebbe anche buona cosa, intervenire liberandoci dalla paura di sbagliare; cercare di vedere negli errori eventuali che commettiamo ( e succede spesso), una risorsa da cui partire per costruire altri modi di rapportarsi con la gente. Perché "la gente" siamo tutti noi. Noi che oggi magari ci troviamo a lavorare con persone più sfortunate, il che non significa che non lo possiamo diventare a nostra volta. Non possiamo ritenerci al riparo dal bisogno. Questo dovrebbe indurci a operare per costruire una “dimora” in cui stare bene assieme, imparando a condividere con tutti, capacità e risorse, diritti e opportunità. Imparando a rispettare e accogliere le cose che facciamo fatica ad accettare in noi stessi e negli altri. Sarebbe importante anche poter crescere ammettendo le paure che abbiamo, riconoscendo che ci sono tante cose che non sappiamo e che ci sono altri che possono aiutarci. Ovviamente, "Password di Strada" non si propone di arrivare fino a lì, perché quello è un percorso personale di ciascuno, ma almeno ci proponiamo di offrire materiali che potranno esserci di aiuto nei momenti di difficoltà. Per quel che riguarda il gruppo di lavoro, i partners che ne partecipano, rappresenta una occasione di dibattito, e di confronto utile, mi auguro, alla crescita umana e professionale dei partecipanti. La presentazione di questa prima tappa del Progetto ha costituito un momento di grande partecipazione e interesse, mettendo in rilievo l’utilità dell’iniziativa rivolta alle persone tra le più svantaggiate. Essa offre, per la prima volta a Trento, un ventaglio di informazioni che vanno oltre le solite aspettative: infatti, costituiscono uno sguardo che rispecchia la complessità del mondo in cui lavoriamo; mondo che è fatto anche dalla nostra partecipazione attiva. La gente, numerosa, che ha presenziato alla presentazione del Progetto, ha potuto udire parole cariche di esperienza e riflessione. Ci siamo emozionati durante il momento culturale propostoci dall' Associazione "Il Fonambolo" e nell’udire le profonde parole di Italo Calvino e le sue "Città Invisibili". Chissà che questo Progetto non rappresenti un punto di partenza per continuare a costruirci una dimora fatta di nuove esperienze, di nuovi incontri. Alcuni momenti della presentazione del progetto, con la presenza dell’assessore alle politche sociali del comune di Trento, Violetta Plotegher
27 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 Settembre 18: E’ l’ultima arrivata ma fin da subito abbiam compreso che è una biricchina di prima categoria. Auguri Milena. 27 e 29: Famiglia Artuso in festa. Auguri di cuore ad Emma e Luisa (della quale non abbiamo fotografie) Ottobre 9: Non possiamo scordarci di te. E’ vero, ci si vede poco da quando sei in pensione ma, ogni volta che passi, è un piacere rivederti. Auguri Urbano. In casa Morelli è festa grande per l’arrivo di Laura. “ Ora siamo in quattro!” ha commenatato Giulia quando ha potuto abbracciare la sorellina. Un augurio e tante felicitazioni anche da parte di tutti noi
28 PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 viaggio immaginario al Punto d’Incontro E
ra quasi mezzogiorno quando Nereo giunse davanti al portone del condominio dove alloggiava. Era uscito per fare delle commissioni, e poi si era intrattenuto oltre il previsto. Con degli amici incontrati lungo strada, si era recato al bar a prendere un aperitivo. Prima di salire in casa, pensò di controllare se c’era della posta. Notato che si trattava per lo più di opuscoli pubblicitari, stava quasi per buttare tutto dentro il cestino della carta. Fu allora che intravide la busta con il timbro in rosso. La guardò attentamente, la rigirò fra le mani e poi e l’aprì con noncuranza, mentre entrava in ascensore. «Puah! Sarà roba della scuola» pensò. Pigiò il pulsante del quarto piano e si mise a leggere la lettera a voce alta; come dovesse conferire con qualcuno. «Ma che vadano alla malora! Cosa vogliono questi da me?» sbottò appena ebbe letto il contenuto. Nel frattempo era arrivato al quarto piano. Lasciò l’ascensore con un baccano del diavolo. Infilò la chiave nella toppa, aprì, richiuse la porta e, toltosi le scarpe, si stravaccò sul divano, nel piccolo soggiorno dentro casa. Riprese a leggere la lettera in questione, poi la lasciò cadere sul pavimento, dove giacevano in disordine anche altre carte, libri e quaderni. Nereo, circa trent’anni, era un bell’ uomo. Era professore di lettere presso la scuola media nella cui sede era stata convocata la riunione che tanto lo infastidiva. Il dottor Bonifacio lo conosceva abbastanza bene, avendo avuto occasione di incontrarlo qualche volta, durante corsi di aggiornamento. Sapeva che era un funzionario dell’ente pubblico e questo gli bastava per averlo in antipatia. Come insegnante, Nereo aveva parecchie lacune. Non che non fosse preparato, che anzi si era qualificato tra i migliori quando si era laureato, ma quella dell’insegnante non era davvero la sua passione. Lo faceva esclusivamente per il ventisette del mese e qualche volta ebbe anche la malagrazia di dirlo pubblicamente davanti ai suoi studenti che, infatti, lo detestavano cordialmente. Era quello che si definisce un giovane rampante con in testa solamente la carriera, i soldi e il successo. Era un pozzo di cultura, che però usava per farne sfoggio in compagnia di altre persone; tanto per apparire, mettersi in mostra. Viveva da solo nel piccolo appartamento al quarto piano di un condominio di periferia. 29
PUNTO NOTIZIE marzo – aprile 2006 Gli serviva più che altro come garçonnière, luogo di rifugio provvisorio. Per il futuro aveva in testa tutt’ altri programmi che non l’insegnamento nella scuola. I pasti li consumava al ristorante o alla mensa della scuola. Quanto alle pulizie di casa, ci pensava Luisa, una quarantenne rimasta sola, del sesto piano. Luisa, di aspetto più che piacevole, nutriva dell’affetto per Nereo, e lui pareva approfittarne, quasi con cinismo Non l’aveva mai apertamente incoraggiata; solo lasciato credere che non le fosse indifferente. Niente di più che qualche gentilezza; quel tanto da non sembrare del tutto distaccato, ma senza curarsi dei sentimenti della donna. Qualche volta si fermava a parlare con Luisa o le faceva qualche piccolo regalo. Se si portava in casa qualche donna, si studiava di non essere visto dalla coinquilina. Lei, al contrario, si illudeva sempre di più di poter far breccia nel suo cuore, e ci metteva passione nel riordinargli l’appartamento. Quando Maura rincasò, era quasi notte. In tavola, tutto era pronto per la cena; di là in soggiorno, la madre l’attendeva. Le due donne si salutarono e poi si misero a sedere. «Papà non c’è?» si informò, Maura, notandone l’assenza. «Torna tardi questa sera» spiegò la madre. «Mi ha telefonato che lo trattenevano degli impegni urgenti di lavoro. A proposito» aggiunse subito, «è arrivata una lettera per te, ma ora mangia, che poi la leggerai con calma». La giovane interruppe subito di mangiare e chiese di poter vedere la lettera. «Potrebbe trattarsi della risposta a quella mia richiesta di lavoro, spedita la settimana scorsa!» osservò. «Santa pazienza!»esclamò la madre. «Possibile che non possa attendere di finire di mangiare?». Appena Maura ebbe tra le mani la lettera, l’ aprì con rapidità e con altrettanta rapidità la lesse d’un solo fiato. Rimase per un istante, che alla madre parve lunghissimo, assorta in silenzio e poi chiese, quasi parlando a sé stessa a voce alta, cosa potesse significare quella strana convocazione. Anche la madre volle leggere la missiva, senza peraltro capirci niente. Maura era una giovane poco più che ventenne, laureata in psicologia e in cerca di occupazione. Per il momento lavorava prestando la propria consulenza dove richiesto, ma senza alcun contratto di lavoro. Era una bella ragazza, allegra, piena di entusiasmo e di voglia di vivere. Le due donne finirono di mangiare, continuando a fare congetture varie. Poi convennero che era tempo sprecato; meglio aspettare che Maura andasse a quell’ appuntamento. (2° continua)
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