evoss
FiloF
una porta aperta
FEDERAZIONE DEI SERVIZI DI VOLONTARIATO SOCIO SANITARIO - N.3 SETTEMBRE-DICEMBRE 2014
In caso di mancato recapito rinviare all’Agenzia P.T. di VR CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare
la relativa tariffa. - Poste Italiane S.p.A. - SPEDIZIONE IN A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB VERONA
3
Associazioni e fundraising
pagg.2-4
ATTUALITÀ
Volontari e volontariato
pagg. 6-7
SOLIDARIETÀ
L’Ossario di Custoza
pag. 15
CULTURA
Foto di Federica Calò
La sfida
della Fondazione
DI ALFREDO DAL CORSO
H
o visto un'anziana veronese
rovistare in un cassonetto della
spazzatura per estrarvi del
cibo. Ho raccolto la rabbia di un papà
che non sapeva affrontare la sua famiglia per aver perso il posto di lavoro. Ho
incontrato una persona dimessa dall'ospedale bisognosa di cura, disorientata perché a casa non aveva più nessuno. Ho condiviso lo sfogo di chi,
impotente, vive situazioni assurde e
incredibili.
Così ho pensato alla sfida contro le
povertà che la Fevoss potrebbe affrontare, prima di tutto con se stessa, nel
trasformarsi in Fondazione. Ho avuto
paura. Mi è capitata tra le mani una
riflessione di Madre Teresa di Calcutta: “Il frutto del silenzio è la preghiera, il frutto della preghiera è la fede, il
frutto della fede è l'amore, il frutto dell'amore è il servizio, il frutto del servizio
è la pace”. Mi sono detto: sarà il nostro
programma di futuro servizio verso i
bisognosi, malati, sofferenti. Dal silenzio alla Pace. Ritrovare il carisma
originario sarà tuttavia possibile nel
frastuono che stiamo vivendo e in questa situazione di crisi? Dentro all'attuale babele di lingue auto-referenziali, dov'è quella che ci parla ancora di
diritto, verità, amore?
È urgente e non delegabile il saper farsi prossimo a chi soffre di un disagio
psichico, spirituale o fisico e alle ri spettive famiglie. È quanto mai necessaria una vicinanza umana, capace di
accogliere l'altro, non solo in modo personalistico, ma istituzionale nel saper
attivare interventi qualificati di prevenzione, cura e promozione di politiche di inclusione sociale.
Non possiamo girare la testa coccolati
nel nostro “mondo di buoni samaritani”. Quanto disagio c'è attorno a noi,
forse dentro di noi! Sappiamo che la
responsabilità della qualità del nostro
vivere civile è di chi ci governa, ma pure
che essa interpella ogni cittadino in
qualsivoglia situazione sociale. Non
esiste povertà più di quella di chi non
sa donare. Perciò, a conclusione di
questo anno sociale, sento forte il
richiamo al valore della fortezza pur
consapevole delle nostre fragilità,
omissioni, colpe.
Dunque la Fondazione Fevoss non
potrà essere un contenitore giuridico
vuoto, perché la sua luminosa strategia sarà forgiata dalla storia dalle tante persone solidali, volontari e benefattori, che si sono succedute negli
anni. Sarà espressione del cuore
popolare! C'è un mondo di bene fatto
di tante realtà che operano quotidianamente nelle periferie umane senza
scalpore, di cui la società contemporanea ha estremo bisogno per non
smarrirsi. E tra queste realtà ci sarà
anche la nostra.
ATTUALITÀ
Fundraising, come una raccolta fondi
può cambiare le sorti di un'associazione
«È necessario un cambio di marcia» secondo l'esperto Luciano Zanin. Un approccio strategico a sostegno
dello sviluppo delle organizzazioni non profit, affinché possano perseguire la propria mission
DI RENZO PULIERO
F
undraising, ovvero raccolta fondi. «Significa cercare
donatori, siano essi persone fisiche, persone giuridiche, enti, fondazioni, imprese, che abbiano desiderio
di donare risorse, intese anche come tempo, conoscenze,
beni, strumenti, servizi, per un progetto, uno scopo, che
possono essere, ad esempio, la ricerca sul cancro come
l’acquisto di un furgone per la Fevoss, o il rimborso spese
al volontario che dona il suo tempo». Luciano Zanin
aggiunge che «Fundraising costruisce relazioni tra chi è
disponibile a donazioni e chi ne ha bisogno, cosa ben
diversa dalla sponsorizzazione, e il fundraiser è la figura
professionale che sa usare tutta una serie di strumenti a
questo scopo».
– Come si esprime l’attività di consulenza?
«In sostanza in tre fasi: mettere le organizzazioni non profit in condizioni di capire se sono in grado di fare fundraising e, se del caso, come dovrebbero strutturarsi per farlo;
insegnare loro a fare un fundraising “a misura” delle proprie necessità e contesti; accompagnarle finché non siano
autonome e poi andarmene, delle volte con le “pive nel
sacco” e delle altre volte con grandi soddisfazioni».
FiloFevoss
una porta aperta
SETTEMBRE-DICEMBRE 2014 - PAG. 2
– In quali mercati opera il fundraising?
«Sono quattro: persone fisiche; fondazioni ed enti di erogazione, vedi Cariverona, associazioni Pro Loco e altri; imprese; pubbliche amministrazioni. All’interno di queste possiamo usare una serie di strumenti che vanno dall’inviare
lettere e bollettini al parlare e spiegare iniziative, all’avviare proposte e progetti con imprese. Quando le fondazioni
fanno i bandi, si presentano i progetti mentre le pubbliche
amministrazioni danno contributi».
– Qual è il mercato che produce più donazioni?
«Il settore delle persone fisiche dona il 75 per cento del
totale. Si va da bollettini, bonifici bancari, piattaforme on
line sino ai lasciti testamentari. Quest’ultimo è uno dei settori più interessanti e avrà sviluppo in futuro».
– Perché?
«Tra il 2004 e il 2020 si estingueranno 338 mila famiglie
per mancanza di eredi legittimi e questo significa 107,1
miliardi di euro di patrimonio che, se nessuno rivendicherà, andrà allo Stato. Solo il 7 per cento degli italiani, però,
fa testamento. È così anche per ignoranza. Tutto questo
patrimonio, invece, potrebbe essere a disposizione del bene
comune, se si decidesse da vivi cosa fare delle ricchezze
FUNDRAISER PER PASSIONE
L
ibero professionista, consulente in
Fund Raising, Luciano Zanin, vicentino di Caldogno, è convinto assertore del fatto che l’economia abbia
senso se produce felicità, ovvero se
migliora la qualità della vita di
tutti senza lasciare indietro
nessuno. Si è laureato in
Economia delle imprese
cooperative e organizzazioni non profit all’Università di Bologna alla veneranda età di 40 anni, dopo averne fatto parecchi di esperienza come dirigente di aziende
non profit. Ha conseguito il certificato in Fund Raising
Management alla Fund Raising School di Forlì, anche se i
migliori insegnamenti li ha tratti dalle persone con le quali
ha avuto la fortuna di collaborare. È presidente
dell’Associazione italiana Fund Raising.
Zanin, “Fundraiser per passione”, scrive: c’è ancora tanto
da fare in questo mondo per renderlo migliore e noi, assieme a voi, vogliamo essere i protagonisti di questo cambiamento. È tempo che la società civile si riorganizzi assumendosi maggiore responsabilità nei confronti della realtà che
la circonda. Solo condividendo questa convinzione si può
capire come il fundraising, lungi dall’essere un’attività di
beneficenza, con cui spesso erroneamente viene confusa,
rappresenti un’indispensabile attività strategica per le
organizzazioni non profit che vogliono sia garantire i diritti delle persone più fragili ed assicurare loro la vita dignitosa che meritano, sia contribuire a sviluppare nuovi
modelli di welfare attraverso i quali le comunità che rappresentano, possano svilupparsi e crescere senza “lasciare
nessuno da solo”.
In questo senso il fundraising non è esclusivamente o principalmente una semplice pratica di raccolta fondi, ma piuttosto un approccio strategico a sostegno dello sviluppo
delle organizzazioni non profit, affinché possano perseguire la propria mission. Il fundraising è, quindi, ciò che
l’organizzazione non profit fa per creare rapporti di interesse e scambi sociali fra chi chiede risorse relazionali,
economiche, materiali e chi è potenzialmente disponibile
a donarle.
R. Pul.
più impegnate nel fare e poco nel dire. Siamo nel mondo
della comunicazione e bisogna utilizzare internet. Investire
qualcosa in qualcuno che comunichi è importantissimo: si
deve entrare nella rete on line, utilizzare i siti e i social network, bisogna far conoscere quello che si fa per chiedere di
avere un aiuto e poi raccontare quello che si è fatto. È
come un matrimonio con il donatore: prima ci si conosce,
poi ci si fidanza, ci si sposa. E se non sai cosa è stato fatto,
ci si separa».
– La strada da percorrere, allora, è quella della comunicazione.
– In che modo?
«In primis, l’obiettivo è costruire relazioni con i possibili
donatori, in modo da dare loro l’opportunità di fare una
cosa bella, utile e che sia esperienza positiva per il donatore. Il nostro capo spirituale, Henry Rosso, fondatore della
prima scuola di fundraising alla Columbia University nel
1993, dice che il fundraising è la nobile arte di insegnare a
persone la forza di donare».
– Fundraising è carità?
«No. E non è elemosina. Fundraising è reciprocità: io do a
te non perché hai bisogno, ma perché tu possa perseguire
la tua mission. Se faccio una donazione alla Fevoss, non è
perché la Fevoss è senza soldi, ma perché mi aspetto che
la Fevoss utilizzi il denaro per qualcuno che ne ha bisogno.
La Fevoss, poi, deve dimostrarmi, in un momento successivo, che ha fatto quanto aveva promesso. Se la Fevoss,
grazie alla donazione, acquista un pulmino e vedo che questo gira per Verona al servizio della gente, la prossima volta
sarò portato a fare ancora donazione».
– È utile, insomma, che l’iniziativa sia pubblicizzata.
«Le associazioni sono poco abituate a rendicontare. Sono
– Cosa deve fare un’organizzazione non profit per questo cambio culturale?
«È necessario un cambio della classe dirigente, il che non
significa buttar via gli ultra sessantenni. Vuol dire che è
molto difficile che una persona abituata a fare in un certo
modo, con certi metodi utilizzati per 40 anni, riesca a cambiare completamente. Bisogna, allora, usare la saggezza e
l’esperienza dei sessantenni, ma anche la brillantezza, l’innovazione, le idee, anche la spregiudicatezza e l’incoscienza dei giovani».
– Esempio
«La Fevoss nasce per favorire la mobilità delle persone,
convinta che, attraverso questa, può migliorare la qualità
della vita delle stesse? Se la Fevoss non si rinnova, invece
di servire mille persone, ne servirà 700 e 300 perderanno
questa possibilità. Non sarà colpa diretta della Fevoss,
ma se il suo
scopo è quello e non lo fa,
qualche responsabilità ce l’ha».
– Restando
sull’esempio, la Fe voss, indubbiamente,
fa quello che
può.
«Vero, ma non è
sufficiente: bisogna
anche capire se si può
SETTEMBRE-DICEMBRE 2014 - PAG. 3
«Negli ultimi 20-25 anni, sono state abituate a essere
foraggiate dalle pubbliche amministrazioni. Ora, venendo
meno, in parte, il finanziamento pubblico ed essendo in un
periodo in cui aumentano i bisogni, ci si sposta verso il privato, ma le organizzazioni non profit devono trovare altre
forme di sostenibilità e devono imparare a usare strumenti, metodi, strategie per entrare in contatto con i donatori.
Se c’è il donatore può esserci il dono. Fundraising aiuta a
trovare i donatori».
una porta aperta
– Come devono regolarsi le organizzazioni non profit?
FiloFevoss
accumulate, ma gli italiani sono scaramantici e pensano
che il testamento sia collegato alla morte, eppure non
costa soldi. Faccio presente che il primo beneficiario dei
lasciti testamentari è lo Stato, il secondo la Chiesa cattolica. Le donazioni, in Italia, sono, più o meno, di 5,8-6
miliardi di euro».
«Sì, perché è strettamente collegata alla raccolta fondi. Qui
c’è tutta una serie di professionalità che le associazioni
sono poco abituate a utilizzare e poco propense a investire. È, invece, un cambiamento culturale che l’associazione
deve fare, soprattutto in previsione delle nuove generazioni. C’è chi ha conosciuto il mondo prima di internet e chi
solo dopo internet. I giovani sono figli del nostro tempo.
Non si può non avere un sito. Chi è nato dopo il 2000, usa
solo WhatsApp e piattaforme on line, cioè immagine e
poche parole. I giovani non usano più nemmeno Facebook,
se ne vanno perché lì ci sono i quarantenni».
fare di più, tirando dentro persone giovani, che facciano
raccolta fondi, che utilizzino nuovi strumenti. Ci sono
associazioni che hanno leadership forti da vent’anni che,
da una parte, hanno permesso di svilupparsi, ma, dall’altra, hanno creato un buco tra direzione e successiva generazione. E dico questo con la massima stima delle persone
che hanno lavorato per tanti anni e continuano a farlo. Le
nuove strategie hanno a che fare con aperture che non si
fanno perché si ha paura. Invece bisogna aprirsi a nuove
persone, a nuova raccolta fondi, e questo implica rischio e
paura di sbagliare: ma questo non deve bloccare un’organizzazione non profit».
– Come si arriva a migliorare la comunicazione, a fare
nuove aperture?
«Attraverso il marketing, che significa usare strumenti per
capire nuovi bisogni, nuovi mercati, gruppi di persone che
capiscano di cosa abbia bisogno la Fevoss, o chi per essa,
rispetto a vent’anni fa. C’è, ad esempio, tutto un contesto
di persone vulnerabili che prima non c’era, quelle di persone che nel giro di dodici mesi possono trovarsi in situazione di povertà».
– E poi?
«Bisogna ragionare in termini di sviluppo di impresa, quindi formazione, creazione di strutture diverse, organizzazione aziendale pura. Servono figure di coordinamento e queste bisogna pagarle e per pagarle devi fare fundraising e
per fare fundraising devi fare comunicazione. Cito la Fevoss, ma il 70 per cento delle organizzazioni non profit è
così. Bisogna che il terzo settore prenda consapevolezza
del suo ruolo all’interno della società e decida di giocarlo
tutto, senza paura. La pubblica amministrazione continua
a mantenere tutti i suoi obblighi, ma si tratta di quello che
viene chiamato welfare generativo. Ma l’obiettivo delle
organizzazioni non profit deve essere quello di produrre
parte delle risorse da se stesse».
– Per combattere la Sla, ci si è inventati il giochino
della secchiata di acqua gelida in testa.
FiloFevoss
una porta aperta
SETTEMBRE-DICEMBRE 2014 - PAG. 4
«Va bene anche quello. C’è stata una campagna marke-
In Italia dona una persona su tre
Il dato Doxa dimostra la solidarietà degli italiani. Nel
2013, il 29,7 per cento ha donato in modo regolare per almeno una organizzazione (leggero aumento rispetto al 2012: 29,6). Una
ricerca della Fondazione Zancan di
Padova dice che il 22-23 per cento degli
italiani fa volontariato.
I dati emersi dal censimento del 2011,
prodotti da Istat, indicano che il no
profit consiste di 301 mila organizzazioni, per circa 4 milioni e
mezzo di volontari, 6 milioni
di persone assistite, 64
miliardi di euro di volume, pari al 4,3 per cento del
Prodotto interno lordo, per 670 mila lavoratori dipendenti.
L’opera delle organizzazioni no profit influisce tantissimo
sulla qualità di vita della gente.
R. Pul.
ting virale, l’utilizzo del web, il presidente del Consiglio si
dà la secchiata e l’immagine fa il giro del mondo, altri lo
fanno, altri contribuiscono. E questo diventa contaminante».
– Altri esempi?
«Charitywater.org è un sito americano. Il 70 per cento della
raccolta fondi lo fa con iniziative che il volontariato mette
in atto nel giorno del suo compleanno, quando ognuno
dice: invece di farmi un regalo, fai questa donazione. È il
gioco delle tre effe: Family, Friends, Fans. Le relazioni,
così, si moltiplicano. Su cellulare, tablet, ipod si possono
avere 900 contatti e se c’è un’iniziativa, una donazione,
una proposta in atto che va bene, c’è chi la comunica a
tutti 900. È possibile che la metà di loro intervenga, contribuisca. Sapere utilizzare la rete, i social network, i siti è
una nuova professionalità. È la potenza del virale attraverso internet».
– È necessario un cambio di marcia.
«Tutto questo, rimanendo in Fevoss, non sostituisce quanto ha fatto e continua a fare, ma non ne può più prescindere. Bisogna capire questo, altrimenti non si esce da un
sistema in cui è da trent’anni. È vero, in questo sistema è
cresciuta, ma adesso cambia il contesto del mondo della
comunicazione e diventano importanti cose che prima non
lo erano e viceversa. Curare le relazioni, perseguire l’economia delle conoscenze è il vero cambio di passo per continuare a fare meglio quello per cui la Fevoss e le organizzazioni non profit sono nate. È la rivoluzione culturale del
terzo settore. Non è, ribadisco, un problema di soldi. Vorrei
che la Fevoss raccontasse quello che fa, anche se non
avesse bisogno di denaro. La crisi, sotto questo aspetto, è
una grande opportunità. Einstein diceva che è una benedizione per i popoli perché è nei momenti di crisi che si tira
fuori il meglio di se stessi».
una porta aperta
FiloFevoss
SETTEMBRE-DICEMBRE 2014 - PAG. 5
UN POʼ DI NUMERI
Volontari e volontariato
lo stato delle cose
Presentato lo scorso 23 luglio il report sulle “Attività gratuite a beneficio degli altri” relativo al 2013.
Analizziamo insieme al direttore del Csv Fabio Fornasini i punti di forza, le criticità e le prospettive future
DI SARA DI BIASE
P
arte dalla convenzione stipulata tra Istat, Csvnet (la
rete dei Centri di servizio per il volontariato) e
Fondazione volontariato e partecipazione la prima
rilevazione sul lavoro volontario, i cui dati sono stati diffusi lo scorso 23 luglio.
Lo studio è stato effettuato su attività volontarie svolte da
6,6 milioni di persone in quattro settimane prese come
riferimento. A partire dai valori ottenuti è possibile definire lo stato delle cose in tema di volontari e volontariato.
Cosa dona il volontariato?
Il “guadagno” di chi pratica attività volontarie
una porta aperta
FiloFevoss SETTEMBRE-DICEMBRE - PAG. 6
L'identikit del volontario
Circa un italiano su otto si dedica al volontariato. Ciò si
traduce in una cifra pari a 6,63 milioni di persone, corrispondente a un tasso di volontariato totale del 12,6%.
Gli uomini sono più attivi rispetto alle donne (13,3% contro 11,9%).
La fascia d’età maggiormente impegnata nel volontariato è
quella che si aggira tra i 55 e i 64 anni, dove il tasso di
volontariato è massimo e raggiunge il 15,9%. Più in generale è possibile affermare che la percentuale di volontari è
maggiore nelle classi di età centrali della popolazione.
Di particolare interesse il rapporto di chi presta attività
volontarie con il titolo di studio. Il tasso di volontariato
totale infatti aumenta in modo pressoché lineare al crescere del grado di istruzione e raggiunge il suo massimo tra i
laureati (22,1%).
Anche i volontari veronesi si allineano a questo identikit,
come conferma Fabio Fornasini, direttore del Csv: «Coloro
che fanno riferimento ad associazioni iscritte al registro
regionale costituiscono un’ampia rete che riteniamo sia
formata da oltre 8 mila persone sensibili e appassionate.
L’età media è over 50-55. I giovani non sono tuttavia
distanti dal volontariato, anzi! Tendono però di più a
“cogliere l’attimo” impegnandosi in singoli eventi e in particolari iniziative. I volontari inoltre sono sempre più istruiti e preparati». Fornasini pone l’accento proprio sull’aspetto della formazione, come caratteristica dei volontari odierni: «Rispetto al passato il volontario è più competente.
Volontari non ci si improvvisa. È un po’ illusoria l’idea che
basti dare qualche ora e si possa fare volontariato in qualsiasi ambito. Per questo motivo ogni associazione ha corsi
introduttivi al servizio, alla sicurezza e così via. Da parte
nostra come Csv continuiamo a sostenere queste necessità con competenze di consulenza, formazione e supporto».
A completare il ritratto del volontario contribuiscono
anche aspetti quali il tenore di vita e la disponibilità in termini di tempo riservata alle attività gratuite.
Ecco allora che i membri di famiglie agiate svolgono attività volontarie quasi due volte e mezzo in più rispetto a
coloro che vivono in famiglie con risorse economiche
insufficienti, con un tasso di volontariato del 23,4% contro un 9,7%.
Per quel che riguarda invece il “monte-ore” dedicato alle
attività volontarie, considerando una “settimana lavorativa” di 36 ore, l’ammontare del lavoro volontario si può considerare equivalente a circa 875 mila unità occupate a
tempo pieno. Questo si traduce in un impegno medio per
ciascun volontario di 19 ore (sempre in relazione al periodo di riferimento di quattro settimane).
Sotto la lente d’ingrandimento
Il tasso di volontariato totale più elevato, per quello che
riguarda la distribuzione delle attività sul territorio, si registra nel Nord-est (16%), seguono Nord-ovest (13,9%) e
Centro (13,4%). Il Sud si caratterizza con livelli di partecipazione sensibilmente più bassi (8,6%).
Verona, in pieno accordo con la statistica, si inserisce tra
le città che maggiormente avvertono i crescenti bisogni
ciazioni non-profit (2,9%), o nelle imprese, tra cui le cooperative sociali (0,5%).
Non va poi dimenticato un nutrito gruppo di volontari,
circa il 23,2%, che è attivo in gruppi con finalità religiose.
Si parla prevalentemente di donne (29,7% contro il 17,5%
degli uomini), residenti nel Centro Sud e con un basso titolo di studio. Le classi di età prevalenti in questo gruppo
sono rappresentate dai giovani tra 14 e 24 anni e dagli
anziani di 75 anni e più, con un tasso di volontariato
rispettivamente del 29,7% e del 30,5%.
Prospettive future
Definito il quadro generale della situazione attuale del
volontariato si può pensare al volontario di domani, a come
sarà e al contesto in cui si muoverà. Ad aiutarci nel tracciare i contorni ovviamente incerti e possibilistici interviene Fornasini. «Alcune esperienze che stiamo analizzando ci
portano a pensare che il volontariato del futuro avrà una
sensibilità sempre più “individuale”, soprattutto nei giovani. La pratica volontaria diventa un modo per fare cittadinanza attiva, fare un’esperienza che può essere anche una
soft skill del proprio curriculum vitae» prosegue ancora il
direttore del Csv. «Altro connotato che caratterizzerà il
volontariato, sarà la dimensione di partecipazione all’innovazione sociale, cioè idee e novità che possano dare un
contributo alla gestione del bene comune».
Relativamente al territorio veronese, al fine di non perdere
questo inestimabile patrimonio di individui dediti all’aiuto
e al sostegno dei meno fortunati e addirittura per alimentare tutto il movimento del volontariato, Fornasini punta
su strategie diverse: «Si potrebbero ideare percorsi temporanei, progetti a tempo, proposte ben calibrate nella loro
durata. In ogni caso l’aspetto davvero fondamentale e
importante è il clima dell’organizzazione. Da una ricerca
del 2013, realizzata insieme all’Università di Verona, si è
visto come il volontario cerchi un ambiente strutturato,
funzionale, ricco di relazioni ed empatia. Ciò è fondamentale per stabilizzare e avvicinare le persone, nella collaborazione e nel contatto umano».
una porta aperta
Perché si diventa volontari?
Le motivazioni che spingono allʼattività volontaria
Fabio Fornasini, direttore del Csv di Verona
FiloFevoss SETTEMBRE-DICEMBRE - PAG. 7
sociali e forniscono il loro supporto a chi ha più bisogno.
«Nella nostra città il tessuto volontario è molto forte e radicato – conferma Fornasini –. Le associazioni nella provincia iscritte al volontariato sono circa 440, uno dei numeri
più elevati della regione Veneto insieme alle cifre rilevate a
Treviso. Non bisogna dimenticare, inoltre, la presenza di
una rete di associazioni non iscritte, ma altrettanto folta e
impegnata».
Le attività di volontariato possono essere distinte in due filoni principali: quelle svolte attraverso gruppi e organizzazioni
e quelle a cui ci si dedicata individualmente. Da un punto di
vista professionale le prime risultano più qualificate.
Per quel che riguarda la continuità nel prestare servizio,
nel volontariato non organizzato nel 48,9% dei casi ci si
dedica da meno di due anni all’attività. Diverso è, invece, il
comportamento dei volontari organizzati, per i quali bisogna sottolineare che nel 76,9% dei casi l’attività praticata
è la stessa da tre anni o più; in particolare ben il 37,7%
persegue l’impegno da più di dieci anni. L’attività volontaria diventa dunque una pratica ripetuta nel tempo e consolidata che consente all’associazione di fare affidamento
sull’esperienza accumulata.
Fornasini pone attenzione su un’interessante conseguenza
di questo aspetto: «Molte associazioni di volontariato giorno dopo giorno riescono a generare vere e proprie aree di
lavoro sociale. La loro attività si evolve, matura, cresce e
consente di aprire, in alcuni casi, piccoli spazi di professionalità, quindi posti di lavoro. Questo non è un fatto negativo, tutt’altro. Le associazioni talvolta chiedono aiuto per
“gemmare” la loro attività in soluzioni professionali separando il tutto dal volontariato. In questo senso il volontariato è veramente “start up” di impresa sociale, purché, è
sempre bene tenerlo presente, si separino bene gli aspetti».
A oggi sono presenti diversi tipi di organizzazioni, alle quali, chi si dedica a queste attività si può aggregare. Nello
specifico il numero più grande di adesioni è rilevato nelle
associazioni di promozione sociale e onlus (24,3%), mentre
il 15,8% dei volontari presta servizio presso associazioni
culturali e sportive. Più raro è lo svolgimento dell’attività
volontaria presso partiti e sindacati (3,2%), in altre asso-
La Fevoss in prima fila
alla festa del volontariato
O
FiloFevoss
una porta aperta
SETTEMBRE-DICEMBRE - PAG. 8
ltre 80 associazioni solidali attive tra città e provincia, domenica 28 settembre, hanno partecipato alla
quattordicesima edizione della Festa del volontariato. Per l'occasione Piazza Bra si è riempita di stand e di
una miriade di persone che insieme rappresentano il cuore
e il motore del Terzo settore, un popolo solidale stimato,
soltanto nel Veronese, in un esercito di oltre novemila
volontari, compresi i volontari della Fevoss che, per l'intera giornata, in un accogliente stand hanno dato informazioni sulle attività della onlus (dai servizi di trasporto
all'assistenza sanitaria) e hanno spiegato con opuscoli e
materiale informativo la sfida della trasformazione in
Fondazione.
La manifestazione è stata realizzata dal Centro Servizio per
il Volontariato (Csv) di Verona in coorganizzazione con
l’Assessorato ai Servizi sociali e famiglia del Comune e grazie al sostegno della Banca Popolare di Verona e il supporto di Acque Veronesi e Amia.
Obiettivo dell'evento, ha spiegato la presidente del Csv
Chiara Tommasini, è stato «raccontare chi sono e che cosa
fanno quotidianamente associazioni e volontari per contribuire al miglioramento della vita di tutti attraverso una
costante attenzione ai bisogni del territorio in cui hanno
sede, e al conseguente sviluppo di progetti e attività in
ambito socio sanitario, nell’aiuto e sviluppo della persona,
nel soccorso e in supporto all’ambiente e ai beni culturali».
Idea riassunta nell'immagine stilizzata, scelta da quest'anno come logo della Festa, che attraverso le forme e i colori
sottolinea l’importanza dell'operato di ciascun volontario,
di tutti gli ambiti del sociale, di ogni singola associazione
che, insieme e in rete, rappresentano la vera forza del
Terzo settore.
GRUPPI
Ciao Gaetano!
Sei stato esempio di dinamismo e vitalità
I volontari piangono la scomparsa di Gaetano Grezzani, uno dei primi fondatori del Gruppo
Fevoss di Borgo Milano. “Se mi cercate, cercatemi nei vostri cuori è lì che mi troverete”
coinvolge nel suo vorticoso
svolgersi fino a farti dimenticare le persone più vicine.
“Se mi cercate, cercatemi
nei vostri cuori, è lì che mi
troverete sempre” così recitava la bella frase scritta
in capo al necrologio che
annun ciava la morte di
Gaetano. Poche, ma molto
significative parole che richiamano coloro che l’hanno conosciuto a restituirgli
quell’eternità terrena che
appartiene solo al ricordo.
Come sempre si fa per una persona cara che lascia questa
nostra terra, abbiamo citato solo le sue virtù dimenticandoci
dei suoi difetti: e perché ciò?
Forse le risposte possono essere tante, una di queste potrebbe
trovarsi in quest’atto di purificazione che rende le persone a noi
care così leggere da elevarsi in cielo fino a toccare il Paradiso o
l’Olimpo, poiché i nostri morti sono e saranno sempre i nostri
Santi o i nostri Dei.
Ciao Gaetano
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FILOFEVOSS
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2015
Filofevoss è il periodico di contatto con ogni persona solidale
che sceglie di andare controcorrente, mentre la mentalità dell’effimero, dell’individualismo e dell’efficienza a tutti i costi sembra prevalere.
Piccoli gesti di affettuosa partecipazione al Bene comune sono
oggi quantomai necessari per affermare la ragione del cuore che
non si ferma dinanzi a nessun ostacolo esistenziale.
Sostieni e diffondi Filofevoss! Troverai in questo numero il bollettino del c/c postale per il versamento, il quale può essere utilizzato
per detrazioni a fini fiscali.
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simpatizzante euro 20, sostenitore euro 50 e oltre,
benefattore euro 500 e oltre.
Grazie per la generosa adesione.
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FiloF
SETTEMBRE-DICEMBRE - PAG. 9
Tiziano, Silvana, Ivano, Marisa, Renata, Lamberto, Giovanni, Oreste,
Giuliana, Assunta, M.Rosa, Marina, Sara, Amerigo, M.Teresa.
FiloFevoss
I
l Gruppo della Fevoss di Borgo Milano piange la scomparsa
di uno dei suoi primi fondatori: venerdì 3 ottobre si è spento nella sua casa Gaetano Grezzani. La tessera numero 247
ne testimonia l’adesione a quello sparuto manipolo di pionieri
della solidarietà che nei primi anni Novanta del secolo scorso
sono riusciti a dar vita al Gruppo Fevoss di Borgo Milano e a
organizzare in via Fratelli Rosselli l’ambulatorio tutt’ora in funzione.
Gaetano era uno di questi: persona attiva, ingegnosa e affidabile. Grande trascinatore e punto di riferimento per tutti. Ciò che
di lui colpiva erano sicuramente l'autorevolezza e il dinamismo.
La prima gli derivava certamente dal carattere ponderato e dall'intelligenza, che gli permettevano di cogliere con lucidità la
realtà delle cose e, di conseguenza, di trovare le soluzioni più
adeguate con quel senso di sicurezza che però non si trasformava mai in arroganza.
Il suo dinamismo nasceva dalla prorompente vitalità che dava
un senso profondo alla sua esistenza. Proverbiali erano le sue
campagne per la distribuzione del calendario della Fevoss,
importanti per l’associazione sia come fonte di finanziamento
che come pubblicità. Se dovessimo, come per gli orientali,
immaginare Gaetano in un'esistenza del mondo animale
potremmo vederlo nelle vesti di un’ape regina a dirigere un
alveare, oppure di un castoro indaffarato tutto il giorno a
costruire, come un valente ingegnere, straordinarie opere di
sbarramento nel fiume.
La malattia invalidante che lo ha portato alla morte, è stata
molto lunga: sembra impossibile, ma solo la perfida fantasia
dell’esistenza poteva colpire una persona così attiva, costringendola su una sedia a rotelle prima e poi inferma su di un
letto. In questi undici anni Gaetano è stato amorevolmente
assistito dai suoi familiari e confortato da una tenace Fede
Cristiana. La moglie Adriana con le figlie Flavia e Stefania lo ha
custodito come un tesoro prezioso non solo prestandogli le cure
mediche indispensabili, ma anche conservando la sua presenza nella comunità familiare per restituirgli quella dignità di persona che la malattia tende a togliere.
Nel 2011, in occasione del ventennale della Fevoss, siamo
andati con Gianni Cailotto a trovare Gaetano per consegnargli
il distintivo d’oro. È stato un piacevole incontro in cui Gaetano
si era commosso perché aveva capito che non ci eravamo
dimenticati di lui. L’accoglienza dei familiari ha fatto sì che
una semplice visita per la consegna di un distintivo si fosse
trasformata in un evento speciale. Dopo l’uscita da quella casa
un po’ di rimorso, però, l’abbiamo sentito per il fatto che le
nostre visite erano rare e ci siamo resi conto di come la vita ti
TESTIMONIANZE
Momenti “esclusivi”
A tu per tu con Madre Teresa
A Calcutta, il 29 gennaio 1988, fortuite coincidenze permisero l’emozione e l’orgoglio di un’intervista.
In ricordo un autografo su una piccola stampa e un beneaugurante “God bless you” (“Dio ti benedica”)
DI CLAUDIO BECCALOSSI
L
FiloFevoss
una porta aperta
SETTEMBRE-DICEMBRE - PAG. 10
auro Coletta, compagno ritrovato delle elementari
con trascorsi in Gran Bretagna ed in India, ed io nel
gennaio 1988 ci recammo per un’impegnativa full im mersion nel Paese-continente asiatico. Infatti l’amico era
una quale guida esperta per miei intenti giornalistici. In
effetti da quel tour indiano tornai con un notevole materiale di appunti e foto che, poi, elaborati in articoli, interviste e reportages, trovarono pubblicazione su varie testate (come “L’Arena” di Verona e “L’Adige” di Trento). Sulle
vicissitudini del nostro itinerario fummo perfino intervistati, prima del ritorno in Italia, dalla reporter Farah
Ahmed di “Indian Express” (Express Towers, Nariman
Point, Bombay).
Partimmo dall’aeroporto romano di Fiumicino e, dopo scali
ad Atene, Kuwait City (Madinat al-Kuwait) e Dubai
(Dābāyā’), giungemmo a Bombay (dal 1995 Mumbai), capitale dello Stato indiano del Maharashtra, prima tappa del
nostro particolare itinerario tra ashram (che, in sanscrito,
significa “luogo di meditazione e romitaggio” ed anche “uno
dei quattro stadi della vita”), guru (termine sanscrito che,
per gli induisti, indica il “maestro” od il “precettore spirituale”) ed affascinanti, stridenti contraddizioni.
Nel corso del faticoso tragitto, non scevro di pericoli ed
imprevisti, da Bombay a Pune (Poona), Bangalore
(Bengaluru), Puttaparthi, Madras, Pondicherry o
Pondichéry (Puducherry), Calcutta, Tiljala, Mayapur,
Delhi ed ancora Bombay (“base” d’arrivo e partenza da e
per Roma), avvicinammo una consistente serie di personaggi, tra cui i consoli generali d’Italia, a Bombay
Francesco Orazi Flavoni, ed a Calcutta Gerardo Zampaglione, l’intraprendente uomo d’affari Cesare Rossi, i
“santi” padri salesiani Antonio Alessi ed Aurelio Maschio,
i celebri mistici Bhagwan Shree Rajneesh (Osho Rajneesh),
Sathya Sai Baba (nato Sathya Narayana Raju Ratnakaram),
Prabhat Ranjan Sarkar (Shrii Shrii Anandamurti, chiamato Baba dai suoi discepoli).
Il 28 gennaio, proprio nella data del mio compleanno, in
un paio d’ore di volo ci spostammo dalla città di Madras
(l’odierna Chennai, capitale del Tamil Nadu, affacciata sul
golfo del Bengala) a Calcutta (ufficialmente Kolkata, capitale del Bengala Occidentale, West Bengal). Prendemmo
alloggio presso l’Hotel West End (11, Waterloo Street) al cui
ristorante, la sera, festeggiammo alla buona, tra noi due,
la ricorrenza della mia nascita.
Il giorno dopo ci avviammo verso la sede delle Missionaries
of Charity (Missionarie della Carità), la congregazione fondata da Madre Teresa, al 54A, Lower Circular Road, confidando di trovarvi la famosa suora, spesso in giro per il
mondo a causa dei suoi molteplici impegni. Fummo fortunati perché la giovane religiosa che ci diede retta al portone in legno, confermò la presenza di Madre Teresa nell’edificio, ma disse anche che, in quei momenti, stava riposando e che avremmo potuto incontrarla più tardi, dopo le 15.
Ci ripresentammo all’ora indicata, alquanto eccitati per
l’insperata opportunità. Saliti al primo piano affacciato su
un cortiletto interno, vedemmo subito l’illustre suora dialogare in piedi con un signore e per questo stemmo a debita distanza, seduti su una panca, per rispettare la loro
privacy. Intanto osservai Madre Teresa: il viso tormenta-
I GRANDI SEGNI VERGATI DALLA
“PICCOLA MATITA NELLE MANI DI DIO”
una porta aperta
to da profonde rughe e da serissima malinconia o da
un’enorme stanchezza, piccola di statura, quasi minuta,
ingobbita, con il caratteristico sari e il velo fin quasi sugli
occhi del suo ordine e un maglione blu chiuso da bottoni
sul davanti. Era scalza e mi colpirono i suoi piedi, tozzi e
deformi.
Dopo che il suo interlocutore se ne fu andato, si avvicinò
a noi parlando in inglese e avvisandoci subito che aveva
poco tempo da dedicarci, che non voleva né rilasciare
interviste e nemmeno farsi fotografare. Per qualche strano
meccanismo favorevole, però, riuscii a convincerla a
rispondere ad alcune mie domande (che mi ero preparato
in precedenza sull’agenda e che “condirono” il mio lungo
“pezzo” dedicato a Madre Teresa, consegnato nelle stesse
mani del direttore responsabile de “L’Arena” d’allora
Giuseppe Brugnoli e pubblicato sulla terza pagina del
quotidiano veronese il 9 marzo 1988) mentre Lauro ci
scattava delle fotografie, due mentre conversavamo e una
quasi in posa, con lei che guardava in basso e non l’obiettivo. Ricordo che, prima dell’ultima foto, volendo averla
più vicina a me, le misi una mano sulla spalla per trarla
accanto ma lei si scostò bruscamente, mantenendo un
certo distacco. Mi consolai con il suo autografo su una
piccola stampa con la sua foto e una preghiera dedicata a
“Mary, Mother of Jesus…”, la sua firma scritta in rosso e
con un beneaugurante (specie da Madre Teresa) “God
bless you” (“Dio ti benedica”)…
Fotografie con lei e suo autografo che conservo con orgoglio e gelosia in archivio assieme ad altra copiosa documentazione su quel mio lontano incontro con l’India, terra
d’innata e trasversale spiritualità...
FiloFevoss
adre Teresa, al secolo Anjëzë Gonxhe Bojaxhiu, venne alla
luce a Skopje (allora
sotto l’Impero Ottomano)
il 26 agosto 1910 da
genitori benestanti albanesi originari del Kosovo.
S’avvicinò all’India leggendo e ascoltando la
lettura di testimonianze di
missionari gesuiti operanti nel Bengala. Nel 1928 entrò come aspirante tra le Suore di Loreto
dell’Istituto della Beata Vergine Maria, che si dedicava ad attività
missionarie nel subcontinente asiatico.
Da Parigi, dove affrontò un colloquio preliminare, venne mandata a
Dublino, in Irlanda. L’India fu il passo successivo, compiuto nel gennaio 1929. Da Calcutta passò nella municipality di Darjeeling a proseguire la propria preparazione. Pronunciò i voti temporanei il 24
maggio 1931 e il nome che scelse, Maria Teresa, fu anche per devozione a Santa Teresa di Lisieux o Santa Teresa del Bambino Gesù.
Presi i voti, Anjëzë-Madre Teresa abbandonò Darjeeling e tornò a
Calcutta restandovi per 17 anni. Visse il suo impegno nel collegio cattolico “Saint Mary’s High School” di Entally. Per pronunciare i voti
perpetui, nel 1937 rifece il tragitto verso Darjeeling assumendo il
nome di Madre Teresa. A Calcutta salì la scala gerarchica venendo
nominata direttrice del collegio nel 1944, in piena guerra, quando il
convento venne requisito e adibito dagli inglesi a ospedale militare
fino al termine del conflitto.
Nel 1946 Madre Teresa rimase traumatizzata dalle conseguenze
sanguinose degli scontri tra le varie fazioni indipendentiste. Decise di
cambiare la propria missione e la sera del 10 settembre salì sul convoglio diretto a Darjeeling per una decina di giorni d’esercizi spirituali. Fu in quella fatidica notte in treno che s’innescò il meccanismo
spirituale della “chiamata nella chiamata”.
La religiosa volle lasciarsi alle spalle il convento per avvicinare e servire i più poveri e abbandonati. Nel 1948 ottenne dal Vaticano l’autorizzazione a seguire da sola i propri progetti nei sobborghi di
Calcutta a patto che rispettasse sempre i voti. Lasciò il velo nero delle
Suore di Loreto il 15 agosto 1948 e nello stesso anno acquisì la cittadinanza dell’India indipendente dalle catene inglesi, “sposandosi”
con l’umanità povera, negletta e bistrattata degli slums indiani.
Nel 1950 fondò la “sua” congregazione, quella delle Missionarie
della Carità, subito supportata dalle prime dodici ragazze, tra le
quali non potevano mancare alcune sue ex studentesse del collegio
“Saint Mary’s High School”. Le Missionarie non s’occuparono solo di
“intoccabili”, infermi o all’ultimo stadio della vita. I campi d’azione
s’allargarono al reinserimento lavorativo dei guariti e alla cura dei
piccoli abbandonati o orfani. E, in seguito, all’assistenza dei lebbrosi.
Papa Paolo VI attribuì alle Missionarie della Carità, nel febbraio
1965, il titolo di “Congregazione di diritto pontificio” concedendo
loro la facoltà d’allargarsi oltre i confini indiani.
L’internazionalizzazione prese piede il 26 luglio 1965 con la prima
apertura d’una casa delle Missionarie della Carità a Cocorote
(Venezuela), poi a Colombo (Sri Lanka) nel 1967, in Africa, America,
Asia ed Europa. Il frequente contatto con Papa Giovanni Paolo II
agevolò l’apertura di tre sedi a Roma.
Nel 1979 Madre Teresa ricevette il Premio “Nobel” per la pace grazie al suo “lavoro compiuto nella lotta per vincere la povertà e la
miseria che costituiscono anche una minaccia per la pace”.
Morì il 5 settembre 1997, all’età di 87 anni, provocando commoventi impennate di costernata emozione mondiale. L’India le tributò un
funerale di Stato a cui parteciparono una folla strabocchevole e
esponenti internazionali. L’ultima collocazione di madre Teresa fu
un’umile tomba bianca all’interno della casa madre delle
Missionarie della Carità, a Calcutta, con scritto l’estremo ammonimento evangelico: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”,
riassunto e volontà d’una lunga vita dall’energica e laboriosa fede.
SETTEMBRE-DICEMBRE - PAG. 11
M
A TU PER TU
La comunicazione nella relazione:
il potere del nostro agire
Quando l'amore fa male? Il 27 novembre al Centro di Santa Toscana si parla di discorso amoroso
e strategie comunicative che possono modificare alcune dinamiche all'interno della relazione di coppia
DI LUCIA PIZZIOLO e PATRIZIA GUADAGNINI
Q
FiloFevoss
una porta aperta
SETTEMBRE-DICEMBRE 2014 - PAG. 12
uando si parla di amore, discorso amoroso, coppia,
si fa comunemente riferimento a un sentimento di
affetto, attaccamento, amorevolezza, benevolenza,
predilezione che per la persona amata si concretizza nel
desiderio di procurare al proprio compagno uno stato di
benessere.
La voglia di rappresentare una “relazione felice”, in cui i
membri costruiscono insieme la loro storia nella ricerca di
un arricchimento scambievole e di una condizione di benessere reciproco, è l’aspettativa della maggior parte delle per-
sone che decidono di vivere un rapporto di coppia.
Nella relazione la comunicazione diventa veicolante di sentimenti di stima, aiuto, solidarietà, alleanza, rispetto e
ognuno dei partner, nella propria individualità, riesce a
essere tutt’uno con l’altro. La progettualità diventa un
“mondo” di potenziamento reciproco dove solidarietà e complicità sono i punti saldi sui quali contare nei momenti di
debolezza e bisogno. Tutto ciò, in genere, deriva da un sincero e profondo sentimento di fiducia che sta alla base di
un solido rapporto sentimentale.
Contrariamente a ciò, sempre più spesso si sente parlare di
“amore che fa male”. Ma in realtà cosa significa questo
modo di intendere l'amore?
Può accadere ad esempio di incontrare una persona “sbagliata” o di ritrovarsi in una situazione “sbagliata”, che non
fa sentire bene, diminuisce la fiducia in se stessi, e quindi
l’autostima, e che può indurre a sfruttare o ad approfittarsi dell’altro, invece di accoglierne debolezze e difficoltà.
In sintesi tale stato di cose può creare malessere e può portare uno dei partner a ritrovarsi “vittima”, o in senso psicologico, o anche “fisico”, o nella peggiore delle ipotesi, in
entrambe le situazioni.
Questa contraddizione rispetto all’attesa e al significato
stesso della relazione d’amore, crea confusione e disordine.
In un simile contesto può accadere di sentirsi colpevoli per
la propria infelicità, di non ritenersi all’altezza dell’altro, o
di essere disorientati a tal punto da pensare di meritare
una tale brutale “croce”. Si delineano delle fragilità per cui,
immersi in questo film paradossale, ci si può ritrovare a
“soccombere” alla persona amata o a quella situazione
“sbagliata”, pensando, pur sapendo di stare male, di non
poterne più fare a meno e allo stesso tempo, di rimanere in
qualche modo “intrappolati” in quella situazione, eludendo
tuttavia, la possibilità di individuare una qualche soluzione
“all'amore che fa male”.
Una relazione si costruisce attraverso la comunicazione,
scegliendo parole, frasi e contenuti che rispecchiano la propria intenzione rispetto a ciò che si sta provando e vivendo.
La scelta di alcuni vocaboli piuttosto che di altri e la modalità comunicativa utilizzata guidano un modo di essere e
fare all’interno del rapporto stesso. Le parole e i loro significati trascinano con sé le azioni che vi fanno da specchio.
Decisamente impegnativo è il tentativo di cambiare una
relazione che “fa male”. Riuscire a fare chiarezza, dunque,
prendere coscienza delle dinamiche relazionali in cui si è
“vittima” o "complice inconsapevole", è un percorso complesso, ma è il solo inizio ipotizzabile per un percorso di
cambiamento. Quando si parla di comunicazione e uso
della parola, in base a come la utilizziamo nel descriverci,
la comunicazione può avere una connotazione negativa in
virtù della quale si svaluta la nostra persona e le nostre
azioni, senza lasciare spazio a una riflessione che permetta
di trovare delle alternative alle scelte non funzionali.
P
er chi fosse interessato si prospetta l'occasione di poter
parlare di discorso amoroso e strategie comunicative che
possono modificare alcune dinamiche relazionali. Vi invitiamo dunque a partecipare alla serata: La comunicazione
nella relazione: il potere del nostro agire. “Quando l’amore fa male”, che si terrà il 27 novembre (alle 21) presso la
sede centrale della Fevoss in via Santa Toscana 9 a Verona.
Abbandono, solitudine, emarginazione...
Discorsi su donne che vogliono cambiare
Parola chiave è cambiamento. E la condizione senza la quale si po' immaginare un cambiamento è la
coscienza dell'avere bisogno di qualcosa e avere chiaro chi si vuole effettivamente diventare
DI LUCIA PIZZIOLO e PATRIZIA GUADAGNINI
una porta aperta
C
hi fosse interessato ad approfondire quest’argomento, è
invitato a partecipare alla serata dal titolo: Abbandono,
solitudine, emarginazione... Discorsi intorno alle donne
che vogliono cambiare, che si terrà nella giornata del 29
gennaio 2015 (alle 21) presso la sede centrale della Fevoss
in via Santa Toscana 9 a Verona.
FiloFevoss
queste devono essere considerate, sia sotto il profilo affettivo e sia
sotto quello emotivo, in situazioni di “difficoltà” in relazione a: se
stesse, gli altri e il mondo in cui si sperimentano, ma anche al
ruolo “dell'altro” che incontrano come interlocutore. Inoltre non
sono da trascurare gli schemi di valutazione e reazione insiti nel
gioco delle parti, con il senso comune e i discorsi che si fanno
intorno a esso.
A riguardo le moderne teorie socio-psicologiche portano sempre
più a riflettere intorno all’importanza acquisita, all’interno della
moderna società, dalle dimensioni relazionali, interattive ed emotivo-affettive nei percorsi di crescita ed apprendimento.
In questo senso i più autorevoli esperti in materia hanno da
tempo evidenziato come la maggior parte della vita si svolga in
contesti di relazioni e interazioni, anche di gruppo. Unitamente a
ciò, hanno sottolineato l'importanza di come l'altro sia una risorsa preziosissima per l’acquisizione di quelle competenze e abilità
sociali, emotive e interattive fondamentali affinché ogni persona
possa costruire un proprio benessere personale all’interno dello
specifico contesto socio-culturale in cui si trova a vivere .
Tuttavia, “gestire relazioni” e stare bene insieme agli altri, siano
essi interlocutori significativi o meno, e interagire in modo efficace e soddisfacente all’interno di un contesto familiare, di gruppo,
lavorativo e nel territorio, non è questione di buoni sentimenti, né
dell’essere più o meno generosi o volenterosi, ma è frutto di un
processo di consapevolezza.
SETTEMBRE-DICEMBRE 2014 - PAG. 13
M
entre si scrive in merito alle donne, si pensa a quante
subiscono relazioni in cui sono fagocitate da giochi di
potere, dai quali non è facile uscire.
La parola “chiave” che con maggior frequenza viene proposta, come
soluzione a un disagio, è cambiamento. Cambiamento sembra una
parola magica, proposta al fine di poter trovare delle soluzioni utili
a situazioni scomode, ma tale percorso non è facile e nemmeno
scontato. Le domande più frequenti potrebbero essere: perché
cambiare? Cosa vuol dire cambiare? Come si fa a cambiare?
Sappiamo che nessuno può cambiare qualcun altro, ma che il
cambiamento è un'azione volontaria e responsabile che può derivare solo dalla scelta del singolo individuo di avviare questo percorso, che diversamente non sarebbe attuabile. Quindi, è auspicabile il cambiamento di qualcuno solo se desidera diventarne
l'attivo protagonista.
A tal fine la condizione senza la quale non si può immaginare un
cambiamento, è la presa di coscienza della propria identità, del
“chi sono” – come persona, donna, madre, moglie, lavoratrice,
amica – e aver chiaro “chi si vuole diventare”.
Lo scarto tra chi sono e chi voglio diventare automaticamente
genererà quella che chiameremo coscienza del cambiamento.
Prendere coscienza di sé è un passaggio antecedente alla conoscenza dell’aver bisogno di qualcosa, come pure l’essere nella
condizione di comprendere la propria identità personale e sociale, rende possibili la richiesta di aiuto per un cambiamento.
Le resistenze che derivano dai nostri abituali modi di pensare e
agire in merito ai problemi e alle situazioni di difficoltà, costruiscono “gabbie” che ci rendono prigionieri dei vecchi stili o stereotipi e non ci permettono di liberarci dal “problema” e nello stesso
tempo ci mantengono schiavi della situazione da cui paradossalmente vorremmo liberarci. Infatti, anche se molti di noi sarebbero disponibili al cambiamento, le costrizioni date dagli stili di vita,
dagli schemi nostri e degli altri con cui interagiamo (come ad
esempio la fissità dei ruoli, le attese sociali ed istituzionali, i bisogni imposti e prescritti dal contesto socio-culturale di appartenenza), limitano i vantaggi dati dalla stabilità, precludendo la
possibilità di riuscita. A questo si aggiunge il fatto che nei contesti sociali in cui quotidianamente viviamo, il cambiamento di prospettiva, anche ammesso che riusciamo a determinarlo, genera
scenari nuovi che comportano ulteriori cambiamenti che spesso
non abbiamo messo in conto e rispetto ai quali ci si trova impreparati.
La stabilità ha un vantaggio: So che sto male, ma conosco lo scenario... Se sto bene non lo riconosco più e non mi riconosco più...
Il cambiamento che ho desiderato, determinato e voluto mi sta
bene, ma all’interno dei sistemi ci saranno altre cose che si modificheranno e anche rispetto a queste si dovrà esser pronte a
coglierne la variazioni, con la coscienza di non poterle controllare, dunque nella posizione o meno di poterle gestire.
Nello specifico, se parliamo delle donne in situazioni di difficoltà,
Dicembre in casa Fevoss
Sabato 6 dicembre, ore 20
Centro di Santa Toscana – Via Santa Toscana, 9
Cena con menu arabo per far conoscere sapori e culture di altri
Paesi. Seguono danze, musica, letture di poesie e cerimonia del
tè. Serata di raccolta fondi a sostegno delle attività della Fevoss.
Prenotazione obbligatoria.
Domenica 7 dicembre, ore 20
Centro di Santa Toscana – Via Santa Toscana, 9
Cena con menu rumeno per far conoscere sapori e culture di
altri Paesi. Seguono danze, musica e lettura di poesie. Serata
di raccolta fondi a sostegno delle attività della Fevoss.
Prenotazione obbligatoria.
Lunedì 8 dicembre, ore 20
Centro di Santa Toscana – Via Santa Toscana, 9
Cena con menu peruviano per far conoscere sapori e culture
di altri Paesi. Seguono danze, musica e lettura di poesie.
Serata di raccolta fondi a sostegno delle attività della Fevoss.
Prenotazione obbligatoria.
Venerdì 12 dicembre (ore 12-19)
e sabato 13 dicembre (ore 9.30-18)
Centro di Santa Toscana – Via Santa Toscana, 9
La Camiceria Hermo propone a prezzi di fabbrica i suoi capi di
abbigliamento. L’ingresso è aperto al pubblico.
Domenica 14 dicembre
Centro di Santa Toscana – Via Santa Toscana, 9
Alle 12.30 pranzo di ringraziamento dedicato a tutti i benefattori, sostenitori della Fevosse loro consorti. Alle 9.30, nella
chiesa di Santa Toscana, possibilità di partecipare alla Santa
Messa presieduta dal rettore don Adriano Avesani.
La prenotazione è obbligatoria.
Da sabato 6 a giovedì 18 dicembre
Polo Confortini dell'Ospedale di Borgo Trento
Mostra “La bellezza della solidarietà”. Amore che sorprende.
FiloFevoss
una porta aperta
SETTEMBRE-DICEMBRE - PAG. 14
Martedì 23 dicembre, ore 21
Chiesa di Santa Toscana – Piazza XVI Ottobre, 27
(zona Porta Vescovo)
Concerto Gospel
Santa Messa di Natale
mercoledì 24 dicembre, ore 16
Centro di Santa Toscana – Via Santa Toscana, 9
La tradizione vuole che alla Vigilia del S. Natale il Centro si trasformi accogliendo i partecipanti alla Santa Messa di Natale con
il tradizionale scambio degli auguri. Momento di forte spiritua-
Convivio di Santa Toscana
È aperto tutti i giorni dalle 12 alle 14.30
Centro di Santa Toscana – Via Santa Toscana, 9
Il Convivio di Santa Toscana è un luogo di accoglienza in
cui è possibile condividere il pranzo cucinato da cuochi
professionisti con alimenti genuini alcuni dei quali donati
alla onlus. Un modo sereno per lasciarsi alle spalle le molteplici difficoltà esistenziali.
lità preludio alla festività più cara
alla gente dell'indomani.
Giovedì 25 dicembre,
ore 12.30
Centro di Santa Toscana – Via
Santa Toscana, 9
Pranzo di Natale. Prenotazione
obbligatoria.
Sabato 27 dicembre,
ore 21
PalaOlimpia di Verona – Piazzale
Atleti Azzurri d'Italia, 1
Spettacolo “Notte di Luce” a
cura dell'associazione Libero il
Cielo. Due ore di musica, danza e poesia. Biglietti: 10 euro
(adulti) e 5 euro (bambini fino a 13 anni). Il ricavato verrà devoluto alla Fevoss.
Mercoledì 31 dicembre, ore 20
Centro di Santa Toscana – Via Santa Toscana, 9
Cena di Capodanno con musica e danze.
Prenotazione obbligatoria.
Il programma potrà subire variazioni. Per informazioni: recarsi alla sede della Fevoss via Santa Toscana,
9; telefonare ai numeri 346 504 8525 o 045 8002511;
inviare un fax allo 045 593412.
La domenica al Centro di Santa Toscana
Centro di Santa Toscana – Via Santa Toscana, 9
Ogni domenica, dalle 12.45 alle 14, la cucina del Centro
di Santa Toscana accende i fornelli per i soci (volontari,
benemeriti) loro famigliari e gli amici della Fevoss che
intendono trascorrere il pranzo in compagnia. Il menù prevede un primo piatto, seconda portata a base di bollito
misto con pearà, dessert. Offerta libera a sostegno delle
attività della onlus.
Prenotazione consigliata al numero 347 8335268 (Fausto).
Anziani Protagonisti
nel quartiere di Veronetta
Centro di Santa Toscana – Via Santa Toscana, 9
Il progetto Anziani Protagonisti nel quartiere di Veronetta
è animato dai volontari della Fevoss nella sede dell'associazione. Tra le attività in programma la mattina: corsi di
ginnastica medica, ginnastica dolce, corsi di danza; nel
pomeriggio laboratori di macramè, sartoria, realizzazione
di anelli, spille e oggetti regalo, lettura dei quotidiani,
ballo, tombola, giochi e intrattenimento.
Apertura: dalle 9 alle 11.30 e dalle 15 alle 17.30. Il Centro
rimarrà chiuso dal 31 dicembre al 6 gennaio 2015.
Alcuni appuntamenti:
– Venerdì 5 dicembre, ore 15.30
Benedizione della statua della Madonna.
– Martedì 9 dicembre, ore 15.30
Coro dell'Università della Terza età con canti natalizi.
– Venerdì 19 dicembre, ore 16.30
Giardino dell’arte con concerto di Natale.
CULTURA
L’Ossario di Custoza:
onore ai caduti e ammonimento ai vivi
Visibile da lontano, alto sul colle del Belvedere, da 135 anni il mausoleo testimonia il sacrificio di tanti
soldati italiani e austriaci, morti nelle battaglie di Custoza della prima e della terza guerra di indipendenza
una porta aperta
cura e l’ordine di
un giardino.
Sui lati maggiori
del mausoleo larghe gradinate conducono alle quattro sontuose porte, ornate ciascuna da un pronao
con colonne di
marmo bianco di
Sant’Ambrogio,
ingentilite da capitelli a volute e a
fogliami, opera dello scultore veronese Salesio Pegrassi, le quali conducono tutte alla
cappella dipinta al
centro dell’ossario, ricca di scritti
e di oggetti significativi, tra cui il ritratto di don Gaetano Pivatelli. La cappella, sul cui altare si può celebrare la messa e pregare Dio
almeno per la felicità eterna dei caduti, è infatti il logico
coronamento della cripta sottostante ampia ed illuminata da
quattro finestre, la quale accoglie in urne trasparenti ossa
senza nome dei caduti, e allineati con cura su mensole
sovrapposte, fissate tutto intorno alle pareti, innumerevoli
crani, impressionanti alcuni, che conservano l’ultima
espressione del volto del soldato al momento della morte: la
bocca aperta in un urlo, i denti stretti forse per il dolore, o
la fatica.
Tuttavia il mausoleo di Custoza, sebbene fosse stato
costruito anche perché “La nobile Austria e la nobile Italia
non più né padrone, né serve, ma compagne sulla via della
civiltà, ma unite nella libertà e nella mesta religione dei
defunti si (dessero)... con affetto rispettoso la mano”, purtroppo non riuscì ad impedire nel 1914 lo scoppio della
disastrosa prima guerra mondiale, con la quale si completò
l’unità d’Italia, bene di cui i caduti che per essa hanno combattuto, non hanno potuto godere, e che invece godiamo noi
senza alcun merito se non quello almeno della riconoscenza commemorando quest’anno 2014 il centenario di quel
tragico evento.
FiloFevoss
A
lto sul colle del Belvedere e visibile da lontano nel suo
candore, l’Ossario di Custoza da 135 anni testimonia il
sacrificio di tanti soldati italiani ed austriaci, morti nelle
due battaglie combattute proprio nel territorio di Custoza
nella prima e nella terza guerra di indipendenza: “Nemici in
vita, morte li adeguò, pietà li raccolse - 1848-1866”. Così si
legge infatti nell’opuscolo commemorativo.
E la pietà per quei corpi sepolti alla rinfua in un’unica fossa
nella campagna fu quella di don Gaetano Pivatelli, dal 1872
parroco di Custoza, che spesso andava a pregare sul loro
indecoroso sepolcro e spesso gli accadeva di dover consolare anche qualche madre che non sapeva dove poter piangere il figlio caduto in guerra. Così una sera, appena rientrato
dalla visita alla tomba dei caduti, ubbidendo ad un irresistibile impulso, prese carta e penna e cominciò a scrivere lettere all’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, a Vittorio
Emanuele II, re d’Italia, a persone importanti, ai giornali per
sensibilizzare l’opinione pubblica, affinchè si costruisse un
ossario che accogliesse senza distinzione di nazionalità e
desse dignità di sepoltura ai poveri corpi, abbandonati nella
campagna, di tanti soldati caduti nelle battaglie di Custoza
della prima e della terza guerra di indipendenza.
Il desiderio di don Pivatelli è accolto e, per subito realizzarlo, si costituisce un comitato promotore, formato anche da
veronesi illustri come Giulio Camuzzoni, Angelo Messedaglia ed il poeta Aleardo Aleardi, che il 20 gennaio 1878
bandisce la gara per la costruzione del monumento, vinta
dall’ingegnere Giacomo Franco assieme all’impresa Francesco Podestà. La spesa è sostenuta da compagnie di reduci, dall’Esercito Regio, dalla Presidenza del Consiglio, dalla
Casa Reale italiana e dalla Casa Imperiale austriaca come
segno dell’avvenuta concordia.
E l’ossario, costruito in poco più di un anno, viene inaugurato il 26 giugno 1879 alla presenza delle più alte autorità civili e militari. In esso finalmente sono onorati e trovano pace i
soldati di qualsiasi nazionalità, caduti nelle battaglie di Custoza, come recita l’iscrizione a caratteri cubitali, incisa alta
sul frontone sopra l’ingresso principale:“Pace ai forti caduti su
questi campi nelle battaglie del 25 luglio 1848 e 24 giugno
1866 - Italia 24 giugno 1879”. L’Italia infatti, anche se non
completamente, era ormai unita e costituiva un unico stato.
L’ossario, di forma ottagonale, largo circa dieci metri alla
base, assottigliandosi si eleva con la torre che lo sovrasta
oltre il balcone marmoreo della specola, ad un’altezza di
trentotto metri, da sui si ammira la bellezza del vasto territorio sottostante e delle distese di vigneti, coltivati con la
SETTEMBRE-DICEMBRE 2014 - PAG. 15
DI RENATA DALLI CANI
APPUNTAMENTO CON LʼARTE
La guerra che verrà non è la prima
Grande Guerra 1914 - 2014
Fino al 20 settembre il Mart di Rovereto ospita una mostra dedicata al Centenario della Prima guerra mondiale.
Punto di partenza di un’indagine più ampia che attraversa il XX secolo e arriva ai conflitti dei nostri giorni
Fortunato Depero, "Guerra-festa" (1925)
una porta aperta
FiloFevoss SETTEMBRE-DICEMBRE - PAG. 16
L
a guerra che verrà non è la prima.
Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori faceva la
fame la povera gente egualmente. Trae
ispirazione dalla celebre poesia di
Bertolt Brecht il titolo della mostra “La
guerra che verrà non è la prima”, visitabile, fino al 20 settembre 2015, al Mu seo di arte moderna e contemporanea
Mart di Rovereto. È stata realizzata con
il patrocinio della Presidenza del Con siglio dei Ministri - Struttura di missione per gli anniversari di interesse
nazionale, in collaborazione con im portanti istituzioni culturali nazionali.
L’esposizione si allontana dalla semplice riflessione sulla storia. Offre invece uno sguardo più complesso sull’attualità del conflitto, ancora oggi al cen-
tro del dibattito contemporaneo. La Prima guerra mondiale, di cui ricorre quest'anno il
Centenario ed è da ricordare
tra gli eventi più drammatici e
significativi della storia, rappresenta il punto di partenza di
un’indagine ampia che attraversa il XX secolo e arriva ai
conflitti dei nostri giorni. Una
narrazione dalla quale scaturisce un intenso viaggio che
affonda le sue radici nelle guerre di un secolo, ritrovandosi
nella più tragica storia recente.
L’arte entra in contatto con la
quotidianità, i capolavori delle
avanguardie dialogano con la
propaganda, la grammatica
espositiva completa e rinnova
il valore di documenti, reportage, testimonianze. Instal lazioni, disegni, incisioni, fotografie, dipinti, manifesti, cartoline, corrispondenze, diari
condividono gli oltre 3 mila
metri quadrati del piano superiore del
museo e si misurano con sperimentazioni artistiche più recenti, installazioni sonore, narrazioni cinematografiche tra cui documentari originali, video
e film. Sono esposti anche numerosi
reperti bellici, il cui ritrovamento è il
capitolo più recente di una vicenda
ancora attuale, nella quale ogni oggetto racconta la propria vicenda.
L’esposizione presenta alcuni capolavori storici provenienti dalle collezioni
del Mart, fra i quali opere di Giacomo
Balla, Anselmo Bucci, Fortunato De pero e Gino Severini. Una lunga serie di
prestigiosi prestiti nazionali e internazionali provenienti da collezioni pubbliche e private e gallerie completa il
progetto. Numerose sono le opere di
artisti che hanno vissuto il dramma del
conflitto. Oltre ai maestri dell’avan-
guardia italiana, l'elenco comprende
Max Beckmann, Marc Chagall, Albin
Egger-Lienz, Adolf Helmberger, Osvaldo Licini, Arturo Martini, Pietro Mo rando, Mario Sironi. La mostra inoltre
è integrata dai lavori di registi dell’epoca come Filippo Butera, Segundo de
Chomón, Abel Gance.
Il museo
Museo di arte moderna
e contemporanea Mart
Corso Bettini, 43 a Rovereto (Trento)
Orario di apertura: domenica, ore 10-18;
da martedì a venerdì, ore 10-21
www.mart.tn.it
FiloFevoss
una porta aperta
FEDERAZIONE DEI SERVIZI DI VOLONTARIATO SOCIO SANITARIO - N.3 SETTEMBRE-DICEMBRE 2014
In caso di mancato recapito rinviare all’Agenzia P.T. di VR CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare
la relativa tariffa. - Poste Italiane S.p.A. - SPEDIZIONE IN A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB VERONA
3
Associazioni e fundraising
pagg.2-4
ATTUALITÀ
Volontari e volontariato
pagg. 6-7
SOLIDARIETÀ
L’Ossario di Custoza
pag. 15
CULTURA
Foto di Federica Calò
La sfida
della Fondazione
DI ALFREDO DAL CORSO
paura. Mi è capitata tra le mani una
riflessione di Madre Teresa di Calcutta: “Il frutto del silenzio è la preghiera, il frutto della preghiera è la fede, il
frutto della fede è l'amore, il frutto dell'amore è il servizio, il frutto del servizio
è la pace”. Mi sono detto: sarà il nostro
programma di futuro servizio verso i
bisognosi, malati, sofferenti. Dal silenzio alla Pace. Ritrovare il carisma
originario sarà tuttavia possibile nel
frastuono che stiamo vivendo e in questa situazione di crisi? Dentro all'attuale babele di lingue auto-referenziali, dov'è quella che ci parla ancora di
diritto, verità, amore?
È urgente e non delegabile il saper farsi prossimo a chi soffre di un disagio
psichico, spirituale o fisico e alle rispettive famiglie. È quanto mai necessaria una vicinanza umana, capace di
accogliere l'altro, non solo in modo personalistico, ma istituzionale nel saper
attivare interventi qualificati di prevenzione, cura e promozione di politiche di inclusione sociale.
Non possiamo girare la testa coccolati
nel nostro “mondo di buoni samaritani”. Quanto disagio c'è attorno a noi,
forse dentro di noi! Sappiamo che la
responsabilità della qualità del nostro
vivere civile è di chi ci governa, ma pure
che essa interpella ogni cittadino in
qualsivoglia situazione sociale. Non
esiste povertà più di quella di chi non
sa donare. Perciò, a conclusione di
questo anno sociale, sento forte il
richiamo al valore della fortezza pur
consapevole delle nostre fragilità,
omissioni, colpe.
Dunque la Fondazione Fevoss non
potrà essere un contenitore giuridico
vuoto, perché la sua luminosa strategia sarà forgiata dalla storia dalle tante persone solidali, volontari e benefattori, che si sono succedute negli
anni. Sarà espressione del cuore
popolare! C'è un mondo di bene fatto
di tante realtà che operano quotidianamente nelle periferie umane senza
scalpore, di cui la società contemporanea ha estremo bisogno per non
smarrirsi. E tra queste realtà ci sarà
anche la nostra.
FILOFEVOSS:
Periodico iscritto
al Tribunale di
Verona il 4/2/1997
N. 1249, edito
da FEVOSS (FEDERAZIONE
DEI SERVIZI DI
VOLONTARIATO SOCIO SANITARIO ONLUS)
PRESIDENTE:
Alfredo Dal Corso
REDAZIONE:
Via S. Toscana,
9 (Porta Ve sco vo) 37129
Verona. Telefono
0458002511; telefax 045593412; email [email protected] email redazione
[email protected], sito internet www.fevoss.org
REDAZIONE: Marta Bicego (direttore responsabile) Claudio Beccalossi, Renata Dalli Cani, Sara Di Biase, Lucia
Pizziolo, Renzo Puliero (redattori))
HANNO COLLABORATO: Alfredo Dal Corso, Patrizia
Guadagnini
PROGETTO GRAFICOE IMPAGINAZIONE: Ettore Tanara
STAMPA: Grafiche Aurora s.r.l. - Verona
RESPONSABILE SPEDIZIONE: Aldo Lampariello
H
o visto un'anziana veronese
rovistare in un cassonetto della
spazzatura per estrarvi del
cibo. Ho raccolto la rabbia di un papà
che non sapeva affrontare la sua famiglia per aver perso il posto di lavoro. Ho
incontrato una persona dimessa dall'ospedale bisognosa di cura, disorientata perché a casa non aveva più nessuno. Ho condiviso lo sfogo di chi,
impotente, vive situazioni assurde e
incredibili.
Così ho pensato alla sfida contro le
povertà che la Fevoss potrebbe affrontare, prima di tutto con se stessa, nel
trasformarsi in Fondazione. Ho avuto
DIFFUSIONE EDITORIALE: Nuova Zai s.n.c. (VR)
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La sfida della Fondazione