Rinverdiva in me il desiderio d’amore,
quello vero fatto di scambio creativo continuo e perenne,
capace di percepire oltre le diversità di sesso,
di età o di altro.
ROSA D’EGITTO
“Il Romanzo di Via Margutta”
GERARDO LO RUSSO
EDIZIONI BORA - BOLOGNA
Fondata nel 1971, la Edizioni Bora nasce come casa editrice specializzata in
pubblicazioni d'arte contemporanea italiana e internazionale, con edizioni “Ad
Personam” e “Numerate” abbinate ad opere d'arte originali. In questo campo ha
sviluppato una complessa rete di servizi che si articola in diverse direzioni.
Editoria d'Arte, più di 250 titoli comprendenti grandi monografie, cataloghi di
mostre, cataloghi generali, varie collane di cultura artistica; oltre alla grande opera
Storia dell'arte italiana del '900 per generazioni (7 volumi per complessivi 10
tomi). Dal 1975 al 2006 ha pubblicato il periodico d'arte contemporanea Terzo
Occhio, che ha raggiunto i 121 numeri. Dal 2007 la rivista ha continuato le pubblicazioni con La Edizioni Ulisse di Roma.
Ha realizzato oltre 1.500 edizioni di grafica e di scultura multipla di circa 200
tra i più importanti artisti contemporanei.
Organizza e promuove mostre in collaborazione con Musei, Gallerie pubbliche
e private ed Enti statali in Italia e all’estero.
Edizioni Bora - Via Jacopo di Paolo, 42 - 40128 Bologna - Tel. 051.356133 - [email protected]
EDIZIONI VITTORIA - ROMA
La prima mostra 1974 fu di Pericle Fazzini, autore della grande scultura in bronzo raffigurante la Resurrezione del Cristo (1977) che si trova nella Sala Nervi in
Vaticano.
Proseguendo il programma espositivo, la Galleria Vittoria ha organizzato numerose mostre dedicate ai maggiori artisti italiani e stranieri, dalle avanguardie storiche alle esperienze degli anni ‘50 e ‘60 e degli anni ‘90. La Galleria Vittoria alterna l'attività di promozione di giovani artisti e di allievi dell'Accademia di Belle
Arti con attività collaterali e mostre dei maestri storici.
A Tokio, nel 1989 Enrico e Tiziana Todi partecipano assieme a Umberto
Mastroianni per l’attribuzione del Premio Imperiale, dato al Maestro per la sua
scultura.
La G.V. cura inoltre esposizioni, mostre ed eventi a New York, Shangai, Parigi,
Londra, e Strasburgo; parallelamente all'attività espositiva, si organizzano manifestazioni culturali ed editoriali in collaborazione con enti pubblici e privati in Italia
e all'Estero. La Galleria Vittoria collabora in particolar modo con l’Ass. cul. di Via
Margutta ed altre del settore.
La Galleria Vittoria, prosegue l'attività artistico culturale della bottega di restauro della famiglia Magnani, nota in tutto il mondo per la sua specificità nell'arte del
restauro, nel 2006 ha festeggiato 100 anni di attività.
Edizioni Vittoria - Via Margutta, 103 - 00187 Roma - Tel. 06.36.00.18.78 - [email protected]
INDICE
ROSA D’EGITTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.
9
CAPITOLO PRIMO
Il Rosso Fuoco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
La Pietra del Deserto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
453 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
CAPITOLO SECONDO
Viking . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
Desidera, Leggi, Leggi, Leggi, Studia e Troverai . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
Il Sogno del Tesoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
CAPITOLO TERZO
Il Senatore Capocroce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
L’Importanza dei Numeri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Come le Comete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sette di Notte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il Coma Profondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
39
46
52
55
60
CAPITOLO QUARTO
L’Ombra del Sospetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La Parola Muta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il Magistrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fontane e Leoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
65
76
86
92
CAPITOLO QUINTO
Il Buon Parolaio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La Fine di 453 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Sonnambulo al Computer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Addio Scalpellino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Notte Romana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
95
107
109
111
114
CAPITOLO SESTO
Taldei Tali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117
L’Atelier delle Sette Meraviglie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119
Trappola con Fuga . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120
CAPITOLO SETTIMO
La Rosa Ritrovata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133
Collage per Gerardo Lo Russo
Carissimo non è facile,
credimi, l'avventura che stai per cominciare. Non ci sono amici nella letteratura,
non ci sono amici nella pittura, nell'incisione ancor meno, ci sono solo Maestri e
allievi, allievi che difendono i loro Maestri, Maestri che difendono i loro allievi.
Tutta la vita ho cercato di scrivere un libro, è quasi fatta, maaaa… non ho più il
coraggio, sono felice invece che tu l'abbia fatto, carissimo Gerardo, Pratt diceva
del suo lavoro: letteratura disegnata e io dico che il tuo libro è pittura scritta. Lo
sai bene anche tu immettendoti nel bosco pieno di insidie della critica letteraria.
Solo i poeti diceva Ungaretti devono scrivere di pittura.
A proposito di critici voglio iniziare con una frase di Licini a Marchiori: si ricordi Marchiori che i vizi, questi demoni, torneranno ad essere ciò che furono: degli
angioli!
Roma lì 16.4.2009 - con affetto, Giampaolo Berto
ROSA D’EGITTO
Le prime parole: c’è un segreto che preme per essere dato alla luce. Il dubbio:
“Chi te lo fa fare?” sembra dettato dal fondo dell’animo. L’enigma: se segreto è
perché disvelarlo? ...è quanto mi sto chiedendo anch’io. Tre input contradditori
che sono le iniziali sfaccettature della stessa storia che mi è capitata. Più in là
aumenteranno ancora in una complessa dinamica che a malapena riesco a ricordare. Per esempio: ora percepisco un senso di liberazione e di sfogo, altre volte di
avvertimento e di pericolo, come se stessi per scoperchiare un ipotetico vaso di
Pandora.
Che sarà mai questo segreto? Qualcosa fuori dall’ordinario, se dovessi giudicare dalla quantità di volte che se ne sente parlare. Forse, la mappa di un tesoro
nascosto di inestimabile valore. Probabilmente, una innocua auto burla sulla bramosia del successo. Oppure, una affascinante e turbolenta fotografia sull’orizzonte dell’ignoto. Il fatto è che, essendo un segreto tanto importante, diventa pressoché impossibile trattarlo con due parole; perciò ricorrerò alla mediazione del racconto. Sparsi tra le righe potranno evincersi i tasselli che lo rappresentano. Ma in
considerazione dei dubbi poco innanzi espressi dovrò manifestare i tasselli con
parsimonia, affidandomi alla sola coscienza personale e soltanto quando essa me
lo detta dentro. Se poi, dopo aver letto questa avventura qualcuno ne trarrà il giusto intendimento, vuol dire che avrà fatto un’opera buona, avendo individuato solo
l’inizio di un viaggio lungo ed affascinante, che potrebbe condurre in modo soft
alla scoperta del segreto finale.
Diversamente, prima ancora di immetterti su un sentiero tortuoso che rischia di
rivelare cose futili o di poca importanza e persino turbolente, non continuare a perdere del tempo prezioso: lascia che queste parole volino al vento! Appena percepisci di soffrire i primi sintomi di noia, più non indugiare: butta via il libro alle
ortiche e goditi il mondo così come appare nei fenomeni e nelle manifestazioni
consuete. Dopotutto, il ritmo della vita è già scandito in ognuno di noi. Sappiamo
quali sono le cose che ci fanno piacere e quali avviliscono l’animo; a che serve
giungere fino in fondo ad uno scritto e scoprire poi di aver trovato nulla di più o
di meno di quanto è comunemente leggibile nella realtà quotidiana? Ma se sei nato
per conoscere, accomodati, vai avanti, e troverai.
CAPITOLO PRIMO
Il Rosso Fuoco
Me ne andavo un giorno d’estate a cercare un po’ di frescura nei dintorni di
Roma, quando uno strano bagliore proveniente dalla parte sinistra della collina mi
fece intraprendere un sentiero ombrato del bosco situato alle sue pendici. Dal basso
notavo una casa sulla sommità piuttosto brulla di alberi e pensai di indirizzarmi fin
lassù per godere del panorama e dell’aria ventilata. A piedi cominciai a percorrere
il viottolo nel silenzio naturale, tipico dei pomeriggi d’estate, afosi e senza respiro.
Il sudore aumentava parimenti allo svilupparsi della fatica, così pure la preoccupazione di spingermi troppo lontano e verso la cima. Inoltre, la calma dell’ambiente
piuttosto inusuale, sembrava dilatare la misura stessa del tempo. Dopo un paio di
chilometri stavo appunto considerando se tornare sui miei passi, quando d’incanto
una improvvisa folata di brezza marina ridiede vita alle diverse creature che abitavano il luogo. In pochi attimi un progressivo cicalare esplodeva nel silenzio della
muta collina. Il sopravvento sonoro e costante, se pur mutevole nei toni, irrompeva
nei timpani stordendo l’equilibrio precario. Subito dopo, anche qualche merlo ed
uccelli di varie specie gesticolavano in volo là in alto, mentre le foglie degli alberi
sembravano essersi ridestate da un sonno profondo. Attivandosi in quel modo, pensavo che i protagonisti della natura rendessero l’ambiente normale, tranquillo e rassicurante. Così, decisi di continuare la salita e presi ad osservare alcune piante che
ricordavo vagamente, finché scoprii qualche frutto maturo tra i grappoli di more ed
in fretta ne divorai in abbondanza.
Sarà capitato anche a voi di gustare i prodotti direttamente dalle piante: hanno
un sapore intenso e stimolante, come se si succhiasse l’energia vitale “on line” con
la Madre Terra. Questo stavo pensando, mentre addolcivo la lingua e rinfrescavo
la bocca con smodata avidità. E ricordavo i tempi lontani, quando da bambino sfidavo i cugini nella raccolta restando indifferente alle punture delle spine pur di
vincere la gara a chi avesse riempito per primo i cestini.
Ma nell’atmosfera circostante qualcosa incombeva, qualcosa al di fuori della
norma, seppure tipico delle giornate di caldo intenso. Tutto là intorno ne dava il
sentore, nel contempo che le cicale smorzavano il loro ritmo invadente. Smisi di
percepire il profumo delle erbe selvatiche nel momento stesso in cui un odore più
penetrante del primo stava salendo alle narici. Esposi queste maggiormente all’aria, quasi fossi stato un vecchio levriero e già sembravo annusare il fenomeno che
si stava imponendo, quando udii un fruscio tra la siepe e, all’istante vidi apparire
una colonna di insetti, che insieme fuggivano ciascuno con un moto proprio verso
GERARDO LO RUSSO
l’altra parte del bosco, come se stessero partecipando ad un’insolita gara di atletica leggera, libera ed inverosimilmente bizzarra. Lo choc fu rapido perlomeno
quanto la scena impressionante di poco prima.
Presi coscienza del pericolo imminente nello stesso breve tempo in cui compresi il vero significato del luccichio intravisto dalla strada asfaltata: nei paraggi si era
sviluppato un incendio! Cercai una postazione più elevata per capire dove e quanto distante fosse, ma una violenta sventagliata di fumo e di calore mi persuase a
darmela a gambe il più presto possibile. Quando si conosce un territorio si valuta
quali possono essere le possibili vie di fuga, ma ero lì per la prima volta e pensai
di rifare la strada del ritorno.
Sbagliato!
Stavo prendendo la rincorsa in quella direzione, mentre due serpenti sibilanti e
dei topi infuriati sfrecciavano lesti in senso contrario al mio. Superati i primi attimi
di sgomento e di paura, considerai che la cosa migliore fosse quella di lasciarsi
andare seguendo la corrente di quei repellenti abitanti del luogo. Meglio transitare
su un percorso consueto, pensavo. Dopotutto, anch’io avevo la coda tra le gambe
seppure solo metaforicamente, così mi illudevo di poter partecipare a quella stravagante gara per salvare la pelle. Stavo in fila appresso a quegli esseri viscidi e pieni
di terrore e ce la mettevo tutta pur di sfuggire a mia volta all’orrore del fuoco. Né
tanto meno mi preoccupai della compagnia ridicola in cui mi venni a trovare. Ma,
ahimè! dopo qualche decina di metri, erano essi stessi a lasciarmi in perfetta solitudine e paradossalmente in compagnia dell’affanno in arrivo. Alla faccia della solidarietà! Topi, bisce e lucertole avevano sorpassato di gran lunga il resto dell’ammucchiata composto da minuscoli insetti senz’ali, che inevitabilmente finivano
arrosto. Guardai meglio tutto intorno: i fuggitivi erano spariti tra una fitta ragnatela di siepi, che invano stavo cercando di perforare pure io, di petto o di schiena. Né
vi erano altre vie di uscita verso l’alto, né a destra e a manca, e né sotto i piedi ormai
scottati e bollenti. Abbandonato e per giunta, incapace e impotente!
Provai a chiedere aiuto chiamando i soliti numeri di emergenza, ma i soccorritori non sarebbero mai potuti arrivare, poiché qualcosa non funzionava nell’apparecchio telefonico. Che beffa del destino, ahimè! E che situazione: intrappolato,
mentre il calore misto al fumo e al puzzo acre di carne selvatica bruciacchiata, si
faceva più minaccioso che mai. Non potendo divenire né ratto, né rettile e non
potendo più tornare sui miei passi, dato che sentivo avanzare proprio da quel versante l’incombenza del furore incendiario, tentai il tutto per tutto prima che il panico prendesse il totale sopravvento.
Strappai la camicia in tre parti e le arrotolai intorno alle mani e alla testa; poi raccolsi qualche ramo da terra e lo usai a mo’ di bastone per abbassare la siepe, che tentavo nel contempo di superare sollevando una dopo l’altra le gambe. Lo stratagemma di prima acchito sembrava funzionare. Andavo avanti ed evitavo parecchi arbusti pungenti, ma quel giorno doveva rivelarsi piuttosto impietoso ed esigente nei miei
confronti. Aveva programmato di farmi superare prove ancora più dure, purtroppo.
Gli ostacoli invece di diminuire, aumentavano. Superata una siepe ce n’era un’altra
subito dietro e così via. E già sentivo le forze mancare senza che avessi individuato
12
ROSA D’EGITTO
alcun varco d’emergenza. Perciò, presi a guardare verso il cielo come per implorare
non so che cosa, ma lassù vedevo incombere solo giravolte grigio nere.
Le braccia insanguinate, gli occhi affumicati e piangenti, il cuore che batteva
forte: quanto ancora potevo resistere? Secondi più che minuti… Ora, poi, il fruscio delle violente vampate sferzava l’aria circostante e lambivano il corpo con
inaudita vena di sarcasmo e senza pietà. Immagina uno scudiscio rovente e fulmineo che ti sibila intorno...e scopri un mondo privo di sentimenti. E ti senti avviluppato nella matassa degli elementi opposti alla vita.
Mai un concerto elaborato dall’uomo avrebbe potuto annichilirmi a tal punto.
Mi sentivo in tilt, perdutamente! Più non riuscivo a rimuovere nemmeno uno dei
rovi, che al contrario sembravano piuttosto avvinghiarsi ai fianchi indeboliti ed
appiccicaticci di sangue, sudore, polvere e fumo. Il respiro era a corto di ossigeno,
il cielo era diventato fosco ed attraversato da lingue infernali color rosso fuoco. Il
vento poi, era divenuto implacabile e pareva volermi snidare con le folate e saette
improvvise. Attizzava il fuoco a meraviglia per divorarmi in un baleno. E venne il
tempo in cui sentivo squagliarmi la carne. Stavo ormai per arrendermi alla tragica
evenienza. Sarei presto abbrustolito come un piccione sulla graticola della natura.
Natura, che avevo sempre difeso abbonandomi ad un sacco di riviste ecologiche.
Ah, natura traditora!
Maledizione! Pietà! Aiuto!
Ma chi poteva mai ascoltarmi? Disperato feci uno sforzo sovrumano: c’era tutto
me stesso in quel gesto! Presi la rincorsa, mi sollevai sul bastone in una sorta di
imitazione del salto con l’asta e mi lanciai oltre il muro di siepi come se avessi
potuto superarle con un battito d’ali. Il corpo seguiva una strana roteazione a spirale, mentre si adagiava sempre più in basso. Caddi su una montagna di rovi che
si afflosciavano sotto il mio peso come se fossero state piume di cigno, tanta era
la forza e la durezza del violento impatto. Nello stravolgimento percepivo caldo e
freddo, dolore e piacere e tanti incredibili opposti! Allora, pensai che i sensi stessero alterandosi, aggravati ancor più dalla caduta improvvisa di un getto d’acqua
che sembrò scaraventarmi in un lago gelato. Perfino le spine che penetravano il
corpo, ora le percepivo come carezze dolciastre, mentre un’improvvisa percezione di sollievo aveva iniziato ad alleviare tutte le membra. Avevo gli occhi chiusi
per non voler vedere dove ero andato a finire, mentre avvertivo di cadere al centro del vortice. Finché captai di essere lentamente depositato dalla coltre di rovi sul
fondo di un fosso. Un letto morbido composto da tenero fogliame e da fresco terriccio mi accoglieva, come se fossi capitato sul ventre e tra le braccia aperte di una
ragazza piena di grazie. E mi addormentai sfinito, con pochi e lenti sospiri, ma
beato dal magico soccorso della fortuna amica.
Ciò che percepii durante il lungo tempo pareva così vero, che mai saprò se dormivo con gli occhi aperti, se vedevo con gli occhi chiusi o se il sogno fosse la fotografia di un altro aspetto della realtà. Sta di fatto che mi sentivo disteso e con le
braccia spalancate, gaudente e con un lieve sorriso sulle labbra, mentre là in alto
il mondo caotico divampava senza sosta. Il colore rosso ed intenso del cielo avviluppava ogni cosa visibile, che poi mutava in sfumature arancio e poi color ruggi13
GERARDO LO RUSSO
ne. Man mano l’insieme magmatico che percepivo acquisiva la forma di una rosa
violacea, che poi diveniva azzurrognola, fino a svanire sull’indaco fondo ed essere rimpiazzata da una formazione della stessa tipologia. A ripetizione e senza alcun
atto volontario da parte mia. Libera visione in libera mente.
E rosa che andava, rosa che veniva…
Ora, un immenso sollievo di freschezza e una dolce ebbrezza compenetravano le
narici e la parte frontale della testa. Mi sforzavo di seguire l’andamento della rosa e
di bloccarne la sparizione nello sfondo lontano della visione del sogno. E più mi concentravo, più riuscivo a trattenerne la dissoluzione, finché un’altra rosa, o nuvola, o
spirale che fosse, di una luminescenza profonda e celestiale prendeva il posto della
prima. Era un susseguirsi di formazioni di onde cosmiche, accumulatesi dal sopraggiungere di infinite particelle di luce, cariche di un’energia sconosciuta ed universale, che tutto comprendeva e compenetrava.
Non c’era luogo da dove venire, né luogo dove andare. Tutto era centro e periferia. Prima e dopo. Esisteva solo il movimento in ogni direzione. Pareva che le
normali dimensioni, alfine, non avessero più modo di esistere. Tutto era Uno. Uno
era Tutto. Vivo, completo in sé stesso e senza confini di spazio e di tempo. E felicemente desideravo di dissolvermi anch’io in esso che ero.
Pausa, Ruggero! Fermati, fermati adesso! Così. Ci fu un brusco richiamo dal
fondo della coscienza. Era la voce del dovere o forse del destino, chissà? Non resistevo a tanta meraviglia, anzi ne ero ineluttabilmente soggiogato. Però, una voce sottile emergeva dal vortice delle sensazioni che mi tenevano ancora in vita e mi imponevano di cercare e cercare sempre e lungamente quaggiù. Come spero farai tu.
Ed ero combattuto poiché avrei voluto che il sogno non fosse mai finito, anche se
avesse significato l’addio alla vita terrena; sennonché in quell’attimo di deconcentrazione, una incantevole figura femminile si frappose tra me e la rosa. La ragazza
mai vista prima sembrava sorridere pur avendo le labbra serrate. Aveva l’atteggiamento di chi era consapevole di sé e della sua straordinaria bellezza; era libera e
sciolta e stava china sopra la mia testa, ed era impegnata a ripulirmi la fronte del
restante sangue e del sudore accumulatisi. Pareva che lei fosse la metamorfosi stessa della rosa, o se vuoi: la materializzazione nel sogno del precedente sogno. Il suo
capo, infatti, era addobbato con un velo ocra che modulava una complessa forma floreale. Aveva gli occhi chiusi e le palpebre parevano due foglie chiare e verdastre,
come se fossero ricalcate e riprese da una statua di un’antica divinità dei boschi.
Occhi chiusi, certo, ma vedeva e vedeva tutto, anzi captava ogni mio piccolo
movimento. Ero estasiato dalla sua presenza e non bastava più concentrare l’attenzione sulle sue labbra, che già percorrevo le linee delle guance e poi i dolci lobi
degli orecchi e giù, sempre più giù fino al collo d’avorio e poi a lambire con le mie
mani i seni ricoperti di attrazione fatale. Lei temeva di risvegliarmi, evidentemente, perciò eseguiva gesti lenti, con estrema cautela e delicatezza. Muoveva qual
piuma al vento un pezzo della sua trasparente veste di seta celeste per ripulire e
massaggiare il mio volto estasiato.
Fui preso da un insano sussulto e da una forma di eccitazione istantanea e smisurata e feci per risvegliarmi di soprassalto cercando di abbracciarla per constatare
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ROSA D’EGITTO
se fosse vera o se stessi sognando. Ma lei si divincolò lesta, avendo intuito e previsto la mossa assolutamente inopportuna; aprì i suoi occhioni luminosi e lanciò uno
sguardo fulmineo, come se al posto delle pupille ci fossero state due minuscole stelle. E sparì nel bosco misero e impotente ed ancora in preda al fumo e alle fiamme.
Qualcosa di lei, però rimase nella mano. Qualcosa di piccolo, di tondo e di duro:
forse, un bottone o una moneta.
Continuavo a stringere fortemente il trofeo, mentre mi rammaricavo di essere
stato alquanto sciocco ed impulsivo. Ero passato in breve tempo da uno stato di
gaudio infinito a quello di una angoscia tremenda per aver perduto una grande e
bella occasione di vita. Ah, come l’intempestività spesso provoca la caduta dalle
stelle alle stalle!
I sogni, riflettevo, fanno questi brutti scherzi. Era ora di tornare alla realtà, così non
ci si illude più del dovuto. Mi aiutava in questa determinazione un brivido capitatomi
addosso e l’affiorare di un pizzico di ripensamento logico. Infatti, cominciavo a razionalizzare le domande. Sarà stata la reazione all’incendio a farmi percepire il freddo,
invece che il caldo? Tentavo di capire, mentre mi stropicciavo ripetutamente gli occhi
stracolmi di lacrime. Ma era ancora una volta solo una supposizione non suffragata dal
confronto con il resto della realtà.
Sbagliato! ...mi corressi infatti, subito dopo, alzando il busto ed osservando la
chiazza di acqua che avvolgeva le gambe.
Ero inzuppato fino al midollo, dunque... l’acqua era vera, evviva! E presi ad
inneggiare alla Dea Fortuna Primigenia.
Ero salvo! Il fuoco era già passato oltre. Di conseguenza, il nauseabondo puzzo
di fogliame umido e fumante doveva essere il segno che il pericolo era finito.
Evviva! urlai ancora dentro di me. E avrei volentieri emesso un urlo di quelli selvaggi, però non ne avevo la forza. E stringevo i pugni dalla gioia per aver vinto
una battaglia impossibile. E guardavo il resto del bosco annerito e incipriato di
cenere e fumo. E presi a singhiozzare come un bimbo appena nato. Nella mano
destra risentii quel qualcosa di solido e duro. L’aprii e portai il palmo alla altezza
degli occhi completamente irritati a causa del bruciore del fuoco e rimasti lucidi
per l’emozione del sogno appena fatto. E cosa vedo tra le dita? …lo strano souvenir del sogno era un ciondolo di pietra infilato in una sottile striscia di seta. Per un
attimo pensai di avere un’allucinazione, ma poi toccai con mano più volte.
Era vero.
Se la giornata deve riservarmi tutte queste sorprese, contavo elencandole, beh!
questa è proprio da record! Mi alzai dal giaciglio naturale e mossi intontito verso la
luce nella speranza di osservare meglio l’oggetto. Su una delle due facciate c’erano
incisi alcuni simboli strani ed una sagoma floreale più grande. Sul retro: niente.
Curioso, curioso davvero! Cosa può significare?
Guardai intorno per vedere se ci fosse stata una presenza od un indizio utile per
chiarire il fatto buffo, ma nel raggio di decine di metri di vitale là intorno non c’era
più niente. Nel deserto nero e surreale solo un’enorme quercia si era salvata dalla
devastazione violenta, conservava delle foglie ancora verdi e copriva il fosso,
divenuto un’insolita oasi. Il resto era colore di morte.
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GERARDO LO RUSSO
La Pietra del Deserto
Se alcuni giorni prima qualcuno avesse azzardato a pronosticarmi che sarei
rimasto a Roma per l’intera estate rinunciando alle vacanze già prenotate con gli
amici, gli avrei dato dell’imbecille. Invece, eccomi qui, nel pieno della calura del
solleone a sbirciare tra pagine di libri antichi e moderni ed a cercare, invano, qualche esempio di scrittura per decodificare i segni scavati sul quel pezzetto di pietra.
Avevo già indagato nel web e in numerosi volumi della biblioteca nazionale,
facendomi una involontaria indigestione di segni, di pittogrammi e di ideogrammi
appartenenti a tradizioni di mezzo mondo, ma niente mi riconduceva ai simboli
criptici che stavo studiando. Ora analizzavo altre fonti ma, man mano che andavo
avanti, mi convincevo che non avrei trovato alcun alfabeto simile a quello disegnato sulla lastrina. Dedussi che si trattava di un codice inventato e sconosciuto,
così come ce ne sono stati tanti nella storia dell’uomo. In fondo, ogni individuo
può scrivere ciò che vuole con un alfabeto particolare, di impossibile decodificazione per terze persone che non siano a conoscenza della giusta chiave di lettura.
Scoraggiato, stavo appunto mollando questo tipo di ricerca e già erano passati
diversi giorni dall’incendio, quando indirizzai l’attenzione piuttosto sull’analisi
materica del supporto di pietra. Chissà perché volli guardare alla sostanza delle
cose. Sapendo della struttura, pensavo avrei dedotto elementi utili a capire la provenienza dell’oggetto e successivamente avrei potuto indagare sulla fattura artigianale. Chissà, mi dicevo, procedendo per gradi avrei potuto gestire meglio i frammenti delle informazioni, documentandomi prima della consistenza fisica, in
seguito del codice, per puntare poi sull’obiettivo finale e svelare il mistero della
meravigliosa ragazza, che già avevo battezzato con enfasi: la “Bella del Bosco”.
Già, Bella del Bosco non le stava male. Vuoi per il posto dove era apparsa, vuoi
per lo sguardo silente ed impenetrabile.
La placca arrotondata era di un materiale solido e resistente, dello spessore di
qualche millimetro, della grandezza di una moneta metallica; ed era trasparente
come se fosse stata estrapolata da una lastra di alabastro. Invece, la superficie conservava un fondo di porosità piuttosto improbabile in un marmo di qualsiasi tipo.
I segni incisi contornavano il perimetro del ciondolo, alla stessa stregua delle iscrizioni nelle medaglie commemorative. Salvo l’alfabeto assolutamente incomprensibile. Se alfabeto era!... Quindi, analizzando a fondo la forma simmetrica floreale, dedussi che si poteva trattare di una simbolica rosa cruciforme, con quattro
petali laterali ed un nucleo a spirale al centro. Un simbolo mai visto prima, purtroppo! Allora, chiesi notizie agli scalpellini di steli funerarie, quelli sempre occupati ad eseguire epitaffi su ordinazione. Nessuno di loro asserì di aver elaborato
quella strana medaglia. Seppero dirmi, però, che si trattava di una scaglia di pietra, probabilmente di origine sabbiosa. Ma per avere dettagli precisi mi suggerirono di rivolgermi ad un esperto di mineralogia. Perfetto! pensai, questo è il metodo
per procedere: aggredire frontalmente il dubbio, poi viene tutto il resto! Ebbi la
conferma che si trattava di un solfato, ovvero, di una concrezione di cristalli zeppi
di granuli di sabbia. Così, sommando gli indizi raccolti, valutai che l’incisione era
stata realizzata recentemente e con strumenti manuali. Ma non si trattava di un’e16
ROSA D’EGITTO
laborazione glittica, come avviene nei cammei, né di un tondino decorativo tradizionale, prodotto in pochi laboratori specializzati. Perciò, rivolsi l’attenzione verso
qualche maestro di quelle minute finitezze, che agisse fuori dal giro consueto del
mercato dell’arte lapidea. Era tanto quanto potesse bastare perché rinvigorissi l’indagine nella nuova direzione.
Però, ci voleva metodo ed io ero un principiante... Ma presi fiducia, mi feci
coraggio ed andai avanti.
Il passo successivo fu quello di perlustrare i laboratori di restauro e di antiquariato. La chiusura estiva precludeva un’indagine a tutto campo. Ma fu meglio poiché la fortuna mi condusse direttamente in una nota bottega del centro insolitamente aperta, dove un buffo personaggio, che non sapevo quanto fosse un filosofo e quanto un chiaccherone, mi ricevette per darmi le prime notizie sull’oggetto
misterioso che avevo rubato al sogno.
O, forse, era meglio dire: alla Bella del Bosco?
Il laboratorio era stracolmo di tessere di diverse misure e fattezze. Quelle più simpatiche riproducevano proverbi romaneschi venati di satira popolare; mentre le altre
mostravano i tradizionali souvenir per turisti stranieri. L’accozzaglia di messaggi futili assemblati a frasi celebri era tutto un programma visivo che evidenziava l’animo
vulcanico ed estroverso del bottegaio. Infatti, venne ad aprirmi un tipo sanguigno e
tarchiato, che pareva la traduzione in carne ed ossa dei bizzarri motti grotteschi che
gli stavano attorno. Però, era altrettanto affabile nei gesti e nei modi e poteva dirsi il
naturale papà delle attraenti sculturine che aveva riprodotto ispirandosi ai noti soggetti classicheggianti. Feci finta di ammirarne qualcuna, ma non ebbi il modo.
Forse stava aspettando da parecchio tempo, forse aveva un carattere frenetico
ed umorale, sta di fatto che mi aggredì bonariamente con lo sguardo e coi gesti.
Puntò diritto sul ciondolo che portavo al collo, cosicché non dovetti sforzarmi ad
intraprendere alcuna conversazione particolare. Di conseguenza, fu facile rispondere dicendogli di averlo rinvenuto sul ciglio della strada, ma mi accorsi di aver
commesso un’inutile gaffe.
- Troppi hanno trovato il ciondolo sullo stesso ciglio, nessuno addosso ad una
bella fanciulla! - disse ironicamente, trattenendo a stento il sorriso sotto i baffi.
Sottolineo sotto i baffi perché ce li aveva davvero e penso ne fosse anche orgoglioso, a giudicare dalle pareti zeppe di simpatiche caricature eseguitegli da pittori di
fama. I tratti somatici lo identificavano come una sorta di simpatico e paffuto
Bacco contemporaneo. Ed era fuor di dubbio che avessero azzeccato il personaggio, mi dissi osservandolo meglio.
- Come fai a sapere che altri hanno la stessa cosa di pietra che ho io? - chiesi
perplesso anche se ero diventato un po’ rosso.
- Per il semplice fatto che quelli come te prima o poi vengono a finire tutti qui...
dallo scalpellino che ti è davanti - e mostrava le mani potenti e callose.
- Possibile? - aggiunsi incredulo - Sono così tanti? - Vediamo un po’: uno, due, tre... - e dopo qualche tentennamento aggiunse: Direi che intorno ai sigilli ruotano una decina di persone da quando sono qui e
fino adesso... 17
GERARDO LO RUSSO
- Perché, prima?... - Intendevo, da quando ho aperto bottega in questa strada, diciamo quarantanove anni di onorata attività di spaccapietra romano, come ormai non ce n’è più in
giro Rimasi a riflettere stupefatto ed interdetto. Com’era possibile che ci fossero altri
ciondoli o medaglie in circolazione simili alla mia? Dunque, non è un pezzo unico!
E perchè mai? Ma rimanevo senza risposta.
A meno che non esista qualche organizzazione manageriale che le distribuisca per
il lancio di un prodotto commerciale. Ma a che pro? Non erano state rivolte domande per indagini di mercato, semplicemente improbabili, oltre che improponibili in un
bosco infiammato. O forse, l’obiettivo era un altro, chissà? Uhm...Però, non mi risulta che si promuovano azioni di massa regalando oggetti artigianali finemente lavorati... Questa non è plastica, è pietra dura e pesante. - Pietra cristallina denominata
“Rosa del Deserto” - precisò lui prendendola in mano e strofinandola con il suo
camice color kaki. Ma erano carezze, si vedeva chiaro un miglio. Segno che ci teneva tanto. Dunque, doveva essere un oggetto prezioso...
Perciò, scartai le ipotesi del marketing aziendale. Rimaneva la questione dell’incendio. Qualcuno si era divertito ad affabulare uno sprovveduto come me trovatosi casualmente là in mezzo? E a che scopo? Anche se v’erano parecchi a sostenere l’origine dolosa, dato che il fuoco s’era sviluppato da più lati, sembrava
assurdo valutare gratuite supposizioni senza dati alla mano. Decisi di escludere al
momento di considerare questa eventualità. In seguito avrei tentato di discernere
meglio quelle insinuazioni approfondendo gli aspetti più verosimili sullo sviluppo
di un approccio tanto inquietante. Guardai fisso negli occhi dello scalpellino, perché non riuscivo a capire un bel niente e d’altra parte lui stava lì in attesa taciturna, come se avesse già vissuto quella scena.
- Vuoi sapere della ragazza, vero? - chiese poi, deciso - Non so chi sia, salvo
riconoscere che è una creatura stupenda... Ed a giudicare dalla testardaggine con
cui la cerchi, posso assicurarti che la troverai. Beata gioventù! E che deliziosa è la
vita, quando c’è l’amore! Sorrideva divertito e stavo per mandarlo a quel paese, però la cosa sembrava
tutto sommato un gesto di buon auspicio. O almeno, così speravo. Lui invece,
ingannava l’attesa guardandomi di soppiatto, ma cercando di mettermi a mio agio.
Ci fu una breve pausa, dopodiché ansimando, valutai di insistere chiedendogli
qualsiasi altra notizia utile per continuare le indagini.
- Perché non racconti di lei, come si è rivolta a te e cosa ti ha detto quando ti ha
commissionato di incidere questo affare? - Guarda che ti stai sbagliando. Non c’è stata solo una Lei che è passata di qua.
E poi: come fai a pensare che quelle persone sono venute per la stessa ragione?
Infine, potrebbe trattarsi di maschi, invece che femmine…
- Già! Riflettei sul fatto che potevano essere implicati altri individui, perciò
aggiunsi: - Potresti parlarmi almeno del committente del campione che porto
addosso, allora? Chi è, cosa fa, dove posso trovarlo? - Non so molto di lui perché è un tipo taciturno. Però, è anziano e scuro di carna18
ROSA D’EGITTO
gione, dal volto ombroso, con folta barba, più alto e magro di me sicuramente! Ogni
sette anni ordina di incidere una scheggia come quella che hai al collo ed è sempre
lo stesso nonostante l’età trasformi senza tregua noialtri poveri vecchietti. Per la
verità, ora che ricordo bene, lui era tale e quale già quando l’ho conosciuto tanti anni
fa. Beh, però l’ultima volta che l’ho visto si reggeva a malapena in piedi - Che lavoro fa? - insistei profittando dell’improvvisa e generosa loquacità.
- Penso che sia un maestro, forse uno scenografo, o un regista, o qualcosa di simile. Sicuramente è una persona colta, piuttosto pignola e decisa nelle sue scelte - Cosa te lo fa pensare? - Il fatto di aver sempre preteso che il lavoro fosse realizzato al meglio in tutti i
suoi particolari e nei tempi stabiliti. Altra cosa veramente nobile: non ha mai
deprezzato il mio mestiere, pagando qualsiasi cifra gli avessi richiesto. Un vero
signore con il difetto di essere poco comunicativo. Tutto qui - Per esempio, quando ti ha ordinato questo? - L’ultima volta...erano i primi di maggio, mi pare; di quest’anno, si intende! - Mentre su “Quelli come me”...cos’altro puoi dirmi? - Ah, gente simpatica ed intraprendente. Siii... Studenti, ma anche professionisti. Gente che ama l’avventura, dico bene? Lo disse un po’ divertito e un po’ preoccupato anche lui, osai supporre, poiché
non sembrava di sapere completamente a fondo che storia fosse mai quella.
Adesso, infatti pareva che volesse egli stesso capovolgere la situazione e pormi
delle domande in merito, ma io imbarazzato feci finta di niente e, brutalmente:
- Dove posso trovare il “Vecchio”? - lo incalzai. Non so dirti altro che deve abitare da queste parti; almeno a giudicare dalle
occasioni in cui l’ho incrociato per strada Indicai i palazzi delle vie limitrofe. Ero parzialmente soddisfatto, ma mi mostrai
perplesso.
- Come cercare un ago nel pagliaio... - lamentai, mostrandogli il banale disappunto.
Lui se ne preoccupò in maniera visibile. Si commosse, era evidente, perché
cominciò a smaniare ed attendeva il da farsi. Mi guardò ancora come per convincersi di qualcosa, poi sorrise paternamente senza tentare di celarlo e fece cenno di aspettare. Bene, ci siamo, pensai. E lo seguivo ostentando un moderato interesse. Ma dentro me stesso il cuore galoppava a più non posso. Si infilò in uno stretto corridoio
pieno di tutto e cominciò a smuovere oggetti di qua e di là. M’ero nascosto per osservarlo meglio, cosicché assistetti ad un piccolo capolavoro di acrobazia inaspettata
per quel giorno: si levò in punta di piedi, leggero come una piuma e si erpicò sui resti
di pietra e di marmo appena sbozzati ed ammucchiati accanto ai bottiglioni di vino.
Era una goduria vederlo elevarsi con il pancione allegramente danzante nell’aria,
come se fosse un otre gonfio di vento, finché dovette piegarsi in due per prendere
qualcosa in soffitta e, allora... accadde l’imprevedibile. I pantaloni gli si ruppero con
un botto esplosivo, lui cercava di tenerli su con movimenti disordinati, di conseguenza perse l’equilibrio; cosicché caddero giù: i pantaloni, il mucchio di roba su cui era
montato e che faceva da scala e lui stesso, ormai rimasto in mutande.
19
GERARDO LO RUSSO
Ma era sano e salvo e mezzo inzuppato dagli schizzi di nettare d’uva. Era estate, dopotutto e un bagno in cantina ci poteva anche stare... Ma lui brontolava contrariato. Ed io, quantunque mi sforzassi di celare la cosa, scoppiai a ridere; ma per
fortuna, non se ne avvide affatto dato che mi allontanai repentinamente.
Quando tornò dal retrobottega era impacciato ed intontito. Aveva il naso a patata, ma era rosso come un peperone. E sembrava cotto in un minestrone di uve rossastre. Mi fissò, mentre soffiava sul minuto rotolo di pergamena ricoperto di
muffa. Dal fondo del corridoio, intanto avanzava l’aspro odore dei fiaschi di vino
mischiato al tanfo della polvere appena rimossa.
- Potresti risalire a lui tramite questo - pronunciò sicuro di sé e tendendomi l’offerta.
Magari, dissi a me stesso, prendendolo in mano e starnutendo mentre faticavo a
trattenere ancora il riso beffardo e traditore.
Fortunatamente, srotolavo il foglio e leggevo la sigla che mostrava l’indirizzo
situato sotto il disegno del ciondolo. Era ora che mi fossi procurato qualcosa di
solido su cui basare le indagini!
Lo ringraziai ed eccomi qui: nelle stanze del signor Vecchio, alias “Taldei Tali”,
del quale non è consentito riferire altro che questo nome da me riportato per sua
esplicita richiesta.
La Luce è Scrittura
Quando, emozionato trovai le scale che portavano alla mansarda della passeggiata pinciana, la prima cosa che notai nell’androne polveroso fu la riproduzione ingigantita dello stesso disegno del rotolo. Era abilmente incollata sulla parete frontale
e sopra l’ingresso. La segnaletica volutamente palesava che ero sulla corretta via e
confermava che dovevo proseguire nell’azione indagatrice. Ma se la pista era giusta,
la porta s’era addirittura aperta prima ancora che girassi la chiave e senza aver effettuato nessun giro di maniglia, che non c’era. Come non c’era nemmeno uno spiraglio di vento nella torrida estate. Neppure campanelli o citofoni. Bastava salire i gradini e seguire la poca luce che penetrava dal tetto. Vista così, la scenografia del luogo
faceva pensare a tempi remoti, risalenti a qualche secolo addietro: il posto si presentava spoglio di oggetti, pieno di muffa e tetro d’aspetto, con l’aggiunta della puzza
di acari e tarme. Di sopra mi aspettava un ampio salone, un minuscolo bagno, qualche mobilio e niente di più. Si sarebbe potuto captare il disagio tipico che si prova
negli ambienti trascurati e poco confortevoli; invece, sentivo una calorosa presenza
umana dappertutto pur non individuando esseri apparenti in carne ed ossa. Sarà stato
l’effetto indotto dalle pareti cariche di vissuto, chissà? La curiosità era incessante,
perciò... Dopo qualche attimo di perlustrazione e di indugio, mi avvicinai al tavolo
tondo posto sotto l’abbaino e al centro dello stanzone. L’unica fonte di luce in quel
rifugio fuori dal tempo proveniva dall’alto. E tanto bastava.
Cominciai a sbirciare sul mucchio di carte apparentemente abbandonate da
tempo. Sulla copertina del contenitore impolverato c’era la traccia di un messaggio segnato con la punta delle dita:
“Amico Ruggero, cura queste carte, ho il sentore che potrai scoprire un segreto di tale importanza da non potersi dire. Addio.”
20
ROSA D’EGITTO
La pista era giusta, altroché! E la testa ora era fusa altrettanto per la fibrillazione! Difatti, la luce spiovente metteva in bella evidenza di chiaroscuro i caratteri
delle parole appena solcate nella polvere. Dubbioso, feci dei passi intorno al tavolo per verificare meglio: avevo letto correttamente, era proprio così! Rimasi allibito e trasognato: troppe cose facevano salire il sangue al cervello. A cominciare
dalla sorpresa di leggere il mio nome che doveva essere stato scritto appena qualche ora prima, stante la nitidezza delle impronte.
Ti lascio immaginare quale stato emotivo stessi vivendo in quel preciso momento:
un misto di stupore e di fascino per l’ignoto, sommati alla consapevolezza di rischiare di esser preso per i fondelli da qualche ignobile pazzo in pensione. Non capivo per
quale ragione al mondo uno o più prestigiatori mi avessero coinvolto nella trama di
enigmi, che andava prospettandosi all’orizzonte. Però, ragionavo: anche se così fosse,
ormai mi trovo in questo strano gioco della caccia al mistero, ho già rinunciato alle
vacanze, perché non vedere come va a finire? Ancor di più, la speranza di incontrare
nuovamente la stupenda ragazza del sogno stimolava persistentemente la fantasia. A
meno che pure lei non fosse un’illusione ottica, un ricordo del sogno o un artificio tecnico come si usa nella realtà virtuale. In questo caso sarei stato veramente un povero
ingenuo nel tentare di capirci qualcosa. La spiegazione non poteva essere ritrovata al
di fuori della realtà: qualcuno che sapeva manovrare oggetti, luoghi ed altro stava
attuando una complessa strategia. Quale? E perché? Dovevo scoprire il movente per
comprendere il motivo per cui mi ritrovavo in quello strano pasticcio.
Era la coscienza che me lo imponeva.
Feci dei grandi sospiri.
Allora, considerai che l’appartamento risultava disabitato da parecchio e convenni che poteva trattarsi piuttosto di un ritrovo per vecchi amici; forse per giocare a
carte, forse per studiare o per altro di simile. Infatti, non c’erano tracce di svolgimento del solito trend di vita quotidiana: nemmeno una larva di bevande, né cibarie e
neppure il confort dell’arredamento. E da fuori non penetravano disturbi stressanti:
niente rumori di traffico, o vociare di passanti, o strombazzare di televisioni. Tutto
era organizzato come se dovesse risultare un tempio sobrio, ma orientato a concentrare le energie pensanti sugli obiettivi della riflessione. Perfetto, allora: è proprio
quello che ci vuole! Se tanto mi dà tanto, accetto la sfida!
Una volta accertatomi di poter restare in quella sorta di isola ambientale indisturbato per giorni e giorni, presi posto organizzandomi per lavorare nelle migliori condizioni. Spolverai, perciò il tavolo, un paio di sedie e il mucchio di carte. La
scritta sul contenitore era già svanita tra le pieghe di un panno umido che l’aveva
assorbita. Ora, stavo iniziando con timidi gesti a slacciare l’involucro per poterlo
visionare con attenzione. Intimamente, percepivo la strana consapevolezza che ciò
che stava maturando non era dovuto al caso. Per esempio: il tavolo con le carte
pareva stesse aspettando soltanto me. Pure, speravo che la stessa percezione l’avrei gustata prima o poi quando avrei rivisto la Bella del Bosco. Ecco, questo era
il contesto che mi imponeva di andare il più a fondo possibile nella storia capitatami. Ma ciò che ora maggiormente pungolava l’immaginazione era il desiderio di
verificare subito se spulciando tra quel materiale cartaceo fossi stato in grado di
21
GERARDO LO RUSSO
effettuare la traduzione del ciondolo. Appena aperto il contenitore, guardai il
foglio in superficie e lessi una frase lapidaria: “La Luce è Scrittura”.
Feci a malapena a tempo a rileggerlo un paio di volte e già la frase color sanguigna stava scomparendo dalla superficie di carta ingiallita. Ogni parola era stata
impressa sopra la texture di segni misteriosi simili a quelli che tentavo di decodificare. Riflettevo sullo strano impiego di inchiostro e su altri trucchi del genere.
Tutto era sparito in un baleno. Era bastato l’influsso di un lampo di luce. Pensai
che d’ora in poi avrei dovuto agire con più cautela. Avevo a che fare con un mondo
niente affatto normale. Disilluso, già leggevo una lunga nota esplicativa, situata a
margine del foglio. Quella però era scritta in modo normale, senza trucchi e senza
codici da studiare.
Il misterioso signor Taldei Tali aveva voluto mostrare come si potessero combinare i segni sconosciuti con l’alfabeto delle parole comuni.
Contemporaneamente, spiegava l’inizio del processo cabalistico che gli consentiva quel risultato. Purtroppo, sono rammaricato di non poter riportare fedelmente
le sue annotazioni, perché l’autore ha preteso in esse la volontà che, chi avesse
letto questo scritto, fosse dispensato dal dovere subire metodologie altrui, ritenendole di poca importanza per il prosieguo dell’indagine individuale. Ma le cose da
capire di questa storia sono troppo complesse e allora farò delle forzature. Perciò,
eccoti riproposta alla bene e meglio ogni tanto qualcosa che ricordo, come quella
che diceva più o meno:
“...due segni come due bastoni sovrapposti uno sull’altro indicano l’entità
strutturale del pensiero. Il modo in cui vengono posizionati e la condizione psichica individuale consentono di comunicare e di percepire cose o concetti siffatti...”
Mamma mia! diresti tu. Che roba pallosa! Ma che ci vuoi fare…è la vita. Prima
è toccata a me questa avventura pedante, ora sbrigatela da solo!
Senza indugiare oltre, valutai che il messaggio poteva sintetizzarsi per approssimazione in questo modo:
“...Ti ho avviato sul sentiero della ricerca del metodo, adesso devi provare da
solo, poiché solo tu riuscirai a trovare ciò che sei in grado di voler capire....”
Ecco vedi, come stavo supponendo poco prima…
Perciò, pensai che oltre a questa parentesi iniziale, dal Vecchio ci sarebbe stato
poco da attendersi e da considerare utile per la decodificazione della scritta sul
pezzetto di pietra. Tanto è vero che continuava sulla stessa falsariga:
“...Renderai merito a chi ha contribuito alla riuscita di una giusta causa e che,
per forza maggiore, deve rinunciare al raggiungimento dell’obiettivo finale. Se
vuoi, puoi proseguire tu il lavoro di questa storia lunga e laboriosa...”
Altro più o meno significativo ma dello stesso tenore paternalistico e apparentemente sconclusionato si leggeva nelle frasi a margine dei fogli. Perciò, gli
stavo dando un’importanza relativa, almeno in quel momento. Ero preso, invece, totalmente dalla sfida della scoperta e ansimavo con frenesia, pur se sapevo
di dover procedere con prudenza.
Oppure, dovevo essere sufficientemente sazio per aver appreso già tanti indizi
utili? Bastava ricostruire mnemonicamente i simboli che affiancavano la frase scom22
ROSA D’EGITTO
parsa e compararli con le lettere dell’alfabeto. Sarebbe stato l’inizio della decodificazione di quello strano enigma. Ecco, così: bisognava andare avanti per gradi!
Avrei progredito nella risoluzione di un problema alla volta. Sembrava facile.
Ma non sempre le buone intenzioni corrispondono all’andamento dei fatti, peccato! E, poi, c’era il messaggio inequivocabile sulla luce. Si, la luce!
Se la luce è scrittura, ora pongo la piastrina sotto la luce e leggerò il messaggio.
Dovevo poter leggere attraverso la luce.
Esatto!
Ma, è ciò che abitualmente facciamo tutti, considerai; senza di essa, nulla è visibile. Stavo per scoppiare a ridere di me stesso. Sfilai il ciondolo e cominciai a rigirarlo tra le mani. Chissà quante volte provai a scoprire cose invisibili! Ricorsi alla
tecnica del frottage, riportando con la grafite la texture della lastrina su di un foglio
di carta. Purtroppo, non appariva alcunché di comprensibile. Finché, riflettei di
nuovo sulla struttura del materiale semitrasparente e sul perché di quella escavazione dei segni. Percepii il miracolo avverarsi. D’intuito, rigirai il medaglione
esponendolo sotto il fascio di raggi luminosi proiettato dal tetto e sorprendentemente lessi: “Rosa d’Egitto”
“Rosa d’Egitto”? E che roba è? Ero emozionato per la scoperta, ma perplesso
più di prima. Bah...che mi doveva capitare: un messaggio senza né capo, né coda!
La luce trapassava maggiormente dove la lastrina era assottigliata, perciò era
inequivocabile e chiara alla mente. Avevo ottenuto la dimostrazione che insistendo si può venire a capo di un rebus complicato e difficile. Adesso però, venivano
da pensare altri modi per risolvere lo stesso enigma. Per esempio, bastava leggere
il riflesso su uno specchio o applicare la lastrina su una finestra... Ohi,ohi,ohi!
Strinsi una mano sulla fronte pensando al tempo sprecato tra biblioteche e richieste di informazioni a destra e manca. Ma, evidentemente, certe soluzioni si intravedono solo dopo che la mente si è allenata e tenuta in costante esercizio.
Così provavo a giustificare la spudorata goffaggine!
Però non dovevo sprecare energie a flagellarmi più del dovuto, non c’era tempo,
ora. Intanto, Rosa d’Egitto potrebbe risultare una dedica come Bella del Bosco.
Chiunque resterebbe affascinato dal profumo drogante e dalla pelle vellutata di una
ragazza come quella. A pensarci bene, l’immagine femminile ricordava un canone di
bellezza tipicamente orientale. L’espressione libera e sciolta della natura vivente.
Qualcosa di familiare e di ricorrente che navigava pure nella mia memoria, da sempre. Perciò, uno spezzone di pietra del deserto si addiceva ad hoc quale omaggio ad
una creatura che di quelle terre era l’espressione più felice ed intrigante.
Pensai di abbandonare la mansarda della vecchia Roma e di andare a cercare la
ragazza nel paese dell’incendio. Dedussi che, chiedendo sul posto informazioni su
qualche egiziana o appassionata dell’Egitto, avrei potuto cavare qualcosa di utile.
Almanaccavo ipotesi su ipotesi, e spesso a vanvera...Era l’ardore dei sensi che
montava sulla spinta dell’eccitazione per la scoperta appena fatta.
Errato! dissi subito dopo, ragionandoci sopra.
Come puoi pretendere che la gente si immedesimi e capisca i tuoi sogni? Ognuno
ha i propri dai quali non riesce a liberarsi. I tuoi farebbero solo ridere o disorientare,
23
GERARDO LO RUSSO
perché potrebbero rivelarsi anni luce distanti da quegli degli altri. Invece, avrei
dovuto chiedere consiglio a qualche amico e, magari, farmi accompagnare nell’impresa. Avrebbe potuto aiutarmi a scoprire che cosa stava accadendo. Telefonai a
Francesco, poi a Mario, ma a nessuno dei due seppi dire niente di più o di meno che
dei banali saluti. Mi mancò il coraggio, poiché qualsiasi motivazione avessi addotto
per via etere sembrava assurda e fuori luogo. Al massimo avrebbero capito che stavo
dando del matto, dato il caldo intenso della stagione. D’altronde, già quando erano
partiti avevo avuto difficoltà a giustificare l’improvviso forfait perché non avrei passato le vacanze assieme. Ora poi, loro erano lontani ed immersi in un’atmosfera di
piacere per cui sarebbero stati impossibilitati ad aiutarmi in ogni modo. Valeva per
la distanza fisica, figuriamoci se avessi chiesto l’uso della ragione, presi com’erano
dalle godurie vacanziere! Così, ebbi modo di salutarli e staccai la conversazione,
come per prendere atto che ci sono cose incomunicabili al telefono. Non mi rimaneva che riflettere a lungo e in solitudine, sul da farsi.
453!
“...Tutte le mattine ti penso e ti nomino almeno tre volte nella mente. Ripeto il
tuo nome e cognome come fosse una litania. E ad essa aggiungo la somma di quelle che sono trascorse, perciò oggi ti penso di nome e di numero. E sempre ricordo la tua voce come quando promise solennemente:
- Comunque vada: un giorno o l’altro ti rivedrò! Un giorno o l’altro, appunto: 453!
Nome e Cognome e 453!...”
Così scriveva il pazzo d’amore. E già mi rendevo conto della prima contraddizione che rimbalzava in modo evidente: non si può iniziare un romanzo per un
incontro di cuore, fosse anche il più esaltante del mondo con un ricorso ossessivo
ai numeri. Non riuscirei ad esprimere il sentimento contando i giorni che passano;
tanto meno a trascrivere le emozioni rappresentandole con simboli di quantità.
L’amore è qualcosa di totalizzante, dicevo tra me e me, come si può parcellizzare
ciò che è completo in sé stesso? Ma il quaderno d’appunti recitava proprio così,
evidentemente il tipo che lo aveva scritto doveva essere un appassionato di matematica, non certamente un poeta.
Ed ancora una volta il pregiudizio ottenebrava il normale lavorio del cervello.
Leggiamo il seguito:
“...Erano le ore quindici del ventitre giugno dell’anno scorso ed ero appena
uscito dall’agenzia. Mentre giravo tra i vicoli, sentivo una attrazione fatale che mi
spingeva a dirigermi verso la strada dove poi ti incontrai. Eppure, avevo un
appuntamento alle sedici dall’altra parte della città. Né valse a distogliermi dal
percorso inconsueto l’incontro di una collega che si era appena tagliate le vene.
Nel frattempo che la gente le prestava i soccorsi, la salutai e le abbozzai un timido sorriso di incoraggiamento per farle superare la crisi. Lei era bianca in volto
e la disperazione che aveva dentro era più sconvolgente del sangue stesso, mentre le sgorgava copioso dalle ferite sui polsi. Gli occhi supplicavano una pace lon24
ROSA D’EGITTO
tana da chissà quali conflitti che la perseguitavano. Perciò, quando voltai l’angolo per raggiungerti fatalmente, ero sconvolto e cercavo un posto lontano dalla
folla per fermarmi e riflettere...”
Che sciagurato, però!
Fregarsene in quel modo...ahi, ahi, il matematico! Comunque, pare ricordarsi tutto,
menomale, anche se non capisco a cosa possa servirmi questo fatto increscioso!
Chissà se ha meditato poi sulla codardia dimostrata con quel suo comportamento così
poco solidale? Forse era timido e stava scappando per paura di essere preso emotivamente? Già, perché la ragazza era stata sempre problematica. Se fosse caduto nella
trappola di cedere alla richiesta di aiuto, non avrebbe poi avuto la capacità di reggere
al successivo coinvolgimento affettivo.
Oppure, difendeva il suo ruolo sociale e perciò rifuggiva da qualsiasi compromesso nell’ambito del proprio lavoro. Era un ingegnere matematico, forse si applicava alla statistica, perciò scappava dalle improvvisazioni; questo almeno sembrava chiaro, così andavo deducendo.
“...Penso a quanti giorni sono passati, dunque, esisto! - continuava - Se poi
dico ciò che penso, il pensiero si diffonde e sembra che esisto ancor di più.
Dunque, lo scrivo così mi eternizzo, anche se vorrei farlo insieme a te. Ma tu dove
sei, Nome e Cognome e 453?...”
Queste ed altre riflessioni ricavavo dal curioso autore, anche se per quanto concerneva le indagini in corso, azzardavo l’ipotesi che anche lui come me fosse rimasto vittima di un’immagine femminile apparsagli in uno stato di confusione mentale ed ora ne stava pagando le conseguenze. Erano passate poche ore da quando
avevo messo piede nella mansarda e già pareva che fosse divenuto il sito ideale
per scrutare e comprendere la realtà fantastica che si parava dinnanzi. Con fiducia
leggevo gli appunti, aspettando prima o poi che saltassero fuori le rivelazioni funzionali alle aspettative che premevano il cuore.
“...Posai l’attenzione sull’edera che ricopriva la parete del negozio, quando mi
accorsi che un dialogo intervallato da numerosi sorrisi divertiti proveniva da là
dentro. Con discrezione rivolsi lo sguardo dietro l’ampia vetrata. Tu e quel simpatico artista sembravate godere di un linguaggio arcano che addolciva tutti gli spiriti della conversazione. Parlavate di questo o di quello indiscriminatamente, come
se aveste posseduto il dono di comprendere il mondo intero con un solo sorriso.
Ah, quei toni di voce quanto mi stavano affascinando! Dall’altra parte dei
palazzi ancora provenivano suoni di sirene e di automobili in corsa. Qui, invece,
c’era la straordinaria pace di un pomeriggio estivo romano, dove tutto diventa
dormiente, anche il silenzio...”
Caspita! pensai, qui si intravede la presenza del tipo visto oggi. Che c’entra lui
con la dama di 453? La figura del buffo pancione coi baffi intrigava parecchio, non
c’è che dire! Chissà quante cose doveva sapere quel tipo! E che magari nascondeva dietro il sorriso sornione? La prossima volta che entro nel negozio ispezionerò
da cima a fondo tutto ciò che vedo. E’ probabile che nel retrobottega oltre ai boccioni di vino vi sia qualche oggetto che fornisca utili dettagli.
“...Parlavi delle idee come se potessero essere rappresentate coi numeri:
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GERARDO LO RUSSO
- Ogni numero è un’idea ed ha un valore espressivo. Ci sono i numeri primi e
tante tipologie di numeri fino all’infinito. Così sono le idee. Ci sono tante, grandi
idee come i numeri primari dai quali poi discendono tutti i restanti sottonumeri,
che sono la trasformazione all’infinito delle idee originali nelle loro essenze.
L’idea dell’amore è il numero uno Così dicevi, mentre lo scalpellino sembrava essere caduto in trance dalla commozione. Eri splendida, anzi divina. Cosa sarà mai la mia vita se non un viaggio
perenne per riascoltare la tua voce?...”
Uhm! Cominciavo ad emozionarmi anch’io ricordando la Bella del Bosco ed
anche se non avevo ascoltato il suono della sua voce, immaginavo che non poteva
non essere altrettanto suadente e trascinante. Ma almeno lui le avrà parlato, altrimenti come avrebbe potuto ricordare la promessa che un giorno si sarebbero ancora incontrati?
“...Feci finta di chiedere un’informazione banale circa il negozio di fronte per
avvicinarmi di più e godere del tuo fascino immenso. Nome e Cognome e 453!
Nessuno di voi due mi rispose, ma non mi stavate ignorando. Anzi! Lui rimase
imbambolato, quasi in cerca di qualcuno che fosse intervenuto per intervallare
quella tensione sublime ed evitare di prostrarsi a terra in uno stato di venerazione ineluttabile. Tu mi stavi aspettando da sempre, perciò facesti finta di niente, e
continuavi a parlare col sorriso onnicomprensivo e con un filo di voce penetrante e profondo, tanto profondo che sembrava giungere dalle viscere della terra e
dai cieli ultragalattici. Nome e Cognome e 453 !...”
Mamma mia! Adesso il matematico dà del poeta. però!...mica male, anche se la
poesia è un’altra cosa! Vediamo che altro si sono detti quel giorno del ventitre giugno, ma di quale anno?
“...Rimasi in piedi accecato accanto all’ingresso per i pochi minuti che sembrarono un tempo immemorabile. Poi dissi qualcosa, non ricordo nemmeno quale e
feci per uscire, mentre tu continuavi:
- L’energia unificante è dappertutto, anche nella roccia scocca la scintilla della
vita, così è l’amore... trascina il mondo, senza che esso se ne accorga. Da sempre
tutto e tutti decantano l’amore, e più canzoni ascolti, e più ne sentirai di nuove.
Ma l’amore è sempre lo stesso Più non resistevo, era troppo bello, troppo vero e la verità denuda l’impenetrabilità dell’animo. Avevo un nodo in gola poiché non riuscivo a trattenere l’emozione, né ad esprimerti quello che sentivo. Girai verso sinistra tentando di simulare un generico interesse per l’altro negozio a fianco. Poi, mi allontanai ancora
qualche decina di metri più avanti, mentre speravo che accadesse qualcosa che mi
venisse in aiuto o che spezzasse l’incantesimo.
Sbirciai con la coda dell’occhio, finché vidi una silhouette che si muoveva dietro di me. Eri tu, eri appena uscita per buttare nel secchio della spazzatura i resti
della colazione che avevo notato sul tavolo basso insieme al vino, alla borsa e ad
una collana di pietra. Mi nascosi in fretta in un portone vicino per osservarti
meglio. Come una fata ti muovevi leggera senza dare nulla a vedere. Allora, ebbi
l’ardire di supporre che fossi uscita per me! Mostro! mi dissi. Come osi pensare
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ROSA D’EGITTO
che una creatura così leggiadra possa diventare tua? Non è possibile. Però, il
dubbio farabutto batteva sulla testa come una goccia cinese: perché una signora
così raffinata ha interrotto una conversazione tanto intensa? Per fare le pulizie?
Nemmeno ciò sembrava plausibile. Perché uscire in istrada e cestinare qualcosa
che avrebbe potuto fare il bottegaio dentro il suo stesso negozio? Il dubbio voluttuoso ora mitigava l’attesa.
Nome e Cognome e 453!
Girai sui miei passi e mi riproposi davanti alla porta della bottega d’arte. Lui
stranito si stava giusto sedendo; infatti non si accorse nemmeno del saluto che gli
stavo porgendo, oppure finse di non vedere. Lei mi sorrise calma e serafica. Non
so se io le abbia fatto qualche cenno, ma lo pensai. Le dissi in modo perentorio,
senza aprire bocca e solo mentalmente:
- Vieni via con me. Adesso e subito. Non ce la faccio più!
- E mi incamminai deciso verso la strada del ritorno. Per ritardare il tempo del
percorso, zigzagavo da destra a sinistra facendo finta di osservare le vetrine di là
e di qua, quando, come un raggio di luce ti vidi uscire, barcollare un po’ e dirigerti verso di me. Ah, che miracolo! Stavamo comunicando a distanza. Ah, Nome
e Cognome e 453!
Mi voltai con uno scatto serpentino, feci qualche passo e senza nemmeno rendermene conto, ti fui a fianco. Era come se ti stessi stringendo in una spirale di
fuoco. Tu mi guardasti con le pupille brillanti e ci dicemmo senza aprire bocca che
non poteva non essere che così. Camminando con il respiro vicino, io ti aggiunsi
che ero stregato da quel tuo suono melodico, che non potevo andar via se non
avessi ascoltato almeno un’altra volta quella tua voce. Tu sembrasti capire e mi
chiedesti se potevi farmi compagnia per un pezzo di tragitto insieme..
A quel punto avrei dovuto temporeggiare ed invitarti a prendere un caffè, invece
come uno sciocco ti dissi di si, imboccando la strada da percorrere per andare all’appuntamento che avevo del tutto dimenticato. Forse leggevi l’ impegno traditore che
pesava enormemente nella mia testa, senza saperlo. Dicesti perfino che anche tu
andavi in quella direzione, e non insistei a chiederti ancora del tempo per stare insieme, quando guardandomi negli occhi e prendendomi la mano, sussurrasti:
- Ora, vuoi dirmi il tuo nome? Emozionato come un bimbo ti risposi e aggiunsi che lavoravo in una sede lì vicino nella speranza che te lo saresti ricordato. Poi
pianse il mio cuore dalla gioia e chiesi io il tuo e tu me lo offristi con quella voce
incantevole, come se fosse un dono raro e, infatti, lo è e lo terrò custodito eternamente dentro di me.
E stringendo la mano, occhi negli occhi, evitando altro da aggiungere:
- Un giorno ti rivedrò! - mi dicesti - Nome e Cognome e 453! –
Tanti ne sono passati fino ad oggi ed ancora aspetto con trepidazione quel giorno...”
Beh, complimenti a lui. Uno che vive d’amore si può dire veramente fortunato!
È felice, quasi da invidiare.
Però, assillato dalla perentoria richiesta pragmatica, confabulavo maldestramente: chissà di cosa parleranno gli altri quaderni? Questa novella è divertente,
certo, ma a me: che me ne viene? Ecco, quando necessita si deve tener conto delle
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GERARDO LO RUSSO
cose concrete: dove è il punto di congiunzione con la mia avventura? Forse lo scalpellino? Forse la collana di pietra? Forse tutte e due le cose? Dovrò ritornare in
bottega e chiedergli, per esempio: chi era il giovane matematico, chi l’affascinante signora, che provenienza e che messaggio nascondeva la collana menzionata, e
di che epoca si tratta?
Chiusi il quaderno rigirandolo in mano per osservarlo meglio mentre valutavo
che era da considerarsi un prodotto di non recente commercializzazione. A giudicare dalla qualità cartacea e dalla calligrafia dell’autore, doveva considerarsi vecchio di almeno trenta anni. Quindi, se fosse stata vera, quella appena letta riguardava cose lontane nel tempo. Lo scalpellino potrebbe non essere stato lo stesso
artigiano o forse no; ma poi, che importa?
Sbagliato!ecco la voce della coscienza che si faceva largo.
La verità era che non riuscivo a connettere niente di buono con quanto andavo
cercando. La sera, peraltro, era sopraggiunta trovandomi stanco nell’elaborazione
mentale, assetato, affamato e con una gran voglia di dormire. Bisognava far decantare ciò che avevo appreso nel riposo dei sensi.
La notte porta consiglio, dicevo per autoconsolarmi e attraversavo Roma invasa da
turisti a frotte. Ed invece, pure la notte stava rilevandosi un’assurda eccezione. Infatti,
mi faceva da balia relativamente, avvertendomi all’improvviso che qualcosa stava
accadendo là fuori. Sentivo un disturbo altisonante, mentre mi rigiravo nel letto, finché fui costretto ad andare a vedere di cosa si trattava. Dalla finestra aperta capii che
era il segnale acustico della sirena della mia auto: qualcuno stava cercando di portarsela via, evidentemente. Tanto feci presto a scendere in strada che mancò poco di
imbattermi nel ladro che stava dirigendosi in senso opposto al mio. Quando passò sotto
il lampione, osservai casualmente che aveva una fitta capigliatura argentea sopra il
volto abbronzato e una tenuta atletica notevole a dispetto dell’età avanzata. Doveva
trattarsi di lui che si allontanava con discrezione, tentando di non dare nell’occhio e
fare allarmare per il furto in atto. Ma la sirena della mia auto insisteva costantemente,
tanto da indurmi a correre verso quella direzione per eliminare il fracasso, che però
proveniva da un luogo diverso da dove avevo parcheggiato poche ore prima. Allora
realizzai che l’auto era già stata manomessa e spostata. Infatti, spensi la sirena nello
stesso momento in cui un signore calvo con la testa a forma di uovo venne a protestare le sue lamentele in maniera visibilmente infuriato. Cosa era accaduto? Il ladro, appena uscito dal parcheggio, gli era rovinosamente piombato addosso. Con una mossa a
sorpresa aveva fatto due danni. Cominciammo a scambiarci la documentazione di
prassi e nella consapevolezza di ritrovarci ambedue rovinati da un terzo elemento,
fummo presi da un fare solidale e gentile, esattamente l’opposto di quanto accade nelle
sceneggiate piccanti dei banali incidenti tra autisti. Poco ci mancava che intraprendessimo un cerimoniale di inchini a ripetizione. Solidarietà a parte, qualche altro elemento stava facendoci legare amichevolmente: la simpatia o, se vogliamo, un non so che
di comune sentire. Che cosa formidabile capirsi a volo! Così, nel bel mezzo della notte
l’anziano signore mi estese l’invito a prendere un caffè insieme nei giorni successivi e
rimanemmo d’accordo che ci saremmo presto risentiti.
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CAPITOLO SECONDO
Viking
Che bello il mare d’estate, che relax perfino sul lido di Ostia! Mai sarei stato stimolato a metterci piedi dopo anni di villeggiatura sulle coste lontane a cercare
acqua trasparente e pulita per metri e metri di profondità. Ma quest’oggi anche la
spiaggia cittadina appariva eccezionalmente gradevole e allettante nella sabbia grigia e nella moltitudine dei corpi spalmati di creme e di oli, come se si fossero preparati per arrostire meglio sotto gli infuocati raggi solari. Il bisogno di un po’ di
quiete dopo la giornata di stress rendeva accettabile perfino gli schiamazzi dei
bimbi, che si lanciavano secchielli rosa ed azzurri e con le palette seminavano sabbia su sabbia. Mentre, il forte odore di alghe marine azzerava in parte il puzzo di
catrame nerastro.
Sotto l’ombrellone cercavo di fare il punto della situazione, senza esito alcuno.
Però: che casinista! Non riuscivo a fare due più due in quel contesto. Invano, evidentemente il solleone non consente la condizione ideale per elaborare pensieri.
Decisi di rimandare tutto all’imbrunire. Perciò, diedi sfogo alle attività fisiologiche nel migliore dei modi, nuotando in lungo e in largo. E nella voluttuosa decisione di ottemperare ai bisogni primari, ben volentieri sarei andato a cena verso
sera dalle parti dove avevo vissuto l’incendio. Il paese, d’altronde, non era lontano da lì. Però, ero senza auto perché costretto a lasciarla in officina, dunque sarei
ritornato in metrò nel centro di Roma e, come un automa, avrei proseguito per la
mansarda solitaria. Questo il programma a quella ora. Invece, la follia del mistero
doveva ancora una volta ed anche in quel luogo preposto alla lassatezza ed al
divertimento, procurarmi un elemento di inquietudine inattesa.
Non è che volessi evitare problemi o scansare fatiche. Molto peggio: per qualche
ora avrei fatto volentieri a meno di qualsiasi tipo di interferenza che avesse potuto
alienare la pace dei sensi momentaneamente raggiunta. L’ozio è un bisogno primario. Lo penso da sempre, nonostante che a volte mi dicono pigro. Purtroppo, spesso
sono le stesse situazioni a procurarti i risvolti migliori sotto l’aspetto di emergenze
casuali. Sono i segni che non bisogna farsi sfuggire, pena la perdita del colpo di fortuna che tanto stai cercando. Ed eccolo, l’attimo fuggente: c’era il vociare diffuso tra
gli spiaggisti circa l’arresto di un pregiudicato. Cosa che stava a giustificare l’assembramento di persone nell’area del ristoro. La curiosità per questo genere di cose è
solitamente di poco superiore allo zero; perciò, continuavo a leggere il giornale ed
osservavo disincantato da lontano la scena.
Qualche voce grossa e il dispiegamento di forze dell’ordine sembrò avere la
GERARDO LO RUSSO
meglio sul fermato in arresti, che infatti, adesso veniva spinto verso l’uscita dello
stabilimento balneare attorniato dagli agenti. Un bella figura di uomo maturo con
una rigogliosa capigliatura argentea, così stavo considerando nell’osservare la
sagoma abbronzata ed in movimento. Ma la formulazione del pensiero rimase
incompiuta, sorpreso com’ero nel vedere spuntare la stessa persona che aveva tentato il furto dell’auto nella notte appena passata. Mi alzai di scatto, corsi sulla sabbia bollente e feci di tutto per guardarlo da vicino. Inutilmente, perché i poliziotti
lo spinsero di peso per introdurlo nella volante. Sul torso nudo e scuro avevo a
malapena, nella fretta e furia, notato un ciondolo di pietra e sulla spalla sinistra un
tatuaggio con la scritta “Viking”.
Guardai verso l’alto: lui, il sole, picchiava forte in testa, ma non stavo subendo
allucinazioni. Guardai verso terra: il giornale era scivolato sulla sabbia e già il
vento l’aveva spinto lontano, cosicché accorsi veloce per raccogliere le pagine
sparse. Ero scioccato e restavo incredulo per la improvvisa ed incomprensibile
coincidenza di poco avanti.
Tuttavia, dopo una breve pausa, andai al bar per informarmi sull’episodio.
Ma, come è facile immaginare, quando si toccano situazioni compromettenti,
mi riferisco a quelle che hanno a che fare con la giustizia, ognuno cerca di evitare grane. Qualcosa di utile, però la raccolsi ugualmente. L’arrestato era un noto
rapinatore. Uno di mestiere e di rispetto, si sentiva dire là intorno. Come al solito
si esagera sempre, pensai. Infatti, come potrebbe un volgare ladro di strada assumere un ruolo di personalità di spicco, pur se limitatamente al mondo del crimine?
Ma per fortuna, ebbi il dubbio di sbagliare ancora una volta valutazione!
D’altronde, cosa potevo pretendere da un improvvisato detective quale potevo
essere? Però, il pensiero che il tipo si potesse trovare nel giro di poche ore negli
stessi luoghi dove agivo io, mi arrovellava il cervello. Per non parlare del medaglione di pietra infilato in una pesante catena d’oro! Avrei dovuto saperne di più,
non c’era dubbio. Comunque, non dovevo sottovalutare la casualità degli avvenimenti. Significano sempre qualcosa, dovevo saperli interpretare, ecco!
Sul viaggio di ritorno un gruppo di ragazzi di borgata sprigionava la solita e
istintiva arroganza nell’esprimere giudizi scurrili e gratuiti nei confronti degli
automobilisti di turno ingorgati, che trafficavano per tornare a casa.
- Guarda come guida quello... Il buco se lo sarà fatto in testa, non ci vede una
mazza! - E vedi l’altro, non sa nemmeno dove stanno le marce! O la macchina l’ha
rubata, o non ha la patente…
- Ma che dici, non sa nemmeno come si stacca un allarme. Non lo vedi che è
imbranato?
Già, pensai: quando si ruba un’auto, la prima cosa che si fa, è quella di disinnescare l’allarme... Perché stanotte quello della mia auto ha continuato a suonare
addirittura dopo che il ladro ha commesso l’incidente? E anche qualora, a causa di
un banale corto circuito avesse preso a squillare dopo lo scontro, perché il delinquente non l’ha spento subito, prima della fuga in modo da evitare di attrarre l’attenzione dei vicini o dei passanti? In fondo, bastava staccare qualche filo o bloc30
ROSA D’EGITTO
care con un magnete l’apparato elettronico... Roba di qualche secondo per un professionista, come il tipo doveva sicuramente essere.
Non riuscivo a capire. Allora mi concentrai per ripercorrere la dinamica degli
eventi svoltisi la notte prima. La sirena stava suonando da almeno tre o quattro
minuti, il tempo che io la sentissi e fossi sbalzato dal letto in istrada. Ma era anche
il tempo occorrente affinché il signore incidentato si spostasse dalla sua auto per
raggiungere a piedi la mia arrestata poco lontano. Dunque, per tutti e due noi, il
tempo di tre o quattro minuti era lo stretto necessario per arrivare lì quasi contemporaneamente; ma per il ladro anche un solo minuto sarebbe stato fin troppo sufficiente per allontanarsi indisturbato e far perdere le tracce. Infatti, quando l’incontrai, non sembrava per niente preoccupato. Camminava a passi lesti, direi, ma non
fuggiva. Perché poteva permettersi di agire con quella calma serafica? Che avesse
voluto attuare una trovata tattica per far incontrare l’anziano signore dalla testa
d’uovo ed il sottoscritto? E perché?
Che movente può avere in serbo un criminale o forse un modesto delinquente,
comunque un volgare ladro di auto? Non vorrei ritrovarmi immischiato in qualche
brutta storia, riflettevo e cominciai ad inquietarmi. In questi ultimi anni gli intrecci tra delinquenza comune, strategie parapolitiche ed associazioni segrete hanno
spesso portato a dei pessimi risultati. E come al solito chi ci rimette le penne è la
gente innocente come me, ignara delle trappole che vecchi volponi potrebbero scavargli attorno. Perciò, sarà il caso che d’ora in avanti agisca con maggiore circospezione e prudenza. Per esempio, stasera mi fornirò di una torcia, di un registratore e di una macchina fotografica in modo che possa riprendere, in qualsiasi evenienza, le brutte sorprese. O quanto capita di interessante.
Se, infatti, ieri avessi fotografato i simboli e la frase svaniti nel nulla a quest’ora potrei già aver compreso qualcosa di più dei segni indecifrabili. La stessa cosa
l’avrei dovuta fare sulla copertina impolverata dell’involucro. Se non altro per studiare la personalità del vecchio Taldei Tali. E così pure, pensai, se avessi fotografato la Bella del Bosco... a quest’ora saprei se è stato solo un sogno, un’illusione
o che altro. Purtroppo, coi “se” e coi “ma” non si va lontano. Le cose bisogna farle.
Perciò, mettiamo da parte il passato e guardiamo avanti, evitando d’ora in poi di
cadere nella trappola delle illusioni.
Ma che dico: illusioni? E come potrei ritrovarmi il ciondolo appresso? Lei doveva per forza essere vera. Ne avevo percepito perfino il profumo! Il profumo della
pelle rosata e carezzevole.
Ah, Donna, quanto grande sei e quanto vali per il desiderio che mi cova dentro!
Allora, decisi di equipaggiarmi con gli strumenti tecnologici adeguati per continuare
la benedetta indagine nella mansarda. Per adesso, è sufficiente registrare e fotografare ciò che capita di stimolante, pensavo; in seguito scansionerò tutto al computer, in
modo da poterlo ristudiare a casa e connetterlo con altri programmi informatici.
Meglio ancora sarebbe stato portar via il plico con i quaderni. Ma c’era un freno
psicologico: Taldei Tali. Lui suggeriva nelle note a matita, che un testo andrebbe
letto nel giusto contesto ambientale per poterlo fruire nel modo dovuto. In questo
caso, quale luogo poteva essere migliore di quel nascondiglio semibuio ed isola31
GERARDO LO RUSSO
to? Non c’era alcun dubbio che fossi venuto meno alla sua raccomandazione, visto
che il regista della storia sembrava seguire, passo dopo passo, tutte le mie mosse
da dietro le quinte inamovibili di un teatro irreale.
Le vacanze disintossicano gli ambienti corrotti dal fumo, dagli odori e dai sapori di tutti i giorni. La città diviene un’enorme alcova che emana evaporazioni di
rinnovati sospiri ed emozioni e quanto altro nell’apparente vuoto che non c’è.
D’estate i turisti trasformano il comune sentire di Roma. Fisicamente sembra che
niente stia cambiando: i monumenti rimangono nello stesso posto e restano fatti di
pietre e di calce. Ma l’atmosfera che circola intorno e che non fa parte della struttura, in questi mesi di sovrappopolazione internazionale offre un diverso valore
percettivo. Perciò, questa sera anch’io mi muoverò come se fossi un comune
vacanziero. Potrebbe essere un modo per conservare il necessario distacco dalle
cose e ragionare con più compiutezza e costanza. Con la borsa a tracolla m’ero
conciato come un perfetto turista. Salgo cautamente le scale che portano alla mansarda. Ormai, mi attendo di trovare qualsiasi tipo di sorpresa dopo aver vissuto gli
accadimenti delle ultime ventiquattrore.
È sera tardi, perciò accendo le luci man mano che accedo al salone. Niente sembra essere stato modificato da quando l’ho abbandonato la sera avanti. Tutto è al
suo posto sopra al tavolo. Tranquillo, mi dico. Non perché ci sia bisogno di un particolare coraggio, dopotutto mi trovo pur sempre in una casa abbandonata, ma è di
altre persone. Il legittimo proprietario potrebbe giungere da un momento all’altro
e denunciarmi sul fatto... Tranquillo, aggiungo posando sul tavolo le attrezzature
e caricandomi di buone intenzioni. C’è un contratto morale tra me e il Vecchio. E’
stato lui ad indicarmi il da farsi. Conosce perfino il mio nome. Sembra che questo
materiale sia stato scritto appositamente per me...
Dunque? O mollo tutto di corsa, adesso, oppure mi metto a lavorare con calma
e dedizione.
Desidera, Leggi, Leggi, Leggi, Studia e Troverai
Prima di rovistare nella storia di 453 sarebbe bene dare una sbirciata ai titoli o
alle prime pagine degli altri quaderni. Così, per fare una rapida sintesi delle cose
interessanti che si prospettano da leggere.
Cominciamo dal secondo. La struttura materica è identica agli altri: copertina di
colore nero, bordo rossastro, stesso numero di pagine, stesso peso. Cambia, ovviamente la grafia: è piuttosto decisa, presenta frasi corte, ma il testo è più o meno
lungo come l’antecedente.
Provo a leggere il cappello scritto a matita che sembra fatto apposta con un carattere insolitamente marcato:
“...A che serve leggere solo in senso orizzontale, se la realtà che stai cercando è
pluridimensionale? Potresti mettere in fila tutte le pagine dei libri e dei quaderni
del mondo, una dopo l’altra, e non pervenire ugualmente a sapere quello che stai
cercando. E potresti leggere un quaderno alla volta, rigirare le frasi che trovi, di
sotto e di sopra, di fronte e al rovescio, da destra a sinistra e viceversa, e così via.
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ROSA D’EGITTO
A te la scelta! Ma non confondere la lettura fisica con quella mentale. Desidera,
Leggi, Leggi, Leggi, Studia e Troverai...”
Caspita! Il messaggio era direttamente indirizzato a me. Era fuor di dubbio...
come se lì ci fosse qualcuno che mi stesse fotografando nel pensiero!
Allora, mi sovvenni della strana percezione che avevo captato alla prima entrata
là dentro, quando la mansarda pareva pregnante di una presenza invisibile. La calligrafia, d’altronde, era inequivocabilmente la stessa della frase scavata nella polvere e degli appunti a lato scritti a matita. Anche il tono del contenuto letterale era
di tipo paternalistico ed icastico. Per non parlare dello stile obsoleto e ottocentesco,
soprattutto quando rimarcava a tutto tondo le iniziali maiuscole. Che perciò, parevano inglobare visivamente le restanti lettere alfabetiche, come se da sole dessero
un significato emotivo e gestuale a tutto il resto che seguiva. Ma non era un banale e lezioso artificio, il Vecchio la sapeva lunga. Taldei Tali, infatti sembrava aver
previsto ogni mia azione fatta d’istinto, e mi rimetteva in riga.
Perciò, decisi di fermarmi a soppesare piuttosto il tempo occorrente per analizzare gli scritti là dentro.
Tra pochi giorni sarebbero finite le vacanze e avrei voluto capirci qualcosa,
prima dell’inizio delle attività professionali. Toccava stare al gioco e ascoltare i
consigli. Ero ingrugnito, ma abbassai la cresta.
Riprendiamo il testo 453, ma come eseguire la lettura cosiddetta pluridimensionale? Per quanto volessi assecondare al meglio il Vecchio maestro invisibile, non sapevo come. Sembravo essere ritornato a scuola, avevo un supervisore soprattutto a livello mentale. Ero sotto esame, addirittura! La cosa cominciava ad inquietarmi parecchio. Erano anni che avevo smesso di presentarmi ad una sessione universitaria. Ora,
ero un libero professionista in grado di reggere parecchi confronti nel settore del lavoro. E dopotutto, lo stipendio ed il ruolo che avevo in società erano il segno tangibile
che qualcosa dovevo pur valere intellettualmente. Perché mi sentivo di nuovo costretto a subire la violenza psicologica che genera l’ansia e la tipica ribellione che avevo
avuto quand’ero stato scolaro? Per fortuna, anche questa volta la voce tranquilla della
coscienza, che spero mai mi abbandoni, venne in soccorso bonariamente:
- Di cosa ti preoccupi? Qualcuno ti offre un aiuto per tirarti fuori dalla selva
oscura in cui ti sei cacciato e ne fai una questione di orgoglio e di dignità? Con te
stesso non puoi bluffare, non continueresti nemmeno di un rigo se tu non sapessi
che ciò che stai per leggere ti serve come il pane Eh, già! riflettei, sono nella condizione del non ritorno. Troppi dubbi hanno ingenerato una montagna di domande. Almeno, se ci fosse la speranza di rivedere la
Bella del Bosco, così come pare ce l’abbia l’autore di 453!
Che continuava palpitante.
“... Avrei potuto chiedere di stare ancora un po’ con te; avrei potuto stringerti
forte e non lasciarti andar via. Invece, rimasi azzittito ed estasiato dal tuo sguardo
sinuoso e profondo e dalla tua voce penetrante e promettente. Ti volsi le spalle e mi
incamminai arioso e sognante verso l’appuntamento che avevo. Per la verità, sentivo ancora le tue pupille accompagnarmi per un bel pezzo di strada, ma faticai a
non girarmi indietro e riuscii a malapena a svoltare l’angolo.
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GERARDO LO RUSSO
Però, quando capii che stringendo la mano mi avevi lasciato un oggetto tra le
dita, scattai per rincorrerti e consegnartelo. Poi ritenni che l’avevi volutamente
donato come pegno della tua promessa. Pensai che tutto era così affascinante che
qualsiasi inutile insistenza sarebbe stata un abuso o, peggio, un’imposizione.
Pensai pure che eri incredibilmente vera e piena di luce, che non potevi comunicare altro che la verità: quella intima, che sentivo di percepire insieme a te e
senza altro dire. Era l’amore di cui tu stavi parlando. Quell’amore primigenio che
lega ed unisce con forza l’intesa profonda e totale.
...Per diversi giorni attesi di vederti nei dintorni della bottega. Altre volte feci la
corte allo scalpellino per saperne di più. Chi eri, dove avrei potuto rintracciarti?
Ma, mai mi permisi di indagare di più di quello che avrebbe fatto uno che deve
rispettare il volere e la privacy di una nobile signora. E poi, mi dicevo, era stata
una tua promessa quella di vedermi un giorno, non una mia richiesta. Dunque,
come avrei potuto obbligare qualcuno a farmi dono del suo regalo?
Dovevo aspettare e, intanto, continuavo a sognarti per giorni interi, mentre
avevo relazioni con altre persone, mentre leggevo i miei libri preferiti. Finché mi
accorsi di parlare a voce alta e gridare il tuo nome e cognome e pronunciare il
conto dei giorni che erano trascorsi.
Nome e Cognome e numero magico...come avresti detto tu.”
Irresistibile! E bravo il matematico, come usa bene il dettato del cuore! pensai. Però,
se l’argomento non varia, come faccio a trovare qualcosa di efficace pure per le mie
ricerche? A meno che il continuo riferimento ai numeri non riservi qualche utile sorpresa, così speravo.
Il cellulare squillò interrompendo il silenzio del tempo che stava trascorrendo lì
dentro.
- Sono Viking, quello di oggi. Debbo vederti Perbacco, pensai:
- Ma come è possibile? - Possibile, cosa? - Beh, ti hanno appena arrestato!... e, poi, come fai a conoscere il mio numero? Fece una breve pausa, poi aggiunse deciso:
- Diciamo: tra un’ora a piazza del Popolo, sotto l’obelisco centrale Ok? - Ok! Non sarei riuscito a rispondergli diversamente, nemmeno se lo avessi premeditato mille volte. Il dubbio che mi aveva tormentato durante il ritorno dal mare, ora
incrementava la tensione.
In che impiccio mi ero cacciato? Intanto, stavo programmando di registrare il
dialogo dell’incontro e decisi di andare, dopotutto, era lì a due passi. Cercai un
foglio di carta bianca tra i quaderni e scoprii che l’ultimo era intonso. Bene, mi dissi
e abbozzai sulla prima pagina la serie degli elementi che finora mi erano apparsi
rilevanti dall’inizio della storia:
la Bella del Bosco; la Rosa d’Egitto; 453; Viking; la realtà pluridimensionale. Serve
un filo che colleghi tutto quanto, ma quale? Mi veniva in mente sempre più spesso la
realtà pluridimensionale del Vecchio Taldei Tali, ma di cosa si poteva trattare?
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ROSA D’EGITTO
Uno si guarda intorno e vede ciò che vede: niente di più e niente di meno. C’è
l’altezza, la larghezza e la lunghezza alle quali si può assommare, con qualche sforzo, la dimensione dello spazio tempo. Al massimo, poi, uno cerca di volare a 360
gradi e prova a coltivare nel movimento della vita qualche altra dimensione possibile, ma resta nel campo della pura immaginazione.
Intanto, mi avviai verso Piazza del Popolo. La curiosità di colloquiare con un uomo
della malavita metteva un po’ di agitazione, non tanto per l’incontro con il losco individuo, ma per il significato che poteva acquisire nella continuazione delle indagini.
Che c’entrava un poco di buono in una storia d’amore nata per caso tra i fumi e le
fiamme? Eppure, bisognava rischiare lo stesso. Viking, o come diavolo si chiamasse
il tipo, doveva essere a conoscenza di molte cose, considerati gli ultimi avvenimenti.
D’improvviso, ancora una volta la sirena squarciava il silenzio notturno e la quieta atmosfera cominciava ad assumere i connotati della tragedia. Strano caso, sono
vicino allo stesso posto dove la collega di 453 si era tagliata le vene. Mah, chissà
questa volta cosa sarà accaduto? Aumentai l’andatura e mi avvicinai alla piazza. Lì,
al centro, alcuni infermieri stavano caricando una sagoma sopra l’ambulanza
infiammata dai fari di un’auto dei carabinieri. Immaginai il peggio e diventai cianotico in volto, mentre un brivido che correva per la schiena, faceva accapponare
la pelle. Ma non potei fare a meno di avvicinarmi ed incrociare lo sguardo morente di Viking che mi cercava tra la folla sgomenta, mentre disperato tentava di dirmi
qualcosa. Qualcosa con la mano destra, con il pollice e l’indice uniti che gesticolavano a malapena. La portiera dell’ambulanza si chiuse in fretta, mentre ricevetti
l’ultima implorazione fecondata dal bagliore degli occhi sofferti. Povero Viking o
chiunque sia di nome e di fatto! Era stato accoltellato da un gruppo di tre uomini
subito fuggiti senza aver lasciato traccia, così stavano affermando i testimoni oculari. Che tragica realtà, pensai. Da un momento all’altro sei vivo o sei morto. Ma la
vita è anche questo. Ebbi pietà per lui e timore per me. Cosa stava accadendo e che
c’entravo io? Sopraggiunse il desiderio di spifferare tutto alle autorità competenti
per salvaguardare la mia immagine da qualsiasi compromettente risvolto.
Poi, ragionai che sarebbe stato complicato stare a spiegare il perché mi trovavo
coinvolto e valutai che, inoltre, mi sarei coperto di ridicolo, quando obbligato a
rispondere, avrei dovuto illustrare cose indecifrabili e invisibili o comunque: di difficile dimostrazione pratica. D’altro canto, una volta parlato, non avrei potuto più
continuare a ricercare la Bella del Bosco. No, valeva la pena tenermi tutto dentro e
andare imperterrito avanti, per Lei. Ah, quanto sarei stato felice di ritrovarla adesso,
anche per un solo momento; e guardai intorno come se avessi potuto godere del suo
tenero abbraccio in quella situazione disperata, memore del miracolo già avvenuto
durante l’incendio. Purtroppo, il miracolo non si ripete mai due volte e la sua dolce
figura non mi veniva in soccorso. Osservavo la folla che si radunava intorno all’obelisco, ma nessun volto o profumo parlava di lei. Così cominciai, inavvertitamente, a conteggiare quanti giorni erano passati da allora. Mi accorsi che si trattava di
parecchi, volati via uno dopo l’altro, con perversa e fredda ineluttabilità. E contavo,
contavo... E i numeri dei giorni aumentavano progressivamente. E già erano decine.
35
GERARDO LO RUSSO
Il Sogno del Tesoro
Cribbio! Che mi succede? Sono diventato così suscettibile emotivamente, sto
imitando l’autore di 453!
Ritornai come fossi un automa nella mansarda sotto il Pincio.
Questa volta avevo fatto rifornimento di abbondante caffè e di acqua per passare la notte a studiare. Rilessi il foglio dove avevo abbozzato gli elementi che più
sembravano significativi per la comprensione della storia. Avevo istintivamente
riposizionato il quaderno con i miei appunti in successione sotto gli altri, all’ultimo
dei posti nel plico. Compresi come anch’io stessi iniziando a trascrivere più di qualcosa. Appunti che avrebbero forse raccontato la mia avventura, come era accaduto
a chi mi aveva preceduto. Venne voglia di pensare che perfino quella sorta di diario indotto doveva essere già programmato dalla regia occulta di qualcuno, ma perché? Cercavo la soluzione del dilemma, ma andavo a vuoto. Eppure, le coincidenze dovevano avere un qualche filo conduttore. Bisognava individuarlo, con calma.
L’autore di 453 aveva raggiunto l’apice della follia già verso la metà del quaderno. Infatti, teorizzava con una serie di calcoli incomprensibili la comparsa avveniristica di Nome e Cognome e 453! A giudicare dai suoi prospetti numerici, dai
movimenti delle orbite terrestri e non so da quale altro teorema personalizzato, gli
anni futuri sarebbero stati fruttuosi per gli incontri in cui le idee avrebbero incarnato al meglio l’essenza della vita. Queste ultime parole sembravano piuttosto della
musa che lo stava ispirando. Allora, si sarebbero di certo rivisti. Ma più avanti completava il quadro della sublimazione amorosa teorizzando l’eternità del sentimento!
Beato lui! Sotto, sotto cominciavo ad invidiarlo bonariamente. Avrei voluto avere
la sua stessa costanza e determinazione nel perseguire un’idea. Invece, dubitavo di
me e perdevo di entusiasmo ogni qualvolta mi diceva male.
Le pagine successive erano zeppe di considerazioni su come la realtà possa essere concepita all’infinito con le equazioni matematiche e via dicendo. Univa fin troppo spesso, in frasi come queste, l’idea dell’amore abbinata al concetto di numero
primo:
“...Eros è il numero Uno e da lui Tutto discende ...”
Poi parlava di Eros come se fosse la rappresentazione vitale, il movimento dell’energia cosmica e così via.
Sinceramente, ne capivo meno di prima. Cosa c’entra l’amore con l’insieme di
teorie matematiche? L’amore puro e semplice non ha bisogno di troppi concetti per
essere tale, anzi!
Per non parlare del concetto di antimateria che veniva simbolicamente rappresentato come se fosse il software della materia stessa, l’ombra virtuale da cui scaturisce
tutta la dinamica della realtà apparente. Nonostante tutto, notai che in più di qualche
elaborazione numerica, per esempio a fianco delle equazioni, inseriva la parola luce.
Ed in seguito scoprii che alcuni simboli ai lati degli appunti ricordavano vagamente i
segni svaniti dal foglio volante appena erano stati esposti ad essa, quelli cioè che
avevo cercato di leggere invano. A questo punto, sentivo urgente il bisogno di studiare i codici matematici per capirne di più. Ma ben presto cedetti ad altre visioni, addormentandomi a testa in giù sul tavolo e utilizzando il plico come un cuscino.
36
ROSA D’EGITTO
Viking suggeriva nel sonno:
“...Il tesoro l’ho nascosto nel luogo indicato da 453. Basta eseguire il calcolo nel
modo giusto e scoprirai facilmente la mappa. Non puoi chiedere null’altro del tesoro. Appena scoprirai quanto è prezioso, io non ci sarò, perciò al massimo potrai
dedurlo dalla mia storia personale. A pagina 3 ti racconterò perché sono diventato un criminale, a pagina 7 ti narrerò perché inseguo eternamente l’amore, nelle
ultime pagine ti dirò perché ti ritrovi in questa avventura. Ma ora dormi tranquillo e pensa alla tua Bella del Bosco...”
Due intraprendenti piccioni tubavano sul tetto e accompagnavano magistralmente la rappresentazione musicale di quella mattina nascente come se imitassero il
cantico delle creature.
Mi svegliai con le ossa rotte. Avevo accumulato in poche ore la tensione causata dagli ultimi avvenimenti, le prime scottature da sole e la posizione scomoda in
cui avevo dormito. Ciononostante, il primo pensiero fu quello di trascrivere il sogno
di Viking e di correre poi a comprare il giornale. L’edicola stava aprendo proprio in
quegli istanti, cosicché potei fiondarmi sul pacco ancora imballato e tirare fuori il
quotidiano fresco di stampa. Lo asportai dall’involucro plastificato ancor prima che
fosse aperta la rivendita. Con lo stesso slancio scorsi una pagina dopo l’altra, fino
a trovare la notizia che cercavo. Nella cronaca metropolitana, infatti la foto di
Viking era riportata in buona evidenza. L’articolo parlava poco delle cose che avrei
voluto sapere. I riferimenti al famoso rapinatore mettevano in risalto la forte personalità riconosciuta nello stesso mondo della malavita. Più o meno simile alle manifestazioni avvenute sulla spiaggia il giorno avanti. Ma niente più di tanto.
Nemmeno sulle analisi del movente si riusciva a capirci qualcosa.
Si diceva che era stato arrestato il pomeriggio, rilasciato in serata e ammazzato
la notte. Tra le altre rapine che gli si attribuivano, ne veniva ricordata una di svariati miliardi, operata a danno della banca situata nel tribunale. Nientedimeno! pensai.
Nulla si prospettava sugli identikit degli accoltellatori, salvo che erano tre giovani
vestiti con giubbotti neri e leggeri in tenuta sportiva. Le stilettate erano sette di cui
tre mortali, che gli avevano trapassato il cuore. Insomma, avevo un bel da fare nell’estrapolare dati significativi.
Al momento, purtroppo dovevo attenermi alle poche notizie di cronaca spicciola. C’era da indagare, invece su quanto si celava dietro le apparenze, per
esempio: perché un rapinatore viene arrestato, liberato ed assassinato nell’arco
di poche ore e in maniera così eclatante? Plateale era stata pure la scelta del
luogo e dell’ora. Viking doveva essere punito, probabilmente perché stava osando troppo. Di conseguenza, bisognava fermarlo prima che fosse troppo tardi. E
quale era la mossa strategica che stava portando avanti negli ultimi giorni?
Incontrare me sicuramente, per rivelare qualche particolare segreto?
Tutto chiaro e niente in ordine!
Basterebbe prendere i sogni e dargli pari valore come si fa con le nostre azioni
quotidiane. Beh, allora avrei immediatamente potuto supporre qualche attinenza col
tesoro nascosto, con la mappa matematica e così via.
Ma c’era da credere ai sogni? Feci una pausa e mi accorsi che proponevo una
37
GERARDO LO RUSSO
evidente contraddizione sullo stesso argomento. Come osavo servirmi di due pesi e
di due misure, se era lo stesso, sia nel caso della Bella del Bosco, che nel messaggio di Viking? Sempre di sogni si trattava.
O no? Dunque: perché considerare il primo e trascurare il secondo?
Nel bel mezzo del lento risveglio cittadino, già percepivo un ritorno di afa torrida e collassante, così convenni che sarebbe stato meglio andare a rinfrescare la
bocca e la testa per ragionare un po’. Però, una volta giunto a casa mi lasciai andare al riposo dei sensi e così stetti disteso, finché Eleonora venne a proporre di fare
insieme un po’ di ginnastica erotica, che durò fino al pomeriggio inoltrato. Ogni
tanto sul palcoscenico del letto, la mente se ne andava verso la Bella del Bosco,
ma le immagini di Viking morente e dei calcoli matematici diventava un tutto uno,
che bramava una soluzione logica; pertanto, erano pochi gli intervalli emotivi e
sensoriali che riuscivo a concedermi. Avrei voluto comunicare con qualcuno sugli
ultimi avvenimenti, ma dentro mi sentivo solo più che mai. Inutilmente, pensai ad
Eleonora, sempre pronta ad ascoltare e ad avere pazienza nei miei confronti, poiché si sarebbe angosciata se solo avesse saputo della ragazza del sogno, figuriamoci dell’uomo accoltellato nella notte passata. Il resto per lei sarebbe stata una
perdita di energie e di tempo che poco si addiceva allo sviluppo dell’intelligenza
applicata alla costante ricerca della concretizzazione dei normali desideri. Quelli
possibili, pratici e quotidiani. Come la vacanza programmata da qualche parte in
Oriente. Ora poi che mi sentiva assente, faceva trasparire un senso di ineluttabile
ricerca di differenziazione: “…i maschi son tutti uguali. Dove hai la testa? Che
pensi? Sei già stufo di me? Ciao, ci vediamo quando ritornerai normale…”
Che fare, dunque?
Certe volte l’incomunicabilità allontana più della velocità della luce. Come
poter definire questa mia parentesi di amore folle per una figura femminile appena intravista? Fantasia, desiderio di conoscere l’ignoto o bramosia; di che tipo? Per
meglio catalogare con me stesso questi interrogativi, decisi di andare a fare una
pausa di riflessione fuori città. Passare dal centro di Roma, al mare e poi in collina in così brevi spazi di tempo poteva aiutarmi a distogliermi dalla torsione dolorosa che mi prendeva nella pancia ogni volta che rivedevo il volto della Bella del
Bosco.
Nel frattempo, si sarebbero calmate le acque attorno all’uccisione di Viking e
avrei potuto ispezionare la zona dell’incendio nella speranza di ritrovare i segni
del sogno. Ma soprattutto, avrei avuto l’opportunità per poter riflettere sugli elementi che avevo raccolto. Che non erano pochi e che meritavano di essere valutati a mente fresca. Via, dunque, via da questa cappa da forno. Qui si rischia la sonnolenza perenne, dato che con il solleone è sconveniente surriscaldare il cervello
più del consentito, pena la fusione totale.
E menomale che a volte mi comportavo saggiamente. Altrimenti, sarei impazzito dalla frenesia di sapere tutto e subito circa il groviglio in cui avevo imprigionato la mente.
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CAPITOLO TERZO
Il Senatore Capocroce
Via di qui, via: andiamo in mezzo alla natura naturale! Ripresi l’auto appena
riparata e cercai un albergo nel paese, alias: il prologo dell’inusitato scenario capitatomi al posto della vacanza estiva.
Ah, che brezza marina di sera! La stessa che avrà fatto sviluppare il finimondo di
fuoco, immaginai, seppure con il concomitante e terribile calore del primo pomeriggio. Diedi un’occhiata dal balcone verso la collina di fronte. I segni del disastro
erano evidenti ed intatti, nonostante fosse passato quasi un mese. lassù in alto, la casa
pareva ancora più fiera di prima mostrandosi sobria e solenne nel sommo isolamento, ma la vegetazione nerastra trasmetteva una lugubre atmosfera là intorno.
Resti di piante semidistrutte penzolavano come fossero cadaverici trofei di guerre lontane perfino nell’immaginazione collettiva. Mi misi a calcolare approssimativamente quanti animaletti fossero andati arrostiti, quante piante ed esseri vegetali
fossero stati disintegrati in un batter d’occhio. Però, la natura è più forte della distruzione totale: tra qualche mese, dopo aver bevuto le piogge autunnali, la terra sarebbe ridiventata verde. E gli alberi in qualche decennio avrebbero innalzato le fiere
chiome sopra le stesse radici. Si, la natura svolge impeccabilmente il sacro rito della
rinascita ciclica. Formidabile ovvietà che aiuta a capire l’immutabilità della vita.
Ciò che traumatizza, invece, è la sparizione dell’opera evolutiva dell’uomo. La
cultura e la tradizione dei padri rischiano di essere vanificate in un baleno e per un
nonnulla. Pensavo alla biblioteca di Alessandria in cui arsero migliaia di testi dell’antico sapere; pensavo agli alberi da frutto potati ed addomesticati dai contadini
locali, e che ormai pur rinascendo in parte, si sarebbero inselvatichiti ed abbruttiti. Sarebbero prevalse le piante selvatiche, infestanti e poco accessibili alla combinazione vitale che lega l’uomo alla natura. Ma il fiore della conoscenza riappare
prima o poi. Forse, si trasmette di animo in animo e in modo ciclico, utilizzando
altre vie espressive, chissà?
Mentre almanaccavo sul fenomeno di cui ero stato vittima, rifeci mentalmente
il percorso del viottolo. D’altronde, era impossibile scorgerlo con il solo dono
della vista. Né erano rimasti segni tangibili da quassù per ricostruire il cammino
che avevo percorso. La collina era brulla, deserta e scura di notte.
E osservavo la luna che prendeva a salire e cercai di scorgere presenze femminili che avessero potuto ricondurre alla Bella agognata. Quando sei preso in modo
fatale da una immagine, cerchi sempre la stessa su qualsiasi altra presenza in circolazione. Che perdizione! Ma niente di concreto soddisfaceva il desiderio che
GERARDO LO RUSSO
montava nel buio. Mi arresi all’evidenza e mi misi a fare il turista. Scesi in piazza
ed iniziai a visitare i vicoli medievali, mentre chiedevo informazioni a destra e a
manca ed osservavo se ci fosse stato qualcosa di attinente all’Egitto. Cosa difficilmente riscontrabile in un complesso di costruzioni in pietra, piuttosto minute ed
arroccate nelle abitudini ultracentenarie delle genti di campagna, che niente avevano a che spartire con la maestosità delle opere fabbricate lungo la Valle del Nilo.
La banalità di queste riflessioni, però, non si conformava allo stesso modo quando spostavo l’attenzione dalle cose alle persone. Molti volti riconducevano alle
raffigurazioni di vita quotidiana presenti in qualsiasi popolazione terrestre. Avevo
il sentore che le tipologie espressive appartenessero ad entità sempre esistite, a
prescindere dal meridiano o dal parallelo, dal colore della pelle o dalla permanenza temporale sul pianeta. E mentre consideravo ciò, osservavo le ragazze, alcune
sobrie negli atteggiamenti, altre provocatorie ed altre ancora visibilmente attraenti. Ma nessuna faceva sovvenire alla Bella del Bosco; nemmeno quelle che coltivavano pettinature di moda e trucchi cleopatreschi. Così mi diedi a ricercare nello
sguardo e nel movimento del sorriso qualche riscontro oggettivo per dar sfogo al
ricordo di lei che bruciava dentro. Cercavo e cercavo due piccole stelle e un soave
moto di labbra rosate, invano. Dopo qualche prova decisi di non insistere più di
tanto, poiché avrei messo a soqquadro l’andamento serale dello struscio paesano.
Roba di altri tempi, pensavo. E invece, nelle località di provincia ancora resiste un
certo comportamento apprensivo e curioso. Infatti, ogni tanto incrociavo gruppi di
due o tre ragazze che facevano a gara per rincontrarmi con palesi sorrisi di accondiscendenza. Non che avessi un fascino particolare, anzi!
Semmai, c’era da biasimarmi per il notevole grado di narcisismo che mi porto
appresso e che sovente mi viene rimproverato. Purtroppo, inavvertitamente,
ponendo lo sguardo loro addosso, avevo innescato un meccanismo di comunicazione non verbale, che stava producendo un perverso effetto boomerang, moltiplicando l’attenzione su di me e nuocendo alle indagini che avrei voluto svolgere
discretamente e in altra direzione.
Ahimè, dovetti dedicarmi ad altro. In un attimo saltai dalla gioventù alla vecchiaia. Gli anziani erano forieri di parecchie notizie. Passando da uno all’altro, mi
arricchii di argomenti divertenti, curiosi, e perfino intriganti, come solo il parlare di
chi sa della vita sa rendere al meglio. Seppi delle statistiche sul caldo negli ultimi
decenni, altrettanto sulla tipologia degli incendi, ed ancora parecchio sulla qualità di
alberi da frutto andati in fumo e sulle proprietà private dei terreni bruciati. Purtroppo,
non ebbi alcun spiraglio di luce sulla fanciulla straordinaria, che fosse: moglie, figlia,
o parente delle persone che avevano a che fare con quella fetta di terra.
La sommità di quest’ultima era brulla allo scopo di difendere l’abitazione dagli
incendi piuttosto frequenti… guarda caso!
Ma il top della stravaganza consisteva nel carattere ludico e sacrale impresso
nella memoria dei simpatici vecchietti. Quella di fronte era la collina degli amori,
quelli extraconiugali e delle scappatelle paesane. Si narrava di pettegolezzi che
coinvolgevano l’intero agglomerato urbano: ora toccava a questi, ora a quelli e poi
agli eredi di questi e di quelli. Era una zona baciata dal sole, dalla temperatura mite
40
ROSA D’EGITTO
ed asciutta, perciò vi si poteva coltivare ulivo ed uva. Però, stranamente, veniva
lasciata incolta. Perché? mi ero chiesto. E avevo avuto la risposta convincente. Per
millenni era dominata da pastori che la vivevano per nove mesi all’anno, dandole
spesso fuoco allo scopo di far rinverdire i pascoli da tenere pronti al rientro autunnale. Ma la collina aveva un’altra funzione. Per quanto perdesse di importanza
negli ultimi decenni, rimaneva in auge negli appassionati di passeggiate campestri.
Dunque, poteva risultare non del tutto abbandonata al momento in cui si sviluppò
l’incendio. Come già era accaduto al sottoscritto, altre persone potevano essersi inoltrate per godere di un po’ di aria fresca nella natura circostante. L’accesso d’altronde, era consentito a chiunque fosse carico di sufficienti energie per salire fin lassù.
Presi la decisione che il giorno dopo sarei andato a fare una passeggiata a piedi
e avrei prima o poi ritrovato il fosso dove ebbi salva la vita. Già, mi venne da pensare: se il sogno fosse stato solo un sogno, il ciondolo potrebbe essere un oggetto
perso da qualcuno sul posto; cosicché, afferrando il fogliame ed il terreno molliccio, lo avrei strappato al suolo e tirato su pensando di averlo tolto alla ragazza. Che
stupido sarei stato, non c’è dubbio, a sublimare in cose meravigliose i fatti banali!
In tal caso, avrei dovuto riconsiderare tutto quello che viene dopo in questa storia,
perché verrebbe a mancare il movente di partenza. Infatti, la serie degli avvenimenti successivi avrebbe assunto il sapore della casualità, a cominciare dall’incontro
con lo scalpellino, che ancora adesso generava parecchi dubbi circa la sua ambigua
persona: tanto simpatico e giocoso, quanto controllato ed indagatore.
Forse ha mentito sulla quantità di ciondoli ricavati dalla pietra del deserto, forse
si starà divertendo con “Quelli come me” illudendoli con storie fantascientifiche, al
solo scopo di farsi quattro risate con gli amici nel retrobottega; accompagnandosi,
magari, alla degustazione di vino e salame. Alla faccia dei poveri grulli, poi li manda
tutti a studiare nella mansarda del Pincio. Quel buffo personaggio è capace finanche
di spiare e registrare quanto accade lì dentro e poi farci una commedia di beffe.
Anche il povero Viking potrebbe essersi ritrovato in questa storia, suo malgrado e
nonostante che un tipo malavitoso dovrebbe essere allenato meglio di altri ad evitare inganni artificiosi. E poi ci sarebbero altre persone, quali altre? Se esistono, chi
sono? Per quanto riguarda il resto: scritte simboliche, plichi e quaderni truccati, c’è
poco da sentirsi plagiati o abbindolati. E’ roba classica, riproducibile da qualsiasi
apprendista stregone, che voglia prendersi gioco delle altrui ingenuità. I trucchi della
luce e degli inchiostri che vanno e vengono, potrebbero coinvolgere ed affascinare;
ma tutto sommato è materia di tecniche risapute. Dunque, cos’altro poteva stimolarmi a trovare un aggancio con la realtà impossibile che stavo vivendo?
Guardavo in giro per auto ispirarmi sull’esempio di ciò che mi circondava. Ma,
di fronte al dubbio ed ai tanti perchè, la vita si complicava ancor di più. Cosicché,
cedetti ad ascoltare la voce interiore della coscienza, sapendo che è lei soltanto che
può trascinarmi nei luoghi e nelle dimensioni psicologiche dove tentare di scoprire le verità più nascoste.
Vedi, ho usato la parola “dimensioni”, quasi rifacendomi agli appunti che parlavano di realtà pluridimensionale.
Altre volte mi è capitato di pensare a degli universi paralleli e così via. Ma ades41
GERARDO LO RUSSO
so, sono qui per una cosa sola: debbo trovare la Bella del Bosco, altrimenti farò la
fine di 453 e sarò costretto a contare i giorni che passano in modo ineffabile. Già,
come siamo copioni degli altri. A volte basta un piccolo esempio. Specialmente
per il sottoscritto.
Tanto ho cercato di copiare nella vita che alla fine ho superato pure il complesso di sentirmelo dire. La cosa è venuta spontanea già da quando andavo a scuola.
“Ruggero, non copiare!” gridavano le maestre ed io nascondevo le brutte intenzioni nel rossore delle guance. “Ruggero, copia la Poesia!” urlavano qualche ora
dopo. Ed io stringevo i pugni e diventavo pallido dalla rabbia. “Copiare o non
copiare, che dilemma superato!”
Soprattutto oggi. Perché mi ritengo un copione incallito? Innanzitutto, perché non
esiste niente che non sia già stato pensato o attuato da altri. “...le idee sono sempre
le stesse...” asseriva la nobildonna di 453. Qualcun altro lo ha scientificizzato:
“...Niente si crea o si distrugge, ma tutto si trasforma...” Ed io concordo pienamente. Aggiungo che l’opera creatrice di fatto avviene automaticamente nella ricopiatura di qualsiasi precedente cosa od idea. Niente può risultare in assoluto uguale
a prima, nemmeno se lo si vuole deliberatamente. Quindi, qualsiasi trasformazione
avviene per opera del tempo, della condizione psicologica individuale e di tutto
quanto è collegabile al contesto in cui avviene l’operazione. Ovviamente, l’opera
appare più o meno interessante se risulta più o meno interpretata. Più si interpreta e
più si rinnova la forma, cioè si riforma. Il testimone del passaggio da un livello ad
un altro è il movimento, il movimento della vita, di ciò che è sempre e comunque.
Copio, dunque comunico!
Diversamente, chi potrebbe capirmi se mi trovassi ad improvvisare messaggi e
forme espressive sconosciute?
Comunque sia, scagli la prima pietra chi non ha mai copiato!
Ragionando in modo siffatto, sono diventato pragmatico e mi sono ritrovato a
studiare e perfezionare le tecnologie avanzate dei computer. Presto sono diventato un esperto del software e lavoro per progetti altamente specializzati. La creatività la posso sviluppare dove, come e quando mi pare, sia per comunicare con gli
altri, sia nelle ricerche individuali.
Cosa c’entra tutto ciò con la storia di questo romanzo?
Vorrei tanto togliermi un dubbio: io non so quanto stia, adesso, creando o quanto stia copiando dalle cose che vedo e dagli avvenimenti che accadono o dagli stessi pensieri degli altri. Per esempio: un anziano contadino ha suggerito di seguire le
impronte dei cani selvatici o delle volpi per ritrovare il fosso umidiccio che mi
salvò dall’inferno di fuoco. Se copio il loro modo di muoversi tra i resti di rovi
bruciati potrei ritrovarlo facilmente. E copierei il percorso di un cane senza necessariamente diventare un cane!
In quanto all’acqua ho saputo che d’estate è pressoché inesistente, di conseguenza ho assunto per buona l’ipotesi che la massa di liquido piombatami addosso durante la caduta, fosse stata scaricata dall’alto da un aereo antincendio. Sta di
fatto che al telegiornale due o tre mezzi dei vigili del fuoco continuavano a catapultare acqua per terra e per aria mentre stavo lì sotto. Giusta considerazione, pen42
ROSA D’EGITTO
sai, copiata da chissà quale archivio mnemonico. Il mio, il tuo, quello delle reti
televisive? Chissà!?
Con questi pensieri rinfrescati dal venticello di ponente me ne andai a letto. Ma
il maggior possidente del terreno andato in fumo non stava dormendo sonni tranquilli da quando era venuto a sapere della mia presenza in paese.
Aveva molte cose da chiedere, evidentemente. La mattina dopo venne sul presto a cercarmi. Dovette stare lì fermo ad aspettare da qualche ora, a giudicare dal
modo con cui mi accolse. Stava seduto nella hall della ricezione con un quotidiano sfogliato sul tavolo e davanti ad un paio di caffè consumati.
Si presentò come il dottor Capocroce, onorevole della zona e disse che desiderava scambiare qualcosa sul morto ammazzato di due sere prima.
- Non capisce, di che sto parlando? Prego... Mi mise il giornale sotto il naso, in maniera che potessi leggere la notizia che
mi riguardava da vicino: tra le ultime conversazioni telefoniche di Viking, risultava anche quella fatta ad un noto esperto di statistiche informatiche. Qualcuno dello
staff dell’onorevole mi aveva riconosciuto la sera mentre passeggiavo in paese,
cosicché per quest’ultimo fu semplice collegare le cose e rintracciarmi. Però, mi
sfuggiva il nesso:
- Perché dovrei essere io l’esperto chiamato in questione? Tirò fuori dalla voluminosa borsa una copia di un progetto che la società da cui
dipendevo aveva realizzato qualche mese addietro.
- Perché lei è il tecnico della ditta informatica che ha presentato questo per
conto del Senato e il numero telefonico corrisponde a.... - Si, certo, è evidente. Ma non capisco, comunque. Cosa vuole sapere da me? aggiunsi preoccupato.
- Anch’io conoscevo Viking: era un simpatico diavolo al quale è sempre piaciuta l’avventura. Diciamo che sono interessato a sapere perché è stato brutalizzato in quel modo - Guardi, onorevole, che ne so meno di lei - Non si deve preoccupare, stia calmo. Non sono né un magistrato, né un poliziotto. Volevo sapere qualcosa di più del vostro rapporto. Per esempio, quando vi
siete conosciuti? - Per la verità, non ci siamo conosciuti affatto. Al massimo ci siamo visti da lontano in qualche occasione e parlato solo in quella telefonata. Tutto qui - Stavate lavorando insieme?...- Assolutamente! Non ho niente a che spartire con la gente di malavita, io! - Allora, perché le ha telefonato? - Appunto!...vorrei saperlo anch’io! - Uhm! Allora, mi permetta di darle un consiglio: mi tenga informato e si rivolga a me, qualora ne avesse bisogno Mi salutò garbatamente ed uscì dalla hall, mentre un paio di inservienti gli facevano riverenti ossequi. Rimasi a consumare la colazione e diedi uno sguardo al
giornale. Sull’argomento dell’assassinio di Viking non si riportavano notizie inedite rispetto al giorno precedente, salvo la nota circa la telefonata. Con ciò stavo
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GERARDO LO RUSSO
pensando che, prima o poi, sarebbero arrivati gli inquirenti per farmi più o meno
le stesse domande. La prassi era normale ed incontrovertibile. Tuttavia, ero tranquillo perchè non avrei potuto far altro che rispondere il vero. Il problema semmai,
sarebbe sorto nel caso che mi avessero pedinato... Infatti, la confusione che avevo
immagazzinato con gli avvenimenti recenti sarebbe bastata a farmi commettere
qualche passo falso e tale da incutere seri dubbi sulla mia persona. Troppo spesso
si leggono atti di insicurezza, come se fossero ambigui o peggio, che celano falsità. Il che avrebbe comportato una svolta negativa. Avrei dovuto immediatamente
smettere di seguitare le indagini per non ritrovarmi a mia volta sotto torchio.
Comunque, giacché ero lì, nessuno poteva stoppare la passeggiata in campagna
che avevo programmato la sera avanti. Tutto si stava svolgendo alla luce del sole,
pensai, perché dannarsi l’animo con inutili preoccupazioni?
L’onorevole poteva stare tranquillo: quello che avrei saputo sulla brutta fine di
Viking sarebbe stato oggetto di informazione dovuta, prima che a lui, agli organi
competenti; così sarei stato nella giusta regola.
A volte, basta poco per non farsi prendere dal panico: attenersi alla regola. E’
come farsi un’assicurazione sulla certezza di non sbagliare!
Scesi a valle del borgo, accostai la vettura sull’inizio del viottolo che avevo
individuato con fatica e cercai di ritrovare il cammino. Dopo poche battute avevo
annerito mani e piedi e tutti i vestiti. Qualsiasi strusciatura con filamenti e resti di
tronchi e di rami al mio passaggio sagomava addosso i segni inequivocabili dell’avvenimento tragico che fu. Si potrebbe dire che ero diventato un libro scritto coi
resti del bosco. Ciononostante, continuai a salire, finché mi parve di individuare
l’orma di un animale, la seguii e, in meno che non si dica, scoprii il luogo che mi
aveva salvato la vita. Diedi un gran sospiro di sollievo, ricordando l’accaduto.
Il fosso era rimasto tale e quale come l’avevo lasciato. C’era un leggero strato
di fogliame umidiccio con qualche impronta di bestia affondata nel fango. Niente
acqua e niente reperti di alabastro, o pietre cristalline; né amuleti o altri manufatti. Solo l’ombra della vecchia quercia salvatasi in parte anch’essa come me dal
fuoco devastante. Tanto meno il posto si prestava ad accogliere incontri romantici
come quello che avevo nel cuore. Anche in considerazione di una leggera puzza di
aria solforosa, che fuoriusciva da una spaccatura nelle rocce. Sinceramente, l’anfratto non era l’ideale per appuntamenti galanti. Di conseguenza, la travolgente
bellezza che irretiva la mente non poteva essere che il ricordo di un sogno.
Rimaneva il quesito sul ciondolo. Chissà, potrei evincere la risposta orientando
l’attenzione su qualche animale che frequenta la zona. Se c’è una domanda bisogna trovare una risposta da qualcuno o da qualcosa che può darla... E qui ci sono
solo animali, per giunta selvatici.
Mah!... feci poi. Guarda come mi sto riducendo: sto dando retta alle allucinazioni! Gli animali non parlano, purtroppo! Dunque, sono in balia delle sciocchezze? Però, potrei seguirli, nascondermi e studiare che frequentazione hanno.
Immaginavo di vederli intorno ad una meravigliosa contadinotta sotto la luce
argentea della luna...o altre fantasie bucoliche del genere, ricavate da arcane favole di altri tempi.
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ROSA D’EGITTO
Comunque, ebbi la soddisfazione di aver trovato il posto, ringraziai non so chi
del salvataggio e tornai verso la strada asfaltata.
Forse impiegai tre ore circa tra andata e ritorno, forse il caldo era ridiventato
insopportabile con l’alzarsi del sole, sta di fatto che andai a cercarmi un fontanile
dove potermi sciacquare. Poco lontano sentii un leggero tintinnio metallico. Una,
due, tre volte. Stavo asciugandomi il viso quando intravidi una capretta che si
arrampicava per cercare riparo dal caldo in qualche angolo ombrato. La vegetazione era asciutta, ma ancora verde, poiché per fortuna l’incendio aveva risparmiato
la parte a valle della collina. Ma impigliatasi in un ramo, la bestiola perse la campanella che aveva al collo e che rotolò giù per la scarpata riproducendo un improvviso pezzo musicale con pause saltellanti.
Ecco, vedi: i luoghi freschi servono a ripararsi dalle temperature torride. Il fosso
poteva essere stato il rifugio di un animale, che sconvolto dalla mia apparizione è
scappato via. Ma nel farlo potrebbe aver perso il ciondolo, esattamente come è
accaduto alla bestiola di poco innanzi. Ed io me lo sono ritrovato in mano. Buona
spiegazione, quella che piacerebbe alle persone cosiddette pratiche, che fanno i
conti solo con le cose concrete.
Mah! Magari fosse così semplice... non mi ritroverei in questo stato caotico.
Dunque, la Bella del Bosco uguale ad una capretta!? Alla faccia del romanticismo,
della passione d’amore e di qualsiasi altro ideale estatico! Era ora che mi vergognassi di me stesso.
Ruggero, basta! Alza i tacchi e datti da fare! La realtà è pluridimensionale, non
può avere una sola facciata!
Così andava concludendosi il secondo viaggio da quelle parti dell’onorevole senatore. Non avevo riscontrato elementi convincenti e tanto meno risolutori, perciò tutti
i dubbi rimanevano a galla. Anzi, era avvenuto esattamente il contrario. Si infittivano: perfino il sedicente Capocroce allungava la catena delle domande senza risposta.
Però, adesso ero diventato maggiormente cosciente che quella caccia al mistero non
poteva essere una questione di poco conto. Altri spunti venivano avanzati con forza
dalla virulenza degli interessi in campo legati alla figura del malavitoso assassinato.
Ricordai gli appunti che scrissi sul sogno di Viking. E che sogno!
Urgeva trovare un riscontro oggettivo, una corrispondenza tra ciò che apparve
dormendo e ciò che presto avrei potuto leggere in uno dei quaderni. In questo caso,
se, comparando due momenti della vita, il pensiero ed il sogno, si fosse rilevata
una prova concreta di interferenza, la dimensione di quanto stava accadendo
avrebbe assunto livelli di un significato straordinario. Conscio pure che potevo
essere seguito da sguardi indiscreti, raggiunsi la mansarda con circospezione percorrendo strade alternative. Era all’imbrunire e se ci fosse stato qualcuno ad attendermi all’ingresso del palazzo, non avrebbe potuto vedermi. Così mi calai da un
muretto della passeggiata pinciana e mi ritrovai direttamente su quello che secondo i calcoli presumevo che fosse il tetto della mansarda.
Sbagliato, purtroppo!
Cercai l’abbaino, ma dovetti risalire su una parete tufacea per ritrovare la fessura
di luce. Ero finalmente sopra il salone e quello che supponevo fosse una finestrella
45
GERARDO LO RUSSO
del sottotetto, si rivelò essere un traforo scavato nel tufo. Capii che ciò che dall’interno appariva un appartamento, dall’esterno si pronunciava come una banale grotta tufacea. Sospettai, allora, che quel tempietto della meditazione fosse un locale
aggiunto e collegato alle scale dell’edificio, senza farne parte strutturalmente.
Fortuna volle che la fessura fosse aperta e che avessi trovato dei cavi elettrici abbandonati. D’intuito li legai ad una inferriata, cosicché potei calarmi nel salone e ritrovarmi finalmente seduto ed esausto accanto al tavolo. Riflettei qualche minuto e considerai come procedere. Non è facile quando il sospetto spadroneggia tutto intorno.
Corsi verso la porta, la chiusi dall’interno, dopodiché oscurai la finestrella e accesi
la luce. Ora mi sentivo solo, ma potevo ricominciare gli studi in tutta tranquillità.
L’Importanza dei Numeri
Le ultime quattro pagine zeppe di dimostrazioni matematiche avrebbero avuto
bisogno di mesi o di anni per essere analizzate da un esperto. Per quel poco che ne
capivo, supposi che le operazioni comportassero la conoscenza di una serie di teorie combinatorie. Un neofita non avrebbe mai potuto spiegarsi quali con esattezza.
A meno che tutte quelle serie di numeri e di lettere non volessero significare il
mero calcolo probabilistico attestante il prossimo incontro tra lui, Nome e
Cognome e 453! Per andare quanto oltre il bisogno di 453?
Chi lo sa? Ma potrebbe essere? ipotizzavo anch’io. Potrebbe essere! Si. Ma.
Però. Ecco: puntualmente arrivava la risposta ribattuta dall’interrogativo del dubbio. Se fosse stato così, l’autore doveva aver sviluppato straordinarie equazioni
logaritmiche collegate alle teorie quantistiche ed altro, che sarebbero rimaste inaccessibili pur se avessi studiato per il resto della vita la matematica...
Quindi, debbo lasciar perdere. Passerò così al secondo quaderno.
Ricordando la predica del Vecchio, l’aprii con calma riflettendo, dapprima, se
ci fossero stati altri punti di vista da analizzare sulle pagine appena finite di sfogliare. Anche se fosse, adesso non mi vengono in mente, dunque: o cesso di leggere o passo al quaderno successivo, di cui già presumo chi possa essere l’autore.
E infatti, appena appresso al cappello scritto a matita, lessi in inchiostro sanguigna
una frase che mi gelò le vene.
“...Quando sarai arrivato a questo punto io sarò morto da un pezzo. Ma tu sai
che devi andare avanti. Perciò non ti bloccare per la pietà, né per la commiserazione di chicchessia. L’unica strada che puoi percorrere è di andare avanti e più
avanti vai, più ti accorgerai di tornare indietro. Così è la vita. Viking...”
Mamma mia, quando è stato profetico! Consideravo e già avevo svoltato a pagina 3.
“...Mi piaceva dire e fare quello che pensavo in modo diretto. Senza pregiudizi,
senza maschere e senza infingimenti. Finché mi accorsi che comportava grandi
dispendi di energie senza essere compreso nella vita. E quel che era peggio, azioni rivolte a far bene, ottenevano risultati opposti. Qualcuno cominciò a chiamarmi “barbaro”.
Non mi sollazzava, né mi dispiaceva. Però sentivo altra gente che diceva “a”
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ROSA D’EGITTO
per significare “b”. Era un continuo. Avveniva in tutti i settori della vita: nell’affetto, come nel lavoro e così via. Perché mai anche le cose più semplici dovevano
assumere un inutile giro di parole per essere comprese?
Batti oggi, batti domani, stavo per assuefarmi anch’io a quello strano sistema
comportamentale. E non mi piacevo. Più il tempo passava, più diventavo falso.
Ormai dicevo ti amo a chiunque, mentre pensavo ad altro con una facilità
impressionante. Parole, parole, parole...
E mi chiesi cosa stava accadendo. E mi accorsi che tutto nella vita ha significati diversi a seconda delle circostanze.
Io dico amore a un bambino e quello capisce tenerezza.
Dico amore a una puttana e quella annuisce allo sfogo fisiologico.
Dico amore ad un nemico e quello intuisce odio.
Tutto così strano.
La verità non sta nell’apparenza di quello che si dice, ma in quello che si percepisce. La stessa cosa avviene in altri campi. Leggo un segnale stradale di curva
a destra e svolto a destra. Leggo un segnale stradale di curva a destra sulla t-shirt
e mi ci infilo dentro come un beota. Leggo un segnale stradale di curva a destra
in una galleria d’arte e mi beo del capolavoro.
Insomma, i simboli li interpretiamo come ci pare, secondo il contesto. Ma i simboli sono la legge e la morale!...
Allora, mi sono detto: non esiste una verità assoluta. E però, dicendo questo
affermo una verità assoluta. Straordinario: quante verità si possono dedurre contemporaneamente! Nelle relazioni interpersonali, nell’ordine sociale.
Dunque, tutto è da interpretare! Quindi, non c’è una morale unica: tutto si può
discutere.
Ci debbo pensare.
Queste egoistiche considerazioni capitate nel bel mezzo del ritmo della vita giovanile, mi spinsero a fare ciò che mi sembrava più conveniente fare per me e solo
per me stesso.
Cominciai con il denaro. Andare a lavorare tutte quelle ore per quattro soldi al
mese mi sembrava tempo sprecato. Optai per soluzioni facili ed immediate. C’era
la concorrenza, c’era chi si sarebbe opposto, insomma tutti gli altri che si guadagnano da vivere difendendo il sistema, le leggi e così via dicendo. La prova che si
poteva fare, godendo nel farla, era di una semplicità estrema: tu ruba un portafogli, prendi i soldi e dalli a qualche indigente: sei un padreterno, un benefattore.
Fallo diverse volte, non farti mai prendere, diventi un dio.
Naturalmente, devi stare sempre in guardia, la verità non si deve sapere, altrimenti sei un volgare ladro. Per chi, invece, non ti giudica secondo quelli leggi, sei
una persona amata. Dunque, è il giudizio sociale che fa la differenza. E troppo
spesso il giudizio sociale si basa sulle apparenze...
Prendo una cartamoneta, la guardo a lungo. Ben fatta: tutti con essa scambierebbero qualcosa, è la legge del mercato. Lo stato produce milioni di pezzi di carta
come questi. Finché appaiono come tali, cioè ben fatti, la gente li usa fino a consumarli scambiandoseli tra le mani. La moneta scatena uno straordinario fetici47
GERARDO LO RUSSO
smo di massa per il quale nessuno si sofferma a guardarne la provenienza.
Finalmente l’orgia sociologica che supera tutte le divisioni razziali, religiose e
politiche, eccola lì: realizzarsi nel vile e lordo denaro.
Se tanto mi dà tanto: non sarà forse il denaro l’artificio più importante della
vita, visto che asseconda gli animi di tutte le genti? Per una volta, voglio aggrapparmi anch’io al valore meglio riconosciuto dalle masse del pianeta. Se non altro,
mi toglierò lo sfizio di valere dimostrando di avere, invece di essere.
Guardo a lungo la cartamoneta.
Ormai è sempre quella, di giorno e di notte. Mi ci sono affezionato e penso e
ripenso. Sai quante persone al mondo provano a falsificare monete ogni giorno?
Tante! e più ci sono falsari, più il sistema è costretto ad impiegare denaro, competenze ed energie per rendere difficile la contraffazione.
Barbaro, tu che vorresti uno scambio più semplice e diretto e sai quanto è difficile, perché non accetti la sfida? Vai, barbaro, usa il baratto: usa te stesso contro il sistema! Così cominciai ad interessarmi dell’arte falsaria. Appresi le tecniche indagando in quante altre operazioni si tenta di dare un’immagine a qualcosa che è simile a qualcos’altro.
Interessante! Tutto cominciava a sembrarmi una copia di oggetti preesistenti.
Scoprii falsi di mobili antichi, di design moderno, di contenuti letterari e di collezionismo d’arte. Iniziai a vedere la vita sotto altri punti di vista: tutto sommato appariva enormemente più semplice. Alcune volte mi fermavo sulle scale della Metrò ed
osservavo i passeggeri: quante copie avrò visto di gente che somigliava ad altre!
Incredibile! Mi venne il sospetto che anch’io potessi essere la copia di qualcuno.
E cominciai ad indagare, riosservai le foto di quand’ero piccolo, ripercorsi il tragitto a ritroso nel tempo a cavallo della memoria e mi accorsi che appartenevo ad un
mondo più semplice di quello che stavo vivendo. Ero un barbaro sicuramente.
Non ci volle molto tempo per scoprire le origini etniche, di cui tutti portiamo le
tracce. Così finalmente cominciavo a conoscere me stesso. E ne diventavo orgoglioso perché capivo che conoscendo se stessi si può meglio ottenere ciò che si
vuole. Anche nella gestione delle apparenze con gli altri. Mi pareva che fosse allo
stesso modo delle copie delle cartemonete: compenetrandosi nella struttura diventava semplice manipolare l’aspetto esteriore, la somiglianza col vero. Copia più,
copia meno, l’importante per gli altri era che venissero usate non per quello che
erano: pezzi di carta, ma immagini e simboli di un valore che veniva determinato
da una misura standardizzata e legalizzata. In quel contesto, non della società
umana in assoluto.
Mi venivano i brividi a pensare che anche noi essere umani potremmo essere
immagini e simboli di qualcosa che è all’origine di noi stessi.
Lessi nei miei ricordi per diverse volte; rividi quand’ero lo stesso cumulo di
geni situato in un altro barbaro. Percorsi per davvero alcune strade in auto, colà
dove supposi che i miei antenati avessero transitato secoli addietro. Mi rividi
piangente, guerriero feroce, mentre ero obbligato ad affondare una e cento volte
la spada in altri come me assoldati per la difesa di quei territori. Ebbi la consapevolezza di aver vinto con i miei fratelli d’armi mille e una battaglie, fino a dive48
ROSA D’EGITTO
nire occupanti, a nostra volta, degli stessi territori che liberavamo. E sentii tutto
l’orgoglio di appartenere ad una provenienza etnica, eroica, agile e cercatrice di
nuove frontiere.
Barbari che si muovevano in lungo e in largo per mari e per fiumi e per laghi
fino a scoprire posti più miti, scegliere di integrarsi con le popolazioni indigene,
divenire stanziali e perdere lentamente il fervore della scoperta. Barbari per modo
di dire, anzi per detto di chi non riusciva a tenergli fronte. Ma barbari che sapevano tante cose, gente che si compenetrava nei meandri sensitivi della natura, che
sapeva di solstizi ed equinozi, che attendeva l’arrivo delle comete per attaccare i
cosiddetti popoli civili e farli psicologicamente a polpette, presi com’erano dal
terrore che dal cielo stesse arrivando il finimondo cosmico. Barbari come tutti lo
siamo stati in tempi passati, chi prima, chi dopo...”
Feci una pausa di riflessione, costui sembrava un pazzo scatenato più che un
folle criminale! Chi se ne frega della sua origine selvaggia e guerriera. Mi ha suggerito nel sogno che avrebbe spiegato come è diventato un delinquente e, invece,
sta raccontando la favoletta dei suoi ricordi. A meno che non voglia dimostrare che
i ricordi hanno la stessa importanza dei fatti reali, dei pensieri e dei sogni. Perchè
non va al sodo e non dice come si trova in questa storia? Comunque, riflettendo su
quel tono agnostico, agonistico ed apocalittico, convenni che si trattava di qualcosa di non comune da raccontare. Se non altro per il modo schietto di dire la sua,
senza timore di sentirsi affibbiare epiteti da chicchessia. Alla faccia dei critici di
qualsiasi razza e settore.
“...Sulla scorta delle notizie apprese intorno alla storia del mio popolo, scoprii che
la conquista dell’Inghilterra e della Sicilia avvennero durante la permanenza nei cieli
per un paio di mesi della Cometa straordinariamente visibile da tutte le genti di allora. E ancora: un paio di secoli prima, risalendo i fiumi di Francia sotto il segno della
stessa stella, conquistarono le maggiori città del momento. Perché tutte queste coincidenze? Da qualche altra parte mi è sembrato di sentire che i Caldei sapessero fare
calcoli matematici per prevedere le orbite ellittiche e la comparsa delle stelle con la
coda. Ecco a voi i re Magi, seguire la stella e trovare il Signore!
Insomma, ebbi il sospetto che poche persone al mondo o per calcolo matematico o per qualche altra sorta di divinazione fossero in grado di predire l’apparizione dei piccoli astri. Me ne convinsi vieppiù andando avanti nel tempo. E anche se
al giorno d’oggi la cosa fa ridere, nel passato doveva avere un grande valore strategico per le ambizioni di chi sapeva utilizzare quelle conoscenze. Sto scrivendo
queste cose per spiegare perché divenni uno spietato addetto a trarre i migliori
vantaggi possibili con l’arte del male ed avere la coscienza pulita.
Un giorno mi assicurai della potenzialità di falsificare a quintali qualsiasi tipo
di cartamoneta esistente al mondo senza rischiare, poiché avevo già fatto diverse
prove sperimentali in proposito. In banca venivano normalmente trattenute come
se fossero in tutto e per tutto vere: nella qualità della carta, nel formato e nel peso,
negli inchiostri, nelle filigrane e soprattutto nel tatto. La qualità delle tecniche di
incisione e di stampa erano a dir poco stupefacenti. Ero entrato nella struttura dei
supporti cartacei, per cui la realizzazione di ciò che definiva l’apparenza diveni49
GERARDO LO RUSSO
va consequenziale ad essa; comunque, di secondaria importanza. Ma qualche
dubbio ancora offuscava la matematica certezza. Perciò, bazzicai intorno alla
Banca d’Italia per giorni interi, volutamente, finché divenni amico di un funzionario. Era vecchio, stanco e stava per andare in pensione. Era addetto al controllo
delle banconote false ed all’incenerimento di quelle obsolete. Chi meglio di lui
poteva darmi la garanzia che la mia raffinata esecuzione non avrebbe incontrato
ostacoli ed obiezioni di sorta? Finalmente, entrammo in confidenza tra un bicchiere e l’altro, e lui mi aperse il cuore alla sua disperazione.
Gli erano rimasti solo due mesi di vita. Ce l’aveva con tutti: con la ex moglie,
con il figlio che l’aveva tradito ed abbandonato. Era solo ed in procinto di fare
compagnia alle ombre della notte. Mi trasmise una compassionevole tenerezza,
poi mi feci coraggio: adesso o mai più! Tirai dal portafogli una copia di un biglietto sonante ed offrii di pagare il conto del pranzo.
Tra una battuta e l’altra gli chiesi se secondo lui quel foglietto fosse vero o
falso. Lo prese in mano e, come supponevo, rispose sarcastico:
- Magari tu ne potessi avere a migliaia - Milioni, se voglio. Milioni... - gli sussurrai con tono diabolico avvicinandomi
all’orecchio.
Riprese il biglietto e lo rigirò da tutte le parti, guardandolo in trasparenza per
lungo e per largo.
- Come? - Da solo, con l’arte della costanza... Non voleva crederci, perciò stette a guardarmi in silenzio, scrutando qualsiasi
movimento che io stessi facendo. Pensava che lo volessi prendere in giro, finché
la luce degli occhi ed il suono emozionato della mia voce dovettero scuoterlo dallo
stallo psicologico in cui si era venuto a trovare.
Poi, finalmente sembrò capire e riosservò ancora il biglietto.
Adesso, pure i suoi occhi erano diventati lucidi e sembrò rivivere sogni sopiti.
Bevemmo ancora, in silenzio. Non vorrei essere stato nei suoi panni in quei lunghi
minuti. La trattoria stessa sembrava essersi sintonizzata ed incupita sull’onda del
nostro silenzio. Io avevo il cuore che stava battendo a mille, ma non se ne sarebbe
mai accorto nessuno. Lui era imbarazzato: avrebbe dovuto all’istante chiedere i
miei arresti. Invece, lo vidi teneramente poggiarmi la mano sulla spalla.
Dal suo volto scavato dal male incurabile parve fuoriuscire un respiro di pace
e di comprensione paterna. Era la solidarietà di chi ormai si sentiva più fuori che
dentro il sistema, già lontano dal giudizio di massa...
- Figlio mio, disse, a che serve essere dei geni, se un giorno per un caso fortuito può arrivare un poliziotto Gargiulo qualsiasi e ti dice: “Andiamo”. Nella vita
prevale la legge dell’imponderabilità. Altrimenti che vita sarebbe se il mistero
venisse a mancare? Sarebbe una vita senza mistero. Tutto il fascino della scoperta, o della speranza, sarebbe azzerato. Chi te lo fa fare? Interdetto, rimasi ancora seduto al tavolo, ma ormai avevo il cuore in gola. Poi
lo lasciai che ero distrutto, quasi come se fossi stato io al suo posto, toccato dal
male che se lo mangiava. Quel giorno presi la più grande batosta della mia vita.
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ROSA D’EGITTO
Avevo scoperto come fregare un intero pool di esperti calcografi, bancari, dignitari del poligrafico e quant’altro e un misero impiegato mi aveva abbattuto con
poche parole.
Addio sogni di gloria, addio mito dell’arte del falso!
Avrei dovuto piangere e chissà che non lo feci. Non subito in quella occasione,
ma altre volte, quando avevo tanto bisogno di moneta contante e, invece, ne ero
carente.
Vai, uomo, vai...
Come si diventa un delinquente?
Messo da parte il nobile intento nell’impresa di contraffare monete, ebbi un
automatico risveglio di temerarietà nei confronti di tutte le scelte future che tentavo di fare. Nel frattempo, mi diedi all’arte della sopravvivenza negli ambiti della
legalità più becera. Feci diversi lavori, ma il meglio lo ottenni nel doppiare le star
del cinema.
La controfigura a quella epoca era molto richiesta e io divenni uno specialista
delle azioni più pericolose in uso nei film degli anni passati, prima dell’avvento
del computer.
Ciononostante, mi sentivo smarrito, privo di personalità. Avevo perso le intime
sicurezze e mi sentivo costretto a sottoporre ogni cosa al giudizio altrui. Divenni
interiormente schiavizzato per un bel pezzo della vita: che fallimento! Oh! come
capivo adesso che le vere catene legano la coscienza, non le braccia!
Ma l’indomito mio spirito profondo non era mai morto, pativa in silenzio ed alimentava il fuoco del desiderio: quello di ritrovarmi ad essere un uomo libero.
Perciò, lentamente mi rinvenne l’antico sapere e ricominciai ad ascoltare il
mondo della natura e ciò che era dentro di me. Mi imposi di dare una scrollata a
tutte le sovrastrutture culturali e moralistiche che mi ero imposto negli ultimi anni.
Allora, considerai che per avere un confronto vero e fruttuoso necessitava parlarne con qualche persona fidata, che io stesso avessi riconosciuto come tale: un
uomo libero e ricco di dignità personale. Anche se non lo vedevo da parecchio
tempo, fu uno dei pochi momenti in cui dovetti ricorrere alla figura del padre.
Venne a Roma dal paesello natio carico di vitalità e di saggezza, come sempre e
nonostante la vecchiaia avesse segnato anche lui.
Stavamo appunto passeggiando sotto i portici di una piazza romana e parlavamo del più e del meno, senza scendere inutilmente nei particolari della vita esistenziale. Tutto di un tratto sembrò di capire profondamente il disagio in cui mi
trovavo e disse:
- Qualsiasi cosa ti va di fare, falla! Basta che la fai bene Così, senza altro aggiungere, con poche parole ricevetti il più grande insegnamento della mia vita. Il resto lo si può leggere tra le cronache dei giornali. Da quel
momento il valore del bene e del male è stata la logica conseguenza assecondata
alle mie esigenze.
Niente di più e niente di meno.
Intrapresi a studiare come svaligiare le banche. Uno studio meticoloso, di alta
definizione tecnica, che apportò enormi profitti economici fino al momento in cui
51
GERARDO LO RUSSO
fui stanco di ripetere le stesse cose col rischio di trovarmi ficcata una pallottola
in testa. Mi ricordai del popolo barbaro che sapeva predire l’arrivo delle stelle
filanti e mi diedi al gioco d’azzardo. Bisognava percepire le traiettorie dei numeri alla roulette e sfondare senza bisogno di dover rischiare più di tanto. Mi solleticava parecchio l’idea della scommessa. Qualcosa che ha tutto: intuito, follia,
spericolatezza. Desiderio e calcolo si integrano a vicenda nella morsa del desiderio e chissà che la buona riuscita non dipenda dalla energia che uno riesce a mettere in campo di volta in volta.
Giocavo a caso e vinsi abbastanza le prime volte, purtroppo il profitto che
avevo accumulato andava scemando, man mano che spendevo le energie a sollazzarmi in altri interessi e sessi. Però, considerai: se ho avuto un periodo fortunato, può darsi che ne capiti un altro tra qualche tempo. Per realizzare una vincita
come si deve, basterebbe sapere quando c’è il ritorno della dea bendata e puntare il massimo possibile. Ragionamenti banali, ma chi potrebbe dire come gira davvero la ruota della fortuna?
Come le Comete
Oggi è facile: si calcola tutto con gli strumenti tecnologici più avanzati, ma
anticamente, come potevano?
Telescopi spaziali più computer e il calcolo matematico diventa un giochetto.
Ma, millenni di anni fa, come era possibile prevedere il passaggio delle comete?
Ci doveva essere qualcuno in grado di precisare il luogo e il tempo dell’avvistamento nei cieli.
Che fenomeno spettacolare doveva essere allora! In passato si chiamavano
magi o chiaroveggenti, adesso si chiamano astronomi o scienziati.
Il tentativo di comparare l’insondabile mistero della fede con il laico scetticismo scientifico mi procurava qualche turbamento mentale, quasi una insana eccitazione nel buio. Percepivo di fare una forzatura inusuale, come mettere insieme
il sacro con il profano. Ma io ero barbaro e volevo sperimentare e conoscere.
Potevo osare... Non era l’errore a farmi paura. Ancora meno se la ricerca avesse
potuto fruttare un buon gruzzolo per godere le cose migliori della vita. Dunque,
pensai, bisogna che incastro qualche cervello matematico appassionato di queste
cose. Gli procuro il necessario, lui deve pensare energicamente solo a creare con
i suoi numeri.
Ci sarà pure qualche fanatico per la matematica che non desidererebbe fare
altro nella vita se non dedicarsi alle sue belle sperimentazioni scientifiche? Se io
avessi una passione del genere e trovassi un mecenate che mi supportasse in tal
senso, sarei l’uomo più felice del mondo.
Ci sarà qualcun’altro che la pensa come me su questo pianeta? Così, mi misi
alla ricerca e tosto, senza neanche un preavviso, scoprii un vero genio: il fine
ingegnere e matematico 453...”
Però, guarda caso come ci si incrocia nel mondo!
Ma non era finita.
52
ROSA D’EGITTO
Stavo finendo questo primo scorcio della storia di Viking quando sul cellulare
comparve insistentemente una chiamata urgente. Eleonora desiderava cenare
insieme prima di partire per la breve vacanza. Stava accennando ad una prenotazione per essere raggiunta da qualche parte o altro del genere. Ma avevo nella
mente ancora la figura di Viking e penso che le abbia risposto di parlare piano, sottovoce, non perché la volessi trattare male, ma perché temevo di far rumore. Ormai
sospettavo che qualcuno potesse tenere sotto controllo quel posto ed evitavo di
mostrare la mia presenza in loco. Forse, però, fui troppo incauto e precipitoso con
lei. Sta di fatto che capì tutta altra cosa e rispose stizzita:
- Ci vediamo al ritorno, se ti va... - Aspetta, cosa hai capito? - Hai la testa altrove, ciaooo Ero già solo, ora ero solissimo. Bene, mi dissi: fatti coraggio, vai avanti ed apri
la pagina 7 di questo racconto. Dopotutto, la Bella del Bosco merita che io superi
tutte le prove che mi separano da lei. No, nessuno mi fermerà! E stavo per sfogliare di nuovo il quaderno. Non feci a tempo che già presi un’altra chiamata:
- Signor Ruggero, signor Ruggero? - Si, mi dica... - risposi incerto, pur se stavo vagamente ricordando di chi fosse
quella voce.
- Sono quello dell’altra notte, l’incidente sotto casa sua... - Ah, sicuro! Come va? - Bene, grazie. Stavo giusto chiedendomi se la posso invitare a prendere il
caffè...- Guardai sul tavolo: il quaderno di Viking era troppo importante per mollare la presa adesso.
- Si, certo, molto volentieri. La ringrazio, magari sarà per domani, va bene? - Come preferisce, signor Ruggero. Vuol dire che ci vedremo domani. - Buonasera - Buonasera C’era un non so che in quella voce che trapelava una certa velatura di malinconia. O forse, sarà stata l’angoscia della solitudine estiva, quella che ti prende quando tutti partono per le vacanze e tu non sai con chi scambiare qualche parola…
Ricordavo il signore della testa d’uovo come un tipo gioviale e sorridente nonostante l’arrabbiatura per il danno subito. Cos’altro poteva averlo indotto a chiamarmi a quella ora di sera e, per giunta, con una voce sofferta e cavernosa? Bah,
lo saprò domani, mi dissi.
Feci una pausa di riflessione e considerai a lungo le differenze tra la Bella del
Bosco ed Eleonora. Tranne che nei tratti somatici, abbastanza simili, la prima sembrava l’apparizione della libertà nella naturalezza della vita. La seconda, beh... aveva
troppi problemi o imposizioni o pregiudizi che venivano a galla ogni qual volta
doveva fare questa o quella altra cosa, ed agiva piuttosto in modo succube e pressata dal giudizio degli altri. L’una era stata l’estasi o il sogno, eppure mi aveva rubato
l’animo; l’altra mi stava fisicamente molto vicina, era reale, però la sentivo solo
un’amica. Erano loro così diverse o ero io a percepirle in quel modo? Forse la prima
genera fascino perché è eterea, è solo un’idea; mentre la seconda sta lì con tutti i
53
GERARDO LO RUSSO
pregi e i difetti ed i pesi degli esseri umani. Possibile che mi faccia soggiogare dalla
forza delle idee e non apprezzo la realtà che mi è concretamente davanti?
Se così fosse, o sono esaltato io, oppure debbo ammettere che le idee esistono e
sono molto più potenti, anche perché sono eterne... come diceva la nobildonna di 453.
Iniziai a fotografare le formule dell’ultimo quaderno, così avrei potuto svilupparle al computer standomene comodamente a casa. Stavo riprendendo una alla
volta le pagine in successione, quando percepii dei passi a poca distanza, dietro di
me. Avevo gli occhi abbagliati dalla luce del flash e stavo chino sul tavolo per precisare meglio l’inquadratura dei fogli, perciò fui colto di sorpresa e mi dovetti girare velocemente facendo uno scatto istantaneo nella penombra del salone, mentre
cliccavo sulla macchina fotografica. Ebbi paura, mi guardai attorno ma non c’era
nessuno, né avanti, né indietro. Eppure, avevo chiaramente sentito qualcosa muoversi, a meno che non stessi cominciando a vedere i fantasmi. Ebbi il sospetto che
più timori ponevo in animo, più si gonfiava il volume dell’incubo.
Bah! Comunque, adesso qui non c’è nessuno!
Feci un enorme sospiro e mi distesi per rilassarmi. Finirò domani le foto, adesso sto ancora tremando e verrebbero sfocate; bluffavo chiaramente, tentando di
ritrovare la calma almeno in apparenza. Ma la verità è che avevo paura di dedicare le restanti energie alle pagine aperte, mentre avrei dovuto guardarmi contemporaneamente alle spalle.
Insomma, la fifa fu tale che decisi di rimandare gli studi al giorno dopo, magari con la luce del giorno.
Riaprii la porta, misi le attrezzature nella borsa e mi organizzai per arrampicarmi sul tetto, ovvero: sulla parete di tufo esterna in alto e a fianco del palazzo. Era
notte inoltrata e stavo imparando a muovermi come un gatto, finché fui sulla strada d’asfalto della passeggiata pinciana. Eccomi qui: a respirare il fresco notturno,
a riascoltare il riso della gente, quella vera, reale. Dopo essermi fatta una gran
bevuta di birra semighiacciata al chiosco ancora aperto, a piedi raggiunsi la vista
panoramica del Pincio. C’era di che gioire, osservando l’incanto del profilo di
cupole e di palazzi che si stagliavano sull’orizzonte sfocato delle luci e delle
ombre notturne.
Giù in basso, la Piazza del Popolo attraeva gruppi di gente attorno alle fontane
e all’obelisco centrale. Vista dall’alto e a quella ora di notte, la piazza emanava una
atmosfera soft provocata dai fasci di luce tiepida che accarezzavano e contenevano una fetta di vita surreale, soffocata con illusoria percezione all’interno di una
semisfera di vetro.
Là sotto, Viking era stato assassinato solo due giorni prima! L’obelisco sembrava posizionato ad arte per attirare i fulmini del cielo facendo le veci di una bacchetta magica a difesa della piazza e dintorni. E, invece, non riusciva ad allontanare nemmeno le piccole saette generate dai coltelli degli uomini. Mi ricordai
dell’Egitto e della frase del ciondolo che portavo al collo. Da qualche parte avevo
letto che quei giganteschi monoliti servissero a calcolare le ore del giorno. Antiche
meridiane, gnomoni o fieri testimoni del tempo immutabile nei deserti di sabbia,
patria del pezzo di pietra che avevo addosso?
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ROSA D’EGITTO
Ma tu, Rosa d’Egitto, o Bella del Bosco, dove sei adesso? Come vorrei stringerti tra le braccia ed aspirare il tuo estasiante profumo! Ormai sono stregato e più
non riesco a pensare che a te.
Ed osservavo alcune coppiette appartate tra gli alberi della Villa Borghese, sicché stavo allontanandomi da loro, girando al largo, quando sul viale più a Sud,
apparve seduto per terra lo stesso tipo che aveva telefonato alcune ore prima. Il
signor testa d’uovo, lì a quella ora? Posato ai margini del viale circondato da una
serie di busti di pietra che sembravano vigilare nell’ombra. Che cosa?
Sette di Notte
Mi avvicinai lentamente per vederci meglio. Non potevo credere ai miei occhi:
il signore pelato sembrava che stesse dormendo, invece, no: era assorbito in una
profonda riflessione e mormorava da solo.
- ...x + y + z... Oh, signor Ruggero! Che piacere! - alzò all’improvviso la testa.
Mi fermai stupito e perplesso.
- Salve, signor...? Scusi, sa... sono un po’ confuso stanotte e non mi viene il
nome - Mi chiami 453, signor Ruggero. E’ la cosa più semplice Il signor Testa d’Uovo era 453?
Questa volta alzai la testa sul collo e la scossi all’indietro e poi a destra e a
manca, come se stessi somatizzando una strozzatura invisibile!
- Nome e Cognome e 453? - aggiunsi spiaccicando le parole.
- Oh, si certo. E’ una storia antica, tanto antica che pure lui l’ha vissuta Volse il capo verso l’alto e accennò alla stele che gli stava alle spalle. Lessi sotto
il busto di una quieta figura marmorea: Pitagora.
Ci mancava pure Pitagora in quest’affare! Invece di ridursi, gli elementi dell’assurdo si accrescono, riflettevo intontito. Stavo ancora in piedi e lui rimase imperturbabilmente seduto. La novità di ritrovarmi davanti il, per me famoso 453, era
troppo! Era ubiquo lui, o stavo dando i numeri io? Un momento: i numeri li da lui
che è un matematico, forse sono ubiquo io…?
Nella mente si stava addensando una grossa nube di confusione color grigio
nero. Per non crollare sfinito, mi accovacciai davanti a lui sul pavimento.
- Ehi! Come la mettiamo, adesso? - dissi con voce tremula, non sapendo che
fare, che dire, dove andare, che pensare.
- Doveva accadere: “...c’est dejà vù!..” - rispose con un sorriso sornione.
Il tono di voce non sembrava più grave. Eppure era passata solo qualche ora da
quando l’avevo ascoltato al telefono, né riuscivo a percepire in lui disagio o stanchezza, o qualsiasi altra connotazione di malessere. Era allegro, su di giri e la testa
sembrava fumargli, come se fosse attraversata da un campo elettromagnetico invisibile. Stavo sempre seduto in una posa sconnessa, ma ora mi sarei messo in ginocchio purché lui avesse aperto il suo cuore alle tante domande che da giorni mi
comprimevano il cervello.
- Signor 453, sono confuso e stanco. Mi dica, perché siamo qui, lei ed io? 55
GERARDO LO RUSSO
- L’amore! ...cosa c’è di più bello dell’amore nell’esistenza della vita? - Si, capisco... è la cosa che mi ha fatto piombare in questa strana storia - Chiamiamola pure “cosa”, ciò che cosa non è, ma che di sicuro ci ha fatto
incontrare a lei ed a me - Che vuol dire, non capisco...
- Era troppo icastico nelle sue affermazioni e non gradivo tanta spudoratezza.
Mi sovvenni che a quella ora l’ambiente di Villa Borghese veniva frequentato da
persone in cerca di avventure particolari... Ma il contesto in cui ci trovavamo e che
s’era venuto a creare non sembrava affatto intimidire 453, che ora sfiorava con le
sue mani le mie dita, continuando imperterrito:
- Io sono in questa situazione grazie ad un incontro d’amore. 1,2,3,4,5,6... ogni
sette anni la cosa accade ad un altro. Adesso è successo anche a te - Ma è una cosa che può capitare a tutti, dove sta il nesso logico che dimostra
che noi due siamo qui per un incontro d’amore? - E’ l’amore che è con noi; perciò, noi siamo portatori d’amore La cosa sembrava alquanto buffa.
- Che significa, l’amore non è mica un germe od un virus? - Molto di più, molto di più... è un dono di Dio - ripeteva canticchiando una
sorta di ninna nanna.
- Mah! - feci io.
Era parecchio che non sentivo un tono chiesastico... Lui se ne avvide e scosse
la testa.
- Portatori d’amore... in nome della Rosa d’Egitto: tutto è già scritto! Ora 453 alzava la voce, anzi diciamo che sembrava rivolgesse altrove le sue performances teatrali, tanto che mi sembrò di sentire dei passi arrestarsi dietro di noi, al
buio, come se fossero attratti lì dall’improvvisato spettacolo recitativo. Comunque,
la dimostrazione appariva piuttosto fuori luogo; ma non dovevo sentirmi imbarazzato: dopotutto, era stato un caso fortuito che io fossi passato di là, mentre lui dava del
pazzo d’amore. Parlava strano non c’era dubbio, intanto provai a ribaltare la sua teoria, anche per bloccare la sua manifestazione enfatica ed incontrollabile.
Non ero lì per un incontro d’amore, tanto meno con lui...e glielo volli precisare:
- Scusi... ma noi, non dovevamo incontrarci solo domani per prendere un caffè
insieme? - così presi a confutargli le certezze entusiastiche.
Probabilmente si aspettava l’insinuazione, perché con fare lesto tirò da dietro la
schiena un involucro termostatico, all’interno del quale c’era del caffè fumante in
due tazzine di porcellana.
- Adesso è domani - e mi mostrò l’orologio sorridendo.
Le braccia stavano letteralmente cascando, piuttosto che reggere la tazzina di
caffè semibollente. Mi sembrò di sentire contemporaneamente un misto di risa e di
applausi provenire da dietro i cespugli. Non vinse la curiosità questa volta e, già che
bevevo l’ottimo caffè abbondante, ancor di più sembrava che l’incontro fortuito
avesse dell’inverosimile. 453 poteva anche avere ragione: da un punto di vista strettamente cronologico era passata da parecchio la mezzanotte ed eravamo giunti quasi
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ROSA D’EGITTO
al mattino dopo. E però, non c’era corrispondenza con il mio intendimento: io immaginavo l’incontro avverarsi molte ore dopo, verso la sera o al massimo nel tardo
pomeriggio. Ma a che serviva ribattere una contraddizione così banale? Eppure lui
era certo che il domani da me inteso fosse il domani che si stava verificando adesso.
- Caro signor Ruggero, al telefono tu non stavi pensando all’incontro con me,
pensavi ad altro. Nella tua mente c’era la speranza di mettere a fuoco una certa
questione, ecco perché il domani verificatosi adesso è esattamente quello inconscio che tu desideravi Si! dovetti convenire sorpreso e commosso. Pure da questo punto di vista, lui
poteva essere nel giusto; ma in questo caso si suppone che anche l’inconscio possa
essere preso in considerazione?...come i sogni, i pensieri, i desideri?
- Perché no? - aggiunse, rispondendomi mentalmente, ma io non avevo proferito parola alcuna, ero pronto a giurarlo.
Presi coraggio: se tanto mi dà tanto, azzardo per saperne di più? Bene! Vai avanti, indaga nella mia scatola cranica! E mi aspettavo che leggesse altre domande che
avevo in serbo di porgli, ma lui era attento a qualcosa che avveniva nei dintorni;
ora, sembrava allarmato e divertito.
Decisi di insistere sulle questioni che mi stavano a cuore.
- Uhm. Che vuol dire? Che... anche l’incidente non è stato casuale, bensì intenzionale? - Bravo, signor Ruggero, vedo che cominci a ragionare - pareva incontenibile di
novità.
- Conoscevi anche lui, il ladro? pardon, Viking o come diavolo si facesse chiamare? - Viking era un originale menestrello d’amore, ma non lo sapeva, poverino. E
giocava grosso lui! Ah, ah, ah! - concluse facendosi una risata beffarda.
- Quindi, sai che è stato accoltellato proprio qui sotto? - e indicai la piazza.
- Sotto l’obelisco, signor Ruggero! Sotto l’obelisco d’Egitto... Ancora una volta alcune sirene invasero la notte estiva e, in meno che non si
dica, fummo accerchiati da un nucleo di poliziotti invasati, che correvano da tutte
le parti come cavallette sui cavoli e sui prati.
Feci appena in tempo a chiedergli:
- E si sa come andrà a finire questa faccenda? Ma già mi stavano allontanando da lui, che sollevatosi cominciò a cantare irradiato da chissà quale musa lontana:
- Solo l’amore ci potrà salvare, solo l’amore non si può governare, perché è tutto
e il contrario di tutto all’infinitooo! Lo canticchiava un po’ ridendo e un po’ con fare sarcastico. Ma non protestava
affatto per essere stato braccato dai poliziotti e si lasciò trascinare via. Finché con
uno scatto sinuoso si divincolò dalla stretta e continuò più forte che prima: ...Amor che muove il sole e l’altre stelle... Un’emozione che accade di qua, si sente
anche di là! E indicava il buio dell’universo cielo. Qualcuno dei poliziotti cominciò a ridere, qualcun’altro si preoccupò di vederlo così esaltato in mezzo a tutti gli altri che,
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GERARDO LO RUSSO
invece, erano tesi e stupiti di trovarsi in quella situazione stravagante, più che
compromettente. Sta di fatto che un graduato incautamente si precipitò a rincorrerlo con un’assurda veemenza, mentre continuava a decantare le sovrane funzioni
dell’amore nel cosmo, dribblando le erme statuarie, piuttosto che cercare di darsi
alla fuga. Finché si sentì un tonfo sordo e ci accorgemmo che cadde poco lontano,
ginocchioni, davanti ad un busto un pò in ombra e dopo aver accarezzato le steli
lapidarie di Socrate, Platone e dei grandi dall’età dell’oro fino al medioevo nostrano. Quel breve e sinuoso spostamento tra le teste di pietra simulava un percorso
simbolico, non c’era dubbio! Non era storico e tanto meno spaziale; esprimeva un
pensiero compiuto e conteneva un messaggio preciso. Ma tanta fu la foga nel
volerlo estrinsecare, che cadde maldestramente e si ruppe qualcosa di certo, a giudicare dai molti soccorritori che gli si avvicinarono in fretta. Immediatamente
dopo, sentii la solita autoambulanza partire verso l’ospedale più vicino.
Con calma, rimasi ad attendere che mi controllassero i documenti: ormai, ero
cosciente di essere capitato in un controllo a tappeto, una retata che la polizia effettua di tanto in tanto. Ma, ancora una volta, ero in errore!
Gli agenti, infatti, stavano diventando più numerosi che mai e parevano insolitamente pervasi da uno stato di frenetico allarme. Sentivo l’imperversare di voci
scomposte, il gracchiare dei radiotelefoni e dei comandi superiori e notavo l’accorrere dei cameraman che a malapena si riusciva a tenere a debita distanza. Ero
tranquillo, tutto normale! dicevo. Piuttosto ero preoccupato della salute di 453, ma
non potei ricavare informazioni utili per tranquillizzarmi, presi com’erano tutti da
uno straordinario evento che si stava verificando poco lontano.
Ecco il generale pandemonio prendere il sopravvento sulla moltitudine di persone assatanate di curiosità. L’ammucchiata di gente, però non riusciva ad attutire
una sorta di osanna curioso e melodico come i canti di arcane sirene che era emesso da voci eteree e velate che venivano doppiate da un’eco a spirale. Alcuni si
accalcavano provocando convulse girandole nei dintorni dello sfiatatoio della
metropolitana, altri correvano verso il muro Torto perché supponevano che la
fonte dei suoni provenisse dal retro del parco. L’eco sottile e penetrante attraversava i timpani e non ci si poteva sottrarre dal doverla ascoltare, come se un
improvviso flauto magico cercasse prede innocenti là intorno. Ma la platea di
gente era piuttosto rappresentata da adulti inconsapevolmente invaghiti dallo spettacolo che andava annunciandosi e che non stava certo lì solamente per distrarsi
dall’opprimente calura estiva. Oppure, senza saperlo, era inconsciamente succube
dell’intrigante vento di scirocco, che a quella ora avanzava avidamente arraffando
il fresco respiro e lasciando le menti in semidelirio e in astinenza di ossigeno.
Nel sipario della notte, ecco infine evidenziarsi lo squarcio da cui provenivano
suoni, canti e bagliori di luci, come se un mondo sommerso e nascosto avesse finalmente preso possesso della ribalta. Mi girai verso la zona in cui si ammucchiavano
le ingenti forze dell’ordine e vidi spalancarsi un portale del fatiscente villino ottocentesco abbandonato nel parco. Le azzurrognole sirene, divenute alfine silenziose,
accompagnavano i fari color arancione, che inquadravano una processione di uomini e donne e bambini, tutti nudi e con torce in mano mentre fuoriuscivano lenti e mal58
ROSA D’EGITTO
destri dalle ombre della notte. Avevano subìto un brutto risveglio ed ancora non si
rendevano conto di quanto stava accadendo là intorno. Sembravano assorti in qualche ipnotica visione collettiva; e nemmeno i continui lampi dei flash riuscivano a
svegliarli del tutto. E infatti, camminavano in fila tenendosi per mano, formando un
serpentone di curve rosee e aggraziate; avevano gli sguardi assenti ed emettevano
ancora flebili sussurri e voci dirette da un orchestratore invisibile, ma perfettamente
in grado di gestire quella sintonia musicale. Come in un film di straordinaria efficacia scenografica, vedemmo apparire dal niente le sequenze della nuda umanità sempre più drammaticamente illuminata dai fari brutali delle forze dell’ordine.
Che sadica e assurda esposizione al pubblico ludibrio della folla! Negli ultimi
metri si muovevano a stento, ma a testa alta e non si preoccupavano affatto di
coprire le parti più intime, nemmeno con le gesta delle sole mani. Lo spettacolo
inverosimile nella notte d’agosto romana mostrava tutti insieme: uomini e donne,
giovani e anziani ed altri in età ancora infantile del tutto spogli di vesti e di pudore. Sembravano figure michelangiolesche che uscivano o entravano in una scena
di qualche altro giudizio universale, eppure erano beati o drogati come qualcuno
affermava.
Solo all’approssimarsi dei furgoni blindati la processione mostrava un lieve
sconcerto, che eccitava maggiormente la fantasia degli astanti, rimasti attoniti e
silenziosi fino a quel punto e tali che sembravano essere il contrappeso degli
addetti alla stampa che invece provocavano resse e mettevano a soqquadro la tranquilla operazione di controlli e di spostamenti sui mezzi. Sentivo parlare di sette,
di orge e di altro, ma non capivo di che provenienza, di che entità e di che tipo. Né
chi fossero quelle persone.
Mah! Certo, pensavo: l’avevano combinata grossa per ritrovarsi sotto i riflettori della tirannia dei media!
Compresi la gravità del pattugliamento serrato di polizia e contemporaneamente godevo della musica straordinaria del sottofondo. Ora era chiaramente proiettata al di fuori del villino che andava evacuandosi. La melodia sotterranea e arcana,
però diminuiva nello stesso tempo che fuoriuscivano gli ultimi adepti e già una
nuova sinfonia di tipo classico, probabilmente cinquecentesca, sostituiva la precedente e travolgeva l’ambiente con l’incalzare di un’infinità di note eruttate da
un’anima indiavolata e gestite da qualcuno che aveva preventivamente insonorizzato l’intera Villa Borghese per farti salire il sangue al cervello!
Assistetti inerme sino alla fine, quando buona parte degli ignudi erano già montati sui furgoni e partiti. Alle mie spalle la calca di spettatori increduli e sgomenti
cominciava a ridursi e ad allontanarsi pian piano. Ora aspettavo di essere rilasciato anch’io, ma dovetti attendere che i controlli fossero eseguiti fino in fondo.
Intanto, un boato annunciava che nel parco qualcosa era esploso e che il luogo
della perdizione stava prendendo fuoco in un batter d’occhio. Lo schioppettìo delle
lingue rossastre a loro volta si sovrapponevano e sostituivano egregiamente i mille
strumenti di musica classica. Come in una discoteca tecnologicamente attrezzata,
lampi colorati, giochi di fumo e rumori assordanti sembravano contenere gli istanti diversi in un tutt’uno armonico e irrazionale. Subito dopo e in modo soft, questi
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GERARDO LO RUSSO
ultimi si affievolivano echeggiando lontano e concedendo il protagonismo assoluto del palcoscenico notturno alla sola e calda luce rossastra. Le fiamme fuoriuscivano dalle finestre e dal tetto, fino a lambire le cime dei platani secolari, alti e possenti, e parevano aspirate dal ventre della notte stellata.
Era la fine.
Quando, tempo dopo mi furono restituiti i documenti preceduti ed accompagnati da tante scuse, presi la via di casa.
Vacanze estive? Vacanze romane? Cosa vuoi di più? mi chiedevo. Qui hai tanto
da scoprire. L’animo umano è così generoso che, se vuoi, ti prospetta un depliant
dai mille e passa viaggi, e senza spendere un soldo... Hai tutto: teatro, suspense,
spettacoli incendiari, orge e staffette di sirene che scorazzano per la città quando
meno te lo aspetti. E l’amore? Come fai a dimenticare che Roma è Amor eterno
speculare, basta che tu lo rigiri al rovescio? Puoi prendere l’esempio dal trattamento che 453 fa dei numeri: rigira, sovrapponi, ribalta, deforma e così via! Senz’altro
la vita diventa più ricca nella sua complessità!
Mi veniva da ridere. Per non piangere.
Intanto, mi abbandonai addormentandomi stremato, mentre rivedevo le scene degli
ignudi: l’inferno dantesco, inesorabile occupava la mente e fui grato a quella notte per
avermi risparmiato dall’occupazione dei tanti problemi irrisolti. Così sembrava del
resto, prima di prendere sonno, ma quando mi svegliai, richiamato più volte dal suono
del campanello, ricordavo ancora un enorme assemblaggio di figure simboliche, nude
e vestite che si sovrapponevano come se si ritrovassero in una unica e convulsa storica ammucchiata. Lì per lì immaginai che l’ingorgo intellettuale fosse dovuto al fatto
che avevo la testa pesante, le ossa rotte e l’alito amaro ed appiccicaticcio, come se
avessi bevuto fiele e percorso un tragitto travagliato. Ma non era così.
Il Coma Profondo
Ogni qualvolta che dovevo accettare di contraddirmi, davo la colpa alla troppa
faciloneria connaturata al desiderio di strafare intempestivamente. Ma, ahimè! continuavo a perseverare diabolicamente nell’errore facendo più confusione di prima.
Infatti, cosa stava accadendo nel frattempo? Quando aprii la porta, ricevetti il messaggio di dover correre subito in ospedale poiché un signore in gravissime condizioni di salute voleva parlarmi. Il ricordo mi riportò immediatamente e drammaticamente alla figura di 453. Mi sovvenni di quanto bolliva nella pentola del cervello e
accorsi in fretta al suo capezzale. Era in coma, dissero. Avrei dovuto attendere che si
fosse ripreso. Vedevo come il suo capo pelato a forma d’uovo, ora era fasciato in tal
guisa da somigliare piuttosto ad un faraone imbalsamato. Seppi che s’era spaccato il
cranio incocciando contro la stele di Aristotele in versione marmorea. E contro una
testa di pietra non poteva che rimetterci… la mollezza della sua materia grigia.
Poverino! pensai. E che fine: un ingegnere, un genio matematico si era messo a fare
il poeta ed ora eccolo lì: fasciato come una mummia egiziana.
Quanto costa la poesia!
C’è sempre da stare attenti con le parole dette e, ancor peggio, con quelle scrit60
ROSA D’EGITTO
te. E’ così difficile definire qualsiasi cosa nella vita, perché come affermi con parole le cose, già stai ponendo loro dei limiti. Figuriamoci quando cerchiamo di definire le idee. Infatti, affibbiando delle terminologie definitive, si opera inconsapevolmente una sorta di chiusura, che nel tempo rischia di divenire una dittatura linguistica. Lo sto facendo anch’io scrivendo fiumi di parole per dire qualcosa che è
tutta e sempre da verificare. Le parole sono un processo infinito di parcellizzazione del sapere. E più si parcellizza e più si divide, più ci si allontana dalla percezione della grandiosità del Tutto. Come i numeri: si parte dall’ Uno e si va, si va fino
a non riuscire a contare più quanto... e mi ricordai della nobildonna di 453. Come
sarebbe stato opportuno che lei si fosse trovata qui, adesso!| per consolare il suo
Don Chisciotte battuto e a letto!
Ma più che mai ora dovevo pensare a me stesso. Avevo l’immagine della Bella
del Bosco sbiadita dalla frenesia degli ultimi coinvolgimenti che sovraccaricavano la testa; ciononostante mai come adesso percepivo di avvicinarmi alla verità.
Troppe emergenze affastellate ed irrisolte necessitavano di una risposta. E sentivo il bisogno di approfittare del silenzio nella camera dell’ospedale a fianco di 453.
Potevo riflettere con calma, finalmente! e cercare di trovare qualche nesso logico, un
filo conduttore per sbrogliare la matassa di domande che mi continuavo a porre.
Intanto, augurandomi che il paziente avesse potuto delucidarmi sugli intrecci
che venivano a galla, stavo domandandomi sul perché lui sapeva chi ero io, perché Viking sapeva chi era lui, perché il senatore conosceva Viking, perché la matematica c’entrava tanto in una storia d’amore?
Avrei voluto correre e leggere il proseguimento del quaderno di Viking; avrei
voluto mettermi al computer per verificare con esattezza qualche operazione dei
calcoli matematici di 453, utilizzando le potenzialità informatiche; avrei voluto
sviluppare le foto e controllare se ci fosse stato qualcuno nella mansarda nel
momento in cui avevo sentito quei passi.
Quante cose altre avrei dovuto fare!
Più indietro nel tempo di questa storia avrei volentieri rivisitato lo scalpellino
per chiedergli se, per esempio: un signore pelato, un rapinatore ed un senatore fossero stati in possesso dello stesso tipo di sigillo che ora io stringevo al petto.
D’istinto lo baciai, come per rinnovare il desiderio di rivedere la Bella del Bosco.
E fu un gesto illuminante ed appropriato.
Come d’incanto, mi venne da toccare il petto di 453; così, pian piano percepii al
tatto che qualcosa di tondo e di duro doveva esserci attaccato anche al suo collo.
Frugai senza che si accorgesse di niente, ma tanto era in coma, come avrebbe potuto? L’oggetto era ovviamente, dello stesso materiale cristallino ed i solchi scavati
erano simili a quelli presenti sul mio ciondolo, anche se posizionati in modo diverso. Di getto, guardai in trasparenza dalla parte di dietro e lessi: “Tutto è già scritto”
Stupenda frase, la stessa che 453 intendeva affermare quando in francese aveva
detto “C’est dejà vù!”, però ha un significato poco attinente alla mia. Chissà se mettendole insieme non si riesca a scoprire il segreto della storia in cui ci troviamo: io,
lui e gli altri. Già, gli altri… Peccato che Viking sia sparito! Ecco, bisognerebbe
recuperare anche il suo ciondolo, se lui fa parte di questa storia... uno più uno fa due!
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GERARDO LO RUSSO
e due più uno fa tre! Sì, ripensandoci bene: quale altro poteva essere il probabile
messaggio che Viking stava segnalandomi con le dita negli ultimi sprazzi vissuti?
Feci degli sforzi di memoria per ricordare meglio i suoi gesti, ma nulla risultava
assolutamente evidente. Anzi, i fili da sciogliere aumentavano il volume della matassa informe. E tante domande restavano senza risposta.
Aaaach! Come sono solo, adesso! Ah, se solo potesse darmi una mano qualcuno, fosse anche 453 appena sarà guarito! E lo osservavo con tenerezza: quante
energie aveva dedicate all’amore!
Malgrado ciò, riflettevo sulla vita dello scatenato ingegnere innamorato. In che
solitudine si ritrova chi rincorre appresso alle idee! pensavo. Sarà stato il contesto
vacanziero, ma come era possibile che non avevano trovato nemmeno un parente,
un amico od un collega da invitare a stargli vicino in quel momento del bisogno
vero? 453 non aveva agende appresso e la sua vita risultava alquanto appartata,
così mi dissero appena ero arrivato in ospedale. Seppi pure che la sua casa era una
sorta di biblioteca, che veniva al massimo frequentata dalla donna delle pulizie e
dal postino di turno. Eppure, lui non mostrava di soffrire il senso della solitudine
e tanto meno dell’abbandono. Anzi, aveva un accenno di sorriso sulle labbra e gli
occhi erano carichi di sano entusiasmo e di quieto ottimismo, come se stesse per
affrontare una gioiosa avventura… cosa che sarebbe stata difficile da riscontrare
in persone della sua età e in quello stato di salute precaria.
Sarà stata la forza dell’amore a tenerlo su, mi dicevo.
E ricordavo come lui stesso sostenesse che l’amore è molto più potente di un
germe o di un virus.
Che sia l’elisir di una vita felice in cui l’entusiasmo spazza via la noia mortale?
La polizia già aveva registrato nell’interrogatorio svolto al Pincio le motivazioni del perché io fossi insieme a lui e da quando lo avessi conosciuto. Ebbi a dire
la verità: c’era stato un incidente stradale qualche giorno prima e ci eravamo promessi di incontrarci per bere un caffè al fresco di sera.
Però, quando mi interrogavano si avvicinò un gruppo di curiosi e tra questi notai
un tipo, che doveva avere l’orecchio lungo, poiché sembrava molto attento a quanto stessi dicendo, pur non interferendo mai nell’interrogatorio e nei controlli.
Seppi poi da un brigadiere che era un noto magistrato. Chissà cosa stava pensando sul mio conto e sull’incontro in quel posto. Vediamo intanto i giornali di oggi:
cosa scrivono sulla cronaca della notte? La notizia era data con grande risalto ed
infatti, i titoloni sovrastavano la prima pagina. I commentatori non s’erano risparmiati nel riprodurre innumerevoli foto degli ignudi, molto più eloquenti di tutta la
descrizione di drammaticità artefatta con fiumi di parole.
Seppi così che si trattava di una non ben identificata organizzazione settaria
internazionale, che questa volta aveva scelto Roma quale sede strategica per piazzare le proprie sacre performance, che si supponeva fossero intrise di droga, di
sesso e di sangue.
I titoli erano marcatamente apocalittici: “Battesimo di fuoco del Terzo
Millennio”; “Le Sette bruciano Roma”; “453 nudisti sotto la cupola”; “Satana
bloccato di notte”...
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ROSA D’EGITTO
Tutto normale a giudicare dalla stampa catastrofica. Tuttavia, quel ricorso al
numero 453 mi rimaneva indigesto. Possibile che ci fosse una connessione tra il
numero tanto conclamato dell’ingegnere e la truppa degli adepti? L’unica cosa
certa è che si era tutti insieme nella stessa zona e alla stessa ora. Ma non c’era altro
di coinvolgente per supporre chissà che. Lessi meglio i sottotitoli: mancavano
decine di persone all’appello della polizia ed i capi della setta erano sfuggiti all’arresto. Li avevano perfino inseguiti nei meandri della rete metropolitana, ma pare
che fossero spariti tra antichi cunicoli collegati a residui di cavità sotterranee.
Quindi, mi tranquillizzai: il numero dei nudisti fermati poteva rivelarsi solo un
caso fortuito. Come le lancette di un orologio che si bloccano su una data ora per
uno stop improvviso.
“Bella storia, alla faccia del messaggio cristiano...” sentenziava qualche sottotitolo e poco mancava che si invocasse la pena di morte per gente che probabilmente
stava da sola risolvendo in quel modo i propri problemi esistenziali. Infatti, gli specialisti del macabro ce la mettevano tutta per evocare stragi passate, plagi di innocenti e quanto altro potesse catapultare la morbosa attenzione del pubblico su irrisolte problematiche antropologiche che risalgono alle notte dei tempi. Riti satanici od
orge di massa? Per quanto potesse o meno inquietarmi la cosa, ero piuttosto impressionato dal coinvolgimento di piccoli esseri, chissà quanto consapevoli di cosa
sarebbe potuto loro capitare in quella notte tremenda e di ciò che stava succedendo
adesso. Il rispetto del libero arbitrio era un valore che ancora mi affascinava parecchio. Eppure, ciò che turbava drammaticamente la mia coscienza era la considerazione che mentre la storia si evolveva niente sembrava avvenire per caso!
Nemmeno l’assurdo e fragoroso concerto di campane assordanti, che all’improvviso e tutte insieme presero a suonare come se avessero anch’esse il diavolo
in corpo in quel mezzogiorno di fuoco. Paradossalmente erano campane in festa
che avevano l’intenzione di esorcizzare la fine di un incubo. O forse, era solo uno
sbotto di sfogo represso, chissà?
Ragionare, prego: quale poteva essere il significato della mia presenza in quel
luogo? Sono stato sempre schivo dall’inseguire fantomatiche aggregazioni religiose o tribali a qualsiasi livello, comprese quelle di tipo politico. Considerato poi,
che le uniche verità che mi affascinano sono quelle provate scientificamente, perché avrei dovuto trovarmi nei pressi di una manifestazione settaria in aperto contrasto con la mia forma di ricerca mentale? Ecco, un altro interrogativo che si stava
imponendo ed assommando agli altri. E più affondavo nei meandri della coscienza, più incrementavo dubbiosi presentimenti.
Stetti un giorno intero a vegliare nell’ospedale, ma 453 sembrava non riprendere i sensi. Così ebbi l’occasione di analizzare più volte le immagini televisive del
fattaccio notturno e vieppiù che passava il tempo, ascoltavo ergere da parte degli
intervistati incredibili argini in difesa della moralità, ma nessuno elargiva segni
alternativi d’amore, di pace, o di compassione. Ne’preti, né psicologi, né magistrati. A proposito, il tizio che mi aveva osservato nella notte precedente senza darlo a
vedere, ora era lì a testimoniare la sua impresa: parlava con orgoglio di come
aveva scoperto il covo e di come aveva condotto tempestivamente l’azione con63
GERARDO LO RUSSO
clusiva prima che fosse accaduto il peggio. Non era un monologo il suo, anzi mi
sembrò un individuo che si poneva più interrogativi su quello strano fenomeno,
che per quella notte di giubileo si era riuscito a scongiurare ed a sgombrare definitivamente. Mi fu di primo acchito simpatico e nelle successive edizioni tentai di
studiarne i movimenti per capire chi fosse nell’animo, non solo nelle apparenze,
che erano per giunta mediate dallo schermo televisivo.
Passavo il tempo a rileggere i giornali, ma l’attesa si dimostrava più insostenibile
di quanto avessi potuto supporre per via del caldo e dell’aria ospedaliera intrisa delle
esalazioni dei medicinali in corsia. Insomma, non vedevo l’ora che l’ingegnere si
fosse ridestato per potergli parlare ed andare via per approfondire le indagini.
Il ricoverato riceveva continue visite di controllo dall’equipe medica, finché a
sera tardi mi consigliarono di lasciarlo garantendomi che mi avrebbero telefonato
appena il paziente fosse tornato in grado di comunicare. Stavo chiudendo dietro di
me la porta, quando un suo pavido batter di ciglia mi indusse di nuovo a precipitami vicino. Non poteva muoversi, né parlare, poverino, ma dagli occhi capivo di
potermi relazionare ugualmente con lui. Gli feci tutti gli auguri del caso, ma egli
era già andato oltre con i messaggi che indirizzava mentalmente.
- Pitagora, Dante, passando per Platone... l’amore è infinito sia nei numeri che
nelle poesie? - provai a chiedere.
Ed egli annuiva, chiudendo ed aprendo dolcemente le palpebre.
- È vero che in sette abbiamo una placca di “Rosa del Deserto”? - e mostrai di
conoscere dove fosse la sua.
- E che possono rivelare un segreto straordinario? - annuiva ancora con gli
occhi, ma adesso mostrava anche un fievole sorriso.
- E il tesoro di Viking? Era vero anche quello, perbacco!
- Debbo continuare a cercare in lungo e in largo e in ogni luogo la cosiddetta
“realtà pluridimensionale”, come dice il Vecchio, alias Taldei Tali? Solo così
posso trovare la Bella del Bosco?
- Adesso, gli occhi gli erano diventati più brillanti che mai. Forse l’intesa tra di noi
stava dando i suoi frutti, perché quello sguardo sapeva di sazietà dell’animo. Quando
scatta il “segno lucido” la comunicazione è totale. Avrei continuato con la montagna
di domande che mi ero preparato, ma qualcuno mi impose di non profittare del suo
precario stato di salute, cosicché mi dissi che sarebbe stato doveroso andare via per
ritornare semmai il giorno dopo. Avevo il cuore colmo di gioia, era come se avessi
trovato un amico, con la testa rotta, ma un amico è pur sempre un tesoro. Mi sentivo
finalmente rinfrancato dalle fatiche fin qui affrontate ed un veemente entusiasmo
stava percorrendo le rinvigorite vene; ora tutto sarebbe stato più agevole, pensavo.
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CAPITOLO QUARTO
L’Ombra del sospetto
Corsi quasi senza accorgermene puntando diritto verso la mansarda. E più non
mi crucciai di passare dall’entrata principale. Improvvisamente, avevo smesso di
essere facile preda del timore. Se c’è qualcuno nei dintorni che spia le mie mosse,
non c’è niente da temere. Si faccia vivo, così anch’io saprò di lui ed aumenterò le
possibilità di venire a capo di questa faccenda. Così mi dicevo, sovraccarico di
nuove consapevolezze. Ma subito dopo: come non detto, aggiunsi obbligato.
Infatti, nonostante l’ondata di ottimismo che mi accompagnava, fui fermato sul
pianerottolo delle scale da un sedicente poliziotto che si presentò con il nome di
maresciallo Gargiulo, avente il mandato di indagare sulla morte di Viking.
- Signor Ruggero, tenga: da parte del Commissariato. C’è qualcuno che deve
porle delle domande...Pure questa doveva capitare! Appena ti risollevi e zackete! giù di nuovo.
Rimasi allibito! Ecco: dietro l’angolo c’è sempre l’imponderabile... come il funzionario di banca aveva pronosticato a Viking. Mi venne spontaneo pensare che
non mi fossi liberato del tutto delle restanti paure, cosicché si ravvivavano intorno gli spettri del giudizio di massa. Dovevo conoscere di più me stesso, non c’era
dubbio: solo così quei freni inibitori sarebbero svaniti come nebbia al sole. La
verità è sinonimo di libertà. Cosa ho da temere io dalle indagini sulla fine malvagia di Viking o su qualsiasi altro evento degli ultimi giorni?
Malgrado niente di male stesse apparendo all’orizzonte, un’insana agitazione
soffocava il libero respiro. Era appunto, l’angoscia frenetica di dover far fronte
all’imponderabile. Va bene, superiamo anche questa prova, mi imposi incamminandomi senza batter ciglio.
E fu un bene.
Lessi l’intestazione del foglio appena consegnatomi e riconobbi il nome del magistrato che avevo osservato a lungo in televisione, mentre ero al capezzale di 453. Era
proprio il tizio che avevo valutato intelligente e brillante. Nel valzer delle preoccupazioni, lo considerai un elemento positivo: avrei avuto modo di comunicare, seppure tramite la mediazione del corpo di polizia, con un altro anello della catena. In
che senso? Era tanto evidente che mi sarei giocato un capitale! Non ebbi nemmeno
la necessità di sforzarmi ad indugiare oltre: in TV, l’intervista era stata lunga ed il
magistrato giovanile d’aspetto e disinvolto nell’atteggiamento, spesso si toccava la
folta barba nera, ed abbassava il collo della camicia sotto il nodo della cravatta.
Sennonché, in una occasione dovuta al gran caldo, dovette slacciarsela mostrando di
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GERARDO LO RUSSO
portare al collo qualcosa di solido, di chiaro e di tondo. E non era un oggetto metallico, né un cammeo; altrimenti l’avrei riconosciuto per il caratteristico luccichio.
Doveva essere un oggetto di materiale opaco: osso, avorio o pietra, appunto. Ci pensai ancora, ma non c’erano smagliature nell’analisi che stavo facendo.
Ed anche se ero un incallito impenitente nel commettere errori per troppa superficialità, adesso sentivo i sensi sottili darmi fiducia.
Finalmente godevo della consapevolezza che la capacità di analisi e di sintesi
stavano accrescendo giorno dopo giorno. L’elaborazione mentale ora prendeva l’aspetto di un puzzle facile, anche se ancora poco chiaro. Ma guai se avessi mollato
adesso! Anzi, bisognava conservare il necessario allenamento a ricercare su tutti i
fronti possibili e rinforzare la concentrazione sull’obiettivo di partenza.
Parzialmente rinfrancato, presi di nuovo in mano il testo di 453. Ero interessato
più che mai ai suoi calcoli: lì dentro ci doveva essere la soluzione dei mille perché, o almeno, una delle possibili prioritarie chiavi di lettura della storia che stavo
vivendo. Così, presi ad annotare sul mio quaderno personale le parole ed i numeri che accompagnavano i suoi fantastici teoremi. Faticavo parecchio a capire il
solo inizio delle dimostrazioni scientifiche. Figurarsi se fossi riuscito a distinguerle, o a catalogarle come vere o false! Purtroppo, mi resi conto che l’ignoranza è
una barriera insormontabile. Ciononostante, speravo che l’intuito non mi avesse
tradito in una circostanza così importante. E l’intuito mi stava dando ragione.
Per la prima volta in vita mia risolsi che la realtà non può essere letta che per
mezzo della matematica. E’ la fonte certa che ti consente di elaborare costruzioni
mentali, logiche ed all’infinito. E’ il miglior modo per concentrare la ricerca sui
concetti astratti; per esempio: il bene e la bellezza. In tale dinamica, ecco che calcolo e poesia si compenetrano vicendevolmente ed armoniosamente per esprimere la realtà dei sentimenti, tanto per fare un esempio.
Sembra azzardato, ma pare proprio che sia così.
Mamma mia! esclamavo osservando il laborioso teorema scritto dall’amico ora
degente in ospedale. E il desiderio di conoscere il valore dei numeri diventava sempre più struggente, nonostante non capissi niente delle spirali paraboliche, né delle
stringhe, né dei frattali, né di tutta la visione logaritmica e quantistica lì rappresentata. Però, percepivo che con quelle teorie si potesse evincere una sorta di registro di
tutto ciò che accade. Allora, cominciai a fantasticare. Era l’unica cosa che sapevo
fare con naturalezza perfino quando smanettavo contemporaneamente al computer.
Supposi che quel calcolo potesse permettere di prevedere il movimento della
vita, ovvero: che fosse una sorta di programma per la previsione degli eventi. Per
esempio: frazionando gli infiniti istanti del tempo e dello spazio in altrettanti fotogrammi ed assemblandoli come se fossero pezzi di un enorme mazzo di carte, si
potrebbe ipotizzare di leggere tutti gli innumerevoli aspetti dinamici della vita.
Immaginate adesso che il mazzo sia in mano ad un megagalattico prestigiatore
universale. Potrebbe leggere tutto di tutti. Oggi tocca a te, domani a me e così via
dicendo. Qualsiasi cosa. Basta tirare la carta giusta dal mazzo e leggerla con attenzione. Il Tutto di te può essere ascritto in una particella infinitesimale dell’eternità: una carta da gioco ed il gioco è fatto!
66
ROSA D’EGITTO
Cominciai a percepire il disegno di Viking: con il teorema della previsione degli
eventi, sarebbe stato facile sbancare i casinò dell’intero pianeta. Un trucco del genere a portata di mano, era molto di più che un asso nella manica! Nessuna lotteria
avrebbe potuto celare le combinazioni future; bastava coordinare le mosse: questo
avviene di qua, quest’altro di là e così via. La conoscenza degli eventi può dare il
dominio del mondo. Niente altro da dire.
Ah! come capivo il valore delle preveggenza o la previsione che riguarda i solstizi, le eclissi, le comete; oppure: la guerra, la pace, gli amori, gli odi ed il resto che è.
Questo è un mondo fantastico, mi stavo dicendo. Quanto vorrei condividerlo
con la Bella del Bosco che mi ha lanciato in questa meravigliosa avventura!
Ma dovetti ben presto mettere da parte le poche equazioni che stavo memorizzando, perché di nuovo sentii il rumore dei passi dietro la schiena. Non mostrai
paura e continuai a leggere, facendo finta di niente. Ora, i leggeri scricchiolii divenivano più nitidi: qualcuno oltre la parete di fondo del salone si aggirava con circospetta lentezza. Probabilmente la struttura divisoria era poco spessa, mi dissi.
Ecco perché i suoni oltrepassavano facilmente il muro. Però, a pensarci bene, non
poteva esserci un altro appartamento là in fondo. Già il luogo dove ero io risultava visibilmente umidiccio; pur se, salendo dal palazzo della strada dal basso, poteva illusoriamente considerarsi un asciutto sottotetto.
Ragionai che al massimo oltre quella parete divisoria poteva esserci un prolungamento privo di sbocchi di aria e di luce. Forse una cantina. E quale pazzo poteva resistere e vivere in un luogo simile?
Intanto, avvicinavo l’orecchio in maniera da carpire meglio i rumori.
L’inconfondibile andatura dei passi regolari e leggeri non lasciava adito a dubbi:
oltre il salone doveva esserci almeno un individuo. Osservai di nuovo l’ambiente
parietale: c’era una scollatura sui lati di congiunzione con il soffitto e con le mura
laterali. Uhm, mi dissi, la cosa è sospetta. E non bisognava essere un provetto
detective per comprenderne il significato.
Ma che importava, adesso? Pensai che, mentre mi estasiavo di numeri e di frasi
d’amore, quel qualcuno che era di là avrebbe potuto ignorare del tutto la mia presenza. Solo una persona poteva farmi distrarre ed interrompere la lettura intrapresa: la
Bella del Bosco.
Perciò, continuavo a perfezionare la registrazione degli appunti e dei segni di
funzione e di relazione matematica utilizzati da 453. Per certi aspetti parevano l’imitazione dei segni incisi sui ciondoli, altri erano addirittura gli stessi. Salvo che
la posizione era organizzata in modo da riformulare un linguaggio teoretico complicatissimo.
Ne raccolsi qualche centinaia che poi verificai erano quelli utilizzati nelle scienze astronomiche, botaniche, chimiche, geologiche, geometriche e meteorologiche.
Ma non li avevo mai osservati prima con quella peculiare attenzione. Né avrei
potuto pensare che mediante l’assemblaggio quei segni diversi potessero essere
utilizzati in discipline scientifiche tanto lontane tra loro. In questo caso, erano
mischiati come se uno integrasse la esistenza dell’altro e così via. Come tanti nodi
intrecciati per formulare la matassa della esistenza. In fondo, mi veniva da pensa67
GERARDO LO RUSSO
re, se il Tutto può essere rappresentato dai segni, è consequenziale che i segni tutti
insieme possano rappresentare il Tutto. E cercavo di farli propri riportandoli sul
mio quaderno. Chissà che in seguito non sarebbero potuti tornare utili per capire
qualcosa di più sul teorema delle previsioni degli eventi! Dopo ore avevo la testa
inseminata di simboli e segni che fecondavano alacremente in silenzio, ma dovevo ammettere a me stesso che non sarei diventato giammai un genio e tanto meno
un computer. Non avrei avuto le capacità, nemmeno la forza…
Infatti, avevo faticato abbastanza per quella notte, ed ora poteva bastare. Smisi
di prendere appunti e tentai di rilassarmi. Ma la curiosità di proseguire il dialogo
mentale inverosimile e posteriore con Viking era troppo insistente. E dopo una
breve pausa: a pagina 7, finalmente!
“...già da piccolo penavo abbastanza per non essere capito dalle coetanee. Io
cercavo frenetiche passioni da regalar loro e quelle si chiudevano a riccio per
strani pudori. Finché diventai sempre più scaltro e davo qualche tenerezza, in
cambio del fuoco da accendere nelle vene. Intanto, prendevo le misure per capire
quanto potevo osare nella vita, a prescindere dallo sfogo fisiologico che premeva
nei genitali. Presi a giocare d’amore come se fosse stata la palestra più naturale
del mondo per allenarmi a capire. Una esperienza tira l’altra e diventai presto un
cane sciolto, di quelli che non si fermano mai da un solo padrone.
Non sono stato fidanzato, né sono andato mai a nozze, salvo a quelle degli altri.
Giravo il mondo ed ero più che mai assatanato dal desiderio di verificare come si
sarebbero comportate con me le donne di qualsiasi colore, età e razza, mentre le
usavo come incoscienti cavie della mia bramosia del sapere. Sapere quanto valevo?...Che illusione! E però, avevo sempre in mente di trovarne una ed una soltanto,
che mi avesse potuto riempire d’amore vero, nella totalità dell’idea che io avevo dell’amore. Gira e rigira, di tutto provai, ma l’amore quello vero, no: non c’era traccia.
Finito un rapporto, ne cominciavo un altro, o più insieme, poco importava. Ma, giammai provavo veramente amore. Anche se lo nominavo spesso con l’illusione che conformandomi al linguaggio del sistema sociale avrei potuto godere dei vantaggi relazionali. Tutto era così futile, tutto diveniva presto confezionato per essere gestito in
un normale rapporto del dare e avere. Tu mi dai questo, io ti do quello, e così via.
No, l’amore per me non avrebbe mai potuto appiattirsi sulla mera spartizione
di carezze, di regali o di promesse. Per me l’amore era ed è qualcosa che c’è e
basta. Si dice e non si dice. Ma quando ci si incontra, anche solamente con lo
sguardo, sappiamo di essere totalmente l’uno per l’altro.
A prescindere, dal resto.
E se non si sta nello stesso posto, ma si sa che si è la stessa cosa, tutto procede
come se si operasse insieme, anche a distanze chilometriche e per tempi lunghissimi. L’amore vero è ben più potente delle barriere spaziali e temporali. Invece,
mi son visto troppe volte circondato da donne, che con fare elegante, suadente,
finanche affascinante e spesso divertente hanno tentato di circoscrivermi in un
decalogo di comportamento, corrente e funzionale per conquistare i loro favori,
dicevano. Oppure, per essere degno di loro. Invece, è il modo più verosimile e
banale per metterti catene invisibili e domare la tua individualità, la libertà di
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ROSA D’EGITTO
essere pensante, ancor prima di essere un uomo. Quando ho potuto, ho fatto finta
di niente, anche perché mi necessitava di conoscere fino in fondo la natura delle
altre persone. Così, spesso mi sono trovato ad attendere delle conferme nel tempo
e, senza volerlo, ho partecipato ad ingenerare contorti rapporti fatti di tutt’altro
fuorché di amore, nel modo di come io lo intendo.
E mi viene da piangere quando penso che ci si può dare totalmente ed invece,
bisogna fare i conti col bilancino, tanto per fare come gli altri e potersi dire: valgo
perché tu mi dai questo e io ti do quello. Alla ricerca dell’equa spartizione.
Ma di che?
Che cosa? Possibile che si cercano sempre confronti e soddisfazioni dal mondo
esteriore e si dimentica di godere dell’enorme tesoro che è già in possesso dentro
ognuno di noi?
Le apparenze, ecco cosa si vuole.
Che significa darsi totalmente? Niente di particolare, semplicemente cercando
ciascuno di essere migliori per l’altro nel modo possibile e vivere con la necessaria
grazia in questa dimensione terrestre. L’amore è un dono meraviglioso, nobile e universale. Una volta piantato, va fecondato con il confronto del comune sentire e con
il conforto della scienza delle idee che rendono immortale questa semenza.
Tutto il resto, basato sulla difesa ad oltranza di un rapporto a due, è organizzazione retorica della vita di coppia. Non è il vero amore. L’amore, come io lo
intendo, tiene conto di una complessità di fenomeni che non si manifestano unicamente con le emozioni ed i sentimenti. Né tanto meno con la sola materialità del
rapporto, ma con il costante desiderio di unificazione delle diversità.
È una continua ricerca, un continuo crescere insieme, scrollandosi di dosso le
percezioni che allontanano e assorbendo quelle che uniscono.
Prima che nella soddisfazione dei sensi fisiologici, l’amore è un fenomeno che
si sviluppa nello spirito, nell’animo e nella mente di un individuo.
Allora, che ti do in cambio se tu mi dai la cosina?
Ora, dimmi, bellissima, chi mai potrebbe capire l’amore così come io lo intendo? Solo me stesso, forse. Hai voglia a dirmi che sono egoista, che sono maschilista, che sono individualista, che sono superbo, che sono tutte le cose brutte che
ti vengono in mente quando sei presa dalle turbe e dall’ansia di doverci lasciare.
Né vale dar peso all’apparente mio disumano cinismo, intimamente anche tu sai
che è così: non condividiamo la stessa idea dell’amore. Tutto il resto è una guerra stupida ed offensiva verso la stessa intelligenza che ci fa agire. Perciò, dove trovare l’amore che cerco? Ci sarà mai una donna che amerà consentendomi di essere me stesso al meglio delle umane possibilità?
Ecco: questa è la problematica che mi sono posto sull’idea dell’amore.
Difficile, mi son detto. Molto difficile, per la ragione stessa che c’è un naturale e differente sentire. E rifuggo cinicamente da questo e da quello, perché anch’io
mi son fatto impossessare dal pregiudizio su ciò che cerco: nessuno può darmelo,
ho pensato spesso. E, purtroppo, senza accorgermene, per diverse decine di anni
ho saltato di verificare le possibilità concrete di incontrarlo.
Poi ti accade che un giorno ti metti a sognare e la vedi, è là che ti aspetta. Non può
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GERARDO LO RUSSO
essere vero, ti dici facendo il conto delle mille illusioni. Ma lei ti guarda e ti sorride
proprio come tu l’hai sempre sognata. Dunque, esiste! Ma, no: è solo un sogno, ti
commenti da solo. E vai avanti per un bel pezzo, finché ti senti posare qualcosa sul
petto. Ti svegli e... guardati intorno: la figura pensata non c’è. Ma hai qualcosa di
lei. Ti vuol dire che esiste, è reale. Sta a te doverla cercare. E ti metti in cammino.
Quante spiagge e ritrovi di lusso e strade malsane frequenti negli anni a venire.
Inizi a conoscere situazioni impensabili prima, più non ti soffermi solo di qua o solo
di là. Né col cuore, né con la mente. Ora sì, che vedi la vita da molteplici punti di
vista. E il successo in un campo diventa lo strumento per meglio cercare la Rosa...”
Che? Ancora la Rosa?...
Sbattei di colpo il quaderno sul tavolo. E tre! mi dico, sospirando forte. Sono
già tre volte che sento nominare la stessa cosa. C’è da cominciare ad essere gelosi follemente. Tutto mi sarei aspettato, meno che 453, Viking ed io cercassimo la
stessa donna.
Aiuto! E adesso, che faccio? vado avanti o strappo i quaderni e scappo via da
questo posto malsano che inizia a farmi star male?
Calma! Debbo riflettere. Intanto, mi darò da fare a scoprire qualcosa sulla previsione degli eventi. Se non altro mi aiuterà a distrarmi. E mi domandavo: ma
come? A saperlo avrei cominciato a spron battuto. Invece... Oppure: perché Viking
non indica direttamente dove sta nascosto il tesoro? Mi pare che me ne avesse già
parlato... Anzi no: l’avevo solamente sognato!
Ecco, la confusione tra sogno e realtà si fa sempre più spessa, come se la coltre
dei fenomeni percettivi ammantasse tutto il bagaglio delle mie conoscenze.
È proprio notte di stanchezza! Finisco di fotografare il quaderno di 453 e: “a
domani!” mi dico.
La mattina seguente, mettete tutto insieme: far fronte all’avviso di garanzia per
l’assassinio di Viking; la scoperta di aver fotografato una vera sagoma umana nella
mansarda; la consapevolezza che 453 era stato sgambettato durante la corsa a zigzag nella Villa Borghese. Di nuovo la fifa veniva a galla e non riuscivo ad affondarla più di tanto. Però, a metterla da parte ci stavo provando.
Continuai a fare altre domande al degente 453:
- Se il tesoro di Viking esiste, bisognerà pure che sia da qualche parte... 453 accennava di si.
- Tu sai dov’è? Questa volta non riusciva a significare alcunché di preciso con i suoi occhi, che
chiudeva ed apriva sconsolato.
- C’entrano le tue formule matematiche per la previsione degli eventi con il
tesoro di Viking? Ancora, gli era tornato il sorriso nello sguardo.
- Viking ha sbancato qualche lotteria? Forse era stanco o perplesso sull’ineluttabilità della comunicazione... senza
segnali giusti in partenza, nessun messaggio in arrivo! Non sapeva che gesti fare,
paralizzato com’era; dal che dovetti dedurre che il tesoro poteva avere anche altre
provenienze. Chissà!?
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ROSA D’EGITTO
- Senti, amico, io continuerò a cercare, ma tu: puoi accennarmi se la tua nobildonna è la stessa ragazza che cerco io? Purtroppo, con uno sforzo sovrumano mi parve che fece cenno di si. O forse era
la mia interpretazione frettolosa a falsare il contenuto del suo messaggio, preso
com’ero dallo stato emotivo abbondantemente eccitato? Ecco, la violenza del
pathos!
Sta di fatto che subito dopo mi sentii sul colmo della disperazione. Lui se ne
accorse e sembrò venirmi incontro, però stranamente continuava a dare solo segni
di benevolenza e di consenso.
Dunque, non è geloso, pensai.
- Quindi, la tua nobildonna e la mia Bella del Bosco sono la stessa persona? insistei forzatamente.
Ora non sapeva che gesti fare, salvo sottintendere una difficoltà compassionevole verso la impareggiabile malizia che stavo enunciando.
Chissà cosa avrebbe fatto per convincermi che non c’era nulla di male.
Dapprincipio lo vedevo imbarazzato, deducendolo dalle sottili rughe che si conformavano sulla rigida ed inerme fronte. Poi generosamente continuava a sforzarsi di farmi capire qualcosa, qualcosa di bello comunque!
Il buon senso mi impose di non sottoporlo ad ulteriori sforzi e andai via, enormemente amareggiato. Ma lo lasciai con l’illuminazione negli occhi, menomale.
Decine di giorni dedicati ad una presa in giro! Una donna sola per tanti disperati come ora mi apparivano sia 453, che gli altri e purtroppo, anche il sottoscritto, ahimè!
Com’era stato possibile che qualcuno avesse ordito una sceneggiatura di quel
tipo? Ero arrabbiato, davvero, ora! Pur tuttavia, stavo in ballo e dovevo ballare. Lo
dicevano il resto degli eventi di quella giornata. Mi precipitai all’appuntamento col
giudice per capire cos’altro bolliva in pentola sull’avviso di garanzia. Era la prima
volta che avevo a che fare con la giustizia in modo diretto e, sinceramente, sentivo
tutto il peso e l’imbarazzo del caso.
Non sapevo che comportamento tenere di fronte ai sospetti ed alle illazioni.
Comunque, mi precipitai per essere puntuale all’appuntamento in questura. Ma
dovetti ancora una volta trattenermi per non dare in escandescenza, quando superati i primi gradini del palazzo, fui raggiunto da un signore impeccabilmente agiato in un elegante look estivo, che si rivolse garbatamente:
- Glielo avevo già consigliato, signor Ruggero... se ha bisogno di me, non faccia complimenti A scanso di equivoci, mi diede il suo biglietto da visita su cui era ben evidenziato il titolo di penalista accanto a quello, altrettanto onorifico, di senatore della
Repubblica. Caspita! pensai, qui la cosa si fa seria.
- Onorevole... Isidoro Capocroce, lei è davvero molto gentile, ma io... non so
nemmeno di cosa si tratti! - Un avvocato è sempre meglio averlo vicino, non si sa mai, per far fronte alle
difficoltà della vita giudiziaria. A volte basta una parola detta, invece di un’altra e
il significato cambia la visione della realtà... 71
GERARDO LO RUSSO
- Già! Vedo che lei è molto previdente, mi fa piacere, ma perché non chiarisce
dapprima come ha fatto a sapere del mio avviso di garanzia? - Signor Ruggero, suvvia! pare che lei viva su un altro pianeta, magari super computerizzato, dove basta pigiare su un tasto per orientarsi sul trend della vita amministrativa cittadina. Qui da noi basta una parola sussurrata da un conoscente, e via! E’
solo una questione di pubbliche relazioni o, se vuole, di fiducia professionale Caspita! come usa bene la retorica il tizio, pensai; certamente: è un avvocato!
- Onorevole, accetterei volentieri, ma prima debbo fare i conti con... - Nessun conto - mi interruppe - perché non c’è da sostenere alcuna spesa. Solo
per lei, signor Ruggero. Diciamo che l’Associazione dei Difensori degli Innocenti
penserà a tutto, va bene così? Uhm, era finanche spiritoso, l’amico.
- Non capisco, anche se non vedo cosa potrebbe esserci di meglio al riguardo.
Anzi, mi permetta di ringraziare lei e naturalmente, l’associazione... Ci stringemmo la mano ed entrammo sorridendoci a vicenda negli uffici giudiziari.
La cosa si faceva oltre che seria, anche divertente, ora! Addirittura, s’era inventato un simpatico modo per potermi assistere nell’interrogatorio. E stava lì al mio
fianco. Bene, andiamo avanti: prima o poi la verità di queste misteriose manovre
dovrà pur uscire fuori.
Senatore di qua, magistrato di là: i complimenti per la presunta e scampata strage settaria nel pieno del Giubileo cristiano era sulla bocca di tutti, figuriamoci tra
le massime autorità della legge e dell’ordine morale del Paese.
Ascoltavo in silenzio i due che dovevano conoscersi bene nell’ambiente del foro
romano. Finché si nominò Viking. Ora la palla passava a me. Dovevo ponderare
quel che avrei detto.
- Signor Ruggero, lei quella sera è stato l’ultima persona a parlare al telefono
con l’assassinato e la prima tra i suoi conoscenti ad essere sul posto del
delitto...ecco qui: le registrazioni dei due momenti. In mezzo c’è un’ora di vuoto,
perchè non ci aiuta a riempirlo lei? - Scusi, ma non capisco... Sono arrivato solo dopo che l’ambulanza stava caricando il morto. Cosa dovrei sapere di più di quell’intervallo tra la telefonata e l’incidente mortale? - Beh, intanto ci può raccontare cosa ha fatto, dov’era e se ha incontrato altre
persone. Per esempio, tre giovani con corpetto nero di pelle, jeans e stivaletti di
cuoio? - Signor giudice, non frequento né gente come Viking, né ragazzi come i presunti assassini... Si, ho letto anch’io i giornali e so che si sospetta di tre loschi tipi - Debbo farle presente che questo è un interrogatorio e viene verbalizzato. Lei
sa, suppongo, che qualora fosse comprovato da altre testimonianze che invece lei
era in compagnia dei... - Impossibile. Non è vero! Ecco: la coscienza della assoluta certezza! quanto sollievo ci offre, pensai.
Serve come il pane, aiuta a sopravvivere. Anche se per poco.
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ROSA D’EGITTO
- Signor Ruggero, si dia il caso che lei frequenti una certa mansarda visitata da
quei tizi descritti poco prima, come la mettiamo con la sua testimonianza? Era il momento in cui alterato stavo letteralmente per sbalzare dalla sedia. Ora
avevo il cervello obnubilato e il cuore gonfio di battiti esplosivi. L’avvocato mi fece
segno di stare tranquillo e di attendere le domande successive con maggiore calma.
- Adesso, racconti per filo e per segno: lei come ha conosciuto Viking, cosa vi
siete detti l’ultima volta, perché frequenta quella mansarda? Per la miseria, feci dentro di me, qui mi si vuole incastrare in qualche brutta storia. Debbo stare attento a come parlo. Guai a ingenerare dubbi e sospetti. E rimuginavo nella mente cosa era meglio dire e non dire. Guardai l’avvocato.
- Signor Ruggero, il giudice è una persona seria, stia tranquillo. Dica solo cosa
si sente di dire lei. Si ricordi che esiste il diritto di potersi difendere da qualsiasi
accusa Ma, nonostante, recepissi al meglio la raccomandazione bonaria, rimasi frastornato. Non sapevo che fare. Avrei dovuto iniziare dall’incendio nel bosco? Parlare
del sogno, dello scalpellino, del Vecchio Taldei Tali? Dio mio! Come avrebbero
mai potuto capire? Ormai ero in preda al panico. Per un attimo cominciai a maledire il giorno in cui quella storia era iniziata. E poi: per chi stavo affrontando la
serie interminabile di prove? Per una donna che aveva rapporti con chissà quanti
altri? Che storia incredibile mi è capitata. Mi veniva da ridere, dopotutto. E sbottai in una fragorosa risata, per davvero!
E guarda caso, fu un bene, perché anche il giudice prese l’inusitato mio sfogo
con sorprendente allegria. Avevo supposto giusto: doveva essere un tipo intelligente, quello lì. Doveva capire che io non c’entravo con quella brutta storia.
Allora, con l’aggiunta di un poco di fiducia, cominciai a raccontare come avevo
incontrato Viking, dell’incidente sotto casa, della telefonata. Ma non sapevo che
garanzia dare sulla frequentazione della mansarda. Sostenni che un amico me l’aveva prestata per studiare al fresco d’estate, piuttosto che stare nel mio appartamento periferico e accaldato. E chi era quest’amico? Normale la domanda, normale la risposta:
- Lo scalpellino della strada di sotto - Tutto qui? - riprese il giudice. Se saprò qualche altra cosa, lo riferirò volentieri - aggiunsi.
- Uhm, auguri, signor Ruggero - fece lui e salutò con la mano tesa.
E mi ricordai che probabilmente stava indossando sul collo anche lui una placca come la mia, ma non ne avevo la certezza assoluta, né l’autorità per poterglielo chiedere; cosicché considerai, che se solo avessi accennato a quel mondo misterioso in cui navigavo da giorni, avrei stimolato ulteriori ed inopportune indagini
che avrebbero potuto ostacolare la serenità della mia ricerca.
Poco dopo e fuori del palazzo, l’onorevole avvocato insistette ad offrirmi il suo
appoggio dandomi ulteriori ed opportuni consigli:
- La prima cosa è di stare tranquilli. La seconda è che con la calma e la ragione
tutto si aggiusta. La terza è di contare fino a sette prima di parlare Mi diede i suoi recapiti telefonici e ci salutammo calorosamente.
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GERARDO LO RUSSO
Ma nonostante la solidarietà appena ricevuta, ora che rimasi solo mi sentii preso
di nuovo dallo sconforto. Aver rinunciato alle sacrosante vacanze estive per cascare
come un ebete nell’incubo giudiziario? Perché la tradizionale capacità di raziocinio
mi aveva abbandonato a tal punto? Quale poteva essere il sottile significato? Ed inoltre: più svaniva di importanza la figura femminile apparsami nel sogno, più diventava potente il desiderio di tirarmi fuori dalle sabbie mobili in cui m’ero cacciato.
Chissà se la icona di donna non sia l’esca per attrarre dei poveri fessi idealisti quali
potenziali cavie di sofisticate e malefiche strategie? Mi rendevo conto dell’enorme
sbalzo di umore che travagliava l’anima e che mi faceva ragionare sempre di meno.
Possibile che il mio dienneà fosse così tanto problematico? Frattanto, preso dal timore e dal panico, supponevo ogni tipo di congiuntura ipotizzabile, anche contraddittoria, finché non avessi trovato un significato plausibile. Ripercorrevo mnemonicamente le fasi degli ultimi avvenimenti, ma era difficile trovare una causa inoppugnabile per riacquistare la pace interiore. Ormai navigavo a vista, sapevo di essere sotto
inchiesta, ero verosimilmente spiato nelle azioni; dunque, ero divenuto un soggetto
controllato e a rischio. Come avrei potuto muovermi ad agio e proseguire in quella
delicata ed inquietante faccenda senza ingenerare ulteriori sospetti?
Malgrado tutto, ritornai verso la mansarda che assumeva la funzione di un rifugio del pensiero. La porta risultava ancora apribile senza bisogno di chiavi; né vi
notai tracce del passaggio di altre persone, salvo quando mi avvicinai alla parete
di fondo. Era piuttosto evidente una modifica dei filamenti di ragnatela che insistevano agli angoli e che non si agganciavano più al soffitto. Ne scostai una appesa che si era appiccicata ai miei capelli. Doveva esserci stata una rimozione forzata della struttura muraria. Considerai che quella parete doveva essere di tipo mobile. Ciò avrebbe giustificato la fotografia della sagoma sfocata. Era pure la prova
che i sensi non mi avevano ingannato fin dal primo impatto con quel luogo, quando avevo captato una presenza umana dappertutto. Di conseguenza, ero osservato,
comunque non ero solo lì dentro. Malgrado ciò, dovevo andare avanti e continuare ugualmente a scoprire cosa c’era scritto nei restanti quaderni.
Ma, intanto che il panico riprendeva il sopravvento, volli iniziare a scrivere la
mia storia, che è quella che stai leggendo. Lo feci per una sorta di scaramanzia o
di scongiuro. Non si sa mai. Tante volte dovessi essere accusato ingiustamente o
dovesse capitarmi qualche disgrazia, almeno avrei lasciato una testimonianza della
mia versione dei fatti.
Nel quaderno di Viking il passaggio sull’amore finiva in gloria:
“...prima di captare il vero amore passai una giornata di inferno. Ero giù di tono
perché una serie di cause professionali erano andate storte. Senza accorgermene mi
avviai verso la periferia della cittadina dove stavo lavorando come controfigura in un
film di guerra tribale. Iniziò a piovere ed io non ci badavo e presi a salire sulla collina brulla e scoscesa. Lampi e tuoni e vento tempestavano tutta la zona, ma non avevo
alcun brivido di freddo, né di paura. Stetti a riflettere sulla vita che scorreva, mentre
gridavo al mondo intero il desiderio di amore totale. Finché, stanco di urlare, mi arresi alla pioggia violenta che batteva sulla testa. Mi coricai sul bordo di una lunga vasca
di campagna e mi concentrai ad ascoltare un concerto di acqua danzante che ripro74
ROSA D’EGITTO
duceva mille suoni diversi. A poco, a poco il furore del temporale si allentava ed il concerto orchestrato dalle nuvole grigiastre addolciva l’atmosfera con note sempre più
lievi. In quello stato percepivo beato le carezze sottili delle gocce melliflue.
Finché mi misi a fissarle mentre cadevano e mi accorsi di non poter più chiudere gli occhi. Né subivo il fastidio che mi entrassero nelle pupille. Al contrario,
provavo una sensazione di sollievo indicibile: stavo a guardare infinitesimali e
velocissime scie luminose che si infatuavano sul viso e che si aggregavano come
tanti girini impazziti. Altre volte le confondevo come se fossero moduli spermatozoici e fosforescenti naviganti in tutte le direzioni del cielo, fino a formulare una
sorta di scia luminosa che significava più o meno: “...E papà è il più bello e pacioso dei papà del mondo ed io la sua fortunata figliola...” Non so perché interpretai in questa maniera la frase nella volta di patina rosata del cielo che andava
schiarendosi.
Forse perché la mente si era placata.
O perché avevo provato una sensazione sconosciuta. O forse perché c’era la
visione di una figura soave e gentile comparsa nel centro dell’arcobaleno.
Soltanto al risveglio, nella dimensione reale, verificai avere un sigillo posato
sul petto...”
Ecco qua! Staccai gli occhi dal testo e mi misi a fissare il vuoto del soffitto.
Ecco qua: è poco dire che ne capivo meno di prima: la visione riguardava una
donna o una bambina? Visione o fatto reale?
Decisi freneticamente di passare alle ultime pagine. Sentivo la morsa del tempo
portarmi fretta; inoltre, quella sera provavo una sensazione di fresco alla schiena
ed alle gambe: sarà stata la paura di stare qui dentro, sarà stata la preoccupazione
di non farcela a scoprire cosa si celava dietro il mistero? Mi rispose dall’esterno
una secca saetta che illuminò lo stanzone. Il temporale tonante finalmente irrompeva nella notte cupa dopo molti giorni di secca atmosfera. Che bello, convenni,
almeno l’aria diventerà fresca e pulita. Spero che porti l’arrivo di puro ossigeno
pure per la mente che ne ha tanto bisogno! E sebbene avessi appena letto di un
temporale, non risultava affatto che l’avessi invocato. Che il tempo atmosferico si
sia sintonizzato con i miei desideri subliminali? Comunque, e manco a farlo apposta, a quello fatto di inchiostro, ne faceva seguito uno vero tanto violento che stimolava una efficace ripresa delle energie mentali. Ripresi, infatti a leggere con
attenzione più di prima, in compagnia della pioggia battente.
Nel seguito Viking sosteneva che io, Ruggero, dovevo risolvere un caso eccezionale. Ero un famoso esperto di computer, quindi avrei potuto svaligiare la cassaforte informatica in cui 453 aveva depositato il suo cospicuo tesoro bancario e,
andando avanti con l’applicazione delle sue formule avrei potuto anche scoprire
qualcosa di terribilmente magico ed inaudito: la previsione degli eventi.
Caspita, mi dissi, allora la storia è concreta! Non si tratta di leggerezza romantica, ma di grano, quello verde e sonante! Capace di far felice il mondo intero!
Evviva!
Così, superata la fase di disillusione verso la Bella del Bosco, ora percepivo un
pragmatico interesse per la nuova prospettiva, niente affatto peregrina: quella di
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GERARDO LO RUSSO
divenire improvvisamente ricco a palate. Con un po’ di miliardi sul conto avrei
potuto fare tante cose: girare il mondo e trovare perfino qualche fanciulla che mi
avrebbe fatto impazzire d’amore. E già fantasticavo ad occhi aperti lunghe vacanze nei paradisi esotici...
Sarà così? mi chiedevo poi.
Un diavoletto si ficcava in testa ogni qualvolta divenivo preda della facile
approssimazione, assalito dal solito entusiasmo. Il satiro dagli occhi di fuoco mi
stava insinuando cospicui sospetti. Per quale motivo chi sapeva del tesoro era stato
assassinato? Perché un altro componente della catena si trovava in ospedale con la
testa fracassata? Forse qualche occulto regista aspettava la soluzione dell’enigma
informatico, dopodiché zackete! anche la mia testa sarebbe valsa meno di un fico
secco. Nel dubbio pensai che sarebbe stato meglio far apparire di stare al gioco:
dovevo tranquillizzare chiunque stesse manovrando dietro le quinte.
Conseguentemente, ero determinato a trovare la soluzione, ma per poter salvare la
pelle non sarei mai dovuto arrivare palesemente fino alla fine. Avrei dovuto prendere esempio dalla tela di Penelope, ecco. E andare avanti con l’astuzia di Ulisse.
Così riflettendo e tenendo le orecchie tese a percepire ogni minimo rumore, iniziai
la lettura del terzo quaderno. Ma di fracasso là fuori c’era solo la pioggia e qualche fruscio di frasche sbattute dal vento. Vento cambiato: ora veniva dal mare e
portava sollievo e purezza di ossigeno.
Respirai profondamente ed intrapresi il seguito.
La Parola Muta
“... Ai parenti, agli amici, al partito, agli elettori dedico le riflessioni su alcune
esperienze che hanno contribuito a farmi agire nella società civile fatta di anime
umane.”
Così iniziava lo scrivente del quarto documento. La dedica era efficace, ma perpetuava incontrovertibilmente l’inquietudine derivante dai testi precedenti. E quale
aggancio morale poteva esserci tra la testimonianza di un criminale e quella dell’uomo di stato? Perché, iniziava con una lapidaria affermazione che incuteva una vena
di esasperante drammaticità su tutto ciò che seguiva? Affidavo le domande ansiogene all’ambiente circostante, inconsapevolmente convinto, che una qualche risposta
potesse arrivare dall’aria che ci circonda, al posto della ragione che era palesemente in tilt. Forse fu la pioggia divenuta sottile e leggera, forse fu la fase di stanchezza
arretrata, sta di fatto che presi a leggere il seguito in maniera soft ed attendista. Come
se il contesto stesso fosse divenuto primariamente importante rispetto al testo che
stavo affrontando. Fuori intanto, cominciava la quiete dopo la tempesta, dentro il
mio animo pure. Rilassato, allungai le gambe e stesi i piedi sul tavolo.
“...Un dì concertai con i mezzadri di impiantare sulla collina un uliveto moderno
e ben strutturato. A lavoro ultimato e dopo circa cinque anni di coltura, avremmo
ottenuto un cospicuo profitto nella produzione olearia. Nel primo anno non se ne fece
niente perché venne a mancare l’organizzazione della manodopera necessaria. Nel
secondo subimmo ritardi per l’approvvigionamento delle piante; finché, per un moti76
ROSA D’EGITTO
vo o per l’altro, nel quinto ci riunimmo per analizzare le ragioni del fallimento.
Qualcuno sostenne che la collina era stregata. Raccolsi innumerevoli detti e storielle paesane circa la zona che era stata sempre destinata alla pastorizia, a prescindere da chi fosse il legittimo proprietario. Insomma, risultavano tre modelli di possessori: uno sulla carta, ovvero: il detentore dell’atto di compravendita; uno reale, il
pastore che godeva e disponeva permanentemente delle cose in modo pieno ed esclusivo; il terzo, invece, era saltuario: asparagisti, cacciatori ed ecologisti.
Interpretando meglio alcune dicerie, seppi che la famiglia di pastori, che si tramandava di padre in figlio quella sorta di eredità affittuaria, apparteneva ad un’unica
discendenza. Il conto dei loro avi si perdeva nella notte dei tempi; cosicché, mosso
dalla curiosità, cercai di sapere chi fossero e da dove provenissero. In fondo, tutte le
famiglie subiscono una sorta di evoluzione storica: chi cambia di mestiere, chi si sposta, chi modifica il proprio stato sociale e così via. Possibile che quella conserva lo
stesso censo e stato comportamentale e le stesse tradizioni per secoli e secoli?
Consultai l’archivio locale e scoprii che effettivamente da tempo immemorabile venivano registrati atti riguardanti quella stirpe di pecorai. Ero l’erede della casa sulla
collina, così diedi sfogo alla curiosità e un giorno decisi di visitarla meglio.
L’ossequiosa gentilezza manifestatami dalla quarantenne pastora, era pari all’agitazione per la visita inaspettata. I movimenti del corpo stavano assumendo l’autocontrollo di una esperta attrice delle migliori scene teatrali. In pochi minuti si era trasformata in una posata dominatrice dell’ambiente che la circondava. Compreso me,
divenuto spettatore inatteso ed inusuale della performance improvvisata. Dopo i
necessari preliminari di saluto e qualche convenevole obbligato, il silenzio ermetico
era divenuto il protagonista assoluto dentro e fuori la casa di pietra. Lei si muoveva
da una parte all’altra della cucina con gesti lenti e flessuosi, accarezzando l’aria che
ci girava intorno. Ci fu un momento in cui la scena dello spostamento di un mestolo
dal tavolo al fornello sembrò durare qualche minuto. Ero stupefatto ed ipnotizzato
dal comportamento controllato, né valeva la pena tentare di nascondere il disagio,
poiché con la coda degli occhi continuava a guardarmi pur avendo girato le spalle.
Provai a suscitarle qualche interesse dialettico, accennando a questioni amministrative: erano anni che il rapporto consisteva in una forma di dare e avere consolidato. Lei sorrideva sorniona e nemmeno finii di chiederle quanto dovuto per
l’affitto, che già presentò una busta confezionata con i biglietti di danaro dentro.
Rimasi di stucco e un po’ umiliato. Possibile che persisteva un tale disagio comunicativo tra noi? Forse, pensai, è una donna sola e con un estraneo in casa prova
imbarazzo a parlare liberamente? Invece, no! Non aveva difficoltà a muoversi,
anzi, sembrava una dea leggiadra, seppure dentro una stalla. E sapeva che il disagio era soltanto mio. Probabilmente, voleva farmi capire altro, ma ero sordo e
cieco, e senza parola. Confuso, posai l’attenzione altrove. L’aia era un affresco
alla memoria delle tradizioni contadinesche: cani e polli e capre e pecore dominavano la scena sul prato di erba corta come statue immobili e mute: nemmeno
un bau, bau, o un bee. Qualsiasi rumore o eco di vita movimentata proveniva solamente dalla valle o dal vicino borgo medievale.
Un fazzoletto, però dondolava appeso al camino; lo ispezionai: dentro c’era un
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GERARDO LO RUSSO
libricino antico di stampa. Diedi un’occhiata e chiesi come mai fossero lettori
della Divina Commedia. La domanda si rivelò la chiave appropriata per rompere
il ghiaccio. Era normale, mi rispose. Da secoli, i pastori perpetuavano l’apprendimento a memoria dei poemi, pascolando il gregge nei campi. Anzi, v’erano delle
vere e proprie gare di recitazione e di canto lungo i tratturi dei paesi, dove le feste
dei santi coincidevano con il passaggio della transumanza. Lei sapeva aneddoti
divertenti su parecchie persone, ma occorreva tempo per raccontarli; non era
questione di pochi minuti... Me lo diceva con la voce suadente e allo stesso tempo
minacciosa. Poco ci mancava che mi dicesse: signorino, queste cose non sono per
te. Provai ad immaginare le lunghe serate vicino al fuoco, quando si tramandavano oralmente i fatti, le favole e i miti del mondo pastorale. Ed ero sinceramente
affascinato e stavo per chiederle perché conservavano quello smisurato attaccamento alla tradizione e, in ultima analisi: perché non avevano mai abbandonato
la collina? Lei ora assumeva una mimica altera e distaccata, alla maniera di una
nobildonna di consolidata esperienza. Dovette percepire la domanda telepaticamente, perché mi precedette in maniera sibillina:
- Questa è la nostra storia!
E più non le chiesi. Neppure se fosse stata a conoscenza di preziosi reperti
archeologici e di oggetti votivi di età imperiale, ritrovati in una cavità della collina ed appartenenti ad una setta religiosa mediorientale. Anzi, quando accennai ad
un gruppo di archeologi sostenitori che il casale fosse stato eretto su di un presunto tempio di Iside, la vide illuminarsi di buio e chiudersi definitivamente a riccio.
Eppure, non c’era niente di male. Dopotutto, l’intera penisola a quei tempi antichi era permeata da riti pagani. Ma lei continuava ad ossequiarmi e sorvolava su
tutto, e basta! La ritrosia comunicativa fu l’invito a non farmi desistere e, al contrario, incentivò in me sempre più stimoli a voler capire.
Cosicché, in seguito mi recai in giro a chiedere informazioni sulla famiglia dei
pastori, armato dell’entusiasmo di un giovane e della pazienza di un vecchio.
Erano tipi solitari e di poche parole; cose ovvie per gente a contatto con la natura animale. Ma un paesano insistette su un’usanza, riferitami in altre occasioni,
senza che io avessi dato precedentemente il minimo di importanza alla cosa. Quei
pastori erano soliti viaggiare, nonostante avessero perennemente da badare alle
bestie. Si sapeva che erano stati in diversi paesi del Mediterraneo, però la cosa
non poteva essere considerata banale. Quando mai delle famiglie nostrane, che
debbono fare i conti con i perenni disagi economici, riescono a realizzare viaggi
che richiedono spese non indifferenti?
Seppi così che li effettuavano in tempi insospettabili: durante il periodo della
transumanza, cioè in piena estate, come la gran parte dei turisti. Perciò, a nessuno
veniva in mente di far caso a quello che altrimenti sarebbe apparsa una stravaganza. Seppi pure che si assistevano reciprocamente con nuclei di pastori di altri paesi
con i quali avevano formato una associazione di mutuo soccorso. Tuttavia, non
riuscivo a spiegarmi il fervido interesse per le regioni lontane, dato che a malapena
sapevano leggere e scrivere. Ragionavo in tal guisa, spinto dal pregiudizio che
avevo della gente che studia poco, o meglio, che non ha frequentato la scuola.
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ROSA D’EGITTO
Sicché mosso da una morbosa e crescente curiosità, profittai di un giorno d’estate, quando la collina era abbandonata, e trovai il modo di entrare abusivamente nella casa. Tra gli oggetti vari spiccavano alcuni cenci intrisi di puzza di caglio
e formaggio, finché fui attratto da un armadio antico, unto e ricoperto di fuliggine scura. L’aprii lentamente e scoprii una inverosimile e minuscola biblioteca. Né
le ragnatele e la puzza di tarme riuscirono a frenare la palpitante emozione.
Presi a rivoltare appassionatamente un libro dopo un altro mentre ne apprezzavo
sia la fattura editoriale che il contenuto letterario. Rimasi sorpreso di trovare dei
volumi in pergamena, che avrebbero fatto invidia ai collezionisti di antiquariato; ma
soprattutto potei constatare che ognuno dei testi era stato letto a più riprese. Avevo
scoperto un livello di cultura impensabile in quei personaggi apparentemente rozzi
ed impacciati. Che mi avevano lasciato un’eredità sottintesa, non c’era dubbio, poiché percepivo la presenza della pastora accompagnarmi in ogni pensiero. Infatti, in
buona evidenza, appeso alla parete di fondo dell’armadio c’era un libro legato ad
una cordicella. Lo afferrai e ne lessi il titolo: “La parola muta”.
Sfogliai le poche pagine e ne ricavai un’impressione illuminante: non c’era
alcunché di scritto, solo carta bianca e pregiata e una dedica sottintesa. Chi avesse avuto il desiderio di usar parole, si accomodasse. Però, che riflettesse prima di
tutto sul significato profondo della vita. Essa è sempre da scoprire ed è ricca
anche nelle cose semplici e sottaciute.
Ebbi lo stimolo ad annusare i fogli nell’armadio più volte, poiché percepivo di
respirare una parte del sapere che era racchiuso lì dentro. L’effetto fu tale che mi
ubriacai di non so che. E ne ero entusiasta, infatti, presi a spulciare tra un mucchio di fotografie di località lontane. Date e luoghi spesso erano segnalati sul
retro come se fossero stati un prezioso reliquiario mnemonico della famiglia.
Avendo sintonizzato automaticamente l’immaginazione, ora viaggiavo a ritroso
nel tempo, e già vedevo quella gente vivere in tende sotto le stelle, quelle belle ed
intense dei deserti di sabbia; poi li seguivo mentre si spostavano lungo percorsi
pregnanti di passioni, sospiri, desideri, poesie e canti di arcani poemi. Come gli
aedi greci, come i trovadori medievali. L’assonanza dei costumi tra i pastori di
paesi tanto lontani superava le inutili e velleitarie barriere doganali e geografiche. Stesse gestualità e mimica, stessi atteggiamenti e tenore di vita.
Cambiavano, relativamente, gli indumenti e forse il linguaggio parlato. Forse
il nome di Dio o la forma rituale dei sacrifici o delle preghiere , ma l’essenza dei
sentimenti denotava il comune intento di vivere la natura madre in tutti i suoi
aspetti e manifestazioni millenarie.
Anche i segni ed i simboli che risultavano fotografati sui bastoni, sulle pietre o
sui corpi parevano simili a tutti i popoli antichi. Infatti, gli intagli sul legno dei
bastoni, gli incavi nelle tessere di argilla o i nodi sulle corde parevano assolvere
alle stesse esigenze di calcolo e di archiviazione dei fatti, degli eventi, delle riscossioni od altro.
Si poteva facilmente supporre che i luoghi visitati fossero dislocati su un tratto
che da Roma arrivava fino alla Palestina e di là proseguiva in Egitto. Visite, quindi. Visite tra tribù di genti che si tramandavano arcaiche tradizioni. Belle erano le
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GERARDO LO RUSSO
foto tra le montagne di Delfi in costumi d’epoca. Stupende, le immagini con cani
e cammelli tra i deserti di Petra. Superbe quelle dei bagni lungo il Nilo tra i ruderi di monumenti ciclopici. Ma cosa dire dell’ insieme di gente posizionata in una
strana processione a spirale che formava complessi nuclei in movimento quasi ad
imitare i geroglifici del disco di Festo? Ecco in quel complesso di figure pareva
che pastori e navigatori si incontrassero alfine per raccontarsi delle esperienze
dei mari e dei monti, dei nodi e dei numeri.
Infine, rimasi turbato da una foto assolutamente scioccante, splendida e ricca
di sfumature. Una donna nuda posava voluttuosamente su un sofà con schienale.
E che donna! La fantasia galoppava a meraviglia. Era un’immagine morbosa ed
eccitante da farmi arrossire. Forse di inizio secolo, forse di anni più recenti, ma
con quali forme aggraziate! Il velo trasparente fatto di pieghe calibrate le aderiva lungo le curve sinuose e pacate e la ricopriva tutta, tranne nel volto suadente.
Forse lei era in posa per un pittore o per lo stesso fotografo, chissà? Comunque,
era una delizia per gli occhi godere della figura venerea che dosava il respiro
sotto la trapunta di piccole stelle. Stelle simboleggianti il manto del cielo notturno che lievitava sulla vellutata nudità femminile.
Fui sconvolto, mentre faticavo a rivoluzionare l’idea che avevo di quel posto.
Ora, guardavo con altri occhi il casale e il panorama circostante. Vedevo non più
solo natura selvaggia, ma salotti voluttuosi e incontri intriganti in cima alla muta
collina. Intanto, la Venere Stellata continuava a turbarmi con gli occhi di fiamma
e l’ambiguo sorriso, finché prigioniero dell’orgasmo, feci cadere il pacco di foto
che avevo tra le mani. Subito dopo mi stesi per terra circondato da un mare di albe
e di danze effettuate lungo le rive di un fiume esotico, testimone di gente libera di
vesti e di maschere attorno ad un falò gigante, in attesa dell’astro solare.
E sognavo ad occhi aperti. E di latte e miele sapeva la vita.
Ma il gatto nero che rincorreva il topino si poneva solo il problema concreto del
pranzo. Il roditore sembrava essergli sfuggito del tutto, perché si era infilato dentro
le fessure di un secolare tronco di ulivo. Purtroppo per lui e con mia grande sorpresa, dopo qualche secondo, vidi il felino pavoneggiarsi con la bocca piena e la coda
dondolante. Come caspita poteva averlo azzannato in quelle fessure inaccessibili?
Misi il naso dentro l’anfratto dell’albero e la prima cosa che captai fu una sferzata
d’aria umida e solforosa, che proveniva dal basso. Guardai meglio: c’era una cavità alla base dell’ulivo, che si incuneava tra la massa calcarea del terreno sottostante. Ricordai che qualche altra persona aveva più volte descritto una spaccatura lunga
qualche chilometro e larga pochi centimetri, che emergeva di qua o di là solo in qualche punto della collina. La striscia attraversava in linea orizzontale le campagne
limitrofe fino ad inabissarsi in una grotta, da dove emergeva una sorta di sfiatatoio
naturale. La casa era piazzata sulla sommità e giustappunto sopra la fenditura. Non
mancava di tanto in tanto chi supponeva che quest’ultima fosse collegata al centro di
Roma tramite un passaggio sotterraneo lungo una ventina di chilometri. Cosa improbabile, ma non impossibile a giudicare da certi tombaroli locali, che basavano tali
supposizioni sui ritrovamenti dei cunicoli in mezzo ai terreni sventrati dalle ruspe. Mi
balenò in mente di emettere un urlo dentro il tronco dell’ulivo. Ebbi la percezione che
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l’eco affondasse nelle viscere della terra. Ne percepivo uno strano rimbombo saltellante insieme ad una cascata di sottile pietrisco. Ecco, mi dissi, la cavità potrebbe
essere un ottimo ripostiglio segreto, una specie di pozzo senza fine in cui calare piccoli oggetti preziosi; oppure un luogo da cui trarre preavvisi di mefitici terremoti non
appena dovesse aumentare la fuoriuscita dei gas sotterranei.
Manco a farlo apposta, frugando sulle pareti lignee e ruvide, con le dita afferrai una corda sottile. Tirai e tirai a lungo, come se stessi pescando con una lenza,
finché comparve un fazzoletto annodato contenente una specie di medaglia che
supponevo fosse un antico reperto. Tentai invano di afferrare il significato delle
figure incomprensibili, ma ero intossicato e stordito, fino a piegare la testa e ad
addormentarmi al fresco sotto l’albero sempreverde.
Venne a farmi compagnia il sogno più lungo e fantastico della mia vita. Era così
vero che non potevo distinguere quale fosse la realtà: se quella che stavo vedendo,
se quella che stavo pensando o se quella che stavo pensando di vedere nel sogno.
Miriadi di piccole particelle subatomiche attraversavano la sfera percettiva della
mia mente. Ero verosimilmente a galla in mezzo ad un unico enorme uovo, pur percependo di essere collegato alle pareti del guscio come se fossi tenuto da mille invisibili cordoni ombelicali. Mi sentivo di essere al centro e alla periferia contemporaneamente, essendosi avverato una sorta di azzeramento dello spazio e del tempo,
mentre l’infinitesimale pulviscolo di energia cosmica, di cui erano composti il contenuto e le pareti dell’involucro, vibrava di vitalità e di movimento.
Ma, terminata la prima fase dell’incanto, mi ritrovai in una sorta di libreria rinascimentale. Capii di essere stato sotto osservazione per tutto il tempo, e a mia insaputa, pur se ero cosciente di stare ancora sognando. Poi avvertii dei passi pervenire dalla stanza a fianco: era la pastora che veniva incontro sorridente e silente,
come per dirmi alfine: “...ora, è dentro di te”. La abbracciai sospinto da un sentimento di amore o di eterna riconoscenza, o altro che non saprei, e da allora sempre
me la rivedo che accompagna i sogni e le azioni reali della vita quotidiana.
...Durante il risveglio restai in ascolto di un sottile fenomeno acustico proveniente dalla cavità dell’albero. Mi ricordai della medaglia ritrovata ed ebbi uno
sprazzo di superintuizione. Percepii come se le potenzialità dei sensi si fossero
improvvisamente sviluppate grazie a quel salutare bagno energetico fatto poco
prima. Così pure stava accadendo per le facoltà mentali. Tanto è vero che presi di
getto la medaglia, la esposi alla luce del sole e lessi nei riflessi la scritta trasparente: “...Che è senza parole”
Non afferrai immediatamente il significato, ma qualcosa mi diceva che la vita
stava cambiando. Da quel momento avrei visto tutto sotto una luce diversa.
Soprattutto sentivo potenziarsi la vista: le case lontane sembravano più vicine e
perfino le nuvole, le potevo quasi toccare con mano. Un subitaneo senso di piacevole sgomento attraversava l’intera attività conoscitiva: erano le braccia e le gambe
che si erano improvvisamente allungate per centinaia di metri, o era il mondo ad
accorciarsi sotto i miei arti? Non riuscivo a rimettermi in piedi e, quando mi mossi,
dovetti reggermi come una bestia a quattro zampe. Per la verità, vidi in quale modo
fossi divenuto una enorme rana gigante. Guardavo le gambe sopraffare alberi e col81
GERARDO LO RUSSO
line e percepivo come se gli occhi fossero diventati a palla e con le orbite al di fuori,
mentre un improvviso senso di vomito mi fece barcollare a terra... Fiele giallo rigettai per lungo tempo, fino a sentirmi perduto.”
Bah! A ciascuno il suo! mi venne spontaneo pensare. A me il fuoco, a lui le vertigini. Quella intuizione distratta mi indusse ad osservare meglio il ragno che effettuava un provocatorio saliscendi proprio davanti ai miei occhi. “Il Sogno” pensavo ed istintivamente seguivo il ragno. Appunto: il sogno ed il ragno.
Quest’ultimo prese a fare una manfrina curiosa, rigirando all’inverosimile i filamenti della rete su sé stesso. Finché si arrestò sull’angolo della parete mobile.
Subito dopo una zanzara proveniente da dietro la parete divenne facile preda e sua
vittima prelibata. Era il segno che inequivocabilmente la cantina aveva un fondo
segreto. Semmai ce ne fosse stato bisogno, pure il ragno con la sua trama si alleava strategicamente per preparare le mie future mosse.
La prima parte del racconto del senatore Capocroce finisce con un tonfo maldestro, mentre di fuori ritorna la quiete notturna dopo la tempesta ed anche all’interno dell’edificio la percezione di quelle letture attenuavano definitivamente la concentrazione. Cribbio, però, che sensazione dovette provare il ragazzo! e ripensavo
alla sua testimonianza scritta.
Si direbbe che abbia fruito della duplicazione del mio sogno... Stesso sigillo:
stessa esperienza, più o meno. C’era una differenza, però: la pastora esisteva pure
nella realtà quotidiana! Non era paragonabile alla visione della Bella del Bosco.
Allora, come la mettiamo con le similitudini e le circostanze che si ripetono: una
figura ideale vale quanto quella vera di carne ed ossa?
Intanto, varrebbe la pena registrare gli elementi che ricompaiono menzionati
qua e là come se volessero precisare i tasselli della verità che cerco. Consolati,
Ruggero, ecco un altro come te: tutto sogno ed immaginazione. Chissà come avrà
potuto svolgere la professione dell’avvocato? Figurati del politico!
Perciò, bloccai l’attenzione sul sogno: va e viene, come il respiro. Cercavo il
comune denominatore che collega i personaggi della storia ed ho trovato un fenomeno ammaliatore!
Il Sogno, ovvero: qualcosa di cui non puoi fare a meno. Io, tu, chiunque.
Una volta che ti ha iniettato le linee strategiche, tu le persegui senza accorgertene giorno dopo giorno. E più ti avvicini alla realizzazione dell’obiettivo, più ne
sei felice. Drogato ed estatico.
Prendimi, Sogno e parlami di ciò che mi hai mostrato all’inizio di questa avventura! o almeno, dammi la forza per crederci ancora!
Ecco, come ci si lascia andare allo sfogo, ogni tanto!
Ora, però torniamo con i piedi per terra, sentiamo cosa dice ancora il giovane
Capocroce.
Clickai sull’orologio: era notte fonda, ma ero curioso di sapere dove il racconto andasse a parare.
“... Da quel giorno in poi qualcosa era scattato nella mia mente. Sentivo un’attrazione fatale non più per le sole cose immediate e superficiali, ma per quelle più
intime e profonde dell’animo umano. Decisi di intraprendere la carriera politica,
82
ROSA D’EGITTO
perché convenni che non esiste palestra migliore per compenetrarsi nelle infinite
sfaccettature del comune sentire. Ben presto mi accorsi come in quest’ambiente prevalesse la filosofia del sospetto. Il tradimento è un piatto freddo che viene servito a
tavola come se fosse una innocua battuta umoristica. E’l’antipasto per il peggio che
viene dopo. Così pure l’uso della parola: non esistono promesse o giuramenti che
hanno la certezza di esistere. Davvero, nella politica cominciai a capire come tutto
è effettivamente relativo: ciò che è bene per te, per l’altro è male.
L’effimero della realtà apparente. Ma con una qualità immensa, che ti consente di vivere tutto intero il panorama delle diversità collettive.
Quando tu avanzi una proposta per supportare un’idea, subito l’avversario è
pronto a distruggerla per fare avanzare la sua, qualora ne avesse una; altrimenti
vale lo stesso, perché annientare gli altri in politica equivale a stare a galla, a traino, come si dice. E sperare in tempi migliori. Tanto, anche le idee fecondano meglio
secondo i terreni che trovano. E non è detto che ciò che oggi è positivo per te, domani non lo sia per il tuo avversario, e viceversa. Perciò uno distrugge il terreno degli
altri e aspetta che il proprio diventi fecondo. Eppure, mi dicevo, in alcuni contesti
storici deve valere il buonsenso, sennò va tutto a sfacelo. Ci sono delle idee che a
volte fanno comodo a tutti: alleati ed avversari. Quello è il momento per operare le
grandi scelte, le riforme della vita sociale, altro che stupido buonismo!
Dunque, tocca fare politica per far avanzare quelle idealità che più di altre
sono profonde, non solo condivise. Perché, non lo so, ma sento che così la politica è migliore. Comunque, più dinamica e meno stagnante. Una bella scommessa,
non c’è che dire!
Così, pensavo.
E mi buttai a capofitto nella palestra frequentata da gladiatori e da leoni, ma
anche da serpi e da topi di fogna. Nella politica si percepisce l’esaltazione dei
pregi e dei difetti del genere umano, perché tutto viene moltiplicato secondo i consensi o i giochi di squadra o gli interessi di campo che ti trascini dietro. Ecco,
nella politica sto cercando la dimora solare. Ma ciò che più conta è conservare il
desiderio e la speranza, senza mai appiattirsi. Sennò la vita diventa un buco nero,
improntata alla nullità dell’essere...
Ed ogni tanto riguardavo il ciondolo per domandarmi se quel sigillo avesse
significato qualcosa di continuativo rispetto al sogno della biblioteca agreste. Ma
quanto avrei voluto rincontrare la signora pastora e guardarla negli occhi per
vedere se vi fosse stata una corrispondenza tra il sogno e la realtà. Perciò, negli
anni a venire mi affacciavo da quelle parti nella speranza di incrociarla nello
sguardo. Ma mi muovevo con discrezione e rispetto, come si conviene intorno ad
una famiglia principesca. Rinverdi in me il desiderio d’amore, quello vero fatto di
scambio creativo continuo e perenne, capace di percepire oltre le diversità di
sesso, di età o di altro.
Un pomeriggio mi addentrai nel bosco riflettendo sulla vita che stava modificandosi. Se da una parte frequentavo i tribunali e gli uffici giudiziari per lavoro,
dall’altra gli impegni per la politica andavano intensificandosi in maniera spropositata. Non coltivavo altre risorse, ormai. Perciò, feci il paragone con i pasto83
GERARDO LO RUSSO
ri. Quelli sembravano stare in un paradiso terrestre! Si erano letti centinaia di
tomi e potevano farlo perché erano sgombri da problematiche stressanti della
civiltà contemporanea. Il gregge pascolava e loro leggevano in totale serenità di
spirito. Ecco spiegato il contegno pacato, deciso e sicuro: sanno e sanno degli
antichi e dei moderni; integrano valori semplici ed universali che vanno oltre le
sovrastrutture del momento.
Quasi una vita monacale, senza bisogno di andare nel Tibet. Badano all’indispensabile, all’essenziale. E nel lori valori primari, avevano trasformato la mia
casa sulla collina in un piccolo tempio dell’Arcadia del pensiero. Evviva! E ricordavo un’immagine sobria di un vecchio pastore accanto al letto. Ma non era la
solita icona di tipo religioso, bensì raffigurava un anziano con barba bianca e
volto scuro, quasi in ombra del tutto, sotto una sorta di cappuccio. Al posto degli
occhi apparivano due fori di luce. Intanto che ricordavo il ritratto, un improvviso
e violento temporale si abbatté sulla collina e mi impose di tornare nel borgo.”
Et voilà, ci risiamo col temporale! Mentre quello reale qui fuori è terminato,
ecco leggerne di un altro che comincia. Tra un po’ ci sarà una confusione dannata. Quale di essi sto vivendo io: quello fresco di nottata, quello narrato da Viking,
o quello appena iniziato di Capocroce?
Uhm! Capocroce, senatore ed avvocato? Che figura complessa! Non sapevo che
indicazioni ricavare, salvo che mi pareva un po’ illuso e donchisciottesco. Ed oltretutto, il fatto che fosse pure un professionista della parola, in qualche modo lo pregiudicava ai miei occhi. D’altronde, mi chiedevo: come dar credito e fiducia ad un
politico? Però, riflettevo poi: se è riuscito a far carriera, dovrebbe avvalorare la tesi
delle sue idee.
Chissà se sarà stato coerente?
Già la coerenza: qualcosa di tanto complicato che in politica diventa volatile e
trasparente come il velo di una chimera.
“...Ma giunto ai piedi di una vecchia quercia notai sotto di essa un fosso semicircolare che faceva pensare ad una sorta di rifugio spontaneo. Non è che avessi
trovato, come speravo, una caverna od un ombrello della natura, ma il riparo
servì ugualmente a proteggere la testa e le spalle dalla pioggia battente. Il che mi
consentì di fermarmi e riflettere su alcuni suoni strani e su altre cose che, altrimenti non avrei mai notato. Infatti, ebbi cura di osservare meglio le ruvide pareti
rocciose del luogo. Erano pietre ricche di segni che raccontavano i milioni di anni
di storia evolutiva della natura. E sicuramente ancor prima della nascita dell’alfabeto esse già scrivevano le tante vicende della vita. Ora poi i rivoli di acqua piovana sembravano inchiostrare i solchi corrosi mettendo in risalto i segni dei
tempi. Ecco, lì deve esserci stata l’onda e tanti anni addietro in quel punto arrivava l’alta marea: quelle altre erano gli scogli di chissà quale paesaggio costiero,
ancor privo di manufatti e di presenze umane. E mi sembrava di ricordare di aver
visto tutto intorno alla collina un anello di croste simili, resti di sabbia e qualche
fossile. Cinque milioni di anni fa quel promontorio sulla campagna laziale era
stato un isolotto insieme alle poche terre emerse, divenute poi le colline circostanti. Mi concentrai per immaginare la scena enormemente lontana nel tempo.
84
ROSA D’EGITTO
Pfiùuuh! Che sforzo, mi dissi, pur avendo percepito delle mutevoli sensazioni. E
rabbrividii sentendomi solo tra la natura grezza e selvaggia.
Dietro di me sentii una sferzata d’aria umida e soffocante, allora mi sovvenni
che la lesione che perforava il terreno passava giusto appunto anche sotto i miei
piedi. Quell’improvviso soffio che mi assaliva per la seconda volta, doveva essere il respiro profondo delle viscere della terra. Ci fu un rigurgito improvviso e vidi
la pioggia incunearsi tra le crepe di pietra. Capii di trovarmi sullo sfiatatoio solforoso. Ma tutto ciò non bastò a frenare la mia sorpresa che già un urlo lacerante incalzava i sussulti di sgomento a catena. Però, proveniva dall’altra parte, più
in basso. Colto di soprassalto, sull’istante pensai a qualche richiesta di aiuto e
accorsi veloce, agitandomi sotto la pioggia, indifferente alle sferzate del vento e
dei rovi. Finché, arrivai su una piccola altura e vidi, poco più sotto, un uomo nudo
che barcollava sul ciglio di un abbeveratoio. Faceva l’acrobata camminando in
punta di piedi e urlando tanto brutalmente, che sembrava stesse ributtando l’anima fuori dalla sua sagoma corporea.
Poi, si distese supino sul bordo circolare.
Stetti a guardarlo per un po’ in quel suo strano rito che sembrava un inno alla
pioggia. Né mi mossi da dove ero nascosto perché vidi più lontano un capannello
di cineasti ed ebbi il dubbio che si stesse girando la scena di un film che aveva lui
quale protagonista nelle vesti di un selvaggio...”
Caspita! Qui si tratta ancora di Viking! Perfetto: sono sulla strada buona per
afferrare la dinamica dei fatti accaduti. Anche il temporale deve essere lo stesso
descritto nel quaderno precedente. Però! Che coincidenze: Viking ne parla e c’é
uno che imperversa davvero qui fuori. Ne riparla Capocroce e il temporale finisce.
Vacci a capire qualcosa! Anche se: più aumenta il numero delle connessioni e più
si può immaginare l’intreccio nella sua dimensione volumetrica. Di che? Ma del
mistero, perbacco!
“...Infatti, nella vallata sottostante restavano tuttora accese le torce elettriche
che fendevano la nebbiolina della pioggia sottile, mentre un folto numero di comparse correva da una parte e all’altra del campo. Nel frattempo, una figura femminile avvolta in un asciugamano color rosa si avvicinava al guerriero urlante,
che sembrava appagato da chissà cosa, mentre si estasiava rivolto verso il cielo,
lentamente schiaritosi nella cornice dell’arcobaleno.
La scena era simpatica e sarei rimasto volentieri ad osservarne il seguito, ma
il pensiero di vanificare la riuscita delle riprese cinematografiche con la mia presenza inopportuna mi costrinse ad allontanarmi al più presto. Perciò mi scostai
dal luogo e ritornai a casa, così come ero conciato: fradicio come uno straccio.
Quella sera stessa incrociai per le strade i cineasti della carovana e tra loro
riconobbi l’uomo dagli urli selvaggi. Diventammo amici e prendemmo un caffè al
bar confrontando le nostre opinioni sul film che si stava girando. E, ancora dopo
alcuni anni, lo difesi in un processo di rapina. Viking sei pur sempre un simpaticone...”
Simpaticone? Capocroce chiama Viking simpaticone? Bene: se chiude con un
saluto inequivocabile di confidenza, vuol dire che ciascuno conosce l’altro. Ormai
85
GERARDO LO RUSSO
sembra assodato: lo scalpellino bottegaio, 453, Viking e Capocroce sono gli anelli della stessa catena. Ma c’era una novità emergente che toccava soppesare in
modo adeguato: il luogo.
A che pro tanti eventi si sono verificati sulla stessa collina? Sarà la frenesia di
trovare una soluzione attendibile, ma qualcosa mi dice che l’indizio non è da trascurare. Intanto registravo: fenditure, sfiatatoi e cunicoli sotterranei; antiche sette e
tribù di pastori; sogni e sottintesi e più carne mettevo a cuocere, più non riuscivo a
digerirne nemmeno l’odore. Il rigurgito del panico poi, tappava ogni velleità chiarificatrice. Invece, che nella luce mi sentivo ripiombare negli abissi dell’oscurità.
Eppure, come in un banale racconto giallo, la verità deve venire a galla.
Il Magistrato d’assalto
Avrei avuto bisogno di una lunga pausa di riflessione, o meglio ancora, di una
vacanza mentale, ma il bisogno di accelerare la ricerca, mi costrinse a curiosare
subito nel quaderno successivo. Di nuovo a matita, un avvertimento:
“Chi la strada prende e non ne è degno, la strada lasci e se ne torni.”
O mamma mia! L’icastico Vecchio quanto rompe: troppo facile tenere questo
tono cattedratico senza vivere dal dentro e dal vivo le questioni! Bah! Intanto,
vediamo di che si tratta.
“Ravviserai, mio caro amico, quanto è difficile governare te stesso, figurati le
cose del mondo. Non lascio detto ciò per demoralizzarti, al contrario: che ti sia
utile per scrutare le diverse sfaccettature della realtà. Vedi: finora si è parlato
tanto d’amore, troppo di numeri, ma come si fa ad afferrare l’essenza della vita...
l’anima umana? Tutto ciò che cerchi: amore, ricchezza, bellezza sta lì dentro. Tu
diresti che troppe altre questioni aggravano il comune sentire: l’odio, la povertà,
la bruttezza e tutti i contrari della bontà. Questo è vero, ma è vero anche il contrario: una parte di cose le accettiamo più di altre. Dunque, ogni verità contiene
intrinsecamente più verità possibili. Ecco dove si può trovare la differenza.
Facciamo un esempio.
Ti interessa davvero, sapere quale di essa stai cercando in questa storia? Quale
è il comune denominatore che muove i suoi protagonisti? Uno è il vile denaro.
L’altro è l’amore. Vogliamo aggiungere il desiderio di potere, la conquista del
bello, il fascino della scoperta, e così di seguito? Siamo, chi più chi meno, tutti
portatori di ambizioni simili; c’è però chi ne coltiva maggiormente una, e chi
altre. Tu, quale tesoro preferiresti trovare: quello ideale, ovvero l’amore dei tuoi
sogni, o quello reale:il vile ma potente denaro? Guardiamoci in faccia, anzi guardati allo specchio per un lungo tempo e parlati, parlati senza bluffare con te stesso. Ecco, scoprirai ciò che vuoi e lo troverai. Il comune denominatore di questa
avventura non può prescindere da ciò che hai dentro di te.”
Grazie, signor Taldei Tali. Grazie, per questa ennesima predica quotidiana,
anche se comincio ad averne piene le tasche. Così come sei solerte nel pontificare magistralmente, potresti anche essere un poco più generoso, non ti pare? Non
faresti meglio, per esempio a chiarire come stanno le cose? Ho bisogno di qualcu86
ROSA D’EGITTO
no solidale che mi soccorra per trovare la soluzione degli enigmi, io! E non di chi
si gode lo spettacolo standosene comodamente dietro le quinte, inventandone altri
ancora e propinandomeli beffardamente sulla scena con fare sadico! O vuoi che
soccomba prima che l’avventura finisca?
E mi chiedevo: perché meditare su me stesso per ottenere una risposta alle tante
domande? Cos’altro dovevo chiedermi? Come al solito, alla prima nota a matita
ne seguiva una seconda, consequenziale al tipo di percezioni che stavo accumulando. Taldei Tali aveva previsto sempre tutto; infatti, precisava che era giunto il
momento di guardarsi dentro ed accettarsi per quello che si è, nel bene e nel male.
Vedi la figura del personaggio che segue.
Giusto appunto, la firma del testo registrava quanto avevo già previsto anch’io,
ahàhahah: era del magistrato che mi stava inquisendo! Quindi, anche lui sapeva
della mansarda e doveva aver acquisito le mie stesse informazioni. Anche lui era
parte integrante di quello strano ambiente. Ma, allora: perché stava contestando a
me le presunte frequentazioni con gli assassini di Viking? O, forse, faceva il doppio gioco?
Inoltre: lui stava cercando che cosa? L’ipotetico tesoro accumulato da Viking
certamente doveva essere cospicuo... si trattava di una corsa a chi arrivava primo?
A Viking era bastata l’astuzia di giocare in più lotterie per raggranellare un capitale ingente. Così pareva finora, fortuna o formula matematica a parte.
Viceversa, a noi si presentava uno scenario in cui ci toccava mettere in moto
l’intelligenza. Infatti, solo la capacità di sviluppare la base delle teorie matematiche di 453 avrebbe consentito di decodificare il segreto bancario!Tutto sarebbe
stato legale, pulito e finanche divertente. Ma c’era un’altra evidenza che arrovellava il cervello. Perché trascurare l’ipotesi che il tesoro bancario fosse niente
rispetto alla fantomatica previsione degli eventi? La previsione degli eventi?
Ovvero, il futuro della vita a portata di mano? Altro che vile danaro!
Cribbio! Questa sì che può essere la scoperta del secolo. Qualcosa che rivoluziona il mondo! Nella mente andava lievitando una considerazione che terremotava la scatola cranica del cervello e la fucina del pensiero: ora, potevo essere io il
superfortunato! Ero entrato in amicizia con il genio matematico che l’aveva inventata; con le sue informazioni e con l’aiuto del computer sarei potuto risalire alla
formula magica. Evviva! mi dicevo. Il potere è potere, altro che futili sentimenti
di gioventù!
Aprii la seconda pagina nella speranza di scoprire quali fossero le intenzioni del
magistrato. Poiché avevo captato qualche ambiguità nel suo modo di apparire e
sparire dalla scena. Da che parte stava veramente?
“...Scrivo come spinto forzatamente dalla consuetudine, quasi per sentirmi uno
uguale agli altri. Anche se non lo sono e mai potrei esserlo. Ma questa esperienza a chi potrà mai tornare utile? Anch’io ho cercato amore, anch’io ho guadagnato denaro, anch’io ho vissuto il successo. Ma la convulsa ricerca non so in che
direzione stia andando. Spesso, la passione per saperne di più mi porta lontano
nel tempo e nello spazio. Ogni volta che interpreto una coscienza umana, mi trasformo nella vita vissuta dei malcapitati protagonisti. Non sanno, poveri loro, del87
GERARDO LO RUSSO
l’enorme ricchezza che mi stanno offrendo su d’un piatto d’argento. Vengono ansimanti e disperati per chiedere aiuto in nome della legge e sono pronti a pagare in
danaro o in altra natura, pur di allontanare dalla loro mente lo spettro dell’impotenza e del nulla. Preoccupazioni esistenziali spesso ridicole, oltre che effimere.
La legge impone di difendersi sempre, per non passare dalla parte del torto, si
dice; ed ecco che: anche le sciocchezze diventano macigni pesanti come le montagne. Sapeste che anomalia di vita conduce un giudice che deve subire ed incentivare le mille ed una contrapposizioni, per far vincere una parte. Ecco: l’unica
cosa che conta. Dare regole: questo è bianco, quello è nero!
Nel mezzo sta la virtù e la verità è la virtù.
Ed invece, ad un certo punto della vita, quando il sogno deve mettersi da parte
per lasciare spazio alle contingenze reali, ho dovuto prendere atto che conta solo
la retorica, il mestiere di valere con l’uso della parola. E il giudice, come si può
sentire un giudice che deve fare i conti solo con la capacità probatoria dell’avvocato di turno? Quante volte ci si trova davanti ad un imputato che è dalla parte
del giusto, ma non produce le prove richieste e, viceversa? Vince chi è più organizzato ed in linea con le regole amministrative, questa è la giustizia.
Conseguentemente, vince chi è più forte legalmente parlando. L’arte della dialettica, che dovrebbe consentire la ricerca del vero è confinata a ristretti ambiti del
collezionismo della conoscenza. Non è certo quello dei fori giudiziari, impegnato
coi mezzi e mezzucci tecnici e burocratici a dartene la possibilità. Troppe problematiche che afferiscono al mistero stesso della vita vengono azzerate dal dibattito per esigenze di copione, perché il sistema deve correre e produrre, cosicché
pare che non ci sia mai tempo di conoscere il vero.
Il masochista chiede al sadico: fammi male e il sadico risponde: no! Così è la
barzelletta della giustizia. Se ho commesso errori, dammene una prova tangibile;
e invece, non si comminano sanzioni per il trionfo della verità, ma per colmare dei
vuoti del potere legislativo e contrattuale della società umana. In tre parole: tutto
è relativo. Sono le circostanze ed i contesti a determinare il trend della legalità,
non certamente l’analisi del moto interiore dell’individuo. Mai che si offra un
dibattito espressivo, fecondo di intime emozioni, utili a carpire davvero l’animo
umano e la verità che esso contiene.
Ed allora?
Ad un certo punto della vita, una frustata glaciale tocca il fondo della sensibilità e fa scattare l’allarme. Basta con l’utopia della bellezza dei sentimenti,
meglio interpretare la dicotomia costante della vita dell’uomo, come la notte ed
il giorno lo sono per lo svolgimento fisiologico della natura. Così mi sono imposto di fondere la luce del sole e l’ombra della notte, lo splendore della verità e
lo spettacolo della finzione, la grandezza della materia e l’ebbrezza dello spirito. Cerco la verità nella totalità dell’essenza. E mi chiedo, per esempio: perché
a me che piace cantare, a malapena è concesso di emettere dei gracili suoni di
sorda espressività? La gente ride e gode di tutto, lasciandosi passare davanti al
muso verità solenni sul magistero della vita, senza badare minimamente di
volerne comprendere neppure una parte infinitesimale. E piange e poi ride.
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ROSA D’EGITTO
Così, senza timore e senza pudore. Invece, io mi trovo ineluttabilmente destinato ad interpretare le figure umane che compaiono davanti, subendone il fascino,
finanche del più disadattato degli accusati, senza trovare mai pace in me stesso! Prevale lo spettacolo multiplo delle maschere che fecondano l’immaginazione, maschere che non danno requie e che ci ricordano che tutto è un’illusione,
come un carnevale perpetuo. Perciò, ho bisogno di congiungermi, di trasformarmi e di contaminarmi con le realtà con le quali vengo quotidianamente a
contatto. Così partecipo alla vita e vivo anch’io!”
Toh! Che venature problematiche dovevano capitarmi di leggere! Non si direbbe il suo ritratto esistenziale, anzi: quando, scrive è un’altra persona. È finanche
tagliente, anche se ritorce su sé stesso la sferza.
Presi nota di un improvviso mutamento di gestualità che aveva accompagnato
la mano nel tracciare segni e parole. Ora la grafia era diventata nervosa, pesante
ed irrequieta. Sicuramente doveva essere stata prodotta qualche tempo dopo.
Molto dopo. Comunque, anch’egli parla troppo di sé e non dà spunti utili per concludere la faccenda che mi riguarda. Per esempio: perché nessuno accenna a ciò
che ha letto nei quaderni precedenti? A meno che queste pagine non siano strumenti per ingenerare confusione, piuttosto che aiutare a chiarire.
Vediamo il seguito.
“...Sono tornato per torturarmi da solo? Forse. Se almeno sapessi il perché mi
trovo associato in questa rocambolesca faccenda, me lo risparmierei. Una cosa è
certa: sta avvenendo una radicale trasformazione nella mia vita. Sentite il resto,
che l’attività in magistratura ha reso ancor più probante.
Il fatto è che dopo un’infanzia incosciente, tutta dedicata al bello ed al bene, ho
scoperto l’altra faccia della medaglia; finalmente, dico oggi! Così il sospetto
tiranno, memore dell’esperienza vissuta, mi accompagna dovunque. Ogni volta
che affronto un dibattito giuridico complesso, visito premeditatamente qualche
chiesa per trarre gli auspici dalla contemplazione dei marmi parietali.
Ah, che dionisiaca visione mi sovviene tuttora!
Stavo in piedi tra la calca di gente assistendo alle esequie religiose di una persona appena scomparsa. Il solito andamento mesto, misto a commozione che aleggiava nel vuoto circostante. Ma una figura si distingueva su tutte le teste chine o
in preghiera. Era una ragazza dal collo lungo e dai capelli sciolti e nerastri. Il
volto verso l’alto, ispirata da qualche figurazione che non ero io, pur se pareva
guardasse proprio verso la mia parte. Più la ammiravo e più ne ero attratto follemente. Che fare? Feci dei cenni, ma non rispondeva. Era candida e luminosa nel
viso e spalancava gli occhioni come se fosse rapita da qualche miraggio impossibile. Ero ancora timido come un ragazzino, perciò mi mossi con discrezione dietro la fila di gente ed andai a posizionarmi giusto alle sue spalle. Cercai di capire cosa stesse osservando o cosa le stesse accadendo, ma non vidi più di quello
che tutti potevano normalmente vedere. Gente tanta, colonne e decorazioni dappertutto, qualche finestrone sotto la volta. Non capivo, ma la ragazza splendida e
conturbante rimase nella mente per sempre. Un giorno decisi di sapere chi fosse,
ma agendo nell’ombra. Perciò la seguii, mentre usciva di casa.
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GERARDO LO RUSSO
Doveva essere una giovane madre, poiché conduceva una carrozzina con una
piccola creatura. Aveva belle gambe, corpo attraente e un passo moderatamente
veloce. D’un tratto virò sotto le colonne del Pantheon e vi si intrufolò dentro.
Avevo timore che mi potesse riconoscere, perciò entrai mischiato ad un gruppo di
turisti. La seguivo mentre si fermava lungo il perimetro della pavimentazione marmorea. Osservava ora alcune pareti, ora altre, mentre respirava con un affanno
improvviso. Poi spostava di poco la carrozzina e guardava intensamente verso la
cappella e sopra l’altare centrale. Respirava malamente e quasi nascondeva gli
occhi con le mani per evitare il forte impatto della vista. Ma che cosa stava osservando? A giudicare dalla inquadratura degli occhi, non potevano essere le sculture, né i quadri o gli affreschi. Semmai, questo genere di cose d’arte erano l’attrazione dominante delle genti comuni, quelli che visitavano il monumento con
tanto di guida e di opuscoli in mano.
Lei era diversa.
Era unica.
Contemplai a lungo anch’io le pareti che stava fissando lei e, finalmente, scoprii qualcosa di sensazionale. Lastre di antichi marmi che decoravano le mura
circolari del Pantheon avevano il dono della vita. Un mondo magico di figure
antropomorfe e zoomorfe emetteva una pienezza di vitalità invisibile ai più. Fui
attratto fatalmente da quelle figurazioni bizzarre che sortivano fuori, lente e incisive dalle superfici trasparenti e profonde. Altro che le rappresentazioni sugli altari! Marmi di giallo e di rosso antico o di verde scuro o di statuario venato; marmi
che non parlavano, né ridevano, ma che avevano occhi, bocca, orecchie, braccia,
mani e piedi. Ma era anche vero l’opposto: non v’era corpo, non v’era carne, ma
quelle entità parlavano, ascoltavano, ridevano, piangevano, prevedevano, si
addoloravano, pensavano, riposavano, dimenticavano e si ricordavano.
Era straordinario osservare quante figure impossibili e apocalittiche apparivano tutto intorno e perfino sui riquadri del pavimento. Ma nessuno li degnava di
uno sguardo. Finalmente, sentivo di percepire un mondo esclusivo della natura
che la sagace concezione di qualche autore senza nome aveva piazzato come
corollario delle opere cosiddette d’arte. Strano a dirsi, ma le decine di cavalieri e
di figure visionarie parlavano molto di più di quelle vicine e appariscenti e decantate come capolavori d’epoca.
Osservavo stupito come i turisti girassero intorno alle cappelle ed indicavano ora
questa scultura, ora quella altra pittura e mai avevano l’arguzia o l’intelligenza di
soffermarsi sulle forme grottesche, che era luce profonda per gli occhi della mia
mente. Godevo estasiato del fatto che esse parlavano solo a me, invece che alla folla
dei visitatori e conferivano la necessaria ispirazione per carpire i modi di vedere più
dentro le cose.
Era una rivelazione sottile.
D’improvviso, mi sovvenni che ero lì per la stupenda ragazza madre e la cercai, ma non riuscivo a vederla. Possibile che fosse sparita così in fretta e furia?
Mossi qualche passo e rimasi di stucco ed estasiato dalla visione che forse ha
segnato la mia vita. Dietro la colonna di una cappella, lei aveva bloccato la car90
ROSA D’EGITTO
rozzina con una gamba posizionata in una posa lasciva e sensuale. Si vedeva solo
la sua coscia candida, l’offerta carnale, mentre il resto della figura era nascosta
dietro il fusto di marmo. Pensai che potesse aver avuto qualche problema, perciò
timidamente mi stavo avvicinando con moto lento ed inosservato. Per fortuna, non
mi accostai troppo, altrimenti avrei vanificato l’incanto della natura. Nessuno
tranne me assistette alla terrifica ed esplosiva perdizione dei sensi. Stava flessuosa, libera e sciolta, addossata con le spalle al retro della colonna, mentre il resto
del corpo dondolava abbandonato a sé stesso. Tuttavia, le braccia e le mani delicatamente s’erano insinuate sotto le pieghe del sottile tessuto. Chissà con quali di
quelle figure visionarie si era incarnata in un sogno senza fine. Ma la goduria violenta della scena scelse di evidenziarsi con una fluida goccia, che le scivolava
sulla bianca coscia sinistra e si lasciava dietro un rivolo di scia luminosa e perversa, prova dell’immenso piacere sconosciuto. Ebbi un nodo in gola ed un impulso violento di desiderio, che repressi comunque. Poi mi allontanai di corsa, per
evitarle qualsiasi imbarazzo. Ero atterrito dalla potenza violenta dei sensi, ma il
peggio doveva ancora venire.”
Perbacco, che scena e in che posto!
Feci un balzo sulla sedia: cos’altro doveva accadere di tanto travolgente? Nelle
ultime righe l’identità complessa del magistrato iniziava a prendere forma. Amava
così intensamente quella giovane madre, però scappava lontano da lei. Era come
se stesse rinnegando i suoi sentimenti, sé stesso. La forza della passione che uccide l’amore! Un tipo che stimolava apprensione, al di là dei sorrisi rassicuranti. E
infatti, continuava...
“...Stavo uscendo stravolto dal Pantheon, quando incrociai uno sguardo assatanato, una specie di mostro con gli occhi di fuoco e una vistosa capigliatura a criniera. Spintonava tutti e correva a testa alta. Aveva avvistata la preda, e s’agitava
per piombarle addosso come un falco. A malapena riuscii a seguire la scena,
nascosto tra la gente che aveva il naso all’insù e che di niente si avvide. Ma dietro
la colonna, la carrozzina aveva iniziato una frenetica danza, dondolandosi allo
stesso ritmo dei corpi abbrancati. Gli artigli di lui erano penetrati dentro la carne
di lei, tanto tenera quanto fatale. Aveva ucciso tutti i miei sogni. Sull’avambraccio
dell’aitante personaggio notai un tatuaggio che non svanisce mai dalla memoria.”
Viking, suppongo! mi dissi sbalordito. Eccolo, ancora lui. Compare e scompare come un sogno irrequieto. Riflettei allarmato di sapere dell’altro ancor peggio
a giudicare dal tono dello scrivente. Comunque, il ricordo del morto ammazzato
traumatizzava la lettura. Il gioco si faceva pesante. Tuttavia, dopo lunghi sospiri...
“...Percepii l’annichilimento dei sensi, misto allo spappolarsi del cervello: che
fare atterrito e impotente?
Non seppi chi lei fosse, né la cercai mai più. D’altronde, non c’entravo affatto
con quel suo mondo d’essere sconvolgente. Però, qualcosa di grande me lo aveva
insegnato; qualcosa di straordinario. Come la gente non vede i messaggi dell’arte della natura, così non riesce ad interpretare i bagliori della verità dentro l’essenza della persona. Così doveva essere per i sentimenti e per le emozioni. E’ la
passione che travaglia l’animo umano, travolge l’ordine e le regole, e riporta la
91
GERARDO LO RUSSO
vita all’originario stato di caos. Con essa si viaggia all’indietro fino alla confusione totale che fa commettere i più efferati e spropositati delitti. L’ho imparato
dai pazzi. Eppure: cosa c’è di più nobile che ammettere di agire per passione?...
Lo giustificherei in nome della naturalità della vita. Invece, sono qui, anello di
una misteriosa catena, che mi lega per legge a chi legge e che mai avrei voluto
incontrare...
Che mistero è la vita!
E allora: se la sfida è grottesca, d’ora in poi interpreterò qualsiasi verdetto
specchiandomi nei fantasmi del bene e del male. Ora questo, ora quello. Chissà
che non mi aiutino a carpire l’enigma che mi tiene in vita.”
Ohi, ohi! Siamo ai toni minacciosi!
Così interpretavo la testimonianza del magistrato e debbo dire che la sua verità
stava sovvertendo l’indirizzo della storia. Improvvisamente, subentravano aspetti
tenuti in disparte. Non ero solito inoltrarmi nelle inquietudini degli altri, perciò la
cosa ora mi rendeva maggiormente sofferente. Tuttavia, dovevo indagare a fondo
in tutte le direzioni, altrimenti il panorama sarebbe stato incompleto. E l’indagine
monca.
Mi era venuto un groppo in gola e già percepivo nefasti presagi.
Cosa volevano significare quei presupposti di sfida? Disamore, vendetta o fragilità dell’essere umano?
Ma in cuor mio speravo che la storia non volgesse ad un finale macchiato da tragici risvolti.
Per fortuna era stato sommariamente conciso nello scrivere; cosicché, decisi di
liberarmene mentalmente e di passare tosto al resto da leggere.
Fontane e Leoni
Ok! mi dissi e tentavo di rasserenarmi. Adesso so che il magistrato conosce
Viking e il suo entourage delinquenziale; ciò potrebbe significare una maggiore
garanzia, qualora dovessi essere obbligato a difendermi da accuse infamanti ed
inconsistenti. Anche se resta da chiarire ancora lo strano intreccio tra lui, Viking e
Capocroce. Scommetto che i processi ai quali faceva riferimento lo scrivente poco
prima, sono gli stessi in cui il senatore assisteva Viking. Verificherò la circostanza. Ma c’erano dei flash della vita di quest’ultimo avvenuti sotto gli occhi degli
altri due che stupefacevano parecchio. Concomitanze casuali, coincidenze cronologiche e logistiche che non illuminavano più di tanto, ma... Perché, mentre Viking
urlava alla vita, invocando la visione della fanciulla, Capocroce si trovava ad
osservarlo poco lontano? E, a pensarci bene: quella collina era stata all’origine
pure delle mie fantastiche percezioni. Lo stesso sfiatatoio dove il senatore s’era
riparato dalla pioggia non poteva non essere che l’antro della mia salvezza. In
mente ricomparve la figura della ragazza che mi aveva incantato. Toccai il sigillo
come per chiederle aiuto totale, ma sarebbe bastato che mi avesse offerto anche un
minimo suggerimento per capire… Perché gli avvenimenti erano accaduti nello
stesso spazio, pur se in tempi differenziati?
92
ROSA D’EGITTO
O la collina era stregata? Ah, il fascino è la magia!
Calcolavo le probabilità che potesse esistere una creatura femminile capace di
trasformarsi: ora in una musa muta d’aspetto; poi in una figliola affettuosa… fino
ad apparire a me stesso in una incantevole immagine silvestre.
Ma, quantunque cercassi di spiegare l’intreccio con una analisi verosimile della
realtà, comprensiva perfino delle furbesche trovate illusorie di qualche mago da
strapazzo, persisteva il mistero dei sogni. Il genio matematico era rimasto infatuato da Nome e Cognome e 453!; Viking, aveva subito il fascino della giovane attrice; Capocroce della dotta e sapiente pastora; ed io... chissà?
Il comune denominatore non erano le apparizioni della figura femminile in se
stessa, bensì lo stato di bisogno o di trance o di una qualche alterazione percettiva
dei sensi. Ecco, mi dissi: adesso cominciamo a ragionare!
Dunque: sto trovando l’anello di congiunzione?
D’altronde, una cosa appare certa: non esiste da nessuna parte un essere umano
che campa decine d’anni e si trasforma mantenendosi sempre giovane ed attraente. Viceversa, poteva trattarsi più d’una figura femminile che scorrazzava per i dintorni.
Ammesso che non si tratti di un’idea di donna.
Qualcosa che naviga nell’etere e viene recepita da chi ha le antenne posizionate in un certa direzione...o che subisce uno stato percettivo paranormale. In tal caso
mi sentivo ben accompagnato nell’avventura. Magra consolazione, purtroppo!
Ma era pur sempre un’idea, che azzerava il sentimento della gelosia. Ottima,
questa! aggiunsi auto ironicamente. Mi accorgevo, infatti, che il desiderio di conoscere la sequenza degli avvenimenti incalzava in modo prioritario rispetto a qualsiasi altra forte emozione. In una parola sola, stavo diventando forse disumano o,
almeno un po’ più saggio; comunque, più libero e leggero.
Diversa invece, appariva la figura femminile del Pantheon: era carnosa, materica e passionale. Viking la possedette, ma il magistrato ne fu indelebilmente attratto. Verrebbe quasi da pensare che ciascuno si costruisce i propri simboli di identificazione in base alle esperienze maturate nei momenti di forte concentrazione
sugli stessi. E’ come se ognuno si auto disegnasse il marchio distintivo con i tratti salienti delle esperienze vissute.
Mi venne voglia di andare a bere qualcosa di caldo. Adocchiai se, giù per le
scale e per la strada, ci fosse stato qualcuno ad attendermi, ma tutto parve tranquillizzante a quella ora di notte. Rimasi del tempo a rilassarmi in Piazza del Popolo
e mi avvicinai intuitivamente all’obelisco centrale. I pochi scalini e le quattro fontane che ornavano il perimetro della base su cui era collocato il maestoso e granitico pennacchio egizio erano deserti. Solo lo scrosciante getto delle quattro fontane e il rumore delle auto in corsa ravvivavano l’atmosfera, altrimenti dormiente.
Provai a cavalcare una delle sculture leonine che vomitavano acqua. ma erano
ancora bagnate dalla pioggia del temporale, perciò iniziai ad asciugare le superfici marmoree. La cosa fu più complessa di quanto pensassi, perché presentavano
incavi profondi nelle scritte scavate dai soliti ignoti, autori di variopinti messaggi
di amore e di altro.
93
GERARDO LO RUSSO
Caspita! Quante incisioni! Che non avevo mai notato prima di allora.
Alcune erano consunte da tempo, altre rimaneggiate, Mentre le più recenti risultavano in buona evidenza. Dalla grafia si poteva dedurre la distanza temporale tra
un messaggio e l’altro: secoli di differenza. Mi avvicinai alle fontane poste sui
quattro angoli della piattaforma e scoprii che la cosa si ripeteva. Utilizzando in
modo intenzionale i supporti di marmo, chiunque avrebbe potuto trascrivere la storia personale, senza che i passanti ne comprendessero il senso. Bastava confondere il percorso dei segni tra quelli dei soliti ignoti e conferire alle scritte una sequenza narrativa. Altro che messaggi telematici ed eterei che durano il tempo che trovano: qualsiasi maniaco avrebbe immortalato sé stesso con un po’ di pazienza,
inserendo la trama della propria vita sotto i geroglifici dell’obelisco. Un libro aperto con quattro capitoli, posto in una piazza centrale del mondo, illeggibile alla
massa di adesso, ma non al mondo dei posteri!
Per la miseria, come a volte una banale intuizione può sfidare il tempo più di
qualsivoglia progettazione complessa! E vidi come gli stessi leoni avessero una
discreta somiglianza con le sfingi situate sui muri della piazza. Anzi, se la memoria non mi inganna, queste ultime simboleggiano la diversa natura della vita: quella terrena, quella acquatica, quella dell’aria e quella del fuoco.
Ricordarlo era facile poiché mi ero svezzato a curiosare tra i file dei simboli
visivi antichi e moderni all’inizio di questa avventura, appena pochi giorni addietro. Dunque: qui ci sono quattro forme leonine come i quattro elementi della natura terrestre, che potrebbero significare...
Supposizioni? ma supposizioni che potevano essermi d’aiuto ad interpretare la
frase della quarta medaglia, quella in dotazione del magistrato, che si stava rivelando una sfinge in carne ed ossa.
Ed ora ero nello stesso luogo dell’assassinio di Viking, perché?
Cominciai ad impazzire girando da una scultura all’altra, cercando segni improbabili per spiegarmi chissà cosa della mia storia, ma non riuscii a scoprire niente
di interessante. Solo banalità: cuoricini, frasi di circostanza, nomi e cognomi e date
che segnai sull’agenda. Ecco, attenzione ai numeri, mi dissi. Chissà perché erano
divenuti primariamente tanto importanti?
Ormai rinfrescato e rilassato ritornai nella mansarda.
Il prossimo autore era niente meno che lo scalpellino.
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CAPITOLO QUINTO
Il Buon Parolaio
Che si presentava come un cronista raffinato dei fatti salienti appuntati in alterni momenti. L’inchiostro, infatti, non era lo stesso.
“...Mi venne a cercare un Vecchio con barba e cappuccio e si presentò come il
pastore Taldei Tali.
- Pastore di che? - gli chiesi, non sembrandomi affatto un lavoratore delle campagne locali.
- Pastore di anime - rispose.
In mano aveva una pietra denominata “Rosa del Deserto” con sette sporgenze
vistose come petali. Mi chiese se fossi stato in grado di separare le sette protuberanze e farne altrettante piccole placche a forma di ciondoli. Tentennai nel dirgli
di sì, perché non avevo mai fatto un lavoro del genere. Allora, soggiunse che si
trattava di uno stato cristallino granulare, che solo la mano di un vero maestro
poteva trasformare in un’opera d’arte. Nel tempo, già la natura vi aveva provveduto sopra trasformando il calcio in cristallo con l’agente dell’acido solforico.
Ora toccava a me azionare un ulteriore processo di trasformazione. La cosa mi
emozionò parecchio, vuoi per il tono di voce suadente, vuoi perché proveniva da
un autentico esperto in materia alchemica. Perciò accettai di fare la prova. Mi
presentò una minuta pergamena su cui era disegnato una specie di fiore composto da quattro semiellittiche laterali ed una spirale al centro: un motivo che ricalcava un fiore in versione bidimensionale, pensai. Sulla prima placca mi chiese di
sistemare dei geroglifici mai visti, di cui mi pregò di inciderne alcuni in profondità ed altri appena in superficie. Mi spiegò che era importante la quantità di passaggio di luce per leggere in trasparenza il messaggio scritto.
Sperimentai la validità della cosa appena qualche giorno dopo. Funzionava a
meraviglia. I raggi solari trapassavano il sottile diaframma di pietra, poiché meno
spessore materico corrispondeva a maggiore passaggio di luce. Ed infatti, in quei
punti scavati in profondità si poteva leggere in buona evidenza la scritta rosata e
trasparente: “...che pure si evince…”
Attesi per giorni e giorni che il Vecchio si rifacesse vivo, e nel frattempo studiavo il significato di quella frase. Sapevo alcune cose sui simboli che hanno un valore particolare solo per gli addetti, ma la curiosità mi stimolava a studiarli più da
vicino.
Fu una grande scoperta per un autodidatta dell’arte come ero allora. Infatti, la
Venere di Milo o l’Apollo del Belvedere acquisivano molteplici e diversi significa95
GERARDO LO RUSSO
ti. Non si trattava più di simboli unicamente di carattere estetico e formale, ma vi
intravedevo i percorsi filosofici e l’idea che era a monte, prima ancora che vi trovassi l’apice espressivo nell’applicazione dell’arte visuale. Insomma: da semplice
scalpellino quale ero, più mi documentavo sulle origini dei canoni, più mi arricchivo nella comprensione del pensiero evolutivo dell’essere umano. Simboli, racconti, favole, archetipi, miti o dei si assemblavano in tante nicchie della mente,
che diveniva una sorta di Olimpo multimediale.
Detta così, sembra una cosa da poco. Ma solamente per chi non sa quanto sia
disagevole spiaccicare parole azzardate su argomenti noti davanti agli esperti.
Allora mi diedi da fare, finché acquisii un vero e proprio piacere nel dialogare con
i visitatori dell’atelier. Una cosa che nobilitava il lavoro delle braccia e mi rivalutava all’occhio dei collezionisti di oggetti marmorei. Infatti, la stima aumentava
visibilmente e spesso sentivo darmi del “Maestro”, come se fossi divenuto improvvisamente un artista di fama. Un vero Maestro si evince dal comportamento che
tiene nella vita; dall’esempio, prima di tutto, non certo dalla pedanteria del vocabolario che usa. La cosa imbarazzava non poco, comunque provai a calarmi in
quel titolo che scoprivo sempre più impegnativo e progressivamente tentai di
esserne degno.
Così, preso dall’entusiasmo, aprii nel retrobottega un piccolo, ma attivissimo
cenacolo dove a sera tardi ci incontravamo tra appassionati della compagnia. Per
ore speculavamo su quanto poteva sembrare opportuno al momento. Non demmo
mai un nome od un’etichetta ai nostri incontri. Ci vedevamo da me, punto e basta.
Dopo qualche tempo ripassò il vegliardo scusandosi per l’enorme ritardo.
Disse con poche parole che era solito trovarsi in giro per il mondo e chiese se
avessi ancora i sette pezzi di pietra. Per fortuna, li avevo ben conservati e glieli
mostrai. Guardò attentamente quello su cui avevo inciso la scritta e si complimentò per l’efficacia del risultato. Pretese che lo traforassi per agganciarlo ad una
catena, dopodiché appese l’improvvisato ciondolo al mio collo.
- Ottimo! - disse - Accettalo come scusante del ritardo. Questo dono ti aiuterà
a realizzare i tuoi sogni Lo guardavo più che mai stupito: nella voce aveva non saprei dire cosa di
misterioso e di profondo, mentre i suoi occhi scintillavano come due minuscoli fari
di una impercettibile potenza.
Mise sul banco la somma pattuita per il lavoro e sparì, lasciandomi di stucco.
Allora avevo tanta energia e voglia di fare, perciò presi il fatto accaduto come un
segno propiziatore per la buona riuscita del lavoro. Ed infatti, non ebbi mai a patire la fame, anzi: guadagnavo più del previsto. Ma, quale era il vero successo che
desideravo: quello per l’attività di scalpellino, o quello della nuova e incessante
passione per il dialogo? L’effettivo sogno nascosto era il confronto dialettico con
gli altri senza se e senza ma. Come realizzarlo in pieno e in pace?
A volte, mi sorgeva il dubbio di essere divenuto un assillante e palloso chiacchierone da quattro soldi; altre volte, mi consideravo una sorta di fratello maggiore per quelle persone desiderose che qualcuno li stesse ad ascoltare. Uno sfogatoio umano dove si smaltiva, insomma.
96
ROSA D’EGITTO
Comunque fosse, tra un’esperienza positiva ed una negativa, compresi come il
dialogo a due sole persone fosse il metodo più proficuo, in assoluto, per conoscere l’altro e per conoscersi meglio. Fu una scoperta che mi infiammava di un nuovo
entusiasmo al cui confronto il lavoro artigianale aveva ben poco peso. Ormai, mi
dicevo: un conto è scolpire la pietra, un altro è levigare le anime umane. La materia vivente è estremamente più interessante di qualsiasi altro pur nobile supporto,
fosse anche oro o pietra preziosa.
Purtroppo, non se ne poteva fare una scuola pubblica, poiché era praticabile solo
tra le mura della coscienza individuale. L’unica cosa da chiedere in cambio a chi
dei conviviali amici ne avesse percepito l’importanza, era che a loro volta avrebbero dovuto dare ad altri la possibilità di sperimentare le conoscenze che si amplificano con l’arte del dialogo.
Un vero Maestro è come un faro di parole, dice e non dice.
Dipende su chi o cosa è orientato.
Chi sa, non ha bisogno; chi non sa, deve apprendere per gradi.
Così conformai il modo di comunicare con gli altri. Basta con gli incontri
casuali, basta con i porti di mare, bisognava selezionare la qualità dell’ascolto e
differenziare il suono di voce. Mi accorsi che disciplinando gli interventi, incutevo negli altri la stessa reciproca attenzione. Insomma, finalmente mi immedesimavo nelle esigenze più interiori, ed aiutavo a far emergere le proprie intrinseche
potenzialità. Infatti, in pochi anni, più di qualche giovane era divenuto padrone di
sé, privo di assurdi timori e in grado di esprimere il pensiero personale al cospetto di tutti e di tutto.
In poche parole: libero di essere sé stesso.
Stavo attraversando un periodo fecondo di soddisfazioni. Poi un giorno, finalmente!... dico, perché sempre aspettavo che accadesse, ricapitò il “pastore” che
commissionò il secondo lavoro. Ritrovarmi davanti a quella specie di matusalemme, fu tutto un tremolio di sensazioni che frenavo a stento. Il Vecchio disse che
doveva fare un regalo ad una persona che sarebbe passata di là tra qualche giorno. Pagò il compenso e mi lasciò interdetto per la seconda volta. Fu così che
conobbi la nobildonna che infatuò 453. Effettivamente, era una gran bella dama,
di quelle che si sogna di avere a fianco nei momenti importanti della propria vita.
L’emozione che provai quando stava seduta a parlare fu qualcosa di irripetibile.
E la voce, ragazzi; che voce! Un incanto! Per questo motivo, quando mi sono trovato davanti il quaderno di 453, l’ho letto con avidità per rifocillarmi di quella
visione di lei, ampiamente condivisa. Si dice che l’amore provoca amore... Beh,
questo è un caso fin troppo evidente.
Intanto, capii come il giovane ingegnere e matematico si fosse letteralmente
buttato negli studi scientifici. Era rimasto lui, i numeri e l’amore. Lavorava poco
lontano dal mio negozio, perciò seppi che iniziò ad avere problemi di stress. A
volte, osava alzate di voce nei corridoi e annunciava al mondo intero:
- Nome e Cognome e 453! Non ci volle molto a diventare famoso in tutto il quartiere. Dovunque si presentasse, si sapeva e si sussurrava: Nome e Cognome e 453!
97
GERARDO LO RUSSO
Ma per quanto potesse apparire una persona estrosa, nessuno avrebbe mai
potuto immaginare l’enorme salto di qualità che ottenne nelle scienze matematiche. Tale era lo stato di entusiasmo e il desiderio d’amore, che 453 andava diritto e sognante verso irraggiungibili mete per qualsiasi altro studioso. Si narra che
una mattina, passando davanti ad una uccelleria, dicesse al negoziante:
- Quel merlo volerà via tra 27 giorni, tre ore e quaranta secondi Ebbe in risposta una risata di commiserazione. La prima volta. Quando poi, ad
uccello volato via, il commerciante rimase con il naso all’insù, era pronto a prostrarsi ai suoi piedi per implorare qualche altra magia. Ma 453 urlava sdegnato:
- Nome e Cognome e 453! Un’altra volta mi trovavo in zona quando sentii delle risate fragorose provenire dal bar vicino; mi avvicinai per ascoltare meglio il motivo del contendere:
- Indovina l’estrazione e ti darò quello che vuoi - gli gridava il tabaccaio
mostrandogli la scheda del lotto.
- Gioco del lotto o l’otto per mille o lotto per gioco, chi lo sa? Ahàhahah! E andava via lasciando di stucco i passanti che pensavano di aver assistito ad
uno sketch di teatro di strada.
Passarono gli anni e un bel giorno appresi del ricovero in una clinica psichiatrica per un breve riposo. Speravo di attivare prima o poi con lui la mia arte preferita, quella del dialogo. Come peraltro, continuavo a fare con le persone che
sentivo spiritualmente ricche di valori e di desideri veri.
Nel frattempo, ricevetti ancora la visita dell’onnipotente Taldei Tali. Dico onnipotente, perché cominciai ad interrogarmi sulla sua ambigua e cupa personalità.
Dove poteva essere stato in tutti quegli anni e aver conservato l’atteggiamento
pieno di salute come se il tempo non fosse mai passato per lui? Mi vedevo al
cospetto, povero in canna. Lui silenzioso e serio; io, viceversa, desideroso di colloquiare. Lui vecchio tanto più di me, io che invecchiavo più di lui! Ma non era
dato di sapere. Mai che mi avesse chiesto qualcosa della persona passata a ritirare il ciondolo. Tutto sembrava già risaputo, cosicché era inutile porre questioni
o dire parole in più del necessario.
Anche questa volta recava una piccola pergamena per una persona saggia e
generosa. Diversamente dalle precedenti situazioni, aggiunse una frase:
- Dille che viene da Pergamo, lei capirà Effettivamente, qualche tempo dopo potei apprezzare nella quarantenne figura
femminile che si presentò al negozio una certa serenità e predisposizione all’ascolto, che traeva vigore dal tesoro delle tante cose che sapeva e che non diceva.
Le mostrai l’oggetto e lei precisò:
- L’anno prossimo andremo da quelle parti, conosco i pastori che curano le pergamene... è un lavoro lungo e faticoso E sorrideva, mentre le mostravo il ciondolo, ma anche lei come il nonnetto non
profferiva parole più del dovuto. La rotondità del viso e l’affabilità del sorriso
parevano estrapolate da una tela dell’ottocento. Ma la signora pastora sarebbe
stata un’ottima modella vivente anche per un provetto scultore come ero ormai
diventato io. E vi assicuro che l’opera che sarebbe uscita fuori, ispirata alle geo98
ROSA D’EGITTO
metriche curve di quelle belle forme del corpo, avrebbe ben impressionato anche
voi. Purtroppo, però, ai sorrisi non corrispose un’altrettanta generosità di parola, cosicché dovetti frenare il desiderio di conoscerla meglio.
Era un bell’esercizio per un anziano come stavo diventando. Però, la silenziosa donna, muta d’aspetto ma non di pensiero, si fece perdonare offrendomi una
ricottina fresca come da anni ormai non se ne assaggiavano in giro. Invitai il barista della strada vicina e facemmo colazione alla romana con pizza bianca, ricotta, fichi e prosciutto di montagna, il tutto innaffiato con vino dei castelli di sua
produzione.”
Oh, menomale! Ecco, uno spunto di vita casereccia. Bravo, simpatico pancione! Mi stai corroborando la mente con le cose semplici e normali! Se non ci fossi
stato, toccherebbe inventarti. Dopotutto la gradevolezza delle cose belle della vita
fanno venire l’acquolina in gola a tutti.
Ed è proprio quello che ci vuole a chi, come me, ha la mente confusa. Ma ora,
vai avanti, forniscimi le risposte che cerco. Dov’è il tesoro di Viking, che ne è delle
formule di 453, e se lo sai: perché non mi dai la dritta per arrivare a lei?...
“...Viking. Ovvero, la cronaca della quarta medaglia. Era destinata ad un’orfana desiderosa di trovare un padre putativo. La ragazza, chiara di carnagione e
dagli occhi neri come la notte, ebbe a sedersi con grazia ed iniziò a parlottare del
più e del meno, come se mi avesse conosciuto da sempre. Le consegnai l’oggetto
promessole. Era diventata una prassi, o forse un rito; dopotutto, c’era il nonnetto
che pagava sempre il conto. Dove andava il pastore a cercare le sue pecorelle?
Era una cosa che mi riguardava da vicino e avrei voluto capirci qualcosa di più!
Osservai attentamente la giovane: era esile e gentile e, per quanto sapessi che
lavorava nel cinema, non sembrava una ragazza di mondo. Anzi, pareva fosse
uscita da un collegio di suore, tanto appariva timida e modesta. Fui disarmato
dalla mia veemenza ciarliera al suo cospetto e sentii le parole che si bloccarono
in gola. Ammutolito infatti, conservai l’immagine del suo candore per diverso
tempo ancora, finché subentrò Viking, che disperato accennò alla scomparsa della
comparsa... come fosse stato un gioco di parole.
Intanto, 453 era salito di nuovo in cattedra e riprese a dar compiti a destra e a
manca. Una volta andò in delirio e fece una previsione davanti ad un folto numero di persone. Disse:
- Una cosa si avvera se qualcuno la pensa. Non sempre si avvera ciò che si
vuole; ma se non si avvera quaggiù, si avvera di certo lassù - e col dito puntava
il cielo.
Bah, pensavano quelli in ascolto, bisognerebbe mandarcelo lassù per verificare se è vero.
Il genio incompreso smaltiva divertendosi ad aggiungere qualche spicciolo:
- Trallalero, trallallah, la Roma vince lo scudetto con l’anno che va Questa se la ricordavano tutti, tanto è vero che appena iniziarono le prime
buone prestazioni sportive della squadra capitolina, si sparse la voce su quanto
aveva pronosticato. Figurarsi le battute spiritose, poi le scommesse ed infine, a
campionato ultimato e vinto, i fiumi di champagne che gli piovvero addosso.
99
GERARDO LO RUSSO
Qualcuno, però stava in agguato, deciso a scommettere la sua ultima puntata
sul cavallo vincente. 453 era un cavallo di razza, e quel qualcuno aveva fiuto!
Adesso che aveva anche lui il sigillo, percepiva di poter concretizzare l’amore
ideale che aveva intravisto. Sarebbe bastato ricercare il volto umile e malinconico dell’orfana attrice e dedicarle la serenità di una vita familiare. Ma, come poteva Viking all’improvviso calarsi nella nullità della sopravvivenza di massa?
Lavoro, casa; casa, lavoro: una continua schiavitù tra dovere ed obbligo. Lui
doveva agire ora e subito. Avrebbe fatto tanti soldi e si sarebbe messo in cerca
della figura esile e fragile che affettuosamente lo aveva prescelto come papà. Che
dolce parola: papà! se la cantava e se la suonava come se fosse stata una musica
mielata e sussurrata da arcani elfi dei boschi del nord. Era il desiderio che sovrastava tutto il resto dei suoi bisogni.
Per fortuna, aveva da parte qualche gruzzolo o residuo di vecchie rapine, allorché investì nell’operazione 453. Lo cercò, lo trovò, lo convinse asserendo che un
genio non doveva sprecare tempo prezioso appresso a degli imprenditori viziati,
che andavano al lavoro solo per non annoiarsi con la famiglia. Quel tipo di società disgustosa non meritava di godere della creatività vera. Solo chi incarnava l’amore, l’amore che pure lui percepiva, meritava di apprezzare le formule magiche
di matematica pura.
- Fammi il calcolo di quanto rivedrò la mia dolce figliola. E io ti darò tutto
quello di cui tu hai bisogno
- Ma 453 gli rispondeva:
- Nome e Cognome e 453! - Potresti però dirmi il suo nome, così proverò a trovartela E 453 ancora replicava in modo fisso:
- Eccolo per te: Nome e Cognome e 453! Ci sarebbe stato da immaginare quante volte Viking avrà morso l’istinto per
non perdere le staffe. Ma, dovette assuefarsi alla circolazione di calma forzata che
avveniva nel pensatoio dell’appartamento in cui aveva relegato il matematico.
Ecco, questa riflessione valga a capire perché anche gli esseri più virulenti ed
aggressivi, nel momento in cui incontrano altri deboli ed indifesi, come l’esile
orfana e il genio 453, diventano stranamente superprotettivi. E guai a chi li tocca:
li difenderebbero sempre e a spada tratta. La penso così pure io e lo dico con
forza, anche se ciò può apparire come una opinione fin troppo banale, detta da un
chiacchierone come il sottoscritto.
Ad un certo punto 453 accennò ad un’escalation di sussulti prolungati come se
stesse spirando da un momento all’altro. Ma era l’impressione che solo gli astanti stavano percependo. A sentire lui, era in estasi.
Infatti, affermava di stare vivendo in un’altra dimensione e visto che nessuno lo
capiva, aggiungeva poi:
- Diciamo: su un altro pianeta E, sotto gli occhi preoccupati dei soccorritori, iniziava a dare lezione come nei
tempi passati:
- Tutto dipende dal vortice delle parabole: tu respiri in un modo, lui in un altro
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e così via. Ogni soffio di vita è come un sasso nello stagno cosmico: provoca onde
che partono in circolo e non si calcola dove vadano a finire, salvo il ritorno da
dove sono partite. Le connessioni delle onde che portano il tuo respiro ai confini
dell’universo, ti moltiplicano in infinite copie di te stesso. Come una ragnatela:
ognuno di noi è una ragnatela a spirale che si replica e si avvita senza fine La gente si era bonariamente assuefatta a quelle performance strabilianti.
Qualcuno in vena di misticismo, azzardò perfino che fosse un profeta incompreso.
Viking, invece!... Lui sapeva delle Comete, come sapeva che dietro ogni frase di
453 poteva esserci una verità difficile da comprendere, ma pur sempre una verità
scientifica. Da quel giorno in poi ebbe timore di mostrarlo in giro e lo segregò
definitivamente tra quattro mura. Fu il periodo più fecondo e creativo per la elaborazione delle formule magiche e vincenti. Dovette inventarne qualcuna con
esito sensazionale, perché improvvisamente Viking cambiò vita. Andava in giro
con le auto di lusso e sfoggiava ricchezza da tutti i pori. Dapprima sbalordì e poi
insospettì i suoi ex compagni di rapina e fu costretto a darsi alla fuga.
Lui stesso era divenuto oggetto di possibili rapine da parte di chi si aspettava
un coinvolgimento in quelle impensabili e facili ricchezze. Ma il peggio consisteva nella dolente scoperta di non potersi più muovere per cercare la bimba del suo
sogno. Perciò, dovette restare per un lungo periodo isolato con 453. Era diventato preda dell’effetto boomerang per aver voluto il troppo. Lui, uomo libero, s’era
data la galera da solo!”
Caspita, pensai, allora il tesoro c’è, eccome! Bloccai la mente su quanto lo scalpellino stava affermando. Questa è proprio una storia vera. Ma forse è meglio
lasciar perdere, almeno fino a quando non si tocca qualcosa con mano. Ed ancora
una volta, quasi per scaramanzia e senza accorgermene, mi toccai il ciondolo sul
petto.
“...Intanto, nei paraggi aleggiava l’alito dell’imponderabilità, il tallone
d’Achille di Viking. Era andata più o meno così: una volta incassata l’enorme fortuna, Viking era stato costretto a rimetterla nelle mani del geniale pazzo d’amore.
D’altronde non avrebbe potuto portarsi dietro una somma ingente.
Chiese a 453 di inventare una sorta di codice, impossibile da decifrare senza la
chiave di ingresso o con le computazioni fino ad allora conosciute.
La sequenza numerica avrebbe consentito l’accesso ad una sorta di ruota della
fortuna praticabile sulle borse internazionali, su cui veniva puntato automaticamente il danaro ricavato il giorno prima.
Semplice, no? Esattamente in linea con la teoria della previsione degli eventi.
Il processo combinatorio col tempo avrebbe consentito di rastrellare fino all’ultima azione del mercato, provocando il caos e la fine del sistema finanziario.
Insomma, una rivoluzione!
Come dire: aver trovato la bacchetta magica per domare il sistema del baratto,
standosene comodamente a guardare dal balcone informatico di casa propria e
senza rischiare di divenire preda di ricatti.
Allora, lui si sarebbe disimpegnato dagli affari giornalieri e avrebbe ripreso la
vita di sempre, frequentando i luoghi abituali nella piena consapevolezza che la
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GERARDO LO RUSSO
libertà della persona è il requisito prioritario per la vita di un barbaro. Lui non
avrebbe sopportato di essere schiavo, nemmeno del Dio denaro ed in questo modo
avrebbe potuto girare il mondo e cercare, cercare di realizzare il suo sogno di
Padre.
E qui si fermano le buone intenzioni, o i sogni, o fate voi.
Ma 453 aveva appena concluso i calcoli per la distribuzione del denaro in
diversi punti finanziari del pianeta, quando all’improvviso: perse i formulari del
codice, perse il codice stesso e perse perfino la testa.
In un baleno il frutto di anni di lavoro andava in fumo irrimediabilmente!
L’inesorabile disperazione si stava mangiando le viscere di Viking, ma non
c’era niente da fare. 453 se lo guardava con gli occhi sbarrati, mentre gli sorrideva innocente:
- Nome e Cognome e 453! Viking annuiva… com’era poco gratificante far da papà ad un genio diventato
una creatura piccina, piccina!”
Che dire? Mi stavo mettendo le mani nei capelli anch’io. Rimuginavo ciò che
avevo appena letto e mi chiedevo come fare a trovare il bandolo della matassa.
Prima di tutto dovevo capire in che modo potessi darmi da fare per venire a capo
di qualche risultato utile. Se ero stato coinvolto, dovevo servire a qualcosa. Forse
stava a me risolvere l’intreccio computazionale.
Dunque il desiderio di Viking era di coinvolgermi fino in fondo in quella ricerca disperata. Era come se avessi dovuto sostituire 453 in quel progetto paradossale. Ora era tutto chiaro: io, Ruggero, ero in ballo e mi toccava resistere ed andare
avanti e trovare quanto bisognava trovare.
“...Il magistrato d’attacco capitò da queste parti dopo l’ennesima commessa di
Taldei Tali. Quest’ultimo posò il rotolo di pergamena sul tavolo ed attese che iniziassi ad incidere la quinta placca. Taldei Tali, vista la mia solerzia, per la prima
volta fece cenno ad un sorriso. Non passarono che poche ore quando si presentò
un giovane affabile e dai modi educati, anche se pareva poco sciolto nei movimenti. La presenza nell’atelier produsse un andamento mutevole dell’incontro.
Dapprima, era entusiasta di essere sul posto, forse perché era interessato all’
oggetto promessogli. Ma, a consegna avvenuta, lo vidi perplesso: provò a capirne il valore, poi fece lo stesso con il significato dei segni. Né l’aiutai a scoprire la
natura del messaggio. Non stava a me rivelargli ciò che lui solo doveva trovare.
Perciò, parlava e rigirava la lastrina tra le mani e provava a coinvolgermi in una
discussione finalizzata a scoprire qualcosa di più.
Il giovanotto ci sapeva fare con l’uso delle parole, ma ormai doveva fare i conti
con un provetto oratore, quale ero divenuto alla soglia dei miei sessanta e passa
anni. Infatti, non ricavò un ragno dal buco, nonostante, avrei scambiato volentieri con lui fiumi di parole e per tempi lunghissimi. Mi piaceva il suo modo di curiosare e di rapportarsi al pensiero dell’altro: sembrava dapprima darti ragione per
accarezzare la tua disponibilità; poi, quando aveva ottenuto lo spazio sufficiente,
provava ad affondare dentro con le sue certezze. Te le piantava in serbo in modo
che difficilmente potevi disinnescarle dall’archivio dell’inconscio.
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ROSA D’EGITTO
Non so se lo facesse appositamente, però si stava allenando per il futuro lavoro di magistrato. Eppure, pensandoci bene, se mi avesse chiesto liberamente ciò
che voleva, sarei stato felice di dirgli tutto quello che sapevo.
Viceversa, il modo di aggirare l’obiettivo tramite domande indirette provocò in
me automaticamente una chiusura a riccio. E più che parlare, lo stavo studiando
a mia volta. Data la varietà di opinioni dimostrate in più ambiti e negli studi di
giurisprudenza di cui andava fiero, pensai che il suo desiderio fosse fin troppo
palese: come contribuire all’affermazione della verità nella giustizia. Così stavo
considerando, mentre raccontava di un’infanzia protesa verso una sorta di amore
universale. Un sentimento incarnato fin dalla nascita su insegnamento della
madre. E mi raccontò che da piccolo passava il tempo a pregare per gli uccelli,
per l’acqua, per le piante, per il vento, per il cielo e per tutte le forme viventi che
lo circondavano nella vita di campagna.
Detta così, la cosa poteva ritenersi affascinante al pari della passione di un
francescano scalzo. Però, una volta giunto in città, aveva perso completamente
l’attrazione per le cose della natura e ne aveva acquisito altrettanta per le diversità degli animi umani. Dell’esistenza a due gambe gli sembrava interessante
qualsiasi razza, religione o cultura; tanto che finì per indirizzarsi verso la comprensione dei disadattati e dei soggetti psicolabili. Avrei voluto chiedergli come
mai avesse rinnegato la visione delle cose semplici e naturali, ma non me ne diede
il tempo.
Era preso dalle differenze che passano tra animo e spirito, mente e intelligenza, volontà e istinto, intuito e quant’altro. Ora, più non pregava pei campi, ma
ragionava per far valere il rispetto di tutte le varietà possibili del genere umano.
Cosa veramente complessa e difficile. Come avrebbe potuto un solo uomo supporre cosa è giusto o meno per tutti gli altri? Nemmeno un genio capace di assumere i desideri inconsci della collettività è in grado di definirne in maniera assoluta
le regole universali; al massimo può interpretarne i contenuti, o visibilizzarne solo
i contorni. Intanto, lui teorizzava ed attingeva al ragionamento logico. Per esempio: una pianta di edera si arrampica su un fusto secolare e dopo qualche anno
ne ha succhiato tutta la linfa. L’albero muore e muore pure la rampicante. Arriva
il giudice di campagna, diciamo il contadino: taglia il tronco e lo mette al fuoco.
C’è qualcosa o qualcuno che ha torto o che ha ragione?
L’albero era stato albero finché aveva avuto la linfa e l’edera era cresciuta su
di esso, finché aveva potuto e così il contadino aveva tagliato la legna, finché
c’era da tagliare e tutto era così normale e naturale. Gira la ruota, gira; una volta
tocca a te, un’altra tocca a me. Così avviene pure nella società civile: un tizio si
arrampica sugli allori poetici di un genio e ne sfrutta tutta la forza creativa. Dopo
qualche anno finiscono nella malora entrambi e rimangono pubblicati solo i versi
del falso autore. Sopraggiunge un appassionato di quel genere di poesia e gode
dei resti del gran poeta che fu, attraverso i versi scopiazzati dell’altro. Risultato:
i versi del tradimento, riportano in auge, anche se in minima parte, un’idea poetica che altrimenti sarebbe perduta per sempre. C’è un colpevole da condannare
o un traditore da premiare?
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GERARDO LO RUSSO
Così accade per i monumenti di Roma: arti e tradizioni, riti e religioni si sono
sovrapposte azzannandosi l’una con l’altra, per comparire in un’enorme ammasso di stili, di storia e di costume, che sono il vero fascino della città come noi oggi
la fruiamo. Ma quanti pianti e tragedie sono ingabbiate tra le mura materiche?
La verità dov’è? Un diamante che rimane sotto una montagna, non viene sottoposto a giudizio, dunque: non è. Così capita alla verità, finché rimane nascosta,
non esiste.
E aggiungeva:
- La giustizia, invece: è un’altra cosa. E’ il modo incontrovertibile del giudice
che si incunea tra le isole degli animi umani, ne taglia o ne collega i ponti per servire uno scopo: quello del rispetto delle sue regole. Non insegue la ricerca della
verità, perciò spesso l’annienta; può essere paragonata ad un serpente che si
morde la coda: comincia da lì e finisce per mangiare sé stesso fino ad arrivare al
paradosso della bocca che mangia la bocca, fino a scomparire del tutto per rinascere poi da qualche altra parte, chissà? Ma siccome la verità esiste, io la scoprirò a qualsiasi costo. Si faceva questi ragionamenti da solo e mentre parlava caricava inconsapevolmente il tono di voce, immettendo una buona dose di adrenalina nelle sue affermazioni.
- Ma, ovviamente: se un barlume di verità esiste e non appare subito, ciò è
dovuto al velo di sfumature che la nascondono. Forse, conviene rivelarla gradualmente per evitare di rimanerne accecati - aggiunsi io, guardandolo a fondo negli
occhi.
Improvvisamente, una smorfia di disappunto si formò sul suo volto. Seguì un
attimo di smarrimento, poi cambiò discorso e chiese chi fosse lo strano vecchietto che aveva commissionato la medaglia.
- Il regalo è per te. Se non conosci tu il tuo benefattore...
- L’ho visto una volta sola - si lamentò - mentre rincorrevo una compagna di
facoltà. A lei è caduto un ciondolo che si è frantumato in pezzi. Stavamo ridendo
dell’accaduto, quando un signore anziano si è intromesso come per rimproverarci. Ha raccolto i cocci sparsi sui gradini, mentre a noi veniva da ridere.
- Lasci stare! - gli abbiamo gridato - ormai è rotto e non ha più importanza.
- Eh, no! - ha fatto lui - un regalo d’amore vuol dire tanto E ricompose con i pezzetti il minuscolo bassorilievo.
- Uhm! Forse posso aiutarvi. Andate in questo posto e ritirate un ciondolo simile; così l’amore è salvo e pure il regalo! - aggiunse con tono deciso e suadente.
- Ed eccoti qua! - Esattamente. Ti confesso che sono venuto perché il personaggio mi ha stranito. Che vuole dire quel frasario ermetico? Non ti sembra che sia un ambiguo benefattore? - Il Vecchio si chiama Taldei Tali. Posso dirti che è più avanti di me negli anni,
se non altro perché quand’ero giovane io, lui era da un pezzo già un nonnetto - E che altro? - Dipende da ciò che vuoi ... tu cosa è che stai cercando? 104
ROSA D’EGITTO
- Uhm - Uhm E ci fu una lunga pausa.
Caro magistrato, chissà se hai mai scoperto il tuo messaggio? A giudicare da
ciò che hai scritto nel tuo quaderno, non lo si evince affatto. Io però, lo ricordo
ancora, anche se sono passati anni. So che sei sempre invogliato a tirar fuori da
intricati grovigli un qualche barlume di verità. Sei una sorta di scienziato che pretende di spaccare l’atomo fino a trovare l’ultima ed indivisibile particella... Come
farai a realizzare il tuo sogno? Attento, piuttosto a non diventare prigioniero della
fissità mentale.”
“Uhm!” viene da dire pure a me. E chiudo per un breve intervallo. E mi chiedo
ad occhi chiusi: perché lo scalpellino ha cambiato grafia ed atteggiamento? Usa
ora un tono indiretto, poi diretto e viceversa, indipendentemente dall’umore
momentaneo e dall’inchiostro diverso.
Pausa, prego! Clicko sul telefonino per ascoltare le news del giorno. Poi riempio lo stomaco di caffè, mentre apprendo che là fuori tutto procede come un orologio svizzero: vacanze affollate, politica instabile, qualche fuoco di guerra appena spento di qua ed uno che sta per iniziare di là e l’economia? Un po’ su e un po’giù, come d’abitudine. Gira il mondo gira. Tra 365 giorni la terra si troverà nella
stessa posizione orbitale e sarà estate come adesso...Toh! come è facile prevedere
il futuro, ma tu, Rosa d’Egitto o Bella del Bosco, se esisti davvero, perché non
appari?
“...Da quella visita in poi, del magistrato ho appreso solo notizie dai media,
non avendolo più incontrato da vicino. Una riguarda la partecipazione ad un processo che fece scalpore. Da una parte si trovava lui, nella veste di giudice e dall’altra parte una banda di scassinatori capitanata da un tipo con il nome di
Viking… Che bel binomio, pensai: l’accusato e l’accusatore hanno due medaglie
della stesse catena e due facce della stessa medaglia!
Ricordai che non a caso il messaggio dedicato a quest’ultimo significava più o
meno: “...E Ciò che è nella Sfinge...”
Dal che supposi che c’è da aspettarsi di tutto da un condannato a contenere il
mistero; poiché sta appeso al filo del rasoio: basta un nonnulla e te lo ritrovi dall’altra parte del bene e del male...
Invece, a te amico Ruggero, è stato dedicato il finale che è anche l’inizio della
filastrocca. Poiché, come avrai già dedotto, ogni messaggio è da collegare a quello
degli altri. A tutti noi è accaduto, a chi prima e a chi poi. Abbiamo avuto in dono un
sigillo per realizzare i nostri sogni. Uno o più di uno. Per esempio, la mia ambizione è stata concentrata sul buon uso della parola; adesso però, mentre scrivo: quanto vorrei sapere, come va a finire questa storia. E tu puoi fare molto in proposito.
Vediamo come al momento stanno le cose.
Il geniale signore dalla testa d’uovo, alias 453 si è invaghito della nobildonna,
il cui ascolto del solo Nome e Cognome lo fa andare in brodo di giuggiole.
Il suo sogno è l’Amore, quello con la A maiuscola. Mi chiedo se l’abbia già realizzato con le sue benedette formule o se lo stia ancora cercando.
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GERARDO LO RUSSO
L’orfana amava alla perdizione un prototipo di uomo di provata esperienza di
vita, uno sicuro di se tra le cui braccia abbandonarsi, anche per un solo istante.
Mi chiedo: hanno realizzato il desiderio di tenerezze reciproche Viking e lei?
La beata pastora, invece, sembra essere riuscita nell’intento. Ha trasmesso
l’arte di scrutare dietro le apparenze, oltre le quinte del teatro della vita. Certi dialoghi vanno fatti nei luoghi e nei momenti opportuni, altrimenti ingenerano
incomprensioni dannose. E non c’è cosa peggiore dell’insipienza nel generalizzare. L’abito fa il monaco solo per chi è pigro e non ama l’arte del rispetto profondo.
Ecco, il suo pupillo è stato un esempio di un desiderio puntualmente avveratosi.
Attraverso azioni politiche miranti, non esclusivamente alla difesa delle singole corporazioni o di una classe sociale, ma alla salvaguardia dello sviluppo dell’animo umano si opera in senso più universale possibile. Il che è esattamente
quanto la gran parte dei politici dichiara di fare, sapendo che è mera retorica,
poiché diventa inapplicabile di fronte ai tuoi che ti votano e che vogliono che fai
solo per loro. Ma lui ci riesce perché conosce l’arte del dire e del non dire, di ciò
che è, e che non ha bisogno di più per essere. Senza agire con futili promesse, ma
discernendo continuamente le cose migliori da fare, quelle che per esempio,
appaiono di meno e vanno più lontano. Significa politica lungimirante e a tutto
campo. Alla faccia degli scettici e dei cinici che bollano qualsiasi carico di alito
vitale, importante almeno come il pane per il genere umano.
“Gli ideali sono i figli delle idee e c’è da chiedersi come si può concepire il
mondo senza idee? Non ci sarebbe nemmeno l’idea del mondo. Essi non sono
relegati solamente nel campo dell’utopia, ma si manifestano nelle attività più
disparate con la costanza ed un po’ di immaginazione, con l’entusiasmo ed un
po’di creatività. Chi sa dare nuove forme alle idee di sempre è in armonia col
movimento della vita. Chi cristallizza le idee si oppone inutilmente all’evoluzione della vita stessa. Il compito della politica è di governare armonicamente questi processi.”
Ecco, un particolare di un suo intervento pubblicato anni fa che ricordo quasi
a memoria, perché sento di condividerlo in pieno.
E tu, caro Ruggero, quale dei sogni nascosti vuoi che si realizzi? Hai rubato la
medaglia alla tua Bella del Bosco, bene: rubale anche il resto, finanche l’anima.
Provaci: questo è il tuo sogno che probabilmente coincide con quello della
Rosa d’Egitto...”
Buona, questa! Mi sarei atteso indicazioni per sfruttare al meglio numeri e soldi
ed invece, mi si riporta indietro nel tempo. Che raccomandazione banale! Come se
realizzare il desiderio di avere qui vicino la Bella del Bosco dipendesse da me! Ma
non ero ironico, anzi avevo piacere che qualcuno condividesse la visione della mia
avventura e mi sollecitasse palesemente in tal senso.
Grazie al simpatico pancione dello scalpellino, ora sapevo molto di più. Mi trovavo davvero in una storia strana! Dapprima, pensavo che riguardasse una storia
d’amore; poi avevo supposto che fosse una commessa professionale di Viking; in
ultimo, pensavo di diventare un pirata informatico per arricchirmi del tesoro di
106
ROSA D’EGITTO
quest’ultimo. Adesso, di nuovo mi si invogliava a riprendere il sentiero del desiderio iniziale; per fortuna, mai sopito.
Avrei cercato l’amore più grande che c’è: col cuore, col corpo e con la mente e
l’avrei trovato, così mi imponevo che dovesse essere. E mi misi a ragionare sul da
farsi, mentre tentavo di raccogliere i dati in una sorta di scatola mnemonica.
Valutai che lo scalpellino, divenuto più prezioso che mai, avesse scritto quel
quaderno in almeno cinque fasi. Era una sorta di registrazione degli eventi che lui
riteneva di dover documentare opportunamente. Le ultime righe, infatti, erano
state scritte in quei giorni. Conseguentemente, era chiaro che stava frequentando
la mansarda. E d’altronde, lui era la persona più vicina a quel luogo. Dunque:
potrei ritrovarmelo all’improvviso a fianco, addirittura di là dalla parete!
Una cosa, però, appariva sconvolgente e me la stavo ripetendo continuamente:
per la miseria, qui sanno tutto di me: il magistrato, il senatore Capocroce, lo scalpellino, il Vecchio Taldei Tali... Lo sapeva anche Viking e forse lo saprà il matematico, alias 453! Possibile che io sia l’ultimo a conoscere i miei desideri più intimi? Guardai verso la trama del ragno: tesseva, tesseva. Era tutto a posto al momento.
La Fine di 453!
Lasciai momentaneamente i dubbi fluttuare nella mansarda e mi precipitai nel
ristorante di fronte per tranquillizzare lo stomaco brontolone. Mi rifocillai con avidità come un lupo di montagna; poi, andai a casa. Nel sonno cercavo di coniugare l’insieme degli ultimi eventi con le prospettive da affrontare l’indomani. Era
davvero un bel caos, tanto evidente che persi il filo di qualsiasi accettabile ragionamento nel buio della notte. Comunque, e non saprei nemmeno dire cos’altro
avvenne nel frattempo, il giorno dopo mi ritrovai di nuovo a ragionare indotto
automaticamente dai segnali che subentravano in mente più veloci della stessa
immaginazione. Quando infatti, a malapena sveglio, mi accorsi di essere stato
catapultato nell’ospedale a fianco del senatore Capocroce, presi sistematicamente
a guardarmi incredulo là attorno. Anche lui aveva saputo della fine di 453 e si era
precipitato per offrirgli l’ultimo omaggio. Il genio matematico non ce l’aveva fatta
ad uscire dal coma profondo, purtroppo.
Era passato da un normale stato di ripresa postoperatoria ad un irreversibile
coma profondo, come dicevano i medici, fino all’addio terreno, appena l’avevo
lasciato.
Osservai a lungo la sagoma inerme: sembrava conservare lo stampo di un sorriso impercettibile sul volto gonfiato. Mi commossi ed ebbi pena di me stesso: ero
più disperato del giorno prima. Tuttavia, cercai di afferrare il senso del mimo che
453 mi aveva rivolto con il movimento degli occhi, quando gli posi le ultime
domande. Sembrava che volesse invitarmi a guardare verso l’alto. Ma dove? E che
cosa? Non era un segnale di arrendevolezza, né di disperazione; né i gesti simulavano implorazioni religiose. Era laico in tutto. Ricostruii ancora la dinamica dei
movimenti effettuati più volte e compresi che i suoi gesti volevano comunicare
107
GERARDO LO RUSSO
solamente la cosa a cui teneva di più in quel momento: lui stava per incontrare lei,
Nome e Cognome e 453! Eccolo l’istante topico, il momento fatale dell’incontro
tanto agognato.
Eccola! sembrava volermi dire, e rivoltava le sfere delle pupille all’insù. Mi
sovvenni di una sua espressione: ”...Se uno pensa una cosa e non accade quaggiù,
certo accade lassù.”
Il genio matematico impazzito d’amore stava per andare in un’altra dimensione
della realtà. Mi ricordai di Viking e delle orbite delle Comete: si vedono ogni certo
numero di anni, poi spariscono, ma non muoiono, continuano a circolare in altre
zone dell’universo. C’è chi lo sa, ne calcola il tempo e la dinamica orbitale, e
riesce a prevederne il ritorno nel paesaggio terrestre. Può darsi che sia lo stesso
tipo di ragionamento su cui si basa la teoria della previsione degli eventi. Anche
quelli relativi alla vita o alla morte degli esseri umani. L’essenza di ognuno fa un
viaggio in altre dimensioni e può ritornare qui in momenti diversi della vita che è
eterna. Nessuna tragedia, solo una vacanza! La sagoma corporale è il mezzo dei
nostri viaggi, un contenitore effimero per un esodo interminabile. E diventiamo
visibili in terra solo quando l’orbita ci catapulta nel bel mezzo delle stagioni. La
sagoma è un mezzo che ha la stessa funzione di una barca, di un aereo, o di un
vagone... che lasci quando cambi stazione. Perciò, 453 era felice di spiccare il volo
altrove, da lei: Nome e Cognome e un giorno ti rivedrò! E già stava assaporando
il suono mielato della sua incantevole voce.
Uhm!... Però, come questo pensiero fatalistico somiglia a quello delle sette religiose: predicano viaggi ultragalattici e quanto altro di sovrannaturale ed, intanto,
sai ciò che lasci e non sai quel che trovi. Ebbi spavento nel constatare come fossi
rimasto infatuato anch’io senza accorgermene e mi preoccupai parecchio, ahimè!
Tornando coi piedi per terra, pensavo che la situazione stesse diventando più
complessa. Infatti, d’ora in poi non avrei potuto usufruire dell’aiuto di un amico
come 453. Adocchiando il senatore, mi chiesi quanto egli stesso fosse interessato
a scoprire quelle benedette formule. Cribbio, ma certo che doveva esserlo, feci
dentro di me. Altrimenti, per che cavolo di motivo si era precipitato fin là?
Avrebbero fatto la fortuna di chiunque. Quindi, la persona che ne fosse stato a
conoscenza avrebbe rischiato di tutto per entrarne in possesso. Questo si, che mi
sembrava un pensiero logico e concreto! Siamo tutti armati di un sano pragmatismo, quando ci vuole! E di un perverso stimolo a diffidare, il che non guasta in
uno stato di allarme.
Decisi di correre a casa e di buttarmi a capofitto a studiare gli appunti di 453 con
il supporto informatico. Ma la cosa, al momento, sembrava indelicata e trattenni la
foga entusiastica. Perciò, attesi in silenzio fino a che la salma del matematico fosse
stata portata via. Fu in quel preciso istante che mi sentii appoggiare una mano sulla
spalla. Capocroce nel suo impeccabile completo scuro mi disse sottovoce:
- Ora tocca a te. Non c’è più nessuno che ti possa aiutare. Ti faccio gli auguri,
ragazzo, ne hai veramente bisogno. E sappi - si avvicinò ancor di più all’orecchio
e sussurrò con voce paterna - ora devi veramente guardarti alle spalle, fino alla
fine...
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ROSA D’EGITTO
Sonnambulo al Computer
I programmi di software di cui dispongo sono tra i migliori e i più competitivi
che esistono sul mercato, ma nessuno di essi mi avrebbe consentito la riuscita delle
complesse operazioni. Ci sarebbero volute settimane e settimane di studio comparato con diverse teorie scientifiche, per formulare una idea di base apprezzabile
circa le formule di 453. Senza, peraltro, avere la certezza di scoprire il risultato
finale, ovvero: la dimostrazione scientifica per la definizione degli eventi, dato un
tempo ed uno spazio come matrice di partenza.
Comunque, decisi di assemblare le informazioni in mio possesso e tentai di
applicarvi le molteplici metodologie di calcolo in uso per modellare le previsioni
statistiche. Tutto chiaro, e niente in ordine!
Sapevo che esistono numerosi studi intrapresi in questa direzione da matematici sperimentali, ma ero ben conscio che, anche qualora ci fosse stato un avanzamento in tal senso, non avrebbero certo offerto al primo richiedente le scoperte di
siffatta importanza. Chiesi anche aiuto ad appassionati della computazione collegati per via etere, senza precisare il contenuto degli appunti di 453, ma ponendo
loro alcuni quesiti di volta in volta e in modo differenziato. Nel frattempo ragionavo e sperimentavo su quali connessioni potessero esserci tra le formule di 453 e
gli accadimenti di quei giorni. Mi misi a giocare sulla tastiera inventando una sorta
di ruota della fortuna. Su ogni arco della sfera proiettavo i dati delle ultime vicende e li sovrapponevo ad alcune simboliche equazioni grafiche di 453. Alla fine,
venne fuori una palla intrecciata da tante orbite che ridisegnavano fette di spazio
ipotetico, intersecate e sovrapposte a fette di tempo ipotetico, mentre il tutto veniva integrato dai calcoli dei movimenti a catena. Insomma: una matassa di nodi inestricabili!
Erano prove sperimentali e sapevo di navigare nel buio, ma tanto per avere la
coscienza a posto, cercavo di dedicare le restanti energie e tutte le potenzialità tecniche ad un esercizio davvero irrisolvibile. D’altronde, oggi è relativamente facile combinare calcoli e progettazioni virtuali, basta avere un po’ di pazienza e le
idee chiare su ciò che si vuole. Esattamente, ciò che mancava, nonostante stessi
sperimentando di conoscere il futuro della vita. Ma, il futuro della vita, per quanto prevedibile necessita del mistero, altrimenti è limitato. Ciò che dà fascino alle
soluzioni impensate è l’imponderabilità. Dunque, tocca accontentarsi di progettare la previsione di un evento particolare e solamente su quello indirizzare il bagaglio dell’energia pensante, così ragionavo e digitavo.
Succede che la concentrazione abbinata all’entusiasmo per la scoperta a portata di mano, provochi lo snaturamento del normale rapporto psichico e cerebrale.
Sta di fatto che svenni sulla consolle, mentre sognavo di pigiare ok, annulla, incolla e via dicendo. Ubbidivo a comandi a catena, che venivano dettati da una voce
nel sogno, quella di 453. Ipnotizzato dal suono suadente, chiaro e limpido come se
fosse inserito ed integrato nel programma in uso, stavo incredibilmente ricostruendo la formula magica per la esatta previsione degli eventi.
Stupenda visione!
Ma non vivevo uno stato di trance momentaneo, la cosa era durata parecchio
109
GERARDO LO RUSSO
tempo. Sparse sui tavoli restavano le tracce di vita vissuta in modo subcosciente.
Solo quando mi risvegliai dal sonno profondo mi resi conto di aver girovagato per
un giorno e una notte come un sonnambulo dentro casa. Infatti, i resti di bibite e
di cibarie parlavano chiaro: avevo continuato ad agire liberamente pur tenendo gli
occhi chiusi. Mi ero fatto guidare dall’istinto e dagli altri sensi, fuorché usare,
come normalmente sarebbe stato necessario, la vista. Mi avrebbe sollazzato parecchio rivedermi in quella ridicola condizione: mentre mi alzavo dalla consolle lentamente, mentre spingevo le braccia in avanti ed eseguivo soffici e lenti passi,
come un acrobata sul filo di acciaio. Nessun problema: mi rivedevo lambire gli
spigoli dei mobili e delle pareti, mentre andavo al bagno e facevo la pipì. Frugavo
in cucina e bevevo; chiudevo le tapparelle delle finestre e, soprattutto, continuavo
ad elaborare dati su dati sempre tenendo gli occhi chiusi, come se stessi giocando
a mosca cieca.
Ancora adesso che scrivo, mi sovvengono le sensazioni della frenetica attività
svolta: sia quando, da provetto pianista scatenato clickavo i dati numerici come se
appartenessero ad una folle sinfonia; sia quando utilizzavo le estremità dei piedi e
delle mani, come sensibili radar entrati in azione per dirigere il resto del corpo nelle
ricognizioni ambientali.
L’ultima mossa fu quella di andare ad aprire le tapparelle della finestra, come
d’abitudine facevo al risveglio mattutino. Rimasi con le braccia protese in avanti
e con gli occhi chiusi per qualche secondo, tanto è vero che mi sembrò di ascoltare dei commenti di preoccupazione da parte di qualche passante per la strada di
sotto. Ma non mi sarei buttato dalla finestra, né avrei perso l’equilibrio. Ero semplicemente tanto gasato e soddisfatto del fenomeno accaduto, che nemmeno stetti
a preoccuparmi del pericolo di una possibile caduta, preso com’ero dal risultato
matematico del sogno. Anzi: certo di aver concluso bene il lavoro, già l’avevo
disposto in una nuova cartella. E trascuravo tutto il resto. Finché, sentendomi
appagato e carico di caffè bollente, fui preso da un improvviso senso di sgomento
e poi di timore.
Come se stessi camminando anch’io sul filo del rasoio. Il dubbio prepotente mi
teneva in bilico: quella scoperta in mano ad un criminale avrebbe sconvolto il
mondo intero.
Eccome, se poteva accadere!
Perciò, con una prontezza di riflessi inaudita, trasferii il tutto su un dischetto,
cancellai i dati dal computer, bruciai foto ed appunti e mi misi a cercare disperatamente un luogo dove nascondere l’incredibile prodotto telematico del sogno.
A maggior ragione avrei dovuto dire telepatico, poiché la comunicazione era
avvenuta tra me e 453, come se lui fosse stato ancora in vita o come se io lo avessi raggiunto nella dimensione dove se ne era andato.
Senz’altro quello fu il terzo episodio in cui il sogno mi stava beneficiando di
grandi verità in così poco tempo. Il seguito fu tutto un movimento repentino e bizzarro che ebbe il culmine in sprazzi di inaccessibile emozione per la normale esistenza quotidiana di un solo individuo.
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ROSA D’EGITTO
Addio Scalpellino
Di pari passi che sentivo i rumori avvicinarsi alla porta e percepivo il pericolo
imminente cercavo un angolo per tutelare il dischetto, che poteva perfino diventare
la matrice di cose tremende, peggio del famoso vaso di Pandora. Figuriamoci se
qualcuno avesse dato visione di tragedie future, di guerre o di malattie pestilenziali
in qualche luogo del pianeta: a catena sarebbero accaduti dei disastri di proporzioni
immani. Addio, equilibrio dinamico permanente! Poi mi chiedevo se potesse valere
anche il ragionamento opposto: se non fossero state previste, non sarebbero dovute
accadere! Mah? Lo dicevo per tranquillizzarmi e per avere una carica ottimistica per
la fuga, visto che le cose si stavano veramente mettendo male. D’intuito, decisi di
scappare dalla finestra. Giusto il tempo di calarmi giù da basso e catapultarmi sull’auto parcheggiata di sotto, quando intravidi uno dei giovanotti in giubbotto di pelle,
seguito da altri due fermi sulle scale dell’ingresso che gli inveivano dietro alle spalle. Ebbi una incredibile fortuna nell’essere riuscito a darmi alla fuga in modo così
immediato. E dato il carico di responsabilità che avevo addosso, ora mi sentivo le ali
ai piedi; i sospiri sembravano più potenti della stessa capacità volumetrica che conteneva l’ossigeno nella cassa toracica. Sembravo essere divenuto un’ipotetica esplosione vagante, come un pallone gonfiato. Comunque, sapevo di dover mantenere la
calma e di conservare il sangue freddo. Perciò, accelerai tanto quanto potesse bastare a tenere lontano gli inseguitori e cercavo di ragionare sul da farsi. Non avevo il
telefonino, né confidavo di fermarmi dalla polizia in quel momento. Speravo di parlare con qualcuno, pensai al senatore, ma era troppo lontano. Pensai allo scalpellino,
perciò mi diressi verso il suo atelier.
“Chiuso per lutto” sentenziava l’avviso di morte.
La locandina era di una eloquenza sbalorditiva ed allucinante allo stesso tempo.
Povero scalpellino, anche lui è andato a praticare l’arte oratoria in altri teatri della
dialettica. Chissà con chi farà i suoi bei colloqui adesso: con San Pietro e San
Paolo a proposito del giubileo romano o con Socrate e Platone a proposito dell’andamento del genere umano?
La morte del Buon Parolaio significava la fine della trasmissione orale del sapere, così come quella dello scalpellino significava la fine della scrittura sensitiva. E
lui era un po’ tutte e due le cose. Me lo dicevo con nostalgia, nonostante avessi
sposato da un bel pezzo il linguaggio digitale.
E adesso?
Ero disperato e non sapevo più se ridere o piangere.
Domandai alla negoziante vicina come fosse potuta accadere una cosa del genere
e con la salute di ferro che si ritrovava... Lo scalpellino era l’espressione più rubiconda che avessi mai incontrato; perché aveva mollato così all’improvviso? Lei mi
confermò che il buon gusto del cibo aveva sempre accompagnato la vita epicurea del
simpatico trimalcione. Non era vizio di gola, ma fatta a quei livelli, era una specie di
applicazione dell’arte dei sensi. Pareva una semplice performance composta da palato e da olfatto, ma vi venivano coinvolte le percezioni più sottili, fino a scatenarsi
nella oratoria finale in cui: suono, mimica e mente sinergicamente esprimevano il
top del defunto anfitrione. E giù a menzionarmi quante volte nel retrobottega s’era111
GERARDO LO RUSSO
no fatti l’abbacchio a scottadito e la coda alla vaccinara. La sera prima, però avevano esagerato troppo, evidentemente. Vennero a trovarlo tre tipi allegri con giubbotti
di pelle e tre fiaschi di vino sottobraccio. Ma il caldo e l’alcool dovevano aver combinato qualche brutto scherzo, poveraccio! Si diceva che avesse avuto un crepacuore; altri, un ictus; comunque, era stato ritrovato con una smorfia di dolore sul viso.
Non rimaneva che aggrapparmi all’ultimo anello della catena. Già, ora ero
obbligato a ricorrere al suo aiuto! E ripercorrevo mentalmente la strada per arrivare a Capocroce. Sarà stata la forza del destino, ecco! Mi rimisi alla guida per
andarlo a cercare. Sudavo freddo, pur essendo nel pieno della calura estiva... Ed
intanto che guidavo mi passavano in mente come in una moviola tutti gli amici che
avevo: figure evanescenti e lontane, esseri giocosi e sereni; come avrei voluto
averne qualcuno accanto, adesso! Perfino la presenza di Eleonora sarebbe stata un
sollievo caro e dolce, nonostante non avessi potuto accennarle niente dell’accaduto di quei giorni. Ma sarebbe bastato che avessi appoggiato il volto sul suo petto
per captare il battito tranquillizzante, che mi avrebbe riportato nella sfera della
normalità delle cose. Invece, stavo cercando oltre e a 360 gradi qualcosa che non
sapevo ancora dove mi avrebbe potuto portare.
Ero disperatamente solo.
C’era una sola immagine all’orizzonte che poteva e doveva capirmi, era quella
della Bella del Bosco. Che figura emblematica e irreale nella pienezza delle virtù
femminili! Eppure: se Viking aveva captato una qualche ebbrezza del tenero amore;
se 453 stava sperimentando nell’aldilà l’incontro del cuore; perché non potevo realizzare anch’io il desiderio del sogno, se pure di un sogno fortuito in un pomeriggio
di fuoco di mezza estate?
Un momento, mi dissi scansando un automobilista pazzo e scatenato, che mi
superò pericolosamente: sia Viking che 453 sono morti... sto augurandomi la stessa cosa?
Che scemo, mi dissi ancora. E l’altro, quello che cercava di stringermi sul bordo
della strada per farmi rotolare via, pareva proprio d’accordo. Anzi, mi considerava meno che niente. Infatti, stava provando a farmi fuori. Per bacco, per tabacco e
per venere, costui vuole ridurmi in cenere! Una, poi due, tre volte, finché feci una
rapida mossa a sorpresa e lui bucò il guardrail, precipitando di sotto e andando a
finire in un campo di zingari, proprio come accade nei film. Ma lui non era un
nomade e neppure uno stuntman. Ora, stavo aspettando che si fosse fatto vivo il
resto della banda. Che, se in possesso di armi da fuoco, avrebbe deciso tout court
della mia sorte. Invece, percorsi altri chilometri fin quasi ad arrivare al borgo
medievale, dove risiedeva il senatore al quale volevo chiedere protezione.
Guidavo galvanizzato e fiducioso, però non feci a tempo a girare nella ultima
curva a gomito in salita prima del paese, che me li vidi sbucare di lato e all’improvviso. Erano armati davvero, purtroppo! Calma e sangue freddo! mi dissi, mentre fioccavano le prime pallottole sulla vettura.
Calma e via nei campi, giusto dove ricordavo esserci il viottolo intrapreso la prima
volta per salire sulla collina. Gli sconosciuti fecero retromarcia e provarono a salire
per la stessa stradina, ma il loro mezzo era ingombrante e si intrappolò tra i resti dei
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ROSA D’EGITTO
rovi incendiati. Continuavo ad arrampicarmi come un invasato sulla terra arsa e selvaggia grazie all’agilità della piccola auto. Per fortuna era stretta e leggera e saliva,
saliva anche con qualche colpo di reni che le davo io e che sembravano davvero avere
l’effetto di una forza propulsiva. Sarà stata un’illusione psicologica, direbbero alcuni,
sta di fatto che dopo qualche minuto arrivai in cima, proprio di fronte al casale di pietra, quello della pastora. Andai ad urtare contro il portale e dovetti mollare la vettura
accartocciata in fretta e furia. Mi guardai intorno. Splendido: per me era un luogo già
conosciuto, come se ci fossi stato da sempre.
Questo è il bello della lettura, ragazzi!
Tu leggi di un posto e la tua immaginazione vola lontano, mentre lo ricostruisci
mnemonicamente. Tutto è già visto, ti dici poi. Guardai verso il basso e notai i due
loschi figuri che tentavano di trovare delle scorciatoie per venirmi a prendere. Ma
erano sufficientemente lontani, così ragionai per qualche secondo e perlustrai nella
memoria i luoghi visitati nel racconto del giovane Capocroce. Avrei voluto mettere al sicuro il dischetto e nasconderlo tra i libri antichi dell’armadio affumicato.
Ma le porte del casale erano chiuse e mi ci sarebbe voluto troppo tempo per sfondarne una. D’improvviso, mi sovvenni dell’albero cavo e del sottostante foro che
andava nel ventre terrestre. L’ulivo secolare era giusto davanti ai miei occhi.
Cercai una corda per legare il dischetto di plastica ed appenderlo poi nell’incavo
del tronco. Fu un’operazione fatta in fretta e furia e purtroppo, in modo maldestro.
Ed infatti, in men che non si dica, stavo appendendo l’involucro ad un ramo, e già
cercavo un luogo per nascondermi anch’io, ma rimasi con il braccio alzato e con
la corda spezzata tra le mani. Un colpo di pistola l’aveva tranciata e il dischetto
era caduto perdendosi definitivamente tra le viscere della terra. Il destino del
mondo ripiombava nell’oscurità del mistero! Non ebbi nemmeno una briciola di
tempo per dire addio a quel grandioso frutto del sogno e della computazione scientifica.
Presi a correre in giù per la collina. I due provavano a fare altrettanto, ma avevano il fiatone per lo sforzo accumulato nella salita ed una marcia in meno di me.
Io dovevo salvarmi, perciò avevo messo di nuovo le ali ai piedi. Così mi ritrovai
ben presto in paese finalmente in salvo nello studio dell’avvocato, alias senatore
Capocroce. Senza il dischetto, ma con la pelle guadagnata. La ragazza che venne
ad aprire mi squadrò da capo a piedi con un senso di disgusto e con un non so che
di sofferenza sul muso. Effettivamente, ero conciato male e facevo orrore. Ero
sudato e con i vestiti sgualciti ed anneriti. Ma come facevo a spiegarle?
Chiesi con urgenza di parlare col senatore, ma lei sembrava prendere tempo; si
vedeva lontano un miglio che era disorientata, come se avessi chiesto qualcosa di
inopportuno, oltre che di impossibile. Forse mi aveva scambiato per un poco di
buono o, forse, per uno poco sano di mente. Comunque, stava per chiudere l’ufficio e voleva andare via di fretta, la qual cosa mi indispettì parecchio e glielo dimostrai. Puntai i piedi per terra ed attesi in silenzio.
Quando vide le brutte maniere, decise di alzare la cornetta del telefono:
- Signora, c’è un tipo che desidera parlare con suo marito, che debbo fare? chiese con voce dubbiosa e tremula.
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GERARDO LO RUSSO
Dopo qualche secondo di ascolto, la ragazza si tranquillizzò, abbassò la cornetta, prese coraggio e riferì a mezza voce:
- Se veramente ci tiene tanto a parlare con l’avvocato può andare in ospedale.
Tra due ore saranno possibili le visite... Mi dispiace, ma di più non posso fare poiché debbo chiudere l’ufficio per partecipare ai funerali della signora morta nell’incidente - Che? - feci allibito.
- Era la persona più amata del paese… purtroppo se ne vanno via sempre i
migliori Lo disse con aria veramente commossa, poverina. Il che bastò a farmi capire la
situazione, ma per fortuna ebbi a reagire rapidamente, tant’è vero che lo sconvolgimento e lo sconforto furono spazzati via dalla curiosità di sapere come fosse
potuto accadere una cosa del genere, in così breve tempo.
- L’ho visto giusto ieri mattina a Roma. Come?... - Un banale incidente, mentre ritornava a casa, proprio nella curva a gomito qui
sotto - Qualcuno gli è piombato addosso? - Altroché, è andata proprio così. E non si capisce il motivo. Tutto il paese sa
che quella è una curva dannata, perciò ognuno rallenta prima; invece, l’incidente
pare fatto apposta… - Uhm, capisco - dissi e me ne andai sconsolato.
L’aria di questa avventura cominciava a diventare irrespirabile: troppi cadaveri
in giro e quei brutti ceffi che circolavano senza che nessuno osasse arrestarli... Non
mi rimaneva che tentare di uscire dalla storia, ma come?
Se si fosse trattato di un’operazione per modificare il percorso di un’avventura
virtuale, sarebbe stato fin troppo facile: bastava clickare un bottone o modificare
la story line e via. Invece, la cosa era così drammaticamente realistica da non
lasciare scampo, tanto meno affidandosi alla immaginazione.
Era il caso di dire che sentivo il fiato del boia sul collo. Dovevo agire per non
rimanere intrappolato in nessun luogo. Perciò, provai ad uscire dal paese senza
farmi scoprire. Non fu difficile più di tanto, poiché l’attenzione della massa dei
paesani era tutta orientata sul luogo e sul rito delle prossime esequie. Inoltre, stava
accorrendo parecchia gente con corone di fiori. Si sentiva dire che mai c’era stata
un’affluenza così numerosa ad un funerale. Che la persona rimaneva nel cuore di
tutti, quasi fosse una santa. Infatti, bande musicali, associazioni e rappresentanze
istituzionali già affollavano la piazza antistante il sagrato, cosicché fu abbastanza
facile eludere qualsiasi inseguitore, compresi i killer dai giubbotti di pelle nera.
Giunsi a valle del borgo medievale e presi un mezzo pubblico per ritornare in città.
Notte Romana
Avevo casa, ma non potevo andarci dentro; era sera, ma non trovavo dove potermi nascondere al buio.
Appresi intanto sulla stampa dei quotidiani locali che si avanzavano dei sospetti
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ROSA D’EGITTO
di predeterminazione sull’incidente mortale e già qualcuno ipotizzava un presunto
complotto politico. Ma a me le cose cominciavano ad apparire in modo sempre più
chiaro. Tuttavia, c’era una novità rilevante suggerita tra le righe: la signora uccisa
dall’auto dei pirati s’era messa di traverso ed all’improvviso, come se avesse voluto sacrificarsi volutamente per salvare il senatore. La notizia, agghiacciante per
certi aspetti, asseriva che si trattava della pastora affittuaria della collina. Guarda
caso, diceva il cronista, era la prima volta che ritornava in anticipo dalle montagne
per stare sulla collina e proprio oggi era scesa a valle per ritirare un pacco alla posta.
Ed aveva trovato su strada la morte. Ebbi un sussulto emotivo, impossibile da trattenere. Poi un groppo in gola mi strozzava il respiro. Commosso, vedevo, sipario
dopo sipario sempre la stessa scena: la chiaroveggente pastora era accorsa per proteggere il suo discepolo, così senza parole, ma con la consapevolezza che quando
bisogna agire, si deve dare tutto sé stesso, anche la vita.
Tremava il mio cuore. Scosso più volte.
E non stetti più a leggere altro, nemmeno la dinamica dell’incidente, riportato
con grafici e riferimenti didascalici. Vedevo dietro le quinte e meditavo sul sacrificio della santa donna protagonista unica della scena, che aveva scritto il libro
della sua avventura senza parole o tatuaggi, ma fortemente impressa sulla propria
pelle. Altro che attrice sul teatro della vita! Quella era la fata vera, come chiunque
avrebbe voluto incontrarne una!
E rimasi come colui che è. Senza parola.
Ma non tutti hanno una fortuna simile: altri individui della storia erano recentemente scomparsi, senza alcun angelo custode che li avesse potuti proteggere. E mi
chiedevo il perché. E consideravo che un’unica mano guidava gli assassini ed io
ero certamente il prossimo obiettivo. Dovevo urgentemente superare la delusione
per aver smarrito il dischetto delle formule matematiche nelle viscere della terra e
smettere di stare a chiedermi il perché mi ritrovavo in questa avventura. Dovevo
difendere la pelle e tralasciare almeno ora la speranza di incontrare nuovamente la
Bella del Bosco.
Fisico stanco, mente in panne: ormai, vagavo nella calda serata romana, confuso
tra le orde dei turisti piombati nella città eterna da tutte le parti del pianeta, in onore
del Terzo Millennio. Il provvido bagno di folla mi stava facendo bene, mi sentivo ben
disposto a partecipare alle orge di piazza, finalmente! In qualche modo poi capivo di
essere protetto dall’anonimato. Ma ero anche affascinato dai volti insoliti in circolazione: tra i pellegrini vi erano giovani suore provenienti da paesi lontani, con gli occhi
pieni di meraviglia nello scoprire il fascino del tempio della loro religione. Quei volti
genuini, senza trucco e carichi di soave naturalità, mi riempivano l’animo di una rinnovata speranza. Così, nonostante lo stress del giorno, mi lasciai trascinare nei cortei
del centro storico. Era un modo per sfuggire ad eventuali inseguitori, ma anche per
ritrovare la forza di ripensare e connettere. Ebbro di gioia erravo tra la folla di pellegrini, come se mi fossi ritrovato in mezzo ad un gregge di centinaia di pecore, cosicché pure io mi addolcivo l’animo protetto da tanto candore umano.
Cercavo un’ispirazione, ecco; intanto, sistemavo i tasselli nel mosaico investigativo che si era formalizzato nella memoria. Ormai, avevo perso la speranza di
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GERARDO LO RUSSO
arricchirmi con il tesoro di Viking e avevo ceduto alla madre terra il potere delle
formule magiche. Cos’altro mi rimaneva? ero pervaso dal dubbio se la Bella del
Bosco fosse mai esistita; quindi, dovevo continuare il cammino al solo scopo di
salvarmi e poi semmai avrei tentato di capire il resto. Ma non ero definitivamente
ko! Ero nel mirino, ma essendo scampato per due volte alla morte, potevo affidarmi alla buona sorte, che stava dalla mia parte. Lo sentivo. Quando le gambe si
arresero a sopportare qualsiasi ulteriore peso e fatica, mi fermai di botto e mi stesi
su una panchina di travertino piacevolmente scaldata dal sole assorbito durante il
giorno. Mi addormentai sotto le stelle come se fossi un clochard più che abitudinario. Eh, già: cosa c’è di più sano di un sonno restauratore?
Appena ripresi a ragionare ed ebbi la sveglia cercai, invano, di fare il conto di
che giorno fosse e di cosa stessi facendo accovacciato lì sopra di notte. Mi aiutò a
ridestarmi lo zampillio discontinuo e il suono penetrante della fontana vicina.
Corsi a sciacquarmi il viso e poi feci una ricca colazione. Non potevo telefonare
ad alcuno, né andare dalla polizia; mi sentivo, di conseguenza, uno straniero nella
mia stessa città.
Ricordai che non dovevo gironzolare per le strade, perché avrei rischiato di
incontrare i sicari prima o poi. Perciò, valutai che non potendo ritornare a casa perché era sicuramente sotto controllo, mi rimaneva solamente una cosa da fare:
andare fino in fondo nella lettura dell’ultimo quaderno. Girai al largo dall’ingresso principale e risalii sulla passeggiata pinciana. Gli stessi colombi che stavano per
svegliarsi al mattino mi consigliavano di usare di nuovo la via dei tetti per rientrare nella vecchia mansarda. Mi rifornii di cibarie varie e lasciai dietro di me sgombro il cammino di ritorno per una eventuale fuga.
Così, dopo nove giorni mi ritrovai per la settima volta in quella grotta oscura,
rimasta inalterata rispetto a come l’avevo lasciata. Eppure, mentre la luce del giorno penetrava dalla alta fessura murale, sentivo che la permanenza lì dentro aveva
un sapore tragico: gli autori di tre quaderni erano spariti dalla vita terrena in pochi
giorni ed una dolcissima e saggia signora era volata in cielo per sempre. Più andavo avanti e più mi era chiaro che la protagonista principale fosse soltanto lei. Tanto
silenziosa e discreta, quanto piena di profondi significati. Finalmente, avevo saputo di una persona vera che non aveva bisogno di farlo vedere. Perciò, anche le
parole che stavo ricercando per dare una definizione di lei, apparivano limitate.
Solo il silenzio e il moto interiore del cuore me la rendevano più grande che mai.
Tre volte vidi Capocroce, Viking ed il magistrato.
Una soltanto il Buon Parolaio.
Almeno cinque il signor Testa d’Uovo.
E Taldei Tali?
Mi era perennemente accanto.
Ad occhi chiusi, rifeci la filastrocca di quante volte ebbi a che fare con i compagni di avventura.
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CAPITOLO SESTO
Taldei Tali
A chi poteva appartenere l’ultimo pezzo dell’insolito salotto letterario? L’autore
finale non poteva che rivelare qualcosa di consequenziale rispetto ai testi precedenti. Lo aprii tremando di scoprire chissà quale verità terribile. Invece, era forzatamente di Taldei Tali ed era redatto con lo stesso impulso delle note a matita a
margine degli altri quaderni.
“... Amico Ruggero, sembri giunto al termine del tuo viaggio, ma non hai scoperto ciò che vuoi. Riconosci i tuoi desideri in quelli che ti hanno preceduto? Ti
senti il sosia o l’alter ego di qualcuno di loro? Forse, ma non basta. Questo è il
tuo momento: sappitelo giocare. Hai tu in mano le manopole per gestire la ruota
della fortuna. Se vuoi una cosa e dedichi ad essa tutte le energie, essa comparirà
prima o poi dal nulla. La trasformazione in immagine dell’energia pensante è
magia e viceversa. Tutto ciò che si pensa può essere vero, perché si può concretizzare. Anche le cose impossibili. Così le contraddizioni e, perfino, il paradosso e
l’assurdo. Dipende sempre dall’ottica da cui si guardano, o meglio dai sensori con
cui si percepiscono. Se l’impossibile non fosse realizzabile, il mistero della vita
sarebbe limitato e tutto sarebbe finito.
Niente mistero, niente da scoprire. Niente desiderio di conoscenza, niente energia vitale.
La “realtà pluridimensionale” ti ha mostrato in pochi giorni quante visioni
parallele e diverse sussistono insieme, quante altre si sovrappongono o si contraddistinguono e così via. Per quanto mi riguarda posso dirti che la vita pastorale mi
ha dato le giuste gratificazioni, perciò oggi dico addio a questa avventura su questo pianeta.
Tu, invece, che covi il desiderio dentro di te, sappi che finché hai lui come compagno di vita, puoi fare qualsiasi miracolo. Il pensiero ti può suggerire, il sogno ti
può essere amico, ma è il desiderio l’arma segreta perché niente ti possa sfuggire.
...Rosa d’Egitto, tutto è già scritto, salvo l’amore, che non ha parole e ciò ch’è
nella Sfinge, che pure si evince...”
Chiusi gli occhi ancor prima del quaderno, mentre ascoltavo l’eco della filastrocca e già immaginavo schiere di angeli e demoni, esseri megagalattici e sub
marini. Tutti pronti ad attendermi ed a sorridermi in un tripudio festante, pieni di
luce, ma privi di suoni e rumori, come le folle immense degli umani che erano a
fianco e che senza parlare spiegavano... il giro di parole criptiche delle sette schegge di pietra desertica ed il perché erano assemblate in quel modo, quando già l’a117
GERARDO LO RUSSO
stro diurno s’alzava nel cielo ed io ero lì in trepidazione ad invocarne il calore del
giorno: illuminami, o luce; scaldami, o sole!
Così gridavo, aprendo il petto ai raggi del mattino.
Avevo ben assolto al compito di leggere correttamente i quaderni, come uno
scolaro modello, che segue pedissequamente i consigli del proprio maestro. Pensai
che fosse il caso di ricopiarmi da qualche parte i calcoli di 453. Non si sa mai, un
giorno avrei potuto provare a ritrovare la soluzione. Purtroppo, dovetti assistere
all’ennesimo trucco da prestigiatore. Appena riaprii il quaderno numero uno la
novella d’amore e la teoria matematica si erano involati nel nulla. Nel totale silenzio fatto di luce.
Solamente le note a matita sui margini delle pagine bianche restavano fissate
sulla carta ed in buona evidenza.
Bella fregatura!
Aprii il quaderno di Viking ed il fenomeno si ripeté, così pure avvenne con i
quaderni del magistrato, dell’onorevole Capocroce e dello scalpellino. C’era rimasto chiuso solo il mio. D’intuito ed a memoria fresca, lo iniziai a riempire per tutto
il giorno scrivendo la storia che stai leggendo. A proposito, ti chiedo scusa, caro
lettore, se sono stato monotematico nella narrazione degli avvenimenti: troppi
ritorni sugli stessi luoghi e troppe volte ho ripetuto alcuni concetti. Purtroppo,
come già avevo detto all’inizio, ho scritto questo romanzo subendo una sorta di
supervisione del Vecchio, che sempre, anche tuttora, pare seguire ogni mio passo;
pardon: ogni mio rigo. In più, mettici un’approssimativa capacità creativa ed un
uso spicciolo della grammatica. Ecco, se sei arrivato fino a questa pagina, sei davvero imbattibile nella detenzione della pazienza.
Complimenti, davvero!
E già che ci siamo, ti chiedo di avere anche un po’ di pazienza. Aiutami a riprendere in mano il filo del ragionamento.
Che fine ha fatto il Vecchio “pastore”? Chissà se non sia stato lui a proteggermi nei momenti difficili che ho fortunatamente superato? Beh? formulo quest’ipotesi e... ahàhahah! che sta succedendo?! Mi sembrò di sentire una sferzante e diabolica risata di approvazione, simultanea al pensiero che stavo effettuando.
Proveniva fuori di ogni dubbio dall’altra parte del muro di fondo. Decisi di passare all’attacco. Ora basta! Presi una sedia e la sbattei sulla parete con tanta veemenza e con la speranza di sfondarla in qualche modo. Dopo un paio di prove, della
sedia era rimasto un mucchio di briciole sparse sul pavimento. Invece, la struttura
divisoria era ancora beffardamente in piedi intatta ed insolente. Tregua, occorre
una tregua! Decisi di annotare gli avvenimenti accaduti e di completare gli appunti per il racconto. Poi, verso sera, avrei riprovato a smuovere di lato, o di sotto, o
di sopra la stessa barriera, che pensavo dovesse cedere prima o poi. Naturalmente,
dopo essermi procurato uno strumento idoneo; magari, un piede di porco.
Il quaderno era colmo e la testa era vuota.
Ormai la luce andava affievolendosi, perché nella mansarda, o meglio nella
grotta pinciana, il giorno svaniva con l’approssimarsi delle prime ombre, già nel
tardo pomeriggio. Decisi di abbandonare definitivamente quel luogo: mai più
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ROSA D’EGITTO
avrei messo piede lì dentro. Mi rigirai per salutare i pensieri ed i sogni che avevo
fatto e che percepivo stessero ancora svolazzando a far compagnia allo spazio là
intorno. Anche le ultime imprecazioni contro quella maledetta parete erano state
sprazzi di energia pensante, come avrebbe affermato Taldei Tali.
Adesso, mi sarei attrezzato per abbatterla definitivamente. Comunque, sarebbe
stato un lavoro lungo: sarei dovuto scendere in negozio, acquistare l’attrezzo e provare da solo a fare un lavoro da scassinatore. Stetti in piedi a fissarla inviperito.
- Abracadabra! - mi venne in mente di urlare e l’infinito mistero avanzò nella
pienezza che sgomenta.
Nessuno ci crederebbe, ma accadde proprio così.
L’Atelier delle Sette Meraviglie
La parete sembrò partecipare sensibilmente all’ultima ed intima riflessione che
feci in quel luogo. E fu geniale oltre che generosa: cominciò a spostarsi lentamente, come se fosse spinta di lato da una leggera ondata di vento, che arrivava dal
fondo buio e fresco di una grotta stretta e lunga, che si perdeva nel sotterraneo della
collina romana. Per un attimo osservai meravigliato lo scenario allettante che si
parava dinanzi.
Poi mi mossi per scoprire se ci fosse qualcuno. Notai appesi alle pareti molti
costumi teatrali, maschere e residui di scenografie malridotte, anzi: antichizzate.
Ma l’intensità dei colori variopinti che adornavano gli oggetti, i mobili e le colonne facevano di quello enorme salone una sorta di anticamera di una piccola reggia
da mille e una notte. Rimasi stupito dalla quantità di libri illustrati e dai cofanetti
pieni di trucchi, di spille e collane. Dei gruzzoli di monete antiche sparse per terra
facevano a gara con i mucchietti di diamanti, rubini, perle, zaffiri e smeraldi in una
brillante gara a chi riluceva maggiormente. Roba divertente, di ottima bigiotteria,
pensavo, e mai balenò per la testa l’idea che potessero essere veri. E infatti, ragionavo come se lì dentro ci fosse stata da vestire e da truccare in stile d’epoca un
intera compagnia teatrale. Il lusso accecante e la qualità dei materiali di prima
scelta capovolgevano il senso di sobrietà che avevo percepito e vissuto fino a qualche secondo prima nel locale a fianco. Nessun paragone con l’aspetto tetro che
avevo abbandonato. Anche le luci colorate, soffuse e seminascoste erano dirette a
visibilizzare ogni cosa nella giusta proporzione. Un vero capolavoro di arredo in
una sala attrezzata per l’organizzazione di spettacoli teatrali, pensai. Ma, malgrado specchi e riflessi mostrassero molteplici copie di figure umane, mancava la
materia prima: dov’erano gli attori? Escluse le sembianze scultoree dei vari Apolli
e Veneri, non si vedeva anima viva, eppure qualcuno doveva pure aver aperto quella parete! D’altronde, il rumore dei passi era stato eloquente. E per quanto potessi
subire il fascino di tutta quella grazia oggettistica, ero inferocito con me stesso;
pensavo di aver commesso ancora una volta qualche errore e che m’ero lasciato
sfuggire la preda.
Guardai meglio l’ambiente circostante e scoprii un timer inserito in uno strumento meccanico con le lancette puntate sulle ore 17.00 del 7.8.2000.
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GERARDO LO RUSSO
Ecco, appunto: tutto era stato previsto. La parete si è aperta automaticamente
nella data programmata. E niente più poteva stupirmi. Intanto, osservavo la
maschera di un vecchio appesa ad un chiodo. La toccai: era di un sottile lattice
ancora tiepido, evidentemente qualcuno l’aveva indossata fino ad un minuto prima.
Somigliava ad un mago o a un druido delle favole dei bambini: quelli con le barbe
lunghe come Babbo Natale. Ma non aveva occhi, né bocca e non si riusciva a decifrare di quale personaggio mitico si stesse trattando. Non l’avrà mica indossata l’enigmatico Taldei Tali? mi chiesi all’improvviso.
Lui aveva scritto tempo fa di voler lasciare la vita pastorale su questo pianeta…
perché dovrebbe essere ancora in circolazione quest’oggi? Tuttavia, feci per rincorrerlo nel fondo dello stretto cunicolo, ma era buio e avrei dovuto procurarmi una
torcia. Cosa che avvenne puntualmente, come se la cosa fosse stata indotta in modo
meccanico. Bastò rovistare nel primo cesto di roba posata là per terra e la trovai tra
gli strumenti scenici ammucchiati alla rinfusa.
Ponderai i passi e le mosse da fare. Quindi, accesi la torcia, la puntai nel buio del
cunicolo e mi avviai nella speranza di guardare in faccia quel misterioso essere che
doveva avermi seguito dappertutto, come un buon pastore che protegge le pecorelle smarrite. O come un prestigiatore che ti fa prendere lucciole per lanterne? E a che
scopo?
Trappola con Fuga
Ma non feci più di quattro passi che sentii alle spalle dei rumori di spranghe e
dei colpi secchi sulla porta d’ingresso della mansarda, che preventivamente avevo
serrato da dentro. Mi girai verso la parete mobile nel tentativo di riportarla al suo
posto, invano. Dopo qualche attimo di sbigottimento, tre gaglioffi erano entrati e
mi stavano accerchiando, mentre mostravano l’arsenale di coltelli e pistole e
mimavano le tipiche smorfie di sfida beffarda sulle labbra. Ero rimasto impalato e
con le mani alzate come se fossi divenuto un povero cristo in croce. Finché arrivò
lui, il magistrato, quello che era sembrato simpatico ed intelligente, ahimè! Ecco,
il valore delle apparenze! Quante fregature ho preso nella vita, badando alla sola
realtà superficiale.
Ora, appunto, l’autorità della legge stava mostrando la sua ambigua identità. La
natura a doppio fondo. Con un gesto eloquente lui fece cenno agli sgherri di
lasciarci da soli e prese posizione davanti a me, a testa alta.
- Inutile dirti che da qui non puoi scappare! L’alternativa per salvarti la pelle è
che cominci a parlare. Forza, dì tutto quello che sai, o saranno guai Mi puntò l’indice in mezzo alla fronte senza perdere la spavalderia di uno che
poteva tutto: stava dalla parte della legge e del crimine contemporaneamente.
- Alla faccia della giustizia e della verità, sei un volgare delinquente, peggio dei
poveri disgraziati che stai manovrando - Zitto! Non c’è tempo da perdere in chiacchiere. Cominciamo da Taldei Tali,
dove si è nascosto? Con una mano reggeva la pistola e con l’altra manovrava un bastone per rimuo120
ROSA D’EGITTO
vere i costumi ammucchiati nei cassonetti. Ma la caverna era lunga e si perdeva
nel buio.
- Allora?! - riprese con le minacce.
- Non so di chi parli: qui non c’è nessuno, tranne noi... - Ah, si? Allora, questa, chi l’ha indossata un attimo fa? - mi mostrò la maschera barbuta appesa al muro.
- C’è anche la tua seminascosta là dietro e non mi pare che tu l’abbia messa
sulla brutta faccia che ti ritrovi! Si girò prepotentemente arrogante e fece saltare per aria la copia dei suoi lineamenti in lattice. E così fece per quelle di Viking, di Capocroce e di tutti i protagonisti della storia. Poi mi puntò direttamente negli occhi in modo sospettoso e
sprezzante:
- Dov’è la tua? - Io non ho maschere! - Spiritoso, il ragazzo! - Non so perché, comunque: qui non c’è! Però, so che le maschere che hai buttato a terra appartengono a quelli caduti per davvero... - Questa è una faccenda che non ti riguarda. Tu sei solo l’ultimo anello della
catena, uno strumento per completare qualcosa che non ti appartiene Con un lento gesto del braccio additai sul fondo opposto della caverna una specie di pannello dorato su cui era stato scolpita una collana gigante composta da
sette medaglie, ciascuna con una scritta diversa, tranne quella centrale che pareva
aprire e chiudere con dei puntini sospensivi l’intero messaggio. Lui doveva sapere il nesso…
- Di quella parleremo dopo, adesso siamo seri, andiamo al sodo! - Senza di me sei fregato - provai ad irretirlo - E’ fin troppo facile da capire.
Adesso, puoi anche farmi fuori, ma non avrai quello che stai cercando - Vedo che cominci a ragionare, ragazzo; su, vai avanti, fai il bravo! - Non ho altro da dire, io... - Lasciati aiutare, allora. Per esempio: che fine hanno fatto le formule di 453 che
hai elaborato al computer? - Sono finite all’inferno per colpa dei tuoi stupidi scagnozzi - Spiegati meglio - Viking è stato accoltellato, 453 è stato sgambettato, Capocroce investito, lo
scalpellino avvelenato... dico bene? - Le formule, voglio le formule... chiaro? - Purtroppo, bisogna andarle a cercare all’inferno... è tutto là in fondo - e indicai il budello sottoterra, come se avesse potuto condurre al dischetto, che invece
era caduto in mezzo al tronco di ulivo ed era finito nelle viscere della collina dell’incendio, non certo in quella del Pincio. Chissà cosa ebbe a capire, infatti scrutò
in fondo allo stretto passaggio, ma era buio pesto. Rifletté qualche istante, poi mise
la canna della pistola sotto il mio naso e con fare sbrigativo aggiunse: - Stai facendo fin troppo lo sciocco; forse hai bisogno di rinfrescarti le idee? Ragazzi, servitegli un po’ di sale e pepe! 121
GERARDO LO RUSSO
Fischiò come se fosse stato uno scaricatore di porto e subito incassai un destro
ed un sinistro nello stomaco. Abbassai la testa giusto in tempo per beccarmi una
ginocchiata, che mi accarezzò metaforicamente sotto il becco e mi svirgolò il
collo. Un altro giovanotto mi reggeva da dietro le spalle. Il dolore si faceva intenso, mentre uno sciame di api ingorgato sembrava impazzire nella testa, ma dentro
di me sapevo che l’unica possibilità per salvare la pelle consisteva nel non dire
come stavano realmente le cose. Solo la speranza o l’illusione di essere utilizzato
per raggiungere il loro scopo poteva convincerli a tenermi ancora in vita.
- Ricominciamo, ragazzo. O ti decidi a dirmi qualcosa di consistente, oppure... Considerai che dovevo temporeggiare il più a lungo possibile e lasciarli nel dubbio.
- Per avere ciò che cercate servono troppi giorni di lavoro e poi: a me che me
ne viene? - bluffai. Ed infatti, la risposta arrivò immediata e coerente.
- Quanto? Dimmi quanto tempo; il resto lo vedremo a lavoro ultimato - Non sono nato ieri. Una volta preparata la torta, il pasticcere può essere solo
d’ingombro! Se almeno avessi qualche garanzia... Colpii nel segno, evidentemente, poiché adesso il balordo difensore della giustizia si mise una mano per tenersi il mento e sembrò riflettere sulla convenienza
o meno dell’offerta. Ricordai vagamente un proverbio: “Fingere è un difetto, ma
chi non sa fingere non è perfetto!”
L’idea che potessi essere coinvolto nella spartizione del malloppo, lo tranquillizzava. E ciò sia un ulteriore esempio di come, a volte, la condizione del male
porta al bene!
Alzò un lenzuolo di botto e indicò le attrezzature elettroniche fino ad allora
tenute celate. Le meraviglie della tecnologia super hi-tech mi si paravano davanti
come se mi avessero da sempre aspettato, erano i miei giocattoli preferiti e già
godevo solamente a guardarli. E il magistrato sentenziò:
- Bene, accetto la sfida. Avrai quanto ti necessita per la ricerca, più un terzo del
tesoro di Viking. Ma se sgarri di un soffio, kaputt! - Ok! Troverò il codice del tesoro, ma per poterlo fare debbo capire come funziona la base per il calcolo della previsione degli eventi - Basta che ti dai da fare... Forza, che aspetti? Mi avvicinai al complesso di strumentazioni e valutai che la cosa si stava mettendo per il verso giusto. Mi offrirono, bontà loro, dei fazzoletti di carta e mi asciugai il sangue che ancora colava dal naso. Nel frattempo, il magistrato sbirciò nei
quaderni e chiese dove erano andati a finire gli appunti di 453. Non ne sapevo
nulla, perciò lo tranquillizzai dicendo che avevo tutto in mente io. Ero diventato
assolutamente prezioso, organico al loro progetto. Di conseguenza, non potevo
fare altro che paventare di offrire loro ciò che volevano. E feci cenno di sì con un
sorriso obbligato. Ma come avviare quella macchina sconosciuta?
- Ut-de-ki-vo-ki! - involontariamente emisi un suono che saliva intraprendente
dal fondo dell’anima. Lui si girò di scatto e mi guardò perplesso.
- È la password... - lo tranquillizzai, simulando di digitare le lettere dell’inconscio.
122
ROSA D’EGITTO
Simulazione o manovra esatta? Non lo saprò mai. Ma fu magia continua: si
accesero miriadi di luci e di inviti a darmi da fare.
Cominciai ad immettere dati matematici sulla falsariga di quelli che vagamente
ricordavo negli appunti di 453. Intanto, dovevo verificare in che misura il magistrato fosse a conoscenza del significato di quelle operazioni; per fortuna, mi accorsi che
non ne capiva più di uno studente liceale. Presi fiducia, emettendo un grosso sospiro di sollievo e lui pure sembrò fare altrettanto vedendomi solerte al lavoro. Ridi tu
che rido io, ma non dovevo dare l’impressione di bluffare, pena la pelle.
Allora, presi a formulare delle operazioni inventandomi un numero di qualche
centinaia di cifre ed iniziai a fattorizzarlo. Avevo imparato che la fattorizzazione è l’inverso della moltiplicazione. Secondo quanto avevo appreso, un codice
inattaccabile e garantito è un numero primo risultante dal prodotto di più numeri primi più piccoli Solo quei numeri danno la risposta corretta. Quindi, chi li
conosce può gestire il passaggio di informazioni, senza interferenze altrui. Ma
un numero troppo elevato è di impossibile computazione nella normale ricerca
dei fattori, salvo per chi fosse stato in grado di applicare la innovativa formula
per la previsione degli eventi, che scavalcava la miriade di improbabili calcoli
matematici. Di conseguenza, o si è in grado di utilizzare le teorie di 453, oppure niente. Non codice bancario di Viking, e men che mai il possesso del futuro
della vita.
Ben detto! dissi ancora.
Era quanto pure il Buon Parolaio paventava...
Allora sono punto e daccapo.
Ed i minuti passavano in fretta e già avevo sfornato una montagna di risultati
approssimativi, che non significavano nulla di particolarmente rilevante. Era solo
apparenza: numeri e segni convenzionali evidenziavano il risultato di chissà quale
lavorio computazionale, ma l’insieme dei simboli era solo uno specchietto per le
allodole Una escamotage per valutare il da farsi ed attendere il momento opportuno per darmi alla fuga. Intanto che il magistrato rigirava i pacchi stracolmi di
costumi, alla ricerca di chissà che cosa, gli altri tipi si erano inoltrati in fondo alla
galleria, a malapena praticabile per le tante travi di supporto che reggevano la
massa di terreno sovrastante. Eravamo in un ambiente scavato nel sottosuolo, il cui
soffitto era retto da strutture corrose dal tempo. Bastava un nonnulla per far crollare il tutto e soccombere come delle povere cavie.
No! dissi, vedendoli spostarsi in modo incontrollato e scomposto, questi sono
dei pazzi: bisogna evitare di far crollare l’intera impalcatura; altrimenti, facciamo
tutti una brutta fine. Adocchiavo ogni tanto la porta sfondata della mansarda e l’abbaino là in alto. Era troppo azzardato ed insensato pensare di fuggire attraversando lo stanzone ed evitare le pallottole nel breve tragitto. Ed intanto, continuavo a
sfornare dati su dati, senza significato, con un occhio al video ed uno al cunicolo.
D’un tratto mi accorsi che alcune operazioni casuali corrispondevano effettivamente a quelle del genio matematico. Le selezionai. Sul monitor numero 2 fluttuava un 453 elevato alla quattrocentocinquantatreesima potenza. Si rigirava, ribaltava, ingrandiva, negativizzava, duplicava, deformava, fino ad allinearsi cabalistica123
GERARDO LO RUSSO
mente sulle lettere di un nome e cognome che vagamente ricordavano qualcosa di
trasparente ed illeggibile.
L’insieme delle operazioni era la base della formula di 453?
Che sorta di matrice complicata!
“Avvolgi, avvita, avviluppa... più luce” intanto, indicava l’info degli aiuti. Ma
come?
Dio mio!
Pensai che quella complessità di operazioni potesse permettere la decrittazione
degli eventi verificabili nell’universo visibile. Dallo sbalordimento ebbi un sussulto e d’istinto feci altri tentativi nel rigirare le cifre dall’alto in basso, spostare la
terza a sinistra al posto della quindicesima a destra e così via.
Era ok!
E se fossero solo un sogno? ansimavo. Urge fare una prova. Se per esempio,
proseguendo nella formulazione degli eventi futuri avessi cercato di prevedere
come sarebbe andata a finire nei prossimi minuti e fosse arrivata la controprova
esatta, non ci sarebbe stato più di che sorprendersi. Ma mi girava la testa e mai
avrei potuto attuare la formula magica di 453, a meno che lui stesso non mi fosse
venuto in soccorso, come era accaduto giorni prima quando agivo da sonnambulo. Con la differenza che adesso non potevo riutilizzare più il canale di comunicazione del sogno, poiché i brutti ceffi non me l’avrebbero giammai consentito, nonostante avessi davvero bisogno di farmi un abbondante pisolino.
Ma non avevo tempo di pensare a queste cose sane e sagge, ora.
E lo credo bene!
Ero, malgrado tutto, fiducioso di farcela nel trovare una via di scampo.
Prevedevo che sarei uscito fuori dalla trappola, senza computazioni di sorta, ma
con l’attivazione dell’intuito o, forse della chiaroveggenza o, chissà di quale logica applicata al possibile.
Concretezza, ragazzo, concretezza! Quando hai a che fare con poca cosa, fai
quanto occorre per risolvere il contingente, poi si vedrà! Se ti fissi troppo, non
afferri il meglio che c’è, e imprigioni il buono che hai.
Per scrupolo, cancellai immediatamente i dati dal video: era troppo azzardato
mostrarli ad occhi indiscreti. Figuriamoci se il magistrato, qualora avesse percepito che il processo di avviamento fosse stato ok, non avesse cercato di estrapolarli
dalla memoria del computer o direttamente dal mio cervello. Sarebbe ricorso perfino ad una operazione chirurgica... se necessario! Bisogna tessere la tela ancora
un poco ed attendere che ciò che deve accadere, accada.
Dopo un certo tempo di digitazione continua, chiesi di fare un intervallo. Allora,
il magistrato venne vicino, mi offrì da bere e cercò di parlare a quattrocchi, ma in
modo più accorto e convincente:
- Tu sai che è l’ultima chance. A loro bastano i soldi di Viking, ma io ho scommesso su me stesso per sapere qualcosa di più. Cosa c’è di vero nella teoria di 453? - Perché me lo chiedi? Che dubbio c’è ancora? Viking ha sbancato più di qualche lotteria utilizzando la formula della previsione degli eventi applicandola alla
ruota della fortuna... 124
ROSA D’EGITTO
- Balle! Quei quattrini sono il frutto di una rapina: loro tre lo sanno bene!
C’erano pure i miei risparmi là dentro! E Viking si è fatto infinocchiare depositandoli con un codice indecifrabile - Uhm. Vuoi dire che la formula di 453 potrebbe rivelarsi una presa in giro di
Viking per fregarvi tutti? - Non esattamente! Ma si è fidato troppo di 453. Io ho passato intere serate in
clinica psichiatrica vicino al paziente 453 per saperne di più... Mi ha sempre risposto: Nome e Cognome e 453! Alla fine stavo dando i numeri, io! - Ma Viking era sicuro che la formula era esatta...l’ha pure scritto! - Da quando in qua ciò che è scritto, perché è scritto, è vero? - La parola di Viking vale perché era sincero - In questo caso, tu la devi trovare. Costi quel che costi Tirai un grosso sospiro di sollievo: il magistrato era molto più terra terra di
quanto pensassi. Non potendo certificarsi sulla veridicità della formula per la previsione degli eventi, navigava nel dubbio, mentre gli altri compari si attendevano
solo il ritrovamento del codice bancario. Valutai che la sua temerarietà sull’uso
della reale e straordinaria scoperta di quella faccenda dei numeri, ora appariva
meno pericolosa. Allora, affondai nelle sue insicurezze.
- Non ci riuscirò mai a ritrovare il codice bancario di Viking - dissi - se prima
non sperimento almeno una parte della montagna di possibilità combinatorie - Quante sono? - 453 alla quattrocentocinquantatreesima potenza più altro - mi venne spontaneo azzardare e ripetei la matrice impossibile. - Che significa? - Ci vorrebbe un calcolatore quantistico universale per sperimentarle tutte... - Cioè? - Ci vorrebbe un computer in grado di eseguire tutte le computazioni possibili e
capace di simulare nella realtà virtuale ogni ambiente finito fisicamente possibile... - Sei pazzo? - È già così di fatto nella norma. Ogni cosa è classificabile con numeri di atomi,
particelle, cellule, molecole... e più dividi una cosa in due e più cose ci saranno da
dividere successivamente e all’infinito. Dai un valore vitale ai numeri e con essi
ricombina copia dopo copia tutto quanto ti viene in mente. Avrai duplicato l’infinito universo che vedi e tutti i suoi eventi possibili. Più il movimento - Vidi il
magistrato perplesso e sconvolto. Per lui avevo esagerato.
- Sei peggio di 453, ragazzo! - Provaci tu, allora! Ecco questo è il software per i calcoli matematici, questi
sono i tasti. Prego! - e gli cedetti la consolle.
Per fortuna la curiosità lo ebbe facile preda; infatti, cominciò a realizzare i primi
calcoli, ma dopo qualche battuta dovette arrendersi all’evidenza. Più premeva i
tasti e più dava di testa.
- Troppo difficile! Troppo tempo e troppo memoria ci vuole! Probabilmente gli balenò in mente di farmi fuori all’istante insieme a tutti quegli imprevedibili aggeggi elettronici; ma come speravo, si ricordò del tesoro bancario. Ah, quanto è grande il Dio danaro!
125
GERARDO LO RUSSO
E chiese:
- Recupera almeno il codice del malloppo di Viking; quello deve essere facile,
voglio dire possibile... Altroché: sarebbe stato pure la mia salvezza! Momentanea, ma pur sempre infinitamente preziosa!
- Ci proverò - dissi per tranquillizzarlo.
Ma sapevo di non potervi riuscire salvo comporlo con la base della formula per
la previsione degli eventi… Fui accorto però a suggerire l’escamotage per allungare i miei respiri vitali. Risolvi un problema alla volta, Ruggero. Così! Poi si
vedrà. Che bello, la coscienza era tornata a farmi da guida maestra. Era il segno
che mi stavo lasciando l’incubo alle spalle.
Mi rimisi alla consolle e, nella speranza che accadesse qualcosa, feci finta di impostare nuovamente un lungo calcolo probabilistico. Nel frattempo i tre balordi erano
tornati a mani vuote dall’ispezione del cunicolo sotterraneo. Non avevano trovato
Taldei Tali, né alcuna altra persona. Si arresero all’evidenza e si sedettero attorno al
tavolo mentre spazzavano via l’involucro con i sette quaderni, finché si misero a giocare a poker con il magistrato. Puntavano con disinvoltura i gruzzoli di monete antichizzate raccolte sul pavimento. Beata ignoranza! Ne toccai una rotolata fino ai miei
piedi. Pensavano che fosse falsa e la avevano usata come una fiche! Ed intanto,
distratti dal gioco, non si accorsero che due dei quaderni buttati per aria caddero
anch’essi vicino ai miei piedi. Ebbi così l’opportunità di riprendere il mio e salvare la
storia che avrei poi finito di scrivere per appagare la tua curiosità. L’altro quaderno
era rimasto aperto, mezzo sgualcito e macchiato del sangue cadutomi poco prima. Ma
la cosa non aveva alcuna rilevanza: era del magistrato e quel che conteneva ormai era
stato azzerato dal rosso, come se fosse ritornato all’originario inesistente.
Tutto ciò accadeva nel pomeriggio inoltrato del sette agosto secondo le indicazioni rilevabili sul timer connesso alla parete mobile. Mi stavo giusto appunto
chiedendo chi avesse mai potuto predisporre l’apparecchiatura elettronica nel sofisticato laboratorio informatico sotterraneo. Sofisticato certamente, poiché era una
lieta sorpresa manovrare il complesso della stazione computerizzata così ben congegnata insieme: un misto delle migliori tecnologie d’avanguardia con qualche
cosa di innovativo che ancora non riuscivo a decifrare, ma che agevolava enormemente le operazioni in corso. Pensai che qualcuno utilizzasse quegli aggeggi per
progettare scene teatrali o cinematografiche. In effetti, mi trovavo in una sorta di
atelier avveniristico, che probabilmente era collegato in rete con altri studi. Presi
ad indagare nel menù e considerando i file esistenti e le titolazioni dei documenti,
scoprii che si trattava di un laboratorio per sviluppare realtà virtuale in uso nelle
pellicole sperimentali. Ecco spiegati i tasti in più del solito presenti sulla consolle. Chissà che funzione hanno?
Aspetta un momento!
Chi potrebbe essere il proprietario o l’organizzatore del laboratorio? Il Vecchio
Taldei Tali?
Era prevedibile, ma non dimostrabile. Oppure: un impresario della celluloide
con il cruccio della specializzazione in scene virtuali?
126
ROSA D’EGITTO
Ti predetermino il fatto; spendo e spando un po’ di soldi e ciondoli in giro; poi
scrivo la sceneggiatura e ne faccio un film.
Supposizioni, solo supposizioni, mi dicevo.
Esatto!
Ma ecco che un’immagine eloquente chiariva il mistero: in alto a destra del
monitor numero 5 compariva a fasi alterne e luminose una piccola icona che riproduceva un anziano signore scuro nel volto e con la barba lunga.
Non si distinguevano né le labbra e nemmeno le forme sagomate del viso.
Solamente una massa ordinata di peli argentei e due piccoli fori luminosi al posto
degli occhi. Il tutto era stato disegnato in quel modo, proiettando volutamente
l’ombra del copricapo sul volto.
Un momento! pensai. Se qui ci ha messo le mani il nonnetto, la cosa è di buon
augurio. Vuoi vedere che da qualche parte c’è descritta la mossa azzeccata per
potermi tirare fuori da questa situazione d’emergenza... Lessi in basso il titolo
della cartella: “Rosa d’Egitto”.
Stupendo!
Aprii freneticamente uno dopo l’altro i documenti, finché scoprii l’ultimo: “The
End”.
Ma non era la sigla di chiusura di un film, come chiunque avrebbe potuto immaginare, bensì la demo per indicare come farla finita con quella drammatica evenienza. “The End” dimostrava quali dovessero essere le operazioni da effettuare
per attivare in un baleno la chiusura della parete mobile e per spegnere simultaneamente tutte le luci ed i comandi elettronici nel sottosuolo. Feci un rapido calcolo ed eseguii le operazioni una dopo l’altra, in attesa di dare il click definitivo.
Avevo deciso ormai di tentare il tutto per tutto. Sapevo che spingendo ok sul congegno elettronico, avrei provocato l’immediato scatto della parete. Il susseguirsi
degli spostamenti e la velocità reale venivano dimostrate nelle immagini simulate
sullo schermo. Così pure la metamorfosi ambientale. Difatti, l’intero sotterraneo
diventava buio pesto in pochi e soffusi secondi, come se si fosse spenta una sala
cinematografica a fine proiezione.
Respirai forte e valutai il da farsi. Avevo la soluzione a portata di mano, però
qualsiasi esitazione ed errore avrebbe potuto vanificare l’ultima ed unica chance
che avevo. Il cuore cominciò a battere forte. Sempre quando sai di giocare il tutto
per tutto, il cuore batte forte. Ecco, quello è il momento di imporre la volontà sull’istinto. Calma, ragazzo. Calma.
Era necessario attrezzarmi al meglio e studiare il percorso da seguire nei minimi dettagli. Mi preparai per prendere la torcia elettrica e per scappare giù in
fondo alla galleria, dove presumibilmente pensavo si fosse inoltrato pure Taldei
Tali. Dovevo solo attendere il momento opportuno; magari, quando i quattro si
sarebbero distratti dagli andamenti del poker. Intanto che attendevo con alterna
trepidazione, mi misi a curiosare sui tasti misconosciuti e sugli altri file che mi
erano apparsi duplicare le icone appese ai muri. Pigiai su quella del magistrato:
la sua faccia si decomponeva in smorfie dai significati grotteschi. Ora si mostrava in una versione virtuosa, subito dopo si trasformava in una mimica dionisia127
GERARDO LO RUSSO
ca e, ancora, diveniva contorta o aberrante come un vampiro di fuoco: l’esatta
copia dell’originale.
Ahàhahah!
Inavvertitamente ridevo di gusto ed intanto, aprii quella del senatore Capocroce.
Anche il suo volto in cellofan era una rappresentazione di momenti diversi dell’animo umano: sembrava un signore tutto di un pezzo dapprima, poi diveniva un
fanciullo apollineo e solare, in seguito appariva nelle vesti di una maitresse truccata a più non posso. Così stavo speculando sul tempo che passava pur essendo
sempre vigile con la coda degli occhi ad osservare i quattro pokeristi che rilanciavano la posta in gioco. Provavo, altresì, ad ampliare l’ascolto ed ero proteso a percepire ogni minimo rumore che potesse indurmi ad agire favorevolmente. L’attesa
si faceva più pressante con il passare dei minuti e con l’aumentare delle nuvole di
fumo e dei fumi dell’alcool. Alla minima distrazione da parte loro me la sarei data
a gambe. Tremavano quest’ultime, ma per la tensione, pronte ad agire.
Tuttavia, l’improvvisa apparizione della icona con il mio ritratto, mi fece sussultare dalla curiosità. Era il colpo di coda che mi costringeva a ripiombare nell’incubo. Non me l’aspettavo proprio questa sorpresa, visto che sui muri della
caverna non ero mischiato alle altre maschere.
Forse, pensavo davvero di essere diverso, io! Che illuso. E adesso? La tentazione fa dei brutti scherzi! Spinsi per saperne di più su di me, probabilmente amavo
pavoneggiarmi o forse desideravo capire come gli autori di quei minivideo mi avevano interpretato. Invece, non si trattava affatto di un film. Stava accadendo un
fenomeno tanto incredibile quanto angosciante. Come pensavo qualcosa di diverso, l’immagine prendeva forma altrettanto diversa.
Ruggero live!
A ripetizione apparivo in tutte le smorfie possibili ed immaginabili. La metamorfosi riproduceva situazioni umane, divinizzate o, addirittura, aberranti, assecondando l’attività cerebrale in tutti i suoi misteriosi aspetti. Giocoforza dovetti
prendere coscienza di me stesso.
E, ahimè!...erano dolori, ragazzi! c’era da aver paura a guardarsi là dentro.
Usciva una verità assurda e paradossale: ero non solo quello che sentivo di essere,
ma anche tutto e il contrario di tutto, perfino il peggior nemico di me stesso e viceversa. Dottor Jeckjll e mister Hide moltiplicati all’inverosimile! Dipendeva dalle
sintonizzazioni in cui mi ponevo in ascolto, pardon dallo stato di ricezione in cui
l’entità unica poteva comprendere il tutto. E chi più ne ha, più ne metta! Una
immagine, però, più delle altre appariva e spariva come un segnale di continuità
temporale: c’ero io che provavo, provavo, non so che cosa, ma provavo ad affrontare chissà quali fatiche, come un novello Ercole d’altri tempi vetusti, che saliva
gradino dopo gradino la scala della conoscenza. Alfine, mi sembrò di intendere
uno strano messaggio che appariva tra le scomposizioni e le contaminazioni
espressive. Più o meno doveva avere un significato simile, ma non potrei giurarlo, dato il tempo esiguo di cui disponevo per verificarlo meglio e la poca concentrazione rimastami in serbo, dovendomi guardare alle spalle per essere pronto alla
fuga.
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ROSA D’EGITTO
Azzardo a dirlo, ma la frase significava più o meno questo: ognuno è tutto ciò
che pensa di essere; ma è anche tutto ciò che non pensa di essere; è comunque:
tutto ciò che è possibile e impossibile essere in qualsiasi stato di umore, di circostanza o di dimensione. Ecco: le dimensioni, o meglio le pluridimensioni! E ciò
che non si è di qua, si è certo di là! come direbbe 453.
Forse questo stavo confabulando, mentre subentrava la paura di vedermi in continua trasformazione. Già: il solo pensare di rinnegare non una, ma infinite volte
me stesso, mi faceva rabbrividire. Ed avevo l’assurda controprova che tutto il male
del mondo poteva essere in me. Ogni porcheria che pensavo, pareva essere vera,
essere mia, e così via, ahimè! A meno che il fenomeno virtuale non volesse indicare che dovevo superare tanti altri stadi della coscienza per pervenire ad un livello di pace totale. E mentre almanaccavo come al solito, apparve una luce dorata e
radiosa dietro la mia icona inespressiva ed allora, scattai come una molla d’acciaio. Presa la fortuna al volo, feci due click ed azionai la manovra di fuga al computer. Con la coda dell’occhio avevo calcolato che i carcerieri erano finalmente
chini e distratti a raccogliere a terra il denaro caduto al killer dell’autostrada, quello che s’era rotto un braccio e ce l’aveva giustappunto ingessato.
Menomale!
Scappai come una lepre nel fondo della galleria, con la torcia in una mano e con
il quaderno nell’altra. I quattro gabbati balzarono dalle sedie, ma non ebbero il
tempo di intrufolarsi oltre la parete tempestivamente chiusasi con uno scatto secco
a cui seguiva un tonfo sordo. Immediatamente, sentii altri colpi violenti e già intravedevo nel buio alle mie spalle i fori di luce. Perciò mi allontanai il più possibile
sperando di trovare presto una via di uscita. Avevo percorso un centinaio di metri,
ed ora ascoltavo il repertorio di bestemmie e gli insulti degli inseguitori, che erano
riusciti a sfondare per darmi la caccia.
Venivano avanti illuminando il tragitto con gli accendisigari in mano, però questa volta agivano con fare accorto per evitare di smuovere i supporti di legno putrefatto, che sorreggevano la galleria. Esattamente, come avevo fatto io. Ma loro
erano in quattro e si stavano ostacolando l’un l’altro nello spingersi a vicenda. Mi
diedero l’idea che stavo cercando. Mi inoltrai ancora un poco e quando intravidi
dei supporti robusti, ben posizionati e sufficientemente resistenti per reggere il
tetto del tunnel, diedi vita ad una mossa a sorpresa. Torcendomi con forza con il
corpo, produssi una serie di robuste spallate sulle travi marcite che mi ero lasciato dietro. Fu un lento, ma progressivo rotolar giù di pezzi di legno e di terriccio.
Una sorta di caduta a catena dei pezzi di un domino. Il boato e la polvere mi terrorizzarono tanto da farmi dubitare che potessi evitare la fine. Furono minuti terribili: mi sentivo al centro di un complesso fuoco d’artificio, senza possibilità di
scampo. Ma, grazie alla dea fortuna, per la terza volta ce la stavo facendo. Il sotterraneo veniva completamente otturato giusto fino alle mie spalle e degli inseguitori non vedevo più nulla.
Erano diventati talpe, ma prive di respiro.
Ringraziai non so chi o che cosa ed attesi di avanzare nel cunicolo evitando un
gruppo di ratti, che scappavano pure essi in quella direzione. Però, questa volta,
129
GERARDO LO RUSSO
non mi feci più fregare. Non presi la loro stessa strada ed attesi in silenzio e spensi la torcia per meditare meglio sul da farsi. Al buio rifeci mentalmente il cammino percorso dall’inizio dell’avventura. L’avevo scampata bella, ma c’era ancora il
perdurare delle microscopiche frane di terriccio che sentivo continuare là intorno
e che avrebbero potuto ingoiarmi da un momento all’altro. Provai a captare qualche spiffero d’aria o qualche altro tipo di ventilazione. Avrebbero potuto indicarmi la via di uscita per mettermi in salvo. Purtroppo, non c’era niente da fare, né
intravedevo orizzonti percorribili. Nessun alito di vento, tranne quello del mio
respiro inquieto e affannoso.
Sii ottimista, ora! hai già evitato il peggio! Mi auto incoraggiavo ed al momento mi dissi che sarebbe stato preferibile godere dello scampato pericolo, poi avrei
cercato il da farsi. Bravo, avanti così! Un problema alla volta, come quando devi
sbrogliare una matassa di fili.
Ricordai di nuovo il bel sogno di lei, artefice dello strazio in cui mi trovavo.
Eppure, come pensavo al sogno, riprendevo stranamente le forze. Quasi, quasi
stavo per buttarmi supino sperando di riviverlo in qualche modo, come alla moviola. Poco importava che il posto fosse inadatto perché umido e sporco; sta di fatto
che, spossato ed incurante di mischiarmi alla terra, mi stesi nella stretta feritoia e
mi misi a guardare verso l’alto e con le narici semi otturate dall’humus nauseabondo. Respiravo pian piano, sia per evitare il consumo del poco ossigeno rimasto là
dentro, sia per non ingoiare i residui di polvere e muffa, che vagavano volatizzati
ed in abbondanza. Stavo stirato con le braccia completamente aperte e riparavo il
volto con il quaderno piegato sugli occhi. Occhi che stropicciavo invano per eliminare il fastidio della polvere. E mentre mi abbandonavo al riposo auto ipnotico
nel buio più intenso, mi accorsi che avendo pigiato con le mani sui globi oculari
avevo procurato un subitaneo dolore, accompagnato dalla visione di un’infinità di
stringhe colorate e caleidoscopiche.
E ritornavano in voga i racconti degli altri già letti.
Le scene proseguivano senza giungere mai ad una conclusione, e mutavano di
forma come se appartenessero ad un labirinto senza fondo. Erano accompagnate
dai rumori degli slittamenti residuali dei detriti, che piombavano dall’alto in basso
e che nel silenzio acquisivano il valore della caduta di massi enormi. Per fortuna,
non avevo più timore o paura: qualsiasi cosa fosse accaduta mi avrebbe toccato
relativamente negli aspetti psicologici. Certamente, se qualcuno mi avesse visto in
quello stato, mi avrebbe preso per uno più morto che vivo. E già aleggiava il desiderio di conoscere com’era la morte. Ma prima di lei c’erano in bella divisa i fantasmi del recente passato, divenuti gli improbabili uscieri in livrea lungo il salone
dell’aldilà. Erano flash multicolori che balenavano uno dopo l’altro, mentre avanzavo sulla scena della resa.
Perciò, dosavo la respirazione in modo da consumare meno energie possibili, ed
intanto che venivo coperto dai resti del materiale in caduta libera. E pensavo di
essere già nell’oltretomba, ma non ne ero cosciente, come se la coscienza potesse
continuare dopo la morte, chissà? La vita sembrava qualcosa con infinite sfaccettature e la morte in quel contesto appariva solo un flash della vita stessa. Un tic tac
130
ROSA D’EGITTO
perpetuo, un effetto respiratorio del miasma cosmico. E più ascoltavo il tic tac e
coordinavo ad esso il respiro, e più sembrava che l’intera esistenza fosse dipesa
dal rigonfiamento dei miei polmoni e dal moto del cuore.
Così meditando, fui letteralmente preso dopo qualche minuto, da una sorta di
miracolo: tutto stava diventando bello e luminoso là sotto terra. Sì, luminoso!
Anche al buio, se la mente sa godere di sé stessa, si riempie di una meravigliosa
luce. Non saprei descrivere di che tipo, ma poco importa. Sta di fatto che davvero
là intorno apparve la luce, prima soffusa, poi sempre più evidente ed incoraggiante. Tanto era incredibile che volli toccare con mano una tavola dondolante oltre il
quaderno e sopra la testa. Era vera ed appena mi alzai per spostarla di lato, vidi
che si sollevava facilmente.
Avvenne la stessa cosa quando rimossi un’altro pezzo di legno poco distante e poi
quando toccai una serie di schegge e delle travi bruciate. Ma non era una bara, né un
sarcofago, perché nessuno aveva pensato a darmene uno. A giudicare dalla puzza di
fumo doveva trattarsi di scarti e di resti di un fuoco. Presi a sperare che ci fosse una
via d’uscita poco più in alto. Continuai a farmi largo, liberando il diaframma di cose
materiche che mi separavano dalla luce, che appariva sempre più intensa. Sopra la
testa iniziò a cadere una montagna di roba e già i rivoli di sangue caldo accarezzavano piacevolmente la pelle fino al basso ventre. Finché riuscii ad arrampicarmi sul
pavimento distrutto di una casa abbandonata.
Si respirava, finalmente!
Era avvenuto un nuovo e vero miracolo. Confortato, piangevo e stringevo i
pugni dalla gioia, mentre cercavo spazi aperti per respirare più aria possibile.
Ancora una volta era la luce del tramonto inoltrato a farmi da guida poiché perforava le mura dell’edificio attraverso crepe e squarci a cielo aperto. Pure i lampioni di un giardino erano già accesi. Guardai in alto. Del soffitto rimaneva una
labile traccia: sullo sfondo dominava la perenne ed incantevole volta celeste. Il tic
tac era scandito ancora più poderoso che prima. Mi lasciai guidare dall’udito che
mi attirò sotto un arco. Il fiero ed inarrestabile battito proveniva da un enorme orologio a pendolo semidistrutto, ma tuttora funzionante. Ecco, realizzai dov’ero:
nella Casina della Villa Borghese! Quella andata in fumo dopo l’evacuazione della
setta religiosa.
Cribbio, ma allora sono sano e salvo!
Ecco: la stessa frase detta all’inizio di questa storia! Ero monotono, ma terribilmente contento di esserlo. E più andavo avanti e più mi ritrovavo indietro...
Guardai intorno e mi vidi riflesso sui resti di uno specchio deformato dal calore.
C’era da rimanere allibito per il modo di come apparivo. Vuoi per lo sporco che
mi ricopriva tutto, vuoi per gli occhi arrossati, sembravo piuttosto un demone fuoriuscito dagli inferi. D’improvviso, sembravo invecchiato di decine di anni. La
barba incolta ed i capelli coperti di cenere bianca accentuavano la trasformazione
senile. Ma anche le ciglia e le rughe della fronte erano scolpite dalla paura e dalla
prova subita. Ero un cadavere rimesso in piedi o la simulazione fisica di come
sarei diventato da vecchio? Ormai dovevo scappare da quella visione aberrante, né
mi fece restare lì il pensiero ultimo che quella immagine austera ed a tratti estati131
GERARDO LO RUSSO
ca, altro non poteva essere che il riflesso di Taldei Tali. Scappai e basta, cercando
una via di uscita. La via di ritorno alla realtà di sempre. Quella fatta di piccole cose
con tante certezze facili da vivere. Ecco, via di qui! Via, voglio la mia bella fetta
di normalità. La porta non c’era, ma feci prima a saltare da una apertura del muro
e a beccarmi in fronte gli ultimi raggi di sole.
Guardai la natura, vidi la luce. Il labirinto non albergava più nella mia mente.
M’ero lasciato l’ultima stanza alle spalle.
Ben fatto! Era ora: più avanti vai e più torni indietro, mi sembrava di ascoltare
ancora.
Dopo tante fatiche mi ritrovavo libero ed in perfetta salute nella meravigliosa
serata d’agosto romano.
Cosa vuoi di più dalla vita?
La vita stessa è la risposta.
Presto cercai dove sciacquarmi le mani zozze di terriccio e il volto impregnato
di nerofumo. Poco lontano ricordavo che c’era una sontuosa fontana con dei sedili a fianco. Era proprio quello che ci voleva. Mi sedetti su una panchina di legno e
stavo spogliandomi per lavarmi meglio. Mi accorsi di un flash balenato poco lontano. Ah! pensavo, menomale che risento qualche presenza umana, chiunque essa
sia.
Quando si ritorna da un viaggio nel buio più intenso, si abbraccerebbe anche il
peggior nemico per la gioia di ritrovare il ritorno alla normalità delle cose.
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CAPITOLO SETTIMO
La Rosa Ritrovata
Come può finire un romanzo? Magicamente.
Se l’amore c’è, c’è sempre.
Può arricchirsi o impoverirsi. A volte incrinarsi e perfino corrompersi.
Ma se è vero amore lo si ritrova sempre.
Avevo appena iniziato a levarmi i pantaloni fradici di tutto, che già notai sul
bordo circolare della fontana una borsa di cuoio, un foulard ocra fuoriuscito a metà
ed un tagliando di una compagnia aerea appiccicato sopra. Erano stati appoggiati
giusto vicino al mio quaderno, mentre stavo togliendomi la T-shirt sporca di sangue, cenere e terra. Sarà di una turista che sta fotografando le bellezze di Roma,
pensai. Avevo la testa tra le mani, mentre pulivo i capelli e ammiravo lo zampillio
di acqua, che riverberava la forza vitale del desiderio. Ed esso mi ritornò improvviso nelle vene. L’avevo scampata bella, ora potevo ardire ed affrontare nuove
avventure. Intanto, come mi sarebbe piaciuto incontrare la Bella adorata! Il desiderio si faceva più intenso, vieppiù che osservavo la statua di marmo della fontana. Era anche lei una Bella incantata tra le forme materiche e candide ed era colma
di significati che accarezzavano dentro. La luna chiara ed argentea accompagnava
il resto dell’atmosfera romantica.
Giù da basso, a pelo di acqua, un altro piccolo blocco marmoreo rappresentava
un bimbo deposto in una cesta. Facile...Ahàhahah! L’insieme lapideo simboleggiava il salvataggio di Mosè!
Per un istante ebbi la sensazione di aver navigato sulle angosce della vita
anch’io! come quel simbolo. Ah, come le fontane sono ben pensate per alleviare
le pene quotidiane! Ce ne vorrebbero di più. Peccato, che spesso vengano poco
valorizzate dalla gente che corre e più si corre e meno fontane si costruiscono.
Fermai lo sguardo sull’acqua: era leggera, trasparente e fluida come i ricordi
che scorrevano nella memoria. Per un attimo, fiumane di genti nude ed enormi falò
comparvero intorno ad esotiche rive ed io mi bagnavo nelle valli del Nilo e sentivo arcani profumi come quello della Bella del Bosco. Ma avevo poco anzi giurato di voler tornare alle cose concrete e già osservavo meglio la borsa, il foulard ed
il tagliando, che vagamente mi ricordavano qualcosa. Qualcosa di familiare, di
evanescente e lontano. D’incanto, registrai che i numeri del volo, il nome dell’aereo e della compagnia di bandiera dovevano significare una teoria di preciso. Non
presi così com’erano in serie, ma rigirati sottosopra, visti al rovescio e progressivamente aumentati di potenza secondo una formula che vagava nei meandri della
133
GERARDO LO RUSSO
memoria. E che con l’aiuto dei nodi del foulard posizionato a spirale pareva acquisire una sequenza logica.
Il volo proveniva dal Cairo! però!... Che coincidenze!
Allora mi riapparve in mente il dischetto sepolto nelle crepe della collina.
Ricordai che da sonnambulo avevo digitato una certa connessione tra il carteggio
dei quaderni rimastomi in senno e la sequenza numerica che avevo copiato dai
dorsi delle fontane leonine di piazza del Popolo.
Esatto! e balzai dalla panchina.
La sequenza delle cifre era quella che Viking aveva dato a 453 da usare come
base di partenza per la fattorizzazione del codice segreto del tesoro. Ecco risolta la
misteriosa sequenza di gesti che disperatamente aveva cercato di comunicarmi
prima di andarsene all’altro mondo. E non l’indicazione della collana, come avevo
supposto! Ebbi la esatta percezione di non sbagliare alcunché nelle formulazioni
del pensiero. Né dubitavo se fosse stato meglio andare avanti o indietro. Qualsiasi
passo avessi fatto, ora pareva quello giusto, significativo, vero come qualsiasi cosa
della vita. Anche l’errore acquisiva una importanza straordinaria nel compendio
della propria esistenza; dunque, era necessario e non poteva più essere pregiudizionalmente calcolato come un elemento da evitare; dunque, era un mezzo per la
ricerca della perfezione; dunque, non era più paradossalmente un errore…
Ed infatti, ora il ricordo lievitava alacremente e mi suggeriva di elaborare il
codice segreto che mi avrebbe consentito di impadronirmi di una montagna di
soldi. Incredibile, come la mente galoppa avanti ed indietro, sotto e sopra gli stessi segni! Tutto è già scritto, siamo noi a vedere solamente quello che ci pare.
Esatto!
Ebbi un lampo di genio e già stavo percorrendo mentalmente la serie di passaggi matematici da effettuare per appropriarmi al più presto di quella ricchezza
insperata.
Questa volta era proprio fatta, sarei stato ricco a palate!
L’interminabile entusiasmo mi indusse a cercare qualche strumento per trascrivere la serie dei numeri e delle operazioni che balenavano con una velocità inaudita nel cervello. Perciò, stavo guardando attorno, per terra e sui sedili. Dovevo
cogliere l’attimo fuggente. Adesso o mai più! E già m’ero procurato un bastoncino carbonizzato dal fuoco e già provavo ad annotare le elaborazioni sul quaderno,
quando d’incanto una nuvola di soavità indicibile avvolse qualsiasi forma di energia pensante e sensitiva, che ancora avevo in serbo... Era lei.
Abbronzata, esotica.
Aroma fragrante di una vacanza orientale!
Rimasi bloccato ed interdetto. Non sapevo più se pensare al tesoro, alle formule magiche o all’amore.
Lasciai decidere al cuore e più non domandai.
Fanciulla divina, agile e maestosa. Con un sorriso appena accennato. Stavi
posando la macchinetta fotografica nella borsa e sembravi attendere da un momento all’altro un mio gesto.
Eccomi! Ti guardai ancora, ma avevo le braccia pesanti e non riuscivo a muo134
ROSA D’EGITTO
verle e avevo un nodo in gola e non riuscivo a parlarti. Eccomi! Avrei voluto tirar
fuori i panegirici galanti che mi ero preparato con cura.
Eccomi! Ed ero completamente bloccato. Ma il senso mi venne in aiuto.
Nell’olfatto ancora efficace, mi iniettasti un sottile e delicato profumo. Forse
della tua pelle dorata, forse dei tuoi capelli sciolti, forse dei fiori del giardino.
Incantato, ti dissi solamente:
- Che buon profumo che hai, come una rosa Ti girasti verso di me e sorridesti. Ora le braccia stavano diventando leggere ed
intraprendenti. Tu eri stupenda, come e più del sogno.
E fresca di amore. Rosa d’Egitto, Bella Creatura, Altro che Bosco.
Ho scritto questo romanzo in nome della rosa ritrovata.
Il resto lo si trova nei romanzi rosa.
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finito di stampare nel maggio 2009
dalla vagnoni grafiche srl - roma
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rosa d`egitto - Villa Dei Romani