1 Diario d’autore (7) LA BELLEZZA È UNA COSA CHE ROMPE I CODICI Un grande pastiche di note, divagazioni, invenzioni, osservazioni, versi, riletture e folgoranti giudizi controcorrente di uno scrittore, studioso e critico, tra i massimi conoscitori ed esegeti italiani di cultura del barocco e del melodramma. Dal repechage del romanzo “Place Vendôme” di Virginia Finzi Ghisi all’antologia poetica di Patrizia Vicinelli, l’estroso percorso di un testo splendidamente idiosincratico, ma pieno anche di preziosi suggerimenti e consigli letterari. ________________________________________________________________________________ di Marzio Pieri PLACE VENDÔME Al n. 12 ha abitato Chopin. I • leggendo il romanzo di Virginia Finzi Ghisi, appena (da me) scoperto. è un libro del 1997 sono sempre in ritardo. ma il libro mi segna prende il titolo da quella piazza. (*) •• non son mai stato a Parigi. ossì. Les mistères de Paris (1842-1843). le spleen de paris (1855-1864). le paysan de paris (1926). (fra les aventures de thélémaque e le con d’irène). Passagenwerk. ••• unde locum grai dixerunt aornum •••• parigi o cara (verdi/arbasino). parigi era viva (gualtieri di san lazzaro). parigi brucia (?) (rené clément...) ••••• («... musica di maurice jarre ») (Lione 13.ix.1924 – Los Angeles 29.iii. 2009) ― a. non tutti sanno che era francese aveva collaborato con Resnais con Barrault al Marigny con Jean Vilar dai ventisei ai quarantanni al théâtre national français col Risi rimbaldiano il poeta ‘illuminista’ di Una stagione all’inferno del Diario di una schizofrenica di Andremo in città al suo pianto senza lacrime b. pensano a una emanazione morbida di david lean zivago-lawrence d’arabia-passaggio in india ma c. di clonazione si tratta e/ non hai mai saputo chi-clona-chi •••••• mi provavo (molte mie morti fa) a fischiettare, a mugolare il ‘tema di Lara’ per / addormentare mia figlia in culla. c’era un bemolle a tràppola che non mi 2 riusciva mai la bambola non s’addormentava. (si faceva) (uno spazio) (vuoto) (un) (vano) (disarredato) (il vano disarredato del resnais esordiente coi venti minuti del van gogh la cèlebre sèggiola) / una aureola boreale / ••••••• leggo il romanzo place vendôme di virginiafinzighisi non ho mai preso il treno per parigi non ho mai perso il treno per parigi. (*) INCONTRI RAVVICINATI DI n TIPO : i. ii. iii. non leggo i giornali non vado dal parrucchiere al bar in casa non fanno razza. qualcosa, in ogni scelta, va perduto mi perdevo, ad esempio, gramigna. leggo ora (gramigna morto da tre anni,) questo giudizio su place vendôme: « Ma ho l’impressione che la psicoanalisi, come s’è solidificata in ‘corpus’, in ‘vulgata’, vada stretta a Virginia Finzi Ghisi. C’è da rodere ‘oltre’? Bastano l’interpretazione dei sogni, l’inconscio, la rimozione? La nuova mira si appunta all’origine, alla eredità, alla ‘decisione’ ― alla ‘reintegrazione del soggetto nella natura’. Non separo l'analista Finzi Ghisi dalla scrittrice, anzi dalla narratrice. Così vedo un complemento a I saggi [600 pagine di studî appunti e seminarî sull’arco di trent’anni] nel romanzo Place Vendôme uscito un anno fa; in cui documento e fiction, storia e storie si mescolano in un raccontare stralunato. Mi domando come mai a coloro che ‘van sondando l' Italia letteraria’ (per dirla con Boine) ne sia sfuggita la novità » (corsera 6.vii.99) ERA STATA UNA BELLA MINIERA PER CHIUDERE IL SECOLO. i. (ante rem.) gramigna fu uno dei collaboratori più in sintonia col piccolo hans di virginia: « una esperienza che considero eccezionale nella mia vita mentale » • l’altra sua ‘rivista’, con gio ferri, e un altro finzi, gilberto, fu “TESTUALE”, (‘tel quel’), che alla memoria di gramigna ha dedicato nel gennaio scorso un numero triplo 43-44-45 NEL FARE SCRITTURA che tutti i volonterosi di apprendere qualcosa di fondato sullo scrivere dovrebbero tesaurizzare ii. e vale anche per lui: « Senza nulla detrarre al rigore, azzarderei che la teorizzazione di Virginia è una specie di fantasma romanzesco » iii. un romanzo che tengo a portata di mano da quando (in ritardo, in ritardo...) lo lèssi: IL TESTO DEL RACCONTO [RIZZOLI 1975] ― (che si apriva con un ex-ergo dal Journal inédit di Sade a Charenton, la Finzi aveva edito l’anno prima, presso Dèdalo, la Filosofia nel boudoir, da allora in questa versione più volte ripubblicata) (a portata di mano, in sintonìa) ― ora che lo ricerco, nella frana dei libri, non mi senta mia moglie, nella mia stanza-fucinetta, naturalmente non viene foras i libri ai 3 quali mi affido mi accompagnano per le stanze sulle terrazze al telefono li poso per non riprenderli mi ritrovano loro. al tempo giusto. intanto, sul tavolino da notte, ritrovo sotto una pila di altri libri, TESTUALE DI GENNAIO • (qualche ora dopo riemerge il TESTO TRAFUGATO , naturalmente salvato da mia moglie, la paziente, « in luogo sicuro ») i. A quando una lettura che mi manca, un titolo che mi esilara? L’EMPIO ENEA. ii. vorrei scoprirlo su una bancarella (non pratico le biblioteche pubbliche, fonte di dispersioni e maldifegato), su uno dei trecento cataloghi d’occasione che mi riempiono mese via mese la cassetta delle lettere. al tempo giusto, verrà. iii. come venne, or non è molto, l’ambito L’OBLÒ di Spatola l’unico libro suo che mi mancava. un libro deve tendermi delle imboscate. i. scoprii spatola lettore mirabolante dell’Aretino, per le mitiche edizioni sampietro (bologna « collana ’70 » prefazione di roberto roversi in copertina una china di antonio bueno) L’IPERSPAZIO LINGUISTICO DELL’ARETINO non mi è mai riuscito di leggere i « RAGIONAMENTI » in altra forma con diverse idee ii. « Il consumo arriva a neutralizzare e dunque ad usufruire di opere che sembrerebbero di approccio francamente ostico, addirittura ermetiche, come si usa dire – soprattutto se epigone. Vale naturalmente anche il contrario. Kafka viene ormai dato per chiaro, ma fortunatamente resta illeggibile malgré tout. JOYCE HA CORSO PER QUALCHE TEMPO IL RISCHIO DI DIVENTARE LEGGIBILE » (GRAMIGNA 1984) iii. Tutto il resto è letteratura. II « c’è una dolcezza nelle cose, nelle circostanze materiali, che spingeva il regista Truffaut a chiamare Une femme douce la donna che studiava matematica e fisica diversamente dal marito ‘spiritualista’ » 4 al romanzo di finzighisi mi hanno aperto la via i libri di sergio finzi amico misterioso che da anni senza che ci conosciamo (?) mi fa dono per posta di libri sempre più belli io non li so altrimenti definire per me bellezza è cosa che rompe i codici non c’era alla creazione alla stanchezza sopperisce di dio sul monte della preda / in lotta con le potenze psichiche l’ombra del grillo parlante / analisi della paura di scomparire tradimento e fedeltà / il primo libro dell’Alzheimer la cura bastarda / [su alzheimer leibniz descartes beccaria pietro il grande leopardi] detto semplicemente : sergio finzi ― è il massimo scrittore italiano dei nostri tempi il solo integro il solo « religioso » il faut être absolument religieux ― Qui ci vuole una messinscena, il gancio-dei-ganci: sf è maestro fabbrica ponti a vista passerelle a caduta garantita allacci ad alta tensione diagnosi illusioniste promenades nell’imbecillità, stila rendiconti e protocolli sotto il fuoco di una parola ‘media’ che deve costantemente ritrovare diversi stadî di densità, rinuncia alla metafora • alla retorica • alla fiction • alla toga • alla prova del 9 • alla « lirica moderna » al q.e.d. al « sublime » (a questo, s’intende, perché, « tutto, è sublime », ossia, sub-limen, cioè, vicino, alla soglia più alta, che non è il trascendere ma l’affiorare... perdipiù l’affiorare alla malattia, o forse solo al sintomo, • al sospetto, • alla messinscena di essa puttana timorata inafferrabile affabulatrice...) A lungo, nella mia vita, mi sono lasciato condizionare dall’idea che la letteratura italiana, confrontata alle altre letterature europee, fosse ‘in ritardo’ (?) ― come me. Lo schematismo regge sulla misura della storia letteraria, costruzione astratta; e se si muovono le figurine come in un teatrino dei pupi. Ma, da tempo, mi appare, nei sogni, la figura del demonio, nel ‘bel san Giovanni’, ottogonale, piramidato, col pavimento di bianco, e di verde, nel Giudizio universale, nella vôlta, di Coppo di Marcovaldo, il « miglior fabbro », in Toscana, prima di Cimabue. Dante certo lo vide. Lo imitò. Anche il Pulci, per Roncisvalle. Orrore e buffoneria, prima di Bosch, di Bruegel, di Sade, di Aretino, di Tarantino, & di Topolino. Sissì, il demonio sbragnatodos ― lo storico delle ‘civiltà letterarie’... Mi viene in mente di come, per ascoltare i vecchi dischi, in ceralacca, i 78 giri, all’inizio si dovessero, con cautela e perizia, temperare costantemente le puntine, come si fa con quelle delle matite, e come, accanto al trombone acustico, stesse, non solo, giacente, il mitico, cagnolino, ma una riserva di puntine di ricambio di arnesi per affinarle. Oggi, credo, che il punto, stia, davvero, omne, tulit, punctum, nel ritrovare, d’ogni, singola, voce, la realtà, carnale | le balbuzie i catarri le stigmate dialettali le arcate retoriche le pudibonderie espressive. [Anche le truffe : i ticchi : i tricchitracchi : le ascensioni : e gli sprofondamenti.] Si è fatto molto, moltissimo, dai futuristi in avanti, da lacerba in avanti, nel lunghiiiiiiiiiiiiissimo ‘secolo breve’, ma non può bastare, finché ricerca, ed esercizio, si proiettino, d’uso, acquiescente, sotto il tendone, si accontentino, ‘nella riserva, indiana’. 5 Ogni istituto è perdita d’attenzione la miseria della letteratura è nata da che le si sono garantiti dei territorî di legittima pertinenza troppo tardi scoperti per castelli incantati inalienabili tutti di vetro riflettente perfettamente opachi e senza vie d’uscita, né scale né ascensori né montacarichi, Non ci conosco uscio né finestra (diceua Morgante) oue siàn nöi entrati noi smaltiremo Orlando la minestra ché noi ci siam rinchiusi & inuiluppati come fa il bruco sú per la ginestra.... (Pulci, el famoso morgante, [LA FINESTRA Editrice 2009], ii 27) nemmeno il tubo di scarico delle immondizie che, teorematicamente, in queste carceri di squisitezza, e discrezione, non possono esserci, e per contro sottratto il dominio degli impoetabili, ò indicibili, ò impronunciabili, ò perturbanti. IL SOLO IMPRONUNCIABILE È DIO ― sono vietate le contraffazioni. Conosco, oggi, in Italia, diversi scrittori il cui aggettante, eminente valore forse risulterebbe ― è un paradosso ? ― anche maggiore in una traduzione in qualcuna delle lingue ‘moderne’ disponibili. LUISITO BIANCHI MAURIZIO CECCHETTI WALTER SITI, per fare tre nomi abbastanza noti per grazia di dio, degni davvero di una considerazione riservata. (Né mi si scialba nella memoria, alla rinfusa, come dev’essere, il romanzo di un pensoso della letteratura, Roberto BERTOLDO, IL LUCIFERO DI WITTENBERG, [ASEFI 1998], sui massacri della guerra dei contadini, il magistrale esordio al romanzo, COMUNI SMARRIMENTI, di Nanni CAGNONE, [COLISEUM 1990: un cult-book anche per la splendida veste tipografica, « book design by Nanni Cagnone », in copertina una Hedy Lamarr 1938, un bianco-e-nero da Ombre malesi], il ‘romanzo sonoro’ di Gianni FONTANA, intermediale e sinestetico, TAROCCO MECCANICO, [ALTRI TERMINI 1990], che non è solo una dimostrazione di metodo, come non solo metodo dimostra il sanguinario, blood-driven LÀ COMINCIA IL MESSICO, fresco di stampa [POLISTAMPA 2008] e di premî, del massimo conoscitore e filologo pizzutiano, dopo Contini, & allato al mago buono Antonio Pane, Gualberto ALVINO, o un altro esordio al romanzo, scardinante, e quasi evocativamente sadiano, il CANESERPENTE del pittore, poeta, e guerriero, Gian Ruggero MANZONI [IL SAGGIATORE 1993], o sul lato opposto, quello di un silenzio da tacitarne le tavole di un La Tour, l’ermo colle di un Leopardi, MORT PRÉCOCE di un poeta grandissimo, Cesare GREPPI [« roman traduit de l’italien par Marie-Pierre Géraud », LA DIFFÈRENCE 2007] ― per gli altri bastino ‘i più venduti’ in lista sui quotidiani, il vizio è premio a sestesso, e non c’è nemmeno l’incomodo della scelta, perché il bestesseller è un must, (così quand’ero piccinino i film più chiacchierati, Duello al sole, Anna, Le signorine dello 04, le tubes da fischiettare, dal Terzo uomo a Fantasia, dal Concerto di Varsavia a Banana boat, era come dipingersi le labbra lasciarsi crescere dei baffetti alla Bogey mettersi le prime calze di seta lunghe rubare la cravatta al fratello maggiore). Troppo ‘onesti’ per avere premeditatamente fatto dei calcoli sulla riassunzione di tre illustri ‘generi’: l’epos di don Luisito il sermo tragicus di Cecchetti (côté Testori) la « comedìa » del mio straordinario collega (e malvoluto come me) in accademia, Siti (il maggiore pasoliniano sulla piazza, il primo tutto serio, dal lavoro del quale senza troppe dichiarazioni programmatiche, ppp sarà parso anche più scandaloso, ed enorme, incommestibile , fuori della leggenda, che non nella litanìa dei dodici apostoli... ‘pierpàholo...’ mi sembra di sentirli anfanare ‘pierpàholo...’ gli eletti alla dicerìa cristica...) Un prete un giornalista un professore ― tre cigni neri, in bianche covate maligne. Ma hanno un punto d’appoggio, in questo, almeno; la religione la ‘beltà’ la filologia. La scrittura, che in loro è 6 di forza insolente, può ritrovare Dio, contro le contraffazioni di una chiesa, di cui si è pur parte (e parte lesa). Può riaccendere, è gloria di quei pittori, di cui Cecchetti è osservatore peritissimo e complice, la scorza trionfale della materia. Può ritrovare il filo di un mondo depravato, la rotta di una nave dei matti, ossessivamente in luce. (è su questo che dribbla in testa sergiofinzi, (delresto non è non deve essere una corsa a chi arriva primo), ritrova quel dégré zero de la literature, di cui ci fece illudere Barthes, non toccato, e che ancóra ci sfida.) LA CARNE DEL COGITO , si sorprende a dire una volta (di solito cerca evitare le formule, le definizioni suggestive, va per parabole, per incidenti) qualche esempio, più o meno ad apertura, a ri-ricognizione dell’opuscolo: .................................................................................................................................................... ...................... « L’edizione Moroncini [1927-1941, voll. 7] è la prima edizione critica delle opere di Leopardi. Bruno Moroncini, che al poeta di Recanati ha dedicato il primo capitolo del suo libro Autobiografia della vita malata, ricorda che l’editore napoletano suo antenato [Francesco] fu anche autore di un’operetta curiosa intitolata La purezza di Leopardi. | Napoli torna così a essere un punto di incontro, come tra Bruno, Cervantes e Leibniz studioso di Campanella nelle biblioteche della città, tra Giacomo Leopardi, l’amico napoletano Ranieri e l’editore Moroncini, su due disposizioni territoriali e stellari insieme, i mondi e, per Giacomo, la citata astronomia, con riferimenti alla ‘bastardaggine’, la lingua bastarda di Cervantes, la natura matrigna di Leopardi, che comprende sempre un rinnegamento e una testimonianza, alle teorie sessuali e ai confini. | Titolo in realtà bellissimo che brucia tutte le storielle messe in giro dal Ranieri sulle insane abitudini sessuali del poeta. E titolo pieno di significato in quanto la purezza non venga associata a quella nozione di ‘vita sessuale’ correntemente usata per indicare un ‘disastro’, ma al rapporto che ciascuno ha con la credenza. Il crollo delle illusioni giovanili sembra essere il pensiero costante di Giacomo Leopardi e motivo assillante del suo famoso ‘pessimismo’.... » (la cura bastarda, pp. 140-41) O: « C’è un’infinità di piccole varianti, nelle cose » (p. 85) (e accidenti al milluminodimmenso) O: « All’unità di tempo, di luogo e di azione, mi ha riportato la malattia del mio gatto » (ma qui non posso proseguire nella citazione; siamo all’explicit del § II, IL GUARIGIONE, e sto, di nuovo, piangendo) TEMPO E LA Perché il gatto ... è la commistione a marcare la forza nel tempo, quando mi fossi addormentato, come continuò a vegliare sul mio sonno, lo portò a fare il giro di tutte le finestre, in un ripasso che non fu né breve né lungo, una rivisitazione del grammofono in cui 7 si era nascosto il primo giorno in cui era arrivato e che non aveva mai più frequentato, che è la rappresentazione della complessità geografica di una veglia. perché il gatto, Finnegan, Malone, Donnafugata, ’Ndria Cambria, muore. « Il Papa morì » (Explicit Canto XXX ― oh!... Ezra!!!!.. o Ezra...) III « Una giovane operatrice sanitaria mi parla del suo lavoro in un reparto Alzheimer. Si esprime con tutti gli stereotipi del caso (...) ma contemporaneamente riesce a darmi, del particolare, una lettura vivida e attenta. E fa alcune osservazioni non scontate » « Qui che succede? I malati si scambiano le cose fra di loro. Dunque, forse spariscono le cose ma la parola furto non viene pronunciata » Ah, naturalmente ma chi non lo sa, Virginia Finzi Ghisi e Sergio Finzi fanno una coppia, sono cresciuti coppia, come quella, cinematografica, meravigliosa, Straub-Huilliet; come quella Nelo Risi-Edith Bruck, ponti sui quali potremmo camminare, possibili ripartenze, quando ogni altra pellicola fosse andata distrutta, ogni carta bruciata, tutti i sentimenti vietati. Una giornata sospesa, fra due ‘feste’... greve di pioggia il cielo spada di damocle o bomba a scoppio ritardato. Così la festa è guasta il ponte fallito non per me che fuggo da sempre le cose a comando. Estraneo ugualmente alla maestra sbilenca (scambiò, l’insana!, per cleptomanìa in nuce un colpo di mano geniale, e difatti sùbito scoperto, per sottrarre un soldatino ferito a un compagno che rifiutava uno scambio alla pari e venne come la vecchia tuttanera civetta che era a casa, un pomeriggio, mia, vaticinando la mia perdizione sicura, istante – io che avevo creduto a un gioco da ragazzi della via Paal) e ai condiscepoli rozzi, madornali che dicevano tecas per texas e si toccavano le palle per far vedere che ce le avevano evidentemente solo loro. Grazia del cielo, che soavemente 8 fluisci nella terra abbeverata. Ma non per me. Ci avevo sempre sete... A dichiararmi tutti matto il passo fu breve. La tempesta di giovedì ha sconvolto Parma, Reggio – alle quattro era buio e... i superstiti, i reduci... insomma i testimoni ancora ci si accalorano nel riferirne: « dalle finestre l’acqua invadeva » docce e fogne rese inutilizzabili da tanta violenza. Le mie gatte non si spaventarono nei loro occhi leggevo piuttosto il ‘ci risiamo’ di chi fu già nell’Arca. Non ci trovai il mio posto, ci si era infilato il somarello e mangiato il cartello : “RISERVATO”. (versi mandati a Luisito Bianchi, il lunedì 1° giugno 2009. versi, non ‘poesia’. per me, un modo ‘giusto’ di essere nei margini, di mettere al posto giusto le sedie, il tavolo, su di esso gli arnesi da lavoro, la distanza giusta dalle finestre, i libri in fila come avessero trovato davvero un ordine che può essere definitivo, il poster di stockhausen, la cartolina bisestile dal kenia o da manhattan ma da chi? va da sé che questa non è la mia stanza nemmeno per idea. e nemmeno è l’idea della mia stanza. ‘Barocco il P. ?’ (manyphestus dixit) certo, rimane un senso di incompiuto, di inadeguato, & di strisciante vergogna, anche nell’impossibile accostamento ― ho fresco, sulla tavola di lavoro, Non sempre ricordano, il libro che raccoglie in oltre 400 pagine l’opera di PATRIZIA VICINELLI, a cura [e con un saggio di valore] di Cecilia Bello, antologia multimediale a cura di Daniela Rossi), èdito da LE LETTERE, e sempre più ribolle la voglia di rovesciare il tavolo dei valori d’uso con una manata ― ricominciare, azzerare ... « Da un altro punto furono viste le stagioni | fino lì sconosciute | solo allora poté sedersi ad ammirare | il senso dell’alternanza [...] Con un colpo d’occhio sentiva | la presenza simultanea di tutto ciò | che nella terra cresce | e questa coscienza della situazione attuale | lo aiutava come una disciplina...» (Il cavaliere di Graal) Place Vendôme: « al numero 12... Chopin... » In me, che senza musica non sarei, Chopin è stato a lungo in sonno, come un massone radiato; non mi va di andare a cercarlo. Le note su lui di Gide sono una scusa valida per non mettersi in pelago. Pure, Chopin, è alla base della mia scoperta (nemmeno allora la scuola avviava, gli ci voleva lo spirito, la mestizia, e il canto) della parola poetica moderna. Fu, per me, l’arsura che mancava, l’occhio strappato per poterci, finalmente, vedere. Non molto portato a discorrere le ragioni non erano i suoi punti di forza le ragioni vanno e vengono su e giù quando Delacroix sviluppò delle teorie si turbò, per parte sua non era in grado di dare una base ai Notturni .... In Inghilterra viaggiò con tre pianoforti 9 a coda ― Pleyel, Erard, Broadwood, dava concerti a 20 ghinee l’uno un quarto d’ora dai Rotschild, casa Wellington in Strafford House e per un numero incalcolabile di Portatori della Giarrettiera ; oppresso da stanchezza e da presagi di morte rincasava, place d’Orléans. .... Doveva, ogni dito, sonare con la forza adeguata alla meccanica di base il più debole è il quarto (solo fratello siamese del dito di mezzo) quando iniziava, le dita stavano su mi fa e sol diesis si do. Chi mai abbia ascoltato certi Preludî da lui, o in qualche villa di campagna o da luoghi alti o porte di terrazza spalancate come ad esempio da un sanatorio a fatica se ne dimenticherà. Non compose mai un’Opera, manco una sinfonìa, ma solo queste progressioni tragiche « da » convinzione artistica e una mano piccina. è lo Chopin di Gottfried Benn, né di altri ho mai sentito, poi, bisogno. Lo lessi, non in grado allora di ritradurmelo, sul prezioso “saper tutto” garzantino, LA LIRICA MODERNA (Die Struktur der modernen Lyrik, 1958). Quel librino non piacque, una volta fu cosa abbastanza nota, a Franco Fortini che non si peritò di tirar qualche ciòttolo contro quei garofani. Alle scuole dei gesuiti nessuno imparava la musica. Di qui la convinzione, in me, die Ueberzeugung, come si legge in Benn al penultimo verso, che si dovesse, sempre, lanciare un ponte fra la lirica letteraria, la scrittura, e le vaste, odorose e inaggirabili lande storicamente, e ormai strutturalmente, (la struttura è abitudine non primato), non frequentate dai letterati. La musica, l’opera, il cinema (qui si davano qualche daffare perché giravano soldi, convinti i più che una sceneggiatura fosse un facile gagnepain, e una fessura da cui sparacchiare giudizî allineati un modo di compiacere all’etica della corte e della villa), le arti minori, i ludi inferiori, (se non in vista, a volte, di una cadreguccia, quasi una sinecura, di robe del folklore, la Vecchia Sparagmata, o bellaciaociaociao, per le feste dell’Unità, col barbèra agli occhi) le letterature ‘basse’ (vd sopra), il teatro. Feci la mia parte soprattutto per l’Opera, un poco anche per il cinema; a questo ho rinunciato da quando sono mancate le terze e quarte visioni e la libertà di 10 entrare in un cinema per un inopinato spazio fàttosi libero fra due impegni, per starci un pomeriggio o una chiusa di giornata, per godersi la sospensione della vita, schiacciarci magari un sonnellino. Mi dicono che oggi bisogna prenotare il posto al telefono, entrare rigorosamente all’inizio del film, scattare alla fine, liberare illico & immediate la poltroncina per la proiezione successiva... Con le maschere come bidelli o graduati muniti di scudiscio ... Mi parrebbe di ritornare a scuola. Per cinema e teatro le cose si sono messe peggio, con l’istituzione delle cattedre universitarie. La musica, della quale si lamenta con mugolìo perpetuo l’ignoranza da parte degli italiani, ha scansato finora la jattura d’essere introdotta nelle scuole dell’obbligo, dove farebbe la fine della storia dell’arte: un’ora alla settimana, al liceo, dove l’insegnante di musica, umiliato ed offeso, finisce per contare sempre meno del prete o del morgante ginnasta, splendidi invece nella loro funzione maiestatica. Diomio !... se avessi dovuto ascoltare la voce del pedante: “nove... sono le sinfonie di Ludovico Beethoven... l’eroica la pastorale e... (prendendo tabacco) la nona di Beethoven ... Otello... è il capolavoro in-di-scusso di Giuseppe Verdi... c’è la tem-pesta ... (scaccolandosi) il credo e l’avemmaria...”, mai, mai ! messo avrei piedi in un teatro d’opera, comprato un disco di quella roba ... mai conosciuto le scritture ‘nei campi della musica’ di Giannotto Bastianelli e Bruno Barilli Giorgio Vigolo e Beniamino dal Fabbro Mila e Lele d’Amico Malipiero e Savinio e Gavazzeni, di Sylvano Bussotti I MIEI TEATRI Castaldi Donatoni Cage Maderna Boulez Mauricio Kagel... (conoscete il PANTAmusica a cura di e. ghezzi 14/1996?) L’ultimo fu Arbasino, non è durata. Il libro, appena fiorito, di Marco PALLADINI, onore all’ospite, I TEATRONAUTI DEL CHAOS (La scena sperimentale e postmoderna in Italia), [“fermenti” 2009], è un dono inatteso, del quale si vorrebbe che fosse opportunamente valutata l’eminenza e la differenza. Qui le cose stanno in un modo molto semplice: mentre, in questi poco più di trent’anni che Palladini considera (1976-2008), il cinema si è fatto spazzatura, e il popolo dell’Opera si è ridotto alla classe medio-borghese più ignorante e presuntuosa che dio mai abbia lasciato fiorisse sulla terra, con starnazzìo dell’Ordine della Checca in frenesìa vocàlica perenne (LA MIRÈÈÈLLA... FLORÈÈÈZ... MA LA MARÌÌÌÌÌÌAAAAAHHHH... C’EST LA MÉTHODE... ORRRRENDOHHH... ORRENDOOOHHH... AH!... FOCO...), Di quel foco l’orrenda pira (virginiafinzighisi placevendome) il teatro è stato come una enorme, e nel complesso ignorata riserva di invenzione, ricerca, ostinazione, passione. Più di altre raccolte di recensioni e studî di teatro ― spicca fra esse, non solo per la mole, il portentoso SIATE BUFFI di Angelo Maria RIPELLINO [Bulzoni 1989, pp. 730, « cronache di teatro, circo e altre arti » uscite su L’Espresso dal 1969 al 1977: a cura di Alessandro Fo, Antonio Pane, e Claudio Vela], che tutto risucchia nel maelström baroccòfago da disgradarne il Busenello, e gli Incogniti, e il Lubrano quaresimale ― il libro di Palladini mi ricorda la vena epica, omerica dell’antico campione Augusto Hermet, LA VENTURA DELLE RIVISTE, del 1941. Si apre con dedica a Piero Bargellini Giovanni Papini Attilio Vallecchi Carlo Bo e con l’invocazione alle Muse che apre nell’Iliade il catalogo delle navi. L’ideologo ‘di sinistra’, cioè col cuore a destra, si ritirava scandalizzato, mi dispiacerebbe, lo ammetto, che ora qualche risarcimento peloso fosse avanzato dalla nuova destra, alla questua di qualche meno ignobile padre. L’epos hermettiano mette in scena una buffa di quarant’anni (1903-1940) come un Cecil de Mille o come un Nievo. Non è verosimile, è vero; non è storia: è poesia. Ma, diversamente da quanto per pigrizia si vuol credere, è Poesia che dà concretezza, pertinenza, verità; e, da ultimo, anche l’idoleggiata Verisimiglianza. Alla fine non so se sono sempre d’accordo, e allora ?; un libro che lascia lo spazio 11 per porsi di queste riserve era un libro che non meritava il tempo della lettura. A specchio del capolavoro di Ripellino, lo chiamerei, il libro di Palladini, Roma magica, non fosse che per ora occupa il posto, inadeguatamente, un mio opuscoletto ungarettiano. Ma sono pronto a renderlo di nuovo disponibile ! Antonio Attisani, che firma una intelligente prefazione al libro, e che davvero dalla non nobile professione di professore universitario ha riportato comparativamente molti dimeno danni della media, non può esimersi dal mettere le mani avanti. Questo « fantastico e chaotico Hermitage dell’avanguardia, popolato di fantasmi », è in sostanza una biografia del suo autore. E questo autore pretende di scrivere solo di quello che ha visto, che ama od ha amato o che odia o ha odiato. Parla di Roma; ― « ed il resto del mondo ? » Ma il resto del mondo passa in gran parte da Roma. L’alternativa è il critico specialista, che salta di treno in treno, di volo in volo, entra all’ultimo tuffo in teatro col panino e la birra sullo stomaco, si strofina ai colleghi nell’intervallo ed è come un patto di grembiulini, a evitare lo scandalo di giudizî che poi non differiscano di troppo, tutta una cosa in sudore, in pàlpito, in disamore, per mezza colonnina, nemmeno, il giorno dopo, sul giornale. Io, che stimo Attisani, risolsi coi miei studenti la cosa in due parole: leggete i testi, possibilmente a voce alta e in compagnia, dall’uno alle stelle, bruciate culnetattevi i manuali (non disperdeteli nell’ambiente), siate voi nei testi e siano i testi voi. Importa solo la prima persona è una mèta difficile da raggiungere, l’io non è un diritto di nascita, è un peso ch’è duro, amarissimo, a volte, da portare. Se poi, fra i cosmonauti, non troviamo ovovadia, vuol dire che Dio c’è, AL PADRETERNO CI DOVETE CREDERE . A ceneri ancora calde, un grande libro della nostalgìa. Place Vendôme rosebud rosebud /Onice fait gres sunges aveïr ― Tenciuns e fantosmes veïr (Marbodio apud Gourmont, Le Latin mystique, 1892 [medusa edizioni 2008]) 12 IV