Uicc - Unione Italiana Circoli del Cinema
PARTE TERZA
LA COMUNICAZIONE NELL' ASSOCIAZIONISMO CINEMATOGRAFICO
"Il cinema è una scuola di disattenzione: si guarda senza vedere,
si ascolta senza sentire" Robert Bresson
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Primo Capitolo
LE METODOLOGIE
1. In che modo comunica l'associazionismo?
Il discorso sulla comunicazione nelle Associazioni di cultura cinematografica viene inteso come risposta,
o tentativo di risposta, alla questione: in che modo comunica l'associazionismo?
Dopo aver visto com'è la storia delle Associazioni, com'è che “parlano”, chiedersi com'è che comunicano
diventa il domandarsi quali sono le metodologie e gli strumenti operativi con cui le Associazioni comunicano al
pubblico la loro proposta culturale, sociale e formativa.
Le diverse metodologie, in maniera più o meno sviluppata, si possono riscontrare nell'intero panorama
associazionistico italiano; ovviamente ci troviamo di fronte all'utilizzo di metodi diversi e più o meno precisi o
approfonditi a seconda del Circolo che opera, vale a dire in base alla sua dimensione, organizzazione,
disponibilità finanziaria, ricchezza di collaboratori, obiettivi ecc... Lo stesso discorso può valere per le
Associazioni nazionali, per cui, sinteticamente, si può affermare che i metodi variano in base a due variabili:
-
in rapporto ai mezzi a disposizione (finanziari, “umani”, strutturali ecc.);
in relazione ai fini che si intendono raggiungere (educativi, pastorali, formativi del pubblico, diffusione del
cinema di qualità ecc.).
Incide notevolmente, inoltre, sulla scelta del metodo con cui portare avanti l'attività del Circolo, l'ambiente,
cioè la realtà concreta in cui si trova ad operare il Circolo. Diventano importanti quindi per riuscire ad individuare
una appropriata, mirata e quindi efficace metodologia due premesse:
-
per i Circoli che agiscono a livello locale, conoscere la propria realtà (facendo tesoro anche dei suggerimenti, delle
competenze, e delle esperienze che si concretizzano a livello di Associazioni nazionali);
per le Associazioni nazionali, lasciare libertà di azione ai Circoli associati (nel quadro comunque di un sostegno,
aiuto ed appoggio materiale e culturale garantito dalla sede nazionale).
Tenendo conto di queste brevi considerazioni introduttive, si cerca ora di individuare e delineare,
concretamente, gli strumenti operativi più utilizzati in ambito associativo (locale o nazionale) per perseguire gli
obiettivi, variamente intesi, di promozione della cultura cinematografica.
2. Rassegne di film
Il primo, elementare, semplice, fondamentale metodo per fare cultura cinematografica è far vedere i film.
“Nonostante le differenze d'origine dei vari circoli del cinema - scrive Rondolino - dovute a questioni ambientali,
a situazioni locali, ad orientamenti ideologici e politici, la maggior parte di essi è stata costituita con lo scopo
preciso di diffondere la cultura cinematografica in settori sempre più vasti del pubblico... Il cinema, e quindi il
film, rimane perciò il fattore essenziale, la materia prima dell'attività culturale del circolo, anche se questa sembra
a volte essere subordinata a preoccupazioni di altra natura, siano esse politiche, o economiche, o sociali.... Proprio
perché attorno al film ruota l'attività del circolo, il problema va affrontato con la massima serietà e con metodo
rigoroso, abbandonando fin dall'inizio ogni atteggiamento dilettantesco, ogni improvvisazione che, se pure
possono portare almeno all'inizio dell'attività a riscuotere un successo di pubblico magari allettante o addirittura
insperato, si rivelano col passare del tempo assolutamente insufficienti, anzi deleterie, per la buona riuscita di
un'iniziativa, la quale è e deve essere, non dimentichiamolo, essenzialmente, oserei dire esclusivamente,
culturale”.1
I Circoli solitamente organizzano rassegne di film che possono essere o senza un filo conduttore, per cui
ogni proiezione è a sé stante, o, più spesso, costituite come un ciclo organico. I cicli organici di film possono essere
identificati in cinque tipologie:
1G.
Rondolino, Tecnica del dibatitto cinematografico, Roma, UICC, 1968, p. 11
2
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-
cicli dedicati alla cinematografia di una nazione o di un popolo;
cicli dedicati ad un protagonista della realizzazione di film (autore, attore ecc..);
cicli ispirati da un argomento o tema (sociale, culturale, esistenziale ecc.);
cicli dedicati a periodi della storia del cinema o a correnti storiche;
cicli dedicati a generi cinematografici;
Oltre alla scelta della rassegna di film, occorre ovviamente decidere anche i singoli film che la
compongono. “Da questa angolazione culturale - continua Rondolino - è chiaro che la scelta dei film da proiettare ai
soci del circolo è il primo serio problema che un dirigente di cineclub deve affrontare e risolvere nel migliore dei modi,
se desidera veramente fare opera di cultura....è bene ricordare che è proprio dalla scelta dei film, dalla loro più o
meno rigorosa selezione, dal loro inserimento o no in cicli di proiezioni organici, che dipende la vita di un circolo
del cinema e la riuscita della sua azione culturale...”
Come fare la scelta del film? Quali film far vedere? Correndo, ancora una volta, il rischio di
semplicistiche classificazioni (ma, ancora una volta, è bene sottolineare che l'obiettivo è offrire dei punti di
riferimento che agevolino la comprensione del fenomeno, non racchiudere in questo tutta la complessità del
fenomeno in esame) è possibile delineare tre orientamenti di scelta riscontrabili nel panorama associazionistico:
-
vengono ricercati film rigorosamente d'autore, o comunque di valore artistico o culturale indiscutibile: ciò
che conta è proporre sempre e comunque film di qualità;
si punta a film sicuramente di un certo spessore qualitativo, ma si è aperti anche a film più commerciali, che
magari offrono spunti di riflessione sociale o esistenziale: ciò che è essenziale è stimolare e sviluppare un
pubblico di qualità;
si è aperti a tutto il cinema in base ad un orientamento cinefilo che ama far vedere e gustare tutto il cinema,
per il semplice piacere della visione, che diventa “zucchero per gli occhi”, e, più in generale, nutrimento
dell'esistenza: il film è tutto;
Da puntualizzare, inoltre, la durata dell'attività dei Circoli: ci sono quelli che agiscono soltanto qualche
mese all'anno e si arriva fino a quelli che riescono, invece, a coprire gran parte dell'anno. Non tutti i Circoli,
inoltre, riescono a realizzare l'attività costantemente tutti gli anni.
Un'annotazione a parte meritano i veri e propri festival cinematografici che le Associazioni sono riuscite a
creare e a consolidare a livello nazionale e con rilevanza internazionale (si pensi, solo per citare alcuni degli
esempi più noti, all'appuntamento di Montecatini, realizzato dalla FEDIC, o al Bergamo Film Meeting della FIC).
3. Corsi e percorsi di formazione
Ci si è più volte soffermati sugli intenti formativi delle Associazioni di cultura cinematografica:
formazione al cinema di qualità, formazione delle capacità critiche dello spettatore. I percorsi formativi attivati
dalle Associazioni si rivolgono a:
-
da un lato agli operatori o animatori culturali dei Circoli, cercando di fornire loro la preparazione e la
competenza necessaria per svolgere il proprio lavoro culturale nel migliore dei modi;
dall'altro lato al pubblico dei Circoli, che si cerca di stimolare, anzi di accompagnare, alla comprensione attiva
del linguaggio audiovisivo e alla conoscenza del mondo del cinema culturale.
Strumenti adatti e particolarmente adottati per il perseguimento di questi obiettivi sono le proposte di
convegni, conferenze, tavole rotonde, seminari di studio ecc., anche in collaborazione con enti pubblici e privati, dedicati ad
argomenti specifici che si ritiene utile approfondire, ai quali vengono invitati (anche in videoconferenza) relatori
qualificati (docenti, critici cinematografici, registi ecc.). Di particolare rilevanza sono, inoltre, i corsi di aggiornamento
e, in ambito cattolico, i campi-scuola estivi, predisposti dalle Associazioni, con compiti esclusivamente formativi,
che vogliono far crescere e far mantenere al passo con i tempi coloro che agiscono in ambito audiovisivo.
A seconda degli argomenti scelti, si possono sostanzialmente individuare due tipi di intervento
formativo:
-
formazione tecnica, quando si cerca di apprendere le tecniche di animazione culturale, di sviluppare le
conoscenze della tecnica e del linguaggio cinematografico, di approfondire le problematiche relative alla
gestione di un Circolo, ecc.;
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-
formazione culturale, quando si cerca di approfondire ed ampliare le conoscenze di particolari aspetti della
cultura cinematografica, degli aspetti culturali del linguaggio auidovisivo, di singoli autori, ecc.
Da sottolineare inoltre l'importanza delle Assemblee Nazionali, previste per statuto dalle singole
Associazioni nazionali, che, al di là degli adempimenti statutari e del rinnovo delle cariche sociali, presenta
indubbiamente anche dei risvolti formativi per i dirigenti dei Circoli, in particolare:
-
il ritrovarsi in assemblea con molti altri operatori culturali di Circoli provenienti da tutto il territorio
nazionale, rafforza il senso del proprio ruolo (identità culturale) e il senso di appartenenza all'Associazione
nazionale (identità associativa);
l'assemblea, intesa anche come ritrovo di Circoli con diverse esperienze e attività, diventa un occasione
proficua di scambio di idee e di proposte che possono arricchire gli orizzonti, anche operativi, dei singoli Circoli;
l'assemblea diventa, dunque, anche un'esperienza umana e sociale rilevante, capace di trasmettere nuove energie
e nuova linfa vitale che alimentano la passione e l'impegno dei singoli Circoli.
Un'ultima distinzione di metodo, o forse di stile formativo, riguarda la scelta degli interlocutori che sono
chiamati a “formare”, ciò significa che si può avere:
-
formazione “dall'alto”, che si realizza nel caso ad esempio di conferenze di relatori di spessore: si ha in questo
caso il vantaggio di essere di fronte ad una persona di grossa competenza, ma si rischia di creare “distanza”
fra relatore e pubblico;
formazione “dal basso”, che si concretizza stimolando, alla base, operatori che, con qualche competenza in più,
possano guidare processi formativi: in questo caso il rischio è di operare un intervento formativo di qualità
non eccelsa, ma ci possono essere meno “barriere” a una reale partecipazione del pubblico;
Una forma di integrazione fra i due metodi è costituita dai lavori di gruppo, per cui a fianco della relazione
qualificata (in cui il pubblico perlopiù si limita ad assistere) si propone un incontro in cui il pubblico, diviso in
gruppi di persone, discute e approfondisce gli argomenti oggetto della relazione (agevolando in questo modo una
partecipazione più attiva del pubblico e un approfondimento degli argomenti).
Visti gli intenti formativi, le Associazioni, come si è già sottolineato, non possono non interessarsi al
mondo della scuola. Anche qui le modalità di intervento sono diverse. Senza entrare nel dettaglio, tali interventi
possono essere racchiusi in due categorie:
-
interventi diretti, che prevedono esperienze rivolte alla scuola condotte direttamente dai Circoli;
interventi indiretti, che riguardano la formazione del corpo insegnanti, che andranno poi a effettuare
direttamente gli interventi formativi.
È possibile rendersi conto, a questo punto, che l'associazionismo cerca, nel concreto, di fornire ampie e
diversificate occasioni formative per andare incontro alla diverse esigenze da un lato di chi propone cultura
(operatori culturali, insegnanti, ecc.) dall'altro di chi riceve cultura (pubblico dei Circoli, generici spettatori, ecc.).
4. Studi e ricerche
“La cultura dello spettatore cinematografico, - scrive Gianni Milazzo - il suo vissuto, le sue stesse
abitudini audiovisive determinano il suo modo di accostarsi a un film, un modo che sarà sempre personale e
irripetibile per ciascuno. Si instaura con il pubblico un percorso comunicativo a doppio senso, un “vai e vieni”
come lo ha definito Francesco Casetti, dal film al mondo e viceversa”.
Se seguiamo questa impostazione, possiamo intendere il significato di un film come il risultato del
rapporto che si instaura fra il film e il suo spettatore. Per capire il cinema, in questo caso, occorre dunque studiare
sia il film, sia lo spettatore. È ciò che cerca di fare anche l'associazionismo, e non può che essere così, non può che
esserci una “doppia” attenzione di studio, visto che si parla di Associazioni di spettatori che vogliono promuovere
il cinema.
Diventa importante, allora, per le Associazioni di cultura cinematografica effettuare continuamente studi e
ricerche per meglio capire “chi sono” (in quanto Associazioni del pubblico) e “che cosa fanno” (in quanto
promotori di cinema). Sapere “chi si è” e “che cosa si fa”, non è mai definitivo, anche per via delle mutazioni
continue del pubblico (nelle sue esigenze, nelle sue sollecitazioni, ecc.), dell'istituzione cinema (nuove tecnologie,
nuove teorie ecc.) e del rapporto fra di essi.
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In definitiva gli studi e le ricerche operate dalle Associazioni sono rivolte a:
-
l'oggetto della loro attività (il film e il cinema), con esami e approfondimenti dei diversi aspetti (culturali,
sociali, artistici, economici ecc.) che caratterizzano l'istituzione cinema;
il soggetto della loro attività (lo spettatore e il pubblico), con ricerche svolte (tramite questionari, referendum,
interviste ecc.) per meglio capire e definire l'identità del pubblico reale dei Circoli, e di quello generico del
mondo audiovisivo, inteso anche come pubblico potenziale per i Circoli stessi.
Le iniziative più significative in questo senso sono solitamente realizzate dalle Associazioni nazionali, ma
non mancano anche inchieste condotte dai singoli Circoli nei confronti, ad esempio, del proprio pubblico, per
verificare il gradimento delle proposte fatte, per sondare esigenze e richieste provenienti dal pubblico, per
cogliere eventuali suggerimenti o critiche costruttive.
5. Archivi
Le Associazioni nazionali (e anche parecchi Circoli) sono dotati di archivi di materiale che può essere
messo a disposizione dei Circoli associati o dei soci.
Gli archivi utilizzabili sono:
-
-
le cineteche (e videoteche): le Associazioni nazionali stanno sviluppando o costituendo delle cineteche
(mettendo a disposizione film significativi a prezzi ridotti) per riuscire a rispondere alle esigenze sia di
reperimento film che di ordine economico manifestate dai Circoli. Non si tratta solamente di distribuzione
di lungometraggi, ma anche di cortometraggi, visto la stagione di rilancio che sta vivendo in questo periodo il
film breve (da sottolineare in particolare l'impegno dell'UCCA e della FEDIC sotto questo profilo);
le biblioteche: non mancano a livello nazionale e a carattere locale biblioteche ed emeroteche dotati di volumi a
carattere storico, teorico e culturale, riviste specializzate, ecc.;
le recensioni cinematografiche: vengono realizzate o raccolte delle schede critiche e informative sui film, da
utilizzare anche come materiale di supporto alle rassegne di film. La raccolta di questo materiale può essere
svolta facendo riferimento alle recensioni operate su quotidiani o riviste specializzate (è il caso ad esempio
della Rassegna stampa cinematografica del CSC) oppure realizzando direttamente le schede-critico informative
(come le schede film dell'ANCCI o dei CGS, la pubblicazione Film. Tutti i film della stagione del CSC, o l'Annuario
del cinema della FIC).
6. Iniziative editoriali
È notevole anche l'attività delle Associazioni, in particolare nazionali, rivolta al settore editoriale.
Vengono realizzati dei periodici a carattere nazionale, che vengono diffusi fra i soci, ma che possono avere
risonanza anche fuori dal circuito dei Circoli (basti pensare alla rivista Cineforum della FIC). Queste iniziative
possono prendere forma di semplice notiziario interno (è il caso dei CGS e della FICC)2 oppure rappresentare
vere e proprie riviste specializzate di cultura cinematografica, con una propria forza critica e linea editoriale (il già
citato Cineforum della FIC, Filmcronache dell'ANCCI, Ciemme-Comunicazioni di massa del CINIT, Cineclub, ora Carte di
Cinema, della FEDIC, La linea dell'occhio della UICC). Un'annotazione particolare riguarda il CSC, impegnato nella
realizzazione di tre riviste: Film, tutti i film della stagione, già ricordato, che recensisce in maniera completa tutti i
film che escono in Italia sia nel circuito commerciale che culturale, Il Ragazzo selvaggio, che si occupa di educazione
agli strumenti audiovisivi nella scuola, Scriveredicinema, che descrive i libri di cinema pubblicati in Italia.
Da rilevare anche l'attività di pubblicazione di libri dedicati alla diffusione della cultura cinematografica (= il
cinema inteso come fatto culturale) o del cinema di cultura (= la cultura vista dal cinema e col cinema). A parte
questi, forse semplici e retorici giochi di parole, più concretamente si possono individuare tre tipi di pubblicazioni
realizzate dall'associazionismo:
2
Tutte le Associazioni nazionali ovviamente adottano forme, a carattere di notiziario o di comunicaioni periodiche, in
modo più o meno continuativo, con cui trasmettono ai soci le informazioni di carattere associativo (convocazioni di
assemblee, informazioni su iniziative realizzate a livello nazionale, sensibilizzazioni su particolari aspetti e temi
culturali o sociali, ecc...).
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-
pubblicazioni monografiche preparate spesso a seguito di rassegne cinematografiche (che di solito contengono una o più
analisi e studio sui vari aspetti del tema oggetto della rassegna, una presentazione critico-informativa dei film
in rassegna, eventuali interviste o testimonianze, eventuale filmografia e bibliografia consigliata);
volumi dedicati all'approfondimento di particolari argomenti (generi, scuole, tendenze, autori, nazioni, temi ecc...),
magari trascurati, del mondo-cinema (si possono ricordare a titolo esemplificativo i Quaderni di Filmcronache e
la collana Studi e ricerche dell'ANCCI, le Iniziative Culturali Specifiche dei CGS ecc...);
libri di utilità pratica, realizzati per essere strumenti di supporto al concreto operare dei Circoli (sotto questo
aspetto si possono ricordare le pubblicazioni della UICC: il Catalogo della distribuzione culturale in 16 e 35 mm, un
annuario che contiene le schede informative sui film disponibili per il circuito culturale, e Libri di cinema, che
annualmente elenca dettagliatamente le pubblicazioni di argomento cinematografico.
7. Metodi di comprensione del film
Uno degli aspetti che caratterizza maggiormente i Circoli di cultura cinematografica, è l'attività di lettura o
di analisi del film. Nell'immaginario collettivo (e anche cinematografico con film come C'eravamo tanto amati di
Scola, o Sogni d'oro di Moretti) spesso si identifica il Circolo con il dibattito o il cineforum, uno degli esempi più
tradizionali e utilizzati (soprattutto in ambito cattolico, ma non solo) per leggere il testo filmico, vale a dire per
cercare di capire un film nei suoi molteplici aspetti.
Vista, comunque, la complessità dell'argomento e la centralità che esso assume nell'attività dei Circoli, è
opportuno soffermarsi dettagliatamente sui metodi predisposti dai Circoli per comprendere un film.
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Secondo Capitolo
COMPRENDERE IL FILM
1. Il film come testo da leggere
Come più volte sottolineato, uno degli scopi, prioritari, dei Circoli è quello di stimolare lo spettatore a
una comunicazione attiva con il film, aiutandolo a non subire passivamente e superficialmente le immagini
filmiche. “La visione pura e semplice d'un film - scrive Alfonso Moscato - che si esaurisca nel percepire in
maniera più o meno emotiva quel che balugina nello schermo, sarebbe un'esperienza anonima e in gran parte
inutile. Occorre una partecipazione attiva dello spettatore, un'analisi, implicita durante la visione, esplicita dopo,
che renda lo spettatore interlocutore valido del testo filmico e delle sue proposte. Questo è ciò che si suol
chiamare la lettura del film”.3 L'opera cinematografica viene considerata e proposta come un vero e proprio testo
da leggere, e come tale dotato di un suo “linguaggio”, una sua “grammatica”, una sua “struttura” ecc. Ma come si
legge un film? La risposta non è facile. Le pagine che seguiranno cercheranno di mostrare i contributi alla
questione forniti (a livello di teorie metodologiche e di metodi concreti) dall'associazionismo, con lo scopo non
tanto di esaurire un argomento che presenta tante sfaccettature anche nel mondo associazionistico, ma di offrire
stimoli ad approfondire le tante difficoltà teoriche e metodologiche, che si incontrano nel voler tentare una seria
analisi del testo filmico. Sono tre, in particolare, gli aspetti che si tenterà di mettere in luce:
-
-
evidenziare la complessità di lettura di un testo filmico, e quindi l'importanza di un educazione al linguaggio
delle immagini seria e non superficiale (e di conseguenza la necessità che una corretta educazione
all'immagine entri nella scuola, e, anche nell'ottica di una “educazione permanente”, l'importanza, per giovani
e adulti, di frequentare un Circolo di cultura cinematografica);
mostrare la ricchezza di riflessioni teoriche condotte dall'associazionismo cinematografico anche sotto questo
profilo (le idee e i concetti che verranno presi in considerazione riguardano pubblicazioni, convegni, relazioni
ecc. promosse o realizzate dalle Associazioni);
offrire degli esempi di metodi concreti di lettura di un film utilizzabili e utilizzati dai circoli.
Vediamo allora alcune proposte teoriche e metodologiche realizzate o diffuse anche dall'associazionismo.
“... La lettura è un'operazione “vitale” - sostiene Alfonso Moscato - in cui lo spettatore si pone di fronte
al testo filmico senza subirne le iniziative ma rispondendo da pari a pari alle sue sollecitazioni”. La lettura viene
intesa come interpretazione. “In più, il testo filmico - continua Moscato - e l'esperienza cinematografica che ne
consegue possono, e forse devono, essere spunti per una promozione umana”. La lettura diventa reinterpretazione.
Il film e la sua lettura diventano allora nuove esperienze che vanno ad accrescere la “storia personale” dello
spettatore. “Lo spettatore concreto è legato ai modi di essere di una determinata cultura. Inoltre ogni individuo,
come pure ogni gruppo, ha un bagaglio di opinioni e di interessi che lo rendono più o meno recettivo e selettivo
di fronte ai messaggi”. Questo bagaglio, preesistente all'esperienza cinematografica, è legato all'influsso
dell'ambiente in cui lo spettatore vive o ha vissuto. “Si aggiungano i fenomeni di integrazione psicologica e si
vedrà ancora meglio che il film proiettato sullo schermo è solo una parte dell'esperienza cinematografica
complessiva. Comunque - conclude Moscato - il testo filmico resta sempre il punto di partenza e lo schema di
riferimento di una serie di analisi che, mentre rivelano nel film valori che possono sfuggire a un esame sommario,
stimolano le capacità critiche dello spettatore”.4 Metodologicamente vengono proposti quattro tipi di analisi:
-
analisi dei codici audiovisivi: lo spettatore deve acquisire un minimo di nozioni relative alla tecnica
cinematografica e alla sua “capacità di dire qualcosa attraverso le componenti visive e sonore del film”;
analisi narrativa e analisi tematica: a questo punto lo spettatore è pronto “a rendersi conto dell'argomento, del
racconto filmico e delle problematiche in esse contenute, come pure dei significati parziali e globali del film”;
analisi storico-sociale: occorre che il film venga collocato all'interno della “società che lo produce e sulla quale
riverbera i suoi influssi”; il film diventa “oggetto della storia della cultura umana" e "elemento principale
dell'odierna cultura di massa”.
3
A. Moscato, La duplice identità della lettura filmica, in Michele Serra (a cura di), “Didattica della comunicazione,
itinerari siciliani”, edizioni CINIT, Venezia, p. 192
4 A. Moscato, La duplice identità......., in op. cit., p. 192
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Queste quattro analisi costituiscono, secondo Moscato, la presa di coscienza dei vari aspetti presentati dal
film, con cui si rimane, però, a livello di lettura passiva. “La lettura dev'essere anche attiva e creativa: una vera reinterpretazione per cui, a partire dalla proiezione, si rifà, con modi propri, il percorso delle esperienze vissute
nell'esperienza cinematografica”.5
Presentando un metodo di lettura del testo filmico, Giancarlo Beltrame suggerisce di seguire
l'impostazione metodologica di Antonio Costa che prevede quatto “livelli di lettura”, dal più semplice al più
difficile:
-
-
-
il primo livello (corretta comprensione della narrazione filmica) concerne “la comprensione della narrazione e la
performance consiste nella stesura di una sinossi che focalizzi gli elementi principali del racconto (personaggi,
luoghi e ambienti, tempi, azioni ed eventi, ecc.)”;
il secondo livello (conoscenza degli elementi costitutivi del linguaggio filmico e competenza metalinguistica) richiede la
conoscenza degli “elementi basilari del linguaggio cinematografico e di saperli usare in fase decifrata
(competenza metalinguistica) del testo filmico. In particolare si deve riconoscere c comprendere la strategia
comunicativa che si esplica attraverso alcune scelte stilistiche precise...”;
il terzo livello (individuazione delle relazioni che uniscono i procedimenti linguistici alla costituzione di un universo narrativo
coerente e riconoscibile) tende “ad esplorare le relazioni tra le varie componenti del testo filmico, inteso come un
unicum narrativo. I singoli elementi presi in esame sono posti in stretto collegamento con l'insieme, per
individuare l'apporto che essi danno alla globalità e per capire il contributo di significato che danno e
ricevono nell'interscambio”; emergono in questo modo i nuclei tematici, i temi dominati, ecc. “che si
dispongono come un reticolo relazionale che sottilmente avvolge e collega tutte le situazioni narrate nel
film”;
il quarto livello (individuazione e sintesi degli elementi che contribuiscono alla definizione di significati simbolici o secondi, che
trascendono cioè il significato letterale della narrazione) intende rilevare la fitta trama di metafore: “per ciascun
elemento costitutivo della narrazione, all'interno del testo filmico si rinvengono oggetti o situazioni con una
qualche valenza simbolica”.6
Nella lettura di un film si possono individuare, sostiene Pier Cesare Rivoltella, "tre livelli di
focalizzazione, cioè di dislocazione dell'attenzione":
-
-
-
il primo livello di messa a fuoco è quello che si sofferma sul vedere. “Il cinema è uno sguardo sul mondo
articolato in modo sempre più personale in rapporto all'evolvere del linguaggio oltre la camera fissa, grazie a
panoramiche, carrelli, montaggio... Registrare questo sguardo, coglierne le diverse declinazioni, è sicuramente
un primo grande campo di lavoro per il cineforum: è l'approccio del cinefilo, inteso come colui che fa pratica
empirica di conoscenza e consumo di autori, di movimenti di tendenze estetiche e ideologiche”;
il secondo livello evidenzia che il film, oltre a essere un luogo in cui si organizza un vedere, a partire da
questo vedere, produce un sapere. “Verificare come questo sapere venga realizzato, ricondurlo alle logiche
culturali e alle problematiche storiche del momento in cui è stato prodotto è il compito dell'approccio filmologico,
applicazione di metodologie e categorie critiche spesso proprie di altre discipline e ambiti comunicativi
(psicologia, sociologia, letteratura)”;
il terzo livello prevede la messa a fuoco del credere a cui conduce il film, “mediante il vedere e in virtù del
sapere che lo caratterizzano, dall'approccio cinefilo e filmologico, siamo passati a quello valoriale, attento alle
strategie comunicative mediante le quali il film costituisce sistemi di credenze nel pubblico (e in questo senso
si espone alla valutazione etica) o alle modalità secondo cui affronta il proprio tema”.
A commento di questa sorta di “tipologia dell'attenzione al film”, viene affermato che questi “approcci si devono
ritenere complementari e tutti indispensabili”. Il privilegiare un aspetto piuttosto che un altro comporta dei rischi
ben precisi:
-
l'esclusiva attenzione al vedere, conduce a uno “sterile enciclopedismo erudito”;
l'esclusiva attenzione al sapere, determina “la dimenticanza del carattere specifico e autonomo del linguaggio
cinematografico”;
5
Cfr. A. Moscato, La duplice identità...., in op. cit., pp. 192/193
Cfr. G. Beltrame, Metodo di lettura del testo filmico, in M. Serra (a cura di), “Didattica della comunicazione...”, op.
cit., pp. 86/98
6
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l'esclusiva attenzione al credere, rischia di far cadere nel moralismo o nell'ideologia.7
I modelli sopra presentati non esauriscono evidentemente le proposte possibili, ma riescono già a farci
comprendere che il linguaggio cinematografico è una forma di comunicazione complessa e specifica e offrono già
qualche punto di riferimento per approfondire, puntualizzare, personalizzare una metodologia di analisi filmica.
“La descrizione e l'analisi di un testo filmico - sottolinea Flavio Vergerio - è un'impresa ancora oggi (anzi più che
mai) molto problematica, che non prevede una metodologia unica, né una definizione esaustiva di ambiti. Il testo
filmico, proprio per la sua natura linguistica complessa, è sempre un'opera aperta, suscettibile di mai concluse
interpretazioni. Questo è il primo messaggio che un'attività didattica di analisi deve trasmettere... Il primo
abbozzo di atteggiamento critico dovrebbe sorgere dalla consapevolezza della nostra produttiva incertezza di
spettatori e analisti”. 8
2. Metodi operativi di lettura del film
Una volta affrontate alcune riflessioni di teoria metodologica, ci si può addentrare con più
consapevolezza nei metodi operativi con cui i Circoli cercano di leggere (e far leggere al proprio pubblico) un
opera filmica.
Si possono individuare tre tipologie di interventi, a seconda del codice espressivo che viene utilizzato:
orali, scritti e visuali.
2.1. Metodi orali: il dibattito
Il cineforum o dibattito cinematografico, si è detto, è stato l'elemento forse più caratterizzante l'attività
dei Circoli cattolici e laici, almeno fino alla seconda metà degli anni Settanta. Successivamente questo strumento è
andato in crisi, ma proprio in questi ultimi anni sembra si avverta un risveglio di interesse nei confronti del
dibattito (“forum”) sul film. Fin dalla nascita del movimento dei circoli del cinema, questa pratica ha cominciato a
diffondersi, ma è con l'avvento dei Circoli cattolici (i Cineforum, appunto) che l'attenzione al dibattito diventa
centrale, e si cerca di elaborare un metodo fondato su basi teoriche e metodologiche precise. “I cineforum scrive Brunetta nella sua Storia del cinema italiano - costituiscono l'investimento culturale che, con tutta probabilità,
ha dato i migliori frutti a lunga scadenza nel lavoro cinematografico dei cattolici”. La pratica del dibattito poi si
estende e ramifica anche nei Circoli di matrice laica, anche se con caratteristiche differenti (in particolare, come
già sottolineato, i cattolici prestavano più attenzione a far emergere i contenuti e i messaggi del film, i laici
cercavano invece maggiormente una comprensione formale e stilistica).
Come nasce e cos'è il metodo del cineforum? “Bisogna fare un salto indietro - afferma Enzo Natta - e tornare al
1944. In quell'anno arriva a Roma, al seguito delle truppe alleate, P. Felix Morlion. P. Morlion era un domenicano
belga che durante la guerra lavorava per l'OSS (Office of Strategic Service), il servizio segreto americano che si
trasformerà poi nella CIA. P. Morlion arriva a Roma con un incarico preciso: fondare la sede italiana
dell'università Pro Deo, oggi Luiss. Nel volume L'utopia di Giovanni XXIII Giancarlo Zizola, noto vaticanista,
scrive che la Pro Deo è concepita come “una centrale ideologica dell'anticomunismo cattolico”. Proprio
all'interno della Pro Deo e poi all'esterno P. Morlion sviluppa una brillante intuizione di un gesuita italiano, P.
Angelo Arpa, e crea il cineforum. Che cos'è il cineforum, perlomeno nella concezione iniziale che lo sostiene? È
uno strumento che unendo l'immagine (il film) alla parola (il dibattito) consente allo spettatore di non subire
passivamente il messaggio proveniente dallo schermo ma di diventare parte attiva del rapporto di comunicazione
che si instaura fra schermo e platea”.9 Come si è sviluppato il movimento dei cineforum lo si è già visto nella
parte storica di questo volume, è opportuno però ribadire l'importanza della dimensione politica che caratterizza
gli anni del dopoguerra. “Il movimento dei cineforum - sostiene Natta - nasce non da una esigenza culturale ma
da una esigenza politica... Nelle intenzioni di P. Morlion la cultura è il mezzo non il fine... In quel periodo non c'è
tempo per la cultura che ha un ruolo secondario rispetto alla politica”.10 In questo quadro si capisce allora perché
il cineforum prende una piega “contenutistica”. “Il cineforum - continua Natta - è l'occasione per discutere dei
problemi della società, dei problemi del momento, dunque dei problemi politici che incombono. Il metodo è
7
Cfr. P. C. Rivoltella, Quale metodologia per il cineforum, in D. E. Viganò (a cura di), “Le sale della comunità.....”,
op. cit., pp. 89/90
8 F. Vergerio, Un problema aperto: l'analisi del film, in “Il ragazzo selvaggio”, n. 2/3, 1985, p. 91
9 E. Natta, Dai cineforum al cineforum: una proposta metodologica, in "Giovani e media", ACEC-ANCCI, 1995, pp.
84/85
10 E. Natta, Dai cineforum al cineforum...., in op. cit. p. 85
9
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quello contenutistico: l'argomento del film e il suo tema si prestano ad allargare il discorso a tutta una serie di
problemi che in quel momento investono il Paese e riguardano da vicino la realtà dell'Italia”.11
Trascorso il periodo “caldo” il cineforum ha la possibilità di trovare una più precisa autonomia culturale
e una più elaborata metodologia che sappia sviluppare l'idea-base di P. Morlion. L'operazione viene compiuta da
Renato May, “a lui si deve in particolare - sottolinea Guido Michelone - la metodologia della lettura e del dibattito
sul film (con regole diventate poi come un codice universale per gli stessi cineforum)...”.12 Il metodo May si basa
sulla verbalizzazione, vale a dire sulla lettura del film tramite lo strumento della parola, e sulla scomposizione del
film risalendo alle strutture portanti che lo sostengono, sottolineando così l'importanza di unire l'immagine alla
parola. “La parola, infatti, - spiega Natta ripercorrendo la metodologia di May - stimola il ragionamento, mentre
l'immagine provoca stati di coscienza che incidono nell'individuo al di fuori e al di sopra della sua sfera razionale.
Da tutte queste considerazioni traggono origine la forza e la validità del dibattito cinematografico, che
metodologicamente accoppia l'espressione dell'immagine (il film) con l'espressione della parola (la discussione) in
una stessa occasione. La denominazione “dibattito cinematografico” non è dunque casuale: essa esprime nelle due
parti che la compongono l'istanza viva e profonda di una sintesi tra due tipi di civiltà che non sono affatto in
contrasto e che non si escludono a vicenda, la civiltà della parola e la civiltà dell'immagine. Il dibattito, prima
ancora di esprimersi come fatto organizzativo è metodologia, è appunto lo strumento moderno che accoppiando
due diverse manifestazioni di due diversi tipi di civiltà, la proiezione e la discussione, risponde concretamente
all'esigenza di una sintesi tra due prospettive che insieme investono la cultura e la formazione dell'uomo
moderno. Ma perché questa esigenza trovi nel dibattito una concreta risposta è necessario considerare il dibattito
cinematografico nel suo sostanziale significato, impostandone le metodologia in modo coerente e fuori dal
disordine che può derivare dall'attuarsi di quei tentativi che sul piano empirico possono scaturire da un generico
accoppiamento tra proiezione e discussione”.13 May individua a questo punto una serie di fenomeni involutivi
che si possono verificare se non si fa uso di una precisa metodologia. Tralasciando questi ed altri aspetti della sua
approfondita analisi, è importante osservare che anche May coglie lo stretto legame fra film e spettatore. “In
particolare - precisa Michelone - il metodo di dibattere il film si rivela ancora efficace sul piano pratico,
soprattutto quando May prima descrive, poi analizza e valuta l'esperienza cinematografica in tutta la sua duplicità:
dalla parte di chi fa il film, ossia nei confronti del processo di produzione, e dalla parte di chi fruisce il film, vale a
dire nei confronti della visione”.14 È importante sottolineare l'individuazione in questa duplice esperienza di certi
meccanismi oggi sostanzialmente immutati in quanto costitutivi della pratica del cineforum.
Sia per i Circoli laici che cattolici la pratica del cineforum o cinedibattito, si concretizza nella sua forma
più tradizionale in due fasi: la presentazione del film (prima della visione) e la discussione del film (dopo la visione).
Si inizia quindi con la presentazione del film. “Il direttore del dibattito - secondo il metodo di May - offre al
pubblico i dati informativi (biografici e filmografici) del regista, illustra il suo mondo poetico, espone il momento
politico-storico-culturale in cui il film è stato realizzato, presentando un'analisi comparativa delle maggiori opere
che in quel periodo si sono affiancate al film che verrà proiettato. Se, per esempio, si dovesse presentare Roma
città aperta di Rossellini, converrà accennare brevemente anche a Ladri di Biciclette di De Sica, a La terra trema di
Visconti, ecc. Tale presentazione non dovrebbe andare oltre i 10-15 minuti”.15
Anche Rondolino, nel suo Tecnica del dibattito cinematografico della fine degli anni Sessanta, sottolinea
l'importanza della presentazione orale del film ma anche della brevità dello stesso. “Sia la presentazione quella
d'un film isolato - scrive Rondolino - o d'un organico ciclo di opere, essa deve essere, perché risulti efficace, breve
e concisa. La durata media non dovrebbe superare i dieci minuti, in casi del tutto eccezionali i quindici-venti. Il
pubblico è venuto al circolo per assistere a una proiezione ed eventualmente a partecipare a un dibattito
cinematografico, non per ascoltare una conferenza; quindi è disposto tutt'al più ad accettare una breve
introduzione allo spettacolo, che sia possibilmente piacevole e interessante e non gli faccia rimpiangere di non
essere rimasto a casa propria. In dieci minuti è possibile intrattenere piacevolmente l'uditorio sul film che vedrà
poco dopo, a condizione di essere concisi, di dire cose concrete, di non dilungarsi in questioni marginali, di non
anticipare il piacere dello spettacolo, in una parola di invitare il pubblico a una partecipazione viva e intelligente al
film che è venuto a vedere. Ma per far questo, è necessario preparare la presentazione secondo un disegno
prestabilito che segua un preciso impianto metodologico”.16 Non è pensabile di individuare una formula valida
11
E. Natta, Dai cineforum al cineforum...., in op. cit. p. 85
Michelone, Bazin, May, Bini: teoria, prassi, etica per un film cristiano, in D. Viganò (a cura di) "Cinema e
Chiesa, una storia che dura 100 anni", Milano, Centro Ambrosiano, 1994, p. 78
13 E. Natta, Dai cineforum al cineforum...., in op. cit. p. 87
14G. Michelone, Bazin, May, Bini..., in D. Viganò (a cura di) "Cinema e Chiesa, una storia che dura 100 anni", op. cit.
p. 79
15E. Natta, Dai cineforum al cineforum...., in op. cit. p.90
16 G. Rondolino, Tecnica del dibattito cinematografico, Roma, UICC, 1968, p. 25
12G.
10
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per tutti i tipi di film e di pubblici dei Circoli, ma si possono comunque offrire, secondo Rondolino, alcuni dati di
base comuni da usare come riferimenti, unitamente all'esperienza personale maturata dal “presentatore”.
Orientativamente questi criteri di base possono essere, citando testualmente Rondolino:
-
“il pubblico non ha ancora visto il film in questione, quindi non ne conosce il soggetto, non ne conosce il
contenuto drammatico e poetico, non possiede termini di riferimento per una analisi preventiva dell'opera; è,
in sostanza, in una posizione di attesa;
il pubblico non vuole essere distolto dalla partecipazione affettiva e sentimentale all'opera e dal suo
godimento estetico con inopportune interferenze esterne, se non nella misura in cui gli permettano di meglio
gustarne il contenuto artistico e culturale;
il pubblico si stanca presto di un discorso teorico o ideologico intessuto in termini astratti, ha bisogno di fatti
e di elementi concreti, in modo da poter seguire senza difficoltà ed eccessiva fatica il filo dell'esposizione;
il pubblico rifiuta le imposizioni ideologiche, non accetta di essere indottrinato, al più è disposto ad essere
illuminato su talune questioni dubbie o di non facile comprensione o di cui ignora i termini;
la presentazione non è fine a se stessa, ma in primo luogo prelude alla proiezione del film, in secondo luogo
anticipa il dibattito che si svolgerà al termine della proiezione;
il presentatore non è la “voce della verità” e nemmeno un giudice infallibile, ma uno spettatore un poco più
avvertito e informato, che mette la sua preparazione e la sua cultura al servizio degli altri”.17
La presentazione quindi deve agevolare la visione, non sostituirla o prevaricarla e in qualche modo
preparare il terreno alla discussione. “Seguirà quindi - continua Natta sempre illustrando May - la visione del film e
finalmente il dibattito cinematografico vero e proprio. Assistendo a qualche cineforum, quante volte, dopo che il
direttore del dibattito invitava il pubblico a iniziare la discussione, abbiamo constatato il deludente risultato di un
silenzio assoluto da parte della platea, oppure, nel migliore dei casi e sempre dopo un iniziale periodo di mutismo,
abbiamo ascoltato interventi che con la discussione avevano ben poco da spartire?”.18 Per evitare il rischio del
fuori tema o del fuori luogo, viene proposto un metodo basato su quattro domande precise da rivolgere al
pubblico.
-
La prima domanda è descrittiva:
Qual è la struttura narrativa del film? In altre parole qual è la storia che il regista ci ha esposto? (il dibattito
inizia con l'analisi narrativa del film, cioè la messa a fuoco del racconto, dei personaggi ecc.).
-
La seconda e la terza domanda sono analitiche:
In che modo il regista ha raccontato la storia che abbiamo appena finito di analizzare? (si passa alla
valutazione estetica del film);
Che cosa ha voluto dire il regista con questo film (è il momento dell'analisi tematica del testo).
-
La quarta domanda è valutativa:
È giusto quanto il regista afferma nel film? (si giunge infine alla valutazione morale).19
-
È uno schema questo forse superato e che presenta dei limiti, ma questa impostazione costituisce ancora
oggi, spesso, un punto di riferimento per le discussioni nei cineforum.
Più recentemente, Rivoltella, prima di prendere in considerazione alcuni criteri operativi, definisce i due
grandi “poli” fra i quali si oscilla nell'ambito dell'animazione di un Circolo: parlare del film, parlare sul film.
“Il parlare sul film traduce il punto di vista che, con Umberto Eco, potremmo definire della “lettura pretestuale”: in
quest'ottica il film è selezionato in funzione illustrativa e diviene un pretesto per introdurre una problematica o
trovarne conferma nella concretezza delle immagini. Confortata dalla consuetudine dei cinedibattiti televisivi, in
cui il film funge semplicemente da input alla discussione in studio di un determinato argomento, questa scelta
autorizza di solito impressioni superficiali, soggettive ed estemporanee e rischia di configurarsi come prassi di
dialogo che per nulla contribuisce alla educazione dello sguardo spettatoriale”.
“Il parlare del film, invece, dà corpo a un punto di vista sostanzialmente differente, un punto di vista di tipo
testuale, in ordine al quale, superata l'ottica contenutistica e illustrativa, il film diviene un campo metodologico da
attraversare, come suggerisce R. Barthes, un oggetto culturale da smontare e rimontare non per autorizzare
percorsi di lettura arbitrari e soggettivi, ma per elaborarne di critici, sebbene personali, sempre e comunque
17
G. Rondolino, op. cit. p. 26
E. Natta, Dai cineforum al cineforum...., in op. cit. p.90
19Cfr. E. Natta, Dai cineforum al cineforum...., in op. cit. pp. 90/94
18
11
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autorizzati dalla materialità significante del testo (i limiti dell'interpretazione, come precisa U. Eco, sono nel testo
stesso)”.20
Una volta risolta l'oscillazione tra lettura pretestuale e lettura testuale a favore di quest'ultima, si deve
però trovare un metodo con cui parlare del film. Recuperando le tre istanze (vedere, sapere, credere) proposte
dall'autore, si possono individuare tre nodi (che attivano tre diverse competenze nello spettatore) intorno ai quali
impostare il dibattito:
-
il nodo linguistico-espressivo: è l'aspetto grammaticale e sintattico, che attiva la competenza del saper vedere;
il nodo narrativo-tematico: è l'aspetto contenutistico del film, che attiva la competenza del saper comprendere;
il nodo etico- valoriale: è l'aspetto “ideologico” del film, il suo dire qualcosa in un certo modo, che attiva la
competenza del saper valutare.21
La necessità di utilizzare un metodo nella conduzione della discussione è sottolineata anche da
Rondolino. “Perché la discussione non degeneri e perché sia culturalmente feconda, occorre che il suo
andamento sia preparato attentamente e che l'animatore si attenga a uno schema di massima che gli permetta di
passare a gradi dall'esame generico dell'opera all'analisi contenutistica e formale, portando il pubblico nel vivo del
tema. Egli dovrà cioè prefissarsi certi punti secondo un ordine di progressione determinato, anche se non rigido,
ai quali si richiamerà nel corso della discussione. In linea generale, l'esame dell'opera o l'analisi del tema trattato
deve partire da alcune osservazioni particolari, che riguardano il film, o i film del ciclo, in concreto: per esempio,
questa o quella sequenza, questo o quel personaggio, questo o quel particolare tecnico o espressivo;
successivamente il discorso dovrà accentrarsi sull'opera nel suo complesso, come somma dei diversi elementi
contenutistici e formali, cercando di metterne in luce la vera natura; si valuteranno le intenzioni del regista con i
risultati ottenuti, si analizzeranno i rapporti tra il tema del film e la sua espressione in termini d'arte e di cultura, se
ne considereranno i pregi o i difetti; inoltre si allargheranno i confini della discussione dal film come entità isolata
al contesto sociale, culturale, artistico, ideologico, politico, morale che l'ha prodotto; si studieranno i rapporti con
l'eventuale opera letteraria o teatrale da cui è stato ricavato, i legami con la cultura di una nazione o di un
particolare periodo storico, con la società e l'ideologia di cui è manifestazione; infine si cercherà di definirne
criticamente i contorni artistici e culturali, non tanto per giungere a un giudizio di valore definitivo e inappellabile,
quanto per invitare il pubblico a prenderne coscienza, a saperlo interpretare correttamente, a sapersene in un
certo senso “difendere” cioè a non lasciarsi suggestionare dai facili entusiasmi o dagli allettamenti della forma”.22
Viene sottolineata l'importanza comunque di non restare eccessivamente ancorati e ingabbiati da uno schema.
“...La discussione deve essere libera e democratica - continua Rondolino - quindi bisogna sì incanalarla nei limiti
del possibile in modo che essa mantenga i suoi caratteri precisi, ma non la si deve forzare oltre misura, altrimenti
ne va della sua funzione didattica e della sua efficacia culturale: meglio è il dibattito vivace e interessante delle idee
magari un poco ai margini del tema vero della discussione, che quello ligio agli schemi di sviluppo e
ordinatissimo, ma culturalmente infecondo perché privo di stimoli intellettuali e di apporti originali di idee e di
opinioni”.23
Oltre ai metodi di conduzione del dibattito, è bene evidenziare che la discussione prevede due momenti
particolari: un'apertura e una conclusione. “Il momento in cui - scrive Rondolino - lo schermo si spegne e la luce si
riaccende in sala è particolarmente delicato e, oserei dire, decisivo, per l'esito della serata.... L'animatore deve
conoscere bene questo momento ed essere in grado di affrontarlo adeguatamente, con opportuni accorgimenti.
L'inizio della discussione è infatti estremamente importante ai fini del suo buon proseguimento e del suo
sviluppo fra i presenti”.24 Occorre considerare comunque che non tutti desiderano partecipare o assistere al
dibattito, anzi spesso sono una minoranza dei presenti coloro che rimangono in sala dopo la visione del film.
Anche la conclusione del dibattito, svolta dall'animatore o direttore del dibattito, può essere considerata un
momento particolare. “Si tratta in sostanza - sostiene Rondolino - di tirar le fila della discussione, a volte animata
e combattuta, che il film ha suscitato fra gli spettatori. È anche questo un compito delicato, che può apparire
difficile e ingrato all'animatore principiante, e può riuscire sgradito al pubblico, qualora non sia svolto bene. Una
buona regola è quella di limitarsi semplicemente a riassumere i vari elementi della discussione, così come si sono
venuti elaborando nel corso del dibattito...non si cerchi di forzare le conclusioni della discussione...”.25
20
P. C. Rivoltella, Quale metodologia..., in op. cit. p. 89
P. C. Rivoltella, Quale metodologia..., in op. cit., p. 93
22 G. Rondolino, op. cit., pp. 44/45
23 G. Rondolino, op. cit., pp. 45/46
24 G. Rondolino, op. cit., p. 37
25 G. Rondolino, op. cit., p. 46
21Cfr
12
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Esistono o sono esistiti anche altri metodi di discussione diversi dal tradizionale cineforum, in particolare
se ne possono ricordare due: la discussione differita e la visione con interruzioni. Il metodo della discussione differita,
prevede la discussione non alla fine del film, ma qualche giorno dopo. Questa impostazione, se da un lato,
almeno teoricamente, conduce a una discussione più ricca di contenuti, perché il pubblico ha avuto tempo per
riflettere sul film e magari documentarsi, dall'altro richiede un impegno più prolungato al pubblico ( e quindi la
partecipazione diminuisce). La visione con interruzioni, prevede alcune “tappe” in cui il film viene interrotto per dar
spazio a momenti di dibattito e di riflessione in base a ciò che sta accadendo nel film. Questo sistema se da un
lato può aiutare a meglio cogliere e puntualizzare certi passaggi del film, dall'altro “inquina” e svilisce la visione
del film inteso come un continuum unitario.
Il discorso su questi metodi viene solo accennato perché sostanzialmente sono poco utilizzati, e spesso
di difficile attuazione o di scarsa efficacia culturale. Anche il tradizionale metodo del dibattito cinematografico ha
rischiato di essere abbandonato definitivamente, soprattutto nel corso degli anni Ottanta, oggi però è uno
strumento che sembra tornato a essere gradito dal pubblico dei Circoli.
2.2. Metodi scritti: la scheda filmica
Pratica diffusissima nei Circoli è fornire al proprio pubblico una scheda scritta relativa ai film proiettati,
pratica che si è accentuata e diversificata anche per la crisi del metodo verbale del cineforum. Si possono
distinguere due tipi di schede filmiche: la scheda critico-informativa e la scheda di lettura del film.
La scheda critico-informativa può andare dal semplice foglio con i dati essenziali del film (trama, regia,
nazionalità ecc.) all'opuscolo o libretto o rivista che descrive in maniera organica e approfondita il ciclo di film e
le singole proiezioni. “Da molti anni ormai - scrive Rondolino - prima i circoli del cinema più ricchi, delle grandi
città, con parecchie centinaia e a volte una o più migliaia di soci, poi gradatamente la maggior parte degli altri
circoli, forniscono ai loro soci delle schede critico-informative sui singoli film che hanno in programma o degli
opuscoli sui cicli di proiezioni che svolgono nel corso della stagione, o addirittura dei veri e propri piccoli libri o
delle vere e proprie riviste, in cui l'attività del circolo è commentata, illustrata criticamente, inquadrata
storicamente con scritti, saggi, varia documentazione e filmografie, sì da costituire un sostanzioso apporto
culturale alla conoscenza e alla valutazione dei film e degli autori che vengono di volta in volta proposti ai soci...
Si dà così al pubblico la possibilità di assistere ai vari spettacoli con una adatta preparazione, con una disposizione
intellettuale tale da favorire una visione culturalmente feconda del film e da suscitare il desiderio genuino di
conoscerne più profondamente le componenti essenziali e la portata artistica”.26
Come deve essere strutturata una scheda, per così dire “ideale”? Premesso che ogni Circolo e realtà
locale ha le sue caratteristiche e le sue esigenze specifiche, Rivoltella propone uno schema-tipo così composto:
-
la scheda tecnica del film (regista, cast, anno di produzione, origine ecc.)
il profilo del regista e la sua filmografia essenziale;
una breve sintesi della vicenda;
alcuni spunti tematici per la lettura;
una rassegna stampa essenziale.
Nella realizzazione di questo schema, poi, si dovrebbero tener presente, sempre secondo Rivoltella,
alcuni criteri-guida per rendere più incisiva e funzionale possibile la scheda:
-
è auspicabile che la scheda venga prodotta da chi coordina la rassegna, così che il taglio della stessa sia
rispondente al target cui ci si vuole rivolgere. A questo scopo è necessario che le singole realtà o gli enti e
Associazioni che la raccolgono si dotino di un archivio-cinema o comunque di fonti di documentazione;
la scheda deve essere sintetica (due cartelle al massimo) per consentirne la lettura nel breve spazio che
precede la proiezione;
nonostante la sinteticità deve però offrire sufficienti elementi a essere ripresa dopo la visione in funzione di
un ripensamento critico della visione;
la scheda non deve mai chiudere il senso del film, ma mantenere sempre un atteggiamento soltanto
suggestivo e provocatorio della discussione.
La scheda filmica critico-informativa può svolgere una sua funzione sia prima che dopo la visione. Prima
della visione del film la scheda costituisce, afferma Rivoltella, “un importante elemento di paratesto per lo spettatore, il
26
G. Rondolino, op. cit., p. 22
13
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primo orizzonte di precomprensione a partire dal quale egli può avvicinarsi alla proiezione”. Dopo la visione del film
la scheda può risultare “un valido strumento per l'animatore ai fini della conduzione del dibattito, per lo
spettatore ai fini del lavoro di riflessione e di confronto critico personali sulla pellicola”.27
L'altro tipo di scheda, la scheda di lettura del film, è emersa in concomitanza della crisi del dibattito, e dei
metodi di partecipazione verbale. Ciò che veniva portato avanti dal dibattito viene trasferito in una scheda
(strutturata come questionario a domande più o meno aperte) che cerca di condurre lo spettatore in un percorso
di lettura del film, lettura che però, a differenza del dibattito, risulta individuale e non socialmente condivisa e
collettivamente costruita (a meno che non si riservi uno spazio, come a volte avviene, in cui si condividono e
commentano i risultati ottenuti).
5. Metodi visuali: la videoscheda
Fra i contributi più recenti e innovativi (e ancora a carattere sperimentale) relativi ai metodi di
animazione culturale di un Circolo, troviamo l'utilizzo di materiale audiovisivo come supporto alla visione e alla
lettura del film: la videoscheda. “Ci è sembrato opportuno - spiegano Roberto Allegro e Ester Negro, alcuni dei
realizzatori di un Iniziativa Culturale Specifica dei CGS dedicata proprio sperimentazione di un modello di
videoscheda - fornire agli spettatori un'introduzione nuova all'opera filmica, da affiancare alle già esistenti schede
scritte di analisi del film distribuite ad ogni proiezione presso la cassa del Cinema. Da una parte infatti un testo
stampato ha il pregio di rimanere come oggetto fisico nelle mani di chi ne fruisce; ma, quante persone, una volta
visto il film, a distanza di tempo rileggeranno quei fogli? A questo limite si è cercato di ovviare con le
videoschede, che con la loro immediatezza colpiscono in modo più diretto lo spettatore, coinvolgendolo a livello
emotivo oltre che razionale”.28 La videoscheda potrebbe essere intesa come metodo da affiancare alla scheda
tradizionale di presentazione del film o concepita invece come vero e proprio superamento del sistema basato
sulla scheda scritta. “La videoscheda - afferma infatti Franco Peradotto - rappresenta la logica evoluzione di
questo sistema. La semplice scheda introduceva al film attraverso la cultura scritta, la videoscheda si appoggia alla
cultura audiovisiva. È il cinema che spiega il Cinema, le immagini che illustrano altre immagini. Il fruitore del
cineforum, all'interno di un unico canale di comunicazione, quello audiovisivo, si inserisce “naturaliter” nella
visione del film”.29
È difficile prevedere se la videoscheda avrà un'evoluzione metodologica e se si diffonderà il suo utilizzo.
Sicuramente occorrerà definire una metodologia precisa e specifica al linguaggio audiovisivo, mentre per quanto
riguarda la sua diffusione nell'ambito del Circoli, essa è frenata anche per i costi, le competenze tecniche e la
disponibilità di tempo che essa richiede, forse eccessive, per le possibilità di chi opera nel volontariato cultuale, e
quindi nel tempo libero. Considerando però il repentino sviluppo tecnologico che produce continuamente nuovi
mezzi disponibili, a minor costo, e di più semplice utilizzo, si può pensare di non escludere che una scheda audiovideo possa avere un futuro nei Circoli del cinema.
27cfr
P. C. Rivoltella, Quale metodologia......., in op. cit., pp. 91/92
R. Allegro - E. Negro, Come si prepara una videoscheda, in “La documentazione in immagini di un evento”, CGS,
p. 21
29 F. Peradotto, Magnificat, in “La documentazione in immagini di un evento”, op. cit., p. 45
28
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6. Per un'integrazione metodologica
La scelta del metodo di animazione da utilizzare è legato anche, come si è sottolineato, alla diverse
caratteristiche della realtà locale e del pubblico di un circolo, ma è opportuno anche rilevare che non è detto che
un metodo escluda l'altro, anzi spesso cercando di integrare opportunamente i diversi metodi si può avere un
risultato più efficace. “Soprattutto in questi ultimi anni - afferma Rivoltella - la riflessione sull'animazione del
cineforum si è organizzata attorno a due modelli, spesso configurati in termini antitetici. Il primo, più
tradizionale, ha ribadito l'opportunità e la proficuità dello schema presentazione-visione-dibattito, sottolineando
proprio in quest'ultimo momento lo specifico del cineforum. Il secondo, specchio della crisi di partecipazione
dello scorso decennio, ha finito per sostituire al dibattito (spesso anche alla presentazione!) una scheda di
presentazione/analisi del film. Dal nostro punto di vista, la dialettica è sterile: scheda di lettura e dibattito, più che
modalità di approccio diverse e alternative all'attività del cineforum, si devono pensare come metodologie
complementari, entrambe indispensabili”.30
Una corretta applicazione del metodo significa, spesso, saper andare oltre il metodo stesso. I metodi
sono fondamentali per assumere delle regole, dei paletti, dei punti di riferimento, senza i quali è difficile realizzare
un percorso (formativo e informativo) coerente e comprensibile, ma questi sono punti di riferimento non punti
di arrivo, per cui è necessaria anche una certa dose di creatività con cui rendere vive le attività dei Circoli.
Occorre saper conciliare schemi e creatività: da una parte c'è il rischio di un teorico eccessivo schematismo (bisogna
saper uscire dagli schemi), dall'altra parte di un rudimentale e superficiale empirismo (bisogna saper rimanere negli
schemi). “Penso che ricorderete tutti - afferma Natta - la famosa scena del film L'attimo fuggente in cui Robin
Williams invita i suoi allievi a leggere l'introduzione contenuta nell'antologia. In quell'introduzione, attraverso un
sistema di coordinate e di diagrammi, che assomigliano più ai grafici di un bilancio aziendale che a un metodo di
analisi critica, si pretende di fornire un sistema sicuro e ideale per accertare i caratteri dell'opera d'arte. Ebbene
ricordate che cosa fa Robin Williams? Strappa le pagine di quel libro e invita i suoi allievi a fare altrettanto. La
critica non è un teorema matematico, non è una progressione algebrica, non è una costruzione geometrica. Non
si fa con la calcolatrice. Forse la regola è che non ci sono regole se non la conoscenza di tante regole sostenuta
dalla sensibilità di chi le applica e dalla capacità di muoversi in mezzo a tutte queste regole come lo sciatore si
muove tra i paletti dello slalom”.31
CONCLUSIONI
Il percorso che si è voluto tracciare con questo lavoro, ha cercato di far capire perché nasce e come si
manifesta il fenomeno dell'associazionismo cinematografico italiano. Si è trattato di un percorso “aperto” in due
direzioni: aperto all'apporto di una pluralità di voci (gli studiosi di cinema, i critici cinematografici, le diverse
Associazioni nazionali ecc.), ma aperto anche perché si è voluto stimolare il contributo e l'approfondimento del
lettore.
Mostrando a titolo introduttivo, nella prima parte, un forse semplicistico studio su che cos'è il cinema, si è
voluto più che altro far toccare con mano la complessità del fenomeno cinema e i tanti risvolti sociali e culturali
che esso può avere. È stato un primo modo per rendersi conto della necessità di Associazioni che affrontino, in
maniere critica e propositiva, il fenomeno cinema. Passando alla parti successive, si è cercato di mostrare la
ricchezza di storia, di funzioni, di ruoli, di proposte teoriche e operative dei Circoli di cultura cinematografica. In
particolare la parte dedicata alla storia ha cercato di evidenziare oltre i dati nozionistici, anche gli entusiasmi e le
delusioni, le gioie e le fatiche, in una parola il “clima”, dei vari momenti storici. La parte dedicata al linguaggio ha
cercato di aiutare a comprendere in che termini l'associazionismo si esprime nei confronti delle tante questioni
dalle quali viene interpellato. La parte metodologica, infine, ha voluto mostrare come concretamente i Circoli
rendono possibile la comunicazione, attiva e critica, fra il film e il suo spettatore.
La conclusione non può che essere la speranza di aver contribuito al raggiungimento di tre obiettivi:
-
30
31
arricchire il bagaglio culturale (di nozioni storiche, teoriche e operative) di chi già lavora in un circolo del
cinema, quindi la sua competenza e la sua consapevolezza dell'importante ruolo culturale che svolge;
P. C. Rivoltella, Quale metodologia...., in op. cit., p. 91
E. Natta, Dal cineforum al cineforum...., in op. cit., p. 97
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L'utilizzo del presente testo è concesso gratuitamente purchè se ne citi la fonte
Uicc - Unione Italiana Circoli del Cinema
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fornire nuovi entusiasmi e energie (avendo avuto un idea delle tante persone oggi come in passato, impegnate
nell'associazionismo e del loro infaticabile lavoro) a chi lavorando nei Circoli si trova, sovente, almeno
apparentemente, a non raccogliere i frutti dei tanti sforzi compiuti;
suscitare il desiderio, in chi ancora non è impegnato culturalmente, di diventare un operatore culturale di un
circolo, perché si è reso conto che può essere un modo intelligente, divertente e fecondo di utilizzare il
proprio tempo libero a servizio di sé, degli altri, del cinema.
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III - La comunicazione nell`associazionismo cinematografico