COORDINAMENTO NAZIONALE DONNE SPI CGIL
Iniziativa precongressuale
Roma - Centro Frentani, 22 ottobre 2013
RELAZIONE di Mara Nardini
Mi perdonerete se non parlo dell‘attualità, come la Legge di stabilità, anche
se ci sarebbe molto da dire, perché vorremmo mantenere in questa giornata
il carattere di contributo delle donne dello Spi ad una discussione
congressuale. In ogni caso Carla, nelle conclusioni, se lo crede, potrà dire
qualcosa, e naturalmente anche Vera Lamonica, Segretaria nazionale della
Cgil, che ringraziamo per aver accettato il nostro invito.
Con questa iniziativa, le donne dello Spi intendono contribuire al Congresso
del nostro sindacato e della Cgil, presentando le loro elaborazioni, proposte e
istanze, frutto di un lungo lavoro di approfondimento iniziato nel giugno dello
scorso anno, che si è realizzato attraverso lo svolgimento di alcuni seminari,
e il lavoro durato tutti questi mesi con appositi gruppi di lavoro nazionali,
secondo un metodo inclusivo e partecipativo, tipico del Coordinamento
donne, che favorisce l’elaborazione collettiva e la maturazione di punti di
vista comuni e condivisi.
In cartellina trovate i nomi delle compagne che hanno composto i diversi
gruppi che, lo voglio sottolineare, hanno lavorato diretti dalle compagne
responsabili regionali, lì indicate, e con il fondamentale contributo di
compagne e compagni dei Dipartimenti dello Spi nazionale.
Contemporaneamente, a livello regionale e territoriale, si è sviluppata
l’attività dei Coordinamenti (in cartellina trovate un elenco delle iniziative), in
particolare sulle materie oggetto dei seminari e dell’approfondimento dei
gruppi, attività che si è intrecciata ed ha implementato il lavoro a livello
nazionale.
Vi è stato, dunque, alle spalle di questa giornata, un ampio ed esteso
dibattito corale e una pluralità di lavori, che abbiamo riassunto con lo slogan,
“Diamo qualità alla vita”, continuando il percorso dell’Assemblea nazionale
delle donne Spi del 2011 svolta a San Benedetto del Tronto, che affermava
nel titolo “Il valore del genere, la forza dell’età”.
Con questa iniziativa non vogliamo parlare del Congresso in termini generali,
perché su questo terreno siamo pienamente dentro il punto di vista che lo Spi
ha espresso nel suo ultimo Comitato Direttivo, in particolare con riferimento
1 alla necessità di svolgere un Congresso unitario, che parli al paese, ma
soprattutto ai nostri iscritti e alle nostre iscritte.
E’ in questi termini che vogliamo proporre i nostri punti di vista, dando
seguito anche alla ricchezza di indicazioni venuta dall’Assemblea delle
donne della Cgil; a partire dalla centralità che il lavoro assume per le donne,
cui sono collegati i diritti, le opportunità di riconoscimento sociale, le
possibilità di crescita di ognuna, l’accesso alle reti sociali e la costruzione
delle socialità. In altre parole, il nesso esistente, per le donne, fra lavoro e
libertà femminile, ma anche il rapporto fra il lavoro e lo stato sociale, perché
la libertà di scelta delle donne è condizionata dall’esistenza o meno delle
grandi reti di protezione sociale e di servizi e dal loro funzionamento.
Questa è, insieme alla mancanza di lavoro, la grande questione di questa
fase di crisi, di fronte alle politiche che hanno tagliato il welfare, con l’obiettivo
della riduzione del perimetro pubblico e ai tentativi di cambiare il modello di
stato sociale, facendone prevalere le funzioni compassionevoli e
assistenziali, depotenziandone gli aspetti universalistici e la carica di
portatore di nuovi diritti del lavoro e di cittadinanza.
Non possiamo prescindere, pertanto, dal modello di uscita dalla crisi che si
afferma, e da quali possono essere le ricadute sul modello di stato sociale:
se il welfare viene considerato un costo e un lusso insostenibile, come
sembra dalle scelte d’impronta liberista anche di questo governo, o se lo si
ritenga un volano per la crescita e l’innovazione, fattore di sviluppo e
investimento in infrastrutture sociali che producono occupazione femminile,
coesione, benessere, garanzia di esigibilità dei diritti di cittadinanza.
Dobbiamo promuovere un welfare che sia terreno di contrasto ai crescenti
processi di esclusione sociale, a partire dalla difesa del reddito pensionistico,
fattore principale di dignità della condizione delle donne anziane e strumento
fondamentale della loro autonomia. Un welfare che sia, dunque, un
contributo ad una società inclusiva che favorisca il benessere di tutti e
capace di assumere la differenza di genere come terreno di una nuova
organizzazione del rapporto fra domanda e offerta di servizi.
In questo quadro, se è vero, come afferma Alaine Touraine, che le donne
sono una potente forza di trasformazione culturale della società e gli agenti
in grado di mettere in discussione gli effetti negativi della modernizzazione,
allora esse possono essere decisive per determinare quale modello di stato
sociale uscirà dalla crisi.
Ciò comporta che si conquisti, finalmente, a tutti i livelli della società, a partire
dal sindacato e dalla politica, il diritto ad una cittadinanza paritaria,
superando i lenti gradualismi di un’inclusione mai pienamente raggiunta.
Comporta, inoltre, che si metta al centro delle politiche l’attenzione alla
condizione delle donne, attraverso una valutazione dell’impatto di genere
come azione abituale e preventiva nella realizzazione di qualsiasi politica, sul
2 terreno sociale, del lavoro, della formazione, della rappresentanza,
dell’economia, per avere politiche di genere come veri pilastri delle politiche
pubbliche e dell’intervento sindacale.
Dentro questi obiettivi generali abbiamo scelto di approfondire alcuni temi
che riteniamo nodali e sui quali avanziamo precise proposte.
Il primo è la CURA.
Non c’è qui bisogno di ricordare lo stato di arretratezza in cui versa lo Stato
sociale del nostro paese sul fronte delle risposte al bisogno di cura di
bambini, persone non autosufficienti, disabili, mentre continua e accelera il
trend di crescita demografica degli anziani.
Il nostro modello di welfare è ancora pienamente familistico e scarica sulle
donne tutto il peso di una risposta. Né si vedono significativi segni di
miglioramento, anzi, la crisi ha indotto tante famiglie a fare a meno della
badante o a far tornare a casa l’anziano non autosufficiente perché non è più
sopportabile la spesa per la residenza protetta.
A fronte di tutto questo, occorre un cambio di prospettiva, che ci porta a
rivendicare il riconoscimento del lavoro di cura svolto da un familiare e, in
certi casi, il riconoscimento giuridico del caregiver familiare.
Siamo partite dal constatare che nei paesi europei questo riconoscimento
esiste anche in forme molto avanzate. Per chi svolge questo lavoro, in modo
parziale, o a tempo pieno, esiste un’attribuzione certa di diritti e di misure
economiche e previdenziali, un diritto alla formazione, al rientro al posto di
lavoro, e perfino un sostegno assicurato dagli enti locali alla socialità del
caregiver, contro il rischio d’isolamento dovuto all’assistenza continua a un
familiare. Vi è inoltre una Carta Europea del Familiare Assistente, che ne
definisce la figura e ne individua i diritti.
Proponiamo, dunque, uno spostamento del punto di vista: mettere al centro,
non il lavoro di cura, ma il soggetto che lo eroga, come fonte di diritti.
Naturalmente, nell’avanzare le nostre proposte, abbiamo tenuto conto della
situazione economica e sociale dell’Italia e abbiamo preferito lavorare
prevalentemente sulla normativa esistente, rivendicando una serie
d’interventi migliorativi, prendendo come riferimento, non le legislazioni più
avanzate, ma la normativa della Germania.
Per quanto riguarda il terreno sociosanitario, particolare rilievo assume
l’obiettivo della presa in carico del familiare non autosufficiente e della sua
famiglia da parte della rete dei servizi. In altri termini, la preferenza
attribuibile alla domiciliarità non può significare attenzione solo all’assistito,
ma deve porsi adeguata attenzione anche al familiare che assiste, spesso
lasciato solo e a rischio di burn-out. E’ questa dunque, la particolare torsione
che richiediamo si persegua con la contrattazione sociale territoriale.
3 Le proposte che avanziamo sono molto dettagliate, quindi non posso che
rinviare al documento, qui voglio solo citare il rilievo che assumono i servizi di
sollievo e i centri diurni, che devono rispondere anche all’esigenza di dare
una risposta concreta alle esigenze del caregiver in termini di estensione
giornaliera e settimanale del servizio.
Poi, sul terreno delle modifiche della normativa esistente che richiediamo per
il riconoscimento del caregiver, esse sono attente a modulare le proposte in
rapporto alle diverse situazioni, in modo da distinguere se si è in presenza di
una persona che lavora o è a casa, se è in età lavorativa, oppure non lo è più
o, ancora, in relazione alla diversità dei soggetti cui è prestata la cura, se è
una persona che ha bisogno di assistenza in via temporanea, come può
essere un bambino, o per sempre, come un disabile grave.
In sostanza, le nostre richieste sono molto attente a non fissare i ruoli, ma
semplicemente a riconoscere un lavoro che ha rilevanza sociale, attraverso
proposte dirette ad agevolare, per chi è in età lavorativa, il mantenimento del
lavoro o a favorire il rientro al lavoro.
Innanzitutto, il riferimento per la richiesta di riconoscimento del caregiver è un
lavoro quantificabile e certificato: prendendo ad esempio la Germania, si
parla di almeno 14 ore settimanali, certificate dalla rete dei servizi in sede di
definizione del Piano assistenziale individuale. Va sottolineato che la misura
delle ore è, e deve essere, compatibile con il mantenimento di un lavoro part
time, per favorire la permanenza delle donne nel mercato del lavoro, se sono
ancora in età lavorativa.
Riassumendo:
per le persone che lavorano: va migliorata la normativa esistente e la
copertura figurativa dei permessi per la cura dei bambini; in caso di
assistenza a familiari non autosufficienti, va migliorata l’applicazione della
Legge 104 sul congedo straordinario retribuito per ampliarne la fruibilità, e
vanno superati i limiti della Legge Fornero per assicurare la validità ai fini
pensionistici di tutti i periodi di congedo.
Se le persone hanno ridotto l’attività lavorativa per svolgere lavoro di cura per
almeno 14 ore settimanali, va prevista per questo impegno assistenziale, la
copertura figurativa per un massimo di 24 mesi, pari alla durata del congedo
straordinario previsto dalla Legge 104.
Invece per le persone già in pensione e che svolgono lavoro di cura, vanno
previste detrazioni fiscali, come già avviene per i figli portatori di handicap.
Inoltre, se l’assistito è una persona disabile, proponiamo il riconoscimento
giuridico della figura del caregiver e il versamento a carico della fiscalità
generale di contributi figurativi per un’assistenza di almeno 14 ore
settimanali.
4 Le nostre proposte prevedono, inoltre, misure per il recupero di contribuzione
e il ricongiungimento di tutte le forme di versamenti, compresi quelli figurativi
e volontari, al fine di costituire o rafforzare posizioni assicurative deboli,
tipiche di chi ha svolto e svolge lavoro di cura.
Queste misure rappresentano, inoltre, un contributo concreto per impedire
che tante donne entrino a far parte, ora e nel prossimo futuro, del crescente
esercito di poveri, un problema drammatico per il nostro paese.
Siamo consapevoli che queste proposte rappresentano un costo, in
particolare quelle di natura previdenziale e fiscale, ma siamo anche convinte
che, visto l’allungamento della vita e la condizione demografica dell’Italia, sia
ineludibile porsi il problema, cui altri paesi hanno dato risposte ben più
consistenti.
Riteniamo, poi, che un riconoscimento del caregiver sia utile anche
all’obiettivo di una maggiore condivisione del lavoro di cura fra uomini e
donne.
Inoltre, alla recentissima procedura d’infrazione, aperta dalla Commissione
Europea a carico dell’Italia, a causa delle differenze fra le donne e gli uomini,
prevista dalla Riforma Fornero, nell’anzianità contributiva richiesta per
l’accesso alla pensione anticipata, si può rispondere con la flessibilità
dell’età pensionabile, ma anche riconoscendo sul terreno previdenziale
l’attività di cura e conteggiando, quindi, i periodi ad essa dedicati
nell’anzianità contributiva.
Un secondo tema che proponiamo è il BILANCIO DI GENERE.
Lo riteniamo uno strumento fondamentale e ancor più necessario nella
condizione di crisi economica in cui si trova il nostro paese, nella quale le
Amministrazioni pubbliche, spesso, sono costrette a ridurre le risorse e i
servizi.
Queste scelte implicano spesso che i prezzi della crisi vengono fatti pagare
prevalentemente alle donne, ma nella contrattazione sociale territoriale non
sempre è agevole contrastare questa penalizzazione.
Lo strumento del bilancio di genere, parente stretto del bilancio sociale, ha il
pregio di consentire di entrare dentro le politiche e di valutarne l’impatto
diverso su uomini e donne. E’, in sostanza, uno strumento per realizzare
concretamente quella valutazione dell’impatto di genere di cui parlavo in
premessa, applicata alla struttura distributiva del bilancio di
un’Amministrazione pubblica.
Quest’aspetto è particolarmente importante perché la distribuzione delle
risorse riflette le scelte politiche, cioè l’ordine di rilevanza e la gerarchia che il
potere politico di quell’ente attribuisce ai diversi bisogni della popolazione,
5 uomini e donne, e la coerenza dell’uso dei fondi pubblici rispetto alle finalità
dichiarate, sia si tratti d’impegni politici programmatici o finalità indicate dallo
stesso Statuto dell’ente.
Per misurare il diverso impatto delle politiche su donne e uomini è necessario
utilizzare un quadro analitico che renda evidente gli aspetti su cui si giocano
profonde disuguaglianze di genere sul terreno delle risorse e della divisione
del lavoro, in particolare fra lavoro pagato e non pagato.
E’ un aspetto molto rilevante perché gli strumenti pubblici di programmazione
e rendicontazione, abitualmente, sono cechi a questioni di genere e non
vedono e non riconoscono i diversi ruoli socialmente determinati, come la
divisione fra lavoro pagato e non pagato, cioè il lavoro di cura.
Con il bilancio di genere è possibile ovviare a questo limite, e non solo
perché spesso il taglio dei servizi si fonda sulla convinzione che si può
ricorrere in modo crescente alla risorsa del lavoro gratuito svolto dalle donne
all’interno delle famiglie. Con ciò, non solo si crea in problema di equità fra
uomini e donne, ma anche un problema di sostenibilità sociale dell’intera
struttura materiale della società.
In sostanza, va combattuta l’apparente neutralità dei bilanci degli Enti; non di
neutralità si tratta, poiché essi riflettono la distribuzione di potere e di risorse
all’interno della società, in quanto normalmente la costruzione dei bilanci
ignora le diversità esistenti fra la popolazione, in particolare quelle di genere.
In altri termini, i bilanci riflettono le diseguaglianze socioeconomiche già
presenti nella popolazione e, anzi, le ripropongono e le perpetuano.
Allora, è essenziale disporre di indicatori differenziati per sesso, nonché una
analisi della domanda di servizi anch’essa per genere.
Inoltre, il bilancio di genere può essere strumento di verifica, ma anche un
efficace strumento di programmazione degli interventi dell’Ente e può
fondare le richieste del sindacato nella contrattazione sociale su un
approccio molto più analitico della realtà sociale.
Un ulteriore terreno di proposta è quello della SALUTE DI GENERE.
Anche su questo non posso che riassumere brevemente le nostre proposte,
rinviando alla ricchezza di analisi del documento.
Siamo partite dalla consapevolezza della condizione di disarmo in cui
versano tantissimi consultori, per proporre il loro rilancio e qualificazione, a
partire dalla restituzione della laicità della loro funzione, che va difesa dalle
incursioni ideologiche del movimento per la vita.
Abbiamo, inoltre, inteso dare risposte alle donne che hanno un’età che va
oltre i 50-60 anni, periodo che oggi ricomprende circa un terzo della vita. Per
6 queste donne l’aspetto della salute emerge prevalentemente solo attraverso
la malattia, trascurando gli aspetti del diritto alla prevenzione e al benessere
fisico e psichico.
A questo fine proponiamo che strutturalmente i consultori siano abilitati e
attrezzati a dare risposte organiche anche alle problematiche delle donne
over 50-60, oggi escluse dalla loro sfera d’intervento, giacché si limitano
prevalentemente all’età fertile.
A questo fine, i consultori vanno iscritti nell’area della prevenzione, anziché
nell’area del materno-infantile, come è oggi, e chiediamo che diventino centri
per la salute delle donne, per la prevenzione e l’educazione alla salute, con
un approccio multidisciplinare integrato degli operatori, ai quali proponiamo di
realizzare un patto con i cittadini, o meglio, con le cittadine, per il rilancio di
queste strutture.
Proponiamo, poi, un maggiore sostegno e diffusione della Medicina di
Genere, una disciplina scientifica indispensabile per la comprensione delle
malattie e lo sviluppo delle terapie riferite alle donne, attraverso l’inserimento
nei piani sanitari regionali, per assicurare appropriatezza delle diagnosi e
delle cure, e l’inserimento nei percorsi di formazione dei medici e degli
operatori.
Inoltre, chiediamo che si incentivino le aziende farmaceutiche ad una
sperimentazione differenziata per genere, sapendo che, come afferma
l’Organizzazione Mondiale della Sanità, trattare un sesso come l’altro, è
come trattare un bambino come un adulto.
In questi mesi di lavoro, ma anche in precedenza, moltissimi Coordinamenti
donne hanno realizzato iniziative in materia di medicina di genere.
Non potendo citarle tutte, mi limito al Piemonte, che da tempo lavora su
questo terreno, anche con strumenti che allargano la partecipazione, come il
linguaggio teatrale; la Toscana, che si è impegnata con un questionario e
alcune ricerche che hanno poi prodotto un libro; L’Emilia Romagna con
giornate seminariali, o Parma, che ha affrontato anche il discorso complesso
della farmacologia di genere.
Sulla situazione dei Consultori e il loro rilancio hanno lavorato moltissime
realtà, impossibile citarle tutte, sono indicate nella cartellina; quello che è
evidente, è che vi è una diffusa reazione a fronte dello smembramento o
dell’affossamento dei consultori, per cui in alcune situazioni, come il Veneto,
a seguito delle molte iniziative realizzate, le compagne sono diventate punto
di riferimento per una realtà sindacale e istituzionale più vasta.
L’aspetto che mi preme sottolineare è che la scelta nazionale di lavorare sul
tema dei consultori ha, per così dire, toccato un nervo scoperto, una
situazione sempre più grave di giorno in giorno, e da questo deriva la grande
7 reattività dei Coordinamenti donne sul territorio, che richiede un impegno
vero di tutti e tutte per dare risposte concrete a questa situazione di disarmo.
Presentiamo poi proposte concrete in materia di VIOLENZA SULLE DONNE, da
attuare nella contrattazione sociale territoriale, consapevoli del fatto che la
questione riguarda direttamente le donne anziane e pensionate, dato che
oltre il 30% delle donne uccise lo scorso anno aveva più di 60 anni.
Dirò di più, il fenomeno della violenza di genere non solo non ha età, ma non
ha neppure limiti di età, visto che un uomo di 81 anni può uccidere per
gelosia la moglie quasi coetanea.
Mi limito, allora, solo a sottolineare questo carattere pervasivo della violenza
contro le donne e del femminicidio da questo discende il fatto che è compito
anche nostro intervenire, con i nostri strumenti e sul nostro terreno,
principalmente attraverso la contrattazione sociale territoriale.
Il documento presente in cartellina è stato chiuso prima dell’estate, quindi
non contempla la recente approvazione della Legge contro il femminicidio,
ma le considerazioni proposte valgono tuttora, perché la legge risponde solo
in parte alle problematiche che il fenomeno della violenza contro le donne
solleva.
La Legge interviene prevalentemente colmando le molte lacune della Legge
sullo stolking, che anche il nostro documento segnalava, e contiene alcuni
aspetti innovativi, come l’attribuzione, per la prima volta, della rilevanza
giuridica e penale alla relazione affettiva, che diventa il parametro su cui
tarare aggravanti e misure di prevenzione, o come la nuova aggravante della
violenza compiuta in presenza di minori, con un danno rilevante anche nei
confronti di questi ultimi.
Non voglio fare qui una disanima della Legge, avremo come Coordinamento
altre occasioni, quello che mi preme sottolineare è che il provvedimento
appena approvato è un primo passo, il percorso deve continuare, perché la
lotta alla violenza contro le donne richiede certo misure repressive, ma va
affrontata anche da un punto di vista culturale, sociale ed economico,
attraverso azioni strutturali e di non breve periodo.
Pertanto restano valide le richieste presenti nel documento, a partire dalla
necessità di una maggiore organicità degli interventi, giacché, in assenza del
riferimento ad un quadro normativo nazionale, quasi ogni regione ha
legiferato in grande autonomia, con misure diverse. E’ auspicabile che il
Piano nazionale previsto ora dalla Legge possa porre rimedio a questa
disorganicità.
Inoltre, restano valide tutte le proposte che avanziamo per la contrattazione
sociale territoriale, che diventano ora maggiormente praticabili poiché la
Legge mette a disposizione delle risorse finanziarie, seppur limitate.
8 E’ quindi necessario che la contrattazione sociale territoriale, in relazione alle
situazioni che sono diverse da regione e regione e da realtà a realtà,
rivendichi reti, protocolli e linee guida per tutti gli operatori pubblici e privati,
tavoli inter-istituzionali, percorsi formalizzati, codici rosa, presa in carico delle
donne vittime di violenza, e dei minori, ruolo di coordinamento dell’ente
pubblico e formazione di tutti gli operatori. A questo proposito va sottolineato
che le esperienze di formazione più efficaci, finanziate anche da fondi
europei, sono state quelle della formazione congiunta di tutti i soggetti
interessati, cioè Forze dell’ordine, Tribunale e Procura della Repubblica,
avvocati, aziende sanitarie locali, centri antiviolenza, case protette e,
importantissime, le istituzioni educative.
Anche sul terreno della violenza sulle donne, l’impegno dei Coordinamenti
sul territorio è stato imponente, insieme al lavoro sulla violenza agli anziani e
alle anziane, riassumibile nella campagna “Aprite quelle porte”.
Per questa ragione non è possibile citare tutte le iniziative, si può
sostanzialmente dire che quasi non vi è stato Coordinamento che su questo
terreno non abbia portato il proprio contributo. Al lavoro di tutte queste
compagne, insieme all’impegno della Cgil, si deve almeno in parte il fatto che
il tema della violenza di genere sia esploso nel dibattito pubblico, dopo anni
che restava relegato come problema privato o di cronaca nera.
Un ulteriore terreno di lavoro per prevenire la violenza è quello rivolto ai
giovani. Noi dello Spi lavoriamo molto con le scuole e con i ragazzi, penso
per esempio all’importante impegno dei campi antimafia e a tutta l’attività che
si sviluppa sul terreno della memoria, dell’antifascismo e della difesa della
Costituzione.
Proponiamo che anche il tema della violenza sulle donne e dell’educazione
al rispetto delle differenze, a partire da quella di genere, diventi un terreno
d’impegno dello Spi e dei Coordinamenti donne, che coinvolga insegnanti e
istituzioni scolastiche, rivolto agli adolescenti, in particolare ai giovani maschi.
Un primo esempio di progetto in questa direzione è quello messo in campo
dallo Spi dell’Abruzzo e il lavoro dello Spi del Lazio. A livello nazionale
stiamo predisponendo, insieme a Liberetà e con il coordinamento del
Dipartimento Diritti, un opuscolo che può essere speso nel territorio e utile
anche a questo fine.
Infine, vi è il nostro lavoro sulla MEMORIA DI GENERE, attraverso un gruppo
stabile che interagisce con il lavoro sulla memoria dello Spi nazionale e con
tutti i livelli dello Spi, ed è riferimento per le tante iniziative dei territori che
parlano della storia delle donne attraverso mille sfaccettature e con molteplici
strumenti, anche i meno tradizionali, come le esperienze teatrali.
Memoria di genere, a partire dal ruolo che le donne hanno avuto nella
Resistenza, nella Costituente, nella ricostruzione dell’Italia e, in tempi più
9 ravvicinati, nelle lotte che tante donne hanno portato avanti e che hanno
prodotto le importanti conquiste nel lavoro e nella società, che hanno
cambiato la condizione delle donne di questo paese.
Siamo quello che ricordiamo, come individui e come collettività, la memoria è
la chiave di accesso per comprendere il nostro passato e per costruire il
nostro cammino per il futuro; se dalla memoria scaturisce il nostro divenire,
allora è essenziale il rapporto intergenerazionale, come trasmissione di
saperi, per dare conto ai giovani di quanto è successo nel passato, non solo
memoria delle cose, ma del loro senso, ai fini della ricostruzione di tessuti
comunitari solidali in cui le anziane e gli anziani siano protagonisti.
In questo quadro si inserisce anche un importante lavoro sull’autobiografia,
che può servire alla raccolta di storie per ricostruire la storia sindacale di
eventi importanti nella vita di intere comunità, come per esempio, il pregevole
lavoro fatto dai Coordinamenti per raccontare la storia dell’Omsa e della sua
chiusura.
Per finire.
Il lavoro svolto dalle donne del nostro sindacato e le istanze e che ne sono
scaturite non devono certo essere considerati un messaggio dentro una
bottiglia e poi gettato in mare, nella speranza che qualcuno da qualche parte
lo raccolga.
Le donne dello Spi, più del 50% della categoria, con una presenza capillare
dei Coordinamenti donne (circa 400 secondo l’ultima rilevazione fatta
dall’organizzazione), e una capacità di elaborazione e di proposta di cui
anche la giornata di oggi è una testimonianza, ritengono che il risultato per
cui hanno lavorato sia quello di avere politiche sindacali strettamente
intrecciate con le politiche di genere.
Ciò anche al fine di favorire l’ingresso e la permanenza delle donne
pensionate nello Spi e per rafforzare la rappresentatività sociale del
sindacato, quindi un forte rapporto con le condizioni e i bisogni delle donne
pensionate.
Requisito, questo, per un maggiore radicamento sociale della nostra
organizzazione nel territorio e per attuare pienamente nel nostro sindacato il
principio della democrazia paritaria, che non è fatta solo di numeri, che
restano indispensabili, ma significa mettere in campo politiche rivendicative
che rispondano alla diversità di bisogni di uomini e donne.
Inoltre le proposte e le richieste che avanziamo partono da noi, ma
riguardano tutte le donne, giovani e anziane, perché i temi che abbiamo
indicato, cioè il riconoscimento del lavoro di cura, la salute di genere e il
rilancio dei consultori, la lotta alla violenza sulle donne, lo strumento del
bilancio di genere, il lavorare sulla memoria, sono temi che accumunano
lavoratrici e pensionate, donne di tutte le età.
10 Auspichiamo, pertanto che quanto proponiamo entri nelle politiche che la
nostra Confederazione definirà nella propria strategia congressuale, insieme
alla decisione di individuare un luogo delle donne della Cgil, che consenta
alle donne di tutte le categorie e strutture confederali di lavorare e portare a
sintesi elaborazioni e proposte, così come abbiamo potuto fare noi con i
nostri Coordinamenti.
Per avere, come dice lo Statuto della Cgil nell’articolo 1 che definisce
l’identità stessa dell’organizzazione, un sindacato di donne e di uomini.
Inoltre, i temi che abbiamo affrontato riguardano in modo esteso la
condizione delle donne anziane e pensionate e possono pertanto incontrare
anche l’interesse delle donne della Fnp e della Uilp; anche per questo
abbiamo chiesto a Maria Trentin, Segretaria nazionale della Fnp e a Livia
Piersanti, Segretaria nazionale della Uilp, di darci un loro contributo e le
ringraziamo molto per aver accettato il nostro invito.
In passato abbiamo spesso, come donne dei Sindacati pensionati, trovato
punti d’incontro comuni, in qualche caso anche in modo più facile rispetto agli
uomini. Spero che le riflessioni e proposte che presentiamo oggi siano di
aiuto alla ripresa di un nostro percorso unitario che consenta di mettere
insieme i rispettivi punti di vista, per giungere a proposte più forti, perché di
tutte, a livello nazionale e nel territorio.
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relazione introduttiva Mara Nardini