Anno II - n.3 – maggio - giugno 2008 – Distribuzione gratuita ________________________________________________________________________________ TERZO MILLENNIO OSSERVATORIO GIURIDICO E CULTURALE Corriere bimestrale ________________________________________________________________________________ Per chi ama, cielo e terra si uniscono Il più grave torto che possiamo fare a Dio è diffidare di Lui - - San Pio - San Pio San Pio Il logo dell’Osservatorio TERZO MILLENNIO ……...……….…. pag. 2 Spigolature di legislazione e giurisprudenza ……………. pagg. 3 s. tra cui: - La responsabilità verso terzi della p.A.: configurabilità ….… pag. 3 Presupposti di legittimità degli incarichi esterni ….…......…..… pag. 4 I nodi del federalismo fiscale che vengono al pettine ……..…. pagg. 5 ss. Il seguito del film comico …….. pag. 8 L’umile frate che stupì il mondo ………………………............ pagg. 9 s. L’etica tra la politica e l’economia della globalizzazione …….. pagg. 11 s. Cronaca varia e costume ……………………………. pagg. 13 ss. tra cui: Sedicimila al giorno in coda per San Pio ……..…………. pagg.13 s. Adesso si accorge, Sig. Presidente? .............................................. pagg. 14 s. Benedetto XVI nel Salento ………………………………… pag. 15 Ancora parole nel ricordo di Aldo Moro: brevi note politicamente scorrette ……………..…… pagg. 15 s. Per gli atti legislativi e giurisdizionali si esclude la completezza della loro indicazione, trattandosi di selezione. La collaborazione sotto ogni forma è gratuita. Direttore editoriale, redazione: Gr. Uff. Dott. Giuseppe Mario Potenza - Direttore responsabile: Dott. Salvatore Resta – giornalista pubblicista – Redazione: Via Belotto, 15/A Nardò (Lecce) - E-mail : [email protected] Iscrizione al n. 961 del registro della Stampa del Tribunale di Lecce in data 19 marzo 2000 1 IL LOGO DELL’OSSERVATORIO Spero che a quanti siano interessati all’Osservatorio giuridico e culturale «Terzo Millennio» e a questa rassegna piaccia il logo da me ideato e disegnato. Si vive sull’onda evolutiva di questo terzo millennio – la cui decorrenza, seguita a livello pressoché planetario dalla nascita di Cristo, denota la rilevanza di tale evento – sulla base dell’esperienza storica dei primi due trascorsi: la maggiore dimensione della lettera «M», che è in cima al logo, sta a significare l’auspicio di un migliore progresso di civiltà, di pace e di collaborazione dei popoli rispetto alle due minori «M» relative ai primi due millenni, delineati alla base del simbolo. Nel contenitore temporale sono il diritto (IUS) e il costume (MOS). Il diritto, inteso non come diritto elitario o di polizia, ma come diritto equo e «mite», come direbbe Gustavo Zagrebelsky. Il costume, inteso non come costume frivolo e improntato all’egoismo consumistico, ma come costume permeato di dignità umana e dei fondamentali principi etici e di altruismo costruttivo. Il fas della trilogia romana (ius, mos et fas) è stato eliminato, stante la modifica del sistema del nostro periodo storico. Solo con queste connotazioni è possibile una corrispondenza, al contempo ideale e concreta, tra diritto e costume, e cioè tra l’ordinamento giuridico e la società nei suoi comportamenti e nella scelta dei valori. Questa corrispondenza ha incontrato, nella storia dell’uomo, sbarramenti di varia natura, spesso nefasti, rappresentati dal doppio circolo della figura nella loro duplice realtà istituzionale e sotterranea. Le interruzioni di ciascun circolo intendono denotare i varchi che l’uomo, con la sua volontà, può trovare per oltrepassare la cortina, di volta in volta fatta di razzismo, diffidenza, rivalità, egoistica globalizzazione, odio tra le etnie. Se, una volta superata la muraglia, passando attraverso il varco, se ne trova un’altra, l’uomo non demorde: con la sua tenacia e i suoi sacrifici troverà un'altra possibilità di apertura per rompere il circolo vizioso del male. Nella realtà impastata di questi sbarramenti trovano posto l’ordina Posto l’ordinamento statale e il popolo amministrato, che devono corrispondere l’uno all’altro in una tensione costante e reciproca. Il diritto deve cercare di interpretare i bisogni della società e rispecchiare la volontà popolare nei suoi genuini e più corretti principi, i cittadini devono accettare la disciplina statale nel rispetto del principio di legalità, alla quale soltanto spetta il primato, non già alla politica, che deve rimanere onesto strumento. I due poli inseriti nelle interruzioni del circolo esterno del logo indicano, da una parte, i criteri di ragionevolezza, equilibrio ed equità intorno ai quali si deve polarizzare l’attenzione degli organi statali, e, d’altra parte, i criteri di tolleranza e collaborazione cui dev’essere informato il comportamento dei cittadini, e ciò per evitare ogni eccesso, in un senso o nell’altro, e ogni abuso da parte pubblica e da parte privata, in occasione di quotidiane tentazioni impeditive del perseguimento del vero interesse pubblico, anche quale somma di interessi dei privati. L’ordinamento deve cogliere, oltre alle esigenze di carattere materiale della gente, la migliore sensibilità – etica – popolare per la sua traduzione in leggi, la società vi si deve adeguare, allargando la sua attenzione, oltre che all’aspetto dei rapporti civili, anche alle norrne (etiche) per questi non scritte, e cioè alla sua posizione personale, interiore. Su questo secondo versante la situazione ottimale, e comunque al meglio di quanto si riesca a fare, torna certamente a vantaggio delle istituzioni, sia all’esterno, nei rapporti con i cittadini, sia all’interno delle stesse. La centralità dell’«ET» del logo – che non è mera congiunzione, ma segno di costante corrispondenza – denota l’importanza fondamentale di questa corrispondenza, per evitare, da una parte la mancanza di democraticità, imparzialità e trasparenza dell’apparato statale nell’articolazione dei tre poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, e, dall’altra l’elusione della legge, specie attraverso la tendenza strisciante all’affermazione del primato della politica, i privilegi, la mafia e l’arroganza, di analoga natura, dei «colletti bianchi». (G. M. Potenza) 2 OSSERVATORIO GIURIDICO Spigolature di giurisprudenza legislazione Con le due sentenze che seguono della sezione III la Cassazione civile ha sottolineato, ai fini della configurabilità della responsabilità verso terzi della pubblica Amministrazione, l’importanza dei presupposti dell’osservanza di norme e regolamenti e della riferibilità del fatto del dipendente alle finalità delle sue mansioni. Discrezionalità e responsabilità civile della p. A.. – La Corte di Cassazione, Sez. III civile, con sentenza del 18 settembre 2007, n. 19359, ha precisato che la discrezionalità e la conseguente insindacabilità, da parte del giudice ordinario, dei criteri con i quali l’Amministrazione realizza e mantiene un’opera pubblica, incontrano un limite nell’obbligo che la stessa ha di osservare le specifiche disposizioni di legge e di regolamento che tutelino l’incolumità dei cittadini e l’integrità del loro patrimonio, nonché le comuni norme di diligenza e prudenza, e che pertanto l’inosservanza di tali disposizioni e norme comporta la responsabilità dell’Amministrazione per danni arrecati a terzi. La riferibilità del fatto del dipendente alle finalità delle sue mansioni quale presupposto della responsabilità civile della p. A. – La Corte di Cassazione, Sez.III civile, con sentenza dell’8 ottobre 2007, n. 20986, ha ribadito che l’ente è considerato responsabile per i danni cagionati a terzi dal dipendente, in via solidale, solo quando si accerti non solo il nesso causale tra il fatto posto in essere dallo stesso e il danno causato, ma anche la riferibilità del fatto alle finalità perseguite dall’Amministrazione attraverso le sue mansioni. Nella fattispecie un vigile urbano aveva esploso alcuni colpi di pistola a un giovane che lo aveva provocato, causandone la morte: l’accollo all’ente del danno cagionato ai parenti della vittima conseguiva all’accertamento del fatto che l’agente avesse agito per finalità connesse alle sue mansioni, e non solo per un fine strettamente personale ed egoistico, comunque estraneo agli scopi perseguiti dal Comune. e di Giuseppe Mario Potenza1 Legislazione – D.l. 1° novembre 2007, n. 181, “Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza”; – legge 24 dicembre 2007, n. 244, “ Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)”; – d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria”; – d.l. 29 dicembre 2007, n. 249, “Misure urgenti in materia di espulsione e di allontanamento per terrorismo e per motivi imperativi di pubblica sicurezza”; d.l. 31 gennaio 2008, convertito in legge 13 marzo 2008, n. 45, “Disposizioni urgenti in materia di interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché relative alla partecipazione delle Forze armate e di polizia a missioni internazionali”. Giurisprudenza CORTE COSTITUZIONALE La tutela ambientale e paesaggistica è limite alla tutela degli altri interessi pubblici sul territorio. – La Corte costituzionale, con sentenza 7 novembre 2007, n.367, ha dichiarato in parte inammissibili e in parte infondate le censure sollevate dalle Regioni Toscana, Calabria e Piemonte avverso lo Stato in ordine alla legittimità costituzionale del d.lgs. 24 marzo 2006, n.157, recante disposizioni correttive e integrative al Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), sotto l’aspetto della lesione delle competenze regionali in materia di valorizzazione dei beni ambientali e di governo del territorio, nonché del principio di leale collaborazione. La Corte ha stabilito che spetta allo Stato, e non alle regioni (nemmeno d’intesa), la definizione delle specifiche modalità della tutela dei beni paesaggistici, mentre alle regioni spetta solo l’individuazione dei beni e la loro collocazione nei piani territoriali o paesaggistici : per questo motivo la legge ha attribuito alle regioni il compito di redigere i piani paesaggistici, vincolandoli all’osservanza delle norme di tutela paesaggistica emanate dallo Stato. CONSIGLIO DI STATO Sul divieto di reformatio in pejus del trattamento economico dei dirigenti. Decisione del Consiglio di Stato N.14/2006 (segnalata da Vittorio Galatro)2 Il supremo organo di giustizia amministrativa con la sentenza sopra richiamata ha deciso che in caso di passaggio del dipendente statale (in questo caso dirigente) ad altro incarico o ad altra amministrazione, deve essere assicurato il principio della non reformatio in pejus con qualche importante precisazione e limitazione. Infatti, ha rilevato che la struttura del trattamento economico del dirigente si compone delle seguenti voci: stipendio tabellare; indennità integrativa speciale; retribuzione individuale di anzianità, maturato economico annuo, assegno ad personam o elemento fisso, ove acquisiti e spettanti in applicazione dei previgenti contratti collettivi nazionali CORTE DI CASSAZIONE 1 Autore di pubblicazioni in materia amministrativa e penale, revisore contabile, conferenziere, già segretario generale della Provincia di Alessandria. 2 Difensore civico appartenente all’Associazione Ombudsman Innsbruck. 3 Illegittimità del ricorso all’indebitamento finalizzato al finanziamento di spese diverse da quelle di investimento. - La Corte dei conti, Sezioni Riunite in sede giurisdizionale, con sentenza 27 dicembre 2007, n. 12, ha ritenuto , in tema di ricorso all’indebitamento per il finanziamento di spese diverse da quelle di investimento in violazione dell’art. 119 della Costituzione, che la sanzione va applicata mediante l’ordinario giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti anche in considerazione del fatto che l’iniziativa, come nel caso di specie, spetta all’attore pubblico. A tal fine appare necessaria la sussistenza della colpa grave ovvero del dolo, secondo il chiaro tenore della normativa in vigore. E’ necessario che la delibera di contrarre il mutuo sia eseguita con la stipula del relativo contratto, dovendosi ritenere che la situazione di pericolo per l’equilibrio di bilancio si verifica nel momento in cui la delibera è portata ad esecuzione. Con riferimento ai debiti fuori bilancio, ai sensi dell’art. 194 del d.lgs. n. 267/2000, ciò che rileva è la sentenza, e quindi occorre fare riferimento al momento della pubblicazione della stessa per la maturazione del debito fuori bilancio. Infine, il destinatario della sanzione va individuato nell’ente di appartenenza degli amministratori condannati, essendo la sanzione finalizzata al ristoro del bene-valore leso, e cioè all’equilibrio del bilancio dell’ente. Nella fattispecie la sezione giurisdizionale per la Regione Sicilia aveva chiesto alle Sezioni Riunite di pronunciarsi sulla questione articolata nei punti sopra indicati. di categoria; retribuzione di posizione - parte fissa; retribuzione di posizione - parte variabile; retribuzione di risultato. La Cassazione ha chiarito quali sono le voci che, attribuite in maniera continuativa e in misura fissa, costruiscono quella parte del trattamento economico che non può subire reformatio in pejus, ai sensi del principio affermato dall’art. 202 del T.U. 10/1/1957, n. 3 e dall’art. 3 della legge 24/12/1993, n. 537. Mentre non può sussistere dubbio circa la misura fissa e continuativa delle voci di cui ai punti 1), 2), 3 e 4, e il fatto che la retribuzione di risultato appare chiaramente come un elemento occasionale ed estremamente variabile, la voce di cui al punto 5), materia del contendere, che il TAR aveva riconosciuto ai fini della conservazione del trattamento economico goduto in precedenza, viene disconosciuta dal Consiglio di Stato che riforma la precedente sentenza del TAR. Infatti il Consiglio di Stato ha affermato che “è significativo rilevare che detta componente retributiva, diversamente da quella testualmente definita fissa, il cui ammontare è espressamente indicato dal CCNL, non riceve da questo precisa quantificazione, essendone rimessa la determinazione alla contrattazione individuale con l’amministrazione, in riferimento ai compiti di volta in volta conferiti con il singolo incarico dirigenziale e agli obiettivi a questo connessi. Essa, inoltre, appare connotata da un certo grado di variabilità per la stessa possibilità di modifiche in aumento o in diminuzione del suo ammontare, che l’autonomia negoziale consente alla parti. I nodi del federalismo fiscale che vengono al pettine: l’abolizione dell’Ici occasione storica di riflessione sui problemi CORTE DEI CONTI Presupposti di legittimità degli incarichi esterni.- La Corte dei conti, Sez. giurisd. per la Regione Toscana, con sentenza 5 giugno 2007, n. 516, ha ribadito, secondo la sua stessa giurisprudenza consolidata, che l’affidamento di un incarico esterno, comportando una spesa aggiuntiva rispetto a quella prevista per il personale, è consentibile solo quando ricorrano le seguenti condizioni: rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’Amministrazione; inesistenza all’interno di figure professionali idonee all’espletamento dell’attività; specifica indicazione dei contenuti e dei criteri di svolgimento dell’incarico; indicazione della durata; proporzione tra i compensi corrisposti e utilità conseguita dall’Amministrazione. Nella fattispecie la Procura generale aveva convenuto in giudizio il Segretario generale della Camera di commercio di Siena per il risarcimento del danno erariale conseguente all’incarico a consulente esterno per l’analisi e l’ approfondimento dei compiti e funzioni dell’ente ai fini della rideterminazione della pianta organica in applicazione del nuovo CCNL, e ciò in relazione all’ esistenza di professionalità adeguate all’interno della Camera e soprattutto alla scarsa consistenza dell’attività espletata dal consulente. di Giuseppe Mario Potenza Premessa. Il federalismo fiscale, tema vecchio ma ancora dibattuto. – Quello del federalismo, e i particolare del federalismo fiscale, che ne costituisce uno degli aspetti irrinunciabili, è un tema sul quale si discute, com’è noto, da un bel po’ di tempo e che ancora oggi presenta problemi di varia natura, forse sottovalutati. Già diversi anni addietro, sull’onda euforica nata a seguito di varie riforme, non è mancata qualche voce di ponderata e realistica critica. Così, ad esempio, Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, nel lontano 1996 aveva osservato: “Federalismo ? Una parola. Facile da promettere, difficile da realizzare, inutile da costruire se si traduce semplicemente in un decentramento dallo Stato alla periferia. Anzi, se questa è la formula che alla fine dovesse prevalere, persino dannoso” 3. L’abolizione dell’Ici sulla prima casa. - La recente decisione di cancellazione dell’imposta comunale sugli 3 Giuseppe De Rita, in Corriere della Sera, 14 giugno 1996, p.7. 4 immobili, auspicata trasversalmente dalle diverse parti politiche, anche se in modo non unanime, ha suscitato reazione da parte dei comuni, ma è stato anche motivo di perplessità e occasione di interrogativi in dottrina. I sindaci hanno visto eliminare una risorsa che si aggirava sul 20 per cento delle entrate e hanno mosso le loro rimostranze, sicché c’è stato l’impegno, da parte del ministro dell’economia, di sostituire con trasferimenti statali i due miliardi e 200 milioni annui di euro (che venivano riscossi da quindici anni). Si è parlato del nuovo ristoro rappresentato dall’imposta sui redditi (IRE al posto dell’IRPEF). Ma il risultato curioso sarà che il cittadino, anziché pagare un’imposta specifica, si vedrà trattenere automaticamente l’equivalente, percependo così il peso in modo indiretto. Non è giusto, è stato detto, che il lavoratore, per esempio il lavoratore che con i risparmi accumulati dopo tanti anni di lavoro all’estero si è costruito un’abitazione, debba essere così colpito da questo tributo. Ma con l’applicazione dell’imposta sul reddito sostitutiva emergerebbe chiara la sperequazione a carico dei cittadini che non hanno una casa per qualche motivo di carattere contingente, pur avendo lavorato, per esempio all’estero, per tanti anni e, a maggior ragione, dei cittadini che non hanno avuto la possibilità di lavorare e di risparmiare per motivi diversi (mancanza di posti di lavoro, salute, ecc.). Essi rimarrebbero penalizzati in relazione al maggior prelievo fiscale per un fatto che potrebbe anche essere estraneo a un quadro di oculata conduzione delle risorse familiari. Questa considerazione indirizza ad una rivalutazione forzosa della circostanza – alla luce di una equilibrata politica fiscale – di avere bisogno, da parte del cittadino, di una casa, e ciò va detto indipendentemente dall’esito di tale valutazione, non entrando, le presenti note, nel merito della valutazione stessa. Valutazione, che infatti appartiene al legislatore, che dovrà confrontarsi con l’art. 53 della Costituzione. Non è mancato chi, nonostante l’impegno governativo di far recuperare ai comuni quanto ora viene loro tolto, ha considerato l’ipotesi di una inerzia dello stesso Governo in tal senso. ineludibile al nuovo pluralismo democratico. Nella nuova versione del 2001 si parla di “autonomia finanziaria di entrata e di spesa” anche per i comuni, le province e le città metropolitane, oltre che per le regioni, a riforma inequivocabile del vecchio testo sostituito dell’art. 119 della Costituzione, laddove si parlava di “autonomia finanziaria” solo per le regioni, pur nel coordinamento legislativo con la “finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni”. Tuttavia non possiamo escludere che il federalismo fiscale, fondato sull’attuazione di questo disegno di autonomia finanziaria, che dopo tutti questi anni è ancora in alto mare, potrà essere attuato solo con il rispetto del citato art. 53 della Costituzione. Questo rispetto, invero, non è cosa facile, se appena si considera la natura del tributo in tutte le sue implicazioni sociali ed economiche che conducono, per forza di cose, al vertice statale quale potere centrale legittimato alla corretta applicazione dello stesso art. 53. Di ciò il legislatore costituzionale si è reso conto, nel 1948, quando si parlava, a proposito dell’autonomia finanziaria delle regioni, di “coordinamento con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni” ad opera delle leggi della Repubblica che stabilivano in tale senso “forme e limiti” della stessa autonomia. E si è reso conto anche nel 2001, quando, nella nuova e più pregnante “autonomia” delle risorse degli enti, che “stabiliscono ed applicano tributi ed entrate proprie”, come suona il secondo comma del nuovo art.119, è caduto il concetto di “forme e limiti” per far posto alle modalità di previsione e applicazione di tributi ed entrate proprie, che devono avvenire “in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. Quindi non più “limiti”, di competenza del legislatore ordinario, alla previsione e applicazione dei tributi, ma solo di rispetto di princìpi fondamentali (che sono al di sopra delle leggi ordinarie) che gli enti sono in grado portare autonomamente : senza l’intervento legislativo? Se il legislatore del 2001 ha ritenuto questo svincolo dal legislatore ordinario per la nuova configurazione dell’autonomia (nella specie sotto l’aspetto finanziario) locale, sorge il dubbio se questa sia cosa fattibile in relazione alla molteplice varietà che caratterizza, in particolare, gli enti locali, nella loro specifica realtà sociale e politica. L’autonomia locale nella sua nuova rilevanza costituzionale quale circostanza per un ripensamento dei presupposti necessari per la sua concreta attuazione. - Ma a questo punto il fatto dell’abolizione dell’Ici sulla prima casa offre l’occasione per un ripensamento della complessa realtà che riguarda l’autonomia locale, nella sua rilevanza istituzionale voluta dalla legge n.3 del 2001, sotto l’aspetto dell’autonomia finanziaria e della conseguente (finora tormentata) attuazione del federalismo fiscale. Indubbiamente l’evoluzione legislativa, a far tempo dalla Costituzione del 1948, che fece giustizia della concezione degli enti locali come mere articolazioni del potere centrale, attraverso la tappa fondamentale della legge di riforma n. 142 del 1990, è approdata all’anzidetta legge costituzionale n. 3 per dare pilastro Un opportuno excursus sui criteri di svolgimento delle funzioni da parte degli enti locali. - A questo punto giova fare una breve digressione a proposito dell’ “autonomia locale” con specifico riferimento alla natura delle funzioni dell’ente locale e, conseguentemente, delle spese occorrenti per lo svolgimento delle funzioni stesse. In nome della stessa autonomia con l’art. 7 del d.l. n.702/1978 si abolisce “ad ogni effetto di legge” la distinzione, fatta nel vecchio t.u. degli enti locali n.383/1934, tra spese obbligatorie e facoltative (queste ultime avevano, come punto di riferimento della loro disciplina e criterio di valutazione per il giudice, l’art. 312 dello stesso t.u.) considerata “anacronistica”, ma la 5 terminologia continua ad essere usata nella giurisprudenza amministrativa e contabile, che infatti ritiene l’abolizione della distinzione finalizzata esclusivamente ad assicurare un unico regime finanziario e contabile. Segue, in campo legislativo, tutta una fioritura terminologica: così, in particolare, si parla di servizi, e quindi di spese, “essenziali” e “indispensabili”. Le spese “non previste” impegnano in giurisprudenza per stigmatizzare lo sperpero del denaro pubblico nell’osservanza del principio di ragionevolezza, che rappresenta il limite del principio di insindacabilità delle scelte discrezionali della p.A 4. L’illegittimità dell’azione amministrativa, sotto l’aspetto della spesa, può riferirsi sia all’erogazione di spese previste sia all’erogazione di spese non previste, che di solito, rispetto a quella, si presta più tipicamente ad ambiguità e strumentalizzazione. In giurisprudenza continuano a fioccare, ma evidentemente più di prima, le condanne per danno erariale scaturente dall’erogazione di quelle che un tempo erano denominate “spese facoltative”: spese di rappresentanza, viaggi all’estero, e così via. Si abolisce poi, con l’art. 9, comma 2, della legge costituzionale n.3/2001, il controllo regionale sugli atti degli enti locali. La mancanza di questo controllo non viene affatto colmata, come si era pensato, dai controlli interni all’ente locale. E le conseguenze non tardano a farsi sentire. Gli amministratori locali si perseguono, come mai si era visto, per irregolarità di varia natura finanziaria: le spese correnti non vengono coperte con entrate correnti, i mutui non vengono contratti solo per spese di investimento, si assumono illegittimamente oneri per lunga durata di tempo, con entrate straordinarie si finanziano spese correnti, come quelle conseguenti ( stipendi) ad assunzioni di personale, le entrate a destinazione specifica si utilizzano per fini diversi, si gonfiano i residui attivi e si riducono arbitrariamente quelli passivi . Di fronte a questo inquietante fenomeno il legislatore, rivelandosi insufficiente il t.u. degli enti locali approvato on d.lgs. n.267/2000, cerca di correre ai ripari con norme-tappo : vedi, in particolare, l’art. 30, comma 15, della legge finanziaria 2005, l’art.2, commi 281-284, della legge finanziaria 2008. Il federalismo fiscale ora si presenta come una svolta storica per un’oculata gestione delle spese, ma gli strumenti e i controlli sono in alto mare. federalismo fiscale già (in qualche modo) in atto, è certo che gli enti locali siano in grado di “stabilire e applicare i tributi in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza locale e del sistema tributario”, come recita il nuovo art.119, comma 2, della Costituzione ? Se è vero, com’è vero, che la Corte dei conti è stata sempre intasata da accertamenti di responsabilità, tanti seguiti da condanna, e ancor di più da quando è venuto meno il controllo regionale, che cosa succederà se, come si teme, gli enti imporranno imposte per far fronte a spese gestite in modo scriteriato ? La gente deplora l’allegra finanza, ma la situazione diverrebbe insopportabile con il finanziamento realizzato direttamente sulle tasche private e per spese opinabili. In questa ottica, infatti, assume indubbiamente importanza il discorso relativo al tema della natura delle spese per cui è stato fatto prima un excursus. Un’attenta osservazione dell’andamento evolutivo della legislazione e, contestualmente, degli orientamenti della giurisprudenza contabile che, in tale evoluzione, si presentano sostanzialmente costanti nel tempo, porta alla constatazione dell’enorme rilevanza della diversità della natura delle funzioni e delle spese locali per l’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione locale. Tale potere non può mai fondarsi su scelte “scriteriate” (secondo la giurisprudenza amministrativa e contabile che, sotto questo aspetto, è stata sempre costante) per sconfinare nell’arbitrio, e certamente si avverte la necessità che qualcuno controlli tutto ciò, ma ci si chiede : da quando, in barba all’art. 130 della Costituzione (all’epoca ancora in piedi), è stato cancellato ogni controllo regionale sugli atti degli enti locali, sono serviti i controlli interni ? La risposta a questa domanda è notoriamente negativa : ovviamente qui si coglie l’andamento prevalente e diffuso, facendo salvo ogni caso di amministrazione corretta e lungimirante. Le conseguenze, già deprecabili in un sistema di finanza derivata, si preannunciano nefaste in un sistema di federalismo fiscale in relazione alla gestione autonoma, da parte locale, delle imposte in quanto voce delle entrate che devono far fronte alle spese. La diversa natura delle spese degli enti locali rileva, in particolare, proprio quando si fa uso scriteriato del potere di gestione delle spese tradizionalmente considerate non essenziali o indispensabili. Posta un’oculata gestione delle spese, di qualsiasi natura esse siano, in un contesto di entrate all’uopo sufficienti, e posta una ragionevole imposizione tributaria, nulla quaestio. Il discorso, però, cambia, quando l’ente deve tirare la cinghia, il che non appare improbabile alla luce dei nuovi venti che da qualche tempo alitano sull’economia, e, in particolare, sull’economia locale. Un inquietante interrogativo. - Ci si pone un inquietante interrogativo. Presupponendo un 4 Per una trattazione articolata della materia v. Giuseppe Mario Potenza, La legittimità degli atti nel nuovo ordinamento degli enti locali, Maggioli Ed., Rimini, IV ed., 2002, pagg. 619 ss. Cfr. pure, sul punto dell’interessamento giurisprudenziale e legislativo, in relazione alle norme sul risanamento finanziario degli enti locali, Giuseppe Mario Potenza in Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali (AA.VV.), Giuffrè Ed., Milano, III ed., 1999, pagg. 218 ss. Considerazioni conclusive. – In conclusione, il federalismo fiscale ormai si impone come lo sbocco naturale del processo evolutivo della realtà giuridica e sociale, che ha visto la sua tappa fondamentale, da 6 ultimo, con la legge costituzionale n.3 del 2001, per quanto non ancora attuata. Due appaiono i problemi di fondo che attendono la loro (non facile) risoluzione: 1) l’attribuzione delle risorse tributarie alle regioni in armonia con l’art. 53 della Costituzione: la riserva di legge prevista impone la necessità di apposita revisione costituzionale, non apparendo sufficiente, allo scopo, il testo dell’attuale normativa (legge n.3/1997 e legge n.131/2003); 2) la composizione (non facile nemmeno questa) dell’opposta posizione delle regioni ricche e delle regioni povere. Il fenomeno di questa differenziazione (peraltro non esclusivo dello Stato italiano, ma proprio di altri Stati europei) risale al periodo post-unitario, che ha visto l’Italia divisa in due. Com’è noto, infatti, ci sono regioni più ricche (al Nord) e regioni più povere (al Sud). Le prime mirano ad uno strumento di perequazione tributaria tale da conservare la loro posizione (economicamente) migliore: in quanto già acquisita, tale posizione presenta il timore di un futuro di “parassitismo” delle regioni povere Da una parte le regioni più deboli si devono battere per la realizzazione di un fondo perequativo tale da permettere il loro riscatto economico, ma al contempo devono assumere l’impegno di ottenere correttamente tale riscatto nel tempo. Questo impegno sarà possibile solo con una autoregolamentazione finanziaria mirata, che rappresenti un radicale cambio di rotta rispetto all’abitudine radicata non solo di spreco del denaro ma anche di “blocco” imprenditoriale. Sia detto per inciso che evitare lo spreco del denaro è, ovviamente, un comportamento salutare anche per le regioni del Nord, tuttavia, nell’ambito delle spese astrattamente legittime, ma non essenziali, scatta, per sua natura, un meccanismo di proporzione in relazione alle risorse disponibili. Posto che le risorse finanziarie del fisco, salvo quanto occorra allo Stato centrale per le sue ( insostituibili ) funzioni, vanno devolute alle regioni che producono il gettito fiscale, si impone un idoneo sistema di controlli che valga a verificare l’esistenza di questa autoregolamentazione destinata a sgombrare la via da ogni impedimento di innegabili condizionamenti (com’è dimostrato dalla cronaca anche recente) frapposti dalle regioni del Nord in merito al travaso di risorse a favore delle regioni più povere che producono un gettito fiscale inferiore. Con la nuova realtà del federalismo fiscale, infatti, non si può più continuare nella logica delle assunzioni clientelari, dei contributi a pioggia, delle spese a ruota libera per presupposte “missioni” all’estero, gemellaggi, e sprechi di vario tipo. D’altra parte, alle regioni più ricche conviene collaborare in questo processo di individuazione di un giusto punto di equilibrio, perché la crescita delle regioni più povere – e il federalismo fiscale ne rappresenta l’occasione storica – si risolve in una crescita dello stesso Stato che poi, ovviamente, torna a vantaggio di tutte le regioni, comprese quelle più ricche. Non è difficile capire che le regioni più ricche, che a causa dello sviluppo economico asimmetrico della nazione si attendono maggiori risorse, non vedano di buon occhio il trasferimento al Sud di risorse che spesso vadano a finire nelle mani della criminalità organizzata o di chi, anche se non etichettato, agisce nella nebbia dove non si vede il limite tra legalità e illegalità. Ma il Sud istituzionale nell’esercizio delle funzioni deve incominciare a prefigurarsi come obiettivo il merito e come strumento di azione la concorrenza nei vari settori, come, ad esempio, quelli dei servizi idrici, di trasporto, di smaltimento dei rifiuti (e qui è stato particolarmente vistoso il caso dei rifiuti napoletani) . dell’istruzione e della formazione dei giovani, della selezione e della carriera dei ricercatori e dei docenti, del servizio sanitario (dove con il federalismo si rischia di eliminare quegli strumenti di equità che valgono a cancellare le disuguaglianze), e via dicendo. In tal senso la recente apertura sul federalismo fiscale del Governatore della Banca d’Italia è condizionata da uno sforzo, adeguatamente valutato sul piano legislativo, di efficienza e di controlli quale presupposto di una spesa che dia i risultati positivi previsti. Una buona formazione dei giovani (Ernesto Galli Della Loggia ha collegato il declino della classe dirigente del Sud alla fine dell’ intervento straordinario nel Mezzogiorno e quindi all’archiviazione di fatto della cosiddetta ‘centralità’ della questione meridionale), confortata dall’onestà delle istituzioni, potrà meglio combattere, attraverso adeguati controlli, la criminalità organizzata e quella, non organizzata come “sindacato”, dei pionieri single, colletti bianchi o privati che siano. In tal modo si creano le premesse, incartando gli obblighi (autoregolamentazione e controlli ) in apposite leggi e disegnando le nuove istituzioni che occorrano, perché il Nord progredito intraveda la convenienza del suo aiuto e della sua collaborazione. Il seguito del film comico di Angelo Raffaele de Dominicis 5 A sipario abbassato, dopo che il mio progetto di sceneggiatura di un film (quasi ) comico è stato prematuramente gettato nel cestino dei rifiuti – ma perfino il semplice uso di questa parola ci fa trasecolare! – è impossibile immaginare quali motivazioni, che ovviamente attendiamo con trepidazione, i massimi giudici della Consulta porranno a base della ammissibilità dei tre referendum Guzzetta ! Di quei referendum, cioè, che non sono affatto abrogativi del “porcellum” – acclamato, invece, come “lex perfecta” dai fautori della “Casta” – sebbene confermativi della lista unica nazionale, vanto dei postfascisti ed, inoltre, referendum manipolativi della Costituzione, che proclama il pluralismo delle idee e dei partiti. Insomma, il 16 gennaio scorso siamo finiti 5 Vice procuratore generale della Corte dei conti, autore di pubblicazioni di diritto, direttore di riviste amministrative. 7 nel fondo del sacco : tra il porcellum, che vuole mantenere il privilegio e l’immortalità della “casta”, e il superporcellum, che utilizzando un referendum consultivo, oltre che confermativo e manipolativo, vuole addirittura rafforzarla ! E tutto ciò mentre la nostra umanissima e modernissima Costituzione compie i suoi primi sessant’anni ! Orbene, che la nostra Carta fondamentale sia stata messa sotto i piedi può cogliersi perfino dalla risposta fornita da un referendario convinto. Alla domanda, un po’ così, “ma professore, ci spieghi in due parole cosa volete fare ?”, l’interlocutore che insegna ha risposto : “vogliamo cambiare le regole della politica !”. E la Costituzione – dico io – dove vogliamo gettarla ? Colpito, allora, da grande sconcerto mi vedo costretto ad indicare due sole strade : o il ministro Mussi chiude le Università, per manifesta ignoranza, oppure dobbiamo invocare, ancora una volta, l’ingresso in politica di Beppe Grillo! No, non vorrei chiedere al capocomico da quale senso di nausea potremmo essere colti se confrontassimo il vecchio testo dell’articolo 114 della Costituzione con quello approvato nel 2001, ma piuttosto del caso di attualità, delle dimissioni del presidente della giunta Regionale Siciliana, On.le Antonio Cuffaro, detto “Totò vasa vasa”. La domanda potrebbe essere questa :e se il nostro politico non si fosse dimesso, infischiandosene della procedura di sospensione minacciata dal Governo? La risposta sarebbe stata probabilmente quest’altra : che lo Stato italiano, forse, avrebbe rischiato di fare l’ennesima figuraccia ! E ciò perché Totò non poteva essere sospeso dalle funzioni di capo del Governo regionale ! E non solo perché nei suoi confronti non sussiste un irrevocabile giudizio di colpevolezza, siccome la condanna non è ancora definitiva (art. 27, secondo comma, Costit.), ma perché dal pasticciaccio della riforma costituzionale del titolo V, sembra emergere il principio secondo il quale nessuna disposizione di legge – neanche di indole penale ! – al di fuori di quelle costituzionali, può limitare l’autonomia istituzionale degli organi di governo di una Regione, anche a statuto speciale. Ed, infatti, il presidente di una Giunta ragionale è titolare di esclusive funzioni di indirizzo politico-amministrativo (art. 121, quarto comma, Costit.) ed, inoltre, sulla materia è bene che i professori del caso meditino sulla seguente proposizione : “il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo Statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto. Il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta” (art. 122, ultimo comma, Costit.) ! E’ pur vero che il presidente della Repubblica ha il potere di rimuovere il presidente di una Giunta regionale, ma solo per ragioni di sicurezza nazionale (art. 126, primo comma, Costit.) . Il capocomico, potrebbe, poi, incalzarmi soffermandosi sul fatto che i padri della Repubblica – quei gran signori onestissimi che sapevano scrivere ! – allo scopo di assicurare che la pubblica amministrazione fosse sempre imparziale ed efficiente (art. 97 Costit.) avevano previsto due disposizioni, poi soppresse dalla riforma del più volte citato titolo V. Con l’abrogato articolo 124 veniva prevista la figura del Commissario di Governo che coordinava le funzioni amministrative statali con quelle regionali ed, inoltre, con l’articolo 125, primo comma, parimenti abrogato, veniva stabilito che la Commissione Regionale di Controllo presieduta dal suddetto Commissario di Governo, controllasse gli atti amministrativi regionali e riferisse al Governo della Repubblica sui casi di leggi regionali sospettate di illegittimità costituzionale, al fine di attivare l’opportuna procedura di impugnazione innanzi alla Corte Costituzionale. Ora tutto è stato abrogato e nessuno è in grado di amministrare la nostra Repubblica… tranne uno ! Ed, infatti, al punto in cui siamo arrivati, il nostro capocomico mi dovrebbe fare la seguente domanda : “ma se il Capo dello Stato, custode della Costituzione, non vuole sciogliere le Camere, per evitare che si vada a votare con la legge porcellum – quella del listone unico nazionale e dei parlamentari delegittimati perché eletti dalle segreterie politiche e non dal popolo sovrano – non può fare altro che nominare un Governo del Presidente e sollevare, nel modo più idoneo, conflitto di attribuzione con membro del corpo elettorale (oppure, come sostiene un giurista, addirittura con i partiti !), chiedendo che finalmente la Corte Costituzionale si pronunci sull’illegittimità del Porcellum e sui salamini “derivati”. (Il conflitto con le regole delle democrazia, infatti, non è putativo…ma reale !). E mentre tutto ciò noi auspichiamo – (finis africae) – potremmo intravedere finalmente i nostri Benigni e Jannacci ballare il girotondì e il girotondò. Ringraziamo il Dott. De Dominicis per averci trasmesso queste note che, nonostante il tempo trascorso rispetto ai fatti concreti citati, conservano tutta la loro attualità sotto l’aspetto dottrinale. 8 OSSERVATORIO CULTURALE gli consenta di ritrovare se stesso nell’incontro con l’amore di Dio e la tenerezza dei fratelli… Vorrei concludere con le parole del Vangelo di questa Messa . “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio” A questa esortazione di Cristo fa eco il consiglio che il nuovo Beato soleva ripetere: “…Abbandonatevi pienamente nel cuore divino di Gesù, come un bimbo tra le braccia della madre”… “Santa Maria delle Grazie”, che l’umile cappuccino di Pietrelcina ha invocato con costante e tenera devozione, ci aiuti a tenere fissi gli occhi su Dio. Ella ci prenda per mano e ci spinga a ricercare con ogni sforzo quella soprannaturale carità che sgorga dal costato trafitto del Crocifisso…». Giovanni Scarale, che seguì da vicino il frate («l’uomo più straordinario che avessi conosciuto» , si legge nella sua opera “Padre Pio nel cuore”, 1998, Rusconi Libri s.r.l., Milano), scrisse, dopo la notizia della sua morte: «ORA PADRE PIO È IN NOI di Giuseppe Mario Potenza «L’umile frate che stupì il mondo» Domenica, 2 maggio 1999 , Piazza San Pietro: il Pontefice Giovanni Paolo II rievoca la figura del nuovo Beato, Padre Pio da Pietrelcina . Si riporta qualche passaggio dell’omelia fatta in occasione di quella cerimonia solenne (cui seguirà la canonizzazione a breve distanza). «“ Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”. Nella pagina evangelica…abbiamo ascoltato queste parole di Gesù ai suoi discepoli, bisognosi di un incoraggiamento. L’accenno, infatti, alla sua prossima dipartita, li aveva gettati nello sconforto. Temevano di essere abbandonati, di restare soli e il Signore li solleva con una precisa promessa: “Vado a prepararvi un posto”; e poi: “Ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io”… Noi ascoltiamo queste parole di Cristo e il pensiero va all’umile frate cappuccino del Gargano. Con quale evidenza esse si sono realizzate nel Beato Pio da Pietrelcina !... Chi si recava a San Giovanni Rotondo per partecipare alla sua Messa, per chiedergli consiglio o confessarsi, scorgeva in lui un’immagine viva del Cristo sofferente e risorto. Sul volto di Padre Pio risplendeva la luce della risurrezione. Il suo corpo, segnato dalle “stimmate”, mostrava l’intima connessione tra morte e risurrezione, che caratterizza il mistero pasquale. Per il beato di Pietrelcina la condivisione della Passione ebbe toni di speciale intensità: i singolari doni che gli furono concessi e le sofferenze interiori e mistiche che li accompagnavano gli consentirono di vivere un’esperienza coinvolgente e costante dei patimenti del Signore, nella immutabile consapevolezza che “il Calvario è il monte dei Santi”. Non meno dolorose, e umanamente forse ancor più cocenti, furono le prove che dovette sopportare in conseguenza, si direbbe, dei suoi singolari carismi. Nella storia della santità talvolta accade che l’eletto, per una speciale permissione di Dio, sia oggetto di incomprensioni. Quando ciò si verifica, l’obbedienza diventa per lui crogiuolo di purificazione, sentiero di progressiva assimilazione a Cristo, rinvigorimento dell’autentica santità… Al tempo stesso, la sua carità si riversava come balsamo sulle debolezze e sofferenze dei fratelli. Padre Pio unì così allo zelo per le anime l’attenzione per il dolore umano, facendosi promotore a San Giovanni Rotondo di una struttura ospedaliera, da lui chiamata “Casa Sollievo della Sofferenza”. Egli la volle come un ospedale di prim’ordine, ma soprattutto si preoccupò che in esso si praticasse una medicina veramente “umanizzata”, in cui il rapporto con il malato fosse improntato alla più calda premura e alla più cordiale accoglienza. Sapeva bene che, chi è malato e sofferente, ha bisogno non solo di una corretta applicazione dei mezzi terapeutici, ma anche e soprattutto di un clima umano e spirituale che Ripeteremo giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, per quanti ce ne restano, e gli altri ripeteranno agli altri per quanti ne verranno di uomini che la terra inchioda, la tua gloria di sangue. Hai dato gioia al dolore, vita al silenzio, certezza di Dio a un secolo senza fede. Per te, o Padre santo, il Monte ha sua voce nelle tue rose di sangue, nel profumo che dal tuo corpo si diffonde nel mondo». San Pio in un ritratto giovanile Padre Pio, al secolo Francesco Forgione, nasce il 25 maggio 1887 a Pietrelcina (BN) da Grazio Forgione e 9 Maria Giuseppa di Nunzio, contadini. Nel gennaio 1903 indossa l’abito cappuccino e cambia il nome di battesimo in quello di Fra’ Pio da Pietrelcina. Il 27 gennaio1907 Fra’ Pio emette la professione dei voti solenni per «attendere al bene dell’anima e dedicarmi intieramente al servizio di Dio». Il 10 agosto 1910 avviene la consacrazione di Fra’ Pio nel duomo di Benevento. Il 14 agosto 1910 egli celebra a Pietrelcina la prima Messa solenne ed avverte i primi dolori alle mani e ai piedi, causati dalle stimmate invisibili. L’8 settembre 1911 confessa al direttore spirituale Padre Benedetto da San Marco in Lamis di avere «da circa un anno le stimmate invisibili». Nell’ottobre 1911 Padre Pio è trasferito a Venafro ed è sottoposto a visite mediche a Napoli. Il 7 dicembre 1911 la sua salute peggiora ed egli ritorna a Pietrelcina. Il 10 ottobre 1915 rivela al suo direttore di patire da anni la coronazione di spine e la flagellazione.Il 6 novembre 1915 è chiamato presso il distretto militare di Benevento per la visita di leva. Il 18 dicembre 1915 a causa delle precarie condizioni di salute ritorna a Pietrelcina in licenza di convalescenza. Il 17 febbraio 1916 si trasferisce nel convento di Sant’Anna di Foggia e diventa membro di quella comunità. Il 28 luglio 1916 Padre Paolino da Casacalenda, per sottrarlo alla calura estiva, lo conduce nel convento di San Giovanni Rotondo, dove Egli si trattiene solo una settimana. Il 13 agosto 1916 Padre Pio scongiura il superiore provinciale di mandarlo per un po’ di tempo a San Giovanni Rotondo «dove Gesù mi assicura che starò meglio» dice. Inoltre spiega un altro motivo della richiesta: «bisogna sollevare un po’ il fisico per tenermi pronto ad altre prove, alle quali egli vuole assoggettarmi». Il 4 settembre 1916 ottiene di ritornare al convento di Santa Maria delle Grazie di San Giovanni Rotondo, assegnatogli come sede provvisoria. Il 18 dicembre rientra a Napoli per il servizio militare. Il 30 dicembre 1916 a causa delle pessime condizioni fisiche i medici lo rimandano a casa in licenza «illimitata». Il 19 agosto 1917 torna al distretto militare e contro ogni logica aspettativa viene dichiarato valido ai servizi interni. Il 12 novembre 1917 rientra a San Giovanni Rotondo e vi resta fino al 5 marzo 1918, quando riprende il servizio militare a Napoli. Il 16 marzo 1918 Padre Pio viene riformato e due giorni dopo torna per sempre nel convento di San Giovanni Rotondo. La diagnosi parla di «bronco alveolite doppia». Dal 5 al 7 agosto 1918 avviene il fenomeno mistico della «trasverberazione del cuore»: un misterioso Personaggio celeste trapassa il cuore del Padre con una lancia, lasciandogli una ferita aperta sanguinante. E’ il preludio al fenomeno delle «stimmate». Il 20 settembre 1918 Padre Pio vede di nuovo il misterioso Personaggio che gronda sangue e si sente trafiggere le mani e i piedi. Si ritrova così con le stimmate, i segni visibili della Passione di Cristo, impressi per sempre sulle mani, sul costato e sui piedi: gli stessi scompariranno misteriosamente in punto di morte, il 23 settembre 1968. Si diffonde la notizia della stimmatizzazione e i pellegrini accorrono a migliaia al Padre, per trarre vantaggio dai suoi carismi. Nel 1919 le sue stimmate vengono esaminate dal prof. Luigi Romanelli, primario dell’Ospedale di Barletta, dal prof. Amico Bignami, ordinario di Patologia medica presso l’Università di Roma e dal dott. Giorgio Festa, inviato dal Superiore Generale dei Cappuccini Padre Venanzio da Lisle. L’anno successivo il dott. Giorgio Festa e il prof. Luigi Romanelli visitano insieme Padre Pio. Nel giugno 1921 cominciano a diffondersi le voci di un possibile trasferimento di Padre Pio, ma i sangiovannesi insorgono. La folla urla, piange, e minaccia, affermando che «nessuno giammai potrà osare di toglierci il Santo che illumina questa terra, e tanto bene irradia, coi suoi miracoli e col suo savio consiglio». E Padre Pio non lascerà più S. Giovanni Rotondo. Qualche mese dopo l'ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale, Padre Pio viene chiamato alle armi e il 6 dicembre del 1915 assegnato alla Decima Compagnia di Sanità a Napoli. Una malattia bronchiale induce l'autorità militare a riformarlo dal servizio. All'iniziale entusiasmo dei fedeli si contrappone la diffidenza delle alte gerarchie ecclesiastiche. I superiori di Padre Pio, circospetti, tengono assolutamente celata la vicenda e la stampa cattolica si comporta allo stesso modo. Il Sant'Uffizio interviene e limita la libertà di Padre Pio. Il 2 giugno del 1922, a sei mesi dalla morte del Papa Benedetto XV, che non aveva mai negato le sue simpatie per il frate di San Giovanni Rotondo, il Sant'Uffizio stabilisce che in seguito agli avvenimenti del 1918 Padre Pio non avrebbe dovuto mostrare le stigmate a nessuno né parlare delle stesse né, tantomeno, esporle ai baci dei fedeli. La dolorosa salita al Calvario era già iniziata e i successivi prodigi del frate, oltre alle molte opere umanitarie portate a termine, non gli procurarono che isolamento da una parte della Chiesa ufficiale. È da ricordare la realizzazione della Casa Sollievo della Sofferenza, ospedale divenuto operativo nel 1956. La fine terrena di Padre Pio si intuisce il 20 settembre del 1968, nel cinquantesimo anniversario dalla comparsa delle stigmate sul suo corpo. In quella circostanza erano giunti a San Giovanni Rotondo molti pellegrini e, alle 5 del mattino, Padre Pio, pur nelle precarie condizioni di salute, celebra la Messa per non deludere le aspettative dei fedeli che avevano trascorso la notte stipando gli alberghi e dormendo anche all'interno delle autovetture. L'indomani viene colto da una violenta crisi che gli impedisce di scendere in chiesa. Verso le 5 del mattino di domenica 22 settembre le condizioni di Padre Pio paiono registrare un lieve miglioramento ed egli si appresta a celebrare la Messa. Al termine della stessa Padre Pio viene colto da collasso. Accompagnato in cella per un breve riposo, si affaccia alla finestra verso le 10 per impartire la benedizione a una folla enorme. Intorno alla mezzanotte le sue condizioni precipitano e al suo capezzale è un accorrere di altri religiosi e di medici. Alle 2,30 Padre Pio chiude gli occhi per l'ultima volta. (continua) 10 ci chiediamo: quanto incide sul cattivo funzionamento della nostra politica, la carenza di cultura civica? C’è almeno una dimensione del fenomeno che va tenuta presente: la mancata diffusione di valori che ostacolino comportamenti opportunistici e illegali: praticare o tollerare il lavoro nero, l’evasione delle norme sulla sicurezza, l’evasione fiscale, non denunciare la richiesta di “pizzo”. Ovvero, accade che sono in molti a sfuggire alle regole dell’economia, anzi si fa a gara a chi sfugge per primo. In questo giuoco di anticipo e furbizia, saltano le regole. Insomma, non può continuare a prevalere, nel nostro Paese, l’antico detto:”Fatta la legge trovato l’inganno!”. E in questo contesto si inquadra la tragedia dei beni comuni i quali, non essendo attribuiti a singoli soggetti vengono saccheggiati proprio perché su di essi si scarica il costo dell’iniziativa economica (un esempio per tutti il cattivo uso che si è fatto, in diversi casi, specie nel Sud della Legge 488 del 1992, voluta “ab origine” per incrementare il settore occupazionale). E a questo punto ci sembra corretto citare Marx, il quale sosteneva”Una struttura (nazionale) richiede una sovrastruttura”. Ovvero, il fatto che oggi, una struttura economica è una struttura globale, necessita di istituzioni globali, sopranazionali, capaci di governare questi fenomeni economici, che spesso non si conciliano con il rispetto dei diritti umani, costringendo gli Stati nazionali a rispettare certe regole comuni, sempre all’insegna dell’alto valore dell’etica. Peraltro, Benedetto XVI , in una recente visita all’ Onu, ha espresso un discorso di elevato profilo intellettuale, con un particolare , riferimento al necessario uso dell’etica nella gestione dei diritti umani e dell’economia da parte dei sistemi di potere delle varie latitudini del globo, che, spesso, tendono a limitare le prerogative di diritti e di libertà degli individui e di intere nazioni. L’etica tra la politica e l’economia della globalizzazione di Salvatore Resta6 L’etica senza un’affermazione del senso civico comune rischia di essere un “corpo estraneo” all’interno del mondo economico nazionale e globale. Da tempo siamo entrati in una fase di sviluppo del tutto diversa, nella quale non sono solo i moralisti a lamentarsi della mancanza di senso civico e dei suoi corollari: in realtà sono gli economisti ed i sociologi che hanno scoperto, con prove sempre più solide, che un “capitale sociale” appropriato è un potente motore di sviluppo e lo è, soprattutto, in un contesto di crescente complessità. E il senso civico, il rispetto delle leggi, la fiducia nelle istituzioni, la capacità di cooperare onestamente, sono ingredienti essenziali di quel capitale sociale. Si tratta, quindi, di attuare una strategia vincente, resistente al cambiamento dei Governi, per affrontare, in primis, la, persistente, Questione meridionale. In verità, è il Mezzogiorno la zona del Paese in cui questi caratteri negativi: quali, la mancanza di senso civico, una debole legalità, lo scarso rispetto per tutto ciò che è collettivo, la sfiducia nello Stato e nelle Istituzioni, trovano, purtroppo, salvo le dovute eccezioni, una larga attuazione. Ma c’è di più. La globalizzazione può spingere il Mezzogiorno a rintanarsi nelle sue più antiche tane, un esempio per tutti, la Camorra a Napoli, (”la Camorra ci protegge e se qualcuno vuole farci del male i clan ci difendono” è quanto affermato da un’alunna di 13 anni, in un tema in classe, residente nella periferia nord di Napoli) o, ancor peggio, portare una grossa componente sociale malavitosa, la stessa Camorra imprenditrice, (costituita da imprese così forti, a livello internazionale, che fanno 250 milioni di euro, di volume d’affari annuo), ad una sempre più larga affermazione, oltre il territorio nazionale. Stante questa situazione, è difficile negare che la situazione italiana sia più critica di quella di altri Paesi per la carenza di cultura civica. Pertanto, il valore dimenticato della cultura civica può essere attribuito, senza mezzi termini, ad un indebolimento del ruolo sociale dei partiti. E, qui, diciamo, senza ombra di dubbio, che siamo molto lontani dall’etica di De Gasperi, Presidente del Consiglio negli anni ‘45- ‘46, con Togliatti, ministro degli Esteri. Stavano insieme per il bene dell’Italia; certo, si usciva dalla II guerra mondiale, popolari-democristiani, socialisti e comunisti avevano fatto la Resistenza, assieme, e assieme gestirono il passaggio verso l’Italia repubblicana, dando tempo all’Assemblea Costituente di scrivere la nuova Costituzione, che entrò in vigore il 1° gennaio del ‘48. “Nuovi De Gasperi non se ne vedono-ha sostenuto, recentemente, Claudio Rizza-giornalista de “Il Messaggero”- Alcide morì povero: non risulta che altri sedicenti statisti, (negli anni successivi, sino ad oggi), abbiano fatto la stessa fine”. In particolare, noi Alcide De Gasperi Il recepimento, da parte della politica, dei princìpi fondamentali dell’etica fa assumere alla stessa politica la giusta posizione anche nel campo dell’economia della globalizzazione. Per tali motivi diventa opportuna l’apertura verso le posizioni svincolate da qualsiasi parte: tra queste, in particolare, la Chiesa cattolica: «Risalti la civiltà della politica, Bagnasco: 6 Giornalista pubblicista,autore di pubblicazioni in materia giuridica e informatica. 11 vita, famiglia e libertà di educazione – il Concilio ci insegna a non negoziare sui valori base… La Chiesa non fa scelte di schieramento ma ha il dovere di affermare i valori morali che scaturiscono dalla fede. Lo ha detto il cardinale Bagnasco nella prolusione del Consiglio episcopale permanente…» (Mimmo Muolo in Avvenire, 11 marzo 2008, pp. 1, 6, 7 e 8) (G.M.P.). erano accusati di essere conniventi con regimi dittatoriali di destra), non risparmiò durissime critiche e forti ammonimenti in tutti i suoi viaggi nel continente. Il 9 maggio 1993 nella Valle dei templi, prese una posizione durissima contro la mafia rivolgendosi, quasi urlando, ai responsabili intimando loro di convertirsi e non solo di pentirsi mettendoli così di fatto fuori dalla Chiesa. Nell'enciclica Evangelium Vitae del 1995 riaffermò l'alto valore che ha per la Chiesa la vita umana. In essa ha inoltre esteso la condanna dell'aborto, dell'eutanasia e di ogni uso della pena capitale, chiamandole tutte insieme parte della «cultura della morte» di cui sarebbe pervaso il mondo moderno. Le sue posizioni sulla guerra, la pena capitale, la cancellazione del debito dei paesi poveri, e i temi sulla povertà sono stati considerati politicamente liberali, dimostrando che etichette politiche come «conservatore» e «liberale» non possono essere facilmente assegnate ai leader religiosi.Papa Wojtyła, che aveva iniziato il suo pontificato quando i sovietici controllavano ancora la sua terra natale, la Polonia, come pure il resto dell'Europa dell'est, è stato un aspro critico del socialismo reale ed ha offerto supporto a chi lottava per il cambiamento, come il movimento polacco Solidarnosc di Lech Walesa. Il leader sovietico Mikhail Gorbaciov disse una volta che il crollo della Cortina di ferro sarebbe stato impossibile senza Giovanni Paolo II. Questo punto di vista è condiviso da molti negli stati ex-sovietici, che lo vedono, insieme al presidente statunitense Ronald Reagan, come uno degli artefici della dissoluzione dell'Unione Sovietica. In anni successivi, il Papa si mostrò assai critico anche verso gli eccessi del capitalismo. Nel 2000 firmò pubblicamente la campagna del Giubileo 2000 sulla cancellazione del debito africano, assieme alle star irlandesi del rock Bob Geldof e Bono. Nel 2003, Giovanni Paolo II divenne un critico di primo piano sull'Invasione americana dell'Iraq. Mandò il suo ministro per la pace, il cardinale Pio Laghi, a parlare con il presidente degli Stati Uniti George W. Bush per esprimergli l'opposizione del Vaticano alla guerra. Giovanni Paolo II affermò che spettasse alle Nazioni Unite risolvere il conflitto internazionale attraverso la diplomazia e che un'aggressione unilaterale è un crimine contro la pace ed una violazione del Diritto internazionale. Durante i negoziati per la redazione della nuova Costituzione europea, nel 2003 e 2004, i rappresentanti del Vaticano fallirono nell'assicurare una qualsiasi menzione alle «radici cristiane dell'Europa», uno degli obiettivi cui il Papa teneva. A più riprese durante il pontificato il Papa ha infatti sottolineato che l'Europa ha ricevuto per prima il "dono" della cristianità. Papa Wojtyła criticò anche il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Nel suo ultimo libro, Memoria e identità, nel capitolo riguardante il ruolo dei legislatori, il Papa parla di «pressioni» sul Parlamento Europeo per permettere il matrimonio omosessuale. Secondo l'agenzia di stampa Reuters il Papa scrisse a proposito della corrente ideologico-culturale che propugna la formalizzazione delle unioni omosessuali: «È legittimo e necessario chiederci se non sia parte di Giovanni Paolo II, operatore di pace e di progresso per l’umanità (continua il testo dei numeri precedenti) di Luigi Galeani Ma soprattutto è possibile notare il cambiamento di rotta rispetto ai precedenti papati nel dato dei 500 santi e 1350 beati proclamati, a fronte di 296 santi e 1319 beati da parte di 33 papi precedenti. In particolare, notevole la differenza è con alcuni degli ultimi papi come Pio X (1903-14, 4 santi), Benedetto XV (191422, 3 santi), Giovanni XXIII (1958-63, 10 santi). Inoltre, è da tenere in conto la variegatissima composizione di provenienze dai nuovi santi, a differenza della estrema omogeneità dei precendenti. Anche uno dei temi chiave del pontificato di Giovanni Paolo II, la pubblicizzazione e la rilevanza data ai segreti di Fatima, è leggibile come un tentativo di riportare la fede in una sfera maggiormente mistica.. Scelte di questo tipo sono legate all'obiettivo di "parlare al cuore" dei fedeli, a differenza di orientamenti che mirano a “secolarizzare” in parte la Chiesa, mostrando cautela verso miracoli ed eccessive concessioni a sentimenti religiosi popolari. Anche l'ottimo rapporto con i media, e l'immagine "giovane" che Wojtyła ha creato di se, è considerabile utile al fine di avvicinare alla Chiesa cattolica persone, ed in particolare giovani, di tutto il mondo. Posizioni sociali e politiche - Wojtyła è stato considerato un conservatore sulla dottrina della Chiesa cattolica in relazione alla riproduzione e all'ordinazione sacerdotale femminile. I suoi scritti sulla sessualità umana, raccolti ne La Teologia del Corpo, sono un'estesa meditazione sulla natura dei sessi e le risultanti implicazioni su sesso e amore e diversi critici li considerano un significativo sviluppo dell'insegnamento sessuale della Chiesa, che ha origine con il Cantico dei Cantici e con l'insegnamento sui Sacramenti. Riguardo all'aborto, scrisse: «C'è ancora, tuttavia, una strage legalizzata di esseri umani che sono stati concepiti ma non sono nati. E questa volta stiamo parlando di una strage che è stata permessa nientemeno che da parlamenti democraticamente eletti, dove normalmente si ascoltano appelli per il progresso civile della società e di tutta l'umanità.». Sono note le sue critiche nei confronti della Teologia della Liberazione, la quale avrebbe calcato troppo la mano sulla liberazione politica a discapito della liberazione spirituale. La sua azione a contrasto di questa dottrina, in Sud America, fu massimamente energica: richiamò ripetutamente il clero locale per la sua partecipazione diretta a governi comunisti, promosse a cardinali molti sacerdoti di opposta posizione politica (anche quando 12 una nuova ideologia del male, forse più insidiosa e nascosta, che tenta di scagliare i diritti dell'uomo contro la famiglia e contro l'uomo». Il 13 gennaio 2005, ricevendo l'allora presidente della regione Lazio Francesco Storace, espresse «vivo compiacimento per l'approvazione dello Statuto della regione Lazio. Esso infatti, oltre a sottolineare il ruolo di Roma come centro del Cattolicesimo, riconosce esplicitamente il primato della persona e il valore fondamentale della vita. Riconosce, inoltre, i diritti della famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio e si propone di sostenerla nell'adempimento della sua funzione sociale, facendo esplicita menzione dell'Osservatorio regionale pemanente sulle famiglie». quanto ciò derivi dalla fede e quanto dalla curiosità di vedere con i propri occhi …Padre Pio non è qui, è molto più in alto. E allora perché ci siamo noi, qui, in mondovisione ad adorare i suoi resti ? E’ vero, la fede non è solo pensiero, è anche azione, è stare insieme e pregare con una voce sola. Ma la nostra speranza non può essere in questo riaprire una bara, toccare una teca, far festa su un corpo da strappare al suo naturale finire…» (Il Messaggero, 25 aprile 2008, p. 22). Èstata pure interessata la magistratura, che poi ha rigettato le doglianze degli esponenti. Credo che si sia ignorata una verità inequivocabile, cioè che la materia è di competenza dell’Autorità religiosa, che peraltro, con questo intervento non ha fatto niente di nuovo rispetto a una tradizione. Una tradizione che avrà avuto pure i suoi motivi, non certo di ricerca di clamore o di mondanità. In questa ottica il ricorso alla magistratura si commenta da sé. Quando si parla di «kermesse mediatica» se ne ignora la motivazione che certamente non indirizza allo scopo voluto dalla stessa Autorità ma all’interessamento dei media, che infatti si rapportano alla rilevanza che il fatto riveste : tale interessamento non è altro che l’ineludibile conseguenza che una certa manifestazione comporta. Questa conseguenza ha i suoi risvolti di frivola curiosità, è vero, ma solo per chi non crede o comunque per chi ritiene di assumere questa presa di posizione: omnia munda mundis Non si può rinunciare alla manifestazione, se ritenuta, solo perche esistono costoro. Esistono infatti tutti quelli che non sono toccati da frivolezza o mera curiosità, ma solo da rispetto e fede. Lo stesso discorso poteva valere, ad esempio, per i funerali di Giovanni Paolo II. Non è mancato chi ha deplorato come «enfatico» e «teatrale» lo «spettacolo mediatico» di tali funerali, dimenticando due circostanze: 1) la figura, autorevole a livello mondiale, del Pontefice, aggiungendo a ciò il suo particolare carisma, avvertito pure a tale livello; 2) l’irrinunciabilità all’ intervento dei media rapportato a questa figura e a questo livello. Non è difficile dedurne l’adeguatezza del rito, che perciò si è svolto senza alcuna velleità, da parte della gerarchia ecclesiastica, di «enfasi», o di «teatro», o di «spettacolo»: non è difficile argomentare in tal senso, ma forse non per tutti coloro che assumono una posizione preconcetta di insofferenza, evidentemente dovuta al loro ateismo: ma chi è ateo abbia la correttezza civile di rispettare gli altri, se hanno fede, e se questa fede ha dimensione mondiale. Queste considerazioni valgono anche per il caso di specie. A parte ciò, giova riportare, qui di seguito, il pensiero di un autorevole Scrittore, Antonio Socci, a proposito di uno scritto di Claudio Magris. Questo Papa, che ha regnato per 27 anni, resterà per l’umanità intera un faro di luce e di speranza. Di lui Benedetto XVI ha detto che “ nutriva una fede straordinaria in Cristo risorto, e con lui intratteneva una conversazione intima, singolare e ininterrotta. Tra le tante qualità umane e soprannaturali aveva infatti anche quella di un’eccezionale sensibilità spirituale e mistica. Bastava osservarlo mentre pregava: si immergeva letteralmente in Dio e sembrava che tutto il resto in quei momenti gli fosse estraneo”. E il postulatore della causa di beatificazione, don Slawomir Oder: “poteva accadere che lo si sentisse parlare durante la sua preghiera e da una stanza o dal corridoio si poteva pensare che stesse conversando con qualcuno, invece parlava ad alta voce con il Signore, cioè dialogava con Dio come appunto è attestato nella vita di tanti mistici” (n.d.r.) 7. «Sedicimila al giorno in coda per San Pio. Le censure infondate dell’esumazione e dell’ostensione della salma a cura di Giuseppe Mario Potenza Sedicimila al giorno. Tutti in fila per Padre Pio. È il primo bilancio del conta persone attivato a San Giovanni Rotondo dal 25 aprile, il giorno successivo all’ostensione del corpo del frate con le stimmate. Per la precisione, nei sette giorni compresi dal 25 aprile al 1° maggio, sono stati contati 115mila fedeli, 16.400 di media al giorno…» (Michelangelo Borrillo in Corriere della Sera, Economia, 5 maggio 2008, p.II). È nota la reazione, fatta a seguito della notizia della prossima ostensione della salma, da parte di chi non la condivideva. Vedi, ad esempio, Sergio Talamo: «L’OSTENSIONE DEL SANTO, Padre Pio, la kermesse mediatica e il pudore tradito…Il suo chierichetto, oggi un anziano frate dal bel sorriso aperto, ricorda su Rai Uno: “Era amabile con la gente semplice. Ma quando vedeva che ci poteva essere esaltazione o venerazione della sua persona andava su tutte le furie”. Eppure ieri Padre Pio è stato un vero divo della televisione… Il corpo esposto provoca lacrime e gemiti commossi. Ma nessuno potrà mai dire «Qua sotto vi dico cosa penso dell’esposizione del corpo di Padre Pio che tante polemiche ha suscitato. Ma prima vi lascio una perla del Padre: “Lo Spirito di Dio è spirito di pace… Egli ci fa sentire un dolore tranquillo, umile e fiducioso dovuto precisamente alla 7 Testimonianze raccolte da Luigi Accattoli, in Corriere della Sera, 3 aprile 2008, p. 27. 13 Sua Misericordia… Invece lo spirito del Male esaspera… e ci fa provare una specie di ira contro di noi: mentre proprio nei nostri confronti dovremmo esercitare la carità più grande. C’è un “Claudio Magris” dentro ognuno di noi. Avverto anche io, istintivamente, la repulsione per la riesumazione del corpo di Padre Pio e per la sua esposizione alla venerazione dei fedeli (dal 24 aprile) che stanno per arrivare a milioni a S. Giovanni Rotondo. La cosa ha indotto lo scrittore triestino a protestare sul Corriere della Sera. Perché noi, come lui, siamo naturalmente “spiritualisti”, mentre il cristianesimo è scandalosamente “materialista”. Anzi, come hanno detto Giorgio la Pira e Romano Guardini, “i cristiani sono gli unici, veri materialisti”. La nostra mentalità naturale – oggi dominante – è quella degli antichi gnostici: lo schifo della corporeità. Il terrore e la disperazione della morte. Abbiamo allestito una colossale macchina sociale per esorcizzare il corpo e i suoi processi biologici, perché mostrano il suo continuo disfacimento. Abbiamo orrore di tutti i segni della decadenza fisica, ci repellono gli umori e gli odori del corpo, l’imbiancarsi dei capelli, la loro caduta o le rughe perché questo inesorabile decadere della carne prefigura la morte. Il lento putrefarsi del corpo ha bisogno di continui lavori di restauro e manutenzione. Nella nostra epoca cancelliamo tutto ciò che ci ricorda la decadenza fisica e la malattia. “La vita moderna, con i suoi ospedali e i suoi articoli igienici’, scrive la Paglia ‘tiene a distanza e sterilizza questi primordiali misteri proprio come ha fatto con la morte, un tempo pietosa incombenza domestica”. Un tempo, cioè quando si era cristiani. Il cristianesimo infatti è entrato in questa nostra mentalità naturale come un ciclone. La Chiesa ha letteralmente inventato gli ospedali e li ha costruiti al centro delle città, spesso davanti alle cattedrali, non ai margini dell’abitato come si usa fare oggi. Il malato che era schifato e abbandonato nell’antichità greca e romana, è diventato in tempi cristiani venerato “come Gesù crocifisso”, accudito, curato, amato pietosamente fin nelle sue piaghe che naturalmente ci repellono. Citavamo all’inizio La Pira e Guardini: in effetti “sono i cristiani i veri materialisti”. Non potrebbe essere altrimenti, perché sono gli unici a poter abbracciare tutta la realtà, anche la sua dolente carnalità, senza l’angoscia e la malinconia del disfacimento fisico e della morte. Perché il cristianesimo è la notizia di Dio che “si è fatto carne”, uomo come noi. L’uomo-Dio si è piegato teneramente su tutte le ferite umane e le ha guarite, ha preso su di sé, sulla sua stessa carne, tutta la violenza e la sofferenza del mondo, facendosi macellare e morendo. Infine è risorto nella carne, mostrando, facendo toccare con mano il suo stesso corpo divinizzato come è destinato a diventare il nostro. Con l’Eucaristia, fatta per struggersi in un cuore umano, entra nel cristiano la stessa Trinità: “per questo divino e ineffabile contatto”, dice il teologo, ‘l’anima e anche il corpo del cristiano diventano più sacri della pisside e delle stesse specie sacramentali’ (Royo Marin). Per questo non stupisce che la Chiesa, nella liturgia funebre, incensi il corpo dell’uomo che appartiene al corpo stesso di Cristo. E non stupisce che il corpo dei santi sia particolarmente venerato. Infatti in molti casi Dio si degna di fare miracoli proprio attraverso le reliquie dei santi. Padre Pio oltretutto portò nel suo stesso corpo i segni prodigiosi della crocifissione di Gesù, e per 50 anni, contro ogni legge naturale e biologica. La sua carne e il suo sangue emanavano il profumo di Cristo. Il filosofo della Scuola di Francoforte, Theodor Adorno, pur marxista, osservò che una vera giustizia richiederebbe un mondo “in cui non solo la sofferenza presente fosse annullata, ma anche fosse revocato ciò che è irrevocabilmente passato”. Concluse che dunque ci vorrebbe “la resurrezione della carne”. È precisamente questa giustizia che la Chiesa annuncia, anche con la venerazione del corpo dei santi. Annuncia la risurrezione. Duemila anni fa gli intellettuali di Atene – dopo aver ascoltato con interesse Paolo – si misero di colpo a irriderlo appena annunciò la risurrezione dei morti. Come se fosse un ciarlatano o un matto. Il cristianesimo è questa rivoluzione (la sola!), una ‘notizia da pazzi’, non una minestrina di regole di buona educazione e di buoni sentimenti. Infatti si parlò di follia ieri sull’Areopago come oggi sulle colonne del Corriere della Sera». Adesso si accorge, Sig. Presidente ? «Napolitano: basta tribune agli ex terroristi Il Presidente della Repubblica alla giornata della memoria: ogni dissenso non superi il limite della legalità È tempo di calare il sipario sulle passerelle mediatiche degli ex terroristi, dice severo Giorgio Napolitano. Vanno chiusi gli spazi di giornali e tv sui quali “si sono esibiti”, per “dare le loro versioni dei fatti e tentare giustificazioni”... ”Vorrei che sentiste questa iniziativa come un gesto di riparazione e vicinanza per ciò che avete sofferto”, spiega Napolitano introducendo la cerimonia ed esortando a proiettare questo maggio verso il futuro, “nel rispetto della memoria”. Un rispetto che, ammette, è “spesso mancato e proprio da parte dei responsabili delle azioni terroristiche”, non pochi dei quali sono rimasti reticenti e tuttora negano la natura criminale di quanto hanno fatto. Lo Stato si è mostrato ‘generoso nei loro confronti con il risultato che gli ex terroristi si sono alternati su ogni possibile tribuna, in qualche caso pretendendo di ergersi a coscienze critiche del Paese…» (Marzio Breda, in Corriere della Sera, 10 maggio 2008, p.6). Ma adesso si accorge di loro il Sig. Presidente ? E’ un bel po’, mi sembra, che gli ex terroristi pontificano nella vetrina della stampa e della tv, oltre che nelle aule universitarie, ed egli (a meno che qualche suo intervento non mi sia sfuggito) non ha battuto ciglio. L’ondata di repulsione che si solleva dal Paese non deve appena lambire, ma deve battere forte, e deve 14 battere insistentemente, alla soglia presidenziale, perché egli ci senta da quell’orecchio. Ora ci siamo, a breve distanza dall’occasione del ricordo di Via Fani, e sarebbe curioso sapere se la commozione provata in quella occasione ricalchi lo stesso stato d’animo di altri tempi di “infelice” (ameno per quella gran parte del popolo italiano che non ha avuto bisogno di riciclarsi sull’ideologia staliniana) memoria, quando questi signori, con amorevole tolleranza, erano considerati i «fratelli che hanno solo sbagliato». duplice principio dell’esperienza cristiana: quello mariano e quello petrino». E ancora: «Il mio viaggio in Puglia è un pellegrinaggio mariano…Maria vi insegna a restare sempre in ascolto del Signore…ad accogliere con generosa disponibilità la Sua Parola…», e con riferimento al principio petrino, ha aggiunto che lo stesso «vi porterà ad avere il gusto e la passione dell’unità, della comunione, la gioia di camminare insieme ai pastori; e al tempo stesso vi parteciperà l’ansia della missione». Dopo aver celebrato la S. Messa Benedetto XVI è ripartito per approdare a Brindisi in serata, accolto dall’Arcivescovo di Brindisi-Ostuni, Mons. Rocco Talucci. Anche qui il saluto della folla è arrivato fino al cielo. Il Papa ha percorso tre chilometri in auto per arrivare al Piazzale Lenio Flacco, di fronte al porto «interno», dove è stato sistemato il palco. «Conosco» – egli ha detto – «il peso che grava su non pochi di voi e sul vostro futuro a causa del fenomeno drammatico della disoccupazione che colpisce anzitutto i ragazzi e le ragazze del Mezzogiorno d’Italia». Ma egli ha incoraggiato, in particolare i giovani, a non cadere nella sfiducia, a guardare avanti, a non farsi soffocare l’entusiasmo dai problemi, a non cedere alle sirene dei facili guadagni, dei paradisi artificiali, di una vita priva di valori, a non farsi attrarre «da forme distorte di soddisfazione materiale» (evidente esortazione, questa, a stare lontani della rete della criminalità organizzata), con l’invito, quindi, a non lesinare energie per costruire una società giusta e aperta al futuro. Il discorso di Benedetto XVI ha interessato diversi temi etici. Egli, tra l’altro, ha levato la voce a difesa della famiglia fondata sul matrimonio, esprimendo la sua preoccupazione per «il convergente attacco» di numerose forze che cercano di indebolire la «solida base» su cui costruire la vita dell’intera società, con evidente riferimento alla legge regionale della Puglia che circa due anni addietro ha aperto una breccia a favore del riconoscimento delle coppie di fatto. Per quanto riguarda l’immigrazione le sue parole sono state: «solidarietà e accoglienza per i profughi». È calata la sera quando per Benedetto XVI è venuto ormai il momento della via del ritorno: con un tripudio di applausi di soddisfazione per le sue parole. Seguirà una veglia di preghiera con canti e riflessioni. Benedetto XVI nel Salento Il 14 e 15 giugno c.a. c’è stata, con grande entusiasmo, la visita pastorale di Benedetto XVI nel Salento. Sabato 14 egli è giunto a S. Maria di Leuca. Un fiume di persone, in gran parte giovani, ha invaso il porto di Leuca e il lungomare. L’arrivo in elicottero del Papa è stato salutato con indescrivibile entusiasmo e con migliaia di bandierine bianche e gialle che sventolavano. Gli siedeva accanto il Vescovo di Ugento-S.Maria di Leuca, Mons. Vito De Grisantis. Si sono sentiti canti gioiosi e una marea di voci che scandivano : «Be-ne-det-to» , «Be-ne-det-to»… Il Pontefice ha rivolto a tutti parole di grande sapienza e in particolare ai giovani ha raccomandato di credere nella forza del bene, che è più forte di ogni furbizia, invitandoli a «non perdere la speranza». «Il bene vince» – egli ha detto – «e, se a volte può apparire sconfitto dalla sopraffazione e dalla furbizia, in realtà continua ad operare nel silenzio e nella discrezione, portando frutti nel lungo periodo. Questo è il rinnovamento sociale cristiano, basato sulla trasformazione delle coscienze, sulla formazione della morale e sulla preghiera». Per quanto riguarda il ruolo della Chiesa, egli ha detto : «Il primo nostro servizio è educare all’attenzione per il prossimo e a un’umanità rinnovata». Il suo messaggio ha richiamato il contenuto simbolico del santuario di Santa Maria de finibus terrae, la cui posizione all’estremo Sud rappresenta quasi un ponte tra l’Europa che finisce e l’Oriente che attende un collegamento attraverso questo ponte. Ancora parole nel ricordo di Aldo Moro: brevi note politicamente scorrette L’8 maggio c.a. ha avuto luogo a Nardò (Le), nel Teatro comunale, un incontro, patrocinato dall’Amministrazione comunale, dedicato allo statista barbaramente assassinato dalle «Brigate Rosse» trent’anni addietro. Il Prof. Pantaleo Dell’Anna ha illustrato la figura di Moro con un articolato excursus biografico, professionale e politico, compiendo analisi e raffronti tra le varie circostanze allo scopo di una migliore comprensione del tragico episodio nel contesto storico che lo ha visto operare. Benedetto XVI nel Salento Secondo la tradizione San Pietro sarebbe approdato qui in occasione del suo viaggio verso Roma. «In questo santuario» – ha detto il Papa – «si coniugano la fede di Pietro e la fede di Maria. Qui si può attingere al 15 L’Avv. Giovanni Pellegrino, Presidente della Provincia di Lecce, osservatore privilegiato della realtà politica e sociale dell’epoca in relazione alla sua qualità di parlamentare (senatore) e anche di Presidente della Commissione Stragi, ha potuto rievocare i fatti con dovizia di particolari che hanno dato luce significativa ai tanti elementi di dubbio sui fatti accaduti, e ciò ad integrazione di quanto risulta da una recente opera di Manlio Castronuovo 8. È intervenuto, infine, quest’ultimo per meglio evidenziare i termini della sua ricerca, contenuta nella predetta opera, per le conclusioni che il lettore voglia trarre secondo le sue valutazioni. «Nel corso della sua prigionia» – si legge 9 – «Aldo Moro si rese conto di essere stato abbandonato dall’intero sistema politico…non sarebbe potuto diventare un elemento di divisione della DC, contribuendo a disarticolare il partito che le BR miravano a distruggere con il loro attacco?». Nella Prefazione fatta da Giovanni Pellegrino 10 si osserva: «…recentissimi episodi di una contemporaneità, che resta difficile, hanno a esempio riacceso il dibattito sulla utilità della fermezza, con qualche revirement, che ha destato sorpresa, ma che in realtà rivela un convincimento abbastanza diffuso: con Moro vivo lo stallo politico degli anni ottanta non vi sarebbe stato; e nei decenni successivi meno difficile sarebbe stato l’approdo a un bipolarismo più mite e, quindi, maturo». Successivamente si è appresa la notizia 11 di un tentativo in extremis dei servizi segreti (SISMI), ma all’insaputa del Governo (che ne aveva fatto divieto), per salvare Moro: ciò avrebbe rivelato tale Iris Ramires Sances, detto Carlos, «primula rossa del terrorismo internazionale», intervistato dall’Ansa, precisando che il piano, a Beirut, saltò per un intervento degli americani a seguito di una soffiata e che gli agenti sarebbero stati poi allontanati o costretti alle dimissioni. È cosa ormai assodata la possibilità, all’epoca, di salvare Moro e la contestuale avvertita determinazione governativa di lasciarlo al suo destino. Si è visto, con questo tragico episodio, che la vita di un uomo non vale più di tanto, è solo tema di manipolazione politica per una «ragion di Stato» che può intesa a piacere per essere solo facciata, secondo la logica che fa valere più il vestito di chi lo indossa e più la casa di chi la abita. E magari nemmeno per una «ragion di Stato», ma per la salvaguardia del «partito» (che si identifica con lo Stato, sotto l’aspetto del potere, solo nelle dittature). Non è certamente mancato qualche altro caso di rapimento che abbia visto direttamente coinvolto il mondo politico, eppure mai si è visto, così accentuato, il «dibattito sulla utilità della fermezza»: locuzione, questa, che per l’uomo della strada, che volge la sua attenzione al valore della vita, potrebbe meglio essere «dibattito sull’opportunità della fermezza». È triste, quindi, constatare la strumentalizzazione, da parte degli esponenti politici dell’epoca, del fatto del rapimento di Moro, per fini, se non personalistici (di personale potere politico), almeno «politici». Come dire che per il «bene» del partito si opta per l’eliminazione di un uomo: e che cosa rileva il fatto di un passivo atteggiamento di acquiescenza all’assassinio, anziché di un’azione premeditata? In politica non c’è forse il confronto democratico che lascia prevalere la forza voluta dall’elettorato? Perfino alla caduta degli Stati totalitari si processa il dittatore responsabile prima di mandarlo a morte, se è prevista la pena di morte (gli eventi di casa nostra degli anni quaranta non possono certo smentire questo assunto), mentre nel caso di specie non si può, ovviamente, prendere in considerazione il processo-farsa celebrato dalle Br. Si dica quello che si vuole, però un «revirement» sul caso è da apprezzare per l’onestà mentale (politica e umana) e il coraggio del suo autore (che, com’è noto, ha di recente suscitato turbamento nella classe politica di appartenenza, attaccata alla sua «coerenza» storica). La cronaca relativa alle dichiarazioni di Napolitano alla giornata della memoria (vedi sopra) valgono pure a far capire in concreto i compromessi tipici all’italiana. E si è meglio capita, a distanza di tempo, l’ipocrisia celata dietro certi titoli apparsi sulla stampa all’epoca del tragico evento, almeno nella misura in cui i testi siano stati influenzati dalla pluralità dei politici correi, fatta salva, cioè, ogni buona fede dei cronisti: «La Dc avrebbe una “strada” per la liberazione di Moro»: La Gazzetta del Mezzogiorno, 12 aprile 1978, pp. 1 e 16 ; «Hanno ucciso Moro ma non la Repubblica – Gli italiani uniti (forse non tutti «uniti», se fra gli italiani vanno inclusi certi politici nel mirino dei sospetti, n.d.r.) nel dolore e nello sdegno per il barbaro assassinio»: La Gazzetta del Mezzogiorno, 10 maggio 1978, pp. 1 e 16. Da sn.: Giorgio La Pira, Aldo Moro e Giuseppe Dossetti 8 Vuoto a perdere, Besa Editrice, Nardò, 2008. 9 P. 397. 10 P. 13 s. 11 Tv., 28 giugno 2008. 16 OSSERVATORIO DEGLI ENTI LOCALI Allegato a TERZO MILLENNIO, n. 3/2008 «Multe ai semafori valide – Sono valide le multe accertate agli incroci con i dispositivi automatici omologati anche senza la presenza del vigile. E per l’installazione dei sistemi photored in ambito urbano è necessaria una delibera della giunta comunale adeguatamente motivata in relazione alle esigenze della circolazione. Lo ha chiarito definitivamente l’Avvocatura generale dello stato con il parere n.46819 del 10 aprile 2008» (Stefano Manzelli in ItaliaOggi, 22 aprile 2008, p. 37). «Elettro-caos – Antenne e ripetitori si moltiplicano ma i controlli diminuiscono – L’Unione europea chiude un occhio sull’elettrosmog ? Contrariamente a quanto accade in altri settori della vita comunitaria, le norme sulle emissioni di antenne radio-tv e cellulari sono molto larghe…» (Federico Ferrazza ne L’Espresso, 24 aprile 2008, p.80 ss.) - «In che modo i cittadini possono ridurre il proprio rischio di esposizione all’inquinamento elettromagnetico? Per le radiazioni a bassa frequenza degli elettrodotti non c’è molto da fare : “Se c’è il sospetto che la propria abitazione sia esposta a un campo di intensità elevata, è opportuno chiedere alle strutture pubbliche competenti una misurazione precisa, per poter accedere a un intervento di risanamento. La lista d’attesa, però, è lunghissima” afferma Pietro Comba, epidemiologo dell’Istituto superiore di sanità. Qualcosa in più si può fare per le radiazioni ad alta frequenza. A partire dalla riduzione dell’uso dei cellulari,dichiara Maria Grazia Petronio, vice presidente dell’Associazione Medici per l’Ambiente: “Quando è possibile, insomma, meglio il fisso…”. Analogo consiglio per le reti wireless: “Meglio evitarle”…”I cittadini dovrebbero organizzarsi per pretendere di partecipare ai processi decisionali relativi ai piani di installazione delle antenne, sollecitando i comuni a effettuare una pianificazione che limiti il rischio di esposizione”, consiglia Petronio: “I comuni possono fare molto, a partire dalla scelta dell’orientamento delle antenne, che non dovrebbero mai essere rivolte verso le abitazioni ” » (V.Mu, ivi, p.84). Il tempo libero per lo scambio culturale tra comuni – Ben vengano i viaggi turistici fuori d’Italia, che però non escludono, nel frattempo, le escursioni nelle varie località italiane, non meno gratificanti. Spesso infatti si scopre di non aver avuto occasione di visitare qualcuno dei tanti tesori di cui dispongono i nostri comuni in terra nostrana. E accade pure di tornare a rivedere con piacere i luoghi già conosciuti, di cui magari si scoprono altri aspetti che ne arricchiscono il fascino. Particolarmente gradita è stata la gita, organizzata dall’Osservatorio TERZO MILLENNIO dal 27 aprile al 2 maggio 2008 (il 30 il gruppo ha beneficiato a Roma dell’udienza papale) presso i Comuni del basso Lazio. Tante sono state le occasioni di impatto storico, artistico e culturale. Così, ad esempio, a Fiuggi ci si è ritemprato lo spirito nei grandi boschi di castagni, ad Alatri ci si è trovati di fronte alla Reliquia relativa al miracolo dell’Ostia incarnata e si è avuta l’emozione che lo storico Ferdinand Gregorovius disse di aver provato alla vista delle mura ciclopiche, più che di fronte al Colosseo di Roma, a Fumone ci si è tuffati in un abitato medioevale perfettamente conservato e nel «Castello» si è vista l’angusta prigione del Papa Celestino V, rievocando l’incredibile vicenda che lo vide coinvolto, e si è visto quello che, come riferito, è il corpicino imbalsamato dell’unico figlio maschio della famiglia De Longhi , assassinato dalle sorelle per mire ereditarie, ad Anagni si è ammirata con stupore l’incredibile preziosità dei mosaici pavimentali e degli affreschi medioevali del sotterraneo, a Veroli si è rivissuto il sacrificio di Cristo dinanzi alla Reliquia della Santa Croce, nonché l’approdo a quelle terre di Santa Maria di Salome, suocera di S.Pietro, citata nel Vangelo, a Isola del Liri si è vista la cascata nei suoi straordinari effetti, e tante altre cose a Collepardo, a Ferentino, all’abbazia di Casamari... Un vivo ringraziamento si fa a tutti quelli che hanno dato, con senso di ospitalità, collaborazione, notizie e opuscoli vari illustrativi della bella terra laziale, e in particolare all’ufficio turistico della Provincia di Frosinone, al Dott. Pierluigi Ambrosetti, vice Sindaco di Fiuggi, all’ufficio Cultura del Comune di Alatri, alla Pro loco del Comune di Veroli, e al Rag. Franco Potenziani, Sindaco di Fumone, auspicando futuri incontri. «VERNOLE – Abusivismo: il sindaco contro se stesso – Abita in una casa abusiva che sta cercando di salvare dalla demolizione, già ordinata dal Comune. Ma a far rispettare l’ordine di demolizione ora dovrebbe essere proprio lui, visto che dal 13 aprile è stato eletto sindaco dello stesso Comune…L’intervista: “Solo un errore. Ma non interferirò” …» (Alfredo Ancora in Quotidiano di Puglia – Lecce, 7 maggio 2008, p. 19). Stipendi d’oro al Comune di Taranto – Fino a 50.000 euro al mese per una normale attività di routine spacciata per realizzazione di c.d. progetti-obiettivo. Ci marciavano tutti nella Ragioneria, dal dirigente fino all’ultimo dipendente. La lucrosa attività risale all’amministrazione Di Bello. Si parla di 50 milioni di risarcimento. L’accusa è di truffa e falso (Telenorba, 8 maggio 2008, ore 7). «Il pm contabile : “Consulenti superpagati – La procura della Corte dei conti della Lombardia cita in giudizio la giunta di Milano, con in testa il sindaco Letizia Moratti, chiedendo più di sette milioni di euro per i danni subiti dall’erario dopo aver chiuso l’inchiesta sull’assunzione di 91 dirigenti esterni a tempo determinato in Comune…”» (Giuseppe Guastella in Corriere della Sera, 9 maggio 2008, p. 23). «Genova, la Vincenti rifiuta di dire addio -…a Palazzo di Giustizia si delineano le prime mosse dei magistrati, che rimettono in libertà il presidente del Bambin Gesù di Roma, Giuseppe Profiti, ma non gli altri 4 arrestati, facendo capire che l’inchiesta è ancora lontana dalla parola fine...certo che questa storiaccia di tangenti per addomesticare gli appalti delle mense di Genova e Savona sta mettendo sottosopra i santuari del potere ligure…» (Francesco Alberti Erika Dellacasa in Corriere della Sera, 28 maggio 2008, p. 11). «Concorsi al bando - …Uno dei dati che colpiscono maggiormente, tra quelle sul personale degli enti locali, è la progressiva diminuzione, negli ultimi quattro anni, dei bandi di concorso per assunzioni a tempo indeterminato: più o meno, da 1900 a 650, su 8000 enti…» (Bernardo Giorgio Mattarella ne L’espresso, 29 maggio 2008 , p. 45). Il problema dei rifiuti in Campania.- «Rimuovere i rifiuti dalle strade non è una cosa né di destra né di sinistra, ma un dovere di civiltà», è stato detto di recente da un esponente politico. Ora si scopre l’acqua calda per questo servizio in un momento storico drammatico che vede il problema di non facile soluzione, anche in relazione ai tempi che devono fare i conti con l’incombente pericolo per la salute pubblica. E viene spontaneo chiedersi: ma l’assunto non era vero anche nel periodo di normale gestione? E soprattutto, se questo già si sapeva, l’accordo unanime nelle scelte tra tutte le forze politiche (di cui si scopre il pregio) ora invocato non avrebbe forse evitato questa bruttura? E questo che ora viene detto non vale forse per tutti i servizi, anche se non corredati da emergenza? La risposta, purtroppo, ancora una volta non può che essere italiana. Intanto, continuano a leggersi gli incidenti : v., ad esempio: «Rifiuti, guerriglia a Napoli, molotov, cariche e feriti…il bollettino di scontri e feriti nella periferia a nord di Napoli, si riaccende ieri con la stessa violenza che aveva segnato l’inizio della rivolta di venerdì. L’elenco ufficiale parla di dodici feriti, c’è chi ne conta venti…» (Conchita Sannino ne La Repubblica, 25 maggio 2008, p. 2). «Parcheggi, le strisce blu cancellate a Roma dal TAR – Il Tar del Lazio cancella le strisce blu in tutta la capitale : la sosta a pagamento dei 95.653 posti auto vale 29 milioni di euro l’anno…Alemanno ha subito detto che non farà ricorso al Consiglio di Stato perché, durante la giunta Veltroni, dai banchi dell’opposizione si era sempre espresso, insieme a tutto il centrodestra, contro le strisce blu e ne aveva denunciato “il carattere vessatorio” nei confronti dei cittadini. Il Tar ha bocciato in particolare la delibera 104 dell’aprile del 2004, una delibera quadro che regolamentava la sosta tariffata in tutto il territorio comunale “in mancanza di una idonea istruttoria”. I giudici hanno respinto la richiesta di Carlo Rienzi, Presidente del Codacons che voleva la restituzione delle multe inflitte a fronte “dell’illegittimo aumento del numero delle aree riservate al parcheggio a pagamento” » (Francesco Di Frischia in Corriere della Sera, 30 maggio 2008, p. 22). «Monoposto in pista, Nardò è da Formula 1 -…giovedì prossimo sarà inaugurata a Nardò (Lecce) la nuova pista di handling che servirà alle case automobilistiche per collaudare i propri prototipi e alle scuderie di Formula 1 (ma non solo) per testare le monoposto di scena poi sui circuiti del Mondiale. Il tracciato completa il ventaglio di piste esistenti all’interno del Proving Ground della località salentina. Il circuito, lungo sei chilometri, è caratterizzato da pendenze longitudinali e curve a diverso raggio appositamente progettate per analizzare il comportamento dinamico delle vetture. È possibile, peraltro, sperimentare la tenuta su strada del veicolo, anche dei bolidi che superano i trecento chilometri orari di velocità, attraverso test strumentali di affidabilità e affaticamento di componenti. I collaudi potranno svolgersi per l’intera durata dell’anno…» (Michele Pennetti in Corriere della Sera, Mezzogiorno Economia, 2 giugno 2008, p. XIII). Cancellata l’Ici sull’abitazione principale – Già dal 16 giugno il provvedimento è operativo, anche se va coordinato, da parte dei comuni, con l’individuazione degli immobili ammessi al beneficio. Tale agevolazione riguarda le abitazioni principali o assimilate alle abitazioni principali secondo il regolamento comunale) comprese nelle categorie da A2 ad A7, nonché le pertinenze (box, posto auto, cantina, soffitta, anche se siti nelle adiacenze, e anche se le pertinenze siano più di una, salvo il limite massimo fissato dal comune), esclusi gli immobili in A1 (case signorili), A8 (ville) e A9 (palazzi e castelli), anche se adibiti ad abitazione principale. L’Ici non è dovuta sugli immobili dati in uso gratuito ai familiari (che di regola devono avervi la residenza), con il grado di parentela fissato dal comune, purché il comune stesso li assimili all’abitazione principale almeno per l’applicazione dell’aliquota ridotta, ma vi sono comuni che non prevedono questa esenzione. Chi possiede altri immobili deve versare quanto dovuto per il periodo gennaiogiugno con la prima rata, e saldare poi con la seconda. L’abolizione dell’Ici sulla prima casa è occasione di riflessione sul tema del federalismo fiscale (vedi in questo numero di TERZO MILLENNIO). 18